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Italian Pages 513 [520] Year 2008
LO ZIBALDONE COLOCCIANO VAT. LAT. 4831 EDIZIONE E COMMENTO
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STUDI E TESTI ———————————— 454 ————————————
Marco Bernardi LO ZIBALDONE COLOCCIANO VAT. LAT. 4831
Edizione e commento
CITTÀ DEL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA 2008
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Descrizione bibliografica in www.vaticanlibrary.va
Stampato con il contributo dell’associazione American Friends of the Vatican Library
–––––– Proprietà letteraria riservata © Biblioteca Apostolica Vaticana, 2008 ISBN 978-88-210-0848-1
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PREMESSA L’oggetto della presente edizione è un codice dalla forma singolare conservato, come tutti gli zibaldoni colocciani noti, nel fondo latino della Biblioteca Apostolica Vaticana (d’ora in poi BAV): il manoscritto Vat. lat. 48311. Si tratta di un volumetto oblungo, approssimativamente di 11,5 cm di larghezza, per circa 29 di lunghezza (è il formato ordinariamente indicato come vacchetta), cartaceo, di 104 fogli integri (in media una quarantina di righe di scrittura per facciata), per la maggior parte numerati nel solo recto in alto a destra2 in cifra araba, più 12 fogli tagliati (o strappati) e uno aggiunto, al fondo del ms., probabilmente al momento della legatura del codice entro la coperta attuale che non è quella originale (ammesso che il cod. ne avesse una)3. Il codice è dunque rilegato in 1 Su Angelo Colocci (Jesi 1474 — Roma 1549) si allegano alcune essenziali notizie. Di nobile famiglia esinate, frequentò la corte di Napoli e fu assunto tra gli accademici pontaniani. Abbreviatore pontificio sotto Alessandro VI e Giulio II, divenne segretario apostolico con Leone X sotto il cui pontificato conobbe gli anni migliori e di maggior prestigio. Animò a Roma – erede della casa e dello spirito di Pomponio Leto – una sorta di accademia ricordata come Horti colotiani ed entrò in contatto con personaggi del calibro di Bembo, Castiglione, Sadoleto, Cervini, Pier Vettori, Calmeta, assumendo nell’ambito della «questione della lingua» posizioni cortigiane. In una data imprecisata prese gli ordini religiosi e ottenne il vescovado di Nocera Umbra nel 1537. Possedette – tra gli altri item di una delle più cospicue biblioteche umanistiche del tempo – il Canzoniere Vaticano (Vat. lat. 3793) il canzoniere provenzale M (Parigi, Biblioteca Nazionale, codice fr. 12474) il canzoniere galego-portoghese Colocci-Brancuti (Lisbona, Biblioteca Nazionale, cod. 10991), oltre ad importanti codici d’autori classici come il Virgilio Mediceo (Firenze, Biblioteca Mediceo Laurenziana, cod. Mediceus laurentianus latinus XXXIX). Non pubblicò quasi nulla in vita, ma nel 1772 furono stampate dal Lancellotti alcune sue poesie (G. F. LANCELLOTTI, Poesie italiane e latine di mons. Angelo Colocci, Jesi 1772). Notizie sul personaggio si trovano in V. FANELLI, Ricerche su Angelo Colocci e sulla Roma cinquecentesca, Città del Vaticano 1979 (Studi e Testi, 283); F. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci. Edizione del testo originale italiano, Barb. lat. 4882, a cura di V. FANELLI, Città del Vaticano 1969 (Studi e Testi, 256); Atti del Convegno di studi su Angelo Colocci (Jesi 13-14 settembre 1969 — Palazzo della Signoria), Jesi 1972. A questi si aggiunga il volume in corso di stampa nella collana Studi e Testi (nr. 449) della Biblioteca Apostolica Vaticana, Angelo Colocci e gli studi romanzi, a cura di C. BOLOGNA e M. BERNARDI, Città del Vaticano 2008. Altre più estese indicazioni bibliografiche sono fornite nella sezione apposita che precede l’edizione del testo. 2 Sull’identità della mano che verga la cartulazione si tornerà ancora, qui tuttavia si potrà notare che queste modalità di numerazione (che non distingue tra recto e verso e procede perciò con regolare progressione di recto in recto) è tipica dell’uso colocciano di contro alle abitudini di altri filologi contemporanei (cfr. C. BOLOGNA, Sull’utilità di alcuni descripti umanistici di lirica volgare antica, in La filologia romanza e i codici. Atti del Convegno. Università degli Studi — Facoltà di Lettere, Messina 19-22 dicembre 1991, a cura di S. GUIDA e F. LATELLA, II, Messina 1993, pp. 531-587, p. 574 e spec. nt. 84). 3 Incollati tra i piatti anteriore e posteriore ed i relativi risguardi si notano i lacerti di alcuni fogli, anch’essi tagliati, che dovevano far parte della fascicolazione originaria.
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PREMESSA
cartone ricoperto di pelle chiara e reca sul dorso l’attuale segnatura e lo stemma della BAV stampigliati in oro. Il Vat. lat. 4831 è prevalentemente autografo e scritto con la grafia inconfondibile e tremenda universalmente riconosciuta ad Angelo Colocci: una umanistica corsiva dall’andamento corrente, nervoso e spezzato4. In questo ms. si trovano tuttavia altre due o forse tre mani attribuibili, probabilmente, a copisti di cui abitualmente l’umanista si serviva (sulla questione ci si soffermerà specificamente nei §§ I.3.1-4). Non si sa con esattezza quando il codice entrò nei fondi vaticani. L’incameramento della biblioteca colocciana – o per lo meno di quanto ne rimaneva dopo il sacco del 1527 e dopo la spartizione tra gli eredi che non dovette tuttavia intaccarla più di tanto – avvenne in tre momenti 4 Si riportano a titolo esemplificativo alcuni dei giudizi in proposito: valgano anche come parziale giustificazione delle difficoltà di lettura e delle vere e proprie cruces che si segnaleranno di volta in volta nel commento delle pagine dell’edizione. P. DE NOLHAC, La bibliothèque de Fulvio Orsini, contribution à l’histoire des collections d’Italie et à l’étude de la Renaissance, Paris 1887, p. 140, confrontando le grafie di Leto, Colocci e Carteromaco, nota semplicemente: «...mais celles de Colocci, de Cartéromachos et de bien d’autres sont assez confuses». Più esplicito è S. DEBENEDETTI, Intorno ad alcune postille di Angelo Colocci, in Zeitschrift für romanische Philologie 28 (1904), pp. 56-93, p. 57 (riedito in ID., Studi filologici, Milano 1986, pp. 169-208), che parlando della scrittura di Colocci la definisce «nervosa e pesante, irregolare e senza ombra d’eleganza, se non forse quell’apparente vaghezza che nasce dalla spezzatura e dalla rapidità, singolare nella forma delle a e delle e minuscole, che spesso confondonsi in un unico segno, nella duplice forma della e...». E ancora il medesimo studioso, parla dei «suoi zibaldoni, di mano nervosa e affrettata, dove ci si presenta uno spirito affannato e tormentato di fronte a difficoltà che nascevano, più che da esso, dai tempi» (ID., Gli Studi provenzali in Italia nel Cinquecento, Torino 1911, ora riedito in ID., Gli Studi provenzali in Italia nel Cinquecento e Tre secoli di studi provenzali, edizione riveduta, con integrazioni inedite, a cura e con postfazione di C. SEGRE, Padova 1995, p. 32: da questa nuova edizione si intendono tratte le citazioni a cui capiterà di ricorrere nelle pagine a seguire). S. LATTÈS, Premessa metodologica per l’indagine sulla biografia e gli autografi del Colocci, in Atti del Convegno cit., pp. 35-44, pp. 36 e 41-42, descrive la sua reazione di fronte alla visione della grafia del cod. colocciano Vat. lat. 4817: «Appena lo ebbi aperto indietreggiai inorridito: [...] non si può nemmeno avere un’idea di cosa sia un manoscritto autografo del Colocci senza averlo visto: pagine coperte di una scrittura quasi illeggibile, note sparse di cui le più lunghe hanno sei linee, scritte poi in tutti i sensi e riguardanti argomenti di un’incredibile diversità» e precisa, a proposito degli zibaldoni del nostro umanista, «più che di manoscritti che implicano l’idea di redazione, conviene parlare di appunti, più che di appunti, data la loro scrittura spesso indecifrabile, di scarabocchi». Più misurato il giudizio di L. MICHELINI TOCCI, Dei libri a stampa appartenuti al Colocci, in Atti del Convegno cit., pp. 77-96, p. 78, che parla della «mano molto personale di Angelo Colocci, nelle sue varie forme, più curate e minute quelle giovanili, più correnti, spesso sgraziate e di qualche difficoltà nella lettura, quelle della maturità e della vecchiaia». J. RUYSSCHAERT, Introduzione, in FANELLI, Ricerche su Angelo Colocci cit., pp. 1-6, p. 2 definisce semplicemente la sua scrittura «se non bella, almeno molto caratteristica», mentre V. FANELLI La ribellione di Jesi durante la congiura dei baroni, in ID., Ricerche su Angelo Colocci cit., pp. 19-29, parla, a proposito del cod. Vat. lat. 3450, della «terribile scrittura del Colocci» e in Angelo Colocci e Cecco d’Ascoli, ibid., pp. 182-205, p. 186 precisa: «è doveroso tuttavia premettere che il Colocci nei suoi appunti scriveva con una grafia pressocché indecifrabile».
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PREMESSA
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distinti fotografati da tre inventari che costituiscono il punto di partenza per qualunque tentativo di ricostruzione di questo fondo. Il primo è costituito dai ff. 4v-5v di Vat. lat. 39635, e rappresenta la selezione di una cinquantina di codici destinati alla BAV, operata da Guglielmo Sirleto al momento del decesso dell’umanista (1549), la cui biblioteca apparteneva per diritto di spoglio all’amministrazione pontificia6. Il secondo inventario è conservato nei ff. 184-196 di Vat. lat. 3958 e riguarda invece quei volumi che rimasero depositati fino al 1558 nel Guardaroba del Palazzo Vaticano. L’ultimo inventario è in realtà quello della biblioteca di Fulvio Orsini, nella quale era confluita una parte considerevole della biblioteca dell’esinate, e si legge nei ff. 1-52 di Vat. lat. 7205. L’elenco fu compilato al momento dell’ingresso del lascito orsiniano nella BAV, diciannove mesi dopo (gennaio, 1602) il decesso del bibliofilo7. A questi tre inventari andranno aggiunti anche quello custodito nei ff. 44r-63r di Archivio della Biblioteca Vaticana, tomo 15, redatto vivente Colocci, e quello studiato da Rossella Bianchi e contenuto nei ff. 50r-63r di Vat. lat. 140658. Altri elenchi di libri si incontrano nelle pagine degli zibaldoni: tra i più estesi e organici si segnalano quello del f. 329r-v di Vat. lat. 3217 e soprattutto quello dei ff. 222r-227v di Vat. lat. 39039. Tornando al codice, andrà detto che l’attenzione alla forma e alle dimensioni è giustificata dalla sua singolarità: a quanto mi consta, sono piuttosto rari negli zibaldoni colocciani i fogli distinti dal formato vacchetta che era generalmente impiegato per raccolte di documenti o libri di conti (è il caso ad esempio dei due codici Vat. lat. 14869 e Vat. lat. 14870 che Fanelli indica nei suoi lavori, rispettivamente, come Codex Archetypus e Codice Colocciano e che conservano copie di lettere, contratti, alberi genealigici e documenti di memorie famigliari dei Colocci), per inventari (come è il caso del Vat. lat. 14065, che non è tuttavia interamente di pertinenza colocciana), più che per zibaldoni d’argomento letterario. Infatti, gli altri principali codici che presentano affinità di contenuto con Vat. lat. 4831 (per esempio Vatt. latt. 4817, 4818, 3217, 3903, per citare 5 Edito in G. MERCATI, Il soggiorno del Virgilio Mediceo a Roma, in ID., Opere minori raccolte in occasione del settantesimo vitalizio, IV: (1917-1936), Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 79), pp. 524-545, pp. 542-545. 6 Per una sintesi sulla questione, cfr. RUYSSCHAERT, Introduzione cit., pp. 1-6. 7 Sulla notevolissima collezione dell’Orsini è ancora fondamentale il grande studio di
DE NOLHAC, La bibliothèque cit., in particolare pp. 334-396. 8 R. BIANCHI, Per la Biblioteca di Angelo Colocci, in Rinascimento 30 (1990), pp. 271-282. 9 Riguardo la ricostruzione di questa notevole biblioteca, e per una sintesi delle acqui-
sizioni in merito, rimando al mio Per la ricostruzione della biblioteca colocciana: lo stato dei lavori, in Angelo Colocci e gli studi romanzi cit., pp. 21-83.
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PREMESSA
solo gli affini più noti e sui quali si sono condotte dirette ricongizioni10) sono costituiti da fogli di formato doppio. È immediato notare, anche sulla base di confronti tra filigrane presenti negli uni e nell’altro (si veda in proposito il § I.2), che i fogli impiegati per il Vat. lat. 4831 sono dello stesso tipo che si ritrova in numerosi altri codici, solo ripiegati una volta di più parallelamente al lato lungo (che sarà stato però il lato corto del folio di partenza). Questa singolarità potrà dunque deporre a favore (pur non essendo condizione sufficiente) della riconducibilità ad un progetto compilativo unitario del materiale raccolto in Vat. lat. 4831. Dirimente sarebbe invece l’ascrizione alla mano di Colocci della numerazione dei fogli del codice. Assai verosimile in linea di principio e per ragioni che si vedranno di volta in volta nelle pagine seguenti, essa comporta tuttavia un certo margine di incertezza dovuto alla debolezza degli argomenti paleografici che la scrittura di cifre – in questo caso per di più non particolarmente connotata – porge in relazione all’identificazione di una mano (la questione è affrontata con maggior ampiezza nel paragrafo relativo alla Fascicolazione § I.1). Se di quella colocciana effettivamente si trattasse, si dovrebbe scartare l’ipotesi che l’attuale codice sia risultato dall’aggregazione postuma di materiali irrelati, visto che la numerazione procede pressoché regolare e continua (salvo alcune eccezioni, irrilevanti da questo punto di vista) dall’inizio alla fine del ms. In questo caso l’unificazione di questo materiale andrebbe ricondotta alla volontà dello stesso compilatore e autorizzerebbe ad avanzare ipotesi circa le ragioni che presiedettero a questa operazione e a ricercare elementi in grado di ricondurre ad unità le eterogenee membra di questo ms11. 10 Il Vat. lat. 3450, sul quale ci si soffermerà piuttosto frequentemente nel corso di questa esposizione, è invece costituito da fogli dai formati piuttosto disparati (talora semplici strisce orizzontali di carta, incollate su più tardi supporti), forse originariamente sciolti e quindi aggregati posteriormente alla morte di Colocci. Quanto alla forma dei fogli di Vat. lat. 4831, segnalo che hanno pressappoco le medesime dimensioni i ff. 453-456 di Vat. lat. 4823: «leggeri foglietti di formato ridotto, di cm 29 × 10 circa – di mano di copista [che] contengono strambotti siciliani» (cfr. C. BOLOGNA, La copia colocciana del Canzoniere Vaticano (Vat. Lat. 4823), in I Canzonieri della lirica italiana delle origini, a cura di L. LEONARDI, IV: Studi Critici, Firenze 2001, pp. 105-152, p. 105, nt. 1), ai quali andranno aggiunti anche i ff. 251-252 di Vat. lat. 3903, mentre i ff. 101-108 di Vat. lat. 4818 mostrano in centro alla pagina una piega verticale che indurrebbe a pensare che in passato essi fossero stati conservati ripiegati in un formato analogo a quello di cui qui si discute. 11 Nel mio contributo Intorno allo zibaldone colocciano Vat. lat. 4831, in Angelo Colocci e gli studi romanzi cit., pp. 123-167, individuavo nell’opera di Petrarca – intesa di volta in volta come fonte documentaria, canone strutturante, modello e oggetto di studio – il centro capace di unificare le diverse parti di questo codice. In alcuni casi l’ipotesi mi pare ancora accettabile, mentre per altri, alla luce delle ricerche più approfondite di cui si dà notizia in questa edizione, questa interpretazione risulta un po’ riduttiva e azzardata la proposta, fuori di un campo strettamente ipotetico, di ragioni complessive per l’aggrega-
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PREMESSA
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Si rileva infatti agevolmente una perfetta corrispondenza tra le unità codicologiche che compongono Vat. lat. 4831 e i distinti contenuti di ciascuna di esse. Questa stretta correlazione invita ad esaminare separatamente i cinque fascicoli che lo costituiscono. Di seguito si analizzerà perciò in primo luogo il codice dal punto di vista materiale (capitolo I), prendendo in considerazione fascicolazione, filigrane e grafia. Successivamente si darà conto della sostanza e delle caratteristiche dei contenuti di ciascun fascicolo (capitolo II), fornendo notizie intorno alle rispettive fonti e ipotesi interpretative a proposito di genesi, natura e funzione dei testi in essi ospitati. Seguono le necessarie considerazioni riguardo alla datazione del codice, desumibili dall’esame delle informazioni offerte dall’analisi del contenuto, incrociate con quelle ricavate dall’esame del dato materiale (capitolo III). Queste osservazioni costituiscono infatti la necessaria premessa alle pagine dell’edizione del codice che qui si propone, sulle caratteristiche, natura e struttura della quale si sofferma la sezione relativa appunto ai criteri di edizione (capitolo IV). Come si avrà probabilmente già avuto modo di cogliere da quanto fin qui esposto, l’interesse di questo zibaldone risiede dunque nella sua natura composita e varia, e quindi nella ricchezza di spunti di studio e ricerca di fonti che offre – osservazione riferibile forse a tutto il materiale autografo colocciano nella sua complessità –, ma anche nella distesa (e piuttosto completa) discorsività di numerose sue parti, caratteristica invece non condivisa con molto altro materiale colocciano, se si può riconoscere col Lattès che sono rari i testi del Colocci che corrano dal principio alla fine e contengano un racconto12. In Vat. lat. 4831, invece, di racconti (nel senso di testi narrativo-argomentativi distesi, adottato da Lattès) se ne trovano almeno tre, e anche di una discreta estensione. Si tratta degli appunti biografici su tre intellettuali del XIV secolo: Cino da Pistoia (ff. 51v-53v), Cecco d’ Ascoli (ff. 55r-56v e 59r) e re Roberto d’Angiò, il racconto più lungo (ff. 68v-76v)13. Sembrerebbe di poter rilevare, in altre parole, che questo sia uno degli zibaldoni che ospitano alcune delle redazioni più compiute nel complesso panorama degli appunti colocciani. In questa edizione si presenta dunque il materiale relato da Vat. lat. 4831 per la prima volta integralmente. Il codice, infatti è stato da più studiosi esaminato ed alcune sue
zione del materiale di Vat. lat. 4831, data la non assoluta certezza della sua rispondenza alla volontà di Colocci. 12 S. LATTÈS, A proposito dell’opera incompiuta “De ponderibus et mensuris” di Angelo Colocci, in Atti del Convegno cit., pp. 97-108, p. 106. 13 A questi si potranno aggiungere le paginette sul Burchiello (ff. 87r-88r) e quello che si indicherà ancora come Trattatello, conservato ai ff. 59r-60v.
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PREMESSA
parti sono edite14. Tuttavia la visione d’insieme che questa prima edizione integrale di uno zibaldone colocciano tenta di offrire potrà forse contribuire a chiarire ulteriormente anche i dettagli già noti alla critica, collocandoli nel loro naturale contesto. La ricerca e lo studio delle fonti relative alle annotazioni del codice, poi, ha consentito l’individuazione di nuove direzioni d’indagine intorno alle letture e ai possessi librari di Colocci – dunque ai suoi interessi e alle sue conoscenze –, ma anche l’acquisizione di alcuni elementi di novità: aspetti forse di dettaglio, ma sostanzialmente inediti, relativi alla cultura di un umanista italiano del primo Cinquecento che ebbe all’epoca un peso affatto incomparabile rispetto all’oscurità che ne avvolge attualmente la figura nel panorama dei nostri studi. Tra le acquisizioni più degne di nota si potranno dunque indicare – scorrendo idealmente la successione dei fascicoli –, l’egloga incompiuta del I fascicolo che costituisce, nell’evidente imitazione del modello, un nuovo documento della fortuna di Serafino Aquilano; l’insospettata testimonianza, nel II fascicolo, della conoscenza diretta fra Quattro e Cinquecento del De amore di Andrea Cappellano; l’ulteriore tassello relativo alla tradizione del Tebaldeo volgare rappresentato dalla tavola alfabetica del III fascicolo; l’abbozzo forse dell’inedito progetto di una raccolta di facezie volgari ordinate sulla linea di una storia letteraria romanza – completo delle necessarie osservazioni teoriche atte a giustificarlo – che si dipana ampiamente nei fascicoli IV e V15.
14 Per l’organicità si possono indicare gli stralci tratti dalle vite dei poeti provenzali, edite da DEBENEDETTI, Gli Studi provenzali in Italia cit., pp. 211-214, o quelli relativi a Cecco d’Ascoli pubblicati da FANELLI, Angelo Colocci e Cecco d’Ascoli cit., pp. 200-205, o, più recentemente, le pagine burchiellesche studiate da G. CRIMI, Burchiello e le sue metamorfosi: personaggio e maschera, in Auctor/Actor. Lo scrittore personaggio nella letteratura italiana, a cura di G. CORABI e B. GIZZI, Roma 2006, pp. 89-119, che tuttavia si serve anche di alcune parti di una precedente redazione della presente edizione. 15 Intorno a quelle qui così sinteticamente presentate si condensa poi una miriade di nuove scoperte minori, tra le quali, per fare qualche esempio, si può citare la prova della conoscenza colocciana della Disciplina clericalis di Pietro Alfonsi, o della lettura diretta dell’Acerba di Cecco d’Ascoli; il fatto che Colocci attribuisse a re Roberto il Trattato sulle virtù morali di Graziolo Bambaglioli, l’individuazione delle edizioni del Petrarca latino probabilmente da lui possedute, o della fonte giuridica da cui trasse le notizie per Cino da Pistoia (il Modus studendi del Caccialupi); gli stretti legami che uniscono Vat. lat. 4831 e il codice delle facezie Vat. lat. 3450, l’impiego dei Commentarii Urbani del Maffei, del Supplementum Chronicarum del Foresti, delle Enneadi del Sabellico. A tutto questo andranno aggiunte le nuove acquisizioni intorno al metodo di lavoro di Colocci e alle dinamiche di rielaborazione e ricomposizione che caratterizzano le sue abitudini di annotazione.
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INTRODUZIONE
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I. IL DATO MATERIALE I.1. Fascicolazione Ad un esame anche approssimativo, il codice appare costituito da cinque fascicoli1 di entità e natura ben distinte, con una stretta coincidenza tra unità codicologica e di contenuto; leggermente differente il caso degli ultimi due fascicoli che, sebbene codicologicamente distinti, possono essere considerati congiuntamente in ragione del loro contenuto. Approfondendo l’esame si riesce, piuttosto agevolmente, a circoscrivere con precisione l’estensione dei singoli fascicoli. I primi due (rispettivamente ff. 1-6 e 7-12: tre bifogli ciascuno) sono dei ternioni; il terzo è costituito da diciotto fogli (ff. 13-30: nove bifogli, di cui due inseriti successivamente alla preparazione del fascicolo ma prima della numerazione dell’intero cod.: sono i bifogli 15-16 e 25-26); il quarto è un imponente fascicolo di sessanta fogli (ff. 31 – foglio non numerato che segue f. 93) che, dalla numerazione, risulta però mancante di un duerno, che sarà stato aggiunto allo stesso modo dei due citati bifogli o in modo diverso, secondo un’ipotesi ricostruttiva che si esaminerà più avanti (sicché sessantaquattro saranno stati in quella fase i fogli del presente fascicolo); il quinto (f. tagliato I – f. (nn. 105)2, secondo lo schema che si vedrà più oltre) doveva essere costituito da almeno ventisei fogli, ma ne rimangono attualmente integri e leggibili tredici. Il foglio (nn. 105) è seguito da due fogli di una carta più spessa, che sembrerebbero formare bifoglio e che saranno stati aggiunti in epoca posteriore, al momento
1 N. CANNATA, Il primo trattato cinquecentesco di storia poetica e linguistica: le Annota-
tioni sul vulgare ydioma di Angelo Colocci (ms. Vat. lat. 4831), in corso di stampa in Angelo Colocci e gli studi romanzi cit., pp. 169-197, p. 173, nt. 10, sviluppa osservazioni differenti, che comportano l’individuazione nel ms. di sei fascicoli (anziché i cinque di cui si è detto). La discrepanza sta nel fatto che la studiosa considera come sesto fascicolo quello che, nello stato attuale del ms. è semplicemente il bifoglio centrale del quinto (quello costituito da un f. da lei numerato 106 – ma non numerato nel ms. – e dal f. 107). Il suo conteggio deriva probabilmente dal fatto che la posizione evidentemente scorretta del bifoglio l’avrà spinta a supporlo semplice aggiunta al V fascicolo ad esso affiancata; sulla questione tuttavia si tornerà poco più avanti, nel paragrafo dedicato al V fascicolo (§ I.1.5.). 2 I fogli non numerati sono accompagnati dalla sigla nn. seguita dal numero ipotetico del foglio desumibile dalla sua posizione, il tutto posto tra parentesi tonde. I fogli mancanti sono invece indicati ponendone la numerazione – quando compatibile con la cartulazione complessiva del codice – tra parentesi quadre.
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INTRODUZIONE
della legatura. Si tratta dunque di due fogli di guardia, uno libero e il secondo incollato sul piatto posteriore. Ecco di seguito una schematizzazzione della ripartizione dei fogli nei fascicoli e della disposizione dei bifogli. Per ciascun foglio ho indicato l’eventuale presenza di filigrane mediante una sigla3. I fogli tagliati del V fascicolo sono indicati con numeri romani. Eventuali lacune sono segnalate dalla rappresentazione degli ipotetici fogli mancanti mediante segmenti tratteggiati anziché a tratto unito, come nel resto dello schema (accompagnati dal numero del foglio posto tra parentesi quadre: è il caso per es. dei ff. [64]-[67]). I bifogli aggiunti (come i già citati ff. 15-16 e 2526), invece, sono rappresentati da tratti continui di maggior spessore. I fogli singoli incollati, invece sono rappresentati da linee a tratteggio più spesso e largo (cfr. per es. f. 1).
I.1.1. I fascicolo (ff. 1-6) 1 nf 2 nf 3 nf 4 nf 5 nf 6 RI; b
Dato lo schema base del fascicolo sono però necessarie alcune precisazioni. Il f. 1 è in realtà un foglio singolo incollato su di una strisciolina 3 Fornisco qui, per comodità, lo scioglimento delle sigle, rimandando tuttavia al paragrafo I.2. per le questioni riguardandi complessivamente le filigrane. La sigla «nf» indica l’assenza di filigrana; «RI» è una non identificata filigrana a sigla; «St» rappresenta una stadera entro un circolo; «Qsc» un quadrupede sormontato da uno scudo il tutto inscritto in un cerchio; «Cl», la filigrana con cinque mezzelune disposte entro una croce greca inscritta in un cerchio; «S» rappresenta una sirena a due code anch’essa in un cerchio; «F4», un fiore a quattro petali. Dove necessario ho segnalato il verso del disegno della filigrana affiancando alla sigla della stessa una freccia ( , se il disegno è diritto; , se il disegno è capovolto). Le altre sigle che si impiegano riguardano la presenza di fogli bianchi: b, quando lo sono sia nel recto, sia nel verso; rb quando lo è il solo recto (non si considera in questo caso la presenza della numerazione dei fogli, già segnalata con altri criteri); vb, quando lo è il solo verso.
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I . IL DATO MATERIALE
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di carta, parallela al lato lungo del ms., appartenente al f. 6, che sporge oltre legatura dal lato del piatto anteriore. Il bifoglio 1-6 non è dunque originale. A questo stato di cose potrebbe essere riconducibile anche la circostanza per cui il f. 6 presenta una filigrana che non si trova altrove in questo ms. né negli altri zibaldoni colocciani su cui sono state condotte verifiche (e si veda in proposito il paragrafo I.2.). Si potrebbe perciò ipotizzare che esso sia stato inserito al momento di confezione del codice con la legatura in unum di materiale originariamente sparso. Se questa operazione vada collocata dopo la morte di Colocci, o comunque fuori dal suo controllo e volontà, rimane questione da chiarire. Se così fosse, però, occorrerebbe ipotizzare che la numerazione dei fogli non sia di sua mano, dal momento che il foglio 6 si direbbe numerato dalla stessa mano che verga la cartulazione dell’intero codice. i. il dato materiale
I.1.2. II fascicolo (ff. 7-12)
7 nf; vb 8 StĹ; b 9 StĻ nf 11 nf 12 nf; b + foglietto
In questo caso non è possibile verificare con certezza la natura di bifoglio di 7-12, dal momento che la legatura è così stretta che dal taglio di testa non risulta visibile la continuità della carta, e in prossimità del taglio di piede i due fogli sono strappati lungo la legatura. L’ipotesi è tuttavia plausibile in ragione dei contenuti che riconducono entrambi i fogli al II fascicolo: f. 7 – per il resto bianco – reca il titolo sottolineato «Gulateri», che allude agli excerpta dal De amore di Andrea Cappellano che seguono, mentre il f. 12 (anch’esso bianco ma numerato) reca legato con un tratto di spago sul suo recto un foglietto di dimensioni minori, occupato nei due lati da appunti della medesima provenienza.
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INTRODUZIONE
I.1.3. III fascicolo (ff. 13-30) 13 nf; vb 14 nf 15 nf; vb 16 QscĻ; b 17 nf 18 nf 19 nf 20 nf; vb 21 nf 22 ClĻ 23 nf 24 nf 25 nf; vb 26 nf; rb 27 QscĻ 28 ClĻ; b 29 nf; vb 30 nf; rb
Il fascicolo, salvo poche e sparute eccezioni colocciane di cui si dirà in seguito, è interamente scritto dalla prima (mano a) delle altre due (o tre) mani che compaiono accanto a quella dell’umanista nella confezione di questo codice. All’inserzione in un tempo successivo alla preparazione del fascicolo dei due bifogli 15-16 e 25-26 si è già accennato. Da un esame attento del contenuto di questo fascicolo – una tavola costituita da incipit sulla cui natura e provenienza si avrà modo di tornare – e delle sue fasi redazionali, risultano evidenti le ragioni – insufficienza di spazio per registrare incipit che dovevano essere raggruppati sotto la medesima lettera – che hanno condotto a queste due inserzioni. Al momento attuale il bifoglio 15-16 è legato in modo molto precario al resto del fascicolo (tende a staccarsi), mentre il 25-26 è in realtà incollato sul recto di f. 27, parallelamente alla legatura e mediante una porzione lunga e stretta di f. 26v, prossima alla piega del bifoglio.
