Ludovico Ariosto [2 ed.] 8842005037, 9788842005032


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Italian Pages 164 [180] Year 1979

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Ludovico Ariosto [2 ed.]
 8842005037, 9788842005032

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Letteratura italiana PG

Nino Borsellino

Ludovico Ariosto

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Public Library

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© 1973, Gius. Laterza & Figli ‘Prima edizione 1973 Prima ristampa

1979

Seconda ristampa

1982

Seconda edizione

1989

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Non si adatta una sella o un basto solo 35

ad ogni dosso; ad un non

40

all’altro stringe e preme e gli dà duolo. Mal può durar il rosignuolo in gabbia, più vi sta il gardelino, e più il fanello; la rondine in un dì vi mor di rabbia. Chi brama onor di sprone o di capello,

par che l’abbia,

serva re, duca, cardinale o papa;

io no, che poco curo questo e quello. In casa mia mi sa meglio una rapa, ch’io cuoca, 45

50

e cotta s'un stecco me

inforco,

e mondo, e spargo poi di acetto e sapa, che all’altrui mensa tordo, starna o porco selvaggio; e così sotto una vil coltre, come di seta o d’oro, ben mi corco. E più mi piace di posar le poltre membra, che di vantarle che alli Sciti sien state, agli Indi, a li Etiopi, et oltre.

Degli uomini son varii li appetiti; a chi piace la chierca, a chi la spada, a chi la patria, a chi li strani liti. 55

Chi vuole andare a torno, a torno vada:

vegga Inghelterra, Ongheria, Francia e Spagna; a me piace abitar la mia contrada. Visto ho Toscana, 60

Lombardia,

Romagna,

quel monte che divide e quel che serra Italia, e un mare e l’altro che la bagna.

II. Satira III, vv. 34-66; da Opere minori cit., pp. 525-6. 38. gardelino: cardellino. — fanello: passeraceo. 40. onor...capello: titoli cavallereschi o ecclesiastici. 43-7. In casa...selvaggio: Un cibo semplice preparato a casa mia lo preferisco ai più prelibati mangiati alla mensa degli altri. Il Debenedetti rinvia ad un sonetto (xxxI) del Pistoia dove sono elencati gli stessi cibi. — e cotta ...mondo: la inforca su uno stecco per non scottarsi sbucciandola. — acetto e sapa: aceto e salsa di mosto cotto. — porco selvaggio: cinghiale.

49-51. E più...oltre: Preferisco starmene in riposo, anziché vantarmi d’aver viaggiato per il

mondo fino ai più lontani paesi. 52. appetiti: desideri; il tema è tipicamente oraziano; cfr. Carmina i, 1 e Epist. 11, S.

53-4. a chi...liti: a chi piace la carriera ecclesiastica, a chi il mestiere delle armi, a chi stare in patria, a chi viaggiare.

55. forno: in giro. 58-60. Visto ...bagna: l’indicazione è precisa e corrisponde alle contrade italiane dove l’Ariosto s’era recato per incombenze d’ufficio. — quel...bagna: gli Appennini che dividono l’Italia e le Alpi che la chiudono, e il Tirreno e l’Adriatico;

cfr. Petrarca,

Canz.

146, 13-4:

«il bel paese / ch’Appenin parte e ’1 mar circonda e l’Alpe ».

$ 18.

Autobiografia e moralismo : le « Satire »

Questo

47

mi basta; il resto de la terra,

senza mai pagar l’oste, andrò cercando con Ptolomeo,

sia il mondo

in pace o in guerra;

e tutto il mar, senza far voti quando lampeggi il ciel, sicuro in su le carte verrò, più che sui legni, volteggiando.

65

Altrove il crescendo stilistico del discorso ariostesco, che qui procede dall’enunciazione proverbiale del tema alla sua specificazione personale, si risolve in senso opposto e si fissa nella generalità dell’« esempio », che placa nel ritmo disteso dell'immaginazione narrativa la concitazione colloquiale degli argomenti: come nella storiella della gazza e del pastore (vv. 109-50) che serve a mettere in guardia contro la facile fiducia nelle promesse dei potenti. L’« esempio » della gazza è l’apologo dell’esperienza romana del poeta dimenticato dal papa tra la folla dei clienti medicei. Un secondo « esempio », quello della scalata al monte della luna, ha nella sua secca incisività dimostrativa risvolti meno personali. L’inserto favolistico attinge a un più fondo e generalizzato pessimismo, formulato esplicitamente, seppure nei modi ironicamente smaliziati che sono tipici dell’Ariosto: la quiete che si crede raggiungibile solo al colmo degli onori è, dice il poeta, un miraggio che affatica inutilmente e che non si tocca mai:

III. [LA LUNA È VICINA] Nel tempo ch’era nuovo il mondo ancora e che inesperta era la gente prima e non eran l’astuzie che sono ora,

210

a piè d’un alto monte, la cui cima parea toccassi il cielo, un popul, quale non so mostrar, vivea ne la val ima;

che più volte osservando la inequale luna, or con

corna

or senza,

215

or piena or scema,

girar il cielo al corso naturale;

resto...guerra: la rimanente parte del -3. il seguendo con la fantasia + SBla percorrerò mondo f Tol SR 3 eta con il vandal ogni antichi),den dei geografi Ring più celebrepeccati il taggio di non pagare l’albergo e senza preoccuparmi

se i paesi che visito sono

in pace o in

i guerra. 64-6. e tutto...volteggiando: e andrò navigando (volteggiando significa propriamente aggirando) tutto il mare

senza

paura delle tem-

peste, standomene sicuro > a leggere geografiche, non sulle navi. III. Satira

III, vv.

208-31;

da Opere

cit., p. 532-3. 213. mostrar: indicare, dire. — fondo alla valle.

le carte

2 minori

ne... ima: in : x

214-5. la inequale ...scema: le varie fasi della

luna.

Ludovico

48

220

Ariosto

e credendo poter da la suprema parte del monte giungervi, e vederla come si accresca e come in sé si prema; chi con canestro e chi con sacco per la

montagna cominciar correr in su, ingordi tutti a gara di volerla. Vedendo poi non esser giunti più vicini a lei, cadeano a terra lassi,

225

bramando in van d’esser rimasi giù. Quei ch’alti li vedean dai poggi bassi, credendo

che toccassero

la luna,

dietro venian con frettolosi passi. Questo monte

230

è la ruota di Fortuna,

ne la cui cima il volgo ignaro pensa ch’ogni quiete sia, né ve n’è alcuna.

La composizione della Satira IV cade nel 1523, anno in cui, ricorrendo il 20 febbraio il primo anniversario del suo soggiorno a Castelnuovo in Garfagnana come commissario del Duca, l’Ariosto scrive al cugino Sigismondo Malaguzzi lamentando la lontananza dalla sua donna, il suo duro ufficio e soprattutto l'impossibilità di poetare, attività che ha ormai da un anno smesso. I momenti salienti della satira sono da additare proprio nel rammarico per la perduta poesia che l’asprezza del luogo e dei compiti governativi impedisce di recuperare. Solo nella Satira V la moralità dell’Ariosto non si genera dalla confessione. Scrivendo (in una data che non è stata fissata con certezza, ma che si può fare oscillare tra il 1519 e il ’21) allo stesso destinatario della Satira ZZZ ora prossimo alle nozze, il poeta fa professione di saggezza su un tema, come quello del matrimonio, per il quale egli non può certo esibire certificati di esperienza, ma che può trattare col pacato distacco dell’osservatore: « Tu ti ridi di me forse, e non vedi / come io ti possa consigliar, ch’avuto / non ho in tal nodo mai collo né piedi. / Non hai, quando dui giocano, veduto /che quel che sta a vedere ha meglio spesso / ciò che s’ha a far, che ’l giocator, saputo? » (vv. 79-84). Questa morale dell’osservatore imparziale non ha ovviamente niente di pedantesco. Raccoglie temi umanistici di buona condotta coniugale, indulge al gusto popolaresco dell’aneddoto antiuxorio e alla relativa tradizione libellistica e si risolve in una serie di precetti cautelativi contro gli svantaggi del matrimonio, che però alla fine smentiscono ironicamente la stessa validità di ogni precetto. I motivi si rifanno personali nella Satira V7, scritta nel 1524-5 e indirizzata a Pietro Bembo. Il poeta chiede all’autorevole letterato, ammiratissimo dall’Ariosto, che gli procuri per il quindicenne Virginio, studente a Padova, un

professore di greco, raccomandandosi 219. in... prema: si restringa.

che sia buono per dottrina e costumi.

$ 18.

Autobiografia e moralismo : le « Satire »

49

Sulla bontà di costumi insiste soprattutto l’Ariosto, perché gli sembra rara negli umanisti, i quali, afferma il poeta riprendendo spunti satirici correnti nella letteratura antipedantesca del tempo, si macchiano di turpi vizi. Quanto a lui, la sua cultura classica, limitata alla conoscenza del latino, non gli ha permesso di guidare l'istruzione del figlio oltre la lettura degli amati poeti latini, né le attuali incombenze gli consentono di riparare al suo mancato apprendimento del greco. Il rammarico degli studi interrotti si apre quindi a temi autobiografici che l’ironia dell’Ariosto controlla non appena la partecipazione rischia di farsi più sofferta: come alla fine del componimento, dove la sua esperienza di cortigiano è rievocata nella forzata conversione, a tutto vantaggio di Ippolito d’Este, da «poeta a cavallaro ». Della primavera del 1524 è l’ultima satira indirizzata a Bonaventura Pistofilo,

segretario del duca Alfonso, il quale gli aveva offerto l’incarico di ambasciatore a Roma presso papa Clemente vii. L’Ariosto rifiuta l’ufficio perché le speranze deluse dopo l'avvento al pontificato di Leone x, che sembrava promettergli tanti vantaggi con le sue dimostrazioni di paterna benevolenza («la man mi strinse, e mi baciò le gote », ricorda ormai smaliziato il poeta), l’hanno reso esperto di un’amara verità: che è tanto più inevitabile e grave la caduta delle illusioni quanto più rapidamente e in alto poggiano le sciocche ambizioni, come appunto insegna la parabola della zucca e del pero: « Fu già una zucca che montò sublime [in alto] / in pochi giorni tanto, che coperse / a un pero suo vicin l’ultime cime. / Il pero una mattina gli occhi aperse, / [. . .] e visti / li nuovi frutti sul capo sederse [coprirgli la cima], / le disse: [. . .] / Ma tu che a un volger d’occhi arrivi in cielo, / rendite certa che, non meno in fretta / che sia cresciuto, mancherà [verrà meno] il tuo stelo » (vv. 70-87). Ma le ragioni più intime del rifiuto che l’Ariosto oppone al nuovo incarico stanno al di là della sua saggia e disincantata interpretazione degli eventi; consistono piuttosto in un dato umano e sentimentale: nella fedeltà alla sua Ferrara, una fedeltà divenuta, mentre ancora il poeta è costretto al suo duro soggiorno in Garfagnana, nostalgia di una città più che mai desiderata nel ricordo della quotidiana frequentazione delle sue strade e dei suoi monumenti e nel pensiero della donna amata cui il poeta si limita ad alludere, col pudore di chi è cosciente di non potere giocare, in un’età in cui le passioni possono sembrare ridicolmente patetiche, la parte dell’innamorato:

Ludovico

50

Ariosto

IV.

[IL RICHIAMO DELLA CITTÀ]

150

Da me stesso mi tol chi mi rimove da la mia terra, e fuor non ne potrei viver contento, ancor che in grembo a Iove. E s’io non fossi d’ogni cinque o sei mesi stato uno a passeggiar fra il Domo e le due statue de’ Marchesi

155

160

165

170

IV. Satira VII, vv. 148-81; da Opere minori cit., pp. 578-9. 148. mi tol: mi toglie, mi strappa. 149. terra: città. 150. ancor ...Iove: anche se stessi in grembo a Giove, cioè nella felicità più piena. 151-3. s'io...miei: il pocta stava a Castelnuovo in Garfagnana, e un mese su cinque o sei lo trascorreva

miei;

da sì noiosa lontananza domo già sarei morto, o più di quelli macro che stan bramando in purgatorio il pomo. Se pur ho da star fuor, mi fia nel sacro campo di Marte senza dubbio meno che in questa fossa abitar duro et acro. Ma se ’1 signor vuol farmi grazia a pieno, a sé mi chiami, e mai più non mi mandi più là d’Argenta, o più qua del Bondeno. Se perché amo sì il nido mi dimandi, io non te lo dirò più volentieri ch’io soglia al frate i falli miei nefandi; che so ben che diresti: « Ecco pensieri d’uom che quarantanove anni a le spalle grossi e maturi si lasciò l’altro ieri! ». Buon per me ch’io me ascondo in questa valle, né l’occhio tuo può correr cento miglia a scorger se le guancie ho rosse o gialle;

a Ferrara,

dove

tornava

a

passeggiare nel centro cittadino, tra il Duomo e le statue, che lo fronteggiano, di Niccolò ni e Borso d’Este.

157-9. Se... acro: Se debbo proprio stare lontano da Ferrara, senza dubbio il soggiorno a Roma (Campo Marzio fu detto l’«ager Tarquiniorum » consacrato a Marte) mi sarà meno duro e acerbo che abitare in Garfagnana; fossa chiama questa sua residenza anche nella Satira IV, 142-4. Il suono aspro delle rime è dantesco. Le stesse parole-rima in Satira I, 260-4. 162. più... Bondeno: terre ai confini di levante e di ponente del Ferrarese. 163. il nido: Ferrara; altrove mido è il natio nido: Reggio, la città natale (Satira IV, 117).

154. domo: domato, vinto.

167-8. che...

155-6. 0 più...pomo: o mi sarei fatto più magro dei golosi del Purgatorio dantesco (xxII, 22-36, in particolare i vv. 34-5 qui riecheggiati)

piuti dal poeta, l'8 settembre 1523, serve alla datazione del componimento; l’altro ieri (cioè da poco tempo) è indicazione generica, ma non tanto da far supporre che siano passati molti mesi dal compleanno.

che appaiono con la faccia squallida per la fame generata dai frutti dell’albero posto per loro punizione in quella cornice.

ieri: il riferimento agli anni com-

169. valle: la fossa del v. 159.

$ 18.

Autobiografia e moralismo : le « Satire »

51

che vedermi la faccia più vermiglia, ben che io scriva da lunge, ti parrebbe, che non ha madonna Ambra né la figlia, o che ’1 padre canonico non ebbe quando il fiasco del vin gli cadde in piazza che rubò al frate, oltre li dui che bebbe. S’io ti fossi vicin, forse la mazza

per bastonarmi piglieresti, tosto che m’udissi allegar che ragion pazza non mi lasci da voi viver discosto.

175 »

180

Più delle commedie, le Satire sono la grande prova dello stile « comico » dell’Ariosto. La struttura del capitolo in terzine aderisce qui dall'interno ai contenuti che il poeta vuole esprimere, consentendo nella sua fluidità discorsiva un equilibrio di toni diversi: dall’autobiografico all’aneddotico, dal favolistico al sarcastico. Alla forma colloquiale del periodo corrisponde l’espressività colloquiale dello stile, che assorbe una pluralità di elementi lessicali utilizzati in direzione realistica con prevalenza di suggerimenti e prestiti linguistici da Dante, come imponeva un tipo di scrittura in cui l’ironia e la satira nascevano comunque dal risentimento morale. Il linguaggio eminentemente selettivo della lirica petrarchesca è perciò distante dallo stile delle Satire. Ciò non vuol dire che manchino in questi componimenti echi e derivazioni da Petrarca, abbastanza frequenti anzi, come del resto sono frequenti i calchi stilistici di stampo latineggiante che ‘s'improntano ai lirici e agli elegiaci romani, coltivatissimi dall’Ariosto. Vuol dire piuttosto che il petrarchismo è qui ormai un rinvio a situazioni divenute tipiche o ha soltanto valore di citazione. Appunto la permeabilità del linguaggio delle Satire conferma la loro appartenenza ai modi dello stile comico, quale era stato elaborato da una ormai lunga tradizione realistica e burlesca, presente anche in area ferrarese soprattutto con i Sonetti faceti di Antonio Cammelli, di cui si rinvengono tracce nelle Sazire, ed è simile in sostanza allo stile del Berni e dei berneschi (devoti appunto al capitolo in terzine) più che a quello dei capitoli morali e allegorici in cui si esercitarono, sullo scorcio del Quattrocento, il veneziano A. Vinciguerra e più tardi il Machiavelli. Ma dalle rimerie del Berni e dei berneschi le Satire dell’Ariosto si differenziano per altro verso, non ubbidendo queste al carattere bizzarro di sproloqui su futili pretesti, che è proprio di quei poeti,

e alla loro ispirazione occasionale. AI contrario le Satire sembrano rispondere a un intento unitario, Collaborano tutte insieme alla costituzione di un’autobiografia morale; si succedono cioè, 174. madonna . . . figlia: donne forse note o proverbiali per il loro abuso di trucco. L’Ariosto iù didi loro la facciai rossa per la vergogna ha più di confessarsi innamorato a quarantanove anni. 175-7. 0 che... bebbe: s'ignora chi sia questo

canonico rubizzo per la vergogna e per ilvino; ma potrebbe essere figura aneddotica più che bev reale. — — bebbe: : bevve. 180. ragion pazza: il suo amore per Alessandra Benucci.

52

Ludovico

Ariosto

senza vincolarsi a una stretta cronologia reale, come momenti di quella riflessione cui il poeta sottopone le vicende della sua esistenza pratica allorché talune scelte sintomatiche gli si impongono o particolari esperienze lo inducono a rivedere il passato e a valutare la sua situazione nel presente. Non per questo tuttavia esse elaborano una sorta di diario in versi, una specie di libro segreto dentro il quale sia possibile cogliere lo scrittore quasi in controluce, nell’immediatezza dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri. La ben regolata struttura di questi componimenti, adottata non per ossequio alla tradizione, ma per deliberata scelta espressiva, frena intanto, laddove è più urgente, la piena dello sfogo o la risolve nei moduli stilistici propri del genere; ma soprattutto le particolari qualità della personalità umana ed artistica dell’Ariosto, fondamentalmente equilibrata ed estroversa, mettono il poeta al riparo dalla tentazione di indugiare troppo su se stesso e lo spingono invece a rappresentarsi obiettivamente, come personaggio in azione, diviso tra le faccende familiari e le incombenze cortigiane, trascinato talora in mezzo ai pericoli dai più ingrati doveri del suo ufficio. Solo che quest’azione non lo soddisfa: anziché appagarlo, lo infastidisce e lo turba, perché lo sottrae all'unico compito che egli sente veramente suo, quello di pocta, con il quale malamente si accordano le mansioni di « cavallaro » o anche di commissario ducale che i suoi signori gli impongono. In questa sua condizione di scrittore piegato dalle necessità pratiche consiste il disagio, ed anche la sofferenza, che l’Ariosto manifesta nelle Satire, non dunque in una astratta rivendicazione dei suoi diritti di uomo (non supponibile nella realtà sociale di cui egli fu storicamente partecipe) o della sua dignità offesa. E da qui deriva il tono di polemica personale, risentita che hanno le Satire: una polemica che investe direttamente l’ingratitudine o l’insensibilità dei potenti, chiama in causa la vita del poeta stesso nel rammarico delle occasioni perdute, degli studi non perfezionati, delle restrizioni cui lo sottomettono il suo stato clericale e i pur desiderati benefici ecclesiastici, ma che coinvolge anche i vizi della società del suo tempo, la smoderata ambizione, l’avidità dei guadagni, l’invidia e l’adulazione cortigianesche. Tuttavia il tono che questa polemica assume non è quello dello sdegno o dell’invettiva. L’Ariosto non pronuncia requisitorie né formula condanne; la sua ironia infine non è neppure spietatamente derisoria. Le sue critiche si traducono in un moralismo pacato che, senza essere conciliante, osserva

e giudica il

vizio umano non tanto alla stregua di un male o di un peccato, quanto come un errore riparabile e che per questo si può descrivere o rappresentare: ciò che appunto egli fa senza alterare la forma colloquiale e discorsiva che adopera in tutti questi componimenti e nella quale s'inseriscono il ricordo, la rapida allusione a fatti e persone della sua città o della società italiana, specie di quella ecclesiastica e romana, la pittura d'ambiente, la favola infine, che ha nel contesto un valore allegorico o morale di apologo, che non urta però col coerente sviluppo del componimento.

Nel loro « tono medio », come è stato opportunamente definito lo stile ario-

$ 19.

L'« Orlando furioso » : genesi e composizione

stesco,

consiste

l’originalità delle Satire,

55

pur nei diversi

risultati; ed è questo

San che SEATCR questi componimenti, piuttosto che ai Capitoli, i quali hanno un ispirazione più episodica e minore compattezza stilistica, alle Commedi e e per taluni aspetti allo stesso Furioso, specie alla parte esplicitamente soggetti va, agli esordi dei canti. Sarebbe tuttavia un errore valutarne l’importanza solo in ragione della loro relativa prossimità col capolavoro o comunque nel confronto con contenuti e caratteri poetici sostanzialmente non pertinenti. Vero è invece il contrario, che cioè si può cogliere l’importanza delle Satire una volta che se ne misuri la distanza dal Furioso e che le si valuti nella loro perfetta autonomia di opere nate da una diversa esigenza espressiva: dal bisogno dell’Ariosto di vedersi rispecchiato nelle varie vicende quotidiane, in mezzo a tutto ciò che è effimero e contingente, non fantasticamente costruito: come protagonista, e insieme spettatore, della sua personale commedia.

$ 19.

L’« Orlando furioso » : genesi e composizione

L’Orlando furioso con la sua lunga genesi, la fitta stratificazione di episodi aggiunti, rielaborazioni, correzioni ed esclusioni, dà la misura piena dell'impegno

perseguito dal poeta nella ricerca mai conclusa della perfezione. Il poema fu iniziato molto probabilmente intorno al 1505 dopo la rinuncia a proseguire un primo esperimento di poesia epica in terzine, detto Obizzeide, in onore degli Estensi e fu portato avanti per dieci anni suscitando notevole interesse anche fuori di Ferrara. Nel 1512, per esempio, il marchese Francesco Gonzaga, marito di Isabella d’Este, desiderava avere in lettura il manoscritto che l’Ariosto era costretto a negargli perché lo considerava indecifrabile per le molte cancellature e correzioni. Quattro anni dopo, comunque, nell’aprile 1516, il poeta si decise a pubblicarlo. Questa edizione in quaranta canti fu però subito giudicata provvisoria dall’ Ariosto, che in una copia affidata a G. B. Da la Pigna registrò nei margini dei fogli le ottave da spostare o da sostituire e le varianti di lessico e di forma: copia questa che è il fondamento della seconda edizione, apparsa sempre a Fer-

rara per i tipi del da la Pigna nel febbraio 1521. Tuttavia anche la seconda edizione non l’accontentò; v'intervenne anzi più sistematicamente sottoponendo la lingua e lo stile del poema a una radicale revisione che metteva a partito i primi risultati dei dibattiti linguistici in corso in Italia e che rivelava la sua adesione, nient’affatto fanatica, alla teoria del toscano illustre espressa nelle Prose della volgar lingua del Bembo. Anche la materia s’accrebbe in questa terza edizione pubblicata nell’ottobre del 1532. I canti diventarono quarantasei e vi furono ag-

xI, giunti quattro nuovi episodi: il lungo romanzo di Olimpia (cc. 1x, x, 1-34; 1-59, xxXxII, Sgg., 50 21-80; x11, 1-4), la novella della rocca di Tristano (xxx,

65-76), la storia di Marganorre e Drusilla (XXXVI, 84, xxxvII), le vicende conclusive di Ruggiero e Leone (xLIV, 12-4, 36 sgg., XLV, XLVI, 19-66, 69-72). pa

il poeta aveva escluso da quest’ultima edizione altre parti elaborate dopo il ’21: *

Ludovico

54

Ariosto

abbozzi di episodi, come la « Storia d’Italia », « Lo scudo della regina Elisa », e interi nuclei narrativi, come i Cinque Canti, che per la loro maggiore compattezza di contenuto e di stile possono essere valutati autonomamente, come un'opera a sé. Questa

ampia revisione

stilistica e questa ristrutturazione

romanzesca

del

poema rivelano l'intento cui ostinatamente mirava l’Ariosto: equilibrare l’esigenza di una piena armonizzazione formale con la complessità degli sviluppi narrativi che proliferavano sulla materia originaria. E tuttavia l’artista non si appagò neppure di questo terzo risultato. Indispettito addirittura dalle scorrettezze della stampa, nei mesi che ancora gli restarono di vita (fino ai primi del luglio 1533) si applicò con rinnovata tenacia all'ultimo lavoro di revisione che solo la morte avrebbe dovuto lasciare interrotto. L’Orlando furioso fu dunque l’opera di un’intera esistenza poetica, l'impegno duraturo che doveva smentire la baldanzosa professione d’incostanza anche artistica dichiarata dall’Ariosto nel carme giovanile De diversis amoribus, dove egli aveva celebrato il suo ripudio della poesia epica come inutile studio per cui non s’acquista alcun premio (cfr. vv. 27-30). Se riferito al frammento in terzine su Obizzo d’Este, questo ripudio era stato opportuno. Quel tentativo epico, infatti, risultava pur nella sua frammentarietà inadeguato ai propositi celebrativi probabilmente esemplati sui non apprezzabili modelli della produzione cortigiana quattrocentesca in volgare (per esempio la Sforzeide di Antonio Cornazano) e in latino (Sforziade e Eracleide del Filelfo, Borsiade di Tito Vespasiano Strozzi). La collocazione storica della vicenda, alla fine del secolo xIII durante la guerra tra Filippo il Bello e Edoardo 1 d’Inghilterra (1294-8), veniva fissata in un’epoca troppo poco distanziata per evocare favolosamente quell’intreccio di fatti d’arme, « affanni d’amor» e peregrinazioni «in terra e in mar » del cavaliere estense che l’Ariosto si proponeva di narrare per la gloria dei suoi signori; d’altra parte l’azione epica si rivelava subito subordinata agli svolgimenti tipici dei cantari popolari che trasformano le vicende guerresche in rissa tra campioni. È interessante tuttavia notare che già in questo abbozzo le armi sono associate agli amori e la tradizionale invocazione ad Apollo e alle Muse è polemicamente sostituita dall’omaggio alla donna con un procedimento di convenzionale galanteria che però istituisce un rapporto più personale e diretto tra narratore e narrazione, rapporto che, dopo l’incontro con la Benucci, si interiorizzerà arricchendosi di un’ironica allusività autobiografica: «Voi l’usato favor, occhi soavi, / date all'impresa, voi che del mio ingegno, / occhi miei belli avete ambe le chiavi. / Altri vada a Parnaso o a Cirra; io vegno, / dolci occhi a voi; né chieder altra aita / a” versi miei se non da voi disegno ». Questa scarsa valorizzazione degli elementi epici, l’interdipendenza dei temi bellici ed erotici, la disponibilità dell'eroe all'avventura, messa in luce dalla sua presentazione come cavaliere che va « peregrinando in terra e *n mar molt’anni », infine la soggettivazione dell’ispirazione poetica, condizionata all’omaggio amoroso del poeta, collocano

la cosiddetta

Obizzeide

nell’ambito

della produzione

romanzesca. Questa in pratica aveva reso inoperanti le residue velleità dell’epica

P CS

$ 20.

L’« Orlando furioso » : la trama

55

rinascimentale e aveva dimostrato con gli esempi maggiori del Pulci e del Boiardo la possibilità di dare al paesaggio ormai divenuto favoloso dell’eroicità carolingi a

quel « colorito sociale » moderno che, secondo De Sanctis, attualizzava la materia cavalleresca e imprimeva ai vecchi contenuti il carattere della nuova letteratura. In particolare chiunque in ambiente ferrarese si accingesse ad affrontare materia epica o romanzesca non poteva sottrarsi al confronto col Boiardo che con l’Orlando innamorato aveva elaborato un modello di poesia di armi e di amori godi-

bile non solo da parte dei suoi uditori cortigiani, ma anche da un pubblico di lettori borghesi molto più ampio e pronto a recepire quelle « cose dilettose e nove ». L’Ariosto con l’Obizzeide sembra voler cambiare il registro di quelle storie avventurose ravvicinandole nel tempo con una maggiore determinazione storica e sostituendo la terza rima all’ottava, proponendo cioè un altro modello formale. Ma si dovette rendere conto ben presto dell’impossibilità di trasferire in altre dimensioni storiche e geografiche il tempo ormai divenuto mitico della cavalleria carolingia e di sostituire alla forma narrativa dell’ottava, collaudata da oltre un secolo,

la terzina discorsiva dei Capitoli. A dare nuova vita al mondo imprevedibile dell’eroismo e dell'amore serviva ancora egregiamente lo schema boiardesco che gli facilitava fra l’altro l’accesso a un pubblico che aveva ormai familiarizzato con la vicenda attendendone la prosecuzione, e nello stesso tempo lo legava a un congegno inventivo che aveva dimostrato tutte le sue possibilità di variare il racconto e di tenere desta l’attenzione. Accingersi a una continuazione dell’Innamorato significava dichiarare che la novità non andava cercata nel contenuto. Sotto la sua apparente umiltà di continuatore il poeta già indicava dove andava colta la sua grandezza: e la grandezza dell’Ariosto comincia in realtà, come avvertì De Sanctis, « dove comincia la poesia ».

$ 20.

L’« Orlando furioso » : la trama

L’Orlando furioso è prima di tutto quello che l’Ariosto volle che fosse: l’opera delle sue «longe vigilie e fatiche » composta « per spasso e recreatione de’ Signori e persone de animo gentile », fatta di « cose piacevole e dilettevole di arme et amor » e per questo degna di essere posta in luce « per solazzo et a piacer d’ognuno », come scrive lo stesso autore indirizzando nel gennaio 1528 una supplica al doge di Venezia per i diritti di stampa del suo capolavoro.

Le molte scomposizioni che sono state fatte dell’Or/ando furioso per temi,

personaggi, nuclei epici o ideologici, categorie psicologiche, mirano a organizzare il flusso narrativo e a ridurlo a unità, quasi che sia possibile chiarire, sezionando l’opera, la coscienza del suo diletto. Sono tutti modi legittimi di accostarsi al poema, ma prima che guida alla lettura sono chiavi d’interpretazione. Preli-

minarmente invece sarà opportuno, pur nei limiti di una traccia, per quanto ampia, addentrarsi nella trama dell’opera seguendo quante più piste possibili.

56

Ludovico

Ariosto

La materia di questo racconto è quella indicata dallo stesso Ariosto nella proposizione del poema: armi e amori; quella stessa cioè che i cantari italiani avevano divulgato con notevole fortuna, ma che solo il Boiardo aveva utilizzato con piena coscienza dei contenuti tradizionali del ciclo dei romanzi arturiani (amori e avventure) e del ciclo carolingio (l’epica cavalleresca dei paladini che combattono per la difesa della cristianità). Ricollegandosi poi più direttamente al Boiardo, l’Ariosto riprende e sviluppa la « novella nota a poca gente » dell’innamoramento dell’invincibile paladino per. Angelica, gareggiando a questo punto in novità col racconto boiardesco, perché di Orlando viene narrato un fatto inaudito, «che per amor venne in furore e

matto », e si dà a questo episodio l’importanza centrale che lo fa assurgere a titolo di tutta l’opera. Ancora con l’Innamorato il Furioso ha in comune la destinazione cortigiana che si risolve nella celebrazione del cardinale Ippolito e della casa d’Este come stirpe nobilitata all’origine dalle azioni cavalleresche del suo capostipite leggendario, il saraceno Ruggiero, e della sua sposa, la guerriera cristiana Bradamante. Nel primo canto (cfr. $ 21) la fuga di Angelica dal padiglione di Namo, dopo la rotta dei franchi, con la conseguente distrazione dagli impegni militari di spasimanti saraceni e cristiani messisi sulle sue tracce, altera il rapporto di forze nei campi cristiano e pagano attorno a Parigi, centro epico del poema. Disviata nella sua fuga verso il Catai da Rinaldo, da Ferraù e da Sacripante, Angelica incontra infine un vecchio eremita indebolito dai digiuni e tuttavia eccitato dalla sua bellezza, il quale le promette di aiutarla a liberarsi dai pericoli e a salpare per la sua terra. Esercitando la sua negromanzia, l’eremita manda uno spirito in forma di valletto a Rinaldo e a Sacripante,

impegnati in un duello, ad avvertirli che

Angelica sta per arrivare a Parigi dove Orlando potrebbe godersela. Rinaldo salta in groppa a Baiardo e in pochi giorni raggiunge la città minacciata d’assedio dai pagani. Qui Carlo gli-ordina di recarsi prontamente in Inghilterra in cerca di soccorsi. Rinaldo s’imbarca per l’isola, ma la nave è investita da una violenta tempesta; e in questo frangente lo lascia il poeta per soffermarsi sulla sorella dell’eroe, Bradamante, in cerca del suo Ruggiero. A questo punto interviene nel poema l’intento encomiastico. La maga Melissa conduce infatti Bradamante al sepolcro del mago Merlino, donde esce la voce dello spirito che predice le nozze tra Bradamante e Ruggiero e la gloria della discendenza maschile degli Estensi che avrà origine da questa unione. Sfilano i protagonisti di questa stirpe gloriosa evocati profeticamente da Melissa fino alla prole di Alfonso I e ai due tristi fratelli congiurati, Giulio e Ferrante, che chiudono malinconicamente la rassegna celebrativa della dinastia ferrarese. Bradamante affronta in seguito il mago Atlante di Carena che su una vetta dei Pirenei ha con le sue arti negromantiche innalzato un castello dove tra varie piacevolezze ha raccolto donzelle e cavalieri, per proteggere Ruggiero dalla sua cattiva sorte qualora si fosse convertito alla fede cristiana e avesse sposato Bradamante.

$ 20.

L’« Orlando furioso » : la trama

57

Grazie al magico anello del ladro Brunello, l’eroina distrugge l’incanto del castello che si dissolve liberando le dame e i cavalieri, e fra questi ultimi Ruggiero

felice di incontrarsi

con la fanciulla:

[BRADAMANTE VINCE ATLANTE] 16

Non stette molto a uscir fuor de la porta l’incantator, ch’udì ’l1 suono e la voce. L’alato corridor per l’aria il porta contra

17

costei, che sembra

uomo

feroce.

La donna da principio si conforta, che vede che colui poco le nuoce: non porta lancia né spada né mazza, ch’a forar l’abbia o romper la corazza. Da la sinistra sol lo scudo avea, tutto coperto di seta vermiglia; ne la man

destra un libro, onde facea

nascer, leggendo, l’alta maraviglia: che la lancia talor correr parea, e fatto avea a più d’un batter le ciglia; talor parea ferir con mazza o stocco, e lontano era, e non avea alcun tocco. 18

Non è finto il destrier, ma naturale,

ch’una giumenta generò d’un grifo: simile al padre avea la piuma e l’ale, li piedi anteriori, il capo e il grifo;

I. Orlando furioso, tv, ott. 16-38; dall’ed. a c.

di C. Segre, Milano 1964, pp. 66-71. 16, 1-2. Non stette... voce: Bradamante aveva

chiamato al combattimento il mago col suono del suo corno e «con minacciose grida ». Atlante esce dal castello in groppa all’ippogrifo, il suo cavallo alato (alato corridor, v. 3). — 6. le nuoce: le potrà nuocere. — 7. mazza: clava di ferro. 17, 1-4. Da

la...maraviglia:

Usava

come

armi soltanto strumenti magici: lo scudo abbagliante a sinistra e il libro degli incantesimi a destra; sol è perciò da legare ad avea e non a sinistra: limita tutto l’equipaggiamento del mago. — 4. l’alta maraviglia: gli straordinari prodigi indicati nei versi seguenti. — 5. che la lancia ...parea: sembrava che talora combattesse, giostrasse con la lancia. — batter le ciglia: come se stesse per arrivare il colpo. — 7. stocco: ‘spada corta per ferire di punta. — 8. tocco: toccato.

18, 2. grifo: o grifone, animale favoloso con testa e ali di aquila e corpo di leone; tipica figurazione araldica e letteraria; cfr. Purg. xxIx, 107-8 («un carro, in su due rote, triunfale, / ch’al collo d’un grifon tirato venne ») e Pulci, Morg. xiv, 61, 8; xxI, 109, 3. « L’idea dell’accoppiamento d’un grifo con una cavalla [. . .] l’Ariosto la trovava in Virgilio, Ecl. vm, Lo strano animale che ne risulta, mezzo

27. ca-

vallo e mezzo grifo (ippogrifo) è sapiente miscuglio, originale come sono tutte le invenzioni ariostesche, di elementi classici (a leggendari cavalli alati accenna Plinio, Nat. Hist. vii, 21, 30; molti scrittori avevano trattato la leggenda di Pegaso; cfr. Ovidio, Met. v, 262 sgg.) e di elementi romanzi (cfr. Pulci, Morg. xt, 51, 6: ‘“ un gran caval co’ denti e colle penne ”; Boiardo, Orl. inn. [...] 1, 13, 4; 14, 4)» (Ceserani). Cfr. P. Rajna, Le fonti dell’ « Orlando furioso », Firenze 1876, pp. 114, sgg. — 4. grifo: becco, rostro. — 7. che...

Ludovico

n1 (0.e) (9

Ariosto

in tutte l’altre membra parea quale era la madre, e chiamasi ippogrifo; che nei monti

Rifei vengon,

ma

rari,

molto di là dagli aghiacciati mari. , Quivi per forza lo tirò d’incanto;

19

e poi che l’ebbe, ad altro non attese, e con studio e fatica operò tanto,

ch’a sella e briglia il cavalcò in un mese: così ch’in terra e in aria e in ogni canto lo facea volteggiar senza contese. Non finzion d’incanto, come il resto, ma vero e natural si vedea questo.

20

Del mago ogn’altra cosa era figmento; che comparir facea pel rosso il giallo: ma

con la donna

non

fu di momento;

che per l’annel non può Più colpi tuttavia diserra e quinci e quindi spinge e si dibatte e si travaglia come

21

vedere in fallo. al vento, il suo cavallo; tutta,

era, inanzi che venisse, instrutta.

E poi che esercitata si fu alquanto sopra il destrier, smontar vòlse anco a piede, per poter meglio al fin venir di quanto la cauta maga instruzion le diede. Il mago vien per far l’estremo incanto; che del fatto ripar né sa né crede: scuopre lo scudo, e certo si prosume farla cader con l’incantato lume. Potea così scoprirlo al primo tratto,

22

senza tenere i cavallieri a bada;

ma gli piacea veder qualche bel tratto di correr l’asta o di girar la spada: come si vede ch’all’astuto gatto scherzar col topo alcuna volta aggrada;

vengon:

ippogrifi

fei (cfr. Sat.

che

nascono

nei

monti Ri-

I, 45, dove le « montagne

[.. .]

Rifee » corrispondono approssimativamente agli Urali; qui la collocazione è ancora meno precisa, in un gelido Settentrione). 19, 1. Quivi...incanto: Qui, nel suo castello, lo attirò per forza d’incantesimo. — 6. senza contese:

docilmente,

senza

resistenza.

20, 1. figmento: fingimento, finzione (lat. « figmentum »). — 3. non... momento: non fu utile, non ebbe potere. — 5. diserra al vento: vibra a vuoto; il sogg. è Bradamante, — 8. come...

instrutta:

come era stata istruita da Melissa, prima che arrivasse ai piedi del castello. 21, 4. cauta maga: l’astuta (cauta) Melissa. —

6. che ...crede: che non sa né suppone che vi sia riparo all'incantesimo dello scudo. Il Rajna (Le fonti cit., pp. 103-4) indica come possibile

spunto

d’invenzione

dello scudo incantato la

testa della Gorgone, di cui parla Ovidio nelle

Metamorfosi, utilizzata come decorazione apotropaica anche negli scudi dell’arte antica. Effetti simili provocava lo scudo del Veglio della. Montagna nel Viaggio di Carlo Magno in Spagna. 22, 1. al...tratto: subito, al primo momento. — 3-4. ma ...spada: ma gli piaceva vedere scambiato qualche bel colpo giostrando con la lancia o facendo mulinare la spada.

$ 20.

L’« Orlando furioso » : la trama

59

e poi che quel piacer gli viene a noia,

23

24

dargli di morso, e al fin voler che muoia. Dico che ’l mago al gatto, e gli altri al topo s’assimigliàr ne le battaglie dianzi; ma non s’assimigliàr già così, dopo che con l’annel si fe’ la donna inanzi. Attenta e fissa stava a quel ch’era uopo, acciò che nulla seco il mago avanzi; e come vide che lo scudo aperse, chiuse gli occhi, e lasciò quivi caderse. Non che il fulgor del lucido metallo, come

soleva agli altri, a lei nocesse;

ma così fece acciò che dal cavallo contra sé il vano incantator scendesse: né parte andò del suo disegno in fallo; che tosto ch’ella il capo .in terra messe, accelerando

25

26

se quel non

27

il volator le penne,

con larghe ruote in terra a por si venne. Lascia all’arcion lo scudo, che già posto avea ne la coperta, e a piè discende verso la donna che, come reposto lupo alla macchia il capriolo, attende. Senza più indugio ella si leva tosto che l’ha vicino, e ben stretto lo prende. Avea lasciato quel misero in terra il libro che facea tutta la guerra: e con una catena ne correa, che solea portar cinta a simil uso; perché non men legar colei credea, che per adietro altri legare era uso. La donna in terra posto già l’avea: si difese, io ben l’escuso;

che troppo era la cosa differente tra un debol vecchio e lei tanto possente. Disegnando levargli ella la testa, alza la man

vittoriosa in fretta;

ma poi che ’l viso mira, il colpo arresta, quasi sdegnando sì bassa vendetta; un venerabil vecchio in faccia mesta vede esser quel ch’ella ha giunto alla stretta,

23, 5. a...uopo:

a ciò ch’era necessario.



6. nulla...avanzi: non abbia alcun vantaggio. — 7. aperse: scoperse. . 24, 4. vano: inefficace nei confronti di Bradamante. — 5. né...fallo: e neppure una parte del suo piano andò a vuoto. — 8. lar-

ghe ruote: cfr. Orl. fur. 11, 53, 5 (« spaziose ruote ») e Inf. xvi, 98. 25, 3. reposto: nascosto. — 8. il libro... guerra: il libro da cui si traevano le formule magiche per il combattimento simulato. 27, 6. giunto alla stretta: messo alle strette. —

Ludovico

60

Ariosto

che mostra al viso crespo e al pelo bianco età di settanta anni o poco manco. 28

23

la vita, giovene, per Dio »,

«Tommi

dicea il vecchio pien d’ira e di dispetto; ma quella a torla avea sì il cor restio, come quel di lasciarla avria diletto. La donna di sapere ebbe disio chi fosse il negromante, et a che effetto edificasse in quel luogo selvaggio la ròcca, e faccia a tutto il mondo oltraggio. «Né per maligna intenzione, ahi lasso! — disse piangendo il vecchio incantatore — feci la bella ròcca in cima al sasso,

30

né per avidità son rubatore; ma per ritrar sol dall’estremo passo un cavallier gentil, mi mosse amore, che, come il ciel mi mostra, in tempo breve morir cristiano a tradimento deve. Non vede il sol tra questo e il polo austrino un giovene sì bello e sì prestante: Ruggiero ha nome, il qual da piccolino da me

31

nutrito fu, ch'io sono

Atlante.

Disio d’onore e suo fiero destino l'han tratto in Francia dietro al re Agramante; et io, che l’amai sempre più che figlio, lo cerco trar di Francia e di periglio. La bella ròcca solo edificai per tenervi Ruggier sicuramente, che preso fu da me, come sperai che fossi oggi tu preso similmente; e donne

e cavallier, che tu vedrai,

poi ci ho ridotti, et altra nobil gente, acciò che quando a voglia sua non esca, avendo compagnia, men gli rincresca. 7. crespo: rugoso. 28, 1. Tommi: Toglimi. — 6. effetto: scopo. — 8. a...

oltraggio: danno a tutti.

29, 5. per...passo:

sottrarre

alla morte.



8. morir...deve:, Ruggiero (il cavallier gentil) era destinato a motire ucciso a tradimento

dai Maganzesi dopo essersi convertito al Cristianesimo; cfr. Orl. inn. 11, 16, 35 (« Deh, diceva, Atalante, filiol mio, / egli è un mal gioco quel che vòi vedere! / Stati pur queto e non aver disio / tra quella gente armata de

apparere; / però che il tuo ascendente è troppo rio, / e, se de astrologia l’arte son vere, / tutto il ciel te minaccia, ed io l’assento, / che in

guerra serai morto a tradimento »), 53 e Orf/. fur. xLt, 61 (dove un eremita ha la rivelazione

che Ruggiero sarebbe rimasto in vita sette anni dopo la sua conversione). 30, 1. austrino: australe. — 2. prestante: eccellente, straordinario (latinismo). — 4. Atlante: personaggio inventato dal Boiardo, appare nell’Orl. inn. (11, 16, 36 sgg.) come precettore di Ruggiero, paternamente sollecito nell’opporsi al precoce destino di morte che incombe sul giovane. Ruggiero tuttavia abbandona il giardino incantato sul monte Carena, dove era stato relegato dal mago, e segue le schiere del re Agramante in Francia per il desiderio d’acquistare onore (cfr. vv. sgg.).

31, 6. ridotti: quando ... esca:

condotti dal

uscire a suo piacere.

prigionieri.

momento

che

— non

7. può e

$ 20.