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Infine il f. 30 è, come il f. 1, un semplice foglio isolato, incollato lungo la striscia di carta superstite di una pagina che formava bifoglio con f. 13, quest’ultimo senz’altro appartenente al III fascicolo. Il foglio, bianco nel recto, reca invece nel verso a mo’ di titolo una parola che leggerei come «Amanti(um)». Santorre Debenedetti la leggeva invece come «Amanti» e la considerava «titolo generale» della sezione relativa alla notizie sui poeti occitanici ricordati dal Petrarca che occupa però il fascicolo successivo (il IV)4. Così se si vuole accettare l’interpretazione di Debenedetti occorre anche ipotizzare che il titolo sia stato scritto da un copista (verosimilmente sempre quello di mano a) solo dopo l’avvenuta unificazione dei due fascicoli in questione; e magari che il f. 30 sia la parte superstite di un precedente bifoglio in cui l’attuale verso di f. 30 fosse stato un recto, come il fatto che il titolo che porta si trovi, un po’ insolitamente, nell’attuale verso inviterebbe a supporre. Una simile condizione si verifica per esempio se si immagina f. 30 formare bifoglio legandosi ad altro foglio lungo il margine attualmente non impegnato nella legatura, e con piegatura inversa rispetto all’odierna. In questo caso, il bifoglio in questione avrebbe potuto servire da “copertina”, per es. per il fascicolo IV. Non sorprenderebbe perciò, in queste condizioni che il foglio, corrispondente al piatto posteriore del IV fascicolo, si sia deteriorato più in fretta di quello corrispondente al piatto anteriore (f. 30). Così, forse, si sarà preferito asportarlo, conservando però la metà del bifoglio superstite che recava il titolo (appunto f. 30). Il fatto che sia stato legato nella posizione e con l’orientamento attuale, può essere dipeso dalla circostanza per cui anche il foglio del piatto posteriore del III fascicolo (l’originale carta che formava bifoglio con f. 13) era deteriorato: si è così pensato di sostituire un piatto posteriore con un più integro piatto anteriore (f. 30), incollando quest’ultimo lungo quello dei due margini che risultava più danneggiato (e che verosimilmente sarà stato quello esterno), in modo da nascondere in prossimità della legatura l’irregolarità del margine: di qui, il fatto che l’originale recto abbia finito per costituire un verso.
4 Cfr. DEBENEDETTI, Gli Studi provenzali in Italia cit., p. 211. Quanto alla lettura della parola, tutto sta in come si vuole intendere lo svolazzo che prosegue e chiude la “i”: esso si volge verso l’alto e si chiude in uno stretto occhiello e in uno svolazzo orizzontale poi spezzato da un breve ritorno indietro del tratto e una nuova fuga verso destra e verso l’alto. La prima inversione del ductus, quella che genera l’occhiello, farebbe pensare al segno tachigrafico solitamente impiegato per la desinenza latina -um.
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INTRODUZIONE
I.1.4. IV fascicolo (ff. 31-f. nn. che segue f. 93)
31 SĹ; vb 32 SĹ; vb 33 SĻ; vb 34 SĻ; vb 35 nf; vb 36 SĻ; vb 37 nf; vb 38 nf; vb 39 nf; vb 40 SĻ; vb 41 SĻ; vb 42 SĻ; vb (nn. 43) nf; vb (nn. 44) SĻ; vb 45 nf 46 nf 47 SĹ 48 SĻ 49 nf; vb 50 nf; vb 51 nf 52 SĹ 53 SĹ 54 SĻ 55 nf 56 nf 57 SĻ; vb 58 SĻ; vb 61 SĻ; vb 59 nf
ĺ
[...] [62] [63] [64] 60 F4 (nn. 65) nf; b (nn. 67) nf; b 68 nf; rb 69 nf 70 nf; vb 71 nf; b 72 nf 73 nf 74 nf 75 nf 76 nf 77 nf 78 nf 79 nf 80 nf 81 nf 82 nf (nn. 83) nf (nn. 84) nf (nn. 85) nf 86 nf 87 nf 88 nf 89 nf 90 nf 91 nf (nn. 92) nf 93 nf (nn.?) nf; vb
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Come appare subito evidente, lo schema mostra alcune irregolarità che riguardano la numerazione dei fogli del centro del fascicolo e propone una numerazione per le pagine mancanti ([...] — [62] — [63] — [64]) e per quelle non numerate (nn. 65 e nn. 67) che potrebbe destare perplessità. Di fatto esso costituisce la rappresentazione degli esiti di una serie ipotetica di operazioni di spostamento e rinumerazione (in certi casi solo virtuale, in altri seguita dalla scrittura e correzione dei numeri sui fogli) che deve aver interessato i fogli compresi tra il f. 57 e il f. 685. Nonostante la complessità delle operazioni, tuttavia, l’ipotesi di ricostruzione che di seguito si illustra sembra l’unica che renda conto contemporaneamente di tutti i dati di fatto che la configurazione attuale del ms. presenta e che per comodità si elencano in sintesi6: a) il ms. presenta una non originaria successione irregolare nella cartulazione in prossimità del centro del IV fascicolo: la sequenza 58 — 61 — 59. b) i ff. 59-60 costituiscono bifoglio e contengono un testo che si dipana senza soluzione di continuità tra il verso di f. 59 e il recto di f. 60. c) in prossimità del centro del ms. sono presenti 2 fogli non numerati che formano bifoglio – nell’ordine – con i ff. 61 e 58 dell’attuale numerazione. d) la numerazione dei fogli si interrompe a 61 e riprende a 68, ma tra questi due fogli ne sono presenti soltanto altri quattro: due numerati (il bifoglio 59-60) e due non numerati (vd. punto c); è presente dunque una lacuna di quattro fogli. e) sul recto (e solo su di esso) dell’attuale f. 61 è chiaramente distinguibile la traccia lasciata dalla porzione finale del testo che si legge nel recto di f. 59, rimastavi impressa per il trapasso dell’inchiostro e la porosità della carta. In entrambi i fogli il senso della scrittura 5 Di un’altra serie (ipotetica) di spostamenti, che tuttavia non hanno lasciato traccia nella cartulazione, ma che sono segnalati da alcune irregolarità relative alla disposizione dei testi, si darà conto nel capitolo successivo (§ II.4.2). 6 Si tenga presente che l’ipotesi che si illustrerà risulta assai più plausibile se si considera Colocci autore della numerazione dei fogli (ipotesi fortemente probabile ma non incontrovertibile, data la difficoltà dell’attribuzione di una grafia sulla base della scrittura di numeri). Nell’esposizione che segue, per maggior semplicità, si darà per assodata questa ipotesi, sospendendo dunque il giudizio sulla questione che non mi pare in ogni caso risolvibile sulla base dei dati offerti da questo ms. Considerare prova della paternità colocciana della numerazione la maggiore plausibilità dell’ipotesi di ricostruzione delle fasi di modifica del centro del IV fascicolo qui esposta sarebbe ovviamente un’argomentazione tautologica; vero è tuttavia che le due ipotesi (numerazione colocciana e fasi di modifica) sembrano rafforzarsi a vicenda.
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INTRODUZIONE
(chiaramente più sbiadita in f. 61) va da sinistra a destra. Queste condizioni obbligano a immaginare che al momento della redazione del testo di f. 59r il verso di questo foglio fosse a diretto contatto con il recto dell’attuale f. 61 e che tra i due non si infrapponessero altri fogli (questo stato di cose sembrerebbe confermato dal fatto che la cifra «1» della numerazione del f. 61 si direbbe corretta su una precedente cifra che si sarebbe portati a leggere appunto come uno «0»). Nelle operazioni di modifica di cui si darà immediatamente conto alcuni fogli, come si diceva, tenderanno a cambiare la loro numerazione passando da una prima e più antica numerazione (in certi casi ipotetica e non registrata dalla grafia) ad una seconda che è quella registrata dall’assetto attuale del ms.; per chiarezza si è scelto di porre la prima numerazione tra parentesi angolari, accompagnata dal numero romano «I» in esponente ()7 e la seconda accompagnata invece dal numero «II» (xII) senz’altro corredo che quello previsto dai criteri riguardanti l’assenza/presenza di fogli e numerazioni già esposti in nota. Si segnala da ultimo che, quando il numero ipotetico di un foglio viene assunto, nelle operazioni di ricomposizione, da un altro foglio, e non si ha notizia di una nuova numerazione assegnata al primo, questo viene indicato semplicemente così: [...]. Per non appensantire l’esposizione con precisazioni ipotetiche si avverte che si darà per sottinteso che le affermazioni che seguiranno vadano ricondotte tutte all’ambito del probabile, nonostante l’impiego dell’indicativo. Le operazioni possono dunque essere sintetizzate in tre fasi. I fase: Si parte da una situazione in cui, verosimilmente, i fogli in questione non sono ancora legati, ma piegati e disposti in fascicolo sul tavolo dell’umanista. Il lavoro di compilazione, in questa prima fase, non ha riguardato ancora che la prima metà del quaderno; Colocci ha dunque numerato solo questa parte, cioè la prima metà di ciascun bifoglio, in modo da poter eventualmente aggiungere altri fogli al centro del fascicolo, nel caso che l’estendersi dei suoi appunti l’avesse richiesto, senza scombinarne la numerazione (senza scombinarla cioè nella seconda metà)8. In prossimità del centro del fascicolo Colocci è giunto in questa 7 Non si distinguerà, per questo primo momento di compilazione, tra numerazione effettivemente scritta e numerazione solo potenziale ma non scritta; per le ragioni che si esporranno, si può immaginare che sia stata scritta solo la numerazione della prima metà del fascicolo (cioè di ciascuno dei suoi bifogli). 8 Il metodo di lavoro che l’umanista impiega nella compilazione del IV fascicolo, dedicato ad appunti sulle vita di poeti, sembrerebbe infatti il seguente. Colocci costruisce i suoi
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fase a destinare f. 57 a Boccaccio, f. 58 ad Antonio da Ferrara, f. 59 ai «Portenta» relativi a Cecco d’Ascoli e il f. (che sarà, come vedremo, f. 61II della numerazione attuale) a Petrarca. La situazione del centro del fascicolo sarà perciò stata pressappoco questa: 57I≡II 58 I≡II 59 I≡II
Si ipotizza dunque che, per ora, i numeri dei ff. che seguono f. 62 non siano ancora stati scritti. Per altro di questi fogli non si può dire nulla in questa fase: essi probabilmente sono ancora bianchi9. quaderni per aggiunta progressiva di bifogli sul recto della cui prima pagina pone a mano a mano un’indicazione dell’argomento a cui almeno il primo foglio sarà destinato (e che spesso perciò rimane bianco nel verso), mentre la seconda metà viene lasciata bianca per eventuali futuri appunti non ancora previsti in questa prima fase di compilazione; per questo le seconde parti del IV e del V fascicolo sono più caotiche e sembrano non rispondere a criteri di compilazione univoci e ordinati, o magari semplicemente ospitare appunti la cui estensione supera di gran lunga (è il caso di re Roberto) quella prevista per gli appunti della prima parte (dove infatti, quando una biografia prende più posto delle altre – è il caso di quella di Cino – alcuni titoli devono essere cassati e spostati). Dunque Colocci prende un foglio (da una partita di fogli già ricavati dalla metà di quelli che impiega in altri zibaldoni), lo piega in due, scrive – ad esempio – «Folco» sul recto della prima metà – forse la numera (in questo caso: 31) –, poi ne prende un altro, vi scrive secondo lo stesso criterio «Arnaldo men famoso» e ve lo inserisce, poi un altro per «Pietro primo» e così via. Il fatto poi che nella seconda parte del fascicolo si trovino più fogli non numerati che nella prima (7 contro 2) sembrerebbe confermare l’ipotesi di una numerazione in due tempi distinti: immediata quella della prima parte, decisamente più tarda quella della seconda. 9 Perché il lettore più agevolmente possa orientarsi nel rapporto che lega la prima fase a quella finale che corrisponde allo stato attuale del ms., anticipo che alcuni di questi fogli
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INTRODUZIONE
II fase: Colocci incomincia ad annotare, di seguito alle osservazioni su «Cicco mathematico» a f. 59r alcuni appunti relativi all’uso di lingue diverse dal latino in poesia («Cesar fu celebrato da Ovidio in lingua scythica...»). L’inchiostro impiegato filtra attraverso la carta e lascia traccia di sé sul recto del foglio sottostante (). L’argomento linguistico evidentemente lo appassiona e l’umanista continua a svolgerlo nel verso di f. 59, trapassando alla trattazione dell’ambiguità e dell’equivocabilità insita nei significanti di ogni lingua. Queste considerazioni gli hanno intanto richiamato alla mente un aneddoto relativo a Castruccio Castracani raccontato da Petrarca nei Rerum memorandarum libri, e l’aneddoto un sonetto. A questo punto Colocci è giunto al termine di f. 59v ma avrebbe ancora da scrivere «circa lo equivoco»; il foglio seguente però è già dedicato a Petrarca, perciò, per non spezzettare il discorso, che ha una sua unitarietà intrinseca che lo distingue dal resto dei testi del fascicolo, decide di proseguirlo sull’altra metà del bifoglio in cui lo ha iniziato – f. – in modo che all’unità dei contenuti corrisponda quella del supporto cartaceo. Così prosegue (in quello che sarà – per anticipare qualcosa – il f. 60) ancora con qualche riga su Castruccio e poi su altri esempi di equivoco presenti nei testi di Elisio Calenzio, in poeti antichi e moderni e approda all’argomento delle facezie, quindi il discorso si frammenta in più o meno brevi annotazioni su questo argomento sia nel recto che nel verso del foglio. In concomitanza con queste operazioni, ritenendo approssimativamente definitivo l’assetto del fascicolo, Colocci ne riprende la numerazione a partire da f. 68, forse per lasciarsi ancora una certa libertà di ricombinazione dei fogli non ancora numerati del centro del fascicolo: possibilità tanto più opportuna, ora che un bifoglio diverso da quello centrale è stato occupato da riflessioni che non possono essere spezzate dall’inserzione di altri fogli. III fase: A questo punto, forse, l’umanista si rende conto che i bifogli che aveva già inserito – e probabilmente numerato nelle loro prime parti: – al centro del ms. già prima della ripresa da f. 68 della cartulazione, sono troppi per le sue necessità d’annotazione in quel momento. Così asporta dal fascicolo il quaternione centrale (ff. ) e, nel tentativo di avvicinare le due parti dei suoi appunti su lingua equivoci e facezie, richiude il bifoglio che le ospita numerando il secondo fosono destinati, come vedremo, a scomparire – i ff. –; altri a ricevere una numeraf. 61 –; altri ancora a ricevere una numerazione reale diversa zione differente – f. f. 60 –; altri infine a rimanere bianda quella potenziale di questa prima fase – f. chi e non numerati – ff. e , che saranno appunto (nn. 65) e (nn. 67) attuali –.
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glio come f. 60II perché possa essere contiguo a f. 59. A questo punto occorre rinumerare il f. che, dovendo seguire 60II viene designato f. 61 (correggendo appunto l’«1» sul precedente «0»). La configurazione del centro del fascicolo è ora caratterizzata perciò dalla presenza di due semplici bifogli affiancati: 59-60II e 61II-, dal cui centro è appena stato estratto il quaternione di cui si è detto. Ecco dunque graficamente la situazione: 57II 58II 59II 60II ≡ 61II ≡
≡ (nn.
65II)
≡ (nn. 67II) 68II
È una configurazione – com’è facile intuire – piuttosto instabile, data la presenza al centro di un fascicolo non legato di due bifogli autonomi affiancati. Occorre perciò, per dare solidità al fascicolo – che probabilmente sta per essere legato – porre uno dei due bifogli al centro dell’altro. Per non spezzare l’unità del testo che con continuità ora si sviluppa tra il verso di f. 59 e il recto di f. 60II, l’unica soluzione possibile è di porre al centro del bifoglio 61II- proprio il bifoglio 59-60II, dal momento che il f. 61II è bianco nel verso e il foglio – non numerato – lo è integralmente. Ne consegue l’irregolarità nella successione dei fogli, attualmente testimoniata dal ms10. 10 Una più semplicistica ipotesi alternativa potrebbe prevedere che i quattro fogli attualmente mancanti costituissero un quaderno autonomo estraneo alla legatura inserito in
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INTRODUZIONE
57 S ; vb 58 S ; vb 61 S ; vb 59 nf [...] [62] [63] [64] 60 F4 (nn. 65) nf; b (nn. 67) nf; b 68 nf; rb
Infine andrà segnalato che il fascicolo è concluso da un foglio non numerato che segue f. 93 e costituisce bifoglio con f. 31. Esso verrà sempre indicato come «f. non numerto che segue f. 93» perché di fatto, a rigore, un’altra designazione non è possibile, dal momento che con «94» è già contrassegnato uno dei primi fogli integri del V fascicolo. Si tratta evidentemente di un’ulteriore prova dell’instabilità che riguarda la seconda parte del presente fascicolo. I.1.5. V fascicolo (ff. I tagliato-30) Le vicende di questo fascicolo devono essere state piuttosto tormentate. La sua prima metà è occupata dai sottili lacerti di dodici fogli tagliati (sono stati indicati con numeri romani), il primo dei quali (f. I) sembra dovesse formare bifoglio con quello che presumibilmente sarà stato il foglio [106] dell’attuale numerazione, e che, come sembra da un esame del taglio di piede del volume, dopo essere stato a sua volta strappato, deve essere stato incollato sotto il risguardo sul piatto inferiore (dove sembrano distinguibili i resti di almeno altri sei fogli tagliati). Gli appunti di questo fascicolo sono probabilmente stati vergati su materiale di recuun punto qualunque tra f. 59 e f. 68, o comunque nella seconda metà del fascicolo, dal momento che la loro perdita non ha prodotto scarti nella numerazione della sua prima metà. L’ipotesi tuttavia non rende conto almeno dei punti a), c) ed e) esposti in precedenza. Verso altro ordine di considerazioni (come, ad esempio, una radicale estraneità del bifoglio centrale al ms. e una sua provenienza da altro zibaldone) inviterebbe invece il fatto che l’eccentrico bifoglio 59-60 sia distinto da una filigrana isolata nel ms. (e, per quello che si è potuto appurare, anche nel complesso degli zibaldoni colocciani affini al presente; cfr. il paragrafo I.2.), anche se nulla vieta di supporre che in origine questa filigrana non fosse così isolata: la rimozione del quaternione centrale non permette tuttavia di confermarlo (non sarebbe illogico pensare all’uso di una nuova partita di carta per gli ultimi fogli aggiunti al fascicolo, appunto quelli centrali).
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pero: vecchie annotazioni che non si ritenevano più utili e che perciò, forse, Colocci stesso provvide ad eliminare al momento della confezione del nuovo libro. Nell’edizione si è tuttavia tentata la trascrizione di quelle esigue porzioni di testo ancora distinguibili negli esili lacerti in prossimità della legatura. I II III [...] IV; vb V; b VI VII VIII IX X; b XI; b XII (nn. ?) nf; b 107 nf 94 nf 95 nf; b (nn. 96) nf; b (nn. 97) nf; b (nn. 98) nf; vb (nn. 99) nf; b (nn. 100) nf; rb 101 nf; rb 102 nf; vb [103] 104 nf; vb (nn. 105) nf; b risguardo (guardia libera) guardia incollata [106?]
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INTRODUZIONE
Risulta poi mancante il foglio 103, la cui altra estremità, verosimilmente tagliata, si sarà dovuta collocare tra gli attuali fogli III e IV11. Di fatto la verifica dell’identità dei bifogli anche qui – come già segnalato per altri punti del ms. – è complicata dalla strettezza della legatura, ma soprattutto dal pessimo stato di conservazione dei fogli (specie, come è intuibile, di quelli tagliati) in prossimità di quella. Il fatto ad esempio che il f. (nn. 105) formi bifoglio con il f. II è verosimile ma sostanzialmente non verificabile con certezza (altrettanto incerto è poi quanto si è detto a proposito del f. I). Il punto più critico di questo fascicolo è tuttavia quello costituito dal f. non numerato che forma bifoglio con il f. 107 e che trovandosi in un punto (il centro del fascicolo) che, con ogni evidenza, non sarà stato quello originario (lo seguono regolarmente 94, 95 e poi un congruo numero di fogli non numerati fino a 101, seguito da 102, 104 e il foglio non numerato indicato come [105]), costituisce un’irregolarità sulla cui origine è necessario tentare di avanzare qualche ipotesi esplicativa. La congettura – cui si è fatto cenno in nota poco sopra – secondo cui il bifoglio (nn.?)-107 sarebbe una semplice aggiunta posta al termine del V fascicolo, non è da scartare, anche se l’aspetto più deteriorato del recto di f. 107 invita ad ipotizzare che questa fosse la facciata esterna di un fascicolo, sia pure, se si vuole, costituito da un solo bifoglio (e in questo caso esso non dovrebbe essere designato come 106-107, ma piuttosto – se lo si considera appunto semplice bifoglio aggiunto al fondo del V fascicolo – come 107-108). Prima di avanzare altre ipotesi, sarà opportuno, anche in questo caso, sintetizzare gli elementi a disposizione: a) Il bifoglio nn.-107 si trova incongruamente al centro del quinto fascicolo che termina con un f. numerato 104 seguito da un foglio bianco non numerato ma indicabile come f. (nn. 105). b) Il f. (nn.?) è bianco sia nel recto che nel verso. c) Il f. 107 riporta nel recto: un verso di mano di copista, alcuni appunti sul metodo da impiegare, forse, per compilare le schede biografiche che seguono e precedono questo foglio e alcune considerazioni linguistiche sull’uso della o o della u toniche in certe parole, con l’allusione all’auctoritas di Petrarca. Nel verso troviamo una lista di autori (forse relativi ad altrettanti libri), due righe che starebbero bene in un’introduzione alla progettata opera biografica che sembra prendere forma negli ultimi due fascicoli del codice, e un’altra notazione linguistica. Queste circostanze (oltre a quelle oggetto del punto d) inviterebbe a ricondurre il bifoglio alla 11 Per evitare ambiguità nella designazione di questi fogli al lacerto mancante non è stato assegnato alcun numero, ma ci si è limitati ad indicarlo con [...].
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tipologia della «camicia protettiva», cioè un bifoglio esterno che costituisce in un certo senso la copertina di quelli che racchiude, analogamente a quanto avviene del bifoglio non numerato in apertura di Vat. lat. 4823: là come qui il foglio protettivo è coperto di appunti disparati12. d) Il recto di f. 107 – a differenza del suo verso e ancor più di f. (nn.?) – ha tutto l’aspetto di una pagina che è stata a lungo esposta alla luce e alla manipolazione: è sporco, molto ingiallito e scuro; fa cioè pensare al foglio più esterno ed esposto di un qualche fascicolo. e) Il bifoglio presenta i segni di una piegatura di verso opposto rispetto all’attuale: il verso di (nn.?) e il recto di 107 appaiono convessi in prossimità della legatura, a differenza degli altri bifogli centrali dei diversi fascicoli di questo ms., e però analogamente a quanto sembra di poter rilevare per gli altri fogli integri del presente fascicolo. Sulla base di queste circostanze sembra di poter avanzare due ipotesi, in qualche misura complementari. I ipotesi: Il bifoglio (nn.?)-107 era il bifoglio più esterno di un fascicolo che seguiva l’attuale V. Il verso di piegatura di questa copertina, però, era opposto all’attuale, tale cioè che f. (nn.?) seguisse f. 107 e tra i due fossero inseriti altri bifogli (forse quelli ai cui lacerti visibili sotto la guardia incollata del piatto posteriore si è fatto cenno)13. In questo modo si spiegherebbero la convessità ed i segni di usura del recto di f. 107. Questo sesto fascicolo, in questa fase, seguiva il V il quale aveva una numerazione che giungeva fino a 106. Diversamente si potrà supporre che il bifoglio (nn.?)-107 – cioè con un verso di piegatura identico all’attuale – fosse il più esterno del V fascicolo e che f. 107 fosse l’ultimo: in questo caso il f. (nn.?) avrà preceduto l’attuale f. I. Questa ipotesi da sola, però, non tiene conto dell’aspetto del recto di f. 107. Del resto le due ipotesi non si elidono necessariamente a vicenda e possono essere considerate, più che due congetture alternative, due fasi successive delle vicende che riguardano questi fascicoli: la seconda potrebbe infatti rispecchiare uno stadio del fascicolo successivo a quello delineato dalla prima. In altre parole il V e il VI fascicolo, in una prima fase completi (col V già mutilo nei suoi dodici fogli strappati, o per lo meno tale prima della cartulazione), si trovano affiancati (si dà 12 Cfr. BOLOGNA, La copia colocciana cit. p. 105, nt. 1. 13 In alternativa si può anche pensare che il bifoglio avvolgesse sia il V sia il IV (esclu-
dendo perciò la presenza di un VI) fascicolo e che, staccatosi o rimosso, fu collocato al fondo del V e numerato di conseguenza; infine legato al centro per evitarne la perdita a cui, come bifoglio isolato e sciolto, sarebbe più facilmente andato incontro.
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qui rappresentazione solo degli estremi esterni ed interni dei fascicoli indicando i fogli tralsciati, genericamente, con triplette di puntini e con linee punteggiate i fogli di cui si ipotizza la presenza in questa fase), [I fase:] I
II ... XII
94
... 105 [106]
107
...
...
nn
e, dopo l’eliminazione o la perdita dei fogli interni al VI (per ragioni difficili da immaginare), il bifoglio 107-(nn.?) si viene a trovare isolato, sicché Colocci lo unisce al V fascicolo invertendone la piegatura; e questo sarebbe appunto l’esito della II fase. Ne risulta la fascicolazione che segue: nn. I II ... XII 94 ... 105 [106] 107
Resta però a questo punto da spiegare perché il bifoglio passi, così com’è, dall’estremità esterna a quella interna del fascicolo. La spiegazione più semplice riguarda alcune valutazioni d’ordine pratico. Se il V fascicolo fosse stato a questo punto legato così com’era, il suo centro – punto già di per sé instabile – sarebbe stato di una debolezza estrema, dal momento che esso non sarebbe stato costituito da un bifoglio intero, ma da un semplice foglio più una sottile strisciolina che non sporgeva molto più in là della legatura. Colocci, o chi per lui, preferì allora sacrificare l’ordinata progressione della cartulazione ad una maggior saldezza del fascicolo, sicché il bifoglio (nn.?)-107, esterno ma integro (l’unico del fascicolo) venne spostato nel centro, dando origine alla sequenza ancora oggi osservabile. II ipotesi: Ipotizzando invece una situazione di partenza coincidente con quella rappresentata nell’ultimo schema fornito (e al limite prescin-
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dendo dal modo in cui vi si pervenne) si potrà introdurre un ulteriore elemento relativo ad una considerazione già dubitativamente avanzata. Tutti i fogli integri del presente fascicolo sembrano mostrare un’insolita convessità in prossimità della legatura. Se questa circostanza può essere considerata segno del fatto che l’intero fascicolo potesse avere, in origine, un opposto verso di piegatura e che perciò i fogli attualmente tagliati, seguissero gli altri, si potrà dare una rappresentazione della situzione di partenza leggermente differente: nn. 94 … 105 [106] I II … XII 107
In una simile situazione, immaginando i fogli non legati e considerando che il bifoglio (nn.?)-107 aveva forse già sopportato entrambe le piegature, non sarà impossibile immaginare il caso in cui esso, per confusione o deliberata scelta, viene nuovamente piegato nel verso opposto, pur mantenendo la sua posizione di bifoglio esterno (nel qual il suo recto attuale – che coincide con il recto dello stesso foglio in questa situazione di partenza – diventa verso): 107 94 … 105 [106] I II … XII nn.
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INTRODUZIONE
È solo a questo punto che il ms. viene legato e, visto che la presenza di sottili lacerti nella seconda metà del fascicolo, quella più vicina al piatto e cioè la più esterna, avrebbe forse minato la resistenza della legatura (posti all’interno essi sarebbero rimasti compressi dal contatto con il dorso del fascicolo quarto), il legatore capovolse il verso della piegatura dell’intero quinto fascicolo, sicché la fascicolazione risultante fu esattamente quella che possiamo osservare ancora oggi (ed il recto di f. 107 torna ad esserlo dopo essere stato verso). Ad ogni modo, è evidente che il bifoglio (nn.?)-107 occupa oggi una posizione incongrua; per questa ragione nella trascrizione si è preferito ripristinare una posizione corrispondente a quella registrata dalla cartulazione, la quale testimonia di una fase per lo meno temporaneamente stabile dello stato codicologico del ms.
I.2. Filigrane Le filigrane presenti nel Vat. lat. 4831 sono di sei tipi diversi. La loro identificazione tra quelle catalogate dai repertori più noti14 presenta cospicui margini di incertezza per le ragioni che sono intrinsecamente proprie di questo genere di operazioni: mancanza di studi complessivi, limitata affidabilità dei repertori per le modalità di rilevamento, ampiezza della forchetta di stima delle datazioni15. Le ipotesi di identificazione che seguono sono dunque proposte provvisoriamente ed espresse con riserva, specialmente quando la datazione che ad esse si collega contrasta con altri elementi più probanti desumibili dai testi del codice. Più utili potranno invece risultare i prospetti che danno conto della presenza di ciascuna filigrana almeno in una circoscritta serie di altri zibaldoni colocciani e negli epistolari, sui quali è stata possibile una parziale verifica. Questi riscontri possono infatti fornire almeno qualche pur non diri14 G. PICCARD, Die Wasserzeichenkartei Piccard im Hauptstaatarchiv Suttgart, Findbuch, 17 voll., Stuttgart 1961-1997; C. M. BRIQUET, Les filigranes. Dictionnaire historique des marques du papier dès leur apparition vers 1282 jusqu’en 1600, edited by A. STEVENSON, 4 voll., Amsterdam 1968; Monumenta Chartae Papyraceae historiam illustrantia, general editor E. J. LABARRE, III: Zonghi’s Watermarks, Hilversum 1953; nelle righe seguenti si farà riferimento a questi repertori semplicemente con i nomi di PICCARD, BRIQUET e ZONGHI, accompagnati dai necessari rimandi. 15 Sulla questione non sarà necessario dilungarsi; basti il rimando, per una sintesi dei limiti intrinseci o contingenti (ma anche delle potenzialità e delle novità) di questo ordine di studi, a M. MANIACI, Archeologia del manoscritto. Metodi, problemi, bibliografia recente, con contributi di C. FEDERICI e E. ORNATO, Roma 2005, spec. pp. 44-58.