L’« Orlando furioso » : la trama

sa

61

Pur ch’uscir di là su non si domande, d’ogn’altro gaudio lor cura mi tocca: che quanto averne da tutte le bande si può del mondo, è tutto in quella ròcca: suoni, canti, vestir, giuochi, vivande,

33

34

quanto può cor pensar, può chieder bocca. Ben seminato avea, ben cogliea il frutto; ma tu sei giunto a disturbarmi il tutto. Deh, se non hai del viso il cor men bello, non impedir il mio consiglio onesto! Piglia lo scudo (ch’io tel dono) e quello destrier che va per l’aria così presto; e non t'impacciar oltra nel castello, o tranne uno o duo amici, e lascia il resto; o tranne tutti gli altri, e più non chero, se non che tu mi lasci il mio Ruggiero. E se disposto sei volermel térre, deh, prima almen

che tu ’l rimeni in Francia,

piacciati questa afflitta anima sciorre de la sua scorza, ormai putrida e rancia! ». Rispose la donzella: « Lui vo’ porre in libertà: tu, se sai, gracchia e ciancia;

né mi offerir di dar lo scudo in dono, o quel destrier, che miei, non più tuoi sono: 35

né s’anco stesse a te di tòrre e darli,

mi parrebbe che ’1 cambio convenisse. Tu di’ che Ruggier tieni per vietarli il male influsso di sue stelle fisse. O che non puoi saperlo, o non schivarli, sappiendol, ciò che ’l ciel di lui prescrisse: ma

36

se "1 mal tuo, c'hai sì vicin, non vedi,

peggio l’altrui c'ha da venir prevedi. Non pregar ch’io t’uccida, ch’i tuoi preghi sariano indarno; e se pur vuoi la morte,

ancor che tutto il mondo dar la nieghi, da sé la può aver sempre animo forte. Ma pria che l’alma da la carne sleghi,

32, 2. cura mi tocca: mi occupo io. 33, 2. consiglio: proposito. — 4. presto: veloce. — 5. impacciar: intromettere. 6. tranne: portane via. — 7. chero: chiedo. 34, 3. sciorre: sciogliere, liberare. — 4. scorza ... putrida e rancia: corpo decrepito e avvizzito. — 5. Lui: « proprio lui» (Ceserani). — 6. tu...ciancia: tu strepita e blatera quanto

sai, 35, 1. s’anco stesse: se anche spettasse. — 3-4. vietarli ...fisse: evitargli il maligno influsso

dei suoi segni zodiacali (che interpretati astrologicamente facevano presagire la morte per tradimento di Ruggiero). — 5-6. O che... prescrisse: O non puoi sapere ciò che il cielo ha decretato di lui o, sapendolo, non puoi evitarglielo (schivarli). — 7. se... vedi: se non

riesci a vedere il danno che io ti sto per fare (togliendoti Ruggiero). 36, 2-4. e se...forte: cfr. Seneca, Phaedra 877: «mori volenti desse mors nunquam potest» (sentenza ricordata dal Ceserani). — 5. sleghi:

Ludovico Ariosto

62

a tutti i tuoi prigioni apri le porte ». Così dice la donna, e tuttavia

37

38

il mago preso incontra al sasso invia. Legato de la sua propria catena andava Atlante, e la donzella appresso, che così ancor se ne fidava a pena, ben che in vista parea tutto rimesso. Non molti passi dietro se la mena, ch’a piè del monte han ritrovato il fesso, e li scaglioni onde si monta in giro, fin ch’alla porta del castel saliro. Di su la soglia Atlante un sasso tolle, di caratteri e strani segni insculto. Sotto, vasi vi son, che chiamano

olle,

che fuman sempre, e dentro han foco occulto. L’incantator le spezza; e a un tratto il colle riman deserto, inospite et inculto; né muro appar né torre in alcun lato, come se mai castel non vi sia stato.

Atlante non si rassegna al destino di Ruggiero e appronta un altro inganno: fa che soltanto Ruggiero riesca a raggiungere l’ippogrifo che sfugge a tutti gli altri cavalieri; ma una volta che vi è montato, il cavallo alato si libra in aria, portandolo

in alto come Ganimede rapito dall’aquila di Giove. Anche Rinaldo, frattanto, è deviato dai porti d'Inghilterra. La tempesta lo costringe a sbarcare in Scozia, in vista della selva Calidonia, luogo privilegiato delle prove eroiche dei cavalieri erranti. Pieno di sdegno per gli «statuti rei » della Scozia, che prescrivevano la morte della donna accusata di avere concesso i suoi intimi favori all'amante, Rinaldo salva la vita alla calunniata Ginevra, figlia del re, che alla fine, dopo tanti oscuri intrighi, situazioni patetiche, agnizioni e teatrali colpi di scena (materia che ispirerà a Shakespeare Much Ado about Nothing) potrà sposare il suo Ariodante. Ariosto ora può tornare a ritrovare il suo Ruggiero trasportato dall’ippogrifo nell’isola di Alcina, dove la bella maga lo trattiene con le sue arti amorose in un luogo di delizie che l’Ariosto descrive congiungendo alla memoria visiva delle delizie affrescate sulle pareti del palazzo ferrarese di Schifanoia quella letteraria della descrizione del regno di Venere nelle Stanze del Poliziano (cfr. vol. It, t. 2, $ 63). Tuttavia il destino di Ruggiero, al pari di quello di Enea

tu sciolga, dandoti la morte. — 7-8. e tuttavia . . . invia:e frattanto, mentre parla, spinge il mago prigioniero verso la roccia su cui s’erge il castello. > 37, 4. rimesso: remissivo, sottomesso. — 6. il

fesso: la fenditura della roccia. — 7. li... giro: la scala a chiocciola (scaglioni: scalini), 38, 2. caratteri: figure magiche. — insculto: scolpito. — 3. olle: pentole (forma popolare latina di «aula»).

$ 20.

L’« Orlando furiuso » : la trama

63

trattenuto a Cartagine dalla passione di Didone, può subire ritardi, ma non può

essere

modificato.

Invano

l’avventuroso

Astolfo,

già vittima

dell’incantesimo

d’Alcina e da lei trasformato in mirto, l’aveva avvertito. Deve intervenire un’altra maga, Melissa, protettrice di Bradamante. Melissa, dopo aver preso le sembianze

di Atlante (come fanno nell’ Achilleide di Stazio i condottieri greci con Achille nascosto in Sciro), libera Ruggiero, il quale passa entro i confini del regno di Logistilla, in un assolato e sterile paesaggio che sta a significare allegoricamente la contrapposizione tra l’inospitale virtù e l’allettante vizio. Ma il poeta non indugia più a raccontare di Ruggiero; accenna brevemente a Rinaldo che ha lasciato la Scozia e l’Inghilterra con molti validi contingenti per soccorrere Carlo, e riprende a seguire Angelica nel frattempo insidiata dal negromante-eremita su una spiaggia atlantica. Qui le vicende di Angelica si fanno più perigliose e la sua caratterizzazione di fanciulla perseguitata si realizza in pieno, ma con l’ironia che è implicita alla natura del personaggio: invoca la protezione divina per la tutela della sua castità continuamente insidiata, ed ecco che sopraggiunge il lussurioso eremita pronto a privarla della castità se la sua virilità non fosse debilitata dall’età e dai lunghi digiuni. Rapita poi dai pirati dell’isola di Ebuda, Angelica viene esposta all’orca marina, secondo un’empia usanza. È a questo punto che l’Ariosto fa entrare in scena Orlando, assegnandogli un rilievo passionale che lo isola dagli altri smaniosi amanti della desideratissima fanciulla. Il paladino, il forte difensore della fede, si cura poco che Parigi sia assediata dai pagani, mentre invece il pensiero di Angelica assediata nella sua verginale castità, di cui egli solo si sente garante, lo fa preda di un’ansietà tormentosa e vittima di allucinazioni. Nel corso della sua « amorosa inchiesta » Orlando porge il proprio aiuto a Olimpia, la giovane figlia del conte di Olanda innamorata di Bireno, duca di Selandia, costretta a sposare e a uccidere, per sfuggirgli, Arbante, figlio di Cimosco,

re

di Frisia.

Quest’avventura

offre

all’eroe

l’occasione

di distruggere

l’archibugio, la micidiale arma da fuoco inventata da Cimosco, che, sonvertendo

i giusti rapporti della forza guerresca, rappresentava un’insidia alla lealtà cavalleresca. : Lasciata Olimpia, Ariosto va a ritrovare Ruggiero che, dopo aver restaurato le sue forze morali in compagnia di Andronica, Sofrosina, Fronesia e Dicilla (le quattro virtù cardinali) nel castello di Logistilla, si pone in viaggio in groppa all’ippogrifo. Raggiunge l’isola di Ebuda dove, meravigliato come Perseo di fronte alla marmorea nudità di Andromeda esposta su uno scoglio alla ferocia del mostro marino (cfr. Ovidio, Met. Iv, 672 sgg.), scorge Angelica da lui subito DE portata in Bretagna. Qui vorrebbe godersi la fanciulla, ma questa si sottrae alla sua furia amorosa grazie all’anello magico che rende invisibili. Pa Ariosto torna a narrare le altre imprese di Orlando: l’uccisione dell’orca marina, la liberazione d’Olimpia catturata dai pirati, dopo essere stata abbandonata su un’isola deserta dall’infedele Bireno, ed esposta in olocausto al fatale e: scoglio, la disfatta del rio popolo di Ebuda con l’aiuto di Oberto, re di epilogo un da ritardata Olimpia, di Per merito di Orlando, la grande tragedia

Ludovico Ariosto

64

orchestratissimo, tra peripezie e colpi di scena da spettacolare melodramma corte,

si conclude

in un terzo

matrimonio,

«con

due

versi

di

disinvolti, spicci

come il finale di una favoletta » (Ambrosini) che rassicurano sulla tranquillità avvenire della tormentata protagonista: « Olimpia Oberto si pigliò per moglie / e di contessa la fe’ gran regina ». Dopo aver soggiornato tutto l'inverno a Parigi, Orlando, all’inizio della nuova primavera riprende la sua amorosa inchiesta con un desiderio tanto ostinato di ritrovare la sua Angelica che lo fa simile a Cerere scesa ad esplorare il Tartaro per ritrovare la figlia Proserpina. Angelica appare al cavaliere in una forma ingannevole che lo fa cadere prigioniero del mago Atlante nella sua nuova dimora fatata dove ciascun ospite insegue l’ombra inconsistente del proprio bene (cfr. $21, II). È l’Angelica vera che libera Orlando dalla sua prigionia. Sulla strada di Parigi il paladino fa strage delle schiere dei re pagani Malinardo e Alzirdo; arriva in seguito nei pressi di una spelonca dalla quale libera la giovanissima

Isabella caduta nelle mani di un malandrino (caratterizzato secondo la tipologia che sarà canonica del romanzo « nero » del Sette-Ottocento, fino a Dickens e ai

suoi epigoni), mentre sta per essere violentata da Oderico, al quale, pieno di fiducia, l’aveva affidata l'amante Zerbino. Il racconto delle peripezie di Isabella (per le quali l’Ariosto si è rifatto al romanzo arturiano Palamedès, con infiltrazioni di spunti derivati da Boccaccio e dall’ Asino d’oro di Apuleio) messo in bocca alla stessa protagonista, ha un rilievo elegiaco sconosciuto a consimili storie avventurose di tono popolare, mentre è vicino a quello delle sventurate eroine di Dante e di Boccaccio che narrano e commentano i loro casi con la coscienza che essi sono esemplari. Il poeta frattanto ci riconduce a Bradamante che ricorre ancora una volta a Melissa per ritrovare Ruggiero e trova l’occasione di farsi illustrare dalla buona fata, dopo le glorie della progenie virile, quelle della discendenza femminile della casa estense. Anche Bradamante finisce per rincorrere un falso Ruggiero e va a chiudersi, come gli altri cavalieri, nell'atmosfera illusoria del palazzo incantato. Lasciati gli innamorati in questa vana ricerca, sembra che l’Ariosto voglia ora concentrare l’azione intorno al nucleo epico del poema (l’assedio dei pagani a Parigi), senza però rinunciare a un fatto d’amore: l’episodio di Mandricardo, figlio del re tartaro Agricane ucciso da Orlando (come narra Boiardo nell’Innamorato), e della volubile Doralice promessa sposa di Rodomonte di Sarza. L'amore fra i due ha anche un'incidenza strutturale: introduce il primo elemento di discordia nel campo pagano, elemento naturale questo, mentre la grande discòrdia che sconvolge i disegni degli assedianti si realizza per intervento delle forze

soprannaturali. Dio affida all’arcangelo Michele l’incarico di mobilitare in favore dell'impero cristiano tanto il Silenzio quanto la Discordia, e Michele lo esplica piuttosto che angelicamente con l’arguzia di un intellettuale borghese d’educazione erasmiana che trova in terra il pretesto per incidentali osservazioni satiriche. Nel frattempo Agramante ha mosso all’attacco di Parigi il suo sterminato esercito. Ma la resistenza approntata da Carlo impedisce ai pagani di scavalcare

$ 20.

L°« Orlando furioso » : la trama

65

le mura della città: a tutti, fuorché all’incontenibile Rodomonte (novello Capaneo e novello Nembrot). Qui l’Ariosto è richiamato dal dimenticato Astolfo che, riprese le sue sembianze umane e munito di un libretto che vince gli incantesimi e di un corno dal suono orribile e insopportabile, è partito dal regno di Logistilla alla volta dell’Occidente, distratto però da avventurosi incontri in Egitto (dove abbatte i mostri Caligorante e Orrilo) e in una festosa Damasco, teatro di una tragicommedia degli scambi che ha a protagonisti soprattutto Martano, Orrigille, Grifone e Norandino. Ma il poeta alterna le vicende romanzesche che si svolgono nel favoloso Oriente con la feroce epopea occidentale che ha per assoluto protagonista il rovinoso Rodomonte, alla fine però distratto dalla lotta da una contesa amorosa con Mandricardo. Qui si inserisce un episodio che rielabora una delle pagine più intensamente elegiache dell’Eneide, la spedizione notturna di Furialo e Niso nel campo dei Rutuli (1x, 176 sgg.), traducendosi originalmente nella storia di due indimenticabili personaggi, Cloridano e Medoro, « esempio raro di vero amore ». IL [CLORIDANO E MEDORO] XVIII

165

Duo Mori ivi fra gli altri si trovaro, d’oscura stirpe nati in Tolomitta; de’ quai l’istoria, per esempio raro di vero amore, è degna esser descritta. Cloridano

e Medor

si nominaro,

ch’alla fortuna prospera e alla afflitta aveano sempre amato Dardinello, et or passato in Francia il mar con quello. 166

Cloridan, cacciator tutta sua vita,

di robusta persona era et isnella: Medoro avea la guancia colorita e bianca e grata ne la età novella;

II. Orlando furioso, xv, ott. 165-76 e 182-92, xIx, 1-15; dall’ed. cit., pp. 448-59. 165, 1. ivi: negli accampamenti dei saraceni. La storia che ha ora inizio s’ispira, oltre che al citato luogo dell’Eneide, all'episodio di Opleo e Dimante della Tebaide di Stazio (x, 347 sgg.). «Da Stazio deriva il proposito dei due guer-

rieri di recarsi sul campo per dar sepoltura al cadavere di Dardinello, e dalla preghiera di Dimante alla luna l’analoga preghiera di Medoro (ott. 184); da Virgilio invece prendon le mosse la descrizione della strage dei cristiani sorpresi nel sonno (ott. 172 sgg.) e tutta la

seconda schiera

parte dell’episodio di Zerbino,

con

la fuga,

l’arrivo

della

il ferimento

di

Medoro e la morte di Cloridano (xvi, 18892; xIX, 3-15); dall’uno e dall’altro poeta latino poi sono attinti i singoli particolari della rap- — presentazione e le immagini » (Sapegno). sd 2. Tolomitta: Tolmetta, l’antica Tolemaide, in Cirenaica. — 6. alla... afflitta: nella buona e nella cattiva sorte. prio: 166, 2. isnella: agile; come il Niso di Virgilio: «acerrimus armis [. . .] / quem miserata Ida / venatrix iaculo celerem levibusque sagittis » (Aen. 1x, 176-7). — 4. grata...novella: che

Ludovico

66

167

168

169

170

Ariosto

e fra la gente a quella impresa uscita non era faccia più gioconda e bella: occhi avea neri, e chioma crespa d’oro: angel parea di quei del sommo coro. Erano questi duo sopra i ripari con molti altri a guardar gli alloggiamenti, quando la Notte fra distanzie pari mirava il ciel con gli occhi sonnolenti. Medoro quivi in tutti i suoi parlari non può far che ’l signor suo non rammenti, Dardinello d’Almonte, e che non piagna che resti senza onor ne la campagna. Vòlto al compagno, disse: « O Cloridano, io non ti posso dir quanto m’incresca del mio signor, che sia rimaso al piano, per lupi e corbi, ohimè! troppo degna esca. Pensando come sempre mi fu umano, mi par che quando ancor questa anima esca in onor di sua fama, io non compensi né sciolga verso lui gli oblighi immensi. Io voglio andar, perché non stia insepulto in mezzo alla campagna, a ritrovarlo:

e forse Dio vorrà ch’io vada occulto là dove tace il campo del re Carlo. Tu rimarrai; che quando in ciel sia sculto ch'io vi debba morir, potrai narrarlo; che se Fortuna vieta sì bell’opra, per fama almeno il mio buon cor si scuopra ». Stupisce Cloridan, che tanto core, tanto amor,

tanta fede abbia un fanciullo:

e cerca assai, perché gli porta amore, di fargli quel pensiero irrito e nullo; ma non gli val, perch’un sì gran dolore

dà grazia nell’età giovanile. Cfr. l’Eurialo virgiliano cui corrisponde: « quo pulchrior alter / non fuit Aeneadum Troiana neque induit arma, / ora puer prima signans intonsa iuventa » (Aen. rx, 179-81). — 5. a... uscita: partecipante alla spedizione di Agramante. —

6. gioconda:

piacente.



8. del sommo

coro:

dei serafini. 167, 2. guardar: sorvegliare, come sentinelle. —

3. fra distanzie pari: a uguale distanza tra l’Oriente e l’Occidente, avendo percorso metà del suo giro: perifrasi che indica la mezzanotte in accordo con la personificazione della Notte. — 5. parlari: discorsi. — 8. senza onor: ucciso da

Rinaldo,

Dardinello

era stato abbandonato

sul

campo dai suoi soldati ed era rimasto insepolto, quindi senza onori funebri. 168, 4. trobpo degna esca: pasto troppo nobile. — 5. umano: benevolo. — 6. quando ... esca: se anche io debba morire.

169, 4. tace:

tace nel sonno,

sculto: scolpito, decretato. —

dorme.



5.

8. si scuopra: si

conosca. 170, 1-2. Stupisce...fanciullo: cfr. Aen. 1x, 197-8: « Obstipuit magno laudum percussus amore / Euryalus ». — 4. di fargli...mnullo: di toglierglielo dalla mente. — irrito: vano (la-

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L’« Orlando furioso » : la trama

171

non riceve conforto né trastullo. Medoro era disposto o di morire, o ne la tomba il suo signor coprire. Veduto che nol piega e che nol muove Cloridan gli risponde: «E verrò anch'io, anch'io vuo’ pormi a sì lodevol pruove, anch’io famosa morte amo e disio. Qual cosa sarà mai che più mi giove, s'io resto senza te, Medoro

172

173

174

67

»

mio?

Morir teco con l’arme è meglio molto, che poi di duol, s’avvien che mi sii tolto ». Così disposti, messero in quel loco le successive guardie, e se ne vanno. Lascian fosse e steccati, e dopo poco tra’ nostri son, che senza cura stanno. Il campo dorme, e tutto è spento il fuoco, perché dei Saracin poca tema hanno. Tra l’arme e’ carriaggi stan roversi, nel vin, nel sonno insino agli occhi immersi. Fermossi alquanto Cloridano, e disse: «Non son mai da lasciar l’occasioni. Di questo stuol che ’l mio signor trafisse, non debbo far, Medoro, occisioni? Tu, perché sopra alcun non ci venisse, gli occhi e l’orecchi in ogni parte poni; ch’io m’offerisco farti con la spada tra gli nimici spaziosa strada ». Così disse egli, e tosto il parlar tenne, et entrò dove il dotto Alfeo dormia, che l’anno inanzi in corte a Carlo venne,

medico e mago e pien d’astrologia: ma poco a questa volta gli sovenne;

tin.) — 6. trastullo: distrazione. — 7. disposto: deciso. 171, 2-4. E...disio: cfr. Aen. 1x, 205-6: « Est hic, animus lucis contemptor, et istum / qui vita bene credat emi, quo tendis, honorem ».

172, 1. disposti:

risoluti.



1-2. messero...

guardie: diedero il cambio della sentinella. — 2-8. e se ne vanno...immersi: cfr. Aen. IX,

315-9: « Egressi superant fossas, noctisque per umbram / castra inimica petunt, multis tamen ante futuri / exitio. Passim somno_ vinoque per herbam / corpora fusa videt, ar-

rectos litore carrus, | inter lora rotasque viros, simul arma iacere, | vina simul». — 4. tra’ nostri: tra i cristiani. — senza cura: senza guardia. — 7. roversi: riversi. — 8. nel vin... immersi: così Aen. rx, 189, 236: «sommo vi-

noque soluti ». 173, 5-8. Tu...strada:

cfr. Virgilio, loc. cit.,

321-3: « Tu, ne qua manus se attollere nobis / a tergo possit, custodi et consule longe. / Haec ego vasta dabo et lato te limite ducam». — 5. sopra ...mnon ci venisse: non ci sorprenda. — 7. m’offerisco: m’impegno. 174, 1. il parlar tenne: smise di parlare. Cfr. Aen. ix, 324: « Sic memorata vocemque premit ». — 2. Alfeo: personaggio esemplato certamente sul Ramnete virgiliano (Aen. 1x, 324-7), augure di Turno; ma soggetto anche ad identificazioni ipotetiche: con Pietro da Pisa (poiché Pisa in latino è Alphea), dotto alla corte di Carlo Magno; con l’astrologo Luca Gaurico, familiare di Ippolito d'Este. — 5. gli sovenne: gli venne in aiuto (l’astrologia).

Ludovico

68

175

176

anzi gli disse in tutto la bugia. Predetto egli s’avea, che d’anni pieno dovea morire alla sua moglie in seno: et or gli ha messo il cauto Saracino la punta de la spada ne la gola. Quattro altri uccide appresso all’indovino, che non han tempo a dire una parola: menzion dei nomi lor non fa Turpino, e ’1 lungo andar le lor notizie invola: dopo essi Palidon da Moncalieri, che sicuro dormia fra duo destrieri. Poi se ne vien dove col capo giace appoggiato al barile il miser Grillo: avealo vòto, e avea creduto in pace godersi un sonno placido e tranquillo. Troncògli il capo il Saracino audace: esce col sangue il vin per uno spillo, di che n’ha in corpo più d’una bigoncia; e di ber sogna, e Cloridan lo sconcia.

[177-81] Terminata di battaglia. 182

Ariosto

la strage, Cloridano e Medoro

si avviano

verso

il campo_

E ben che possan gir di preda carchi, salvin pur sé, che fanno assai guadagno. Ove più creda aver sicuri i varchi va Cloridano, e dietro ha il suo compagno. Vengon nel campo, ove fra spade et archi e scudi e lance in un vermiglio stagno giaccion poveri e ricchi, e re e vassalli,

e sozzopra con gli uomini i cavalli. 183

Quivi dei corpi l’orrida mistura,

che piena avea la gran campagna intorno, potea far vaneggiar la fedel cura dei duo compagni insino al far del giorno, se non traea fuor d’una nube oscura, 175, 1. cauto: scaltro (latin.). — 5. Turpino: a Turpino (Turpin), arcivescovo di Reims (« Turpin fedele », cfr. xvi, 10, 2), la tradi-

zione attribuiva la famosa Cronica (propr. Historia Karoli Magni et Rotholandi) che i narratori di gesta cavalleresche tiravano spesso in ballo senza o con pochissimo fondamento a conferma dei loro racconti. Il rinvio dell’Ariosto (qui e in altri luoghi) alla fonte autorevole vuole essere una scherzosa garanzia di esattezza storica, accettata dalla complicità del

lettore. — 6. ’/ lungo... invola: il tempo trascorso cancella la memoria dei loro nomi. 176, 6. per uno spillo: attraverso una sola fe-

rita; spillo è propriamente il foro praticato nelle botti per «spillare » il vino; cfr. «den. Ix, 349-50: « Purpuream vomit ille animam et cum sanguine mixta / vina refert meriens ». — 8. sconcia: concia male.

182, 1-2. E ben che...guadagno: E benché possano andar via carichi di bottino, è meglio che mettano in salvo la loro vita, che è già un grande guadagno. — 3. i varchi: il passàggio. — 6. vermiglio stagno: lagodi sangue. — 8. sozzopra: sottosopra. i 183, 2. piena: riempita. — 3. vaneggiar...

cura: rendere vana la preoccupazione dei fedeli Cloridano e Medoro di dare sepoltura al

$ 20.

L°« Orlando furioso » : la trama

184

69

a’ prieghi di Medor, la Luna il corno. Medoro in ciel divotamente fisse verso la Luna gli occhi, e così disse: «O santa dea, che dagli antiqui nostri debitamente sei detta triforme; ch’in cielo, in terra e ne l’inferno mostri

l’alta bellezza tua sotto più forme, e ne le selve, di fere e di mostri

185

vai cacciatrice seguitando l’orme; mostrami ove ’l mio re giaccia fra tanti, che vivendo imitò tuoi studi santi ». La Luna a quel pregar la nube aperse (o fosse caso o pur la tanta fede), bella come

fu allor ch’ella s’offerse,

e nuda in braccio a Endimion si diede. Con Parigi a quel lume si scoperse l’un campo e l’altro; e ’l1 monte e ’1 pian si vede: si videro i duo colli di lontano, Martire a destra, e Lerì all’altra mano.

186

Rifulse lo splendor molto più chiaro ove d’Almonte giacea morto il figlio. Medoro andò, piangendo, al signor caro; che conobbe il quartier bianco e vermiglio: e tutto °1 viso gli bagnò d’amaro pianto, che n’avea un rio sotto ogni ciglio, in sì dolci atti, in sì dolci lamenti,

187

che potea ad ascoltar fermare i venti. Ma con sommessa voce e a pena udita; non che riguardi a non si far sentire, perch’abbia alcun pensier de la sua vita, più tosto l’odia, e ne vorrebbe uscire: ma per timor che non gli sia impedita l’opera pia che quivi il fe’ venire. Fu il morto re sugli omeri sospeso di tramendui, tra lor partendo il peso.

185, 4. a Endimion: al bellissimo pastore Encorpo di Dardinello. — 6. corno: falce. — 7-8. Medoro ... disse: per questa preghiera alla . dimione, i cui mitologici amori con la Luna erano soggetto di figurazioni plastiche e pitLuna cfr. i modelli in Virgilio, Aen. 1x, 403-9, ‘ e Stazio, Theb. x, 364-77, che offre all’Ariosto . toriche, oltre che d’ispirazione letteraria; cfr. il canzoniere del Cariteo intitolato appunto maggiori suggerimenti. Si è voluta anche giuEndimione e il cap: 1x delle Rime dell’Ariosto | stificare la devozione di Medoro alla Luna ri«Lett: (in particolare, v. 8). — 8. deg | salendo al simbolo della mezzaluna nella banMontmartre e: Montléry. . diera dei saraceni. Ma è una determinazione non necessaria al clima letterario dell’episodio. =S1805727 d’ Almonte . sotto figlio: Dardinello.- RSI 4. il. 6a vermiglio: Viinsegna a quartieri bianchi | 184, 2. debitamente: giustamente. — triforme: e rossi. Sin cielo: era detta Cinzia, in terra Diana, negli P8:70617 Ma . +. udita: iarinicrde: ma si la‘ inferi Ecate; cfr. Virgilio e Stazio, locc. citt. — 8. tuoi ‘studi santi: le tue divine occupazioni: Ja nenti. ecc. — 2. riguardi: badi. — 8. tra-

caccia. andrai

mendui: entrambi. = Lasi ngi dividendo,

Ludovico

70 188

Ariosto

Vanno affrettando i passi quanto ponno, sotto l’amata soma che gl’ingombra. E già venìa chi de la luce è donno le stelle a tor del ciel, di terra l’ombra;

quando Zerbino, a cui del petto il sonno l’alta virtude, ove è bisogno, sgombra, cacciato avendo tutta notte i Mori,

189

190

al campo si traea nei primi albori. E seco alquanti cavallieri avea, che videro da lunge i dui compagni. Ciascuno a quella parte si traea, sperandovi trovar prede e guadagni. « Frate, bisogna — Cloridan dicea — gittar la soma, e dare opra ai calcagni; che sarebbe pensier non troppo accorto, perder duo vivi per salvar un morto ». E gittò il carco, perché si pensava che ’1 suo Medoro il simil far dovesse: ma quel meschin, che ’l suo signor più amava, sopra le spalle sue tutto lo resse. L’altro con molta fretta se n’andava,

191

come l’amico a paro se sapea di lasciarlo mille aspettate avria, Quei cavallier, con

o dietro avesse: a quella sorte, non ch’una morte. animo disposto

che questi a render s’abbino

192

o a morire,

chi qua chi Jà si spargono, et han tosto preso ogni passo onde si possa uscire. Da loro il capitan poco discosto, più degli altri è sollicito a seguire; ch’in tal guisa vedendoli temere, certo è che sian de le nimiche schiere. Era a quel tempo ivi una selva antica, d’ombrose piante spessa e di virgulti, che, come labirinto, entro s’intrica

di stretti calli e sol da bestie culti. Speran d’averla i duo pagan sì amica, ch’abbi a tenerli entro a’ suoi rami occulti. Ma chi del canto mio piglia diletto, un’altra volta ad ascoltarlo aspetto. 188, 2. gl’ingombra: li impaccia. — 3. chi... donno : il sole, signore (donno) della luce. — 5. Zerbino: figlio del re di Scozia, amante di Isabella (cfr. sopra). — 6. ove è bisogno: quando

191, 1. disposto: risoluto. — 2. a render: ar-. rendere. — 4. preso ogni passo: occupato ogni varco. — 6. seguire: inseguire. 192, 1-4. Era...culti: cfr. Aen. Ix, 381-3:

vate.

rida, quam densi complerant undique sentes; / rara per occultos lucebant semita calles ». — 4. culti: praticati, frequentati (latin.).

è necessario. — 8. sî traea: si dirigeva. 189, 6. dare...calcagni: fuggire a gambe le190, 6. a paro 0 dietro; a fianco o alle spalle.

« Silva fuit late dumis atque ilice nigra / hor-

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L’« Orlando furioso » : la trama

71

XIX

Alcun non può saper da chi sia amato, quando felice in su la ruota siede; però c'ha i veri e i finti amici a lato, che mostran tutti una medesma fede. Se poi si cangia in tristo il lieto stato, volta la turba adulatrice il piede; e quel che di cor ama riman forte, et ama il suo signor dopo la morte. 2

3

Se, come

Non

4

il viso, si mostrasse

il core,

tal ne la corte è grande e gli altri preme, e tal è in poca grazia al suo signore, che la lor sorte muteriano insieme. Questo umil diverria tosto il maggiore: staria quel grande infra le turbe estreme. Ma torniamo a Medor fedele e grato, che ’n vita e in morte ha il suo signore amato. Cercando gìa nel più intricato calle il giovine infelice di salvarsi; ma il grave peso ch’avea su le spalle, gli facea uscir tutti i partiti scarsi. conosce

il paese, e la via falle,

e torna fra le spine a invilupparsi. Lungi da lui tratto al sicuro s'era l’altro, ch’avea la spalla più leggiera. Cloridan s'è ridutto ove non sente di chi segue lo strepito e il rumore: ma quando da Medor si vede absente, gli pare aver lasciato a dietro il core. « Deh, come fui — dicea — sì negligente, deh, come fui sì di me stesso fuore, che senza te, Medor,

qui mi ritrassi,

né sappia quando o dove io ti lasciassi! ».

1, 2. felice... siede: sta al colmo della felicità,

seduto sulla sommità della ruota delia Fortuna. — 4. fede: fedeltà. — 7. di cor: sinceramente, di vero cuore. — forte: forte nella sua fedeltà all'amico. — 8. dopo: anche dopo. 2, 2. preme: opprime, umilia. — 4. che... insieme: consecutiva condizionata da un « accadrebbe » sottinteso: « vv. 1-4: se si potesse leggere dentro i cuori, accadrebbe

che chi è po-

tente nella corte e avvilisce gli altri vedrebbe scambiata la propria sorte con quella di chi invece

non

gode

i favori

del

signore»

(Ca-

retti. — 6. infra...estreme: tra la moltitudine degli infimi cortigiani. 3, 3. il grave peso: la salma di Dardinello. — 4. uscir ...scarsi: riuscire vani tutti i disegni di salvarsi; cfr. Pulci, Morg. 240, 8: «i suoi partiti erano scarsi ». — S. falle: sbaglia (latin). — 8. l’altro...leggiera: Cloridano che aveva abbandonato la salma. 4, 2. chi segue: quelli che inseguono, i cavalieri cristiani. — 3. absente: lontano (latin.). — 5. negligente; «iimentico (nei confronti del-

l’amico),

Ludovico

5

Ariosto

Così dicendo, ne la torta via de l’intricata selva si ricaccia; et onde era venuto si ravvia,

e torna di sua morte in su la traccia. Ode

i cavalli e i gridi tuttavia,

e la nimica voce che minaccia: all’ultimo ode il suo Medoro,

6

7

amor

la ’ntenerisce, e la ritira

a riguardare ai figli in mezzo 8

e vede

che tra molti a cavallo è solo a piede. Cento a cavallo, e gli son tutti intorno: Zerbin commanda e grida che sia preso. L’infelice s'aggira com’un torno, e quanto può si tien da lor difeso, or dietro quercia, or olmo, or faggio, or orno, né si discosta mai dal caro peso. L’ha riposato al fin su l’erba, quando regger nol puote, e gli va intorno errando: come orsa, che l’alpestre cacciatore ne la pietrosa tana assalita abbia, sta sopra i figli con incerto core, e freme in suono di pietà e di rabbia: ira la ’nvita e natural furore a spiegar l’ugne e a insaguinar le labbia; l’ira.

Cloridan, che non sa come l’aiuti, e ch’esser vuole a morir seco ancora,

ma non ch’in morte prima il viver muti, che via non truovi ove più d’un ne mora; mette su l’arco un de’ suoi strali acuti,

e nascoso con quel sì ben lavora, che fora ad uno

n9

Scotto le cervella,

e senza vita il fa cader di sella. Volgonsi tutti gli altri a quella banda ond’era uscito il calamo omicida. Intanto un altro il Saracin ne manda,

perché ’l1 secondo a lato al primo uccida; che mentre in fretta a questo e a quel domanda .

5, 1. torta: tortuosa. — 5. tuttavia: ancora, nuovamente. Cfr. Aen. rx, 394: « audit equos, audit strepitus et signa sequentum ». 6, 3. torno: tornio. — 4. si tien...difeso: si difende. — 7. riposato: posato, deposto. 7, 1-8. come... l’ira: cfr. Stazio, Theb. x, 4149: « Ut lea, quam saevo foetam pressere cubili / venantes Numidae, notas erecta superstat / mente sub incerta, torvum ac miserabile fren-

dens; / illa quidem turbare globos et frangere morsu / tela queat, sed prolis amor cru-

delia vincit / pectora, et a media catulos circumspicit ira». — 3. con incerto core: divisa

tra la rabbia contro gli assalitori e la pietà per i figli da difendere. — 5. natural furore: ferocia . istintiva. 8, 1. come l’aiuti: come aiutare Medoro. — 3-4. ma non...mora: ma che non vuole morire prima d’aver trovato il modo d’uccidere più d’un nemico. — 7. Scotto: Scozzese. 9, 2. calamo: dardo, freccia (latin.). — 5. domanda: sogg. ’! secondo (v.4): un secondo scozzese.

$ 20.

L'« Orlando furioso » : la trama

73

chi tirato abbia l’arco, e forte grida, lo strale arriva e gli passa la gola, e gli taglia pel mezzo la parola. 10

Or Zerbin, non

ch'era il capitano loro,

poté a questo

aver

più pazienza.

Con ira e con furor venne

11

ho tanta di mia vita, e non

12

a Medoro,

dicendo: « Ne farai tu penitenza ». Stese la mano in quella chioma d’oro, e strascinollo a sé con violenza: ma come gli occhi a quel bel volto mise gli ne venne pietade, e non l’uccise. Il giovinetto si rivolse a’ prieghi, e disse: « Cavallier, per lo tuo Dio, non esser sì crudel, che tu mi nieghi ch’io sepelisca il corpo del re mio. Non vo’ ch’altra pietà per me ti pieghi, né pensi che di vita abbi disio: più, cura,

quanta ch’al mio signor dia sepultura. E se pur pascer vòi fiere et augelli, che ’n te il furor sia del teban Creonte,

fa lor convito di miei membri, e quelli sepelir lascia del figliuol d’Almonte ». Così dicea Medor

13

con modi

belli,

e con parole atte a voltare un monte; e sì commosso già Zerbino avea, che d’amor tutto e di pietade ardea. In questo mezzo un cavallier villano, avendo al suo signor poco rispetto, ferì con una lancia sopra mano al supplicante il delicato petto. Spiacque a Zerbin l’atto crudele e strano; tanto più, che del colpo il giovinetto vide cader sì sbigottito e smorto,

14

che ’n tutto giudicò che fosse morto. E se ne sdegnò in guisa e se ne dolse, che disse: « Invendicato già non fia!». E pien di mal talento si rivolse

10, 2. a questo: a questo punto o a tal vista. 11, 1. si... prieghi: ricorse alle preghiere. — 5. per me: in mio favore. — 7-8. ho... sepultura: ho tanta cura della mia vita quanta ne occorre per dare sepoltura al mio signore, e non più di tanta. 12, 2. che ’n... Creonte: rocia di Creonte, tiranno

se in te c’è la fedi Tebe: proibì di

dare sepoltura al cadavere del nipote Polinice e condannò a morte la sorella di questi Anti-

gone per aver trasgredito l’empia legge. — 3. fa lor convito: offri loro in pasto. — 4. figliuol d’ Almonte: Dardinello. — 6. a... monte:

a smuovere una montagna,

a commuovere

un

cuore di pietra. 13, 3. sopra mano: dall’alto in basso; con la mano tenuta alta sopra la spalla. — 5. strano:

barbaro, non conforme alle leggi della cavalleria. 14, 3. mal talento: ira, intenzione vendica-

Ludovico

ZA

15

Ariosto

al cavallier che fe’ l'impresa ria: ma quel prese vantaggio, e se gli tolse dinanzi in un momento, e fuggì via. Cloridan, che Medor vede per terra, salta del bosco a discoperta guerra. E getta l’arco, e tutto pien di rabbia tra gli nimici il ferro intorno gira, più per morir, che per pensier ch’egli abbia di far vendetta che pareggi l’ira. Del proprio sangue rosseggiar la sabbia fra tante spade, e al fin venir si mira; e tolto che si sente ogni potere, si lascia a canto

al suo

Medor

cadere.

Medoro morente trova un insperato aiuto in Angelica che, dopo aver seppellito i corpi di Dardinello e di Cloridano, si rifugia col giovanetto nella ospitale dimora di un gentile pastore: III [ANGELICA E MEDORO]

Zi

Stava il pastore in assai buona e bella stanza, nel bosco infra duo monti piatta, con la moglie e coi figli; et avea quella tutta di nuovo e poco inanzi fatta. Quivi a Medoro

28

fu per la donzella

la piaga in breve a sanità ritratta: ma in minor tempo si sentì maggiore piaga di questa avere ella nel core. Assai più larga piaga e più profonda nel cor sentì da non veduto strale,

che da’ begli occhi e da la testa bionda di Medoro aventò l’Arcier c’ha l’ale. Arder si sente, e sempre il fuoco abonda;

tiva. — 5. frese vantaggio: prevenne le mosse di Zerbino fuggendo. — 8. a discoperta guerra: per combattere scopertamente, non più nascosto.

15, 5-6. Del... mira: Vede rosseggiare la terra del proprio sangue fra tante spade e se stesso giungere in fin di vita. — 7. potere: forza. III. Orlando furioso, x1x, 27-36;

dall’ed.

cit.,

pp. 462-5. 27, 2. stanza: dimora. — piatta: nascosta. — . S. per la donzella: per opera della donzella, di Angelica. — 6. a sanità ritratta: risanata. 28, 4. l’Arcier c'ha l’ale: Amore, tradizionalmente rappresentato come arciere: sono i «4 begli occhi » e «la testa bionda » di Medoro che fanno scoccare la freccia d'Amore. — 5. abonda: cresce.

nP e

$ 20.

L’« Orlando furioso » : la trama

NI‘N

e più cura l’altrui che ’l proprio male: di sé non

29

di nuova

30

31

cura, e non

è ad altro intenta,

ch’a risanar chi lei fere e tormenta. La sua piaga più s’apre e più incrudisce, quanto più l’altra si ristringe e salda. il giovine si sana: ella languisce febbre, or agghiacciata,

or calda.

Di giorno in giorno in lui beltà fiorisce: la misera si strugge, come falda strugger di nieve intempestiva suole, ch’in loco aprico abbia scoperta il sole. Se di disio non vuol morir, bisogna che senza indugio ella se stessa aiti: e ben le par che di quel ch’essa agogna, non sia tempo aspettar ch’altri la ’nviti. Dunque, rotto ogni freno di vergogna, la lingua ebbe non men che gli occhi arditi: e di quel colpo domandò mercede, che, forse non sapendo, esso le diede. O conte Orlando, o re di Circassia,

vostra inclita virtù, dite, che giova? Vostro alto onor dite in che prezzo sia, o che mercé vostro servir ritruova. Mostratemi una sola cortesia che mai costei v’usasse, o vecchia o nuova, per ricompensa e guidardone e merto

32

di quanto avete già per lei sofferto. Oh se potessi ritornar mai vivo, quanto ti parria duro, o re Agricane! che già mostrò costei sì averti a schivo con repulse crudeli et inumane. O Ferraù, o mille altri ch'io non scrivo,

33

29, 1. incrudisce:

ch’avete fatto mille pruove vane per questa ingrata, quanto aspro vi fòra, s’a costu’ in braccio voi la vedesse ora! Angelica a Medor la prima rosa coglier lasciò, non ancor tocca inante:

si fa dolorosa.



2. salda:

chiude, rimargina. — 7. intempestiva: fuori tempo, fuori stagione. 30, 3. dî... agogna: quanto all’amore che ella brama appagare. — 6. la lingua ... arditi: dichiarò arditamente il suo amore con parole e sguardi. — 7. di... mercede: chiese di essere sanata della ferita amorosa. 31, 1. re di Circassia: Sacripante. — 2-4. vostra ...ritruova: dite, quanto giova il vostro insigne valore? Dite quanto sia apprezzato il

vostro alto onore o quale ricompensa ha meritato la vostra servitù d’amore. — 7. ricompensa . . . guidardone . . . merto: « sono i termini tradizionali della poesia cortese e indicano i modi in cui la donna corrisponde gradualmente alla ‘‘ servitù ’’ dell'amante » (Ceserani). 32, 2. re Agricane: di Tartaria, personaggio dell’Innamorato,

ucciso

in combattimento

da

Orlando per rivalità amorosa. — 7. fora: sarebbe. 33, 1. la prima rosa: cfr. 1, 42 e 58: « Corrò

Ludovico

76

34

35

36

Ariosto

né persona fu mai sì aventurosa, ch’in quel giardin potesse por le piante. Per adombrar, per onestar la cosa, si celebrò con cerimonie sante il matrimonio, ch’auspice ebbe Amore, e pronuba la moglie del pastore. Férsi le nozze sotto all’umil tetto le più solenni che vi potean farsi; e più d’un mese poi stèro a diletto i duo tranquilli amanti a ricrearsi. Più lunge non vedea del giovinetto la donna, né di lui potea saziarsi; né per mai sempre pendergli dal collo, il suo disir sentia di lu satollo. Se stava all'ombra o se del tetto usciva,

avea dì e notte il bel giovine a lato: matino e sera or questa or quella riva cercando andava, o qualche verde prato: nel mezzo giorno un antro li copriva, forse non men di quel commodo e grato, ch’ebber, fuggendo l’acque, Enea e Dido, de’ lor secreti testimonio fido. Fra piacer tanti, ovunque un arbor dritto vedesse ombrare o fonte o rivo puro, v’avea spillo o coltel subito fitto; così, se v'era alcun

sasso men

duro:

et era fuori in mille luoghi scritto, e così in casa in altritanti il muro,

Angelica e Medoro, in varii modi legati insieme di diversi nodi.

Mentre Angelica si congeda dai suoi ospiti, dirigendosi verso le coste della Spagna con Medoro cui vuole donare il regno del Catai, l’Ariosto riannoda il filo delle imprese romanzesche di Astolfo, Sansonetto, Grifone, Aquilante cui s’aggiunge l’orgogliosa e imbattibile Marfisa. Lasciato per mare Damasco, il grupla fresca e matutina rosa ». — 3. aventurosa: fortunata. — 4. por le piante: entrare. — 5. Per...cosa: Per dare pieno compimento e legittimare l’unione amorosa. Per il significato di adombrar cfr. 1, 58, 8. — 7-8. auspice...

pronuba: « Auspice era presso i latini colui che conciliava il matrimonio e assisteva all’uomo in tutte le cerimonie che si usavano nel celebrarlo. Lo stesso ufficio faceva per parte della donna la pronuba » (Casella). 34, 2. vi: ivi, nella casa del pastore. — 5-6. Più...donna: Angelica non vedeva altro che.

Medoro, aveva occhi solo per lui. — 7. per... collo: per quanto stesse sempre a lui abbracciata. 35, 1. all’ombra: all'ombra della casa, dentro. — 7. ch’ebber... Enea e Dido: ch’ebbero. come riparo e luogo del loro amore Enea e . Didone, fuggendo il temporale; cfr. Aen..1v, 160 sgg. i 36, 1. dritto: liscio. — 2. ombrare: ombreggiare. — 5 £. et era...muro:; il muro della | casa era dalla parte esterna e dalla parte in.

.

.

terna inciso dei nomi di Angelica e Medoro.

i

$ 20.

L’« Orlando furioso » : la trama

TLT)

pe è dirottato da un violento fortunale a Laiazzo, il porto delle « femine omicide ». L'antico tema delle Amazzoni valorose, si ripresenta in questo episodio con due facce: una baldanzosamente epica, e l’altra (l’implacabile rivalità sessuale delle donne guerriere) distorta e grottesca. Ma la conclusione è comica, affidata com'è agli strumenti magici di Astolfo. L’estroso paladino se ne servirà, tornato in Francia, per una maggiore impresa. Sarà lui infatti l’artefice della definitiva dissoluzione delle grande magia di Atlante e il liberatore, involontariamente comico, degli allucinati prigionieri del palazzo incantato, donde Astolfo esce col suo più grande guadagno, domando l’ippogrifo. A questo punto l’Ariosto ritorna a Ruggiero e a Bradamante le cui vicende vengono

ad intrecciarsi a quelle di Grifone, Aquilante,

Sansonetto

e Guidone.