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I . IL DATO MATERIALE
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mente indicazione su una cronologia relativa e interna ad alcuni dei diversi luoghi in cui Colocci venne appuntando i risultati delle sue variegate indagini, o, nei casi più fortunati, un intervallo di anni per i quali diventa verosimile l’ipotesi di collocazione cronologica dei fascicoli esaminati. Ecco dunque di seguito sigle e descrizioni delle filigrane accompagnate dall’indicazione dei fogli in cui sono visibili (per un prospetto sintetico si veda la sezione relativa alla fascicolazione, § I.1.); accanto a ciascuna di esse si suggeriscono i rimandi a forme confrontabili, reperite nei già citati repertori: – RI: filigrana a sigla (appunto «RI»), inidentificata; I fascicolo: f. 6 (prossima alla legatura). – St: stadera entro un circolo; II fascicolo; ff. 8, 9. Confrontabile con PICCARD, vol. V: Waage, nr. IX, 11 (Laibach [Ljubljana], 1510), ma anche simile a IX, 13-15 (Ravenna 1494-1499) e vagamente ravvicinabile anche a quella registrata da ZONGHI, nr. 1670, che la data circa al 1498 (e per altre consimili propone datazioni comunque relative agli ultimi anni del ’400). – Qsc: quadrupede sormontato da uno scudo entro un circolo; III fascicolo: ff. 16, 27. Confrontabile con ZONGHI, nrr. 1754-1760 (tav. 125), ma tutte con datazioni troppo tarde (1575-1583) salvo nr. 1760 (che è però genericamente indicata come del XVI secolo). – Cl: cinque mezze lune («croissant») disposte all’interno di una croce greca inscritta in un cerchio; III fascicolo: ff. 22, 28. Confrontabile con BRIQUET, vol. III, nr. 5379 o nr. 5377 (la prima è del 1541, la seconda evidentemente troppo tarda: 1568). – S: Sirena a due code entro un circolo; IV fascicolo: ff. 31-34, 36, 4042, [44], 47, 48, 52-54, 57, 58, 61. Confrontabile con BRIQUET, vol. IV, nr. 13888 (del 1523), ma non troppo dissimile da nr. 13884 (del 1501). – F4: Fiore con corolla a quattro petali, inscritta in un cerchio, con gambo a “s”, due fogli piccole e pistillo a croce: IV fascicolo: f. 60. Filigrane simili, ma non direttamente confrontabili sono in PICCARD, vol. XII: Blatt, Blume, Baum, nr. III, 1543-1546 (datate tutte nei primi trent’anni del ’500). Le filigrane, come la fascicolazione, sono elementi extratestuali che contribuiscono all’individuazione delle unità che compongono questo
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INTRODUZIONE
ms. È infatti immediato notare come ciascuno dei fascicoli sia caratterizzato da uno o al massimo due particolari tipi di filigrana che lo contraddistinguono e che non ritornano più nel resto del ms.16. Questo stato di cose può essere inteso come un’ulteriore conferma dell’ipotesi di una compilazione del cod. scaglionata nel tempo: la redazione delle diverse parti non sarà stata simultanea e nemmeno unitaria e il ms. sarà risultato dalla finale aggregazione di materiali preparati in tempi differenti. Il reperimento delle filigrane di un fascicolo in altri zibaldoni colocciani deporrà invece in favore della riconducibilità – naturalmente ipotetica – di entrambi i manufatti ad un medesimo periodo di lavoro. Ecco dunque un prospetto che rende conto della presenza di queste filigrane in altri tre zibaldoni colocciani, scelti in base all’affinità con Vat. lat. 4831: come questo, sono infatti compositi e contengono liste di vocaboli, tavole alfabetiche, osservazioni linguistiche (e in alcuni casi molto altro). Si tratta dei codici Vatt. latt. 3903, 4817, 4818, dei quali ho studiato la composizione codicologica17. Per ciascun riscontro si dà l’indicazione compelssiva dell’estensione (non sempre acclarabile con certezza, sicché queste indicazioni andranno considerate con beneficio di verifica) del fascicolo18, seguita dal numero dei fogli nei quali la filigrana è presente. Nei codici consultati, tuttavia non si sono ritrovate che tre delle sei filigrane del nostro ms.: Qsc, Cl19, S.
16 Si tenga presente tuttavia che delle filigrane del V fascicolo nulla si può dire: nelle sue pagine superstiti non ve n’è traccia, dal momento che forse esse si trovavano nella metà dei bifogli che occupavano la prima parte del fascicolo e che sono stati asportati. 17 Lo stesso lavoro è stato condotto anche sull’affine Vat. lat. 3217, nel quale tuttavia non sono state rintracciate filigrane simili a quelle di Vat. lat. 4831 (mentre altre ve ne sono che ricorrono negli altri tre codici oggetto di studio). 18 Per comodità si sottintende l’indicazione «ff.» per la designazione dell’estensione dei fascicoli, mentre la si impiega per quella dei singoli fogli al loro interno. 19 C. BOLOGNA, Colocci e l’Arte (di «misurare» e «pesare» le parole, le cose), in L’umana
compagnia. Studi in onore di Gennaro Savarese, a cura di R. ALHAIQUE PETTINELLI, Roma 1999, pp. 369-307, p. 395, nt. 109, segnala inoltre la presenza della filigrana Qsc ai ff. 277279 del codice d’argomento metrologico Vat. lat. 3904, e della filigrana Cl anche a f. 95 dell’affine codice Vat. lat. 3906.
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I . IL DATO MATERIALE
Qsc (III fasc.) Vat. lat. Fasc. 1-46: ff. 3-7, 17-22, 3903 24, 31-33, 39, 45-46. Fasc. 107-118: f. 118. Fasc. 221-228: f. 221. Fasc. 295-300: f. 300. Fasc. 309-312: ff. 311-312. Fasc. 319-324: f. 321. Fasc. 383-388: ff. 386-387.
Cl (III fasc.)
S (IV fasc.)
Fasc. 267-274: ff. 267, 269, 271, 273. Fasc. 275-280: 275-276, 278. Fasc. 281-288: f. 281-282, 285-286. Fasc. 295-300: f. 300. Fasc. 289-294: ff. 289-291. Fasc. 295-300: 296, 29820. Fasc. 333-338: f. 337. Fasc. 369-376: ff. 374-376.
Fasc. 1-46: f. 13. Fasc. 97-106: f. 105. Fasc. 131-142: ff. 133-134, 138, 141-142. Fasc. 143-158: 144-149, 151. Fasc. 167-188: 168-170, 173, 175-177, 181, 183184. F. 189 (foglio singolo) Fasc. 196-209: ff. 197-200. Fasc. 221-228: ff. 224, 226. Fasc. 301-308: f. 301. Fasc. 313-318: f. 313. Fasc. 333-338: f. 335. Fasc. 41-74: f. 58 (con 57, centro di fasc.). Fasc. 77-78 (bifoglio isolato): f. 78. Ff. 109, 111 (fogli singoli?21). Fasc. 112-117: f. 115 (con f. 114, centro di fasc.). Fasc. 122-141: ff. 122, 124125, 130, 134-137, 140. Fasc. 143-174: ff. 143-144, 146-148, 151-152, 157158, 164, 167-168, 172. F. 215 (foglio singolo). Fasc. 217-219 (con bifoglio mutilo nel centro): f. 217. Fasc. 221-274: ff. 221, 230, 246, 253, 357, 259, 267, 269, 272. Fasc. 281-292 (?)22: f. 284.
Vat. lat. Fasc. 1-38: ff. 2-4, 33-34, (non presente) 4817 38. Fasc. 207-214: ff. 207-209, 211.
Vat. lat. (non presente) 4818
33
(non presente)
Fasc. 117-126: ff. 117-119, 121, 12323.
20 Come si nota immediatamente dal prospetto, anche in Vat. lat. 3903 i due tipi di carta contraddistinti dalle filigrane Qsc e Cl sono simultaneamente impiegati all’interno dello stesso fascicolo (295-300), come avviene appunto per il III fascicolo di Vat. lat. 4831. 21 La stretta legatura del codice non permette in alcuni casi di determinare con certezza l’ascrizione di alcuni fogli ad uno piuttosto che ad un altro fascicolo (ciò avviene, come è facile intuire, specialmente per quelli più esterni all’ipotetico fascicolo). 22 Incerti per le ragioni già addotte i confini di questo fascicolo. 23 Si noti che questo fascicolo contiene il rimario sdrucciolo a cui si avrà ancora modo
di far riferimento (cfr. § II.1.2. e Tabella I).
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INTRODUZIONE
Un’analoga operazione di confronto è stata condotta anche sui quattro principali codici che raccolgono le lettere dei corrispondenti di Colocci: Vatt. latt. 4103, 4104, 4105 e Reg. lat. 2023. Tra di esse è dato rintracciare anche missive dell’umanista medesimo. In alcuni casi, infatti, i corrispondenti scrivevano la loro risposta sullo stesso biglietto ricevuto e lo reinviavano al mittente; caso diverso è quello che riguarda per esempio l’epistolario di Scipione Carteromaco – ereditato in alcune sue parti da Colocci – all’interno del quale è perciò possibile trovare lettere inviate dallo stesso esinate; infine, in questi codici si trovano, legate con le altre, le brutte copie di lettere che Colocci aveva in animo di scrivere. La presenza delle filigrane ricercate è stata tuttavia rintracciata solo nei codici Vatt. latt. 4104 e 4105. Ecco perciò i risultati di questa ricognizione24: – filigrana Qsc: f. 57, f. 60 di Vat. lat. 4104; f. 129, f. 174 di Vat. lat. 4105. – filigrana Cl: f. 58r di Vat. lat. 4104; f. 113, f. 177 di Vat. lat. 4105. – filigrana S: f. 41, f. 72, f. 75 di Vat. lat. 4104; f. 98, f. 101 di Vat. lat. 4105. Codice e FiligraData foglio na Vat. lat. S 15 maggio 4104, ff. 1511 41-42
Vat. lat. Qsc 4104, f. 57
(biglietto senza data)
Mittente
Destinatario
Angelo Colocci Scipione Car(Roma) teromaco («Venetijs aut Bonomie In domo R.mi Cardinalis Papiensis»25) Angelo Colocci (destinatario imprecisato [«V. S. R.ma»]: forse Marcello Cervini)
Osservazioni
Il breve biglietto riporta anche la risposta del destinatario. La grafia di quest’ultimo è assai simile a quella del biglietto che lo precede (f. 56) con il quale condivide in parte anche l’argomento (uno scambio di libri). Il biglietto
24 I testi di biglietti e lettere qui indicati si possono leggere al fondo del volume nell’APPENDICE VII.
25 Il «cardinalis papiensis» è Francesco Alidosi, cardinale di Pavia dal 1505, ucciso da
Francesco Maria della Rovere nel 1511 (è ricordato in Vat. lat. 4831, a f. 101v, rr. 5-6, a cui si rimanda per ulteriori riferimenti).
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I . IL DATO MATERIALE
Vat. lat. Cl 4104, f. 58
(senza data Angelo Colocci «Mattheo ma dopo il greco» 1534)
Vat. lat. 4104, ff. 59-60.
Qsc
(senza data Angelo Colocci «Messer Endimio» ma dopo il 1537)
Vat. lat. 4104, ff. 72-73.
S
17 agosto Giovan Batti- Angelo Colocci 1523 sta Casali (Ascoli Piceno) (Roma)
Vat. lat. 4104, ff. 74-75.
S
3 agosto Giovan Batti- Angelo Colocci 1523 sta Casali (Ascoli Piceno) (Roma)
Vat. lat. 4105, f. 98
S
24 gennaio Angelo Colocci Clemente VII 1533 (Roma)
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di f. 56 è indirizzato «Al R.mo Croce»: la designazione potrebbe riguardare il Cardinale di Santa Croce, cioè, appunto Marcello Cervini, nominato cardinale con tale titolo da Paolo III nel 1539 (dunque terminus post quem del biglietto, se si accetta l’ipotesi). Altro biglietto che costituisce la ricevuta – scritta da Colocci – di alcuni libri (avuti da parte del Card. Ridolfi per mano di «Messer Mathia») d’argomento affine a quelli citati nel biglietto precedente (trattati metrologici greci). Vi si parla della «buona memoria del signor Lascheri», nella cui data di morte (1534) andrà dunque posto un terminus post quem. La lettera si può leggere in APPENDICE II. In essa si parla di Antonio Tebaldeo come di persona che non c’è più, per cui il biglietto avrà un terminus post quem nel 1537 (sua data di morte). (Lettera edita in UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., Appendice V, pp. 118119). (Lettera edita in UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., Appendice V, pp. 117-118). Brutta copia di lettera di supplica.
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INTRODUZIONE
Vat. lat. 4105, f. 101 Vat. lat. 4105, f. 113 Vat. lat. 4105, ff. 128-129
S
24 gennaio Angelo Colocci Cardinale Nic- Brutta copia di lettera (Roma) colò Ridolfi di supplica26. 1533
Cl
6 novembre Giovan Fran1535 cesco Alois (Napoli) 15 maggio «M. Cardinalis Grima1538 nus»27 (Foligno) 1534 Varino Favorino (Nocera Umbra)
Qsc
Vat. lat. 4105, ff. 174-175.
Qsc
Vat. lat. 4105, ff. 176-177.
Cl
8 maggio 1549
Angelo Colocci La lettera si può leg(Roma) gere in APPENDICE IV. Angelo Colocci (Nocera Umbra) Angelo Colocci (Lettera edita in L. (Roma) BERRA, Come il Colocci conseguì il Vescovato di Nocera, in Giornale Storico della Letteratura Italiana 89 [1927], pp. 304-316, p. 312). Questa è la «memoria del Colotio quando s’era per morire», probabilmente dettata al Santa Croce che la trascrive; la mano di Colocci vi appone – in due tentativi – una firma con lettere sfigurate.
Ciò che appare immediatamente evidente è che le due filigrane Cl e Qsc circoscrivono un intorno di anni non particolarmente esteso che va dal 1534 al 1540 (se non si considera il bifoglio contenente la «memoria» in punto di morte). La filigrana a sirena, invece, si direbbe riguardare 26 Sulle circostanze della redazione di questa e della precedente lettera di supplica e
sull’identificazione del destinatario si vedano in particolare i §§ 3-5 di M. BERNARDI, C. BOLOGNA, C. PULSONI, Per la biblioteca e la biografia di Angelo Colocci: il ms. Vat. lat. 4787 della Biblioteca Apostolica Vaticana, in Studii de Romanistica− (volum dedicat profesorului Lorenzo Renzi), a cura di D. MARGA, V. MOLDOVAN, D. FEURDEAN, Cluj-Napoca 2008, pp. 200-220. 27 È Marino Grimani – nipote del più noto cardinale Domenico – umanista veneziano e generoso mecenate, fattto vescovo di Ceneda da Giulio II nel 1508, patriarca di Aquileia da Leone X e Cardinale del titolo di San Vitale da Clemente VII nel 1528. Nel 1539 ha da Paolo III il governo della diocesi di Città di Castello e poco più tardi la legazione dell’Umbria (poi anche quella presso il re di Francia, e quelle di Parma e Piacenza). Nel 1543 ottiene il vescovato suburbicario di Porto e muore ad Orvieto nel 1546 (cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione ecclesiastica da S. Pietro ai nostri giorni, vol. 33 [1845], Venezia 1840-1861, pp. 36-37).
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I . IL DATO MATERIALE
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documenti di un periodo immediatamente anteriore a quello appannaggio delle due precedenti, con date che vanno dal 1511 al 1533. Dal momento che S si trova nel IV fascicolo e Qsc e Cl nel III, sembrerebbe di poter legittimamente supporre, sulla base dei dati esposti, una seriorità del III fascicolo. Rimando tuttavia al capitolo III dedicato alla Datazione del codice per altre considreazioni desumibili da questi elementi. Varrà ora la pena di soffermarsi ancora sulle tre filigrane di cui non si sono trovati altri esempi tra i codici affini al Vat. lat. 4831 (né negli epistolari). Esse ci riportano a tre loci del ms. che presentano problemi o singolarità rispetto al resto del materiale in esso confluito. La filigrana RI caratterizza il I fascicolo, composto di fogli di una carta più sottile e più deteriorata e occupato da una grafia più regolare (quantunque non più leggibile): elementi che potrebbero essere interpretati come indici di una maggiore antichità del fascicolo. Esso, oltretutto, contiene due testi poetici: gli unici di un ms. per il resto dedicato ad appunti più o meno provvisori o tavole, insomma a notazioni, per così dire, “funzionali”. La filigrana St distingue quegli appunti sul De amore di Andrea Cappellano che costituiscono davvero un unicum nel Cinquecento italiano28. Il fatto che Colocci in questo caso si serva di una carta a cui non è solito far ricorso abitualmente potrebbe invitare a supporre che la consultazione dell’opera sia avvenuta fuori dai circuiti di scambio librario a lui consueti. La filigrana F4, infine, individua il bifoglio che occupa il centro esatto del IV fascicolo. Se si considerano gli aspetti materiali di un fascicolo legato all’interno di un ms. cartaceo, è immediato intuire quanto il suo centro sia un punto delicato e instabile, dato che, non compresso dagli altri bifogli, è assai più di questi esposto all’eventualità di una caduta (più saldo, se il fascicolo è legato con altri fascicoli all’interno di un codice, sarà l’altro bifoglio estremo, quello che ne costituirebbe la copertina), e conseguentemente di una sostituzione, magari mediante l’impiego di materiale avventizio e irrelato con il resto dell’unità cartacea. Nel IV fascicolo di Vat. lat. 4831, il centro è il bifoglio 59-60, appunto distinto dalla filigrana F4: esso è collocato in mezzo ad appunti sulle vite di poeti e intellettuali e ospita, invece quelle che sono state designate come Annotationi sul vulgare ydioma, cioè, forse, l’abbozzo dell’inizio di un trattatello d’argomento linguistico29. 28 Sulla questione mi permetto di rimandare a M. BERNARDI, La (s)fortuna del De amore
nel primo Cinquecento italiano e un inedito documento colocciano, in L’immagine riflessa 15/2 (2006), pp. 1-36. 29 Queste sono la tesi e la designazione adottate da CANNATA, Il primo trattato cinque-
centesco cit. Qui, tuttavia, sulla base di altri riscontri, si tenterà di suggerire una diversa ipotesi interpretativa riguardo la natura di questi fogli d’appunti (cfr. § II.4.3.).
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INTRODUZIONE
Segnalo, da ultimo, che sul recto del foglio 12 (bianco) è legato con un tratto di spago un foglietto di dimensioni inferiori a quelle della pagina, interamente coperto di scrittura nel recto, e nel verso solo fino a metà (il suo contenuto, come si vedrà, è connesso con quello del II fascicolo). Questo brandello cartaceo reca i segni di una minuziosa piegatura (in 9: come fosse stato ridotto a dimensioni che ne permettessero l’inserimento in una tasca) ed in esso non pare distinguibile alcuna filigrana.
I.3. Aspetti grafici: mani diverse, e segni diacritici I.3.1. La mano di Colocci e gli espedienti tachigrafici ad essa consueti Alle difficoltà di lettura che presenta la corsiva umanistica impiegata da Colocci si è già fatto cenno. Esse dipendono principalmente dalla rapidità del tratto che procede con un ductus nervoso, con una forte tendenza alla legatura delle lettere, sempre però risolta in articolazioni spigolose e anguste; non molto inclinato verso destra (come è proprio, invece, di molte scritture coeve, come quella del Tebaldeo o delle altre mani che compaiono nel codice), poco uniforme, ma molto asciutto e sostanzialmente privo di svolazzi e abbellimenti30. Tra le lettere più caratterizzanti va indicata la a minuscola corsiva, costituita da un occhiello inclinato verso destra e tracciato partendo dall’alto con movimento antiorario, con l’ultimo tratto che scende obliquamente con opposta inclinazione. Il più delle volte, però, la corsività della scrittura agisce sull’occhiello in due modi differenti: o chiudendolo tanto da farlo parere un unico tratto obliquo ascendente verso destra, sicché la lettera si risolve in un piccolo segno a cuspide; o aprendolo e facendo perciò assomigliare la lettera ad una n o ad una u. Facile è anche confondere la a con la e, date le numerose forme che questa lettera può assumere, tutte però generate da una morfologia somigliante a quella della e onciale in tre tratti: il primo, breve, verticale dall’alto verso il basso, concluso da una rapida curva verso destra; il secondo che ha il suo inizio in alto al medesimo punto d’attacco del primo e si presenta ricurvo verso il basso e il terzo di andamento orizzontale che chiude la curva del secondo tratto e tendenzialmente si prolunga oltre ad esso. La rapidità d’esecuzione, però, nella scrittura di Colocci ha come risultato un unico segno grafico a zig-zag d’andamento tendenzialmente verticale (il che consente in alcuni casi di distinguerlo dalla a) che 30 Per le esemplificazioni della grafia che qui si descrive si rimanda alle riproduzioni fotografiche presenti al fondo del volume.
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I . IL DATO MATERIALE
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lega a destra e a sinistra. Un tratto scende, la penna non si stacca dal foglio e risale oltre l’appicco del primo creando un’ansa (che può presentarsi nei più diversi gradi di apertura: molto stretta – e allora la lettera si potrà confondere, per esempio, con la r – o molto larga – e allora assomiglierà ad una u o un n), poi ridiscende approssimativamente fino all’altezza d’appicco del primo tratto con una curva molto acuta e, sempre senza stacco della penna dal foglio, si distende orizzontalmente. Tipiche sono anche le o tracciate in senso antiorario che spesso non concludono la curva rimanendo aperte. Tra le consonanti si segnala la s che è per lo più alta (∫) vergata normalmente in due tratti ma in un tempo: il primo è un tratto verticale discendente, il secondo risale e prosegue con una curva in alto verso destra che va a legare specialmente con la t, la p, la l (in questo caso generando spesso curve piuttosto alte sopra il rigo), ma anche con tutte le vocali, benché più raramente con la i, per la quale la presenza ‘ideale’ del puntino (che di norma non è mai tracciato in questo contesto) impone solitamente un’interruzione del tratto. In prossimità di lettere basse può assumere la forma della nostra s a serpentina e in associazione con un’altra s può capitare che la prima sia alta e la seconda del secondo tipo, generando un segno simile a ß. La s alta, poi, si distingue dalla f – realizzata secondo le stesse modalità della s – perché il tratto superiore curvo della f normalmente si chiude ad occhiello sull’asta, per generare il taglio orizzontale per mezzo del quale di norma la lettera lega. La c è in due tratti (e di norma in due tempi), il primo verticale dall’alto in basso terminato da un piccolo uncino rivolto verso destra e il secondo orizzontale che parte dal punto d’appicco del primo e lega sempre in alto con le lettere seguenti. La lettera può facilmente confondersi con la t che si distingue per il solo fatto che il suo tratto orizzontale attacca più in basso rispetto al punto d’appicco del primo. Un’altra differenza sta nella dinamica della realizzazione della lettera t che, di solito, avviene in un tempo solo e in due tratti: la penna scende verticalmente e risale con un tratto che termina con una piega orizzontale verso destra, ma che nel risalire può inclinarsi a destra del primo tratto (e allora potrà ricordare un r o una v, o un n se seguito da r) o a sinistra, ma avvolgendosi strettamente al primo tratto, creando l’impressione di un unico fusto; in questo secondo caso, in una lettura veloce, può confondersi con e, dalla quale, tuttavia la distingue il fatto che il secondo tratto non risale mai oltre il primo. Caratterizzante è però la tendenza della lettera a legare in alto con le precedenti tramite il tratto verticale (come accade nella congiunzione et). La b è tracciata in un unico tratto che scende diritto e verticale e si chiude (ma non sempre) ad occhiello in basso con movimento antiora-
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INTRODUZIONE
rio. La d si può presentare tracciata in due tempi o in un tempo solo (ma sempre in due tratti): prima l’occhiello – che talora non chiude –, tracciato dall’alto in basso con movimento sinistrogiro, quindi l’asta verticale che, quando non c’è soluzione del tratto può apparire raddoppiata. La g ha un’ansa sempre chiusa che scende sotto il rigo, protesa verso destra, e un occhiello che talora si presenta aperto (secondo le medesime modalità proprie della o). La h – come talora la l –, specie se in principio di parola può essere caratterizzata da un piccolo uncino rivolto verso sinistra all’attacco dell’asta, mentre la pancia è spesso aperta, soprattutto se lega con le lettere seguenti. La x è piuttosto caratteristica: grande, tracciata in due tempi e con stacco del calamo, un poco abbassata sotto il rigo; lega di norma a sinistra con il primo tratto che va da sinistra in alto a destra in basso. Quanto ai segni tachigrafici, il più caratterizzante è quello – che si potrà indicare come «a 9» – per che, costituito da una c che – insolitamente – si lega in basso ad un’h che inizia con un’asta raddoppiata (ma tanto strettamente da apparire come un tratto unico) che scende sotto il rigo descrivendo un ampio occhiello (d’andamento destrogiro) che circoscrive la c e si chiude intersecando l’asta verticale dell’h (del tutto analogo, ma meno impiegato, è il segno per de con il quale è facile la confusione). In alcuni casi l’asta dell’h può accennare una curva a destra in corrispondenza della pancia della lettera. Altri segni tipici sono quello per videlicet – una V maiuscola seguita da una sorta di 3 che scende sotto il rigo –, cetera – una c che lega tramite il tratto orizzontale con un segno per t che ricorda la nota tironiana 7 e che scende sotto il rigo –, signore – una s bassa puntata31. Frequente è l’uso dei tituli orizzontali per le nasali32 che, indipendentemente dalla vocale a cui si riferiscono, spesso si legano all’ultima lettera della parola in questione, generando, a partire da questa, un tratto di ritorno verso sinistra. Nella stessa maniera possono essere tracciati i segni di compendio, i più frequenti dei quali riguardano parole come l(itte)ra, e(ss)er hu(om)o, q(uan)to, q(ua)n(do), car(dina)lis, gl(ori)a, eccl(es)ia (e derivati), p(at)ria (e analogamente p(at)re, m(at)re), t(em)po). 31 Andranno anche aggiunte le abbreviazioni d’origine giuridica bal. (= Baldus), C (= Codex), ff (= Digestum) e simili, tutte però probabilmente dipendenti dalla fonte consultata (la citata Succinta historia di Giovanni Battista Caccialupi). 32 Circoscritto al solo I fascicolo si trova – con la stessa foggia di quello della nasale – il titulus per la vibrante, specialmente in parole come mo(r)te (per esempio, f. 3r, r. 19 e f. 4r, r. 33) e composti (unico altro caso eccezionale, la parola acco(r)tosi, nel II fascicolo a f. 9r, r. 10). Quanto ai tratti di compendio per nasale, si può fare menzione anche della rara m verticale che ricorda una sorta di 3 abbassato sotto il rigo (per esempio nella grafia della parola coitu(m) a f. 9r, r. 10).
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I . IL DATO MATERIALE
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Assai esteso e sostanzialmente sistematico il ricorso ai tagli e ai tratti di compendio relativi alla q (taglio dell’asta per qui-; tratto sovrapposto all’occhiello per que-, talvolta sostituito da una q seguita da una sorta di 3 che scende sotto il rigo; tratto serpeggiante che si avvolge all’asta per quo-) e alla p (tratto sovrapposto all’occhiello per pre-; taglio dell’asta per per- e più raramente par- che, per via della tendenza di Colocci a non staccare la penna dal foglio, finisce per risultare assai simile alla grafia abbreviata per pro-, assai meno frequente e caratterizzata a sua volta da un tratto serpeggiante avvolto all’asta)33. Di seguito si fornisce qualche rapido cenno relativo alle caratteristiche più evidenti delle grafie delle altre mani presenti nei fogli di Vat. lat. 4831, specialmente in relazione agli elementi che permettono di distinguerle da quella colocciana. Sono state indicate rispettivamente come mano a, mano b e mano c
I.3.2. La mano a: il III fascicolo (ff. 13-30) La prima mano diversa da quella di Colocci che compare nel codice è quella che verga la tavola alfabetica del III fascicolo. Si tratta ancora di una corsiva umanistica, ma incomparabilmente più regolare e leggibile di quella dell’esinate e di questa leggermente più inclinata verso destra e con una più spiccata tendenza a separare le lettere. Gli altri principali elementi distintivi sono una certa maggior cura che si nota nell’esecuzione delle maiuscole (ben distinte dalle minuscole, laddove Colocci tende invece a riproporre quest’ultime sovramodulate), nelle piccole basi orizzontali che sono talvolta associate ai tratti verticali e la tendenza a concludere i tratti tracciati dall’alto verso il basso con picole curve ad uncino all’estremità inferiore, rivolte verso sinistra (così la p, la s alta, la f). Tra le lettere di foggia più caratteristica andrà in primo luogo segnalata la e che, specialmente quando si trova in fine di parola, è costituita da un primo breve tratto verticale che all’altezza del rigo curva verso destra e un secondo tratto che, partendo poco sotto l’attacco del primo sale 33 Altri grafismi abbreviativi presenti ma meno frequenti sono il tipico segno che ri-
corda un 9 basso sulla riga che vale con (e derivati) e la s alta tagliata da destra in alto a sinistra in basso da un tratto obliquo che vale ser. Per altre abbreviature, pure presenti, si rimanda semplicemente al testo dell’edizione in cui, tramite l’uso delle parentesi tonde, si dà conto delle parole che non sono scritte per esteso, ponendovi all’interno le lettere che sono tachigraficamente sottintese (per lo scioglimento della maggior parte delle abbreviature ci si è serviti di A. CAPPELLI, Lexicon Abbreviaturarum. Dizionario di abbreviature latine ed italiane, Milano 19996, al quale capiterà ancora di fare riferimento nelle pagine dell’edizione).
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INTRODUZIONE
verso l’alto con un accenno di curva tracciata in senso sinistrogiro, conclusa da un ispessimento dell’inchiostro che fa parere questo tratto una sorta di apostrofo. Tipica è anche la grafia della d che, più spesso che in forma analoga a quella impiegata da Colocci, si presenta in una foggia che ricorda la d di modello onciale, simile ad un 6 retroverso (∂). La s semplice compare nelle due forme, bassa di solito in principio di parola e alta all’interno, solitamente in legamento. La doppia s è sistematicamente rappresentata con il legamento ß. La f è vergata in due tratti, il primo discendente e concluso da una piccola curva verso sinistra in basso per l’asta, più un breve taglio orizzontale; nei punti di maggior corsività la lettera è tracciata con un movimento unico, come avveniva per la mano di Colocci ma, a differenza di questa, l’unione dei tratti avviene in basso: in altre parole la penna traccia il tratto verticale, scende sotto il rigo volgendosi a sinistra e prosegue chiudendosi ad occhiello, tagliando la schiena della lettera e proseguendo al di là di essa per legarsi ad eventuali lettere successive (anche in caso di grafia in due tratti, il legamento avviene sempre tramite il taglio). Un altro tratto distintivo relativo al legamento tra lettere riguarda la c che lega ‘modernamente’ con il tratto inferiore, essendo tracciata in un tratto e in un tempo soli. I tituli e gli elementi di compendio sono invece sostanzialmente analoghi a quelli impiegati da Colocci nelle parti autografe del codice. Ad ogni buon conto, l’elemento che maggiormente contribuisce a distinguere le abitudini grafiche della mano a da quella di Colocci è il fatto che a impiega apostrofi ed accenti, pur secondo criteri differenti rispetto a quelli oggi consueti. L’apostrofo può essere considerato una novità grafica di questi anni: la prima attestazione riguarda – insieme a quella del punto e virgola – l’edizione aldina del 1501 de Le cose vulgari del Petrarca curata da Bembo. Nei fogli del III fascicolo esso è impiegato sia per i casi previsti dall’uso moderno, sia per segnalare genericamente la caduta di una vocale, anche in caso di semplice troncamento34. L’uso dell’accento35 presenta invece caratteristiche piuttosto notevoli. Esso si posa sulle terze persone dell’indicativo presente di essere (cfr. f. 17v, r. 15; f. 19v, r. 11; f. 21r, rr. 3, 6, 7) e sulla preposizione a – derivante da AD latino – che precede consonante (cfr. f. 14r, rr. 5, 12, 16, 19, 23, 34), in questo caso a segnalare probabilmente la pronuncia intensa 34 Alcuni esempi si trovano alle rr. 4, 16, 17, 25, 31 e 32 di f. 21r, ad ogni modo nelle pa-
gine dell’edizione gli apostrofi e gli accenti propri dell’originale sono stati evidenziati tramite il neretto e la sottolineatura, come si spiegherà meglio più avanti. Esempi di troncamento presentano gli incipit «se la man’ de n(atur)a» (f. 34v, r. 7) e «Hogi è un’anno» (f. 19v, r. 11). 35 Si vedano ad esempio f. 14r, rr. 18 e 38 e f. 21r, rr. 3 e 6.
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I . IL DATO MATERIALE
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della consonante in ragione del raddoppiamento fonosintattico dovuto all’assimilazione progressiva della dentale preposizionale etimologica alla consonante seguente. Analogo discorso riguarderà anche l’accento posto su due e (f. 18r, rr. 7 e 11) che sono indubitabilmente congiunzioni, ma che, derivando da ET latino, producono intensificazione della consonante seguente nella pronuncia. Si ritrova poi l’accento ancora su già (cfr. f. 19r, rr. 6, 16, 19)36, forse su più (f. 15r, r. 3; f. 24v, r. 32) e sicuramente sulle Ò interiettive (f. 22v, rr. 1-4, 8-9, 14-15), forse segno della maggiore intensità dell’emissione di fiato in corrispondenza dell’esclamazione (il medesimo principio pneumodinamico, cioè, che sta alla base del raddoppiamento fonosintattico)37.
I.3.3. La mano b: i fogli tagliati del V fascicolo (ff. I-VIII) L’esiguità del testo superstite nei fogli tagliati che inaugurano il V fascicolo non consente un’analisi approfondita della scrittura di questa mano, permette però, a mio avviso, di enuclearne alcuni tratti salienti – o per lo meno distintivi rispetto alle due mani precedenti – che invitano perciò a designarla come mano b. Rispetto alla mano di Colocci, essa risulta infatti assai più regolare, notevolmente più inclinata verso destra (anche rispetto alla mano a), molto appuntita e spigolosa, caratterizzata da tratti energici ed evidenti (l’inchiostro è diverso dagli altri impiegati nel ms.: più scuro, ferroso e denso e tuttavia tale da permettere una scrittura scorrevole). La distinguono dalla mano colocciana, ad esempio, le g caratterizzate da un’ansa sotto il rigo che, prima di rivolgersi a sinistra, mostra una sorta di hanchement a destra che le distingue anche dalla foggia delle g di a. Anche le d hanno un aspetto che non ha il corrispettivo in nessuna delle mani precedentemente descritte: non si trova traccia di quelle di modello onciale, e la lettera si compone di un occhiello a sinistra e di un tratto verticale che sale e ridiscende in una sorta di nodo allungato, strozzato in prossimità dell’attacco superiore dell’occhiello (un grafismo che fa vagamente pensare ad un’A maiuscola). Per quel poco che è dato scorgere negli esigui resti, sembrerebbe di poter rilevare una maggiore cura calligrafica, per esempio a f. IIr, dove le maiuscole 36 Di distinzione non del tutto certa è la presenza dell’accento su i a f. 19r, r. 5 che
inviterebbe a intendere la parola Gìa come imperfetto della terza o della prima persona singolare di andare. 37 Questo uso suggerirebbe di intendere come interiezioni anche alcune delle à di cui si
è data notizia, senza tuttavia che l’accento divenga elemento distintivo di queste nei confronti delle preposizioni o viceversa.
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INTRODUZIONE
sembrano adornarsi di qualche svolazzo ben chiaroscurato. Inoltre anche in questo caso la c lega dal basso e il compendio per che ha una forma differente (ch legati tramite il tratto inferiore di c con l’asta di h tagliata da un tratto orizzontale). Rispetto ad a, oltre agli elementi già rilevati, si potrà segnalare una forma più appuntita e verticale delle e, in questo più simili a quelle colocciane, che tuttavia, a differenza di queste sembrano non aprirsi mai. Altro fatto caratteristico è che, nonostante una contenuta tendenza calligrafica, non c’è traccia dell’ornamento costituito, nella pagine vergate dalla mano a, dalle leggere curve verso sinistra che adornano la parte inferiore delle lettere ad andamento verticale di cui si è detto, né sembra siano impiegati accenti od apostrofi. Comuni invece anche al resto del codice (ma d’uso tradizionale), i tituli per nasale e i vari tagli della q e della p.
I.3.4. La mano c: le prime due righe di f. 107r (V fascicolo) La mano c è autrice delle prime due righe di scrittura che si leggono a f. 107r e che trascrivono, rispettivamente, un verso di Tebaldeo ed uno di Petrarca. Questa circostanza ha suggerito un confronto con la mano del poeta ferrarese, che tuttavia, a mio parere, sembra dare esito negativo38. La mano c mostra infatti un’inclinazione verso destra molto più pronunciata, inoltre le aste delle lettere a sviluppo verticale sono risolte in alto da acuminati uncini rivolti a sinistra, laddove quella di Tebaldeo, di ductus più morbido, presenta analoghe curve ma rivolte in opposta direzione. Non c’è traccia delle e tebaldeane concluse da un tratto orizzontale che curva verso l’alto e chiuso da bottone, analoghe a quelle di mano a39. Notevolissime somiglianze presenta invece la mano c con la mano b, 38 La questione è tuttavia complicata dai diversi aspetti che può assumere la grafia del Tebaldeo a seconda dei contesti d’uso. 39 Una descrizione della grafia di Tebaldeo si può leggere in N. CANNATA SALAMONE, Per l’edizione del Tebaldeo. Il progetto Colocci-Bembo, in Studi e problemi di critica testuale 47 (1993), pp. 49-76 e alcune riproduzioni di suoi autografi in A. TEBALDEO, Rime, edizione critica a cura di T. BASILE e J.-J. MARCHAND, 3 voll. (5 tomi), Modena 1989-1992, I: Introduzione, a cura di T. BASILE e J.-J. MARCHAND, Modena 1989, Tavv. III-VIII. La somiglianza tra la grafia di a e quella del Tebaldeo sono notevoli (ma si tratta comunque di corsive umanistiche dai tratti tutt’altro che connotati o originali). Tuttavia le implicazioni che un’identità di mano comporterebbe sono di tale portata (il III fascicolo conserverebbe memoria di una ultimativa volontà autoriale di riordinamento della propria opera di cui finora non si era trovata traccia) che la questione non può essere risolta leggermente. Si preferisce
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II . TESTO E CONTENUTI
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tali da far pensare ad un’identità. Gli elementi disponibili per un confronto sono tuttavia piuttosto esigui, sicché si è preferito discorrerne in due distinti paragrafi. Risulta tuttavia sostanzialmente identica la grafia della d (in «provide(n)tia», r. 2), della e e della t, l’abbreviazione per ch(e), e soprattutto la foggia della Q maiuscola (cfr. Qual f. IIr, r. 14) e in generale l’andamento appuntito, angusto e spigoloso del ductus. ii. testo e contenu ti
II. TESTO E CONTENUTI
II.1. Il I fascicolo: Endecasillabi tra Petrarca e Serafino Il primo fascicolo (ff. 1r-6v) contiene due testi poetici in terzine di endecasillabi incatenati (ABABCBCDC...), ma che presentano notevoli differenze quanto a prosodia, lessico e temi.
II.1.1. Voria poter com’io giurai lassarte Il testo contenuto nel recto e nel verso del primo foglio è un capitolo d’argomento amoroso; il metro è quello della Commedia e dei Trionfi, ed infatti Dante e Petrarca rivelano in questi fogli la loro presenza modellizzante. Le rime del testo, pur non particolarmente difficili o connotate, sono presenti nella Commedia, in alcuni casi con serie rimiche complete strettamente confrontabili40, ma è soprattutto Petrarca con i Rerum vulgarium fragmenta (di qui in poi semplicemente Rvf) ad emergere con insistenza – cosa per altro non sorprendente in questo intorno di anni, tanto che si voglia collocare il fascicolo nell’ultimo decennio del Quattro o nei primi del Cinquecento41 – nei temi, nei toni e nelle immagini del testo e, come si vedrà, anche nel lessico e nel sistema rimico.
dunque qui farvi solo rapido cenno in attesa di poter svolgere più probanti confronti e ricerche. 40 È il caso per es. – anche se tutte con ordine differente in Dante – della serie rimica
rinasce : fasce : pasce (f. 1r, rr. 14, 16, 18), presente in Inferno XXIV, 107, 109, 111; luna : fortuna : alcuna (f. 1r, rr. 15, 17, 19), in Paradiso XVI, 80, 82, 84; anni : affanni : inganni (f. 1r, rr. 29, 31, 33), in Paradiso XVII, 80, 82, 84; santo : pianto : tanto (f. 1r, r. 35, f. 1v, rr. 1, 3), in Paradiso IX, 5, 7, 9; sono tute – come si dirà –anche serie petrarchesche. 41 In proposito si veda il capitolo relativo alla Datazione (§ III.1.).
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INTRODUZIONE
Fin dall’incipit – «Voria poter com’io giurai lassarte»42 –, viene introdotto il tema di un amore tormentoso da cui la volontà sembra non bastare a liberarsi, quasi un destino la cui necessità è rappresentata attraverso immagini topiche come quella della «saecta» che, una volta scoccata, «no(n) può ritrarsi», o della ruota che, con vaga eco dantesca (cfr. «sì come rota ch’igualmente è mossa», Paradiso XXXIII, 144) «un tracto dal furor è mossa». L’autore cerca la solitudine «fra boschi ove non vanno homini o dei»43 per sottrarre alla propria vista l’immagine dell’amata ed è assillato da «mille e mille pinsier [...] / e quando manca l’un l’altro rinasce»44. La memoria dei «p(er)duti anni» gli dà il coraggio di fuggire da questo amore ma, affatto prevedibilmente, «stando così sol si move un pianto»45 e la fuga si risolve perciò in un ritorno sui propri passi dal momento che è meglio star «prigion» presso il proprio «bel sol [...] / ch’en libertà senz’esso»46: così l’uomo si ritrova «i(n)fra catene et lacci», ricondotto da amore «ai ferri ai ceppi»47. Dal testo si possono tuttavia cogliere echi petrarcheschi anche più puntuali. Ecco, dunque – exempli gratia e senza alcuna pretesa di completezza – qualche coincidenza evidente nelle serie di parole-rima: la sequenza rinasce : fasce : pasce (f. 1r, rr. 14, 16, 18) si ritrova con disposizione cambiata nella IV stanza di I’ vo pensando, et nel penser m’assale (Rvf 264) e, sempre con ordine differente, si ritrova nella V stanza di Lasso me, ch’i non so in qual parte pieghi (Rvf 70) la sequenza intorno : giorno : ritorno (f. 1v, rr. 14, 16, 18); anni : affanni : inganni (f. 1r, rr. 29, 42 Curiosamente questo incipit non è registrato, a differenza di quello del testo che inizia a f. 2r, in F. CARBONI, Incipitario della Lirica Italiana dei secoli XV-XX, I-III: Biblioteca Apostolica Vaticana. Fondo Vaticano Latino, Città del Vaticano 1982-1988 (Studi e Testi, 297-299). 43 I confronti con i Rfv che si propongono nelle note seguenti sono semplici esemplificazioni (numerose altre e magari talora anche ulteriormente pertinenti se ne potrebbero trovare) atte ad evocare paralleli tematici per il clima che i versi colocciani tratteggiano. Qui cfr., ad esempio, Rvf 176, 1-4: «Per mezz’i boschi inhospiti et selvaggi, / onde vanno a gran rischio uomini et arme, / vo securo, io, ché non pò spaventarme / altri che ’l sol ch’à d’amor vivo i raggi». 44 Cfr. Rvf 129, 14-17:«Per alti monti et per selve aspre trovo / qualche riposo: ogni
habitato loco / è nemico mortal degli occhi miei. / A ciascun passo nasce un penser novo». 45 Cfr. Rvf 216, 1-3: «Tutto ’l dì piango; et poi la notte, quando / prendon riposo i miseri mortali, / trovomi in pianto», ma, com’è noto, nel Canzoniere non mancano certo le situazioni in cui il poeta si abbandona al pianto. 46 Cfr. per il concetto Rvf 270, 95-96: «e ’n libertà non godo / ma piango et grido» o Rvf 214, 12: «v’eran di lacciuo’ forme sì nove, / et tal piacere precipitava el corso, / che perder libertate ivi era in pregio» (e vd. di seguito). 47 Cfr. Rvf 89, 10-11: «Onde più volte sospirando indietro / dissi: Oimè, il giogo et le catene e i ceppi / eran più dolci che l’andare sciolto».
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II . TESTO E CONTENUTI
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31, 33) compare invece con il medesimo ordine nelle quartine del sonetto Quand’io mi volgo indietro a mirar gli anni (Rvf 298; la serie è completata dalla parola-rima danni); santo : pianto : tanto (f. 1r, r. 35, f. 1v, rr. 1, 3) si ritrova identica ma in ordine esattamente rovesciato ancora nella quartine di un sonetto, Passato è ’l tempo omai, lasso, che tanto (Rvf 313; completa la serie, manto). Sono poi anche riscontrabili alcune precise corrispondenze sintagmatiche. L’espressione «bellezza mortal» (f. r, r. 24) sembra riconducibile a Rvf 366, 85 («Mortal bellezza») e a Rvf 268, (43)-44 («quanto più vale / sempiterna bellezza che mortale»). La clausola petrarchesca «né lacrime sì belle» (Rvf 158, 13) sembra risuonare – anche prosodicamente – in «et lacrime più belle» (f. 1r, r. 23) e un’altra clausola d’endecasillabo – «d’arco scossa» – sembra richiamare un’espressione in analoga posizione in Rvf 87,1 («Si tosto come aven che l’arco scocchi»). I (di)sdegni e le ire (f. 1r, r. 28) si trovano accoppiati nel medesimo ordine anche in Rvf 270, 34 («acquetare li sdegni et l’ire»), Rvf 360, 106 («questi li sdegni et l’ire») e al singolare ma con esatta corrispondenza lessicale in Rvf 44, 14 («disdegno et ira»). Anche il «contrario vento» (f. 1r, r. 6) sembra eco con numero cambiato di Rvf 132, 10 («fra sì contrari venti»), mentre un’altra topica coppia petrarchesca, quella che contrappone ghiaccio e fuoco (cfr. per es. Rvf 150, 5-6: «[...] ella ne face / di state un ghiaccio, un foco quando iverna» e Rvf 220, 14: «[...] mi cuocono il cor in ghiaccio e ’n foco»), si ritrova nell’espressione «vo’ più tosto in fame in foco en iacc[i] / star» (f. 1v, rr. 5-6). Nelle due esclamazioni «Quanti disegni mei son morti i(n) fasce / Quanti ne van col cor sovre alla luna» (f. 1r, rr. 16 e 17) sembrano riecheggiati, rispettivamente un verso dei Trionfi (Triumphus Temporis, 136: «Quanti son già felici morti in fasce») e, meno da vicino, quello di un sonetto (Rvf 329, 8: «quante speranze se ne porta il vento!»). Analogamente, la stessa espressione «rodendo intorno», Petrarca impiega paretimologicamente per parlare del corso del Rodano (Rvf 208, 2) e Colocci, più prosaicamente, per costruire un paragone con il «verme che il legno p(ro)duce» (f. 1v, rr. 13-14).
II.1.2. Da poi che semo in queste verde pratora Il secondo testo del fascicolo – assai più esteso del precedente (occupa interamente i ff. 2r-5v) – è un’egloga dialogata in terzine di endecasillabi sdruccioli e presenta una grafia tanto corsiva da risultare in alcuni punti quasi indecifrabile. Di conseguenza le congetture e le osserva-
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INTRODUZIONE
zioni che la riguardano andranno in gran parte considerate con il beneficio del dubbio. Si tratta dunque della redazione incompiuta di un testo che tuttavia mostra la successione di almeno due fasi compositive. La prima fase prevedeva la presenza di due interlocutori denominati Urano (o Uranio) e Thyrsi. La sostituzione del nome del secondo con il nome «Corydo» è l’elemento più vistoso che caratterizza la seconda fase e che consente di fissare a r. 32 di f. 4v l’estensione massima possibile della prima: da questo punto in poi, infatti, il nome Corydo non compare più in corrispondenza di cassature o come correzione48. Le righe che seguono r. 32 di f. 4v sono dunque tutte da ascrivere a questa seconda fase di composizione che tuttavia dovette comportare anche una campagna correttoria estesa sui versi che precedono il limite indicato. Oltre alla sostituzione del nome di cui si è detto (e alle necessarie modifiche che l’inserzione di un trisillabo al posto di un bisillabo richiedeva per regolarizzare la prosodia), a questa fase di revisione può essere ricondotta con certezza – dato che nelle modifiche è coinvolto il nome Corydo (cfr. f. 2v, r. 14, I fascia d’apparato) – la riscrittura nell’interlinea superiore dei tre versi delle righe 14-16 di f. 2v. Verosimilmente anche altre correzioni estese – che cioè riguardano versi interi e non singole parole al loro interno – presenti nella prima parte dell’egloga (come quella di f. 3r, r. 27 e delle righe immediatamente seguenti) possono essere ricondotte alla revisione di seconda fase, ma mancano elementi che consentano di affermarlo con certezza dal momento che anche l’esame degli inchiostri e della grafia non sembra aiutare in questo senso. Oltre a questo, ciascuna fase compositiva è caratterizzata dalla presenza di alcune varianti incipienti di varia estensione, correzioni cioè sostanzialmente contemporanee al primo momento di composizione, ripensamenti che provvedono a modificare porzioni di testo appena redatto. Un caso di una certa estensione può essere ad esempio quello che interessa le r. 5 e 7 di f. 3r. Allo stato attuale, la prima delle due righe è conclusa dalla parola-rima porpora e la seconda risulta interamente cas48 In tre casi il nome Corydo (o grafie analoghe) viene sostituito attraverso cassatura del precedente e riscrittura nell’interlinea superiore (ff. 2r, r. 24; 2v, r. 4; 4v, r. 24), in altri due casi invece è sovrascritto al precedente modificandone i tratti sulla riga (ff. 2v, r. 1; 3r, r. 30). Il primo caso in cui compare la correzione rivela invece l’incertezza che dovette accompagnare la decisione di sostituire il nome, dal momento che esso è scritto nell’interlinea sopra al precedente senza che questo venga però cassato (f. 2r, r. 15). Oltre che il testo la correzione interessò anche le sigle che Colocci in molti casi appose come didascalie (talora accompagnandole con tratti verticali che indicavano l’estensione delle battutte dei due interlocutori) nei margini destro e sinistro del testo; tracce della correzione si notano dunque a f. 2r, rr. 19-20; f. 2v, r. 5 e r. 20; f. 3v, rr. 4-5 e 13.
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sata ma se ne distingue la rima in -ubito, mentre la r. 8 prosegue con rima in -orpora. È interessante notare che la parola-rima di r. 5 sostituisce una precedente parola con rima in -ubito, come quella di r. 7. Ora andrà rilevato anche che la rima in -ubito era già presente alle rr. 12, 15, 17 di f. 2r: Colocci, volendo forse evitare il ricorso ad una rima già impiegata a così breve distanza (nel prosieguo della composizione abbandonerà questo scrupolo) la sostituisce a r. 5 di f. 3r, ma non trovando un modo soddisfacente di intervenire solo sulla clausola del verso di r. 7, lo cassa interamente e lo sostituisce con uno (r. 8) completamente differente. Che si tratti di varianti incipienti e non di operazioni da ricondurre alla seconda fase è dimostrato dal fatto che il verso che sostituisce quello di r. 7 non è scritto nello spazio interlineare che si estende sopra la riga, ma nella riga che la segue49, segno evidente del fatto che essa era ancora libera, e che dunque la composizione, al momento della sostituzione di r. 7 non si estendeva al di là di questa. La seconda parte del testo (da r. 33 di f. 4v in poi), interamente redatta nella seconda fase, mostra elementi di incompiutezza. Quello più evidente riguarda gli aspetti rimico-prosodici: in due punti infatti – f. 5r, rr. 12-18 e il finale, f. 5v, rr. 40-44 – la sequenza delle rime perde ogni regolarità, spariscono le sdrucciole in clausola e in alcuni casi i versi risultano ipometri, quasi che l’autore fosse passato ad annotare in provvisorî appunti vagamente endecasillabici gli argomenti che avrebbe poi potuto riprendere in versi rifiniti. In questi punti, però, l’ostacolo più cospicuo ad una corretta analisi e interpretazione è costituito dalla grafia che si fa se possibile ancor più corrente, rapida e compendiaria che nel resto del testo. Segno in ogni caso, direi, dell’estemporaneità della composizione di queste ultime pagine. Un’ultima considerazione riguarda la tecnica con cui Colocci – almeno in alcuni casi – sembra costruire i suoi componimenti. Certi punti del testo invitano a supporre che egli partisse da un’ossatura rimica almeno parzialmente predeterminata (salvo modifiche che anche nel presente testo sono numerose)50. Una prova l’abbiamo per es. a f. 4v, r. 22 dove un verso rimasto incompiuto per la presenza al suo interno di una cassatura non più sostituita, reca la parola-rima che l’autore inten49 Il caso, unico nella prima parte, si ripresenta analogo nella seconda a f. 4v, r. 39 ma, come si dirà tra poco, la seconda parte dell’egloga non fu probabilmente sottoposta ad un’ulteriore fase di revisione, sicché non c’è dubbio in questo caso che si tratti di variante incipiente. 50 Ad analoghe considerazioni perviene anche R. ANTONELLI, Tempo testuale e tempo ri-
mico. Costruzione del testo e critica nella poesia rimata, in Critica del testo 1/1 (1998) [Il testo e il tempo], pp. 171-201.
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deva utilizzare in clausola, isolata al fondo del verso e scritta nell’interlinea («al ventre al so(n)no >ce volse far i(n)tendereleges< humanita»: f. 51v, rr. 30-31). Petrarca non è tuttavia presente solo in questa marginale allusione, ma anzi Colocci ne cita versi (Rvf 222, 9: f. 51v, rr. 4-5; Rvf 92, 1: f. 52v, r. 42), e allude ad una poco probabile corrispondenza con Cino (ma c’è anche un generico ri154 Cfr. V. FANELLI, Un umanista umbro: Angelo Tifernate, in ID., Ricerche su Angelo
Colocci cit., pp. 135-143, p. 136; G. D’AMELIO, Caccialupi, Giovanni Battista, in DBI, 15, Roma 1972, pp. 790-797.
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chiamo a una lettera a Giovanni d’Andrea, forse, Fam. V, 8, seguita dalla precisazione che però «non ho il | libro apresso di me»: f. 53r, rr. 5-10), di cui afferma essere pervenuta ai suoi tempi alcuna lettera d’elegante stile (f. 53v, rr. 2-4). Da segnalare un ultimo rimando ancora a Rvf 70, 40: Colocci non cita solo l’incipit della canzone ciniana «da pretarca [sic] anteposta | alle altre canzone del suo seculo la | dolce vista e ’l bel guardo suave», ma anche i suoi versi finali («amor p(er) e(ss)er micidial | pietoso da(m)mi di morte gioia | sicché lo spirto mio torni ad pistoia»: f. 51v, rr. 17-23). Verosimilmente Colocci aveva avuto modo di leggere per intero la canzone, in quella raccolta che nei suoi appunti appare indicata ora come Cino in 4° con selvaggio (Vat. lat. 4823, ff. 473-474), quindi semplicemente Cino (Vat. lat. 4817, f. 196), fino alla forma definitiva di Cino et moderni (Vat. lat. 4817, ff. 210-211 e 214), in seguito alle operazioni di smembramento e ricomposizione di un codice, dimostrate da Corrado Bologna: di fatto la canzone compare in Vat. lat. 4823, nei fogli agggiunti da Colocci ad integrare il canone veicolato dal Canzoniere Vaticano155. A proposito di «Franceschino», (f. 54r, rr. 1-6), l’umanista fa una tripla confusione: egli non riconosce in questo personaggio Franceschino degli Albizzi e, proponendosi con una nota in margine di verificare se per caso non si trattasse di Francesco da Barberino («vide si fu barbarino»), con un’allusione al proemio delle Seniles, mostra forse di identificarlo, almeno in un primo tempo, con Francesco Nelli, il Simonide dedicatario di questa raccolta epistolare. Riguardo poi a Sennuccio (f. 54v) cita naturalmente il sonetto Rvf 112 e allude genericamente a «quell’altro e quell’altro»: probabilmente Rvf 108 e 113. Gli appunti relativi a Cecco d’Ascoli (ff. 55r-56v) sono editi da Vittorio Fanelli il quale, tuttavia, riteneva di dover escludere che Colocci avesse mai letto l’Acerba dal momento che non ne trovava alcuna citazione esplicita nei suoi appunti156. Scorrendo con attenzione le pagine del ms. è invece dato rintracciare addirittura cinque allusioni al testo. Le prime due riguardano i «sonecti | che si mandavano» Cecco e Dante (f. 56r, rr. 6-8): rispettivamente «quello de nobilitate» e «q(ue)llo di fortuna», che Colocci afferma aver visto. Si tratta in realtà di due capitoli del II libro dell’Acerba157. La terza è un’allusione un po’ più indiretta, relativa alla 155 Sulla questione si veda BOLOGNA, Sull’utilità di alcuni descripti cit., pp. 567-577 (e
sulla specialissima natura di copia del Canzoniere Vaticano rappresentata dal Vat. lat. 4823 e il concetto di canone, cfr. BOLOGNA, La copia colocciana cit., pp. 140-143). 156 FANELLI, Angelo Colocci e Cecco d’Ascoli cit., p. 186 157 Cfr. CECCO D’ASCOLI, L’Acerba cit., libro II, cap. XII (De nobilitate et a quo celo proce-
dit reprobando falsas opiniones), vv. 31-48 [1439-1456] e libro II, cap. I, vv. 1-68 [vv. 714776].
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possibilità di rompere il diamante con il piombo (f. 56v, r. 15), mentre le ultime due sono citazioni esplicite di versi del poema: «oymé la dolce | fé di q(ue)lla mano» (f. 56v, r. 15) e «ve ha co(n)ducto | racanati et esi»158. Le altre notizie relative all’ascolano contengono alcuni richiami petrarcheschi159 e la menzione di tre aneddoti per i quali è dato rintracciare rapide allusioni anche nel Vat. lat. 3450. Due di essi («lo furto de quelle broche d’olio» e «lo mulo nepote del cavallo», rispettivamente f. 56v, 3133 e 34-38), però, mostrano di dipendere piuttosto evidentemente da una fonte direi davvero insospettata: la Disciplina Clericalis dello spagnolo Pietro Alfonsi (o Pedro Alfonso), di famiglia ebraica, vissuto a cavallo tra l’XI e il XII secolo e convertito al cristianesimo nel 1116160. Se di questo effettivamente si tratta, l’umanista vi allude con l’espressione «l’arabico» (f. 56v, r. 32), che non mi pare incongrua per designare quest’opera, data l’ambientazione orientale della maggior parte dei racconti e il suono esotico dei nomi di molti dei personaggi in essa citati. L’impressione che questa raccolta di apologhi fosse conosciuta da Colocci, poi, è confermata da altri aneddoti che egli in queste pagine richiama e che hanno precisi riscontri nell’operetta. Quello più evidente riguarda un rapido appunto relativo a Giraldo, di f. 38r: «come p(er)venne ad un suo desiderato | fine co(n) la canicula et senapa»161. La parola canicula aveva messo in difficoltà Santorre Debenedetti, tra i primi trascrittori di questi appunti, che infatti lesse cavienta accostando però un eloquente punto interrogativo alla parola. Il reperimento nell’opera dell’Alfonsi della storia di un giovane innamorato che ottiene l’aiuto di una «anus religionis habitu decorata» per conquistare l’amata attraverso uno stratagemma riguardante una cagnetta a cui sono fatti ingerire semi si senape, ha confermato la lettura proposta, tanto più che anche in un rapido appunto di Vat. lat. 3450 si trova un’allusione a questa storia: «De vetula et cani|cula / et sinapi» (f. 76r, III col.). Altri due paralleli con la Disciplina clericalis è possibile ravvisare in un aneddoto riferito a Burchiello (f. 87v, rr. 5-8),
158 Si tratta rispettivamente del v. 105 (3783) del cap. IV del IV libro e del v. 22 [1756] del libro II, cap. XVI, dell’Acerba. 159 L’espressione «bavarico inganno» (f. 55r, r. 9: cfr. Rvf 128, 66), e un’allusione all’epi-
stolario («vide petrarca nell’ep(isto)le famil(iari) 36 de ma|tematicis»: f. 55v, rr. 41-42) da identificare con Fam. III, 8. 160 Cfr. Disciplina clericalis, auctore PETRO ALPHONSO, in PL 157, Lutetiae Parisiorum
1854, coll. 671-706, rispettivamente coll. 688-689 e 677-678. 161 Cfr. Disciplina Clericalis cit., Fabula XI, coll. 684-685. Si rimanda a f. 38r dell’edizione per gli altri particolari della storia e per l’allusione debenedettiana.
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che senza questo referenete risulterebbe assai oscuro, e in un altro riguardante Alberto Orlando (f. 92v, rr. 2-4)162. La scheda di Boccaccio (f. 57r) è sostanziata semplicemente dall’allusione ad una facezia a cui si riferisce anche l’annotazione presente nel verso del quarto foglietto incollato a f. 16r di Vat. lat. 3450 e per la quale non è a sua volta impossibile rintracciare un parallelo ancora con uno degli apologhi dell’Alfonsi. Antonio da Ferrara (f. 58r), invece, sarà stato forse allegato perché destinatario di Seniles III, 7 e di diverse rime estravaganti oltreché di Rvf 120. Se queste fossero le ragioni, bisognerebbe supporre che Colocci conoscesse questi testi (una delle estravaganti si trova in Vat. lat. 3196), magari accompagnati da qualche commento. Tra gli altri appare probabile che egli disponesse di quello di Bernardo Lapini di Monte Ilicino, Gli sonetti, canzone e Triumphi del Petrarca (princeps: Bologna, Azzoguidi, 1475)163 e di quello di Francesco Filelfo, espressamente citato nella scheda a lui dedicata (f. 89r, rr. 2-4). Di fatto il nome non è seguito da alcuna notizia, mentre quello di Petrarca (f. 61r) è associato semplicemente ad una facezia e – forse – ad un’allusione alla precoce canizie del poeta164.
II.4.1.3. La scheda robertiana e gli appunti della II parte del fascicolo Venendo alla lunga scheda relativa a Roberto d’Angiò, «re et ph(ilosoph)o et poeta» (f. 68v, r. 2, interl.), che trovandosi nella seconda metà del fascicolo sembra tuttavia costituire uno spartiacque (insieme al Trattatello dei ff. 59-60, su cui si tornerà) tra le due parti, si potrà ipotizzare che Colocci sia stato indotto alla sua inserzione dalla grande ammirazione nutrita da Petrarca per questo contemporaneo di cui, nell’Africa165, ma specialmente nelle Familiares, e nei Rerum Memorandarum libri, tracciò un grandioso ritratto. La collocazione di questa figura di re colto e mecenate di scrittori e artisti tra le schede dei poeti – semplificando un po’ – dell’età comunale e quelle degli intellettuali dell’epoca delle signorie e delle corti, non sembra casuale, quasi che Colocci stesse sug162 Si rimanda ai loci indicati dell’edizione per più precisi riscontri. 163 Al Lapini è dedicato il f. 93v, rr. 1-9, mentre un’allusione esplicita al suo commento
(con relativa confutazione) è fatta a f. 46r, rr. 14-16. 164 Colocci scrive «se mutò nelli 40 anni» e il verbo mi sembra conservare memoria dei vv. 158-159 ancora del testo-fonte TC IV: «... ove le penne usate / mutai per tempo e la mia prima labbia». 165 Il riferimento più esplicito a quest’opera si trova a f. 76v, r. 15: «rex ph(ilosoph)orum lo invoca nell’Africa», dove la parte che segue l’epiteto, stranamente, è vergata in rosso.