Frattanto, dopo aver liberato Zerbino che veniva condotto a un ingiusto supplizio (era stato denunciato dalla brutta Gabrina quale uccisore di Pinabello) e dopo un brutale scontro senza vincitore con Mandricardo, Orlando, scoperta la felice avventura di’ Medoro, impazzisce (cfr. $ 21, III). Gli effetti provocati dal disastro della ragione di Orlando hanno una dimensione iperbolica e grottesca, e di essi sono primi spettatori e prime vittime i contadini dei vicini borghi. Qui si inseriscono gli episodi della morte di Zerbino ucciso da Mandricardo, del duello fra quest’ultimo e Rodomonte, delle scaramucce fra cavalieri presso la fonte di Merlino, e di un secondo intervento a favore dei cristiani della Discordia

col conseguente allontanamento dal campo pagano, all'insegna della misoginia, di Rodomonte vittima dell’infedeltà di Doralice. L’incontro di Rodomonte e di Isabella, infelice per la morte del suo Zerbino, si conclude con la decapitazione della fanciulla ad opera del pagano in preda a un eccesso di vino. La tragedia di Isabella è chiusa dal personale compianto dell’Ariosto, incastonato alla fine dell'episodio con un accorato procedimento umanistico che lega il ricordo dell’apostrofe virgiliana a Eurialo e Niso a un occasione di elogio cortigiano in favore di Isabella d’Este. Le pazzie che frattanto Orlando compie sono molte, e pazzia, dice il poeta, sarebbe volerle tutte ricordare. Dopo una lotta rozza, da villani, con Rodomonte, l’Ariosto non può passare sotto silenzio l’ultimo incontro

tra il folle Orlando e la bella Angelica aggredita dal paladino divenuto ormai irriconoscibile, mentre con Medoro si trovava nei pressi di Terragona per l’imbarco verso il Catai. Angelica si salva grazie alla virtù magica dell’anello che rende invisibili; ma: « O fosse la paura, 0 che pigliasse / tanto disconcio [posizione tanto scomoda] nel mutar l’annello, / o pur, che la giumenta traboccasse [ruzzolasse], / che non posso affermar questo né quello; / nel medesmo momento che si trasse /l’annello in bocca e celò il viso bello, / levò le gambe et uscì de l’arcione, | e si trovò riversa in sul sabbione ». Così Angelica sparisce dalla scena « aprendo le gambe all’aria in un gesto simbolicamente prosaico, tale da toglierle definitivamente ogni incanto » (Muscetta): insomma con una mossa che risulta autoderiÈ ‘soria del personaggio. di carica barca una seguire per Orlando giunge quindi a Gibilterra donde, punto questo A africana. gitanti, si getta in mare raggiungendo a nuoto la costa

Ludovico

78

Ariosto

il poeta ritorna al campo pagano sotto Parigi. Qui Mandricardo si gode contento il possesso di Doralice, ma presto è ucciso in duello da Ruggiero per la contesa dell'aquila bianca, l'insegna che i due guerrieri hanno in comune, cui si era aggiunta la contesa con Gradasso per il possesso di Durindana, la spada un tempo appartenuta al padre di Mandricardo. Ruggiero ferito non può muoversi dal campo per raggiungere il castello di Montalbano dove ansiosamente l’attende la costante Bradamante nella cui mente ora si insinua il sospetto di essere stata tradita per Marfisa che cura amorevolmente il guerriero. Abbandona perciò il castello disperatamente gelosa e decisa a cercare la morte per mano dello stesso Ruggiero. Dopo la sua sosta nella rocca di Tristano, la giovane si dirige al campo di Agramante; ma l’Ariosto a questo punto lascia dietro «tutta la Francia » per seguire Astolfo. Volando con l’ippogrifo l’avventuroso duca giunge in Nubia, nella gran corte del ricchissimo Senàpo ovvero Preteianni condannato da Dio, per avere avuto la presunzione di tentare la scalata del monte del paradiso terrestre, alla cecità e alla fame perpetua per mezzo delle Arpie. Grazie al suo magico corno Astolfo ricaccia i mostri alati nell’inferno e, non contento, si addentra nel-

l’oltretomba donde è però respinto dal fumo e dalla caligine. Il viaggio infernale col suo ritmo di avventura scanzonata, quasi immotivata, funge opportunamente da preludio alla vivace orchestrazione del più rischioso episodio del Furzoso: l’ascesa di Astolfo al paradiso terrestre, donde parte con san Giovanni Evangelista alla ricerca sulla luna del senno perduto di Orlando (cfr. $ 21, IV). L’Ariosto torna quindi alla gelosa Bradamante in viaggio verso il campo di Agramante, per trovarvi Ruggiero e sfidarlo. Fino al combattimento con Ruggiero, i duelli di Bradamante nel corso del viaggio si svolgeranno sul filo di una gioiosa equivocità erotica ed eroica: alla galanteria brutale o sentimentale degli sfidati (Rodomonte, Ferraù) fa da contrappunto la supremazia bellica incontrastata della sfidante. Lo scontro successivo tra Bradamante e Marfisa ha l’andamento di una farsesca commedia degli equivoci risolta dall’arcana voce di Atlante che, alzatasi dal fondo di una sepoltura nel boschetto, rivela che Marfisa e Ruggiero sono fratelli. La funzione di deus ex machina di Atlante «è un espediente, nell’Ariosto, naturalissimo, e il mezzo opportuno a preparare quel lieto fine in cui, come sempre nel poema, deve risolversi e annullarsi il dramma, per adeguarsi ai modi della commedia cinquecentesca, dove le posizioni e i conflitti dei sentimenti, in quanto tali, sono sempre, e sanno di essere, pura materia di uno spetÈ tacolo divertente e ingegnoso » (Sapegno). Bradamante, Marfisa e Ruggiero possono ora combattere insieme per cause cavalleresche, come l’eliminazione della sconcia tirannia di Marganorre che condannava tutte le donne capitate a passare per le sue terre al taglio delle gonne fino all'ombelico e la sostituzione del patriarcato assoluto di quel regno con un. saggio matriarcato: episodio da mettere a riscontro, nel gioco di compensazioni

tipico del poema, con l’atroce tirannia delle femmine omicide.

L'apparizione intanto tra le schiere di etiopi e carolingi guidati da Astolfo

alla conquista di Biserta di un uomo brutale e feroce nel quale a stento viene rico-

T e ET

$ 21.

L’« Orlando furioso » : analisi critica

79

nosciuto Orlando, crea un grande scompiglio. È il momento che precede la guarigione del dissennato paladino. Immobilizzato dai suoi compagni, è costretto a fiutare il filtro del senno prelevato sulla luna da Astolfo. Con lui Orlando, ormai rinsavito, concorda un piano d’attacco a Biserta, capitale del regno di Agramante. Battuto per terra e per mare, Agramante assisterà disperato all'incendio della sua città conquistata dall’armata etiopica guidata da Orlando e Astolfo. Orlando, Brandimarte e Oliviero da una parte, Gradasso, Agramante e Sobrino dall’altra, decidono

di rimettere le sorti della lotta a un duello a sei che, svoltosi

nell'isola di Lipadusa (Lampedusa), vede la vittoria dei cristiani col funesto epilogo, tuttavia, della morte

di Brandimarte.

Al pathos epico del duello di Lipadusa l’Ariosto fa succedere l’intreccio romanzesco delle vicende amorose ancora lasciate in sospeso. L’azione si sposta di nuovo al campo cristiano in Francia, dal quale Rinaldo si allontana per raggiungere Angelica nel Levante. Giunto alla fonte dell’oblio, il cavaliere dimentica Angelica e riacquista la sua saggezza resistendo vittoriosamente al tarlo della gelosia; decide quindi di raggiungere l’isola di Lipadusa da dove, insieme a Orlando, si porta in Sicilia, nei pressi di Agrigento. Qui vengono indette le esequie in onore di Brandimarte e si chiude con un mesto discorso di Orlando la lunga storia del duello tra cristianità e paganità. Ma il poema ha un supplemento narrativo (cc. XLIV-XLVI) dominato da Ruggiero, convertitosi al cristianesimo, e da Bradamante, protagonista di un romanzo borghese, patetico ma a lieto fine, pieno di suspense e colpi di scena che ritardano le profetate nozze. Infatti i genitori progettano di darla a Leone, figlio dell’imperatore d'Oriente. Ma Ruggiero si merita con generose azioni la corona del regno di Bulgaria e, cessata la sua condizione di cavaliere senza terra e senza fortuna, può sposare con generale soddisfazione Bradamante. Ma l’improvvisa apparizione in mezzo al convito del feroce Rodomonte, che sfida a duello Ruggiero, reintegra nella trama del poema l’epos cavalleresco che il gran finale festoso e bonario della commedia sentimentale recitata da Bradamante e Ruggiero rischiava di far dimenticare. Ruggiero atterra Rodomonte in un corpo a corpo stilizzato, così come appaiono stilizzati nell’iconografia rinascimentale i momenti della lotta tra Ercole e Atlante. Il poema si chiude con un’ottava scandita sulla memoria dei versi finali dell’ Enerde quasi a ribadire il rilievo epico del capostipite degli Estensi, fatto a misura del in uno spetgrande eroe virgiliano. L’Ariosto ha riservato a lui, com'è doveroso tacolo di corte, l'applauso finale.

$ 21.

L’«Orlando furioso » : analisi critica

Per il suo fitto intreccio di situazioni romanzesche, trame favolose, episodi

tragici eroici sentimentali l’Orlando furioso si presenta anzitutto come un’opera immediatamente godibile, come un libro «ameno ». Al primo approccio col

poema è sufficiente seguire la spirale della finzione narrativa, lasciarsi attrarre

Ludovico

80

Ariosto

dal suo svolgimento spazio-temporale che arriva a far identificare il momento della lettura con quello della scrittura, come se gli avvenimenti si svolgessero sotto lo sguardo del lettore mentre lo scrittore li racconta:

[LA FUGA DI ANGELICA] 1

2

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto,

che furo al tempo che passaro i Mori d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, seguendo l’ire e i giovenil furori d’Agramante lor re, che si diè vanto di vendicar la morte di Troiano sopra re Carlo imperator romano. Dirò d’Orlando in un medesmo tratto cosa non detta in prosa mai né in rima: che per amor venne in furore e matto, d’uom che sì saggio era stimato prima; se da colei che tal quasi m'ha fatto, che ’1 poco ingegno ad or ad or mi lima,

cortesie) e del ciclo carolingio (arme) e riecheggia la formula dantesca del bel vivere cavalleresco espressa in Purg. xiv, 109-10: «le donne e’ cavalier, li affanni e li agi / che ne ’nvogliava amore e cortesia », già forse presente nell’esordio dell’Obizzeide: «Canterò l’arme

8. imperator romano: titolo conferitogli con l'incoronazione imperiale avvenuta a Roma la notte del Natale dell’anno 800. 2, 1. Orlando: il più puro e il più forte degli eroi carolingi, celebrato nell’epica medievale francese e specie nella Chanson de Roland, conformato poi, in molti cantari italiani, al costume avventuroso e amoroso del cavaliere errante di tipo arturiano. Il Boiardo lo fa amante fedele e non corrisposto della pagana Angelica. —

canterò gli affanni /d’amor». Diversamente dal-

3. venne ...matto:

l’Innamorato, che riflette l'andamento narrativo dei poeti canterini, qui la proposizione precede l’invito all’auditorio ad accordare un favorevole ascolto, e lo schema del proemio è più classicheggiante; cfr. Aen. 1, 1: « Arma

venne (venne) pazzo. Il titolo, Orlando furioso, mette appunto in rilievo la «cosa non detta in prosa mai né in rima», cioè la pazzia d’Orlando, ed è « foggiato su quello del poema del Boiardo, l’Orlando innamorato, di cui .esso

I. Orlando furioso c. 1; dall’ed. cit., pp. 1-21. 1, 1-2. Le donne...canto: la materia che il

poeta temi

s’accingé del

ciclo

a cantare arturiano

è comprensiva

dei

(donne ...amori...

virumque cano ». — 3-4. al tempo... tanto: tempo leggendario in cui sono collocate, da una tradizione narrativa fatta propria dal Boiardo, le lotte condotte in Francia dai saraceni d’Africa (Mori nel senso estensivo di Africani) contro le forze cristiane di Carlo

Magno. — 5-8. seguendo ...romano: nell’Innamorato trentadue re vassalli e i loro eserciti seguono il ventiduenne Agramante, ultimo rampollo di una dinastia di re africani risalente ad Alessandro Magno, deciso a vendicare con la sottomissione di Carlo la morte del padre Troiano ucciso da Orlando in Borgogna. —

uscì fuori di mente

e di-

vuole essere la continuazione. L’Ariosto ebbe presente anche il titolo”di una tragedia di Seneca, l’Hercules furens. Onde Furioso, usato nel

senso latino di pazzo; nobilita e classicizza il nome romanzo Orlando » (Ceserani). — 4. d’nom'...prima: anche nell’Innamorato Or- . lando resta, nonostante l’innamoramento, il sag-

gio e austero cavaliere della tradizione. — 5-6. colei ...lima: Ariosto, spiegano i commen-

tatori, conobbé Alessaridra Benucci nel 1513, perciò l’ottava dovette essere modificata dopo tale data. Ma inizialmente i versi poterono essere concepiti come un generico omaggio ga-

$ 21.

L’« Orlando furioso » : analisi critica

3

me ne sarà però tanto concesso, che mi basti a finir quanto ho promesso. Piacciavi, generosa Erculea prole, ornamento e splendor del secol nostro, Ippolito, aggradir questo che vuole e darvi sol può l’umil servo vostro. Quel

4

81

ch’io vi debbo,

posso

di parole

pagare in parte, e d’opera d’inchiostro; né che poco io vi dia da imputar sono; che quanto io posso dar, tutto vi dono. Voi sentirete fra i più degni eroi, che nominar con laude m’apparecchio, ricordar quel Ruggier, che fu di voi e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio. L’alto valore e’. chiari gesti suoi vi farò udir, se voi mi date orecchio,

5

e vostri alti pensier cedino un poco, sì che tra lor miei versi abbiano loco. Orlando, che gran tempo inamorato fu de la bella Angelica, e per lei in India, in Media, in Tartaria lasciato avea infiniti et immortal trofei, in Ponente con essa era tornato, dove sotto i gran monti Pirenei con la gente di Francia e de Lamagna

re Carlo era attendato alla campagna,

lante, allo stesso modo dell’invocazione alla donna nell’Obizzeide (cfr. $ 19), rispetto alla quale si distinguono per il colorito ironico suggerito dalla pazzia amorosa di Orlando. Successivamente il rapporto con la Benucci vi ha aggiunto l’allusività autobiografica. — 6. ad or ad or mi lima: continuamente mi consuma. 3, 1. generosa Erculea prole: magnanimo figlio di Ercole: il cardinale Ippolito, figlio di Ercole 1 duca di Ferrara. — 4. servo vostro: ancora nel 1516, data di pubblicazione del primo Furioso, l’Ariosto era al servizio del cardinale.

4, 3-4. quel...vecchio:

Ruggiero

II, discen-

dente da Ettore troiano, figlio di Ruggiero II di Risa (Reggio Calabria) e di Galaciella, figlia dell’africano Agolante. Da Galaciella, approdata a Reggio dopo l’uccisione del marito e la consegna della città ad Agolante, erano nati Ruggiero e Marfisa. Il precettore, il mago

Atlante,

terrà poi nascosto

il valoroso giova-

netto perché ne aveva profetato la morte in guerra. Questi gli antefatti nell’Inzamorato, dove

il Boiardo aveva introdotto Ruggiero (l. 11) come capostipite degli Estensi; come tale (ceppo vecchio) lo celebra anche l’Ariosto. —

5. chiari gesti: famose gesta, imprese. — 7. alti pensier: le gravi preoccupazioni dell’uomo di Stato e del prelato. — cedino: si mettano da parte. — 8. abbiano loco: trovino posto. 5, 1-5.

Orlando

...

tornato:

nell’Innamorato

Orlando aveva seguito Angelica, figlia di re Galafrone del Catai (India), fino alla capitale del regno, Albracà, e aveva ucciso il re Agricane che l’assediava. Poi era tornato con lei in Occidente, dove Angelica, bevendo alla fontana del disamore, muta in odio il suo amore per Rinaldo, mentre questi, attingendo all’opposta fontana, s’invaghirà della bella pagana. — 3. in India... Tartaria: approssimativamente in tutto l’Oriente: l’India indicava anticamente l’Asia meridionale, la Media quella centrale, la Tartaria quella settentrionale, dalla Cina all’odierna Siberia. — 6-8. dove. ..campagna: presso i Pirenei avveniva nell’Innamorato (11, 23) lo scontro tra gli eserciti di Agramante e quelli di Francia e di Germania (Lamagna) di Carlo. II racconto del Boiardo non s’interrompeva qui, ma proseguiva fino all’assedio dei saraceni a Parigi.

Ludovico

82 6

Ariosto

per far al re Marsilio e al re Agramante battersi ancor del folle ardir la guancia, d’aver condotto, l’un, d’Africa quante genti erano atte a portar spada e lancia; l’altro, d'aver spinta la Spagna inante a destruzion del bel regno di Francia. E così Orlando arrivò quivi a punto: ma

7

tosto

si pentì d’esservi giunto;

che vi fu tolta la sua donna poi: ecco il giudicio uman come spesso erra! Quella che dagli esperii ai liti eoi avea difesa con sì lunga guerra, or tolta gli è fra tanti amici suoi,

senza spada adoprar, ne la sua terra. Il savio imperator, ch’estinguer vòlse un grave incendio, fu che gli la tolse. 8 Nata pochi dì inanzi era una gara tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo; che ambi avean per la bellezza rara d’amoroso disio l’animo caldo. Carlo, che non avea tal lite cara,

che gli rendea l’aiuto lor men saldo, questa donzella, che la causa n'era, tolse, e diè in mano

9

al duca di Bavera;

in premio promettendola a quel d’essi ch’in quel conflitto, in quella gran giornata, degli infideli più copia uccidessi, e di sua man prestassi opra più grata. Contrari ai voti poi furo i successi; ch’in fuga andò la gente battezzata, e con molti altri fu ’1 duca prigione, e restò abbandonato il padiglione.

6, 1. Marsilio: re saraceno di Spagna, alleato di Agramante; personaggio di rilievo dell’Innamorato ed anche del Morgante del Pulci. — 2. battersi ancor...la guancia: pentire ancora una volta, dopo altri pentimenti per altre precedenti sconfitte. « La mimica stilizzata del gesto ricorda i modi cari alla narrazione canterina, fatti propri anche dal Pulci e dal Boiardo; cfr. Spagna ni, 24; xxxvil, 7, 2-3; Morg. xI, 109, 4; xx, 96, 4; Innam. 11, 2, 7; xx1v, 23, 5» (Ceserani). — 3. l’un: Agramante. — 5. l’altro: Marsilio. — 7. a punto: al momento giusto.

7, 1. che...tolta: perché qui gli fu tolta. — 3. dagli...eoi: dalle contrade dell’Occidente a quelle dell’Oriente: in Occidente spunta la

stella Espero, in Oriente Aurora (greco « Eos »); cfr. Ariosto, Capitoli xrv, 7: «da Gade ai liti

eoi ». 8, 2. Rinaldo: figlio di Amone di Chiaramonte, fratello del padre di Orlando, Milone. Vassallo ribelle dell’imperatore, quale appare nell’epica francese, cavaliere indocile nel Pulci, Rinaldo aveva già acquisito nel Boiardo caratteri più seri e gravi che si sviluppano nell’Ariosto. — 8. duca di Bavera:

Namo

di Baviera, vecchio

e'

autorevole consigliere dell’imperatore; personaggio di grande rilievo già nelle Chansons. 9, 2. gran giornata: grande battaglia campale. — S. successi: i fatti, gli eventi. — 8. il padiglione: la tenda principale dell’accampamento, quella di Namo.

Te d

$ 21.

;

.

OR

L’« Orlando furioso » : analisi critica

10

83

Dove, poi che rimase la donzella ch’esser dovea del vincitor mercede, inanzi al caso era salita in sella,

e quando bisognò le spalle diede, presaga che quel giorno esser rubella dovea Fortuna alla cristiana fede: entrò in un bosco, e ne la stretta via

rincontrò un cavallier ch’a piè venìa. 11

12

13

Indosso

la corazza,

l’elmo in testa,

la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo; e più leggier correa per la foresta, ch'al pallio rosso il villan mezzo ignudo. Timida pastorella mai sì presta non volse piede inanzi a serpe crudo, come Angelica tosto il freno torse, che del guerrier, ch'a piè venìa, s’accorse. Era costui quel paladin gagliardo, figliuol d’Amon, signor di Montalbano, a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo per strano caso uscito era di mano. Come alla donna egli drizzò lo sguardo, riconobbe, quantunque di lontano, l’angelico sembiante e quel bel volto ch’all'’amorose reti il tenea involto. La donna il palafreno a dietro volta, e per la selva a tutta briglia il caccia; né per la rara più che per la folta, la più sicura e miglior via procaccia: ma

pallida, tremando,

10, 3. inanzi al caso: prima che i fossero sconfitti. — 4. quando . .. diede: gli sembrò opportuno fuggì via. — 5. contraria. 11, 4. pallio: palio, drappo; lo si dava mio al vincitore delle gare podistiche; xv, 121-3. «Negli affreschi ferraresi

e di sé tolta,

cristiani quando rubella:

in precfr. Inf. del Palazzo Schifanoia, giustamente famosi, è conservata la descrizione di corse a piedi e con cavalcature che dovevano essere in uso al tempo degli Estensi e a cui non molti anni or sono

si è cercato invano di ridar vita » (Caretti). — 5-6.

Timida ...crudo:

cfr. Aen. 11, 378-81. —

presta: prestamente, velocemente. — 7. il freno torse: cambiò direzione al cavallo (torcendo le redini). 12, 1-2. paladin... Montalbano: Rinaldo, signore di Montalbano, uno dei dodici paladini («comites palati») o pari di Carlo Magno. — 3-4. a cui...mano: nell’Innamorato uni, 4, 29

sgg., Rinaldo era sceso d’arcione per affrontare

Ruggiero che era appiedato senza vantaggio. Separato poi dal suo contendente per la gran mischia dei combattenti aveva cercato di recuperare il cavallo, ma questo stranamente (per strano caso) s'era messo a correre fuggendogli davanti e facendosi rincorrere « entro una selva oscura ». Il destrier (propriamente cavallo bene addestrato alla battaglia e alla corsa) Baiardo era famoso nei romanzi cavallereschi ed ha rilievo nell’Innamorato dove il saraceno Gradasso muove addirittura guerra ai cristiani per toglierlo a Rinaldo con la spada del paladino, Durindana. L’Ariosto gli dà sensi e ingegno umani (cfr. ott. 76). — 8. involto: avvolto, prigioniero. Il «topos» delle amorose

reti, d’ascendenza petrarchesca, ricorre frequentemente nelle Rime dell’Ariosto (cfr. IX, XII, XXIII, XXV).

13, 1. palafreno: cavallo da parata, ma nel Furioso sinonimo



spesso

3. rara,..folta:

di destriero

(cfr. v. 6).

sott. selva. —

5. di sé

Ludovico

84

Ariosto

lascia cura al destrier che la via faccia. Di su di giù, ne l’alta selva fiera tanto girò, che venne a una riviera. Su la riviera Ferraù trovosse 14 | di sudor pieno e tutto polveroso. Da la battaglia dianzi lo rimosse un gran disio di bere e di riposo; e poi, mal grado suo, quivi fermosse,

perché, de l’acqua ingordo e frettoloso, l’elmo nel fiume si lasciò cadere,

15

né l’avea potuto anco riavere. Quanto potea più forte, ne veniva gridando la donzella ispaventata. A quella voce salta in su la riva il Saracino, e nel viso la guata; e la conosce

16

17

subito ch’arriva,

ben che di timor pallida e turbata, e sien più dì che non n’udì novella, che senza dubbio ell’è Angelica bella. E perché era cortese, e n’avea forse non men dei due cugini il petto caldo, l’aiuto che potea, tutto le porse, pur come avesse l’elmo, ardito e baldo: trasse la spada, e minacciando corse dove poco di lui temea Rinaldo. Più volte s’eran già non pur veduti, m’al paragon de l’arme conosciuti. Cominciàr quivi una crudel battaglia, come a piè si trovàr, coi brandi ignudi: non che le piastre e la minuta maglia, ma ai colpi lor non reggerian gl’incudi. Or, mentre l’un con l’altro si travaglia, bisogna al palafren che ’l passo studi; che quanto può menar de le calcagna, colei lo caccia al bosco e alla campagna.

tolta: fuori di sé. — 7. alta: profonda. — fiera: selvaggia, incolta; cfr. Orazio, Serm. n, 6, 92: «feris...silvis». — 8. riviera: fiume. 14, 1. Ferraù: Ferraguto. nell’Înnamorato (ma Ferraù nel Morgante), guerriero saraceno di Spagna, nipote di re Marsilio. Il Boiardo (Innam. 1, 2, 10-1, 3, 62-7) lo fa combattere per amore d’Angelica col fratello di questo, Argalia, cui promette, dopo averlo ferito a morte, di gettare il cadavere in un fiume con tutta l'armatura, chiedendogli soltanto di tenere l’elmo per quattro giorni. Ma Ferraù poi non

glielo restituisce. 15, 1. Quanto...forte:

da unire

a gridando

(v. 2). — 5-8. e la conosce... bella: «in alcune di queste ottave di rapida narrazione è usata la sintassi un po’ saltellante, propria dei canterini e del Boiardo » (Ceserani). 16, 2. due cugini: Orlando e Rinaldo. — 8. al paragon: alla prova. Rinaldo e Ferraù avevano già duellato nell’Innamorato (11, 24, 43 sgg., xxrx, 53 sgg.). ; 17, 3. le piastre...maglia: le lamine di metallo di cui era formata l’armatura pesante e

la maglia di ferro che si portava sotto. — 4. gl’incudi: le incudini. — 5. sî travaglia: s’affatica. — 6. studi: affretti; cfr. Purg. xxvII, 62 e Cassaria, in prosa, a. II, sc. I.

E Se 9T

$ 21.

L’« Orlando furioso » : analisi critica

18

Poi che s’affaticàr gran pezzo invano i duo guerrier per por l’un l’altro sotto, quando non meno era con l’arme in mano questo di quel, né quel di questo dotto; fu primiero il signor di Montalbano, ch'al cavallier di Spagna fece motto, sì come

19

85

quel c’ha nel cor tanto

fuoco,

che tutto n’arde e non ritrova loco. Disse al pagan: « Me sol creduto avrai, e pur avrai te meco ancora offeso: se questo avvien perché i fulgenti rai del nuovo sol t’abbino il petto acceso, di farmi qui tardar che guadagno hai? che quando ancor tu m’abbi morto o preso non però tua la bella donna fia;

20

che, mentre noi tardiam, se ne va via. Quanto fia meglio, amandola tu ancora,

21

che tu le venga a traversar la strada, a ritenerla e farle far dimora, prima che più lontana se ne vada! Come l’avremo in potestate, allora di ch’esser de’ si provi con la spada: non so altrimenti, dopo un lungo affanno, che possa riuscirci altro che danno ». Al pagan la proposta non dispiacque: così fu differita la tenzone;

e tal tregua tra lor subito nacque, sì l’odio e l’ira va in oblivione,

22

che ’1 pagano al partir da le fresche acque non lasciò a piedi il buon figliol d’Amone: con preghi invita, et al fin toglie in groppa, e per l’orme d’Angelica galoppa. Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui! Fran rivali, eran di fé diversi, e si sentian degli aspri colpi iniqui per tutta la persona anco dolersi; e pur per selve oscure € calli obliqui insieme van senza sospetto aversi.

18, 3-4. quando... dotto: poiché con le armi in mano l’un cavaliere non era meno esperto dell’altro. — 8. non. ../oco: non trova pace. 19, 1. pagan: designazione generica dei non cristiani. — creduto avrai: sott. « offendere » che si ricava da offeso del v. seguente. — 3. se...avvien: se si fa questo duello. —

3-4. i fulgenti...acceso:

esprime

con

enfasi

petrarchesca la passione di Ferraù per Ange-

licaa — 6. morto: ucciso. — 8. tardiam: tardiamo, indugiamo. 20, 7-8. non so...danno: altrimenti non so che altro possiamo ottenere se non danno. 21, 4. oblivione: dimenticanza. — 7. invita: lo invita. — toglie: prende. 22, 3. iniqui: pesanti (latin.). — 5. calli obliqui: sentieri traversi. — 6. senza... aversi; senza sospetti reciproci,

Ludovico

86

Z5

Ariosto

Da quattro sproni il destrier punto arriva ove una strada in due si dipartiva. E come quei che non sapean se l’una o l’altra via facesse la donzella (però che senza differenzia alcuna apparia in amendue l’orma novella), si messero

ad arbitrio di fortuna,

Rinaldo a questa, il Saracino a quella. Pel bosco

Ferraù

molto s’avvolse,

e ritrovossi al fine onde si tolse.

24

Pur si ritrova ancor su la riviera,

là dove l’elmo gli cascò ne l’onde. Poi che la donna ritrovar non spera, per aver l’elmo che ’1 fiume gli asconde, in quella parte onde caduto gli era discende ne l’estreme umide sponde: ma

25

quello era sì fitto ne la sabbia,

che molto avrà da far prima che l’abbia. Con un gran ramo d’albero rimondo, di ch’avea fatto una pertica lunga, tenta il fiume e ricerca sino al fondo,

né loco lascia ove non batta e punga. Mentre con la maggior stizza del mondo tanto l’indugio suo quivi prolunga, vede di mezzo il fiume un cavalliero insino al petto uscir, d’aspetto fiero. 26

Era, fuor che la testa, tutto armato,

et avea un elmo ne la destra mano: avea il medesimo elmo che cercato da Ferraù fu lungamente invano. A Ferraù parlò come adirato, e disse: « Ah mancator di fé, marano!

27

perché di lasciar l’elmo anche t’aggrevi, che render già gran tempo mi dovevi? Ricordati, pagan, quando uccidesti d’Angelica il fratel (che son quell’io), dietro all’altr'arme tu mi promettesti gittar fra pochi dì l’elmo nel rio. Or se Fortuna (quel che non volesti far tu) pone ad effetto il voler mio,

23, 4. novella: recente. — 6. questa ... quella: sott. via. — 7. s'avvolse: s’aggirò. — 8. onde sî tolse: al punto donde s’era allontanato: al fiume. 24, 1. Pur: Finalmente. 25, 1. rimondo: mondato, sfrondato. — 3. tenta: scandaglia. 26, 6. marano: mancatore di parola; «marrano»

è la parola spagnola (propr.: porco) con cui si ingiuriavano giudei e musulmani convertiti ma segretamente fedeli alla loro religione. — 7. t’aggrevi: ti crucci. 27, 1. Ricordati: cfr. n. a 14, 1. Chi parla è lo spirito di Argalia. — 4. fra: entro. — 6. pone ad effetto: fa che si realizzi.

n c

$ 21.

L’« Orlando furioso » : analisi critica

non

28

87

ti turbare; e se turbar ti déi,

turbati che di fé mancato sei. Ma se desir pur hai d’un elmo fino, trovane

un altro, et abbil con

più onore;

un tal ne porta Orlando paladino, un tal Rinaldo, e forse anco migliore: l’un fu d’Almonte,

29

30

e l’altro di Mambrino:

acquista un di quei duo col tuo valore; e questo, c'hai già di lasciarmi detto, farai bene a lasciarmi con effetto ». All’apparir che fece all’improviso de l’acqua l’ombra, ogni pelo arricciossi, e scolorossi al Saracino il viso; la voce, ch’era per uscir, fermossi. Udendo poi da l’Argalia, ch’ucciso quivi avea già (che l’Argalia nomossi), la rotta fede così improverarse, di scorno e d’ira dentro e di fuor arse. Né tempo avendo a pensar altra scusa, e conoscendo

ben che ’1 ver gli disse,

restò senza risposta a bocca chiusa; ma la vergogna il cor sì gli trafisse, che giurò per la vita di Lanfusa non voler mai ch’altro elmo lo coprisse, se non quel buono che già in Aspramonte trasse del capo Orlando al fiero Almonte.

31

E servò meglio questo giuramento, che non avea quell’altro fatto prima. Quindi si parte tanto malcontento,

che molti giorni poi si rode e lima. Sol di cercare è il paladino intento di qua di là, dove trovarlo stima. Altra ventura al buon

Rinaldo accade,

che da costui tenea diverse strade. 32

Non molto va Rinaldo, che si vede

saltare inanzi il suo destrier feroce: « Ferma,

Baiardo mio, deh, ferma il piede!

che l’esser senza te troppo mi nuoce ». 28, 1. fino: pregiato. — 5. Almonte: figlio del re africano Agolante (cfr. nn. 4, 3-4 e 30, 7-8) ucciso ad Aspromonte da Orlando che gli tolse oltre all’elmo, l'armatura fatata, la potente spada Durlindana e il cavallo Brigliadoro (gesta narrate da Andrea da Barberino nell’ Aspromonte). — Mambrino: re pagano ucciso e privato dell’elmo da Rinaldo; impresa narrata in vari romanzi italiani. — 8. con effetto: realmente, di fatto.

29, 2. de l’acqua: dall’acqua. — 2-3. ogni . .. viso: analoghe espressioni di paura in Dante, Inf. v, 131° e xx, 19. — 4. la... fermosst: cfr. Aen. mi, 48: «vox faucibus haesit ». — 7. improverarse: rimproverarsi, essergli rim-

proverata. 30, 5. Lanfusa: la madre di Ferraù. 31, 1. servò: mantenne. — 3. Quindi: Di qui. — 4. sî rode e lima: si consuma per la rabbia. 32, 2. feroce: indomito, indocile (latin.).

Ludovico

88

33

Per questo il destrier sordo a lui non riede, anzi più se ne va sempre veloce. Segue Rinaldo, e d’ira si distrugge: ma seguitiamo Angelica che fugge. Fugge tra selve spaventose e scure, per lochi inabitati, ermi e selvaggi. Il mover

34

Ariosto

de le frondi e di verzure,

che di cerri sentia, d’olmi e di faggi, fatto le aveva con subite paure trovar di qua di là strani viaggi; ch’ad ogni ombra veduta o in monte o in valle, temea Rinaldo aver sempre alle spalle. Qual pargoletta o damma o capriuola, che tra le fronde del natio boschetto alla madre veduta abbia la gola stringer dal pardo, o aprirle ’1 fianco o ’l petto, di selva in selva dal crudel s’invola,

35

e di paura triema e di sospetto: ad ogni sterpo che passando tocca, esser si crede all’empia fera in bocca. Quel dì e la notte e mezzo l’altro giorno s'andò aggirando, e non sapeva dove. Trovossi

al fine in un boschetto

adorno,

che lievemente la fresca aura muove. Duo

chiari rivi, mormorando

intorno,

sempre l’erbe vi fan tenere e nuove; e rendea ad ascoltar dolce concento,

36

rotto tra picciol sassi, il correr lento. Quivi parendo a lei d’esser sicura e lontana a Rinaldo mille miglia, da la via stanca e da l’estiva arsura,

di riposare alquanto si consiglia: tra’ fiori smonta, e lascia alla pastura andare il palafren senza la briglia; e quel va errando intorno alle chiare onde, che di fresca erba avean piene le sponde.

Lo

33, 2. inabitati... selvaggi:

disabitati,

solitari

e incolti. — 3. verzure: cespugli, virgulti. — 4. che... sentia: il muovere delle fronde degli alberi che Angelica sentiva. — 6. trovar... viaggi: imboccare a caso strade insolite, non battute. — 7-8. ch'ad... spalle: cfr. Innam. 11, vII, 62, 7-8: «e ciò che sente e vede di lontano, / sempre alle spalle aver crede Aridano ».

34, 1. Qual...capriuola: Come una daina o una capriola giovanissima. Cfr. Orazio, Carm. I, 23, 1-8, brano tenuto presente anche nella

ottava precedente. — 4. pardo: ghepardo; animale anticamente addestrato per la caccia. 35, 1. mezzo...giorno: metà del giorno seguente. — 3. adorno: ameno. — 5-8. Duo chiari ... lento: per l’ascendenza petrarchesca

di questa rappresentazione

cfr. Canz. 126, 1 e

323, 37-9 e il cap. x1 delle Rime dell’Ariosto.

— 7. concento: armonia. — 8. rotto ... lento: cfr. Virgilio, Georg. 1, 109-10: «illa cadens raucum per levia murmur saxa ciet ».

$ 21.

L’« Orlando furioso » : analisi critica

Di

89

Ecco non lungi un bel cespuglio vede di prun fioriti e di vermiglie rose, che de le liquide onde al specchio siede, chiuso dal sol fra l’alte quercie ombrose; così vòto nel mezzo,

che concede

fresca stanza fra l’ombre più nascose: e la foglia coi rami in modo è mista, 38

che ’1 sol non v’entra, non che minor Dentro letto vi fan tenere erbette,

vista.

ch’invitano a posar chi s’appresenta. La bella donna in mezzo a quel si mette; ivi si corca,

39

40

et ivi s'addormenta.

Ma non per lungo spazio così stette, che un calpestio le par che venir senta: cheta si leva, e appresso alla riviera vede ch’armato un cavallier giunt’era. Se gli è amico o nemico non comprende: tema e speranza il dubbio cuor le scuote; e di quella aventura il fine attende, né pur d’un sol sospir l’aria percuote. Il cavalliero in riva al fiume scende sopra l’un braccio a riposar le gote; e in un suo gran pensier tanto penètra, che par cangiato in insensibil pietra. Pensoso più d’un’ora a capo basso stette, Signore, il cavallier dolente;

poi cominciò con suono afflitto e lasso a lamentarsi

41

sì soavemente,

ch’avrebbe di pietà spezzato un sasso, una tigre crudel fatta clemente. Sospirando piangea, tal ch’un ruscello parean le guancie, e ’1 petto un Mongibello. « Pensier — dicea — che ’1 cor m’aggiacci et ardi,

37, 2. prun: biancospini. — 3. de le... siede: si specchia nelle limpide (liquide) acque. — 4. chiuso: riparato. — 6. stanza: soggiorno. — 8. non... vista: e tanto meno lo sguardo dell’uomo, meno penetrante della luce del sole. 38, 2. s’appresenta: si presenta, vi capita. 39, 2. dubbio: dubbioso. « Il v. ne ricorda altri di Virgilio (Aen. 1, 218: ‘ spemque metumque inter dubii . . . ’’), del Petrarca (Canz. 254, 4: “ sì ’1 cor téma e speranza mi puntella ’’) e del Poliziano (Stanze 1, 64, 5-6) » (Ceserani). — 7-8. în un... pietra: cfr. Sannazaro, Arcadia, prosa 1: « dimenticato di sé e de’ suoi greggi giaceva, non altrimente che se una pietra o un tronco stato fusse ». i 40, 2. Signore: il cardinale Ippolito, dedicatario

del poema, cui l’Ariosto si rivolge come a suo uditore e dando un’intonazione colloquiale alla narrazione. — 3. lasso: debole. — 4-5. a lamentarsi ...sasso: cfr. Innam. 1, 12, 6-8: « Prasildo sì soave lamentava, / e sì dolce parole al dir gli cade, / che avria spezzato un sasso di pietade ». — 8. un Mongibello: un vulcano (di sospiri); propr. l’Etna. 41, 1. m’aggiacci: m’agghiacci; Sannazaro, Arcadia, egl. 11, 124: «ove ancor ripensando agghiaccio et ardo » e cfr. Ariosto, Rime, son. XII: «ché mi sovien che quel che perse il core, / arder lontan parea da questi rai; / ed io che son lor presso, aggiaccio e tremo », dove è sviluppato un tema per contrasti che risale al Petrarca

(Canz.

134, 2: «e temo

e spero,

et

Ludovico

90

Ariosto

e causi il duol che sempre il rode e lima, che debbo far, poi ch’io son giunto tardi, x e ch’altri a còrre il frutto è andato prima? a pena avuto io n’ho parole e sguardi, et altri n’ha tutta la spoglia opima. Se non ne tocca a me

42

frutto né fiore,

perché affliger per lei mi vuo’ più il core? La verginella è simile alla rosa, ch’in bel giardin su la nativa spina mentre

sola e sicura si riposa,

né gregge né pastor se le avicina; l'aura soave e l’alba rugiadosa, l’acqua, la terra al suo favor s’inchina: gioveni vaghi e donne inamorate amano averne e seni e tempie ornate. 43 Ma non sì tosto dal materno stelo rimossa viene e dal suo ceppo verde, che quanto avea dagli uomini e dal cielo favor, grazia e bellezza, tutto perde. La vergine che ’1 fior, di che più zelo che de’ begli occhi e de la vita aver de’, lascia altrui còrre, il pregio ch’avea inanti perde nel cor di tutti gli altri amanti. 44 Sia vile agli altri, e da quel solo amata a cui di sé fece sì larga copia. Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata! trionfan gli altri, e ne moro io d’inopia. Dunque esser può che non mi sia più grata? dunque io posso lasciar mia vita propia? Ah, più tosto oggi manchino i dì miei, “ch'io viva più, s'amar non debbo lei! ». 45

Se mi domanda

alcun chi costui sia,

che versa sopra il rio lacrime tante, io dirò ch’egli è il re di Circassia, ardo e son un ghiaccio »). — 2. rode e lima: la stessa dittologia di 31, 4. — 4. cdrre il frutto: godersi Angelica (corre: cogliere). È l’immagine edenica del frutto proibito volta a significato erotico; cfr. v, 64, 8. — 6. spoglia opima: lat. «spolia opima»: le armi tolte in duello; il bottino.

42-3. La verginella...amanti: per la similitudine della vergine con la rosa cfr. Catullo, . Carm. Lx, 39-47: « Ut flos in septis secretus nascitur hortis, / ignotus pecori, nullo convolsus aratro, / quem mulcent aurae, firmat sol, educat imber [. . .]}. / Multi illum pueri, mul-

tae optavere puellae: / idem cum tenui carptus defloruit ungui, / nulli illum pueri, nullae opta-

vere puellae: / sic virgo, dum intacta manet, dum cara suis est; / cum castum amisit polluto corpore florem, / nec pueris iocunda ma-

net, nec cara puellis ». 42, 6. s'inchina: s’inchinano, fanno omaggio alla sua grazia. — 7. vaghi: belli. 43, 3. che: ha valore di ripresa di sì tosto, v. 1. — 5-6. La vergine... cérre: La vergine che lascia cogliere il fiore (che perde la sua verginità), del quale deve avere più cura che degli occhi

e della vita. Nota la rima all’occhio aver de’, frequente nel Furioso e già nella Divina Commedia. 44, 2. di sé fece...copia: si concesse così generosamente. — 4. îinopia: privazione.

$ 21.

L’« Orlando furioso » : analisi critica

46

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48

49

9i

quel d’amor travagliato Sacripante; io dirò ancor, che di sua pena ria sia prima e sola causa essere amante, e pur un degli amanti di costei: e ben riconosciuto fu da lei. Appresso ove il sol cade, per suo amore venuto era dal capo d’Oriente; che seppe in India con suo gran dolore, come ella Orlando sequitò in Ponente: poi seppe in Francia che l’imperatore sequestrata l’avea da l’altra gente, per darla all’un de’ duo che contra il Moro più quel giorno aiutasse i Gigli d’oro. Stato era in campo, e inteso avea di quella rotta crudel che dianzi ebbe re Carlo: cercò vestigio d’Angelica bella, né potuto avea ancora ritrovarlo. Questa è dunque la trista e ria novella che d’amorosa doglia fa penarlo, affligger, lamentare e dir parole che di pietà potrian fermare il sole. Mentre costui così s’affligge e duole, e fa degli occhi suoi tepida fonte, e dice queste e molte altre parole, che non mi par bisogno esser racconte; l’aventurosa sua fortuna vuole ch’alle orecchie d’Angelica sian conte: e così quel ne viene a un’ora, a un punto, ch’in mille anni o mai più non è raggiunto. Con molta attenzion la bella donna al pianto, alle parole, al modo attende di colui ch’in amarla non assonna;

né questo è il primo dì ch’ella l’intende: ma dura e fredda più d’una colonna,

45, 4. Sacripante: Sacripante, re di Circassia era nell’Innamorato uno dei difensori di Angelica ad Albracà; amante anche lui appassionato ma non ricambiato della bella fanciulla.

46, 1. Appresso...cade: là dove il sole tramonta: in Occidente. — 2. dal... Oriente: dall’estremo Oriente. — 6. sequestrata: separata, allontanata. — 7. duo: due (Orlando e Rinaldo). — 8. Gigli d’oro: stemma dei re di Francia. 48, 4. che...racconte: che non mi pare necessario raccontare; racconte: raccontate. — 5. aventurosa: buona, fausta. — 6. conte: « rese note » (Caretti). — 7-8. e così...raggiunto: e così ci viene dato in un’ora, in un momento

quello che non si raggiunge in mille anni o addirittura mai. Ne per ci è frequente nell’italiano antico (cfr. G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino 1968, vol. 11, pp. 158-9). Solitamente ne (v. 7), interpretato per gli, viene riferito a Sacripante (cfr., per es., Ceserani: «e così in un momento gli capita di ottenere ciò che in altre occasioni ‘0 da altri non viene ottenuto, ecc. ») e non si attribuisce ai due versi valore di sentenza generale. Ma proprio il richiamo a Orazio, Epist. 1, 4, 10 («grata superveniet quae non sperabitur hora »), fatto dai vari commentatori, sembra imporlo. 49, 3. non assonna: non ha sonno, non ha ce-

Ludovico

50

ad averne pietà non però scende; come colei c'ha tutto il mondo a sdegno, e non le par ch’alcun sia di lei degno. Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola le fa pensar di tor costui per guida; che chi ne l’acqua sta fin alla gola, ben è ostinato se mercé non grida. Se questa occasione or se l’invola, non

Si

52

Ariosto

troverà

mai più scorta sì fida;

ch’a lunga prova conosciuto inante s'avea quel re fedel sopra ogni amante. Ma non però disegna de l’affanno che lo distrugge alleggierir chi l’ama, e ristorar d’ogni passato danno con quel piacer ch’ogni amator più brama: ma alcuna finzione, alcuno inganno di tenerlo in speranza ordisce e trama; tanto ch’a quel bisogno se ne serva, poi torni all’uso suo dura e proterva. E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco fa di sé bella et improvisa mostra, come di selva o fuor d’ombroso speco Diana in scena o Citerea si mostra;

e dice all’apparir: « Pace sia teco; teco difenda Dio la fama nostra,

53

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e non comporti, contra ogni ragione, ch’abbi di me sì falsa opinione ». Non mai con tanto gaudio o stupor tanto levò gli occhi al figliuolo alcuna madre, ch’avea per morto sospirato e pianto, poi che senza esso udì tornar le squadre; con quanto gaudio il Saracin, con quanto stupor l’alta presenza e le leggiadre maniere e il vero angelico sembiante, improviso apparir si vide inante. Pieno di dolce e d’amoroso affetto, alla sua donna, alla sua diva corse, che con le braccia al collo il tenne stretto,

dimenti. — 6. non però scende: non per questo (per i lamenti di Sacripante) si muove a pietà; scende è immagine indotta dall’inaccessibilità della colonna della similitudine precedente. 50, 5. se l’invola: le s’invola, le sfugge. 52, 3. speco: spelonca, grotta. — 4. Diuna ... mostra: Diana, dea della caccia, e Venere (Ci-

terea), dea dell’amore: tipiche apparizioni degli intermezzi mitologici con scena boschereccia molto in voga a Ferrara e in altre corti italiane

del Cinquecento. A queste spettacolari apparizioni è paragonata quella bella et improvisa che Angelica fa a Sacripante. — 6. teco...

nostra: Dio sia garante con te della mia fama di vergine onesta. L’espressione ha valore di giuramento e la solennità delle parole è legata alla meraviglia dell’apparizione. — 7. non comporti: non permetta. — contra ogni ragione: riferito a Sacripante: che irragionevolmente tu abbia, ecc.

Sez

:

1

L’« Orlando furioso » ; analisiEta critica

93

quel ch'al Catai non avria fatto forse. Al patrio regno, al suo natio ricetto, seco avendo costui, l’animo torse:

55

subito in lei s’avviva la speranza di tosto riveder sua ricca stanza. Ella gli rende conto pienamente dal giorno che mandato fu da lei a domandar soccorso in Oriente al re de’ Sericani e Nabatei;

e come

Orlando

da morte,

56

e che ’l fior virginal così avea salvo, come se lo portò del materno alvo. Forse era ver; ma non però credibile a chi del senso suo fosse signore; ma parve facilmente a lui possibile, ch'era perduto in via più grave errore. Quel che l’uom

SE

la guardò sovente

da disnor, da casi rei;

vede, Amor

gli fa invisibile,

e l’invisibil fa vedere Amore. Questo creduto fu; che ’1 miser suole dar facile credenza a quel che vuole. «Se mal si seppe il cavallier d’Anglante pigliar per sua sciocchezza il tempo buono, il danno se ne avrà; che da qui inante nol chiamerà Fortuna a sì gran dono — tra sé tacito parla Sacripante —: ma io per imitarlo già non sono, che lasci tanto ben che m'è concesso,

e ch’a doler poi m’abbia di me stesso.

54, 5. patrio regno: il Catai. — ricetto: rifugio. — 6. l’animo torse: volse lontano (da lui) il pensiero: innamorata di Rinaldo, volle tornare in Occidente. — 8. sua... stanza: la sua ricca dimora ‘di Albracà. 55, 1-4. Ella... Nabatei: Gli racconta quanto gli accadde dal giorno in cui l’aveva mandato a chiedere aiuto a Gradasso, re di Sericana, contro Agricane che l’assediava in Albracà

(cfr. Orl. inn. 11, 5, 55 sgg.). — 4. Sericani e . Nabatei: nell’Orl. inn. 1, 4, Gradasso è indicato

oltre

che

come

re

di Sericana,

cioè

di

una regione compresa tra India e Tartaria (il paese dei Seres di Tolomeo), anche come conquistatore della «isola grande Taprobana » (Ceylon) e della Persia «con la Arabia lì da lato »; i Nabatei sarebbero i popoli abitanti questa parte dell’Arabia, l'Arabia Petrea, detta appunto Nabatea nella Nat. Hist. di Plinio. —

6. disnor:

disonore.

Quanto

al rispetto

di

Orlando per lei cfr. quello che ne dice il Boiardo: « Via caminando assai con lei favella, / ma

di toccarla mai non se assicura.

/ Cotanto

-amava lui quella donzella, / che di farla turbare

avea

paura;

de ragione

non

mente,

/ in cotale atto il chiama

/ Turpin

che

mai

un ba-

bione » (Orl. inn. 11, 19, 50, 3-8). 56, 4. in...errore: in un errore

ben più grave: l’amore che, come è detto subito dopo, non fa vedere quello che normalmente è chiaro e fa vedere quello che non c’è. — 7-8. che ... vuole: proverbio lat.: « Quod nimis miseri volunt / hoc facile credunt » (Seneca, Here. fur. 313-4); cfr. anche Boiardo, Egl. vil, 76-8 (Ceserani). 57, 1. il cavallier d’Anglante:. Orlando, sire d’Anglante, perché figlio di Milon d’Anglant (Angers). — 2. il tempo buono: l’occasione favorevole.

Ludovico

94 58

59

60

Corrò la fresca e matutina

rosa,

che, tardando, stagion perder potria. So ben ch’a donna non si può far cosa che più soave e più piacevol sia, ancor che se ne mostri disdegnosa, e talor mesta e flebil se ne stia: non starò per repulsa o finto sdegno, ch’io non adombri e incarni il mio disegno ». Così dice egli; e mentre s’apparecchia al dolce assalto, un gran rumor che suona dal vicin bosco gl’intruona l’orecchia, sì che mal grado l’impresa abbandona: e si pon l’elmo (ch’avea usanza vecchia di portar sempre armata la persona), viene al destriero e gli ripon la briglia, rimonta in sella e la sua lancia piglia. Ecco pel bosco un cavallier venire, il cui sembiante è d’uom gagliardo e fiero: candido come

61

Ariosto

nieve è il suo vestire,

un bianco pennoncello ha per cimiero. Re Sacripante, che non può patire che quel con l’importuno suo sentiero gli abbia interrotto il gran piacer ch’avea, con vista il guarda disdegnosa e rea. Come è più presso, lo sfida a battaglia; che crede ben fargli votar l’arcione. Quel che di lui non stimo già che vaglia un grano meno, e ne fa paragone, l’orgogliose minaccie a mezzo taglia, sprona a un tempo, e la lancia in resta pone. Sacripante ritorna con tempesta, e corronsi a ferir testa per testa.

58, 2. tardando...potria: se tardassi a coglierla, potrebbe perdere la sua fresca bellezza (stagion). Il motivo era largamente diffuso nella letteratura umanistica specie fiorentina; cfr. Poliziano, Rispetti spicciolati, xxvit (« Mentre che il fiore è nella sua vaghezza, / coglilo; ché

belleza poco dura. / Fresca è la rosa da mattino, e a sera / ell’ha perduto suo’ belleza altera ») e Canzoni a ballo rt, «I° mi trovai, fanciulle, un bel mattino » e Lorenzo il Magnifico, Corinto 193: « Cogli la rosa, o ninfa, or ch'è il bel tempo ». Cfr. anche Bembo, Stanze 49. — 7-8. non starò...disegno: non mi asterrò dall’attuare il mio piano; adombri e incarni (ombreggia e dia colore) indicano le due operazioni con cui il pittore completa la sua ope-

ra dopo avere delineato il disegno delle figure.

60, 4. pennoncello: pennacchio; altrove, nell’Orl. fur., indica la banderuola in cima alla lancia; il candore della veste e del cimiero simboleggia la purezza del cavaliere. — 6. sen-

tiero: passaggio. 61, 2. fargli...arcione: disarcionarlo. — *3. Quel: L'altro, il cavaliere sfidato. — stimo: se non è da correggere in « stimò », e quindi riferito

al cavaliere,

va

inteso

come

un

inter-

vento personale del poeta che esprimerebbe . qui la sua opinione sulla valentia dei due guerrieri; cfr. il commento del Caretti. — 4. e... paragone: e ne dà la prova con le armi. — S. a mezzo taglia: interrompe. — 7. con tem-

pesta: tempestosamente, furiosamente. — 8. testa per testa: di fronte (franc. «téte à téte»); cfr. Orl. inn. 1, 9, 53, 7-8:

«ma

Brandimarte

$ 21.

L’« Orlando furioso » : analisi critica

62

63

Non si vanno i leoni o i tori in salto a dar di petto, ad accozzar sì crudi, sì come i duo guerrieri al fiero assalto, che parimente si passàr gli scudi. Fe’ lo scontro tremar dal basso all’alto l’erbose valli insino ai poggi ignudi; e ben giovò che fur buoni e perfetti gli osberghi sì, che lor salvaro i petti. Già non féro i cavalli un correr torto anzi cozzaro a guisa di montoni: quel del guerrier pagan morì di corto, ch’era vivendo

in numero

»

de’ buoni;

quell’altro cadde ancor, ma fu risorto tosto ch’al fianco si sentì gli sproni. Quel del re saracin restò disteso

64

65

adosso al suo signor con tutto il peso. L’incognito campion che restò ritto, e vide l’altro col cavallo in terra, stimando avere assai di quel conflitto, non si curò di rinovar la guerra; ma dove per la selva è il camin dritto, correndo a tutta briglia si disserra; e prima che di briga esca il pagano, un miglio o poco meno è già lontano. Qual istordito e stupido aratore,

poi ch’è passato il fulmine, si leva di là dove l’altissimo fragore appresso ai morti buoi steso l’aveva; che mira senza fronde e senza onore il pin che di lontan veder soleva: tal si levò il pagano a piè rimaso, Angelica presente al duro caso.

cadde con tempesta, testa

per

/ e scontrarno

e destrier

testa ).

62, 1. in salto: in amore. Con questo significato l’espressione, riferita ad animali, è registrata nel Tommaseo-Bellini; altri interpretano: nel bosco (cfr. il lat. saltus). Per la similitudine

tra l’assalto leonino

e taurino e quello guer-

resco cfr. Il. vi, 255-7, Aen. e Bello, Mambriano 1, 96, 1-6.

xu, 715-24 — 2. crudi:

crudeli. — 8. osberghi: o usberghi, le armature che difendevano il collo e il busto. 63, 2. cozzaro . . . montoni: cfr. Inf. xxx11, 50-1: «come due becchi / cozzaro insieme », e Virgilio, Georg. 11, 526: «inter se adversis luctantur cornibus haedi ». — 3. di corto: subito dopo. — 5. fu risorto: risorse, si risollevò.

64, 3. stimando ... conflitto: ritenendo di potere essere soddisfatto del combattimento. — 6. a tutta ... disserra: si slancia a briglia sciolta; cfr. Orl. inn. 1, 2, 52, 8: « nel corso tutto se disserra ». — 7. di briga esca: si liberi dell’impedimento, esca da sotto il cavallo. 65, 1-6. Qual...soleva: per la similitudine, di ascendenza omerica (J/. x1v, 414-9), cfr. Ariosto, Lir. lat. xiv, 8-13 e Ovidio, Tristia 1, 3, 11-2.

— 1. stupido: instupidito, attonito. — 5. senza fronde ...onore: senza l’ornamento delle foglie (endiadi); cfr. Virgilio, Georg. 11, 404: « silvis . . . honorem », e Orazio, Epod. xt, 5-6: « December . . . silvis honorem decutit ». — 8. Angelica presente: essendo presente Angelica: ablativo assoluto.

Ludovico

96 66

Sospira e geme, non perché l’annoi che piede o braccia s’abbi rotto o mosso, ma per vergogna sola, onde a’ dì suoi né pria né dopo il viso ebbe sì rosso: e più, ch’oltre al cader, sua donna poi fu che gli tolse il gran peso d’adosso. Muto

67

Ariosto

restava, mi cred’io, se quella

non gli rendea la voce e la favella. «Deh! — diss’ella — signor, non vi rincresca! che del cader non

è la colpa vostra,

ma del cavallo, a cui riposo et esca meglio si convenia che nuova giostra. Né perciò quel guerrier sua gloria accresca; che d’esser stato il perditor dimostra: così, per quel ch’io me ne sappia, stimo, quando a lasciare il campo è stato primo ». 68

69

70

Mentre costei conforta il Saracino, ecco col corno e con la tasca al fianco,

galoppando venir sopra un ronzino un messaggier che parea afflitto e stanco; che come a Sacripante fu vicino, gli domandò se con un scudo bianco e con un bianco pennoncello in testa vide un guerrier passar per la foresta. Rispose Sacripante: « Come vedi, m'ha qui abbattuto, e se ne parte or ora; e per ch'io sappia chi m’ha messo a piedi, fa che per nome io lo conosca ancora ». Et egli a lui: « Di quel che tu mi chiedi io ti satisfarò senza dimora: tu déi saper che ti levò di sella l’alto valor d’una gentil donzella. Ella è gagliarda, et è più bella molto; né il suo famoso nome anco t’ascondo: fu Bradamante quella che t’ha tolto quanto onor mai tu guadagnasti al mondo ». Poi ch’ebbe così detto, a freno sciolto

il Saracin lasciò poco giocondo, che non sa che si dica o che si faccia,

tutto avvampato di vergogna in faccia. 66, 1. l’annoi: gli dia dolore. — 2. mosso: slogato. — 3. a’ dì suoi: in vita sua. | 67, 3. esca: cibo. —8. quando: dalmomento che. 68, 2. tasca: borsa dei dispacci; il corno (per richiamare l’attenzione) e il ronzino (cavallo di poco pregio degli scudieri) completano l’equipaggiamento d’ordinanza del tipico messag-

gero dei romanzi cavallereschi. 69, 4. ancora: anche.

70, 3. Bradamante: guerriera innamorata di Ruggiero del quale è destinata ad essere sposa per dare inizio con lui alla genealogia degli Estensi già divinata da Atlante nell’Orl. inn. (11, 21, 53 sgg.).

$ 21.

L’« Orlando furioso » : analisi critica

71

72

97

Poi che gran pezzo al caso intervenuto ebbe pensato invano, e finalmente si trovò da una femina abbattuto, che pensandovi più, più dolor sente; montò l’altro destrier, tacito e muto: e senza far parola, chetamente tolse Angelica in groppa, e differilla a più lieto uso, a stanza più tranquilla. Non furo iti duo miglia, che sonare odon la selva che li cinge intorno,

con tal rumore e strepito, che pare che triemi la foresta d’ogn’intorno; e poco dopo un gran destrier n’appare, d’oro guernito, e riccamente adorno, che salta macchie e rivi, ct a fracasso

73

arbori mena e ciò che vieta il passo. «Se l’intricati rami e l’aer fosco — disse la donna — agli occhi non contende, Baiardo è quel destrier ch’in mezzo il bosco con tal rumor la chiusa via si fende. Questo

è certo

Baiardo,

io ’1 riconosco:

deh, come ben nostro bisogno intende! ch’un sol ronzin per dui saria mal atto, e ne viene egli a satisfarci ratto ». 74

75

Smonta

il Circasso et al destrier s’accosta,

e si pensava dar di mano al freno. Colle groppe il destrier gli fa risposta, che fu presto a girar come un baleno; ma non arriva dove i calci apposta: misero il cavallier se giungea a pieno! che nei calci tal possa avea il cavallo, ch’avria spezzato un monte di metallo. Indi va mansueto alla donzella, con umile sembiante e gesto umano, come intorno al padrone il can saltella, che sia duo giorni o tre stato lontano. Baiardo ancora avea memoria d’ella,

ch’in Albracca il servia già di sua mano 71, 1-4. Poi...sente: «la sintassi gracile e saltellante, come nei canterini popolari, è qui usata a creare un effetto umoristico » (Ceserani). — 5. l’altro destrier: quello di Angelica.

— 7. tolse: prese. — differilla: «la riserbò » (Caretti). 72, 1. sonare: risuonare. — 7-8. a fracasso . . . mena: fracassando porta via. 73, 2. agli...contende: non contrastano alla vista. La concordanza della terza persona sing.

del verbo con più soggetti è frequente nell’Orl. fur. — 3. Baiardo: il destriero di Rinaldo; cfr. 12, 1-2. — 4. si fende: si apre. 74, 3. Colle groppe: Volgendogli le groppe. — 5. apposta: dirige. 75, 5-6. Baiardo ... mano: cfr. Orl. inn. 1, 28, dove Angelica si mostra sollecita con Baiardo, mentre Rinaldo, che l’aveva ancora in odio, la respinge.

Ludovico

98

Ariosto

nel tempo che da lei tanto era amato Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.

76

Con la sinistra man prende la briglia, con l’altra tocca e palpa il collo e ’1 petto: quel destrier, ch’avea ingegno a maraviglia, a lei, come un agnel, si fa suggetto. Intanto Sacripante il tempo piglia: monta

77

78

Baiardo, e l’urta e lo tien stretto.

Del ronzin disgravato la donzella lascia la groppa, e si ripone in sella. Poi rivolgendo a caso gli occhi, mira venir sonando d’arme un gran pedone. Tutta s'avvampa di dispetto e d’ira; che conosce il figliuol del duca Amone. Più che sua vita l’ama egli e desira; l’odia e fugge ella più che gru falcone. Già fu ch’esso odiò lei più che la morte; ella amò lui: or han cangiato sorte. E questo hanno causato due fontane che di diverso effetto hanno liquore, ambe in Ardenna,

e non sono lontane:

d’amoroso disio l’una empie il core; chi bee de l’altra, senza amor

79

rimane,

e volge tutto in ghiaccio il primo ardore. Rinaldo gustò d’una, e amor lo strugge; Angelica de l’altra, e l’odia e fugge. Quel liquor di secreto venen misto, che muta in odio l’amorosa cura, fa che la donna che Rinaldo ha visto, nei sereni occhi subito s’oscura;

80

e con voce tremante e viso tristo supplica Sacripante e lo scongiura che quel guerrier più appresso non attenda, ma ch’insieme con lei la fuga prenda. «Son dunque — disse il Saracino — sono dunque in sì poco credito con vui, che mi stimiate inutile,

76, 5. il tempo piglia: coglie il momento opportuno. — 6. l’urta...stretto: lo sprona e lo trattiene con la briglia per renderlo docile. — 7-8. Del... sella: Angelica lascia la groppa del cavallo alleggerito del peso di Sacripante che ora monta Baiardo e si accomoda in sella.

77, 1-2. mira...pedone:

vede venire un pre-

stante guerriero a piedi tutto risuonante d’armi. — 4. il... Amone: Rinaldo. 78, 1-8. E questo...fugge: nella selva d’Ar-

e non buono

denna, tra il Reno e la Mosa, Boiardo aveva collocato le due fontane dell’odio e dell'amore,

bevendo alle quali Rinaldo e Angelica si amano e si odiano senza mai far corrispondere i loro sentimenti. Da ultimo era stato Rinaldo ad attingere alla fonte amorosa e Angelica all’altra (cfr. Orl. inn. 1, 3, 32-50; n, 15, 43-63, 20, 44-6). — 2. di... liquore: una sostanza liquida che produce effetti diversi, opposti. 79, 2. cura: passione,

$ 21.

L’« Orlando furioso » : analisi critica Li

.

*_».

0.*

99

da potervi difender da costui? Le battaglie d’Albracca già vi sono di mente uscite, e la notte ch’io fui per la salute vostra, solo e nudo, (0.0)(e

contra Agricane e tutto il campo, scudo?». Non risponde ella, e non sa che si faccia perché Rinaldo ormai l’è troppo appresso,

,

che da lontano al Saracin minaccia, come vide il cavallo e conobbe esso,

e riconobbe l’angelica faccia che l’amoroso incendio in cor gli ha messo. Quel che seguì tra questi duo superbi vo’ che per l’altro canto si riserbi.

80, 6-8. la notte...scudo: può vantare la straordinaria prova di ardimento compiuta ad Albracca per la salvezza di Angelica (per la salute vostra), quando si era alzato dal letto dove giaceva per il sangue perduto in battaglia e con «il solo brando e il scudo, / vestito di camisa,

e il resto

nudo»

aveva

affrontato

Agricane che era penetrato di notte nella città (cfr. Orl. inn. 1, 11, 34-44). 81, 1. che si faccia: che fare. Fatti salvi i preliminari epici (proposizione, invito all’ascolto, invocazione, dedica: ott. 1-4) e la digressione dell’elmo di Argalia (ott. 2431), lo sviluppo del primo canto coincide con la sua unità tematica, la fuga d’Angelica. Questa è a sua volta iscritta in una unità figurativa,

la selva, ovvero il succedersi delie selve: quinta paesistica che delimita le frenetiche mosse degli innamorati concorrenti e il dinamismo centrifugo dell’azione, ma insieme simbolo iniziale di tutta la vicenda del Furioso in quanto intrigo avventuroso e sentimentale. Fuori da questo stretto rapporto tra ambiente e

movimento

i personaggi

non

hanno

una

reale consistenza. Li caratterizza la situazione in cui vengono a trovarsi, non una predisposta fisionomia psicologica o morale. Prima fra tutti, Angelica, personaggio dominante del canto. Il terrore che l’assale quando è trascinata a galoppo tra « selve spaventose e scure » e il minaccioso stormire «di le frondi e di verzure » con l’incubo di Rinaldo alle spalle (ott. 33-4) si esaurisce nel tempo e nello spazio in cui è di scena l’orrido. Subentrato il « locus amoenus »,

con tutta l’esibizione dei canonici dati naturalistici che fissano la descrizione del « boschetto adorno » come un «topos» (nei termini istituzionali descritti dal Curtius), ma

anche con

l’incremento volumetrico e cromatico che è proprio della civiltà figurativa dell’Umanesimo (ott. 35-8), Angelica riacquista con la molle disposizione al riposo una distesa armonizza-

zione di tratti fisici («la bella donna in mezzo a quel si mette; / ivi si corca, et ivi s’addormenta ») e, altrettanto prontamente, il dominio delle sue arti di adescatrice che manifesta spettacolarmente al disperato Sacripante come una dea nel bel mezzo di uno scenario mitologico (ott. 52). Ma spetta proprio a Sacripante nel « climax » di questo esordio narrativo interrompere il circuito della fascinazione muliebre, seducente ma inaccessibile, e deludere l’eventuale complicità sentimentale del lettore col suo lamento di amante inconsolabile. Le variazioni sul motivo della rosa che egli svolge in due tempi (ott. 42-3, 58), rovesciando in segno negativo, dopo l’apparizione insperata di Angelica, il valore simbolico attribuito alla metafora floreale della verginità, sono a livello tematico ineccepibilmente coerenti. Sia il compianto sulla bellezza disfiorata, o prossima ad essere disfiorata, che l’invito a profanarla (« Corrò la fresca e matutina rosa ») appartengono al registro del vagheggiamento erotico (duplice già in Catullo) che la tradizione lirica, fino a Poliziano e al Magnifico, aveva in proposito sviluppato. Ma sarebbe vano cercare un’analoga coerenza a livello etico. Il personaggio Sacripante non è un carattere: il « pathos » elegiaco che esibisce con la sua entrata in scena può

convivere col sensualismo trionfalistico ostentato subito dopo. Né vale in questo caso mettere in campo l’ironia dell’Ariosto, evocata anche

troppo frequentemente. Semmai essa agisce alla fine, quando il baldanzoso guerriero, pronto ad atterrare la desideratissima fanciulla, sarà a sua volta atterrato, e bruscamente, da un’altra fanciulla, l’invincibile Bradamante, tumultuosamente introdotta mentre egli s’apparecchia al « dolce assalto », sicché toccherà ad Angelica confortare il cavaliere umiliato (ott. 49-70). Idealismo e realismo s’alternano in questo

primo canto senza stridere e senza che l’Ariosto si compiaccia di facili simmetrie oppositive.

Ludovico

100

Ariosto

È evidente che il carattere di opera piacevole, tesa, come voleva il pocta, a suscitare il diletto del suo pubblico, non consiste nel grezzo materiale narrativo impiegato, ma nella particolare organizzazione artistica di questo stesso materiale,

nell’arte ariostesca di narrare. Secoli di esegesi critica recano il segno di una tenace ricerca delle qualità e del significato di quest'arte, ma lasciano anche l’impressione di una meta difficilmente raggiungibile, elusiva alla fine. Senonché questa elusività non può essere ascritta genericamente a difetto di impostazioni e metodologie critiche: essa è piuttosto intrinseca alla natura del poema, se non ‘alle intenzioni dell’artista, e vale come argomento in favore di una lettura «aperta », disponibile alla massima acquisizione dell’insieme. poetico, senza rinunciare alla molteplicità dei dati artistici particolari di cui il Furioso è riccamente costituito e senza i quali è impossibile arrivare a cogliere il suo centro espressivo e significante. La materia di cui è costituito l’Orlando furioso è quella cavalleresca e amorosa dei poemi e romanzi della tradizione epica e avventurosa francese che la società ferrarese si mostrava avida di consumare. Questa materia il Boiardo l’aveva rielaborata e fusa nell’Innamorato, mostrando con la sua prepotente inventività narrativa di saper innestare all’interno degli schemi portanti dell’epicità carolingia e del romanzo bretone una varietà di temi attinti ad altrè tradizioni locali (dei pocmi franco-veneti diffusi in area padana), germaniche e soprattutto classiche. Il risultato ottenuto dal Boiardo e il successo della sua opera avevano dimostrato che

il poema

cavalleresco,

senza

rinunciare

del tutto

alle sue

finalità epiche,

era capace di assorbire una molteplicità inesauribile di suggerimenti narrativi e di offrirsi come una specie di territorio franco in mezzo alla codificazione dei generi, proprio cioè come il territorio adatto a far prosperare la libera poesia arioSublimazione

amorosa

e. desiderio -irruento

dei

sensi si integrano, così come le leggi dell’onore cavalleresco e le proposte del buonsenso borghese si sostengono a vicenda (ott. 16-22). Di fatto la poesia dell’Ariosto si rivela subito nella tendenza alla integrazione degli opposti anziché alla loro reciproca esclusione. Anche a livello stilistico. Si prendano i primi due versi del canto. Formule virgiliane, echi danteschi e materia boiardesca sono fusi in una chiara sintesi formale: risultato abilmente perseguito di un’accorta « reductio ad unum » di elementi lessicali e sintattici che la « dispositio » primi-_ tiva (delle edd. ’16 e ’21: « Di donne e cavallier gli antiqui amori / le cortesie [. . .] ») lasciava

grandi prove. Uno «specimen » come quello dell’ott. 33 (« Fugge tra selve ecc. »), analizzato da G. De Robertis nelle sue componenti ritmiche, fono-simboliche ed espressive, fornisce dati notevoli sui criteri. compositivi del Furioso. L’insistenza sulle sibilanti (v. 1), ’«am-

plificatio » del v. 2, l'interruzione della serie nominale (v. 4) rivelano una complessità di costruzione che si placa al di là del giro sinuoso dell’ottava, nella rispondenza quasi speculare con la similitudine svolta, con accentuazione di drammaticità,

nell’ottava

successiva.

Esi-

ancora scissi, mentre quella definitiva — come osserva B. Terracini (in Lingua libera e libertà linguistica, Torino 1970, p. 52) — «finisce di presentarci di colpo come una scena armoni-. camente disposta, «quasi un'ardita proposizione

genze narrative e gusto del particolare compositivo si alleano qui a vantaggio della, situazione. Ma neppure l’indugio lirico più esplicito è in questo senso fuorviante: come nell’assolo di Sacripante afflitto, dove il: citato motivo della rosa è assecondato dall’intreccio della «variatio », degli asindeti e dei polisindeti. (ott.. 42), ma per essere ripreso e capovolto, come

nominale di cui il verbo non r è che il nascosto

s’è visto, con esito caratterizzante

‘ supporto ».

‘Si: tratta di un ‘processo di armonizzazione che risalta meglio se osservato nella ‘struttura | più fluida, € insieme compatta, dell’unità stro-

fica. L’ottava ariostesca fa fin dall'inizio le sue.

e narrativo.

|

L'unità della. scrittura poetica dell’Ariosto è in realtà già tutta presente in questo canto,

nella piena. fusione d racconto.

di indugio descrittivo

©)

$ 21.

L’« Orlando furioso » : analisi critica

101

stesca. La supposta libertà della materia cavalleresca, che Hegel, Gioberti e De

Sanctis ascrivevano al carattere individualistico e anarchico della vita feudale, è

piuttosto un traguardo artistico raggiunto da una personalità poetica quale fu quella del Boiardo, capace di utilizzare d’istinto le possibilità creative immanenti al repertorio avventuroso dei romanzi e quelle ricettive di un pubblico familiarizzato ormai da molto non solo con i nuclei tradizionali e costanti di questo repertorio ma anche con gli incrementi e adattamenti narrativi a livello colto e popolare. Col Boiardo il codice cavalleresco, rigido ancora nei cantari ed anche nella variante burlesca del Pulci, si definisce nella compresenza, anziché nella scissione,

degli elementi eroici ed erotici (armi e amori) dentro una stessa azione e nella nobilitazione di quest’azione a livello cortigiano ed encomiastico: uno degli eroi agenti nel poema, il capostipite della famiglia principesca, prima destinataria dell’opera, assicura agli eventi romanzeschi il privilegio di una necessità storica provvidenziale e li eleva umanisticamente, comparandoli al grande modello dell’epopea classica, all’Eneide virgiliana. Era quanto bastava alla fantasia dell’Ariosto. Il Furioso in realtà non modifica il codice cavalleresco dell’Innamorato, lo perfeziona: ciò che nel Boiardo appare ancora come giustapposizione di temi, talora groviglio narrativo e finanche incoerenza (propria di uno scrittore che si fa tra| scinare dal fervore dell’invenzione), diventa qui svolgimento equilibrato e valorizzazione piena delle parti nel tutto, misura classica, in altri termini, applicata a

. una materia romanzesca tendenzialmente disorganica. Per questo la disparità delle fonti utilizzate non ‘stride. Il repertorio tematico del Furioso è tutt'altro che - selettivo: il blocco ‘maggiore delle storié e dei personaggi è ovviamente prelevato dal fondo ancora disponibile dell’Innamorato; ma l’Ariosto attinge dovunque trova spunti narrativi da rielaborare poeticamente. Pio Rajna, lo studioso più ostinato nel ricostruire tutti i debiti contratti dall’ Ariosto con gli scrittori precedenti, ha registrato in un elenco ancora, seppure parzialmente, integrabile (specie dopo la recente scoperta di alcune significative rispondenze con le Intercenali di Leon Battista Alberti), le moltissime fonti del Furioso. Riassumendo, esse possono essere indicate: nei romanzi francesi medievali, nei Reali di Francia, nei cantari contemporanei; nella tradizione novellistica, del Boccaccio e di molti altri narratori, espressi e anonimi, occidentali e orientali, di diffusione scritta e

orale; nelle opere dei poeti e storici antichi: nei poemi omerici, che l’Ariosto conosceva in traduzione latina, nell’Eneide, nelle Metamorfosi e nelle Eroidi di Ovidio, nella Farsalia di Lucano, nei Carmi di Catullo, in Apuleio, in Valerio

Massimo, in Giustino. Si aggiungano i numerosi spunti ambientali, geografici, esotici che Ariosto raccoglieva da trattati ed enciclopedie dell’antichità (la Naturalis historia di Plinio il Vecchio, la Corografia di Pomponio Mela e la Geografia di Strabone, l’Introduzione alla geografia di Claudio Tolomeo, forse i Collectanea di Solino, le Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, le Vite di Plutarco), senza disdegnare scritture memorialistiche, come Il Milione di Marco Polo, Ò

una compilazione didattico-allegorica come il Dittamondo di Fazio degli Uberti,

Ludovico

102

Ariosto

La massa di materiale narrativo che questi precedenti forniscono riduce a tal punto il contributo di invenzioni del Furioso che sempre il Rajna ha potuto concludere che anziché essere «un poeta per eccellenza fantastico, l’Ariosto è un poeta per eccellenza ragionatore ». In realtà, a parte l’ovvia replica circa la confusione tra immaginazione (qualità materiale dell’artista) e fantasia (qualità intrinsecamente poetica del creatore), l'osservazione può considerarsi pertinente. Ariosto non intende gareggiare con Boiardo in fervore inventivo. Come l’atlante gli basta per conoscere tutte le terre esplorate viaggiando con la fantasia e senza mettere a rischio la vita (cfr. Satira III, vv. 58-66), così le storie già scritte, i

mondi già descritti gli bastano per disegnare il suo nuovo atlante poetico, in cui i luoghi comuni, le situazioni convenzionali della tradizione letteraria, i tòpot, si rigenerano al punto da far dimenticare la « catena delle forme anteriori » (Rajna) che la soluzione ariostesca presuppone. Il segreto di questa rigenerazione di una materia vecchia e variamente sfruttata è il segreto stesso dell’arte dell’Ariosto che nessuna per quanto accorta vivisezione delle fonti può intaccare. Consiste nella capacità del poeta di trasporla nell’organismo del poema, nel rielaborarla stilisticamente, ma anche nella valutazione che egli dà di quella materia, nella sua attitudine psicologica e intellettuale di assimilarla umanisticamente, come modello di eventi umani ripetibili, come trascrizione di una varia realtà di affetti, sentimenti e conflitti modificabile nella forma ma non nella sostanza e che gli scrittori hanno avuto il merito di conservare. In questo senso si può parlare delle qualità di osservatore e ragionatore dell’Ariosto. Ma queste qualità non limitano la resa poetica. Pienamente partecipe di una cultura classicista nel senso più esteso,

non

limitata

all’esclusiva

valorizzazione

dell’antichità

greca

e latina,

Ariosto osserva la letteratura come un’infinita geografia mitologica che s’arricchisce continuamente con l’apporto dei poeti conservando intatti gli archetipi narrativi: la storia di Arianna abbandonata, ancora mito in Catullo, diventa vi-

cenda in Ovidio e può rigenerarsi in Olimpia e in Angelica; così l’omerica Circe riappare nella virgiliana Didone e rinasce in Alcina; ed Ercole e Perseo, uccisori di mostri, si ricostituiscono in Orlando.

Ma anche una storia recitata nel tono

umile del canterino, o trasmessa senza particolare rilievo artistico da narratori di romanzi medievali, può avere per Ariosto un’analoga rilevanza mitopoietica, e lo stesso Orlando, il personaggio più solenne, è figura che recepisce i connotati di un san Giorgio vendicatore fissati nell’immaginazione popolare. Per questa totale integrazione di fonti culte e umili, di temi romanzeschi avventurosi tragici eroici e buffoneschi il Furioso è la più grande rielaborazione umanistica di un materiale fino ad allora rimasto separato e destinato a uditori diversi. Costituisce un singolare modello di poesia classicistica, suscettibile di risultare gradita non solo a « Signori e persone di animi gentilli e madone », per «spasso e recreatione » dei quali l’Ariosto s'era accinto all’opera, ma a chiunque «se delecterà de legerla », a un pubblico vasto e imprevedibile, insomma: quel «vulgo » cui appunto, come notava il Trissino con l’acutezza stizzosa dell’autore

epico fallito, piaceva il Furioso.

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L’'« Orlando furioso » : analisi critica

103

L’Innamorato è oltre che la fonte primaria, il modello strutturale del Furioso. Ariosto vi coglie tutte le risorse implicite in una forma di racconto aperto, che lascia la più ampia possibilità di sviluppo a una materia così intrinsecamente dinamica qual è quella cavalleresca. Tutta l’azione del poema si svolge su due situazioni iniziali aperte, la fuga di Angelica e l’inchiesta di Bradamante, le quali inaugurano, sia pure nel segno di una condizione sentimentale opposta (Angelica fugge gli amanti, Bradamante insegue il suo), le due sequenze narrative portanti da cui prolifera la molteplicità delle sequenze narrative accidentali, delle articolazioni e digressioni. Esse assicurano la continuità della narrazione, ma non la esauriscono né limitano l’autonomia degli episodi che s’inseriscono nel percorso casualmente determinato da quelle situazioni iniziali con pienezza di sviluppo, non come elementi decorativi o sussidiari di un quadro che obblighi a convergere lo sguardo su una rappresentazione centrale. In altri termini il romanzo di Olimpia non ha bisogno di essere letto come funzione del romanzo di Orlando alla ricerca di-Angelica scomparsa per essere apprezzato in tutta la sua compiutezza, ed anche il favoloso soggiorno di Ruggiero nell’isola d’Alcina può prescindere dalla sua significazione allegorica rispetto ai compiti assegnati nel poema all’eroe estense capostipite. Lo sviluppo simultaneo degli episodi che, anziché succedersi nel tempo si manifestano contemporaneamente nello spazio, valorizza questa articolazione policentrica della materia. La simultaneità è infatti uno dei cardini del sistema narrativo del Furioso. Per attuarla l’Ariosto ricorre frequentemente all’espediente delle interruzioni con l’intenzione espressa di tenere desta l’attenzione del lettore-uditore. Ma la variatio non serve soltanto alla delectatio del pubblico: stabilisce una serie di rispondenze tra episodio e episodio, pur risolti da esiti diversi (Angelica appare a Sacripante nell’ameno boschetto dove il saraceno piange d'amore per lei; Bradamante soccorre Pinabello, anch’egli piangente d’amore in un boschetto); accresce l’effetto emotivo di un tema fondamentale orchestrandolo variamente su più corde (le peripezie della fanciulla perseguitata nella quadruplice versione di Ginevra liberata da Rinaldo, Angelica liberata da Ruggiero, Olimpia da Orlando, Isabella ancora da Orlando), oppone tra loro con effetto liberatorio su chi legge, situazioni di forte tensione drammatica (l’epos cruento dell’assedio di Parigi e quello favoloso e da parata di Damasco), allinea episodi di significato contrastante con un crescendo alternativo che talvolta arriva ad essere

parossistico e che tende a far perdere al lettore le tracce del punto di vista. dell’autore (tipica la contrapposizione dei motivi misogini alle occasioni di elogio delle donne: l’empietà di Orrigille e di Gabrina è risarcita dalla costanza di Isabella e di Fiordiligi, santificate nel martirio; l’infedeltà istintiva di Fiammetta, priva di malizia, ha il pendant nel turpe peccato dell’avaro dottor Anselmo; la

dura legge avversa agli uomini delle « femine omicide » è compensata a iosa dalla cupa tirannia di Marganorre). Ma la simultaneità degli eventi è anche funzionale all’intreccio labirintico del poema. La tortuosità dei due percorsi iniziali tracciati

da Angelica e Bradamante costringe i personaggi a perdersi e a ritrovarsi, a muo-

Ludovico

104

Ariosto

versi in un incastro di storie, a scambiarsi le parti. Anche Parigi, luogo deputato dell’epos carolingio, è una stazione provvisoria nel movimento inarrestabile della macchina ariostesca: persino Rodomonte, la cui forza smisurata è esaltata nella contrapposizione tra la sua isolata figura e la moltitudine inerme della popolazione parigina, ne è allontanato; e del resto nel corso dell’azione lo stesso centro epico si sposta, da Parigi a Arli e a Lipadusa, quasi a sottolineare l'assenza di nuclei privilegiati dell’azione. Osservato

nella sua

struttura,

il Furioso può sembrare, quindi, un

dedalo

senza un’apparente filo d'Arianna, un congegno caricato automaticamente da meccanismi che si trasmettono reciprocamente il loro moto perpetuo. Ma la sensazione è falsa anche a livello strutturale. Il moto intanto è rallentato dalla scansione dei canti. Questi non aprono e chiudono un episodio: ubbidiscono alla finzione canterina del narratore stanco di raccontare o timoroso di stancare l’uditorio, ma servono soprattutto a dare rilievo nelle riprese del racconto (gli esordi) alla parte che l’autore si è assegnata nel poema. Si tratta di una parte discreta ma nient’affatto neutra. Contrariamente a quanto farà il Tasso, Ariosto non si mimetizza con nessun personaggio e con nessuna situazione, tranne che per ostentare scherzosamente una compromissione autobiografica con certi casi sentimentali estremi, come la pazzia di Orlando. Ma proprio questo distacco nei confronti dei fatti narrati gli consente di esercitare sul pubblico un'efficace funzione di guida alla lettura. La suprema oggettività del mondo poetico ariostesco non annulla la soggettività di un mondo morale profondamente serio, sia pure manifestato perlopiù con atteggiamento sorridente, né l’ironia, la chiave psicologica di cui molti interpreti hanno abusato per spiegare l’atteggiamento del poeta nei confronti della sua materia favolosa, può essere scambiata con un irresponsabile divertimento dello scrittore alle spalle del suo stesso prodotto creativo. Essa è piuttosto un espediente riduttivo, un modo di ricondurre a misura umana la dimensione

fantastica

degli eventi

narrati,

e la loro tensione

idealizzante,

di

convertire la poesia in prosa, inverandola quindi nella realtà comune, sentimentale, se non materiale. Raramente l’ironia si esprime come contrapposizione tra mondo reale e mondo immaginato, e quando questo accade essa suona soprattutto come invettiva nei confronti del primo anziché come scherno dell’altro (cfr. 1, 2A) L’indice ideologico degli esordi mette bene in rilievo l’eticità dello scrittore, calda, umana, serena, ma non arrendevole, talvolta il suo pessimismo dissimulato dalla saggezza di chi conosce la natura varia degli uomini e il divario tra il mondo del dover essere e quello della necessità effettuale. Ma lo spartiacque per una presa di posizione responsabilmente laicaè chiaro. Le colpe per eccesso di desiderio sono giustificabili e forse anche da commiserare, ma quelle che sono promosse

da una volontà di sopraffazione,

dalla frode, dall’inganno, che tendono

a un sovvertimento di un onesto rapporto tra gli uomini, no: morale di stampo borghese, d’intonazione proverbiale molto spesso, che non degrada tuttavia la

più alta eticità dell'immaginario mondo cavalleresco, perché anzi predispone a

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L'« Orlando furioso » : analisi critica

105

farne percepire tutta la significazione ideale. Il rispecchiamento a livello borghese e soggettivistico della realtà mitica narrata ha perciò negli esordi una rilevanza ideologica e funzionale non trascurabile. Ma preso come unica chiave di lettura del Furioso rischia di apparire come una contro-lettura, come un commento alternativo ai canti. Il succo del poema va spremuto dalla stessa fluidità del racconto. L'azione aperta, l’intercambiabilità delle storie e delle funzioni, l’alternanza di registri sentimentali, il flusso narrativo inesauribile, sono la forma in cui l’Ariosto organizza il vario spettacolo della vita con un’estrema libertà di movimenti e di passioni. Contemplata nella forma in cui la rappresenta il Furioso, la vita potrebbe significare poco o niente: dentro questo regno del possibile tutto è vero solo perché accade, e sarebbe vano tentare di fissare la rapidità del contingente nella stabilità di una certezza o di un valore. Un minimo di saggezza imporrebbe quindi di lasciarsi trascinare dalla continuità imprevedibile degli eventi. Ma la morale del poema non è questa, non invita né allo stoicismo né allo scetticismo. L’antica proposta oraziana dell’aurea mediocritas e quella guicciardiniana, che sarà formulata di lì a poco, dell’utile individuale, sono parimenti estranee alla moralità dell’Ariosto. Proprio quella ricchezza di desideri, quella ricerca di felicità costituiscono il segreto vitale dell’esistenza. Angelica appagata da Medoro è cancellata dalla poesia del Furioso, persino derisa in maniera brutale e sconveniente nel suo ultimo incontro con l’inappagato e ormai irriconoscibile Orlando; gli ostacoli al matrimonio si moltiplicano per Ruggiero e Bradamante quando gli impedimenti primari (le lotte tra cristianità e paganità) sono rimossi proprio per ritardare una felicità che, raggiunta, si sconta con l’inerzia vitale, con l’inespressività. La condizione dominante dei personaggi del Furioso è quella di essere erranti intellettualmente e fisicamente, di agire e di sentire entro un mondo illusorio. Uno dei momenti più pregni di significato di tutto il poema, l’incantato convegno dei cavalieri e delle dame nel secondo palazzo di Atlante, esprime quella inconsapevole condizione dei protagonisti ritmandola nei movimenti di una malinconica mosca cieca.

II.

[IL PALAZZO DEI DESTINI INCROCIATI] 8

= unt Sa

Di vari marmi con suttil lavoro edificato era il palazzo altiero. Corse dentro alla porta messa d’oro con la donzella in braccio il cavalliero. Dopo non molto giunse Brigliadoro,

, ott. 8-22; dall’ed. cit., cei

8, 2. altiero: superbo, maestoso. — 3. messa d’oro: dorata, ricoperta di strati d’oro. — cc

Ludovico

106

Ariosto

che porta Orlando disdegnoso e fiero. Orlando, come

9

è dentro, gli occhi gira;

né più il guerrier, né la donzella mira. Subito smonta, e fulminando passa dove più dentro il bel tetto s’alloggia: corre di qua, corre di là, né lassa

10

11

che non vegga ogni camera, ogni loggia. Poi che i segreti d’ogni stanza bassa ha cerco invan, su per le scale poggia; e non men perde anco a cercar di sopra, che perdessi di sotto, il tempo e l’opra. D'oro e di seta i letti ornati vede: nulla de muri appar né de pareti; che quelle, e il suolo ove si mette il piede, son da cortine ascose e da tapeti. Di su di giù va il conte Orlando e riede; né per questo può far gli occhi mai lieti che riveggiano Angelica, o quel ladro che n’ha portato il bel viso leggiadro. E mentre or quinci or quindi invano il passo movea, pien di travaglio e di pensieri, Ferraù, Brandimarte

e il re Gradasso,

re Sacripante et altri cavallieri vi ritrovò, ch’andavano alto e basso, né men facean di lui vani sentieri;

12

e si ramaricavan del malvagio invisibil signor di quel palagio. Tutti cercando il van, tutti gli dànno colpa di furto alcun che lor fatt’abbia: del destrier che gli ha tolto, altri è in affanno;

ch’abbia perduta altri la donna, arrabbia; altri d’altro l’accusa: e così stanno,

che non si san partir di quella gabbia; e vi son molti, a questo inganno presi, stati le settimane intiere e i mesi.

Brigliadoro: il cavallo di Orlando. — 8. mira: vede. 9, 1. fulminando: con la rapidità di un fulmine. — 2. dove... alloggia: negli ambienti interni del bell’edificio, dove sono gli alloggi degli ospiti. — 3-4. né...vegga: e non tralascia di guardare. — 5. bassa: terrena; a pianterreno. — 6. cerco: cercato. — poggia: sale. 10, 4. cortine: arazzi. 11, 3-4. Ferraù...cavallieri: nella ottava successiva si accenna ai vari inganni (furto del cavallo, della donna o di altro che hanno caro)

che li ha portati dentro il palazzo. Ferraù èra uscito di scena al c. I (ott. 30 e 31), dopo aver giurato che avrebbe tolto l’elmo ad Orlando; Brandimarte, devotissimo di Orlando, aveva lasciato Parigi in cerca del Paladino (viti, 86- . 8); Gradasso e Sacripante erano nel castello d’Atlante e furono liberati da Bradamante (Iv, 44). — 5. alto e basso: su e giù per il palazzo. — 6. vani sentieri: inutili andirivieni. 12, 1. il van: lo vanno (riferito al signore del palazzo). — 3. altri: taluno. — 4. arrabbia:

è preso di rabbia.