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gerendo una prospettiva storiografica. Re Roberto, contemporaneo di Dante, Petrarca e Boccaccio, pur appartenendo ad una generazione tramontata, con la sua cultura ed il suo mecenatismo è però un novatore e costituisce perciò l’antesignano dei moderni principi umanisti e protettori di umanisti le cui figure segneranno indelebilmente la produzione artistica dei secoli successivi. Spartiacque, si diceva dunque, e diaframma che permette il passaggio dall’antico al moderno attraverso il segno di continuità rappresentato dall’amore per le litterae. Una valutazione così esaltante della figura del sovrano va naturalmente imputata al particolare filtro ottico costituito dagli scritti petrarcheschi, ed infatti i fogli che seguono sono occupati, per lo più, da traduzioni e appunti, al solito modo colocciano, tratti dalle pagine delle opere indicate poco sopra. Ma se Petrarca è fonte precipua per estensione e importanza delle notizie che Colocci fornisce, essa non è però l’unica. A f. 69v, r. 20, ad esempio, si trova un esplicito rimando al commento dantesco di Benvenuto da Imola, e a f. 72r è chiamato in causa il De vita Christi et omnium pontificum di Bartolomeo Platina (princeps: Venezia, Giovanni di Colonia e Giovanni Manthen di Gheretzem, 1479; «Vide el Platino nella vita de Ponti|fici de Clemente»: f. 72r, rr. 2-3), seguito da un elenco di fonti piuttosto compendioso: «et vide la historia de Antonino et | Biondo [...] Sabellico et Leonardo aretino» (rr. 6-8). I rimandi riguardano rispettivamente il Chronicon seu opus historiarum di Antonio Pierozzi (princeps, Norimberga, Anton Koberger, 1484), forse le Historiarum ab inclinatione Romanorum decades di Flavio Biondo (compiuta entro il 1453; la prima edizione a me nota è Venezia, Ottavianus Scotus Modaetiensis, 1483), le Historiarum rapsodiae enneadum de orbe condito ad annum salutis 1504, di Marc’Antonio Coccio, detto Sabellico (edito in due tempi a Venezia presso Bernardino e Matteo Veneti, nel 1498 e nel 1504) e infine i già citati Historiarium Florentini Populi libri XII di Leonardo Bruni (princeps: Venezia, Jacobus Rubeus, 1475). Un esame degli esemplari vaticani editi durante la vita di Colocci di queste opere ha dato alcuni risultati interessanti, quantunque incerti. Per quanto riguarda l’opera di Sant’Antonino, ad esempio, l’esemplare dell’incunabolo stampato a Basilea nel 1491 «per Nicolaum Kepler civem basiliensem» (segnato BAV, Inc. II. 249-251), presenta postille di mano umanistica non molto differente da quella colocciana consueta (quantunque più curata) a segnare passi che avrebbero potuto interessare Colocci, riguardando Dante e Cavalcanti, Petrarca e Castruccio (tutti citati nel nostro ms.). L’esemplare BAV, Inc. II. 146 delle Decades (Venezia, Ottavius Scotus, 1483) reca numerosi appunti marginali di diverse mani (o
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della stessa in periodi e con inchiostri diversi?) alcuni dei quali fanno riferimento proprio a re Roberto166. Sempre a f. 72r trovo invece due rimandi ad un non meglio identificato Damaso (rr. 9 e 15) che farebbero pensare ad una compilazione cronachistica, visto che nel primo caso il nome è accompagnato dall’indicazione precisa di una data («1309 vide damaso di maggio ad|dì septe»). Nel verso dello stesso foglio, poi, è volgarizzato un ampio stralcio dei Commentarii Urbani di Raffaele Maffei, che segue un più sintetico appunto tratto dal Supplementum Chronicarum del Foresti, opere, entrambe già citate. Ai fogli 73r e 74r, infine, è richiamato ancora Boccaccio per le notizie sui dotti frequentatori della corte di re Roberto e sull’ingegno e gli studi del sovrano, con alcuni passi dei capitoli XIV e XV dei Genealogiae. Come accennato, tuttavia, la vita di re Roberto si apre sotto il segno di Petrarca, con l’edificante narrazione del trapasso del sovrano (ff. 68v69v): il testo dei Rer. mem. è seguito senza soluzione di continuità dal paragrafo 5 al paragrafo 16 del capitolo 96 del terzo libro, anche se, come si vedrà meglio in seguito, questo ampio stralcio occupa una posizione incongrua. Seguono alcune notizie incomplete su data di morte, luogo di sepoltura e epitaffio del sovrano, le cui lacune non furono poi riempite (f. 69v, rr. 17-19). Nello stesso foglio un altro appunto («et nota che nelle epistole famil. 33 ad tho|ma: de Messina ch’el chiama consultore...»: rr. 32-33) fa riferimento a Fam. III, 7 riproponendo l’equivoco intorno ai destinatari delle epistole petrarchesche di cui si è discusso nelle pagine precedenti. Da f. 70r a f. 72r poi il discorso di svolge trattando delle circostanze relative all’incoronazione poetica del Petrarca, per mano di Orso dell’Anguillara, in rappresentanza di re Roberto, rielaborando il materiale fornito da Fam. IV, 7-8 e Fam. V, 1. Dopo le notizie discendenti dalle fonti non petrarchesche segnalate, a f. 73v sono volgarizzati i paragrafi 12-15 di Rer. mem. I, 37, relativi alla conversatio intercorsa tra Roberto e Petrarca e alla cultura del primo167. Lo stesso capi166 Per più dettagliate informazioni in merito si rimanda alle pagine dell’edizione corrispondenti ai fogli del ms. sopra indicati. 167 Al fondo di f. 73v Colocci racconta (volgarizzando Genealogiae, XIV, 22) di come Roberto «cominciò dare opera alla poesia» dopo l’incontro con Petrarca e afferma che, se la «morte invida» non avesse infranto questo suo disegno, sarebbe divenuto «splendore de poeti» e aggiunge «come appare | in alcuni fragmenti del materno» (rr. 40-41). Un appunto che occorre alcuni fogli più avanti permette di capire a che cosa alluda Colocci con l’espressione che si è trascritta in corsivo: «scripse in rima imitando lo stile de danti fu gran|dissimo ph(ilosoph)o come appare per molti suoi | fragmenti alla n(ost)ra età pervenuti assai mo|rali e giocondi. ch(e) cominciano Amor che movi | el ciel per tua virtute ...» (f. 76r, rr. 3842). L’incipit trascritto dall’umanista è quello del Trattato delle volgari sentenze sulle virtù
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tolo 37 è ripreso ai ff. 74v e 75r, dove appare con evidenza che è f. 75r ad essere stato compilato per primo, visto che ospita i paragrafi dal 5 al 9 di Rer. mem. I, 37 e che nelle prime righe di f. 74v, trova completamento il § 9 rimasto a mezzo al fondo del recto del foglio seguente. Anche in questo caso f. 74v doveva essere destinata ad altro, visto che un nome poco leggibile vi campeggia ancora a mo’ di titolo («pandolfo»), mentre il testo si dipana in una traduzione, a volte un po’ approssimativa e svelta, anche dei paragrafi 10 e 11. Da f. 75v a 76r (r. 26) sono riportati passi di un nuovo capitolo dei Rer. mem. (I, 10, 2-6). Si tratta di notizie sull’educazione di Roberto e sulle sue abitudini ma, dove il discorso cade sul palazzo reale a Napoli, sembrano farsi largo i ricordi personali dell’umanista, che, ornati di reminiscenze classiche soltanto alluse relative all’amenità dei luoghi, interrompono per alcune righe (f. 75v, rr. 21-32) il ‘racconto’. Il verso di f. 76, infine, contiene gli ultimi quattro rapidi riferimenti alle Familiares, separati l’uno dall’altro da un breve tratto orizzontale prossimo al margine sinistro: Fam. IV, 3, relativo all’epitaffio scritto da re Roberto per la nipote (rr. 10-14); Fam. IV, 2, ancora a proposito della laurea del Petrarca sotto gli auspici di Roberto (in particolare 16-22); Fam. V, 3 sulla successione di Roberto (rr. 23-30); Fam. V, 4 che narra l’incontro avuto da Roberto e da Petrarca con una nerboruta e virtuosa donna-guerriera di Pozzuoli (rr. 28-34). Sugli appunti che seguono la biografia robertiana occupando la seconda parte del fascicolo (ff. 77r — f. [non numerato che segue f. 93]) non occorrerà dilungarsi molto. Come si diceva, nella maggior parte dei casi le schede rimangono vuote (26 schede su 46). Scompare affatto Petrarca (per ovvie ragioni di cronologia) dal novero degli autori da cui trarre notizia e, per il resto, sembra che le fonti di queste annotazioni – se si eccettuano quelle relative al Landino, al Palmieri, all’Alberti (f. 77 r-v), all’Acciaiuoli (f. 78r) e a Mario Filelfo (f. 89r) – rivelano la loro natura, per così dire, ‘familiare’. Di «Malatesta da Rimino» (Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini), ad esempio, si dice «scripse all’avo mio» (f. 77v, r. 4); le notizie – corredate di filastrocca – su «fra Thomasuccio» (il beato folignate Tommaso Unzio; f. 79v, r. 2, glossa marginale) morali di Graziolo Bambaglioli (Bologna, 1291 — Napoli, ante 1343) e questo è anche il testo dal quale trasse il glossario intitolato «çRçEç çRçOçBçEçRçTOæ» dei ff. 257r-267r di Vat. lat. 3217. L’operetta dovette circolare a lungo sotto il nome di re Roberto visto che la princeps è un’edizione del XVII secolo (non a caso curata da Federico Ubaldini, biografo di Colocci) in cui compare, insieme alle Rime di M. Francesco Petrarca, ancora sotto il nome del sovrano (Roma, Grignani, 1642), e circa un secolo dopo (1750) esce a Torino presso la Stamperia Reale per cura di Santi Bruscoli, Il trattato delle virtù morali di Roberto re di Gerusalemme, accompagnato dal Tesoretto del Latini, da canzoni di Bindo Bonichi e ancora dalle rime del Petrarca secondo la lezione e con le notazioni dell’autografo Vat. lat. 3196.
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sembrano provenire, secondo le dichiarazioni del compilatore, da una curiosa trafila orale: «io udî da panu(n)tio | haver odito dal p(ad)re»; di Lorenzo Spirito, Colocci annota: «amico di miser Franc(esc)o mio tio» (f. 88r, r. 19); di un Alberto Orlando (f. 92v, rr. 11-12), «fu hospite de Angelo colotio mio | avo». Ma l’elemento più significativo e determinante mi pare rappresentato dal fatto che la quasi totalità delle schede che recano qualche annotazione siano occupate (salvo le eccezioni di cui si è detto) esclusivamente da aneddoti faceti, di un buon numero dei quali (26) è possibile rintracciare paralleli e allusioni nel codice Vat. lat. 3450168.
II.4.2. Alcune irregolarità codicologiche non registrate dalla cartulazione Se si esamina la tabella allegata in corrispondenza del § II.4.1.2. si noterà che la sequenza delle schede biografiche è, rispetto al modello costituito da TC IV, turbato in due punti. Il primo riguarda la posizione delle schede di Guittone (f. 51r) e Cino (f. 52r) che seguono i due Guidi anziché precederli come avviene nel testo petrarchesco (e sono oltrettutto in ordine reciprocamente rovesciato); il secondo concerne invece la posizione di Onesto da Bologna (f. 55r) che è preceduto dalle schede di Sennuccio e Franceschino che invece lo seguono nel testo-modello169. 168 Nella più volte citata Tabella IV se ne può trovare un sintetico prospetto, ma si rimanda tuttavia alle pagine dell’edizione per più espliciti riferimenti, nonché all’APPENDICE V per i testi trascritti da Vat. lat. 3450. 169 Un’altra significativa differenza riguarda poi il fatto che nelle pagine di Vat. lat. 4831 non si trovi menzione dei «Ciciliani» (cfr. TC IV, 35) e questo potrebbe forse essere un elemento che va ad avvalorare l’ipotesi che la compilazione del codice preceda l’acquisizione da parte di Colocci del Canzoniere Vaticano (Vat. lat. 3793), che tuttavia non si sa quando e in che modo gli pervenne. L’unica eccezione all’assenza dei poeti della scuola siciliana sarebbe rappresentata dalla menzione a f. 102r di un «Celio» che, giusta la lezione del «notamento colocciano» (Vat. lat. 4817, ff. 171r-172r), può verosimilmente essere identificato con Cielo d’Alcamo: «et io no(n) trovo alcuno se no(n) cielo | dal camo che(e) tanto avanti scrivesse | quale noi chiamaremo Celio» (il testo del «notamento» insieme agli altri documenti colocciani relativi al «Caso — Cielo» si legge in BOLOGNA, La copia colocciana cit., pp. 130-137). Resta sconosciuta la fonte che gli permise di individuare il nome di questo poeta e di attribuirgli Rosa fresca aulentissima, e le considerazioni qui svolte sembrerebbero solo provare che egli forse conobbe il nome di Cielo-Celio prima di conoscere il testo integrale del contrasto (o almeno la redazione contenuta nel Vat. lat. 3793, visto che le postille che apporrà a questo testo sul Canzoniere Vaticano hanno indotto alcuni a pensare ad una collazione con altro ms., di cui, allo stato attuale della conoscenze in merito, nulla vieta di ritenere che fosse già in possesso; cfr. S. BIANCHINI, Colocci legge «Rosa fresca aulentissima», in Angelo Colocci e gli studi romanzi cit., pp. 225-243).
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Per spiegare queste irregolarità non è possibile chiamare in causa ragioni di cronologia (Dante prima di Guittone e Guinizelli, Guinizelli dopo Cavalcanti, Onesto dopo Sennuccio e Franceschino) – che per altro non avrebbero potuto fondarsi che su basi fragilissime, viste le conoscenze di Colocci in questo periodo –, né, verosimilmente, criteri estetici (il pre-petrarchesco Cino segue Guittone, sul cui valore già Dante aveva avanzato dubbi in Purgatorio XXIV e XXVI). Occorrerà dunque affidarsi a considerazione d’ordine codicologico, prendendo in esame il dato materiale costituito dalla disposizione dei bifogli relativi alle schede in questione. Le ragioni delle irregolarità andranno dunque ricondotte ad operazioni di scomposizione e ricomposizione subite dal fascicolo quando questo non era ancora legato, ma avvenute probabilmente in fasi diverse dell’avanzamento della sua compilazione. Si constata infatti che in corrispondenza dei punti di irregolarità della prima parte del fascicolo (cioè i ff. 51, 52 e 55), nella seconda parte (cioè relativamente ai ff. 74, 73 e 70, che formano bifoglio rispettivamente con ciascuno dei fogli appena citati per la prima parte) si riscontrano alcune incongruenze nella successione dei testi trascritti dalle fonti boccacciane e petrarchesche per la biografia di re Roberto170. Tralasciando per il momento le considerazioni possibili per il f. 70, si noterà però che al fondo di f. 73v, si trova la seconda parte di Genealogiae XIV, 22, la cui prima parte è collocata curiosamente a f. 74r (cioè dopo). Analogamente i paragrafi 12-15 di Rer. mem. I, 37 che si suppone avrebbero dovuto seguire la trascrizione dei paragrafi 9-11 (f. 74v), si trovano invece a f. 73r. Nonostante queste siano le più evidenti, non sono però le uniche irregolarità di questa sezione (ce ne si renderà conto scorrendo le fonti della scheda robertiana nella Tabella IV). Non è infatti sufficiente ripristinare l’ordine dettato da TC IV nella prima parte – immaginando di smembrare e riordinare i bifogli del fascicolo – perché anche nella seconda parte venga ristabilita tout court una corretta sequenza dei testi fonte. È verosimile infatti che nella seconda parte le dinamiche di reperimento dei testi, volgarizzamento e trascrizione non si siano svolte in maniera del tutto ordinata e sistematica, ma siano state guidate piuttosto dall casualità con cui nelle fonti venivano a mano a mano indiviudate le notizie che interessavano. Probabilmente i fogli venivano spostati – quando ciò non avesse avuto conseguenze dannose per la prima parte, magari spezzando unità testuali di cui era bene salvaguardare la coesione anche co170 Per seguire con maggior agio le considerazioni che si svolgono nel presente paragra-
fo, sarà opportuno tenere presente lo schema relativo alla fascicolazione che si è proposto nel § I.1.4.
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dicologica (si pensa alle lunghe schede di Cino e di Cecco) – in modo da garantire un’almeno parziale contiguità a brani trascritti in momeni diversi – o comunque su fogli non contigui – ma affini per le ragioni più disparate (per identità di fonte o di argomento, ad esempio). Testimonianza di uno di questi casi è forse offerta dalla glossa «Infraponenda» che si legge nel margine sinistro di f. 74r (si veda ivi la I fascia d’apparato, rr. 21-23), in corrispondenza della prima parte del brano boccacciano (Genealogiae XIV, 22) la cui seconda parte si legge a f. 73v (cioè sostanzialmente alla sinistra del brano di f. 74r). In origine, dunque, l’attuale appunto di f. 74r (o meglio, il foglio stesso) si suppone dovesse precedere quello di f. 73v e che la raccomandazione di «infraponere» quella prima parte rispondesse all’esigenza di renderla contigua alla sua prosecuzione (diversamente non avrebbe avuto senso raccomandare di ponere infra la prima parte di un testo rispetto al suo seguito). Quello che si vede oggi nel ms. è dunque il risultato della raccomandazione colocciana: il testo è stato posto infra rispetto a quello di f. 73v, garantendo la massima vicinanza possibile dei due brani: la prima parte nel recto di un foglio e l’altra immediatamente alla sua sinistra nel verso del foglio attiguo (e ovviamente precedente). Quest’ipotesi ricotruttiva è avvalorata dal fatto che se si ripristina l’ipotetico ordine originale di questi due fogli (f. 74 f. 73), si scopre che nella prima parte del fascicolo, un’altra corretta sequenza viene a corrispondervi: quella relativa alla successione della scheda di Cino seguita da quella di Guittone, come richiederebbe TC IV. Rimane ancora da spiegare come i due bifogli 52-73 e 51-74 potessero originariamente trovarsi a precedere i bifogli 49-76 e 50-75, in modo che nella prima parte fosse rispettata la successione Cino — Guittone — Guido — Guido. Se si immagina dunque di compiere questa operazione di ricomposizione, in modo da realizzare lo schema seguente: 52 Cino 51 Guittone 49 Guido 50 Guido 75 r: Rer. mem. I, 37, 5-9(I) | v: Rer. mem. I, 10, 1-3(I) 76 r: Rer. mem. I, 10, 3(II)-6 | v: Geneal. XIV, 6 ecc. 74 r: Geneal. XIV, 22 (I) | v: Rer. mem. I, 37, 9(II)-11 73 [...] | v: Rer. mem. I, 37, 12-15; Geneal. XIV, 22 (II)
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nella seconda parte del fascicolo si constata una sequenza logica per alcune fonti. Alla nuova successione dei fogli 75r — (76r) — 74v — 73v, viene a corrispondere infatti la corretta sequenza dei brani tratti dai Rer. mem.: I, 37, 5-9[I] (e I, 10, 1-3[I]) — (I, 10, 3[II]-6) — I, 37, 9[II]-11 — I, 37, 12-15, che l’ordine attuale dei fogli rovescia, pur salvaguardando la contiguità massima possibile, almento fra i primi due casi (la II parte del § 9 di Rer. mem I, 37 si trova alla sinistra della prima parte, sul verso del foglio che precede quello in cui quest’ultima è scritta). Ora è più logico supporre che le fasi di trascrizione / volgarizzamento abbiano seguito la sequenza dei testi fonte (almeno per brani contigui), dunque sarà anche logico considerare successiva a queste operazioni di compilazione un’organizzazzione delle parti trascritte testualmente incongrua, sebbene non illogica da un punto di vista pratico-topografico. Se a questo punto si prova a ricollocare anche l’ultimo bifoglio che minava l’irregolarità della serie di TC IV – quello cioè contenente la scheda di Onesto da Bologna (55-70) – e a porlo, come dal catalogo, tra Guinizzelli (bifoglio 50-75) e Sennuccio (bifoglio 53-72), nella seconda parte si produce una sequenza testuale non incongrua in corrispondenza della successione dei fogli 71 — 72 — 70: il primo è bianco (probabilmente a sperare – come si vedrà – la lunga scheda robertiana dalle biografie precedenti, eterogenee rispetto ad essa); il secondo intitolato a re Roberto, si apre con un elenco programmatico delle fonti che Colocci vuole usare («Vide el Platino nella vita de po(n)ti|fici d(e) clemente et l’ordine come | ve(n)ne de francia et come henrico de | milano | et vide la historia de antonino et | biondo et lo petrarca et bocca|ccio sabellico. et leonardo aretino | […] vide damaso […]»; su natura e identità di queste fonti si vedano le annotazioni relative alle righe 1-9 di f. 72r), e con la trascrizione di Fam. V, 1 e di brani tratti da fonti non ancora poste in elenco; il terzo prosegue con la trascrizione delle Famm. IV, 7-8. A precedere il foglio bianco (71), in questa nuova sequenza, avremmo i ff. 68 e 69 che fanno pensare ad un’aggiunta finale piuttosto che ai fogli originariamente deputati ad accogliere le notizie incipitarie della biografia di Roberto d’Angiò. Questo per più ragioni: quella più eclatante riguarda il fatto che il titolo «Roberto re», a differenza di tutte le schede regolari del fascicolo, compare sul verso di un foglio (f. 68) che nel recto è bianco. Vista la grande importanza che Colocci tributa al personaggio, sembra curioso che la sua scheda non inizi con un evidente titolo al recto, mentre questa disposizione sarebbe assai più giustificata se si immagina che il foglio dovesse seguire gli ultimi della scheda robertiana: il recto bianco avrebbe potuto essere impiegato in un secondo tempo per qualche eventuale aggiunta (mentre nel verso il titolo ribadisce l’argo-
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mento per garantire unità alla sezione). In secondo luogo le tre facciate scritte di questi due fogli (ff. 68v, 69r-v) sono accomunate dalla trascrizione di un medesimo brano (Rer. mem. III, 96, 5-16) e sono concluse da una farragine di appunti minori tratti da fonti disparate. Infine il tema del brano trascritto in questi fogli è il nobile decesso del sovrano: una pagina che parrebbe più logico porre al termine di una scheda biografica piuttosto che al suo principio. Si può immaginare dunque che Colocci abbia rintracciato da ultimo questo brano nei Rer. mem. che aveva già impiegato in altri punti e, vistane la lunghezza, abbia deciso di dedicarvi un paio di fogli da collocare alla fine della scheda, lasciando una pagina bianca in principio per altre eventuali notizie biografiche che logicamente e cronologicamente sarebbe stato più opportuno far precedere a quelle relative al trapasso. Il confronto tra f. 68v e f. 72r (il primo, secondo l’ordine attuale, dopo questa aggiunta) renderà conto a maggior ragione – contrastivamente – della maggior probabilità che quest’ultimo fosse il primo foglio della scheda dell’angioino e l’altro, una semplice aggiunta. Considerando f. 72r, il primo della scheda, la biografia si dipana in maniera più coerente: in primo luogo sono allineate le fonti di cui ci si servirà, quindi si tratta delle battaglie del sovrano (f. 72v), della sua corte e della successione (f. 73), poi della sua cultura e dell’amicizia con Petrarca (f. 74 e 75r), quindi della reggia e di Napoli, con qualche allusione a passatempi e aneddoti (f. 75v-76r), mentre al f. 76v sono affidati appunti vari da fonti diverse, come si addice a un foglio finale (che raccoglie nell’ultimo spazio rimasto libero le notizie ultime in cui ci si imbatte in maniera quasi casuale), e come, non a caso, avviene anche per il verso di f. 69. Qui di seguito avrebbero dovuto trovare posto, secondo l’ipotesi appena esposta, gli appunti relativi al trapasso. Particolarmente significativa risulterà ora la circostanza per cui prima di f. 72 si trova un foglio bianco: il necessario diaframma tra questa scheda e le precedenti. Del perché poi i fogli 68 e 69 siano stati legati al principio e non al fondo della scheda, potrà forse rendere conto, ancora una volta, il confronto con l’altra metà del fascicolo. Spostare al fondo 68 e 69 avrebbe ivi comportato la collocazione delle schede di Boccaccio e Cecco in un punto che avrebbe spezzato la successione regolare (tale, cioè in base alla sequenza originaria delle schede che si è tentato di ricostruire) delle biografie secondo il modello offerto da TC IV. Secondo quanto esposto finora, dunque, la sequenza originaria dei fogli (ovviamente non ancora numerati né legati, in questa fase) sarebbe stata, per questa parte del fascicolo, la seguente:
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52 Cino 51 Guittone 49 Guido 50 Guido 55 Onesto 53 Sennuccio 54 Franceschino [56 Cecco] [57 Boccaccio] [68 v: Rer. mem. III, 96] [69 Rer. mem. III, 96] 71 (bianco) 72 Re Roberto: fonti varie 70 Fam. IV, 7-8 75 r: Rer. mem. I, 37, 5-9(I) | v: Rer. mem. I, 10, 1-(I) 76 r: Rer. mem. I, 10, 3(II)-6 ecc. 74 r: Geneal. XIV, 22 (I) | v: Rer. mem. I, 37, 9(II)-11 73 [...] | v: Rer. mem. I, 37, 12-15; Geneal. XIV, 22 (II)
II.4.3. Ipotesi interpretative: una galleria letteraria di ritratti faceti in volgare. Nei primi paragrafi di questo capitolo (II.4.) si sono messe in luce in particolare le differenze che da un punto di vista – per così dire – testuale distinguono le due parti del fascicolo; si è perciò prestata attenzione all’organizzazione delle schede, al tipo di fonti impiegate prevalentemente, alla ricchezza delle informazioni, guidati dalla constatazione che questa bipartizione ‘testuale’ corrispondeva a quella materiale (codicologica) del fascicolo. Tuttavia si sarà forse notato che alcuni elementi relativi al contenuto delle schede sono comuni alle due parti di questa sezione del codice e, si aggiunge qui, anche alle parti confrontabili con le presenti, della seguente (fascicolo V: ff. 94r-107v). Ci si riferisce alla frequenza con cui si ha avuto occasione di far riferimento alla presenza di aneddoti faceti o di motti di spirito, per i quali è possibile, in molti casi, rintracciare paralleli e allusioni nel codice colocciano Vat. lat. 3450.
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Questo è l’elemento che accomuna la maggioranza delle biografie (sempre eccezionale, in questo senso è quella di re Roberto, che dunque non si considera nei conteggi che seguono) del IV fascicolo e del V. Su 40 schede non lasciate in bianco (relative ad entrambi i fascicoli) 26 annoverano almeno un appunto riguardante qualche aneddoto divertente. Tra le schede che fanno eccezione bisogna poi considerare che se ne trovano di quelle molto brevi, occupate da appunti che non vanno molto al di là di laconiche indicazioni di fonti o della citazione dei versi petrarcheschi che ne hanno comportato l’inclusione nel canone. A questo proposito mi pare significativo notare, ad esempio, che in una delle schede che poi finiscono per non recare allusioni a storielle e simili (quella relativa a Pandolfo Malatesta: f. 77v, r. 2), l’unica constatazione che Colocci in origine si era premurato di appuntare accanto al nome era, «fu hu(om)o assai faceto», in seguito cancellata. Insomma, l’impressione complessiva è che il ricorso a questo genere di notizie in relazione alle schede biografiche non sia un fatto accidentale, vista l’estensione del fenomeno – non sono infatti poche le schede che contengono più d’un aneddoto (è il caso, ad esempio di quelle relative a Cino, Cecco, Serafino, Matteo Franco o Burchiello che ne contiene addirittura 16) –, bensì calcolato e sistematico e risponda ad un’impostazione programmatica, ad un progetto in qualche maniera definito e chiaro nella mente del compilatore. L’impressione è ulteriormente rafforzata dai fitti e strettissimi legami che sembrano collegare il progetto che prende forma nel Vat. lat. 4831, con quello di cui è testimone il codice Vat. lat. 3450, questo sì, inequivocabilmente – e, in pratica, interamente – dedicato alla raccolta di plaisanteries. Ce ne si potrà rendere conto agevolmente scorrendo ancora una volta la Tabella IV. Se si escludono le sei ‘facezie d’autore’ – tratte dall’opera di Petrarca, di Boccaccio, del Poliziano o del Poggio171 – e se si pongono momentaneamente tra parentesi i sei paralleli possibili con la Disciplina Clericalis, l’esame incrociato dei riferimenti a questo genere di racconti in entrambi i codici colocciani rende ulteriormente evidente il legame tra di essi. Sembrerebbe anzi di poter quasi rilevare una sorta di complementarietà dei due manoscritti quali collettori di aneddoti piacevoli. Delle 63 facezie di cui si trova notizia in Vat. lat. 4831, 27 si direbbero proprie di questo solo codice172: 6 di esse sono narrazioni varia171 Cfr. ff. 47v, rr. 1-3; f. 48r, rr. 1-2; f. 49r, r. 2; f. 87r, rr. 13-18; f. 87v, rr. 9-10 e 26-33. 172 Il condizionale è d’obbligo, dal momento che la ricerca svolta sul Vat. lat. 3450 non
ha potuto avere la stessa estensione e lo stesso approfondimento che ha riguardato lo studio del Vat. lat. 4831. L’argomento sarebbe dunque meritevole di ulteriore sviluppo. I risultati che si espongono, per quanto provvisori, ritengo abbiano in ogni caso una certa significatività. Mi pare infatti che un’esame più approfondito e specifico del codice delle facezie,
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mente sviluppate ed estese (sono quelle dei ff. 32r, 55r, 60r, 81r, 87r, 88r), mentre le altre sono solo rapide allusioni. Per altre 11 notazioni di questa sintetica tipologia è invece dato reperire una versione estesa (pur con casi di maggiore o minore elaborazione) nel Vat. lat. 3450: 9 sono state comprese nell’Appendice V al fondo del volume173; le due escluse, oltre a comportare problemi di decifrazione tali da renderne inutile una presentazione sia pure provvisoria, non sembravano mostrare una pertinenza sufficientemente certa agli appunti del Vat. lat. 4831 (sono i testi a cui si allude a f. 88r, r. 1 e 87r, rr. 6-11). Per quattro ulteriori facezie, si è verificato il caso specularmente opposto: era lo zibaldone (ff. 60r, 72r, 92v, 100v) a presentare versioni più elaborate e complete di aneddoti soltanto indicati tramite brevi titoli nel Vat. lat. 3450. Di altre 20 storie non trovo che brevi allusioni, però caratterizzate da coincidenze lessicali davvero significative, in entrambi i manoscritti. Un ultimo caso, come vedremo piuttosto eloquente, riguarda il motto dei cavalli bianchi che compare in una redazione volgare sufficientemente estesa (nella scheda di Burchiello) in Vat. lat. 4831, e latina in Vat. lat. 3450 Mi pare a questo punto legittimo immaginare, intorno all’oggetto costituito dall facetia nelle sue forme più svariate, una coincidenza delle intenzioni progettuali sottese a questi due codici. Su questa base, non parrà perciò fuori luogo riconsiderare da un punto di vista diverso e nuovo anche l’unico scritto sistematicamente teorico (ed uno dei pochi dell’intera produzione colocciana) presente in questo manoscritto: il breve testo che per comodità si è indicato come Trattatello e che occupa il centro esatto del codice (ff. 59-60). Vediamo in primo luogo quale sia l’articolazione degli argomenti in esso presenti. Il f. 59r si apre con alcuni appunti irrelati alla materia del Trattatello, ma che, consistendo in una serie di rimandi petrarcheschi relativi alle non potrà che far emergere ulteriori possibili paralleli con gli appunti dell’altro zibaldone, data la cospicuità di quelli già risultati da una ricognizione incompleta, quantunque, credo, non superficiale. 173 Il manoscritto è stato escluso dalla consultazione e sottoposto a restauro prima che potessi operarvi le necessarie e definitive verifiche, sicché la trascrizione che ne fornisco risulta provvisoria e richiederebbe un ultimo riscontro con l’originale. Si è preferito presentare comunque i risultati di questo lavoro in APPENDICE V, perché essi sono parsi integrazione necessaria alle considerazioni svolte qui e nelle pagine dell’edizione, e perché ritengo che i limiti della trascrizione che si propone (che data la scarsa chiarezza della grafia, forse non avrebbero potuto essere superati in toto), non inficino completamente la fruibilità di questi testi e una loro comprensione, per lo meno globale. Si consideri, da ultimo, che una certa incompiutezza sarà stata propria della natura stessa di questi brani, che non furono elaborati, se non in pochissimi casi, in redazioni definitive: su di essi si affastellano cancellature e correzioni e tutte quelle irregolarità proprie della sintassi di appunti poco più che estemporanei e provvisori.
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profezie ed ai «portenta» (Rer. mem. IV, 26, 39, 117-127) che vengono riferiti a Ceccco d’Ascoli, sembrano deporre in favore della riconducibilità del materiale di questo bifoglio al resto del fascicolo (dove, ai ff. 55-56, si trova appunto la scheda di Cecco). Il Trattatello prende quindi le mosse da alcune considerazioni sulla dignità delle lingue diverse dalla latina, provata dall’esempio di Ovidio («cesare fu celebrato da Ovidio in lingua scythica»174), al quale al principio di f. 59v ne saranno poi associati altri («scrisse eliano romano in lingua greca,...»). Nelle riflessioni immediatamente seguenti Colocci implicitamente definisce il volgare come «quella lingua che ne accompagna dal dì che usciamo in questa luce infino all’extreme tenebre», lingua naturale, dunque, appresa spontaneamente grazie alla balia («questa ne porge el lacte con le canzon della cuna»)175. Tesse quindi l’elogio di questa lingua, quale mezzo privilegiato per giungere alla conoscenza del mondo, oltre che del latino stesso e del greco. Inoltre tra greco e volgare italiano ci sono moltissimi punti di contatto – nota ancora l’umanista – perché in Italia «non hanno fioriti men greci che latini» e perché gli Italiani, andando ad istruirsi presso i Greci, ne riportavano una ricca messe di parole nuove. La conclusione che sia «facile adunque cosa che tra itali et greci sia conformità di molte cose che latini non hebbero»176, sembrerebbe sottintendere la concezione del latino come lingua artificiale, dunque non esposta al cambiamento che nasce dal contatto interlinguistico. Quest’ordine di considerazioni è però bruscamente interrotto dall’affermazione (segnalata da una manicula a margine) che «italiani in qual se voglia lingua habbino scripto, sempre hanno fatto opere degne de laude», il che, dati anche gli esempi susseguenti (f. 59v) di cui si è detto, equivale a riconoscere pari dignità ad ogni lingua, sicché Colocci può concludere «Dico adunque che in qual se voglia lingua se possono le hystorie vere nude et expresse narrare, in ogni lingua, se possono le passion d’amore 174 Il testo del Trattatello viene riportato senza impiegare le parentesi e le barre che si adotteranno poi nell’edizione (e si aggiunge inoltre una punteggiatura minima – sostanzialmente non presente nel ms.), per renderne più scorrevole la lettura. 175 Osservazioni analoghe erano già state adoperate nell’Apologia di Angelo Colotio nell’opere de Seraphino al magnifico Sylvio Piccolomini S. e benefactore (cfr. SERAFINO AQUILANO, Strambotti, a cura di A. ROSSI, Milano — Parma 2002, p. 290-297, p. 297) e, nonostante l’apparente eco dantesca (cfr. De vulgari eloquentia, I, i, 2), l’affermazione di una dipendenza del testo colocciano da questa fonte, a questa altezza cronologica, mi pare non poggerebbe su basi sufficientemente salde. Sulla questione si tornerà ancora in § III.4. 176 Nonostante che poco sopra si dicesse che «moltissime cose conforme sono tra la lin-
gua italiana et greci come fra la latina et greci», ma da appunti così provvisori e forse estemporanei sarebbe eccessivo aspettarsi una completa ed univoca organicità.
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exprimere et imprimerle nelli animi delle donne et ad questo nisuno miglior instrumento trovo che la materna lingua, alle cui parole non interpreti bisognano». Di qui però il discorso trapassa ad un argomento inatteso: l’ambiguità e la possibilità d’equivoco che, sebbene la consuetudine d’uso della lingua materna consente di risolvere, tuttavia non è sempre evitabile, specie quando riguardi parole omofone ma di significato differente (e qui seguono alcuni esempi). Un aneddoto arguto riferito a Castruccio Castracani (tratto da Rer. mem. III, 30) è addotto a mo’ d’esemplificazione (anche se di semi-omografe più che di omofone esso tratti), seguito, per un caso analogo, dall’allusione ad un epigramma del Calenzio e ad altri rapidi cenni a giochi di parole del medesimo genere. Si perviene così all’ultimo dei temi sviluppati nel Trattatello, che compare come necessaria conseguenza delle osservazioni precedenti e dei precedenti esempi: «la maggior parte de le facetie in ogni lingua versa circa lo equivoco, e anchora lo equivoco nelle metaphore et translato» (f. 60r, rr. 10-11). Colocci individua in pratica il nerbo della facezia nel fraintendimento che può derivare dallo scambio tra due parole dal suono uguale o dall’aspetto grafico simile, o dalla confusione tra un significato proprio ed uno figurato. Ed infatti quest’ultima osservazione è seguita da due facezie atte ad illustrarla (f. 60r, rr. 13-26). Il discorso è concluso a f. 60v da alcune osservazioni che vedremo essere determinanti. Se infatti, come già aveva riconosciuto, queste possibilità di equivoco sono proprie di ogni lingua («questo hanno i latini, questo l’ispani, questo li greci, questo li volgari e’ galli»: f. 60r, rr. 9-10) e, diremmo noi, condizionate dalla specifica struttura semantica e fonetica di ciascuna di esse – o di ciascuna loro fase diacronica –, ne discende di conseguenza che le facezie del genere appena esposto non sono traducibili, perché, volte in un differente idioma – un idioma appartenente cioè ad un’epoca diversa da quella in cui furono composte – perdono la loro vis comica: «molte metaphore ben decte vulgare, appresso i latini non hanno gratia, et così proverbij novi che oggi sonno in observantia et li antiqui non l’havevano». Proprio in questo, conclude significativamente Colocci, sta il limite delle Facetiae del Bracciolini: «volse poggio fiorentino molte facetie del suo tempo redurre in latino et non possecte in tucto» (f. 60v, rr. 8-11)177. Inserite dunque nel contesto di cui si è detto, queste due paginette assumono una funzione ed un significato sui quali vale la pena soffermarsi. Lo scivolare dell’argomentazione dal principio di equieffabilità delle lingue, dalla funzione normativa e chiarificatrice propria dell’uso come discrimine contro le ambiguità, verso i temi dell’ambiguità stessa e 177 I brevi appunti che si trovano nelle righe seguenti di f. 60v sono semplici pro memoria ed esempi per l’approfondimento della questione.
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dell’equivoco come anima della facezia, sembra ora apparire come qualcosa di diverso dal semplice errore di percorso, della divagazione erudita ma giocosa nell’articolazione di una diversa tesi. Verrebbe fatto di pensare cioè che questa attenzione per la facezia – che riguarda una frazione cospicua del Trattatello ed è per di più avvalorata dall’allegazione di aneddoti esemplificativi – sia il punto d’arrivo dell’argomentazione, non una sua deviazione dalla quale, oltretutto, non sarebbe dato in queste pagine scorgere alcun ritorno. In altre parole, una valutazione complessiva dei contenuti di questi due ultimi fascicoli, della natura delle loro fonti e dei relativi paralleli rintracciabili in altri codici (Vat. lat. 3450), suggerisce di interpretare il Trattatello non tanto o non solo ome il distillato di riflessioni squisitamente linguistiche (certo, inserite nel fervente dibattito coevo intorno alla questione della lingua), quanto piuttosto come l’abbozzo delle premesse teoriche per una progettata raccolta di biografie – una galleria di ritratti d’autori – accomunate dall’attenzione in esse rivolta preminentemente al motto di spirito e all’aneddoto divertente. Significativa risulta dunque l’allusione finale alle Facetiae del Poggio, che, se pur può costituire per Colocci un precedente di cui tenere conto, tuttavia sembra in realtà considerato qui come modello da superare, datone il limite intrinseco rappresentato dalla scelta del latino quale lingua di esposizione degli aneddoti. In questo senso è significativo il caso di quell’aneddoto (f. 87v, rr. 26-30) che compare in latino in Vat. lat. 3450, ma in volgare nel presente codice, quasi a suggerire una seriorità di quest’ultimo nel processo di elaborazione non solo redazionale ma anche teorica, che nell’attività intellettuale di Colocci lega i due manoscritti. O ancora, il caso della facezia del Prete di Lusignano – alla quale rimanda una glossa interlineare di f. 88r, r. 1 di Vat. lat. 4831 – che compare in una compendiosa versione latina (con alcuni ritocchi e cancellature) sul recto del foglietto incollato su f. 7r di Vat. lat. 3450 ed invece in una più estesa, ordinata e limpida versione volgare a f. 6r-v del medesimo codice. Le considerazioni esordiali del Trattatello sulla dignità del volgare sembrano ora rivelare dunque un volto nuovo e forse inatteso: non tema topico di un trattato sul vulgare ydioma, bensì argomento collaterale atto a legittimare la scelta del volgare all’interno della premessa teorica ad una raccolta di facezie, di contro al modello tradizionale costituito dal Poggio. Quella che si ha l’impressione che Colocci qui stia abbozzando, è dunque un’opera piuttosto nuova, di una genere che sembra nascere dall’ibridazione di due modelli: quello boccacciano-petrarchesco – ma chiaramente già classico – della galleria di ritratti d’uomini illustri, e quello – tipicamente umanistico (si pensi, oltre che al Poggio, al Poliziano e, nella generazione seguente, a Ludovico Domenichi) – della rac-
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II . TESTO E CONTENUTI
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colta di detti piacevoli. L’impianto della galleria di ritratti letterari avrebbe dovuto dunque fornire lo schema, l’ossatura lungo cui sarebbero poi stati disposti gli aneddoti faceti che l’umanista era andato raccogliendo negli anni e annotando in carte disparate, alcune delle quali conservate in Vat. lat. 3450. Per altro, la disinvoltura con cui alle varie figure di questa galleria sono associati detti e fatti che nelle fonti o negli appunti di Vat. lat. 3450 sono riferite a personaggi affatto diversi178 restituisce l’impressione che l’interesse primario di Colocci in queste pagine, salvo la curiosità erudita che lo spinge anche alla ricerca di meno strampalate informazioni consultando testi di più solida autorevolezza (come, ad esempio il Modus studendi del Caccialupi), riguardi in primo luogo le facezie stesse e forse solo in seconda istanza le conoscenze storico-letterarie relative agli autori del suo canone179. In altre parole – e semplifi-
178 È per esempio il caso di Burchiello a cui sono riferiti alcuni aneddoti che ritroviamo
(assolutamente irrelati con la figura di questo poeta) in Domenichi, Poliziano o Bracciolini, o un motto di spirito (f. 87v, 26-33) dipendente da Decameron IV, Introduzione (§ 33) ed un altro che è poi riportato anche nella scheda di Ciriaco d’Ancona (f. 101v, rr. 9-10), salvo poi venir cassato; o ancora Raimbaldo a cui si riconduce il racconto della Ymagine di cesare che in Vat. lat. 3450 riguarda Borso d’Este e sarebbe stata attribuito anche al Calenzio (f. 88v, rr. 1-3) se Colocci non si fosse accorto di averlo già associata ad altri; o il caso seguente di Pier d’Alvernha che diventa protagonista di un racconto di cui in Vat. lat. 3450 la parte principale è tenuta da un «abbas quidam monasterii clarevallis» contro Francesco Sforza; o l’apologo d’origine alfonsiana della «canicula et senapa» che inspiegabilmente è riferita a Giraldo (f. 38r), o quello di medesima origine delle brocche d’olio (se come pare probabile di questo si tratta) a cui si fa invece allusione a proposito di Cecco d’Ascoli (f. 56v). 179 Un simile orientamento non stupisce particolarmente in un personaggio di cui le fonti contemporanee sono concordi a sottolineare la jocunditas e la disposizione al motto arguto, alla plaisanterie. Federico Ubaldini, biografo dell’esinate, scrive, ad esempio: «Angelo con tanti bei doni hebbe in grado eminentissimo l’urbanità e la dolcezza della conversazione, essendo destro molto nel gettar motti e facetie, il che così suo proprio riputossi che trasse alle sue lodi la penna de’ più dotti et austeri scrittori di quell’età, quale fu Gioviano Pontano». Di seguito è riportato il giudizio del Pontano stesso, tratto dal De sermone: «In hoc autem ipso jocandi genere comis est admodum ac periucundus A. Colotius noster, tum propter insitam ei a natura perraram quandam in dicendo alacritatem, tum propter egregiam litterarum peritiam rerumque multarum usum; quo fit ut in explicandis fabellis, in epigrammatis comicorumque poetarum dictis referendis ac ludibus mirifice delectet». Una testimonianza particolarmente significativa specie in ragione della menzione dell’abitudine di Colocci di riferire detti e scherzi di poeti (cfr. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., pp. 64-65). Anche il Valeriano, che ne fa il principale interlocutore del suo Dialogo della volgar lingua, traccia un analogo indiretto ritratto del Colocci, attraverso le parole di quest’ultimo, ma anche degli altri interlocutori, che, ad esempio, lamentandone il mancato intervento ad una cena, bonariamento lo redarguiscono in questo modo: «tutti ci avreste sentito a borbottare non tanto per la cena che si guastava, quanto perché non avevamo il zuccaro e ’l pepe vostro da condirla» (cfr. P. VALERIANO, Dialogo della Volgar lingua, in Discussioni linguistiche del Cinquecento, a cura di M. POZZI, Torino 19962, pp. 37-94, p. 45-46). L’episto-
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INTRODUZIONE
cando – se la documentazione soccorre, l’aneddoto si può giovare di una contestualizzazione storicamente dignitosa, ma non è certo l’assenza di più solidi appigli documentarî a trattenere l’umanista dall’associarne con una libertà piuttosto sconcertante uno piuttosto che un altro, all’uno o all’altro dei suoi personaggi. II.5. Il V fascicolo: Schede e appunti varî – contenuto, fonti e interpretazioni Dei 14 bifogli di cui si doveva comporre il quinto fascicolo, ne rimane integro soltanto uno: il bifoglio centrale costituito dal f. 107 e da un foglio bianco e non numerato che nell’attuale legatura lo precede. Questo bifoglio è posto, come si è visto, nel punto sbagliato (§ I.1.5.). Altri dodici sono stati mutilati di una metà, sicché ora nella prima parte del fascicolo ne rimangono solo brandelli lunghi e stretti paralleli alla legatura e dai bordi irregolari180, mentre un ultimo bifoglio risulta mancante. Per quanto riguarda dunque la sezione mutila dell’ultimo fascicolo essa parrebbe ospitare nella prima parte (ff. I-IVr, di mano non colocciana) uno o più testi – verosimilmente poetici – forse d’argomento amoroso. Le schegge lessicali che è dato decifrare nelle porzioni cartacee superstiti – con parole come «ardea [...] pieta [...] miser affanno [...] el tuo cor [...] le chiome [...] di begliocch[i] [...]» – sembrerebbero infatti ricondurre a questa tematica. Inoltre i rientri del testo e le lettere puntate che si scorgono nel margine sinistro del recto potrebbero far pensare ad uno scambio di battute tra interlocutori diversi: forse i protagonisti di un’egloga o di un qualche dramma pastorale, ma credo che non si possa davvero dire di più I resti bianchi dei ff. IVv e Vr-v, sono invece seguiti da quello che rimane di due fogli (VIr-VIIv: sempre di mano non colocciana) che mostrano di aver contenuto almeno parte del testo dei primi otto canti dell’Inferno. Il fatto che tra i frammenti versuali riconoscibili se ne inseriscano altri non immediatamente riconducibili alla Commedia potrebbe essere spiegato ipotizzando che il testo di Dante in queste pagine comparisse inframmezzato ad un commento. Della natura del testo di f. VIII non saprei dire nulla, mentre da f. IX a f. XII (salvo la parentesi dei brandelli bianchi di ff. X e XIr) ricompare la mano di Colocci, pur in lario stesso ci rivela un personaggio piuttosto faceto e incline allo scherzo: si veda ad esempio la lettera al Carteromacho, allegata in APPENDICE VII. 180 La carta di questi lacerti è in molti casi in pessimo stato; alcuni di essi, poi, sono appena sporgenti dalla legatura e limitati alla sola parte superiore.
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II . TESTO E CONTENUTI
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frammenti tanto insignificanti da non consentire alcuna ipotesi certa sui contenuti del testo di cui facevano parte: forse riflessioni di storia poetica o linguistica analoghi a quelli che occupano numerosi altri zibaldoni (Vat. lat. 4817, in primis) e in parte anche il presente, come inviterebbero a ritenere parole quali «studi» (f. XIv) «dant[e?]» «lemosina» (f. XIr). Per quanto riguarda invece gli ultimi fogli interi e leggibili di questa breve ultima sezione – dal f. non numerato che precede f. 107 (secondo l’attuale posizione dei fogli, ma in realtà da f. 94 a f. 107) al f. non numerato che segue f. 104, e che per comodità si è indicato come f. [105] – va notato che in essi prosegue la raccolta di schede biografiche secondo le modalità proprie specialmente della seconda parte del fascicolo precedente. Qui troviamo infatti menzione del Pistoia, di Giovanni Agabito (f. 94), di Gianorbo (f. 100v), del Quarqualio e Ciriaco d’Ancona (f. 101v), ma vi compaiono anche liste di nomi, tra cui quelli di autori le cui biografie vengono sviluppate nel IV fascicolo (f. 102r). Vi si leggono poi alcuni brevi appunti relativi al metodo da seguire forse per la stesura delle schede biografiche stesse: «fa juditiio de ogni vita.[...] dello stilo ad un p(er) uno» (rr. 3-4) e «poni d’ognuno di questi qualche rima o sonecto o capitolo» (f. 107r. rr. 3-6). Se si fa eccezione per la registrazione di rime sonetti e capitoli, a cui tuttavia rimanda rapidamente qualche appunto («e qui poni molte sue moralitate», f. 56v, r. 17; «poni qui qualche sonecto de cino et qualche principio», f. 51v, rr. 28-29), nel IV fascicolo sembrerebbe di vedere applicato il progetto metodologico che si legge abbozzato abbastanza chiaramente in queste righe. Per il resto, le riflessioni che occupano il recto del f. 107 e che riguardano l’alternanza vocalica o/u e certi possibili fraintendimenti relativi al senso di un verso di Petrarca (si rimanda al foglio in questione per più approfondite spiegazioni in merito), possono forse essere interpretate come altrettante rapide allusioni ad ulteriori esempi di ambiguità quali quelli di cui si discorre nei ff. 59-60 del ms. Se così stessero le cose, avremmo qui un’altra prova dell’unitarietà dei due fascicoli e della loro riconducibilità ad un comune progetto (cfr. § II.4.3.), sicché risulterebbe particolarmente significativo il fatto che queste riflessioni compaiano immediatamente di seguito alle indicazioni di metodo per la compilazione delle schede. Come si è già rilevato, del resto (e si veda ancora la Tabella IV), anche in queste pagine, in buon numero bianche, si fa riferimento a facezie e aneddoti la cui consistenza documentaria appare, per altro, proporzionata all’oscurità di numerosi nomi che qui compaiono (Giovanni Agabito, Ottavio da Fano, ...). Qualche ragione d’interesse presentano anche le tre liste di nomi che compaiono rispettivamente ai ff. 102r, 104r e 107v. La prima dispone in colonna i nomi di «Celio | Guitton frate d’Arezzo | Arnaldo | Guido
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INTRODUZIONE
Guini[c]elli | Guido Cavalcanti | Danti | >cecco das< | cino | cicco d’ascoli | Roberto re | honesto bo[lognese]» e, spostato verso il margine destro approssimativamente all’altezza di Dante, Colocci aggiunge «Folco». Credo si possa dire che l’ordine dei nomi non è casuale – la cassatura e lo spostamento di quello di Cecco d’Ascoli sembrerebbero provarlo –, anche se non è immediato stabilire il criterio che vi presiede. Se infatti si possono considerare approssimativamente contemporanei Cavalcanti, Dante, Cino, Cecco e Roberto, l’ordine degli altri inviterebbe, anche in questo caso, a rifiutare il criterio cronologico. Tuttavia i limiti delle conoscenze di Colocci in questa fase del suo apprendistato romanzo, potrebbero essere sufficienti a rendere ragione di queste incongruenze. Basti per ora notare che la sequenza non è confrontabile con quella di TC IV (ma solo per l’ordine, visto che otto di questi undici nomi, invece vi compaiono), né con la sua versione alterata che compare nel IV fascicolo. Aldilà di queste considerazioni, però, credo che vada sottolineata la posizione incipitaria di Cielo d’Alcamo (se si accetta l’identificazione di cui si è detto in nota 169 del § II.4.2.), che potrebbe provare che già a questo tempo Colocci aveva a disposizione le conoscenze che sostanziano il notamento e che gli permisero perciò di scrivere che «io no(n) trovo alcuno se no(n) cielo | dal camo che(e) tanto avanti scrivesse» e di annotare in margine quella che Corrado Bologna intende come una data: 1164181. Della lista di f. 104r ci si occuperà più nel dettaglio nella sezione relativa alla Datazione (§ III.5.), mentre quella di f. 107v – «philostrato | plutarco | Dione | Plinio e cornelio | Petrarca» – potrebbe, vista la sua eterogeneità, essere semplicemente un elenco di libri, da aggiungere a quegli elenchi non sistematici già trovati in altri zibaldoni (specialmente in Vat. lat. 4817, ff. 196r-v e 210r-211r, 214v). Si tratta infatti, come nelle note dell’edizione si chiarirà ulteriormente, di nomi d’autori tutti presenti, per lo meno in traduzione, nella biblioteca di Colocci. iii. dataz ione
III. DATAZIONE
I dati materiali evidenziati nei paragrafi precedenti – fascicolazione e presenza di filigrane – hanno in parte già messo in luce la singolarità di ciascun fascicolo del codice e la sua autonomia rispetto agli altri: con181 Cfr. BOLOGNA, La copia colocciana cit., p. 133, nt. 111. Il notamento colocciano (la
celebre espressione è di E. MONACI, che la impiega in Archivio Paleografico Italiano, I, Roma 1882-1897, spec. tavole 12-14) si può leggere al f. 171r del cod. Vat. lat. 4817.
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III . DATAZIONE
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fermando tramite indizi extratestuali, un’eterogeneità interna che i contenuti (anche se in maniera minore per i fascicoli IV e V) già suggerivano con chiarezza. In particolare la circostanza per cui ciascun fascicolo è caratterizzato da filigrane che non si riscontrano più negli altri – si notava – depone a favore del fatto che la compilazione delle varie parti deve essere avvenuta in tempi differenti, verosimilmente lontani, o comunque sufficientemente lunghi da consentire forse l’esaurimento di una partita di carta e l’impiego di una nuova nel passaggio dall’uno all’altro. Sarà dunque bene tenere presente quest’ordine di considerazioni anche a proposito delle indagini atte a chiarire la datazione del codice: il rapporto temporale che lega i fascicoli di questo zibaldone dovrà essere considerato in modo elastico e articolato sicché la proposta di una data globale per la sua compilazione appare poco verosimile182. Si procederà dunque all’esame degli elementi testuali che offrano un qualche appiglio ad ipotesi di datazione, relative però a ciascun fascicolo considerato singolarmente. Considerazioni globali potranno al massimo riguardare il momento in cui si procedette all’unificazione delle diverse parti. A questo proposito, tuttavia, non si potrà che proporre l’osservazione ovvia che esso dovette seguire la compilazione del più tardo dei cinque fascicoli (che sarei portato a ritenere il III). L’ipotesi poi che questa operazione sia stata effettivamente compiuta da Colocci – verso la quale spingerebbe il fatto di identificare con la sua, la mano che numera i fogli di questo ms. – inviterebbe anche a cercare le ragioni sottese alla volontà di correlare materiale così apparentemente disomogeneo, ma date le incertezze su questo punto si sospenderà per il momento il giudizio in merito.
III.1. I fascicolo Questo fascicolo non offre molti elementi valutabili per formulare ipotesi di datazione. Il secondo testo, tuttavia – un’egloga dialogata – si presterebbe ad una lettura allegorica: Chorydo, uno dei due personaggi, parla del «viver pastoral n(ost)ro ap(osto)lico» (f. 2v, r. 25) e di «secte si182 Le osservazioni che si svolgeranno nelle pagine a seguire confermano per lo più –
coincidendo in buona parte con esse data l’identità dell’oggetto d’indagine – quelle proposte da Nadia Cannata (Il primo trattato cinquecentesco cit.) la quale, tuttavia, non opera alcuna distinzione riguardo l’ipotesi di una datazione differenziata per le singole parti del ms. e, desumendo gli elementi a favore delle sue tesi dal IV e V fascicolo (tesi che applicate a queste sezioni ritengo per lo più condivisibili), ne estende implicitamente i risulatati all’intero codice.
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INTRODUZIONE
nodal crude e scismatiche» (f. 4r, r. 8), fornendo una chiave di interpretazione per il componimento, nel quale si leggono anche i versi E dicon tai che n(ost)ra età reformano Senza dinar no(n) entri i(n) Babilonia (f. 4v, rr. 34-35).
Si sarebbe perciò tentati di ricondurre il testo alla temperie storicoculturale dei primi anni della Riforma protestante: nell’ottobre del 1520 Lutero scrive il suo manifesto dogmatico De captivitate babylonica ecclesiae. Colocci, che in questo periodo (1511-1521) è segretario apostolico e intimo di Leone X183, verosimilmente avrà avuto notizia dei movimenti di riforma, sebbene nei suoi appunti non traspaia mai, a quanto mi risulta, interesse per queste questioni. D’altra parte il testo richiama assai da vicino le egloghe di Serafino Aquilano, del quale l’umanista si era però occupato nei primi anni del ’500184. In particolare le serie rimiche, i temi (il biasimo per l’avarizia e i vizi della curia), il lessico e la stessa trasparente trama allegorica del testo colocciano, sembrano dover molto proprio alla prima delle egloghe serafiniane che, secondo la testimonianza di Vincenzo Calmeta185, venne rappresentata a Roma nel carnevale del 1490 (con l’autore nelle vesti di Menandro, uno dei due interlocutori). Nello stesso anno il poeta lasciava Roma e il servizio presso il cardinale Ascanio Sforza per tornare all’Aquila e quindi spostarsi a Napoli, dove è attivo tra il 1491 e il 1493186. In questi stessi anni (1486-1492) a Napoli è presente anche il giovane Colocci187 e se si dovesse collocare in questi anni la composizione dell’egloga del nostro codice, l’allusione ai riformatori che vi si incontra dovrebbe essere più opportunamente riferita alla predicazione di altre figure carismatiche. Non ho tuttavia notizia – nemmeno in questo caso – di interessi colocciani in tal senso188 e risultando perciò così pochi gli 183 Cfr. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., nt. 27. 184 Curò, com’è noto, l’edizione delle sue opere, allegandovi un’Apologia: Opere dello ele-
gante poeta Seraphino Aquilano finite ed emendate con la loro Apologia (di Angelo Colocci a Silvio Piccolomini) e la vita di esso poeta (di Vincenzo Calmeta), Roma, Besicken, 1503. 185 V. CALMETA, Vita del facundo poeta vulgare Seraphyno Aquilano per Vincentio Calmeta composta, in SERAFINO AQUILANO, Strambotti cit., p. 301. 186 Si veda la Notizia bio-bibliografica relativa all’Aquilano in SERAFINO AQUILANO, Sonetti e altre rime cit., p. 31. 187 V. FANELLI, La fortuna di Angelo Colocci, in ID., Ricerche su Angelo Colocci cit., pp. 168-181, p. 169. 188 La collocazione temporale inviterebbe infatti a suggerire il nome del Savonarola il cui infiammato magistero proprio tra il 1491 e il 1494 toccava il suo apice. L’unico tenue collegamento tra Colocci ed il predicatore ferrarese desumibile dal Vat. lat. 4831, tuttavia, è
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III . DATAZIONE
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elementi a disposizione, e di non univoca interpretazione – specie in considerazione del fatto che i dati materiali in questo caso non offrono appigli189 –, più opportuno mi pare lasciare in sospeso la questione in attesa che le ricerche sul prelato jesino consentano l’affioramento di nuova documentazione relativa ai suoi interessi religiosi e al suo atteggiamento di fronte ai movimenti di riforma.
III.2. II fascicolo Anche questo fascicolo non autorizza osservazioni d’ordine cronologico, sicché l’unico inidizio utile sarebbe quello rappresentato dalle filigrane (cfr. § I.2.) che inviterebbero a collocare la sua compilazione negli ultimi anni del Quattrocento; il che farebbe di questo il più antico dei fascicoli di Vat. lat. 4831. Negli anni tra il 1494 e il 1499, tra l’altro, il giovane Colocci non vive ancora stabilmente a Roma, ma specialmente tra Sulmona e Jesi190, circostanza che potrebbe in parte rendere ragione dell’impiego di una carta che non ebbe poi più occasione di usare.