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L’« Orlando furioso » : analisi critica

13

107

Orlando, poi che quattro volte e sei tutto cercato ebbe il palazzo strano, disse fra sé: « Qui dimorar potrei, Gittare il tempo e la fatica invano: e potria il ladro aver tratta costei da un’altra uscita, e molto

esser lontano ».

Con tal pensiero uscì nel verde prato dal qual tutto il palazzo era aggirato. 14

Mentre

circonda

la casa silvestra,

tenendo pur a terra il viso chino per veder s’orma appare, o da man destra o da sinistra, di nuovo camino; si sente richiamar da una finestra: e leva gli occhi; e quel parlar divino gli pare udire, e par che miri il viso, che l’ha, da quel che fu, tanto diviso.

15

Pargli Angelica udir, che supplicando e piangendo gli dica: « Aita, aita! la mia wvirginità ti raccomando più che l’anima mia, più che la vita. Dunque in presenzia del mio caro Orlando da questo ladro mi sarà rapita? Più tosto di tua man

dammi

la morte,

che venir lasci a sì infelice sorte ». 16

Queste

parole una

et un’altra volta

fanno Orlando tornar per ogni stanza, con passione e con fatica molta, ma temperata pur d’alta speranza. Talor si ferma,

17

et una

13, 1. quattro...sei: molte volte. — 2. cercato: esplorato. — 8. aggirato: circondato. 14, 1. circonda... silvestra: gira intorno al palazzo posto in mezzo al bosco. — 2. pur: continuamente. — 4. di nuovo camino: di recente passaggio. — 8. tanto diviso: fatto tanto diverso; cfr. Petrarca, Canz. 292, 3: « che m’avean

sì da me stesso diviso », in rima con « viso ». 12: Aita, aita: Aiuto, aiuto. Orlando sin dal

suo

apparire

voce

ascolta,

che di quella d’Angelica ha sembianza (e s’egli è da una parte, suona altronde), che chieggia aiuto; e non sa trovar donde. Ma tornando a Ruggier, ch’io lasciai quando dissi che per sentiero ombroso e fosco il gigante e la donna seguitando, in un gran prato uscito era del bosco; io dico ch’arrivò qui dove Orlando

nel paeme s’era mostrato

ansioso

per la verginità minacciata di Angelica; cfr. vii, 77 sgg. — 8. che... lasci: che lasciarmi abbandonata. 16, 3. con...molta: con molto dolore e travaglio dell'animo. — 4. alta: profonda. — 7.

altronde: da un’altra parte. — 8. donde: donde suona, provenga. 17, 1-4. ch'io...bosco: l’aveva lasciato all’inseguimento del gigante e di Bradamante; cfr. xI, 21, da dove riprende quasi alla lettera. —

Ludovico

108

Ariosto

dianzi arrivò, se ’1 loco riconosco.

Dentro la porta il gran gigante passa: Ruggier gli è appresso, e di seguir non lassa. Tosto che pon dentro alla soglia il piede, 18 per la gran corte e per le loggie mira; né più il gigante né la donna vede, e gli occhi indarno or quinci or quindi aggira. Di su di giù va molte volte e .riede; né gli succede mai quel che desira: né si sa imaginar dove sì tosto con. la donna il fellon si sia nascosto. Poi che .revisto ha quattro volte e cinque 19 ‘di su di giù camere e loggie e sale, pur di nuovo ritorna, e non relinque che non ne cerchi fin sotto le scale. Con speme al fin che sian ne le propinque selve, si parte: ma una voce, quale richiamò Orlando, lui chiamò non manco; e nel palazzo il fe’ ritornar anco. Una voce. medesma, una persona 20 che paruta era. Angelica ad Orlando, È parve a Ruggier la donna di Dordona, che lo tenea di se medesmo in bando. Se con Gradasso

o con alcun ragiona

;-

di quei ch’andavan nel palazzo errando, a tutti par che quella cosa sia, che più ciascun per sé brama e desia. 21

Questo

era un nuovo

e disusato incanto

ch’avea composto Atlante di Carena, perché Ruggier fosse occupato tanto in quel travaglio, in quella dolce pena, che ’1 mal’influsso n’andasse da canto,

l’influsso ch'a morir giovene il mena. Dopo il castel d’acciar, che nulla giova, a dopo Alcina, Atlante ancor fa pruova. . Non pur costui, ma tutti gli altri ancora,

22

6. se.. . riconosco: inciso di tipo narrativo, senza

un reale valore non

tralascia,

dubitativo.



8. non

/assa:

desiste..

‘me

18, 4. aggira: gira (cfr. Orlando nella corrispondente situazione in 11, 8, 7-8 e 10, 5). — 6. gli succede: ottiene. 19, 3. non relinque: non tralascia; cfr. Par. 1x,

42; «dove si hanno le stesse rime che qui» (Ceserani). — 7. non manco: non meno, anche. —

8. anco:

ancora.

20, 3. Za... Dordona: Amone,

4. lo...bando: lo teneva fuori di se stesso; cfr. Petrarca, Canz. 76, 4: «ch’ancor me di

Bradamante,

figlia di

signore di Dordona; cfr. 1, 68, 7. —

stesso

tene

in bando ».

21, 1. um... incanto: un incantesimo nuovo e strano, fuori dell’uso magico. — 2. Atlante di

Carena: il mago precettore di Ruggiero; cfr.. iv, 30, 4 e n. — S-6. che... mena: che fosse neutralizzato il maligno influsso degli astri che condannavano Ruggiero a morir giovane di tradimento dopo essersi convertito al Cristianesimo. — 8. ancor fa pruova: fa ancora un tentativo per salvare Ruggiero.

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L’« Orlando furioso » : analisi critica

109

che di valore in Francia han maggior fama, acciò che di lor man Ruggier non mora, condurre Atlante in questo incanto trama. E mentre fa lor far quivi dimora, perché di cibo non patischin brama, sì ben fornito avea tutto il palagio, che donne e cavallier vi stanno ‘ad agio.

L’illusionismo del mago si serve delle illusioni dei personaggi, catturati col richiamo del loro più caro desiderio e corrisponde all’illusionismo del poeta che non intende fare di questa cattura uno strumento liberatorio della falsa coscienza in cui i suoi eroi sono immersi. Astolfo con un altro incantesimo spezzerà l'incantesimo di Atlante, ma i prigionieri, una volta liberati, ritorneranno come prima ad inseguire le loro illusioni. Ariosto sa con Erasmo che «eum errorem tollere, est fabulam omnem perturbare» (Encomium Morias xxIx), significa interrompere lo spettacolo della vita. Anche il Furioso è un elogio della pazzia. La grande satira erasmiana è forse la chiave ideologica più sicura per cogliere tutto intero il significato del poema ariostesco, non soltanto per introdurre alla parte polemica del Furioso evidente soprattutto nella sequenza dell’arcangelo Michele così sprezzantemente anticlericale e antiteologale (cfr. x1v,75 sgg.). La pazzia che Erasmo esalta è il «iucundus quidam mentis error» che libera l'animo dalle ansiose preoccupazioni e lo colma di vario piacere, quella stessa pazzia o errore (parole. tematiche che hanno grande valore nel Furioso) che, come dice Ariosto, fa vedere a occhi chiusi il bene e a occhi aperti il male. Questo piacevole errore ‘non va curato, ma l’altro « insaniae genus », di cui parlava Erasmo; quello -che le furie, infondevano nei cuori umani come ardore di guerra, sete di danaro, «vel dedecorosum ac nefarium amorem», è un furore funesto dal quale bisogna guardarsi. Ma anche al saggio è difficile sottrarsi alla pazzia d'amore. Orlando, il più «intellettuale » dei cavalieri, è la vittima designata di un incontenibile processo d’alienazione, dal cupo dolore della consapevole infelicità all’esplosione brutale della demenza selvaggia: III. [“ LA GRAN FOLLIA 1)

100: Lo strano corso che tenne il‘cavallo del Saracin pel bosco senza via, «fece ch'Orlando andò duo giorni in fallo,

6. patischin: patiscano, soffrano. — 8. ad

j iio: alloroagio. Bet sà pi 1 36; dall’ed. HI OrlandoSura, XXIII, ott.100.

cit., pp. 590-9.

100, ‘2. senza via: non segnato da sentiero: cfr. Inf. xn1, 2-3: «bosco che da nessun sentiero i era segnato ). — 3. andò ...in fallo: errò inu-

Ludovico

110

101

Ariosto

né lo trovò, né poté averne spia. Giunse ad un rivo che parea cristallo, ne le cui sponde un bel pratel fioria, di nativo color vago e dipinto, e di molti e belli arbori distinto. Il merigge facea grato l’orezzo al duro armento et al pastore ignudo; sì che né Orlando sentia alcun ribrezzo, che la corazza avea, l’elmo e lo scudo.

102

103

Quivi egli entrò per riposarvi in mezzo; e v'ebbe travaglioso albergo e crudo, e più che dir si possa empio soggiorno, quell’infelice e sfortunato giorno. Volgendosi ivi intorno, vide scritti molti arbuscelli in su l’ombrosa riva. Tosto che fermi v’ebbe gli occhi e fitti, fu certo esser di man de la sua diva. Questo era un di quei lochi già descritti, ove sovente con Medor veniva da casa del pastore indi vicina la bella donna del Catai regina. Angelica e Medor con cento nodi legati insieme, e in cento lochi vede. Quante lettere son, tanti son chiodi

104

coi quali Amore il cor gli punge e fiede. Va col pensier cercando in mille modi non creder quel ch’al suo dispetto crede: ch’altra Angelica sia, creder si sforza, ch’abbia scritto il suo nome in quella scorza. Poi dice: « Conosco io pur queste note: di tal’io n’ho tante vedute e lette. Finger questo Medoro ella si puote: forse ch'a me questo cognome mette ». Con tali opinion dal ver remote usando fraude a se medesmo,

stette

tilmente qua e là. — 4. spia: indizio. — 5. che parea cristallo: che era limpido come cristallo; cfr. 11, 35, 4. — 7. di... dipinto: bello

funesto. ; 102, 3. fermi... fitti: prima soffermati, come per caso, poi fissati con intensità, perché messo

e variamente

in sospetto. — 4./a... diva: Angelica. — 5. già descritti: cfr. xix, 27-36. — 7. indi vicina: non lontana da lì.

dipinto

col colore

naturale

dei

fiori. — 8. distinto: adorno (latin.). 101, 1. I! merigge: Il caldo dell’ora meridiana. —

orezzo:

rezzo, ombra

fresca e ventilata. —

2. al duro...ignudo: all’armento, sebbene sia resistente (duro) alle intemperie, e al pertase sebbene sia pressoché nudo. — 3. sì. brezzo: cosicché neppure Orlando poteva. sen-

tire brividi di freddo

(ironico). —

7. empio:

103, 1-2. Angelica . . . insieme: cfr. x1x, 36, 7-8.

— 4. fiede: ferisce. — 6. non. ..crede: di convincersi che non sia vero quello che a suo dispetto, a suo danno, vede per vero.

104, 1. pur queste note: bene questi caratteri. — 4. cognome: soprannome. — 5. remote:

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L’« Orlando furioso » : analisi critica

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ne la speranza il mal contento Orlando, che si seppe a se stesso ir procacciando. Ma sempre più raccende e più rinuova, quanto spenger più cerca, il rio sospetto: come l’incauto augel che si ritrova in ragna o in visco aver dato di petto, quanto più batte l’ale e più si prova di disbrigar, più vi si lega stretto. Orlando viene ove s’incurva il monte a guisa d’arco in su la chiara fonte. Aveano in su l’entrata il luogo adorno coi piedi storti edere e viti erranti. Quivi soleano al più cocente giorno stare abbracciati i duo felici amanti. V’aveano

107

108

111

i nomi

lor dentro e d’intorno,

più che in altro dei luoghi circostanti, scritti, qual con carbone e qual con gesso, e qual con punte di coltelli impresso. Il mesto conte a piè quivi discese; e vide in su l’entrata de la grotta parole assai, che di sua man distese Medoro avea, che parean scritte allotta. Del gran piacer che ne la grotta prese, questa sentenzia in versi avea ridotta. Che fosse culta in suo linguaggio io penso; et era ne la nostra tale il senso: « Liete piante, verdi erbe, limpide acque, spelunca opaca e di fredde ombre grata, dove la bella Angelica che nacque di Galafron, da molti invano amata,

tanto lontano. — 8. che... proccacciando: spe_ ranza che riuscì a crearsi nella mente. 105, 3-6. come...stretto:

cfr.

Ovidio,

Met.

XI, 73-5: « Utque suum laqueis, quos callidus abdidit anceps / crus ubi commisit volucris, sensitque teneri, / plangitur, ac trepidans astringit vincula motu »; e Ariosto, Scolastica Iv, 3, 1386-9: « A punto siàn come gli augei che cascano / ne la rete, che quanto si dibattono / più per uscirne, tanto più s’intricano ». — 4. in ragna o în visco: nella rete o nel vischio messi per la caccia. — 7. s'incurva il monte: formando una grotta. — 8. a guisa d’arco: cfr.

Ko23092106, 1. adorno: adornato. —

2. coi... erranti:

cfr. x1v, 3, 1-4: « una capace / e spaziosa grotta entra nel sasso, / di cui la fronte l’edera seguace / tutta aggirando va con storto passo »; e Poliziano, Stanze

1, 83, 8: «l’ellera va car-

pon co’ pie’ distorti». Gli avvolgimenti delle edere e delle viti avevano ricoperto e adornato

l’entrata della grotta. —

3. al...giorno: nelle

ore più calde; cfr. x1x, 35, 5. 107, 4. allotta: allora allora, da poco. — 5-6. Del ...ridotta: aveva espresso in questa epigrafe in versi il grande piacere che aveva pro-

vato nella grotta. — 7-8. Che...senso: «io penso che nella lingua di Medoro quella ‘“ sentenza ”’ fosse elaborata artisticamente (culta), cioè apparisse elegante (penso, perché quella lingua non la conosco e non posso esattamente giudicare), in ogni modo essa nella nostra lingua suona così» (Caretti). Nota la sconcordanza tra in suo linguaggio (v. 7) e ne la nostra (v. 8), residuo di una correzione non perfezionata: nelle due prime edizioni (A e B) l’Ariosto aveva scritto «in la sua lingua», nell’ultima corresse «in suo linguaggio », tralasciando di concordare nel verso successivo. 108, 1. Liete...acque: cfr. Petrarca, Canz.

162, 1: « Lieti fiori e felici, e ben nate erbe »: l’attacco è simile, non

la situazione.



2. di

Ludovico

112

Ariosto

spesso ne le mie braccia nuda giacque; de la commodità che qui m'è data, io povero Medor ricompensarvi d’altrò. non posso; che d’ognior lodarvi: ‘e di pregare ogni. signore amante, e cavallieri. e damigelle, e ognuna persona, o paesana o viandante, che qui sua volontà meni o Fortuna;

109.

ch’all’erbe, all’ombre,

all’antro, al rio, alle piante

dica: benigno abbiate e sole e luna, e de le ninfe il coro, che proveggia che non conduca a voi pastor mai greggia ». 110

Era scritto in arabico, che ’1 conte

intendea così ben come latino: fra molte lingue e molte ch’avea pronte, prontissima avea quella il paladino; e gli schivò più volte e danni et onte, che si trovò tra il popul saracino: ma non si vanti, se già n’ebbe frutto; ch’un danno or n’ha, che può scontargli il tutto. Tre volte e quattro e sei lesse lo scritte quello infelice, e pur cercando invano che non vi fosse quel che v'era scritto; e sempre lo vedea più chiaro e piano: et ogni volta in mezzo il petto afflitto stringersi il cor sentia con fredda mano. Rimase al fin con gli occhi e con la mente

IT

fissi nel sasso, al sasso indifferente.

112

Fu allora per uscir del sentimento, sì tutto in preda del dolor si lassa. Credete a chi n’ha fatto esperimento, x che questo è ’l duol che tutti gli altri passa. Caduto gli era sopra il petto il mento, la fronte priva di baldanza e bassa; né poté aver (che ’1 duol l’occupò tanto) alle querele voce, o umore al pianto.

. . + grata: gradevole per la sua fresca ombra. — 6. commodità: comodo piacere. — 8. d'altro: con altro. 109, 3. o paesana

o viandante:

sia del luogo

o forestiera. — S. all’erbe...piante: asindeto di tipo petrarchesco (cfr. Canz. 303, 5: « fior, frondi, erbe, ombre, antri, onde, aure soavi ») incastonato in una serie simmetrica di polisindeti (vv. 2-3, 6-7). — 7-8. che proveggia ...greggia: che provveda a tenere lontano da voi i pastori e le loro greggi per preservarvi intatti.

110, 2. come

latino:

come

la sua

stessa

lin-

gua. — 3. avea pronte: parlava speditamente; cfr. 1x, 5, 6-8: « sapeva altro idioma che francesco, / e l’africano tanto aveva espedito, / che parea nato a Tripoli e nutrito». — 6. che: da legare a più volte (v. 5): quando. — 8. scontargli: fargli scontare. 111, 2. pur: sempre, ogni volta. — 4. piano:

facile ad intendere. —

8. al sasso indifferente:

non differente, lui, dal sasso; cfr. x, 34, 8 («né men d’un vero sasso, un sasso pare »), Ovidio, Heroîdes x, 50 e Petrarca, Canz. 23, 80.

112, 2. sî /assa: si lascia andare. — supera. — 8. umore: lagrime.

4. passa:

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L’« Orlando furioso » : analisi critica

113

113

sa : : L’impetuosa doglia entro rimase, che volea tutta uscir con troppa fretta. Così veggiàn restar l’acqua nel vase, che largo il ventre e la bocca abbia stretta; che nel voltar che si fa in su la base, l’umor che vorria uscir, tanto s’affretta,

114

115

116

117

e ne l’angusta via tanto s’intrica, ch’a goccia a goccia fuore esce a fatica. Poi ritorna in sé alquanto, e pensa come possa esser che non sia la cosa vera: che voglia alcun così infamare il nome de la sua donna e crede e brama e spera, o gravar lui d’insoportabil some tanto di gelosia, che se ne pèra; et abbia quel, sia chi si voglia stato, molto la man di lei bene imitato. In così poca, in così debol speme sveglia gli spirti e gli rifranca un poco; indi al suo Brigliadoro il dosso preme, dando già il sole alla sorella loco. Non molto va, che da le vie supreme dei tetti uscir vede il vapor del fuoco, sente cani abbaiar, muggiare armento: viene alla villa, e piglia alloggiamento. Languido smonta, e lascia Brigliadoro a un discreto garzon che n’abbia cura; altri il disarma, altri gli sproni d’oro gli leva, altri a forbir va l’armatura. Era questa la casa ove Medoro giacque ferito, e v’ebbe alta avventura. Corcarsi Orlando e non cenar domanda, di dolor sazio e non d’altra vivanda. Quanto più cerca ritrovar quiete, tanto ritrova più travaglio e pena; che de l’odiato scritto ogni parete, ogni uscio, ogni finestra vede piena.

Chieder ne vuol: poi tien le labra chete; che teme non si far troppo serena, 113, 3. vase: vaso. — S. che. ..base: perché nel rovesciarlo. — 6. l’umor: il liquido. 114, 5-6. 0 gravar...pèra: oppure che qualcuno voglia gravare lui di un peso tanto insopportabile di gelosia che ne muoia. 115, 2. sveglia: risveglia, rianima. — gli: li. — 3. il dosso preme: sale in groppa. — 4. dando ... loco: mentre il sole cede il posto alla luna. Diana (la luna) era sorella di Apollo (il sole). — 5-6. da le...fuoco: vede uscire

dagli alti comignoli (vie supreme) il fumo; cfr. xIv, 61, 7-8: «udì sonar zuffoli e canne, / e vide poi fumar ville e capanne »; e Virgilio, Ecl. 1, 82: « et iam summa procul villarum culmina fumant ». 116, 2. discreto: assennato, capace. — 6. alta avventura: grande fortuna. : 117, 6. non...serena: di rendere troppo evidente

a se stesso.

Ludovico

114

118

Ariosto

troppo chiara la cosa che di nebbia cerca offuscar, perché men nuocer debbia. Poco gli giova usar fraude a se stesso; che senza domandarne, è chi ne parla. Il pastor che lo vede così oppresso da sua tristizia, e che voria levarla,

l’istoria nota a sé, che dicea spesso di quei duo amanti a chi volea ascoltarla, ch’a molti dilettevole fu a udire,

119

gl’incominciò senza rispetto a dire: come esso a’ prieghi d’Angelica bella portato avea Medoro alla sua villa, ch’era ferito gravemente; e ch’ella curò la piaga, e in pochi dì guarilla: ma che nel cor d’una maggior di quella lei ferì Amor; e di poca scintilla l’accese tanto e sì cocente fuoco, che n’ardea tutta, e non trovava loco:

120

‘ e sanza aver rispetto ch’ella fusse figlia del maggior re ch’abbia il Levante, da troppo amor constretta si condusse a farsi moglie d’un povero fante. All’ultimo l’istoria si ridusse,

che ’1 pastor fe’ portar la gemma inante, ch’alla sua dipartenza, per mercede del buono albergo, Angelica gli diede. 121

122

Questa conclusion fu la secure

che ’1 capo a un colpo gli levò dal collo, poi che d’innumerabil battiture si vide il manigoldo Amor satollo. Celar si studia Orlando il duolo; e pure quel gli fa forza, e male asconder pòllo: per lacrime e suspir da bocca e d’occhi convien, voglia o non voglia, al fin che scocchi. Poi ch’allargare il freno al dolor puote (che resta solo e senza altrui rispetto),

118, 4. /evarla: alleviarla. — 8. senza rispetto: senza pensare all’effetto che il racconto avrebbe potuto avere su Orlando. 119, 5. d’una maggior: d’una piaga maggiore. Riprende le espressioni da xix, 27, 5-8. — 6. di poca scintilla: originato da una piccola scintilla. — 8. loco: pace. 120, 5. All’ultimo . .. ridusse: La conclusione della storia fu. — 6-8. la gemma . .. diede: \asciando quel soggiorno per recarsi con Medoro

nel Catai,

Angelica

aveva

donato

al pastore

per ricompensa della grata ospitalità un bracciale d’oro «adorno di ricche gemme » regalatole da Orlando; cfr. xix, 37-40. 121, 1. secure: scure. — 3-4. poi... satollo: dopo che quel boia di Amore si sentì sazio delle infinite battiture inflittegli. — 8. scocchi: scoppi, prorompa. 122, 1. allargare il freno: allentare il freno, far sfogare: cfr. Petrarca, Canz. 23, 113: «a le lagrime triste allargai ’l1 freno». — 2. senza altrui rispetto: senza dover avere riguardo ad

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L’« Orlando furioso » : analisi critica

115

giù dagli occhi rigando per le gote sparge un fiume di lacrime sul petto: sospira e geme, e va con spesse ruote di qua di là tutto cercando il letto; € più duro ch’un sasso, e più pungente che se fosse d’urtica, se lo sente.

123

124

125

126

In tanto aspro travaglio gli soccorre che nel medesmo letto in che giaceva, l’ingrata donna venutasi a porre col suo drudo più volte esser doveva. Non altrimenti or quella piuma abborre, né con minor prestezza se ne leva, che de l’erba il villan che s’era messo per chiuder gli occhi, e vegga il serpe appresso. Quel letto, quella casa, quel pastore immantinente in tant’odio gli casca, che senza aspettar luna, o che l’albére che va dinanzi al nuovo giorno nasca, piglia l’arme e il destriero, et esce fuore per mezzo il bosco alla più oscura frasca; e quando poi gli è aviso d’esser solo, con gridi et urli apre le porte al duolo. Di pianger mai, mai di gridar non resta; né la notte né ’l dì si dà mai pace. Fugge cittadi e borghi, e alla foresta sul terren duro al discoperto giace. Di sé si maraviglia ch’abbia in testa una fontana d’acqua sì vivace, e come sospirar possa mai tanto; e spesso dice a sé così nel pianto: «Queste non son più lacrime, che fuore stillo dagli occhi con sì larga vena. Non suppliron le lacrime al dolore:

altre persone. — 5. spesse ruote: continui rivolgimenti. — 6. cercando: provando (per trovare la posizione giusta per prendere sonno).



6-7. di qua...

sasso: cfr. Boiardo, Orl. inn.

1, x11, 9, 7-8; x, 1-2: «che la quiete del dormir gli è tolta, / né trova loco, e ben spesso si volta; / ora li par la piuma assai più dura / che non suole apparere un sasso vivo »; Catullo, Carm. L, 11-2: « Sed toto indomitus furore lecto / versarer ». 123, 1. gli soccorre: gli viene in mente. — 4. drudo: amante. — 7-8. che de... appresso: cfr.

Aen. 11, 379-81: similitudine ripresa in XXXIX, 32, 3-8, con maggiore svolgimento. 124, 2. gli casca: gli vengono. — 6. alla... frasca: dove il bosco è più fitto. — 7. gli è

aviso: gli sembra. — 8. apre le porte: dà libero sfogo. 125, 6. vivace: inesauribile; cfr. Par. xxxHII, 12: «di speranza fontana vivace »; cfr. anche Boccaccio,

che

se

una

Decam.

fonte

1v, 1%, 55: « non altramenti

d’acqua

nella

testa

avuta

avesse ). 126, 1. Queste

non son: per questo lamento d’Orlando (ott. 126-8) il Rajna (Le fonti cit., pp. 349-50) ha colto «l’idea fondamentale ed alcune espressioni » nell’epigramma Ad Amorem di Michele Marullo (riportato dallo stesso studioso, loc. cit.). — 2. con sì larga vena:

cfr. Petrarca, Canz. 230, 9-10: «di sì larga vena / il pianger mio». — 3. Non... dolore: Non bastarono le lagrime a sfogare il dolore.

- Ludovico

116

Ariosto

finîr, ch'a mezzo era il dolore a pena. Dal fuoco spinto ora il vitale umore fugge per quella via ch’agli occhi mena; et è quel che si versa, e trarrà insieme e ’1 dolore e la vita all’ore estreme. 127

Questi ch’indizio fan del mio tormento,

sospir non sono, né i sospir son tali. Quelli han triegua talora; io mai non sento che ’1 petto mio men la sua pena esali. Amor

che m’arde il cor, fa questo vento,

mentre dibatte intorno al fuoco l’ali. Amor, con che miracolo

128

lo fai,

che ’n fuoco il tenghi, e nol consumi mai? Non son, non sono io quel che paio in viso: quel ch’era

Orlando

è morto

et è sotterra;

la sua donna ingratissima l’ha ucciso: sì, mancando di fé, gli ha fatto guerra. Io son lo spirto suo da lui diviso, ch’in questo inferno tormentandosi erra, acciò con l’ombra sia, che sola avanza, esempio a chi in Amor pone speranza ».

129.

Pel bosco errò tutta la notte il conte;

e allo spuntar della diurna fiamma

lo tornò il suo destin sopra la fonte dove Medoro insculse l’epigramma. Veder l’ingiuria sua scritta nel monte l’accese sì, ch’in lui non restò dramma che non fosse odio, rabbia, ira e furore;

130

né più indugiò, che trasse il brando fuore. Tagliò lo scritto e ’1 sasso, e sin al cielo a volo alzar fe’ le minute schegge. Infelice quell’antro, et ogni stelo in cui Medoro e Angelica si legge! Così restàr quel dì, ch'ombra né gielo a pastor mai non daran più, né a gregge:

— 5. Dal fuoco: Dal fuoco della passione. — il vitale umore: il liquido umorale che tiene in vita il corpo. — 7-8. è... estreme: è quel-

come una divinità alata. — 8. il tenghi: tieni

l'umore, non il pianto, che versa dagli occhi; prosciugando il corpo, porrà termine contemporaneamente al mio dolore e alla mia vita. ,127, 4. esali: effonda, sfoghi. — 5. vento: di sospiri: cfr. Petrarca, Canz. 17, 2: «un vento angoscioso di sospiri». — 6. mentre... l’ali: alimentando il fuoco della mia passione col battito delle sue ali. Amore era raffigurato

3. la fonte. — 4. insculse l’epigramma: incise l’epigrafe, la «sentenzia in versi» (107, 6). — 6. dramma: una minima parte; dramma è l’ottava parte di un’oncia. 130, 3. stelo: tronico, albero. — 5. restàr: furono ridotti. — gielo: frescura.

il mio cuore. 128, 5. /o spirto: l’anima. 129, 2. della diurna fiamma: del sole. — lo...fonte: il caso lo ricondusse presso

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L’« Orlando furioso » : analisi critica

131

117

e quella fonte, già sì chiara e pura, da cotanta ira fu poco sicura; che rami e ceppi e tronchi e sassi e zolle non cessò di gittar ne le bell’onde, fin che da sommo

ad imo sì turbolle,

che non furo mai più chiare né monde. E stanco

al fin, e al fin di sudor molle,

poi che la lena vinta non risponde allo sdegno, al grave odio, all’ardente ira,

cade sul prato, e verso il ciel sospira. 132

Afflitto e stanco

al fin cade ne l’erba,

e ficca gli occhi al cielo, e non fa motto. Senza cibo e dormir così si serba, che ’1 sole esce tre volte e torna sotto. Di crescer non cessò la pena acerba, che fuor del senno al fin l’ebbe condotto. Il quarto

dì, da gran furor commosso,

e maglie e piastre si stracciò di dosso.

133

Qui riman l’elmo, e là riman lo scudo,

lontan gli arnesi, e più lontan l’usbergo: l’arme sue tutte, in somma

vi concludo,

avean pel bosco differente albergo. E poi si squarciò i panni, e mostrò ignudo l’ispido ventre e tutto ’1 petto e ’l tergo; e cominciò

la gran follia, sì orrenda,

che de la più non sarà mai ch’intenda. 134

135

In tanta rabbia, in tanto furor venne,

che rimase offuscato in ogni senso. Di tor la spada in man non gli sovenne; che fatte avria mirabil cose, penso. Ma né quella, né scure, né bipenne era bisogno al suo vigore immenso. Quivi fe’ ben de le sue prove eccelse, ch’un alto pino al primo crollo svelse: e svelse dopo il primo altri parecchi, come fosser finocchi, ebuli o aneti; e fe’ il simil di querce e d’olmi vecchi, di faggi e d’orni e d’illici e d’abeti. Quel ch’un ucellator che s’apparecchi

— 4. albergo: sede. — 8. che... intenda: che 131, 3. da sommo ad imo: dalla superficie al nessuno sentirà mai parlare di una maggiore fondo. Inverte l’oraziano «ab imo ad summum» di questa. (Serm. 11, 3, 308-9). — 4. monde: limpide. 134, 5. bipenne: scure a due tagli. 132, 3. sî serba: resta. — 5. che: finché. — 135, 2. ebuli o aneti: ebbi (sambuchi) e altre 7. commosso: sconvolto. — 8. maglie e piastre: varietà del finocchio. Cfr. Orl. inn. 1, 3, 29, la maglia di ferro sotto l’armatura e le lamine 4: «stirpar le quercie a guisa di finocchi ». d’acciaio che la ricoprivano. 133, 2. gli arnesi: le varie parti dell’armatura. - — 4. illici; elci, — 5-6. s’apparecchi . , . mondo:

Ludovico

118 il campo

136

mondo,

fa, per por le reti,

dei giunchi e de le stoppie e de l’urtiche, facea de cerri e d’altre piante antiche. I pastor che sentito hanno il fracasso, lasciando il gregge sparso alla foresta, chi di qua, chi di là, tutti a gran passo vi vengono a veder che cosa è questa. Ma son giunto a quel segno il qual s’io passo vi potria la mia istoria esser molesta; et io la vo’ più tosto diferire, che v’abbia per lunghezza a fastidire.

si prepari il campo sgombro. 136, 7. diferire: differire, rinviare. Come esempio di narrazione psicologica, secondo l’interpretazione più vulgata dell’episodio suggerita dal De Sanctis e rilanciata dal Momigliano, la follia d'Orlando offre elementi quanto mai probanti. È costruita infatti sul ritmo interno dei conflitti sentimentali non su quello esterno dei moti istintivi e vitali che anima pressocché tutti i personaggi del poema. L’alienazione del paladino giunge al culmine di un’esasperazione dolorosa, quando la coscienza di una verità per lui fatale, respinta nonostante il crescendo degli indizi e dei sospetti (le sigle degli amanti felici legate insieme «con cento nodi [...] in cento lochi», il carme di Medoro «in su l’entrata della grotta » come un ex voto per la vittoria riportata sui molti cavalieri per il possesso di Angelica), si manifesta in pieno nella dissonanza tra la «dilettevole » storia della regina del Catai condotta «a farsi moglie di un povero fante » narrata dal pastore « senza rispetto », a

consolazione

del

Ariosto

malinconico

ospite,

e

le

reazioni dell’uditore, vittima di quella favolosa felicità; cresce con calcolata gradazione dopo un estremo sfogo razionale del paladino svolto al limite del concettisme (ott. 126-8); scoppia in «odio, rabbia, ira e furore» di fronte all’« ingiuria sua scritta nel monte » (ott. 130), concludendosi, dopo una lunga pausa di

rigidità inespressiva, nella metamorfosi del grande eroe in orrendo « homo silvaticus » (ott. 132 sgg.). Ariosto ostenta una compromissione personale con la tragedia amorosa (ott. 112, 3-4). In realtà dispone della sua materia con quel distacco analitico che gli consente il raggiungimento di eccezionali risultati artistici. Asseconda tutti i contrastanti moti dei sentimenti e della coscienza di Orlando: la fissità dello sguardo già allarmato sulla prima traccia della

presenza di Angelica (ott. 102-3); il suo monologare disperatamente autoconsolatorio (ott.

104); il danno che gli procura la sua stessa eccezionalità di dotto cavaliere rispetto agli altri eroi del poema e che lo fa capace d’intendere più e più lingue (ott. 110-1); la fenomenologia dell’angoscia, seguita nei suoi alterni momenti: dalla prima pietrificata disperazione (che la similitudine di 112, 3-8 visualizza con un’insi-

stenza descrittiva messa in risalto dal chiasmo del v. 4 e dalla lentissima scansione del v. 8) ai deboli appigli della speranza (ott. 114-5), fino alla piena inarrestabile dei lamenti e del pianto (ott. 124-5). Ma lo spessore psicologico di questo episodio non è isolabile dalla caratterizzazione del paladino, che ha nel poema una dimensione tragica. La follia non giunge improvvisa né si manifesta al lettore come un’imprevedibile o, peggio, parodistica aberrazione del suo proverbiale senno. La sublimazione di Angelica in vergine inviolabile, di cui egli si elegge unico garante, chiude Orlando, sin dalla sua prima apparizione nel poema in un cerchio di allucinazioni che gli impediscono di distinguere il delirio della gelosia dalla realtà (vini, 71-86). La sua «amorosa inchiesta » si inizia malinconicamente in un desolato autunno ed è prolungata da digressioni avventurose che confermano la sua funzione di incorruttibile difensore di fanciulle perseguitate: Olimpia, Isabella, i cui pericoli sembrano allarmanti presagi della sorte di Angelica, ancora una volta evocata dal sortilegio del mago Atlante come vergine insidiata e senza protezione (xII,

14-6). In un mondo imprevedibile com'è quellò del Furioso Orlando ha un destino segnato, un destino tragico. La pazzia, il fatto inaudito annunciato dal titolo e dall’esordio, è coerente con la sua altera fisionomia di campione dell’eroismo e della dedizione amorosa che Ariosto ha costruito via via con cura della verosimiglianza etica, come dimostra la funzione a tal fine pienamente caratterizzante assegnata al personaggio nell’episodio di Olimpia, aggiunto nell’ultima edizione del poema.

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L’« Orlando furioso » : analisi critica

119

Il furore di Orlando è un’insania indecorosa per un indegno e scellerato amore, una vendetta delle Furie che fa di quest’errore, rispetto agli errori degli altri personaggi, una condizione tragica. Per questo Astolfo deve salire sulla Luna e prelevare tra le infinite ampolle del senno che formano il più alto mucchio del vallone delle cose perdute, l’ampolla messa bene in vista del senno d'Orlando: IE

[ASTOLFO NELLA LUNA] XXXIV.

48

Poi monta

il volatore,

e in aria s'alza

per giunger di quel monte in su la cima, che non lontan con la superna balza dal cerchio de la luna esser si stima. Tanto è il desir che di veder lo ’ncalza,

49

50

ch’al cielo aspira, e la terra non stima. De l’aria più e più sempre guadagna, tanto ch’al giogo va de la montagna. Zafir, rubini, oro, topazi e perle, e diamanti e crisoliti e iacinti potriano i fiori assimigliar, che per le liete piaggie v’avea l’aura dipinti: sì verdi l’erbe, che possendo averle qua giù, ne fòran gli smeraldi vinti; né men belle degli arbori le frondi, e di frutti e di fior sempre fecondi. Cantan fra i rami gli augelletti vaghi azzurri e bianchi e verdi e rossi e gialli. Murmuranti ruscelli e cheti laghi di limpidezza vincono i cristalli. Una dolce aura che ti par che vaghi a un modo sempre e dal suo stil non falli, facea sì l’aria tremolar d’intorno,

che non potea noiar calor del giorno: IV. Orlando furioso, xxxiv, ott. 48 sgg., Xxv, ott. 1-30; dall’ed. cit., pp. 895-914. 48, 3-4. che...stima: che si crede sia vicino con la sua vetta più alta al cielo della Luna. «L’idea di collocare il paradiso terrestre sulla vetta di un monte altissimo, in Oriente, era comune nel Medioevo, ed era stata accolta anche da Dante » (Sapegno). — 6. non stima: disprezza. 49, 1. Zafir... perle: per la descrizione di questo paesaggio e del palazzo che vi sorge in

mezzo

(ott. 49-53) cfr. x, 58-63 (la rocca di

Logistilla), Purg. vit, 73-81 (valletta dei principi), e XXVIII, 7 sgg. (paradiso terrestre), Ovidio, Met. 11, 1-4 (reggia del Sole); Apuleio, Met. 1 (regno d’Amore), Poliziano, Stanze I, 70 sgg. (regno di Venere). — 2. crisoliti e

iacinti: varietà di topazi e di ametiste. —

6.

foran: sarebbero. 50, 5-6. Una ...sempre: cfr. Purg. xxvII, 7-8: «Un’aura

dolce,

senza

mutamento

/ avere

in

sé». — 6. dal...falli: non alteri il suo soffio. — 8. noiar: infastidire.

Ludovico

120 Di

52

53

Ariosto

e quella ai fiori, ai pomi e alla verzura gli odor diversi depredando giva, e di tutti faceva una mistura che di soavità l’alma notriva. Surgea un palazzo in mezzo alla pianura, ch’acceso esser parea di fiamma viva: tanto splendore intorno e tanto lume raggiava, fuor d’ogni mortal costume. Astolfo il suo destrier verso il palagio che più di trenta miglia intorno aggira, a passo lento fa muovere ad agio, è quinci e quindi il bel paese ammira; e giudica, appo quel, brutto e malvagio, e che sia al cielo et a natura in ira questo ch’abitian noi fetido mondo: tanto è soave quel, chiaro e giocondo. Come egli è presso al luminoso tetto, attonito riman di maraviglia; che tutto d’una gemma è ’1 muro schietto, più che carbonchio lucida e vermiglia. O stupenda opra, o dedalo architetto! Qual fabrica tra noi le rassimiglia?

54

Taccia qualunque le mirabil sette moli del mondo in tanta gloria mette. Nel lucente vestibulo di quella felice casa un vecchio al duca occorre,

che ’1 manto ha rosso, e bianca la gonnella, che l’un può al latte, e l’altro al minio opporre. I crini ha bianchi, e bianca la mascella

di folta barba ch’al petto discorre; et è sì venerabile nel viso,

55

ch’un degli eletti par del paradiso. Costui con lieta faccia al paladino, che riverente era d’arcion disceso,

51, 3-4. di tutti...mnotriva: cfr. Purg. vu, 79-81: «Non aveva pur natura ivi dipinto, / ma di soavità di mille odori / vi facea uno

incognito e indistinto». —

6.ch'acceso . . . viva:

cfr. Ovidio, Met. 11, 2: « flammasque

pyropo ». — straordinario,

8. fuor...costume: soprannaturale.

imitante

in

modo

52, 2. aggira: gira. — 5. appo quel: in confronto a quello. — 6. în îra: l’ira di Dio, infatti, per il peccato originale fece perdere all’uomo il soggiorno nell’Eden. 53, 1. tetto: palazzo. — 3. tutto... schietto: il muro è puro (schietto), tutto formato

materiale

prezioso,

senza

d’un solo

combinazione

con

altre materie; altri intendono

schietto come

li-

scio. — 4. carbonchio: rubino. — S. dedalo architetto: architetto ingegnosissimo, dedaleo (lat.

« daedaleus », da Dedalo, costruttore

del*La-

birinto). — 6. fabrica: costruzione. — 7-8. qualunque ... mette: tutti quelli che esaltano le sette meraviglie del mondo (piramidi d’Egitto,

mura di Babilonia, statua di Zeus in Olimpia, Colosso di Rodi, tempio di Diana in Efeso, sepolcro di Mausolo in Alicarnasso, palazzo di Ciro). 54, 2. occorre: corre incontro. — 4. opporre: contrastare. — 6. discorre: discende.

$421.

L’« Orlando furioso » : analisi critica ,

.

O

hace

121

disse: «O baron, che per voler divino sei nel terrestre paradiso asceso; come

che né la causa del camino, né il fin del tuo desir da te sia inteso,

56

pur credi che non senza alto misterio venuto sei da l’artico emisperio. Per imparar come soccorrer déi Carlo, e la santa fé tor di periglio, venuto meco a consigliar ti sei per così lunga via, senza consiglio. Né a tuo saper, né a tua virtù vorrei ch’esser qui giunto attribuissi, o figlio; che né il tuo corno, né il cavallo alato ti valea, se da Dio non t’era dato.

57

Ragionerem più ad agio insieme poi, e ti dirò come a procedere hai: ma prima vienti a ricrear con noi; che ’l digiun lungo de’ noiarti ormai ». Continuando

58

il vecchio i detti suoi,

fece maravigliare il duca assai, quando, scoprendo il nome suo, gli disse esser colui che l’evangelio scrisse: quel tanto al Redentor caro Giovanni, per cui il sermone tra i fratelli uscio, che non dovea per morte finir gli anni; sì che fu causa che ’l figliuol di Dio a Pietro disse: « Perché pur t’affanni, s’io vo’ che così aspetti il venir mio? ». Ben che non disse: egli non de’ morire, si vede pur che così vòlse dire.

55, 3. baron: signore. — 5. come che: sebbene. — 6. il... desir: la meta cui tendi inconsapevolmente. — 7. alto misterio: profonda e misteriosa volontà della Provvidenza. — 8. da l’artico emisperio: dall’emisfero boreale. Nell’emisfero antartico erano invece situati i monti della Luna. 56, 4. senza consiglio: senza saperlo, senza volerlo (ma l’antitesi col v. 3 produce un gioco

di parole bonariamente malizioso per lo sconsiderato Astolfo); cfr. Petrarca, Canz. 366, 26: «sconsigliato a te vien per consiglio ». —

8. ti...dato: ti avrebbe aiutato qui se ciò non ti fosse concesso 57, 3. ricrear: ristorare. — 7. velando. — 8. colui...scrisse: evangelista;

cfr. ott.

58.

a giungere fin da Dio. scoprendo: risan Giovanni |

58, 1-8. quel...dire: l’Ariosto qui riassume e interpreta un passo dell’evangelo giovanneo (xxI,

20-3) in cui Gesù, apparso ai discepoli dopo la resurrezione, profetizza il martirio di Pietro e circa la sorte di Giovanni risponde in modo che tra i seguaci si diffonde la convinzione che l’evangelista non sarebbe morto: « Conversus ‘Petrus vidit illum discipulum, quem diligebat Iesus, sequentem [...]. Hunc ergo cum vidisset Petrus, dixit Iesu: Domine, hic autem quid ? Dicit ei Iesus: Sic eum volo manere donec veniam, quid ad te? 'Tu me sequere. Exiit ergo sermo iste inter fratres quia discipulus ille non moritur. Et non dixit ei Iesus: non moritur; sed: Sic eum

volo manere

donec ve-

niam, quid ad te?». — 4. sì che fu causa: il giusto rapporto di causa e effetto (furono le parole di Cristo a determinare la convinzione dei discepoli, non viceversa) sarebbe ripristinato con l'emendamento proposto da A. Gilbert: «di che fu causa».

Ludovico

122 59

Ariosto

Quivi fu assunto, e trovò compagnia, che prima Enoch,

il patriarca, v'era;

eravi insieme il gran profeta Elia,

60

61

che non han vista ancor l’ultima sera; e fuor de l’aria pestilente e ria si goderan l’eterna primavera, fin che dian segno l’angeliche tube, che torni Cristo in su la bianca nube. Con accoglienza grata il cavalliero fu dai santi alloggiato in una stanza; fu provisto in un’altra al suo destriero di buona biada, che gli fu a bastanza. De’ frutti a lui del paradiso diero, di tal sapor, ch'a suo giudicio, sanza scusa non sono i duo primi parenti, se per quei fur sì poco ubbidienti. Poi ch’a natura il duca aventuroso satisfece di quel che se le debbe, come

62

col cibo, così col riposo,

che tutti e tutti i commodi quivi ebbe; lasciando già l’Aurora il vecchio sposo, ch’ancor per lunga età mai non l’increbbe, si vide incontra ne l’uscir del letto il discipul da Dio tanto diletto; che lo prese per mano, e seco scòrse di molte cose di silenzio degne: e poi disse: « Figliuol, tu non sai forse che in Francia

accada, ancor

che tu ne vegne.