III.3. III fascicolo Il confronto delle filigrane presenti in questo fascicolo con le analoghe reperite negli epistolari, come si è detto, suggerirebbe di collocarne la redazione negli anni ’30-’40 del Cinquecento. Se poi ci si sofferma a considerarne il contenuto, l’ipotesi ne viene rafforzata. Come si è detto, il fascicolo contiene la tavola alfabetica di un canzoniere umanistico, e circa un terzo degli incipit in essa presenti (cioè sostanzialmente tutti quelli identificabili con un certo margine di sicurezza) sono riconducibili alla produzione poetica volgare di Antonio Tebaldeo. Come si è già avuto modo di chiarire (cfr. § II.3.3.), è documentata per gli anni successivi alla morte del poeta (1537) l’attività di Colocci intorno all’opera del ferrarese, in vista di una progettata edizione postuma che la menzione nella lista di f. 104r di Girolamo Benivieni che fu seguace del frate e traduttore della sua opera latina. 189 I presenti fogli sono privi di filigrana. Potrebbe inoltre essere opportuno distinguere
la datazione del primo testo da quella del secondo già solo sulla base di considerazioni materiali. Il primo testo è ospitato da un foglio singolo incollato (come si è detto), e dal punto di vista paleografico presenta una grafia più regolare e leggibile, mentre quella del secondo è assai meno perspicua e molto più corsiva. 190 Cfr. FANELLI, La fortuna di Angelo Colocci cit., p. 169.
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INTRODUZIONE
avrebbe coinvolto anche Girolamo Negri, Pietro Bembo e Pietro Pais. La tavola alfabetica del III fascicolo potrebbe dunque essere ricondotta alla fase preparatoria di questo progetto: Colocci avrebbe fatto ricopiare (cfr. f. 13 e 14r, r. 1: «Copiati») su un supporto unitario, il materiale eterogeneo e sparso che aveva a sua disposizione, forse per operare successivamente su di esso una selezione e un riordinamento in vista della pubblicazione. Siccome gli scambi epistolari tra gli umanisti coinvolti in questo progetto riguardano gli anni tra il 1537 e il 1539, mi sembra plausibile ricondurre appunto approssimativamente a questo periodo la compilazione del III fascicolo, tanto più che anche il dato materiale costituito dalle filigrane non sembra contraddire ad una simile collocazione.
III.4. IV fascicolo Prima di esaminare ordinatamente gli elementi desumibili dal testo che permettono di fissare termini ante e post quos per la datazione, occorre forse precisare che, allo stato attuale delle conoscenze e dello studio degli zibaldoni colocciani, qualunque tentativo di datazione relativa dei medesimi (e dunque di disposizione sull’asse cronologico dei reciproci periodi di redazione) che pretenda di essere altro che approssimativo e generico non può che poggiare su basi farraginose ed incerte. La stessa elasticità nei rapporti temporali tra le sezioni di Vat. lat. 4831 vige verosimilmente anche per numerosi altri zibaldoni, ancor più di questo compositi e varî (e la tavola delle filigrane proposta nella pagine precedenti rende già, seppure in minima parte, idea di questa eterogeneità). Occorrerebbe dunque previamente uno studio sinottico, per esempio – in mancanza di meno equivoci elementi capaci di accomunarne le diverse parti –, di tutti i fascicoli dei diversi zibaldoni caratterizzati dalla stessa filigrana, o dall’uso dello stesso inchiostro, o ancora una recensione il più possibile completa di tutti fogli che recano una doppia numerazione (con quella vecchia cassata o meno) e che testimoniano perciò di operazioni di smembramento e ricomposizione di quaderni d’appunti o d’altro. Mi pare perciò rischioso affermare l’anteriorità di Vat. lat. 4831 (si intenda naturalmente, di qui in avanti, del IV fascicolo del codice) rispetto, ad esempio, a Vat. lat. 3450191, con il quale invece mi sembra – e nelle 191 È quanto fa CANNATA, Il primo trattato cinquecentesco cit., p. 170. Sul codice cfr. SMIRAGLIA, Le «Facetiae» del Colocci cit., che vi rintraccia (nt. 14, p. 223) tra le altre – a conferma di quanto si sta per dire –, una filigrana a sirena analoga a quella presente nel III
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III . DATAZIONE
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pagine precedenti si è tentato di dare compiutamente ragione di questa impressione – intrattenere un rapporto molto stretto: in entrambi sono infatti presenti alcuni generici rimandi a facezie che vengono più o meno estesamente svolti nell’uno o nell’altro dei due codici. Anzi, ben più frequente è il caso in cui Vat. lat. 3450 conservi la redazione estesa di facezie alluse come cose note in Vat. lat. 4831. Questa circostanza, insieme alla natura di disordinato brogliaccio che caratterizza una gran parte di Vat. lat. 3450 – con i suoi fogli di dimensioni e consistenza disparate, pieni di appunti sempre corsivi e di pugno di Colocci, ma vergati con grafie abbastanza varie da tradirne una scalarità ampiamente articolata nel tempo – invita, a mio parere, a considerare questo codice un serbatoio di aneddoti a cui attingere all’occorrenza, piuttosto che la versione in pulito di rapide note prese altrove, magari, appunto, in Vat. lat. 4831, che, per altro, ha un aspetto decisamente più ordinato e rifinito – per quanto simili aggettivi si possano attagliare a zibaldoni colocciani – di quello del codice delle facezie. Sembrerebbe, in altre parole, che Vat. lat. 3450 sia una sorta di disordinato archivio in cui si sono sedimentate negli anni annotazioni d’aneddoti faceti, magari colti dalla viva voce di disparati relatori e appena rielaborati in un latino non sempre accuratissimo, o semplici promemoria da sviluppare in seguito. Anche la seriorità di Vat. lat. 4817 rispetto a Vat. lat. 4831, se verosimile in linea di massima, probabilmente non può essere intesa tout court. Già Fanelli192 notava ad esempio come gli appunti relativi a Cecco d’Ascoli presenti nel primo dei due codici (f. 114 r-v), ricompaiano in una forma più breve ma più compiuta nel secondo (ff. 55-56, 59r) e che nel primo essi siano cassati da un tratto obliquo che è il modo consueto di Colocci di biffare i testi che ha trascritto altrove. Date queste premesse, nelle pagine a seguire si esporranno dunque gli elementi interni al testo che permettono di proporre ipotesi di datazione: si partirà da quelli meno certi, procedendo quindi verso quelli più sicuri e tentando parallelamente di circoscrivere entro limiti progressivamente più angusti – muovendo perciò da quegli elementi che costituiscono termini più remoti, in direzione di quelli più prossimi – un intorno di anni entro cui collocare con buona verosimiglianza la redazione di questi appunti. Intrinsecamente più incerti sono, in questo caso, gli elementi che costituiscono termini ante quos, dal momento che essi si identificano con la constatazione di una serie di assenze che, in anni successivi a quelli che fascicolo di Vat. lat. 4831 e che dà conto degli indizi di tre fasi redazionali del materiale raccolto nel codice. 192 Cfr. FANELLI, Angelo Colocci e Cecco d’Ascoli cit., pp. 182-205.
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essi designano si darebbero per ingiustificabili. Si tratta insomma di prove che per lo più denunciano la debolezza delle argomentazioni e silentio e che si propongono tuttavia in mancanza di meglio. Non troviamo nel codice, ad esempio, allusioni ad un’opera capitale in quegli anni, a cui non mancano di rinviare gli appunti di altri zibaldoni (per es. Vat. lat. 3217193), quale le Prose della volgare lingua, sicché si dovrà porre nel 1525 – anno dell’edizione veneziana presso il Tacuino dell’opera – o nel 1524 – anno in cui una redazione manoscritta, che dovette verosimilmente circolare, ne veniva offerta a Clemente VII – o (ma credo troppo ottimisticamente) nel 1512 – anno in cui a Roma il Bembo portava a compimento una redazione provvisoria dei primi due libri delle Prose194 – un primo terminus ante quem. Parimenti non si trova traccia dell’impiego del Libro de natura de amore di Mario Equicola, che avrebbe potuto fornire materiale per rimpolpare le scarne (o affatto vuote) schede relative a quegli autori che, citati da Colocci nel suo zibaldone, nel trattato dell’erudito ricevono l’onore di interi paragrafi: Guittone, Cavalcanti, Dante, Petrarca, Boccaccio, Ficino. L’edizione dell’opera è dello stesso anno delle Prose (Venezia, Lorenzo Lorio da Portes, 1525), ma, elaborata a partire dagli anni 14941496, era già pronta in una completa redazione manoscritta (che sarà tuttavia profondamente rimaneggiata per la stampa) tra il 1509 e il 1511195; si ricordi, per altro, che Colocci dovette essere in contatto con l’Equicola – con il quale intratteneva evidentemente scambi librarî – se nelle postille che quegli appone nei margini del suo canzoniere provenzale (M: Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. fr. 12474) compaiono frequenti riferimenti ad un «Liber Equicoli» o «Liber parvus Equicoli»196. La menzione di M richiama un’altra delle prove e silentio: non sembra che l’umanista si sia servito di questo codice, come avrebbe potuto fare se ne fosse già stato in possesso, per integrare gli esigui appunti relativi ai poeti provenzali, presenti in questo IV fascicolo. Dunque nel 1515 – anno entro cui acquistò, tramite la mediazione di Pietro Summonte, il 193 Cfr. E. CORRAL DÍAZ, Las notas coloccianas en el cancionero profano de Alfonso X, in Angelo Colocci e gli studi romanzi cit., pp. 387-404, pp. 396-402, che rintraccia due rimandi alle Prose annotati in prossimità della cosiddetta Tavola colocciana contenuta appunto nei ff. 300-307 di Vat. lat. 3217. 194 Sulla questione della datazione dei lavori preparatori per le Prose si veda l’Introdu-
zione a P. BEMBO, Prose della volgar lingua. L’editio princeps del 1525 riscontrata con l’autografo Vaticano latino 3210, edizione critica a cura di C. VELA, Bologna 2001, pp. XVIICXXIV, pp. XVII-XIX. 195 Si veda in proposito RICCI, La redazione manoscritta del «Libro de natura de amore» cit., spec. pp. 26-28. 196 Cfr. DEBENEDETTI, Gli Studi provenzali cit., p. 257 e rimandi.
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III . DATAZIONE
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codice dalla vedova del Cariteo197 – si potrebbe porre un’ulteriore limite prima del quale dovrebbero essere state redatte queste pagine. Né sembra, specialmente considerando le riflessioni linguistiche dei ff. 59-60, che nel periodo della loro compilazione, Colocci abbia avuto notizia del De vulgari eloquentia dantesco (di qui in poi Dve) – di cui invece, ad esempio, trascrive alcune parti e ad altre allude in Vat. lat. 4817, rispettivamente f. 284r-v e f. 62r – che si può supporre abbia avuto una pur limitata circolazione già dalla prima discesa del Trissino a Roma (1514), entro alcuni circoli umanistici198. Più certi sono i termini post quos, tutti199 ricavabili dall’allusione – e talora dalla trascrizione di passi da esse tratti – ad opere a stampa di cui si conosce l’anno della prima edizione. A f. 60r Colocci annota: «similmente elesio calentio splendor d’olimpo nel libro de | le sue cose latine ad me intitulato | scrive uno epigra(m)ma de ius et vis» (rr. 3-5). Il libro in questione sono gli Opuscula Elisii Calentii Poetae Clarissimi (usciti postumi – a cura dell’umanista e del figlio del Calenzio, Lucio – 197 Sulla questione si veda in primis ancora DEBENEDETTI, Gli studi provenzali cit., pp. 32-33 e ibid., Appendice I, pp. 299-301. 198 Cfr. C. PULSONI, Il De vulgari eloquentia tra Colocci e Bembo, in Angelo Colocci e gli studi romanzi cit., pp. 449-471. Non avrà infatti bisogno di supporre la conoscenza da parte di Colocci del trattato di Dante (cfr. per es.: «vulgarem locutionem asserimus quam sine omni regula nutricem imitantes accipimus» [Dve I, i, 2]) la designazione del volgare come «quella li(n)gua ch(e) [...] ne porge el lacte co(n) le canzo(n) della cuna» (Vat. lat. 4831 f. 59r, rr. 15-18), giacché, oltretutto, l’espressione compare sostanzialmente identica già nella citata Apologia (1503) per le rime di Serafino Aquilano («Benché nessun edicto ne prohibisce proferir quelle parole [...] che la nostra nutrice con le canzon de la cuna n’ha insegnato» [corsivi miei]; il testo dell’Apologia di Angelo Colotio nell’opere de Seraphino al magnifico Sylvio Piccolomini S. e benefactore, si può leggere in SERAFINO AQUILANO, Strambotti cit., p. 290-297; ma si vedano le interessanti argomentazioni – esattamente speculari a quelle qui proposte – di S. LATTÈS, La conoscenza e l’interpretazione del De vulgari eloquentia nei primi anni del Cinquecento, in Rendiconti della R. Accademia di archeologia lettere e belle arti della Società Reale di Napoli n.s. 17 [1937], pp. 155-168, pp. 160-165). 199 Fa eccezione il solo indizio (estremamente incerto, però) costituito dall’indicazione
di Fabio Vigili – «giovene singularissimo» – come informatore intorno ad un aneddoto relativo ad un incontro tra «Arnaldo men famoso» e papa Clemente V (f. 32r, r. 5). La data di nascita di Vigili (Vescovo di Spoleto dal 1540 alla morte, avvenuta nel 1553) non è nota, ma può essere posta approssimativamente intorno al 1480. La sua designazione come «giovane», invita a collocare la redazione di questo appunto nei primi anni del ’500; dal 1498 il Vigili frequentava la Biblioteca Vaticana (e non si può forse escludere che per questa ragione egli disponesse di informazioni che Colocci definisce «certe» intorno a Clemente V), tanto che rimane un inventario di sua mano composto sotto Giulio II tra il 1508 e il 1513 (cfr., per i rimandi necessari, J. BIGNAMI ODIER, La bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI, Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1975 [Studi e Testi, 272], p. 28 e p. 40, e anche la nota relativa al personaggio a foglio e riga indicati nella presente edizione di Vat. lat. 4831).
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118
INTRODUZIONE
da Besicken a Roma nel 1503), dove si legge anche l’epigramma cui ci si riferisce nell’appunto200. Ad anni posteriori al periodo 1501-1503, rimanda poi l’individuazione delle due possibili edizioni delle opere latine del Petrarca da cui Colocci dovette trarre i suoi appunti, specialmente riguardo a re Roberto d’Angiò (ff. 68r-76v), ma anche Tommaso da Messina (f. 45r-v) e Cino da Pistoia (cfr. spec. f. 52r). Come si illustrerà in dettaglio nelle pagine dell’edizione relative ai fogli indicati (a cui si rimanda) diversi indizi201 invitano appunto ad individuare le sue fonti o nell’edizione del 1501 «per Simonem de Luere» (che con il Rossi202 indicheremo come V2), o nell’altra, sempre Venezia, «per Simonem Papiensem dictum Bivilaquam», 1503 (che indicheremo come V3). La menzione che poi si trova del «Sabellico» a f. 72r, r. 8 tra gli autori da consultare su Roberto d’Angiò, specialmente in quanto accostata ad opere storiche a carattere enciclopedico (vi si citano probabilmente il Chronicon seu opus historiarum di Sant’Antonino Pierozzi, le Historiarum ab inclinatione Romanorum Decades di Flavio Biondo tra le altre203), invita a supporre che con questa laconica indicazione Colocci si riferisca alle Enneades o Historiarum rapsodiae enneadum de orbe condito ad annum salutis 1504 di Marcantonio Coccio detto il Sabellico, opera edita in due tempi a Venezia presso Bernardino e Matteo Veneti, nel 1498 e nel 1504. Ora, visto che di re Roberto nell’opera del Sabellico si tratta nella IX enneade, si dovrebbe desumere, a rigore, che, se a quest’opera si rife200 Per più precisi rimandi si vedano le annotazioni riguardanti le righe indicate di
f. 60r. 201 Tra i principali: la presenza nelle due edizioni delle opere latine che Colocci impiega
nei suoi appunti (i primi otto libri delle Familiares, le Seniles, il Bucolicum Carmen, i Rerum memorandarum libri e l’Africa); la stretta coincidenza tra le numerazioni delle lettere (f. 45r, r. 11: «ep(isto)la 33»; r. 34: «ep(isto)la 54»; f. 45v, r. 1: «ep(isto)la 58»; f. 55v, r. 41: «ep(isto)la famil(iare) 36 de matematicis»; f. 69v, r. 32: «ep(isto)le famil. 33»; f. 76v, rr. 23 e 27: «ep(isto)la 70 famil(iare)», «et nella 71») e dei trattati petrarcheschi (f. 48r, r. 2: «3 trac[ta]to delle memora(n)de. capi 46»), o di certe loro designazioni interne (f. 59r, rr. 3-4: «nel fine delle cose memora(n)de del petrarca»; f. 59r, rr. 10-11: «vide el petrarca de vaticinio») impiegate da Colocci e quelle delle due edizioni; l’impiego in esse di una sigla per la designazione dei destinatari ignoti di alcune Familiares («T. M.») che induce l’umanista ad identificarli erroneamente con Tommaso da Messina; l’allusione negli appunti di questo zibaldone ad una vita del Petrarca che è facilmente identificabile con quella composta da Girolamo Squarciafico, presente in entrambe le edizioni, ma non in quella delle Familiares da cui derivano (V1: Venezia, «per Johannem et Gregorium de Gregoriis fratres», 1492), con la quale condividono tuttavia – uniche nel panorama delle edizioni a stampa – la designazione del destinatario della Fam. III, 7 come «regius consultor». 202 Cfr. PETRARCA, Le Familiari cit., I, pp. XCIII-XCIV. 203 Un altro rimando a una di queste opere si legge forse anche a f. 49r, r. 7 (si vedano
le note relative).
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III . DATAZIONE
119
risce il rimando di f. 72r, dovremmo avere nel 1504 un ulteriore termine post quem. Più certo è invece il riferimento ai Commentariorum Urbanorum octo et triginta libri di Reffaele Maffei Volterrano di cui il f. 72v (rr. 11-40; si trova un rapido rimando all’opera anche a f. 51v, r. 6) riporta un ampio excerptum volgarizzato, tratto dal libro V della sezione Geographia. Anche in questo caso, l’anno di edizione della princeps – Roma, Besicken, 1506 – costituisce un limite oltre il quale porre la redazione di questi appunti204. Sintetizzando, si potrà dunque concludere – pur con l’incertezza sostanziale di cui si è detto per i termini ante quos – che gli appunti del IV fascicolo non possono verosimilmente essere posteriori agli anni intorno al 1514-1515205, né sicuramente anteriori al 1506.
III.5. V fascicolo Meno certi appigli per ipotesi di datazione – o meno univocamente interpretabili – offre il quinto fascicolo che tuttavia, come si accennava, risulta strettamente affine al precedente, sicché non parrà del tutto 204 Altra opera consultata da Colocci per la redazione degli appunti di questo fascicolo è il Supplementum Chronicarum (princeps: Venezia, Bernardino de’ Benali, 1483) di Giacomo Filippo Foresti, a cui mi sembra rimandino tre loci del codice (ff. 40r, r. 21; 55r, r. 8; 72v, rr. 8-9). Dell’opera si ebbe una seconda edizione accresciuta nel 1503 (Novissimae historiarum omnium ripercussiones, quae Supplementum Supplementi chronicarum nuncupantur, Venezia, Albertino di Lissona Vercellese) e di questa una ristampa nel 1513 (Venezia, Georgius de Rusconibus). Un esemplare di questa ristampa, segnato BAV, R. G. Storia II. 463, reca segni di consultazione che mi sembrerebbero riconducibili alla mano di Colocci: di alcuni di essi si darà conto nella nota relativa a f. 40r, r. 21, qui invece si potrà ancora aggiungere che una riga di scrittura a penna nel margine superiore destro del frontespizio reca, oltre ad alcune parole che non riesco a distinguere chiaramente, quella che a me sembra la menzione del nome di Fulvio Orsini («pros†...† su †...† Ful[vi] Ursini Catal. biblcae. co(mmun)is»), che farebbe pensare che questo sia un altro degli item colocciani passati poi nelle mani del bibliofilo (e non trovo allusioni a quest’opera in DE NOLHAC, La blibliothèque cit.). Tuttavia, non potendo collegare incontrovertibilmente l’impiego di questo esemplare alla redazione degli appunti del IV fascicolo (oltre all’inevitabile incertezza di identificazione di una mano sulla base di esempi grafici poco numerosi come quelli offerti dal volume in questione), si preferisce non annoverarlo tra gli elementi utili per la datazione, perché, non essendo una princeps (né una redazione manoscritta databile e di consultazione altamente probabile) non può costituire un limite cronologico sufficientemente saldo. 205 Il periodo può essere ulteriormente circoscritto (anche se sempre con un certo margine di incertezza) se si considerano – come è per altro verosimile – coevi e collegati a quelli del IV fascicolo anche gli appunti del V: si rimanda perciò al paragrafo seguente per altri elementi a riguardo.
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120
INTRODUZIONE
imprudente estendere ad esso pure, le conclusioni tratte per quello. Alcuni indizi specifici, ad ogni modo, possono essere rintracciati anche in questi fogli. In particolare al f. 104r compare una lista di nomi di poeti e intellettuali introdotta dal titolo «hoggi». L’interpretazione di questa indicazione è determinate per fissare un termine ante quem. Se infatti la si potesse intendere senz’altro come equivalente a quella – «çViçvçoçnoæ» – che si trova a f. 98r seguita però da due nomi cassati, la data di morte più antica relativa ad uno qualunque dei personaggi viventi al tempo della compilazione della lista ed in essa presente costituirebbe un limite sicuro entro cui collocare questi appunti. Come si vedrà però dal prospetto seguente, diversi elementi si oppongono ad un simile impiego dell’elenco. Al di là della difficoltà, in primo luogo, della decifrazione di alcuni nomi, di quella di identificazione del personaggio designato in secondo, dell’incertezza delle notizie relative a qualcuno dei personaggi pure identificati in terzo, si può constatare che la data di morte di alcuni di questi è troppo antica per essere verosimile, o è addirittura anteriore a quella di nascita di Colocci206. Riga Nome nel di f. ms. 104r 2 S. nicolo 2
Salazzaro
2
tibaldeo
2
piceno
2
calmeta
3
l’unico
Identificazione probabile / certa
Jacopo Sannazzaro Antonio Tebaldeo Benedetto da Cingoli Vincenzo Colli detto il Calmeta Bernardo Accolti detto l’Unico Aretino
Identificazione incerta
Data di nascita
Data di morte
Niccolò da Correggio
1450
1508
1457
1530
1463
1537 ~1495
1460
1508
1458
1535
206 È, ad esempio, il caso di Ciriaco d’Ancona (f. 104r, r. 13), morto a Cremona intorno al 1455. Tra l’altro poi, a f. 104r, r. 14 è citato un Giovanni Agabito che una decina di pagine prima Colocci aveva scritto essere morto in Assisi, dove egli stesso provvide alla sua sepoltura (cfr. f. 94v, rr. 8-9). Mi pare dunque poco fondata l’osservazione di CANNATA, Il primo trattato cinquecentesco cit., p. 190, secondo cui «nessuno dei poeti in elenco risulta morto prima del 1506»: le eccezioni non sarebbero le tre (una delle quali oltretutto dovuta ad una lettura di un nome che non mi sento di sottoscrivere) che ammette la studiosa, bensì circa una decina.
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III . DATAZIONE
3
beneveni
3
baccio
3 3
cortese chariteo
4 4 4
Anto da Ferrara dall’enzina thimoteo
4
portio (?)
5
constantino (?) Antonieto fregoso
5
5
marco
5
carbo(n)
6
cynthio
6 6
cornelio charisendo
6 6-7
alceo Johan Franco Caracciolo egidio
7
Girolamo Benivieni Bartolomeo Ugolino Paolo Cortesi Benedetto Gareth
121
1453
1542
?
1494
1465 1450
1510 1512/1515
Antonio «dell’Organo»
attivo 1508-1509 1469 1529 1447 1522
Camillo Porcari? Costantino Lascaris?
attivo nel 1514 1443
1501
~1460
~1530
Juan del Encina Timoteo Bendedei
Antonietto Fileremo Fregoso Marco Cavallo Anconetano Girolamo Carbone
1465
seconda metà XV sec.
?
? ? 1435/1440 ante 1506
Giovanni Francesco Caracciolo Egidio Gallo? Egidio da Viterbo?
Rustico ro:
7
bilancio(n)
8 8
saxo janni orbo
8
lapuccin
8
Angelo Galli Angelo Galli
1528
Pietro Leone da Ceneda? ? Giovanni Andrea Garisendi
7
~1524
Giuliano Perleoni
? 1470
1469
? ~1525
post 1524 1532
seconda metà XV sec. Bernardo Bellincioni?
Panfilo Sasso Giovanni cieco da Parma? Alessio Lapuccino?
1452
1492
1455 1527 seconda metà XV sec. 1453
1500 ante 1459
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122 8-9 10
INTRODUZIONE
Dolphi da bologna quarqualio
10
San pero ad vi(n)cola
11 11 12
Alexo Amati frate enea Gravina fallito bembo baldesar da castiglione cesar conzaga ciriaco d’ancona antiquario Johi Agabito
12 12 13 13
14 14 14 15 15
16
Franco Colotio cesarini bramante architecto pistoia giovine
17
thomasso rosello Anto Constantio pontio da missina cinico
18
fabio vigile
16 17
Floriano Dolfi
1445
1506
Cherubino Quarqualio Galeotto Franciotto della Rovere
seconda metà XV sec. 1508
? Enea Irpino? Pietro Gravina
1453
? ~1530 1528
Pietro Bembo Baldassarre Castiglione Cesare Gonzaga
1470 1478
1547 1529
1475
1512
Ciriaco di Filippo Pizzicolli
1391
~1455
Giovanni Agabito Francesco Colocci
seconda metà XV secolo 1499 Alessandro Cesarini
Donato Bramante Antonio Cammelli detto il Pistoia ? Antonio Costanzi Caio Caloria Giovanni Marco Cinico Fabio Vigili
?
?
1542
1444
1514
1436
1502
?
?
1436
1490
seconda metà XV sec. ~1430
post 1503 1553
Se dunque si volesse considerare il presente come un elenco di autori viventi – sia pure lasciando da parte almeno i nomi di Ciriaco d’Ancona e Angelo Galli – occorrerebbe collocarne la redazione entro il 1490 (data di morte di Antonio Costanzi) o per lo meno ai primi anni ’90 del Quattrocento, anni in cui Colocci (nato nel 1474) non risiede ancora a
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III . DATAZIONE
123
Roma. Ben è vero che tra il 1486 e il 1492 è a Napoli207 con lo zio Francesco – qui citato – e che vi ebbe contatto con personaggi illustri della cerchia del Pontano, ma anche concedendo che l’espressione «et q(ui) raco(n)ta la n(ost)ra academia» (r. 11) si riferisca ad essa e non, ad esempio, al circolo romano del Goritz208 o a quello di intellettuali che si riunivano intorno al Leto o più tardi al Colocci stesso209, sarebbe abbastanza difficile spiegare perché nella lista compaiano i nomi di personaggi (come il Gonzaga, il Castiglione o il Bembo) che, ancora affatto lontani dalla celebrità che ottennero poi, l’umanista a quei tempi difficilmente poteva conoscere e apprezzare di persona. Date queste considerazioni e rilevando anche le discrete oscillazioni nella collocazione temporale dei personaggi citati, che si possono desumere dalle ultime colonne dello schema, sembra più prudente considerare l’intestazione «hoggi» come semplice indicazione di generica contemporaneità. Il discorso è diverso per il titolo «çViçvçoçnoæ» di f. 98r, ma in questo caso le informazioni che se ne possono desumere sono assai poco incisive. I due personaggi i cui nomi cassati seguono l’indicazione, non permettono di fissare limiti cronologici sufficientemente sicuri o significativi: Antonio Tebaldeo morirà solo nel 1537 e l’altro personaggio – un Egidio –, a seconda che lo si voglia identificare con Egidio Gallo o con Egidio da Viterbo, offrirà le sponde rispettivamente di un incerto 1524 o del 1532. Quanto ai termini post quos, il primo è offerto dalla menzione del cardinale di «San pero ad vi(n)cola» che, se può essere identificato con Galeotto Franciotto della Rovere, inviterà a ritenere questi appunti successivi al 1505, anno di salita alla dignità cardinalizia del personaggio. Un altro fissa nello stesso anno un ulteriore limite e per le medesime ragioni: il «papiense» ricordato nella scheda relativa al Quarqualio (f. 101v, r. 6) dovrebbe essere Francesco Alidosi (ospite ed estimatore tra l’altro di quello che sarà un caro amico di Colocci, Scipione Carteromaco210), 207 E per altro nella lista è presente una ricca componente del milieu partenopeo, con i nomi di Sannazzaro, Gareth, Porcari, Carbone, Caracciolo, forse il Lapuccino e Gravina. Si noti di sfuggita che se questa fosse la collocazione cronologia corretta, l’identificazione del cardinale di San Pietro in Vincoli con Galeotto della Rovere verrebbe a cadere, mentre una più plausibile riguarderebbe Giuliano della Rovere, il futuro Giulio II. 208 Cfr. Coryciana cit., pp. 3-15. 209 Cfr. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., pp. 66-75 e note relative. 210 Cfr. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., nt. 32. Si noti che l’Alidosi fu ucciso
nel 1511 da Francesco Maria Della Rovere «con grandissimo scandalo di tutto il Christianesimo» come scrive l’Ubaldini (ibid., p. 25): un fatto davvero eclatante che dovette colpire non poco tutti coloro che gravitavano in quel tempo intorno alla corte di Giulio II. La mancanza di un qualunque accenno al fatto contestualmente alla menzione del «papiense», ben
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124
INTRODUZIONE
come la contigua menzione di un «Julius» verosimilmente identificabile con Giuliano della Rovere, suo amico intimo e poi potente protettore, potrebbe confermare211. Stando perciò ai soli elementi ricavabili dal V fascicolo, esso andrà collocato tra il 1505 e il 1537, ma, con ogni verosimiglianza, decisamente più spostato verso il primo dei due termini. Se poi si volesse accostare e considerare complessivamente – come si è più volte detto parer lecito – i due ultimi fascicoli, l’impressione che a mio avviso se ne può ricavare è che la loro compilazione difficilmente possa essere collocata molto oltre la prima decade del XVI secolo.
IV. CRITERI DI EDIZIONE iv. criter i di edizi one
IV.1. Il testo L’identità composita e in certo senso incompiuta, la natura, per così dire, di libro di lavoro – composto per lo più da appunti estemporanei, abbozzi e fugaci annotazioni – rendono questo codice un testo unico ed aperto alle interpretazioni. Questo stato di cose invita ad una presentazione del testo che sia il più possibile chiara, ma che al contempo non ne nasconda l’incompiutezza e consenta la verificabilità delle ipotesi ermeneutiche necessariamente implicate da un’operazione ecdotica. Quella che qui si fornisce è perciò un’edizione quasi diplomatica, o se si preferisce diplomatico-interpretativa, in ogni caso rigorosamente conservativa, come risulterà chiaro dall’esposizione dei criteri di trascrizione. Le stesse ragioni che hanno indotto la scelta di un rigorosa fedeltà al testo manoscritto suggeriscono l’opportunità di accompagnarne la presentazione con un corredo di annotazioni di commento che fornisca non solo ipotesi interpretative, ma anche alcune essenziali indicazioni per elaborarne altre e suggerire linee di ricerca.
lungi dal poter costituire un elemento probante, mi pare tuttavia non poter far a meno di conferire l’impressione che l’appunto vada collocato prima del tragico episodio. 211 Le osservazioni di CANNATA, Il primo trattato cinquecentesco cit., p. 191, offrono un
ulteriore ingenioso tassello: «Nell’elenco in questione viene infine nominato fra i poeti contemporanei “Bramante architecto” [f. 104r, r. 15], la cui attività di poeta fu circoscritta al suo periodo milanese, conclusosi nel 1499, e non compare invece Raffaello Sanzio – amico di Bramante e poeta forse migliore di lui – che arrivò a Roma solo nel gennaio del 1508». Dunque un ulteriore terminus ante quem, seppure fondato ancora su un argomento e silentio.