Sappi che ’1 vostro Orlando, perché torse dal camin dritto le commesse insegne, è punito da Dio, che più s’accende contra chi egli ama più, quando s’offende. 59, 1-3. Quivi... Elia: «Da

molto

tempo

la

fantasia popolare aveva fatto del paradiso terrestre la dimora dei privilegiati assunti al cielo senza morire; e un'antica tradizione, fondata sugli accenni contenuti nelle Sacre Scritture; attribuiva questo singolare privilegio a Enoch, ad Elia e a san Giovanni » (Sapegno). — 4. non ...sera: cfr. Purg. 1, 58: « Questi non vide mai l’ultima sera». — 7-8. fin... nube: fino al giorno del giudizio, quando le trombe degli angeli annunceranno il ritorno di Cristo; cfr. Luc. 21, 27: «Et tunc videbunt Filium hominis venientem in nube cum potestate magna

et maiestate ». 60, 1. grata: benevola, cortese. — 7. i... parenti: Adamo e Eva. 61, 1-3. Poi... riposo: Dopo che l’avventuroso Astolfo (cfr. xv, 10, 2: «l’aventuroso Astolfo

d’Inghilterra ») soddisfece a ciò che deve essere soddisfatto delle necessità naturali, tanto col cibo quanto col sonno. — 5. il vecchio sposo:

Titone (cfr. Purg. 1x, 1: «Titone antico »), per cui l’Aurora aveva ottenuto da Giove l’immortalità,

ma

non

la giovinezza.



6. ancor

... increbbe: non le dispiacque mai, malgrado la vecchiezza. — 8. il... diletto: san Giovanni, «illum discipulum quem diligebat Tesus » (Joan. loc. cit.). 62, 1. seco scòrse: discorse con lui. — 2. di silenzio degne: cfr. Orazio, Carm. un, 13, 29: « digno silentio », e Inf. Iv, 104: « parlando cose che ’l tacere è bello ». — 5-6. forse... insegne: fece deviare dalla lotta contro i pagani le in-

segne a lui affidate di difensore della fede per volgersi alle rivalità amorose. — 7. s’accende: s’accende di sdegno.

$ 21.

7

;

L’« Orlando furioso » : analisiIgcritica

63

Il vostro

Orlando,

123 a cui nascendo

diede

somma possanza Dio con sommo ardire, e fuor de l’uman uso gli concede che ferro alcun non lo può mai ferire; perché a difesa di sua santa fede così voluto l’ha constituire,

64

65

come Sansone incontra a’ Filistei constituì a difesa degli Ebrei: renduto ha il vostro Orlando al suo Signore di tanti benefici iniquo merto; che quanto aver più lo dovea in favore, n’è stato il fedel popul più deserto. Sì accecato l’avea l’incesto amore d’una pagana, ch’avea già sofferto due volte e più venire empio e crudele, per dar la morte al suo cugin fedele. E Dio per questo fa ch’egli va folle, e mostra nudo il ventre, il petto e il fianco; e l’intelletto sì gli offusca e tolle, che non può altrui conoscere, e sé manco. A questa guisa si legge che volle Nabuccodonosor Dio punir anco, che sette anni il mandò di furor pieno, sì che, qual bue, pasceva l’erba e il fieno.

66

67

Ma perch’assai minor del paladino, che di Nabucco, è stato pur l’eccesso, sol di tre mesi dal voler divino a purgar questo error termine è messo. Né ad altro effetto per tanto camino salir qua su t'ha il Redentor concesso, se non perché da noi modo tu apprenda, come ad Orlando il suo senno si renda. Gli è ver che ti bisogna altro viaggio far meco, e tutta abbandonar la terra.

63, 5-6. a difesa...constituire:

cfr. xx1v,

10,

5-8: « Trar sangue da quel corpo a nessun lece, / che lo fere e percuote il ferro invano. / Al conte il re del ciel tal grazia diede, / per porlo a guardia di sua santa fede ». — 7-8. come...

Ebrei: l’ebreo Sansone ebbe da Dio una forza eccezionale

per combattere contro i Filistei (cfr. Libro dei Giudici x111, 24-16). 64, 2. iniquo merto: ingiusta ricompensa. — ‘3-4. quanto ... deserto: il popolo cristiano proprio nel momento in cui doveva avere Orlando più che mai accanto a sé, come suo difensore, è stato da lui abbandonato. — 5. incesto: impuro. — 6. sofferto: osato. — 7. venire: divenire. — 8. per...fedele: due fieri

scontri col cugino Rinaldo sono narrati Boiardo (Or/. inn. 1, 26 sgg., tI, 20-1). 65, 4. sé manco:

nemmeno

se stesso.



dal 5-8.

si legge... fieno: nel Libro di Daniele (4, 25-30) si legge della punizione divina del superbo Nabuccodonosor, re di Babilonia: gli fu profetato che avrebbe perduto il regno e avrebbe pascolato come un bue selvatico per sette stagioni (« septem tempora mutabantur super te ») finché non avesse riconosciuto l’onnipotenza di Dio; e la profezia fu prontamente attuata.

66, 2. l’eccesso: scopo.

il peccato. —

i

67, 1. ti... viaggio:

5. effetto: fine,

:

cfr.

Inf.

1, 91:

«A

te

Ludovico

124

Ariosto

Nel cerchio de la luna a menar t’aggio, che dei pianeti a noi più prossima erra, perché la medicina che può saggio rendere Orlando, là dentro si serra.

68

69

Come la luna questa notte sia sopra noi giunta, ci porremo in via ». Di questo e d’altre cose fu diffuso il parlar de l’apostolo quel giorno. Ma poi che ’1 sol s’ebbe nel mar rinchiuso, e sopra lor levò la luna il corno, un carro apparecchiòsi, ch’era ad uso d’andar scorrendo per quei cieli intorno: quel già ne le montagne di Giudea da’ mortali occhi Elia levato avea. Quattro destrier via più che fiamma rossi al giogo il santo evangelista aggiunse; e poi che con Astolfo rassettossi, e prese il freno, inverso. il ciel li punse. Ruotando il carro, per l’aria levossi, . e tosto in mezzo il fuoco eterno giunse; che ’1 vecchio fe’ miracolosamente, che, mentre lo passàr, non era ardente.

70

Tutta la sfera varcano

del fuoco,

et indi vanno al regno de la luna.. Veggon per la più parte esser quel loco come un acciar che non ha macchia alcuna; e lo trovano uguale, o minor poco i di ciò ch’in questo globo si raguna, in questo ultimo globo de la terra, mettendo il mar che la circonda e serra.

71

Quivi ebbe Astolfo doppia maraviglia: che quel paese appresso era sì grande, il quale a un picciol tondo rassimiglia a noi che lo miriam da queste bande; e ch’aguzzar conviengli ambe le ciglia, s'indi la terra e ’l mar ch’intorno spande

LI

convien tenere altro viaggio ». — 4. più prossima erra: gira più vicina. 68, 5. era ad uso: era fatto allo scopo. — 7-8.

quel...avea: era lo stesso carro con cui il profeta Elia ascese al cielo; cfr. Reg. Iv, 2, 11. 69, 1. Quattro ...rossi: cfr. Petrarca, Tr. Am. I, 22: «Quattro destrier via più che neve bianchi». — 3. rassettossi: prese posto. — 6. il fuoco eterno: la sfera del fuoco (cfr. 70, 1), tra la terra e la luna.

70, 5-6. uguale ...raguna: estesa quanto, o poco meno, il nostro globo, con tutto ciò che questo comprende, di terra e di acqua: era l'opinione degli antichi (cfr. Plinio, Nat. hist. 1, 11) già corretta dagli astronomi al tempo dell’Ariosto. — 8. mettendo: comprendendovi. 71, 2. appresso: da presso, visto da vicino. — S. aguzzar...ciglia: cfr. Inf. xv, 20: «e sì

ver noi aguzzavan

le ciglia». —

6. indi: di

$ 21.

L’« Orlando furioso»

: analisi critica

discerner vuol; che non

72

125 ‘avendo luce,

l’imagin lor poco alta si conduce. Altri fiumi, altri laghi, altre campagne sono là su, che non son qui tra noi; altri piani, altre ‘valli, altre montagne,

chan le cittadi, hanno i castelli suoi, con case de le quai mai le più magne non vide il paladin prima né poi: e vi sono ample e solitarie selve, ove le ninfe ognor cacciano belve. 13

74

Non

stette il duca a ricercare il tutto;

che là non era asceso a quello effetto. Da l’apostolo santo fu condutto in un vallon fra due montagne istretto, ove mirabilmente era ridutto ciò che si perde o per nostro diffetto, o per colpa di tempo o di Fortuna: ciò che si perde qui, là si raguna. Non pur di regni o di ricchezze parlo, in che la ruota instabile lavora;

ma di quel ch’in poter di tor, di darlo non ha Fortuna, intender voglio ancora. Molta fama è là su, che, come

75

76

tarlo,

il tempo al lungo andar qua giù divora: là su infiniti prieghi e voti stanno, che da noi peccatori a Dio si fanno. Le lacrime e i sospiri degli amanti, l’inutil tempo che si perde a giuoco, e l’ozio lungo d’uomini ignoranti, vani disegni che non han mai loco, i vani desidèri sono tanti, che la più parte ingombran di quel loco: ciò che in somma qua giù perdesti mai, là su salendo ritrovar potrai. Passando il paladin per quelle biche, or di questo or di quel chiede alla guida.

lassù, dalla luna. — spande: si spande. — 7. non avendo luce: non avendo la luna e la terra luce propria. — 8. poco ...si conduce: arriva poco lontano.

72-82. La fonte per questa descrizione del paesaggio lunare è stata indicata in una delle Intercenali di L. B. Alberti, Somnium, scoperta di recente da E. Garin. 72, 1. Altri...altri: ben altri, diversi e maggiori. 73, 1. ricercare: esplorare. — 2. effetto: scopo.

— 5. mirabilmente mente raccolto.

era ridutto:

era miracolosa-

74, 2. in... lavora: che sono i beni più soggetti ai mutamenti della Fortuna (ruota instabile). — 3-4. ma...ancora: ma intendo riferirmi anche a quelle cose che la Fortuna non può togliere e dare. 75, 4. non. ..loco: non si realizzano mai. — 5. sono

tanti:

sono

tante

tutte

queste

cose:

quelle enumerate nei vv. 1-5. 76, 1. biche: mucchi (propr. covoni di grano).

Ludovico

126

Ariosto

Vide un monte di tumide vesiche, che dentro parea aver tumulti e grida; e seppe ch’eran le corone antiche e degli Assiri e de la terra lida, e de’ Persi e de’ Greci, che già furo incliti, et or n’è quasi il nome oscuro. Ami d’oro e d’argento appresso vede rei in una massa, ch’erano quei doni che si fan con speranza di mercede ai re, agli avari principi, ai patroni. Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede, et ode che son tutte adulazioni. Di cicale scoppiate imagine hanno versi ch’in laude dei signor si fanno. Di nodi d’oro e di gemmati ceppi 78 vede c’han forma i mal seguiti amori. V’eran d’aquile artigli; e che fur, seppi,

l'autorità ch'ai suoi dànno i signori. I mantici ch’intorno han pieni i greppi, sono i fumi dei principi e i favori che dànno un tempo ai ganimedi suoi, che se ne van col fior degli anni poi. Ruine di cittadi e di castella stavan con gran tesor quivi sozzopra.

49

Domanda,

e sa che son trattati, e quella

congiura che sì mal par che si cuopra. Vide serpi con faccia di donzella, di monetieri e di ladroni l’opra: poi vide boccie rotte di più sorti, ch’era il servir de le misere corti. Di versate minestre una gran massa

80

vede, e domanda al suo dottor ch’importe.

— 3. tumide: gonfie. — 6. terra lida: Lidia; il regno fu splendido soprattutto sotto il suo ultimo re, Creso. 77, 4. patroni: protettori. — 7. scoppiate: per aver cantato troppo e inutilmente.

78, 2. î...amori: va dietro

«gli amori

per nostra

disgrazia,

tutti, a cui si con

spreco

di

tempo e d’energia » (Papini). — 3. seppi: inciso scherzosamente testimoniale di gusto canterino che sottintende un rinvio all’autorevole fonte dei poemi romanzeschi, il più volte evocato Turpino: l’ho appreso leggendolo in quella cronaca. Per altri seppi è terza persona: (Astolfo) seppe. — 5. intorno...greppi: riempiono i pendii delle montagne tutt'intorno al vallone.

— 6. i fumi: gli onori vani, che vanno in fumo;

cfr. Satira I, 174. — 7. un tempo: per poco tempo. — ai ganimedi suoi: ai loro giovani favoriti. — 8. che... poi: i quali favori vengono meno con lo sfiorire dell’età dei favoriti. 79, 2. sozzopra: sottosopra. — 3-4. trattati ...Cuopra: trattati violati, che producono*con le guerre le ruine di cittadi (v. 1), e le congiure che non si sanno tenere coperte e che producono la rovina dei castelli e la confisca delle ricchezze di coloro che hanno complottato. —

6. di...opra: simboleggianti la perfidia simulata dei falsi monetari e dei ladroni. — 7-8. boccie...corti: bocce di vetro di vario tipo buttate via come i cortigiani messi da parte dai loro signori. 80, 2. ch'importe: che cosa significhi. — 3-4.

SO21,

L’« Orlando furioso » : analisi critica

81

1 (NS)N

« L’elemosina è — dice — che si lassa alcun, che fatta sia dopo la morte ». Di varii fiori ad un gran monte passa, ch’ebbe già buono odore, or putia forte. Questo era il dono (se però dir lece) che Constantino al buon Silvestro fece. Vide gran copia di panie con visco, ch’erano,

o donne,

le bellezze vostre.

Lungo sarà, se tutte in verso ordisco le cose che gli fur quivi dimostre; che dopo mille e mille io non finisco, e vi son tutte l’occurrenzie nostre: sol la pazzia non v’è poca né assai; che sta qua giù, né se ne parte mai.

82

83

Quivi ad alcuni giorni e fatti sui,

ch’egli già avea perduti, si converse; che se non era interprete con lui, non discernea le forme lor diverse. Poi giunse a quel che par sì averlo a nui, che mai per esso a Dio voti non férse; io dico il senno: e n’era quivi un monte, solo assai più che l’altre cose conte. Era come un liquor suttile e molle, atto a esalar, se non si tien ben chiuso;

e si vedea raccolto in varie ampolle, qual più, qual men capace, atte a quell’uso. Quella è maggior di tutte, in che del folle

L’elemosina ... morte: sono le elemosine che si fanno in punto di morte, per paura della dannazione e perciò non meritorie. Ma si può anche intendere: le elemosine lasciate per testamento e che gli eredi non fanno. — 7. se...lece: se si può chiamarlo dono, dal momento che s’è rivelato un danno. — 8. che... fece: « allude alla cosiddetta donazione di Costantino, già dimostrata falsa dal Valla nel sec. xv, ma ancora accolta per vera da taluno ai tempi dell’Ariosto, al quale però non doveva essere ignoto l’opuscolo del famoso umanista. Qui egli finge di credervi, per contrapporre alla buona intenzione dell’imperatore (il buono odore) le funeste conseguenze da essa arrecate, col promuovere l’incremento del potere pon-

tificio e l’avarizia

dei papi (il forte puzzo)»

(Sapegno). 81, 1. panie con visco: erano usate per la cattura degli uccelli; come immagine delle lusinghe amorose era tradizionale; cfr. xxIv, 1, 1: «l’amorosa pania ». — 3. ordisco: narro. — 4. dimostre: mostrate. — 6. e...mnostre: poiché, insomma, vi sono tutte le cose che abbiamo

perdute e di cui abbiamo bisogno. 82, 2. si converse: Astolfo si rivolse a guardare. — 3-4. se... diverse: se non gliele avesse spiegate san Giovanni, non ne avrebbe riconosciuto le forme mutate. — 5-6. che par... férse: che a noi sembra di possedere talmente che mai per ottenerlo si fecero voti a Dio. probabile, come è stato rilevato (B. Zumbini, Studi di letteratura italiana, Firenze 1894, pp. 337-47), che l’Ariosto si sia ricordato di un’osservazione di Erasmo da Rotterdam (« Nullus pro depulsa stultitia gratias agit») fatta in contrapposizione ai tanti ex voto che riempiono

le pareti e finanche le volte delle chiese (Encomium Morias, 46). Si noti però che per l’Ariosto il mancato ringraziamento dipende dalla nostra presunzione di possedere la saggezza, per Erasmo dal piacere di non averla: « Adeo

suavis quaedam

res est nihil sapere, ut omnia

potius deprecentur

mortales,

quam

moriam ».

— 8. solo...conte: da solo assai superiore a tutte le altre cose raccontate, menzionate. 83, 1-2. un... esalar: una sostanza liquida leg-

Ludovico

128

84

85

Ariosto

signor d’Anglante era il gran senno infuso; e fu da l’altre conosciuta, quando avea scritto di fuor: « Senno d’Orlando ». E così tutte l’altre avean scritto anco il nome di color di chi fu il senno. Del suo gran parte vide il duca franco; ma molto più maravigliar lo fenno molti ch’egli credea che dramma manco non dovessero averne, e quivi dénno chiara notizia che ne tenean poco; che molta quantità n’era in quel loco. Altri in amar lo perde, altri in onori, altri in cercar, scorrendo il mar, richezze;

altri ne le speranze de’ signori, altri dietro alle magiche

86

87

sciocchezze;

altri in gemme, altri in opre di pittori, et altri in altro che più d’altro aprezze. Di sofisti e d’astrologhi raccolto, e di poeti ancor ve n’era molto. Astolfo tolse il suo; che gliel concesse lo scrittor de l’oscura Apocalisse. L’ampolla in ch’era al naso sol si messe, e par che quello al luogo suo ne gisse: e che Turpin da indi in qua confesse ch’Astolfo lungo tempo saggio visse; ma ch’uno error che fece poi, fu quello ch’un’altra volta gli levò il cervello. La più capace e piena ampolla, ov’era il senno che solea far savio il conte, Astolfo tolle; e non è sì leggiera, come

stimò, con l’altre essendo a monte.

Prima che ’1 paladin da quella sfera

gera e delicata facile ad evaporare. — 7. quando: poiché. 84, 2. di chi: di cui. — 3. il duca franco:

Astolfo era « duca inglese » (cfr. xx, 66, 1), ma era anche « paladino di Francia » (cfr. vI,

33,

1-2), e perciò si può intendere franco come francese. Altri preferiscono spiegare prode, valoroso, o anche (Ceserani), trattandosi di Astolfo: «disinvolto, sicuro di sé». — 5. dramma manco: neppure un’oncia di meno. — 6-7. dénno ...mnotizia: diedero evidente dimostrazione. 85, 3. le... signori: le speranze riposte nei signori. — 4. dietro alle magiche sciocchezze: per la mania dell’occultismo (non infrequente ai tempi dell’Ariosto). — 6. in altro... aprezze: «in altre cose che egli apprezzi più di tutto il

resto, con l’atteggiamento esclusivo e un po’ maniaco del collezionista » (Sapegno). — 7. sofisti: filosofi. 86, 2. lo... Apocalisse: san Giovanni, autore dell’Apocalisse, il libro del Nuovo Testamento di più difficile interpretazione. — 3. în ch'era: in cui era il senno. — 5-6. e che... visse: e pare che Turpino (cfr. 78, 3) dica che da questo momento in poi Astolfo visse per lungo tempo saggio. — 7. uno error: un peccato. Ariosto ne parla nei Cinque canti (iv, 54 sgg.), dove Astolfo è prigioniero di Alcina nel ventre d’una balena in punizione del rapimento della

moglie di un suo vassallo. 87, 3. tolle: toglie, prende. — 4. con... monte: finché rimase ammucchiata con le altre. —

$ 21.

:

;

EROE L’« Orlando furioso » : analisi critica

piena di luce menato fu da in un palagio ch’ogni sua

88

alle più basse smonte, l’apostolo santo ov’era un fiume a canto; stanza avea piena di velli

di lin, di seta, di coton,

di lana,

tinti in varii colori e brutti e belli. Nel primo chiostro una femina cana fila a un aspo traea da tutti quelli, come veggiàn l’estate la villana traer dai bachi le bagnate spoglie, quando la nuova seta si raccoglie. 89

V’è chi, finito un

vello, rimettendo

ne viene un altro, e chi ne porta altronde: un’altra de le filze va scegliendo il bel dal brutto che quella confonde. «Che lavor si fa qui, ch'io non l’intendo?» dice a Giovanni Astolfo; e quel risponde: « Le vecchie son le Parche, che con tali

stami filano vite a voi mortali. 90

Quanto

dura un

de’ velli, tanto

dura

l’umana vita, e non di più un momento. Qui tien l’occhio e la Morte

e la Natura,

per saper l’ora ch’un debba esser spento. Sceglier le belle fila ha l’altra cura, perché si tesson poi per ornamento del paradiso; e dei più brutti stami si fan per li dannati aspri legami ». Di tutti i velli ch’erano già messi in aspo, e scelti a farne altro lavoro, erano in brevi piastre i nomi impressi, altri di ferro, altri d’argento o d’oro:

91

8. ov’era...canto: accanto al quale scorreva il fiume. 88-90. ogni sua stanza ... aspri legami: « Sono qui rappresentate le Parche al lavoro. Il passo è dubbio. Le Parche secondo gli antichi erano

intanto la Morte, finito un vello, ne un altro, allo stesso modo che la Natura sempre nuovi velli, cioè nuove vite (89, (Caretti). 88, 1. velli: batuffoli da filare. — 4.

tre.

femina cana (88, 4-5) e l’altra che distingue i fili belli dai brutti (89, 3-4). In quanto ai versi 1-2 di 89 (chi... chi), taluno vede anche qui le Parche (onde il numero di esse sale a quattro), mentre altri, più giustamente, vi scorge la Morte e la Natura che ricorrono

canuta. — 5. fila...traea: traeva fili avvolgendoli in matassa. — 6-8. come... raccoglie: come vediamo fare d’estate la villana che, dopo aver messo a bagno il bozzolo nell’acqua bollente, ne trae i filamenti per la nuova raccolta della seta. 89, 2. altronde: da un’altra parte. — 3. filze:

nell’ottava successiva

matasse.

Qui

l’Ariosto

sembra

ridurle

a due:

(100, 3). Se, come

la

sem-

bra, le Parche qui sono due e se le altre figure sono la Morte e la Natura, il passo può essere interpretato così: la prima Parca, che non distingue il bello dal brutto, è la vità naturale uguale per tutti, mentre la seconda Parca è la vita morale e perciò si preoccupa dei destini umani che sono diversi tra loro (90, 5-8); e

mette porta 1-2) » cana:

90, 5. l’altra: l’altra Parca; cfr. 89, 3-4. — 6-7. per ...paradiso: sono le vite destinate al paradiso. — 8. dannati: dannati nell’inferno. 91, 2. altro lavoro: lavoro diverso: ornamenti del paradiso e «aspri legami » per i dannati. — 4. altri...d’oro: alcuni impressi in piastre di ferro, altri in piastre d’argento o d’oro; la

130

92

Ludovico

Ariosto

5-6. Né...segno:

Né mi

e poi fatti n’avean cumuli spessi, de’ quali, senza mai farvi ristoro, portarne via non si vedea mai stanco un vecchio, e ritornar sempre per anco. Era quel vecchio sì espedito e snello, che per correr parea che fosse nato; e dal quel monte il lembo del mantello portava pien del nome altrui segnato. Ove n’andava, e perché facea quello, ne l’altro canto vi sarà narrato,

se d’averne piacer segno farete con quella grata udienza che solete.

XXXV.

1

2

Chi salirà per me, madonna,

in cielo

a riportarne il mio perduto ingegno? che, poi ch’uscì da’ bei vostri occhi il telo che ’1 cor mi fisse, ognior perdendo vegno. Né di tanta iattura mi querelo, pur che non cresca, ma stia a questo segno; ch’io dubito, se più si va sciemando, di venir tal, qual ho descritto Orlando. Per riaver l’ingegno mio m'è aviso che non bisogna che per l’aria io poggi nel cerchio de la luna o in paradiso; che ’1 mio non credo che tanto alto alloggi. Ne’ bei vostri occhi e nel sereno viso,

3

nel sen d’avorio e alabastrini poggi se ne va errando; et io con queste labbia lo corrò, se vi par ch’io lo riabbia. Per gli ampli tetti andava il paladino tutte mirando

le future vite,

poi ch’ebbe visto sul fatal molino volgersi quelle ch’erano già ordite:

x

diversità dei metalli delle singole vite. — mai concedersi una il Tempo. — sempre

indica la diversità di valore 6. senza ... ristoro: senza pausa. — 8. un vecchio: per anco: incessantemente

per prenderne ancora. 92, 4. del... segnato: delle piastre con i nomi impressi. — 8. grata: benevola. 1, 1. madonna: la donna cui il poeta ha reso omaggio

in apertura

di poema

(I, 2, 5-8) con

concetti che qui (ott. 1-2) sono chiaramente amplificati; cfr. I, 5-6 n. — 3. telo: dardo. —

4. fisse: trafisse. —

lamento di tanta disgrazia, purché non aumenti, ma resti entro questi limiti. — 7. sî va scie-

mando: sogg. l’ingegno, v. 2. — 8. venir: divenire. 2, 1. m'è aviso: ritengo. — 2. poggi: salga. — 6. alabastrini poggi: rotondità del suo corpo d’alabastro. 3, 1. ampli tetti: l’ampio palazzo delle Parche. — 2. le future vite: i bozzoli non ancora filati. — 3. fatal molino: l’aspo, il mulinello, sul

$ 21.

L’« Orlando furioso » : analisi critica

e scorse un vello che più che d’or fino splender parea; né sarian gemme trite,

4

5

6

7

s'in filo si tirassero con arte, da comparargli alla millesma parte. Mirabilmente il bel vello gli piacque, che tra infiniti paragon non ebbe; e di sapere alto disio gli nacque, quando sarà tal vita, e a chi si debbe. L’evangelista nulla gliene tacque: che venti anni principio prima avrebbe

che col M e col D fosse notato l’anno corrente dal Verbo incarnato. E come di splendore e di beltade quel vello non avea simile o pare, così saria la fortunata etade che dovea uscirne al mondo singulare; perché tutte le grazie inclite e rade ch’alma Natura, o proprio studio dare, o benigna Fortuna ad uomo puote, avrà in perpetua et infallibil dote. « Del re de’ fiumi tra l’altiere corna or siede umil — diceagli — e piccol borgo: dinanzi il Po, di dietro gli soggiorna d’alta palude un nebuloso gorgo; che, volgendosi gli anni, la più adorna di tutte le città d’Italia scorgo, non pur di mura e d’ampli tetti regi, ma di bei studi e di costumi egregi. Tanta esaltazione e così presta, non

fortuìta o d’aventura casca;

ma l’ha ordinata il ciel, perché sia questa degna in che l’uom di ch’io ti parlo, nasca:

quale si avvolge il filo della vita di ciascun uomo. (cfr. xxxIv, 88, 5). — 6-7. gemme... arte: pietre preziose tritate e ridotte con arte a un filo. 4, 2. tra...ebbe: non aveva un vello, tra gli infiniti che vi erano, che gli potesse stare a paragone. — 4. a chi si debbe: a chi è dovuta, destinata. — 6-8. venti. ..incarnato: avrebbe avuto inizio, tale vita, vent'anni prima dell’anno segnato con MD, millecinquecentesimo dopo l’incarnazione di Cristo. 5, 3. etade: vita. — 5. rade: rare. — 6. alma:

benefica. — proprio studio: personale applicazione. — 8. infallibil: sicura, che non può venire meno. 6, 1. re de’ fiumi: il Po; cfr. Virgilio, Georg. I, 482: «fluviorum rex Eridanus »; Petrarca,

Canz.,

180, 9: « Re degli altri, superbo, altero

fiume ». — altiere corna: i due rami di Volano a est e di Primaro a sud in cui il Po si bifor-

cava a Ferrara ancora ai tempi dell’Ariosto; cfr. ancora Virgilio, Georg. iv, 371: « gemina auratus taurino cornua vultu». — 2. piccol borgo: Ferrara. — 3. soggiorna: sta. — 4. d’alta ...gorgo: un pantano che esala nebbia in mezzo a una grande palude. — 7-8. non ... egregi: cfr. l'elogio che l’Ariosto fa di Ferrara nell’epitalamio per le nozze di Alfonso d’Este con Lucrezia Borgia (Lir. lat. um, 5168). 7, 1-4. Tanta...mnasca: Questa grande e rapida ascesa di Ferrara non è dovuta al caso o alla fortuna, ma è voluta da un disegno divino, perché tale città sia degna dell’uomo che vi

Ludovico

132

Ariosto

che, dove il frutto ha da venir, s’inesta e con studio si fa crescer la frasca; e l’artefice l’oro affinar suole,

8

9

in che legar gemma di pregio vuole. Né sì leggiadra né sì bella veste unque ebbe altr’alma in quel terrestre regno; e raro è sceso e scenderà da queste sfere superne un spirito sì degno, come per farne Ippolito da Este n’have l’eterna mente alto disegno. Ippolito da Este sarà detto l’uomo a chi Dio sì ricco dono ha eletto. Quegli ornamenti che divisi in molti, a molti basterian per tutti ornarli, in suo ornamento avrà tutti raccolti costui, di c'hai voluto ch'io ti parli. Le virtudi per lui, per lui softolti saran gli studi; e s'io vorrò narrar li alti suoi merti, al fin son sì lontano,

10

ch’Orlando il senno aspetterebbe invano ». Così venìa l’imitator di Cristo ragionando col duca: e poi che tutte le stanze del gran luogo ebbono visto, onde l’umane vite eran condutte, sul fiume usciro, che d’arena misto con l’onde discorrea turbide e brutte; e vi trovàr quel vecchio in su la riva,

11

che con gl’impressi nomi vi veniva. Non so se vi sia a mente, io dico quello ch’al fin de l’altro canto vi lasciai, vecchio di faccia, e sì di membra snello,

che d’ogni cervio è più veloce assai. Degli altrui nomi egli si empìa il mantello; scemava

il monte,

e non finiva mai:

et in quel fiume che Lete si noma, scarcava, anzi perdea la ricca soma.

dovrà nascere: il cardinale Ippolito. — 6. con studio: con cura particolare. — frasca: pianta. 8, 1. veste: corpo. — 2. unque: mai. — 3. raro: raramente. — 4. sfere superne: le stelle, donde scendono secondo la dottrina platonica, le anime sulla terra e prendono corpo. — 5.

Ippolito da Este: cfr. 1,3, 1. — 8. a chi: a cui. — eletto: destinato. 9, 4. di c'hai: del quale hai. — 5. per lui: da lui. — soffolti: sostenuti, favoriti (lat. « suffulti »).

10, 1. l’imitator di Cristo: san Giovanni. — 4. eran condutte: erano portate alle Parche. — S. fiume: accanto vi sorgeva il palazzo delle Parche (cfr. xx1v, 87, 8): è il Lete, fiume dell’oblio; cfr. 11, 7. — 7. quel vecchio: il Tempo; cfr. xxIv, 91-2. — 8. gli impressi nomi; i nomi impressi nelle piastre. 11, 2. vi lasciaî: lasciai lì, sulla riva del fiume. — 6. il monte: il cumulo delle piastre. — 8. perdea: disperdeva.

$ 21.

3 i ehi, L’«Orlando furioso » : analisi critica

12

13

Dico che, come arriva in su la sponda del fiume, quel prodigo vecchio scuote il lembo pieno, e ne la turbida onda tutte lascia cader l’impresse note. Un numer senza fin se ne profonda, ch'un minimo uso aver non se ne puote; e di cento migliaia che l’arena sul fondo involve, un se ne serva a pena. Lungo e d’intorno quel fiume volando girano corvi et avidi avoltori,

14

mulacchie e varii augelli, che gridando facean discordi strepiti e romori; et alla preda correan tutti, quando sparger vedean gli amplissimi tesori: e chi nel becco, e chi ne l’ugna torta ne prende; ma lontan poco li porta. Come vogliono alzar per l’aria i voli, non han poi forza che ’| peso sostegna; sì che convien che Lete pur involi de’ ricchi nomi la memoria degna. Fra tanti augelli son duo cigni soli, bianchi,

15

Signor, come

è la vostra insegna,

che vengon lieti riportando in bocca sicuramente il nome che lor tocca. Così contra i pensieri empi e maligni del vecchio che donar li vorria al fiume,

16

alcun’ ne salvan gli augelli benigni: tutto l’avanzo oblivion consume. Or se ne van notando i sacri cigni, et or per l’aria battendo le piume, fin che presso alla ripa del fiume empio trovano un colle, e sopra il colle un tempio. All’Immortalitade il luogo è sacro, ove una bella ninfa giù del colle viene alla ripa del leteo lavacro,

12, 2. prodigo: perché vi «perdea la ricca soma » (11,8). — 4. l’impresse note: le piastre con i nomi impressi. — 6. ch’un...puote: sì che non se ne può avere alcun vantaggio. — 8. un...pena: se ne salva a malapena uno. 13, 3. mulacchie: specie di cornacchie. Simboleggiano con gli altri uccelli i cortigiani adulatori, come è spiegato nelle ottave 20-1. — 6. gli amplissimi tesori: non le piastre di ferro, ma quelle d’oro e d’argento (cfr. xxIv, 91, 3-4)

sulle quali erano impresse i nomi dei signori. 14, 4. ricchi: insigni; ma anche riccamente impressi su piastre preziose, — 5. duo cigni soli;

sono i pochissimi veri poeti capaci di sottrarre all'oblio gli uomini degni (cfr. ott. 22-3); duo è usato in senso indeterminato come indicazione di un numero esiguo (cfr. Inf. vi, 73: « Giusti son due »). — 6. come... insegna: come l’insegna degli Estensi rappresentante un'aquila bianca in campo azzurro; cfr. xXxVI, 99, 1-4. — 8. sicuramente: senza lasciarlo cadere, con sicurezza.

15, 1. empi: spietati. — 4. tutto... consume: tutto il resto travolge l’oblio. — 7. empio:

cfr. v.d$ 16, 2. una

bella

ninfa:

la Fama.



3. leteo

Ludovico

134

17

Ariosto

e di bocca dei cigni i nomi tolle; e quelli affige intorno al simulacro ch’in mezzo il tempio una -colonna estolle: quivi li sacra, e ne fa tal governo, che vi si pòn veder tutti in eterno. Chi sia quel vecchio, e perché tutti al rio senza alcun frutto i bei nomi dispensi, e degli augelli, e di quel luogo pio onde la bella ninfa al fiume viensi,

18

aveva Astolfo di saper desio i gran misteri e gl’incogniti sensi; e domandò di tutte queste cose l’uomo di Dio, che così gli rispose: «Tu déi saper che non si muove fronda là giù, che segno qui non se ne faccia. Ogni effetto convien che corrisponda in terra e in ciel, ma con diversa faccia. Quel vecchio, la cui barba il petto inonda,

veloce sì che mai nulla l’impaccia, gli effetti pari e la medesima opra che ’1 Tempo fa là giù, fa qui di sopra. 19

Volte che son le fila in su la ruota,

là giù la vita umana

arriva al fine.

La fama là, qui ne riman

la nota;

ch’immortali sariano ambe e divine,

se non che qui quel da la irsuta gota, e là giù il Tempo ognior ne fa rapine. Questi le getta, come

20

vedi, al rio;

e quel l’immerge ne l’eterno oblio. E come qua su i corvi e gli avoltori e le mulacchie e gli altri varii augelli s’affaticano tutti per trar fuori de l’acqua i nomi che veggion più belli: così là giù ruffiani, adulatori, buffon, cinedi, accusatori, e quelli

che viveno alle corti e che vi sono più grati che ’l virtuoso e ’l buono, lavacro: il fiume Lete. — alla statua dell’Immortalità

5-6. al... estolle: posta su una colonna che la innalza (estolle) in mezzo al tempio. — 7. li sacra: consacra i nomi. — 7-8. ne ...eterno:

ne

prende

tanta

cura

che

sono

conservati in eterno. 17, 2. senza... dispensi: offra, elargisca senza

ricavarne alcun vantaggio le piastre preziose. — 3. pio: sacro. — 6. gl’incogniti sensi: i significati reconditi. 18, 2. che...faccia: di cui non si abbia qui un segno corrispondente. — 3. effetto: fatto,

avvenimento. — 4. faccia: forma, apparenza. — 7-8. gli effetti. ..sopra: fa qui, sulla luna, azioni e opere analoghe a quelle che il Tempo

fa laggiù, sulla terra. 19, 1. ruota: l’aspo della Parca; cfr. xxxIv, 88,

S. — 3. La fama... nota: In terra resta della vita umana la fama, qui nella luna il nome inciso sulla piastra. — 5. quel...gota: il vecchio, «la cui barba il petto inonda » (18, 5). — 6. ne fa rapine: le travolge. 20, 6. cinedi: sodomiti. — accusatori: spic. — 8. grati: graditi.

$ 21.

3

:

L’'« Orlando furioso » © analisiRESA critica

21

e son chiamati cortigian gentili, perché

sanno

imitar

l’asino e ’1 ciacco;

de’ lor signor, tratto che n’abbia i fili la giusta Parca, anzi Venere e Bacco, questi di ch'io ti dico, inerti e vili, nati solo ad empir di cibo il sacco,

Li

portano in bocca qualche giorno il nome; poi ne l’oblio lascian cadere le some. Ma come i cigni che cantando lieti rendeno salve le medaglie al tempio, così gli uomini degni da’ poeti son tolti da l’oblio, più che morte empio. Oh bene accorti principi e discreti, che seguite a1 Cesare l’esempio, e gli scrittor vi fate amici, donde non avete a temer di Lete l’onde! Son, come i cigni, anco

23

i poeti rari,

poeti che non sian del nome indegni; sì perché il ciel degli uomini preclari non pate mai che troppa copia regni, sì per gran colpa dei signori avari che lascian mendicare i sacri ingegni; che le virtù premendo, et esaltando i vizii, caccian le buone arti in bando.

Credi che Dio questi ignoranti ha privi

24

de lo ’ntelletto, e loro offusca i lumi;

che de la poesia gli ha fatto schivi, acciò che morte il tutto ne consumi. Oltre che del sepolcro uscirian vivi, ancor

25

ch’avesser tutti i rei costumi,

pur che sapesson farsi amica Cirra, più grato odore avrian che nardo o mirra. Non sì pietoso Enea, né forte Achille fu, come

21, 2. ciacco:

porco.



3-4.

è fama, né sì fiero Ettorre;

tratto ... Bacco:

quando ha posto fine alla loro vita la Parca, anzi il vizio in loro prevalente, la lussuria (Venere) o la gola (Ciacco). — 6. il sacco: il ventre; cfr. Inf. xxvIiri, 26; un concetto analogo è nei pensieri di Leonardo e risale a Orazio, Epist. 1, 2, 27: « Nos numerus sumus et fruges consumere nati». — 8. le some: il peso, cioè la fama, di quel nome. 22, 2. le medaglie: le piastre con i nomi incisi. — 4. empio: spietato. — 5. discreti: giudiziosi, assennati. — 6. Cesare: Cesare Augusto; cfr. 26, 1-4. — 7. donde: per i quali.

23, 3-4. il ciel...regni: il cielo non tollera che viva in gloria una grande quantità di uomini

di alto valore. — 6. i sacri ingegni: i poeti. — 7-8. le virtù...vizii: cfr. Inf. x1x, 105: « calcando i buoni e sollevando i pravi ». 24, 2. loro...lumi: li priva della capacità di discernere. — 3. de...schivi: li ha fatti indifferenti alla poesia. — 4. il... consumi: cancelli completamente la loro memoria. — 5-8. Oltre ...mirra: Anche se avessero i peggiori costumi, purché sapessero farsi amici i poeti (Cirra, una delle vette del Parnaso, già invocata da Dante, Par. 1, 36), risorgerebbero nella memoria degli uomini e lascerebbero l’odore della loro fama (cfr. vii, 41, 5), più gradito del profumo del nardo e della mirra,

25, 1. pietoso Enea:

«pius

Aeneas»

è detto

Ludovico

136

26

Ariosto

e ne son stati e mille e mille e mille che lor si puon con verità anteporre: ma i donati palazzi e le gran ville dai descendenti lor, gli ha fatto porre in questi senza fin sublimi onori da l’onorate man degli scrittori. Non fu sì santo né benigno Augusto come la tuba di Virgilio suona. L’aver avuto in poesia buon gusto la proscrizion iniqua gli perdona. Nessun sapria se Neron fosse ingiusto, né sua fama saria forse men buona, avesse avuto e terra e ciel nimici,

Za

se gli scrittor sapea tenersi amici. Omero Agamennòn vittorioso, e fe’ i Troian parer vili et inerti; e che Penelopea fida al suo sposo dai Prochi mille oltraggi avea sofferti. E se tu vuoi che ’l ver non

ti sia ascoso, .

tutta al contrario l’istoria converti: che i Greci rotti,

28

Gli scrittori amo,

29

e che Troia vittrice,

e che Penelopea fu meretrice. Da l’altra parte odi che fama lascia Elissa, ch’ebbe il cor tanto pudico; che riputata viene una bagascia, solo perché Maron non le fu amico. Non ti maravigliar ch'io n’abbia ambascia, e se di ciò diffusamente io dico. e fo il debito mio;

ch’al vostro mondo fui scrittore anch'io. E sopra tutti gli altri io feci acquisto che non mi può levar tempo né morte: e ben convenne al mio lodato Cristo

frequentemente nell’Eneide da Virgilio. — 5-6. ma ...lor: ma le ville e i palazzi donati ai poeti dai discendenti di questi eroi. — 6-8. gli...scrittori: hanno fatto porre questi eroi per opera degli scrittori beneficiati (v. 8) negli onori immortali e sublimi in cui si trovano. 26, 2. la tuba di Virgilio: la poesia epica dell’Eneide; per tuba (poesia) cfr. Par. xxx, 35. — 4. la...perdona: gli fa perdonare le due proscrizioni di tanti cittadini romani (tra i quali Cicerone e lo stesso Virgilio) al tempo del suo triumvirato con Antonio e Marco Lepido. 27, 4. Prochi: Proci. — 7-8. î Greci... meretrice: «L’opinione bizzarra che i troiani fossero vincitori, e i greci vinti, fu sostenuta da

Dione Grisostomo in una delle sue Orazioni. Così anche vollero alcuni che Penelope [...] si fosse data a tutti i Proci » (Casella). 28, 2. Elissa: Didone. — 3-4. riputata... amico: ha fama di donna dissoluta solo perché Virgilio Marone le fu avverso. La difesa di Didone è ferma in Petrarca, Tr. Pud. 10-2 e 155-9: « quella che per lo suo diletto e fido / sposo, non per Enea, volse ire al fine: / taccia il vulgo ignorante! io dico Dido, / cui studio d’onestate a morte spinse, / non vano amor, com'è pubblico grido ». 29, 1-2. E sopra...morte: E, superando tutti gli altri scrittori, io acquistai una fama tale che né il tempo né la morte mi possono to-

$ 21.

L’« Orlando furioso » : analisi critica

30

137

rendermi guidardon di sì gran sorte, Duolmi di quei che sono al tempo tristo quando la cortesia chiuso ha le porte; che con pallido viso e macro e asciutto la notte e ’l dì vi picchian senza frutto. Sì che continuando il primo detto, sono i poeti e gli studiosi pochi; che dove non han pasco né ricetto, insin le fere abbandonano i lochi ». Così dicendo,

il vecchio

}

benedetto

gli occhi infiammò, che parveno duo fuochi; poi vòlto al duca con un saggio riso tornò sereno il conturbato viso.

M

sd

Nell’inventario degli oggetti ritrovati nella grande valle lunare manca la pazzia. Gli uomini infatti non sanno di esserne dominati; tanto anzi sono con-

gliere. — 4. rendermi ...sorte: ricompensarmi in modo eccezionale. — 5. quei... tristo: quegli scrittori che vivono in tempi tristi. — 6. 8.

mortalità (ott. 34, 81 sgg. e 35, 3-16). La scenografia qui torna ad essere stilizzata, ma in funzione di una rappresentazione allegorica che si conclude nel sermone dell’Evangelista in difesa della più bella delle menzogne umane, la poesia (ott. 35, 18-30).

Il materiale illustrativo messo in opera dall’Ariosto in queste sequenze edeniche e lunari non è privo di formule convenzionali. Il

tore di spettacoli di corte oltre che commediografo, può avere avuto nell’allestimento di questa rappresentazione lunare qualche peso. Ma non è questo che conta. Conta di più il mora-

cortesia: liberalità. 30, 1. continuando . .. detto: cfr. Inf. x, 76. —

6. parveno: parvero. tornò: rifece.



7. riso: sorriso. —

La

paradiso terrestre è «soave [...] chiaro e giocondo » come s’addice al paesaggio inconta-

minato di un eden ripudiato dall’uomo in favore di un «fetido mondo» (ott. 34, 52). Uno stilizzato decorativismo da età dell’oro in policromia ne irrigidisce la descrizione col sovraccarico enfatico del fiammeggiante palazzo, donde

esce

incontro

ad

Astolfo,

con

buona

sollecitudine monacale, san Giovanni evangelista (ott. 34, 49-55). Ma l’ambiente lunare ha una più vivace animazione. La stilizzazione qui è ridotta al rapido rilievo di una gigantografia di città, borghi, ville e boschi, speculare rispetto al paesaggio della terra miniaturizzato dal confronto (ott. 72). L'interesse si concentra invece sul vallone delle cose perdute, cimitero di oggetti simbolici, quasi emblemi figurativi che, decifrati, rivelano in negativo la storia e le passioni degli uomini (ott. 73-80). Più in là, la dimora delle Parche e il Lete. Un vecchio

vi scarica dentro instancabile una massa di piastre incise di nomi che volatili rapaci e gracchianti tentano di strappare alla corrente dell’oblio, mentre « duo cigni soli » ne salvano benignamente alcuni che affidano a una ninfa perché ne consacri la fama nel tempio dell’im-

competenza

teatrale

dell’Ariosto,

diret-

lista amabilmente intellettualistico delle Satire. Il tono dominante dell’episodio è quello dell’Ariosto satirico, ma immune da compromis- . sioni autobiografiche e in piena sintonia con un’ispirazione bizzarra e demistificante che traduce fantasticamente i suggerimenti del più spregiudicato moralismo umanistico: temi diatribici come quelli della pazzia, dell’ambizione, dell’adulazione, della fortuna, dell’inconoscibilità del vero, della manipolazione del falso riproposti come spettacolo. Rispetto a una visione del mondo terreno tanto scettica e insieme tanto liberatoria la messinscena allegorica non ha niente di ornamentale e di dispersivo. Anche Astolfo, 1’« aventuroso » protagonista di questa aerea sequenza, non interferisce nella rappresentazione. La sua disponibilità all'avventura lo mette nelle condizioni adatte per fare da spettatore. Astolfo è l’opposto d'Orlando; non è mosso da princìpi o da affetti, ma dalla curiosità del nuovo. Perciò la sua « irresponsabilità » diventa, in questa circostanza, funzionale: evita il rischio di caricare di incongrui sentimenti, valori o messaggi personali una favola così prodigiosamente

in bilico tra invenzione e significato.

Ludovico

138

Ariosto

vinti di essere padroni del proprio senno « che mai per esso a Dio voti non férse », cioè nessuno — l’aveva già osservato Erasmo (Encomium xLI) — ringrazia Dio o i santi per aver allontanato da sé la pazzia. Qui è evidente la concordanza con le proposte antidogmatiche del razionalismo erasmiano volto a un recupero integralmente umanistico

del mondo,

anche degli aspetti irrazionali, e l’inciso ario-

stesco, chiaramente ricalcato sull’Encomium, dà una più precisa connotazione all'episodio di Astolfo, fa del suo viaggio un’avventura intellettuale. Il paradiso da lui visitato « non è più luogo di santità, ma deposito aereo di ogni alienazione » (Muscetta), e il nuovo,

bizzarro, esploratore dell’aldilà a differenza non solo di

Dante, ma anche del Menippo di Luciano, capostipite suo e di tutti gli eroi fanta-satirici (dal Micromégas volteriano al Copernico leopardiano), non ha da riportare in terra alcun messaggio. Ariosto ha un preciso senso del limite: sa che rispetto a una rappresentazione così liberatoria dell’oltremondo qualsiasi morale sarebbe inadeguata, rischierebbe, come può accadere agli scrittori illuministi di tutti i tempi, di risolversi in una freddura. La consapevolezza della vita acquisita con l’estraneazione dal ritmo dell’esistenza, soggiornando in quell’osservatorio un tempo privilegiato che era la luna, non serve né alla rigenerazione del mondo né a ricavare un segreto suggerimento di etica individuale. Ariosto non cede neppure alla tentazione dell’ironia sulle verità rivelate e sul fanatismo, come fa Luciano riecheggiato con maggiore ricchezza d’argomenti da Erasmo. La vita sarà quello che sarà e lo spettacolo del mondo non sarà interrotto. Ma, come ogni spettacolo, anche questo, anzi soprattutto questo tanto vario spettacolo del mondo, ha bisogno di una regia che sappia distribuire le parti e armonizzarle. Solo i poeti sanno organizzarlo. Perciò il custode del paradiso terrestre, l’evangelista Giovanni, scrittore cosciente della sua fama immortale, prima di congedare il visitatore pronuncia un’orazione pro domo sua, una difesa della poesia. Si tratta, è vero, di una difesa bizzarra. Ariosto scopre le carte: la poesia non è verità, perché i poeti possono far diventare santo e benigno Augusto nonostante le sue crudeli prescrizioni, lasciare nella fama d’ingiusto Nerone che non seppe tenerseli amici, far parere vili ed inerti i troiani, vittoriosi i greci, pudica Penelope, bagascia Didone, quando invece, avverte l’Evangelista, la vera storia è tutta al contrario. Il lettore è avvertito: ora sa come suona non solo « la tuba di Virgilio » poeta augusteo, ma anche quella dell’Ariosto poeta estense. E tuttavia l’orazione giovannea è tutt’altro che un pezzo di bravura burlesca. Interpretata nella prospettiva del pieno Rinascimento, come documento della crisi dei vecchi valori e della nascita dei valori moderni, essa provoca un effetto non diverso dalla esaltazione

dello Stato fatta da Machiavelli con la sconsacrazione delle antiche e recenti mitologie del potere. Anche la difesa della poesia fatta da Ariosto nasce paradossalmente dalle ceneri sconsacrate della poesia, mitizzata come sapienza e verità con foga cristiana, platonica o aristotelica. Realisticamente Ariosto la riconduce alle sue dimensioni terrene, ma recuperandola come la più umana e civile espressione della società, come

comune.

una

rivelazione di virtù individuale che mobilita

il vivere

L'orgoglio del poeta per le sue capacità d’arte, per i meriti acquisiti,

$ 21.

L’'« Orlando furioso » : analisi critica

139

qui è evidente, ma è un orgoglio privo di iattanza e mistificazioni espresso piuttosto con una spregiudicatezza intellettuale e una padronanza sentimentale che, tra gli scrittori del Cinquecento, ritroviamo in misura altrettanto rilevante solo in Machiavelli. Lo spettacolo del mondo messo in scena nel Furioso non resta un’astratta proposta intellettuale: è una forma che si attua pienamente nella narrazione. La visività, infatti è forse la qualità specifica dell’arte ariostesca più generalmente riconosciuta, fin da quando uno dei primi interpreti del poema, il cinquecentista

Ludovico

Dolce,

ne

colse

l’effetto

ottico

rilevando come

il

Furioso, piuttosto che leggerlo sembra di vederlo. I caratteri fondamentali di questo stile visivo o «rappresentazione diretta e immediata dell’oggetto », sono quelli che De Sanctis metteva in luce nelle lezioni zurighesi sulla poesia cavalleresca: la «trasparenza » o «evidenza » («che consiste nel presentar gli oggetti con tanta verità che ci sembrino posti innanzi agli occhi ») e la « naturalezza », cioè la «potenza

d’immedesimarsi

talmente

con

l’obietto,

ch'e’ venga

fuori com'è, senza che nulla del poeta vi s’attacchi ». Questi dati di giudizio, difficilmente contestabili e del resto saldamente acquisiti dalla critica ariostesca, sono stati suffragati dai risultati delle analisi linguistiche e metriche, e i sondaggi diacronici e sincronici, diretti a ricostruire il percorso stilistico del Furzoso attraverso le sue tre redazioni e le fitte correzioni, li hanno resi ancora più pertinenti. È considerazione ormai ovvia che la facilità dello stile ariostesco, cioè la sua

efficacia rappresentativa esercitata costantemente nel poema, dal principio alla fine, senza cedimenti, non è la rivelazione di una felicità istintiva e quasi incontrollabile, ma il risultato, peraltro dall'autore mai considerato definitivo, di uno strenuo

esercizio artistico. Tuttavia è altrettanto vero che la direzione in cui l’Ariosto orientò le sue scelte fu da lui prontamente intuita, soprattutto linguisticamente. La tendenza sin dalla prima redazione è sostanzialmente divergente da quella testimoniata dall’Innamorato, e dagli altri prodotti della letteratura cavalleresca settentrionale come riflesso di una « koinè padana » (Segre); è una tendenza toscanizzante che già l’esperienza del lirico in volgare e del drammaturgo aveva rivelata e che, a partire dal 1525, s’appoggia all'autorità teorica e normativa delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo. Le spinte morfologiche, grammaticali e lessicali si risolvono nel senso indicato, sia pure senza rigida sistematicità, riassorbendo i detriti di lingua periferica dentro un organismo letterario che mostra una salda omogeneità unitaria-nazionale. Parallelamente, e con conseguenze esteticamente più rilevanti, si sviluppano sulle due prime edizioni gli interventi sintattici, che tendono a sciogliere le rigidità persistenti del discorso narrativo mirando «a render più continuo il tessuto musicale ed a arricchirlo di suggestioni » (Binni) — com'è testimoniato dalla trasformazione del primo verso,

« Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori », operata su un originario « Di donne e cavallier, li antiqui amori» —, 0 a intensificare la drammaticità del contesto,

come nel verso « Tre volte e quattro e sei lesse lo scritto » (xxm1, 111) che scandisce con ritmo pausato il crescendo della pazzia di Orlando molto meglio dei

140

Ludovico

Ariosto

precedenti « Più e più volte rilesse quel scritto » e « Più volte e più lesse e rilesse il scritto », non ancora liberati dalla loro grezza funzione enunciativa. Proprio nel riassorbimento di «queste. funzioni enunciative nell’armonia interna, necessaria all'ottava » (Contini) è stato individuato uno dei massimi risultati dell’elaborazione stilistica del Furioso. La sua ottava infatti è una soluzione strutturalmente coerente, che valorizza le scelte di lingua e di stile incrementando al tempo stesso la funzione narrativa. In questo blocco metrico unitario, diverso da quello frammentario della tradizione canterina e anche del Pulci (cfr. vol. III, t.2, $49) il racconto si scandisce con un ritmo fluido ricchissimo, come aveva ancora una volta notato il De Sanctis, di dati accessori: i quali, non che ridursi a puri elementi decorativi, si integrano con valore complementare nella pienezza plastica del periodo. Per questa fusione Ariosto aveva utilizzato la lezione del Poliziano, e forse quella, meno fertile, del Bembo delle Stanze, senza lasciarsi indurre nella

tentazione di polverizzare in particolari lirici l’unità epica. L'altra grande lezione di stile, quella che aveva raccolto nei poeti latini (specie Virgilio e Orazio), nella prosa ciceroniana e boccaccesca (modelli di sapiente organizzazione sintattica) e soprattutto nel Canzoniere del Petrarca, parametro invariabile su cui si costituisce l’arte ariostesca, collabora decisamente all’insuperabile traguardo classicistico dell’ottava ariostesca. Anche le presenze burlesche e pulciane e quelle dantesche, abbastanza frequenti specie nelle parti discorsive e talora rilevate come citazioni parodistiche, non alterano la concorde modulazione del ritmo strofico e la sostanziale omogeneità dello stile che si realizza assestandosi a un livello medio, equidistante cioè tra l’aspirazione al sublime, cui tenderà il Tasso, e l'adattamento al tono umile della rappresentazione realistica, esito cui perverrà ! dentro e fuori d’Italia il romanzo d’avventura. Questa omogeneità, del resto, non è soltanto di ordine stilistico; è una con-

dizione di uguaglianza in cui vivono le cose e le persone del poema senza che nessuna di esse assuma uno spicco preminente. Tutto nel Furioso è in piena luce: non c’è zona, sia pure periferica (come certe digressioni novellistiche), che resti in penombra, non c’è personaggio, sia esso figura incidentale o comparsa, che resti allo stato embrionale, di provvisorio abbozzo. Questo d’altra parte non significa che l’Ariosto sia indifferente ai contenuti del suo racconto, al valore che possono assumere le imprese dei suoi eroi, ma soltanto che l’interesse prevalente di determinate situazioni e azioni è strettamente inerente alla loro funzione nel poema. Se per funzione intendiamo, come suggerisce Propp, « l'operato di un personaggio, determinato dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento della vicenda », è evidente il risalto obiettivo che acquistano personaggi come Angelica, Bradamante, Orlando, Ruggiero, Astolfo. Ma tale importanza non è poi caricata di ulteriori attenzioni particolari da parte dell’autore a scapito di altri personaggi. Perciòè stato giustamente osservato che anziché parlare di una profonda vita sentimentale e affettiva, si deve parlare « di un’intensa vita di relazione, cioè di rapporti continui tra ciascun personaggio e gli altri personaggi, sì che le

figure, anziché fare argine allo svolgimento della vicenda o addirittura evaderne,

E

$ 22.

at

L’immaginazione

né vengono

3

3

e la regola : î « Cinque canti »

costantemente

a rappresentare

141

i protagonisti

attivi o le vittime »

(Caretti). È un risultato di classico equilibrio unico e irriproducibile; ma giudicato in una prospettiva di Weltliteratur, in relazione agli sviluppi delle forme narrative in area europea, esso non resta un fenomeno isolato e privo di conseguenze. Epos e romanzo sono nel Furioso elementi artistici solidali. La loro contiguità è ancora assicurata nel poema dall’interazione di alcuni elementi convergenti di contenuto e di stile: dall'armonizzazione tra il momento soggettivo dell’autore (riflessione, ironia) e il momento oggettivo della favola recitata dagli eroi del poema; dall’attuazione di un livello stilistico medio ed omogeneo, che scarta non solo, come

s’è detto, la sublimità di tipo tragico, ma anche il rilievo e la variabilità del

linguaggio caratterizzante in funzione espressionistica, parodistica, cromatica. Questa contiguità presto sarà scissa nell’opposizione tra la verità dell’immaginazione (la poesia della vita interiore) e la realtà dell’esistenza pratica (la prosa della quotidianità borghese) così come la rappresenta Cervantes nel Don Chisciotte, celebrato capostipite del romanzo europeo. Ma la conversione dalla rappresentazione del mondo come deve essere al mondo com'è, fenomeno sotteso alla nascita

del realismo, è già avvenuta nel Furioso. Il motto di Montaigne, « gli altri formano l’uomo, io lo racconto », serena presa di coscienza di una condizione antropocentrica carica di un destino per il momento imprevedibile, avrebbe già potuto essere il motto dell’Ariosto. L'atto di libertà che questa nuova professione di fede laica sottintende, la grande macchina del poema ariostesco l’esprime visibilmente come spettacolo di un’umanità potenziata nell’immaginazione, proiettata in un regno mitico di infinite possibilità, ancora resistente tanto ai sempre più minacciosi eventi esterni, della storia, quanto a quelli interni, della coscienza, che stanno

per incrinare l’ironica fiducia nell’inseparabilità tra bene e male (« pro bono malum » suona l’enigmatico esergo dell’opera): insomma, con la capacità tipicamente rinascimentale di tradurre in forme esaltanti la fervida avventura dell’uomo.

$ 22.

L’immaginazione e la regola: i « Cinque canti »

Il poema dell’armonia, come è definito da una nota formula crociana l’Orlando furioso, non è dunque l’espressione diretta di una corrispondente armonia psicologica, di un’equità intellettuale e sentimentale prestabilita che l’Ariosto riveste di belle forme. È piuttosto una vittoria che il poeta ottiene contro forze interne discordi, contro sollecitazioni ideologiche, etiche, religiose ed anche stilistiche dissonanti che fermentavano nella sua coscienza e operavano dinamicamente dentro la stessa materia narrativa, nell’immenso repertorio dei temi e delle immagini, quasi ad insidiare il perfetto equilibrio compositivo dell’opera.

La discordia, la gelosia, l’ossessività affettiva di Orlando, la perfidia di Ga-

brina, l’empietà dei tiranni, i sortilegi delle maghe, la presenza orrida dei mostri, la rappresentazione stessa del mondo naturale ora cosmos ora caos, motivi

142

Ludovico

Ariosto

in sé inquietanti, sembrano affiorare spontaneamente e senza significati intenzionali nel ritmo regolare del Furioso, come una necessaria alternanza di forme e movimenti cui l’avvincente gioco di compensazioni dell’Ariosto fa da regola. L’immaginazione ariostesca è appunto un’immaginazione regolata: si organizza esteticamente sull’utilizzazione dei materiali affini e sullo scarto di quelli incongrui proliferati dopo la seconda edizione del poema con prove, abbozzi, blocchi narrativi nuovi ai quali l’Ariosto lavorò con l’intenzione di incrementare tematicamente il Furioso, ma anche con l'ambizione di conferirgli nuove finalità epiche. L’indice di questo incremento è valutabile su ciascuno dei quattro episodi aggiunti nell’edizione 1532 (cfr. $ 19), il valore dello scarto sui Cinque canti. Stesi fra il 1521 e il ’28, secondo il Segre, oppure tra il 1518 e il ’19, secondo la

datazione proposta dal Dionisotti, i Cinque canti si possono considerare per la loro ispirazione unitaria come un’opera autonoma, mentre altri frammenti, « La storia d’Italia », « Lo scudo della regina Elisa », sono in tal senso irrilevanti.

Il collegamento del nuovo racconto con la narrazione preesistente doveva intervenire alla fine del poema (ott. 45 del c. xL dell’ed. 1521) a turbare la vittoria dei cristiani con i propositi di vendetta di Gano sui chiaramontesi (Rinaldo, Bradamante e Ricciardetto) e su Orlando, punitori di tante malefatte dei maganzesi, stirpe di traditori tristemente famosa nella letteratura cavalleresca. La minaccia di nuovi inganni resta sospesa anche nell’ultimo Furioso (xLVI, 67-8), dove Gano e i suoi familiari sono mostrati come dissimulatori. I Cinque canti sono appunto la storia, peraltro non conclusa, di questi inganni di Gano, promotore su ispirazione d’Alcina, ancora sdegnata contro Carlo e i suoi paladini per la fuga di Ruggiero, di una generale ribellione dei popoli dell’impero. Il tema della vendetta domina la scena iniziale del convegno delle fate in India popolata di figurazioni grottesche di gusto gotico (aeree navi di vetro, cavalcature demoniache, carri volanti d’oro e d’argento trascinati da stuoli di diavoli neri, « pegasi, griffi et altri uccei bizarri ») e incentrata nella studiata perorazione di Alcina che argomenta il suo invito alla vendetta contro Carlo e i suoi cavalieri col ricordo delle ingiurie patite da lei e da molte altre sue sorelle. Per impulso di Alcina la macchina magica si mette in moto, e come la macchina divina nel Furioso aveva arruolato la Discordia per allontanare la minaccia dei pagani, così questa arruola, a danno dei cristiani, l’Invidia. Livida dea dell’inferno, imperatrice degli imperatori, regina dei re, dominatrice dei principi invitti, rovina dei persi, dei macedoni, dei romani

e dei greci, l’Invidia,

differentemente dalla Discordia, non ha come figurazione niente di divertito; lascia anzi affiorare nello studiato pittoricismo dell’imitazione ovidiana (Met. 1r, 775-82) uno sdegno d’ispirazione civile, aspramente partecipe. L’Invidia appare in sogno a Gano mostrandogli le fortune degli odiati chiaramontesi e lo induce a turbare subito il giocondo stato della corte imperiale, dove il sovrano distribuisce terre e tesori ai suoi valorosi combattenti. Stipulato un patto con Alcina, che lo fornisce di mezzi magici per spostarsi rapidamente da Occidente ad Oriente e di un folletto ingannatore, Gano fa armare contro Carlo

è 22.

L’immaginazione

e la regola : î « Cinque

canti »

143

il Soldano d’Egitto e Marsilio di Spagna, incita il longobardo Desideri o contro il papa, sobilla l’uno contro l’altro i popoli cristiani, in Fiandra, Inghilte rra, Germania, Ungheria e Boemia. Un'altra forza infernale, il Sospetto, opera a questo punto in sostituzione dell’Invidia. Il Sospetto è la peste dei tiranni, è il tarlo della loro mente inquieta e diffidente che li condanna a non riposare mai e che richiama Ira, Crudeltà, Rapina, strumenti di uno sciagurato potere volto fatalmente alla guerra. Il tema della guerra, introdotto da questa densa stratificazione di cupe allegorie politiche, sì carica ora nel racconto dell’Ariosto e nei suoi commenti di una mestizia solenne e malinconica, di un pessimismo esplicito che neppure lo spettacolo dell’onore cavalleresco — contrapposto all’uso moderno delle milizie mercenarie in singolare sintonia con le invettive del Machiavelli — riesce più a riscattare:

[‘* © VITA NOSTRA DI TRAVAGLIO 34

35

36

PIENA ”’]

O vita nostra di travaglio piena, come ogni tua allegrezza poco dura! Il tuo gioir è come aria serena, ch’alla fredda stagion troppo non dura: fu chiaro a terza il giorno, e a vespro mena sùbita pioggia, et ogni cosa oscura. Parea ai Franchi esser fuor d’ogni periglio, morto Agramante e rotto il re Marsiglio; et ecco un’altra volta che ’] ciel tuona da un’altra parte, e tutto arde de lampi, sì che ogni speme i miseri abbandona di poter frutto cor de li lor campi. E così avvien ch’una novella buona mai più di venti o trenta dì non campi, perché vien dietro un’altra che l’uccide; e piangerà doman l’uom ch’oggi ride. Per le cittadi uomini e donne errando,

con visi bassi e d’allegrezza spenti,

I. Cinque canti, 11, ott. 34-8 e 41-2; da Ariosto, Opere minori, a c. di C. Segre cit., pp. 629-32. «com 34, 2. come...dura: cfr. Purg. x1, 92: poco verde in su la cima dura»; Petrarca, Canz. 311, 14: «come nulla qua giù diletta e dura ». — 4. dura: resiste. — 5. a terza: alle nove del mattino. — 8. morto... Marsiglio: Agramante fu ucciso da Orlando a Lipadusa

(cfr. Fur. XLII, 7-8); alla sconfitta di Marsilio, re di Spagna, accenna Ariosto nei Cinque canti 1, 63, 1-4, come ad ‘un’impresa cui i franchi = è stanno per accingersi. 35, 4. di poter... campi: fuori di metafora: di godere di tante vittorie. 36, 2. d’allegrezza spenti: cfr. Petrarca, Canz. 35,7. — 6. più cari parenti: i genitori, probabil-

144

Ludovico

DDNI

andavan taciturni sospirando, né si sentiano ancor chiari lamenti: qual ne le case attonite avvien, quando mariti o figli o più cari parenti si veggon travagliar ne l’ore estreme, ch’infinito è il timor, poca è la speme. E quella poca pur spegnere il gelo vuol de la tema,

38

41

42

Ariosto

e dentro

il cor si caccia:

ma come può d’un piccolin candelo fuoco scaldar dov’alta neve agghiaccia? Chi leva a Dio, chi leva a’ Santi in cielo le palme giunte e la smarrita faccia, pregandoli che, senza più martìre, basti il passato a disfogar lor ire. Come che il popul timido per tema disperi, e perda il cor e venga manco, nel magnanimo Carlo non iscema l’ardir, ma cresce, e nei paladini anco: ché la virtù di grande fa suprema, quanto travaglia più, l'animo franco; e gloria et immortal fama ne nasce, che me’ d’ogn’altro cibo il guerrier pasce. [.. .] Non si sentiva allor questo rumore de’ tamburi, com’oggi, andar in volta, invitando la gente di più core, o forse (per dir meglio) la più stolta, che per tre scudi e per prezzo minore vada ne’ luoghi ove la vita è tolta: stolta più tosto la dirò che ardita, ch’a sì vil prezzo venda la sua vita. Alla vita l’onor s'ha da preporre;

fuor che l’onor non altra cosa alcuna: prima che mai lasciarti l’onor tòrre déi mille vite perdere, non ch’una. mente. — 7. travagliar...estreme: nelle ore che precedono la morte.

soffrite

37, 4. dov’alta... agghiaccia: il freddo di ghiaccio dei luoghi nevosi. — 7-8. senza...

tro le compagnie di ventura ... devono essere state dettate all’Ariosto dalla realtà, più che da suggestioni libresche (cfr. Fur. XXXVI, 3). possibile che egli conoscesse le idee analoghe

passato: senza nuove sofferenze, bastano quelle

del Machiavelli, ma corrispondenze puntuali vi

già patite. 38, 1. Come che: Nonostante che. — timido: timoroso. — 2. perda ...manco: si perda di coraggio e si smarrisca. — 3. iscema: diminuisce. — 5-6. la virtù... franco: l'animo coraggioso, quanto più soffre, tanto più grande fa il suo valore. — 8. che...pasce: di cui il guerriero si pasce meglio, a preferenza, di ogni altro cibo. 41, 1-8. Non...vita:

«le considerazioni

con-

sono appena col Petrarca, Canz. 128 » (Segre). — 2. tamburi: si annunciavano così gli arruolatori quando arrivavano nelle città e nei borghi. per il reclutamento dei soldati. — andar in volta: andare attorno. — 8. a sì... vita: cfr. Petrarca, Canz. 128, 62: «venda lValma a prezzo » e Ariosto, Ad Philiroen, n red., 9-11: «O miseri, quibus / vesana mens est vendere sanguinem / auro suum ».

x

$ 22.

no

ra

L’immaginazione

;

i

e la regola : i « Cinque canti »

145

Chi va per oro e vil guadagno a porre la sua vita in arbitrio

di fortuna,

per minor prezzo crederò che dia, se troverà chi compri, anco la mia.

Mentre Orlando compie in Italia una spedizione contro Desiderio e mentre Ruggiero, Bradamante, Marfisa, Rinaldo e gli altri paladini restaurano l’ordine ai confini dell'impero e dentro gli stati dei vassalli ribelli, Carlo parte col grosso dell'esercito per la Germania, dove assoggetta la Baviera ribellatasi al fido Namo e quindi pone l'assedio a Praga. L’incursione in Boemia, rivelatasi più difficile del previsto, è presentata come una guerra santa contro un nido di paganesimo e deve essere letta molto probabilmente in chiave antiluterana 0 comunque antiereticale. La regalità di Carlo che estirpa la sacralità demoniaca del culto orgiastico del libero amore, ancora sopravvivente in una selva sulle rive della Moldava, è valorizzata al massimo nel pacato rilievo dato alla sua pietas e ai gesti implacabili e solenni con cui abbatte gli alberi della foresta incantata e che nel poeta suscitano il ricordo nostalgico della Ferrara in tempo di pace, raccolta festosamente, nobili e plebei, attorno al suo principe, per il gioco pubblico della balestra nel giorno di san Giovanni Battista. La concordia intorno a Carlo continua però ad essere insidiata dai tradimenti di Gano. Il canto terzo infatti ci riporta in Francia dove il traditore maganzese riesce a sobillare con false lettere imperiali Rinaldo, il quale, credendosi disprezzato dal suo signore, si mette in aperta ribellione, mentre Ruggiero è deviato, anch’egli ingannevolmente, verso la Spagna con una flotta che fa presto naufragio in uno scontro navale, e Bradamante cade prigioniera di Gano. Il tema della Discordia, come effetto di un’ambizione che in Gano è sfrenata e disonesta, ma

negli altri guerrieri è onesto desiderio di primeggiare, occupa questo seguito di episodi rissosi che si conclude con la sconfitta di Gano. Questi infatti cade in mano di Marfisa e Bradamante, le quali lo imprigionano nel fondo di una torre in attesa di giustiziarlo. Neutralizzato Gano, la Discordia tuttavia non abbandona il campo cristiano, e questa volta per colpa soltanto di Carlo ancora succube degli inganni del suo « volpino » consigliere e troppo corrivo nel raccogliere le calunnie contro i più fedeli difensori del suo stato. Ariosto non esita a condannarlo e a ridimensionare,

nonostante

le precedenti

esaltazioni,

la fama

della sua

grandezza.

Il

vaneggiamento di Carlo giustifica tanto il disegno di vendetta di Bradamante, che propone agli altri vassalli l’uccisione dell’imperatore, quanto la rivolta di Rinaldo buttatosi con le sue bande a guastare la campagna di Francia, in lotta aperta col suo grande cugino, il fedelissimo Orlando, sempre pronto a difendere 42, 5-8. Chi...mia: cfr. Petrarca, Canz. 128, 72-3: «vederete come / tien caro altrui chi tien sé cosi vile»; Machiavelli, I! Principe, cap. 12: «non hanno altro amore né altra

cagione che le tenga in campo che uno poco di stipendio, il quale non è sufficiente a fare che voglino morire per te ».

Ludovico

146

Ariosto

il suo signore. Nelle ultime sequenze dei Cinque canti la celebrazione del sovrano cristianissimo, la « Carleide », sta per trasformarsi nel dramma di un re giusto divenuto tiranno. Nelle ottave finali Carlo rischia la punizione divina: nell’infuriare della battaglia sui ponti di Praga finalmente espugnata cade nel fiume e sta per annegare come tanti altri suoi guerrieri. Tuttavia l’Ariosto non cede alla tentazione del finale tragico, e i versi terminali vedono l’imperatore salvo, « ricondotto a proda » dal suo forte cavallo. Resta comunque a lettura ultimata l’impressione che il poeta abbia voluto imporre ai suoi eroi una serie di prove espiatorie per colpe che sono implicite nella loro stessa condizione di esseri privilegiati, di potenti facilmente indotti alla prevaricazione. Sintomatica in questo senso la digressione favolistica di Ruggiero nel ventre della balena, cpisodio ispirato molto probabilmente dalla Storia vera di Luciano e a sua volta ispiratore della più nota avventura di Alcofrybas nel Pantagruel di Rabelais. Nonostante il precedente lucianeo, parodistico e ironico, l'avventura del naufrago Ruggiero nell’immenso corpo del mostro si svolge con l'andamento grave di un itinerario penitenziale. La balena è un altro magico carcere di Alcina. Dentro, guidato da un « veglio », Ruggiero vede « degli infelici amanti scuri avelli» e più in fondo, nei pressi di una chiesa luminosissima, una stanza che fa da cucina e dormitorio per i prigionieri della maga. Qui vive segreto il « mal contento » Astolfo che sconta un peccato di prevaricazione cavalleresca, avendo abusato della moglie di un suo vassallo. Assolutamente privo di quella atmosfera incantata che caratterizzava il vecchio

nuovo

incontro

incontro tra Ruggiero e Astolfo si svolge in un

nell’isola

interno

d’Alcina, il

dimessamente

realistico, attorno a un desco, dove, prima di accingersi a mangiare con gli altri

abitanti della balena, i due cavalieri gareggiano nella recitazione di salmi e passi scritturali con la più umile contrizione e la promessa a Dio di una vita nuova, improntata a purezza di opere e di fede in cambio della liberazione. Il contrasto tra gli attuali penitenti e i due avventurosi eroi del Furioso è fin troppo evidente, e anche del tutto assente è qui, con tutto il frammento, la mediazione ironica del poeta capace una volta di rendere accettabile la più ardua invenzione. Il tono dei Cinque canti è in realtà quello del canterino pensoso che si permette ancora qualche scherzo col pubblico, ma è in sostanza preoccupato degli eventi che narra. Da qui l’uniformità dello stile, anche laddove Ariosto non sermoneggia, e la generale mancanza di ritmo narrativo che contrasta con l’insistenza di rilievo descrittivo dato ad alcune scene per fini morali ma certo anche con gusto rappresentativo. L’influsso del Morgante, e in particolare dell’ultimo canto

di quel poema che lascia allo stato di accenno una storia di discordie cristiane trascurata poi dal Pulci, ha la meglio sul supporto boiardesco; e in generale tutto il frammento, benché conservi gli acquisti tecnici del Furioso, sembra precipitare stilisticamente indietro, sul versante della monotonia espressiva dei cantari. Ariosto ha piena coscienza di questa difformità tonale rispetto al Furioso e rinuncia ad integrare il frammento nel corpo rigoglioso del poema. Ma questa rinuncia

è anche una strenua difesa della libertà poetica contro i richiami della realtà,

$ 22.

L’immaginazione e la regola : i « Cinque canti »

147

contro le sinistre suggestioni del tempo. La storia non lascia immune neppure il più atemporale dei poemi; lo attraversa imprimendovi segni dolorosi. I Cinque canti conservano questi segni come malinconica consapevolezza di un male che è forza immanente proprio nella storia, effetto delle azioni degli uomini, non capriccio degli istinti, variabilità di fortuna e di natura, come sembra proporre il Furioso. Questa consapevolezza è un’inquietudine, un turbamento, che il poema ariostesco non può acquisire senza esserne snaturato; insinua il sospetto che la pazzia, una volta cantata come errore, felice o infelice, sia in realtà colpa o peccato, imponga comunque un riscatto e nell’autore una ritrattazione. I Cinque canti stavano per diventare la palinodia del Furioso. Per fortuna l’Ariosto si fermò.

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BIBLIOGRAFIA

È

Il repertorio bibliografico fondamentale è quello di G. Fatini Bibliografia della (1510-1956), Firenze 1958, integrabile per gli anni suocbntiVi con gli spogli cinquecenteschi della « RLI » curati da R. Scrivano. Ottime, benché Su succinte le bibliografie allegate alle monografie ariostesche di F. Torraca, in Elt.. s.v.: siM. Marti, in AA.VV., Marz. Magg., 1956, pp. 393-406 e di N. Saiesno. in DBI, ol SR critica ariostea

Per la storia della critica cfr. W. Binni, Storia della critica ariostesca, Lucca 1951; R. Ramat, Ludovico Ariosto, in St. crit., 1954; Id., La critica ariostesca, Firenze 1954; i Borlenghi, Ariosto (Storia della critica, dir. da G. Petronio), Palermo 1961. È

$ 15. Sulla politica culturale degli Estensi e l’ambiente sociale e artistico di Ferrara cfr. IRELE? Gardner, Dukes and Poets in Ferrara, Londra 1904; G. Getto, La corte estense di Ferrara, in Letteratura e critica nel tempo, Milano 1954. Cfr. inoltre: G. Bertoni, L’« Orlando furioso » e la Rinascenza a Ferrara, Modena 1919; H. Hauvette, L’Arioste et la

poésie chevaleresque à Ferrare au début du XVI‘ siècle, Parigi 1927; R. Battaglia, L’Ariosto e la critica idealistica, in « Rin. », vii (1950), pp. 141-50; A. Piromalli, La cultura a Ferrara al tempo di Ludovico Ariosto, Firenze 1953; S. Pasquazi, Rinascimento ferrarese, Caltanisetta 1957; E. Garin, Motivi della cultura filosofica ferrarese del Rinascimento, in La cultura filosofica del Rinascimento, Firenze 1961. Sull’opera urbanistica degli Estensi: B. Zevi, Biagio Rossetti, architetto ferrarese, Torino 1960; L. Benevolo, Storia dell’architettura del Rinascimento,

Bari 1968, vol. 1; Id., La città italiana nel Rinascimento,

Milano

1969.

i Sui collegamenti tra l’arte del Furioso e la civiltà ferrarese cfr. E. Vittorini, pref. all’Orlando furioso, Torino 1950, oltre al « classico » studio di R. Longhi, Officina ferrarese, Roma

1934; nuova ed. con gli « ampliamenti », Firenze 1956. Le duecentoquattordici lettere dell’Ariosto finora conosciute sono state edite dal Cappelli e più recentemente dallo Stella: Lettere di Ludovico Ariosto, a c. di A. Cappelli, Bologna 1866, 11 ed. riveduta e accresciuta; L. Ariosto, Lettere, a c. di A. Stella, Milano 1965. I dati tradizionali relativi alla vita dell’Ariosto, tramandati dalle prime biografie cinquecentesche di G. Garofalo (Venezia 1584) e G. B. Pigna (ibid.), sono stati raccolti e parzialmente ridimensionati da G. Baruffaldi (Vita di Ludovico Ariosto, Ferrara 1808), G. Campori, (Notizie per la vita di Ludovico Ariosto, Modena 1871), E. G. Gardner, (The King of Court Poets. A Story of the Works, Life of Ludovico Ariosto, Londra 1906). Costruita invece su una sistematica ricognizione documentaria e perciò d’importanza ancora fondamentale è la biografia di M. Catalano, Vita di Ludovico Ariosto, ricostruita su nuovi documenti, Ginevra 1930. Su aspetti più particolari cfr. A. Salza, Studi su Ludovico Ariosto, Città di Castello 1914; F. Torraca, Per la biografia dell’ Ariosto, in « Atti dell’Accad. di Archeologia, lettere e belle arti di Napoli », 1918, poi in Studi di letteratura italiana, Firenze 1923, H. Hauvette, Notes sur la jeunesse de l’Ariosto, in « EI », Iv (1922), pp. 14255, 211-23; E. Carrara, Casi e cose di Ludovico Ariosto, in « La Rassegna », xL (1932), pp. 107-18; E. Zanette, Personaggi e momenti nella vita di Ludovico Ariosto, Milano 1970-1. Sul governo della Garfagnana: A. Stella, introd. a L. Ariosto, Lettere cit. Tra le monografie d’interesse complessivo, oltre alle voci di Torraca, Marti, Sapegno citt., cfr. A. Lazzari, La vita e le opere di Ludovico Ariosto, Livorno 1914 (ivi 19372); G. Bertoni, Ariosto, Roma 1925; A. Scolari, Ariosto, Firenze 1930; A. Pompeati, Ludovico Ariosto, Milano 1933; M. Bonfantini, Ariosto, Lanciano 1935; G. Fatini, Ariosto, Torino 1938; G. Innamorati, Ariosto, Milano 1965. Per la caratterizzazione psicologica e morale dell’Ariosto, cfr. F. De Sanctis, Storia della

Ludovico

150

Ariosto

letteratura italiana, a c. di N. Gallo, Torino, pp. 493-538; B. Croce, Ariosto, Shakespeare, Corneille, Bari 1920 (rv ed. riveduta, ivi 1950, pp. 12-20); R. Bacchelli, La congiura di don Giulio d'Este, Milano 1931 (nuova ed. accresciuta, ivi 1958); G. Pepe, L’uomo Ariosto, in Da Cola di Rienzo a Pisacane, ivi 1947; W. Binni, Metodo e poesia di Ludovico Ariosto, Messina 1947 (nuova ed. Firenze 1971); L. Caretti, introd. a L. Ariosto, Opere, Milano-Napoli 1954; rist. in Ariosto e Tasso, Torino 1961, nuova ed. accresciuta, ivi 1970. Sulla cultura ariostesca: C. Segre, La biblioteca dell’ Ariosto, in Esperienze artostesche, Pisa 1966, pp. 45-50. Sulla posizione di Ariosto intellettuale e cortigiano tra laicato e chiericato, cfr. C. Dionisotti, Chierici e laici, in Geografia e storia della letteratura italiana, Torino

1967, pp.

59-61.

$ 16. Per la lirica latina e volgare dell’Ariosto si veda l’edizione di C. Segre (L. Ariosto, Opere minori, a c. di C. Segre, Milano-Napoli 1954, con introd., trad. dei Carmina, e note di commento). Alla Nota critica al testo delle Opere minori dell’ed. Segre si rinvia per la storia editoriale della lirica ariostesca.

Qui ci limitiamo a ricordare

le due edizioni

integrali più recenti: Lirica, a c. di G. Fatini, Bari 1924; Carmina, a c. di E. Bolaffi, Modena 1938? (con trad. e commento). Del Fatini si veda anche l’ed. parziale con commento (L. Ariosto, Le opere minori, a c. di G. Fatini, Firenze 1915; con nuova presentazione,

ivi 1961) e le scelte di C. Muscetta e L. Lamberti (Orlando Furioso e una scelta delle opere minori, Torino 1962) e di A. Vallone (Opere minori Milano 1964). Studi filologici e critici: G. Carducci, La gioventù di Ludovico Ariosto e le sue poesie latine, in Opere, xt, Bologna 1942*, pp. 115-374; G. Fatini, Per un’edizione critica delle « Rime » di Ludovico Ariosto, in « Rassegna critica della letteratura italiana », xv (1910), pp. 19-54; Id., Su Ja fortuna e l’autenticità delle liriche di Ludovico Ariosto, in « GSLI», suppl. 22-3 (1924); Id., Le rime di Ludovico Ariosto, ivi, suppl. 25 (1934); G. Pesenti, Storia del testo dei carmi dell’ Ariosto, in «RIL », s. 11, LvII (1924), pp. 120-35; M. Catalano, Autografi e pretesi autografi ariosteschi, in «AR», 1x (1925), pp.49-58; G. Bertoni, // codice ferrarese dei « Carmina» di Ludovico Ariosto, ivi, xvIt (1933), pp. 619-58; C. Grabher, La poesia minore dell’ Ariosto, Roma 1947; W. Binni, Metodo e poesia di Ludovico Ariosto cit., pp. 1-24; A. Carlini, Progetto di edizione critica delle liriche di Ludovico Ariosto, in « GSLI », cxxxv (1958), pp. 1-40; E. Pace, Le lriche latine dell’ Ariosto, in « GIF », xIv (1961), pp. 104-28; A. Vallone, Lettura delle rime ariostesche (con particolare riguardo ai sonetti), in « BCSic. », vili (1962), Saggi e ricerche in memoria di Ettore Li Gotti, nt, pp. 362-79; C. Mutini, Nota sull’« Epitaphium Ludovici Areosti », in « Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance », xXV (1963), pp. 198-206; E. Bigi, Vita e letteratura nella poesia giovanile del1’Ariosto, in « GSLI », cxLv (1968), pp. 1-37; C. Giinter, Per una rivalutazione dell’ Ariosto minore : le « Rime », in « LI », xx (1971), pp. 29-42.

$ 17. L’ed. critica delle Commedie dell’Ariosto è stata curata dal Catalano: L. Ariosto, Le commedie, a c. di M. Catalano, Bologna 1940*, 2 voll. (con glossario, ma senza note). La riproduce con introduzione e succinte note di commento A. Borlenghi (L. Ariosto, Commedie, Milano 1962, 2 voll.); la migliora in qualche punto l’ed. a c. di Segre della Cassaria e dei Suppositi (in prosa), La Lena e Il Negromante in 'Opere minori cit. Pèr I Studenti con le due continuazioni di Gabriele e Virginio Ariosto cfr. l’ed. a c. di A. Salza, Città di Castello 1915. Un minore testo « comico », ma non teatrale, dell’Ariosto, l Erbolato, « cicalata non molto brillante » (Segre), si può leggere in Le opere minori în verso e in prosa di Ludovico Ariosto, a c. di F. L. Polidori, Firenze 1857, 2 voll., e in Le opere minori di Ludovico Ariosto, scelte e commentate da G. Fatini, ivi 1915, pp. 1-19. Cfr. G. Bertoni, in «AR», n (1919), p. 261; E. Lovarini, // titolo dell’« Erbolato», in « GSLI », CVII

(1936), pp. 74-86. i Per la Tragedia di Tisbe, le traduzioni plautine e terenziane e per l’attività di Ariosto regista e attore cfr. M. Catalano, Vita ecc., cit., 1, pp. 124-5, 304-5, 581, 586-7; A. Luzio-

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151

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xiv, Bologna

1936;

V. De

Amicis,

L’imitazione

latina nella commedia

italiana del

XVI secolo, Firenze 1897, pp. 71 sgg.; G. Marpillero, / tre elementi della « Lena » di Ludovico Ariosto, in « Fanfulla della domenica », xx (1898), n. 33; Id., La « Scolastica » di Ludovico e Gabriele Ariosto, ivi, xx (1898) n. 42; Id., I « Suppositi » di Ludovico Ariosto, in « GSLI » XXXI (1898), pp. 291-310; Id., IZ Negromante » di Ludovico Ariosto, ivi, xxxITI (1899), pp. 303-39; I. Sanesi, La commedia, Milano 1911?, ivi 1954, vol. 1, pp. 221-45, 778-81; E. Santini, La duplice redazione della « Cassaria » e dei « Suppositi », in « Italia », 111 (1913), I, pp. 14-26; L. D’Orsi, Le commedie di Ludovico Ariosto, Milano 1924; E. Carrara, Le commedie dell’ Ariosto, in « Nuova Rivista Storica », xIx (1935), pp. 386-9; C. Grabher, Sul teatro dell’ Ariosto, Roma 1946; W. Binni, Metodo e poesia cit.; M. Apollonio, Storia del teatro italiano, Firenze 1940, 11, pp. 47-65; E. Bottasso, Le commedie di Ludovico Ariosto nel teatro francese del Cinquecento, in « GSLI », cxxvi (1951), pp. 41-80.

$ 18. Superata l’ed. delle Satire di G. Tambara (Livorno 1903), il testo più sicuro è ora quello preparato da S. Debenedetti e pubblicato con nota filologica e commento di C. Segre nel vol. cit. delle Opere minori cit. Sui problemi testuali si possono vedere E. Bertana, in « GSLI », xLI (1903), pp. 418-22; G. Fatini, ivi, LxxIv (1919), pp. 292-302; M. Catalano, Autografi e pretesi autografi ariosteschi, in « AR », 1x (1925), pp. 33-66; C. Bertani, Sul testo e sulla cronologia delle « Satire » di Ludovico Ariosto, in « GSLI », LxxxvIn (1926), pp. 256-81; LxxxIx (1927), pp. 1-36; S. Debenedetti, Intorno alle « Satire » dell’Ariosto, ivi, cxXII (1945), pp. 109-30. Studi

critici:

G. Tambara,

Studi sulle « Satire » di Ludovico

Ariosto,

Udine

1899;

G. Toffanin, Delle « Satire » dell’ Ariosto e perché il poeta non le pubblicò, in « Cult. », VII (1928), pp. 301-11; C. Muscetta, Noterelle sulle satire ariostesche, in « NI», 11 (1931), pp. 369-73; C. Bertani, Identificazione di personaggi nelle « Satire » di Ludovico Ariosto, in « GSLI », cri (1933), pp. 1-47; G. Fatini, Umanità e poesia dell’ Ariosto nelle « Satire », in «AR», xvII (1933), pp. 497-564; G. Trombatore, Ariosto minore, Firenze 1936; C. Grabher, La poesia minore dell’ Ariosto, Roma 1946; C. Segre, Leon Battista Alberti e Ludovico Ariosto, in Esperienze ariostesche cit., pp. 85-95; Id., Negromanzia e ingratitudine, ivi, pp. 111-8. $ 19. Eccellente l’edizione del testo definitivo dell’Orlando furioso (1532) curata da C. Segre (Tutte le opere di Ludovico Ariosto. I. Orlando furioso, a c. di C. Segre, Milano 1964). Il Segre aveva utilizzato il materiale lasciato inedito da S. Debenedetti come proposta

di miglioramento dell’edizione del Furioso pubblicata negli Scritt. It. Lat. (Orlando furioso, a c. di S. Debenedetti, Bari 1928, 3 voll.) in una precedente ed. critica del poema: Orlando furioso, secondo l'edizione del 1532 con le varianti delle edizioni del 1516 e del 1521, a c. di S. Debenedetti e C. Segre, Bologna 1960. Per le tre edizioni (1516, 1521, 1532) cfr. la riproduzione diplomatica di F. Ermini, Roma 1908, 1911, 1913, 3 voll.; per i frammenti: I frammenti autografi dell’« Orlando furioso », ed. critica a c. di S. Debenedetti, L. Ario» Torino 1937; per il testo dell’Obizzeide (« Canterò l’arme, canterò gli affanni»): Furioso. dell’Orlando II c. il e I c. Il sto, Opere minori cit., pp. 164-71. Cfr. anche G. Lisio, in furioso, dell’Orlando interna Storia Segre, C. e 1909, Testo critico comparato, Milano Esperienze ariostesche cit., pp. 29-41. (VeneEdd. commentate. Vanno ricordati i commenti cinquecenteschi del Dolce commenti i tra e, 1584) ivi Lavezuola 1556), (ivi Ruscelli zia 1542), Pigna (ivi 1554), più recenti ottocenteschi, quelli di Panizzi (Londra 1834) e di Casella (Firenze 1877). Trai

G. Nencioni, ivi cfr. quelli curati da P, Papini (Firenze 1903, rist. con presentazione di

152

Ludovico

Ariosto

1957), L. Caretti (Milano-Napoli 1953; nuova ed., Torino 1968), C. Muscetta e L. Lamberti, (Torino 1962, 2 voll.), C. Segre (ed. cit., Milano 1964), R. Ceserani (Torino 1966), A. Seroni (Milano 1961), G. Innamorati (Bologna 1967). Tra i commenti parziali cfr. quelli di N. Sapegno (Milano 1940?, ivi 1958), M. Marti (Roma 1955), L. Pampaloni (Firenze 1971).

$ 20. Tra le « guide » alla lettura del Furioso cfr. F. Flora, Storia della letteratura italiana, Milano 1947 (più volte rist.), vol. 11, p. 1, pp. 32-92; Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino, Torino 1970; N. Borsellino, Lettura dell’« Orlando furioso », Roma 1971 (con antologia e commento del poema). Sulla fortuna editoriale dell’opera cfr. G. Agnelli e G. Ravegnani, Annali delle edizioni ariostee, Bologna 1933. $ 21. Sulla materia e l’epica cavalleresca cfr. U. Foscolo, Sui poemi narrativi e romanzeschi d’Italia, in Opere, x1, 1958, pp. 1-199 (ma va tenuto presente del Foscolo l’acuto giudizio « impressionistico » sul poetare dell’Ariosto contenuto nella Notizia intorno a Didimo Chierico, in Opere, v, 1951, p. 181); G. W. F. Hegel, Estetica, p. II, sez. III, capp. 11, Ii (trad. N. Mercker e N. Vaccaro), Torino 1967, pp. 619-74; V. Gioberti, Del Primato morale e civile degli Italiani, Bruxelles 1844#, pp. 131-42; F. De Sanctis, La poesia cavalleresca, in Verso il realismo, a c. di N. Borsellino, Torino 1965, pp. 24-197 (sul Furioso in particolare pp. 108 sgg. e l’introd. al volume, pp. xxxI-xLv). Sulle fonti, oltre P. Rajna, Le fonti dell’« Orlando furioso ». Ricerche e studii, Firenze 1876, cfr. A. Romizi, Le fonti latine dell’Orlando furioso, Torino 1896; H. Hauvette, Réminiscences dantesques dans le « Roland furieux », in Mélanges ... A. Fenroy, Parigi 1928, pp. 299-306; G. Fucilla, Studies and Notes, Napoli 1953; D. Bonomo, L’ « Orlando furioso » nelle sue fonti, Bologna 1959; M. Martelli, Una delle « Intercenali » di L. B. Alberti fonte sconosciuta del « Furioso », in « Bibliofilia », LXvI (1964), pp. 163-70; C. Segre, Nel mondo della luna ovvero L. B. Alberti e L. Ariosto, in Esperienze ariostesche cit., pp. 85-95; J. H. Whitfield, Leon Battista Alberti, Ariosto and Dosso Dossi, in « Italian Studies », xxI (1966), pp. 16-30; R. Barilli, IZ Boiardo e l’Ariosto nella critica del Rajna, in AA.VV., Il Boiardo e la critica contemporanea. Atti del Convegno di studi su Matteo M. Boiardo, Scandiano-Reggio Emilia 25-27 aprile 1969, a c. di G. Anceschi, Firenze 1970. Sull’arte del Furioso, oltre alle pagine desanctisiane della Storia della letteratura italiana e della Poesia cavalleresca, al saggio del Croce e alle monografie complessive citt. al $ 15, cfr. G. Carducci, Su l’« Orlando furioso », in Opere xrv, 1936, pp. 57-116; G. Lisio, Note ariostesche. La prima e l’ultima ispirazione dell’« Orlando furioso », Roma 1904; B. Zumbini, La follia d'Orlando, in Studi di letteratura italiana, Firenze 1906*, pp. 305-58; A. Cesareo, La fantasia dell’ Ariosto, in Critica militante, Messina 1907; L. Ambrosini, Teocrito, Ariosto, minori e minimi, Milano 1926; A. Momigliano, Saggio sull’« Orlando furioso», Bari 1928 (ed. Universale Laterza, ivi 1967); G. Raniolo, Lo spirito e l’arte dell’« Orlando

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i (Torino 1964). « ZRPh », II (1 879), in canti Cinque Ariosto’s Zu Gaspary, Studi filologici e critici: A. L. Rossi, Saggio 1901; Mantova Ariosto, Ludovico di canti Cinque I Bonollo, L. pp. 232-3; Cinque sui « Cinque canti » di Ludovico Ariosto, Reggio Emilia 1923; C. Segre, Studi sui « Espein », canti Cinque « dei fonti sulle Appunti Id., 23-75; pp. canti », in « SFI », xII (1954), »,in« GSLI », canti Cinque « dei data la Per Dionisotti, C. 97-109; pp. cit., rienze ariostesche in AA.VV., CXXXVII (1960), pp. 1-40; Id., Appunti sui « Cinque canti » e sugli studi ariosteschi, e

154

Ludovico

Ariosto

Studi e problemi di critica testuale, Bologna 1961, pp. 369-87; P. Fontana, I « Cinque canti » e la storia della poetica del « Furioso», Milano 1962 (cfr. R. Ceserani, in «GSLI», cxL [1963], pp. 617-24); E. Saccone, Appunti per una definizione dei « Cinque canti », in « Belf », xx (1965), pp. 381-410. Sulla fortuna dell’opera ariostesca in Italia e all’estero cfr. i ragguagli di G. Bertoni, F. Picco, A. Parducci, F. Olivero, L. Vincenti, M. Brahmer, in «ICS », xvi (1933), ad indicem, e di J. G. Fucilla, European Translations and Institutions of Ariosto, in «RR» 1934. Cfr. anche O. Macrì, Ariosto e la letteratura spagnola, in « Letterature moderne », II (1952), pp. 515-43; P. Barocchi, Fortuna dell’ Ariosto nella trattatistica figurativa, in Critica e storia letteraria. Studi offerti a M. Fubini cit., vol. 1, pp. 388-405; T. Roth, Der Einfluss von Ariost's «Orlando furioso» auf das Franzòsische Theater, Ginevra 1971.

AGGIORNAMENTI

BIBLIOGRAFICI *

Aggiornamenti bibliografici ariosteschi in P. Paolini, Situazione della critica ariostesca, in «Italianistica», III (1974), 3, pp. 501-20; D. Medici, La bibliografia della critica ariostesca dal ‘Fatini’ ad oggi, in «Bollettino reggiano», VII (1974), 27, pp. 63-140; G. Baldassarri, Tendenze e prospettive della critica ariostesca nell’ultimo trentennio (1946-1973), in «RLI», LXXIX (1975), 1-2, pp. 183-201; R.J. Rodini, S. Di Maria, Ludovico Ariosto. An Annotated Bibliography of Criticism 1956-1980, Columbia 1984; C. Badini, Rassegna ariostesca (1976-1985) , in «LI», XXXVIII (1986), pp. 104-24. Cfr. anche la sezione «Cinquecento» del «Bollettino

Roma-Leida

di Italianistica»,

1983 sgg.

Momenti particolari della storia della critica ariostesca sono esaminati in A. Tortoreto, Ariosto e Tasso. Saggio bibliografico (1957-1974), in «ST», XXIV (1974), pp. 71-78; M. Santoro, Il ‘nuovo corso’ della critica ariostesca, in «Cultura e scuola», XIII (1974), 52, pp. 20-31; M. Sansone, Francesco de Sanctis dal Tasso all’Ariosto, in Scritti in onore di C. Carbonara, Napoli 1976, pp. 794-805; E.N. Girardi, «Ariosto, Shakespeare, Corneille» e la definizione crociana

del «Furioso», in Studi sull’Ariosto, a c. di Id., Milano 1977, pp. 13-38. Sugli studi ariosteschi di W. Binni si possono vedere R. Alhaique Pettinelli, Da/ ‘divino’? Ariosto all’‘umanissimo’ Ariosto, in L’immaginario cavalleresco nel rinascimento ferrarese, Roma 1983, pp. 269-95, poi in Poetica e metodo storico-critico nell’opera di W. Binni, Roma 1985, pp. 254-72; in quest’ultima silloge anche

il contributo

di G. Ponte,

W. Binni studioso dell’Ariosto,

$ 15. Incentrati sulla Ferrara estense W.L. dispotism, Princeton

LXXIX

(1975),

al tempo

Gurdesheimer,

pp. 227-53.

Ferrara: the style of aRenaissance

1973; E. Sestan, Gli Estensi e il loro stato al tempo dell’Ariosto, in «RLI»,

1-2, pp.

di Ludovico

19-33, e Id., // Rinascimento

Ariosto,

Bari

nelle corti padane.

Società e cultura

1977.

Momenti e aspetti della biografia ariostesca sono stati affrontati di recente in L. Caretti, Per un autoritratto di Ludovico Ariosto.

V centenario della nascita, in «Pon.», XXX

(1974),

10, pp. 1142-50; E. Bresciani, // «Libro dei conti dei balestrieri di Messer Ludovico Ariosto commissario ducale in Garfagnana» nell’Archivio Statale di Modena, negli atti del Convegno Internazionale Ludovico Ariosto, Roma 1975, pp. 175-225; R. Fedi, Ludovico Ariosto a Reggio e Ferrara, in «Pon.», XXXI (1975), 2-3, pp. 269-73; E. Ragni, Ariosto e Roma, in «Studi Romani»,

XXIII

Ludovico Ariosto,

(1975), 3, pp. 311-29; in «GSLI»,

CLIII

R. Ceserani, Studi ariosteschi. I: Dietro i ritratti di (1976), 482, pp. 243-95; G. Savarese, Ariosto al bivio

tra Marsilio Ficino e ‘adescatrici galliche’, in «FM.

Annali dell’Ist. di Fil. Mod. nell’Univ.

Iannucci, Ariosto umanista: l’educazione di Virginio, di Roma», in Il Rinascimento. Aspetti e problemi attuali, atti del X Congresso AISLLI, Belgrado 12-21 apr. 1979, Firenze 1982, pp. 485-98; J.K. Newman, Orazio, Ariosto and Orazio Ariosto, in Acta conventus neo-latini Amstelodamensis, Proceedings of the Second International Con1 (1977), pp. 21-39; A.A.

gress of neo-latin Studies, Amsterdam 19-24 August 1973, Miinchen 1979, pp. 820-34. L’epistolario ariostesco è stato edito criticamente a c. di A. Stella in Tutte le opere di Luè rapdovico Ariosto, Vol. V: Satire, Erbolato. Lettere, Milano 1984; una sezione particolare studio uno Per 1977. Bologna Scalia, G. di c. a presentata dalle Lettere dalla Garfagnana, edite di quei testi cfr. W. Binni, Le «Lettere» e le «Satire» dell’Ariosto, in Convegno Internazionale 53-84). Ludovico Ariosto cit., pp. 133-69 (ma prima in «RLI», LXXIX [1975], 1-2, pp. di studi: raccolte e convegni Il V centenario della nascita è stato l'occasione di importanti di A. Scaglione, Convegno Internazionale Ludovico Ariosto cit.; Ariosto 1974 in America, a c.

* Con la collaborazione di Paolo Procaccioli.

Ludovico Ariosto

156 Ravenna

lingua,

Ariosto:

1976; Ludovico

stile e tradizione,

atti del Congresso

organizzato

dai comuni di Reggio Emilia e Ferrara 12-16 ottobre 1974, a c. di C. Segre, Milano di sull’Ariosto

All’ Ariosto, sempre

cit.

speciali la «RLI»

[1975],

(LXXIX

in occasione

del centenario,

(III [1974],

1-2) e «Italianistica»

$ 16. Sulla lirica latina e volgare dell’ Ariosto

hanno

1976; Stu-

dedicato

numeri

3).

cfr. C. Mutini, Ariosto a se stesso, in Id., L’’au-

1973, pp. 13-26; G. Paparelli, L’Ariosto lirico e satirico, in «Italianistica», III (1974), 3, pp. 521-41; E. Bigi, Aspetti stilistici e metrici delle «Rime» dell’Ariosto, in «RLI», LXXIX (1975), 1-2, pp. 46-52; Id., Le liriche volgari dell’Ariosto, in Convegno tore e l’opera, Roma

Internazionale Ludovico Ariosto cit., pp. 49-71; R. Fedi, Petrarchismo prebembesco in alcuin «Par.», XXVI

ni testi lirici dell’Ariosto,

dell’Ariosto,

in «Studium»,

LXXI

(1975), 310, pp. 26-48; F. Montanari,

(1975), 5, pp. 717-22;

G. Ponte,

La poesia

La personalità e l’arte

dell’Ariosto nei «Carmina»,

in «RLI»,

e letteratura nei «Carmina»,

in Ludovico Ariosto: lingua, stile e tradizione cit., pp. 265-82;

N. Sapegno,

in Convegno

Ariosto poeta,

LXXIX

(1975),

1-2, pp. 34-45; L. Paoletti,

Internazionale

Ludovico

Ariosto

Cronaca

cit., pp. 23-31.

$ 17. Il teatro ariostesco è stato edito criticamente a c. di A. Casella, G. Ronchi e E. Varasi in Tutte le opere di Ludovico Ariosto, Vol. IV: Commedie,

Milano

1974, mentre la tradizione

editoriale è stata ripercorsa dalle stesse G. Ronchi e A. Casella con il saggio Le «Commedie» e i loro stampatori,

in Ludovico

Ariosto:

lingua, stile e tradizione cit., pp. 331-46.

Hanno studiato la produzione teatrale nel suo complesso E. Marconi, riosto, in «Italianistica»,

l’Ariosto, in «RLI», LXXIX

Roma

Teatralità dell’ A-

III (1974), 3, pp. 560-82; G. Ferroni, Per una storia del teatro del(1975), 1-2, pp. 85-128; A. De Luca, // teatro di Ludovico Ariosto,

1981 (con saggi sulle singole commedie). Contributi di carattere più specifico sono quelli

di L. Scorrano, La «Commedia»

(1973), 2, pp. 53-65; P.M.

dantesca nelle commedie

dell’Ariosto,

in «Alighieri», XIV

Bertinetto, // ritmo della prosa e del verso nelle commedie dell’A-

riosto, in Ludovico Ariosto: lingua, stile e tradizione cit., pp. 347-78; S. Ferrone, Le commedie in prosa dell’Ariosto tra cronaca cittadina e ideologia di corte, in «Pon.», XXXII

(1976),

pp. 209-42; C. Grayson, Appunti sulla lingua delle commedie in prosa e in versi, in Ludovico Ariosto: lingua, stile e tradizione cit., pp. 379-90; F. Scisca, L’Ariosto e le origini della com-

media, in Apophoreta, scritti offerti a G. Raya dalla Fac. di Magistero dell’Univ. di Messina, a c. di A. Mazzarino,

Roma

1982, pp. 453-60; P. Larivaille, L’Ariosto da «La Cassaria» a

«La Lena». Per un’analisi narratologica della trama comica, in La semiotica e il doppio teatrale, a c. di G. Ferroni, Napoli

1982, pp.

117-36.

Più in particolare, alla Cassaria sono dedicati gli studi di D. Clouet, Empirism ou égotisme: la politique dans la «Cassaria» et les «Suppositi» de l’Arioste, in Les écrivains et le pouvoir en Italie à l’époque de la Renaissance, Paris 1974, pp. 7-44; R. Scrivano, Finzioni teatrali.

Da Ariosto a Pirandello, Messina-Firenze 1982, spec. le pp. 60-76; M. Plaisance, Lo spazio ferrarese nelle due prime commedie dell’Ariosto, in La corte e lo spazio: Ferrara estense, a c. di G. Papagno e A. Quondam, Roma 1982, t. I, pp. 247-55. Sul Negromante cfr. M.L. Doglio, Lingua e struttura del «Negromante», in Tidovica Ariosto: lingua, stile e tradizione cit., pp. 427-43; I.A. Portner, A Non-Performance of «Il Negromante»,

in «It.», LIX (1982), 4, pp. 316-29.

La Lena, commentata

e introdotta da G. Davico Bonino, Torino 1976, è stata studiata: da P. Larivaille, Spazio scenico e spazio cittadino ne «La Lena», in La corte e lo spazio cit..,

t. I, pp. 257-78. Per l’Erbolato, si dispone ora dell’ed. critica curata da G. Ronchi in Tutte le opere di Ludovico Ariosto, Vol. V: Satire, Erbolato. Lettere cit. L’opera è stata studiata da G. Ferroni,

Aggiornamenti

bibliografici

Nota sull’«Erbolato»,

157

in «RLI»,

LXKXIX

(1975),

1-2, pp. 202-14: G. Ronchi, Note sull’«Erbo-

lato», in In ricordo di Cesare Angelini. Studi di letteratura e filosofia, Milano

1979, pp. 185-94.

$ 18. Il testo critico delle Satire, allestito da C. Segre per Tutte le opere di Ludovico Ariosto, Vol. V: Satire,

Erbolato.

Lettere cit. (riproposto autonomamente, Torino 1987), è il punto serie di studi dello stesso Segre e di L. Capra; in particolare: C. Segre, La prima redazione inedita di due satire dell’Ariosto, in Tra latino e volgare. Per C. Dionisotti, Padova 1974, vol. II, pp. 675-708; L. Capra, Per il testo delle «Satire» di Ludovico Ariosto, in «Studi e problemi di critica testuale», 11 (1975), pp. 51-73; C. Segre, Storia testuale e linguistica delle «Satire», in Ludovico Ariosto: lingua, stile e tradizione cit... pp. 315-30. Recen-

d’arrivo di una

temente è stato edito il testo delle Satire secondo il codice ferrarese, a c. di L. Capra, Ferrara

1983. Ma vedi ancora C. Segre, Difendo l’Ariosto. Sulle correzioni autografe delle «Satire», di Letteratura Italiana», II (1984), 1, pp. 146-62. Da un punto di vista critico, le satire sono state oggetto di numerosi studi: G. Paparelli,

in «Rivista

L’Ariosto lirico e satirico cit.; W. Binni, Le «Lettere» e le «Satire» dell’Ariosto cit.; D. Marsh,

Horatian Influence and Imitation'in Ariosto’s Satires, in «Comparative Literature», XXVII (1975), 4, pp. 307-26; A. Tissoni Benvenuti, La tradizione della terza rima e l’Ariosto, in Ludovico Ariosto: lingua, stile e tradizione cit., pp. 303-14; C. Segre, Struttura dialogica delle

«Satire» ariostesche, the «Satires»,

in Ariosto

1974 in America

cit., pp. 41-54; P. Wiggins, A Defense of

ivi, pp. 55-68; M. Medici, Indicativo e congiuntivo coordinato

di Ludovico Ariosto,

in «Lingua nostra»,

XLII

nelle «Satire»

(1981), pp. 43-44; P. Floriani, Protostoria

delle «Satire» ariostesche,

in «Rivista di Letteratura

Bonatti, Ariosto pensoso.

Lettura delle «Satire»,

Italiana»,

Firenze

I (1983), 3, pp. 491-526;

B.

1984.

Riguardano solo alcune delle satire A. Corsano, Su//a satira quinta dell’Ariosto, in «Ita-

lianistica», IX (1980), 3, pp. 466-77, e M. Santoro, «Consigli» e «sorte» nella quinta satira ariostesca, in «Esperienze letterarie», VIII (1983), 3, pp. 3-22; sulla settima, Id., Polivalenza

semantica e ‘funzione’ dell’apologo della zucca nella satira VII dell’Ariosto, in Scritti in onore di C. Carbonara cit., pp. 818-31; G.M. Veneziano, Le satire dell’Ariosto ovvero della malinconia,

in I bersagli della satira, a c. di G. Barberi

Squarotti,

Torino

1987, pp. 39-49.

$ 19. Le edizioni più recenti del Furioso sono quelle con introduzione, commento e note di M. Turchi, presentazione di E. Sanguineti, Milano

1974; quella, curata da C. Segre, Milano

1976, che riprende il testo critico allestito dallo stesso Segre nel 1960, e le due edizioni pubblicate nel 1982, una curata da E. Bigi, Milano, e un’altra da L. Caretti, Torino.

Il centenario della nascita è stato occasione di una serie di mostre alcune delle quali incentrate soprattutto sulle edizioni del poema: G. Cagnolati, Mostra di edizioni ariostesche, Reggio Emilia, Biblioteca A. Panizzi, ottobre 1974 - marzo 1975, Reggio Emilia 1974; Mostra bibliografica ariostea nel V centenario della nascita di Ludovico Ariosto, Roma, Biblioteca Statale Angelica, Roma 1974. Ancora sulle edizioni del poema L. Donati, Esemplari eccezionali dell’«Orlando furioso», in «Bibliofilia», LXXVI (1974), 3, pp. 241-46.

$ 20. Una recente guida alla lettura del Furioso in C.P. Brand, Ludovico Ariosto: a preface e follia. Una to the «Orlando furioso», Edinburgh 1974, e in E. Musacchio, Amore, ragione rilettura dell’«Orlando furioso», Roma 1983.

profitto D. Delcor$ 21. Sui rapporti tra il poema e l’epica cavalleresca si possono vedere con

Firenze 1973; Id., L’Ano Branca, L’«Orlando furioso» e il romanzo cavalleresco medievale, ale Ludovico Miano Internazion Convegno riosto e la tradizione del romanzo medievale, in

nei poemi epici cavallereschi, cit., pp. 93-102; G. Baldassarri, Ut poesis pictura. Cicli figurativi

Ludovico Ariosto

158

in La corte e lo spazio cit., t. II, pp. 605-35; M. Beer, Romanzi di cavalleria. Il «Furioso» italiano del primo Cinquecento, Roma 1987, spec. le pp. 35-138. Problemi specifici del testo sono stati studiati da M. Medici, Aspetti delle varianti dei frammenti autografi dell’«Orlando Furioso», in «Annali dell’Univ. di Lecce. Fac. di Lettere e il romanzo

e Filosofia»,

VIII-X

(1977-80),

I, pp.

447-58.

Mirano a interpretazioni globali del poema D. Kremers, Der Rasende Roland des Ludovico Ariosto: Aufbau und Weltbild, Stuttgart-Berlin-K6ln-Mainz 1973; E. Saccone, Il soggetto del «Furioso» e altri saggi tra Quattro e Cinquecento, Napoli 1974; G. Padoan, L’«Orlando furioso» e la crisi del Rinascimento, in «LI», XXVII (1975), 3, pp. 286-307 (anche in Ariosto 1974 in America cit., pp. 1-29); R. Baillet, Le monde poétique de l’Arioste, essai d’interprétation du «Roland furieux», Lyon 1977; G. Barlusconi, L’«Orlando furioso» poema dello spazio, in Studi sull’Ariosto cit., pp. 39-130; R. Manica, Preliminari sull’«Orlando furioso».

paradigma ariostesco, Roma

Un

1983; M. Santoro, L’anello di Angelica. Nuovi saggi ariosteschi,

Napoli 1983; G. Savarese, // «Furioso» e la cultura del Rinascimento, li, La chiave dell’«Orlando furioso»,

Milano

Roma

1984; A. Bozzo-

1985.

Sulla lingua del Furioso si vedano: F. Chiappelli, Su/ linguaggio dell’Ariosto, in Convegno Internazionale Ludovico Ariosto cit., pp. 279-304 (ora anche in Id., // legame musaico, Roma

1984, pp. 189-213); Id., Usi alternativi di indicativo e congiuntivo nell’«Orlando

so», Lecce

1977; G. Herczeg,

Stile indiretto libero nella lingua del «Furioso»,

Ariosto: lingua, stile e tradizione cit., pp. 207-30; P.V. Mengaldo,

furio-

in Ludovico

Una costante eufonica nel-

l’elaborazione dell’«Orlando furioso», in «LN», XLII (1982), pp. 33-39; Id., Un nuovo dia-

lettalismo del «Furioso», in Scritti linguistici in onore di G.B. Pellegrini, Pisa 1983, pp. 489-94. Le problematiche connesse alla metrica ariostesca sono state illustrate da G. Di Pino, Biva-

lenza dell’ottava ariostesca, in «Italianistica»,

III (1974), 3, pp. 619-39; C. Ossola, Dantismi

metrici nel «Furioso», in Ludovico Ariosto: lingua, stile e tradizione cit., pp. 65-94; M.C.

bani, Le riprese interstrofiche nella metrica del «Furioso»,

in «ASNPisa»,

Ca-

XI (1981), 2, pp.

469-521; Id., La tecnica della ripresa nell’ottava ariostesca, in «Metrica», III (1982), pp. 263-308; L. Vanossi, Valori iconici della rima nell’«Orlando furioso», in «LN», XLV (1984), 2-3, pp. 35-47.

Della copiosa produzione critica sulla struttura del poema si segnalano N. Agnello, ca dell’Ariosto nel «Furioso», in «Ausonia»,

XXIX

Tecni-

(1974), 3-4, pp. 11-25; M. Petrini, Per una

storia interna del «Furioso», in Studi in memoria di L. Russo, Pisa 1974, pp. 15-31; A. Quondam, «Favola» non «romansa»:

la partita di scacchi del «Furioso», in «RLI», LXXIX

(1975),

1-2, pp. 310-21; P. Larivaille, Syntaxe dramatique et syntaxe narrative dans le «Roland furieux», Paris 1975; P. Orvieto, Differenze

‘retoriche’ fra il «Morgante» e il «Furioso».

(Per un’inter-

pretazione narratologica del «Furioso»), in Ludovico Ariosto: lingua, stile e tradizione cit., pp.

157-74; C. Segre, Le concordanze diacroniche dell’«Orlando furioso»: concezione e vicende del-

l’opera, ivi, pp. 231-36; A. Zampolli, Le concordanze diacroniche dell’«Orlando furioso»: procedura per l’elaborazione automatica, ivi, pp. 237-64: C.P. Brand, L’entrelacement nell’«Orlando furioso», in «GSLI», CLIV (1977), 488, pp. 509-32; E.B. Weaver, Lettura dell’intreccio dell’«Or-

lando furioso»: il caso delle tre pazzie d’amore, in «Str. C.», XI (1977), pp. 384-406; D. Javitch, «Cantus interruptus» in the «Orlando furioso», in «MLN», XCV (1980), pp. 66-805 G. Dalla Palma, Le strutture narrative dell’«Orlando furioso», Firenze 1984. La complessa problematica delle fonti dell’ Ariosto, e comunque dei suoi rapporti con la letteratura precedente e contemporanea, analizzata dal Rajna (il cui studio Le fonti dell’«Or-

lando furioso» è stato riedito in anastatica, Firenze 1976), è ora svolta in L. Blasucci, Riprese linguistico-stilistiche del «Morgante» nell’«Orlando furioso», in «GSLI», CLII (1975), 478, pp. 199-221; A. Franceschetti, Appunti sull’Ariosto lettore dell’«Innamorato», in Convegno . Internazionale Ludovico Ariosto cit., pp. 103-17; S. Isella, Ariosto e Folengo: due operazioni convergenti, in Ludovico Ariosto: lingua, stile e tradizione cit., pp. 39-48; Ch. A. Klopp,

Aggiornamenti

bibliografici

159

The Centaur and the Magie: Ariosto and Machiavelli’s «Prince», in Ariosto 1974 in A merica

cit., pp. 69-84; A. Ruiz De Elvira, Ovidio y Ariosto, in «Siculoru m Gymnasium», pp. 4

XXXI (1978),

N. Agnello, Ariosto e Virgilio. Da Eurialo e Niso a Cloridano e Medoro, in «Auponian, XXIV (1979), 1, pp. 28-38; D. Quint, The Figure of Atlante: Ariosto and Boiardo's Poem, in «MLN», XCIV (1979), pp. 77-91; M.A. Morettini Bura, Échi decameroniani nell’«Or-

lando furioso», in «Annali dell’Univ. per stranieri di Perugia», 5 (1983), pp. 105-42: P. Bal-

dan, Metamorfosi

di un Orco. Un’irruzione folclorica nel Boiardo esorcizzato dall’Ariosto, 1984; R. Ceserani, Due modelli culturali e narrativi nell «Orlando Furioso», in «GSLI»,

Milano

CLXI, 1984, 516, pp. 481-506. D. Javitch, The Imitation of Imitations in «Orlando furioso», in «Renaissance Quarterly», XXXVIII (1985), 2, pp. 215-39. Più in particolare, hanno studiato alcuni aspetti della fortuna del poema C.P. Brand, Tasso, Spenser, and the «Orlando furioso»,

in Petrarch to Pirandello, a c. di J.A. Molinaro,

Toronto

1973, pp. 95-110; E. Cerulli, L’«Or/ando furioso» nella storia culturale, in Convegno Internazionale Ludovico Ariosto cit., pp. 11-21; R.C. Knight, The «Orlando furioso» in France 1660-1669, in The Renaissance in Ferrara and its European Horizons, a c. di J. Salmons e-W. Moretti, Cardiff-Ravenna 1984, pp. 23-40; G. Barbuto, Il primo commento all’«Or-

lando furioso» e l’edificazione del modello ariostesco, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Napoli», n.s., XIV (1983-84), 26, pp. 195-227.

Per un’analisi del rapporto tra il Furioso e le arti figurative cfr. E.T. Falaschi, Notes on some illustrations of Ariosto’s «Orlando furioso», in «Bibliofilia», LXXV (1973), 2, pp. 175-88; R.W. so»

Hanning, Ariosto,

Ovid, and the Painters: Mythological Paragone in «Orlando furio-

X and XI, in Ariosto 1974 in America cit., pp. 99-116; R.W.

sto into Art, Princeton

1977; G. Savarese,

// «Furioso»

Lee, Names on Trees; Ario-

e le arti visive, in «RLI»,

LXXXII

(1979), 1-3, pp. 28-39 (ora in Id., // «Furioso» e la cultura del Rinascimento cit., pp. 53-70).

Un posto a sé occupano gli studi dedicati all’analisi di topoi e personaggi del mondo ariostesco: S. Anceschi Bolognesi, Era nata a Reggio Emilia la figlia del Re del Catai?, in Convegno Internazionale Ludovico Ariosto cit., pp. $63-75; M. Turchi, Sui personaggi del «Furioso», in «RLI», LXXIX (1975), 1-2, pp. 129-45; M. Tomalin, Bradamante and Marfisa: an analysis of the ‘guerriere’ of the «Orlando furioso», in «Modern Language Review», LXXI (1976), pp. 540-52; D. Quint, Astolfo’s Voyage to the Moon, in «Yale Italian Studies», I (1977), pp. 398-408; J.Th. Chiampi, The Pathos of Stasis: Alcina’s Garden in the «Orlando furioso», in «Forum Italicum», XVI (1982), 3, pp. 241-58; M. Ciavolella, La licantropia d’Orlando, in Il Rinascimento. Aspetti e problemi attuali cit., pp. 311-23; D. Delcorno Branca, // cavaliere delle armi incantate: circolazione di un modello narrativo arturiano, in «GSLI», CLIX (1982), pp. 353-82: P. De Sa Wiggins, Ariosto’s Rinaldo. Homo Prudens or Gran Pedone?, in «Forum Italicum», XVI (1982), 1-2, pp. 33-59; S.M. Gilardino, Per una reinterpretazione dell’Olimpia ariostesca: i contributi della filologia germanica, in Il Rinascimento. Aspetti e problemi attuali cit., pp. 429-44; J. Benson Pamela, A defense of the

excellence of Bradamante, in «Quaderni d’Italianistica», IV (1983), 2, pp. 135-53. Hanno studiato canti o episodi specifici V. Mora, Proposta di lettura del Canto primo dell’«Orlando furioso» alla ‘Rustica bergamasca” (secondo il ms. del sec. XVII esistente presso la 3-4, Biblioteca Civica di Bergamo - Salone, Cassap. 1, G.3.68), in «Bergomum», LXVIII (1974), «Furioso» Angelica, of Liberation The Allegorizers: the from Ovid Rescuing Javitch, D. pp. 27-74: X, in Ariosto 1974 in America cit., pp. 85-98; G. Romagnoli Robuschi, Lettura del canto XXIII dell’«Orlando furioso», in Studi sull’Ariosto cit., pp. 131-46; G. Ponte, Un esercizio stilistico

Ariosto: lingua, dell’Ariosto: la tempesta di mare del canto XLI del «Furioso», in Ludovico stratestile e tradizione cit., pp. 195-206; A. Casadei, L’esordio del canto XLVI del «Furioso»: 53-93. pp. (1986), XV «Italianistica», in gia compositiva e varianti storico-culturali,

del poeSi indicano di seguito una serie di saggi che studiano alcune tematiche particolari o-realtà, la follia, il ma e della poetica dell’ Ariosto, prime fra tutte il rapporto immaginari ndo furioso», Roma 1984; meraviglioso, l’ironia: A. Gareffi, Figure dell ’immaginario nell’«Orla S. La Monica, Realtà storica

e immaginario bellico ariostesco, in «RLI»,

LXKXXIX

(1985),

Ludovico Ariosto

160

2-3, pp. 326-57; E. Bonora, Paragrafi sull’«Orlando furioso», in «GSLI», CLXIII (1986), 522, pp. 200-34: G. Dalla Palma, Una cifra per la pazzia d’Orlando, in «Str. C.», IX (1975), 28, pp. 367-79; G. Ferroni, L’Ariosto e la concezione umanistica della follia, in Convegno Interna-

zionale Ludovico Ariosto cit., pp. 73-92; F. Masciandaro, Folly in the «Orlando furioso»: a Reading of the Gabrina Episode, in «Forum Italicum», XIV (1980), 1, pp. 56-77; A. Rochon, La folie d’amour dans le «Roland furieux»: la sagesse ambigué de l’Arioste, in Visages de la folie, Paris 1981, pp. 93-100; G. Almansi, Tattica del meraviglioso ariostesco, in Ludovico Ariosto: lingua, stile e tradizione cit., pp. 175-94; W.J. Kennedy, Ariosto’s Ironic Allegory, in «MLN», LXXXVIII (1973), 1, pp. 44-67; H. Riidiger, Humor und Ironie in Ariosts «Orlando furioso», Monatshefte fiir Politik, Wirtschaft und Kultur», LIV (1974), pp. 914-29; C. De Martino, Ludovico Ariosto e i mori nelle poesie dell’«Orlando furioso», in «Cahiers de Tunisie», XXIV (1976), pp. 297-321; J.A. Molinaro, Avarice and Sloth in the «Orlando furioso», in «Schweitzer

in «Renaissance

and Reformation»,

«Orlando furioso», in «MLN», and ‘Gola’ in the

and Insomnia

X (1974), 2, pp.

LXXXIX

103-15;

Id., Sin and Punishment

(1974), 1, pp. 33-56; Id., ‘Superbia’,

Tra’,

in the

‘Invidia’

«Orlando furioso», in «It.», LIII (1976), pp. 475-94; D. Rolfs, Sleep, Dreams

in the «Orlando furioso»,

ivi, LIII (1976), pp. 453-74;

Id., Sound and Silence

in Ariosto’s Narrative, in «Renaissance and Reformation», II (1978), 2, pp. 151-69; K.O. Murtaugh, Ariosto and the classical simile, Cambridge di don Ferrante.

(Mass.)

1980; F. Erspamer,

Duello e onore nella cultura del ’500, Roma

La biblioteca

1982; G. Baldassarri,

// sonno

di Zeus. Sperimentazione narrativa del poema rinascimentale e tradizione omerica, Roma

1982;

U. Pirotti, L’Ariosto e la cavalleria, in «Studi e problemi di critica testuale», 21 (1983), pp. 79-115; W. Moretti, L’ideale ariostesco di un’Europa pacificata e unita e la sua crisi nel terzo «Furioso», in The Renaissance in Ferrara and its European Horizons cit., pp. 223-44; P. Grossi, La magia rinascimentale e il «Furioso», in Il mago,

il cosmo, il teatro degli astri. Saggi sulla

letteratura esoterica del Rinascimento, a c. di G. Formichetti, Roma

pelli, Ariosto,

1985, pp. 115-34; F. Chiap-

Tasso e la bellezza delle donne, in «Filologia e critica», X (1985), pp. 325-41.

$ 22. L’edizione

dei Cinque canti è stata approntata

da L. Caretti, Venezia

1974, che nello

stesso anno ha pubblicato il saggio Sforia dei «Cinque canti», in «Italianistica»,

IIl (1974),

3, pp. 583-92; cfr. anche L. Capra, Per la datazione dei «Cinque canti» dell’Ariosto, in «GSLI», CLI (1974), 474, pp. 278-95; P. Fontana, Ancora sui «Cinque canti» dell’Ariosto, in «Italianistica», III (1974), 3, pp. 593-605; C.F. Goffis, / «Cinque canti di un nuovo libro di Messer Ludovico Ariosto»,

Genova

in Studi sull’Ariosto cit., pp.

1975, e P.L. Cerisola, // problema critico dei «Cinque canti», 147-86; W. Moretti, L’u/timo Ariosto,

stiaensen, La nave magica di Gloricia, in «Italianistica»,

Bologna

1977; M.

Ba-

IX (1980), 2, pp. 234-50; A. Casa-

dei, A/cune considerazioni sui «Cinque canti», in «GSLI»,

CLXV

(1988), 530, pp.

161-79.

Tra i saggi che illustrano la fortuna secolare dell’ Ariosto, in Italia e fuori, si segnalano G. Bellini, L’Ariosto nell'America ispanica, in «Italianistica», III (1974), 3, pp. 677-88; J.L. Borges, Ariosto y los drabes, ivi, pp. 650-54; B. Bilinski, Le risonanze ariostee nella poesia romantica polacca, in Convegno Internazionale Ludovico Ariosto cit., pp. 253-95: Ch. Dédéyan, La fortune de l’Arioste en France du XIX

siècle à nos jours, ivi, pp. 423-87; R.M.

Gorochova, La fortuna dell’Ariosto in Russia, ivi, pp. 545-62; Z.M. Papatova, Ariosto e PuSkin, ivi, pp. 511-25; M. Praz, Ariosto in Inghilterra, ivi, pp. 511-25; M. De Riquer, Ariosto Y Espafia, ivi, pp. 319-29; J. Gibaldi, The Fortuny of Ariosto in England and America, in

Ariosto 1974 in America cit., pp. 135-77; B. Reynolds, Ariosto in English: Prose or Verse?, ivi, pp. 117-34: W. Roszkowska, «Orlando furioso» e il Seicento polacco, ivi, pp. 405-21; H. Riidiger, Ariosto nel mondo di lingua tedesca, ivi, pp. 489-509; E. Bigi, // Leopardi e |’Ariosto, in Leopardi e la letteratura italiana dal Duecento al Seicento, atti del IV Convegno Internazionale di studi leopardiani, Recanati 13-16 sett. 1976, Firenze 1978, pp. 215-28; J. Da

161

Aggiornamenti bibliografici Costa Miranda, Ludovico Ariosto,

Commedia:

algumas considerac6es e alguns apontamen-

tos acerca de sua presenca em Portugal, in «Boletim da Biblioteca da Universidade de Coimbra»,

XXXV

d’Italianistica», gio Politeo

(1980),

pp.

123-38;

J.A.

Molinaro,

Ariosto

in

English,

in

«Quaderni

I (1980), 2, pp. 200-207; M. Festini, L’Ariosto nella critica letteraria di Gior-

(Split 1837 - Venezia

1913), in Il Rinascimento.

Aspetti e problemi attuali cit.,

pp. 385-92; E. Balmas, Note sulla fortuna dell’Ariosto in Francia nel Cinquecento, Saggi e studi sul Rinascimento francese,

Padova

1982, pp. 75-102.

in Id.,

ui. 79

TAVOLA

DELLE ABBREVIAZIONI

AT e OA iii (iti

2 ROSATO

ATA

Manuali, storie generali, dizionari, collezioni, ecc. ; riviste e atti accademici : « AAÎIF. » «AGI » « AManz. » APOLL., Teatro «AR»

«ASI» « ASL » « ASNPisa » « ASPN » BAR « BCSic. » « Relf. » « BISI » « BISIM » «+ BSD » BCard.

Cinquantennio

Rossi

GIS «CN

»

COIR GiSic: « Crit. » « Cult. » D'’AnconNA-Bacci

«DDJb » DBI DEI De Sanctis De Sanctis DOP « EI »

EIt. «Fil. Lod « FL» « FRom. » Garz. stl. «GD» «GFR » GGr. « GIF » « GSLI » « ID »

«IL» «ICS»

(Ein.) (Lat.)

« Annali alfieriani » « Archivio glottologico italiano » « Annali manzoniani » APOLLONIO, Storia del teatro italiano (Firenze, Sansoni, 1954) « Archivum Romanicum » « Archivio storico italiano » « Archivio storico lombardo » « Annali della (R.) Scuola Normale Superiore di Pisa » « Archivio storico per le provincie napoletane » Biblioteca dell’ Archivum Romanicum « Bollettino del Centro di studi filologici e linguistici siciliani » « Belfagor » 1 Bollettino dell’Istituto storico italiano » « Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo» « Bullettino della Società dantesca italiana» Biblioteca Carducciana (Firenze, Sansoni) Un cinquantennio di studi sulla letteratura italiana (1886-1936) Saggi raccolti... e dedicati a V. Rossi (Firenze, Sansoni, 1937) Classici italiani Sansoni « Cultura neolatina » Collezione di opere inedite e rare Collezione di testi siciliani dei secoli xIV e xv «La Critica» «La Cultura » italiana (Firenze Manuale della letteratura D’ANCONA-BACCI, 1906-10) « Deutsches Dante-Jahrbuch » Dizionario biografico degli italiani Dizionario etimologico italiano De Sanctis, Opere, ed. Muscetta (Torino, Einaudi) DE SANCTIS, Opere, ed. Russo (Bari, Laterza) Dizionario delle obere e dei personaggi (Milano, Bompiani) « Études italiennes » Enciclopedia italiana (Treccani) « Filologia e letteratura » « La Fiera letteraria» « Filologia romanza » Storia della letteratura italiana (Milano, Garzanti!) « Giornale dantesco » « Giornale di filologia romanza » G. GroBER, Grundriss der romanischen Philologie (Strasburgo 1888)

«+ Giornale « « « «

italiano di filologia »

Giornale storico della letteratura Ivalia dialettale » Italia letteraria » Italia che scrive »

italiana »

166

Tavola

« IMU

»

«It.»

«LM

»

« Lett. »

Lett. It: Ricc. «LI » «LN

»

Marz. Marz.

C. Cr.

Marz. Marz. Marz.

Magg. Min. NORS

Marz.

POO

Marz.

QOSM

« MeLincei » MicL. « MIL » Misc. «MLN » MonACI

«NA » «NI »

«NM » « NRS » « NSM » « NuA » « Par. » Parn. « Peg. »

PI Firenze «PMLA » « Pon. » «Pr, » « RBLI » « ReLincei »

« RCLI » « REI» «REW » «RFR» «RI » « RIL » « Rin. »

delle abbreviazioni

« Italia medioevale e umanistica » « Italica » « Letterature moderne » « Letteratura » La letteratura italiana, Storia e testi (Milano-Napoli, « Lettere italiane » « Lingua nostra » Le Correnti (Milano, Marzorati) I Critici (Milano, Marzorati)

Ricciardi)

I Maggiori (Milano, Marzorati) I Minori (Milano, Marzorati) Nuove questioni di storia del Risorgimento e dell'Unità (Milano, Marzorati) Problemi, orientamenti, questioni di lingua e di letteratura

d’Italia italiana

(Milano, Marzorati) Questioni di storia medievale (Milano, Marzorati) « Memorie della (R.) Accademia (nazionale) dei Lincei,

Classe di scienze morali, storiche e filologiche » MIGLIORINI, Storia della lingua italiana (Firenze, Sansoni, 1960) « Memorie del (R.) Istituto lombardo di scienze e lettere, Classe di lettere, scienze storiche e morali » (Per le miscellanee, la formula: Misc. D’Ancona, Misc. Monteverdi, ecc.) « Modern Language Notes » MonAcI, Crestomazia italiana, nuova ed. a cura di F. Arese (Roma 1955) « Nuova Antologia » «La Nuova Italia » « Neuphilologische Mitteilungen » « Nuova rivista storica » « Nuovi studi medievali » « Nuovi Argomenti » « Paragone» Parnaso italiano (Torino, Einaudi) « Pegaso »

Pubbl. del (R.) Istituto di studi superiori in Firenze, Sezione di filosofia e filologia « Publications of Modern Languages of America » « Il Ponte » « Il Propugnatore »« Rassegna bibliografica della letteratura italiana » « Rendiconti della (R.) Accademia (nazionale) dei Lincei, Classe di scienze morali, storiche e filologiche » « Rivista critica della letteratura italiana » « Révue des études italiennes » « Romanisches etimologisches Wérterbuch » « Rivista di Filologia romanza » « Rinascimento », rivista dell’Istituto nazionale di studi sul Rinascimento « Rendiconti del (R.) Istituto lombardo di scienze e lettere » « Rinascita »

Tavola

delle abbreviazioni

« RLC » « RLI » « Rom. »

« Révue

«RR»

SCHLOSSER

SCL it. Lat.

« SD » « SFI »

«SFR » « SFra » «SG »

«SGh. » «SLI » «SM »

« SMV » « Soc. » « SP» «SR» «ST »

« St. Boc. » St. crit. Str Cia « SU »

TMFR Tomm.-Bell.

UTET UTET

de litterature

« Rassegna

« RSI » « RSR » «SbWien »

Seritt=

167

1 2

UTET st. Vall. gen. Vall. st. Vall. stl. «ZRPh»

della

comparée »

letteratura

italiana »

‘ Romania » « Romanic Review » « Rivista storica italiana » « Rassegna storica del Risorgimento » « Sitzungsberichte des Kaiserl. Akad. der Wissenschaften in Wien » ScHLosseR MacnINO, La letteratura artistica (Firenze, La Nuova Italia) Scelta di curiosità letterarie inedite e rare (Bologna, Romagnoli) Scrittori d’Italia, Laterza « Studi danteschi » « Studi di filologia italiana » « Studi di filologia romanza» «Studi francesi » « Siculorum Gymnasium » « Studia Ghisleriana » « Studi di letteratura italiana » « Studi medioevali » « Studi mediolatini e volgari » « Società » « Studi petrarcheschi » « Studi romanzi » « Studi tassiani » « Studi su Boccaccio » W.

BINNI,

/ classici italiani nella storia della

critica

(Firenze,

La

Nuova Italia, 1960?). « Strumenti critici » « Studi urbinati » Testi e manuali dell'Istituto di filologia romanza di Roma N. Tommaseo - B, BELLINI, Dizionario della lingua italiana (Torino 1865-79) Classici italiani, dir. da R. Balsamo-Crivelli (Torino, UTET) Classici italiani, coll. fondata da F. Neri e dir. da M. Fubini (Torino, UTET)

Storia d’Italia coordinata da N. Valeri (Torino, UTET) Storia dei generi letterari (Milano, Vallardi) Storia d’Italia (Milano, Vallardi) Storia letteraria d’Italia (Milano, Vallardi)

« Zeitschrift fir romanische Philologie »



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