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IV . CRITERI DI EDIZIONE
125
Sulla base di queste considerazione si è dunque corredato il testo di due fasce d’apparato. Nella prima, che richiama i loci del testo attraverso l’indicazione del foglio e della numerazione delle righe, vengono riportate informazioni relative a fatti grafici discutibili sinteticamente. Nella seconda, impostata come un normale sistema di note a piè di pagina, vengono affrontati aspetti storici, letterari e filologici di cui si dirà.
IV.1.1. Paragrafazione e numerazione delle righe Nella trascrizione si è conservata, per quanto possibile, la ripartizione paragrafematica dell’originale. In esso, infatti, il trapasso da una porzione testuale ‘compiuta’ ad una seguente e distinta è rimarcato, di solito, dallo spostamento verso il margine sinistro della prima riga del paragrafo (più raramente lo spostamento è verso destra: cfr. per es. f. 94v, r. 14), spesso accompagnata da altri marcatori, come linee divisorie, più o meno lunghe, prossime al marg. sinistro o estese per tutto il foglio e spazi più o meno ampî lasciati bianchi tra le parti. Il primo aspetto è stato mantenuto anche nello specchio di scrittura, sicché tutti gli spostamenti di riga verso sinistra (o verso destra) che si incontrano nella trascrizione sono da ricondurre al manoscritto. Anche il conteggio delle righe fa riferimento all’originale, i cui a capo sono segnalati da barrette verticali (|), nell’edizione, nonostante questa presenti (salvo che per gli elenchi e le parti in versi in cui si è conservata anche graficamente la ripartizione dell’originale) una testura continua. Su questo aspetto sono opportune alcune precisazioni. Le barrette sono introdotte a marcare il termine di una riga sempre; quando mancano, perciò, significa che la riga del ms. prosegue fino alla barretta seguente. Le righe sono numerate solo tendenzialmente per multipli di cinque: per maggior chiarezza si è ritenuto infatti opportuno indicare sempre il numero della prima riga di un paragrafo, il che, come è ovvio, non poteva consentire l’applicazione di un criterio rigido. La testura continua, però, comporta che ben di rado l’inizio della riga della trascrizione coincida con quella del ms.: si tenga perciò presente il criterio per cui i numeri del margine sinistro corrispondono sempre alla riga del ms. che incomincia subito dopo la prima barretta visibile nella corrispondente riga dell’edizione (salvo, appunto, che nei casi delle righe che inaugurano i paragrafi e che si troveranno spostate verso sinistra o più raramente verso destra: in questi casi il numero si riferisce sempre ad esse). Naturalmente, nel caso in cui un cambio di pagina spezzi una riga del ms. non si troverà la barretta al termine della stessa. La numerazione
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INTRODUZIONE
delle righe riprende ad ogni cambio di foglio del ms. Per chiarezza, inoltre, è stata riportata in grassetto in capo ad ogni nuova pagina della trascrizione l’indicazione di foglio del manoscritto: fuori da parentesi quando coincidente con il cambio di pagina dell’edizione e in parentesi negli altri casi. Simili criteri di conservazione sono stati dettati dalla considerazione che, sovente, gli a capo e i salti di riga fanno un po’ le veci di una punteggiatura per il resto esigua ed ambigua, comunicando pause di senso e trapassi di argomento in argomento. Degli altri aspetti relativi alla scansione paragrafematica (linee e tratti separatorî, spazi bianchi) si rende invece conto nella prima fascia d’apparato secondo le modalità che si illustrano di seguito, con un’eccezione che richiede una breve precisazione. Lo spazio interlineare che separa le righe di scrittura del codice è abbastanza variabile (com’è naturale in un quaderno privo di rigatura, destinato ad appunti di lavoro), e oscilla mediamente tra i 6 e i 10 mm. Tuttavia le variazioni in questo ambito possono fornire indicazioni riguardo le dinamiche scrittorie e la genesi, la formazione e le modificazioni del testo (aggiunte successive possono ad esempio stiparsi negli spazi rimasti liberi, alterando le dimensioni originali dell’interlinea); o più semplicemente, possono costituire un ulteriore marcatore delle ripartizioni del testo. Di tutto questo si dà notizia nella I fascia d’apparato (e dove necessario se ne discute nella seconda), sicché sarà opportuno tenere presente che sono stati registrati solo gli scarti che apparivano significativi riguardo ai due aspetti appena esposti. In particolare si segnala che la notazione «spazio interlineare leggermente maggiore» (e simili), riguarda spazi compresi approssimativamente tra gli 11 e i 19 mm (giusta lo spazio interlineare medio di cui si è detto), e che delle spaziature più ampie si è sempre indicata approssimativamente l’estensione in cm, riproducendo (solo in questo caso) in modo simbolico212 anche graficamente questa circostanza. Della topografia dell’originale si è conservata anche la posizione dei titoli che, oltre ad essere spesso sottolineati (e tutte le sottolineature dell’edizione dipendono dall’originale) sono o posti in mezzo al foglio o spostati verso sinistra come avviene per lo più per le prime righe dei paragrafi. 212 Si è cioè sempre lasciata in bianco una riga della trascrizione (che non entra nel conteggio), anche quando lo spazio bianco del ms. era di svariati centimetri. Si precisa qui, inoltre, che per le numerose pagine in cui è trascritto un solo nome (ed il resto è lasciato bianco), esso compare sempre – salvo diversa indicazione – in alto nel foglio, per lo più al centro, o spostato verso sinistra. In questi casi non è stata segnalata la presenza di alcuno spazio bianco, bastando a far presente questa circostanza, l’indicazione subito susseguente di un cambio di foglio. I fogli invece interamente bianchi sono distinti dall’indicazione [bianco].
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IV . CRITERI DI EDIZIONE
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IV.1.2. Interpunzione, accenti e apostrofi Anche riguardo questi aspetti il criterio è stato tendenzialmente conservativo. Il testo non presenta molti segni interpuntivi, pur non essendone del tutto privo. Quelli presenti, poi, sono impiegati secondo modalità differenti rispetto a quelle odierne, non tuttavia prive di una ratio. In particolare nel codice compaiono tre tipi di segno: il punto (.), i due punti (:) e la barra obliqua (/). Il punto funge da semplice e generico separatore, sia nel passaggio da una frase ad un’altra, sia in un elenco di oggetti, di esempi (per es., f. 31r, rr. 15-16), in una sequenza di azioni, proposizioni – anche interne al medesimo periodo –, in una sequenza di passaggi logici. Può essere impiegato in serie di quattro o sei per lasciare spazio per l’inserimento di nomi, date o informazioni che si prevedeva di integrare in seguito (cfr. per es. f. 51v, rr. 7-8; f. 49r, r. 4; f. 55v, r. 21; f. 69v, r. 17). Infine una coppia di punti si dispone normalmente intorno a numerali o a singole lettere costituenti abbreviatura (come .s. per signore o .i. per id est). Analoga alla funzione demarcativa e di trapasso del punto sembra essere quella della barra, che può presentarsi anche doppia. In entrambi i casi la separazione dettata dalla barra è più forte di quella per cui viene impiegato il punto: essa può separare riferimenti a testi tratti da fonti disparate o da punti lontani della medesima (cfr. f. 12r, rr. 13-24). Quando compare all’interno di appunti costituiti dal volgarizzamento di brani non distanti, in pratica segnala l’omissione di qualcosa, e il richiamo compendioso del resto (cfr. per es, f. 74v, r. 23; f. 75r, r. 35). I due punti hanno invece una funzione più ambigua, genericamente riconducibile alla modalità dell’introdurre qualcosa: gli oggetti di un elenco, (ma possono anche separare gli oggetti dell’elenco stesso: f. 10v, rr. 18-20; o fungere da separazione generica: f. 49r, r. 12); un’eccezione (ff. 11v, r. 7); una spiegazione (f. 9r, r. 5; f. 68v, r. 11); una disgiunzione (f. 4v, r. 16); una citazione testuale (f. 45r, r. 5; f. 68v, r. 19); un appunto rivolto dal compilatore a se stesso, a mo’ di pro memroria (f. 56r, r. 21; f. 59r, r. 27). Naturalmente vengono anche impiegati – conformemente alle consuetudini tachigrafiche – per l’abbreviazione di nomi propri di persona (f. 52r, r. 18; f. 69v, r. 33)213. Intervenire dunque inserendo la punteggiatura secondo consuetudini attuali, avrebbe richiesto – e quindi offerto –, un’interpretazione in un certo senso perentoria e unilaterale del testo quale qui si vuole program213 Si segnala infine la presenza in quattro loci del punto interrogativo (f. 1r, r. 12; f. 12v, r. 5; f. 56r, r. 20; f. 75r, r. 4).
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INTRODUZIONE
maticamente evitare. Sarebbe inoltre stato assai difficile o macchinoso, per non perdere quanto documentato dall’originale, adottare criteri che distinguessero gli interventi dell’editore dall’eredità dell’autore. Per questo i segni interpuntivi che si trovano nell’edizione sono solo quelli presenti nel codice. Ci si è limitati ad aggiungere le virgolette a caporale («...») per le citazioni letterali di altri testi o per gli interventi di discorso diretto in eventuali narrazioni; il punto in alto (·) per segnalare i casi di raddoppiamento fonosintattico registrati dalla grafia stessa che ha provveduto in molti casi a univerbare parole contigue; il trattino (-) quando fosse risultato opportuno per ragioni tipografiche spezzare una parola nel trapasso da una riga alla seguente dell’edizione. Leggermente diverso, il discorso riguardo ad accenti ed apostrofi. Colocci non li impiega in questo ms., sicché, quando è stato possibile, li ho introdotti per chiarezza, consapevole che anch’essi costituiscono un’interpretazione, ma per lo meno dichiarata (nelle presenti righe) esplicitamente, e dunque in qualche misura esorcizzata. Caso a parte rappresenta il III fascicolo (almeno ff. 14r- 29r) che non è di mano di Colocci ed impiega apostrofi e accenti: qui, quelli dell’originale sono stati segnalati sottolineando e ponendo in neretto le vocali accentate e gli apostrofi stessi. Non si sono conservate le unità di scrittura dell’originale, dal momento che questo non altera (salvo casi dubbi evantualmente segnalati e discussi in nota) ed anzi facilita lettura e interpretazione del testo, sicché le agglutinazioni del tipo articolo+sostantivo, preposizione+sostantivo, clitico+verbo ecc. sono state scisse nelle rispettive componenti secondo i criteri moderni. Si sono invece conservate minuscole e maiuscole dell’originale e si è introdotta la distinzione tra u e v secondo l’uso moderno (che d’altra parte nella grafia di Coloci ben difficilmente si distinguerebbero). IV.1.3. Segni e simboli adottati nella trascrizione I segni tachigrafici, le abbreviature ed i compendî sono naturalmente stati sciolti, ma si è dato conto della loro presenza ponendo tra parentesi tonde le lettere che essi sottintendono (per es. cō = co(n); ulta = ult(im)a; cfr. f. 5v, r. 31). Questo per due ragioni. In primo luogo perché Colocci non impiega sempre i medesimi espedienti tachigrafici per le stesse parole, né, soprattutto, scrive sempre compendiate le stesse parole, sicché si sarebbe dovuto poi distinguere in qualche modo gli interventi dell’editore da quanto invece offerto dal testo. In secondo luogo, la difficoltà della grafia colocciana stende su gran parte del testo un’uniforme aura
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IV . CRITERI DI EDIZIONE
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d’incertezza (oltre al fatto che talvolta sembra adottare forme compendiarie personali, per così dire ‘idiografiche’, di cui i repertori non registrano attestazioni), che rende assai più prudente segnalare comunque la presenza di un compendio o di un’abbreviatura – quale che ne sia poi lo scioglimento da parte dell’editore – quasi come un ammonimento al dubbio e un richiamo alla natura ipotetica delle soluzioni proposte. In casi d’incertezza radicale si sono impiegate le cruces, trascrivendo tuttavia le lettere distinguibili con qualche margine di verosimiglianza intervallate da parentesi tonde che racchiudono un numero di puntini corrispondente al numero (ipotetico) di lettere che sfuggono alla decifrazione (per es. †A(..)o† ; f. 93v, r. 2). In casi di dubbio meno profondo e laddove, dunque, dal contesto era possibile ricavare il senso se non la lettera della parola illeggibile, si sono impiegate le semplici tonde coi puntini secondo i medesimi criteri. Quando invece una qualche lettura appariva possibile (magari basandosi solo sull’aspetto paleografico e prescindendo dal senso immediato) si sono semplicemente posti di seguito al segmento testuale incerto dei punti interrogativi tra parentesi (o, più frequentemente, l’incertezza della lettura è stata segnalata nella I fascia). Le parentesi quadre sono state adottate nel testo per le integrazioni (per es. crscere = cr[e]scere f. 9v, rr. 22-23), e le uncinate rivolte all’interno () per le espunzioni (per es. «q(uan)te volte »; f. 1r, r. 34). Le cassature – ma sull’argomento si tornerà di seguito – sono invece segnalate con le opposte uncinate (>.........acerbovanno cercando< vanno scorrendo. Vi è tuttavia il caso di cassature di parole che non vengono sostituite in alcun modo: anche di queste si dà notizia nella I fascia secondo le stesse modalità, indicando il loro punto di inserzione tramite generico richiamo al loro contesto (per es. a f. 45r, r. 31 Colocci scrive «così scrivendoli spesso», poi cassa l’ultima parola: a testo si è posto «così scrivendoli» e in I fascia: f. 45r, 31. scrivendoli]scrivendoli>spessoson< cresciuti. 4. Correzione tramite sovrascrizione e ripresa interlineare della nuova lezione. È sostanzialmente una variante del caso precedente. La correzione tramite sovrascrizione talvolta può infatti dare esiti non molto chiari visivamente. Questo ha spinto in alcuni casi Colocci, dopo aver modificato sul rigo i tratti della I variante per trasformarla nella seconda, a riprendere quest’ultima riscrivendola in chiaro nell’interlinea (analogamente alla prima tipologia correttoria). Per es. a f. 3r, r. 11 Colocci scrive in un primo tempo «se agi-
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INTRODUZIONE
tavano», poi corregge l’espressione trasformandola sul rigo attraverso sovrascrizione in «fugono», mantenendo della precedente lezione solo la -g-, quindi, per maggior chiarezza, sopra alla parola riscrive la nuova variante «fugono». In questo caso a testo si è posta la variante interlineare in neretto, e nella I fascia la seguente notazione: f. 3r 11. fugono] fugono corr. su se agitavano. IV.2.3. Altri tipi di intervento e impiego di segni speciali nell’edizione A corredo del testo Colocci talora pone nei margini, o comunque nell’esiguo spazio che esula dallo specchio di scrittura, brevi annotazioni, richiami e rimandi. A meno che non si trattasse di aggiunte il cui punto di inserzione risultasse chiaro, queste lezioni non sono state poste a testo, ma se ne è dato conto nella I fascia d’apparato ponendole tra losanghe (◊...◊) e indicandone la posizione nel foglio tramite l’indicazione delle righe in prossimità delle quali si leggono, completata da quella del margine in cui si trovano (marg. destro/ sinistro/ sup./ inf.) e della disposizione della scrittura nel caso che essa fosse diversa da quella del resto del testo (cfr. ad es. f. 52r, rr. 2-13)217. Le losanghe sono state anche impiegate per segnalare la presenza di tratti e linee che marcano i passaggi paragrafematici, il trapasso da una ad un’altra fase scrittoria, o che circoscrivono un’inserzione interlineare (inferiore) o altri tipi di glossa. In questo caso si è posto tra le losanghe la descrizione – in parentesi e in corsivo – del fatto grafico in questione, preceduto dall’indicazione delle righe tra le quali è presente e seguito da altre osservazioni relative alla sua posizione o alla sua funzione (per es.: f. 52r 39-40.]◊(lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, posta a separare r. 39 da r. 40). Nelle losanghe sono posti insomma (a parte le postille marginali) tutti quei segni non propriamente scrittorî che possono accompagnare un testo, come ad esempio – oltre ai casi già citati – asterischi (vd. ad es. f. 9v, r. 11), croci (vd. ad es. f. 5v, r. 1) e maniculae (vd. ad es. la I fascia di f. 59r 39.] ◊"(manicula)◊ il segno posto nel margine sinistro sottolinea l’importanza della conclusione a cui si giunge in questa riga) che si è tentato di riprodurre anche graficamente attraverso l’introduzione di piccoli simboli.
217 Non sono rari i casi, infatti, in cui queste annotazioni si dipanino verticalmente (pa-
rallele dunque al lato lungo del ms.): in questo caso si è indicata anche la direzione della scrittura (dal basso verso l’alto o dall’alto verso il basso).
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IV . CRITERI DI EDIZIONE
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IV.2.4. Prospetto riassuntivo dei segni e degli espedienti grafici adottati nell’edizione ( ) [ ] < > † † (..) (?) > < ◊ ◊
scioglimento di tituli, abbreviature e compendî integrazioni espunzioni lezioni indecifrabili non intuibili lezioni indecifrabili ma intuibili lezioni incerte cassature (e in caso di lettura incerta: >? ??no(n) (.)es(.)i(.) hanno?< con ne corr. su —no di hanno. pullulan] lettura incerta: pul- corretto forse su gli-. 53 Si è inteso smania sostantivo e oggetto di patér, come freddo. Quanto al significato di questa parola si può accogliere il primo suggerito da GDLI: «stato di agitazione fisica e psicologica provocato da alterazioni fisiologiche, da tensione nervosa, da evidenti eccessi febbrili o genericamente morbosi, da condizioni ambientali sfavorevoli, ecc.». Tuttavia non sono registrate attestazioni del termine in autori in qualche modo vicini al nostro (Sannazzaro, per esempio, nell’Arcadia non usa questa parola in rima, preferendole zizania o dilania). Perché la frase abbia senso, infatti – sempre che la lettura sia corretta – occorrerà perciò intendere la grafia elcaldo come en (e)’l caldo con assimilazione della nasale non registrata dalla grafia. 54 Cfr. Vat. lat. 4818: «struggere | fuggere | sugerre [sic] | aduggere | ruggere», f. 119r,
III. 55 Cfr. Vat. lat. 4818, che riporta due serie di queste rime: «fascino | frascino | pascino | nascino | lascino | abassino [sic]», f. 117v, III, e «frascino | pascino | nascino», f. 120r, I. 56 Lettura congetturale: il senso potrebbe essere qualcosa come «è tempo per noi di fuggire». 57 La parola è registrata da GDLI col significato, tra gli altri, di «influsso malefico,
malia», un incantesimo dunque, ed è questa pressappoco l’accezione con cui la utilizza Sannazzaro nell’Arcadia che, a quanto pare, sembra essere modello per il presente componimento (si confrontino metro, stile e temi, rime e lessico, in special modo della VI egloga). Ecco un esempio: «Ai loro agnelli già non noce il fascino / e che sia in erbe o incanti che possedano, / e i nostri col fiatar par che s’ambascino» (Arcadia, II, 51-53). 58 Per la rima cfr. Vat. lat. 4818, che riporta: «homini | abhomini | romini | nomini | D(omi)ni», f. 117v, I. 59 Cfr. Vat. lat. 4818: «Latio | spatio | satio | rengratio | stratio | desgratio», f. 121r, III.
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VAT. LAT. 4831
(f. 3r) 5
10
credese al t(em)po n(ost)ro altro solatio Ch(e) bramar sangue tener oro60 et porpora61 Dove è l’impio re stranio e non(?) satio >ch’inutil non sia rector talvolta dubito?(.)o(n) (..)ubito?Mostrano quanto è instabilespiritomiserabilem’ha(n)no i(n)volato egli è pur troppo licentia?i cani homai si sano?abcrealtro repar non ce è< ch’aver. 33.] lettura incerta per macchia d’umidità. duolmi no(n)] duolme >?repassai?nelcapelles(er)penti< . 14. †(...)†] parola incomprensibile (deve essere trisillaba e si distinguono gli occhielli di un gruppo —gg—). 94 L’integrazione è suggerita dalle rime successive, del resto la scrittura di quest’ultime righe è ‘volante’ e il segno verticale che conclude la parola funge da abbreviazione per la nasale. Per la rima, cfr. Vat. lat. 4818: «Termine | fermini | Termini | extermini | vermini», f. 118r, IV. 95 La rima di questa parola non si legge bene e questo avviene in tutti e tre i casi in cui compare (leggermente più chiara la rima del verso di riga 6). Per la plausibilità della parola messa a testo si confrontino i seguenti versi di Sannazzaro «L’invidia, figliuol mio, se stessa macera / e si dilegua come agnel per fascino, / ché non gli giova ombra di pino o d’acera» (Arcadia, VI, 13-15). 96 Sulla legittimità di una simile forma toscana di passato remoto cfr. ROHLFS § 568. 97 Altra parola-chiave, così come sinodal, che sembra confermare l’ipotesi dell’allegoria
ecclesiastica avanzata alla nota 52. 98 Parola di incerta lettura, sembrerebbe doversi leggere nuovamente e ’l Tevere o a be-
vere. 99 Cfr. Vat. lat. 4818 «sgridolo | fidolo | idoli | ridolo», f. 123r, I. 100 Cfr. Vat. lat. 4818: «zucheri | mucheri | sollucheri», a f. 121v, III, ma a f. 123r, III
riporta anche queste parole: «liq(uo)r dolce de m(.) | solluchero | buchero» e a f. 123v, III, «ma imbuchero | mucaro mele | zucaro».
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VAT. LAT. 4831
(f. 4r) 15
20
ma hor crescono l’ymagine colli101 ydoli102 contento fu che i(n) men bel saxo bucheri103 et com’i(?) taxi et talpi per le groctole104 benigni fructi e dolci (…)de mucheri105 colme eran de vïol q(ue)ste vïoctole l’acqua fu spechio dell’età primotica106
f. 4r 15. crescono] corr. su >son< cresciuti. l’ymagine colli]>?e mascheran?< . 16] lettura incerta e congetturale 18. (...)de] lettura incerta (deve trattarsi di bisillabo). 101 Forse nella cassatura che compare sulla linea dovrebbero rientrare anche le parole e l’ – pleonastiche dopo la modificazione del verso che introduce colli – che rendono ipermetro il verso. 102 Se la lettura è esatta, qui (rr. 11, 13, 15) abbiamo un’altra rima identica (cfr. f. 3r, rr. 9, 11, 13). Verrebbe fatto di pensare che si tratti di un procedimento analogo e speculare a quello adottato da Dante nella Commedia dove è solo il nome di Cristo a poter rimare con se stesso: come ad istituire un implicito controcanto qui sono gli idoli che rimano allo stesso modo (così come a f. 3r era – direi significativamente – la parola «seculo»). 103 La parola qui deve essere una forma verbale da bucherare. L’alternativa e di ritenere la parola plurale di bucchero nell’accezione, registrata da GDLI, di «terra odorosa, di colore per lo più rossastro-scuro, usata nel secolo XVII per fare pastiglie per profumare le stanze, ma soprattutto per fabbricare vasi e tazze che conservano fresca e gradevolmente profumata l’acqua. – Anche: argilla nera di cui sono impastate le terracotte etrusche». Questa forma tuttavia è attestata solo un secolo più tardi, a partire da Redi e Magalotti e del resto la parola spagnola da cui deriva quella italiana compare per le prime volte in documenti d’area iberica tra il 1526 e il 1539 (cfr. GDLI, lemma Bùcchero). Bucherare nel senso proprio di «far buchi» è invece attestato a partire da S. Bernardino da Siena e nel contemporaneo (di Colocci) Firenzuola; nel senso figurato di «intrigare, brigare» o «procacciar voti», poi, è attestato in Pulci e Poliziano, autori letti e conosciuti dall’umanista (cfr. GDLI, lemma Bucherare). Il riferimento nelle righe seguenti alle tane di tassi e talpe non fa che confermare l’interpretazione. 104 Cfr. Vat. lat. 4818: «froctole | noctole | vioctole | Groctole no(n) p(...) | colloctole», f. 121r, IV. 105 Questa curiosa parola, che il GDLI esemplifica da un volgarizzamento di Zucchero Bencivenni citato dal Tommaseo, significa «infusione di essenze vegetali odorose, prodotta mediante la macerazione di fiori in acqua» (GDLI, lemma Mùcchero). È anche attestato il lemma Mùcchera, una qualità di zucchero araba, che suggerisce per l’ultima parte del verso una lettura del tipo «pan de mucheri» con una p però dalla forma piuttosto strana. Il confronto con le rime e le annotazioni di Vat. lat. 4818, riportate a nota 100, aiuta a chiarire e forse indirizza verso l’accezione riportata da Bencivenni, se si accetta che il «liquor dolce» di f. 123r equivalga al mucheri e mucaro delle altre due brevi liste. 106 Questo curioso aggettivo non trova altre attestazioni; suppongo che il senso sia qualcosa del tipo «originaria, primitiva», con riferimento appunto all’età dell’oro di cui si parla in questi ultimi versi: l’acqua nella sua limpidezza ne sarebbe immagine, dunque spechio. In ogni caso le rime dei corrispondenti versi seguenti non aiutano nella lettura della parola, visto che anche la loro è dubbia. Quanto alla rima, cfr. Vat. lat. 4818: «cotica | errotica | primotica | exotica», f. 122v, IV.
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I FASCICOLO
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(f. 4r)
25
pectina el rastro †e(…)nge† virtù i(n) froctole Ma poi ch(e) scese i(n) questa vita errotica107 Volse l’ambition l’invedia allidere108 Ch(e) mi fa p(er) dolor grandar la cotica [s?]e la fortuna cominciò ad arridere a chi pone i(n) al(...) e ch’i(n) desgratia
far pianger la virtute et vitij109 ridere et crebbe tanto la mortal audatia ch(e) del mar ocean l’onde se solcano 30
e nello i(n)ferno anchor s’aq(ui)sta gratia
et dove i(n) ciel se levano e si colcano vanno scorre(n)do a la co(n)trada Ausonia110 et sol co(n) mo(r)te i van pinsieri adolcano Metalli pietre p(er)le et mercemonia 35
nelli peregrin porti i(m)ballano e mercano111 Spogliando colco112 su p(er) l’onda emonia113
f. 4r 21-22.] righe di lettura incerta. 21. †e(…)nge†] >e dolcevanno cercando< vanno scorrendo. 35. i(m)ballano] lettura incerta: -b- corr. su -t-, -no corr. forse su ch(e); nell’interlinea segno di compendio cassato. 107 Altra parola dal senso oscuro anche se la grafia non lo è altrettanto. Il significato sembrerebbe essere riconducibile all’errare/errore. La parola letta come vita ha però un tratto che ricorda vagamente un compendio ma che potrebbe essere semplicemente il puntino della i. 108 Cfr. Vat. lat. 4818: «ridere | stridere | dividere | recidere | desidere | occidere | conquidere | assidere | desidere | allidere | elidere | decidere», f. 119r, II. 109 La parola andrà considerata bisillaba nonostante la doppia -ij della desinenza. 110 Cfr. Vat. lat. 4818, che riporta le rime: «demonio | emonio | Ausonio | eliconio | Aragonio | Testimonio | cerimonia», f. 122r, IV. 111 Il verso nella lettura proposta risulta ipermetro di una sillaba, ma non si è saputo trovare una lettura alternativa che risolvesse l’irregolarità, a meno di supporre che si tratti di semplice ipermetria ottica e che la prassi declamatoria avrebbe ovviato automaticamente all’irregolarità del metro, magari pronunciando la parola «imballano» (per altro di lettura incerta) come imballo, sulla base di forme del tipo del colco della riga seguente. 112 Parola dal significato oscuro in questo contesto sintattico. Potrebbe essere una forma da colcare (=coricare o collocare; cfr. r. 31, f. 4r), forse con desinenza di terza plurale apocopata tipica dell’area umbro-laziale-marchigiana (quella di provenienza di Colocci). Per accettare l’ipotesi occorre ipotizzare una forma del tipo colcono per un verbo in -a-, non ignota al fiorentino e ai dialetti del Lazio settentrionale (per tutto questo si confronti ROHLFS § 532). 113 «Della Tessaglia», dalla voce latina Haemonium (attestata da Ovidio in poi), a sua volta derivata dal nome greco della Tessaglia *Aimonæa, dall’eponimo *Aæmwn.
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VAT. LAT. 4831
(f. 4r)
el ventre de la matre i(n)quiro114 et cercano p(er) trovar oro e ferro e cose tentano115 […..]ir116 metal no(n) se recercano f. 4v
Questi novi giganti in ciel s’aventano Qual volse el fuoco dal gra(n) carro toglie[re] Et miseri mortal hor si ne pentano Et la saetta a dio voglien ritogliere Ch(é) solpheri et salnitri i(n) terra bombano117
1
5 (6)
p(er)ché ognu(n) cerca el phrigio nodo118 sciogliere. U119 Doncha è meglio sentir l’alber ch(e) tro(m)bano120
f. 4r 37. inquiro] lettura incerta. 39. [.....]] lacuna dovuta a rifilatura del margine inferiore. f. 4v 4. saetta] lettura incerta. 6. ]>questo postucto< 114 La parola sarà forse da intendere come terza persona plurale da ricondurre al lat. INQUIRUNT, e
genererebbe endiadi con cercano.
115 Per la rima cfr. Vat. lat. 4818: «sgomentano | augmentano | sentano | ramentano |
consentano | stentano | lamentano | aptentano | deventano | Tratano [sic] | aventano | pentano», f. 117v, III. 116 Spuntano ancora dalla rifilatura l’occhiello dell’asta forse di una d, due aste appartenute forse a due ll e alcune lettere che insieme alle prime messe a testo sembrano essere ornir, ma senza nessuna sicurezza per tutte. Le sillabe mancanti, in ogni caso, compresa la congetturale -ir, sono quattro. 117 Cfr. Vat. lat. 4818: «ribombano | trombano | frombano | piombano | soccombano | sintombano», f. 117v, I. 118 Come è immediato supporre, qui si tratterà del celebre nodo di Gordio, re della Frigia, sciolto da Alessandro Magno, di cui narrano moltissimi storici antichi. Di quelli accessibili a Colocci – perché presenti nella sua biblioteca – si possono segnalare i testi di Tito Livio (Inc. S. 4; Ald. I. 44; Ald. III. 79), Ab urbe condita libri, XXXVIII, 18; Plinio (R. I. III. 999; Vat. lat. 3861) Naturalis Historia, V, 146 e Plutarco (Vat. lat. 1883 e 2946; Ald. I, 2325; Inc. II. 242), Vita Alexandri, 18 (le segnature indicate in relazione a ciascun autore si riferiscono agli item della biblioteca dell’umanista identificati tra i fondi della BAV: per una sintesi della questione vd. BERNARDI, Per la ricostruzione cit., pp. 21-83). 119 Solita notazione per indicare il cambio di interlocutore: interviene nuovamente
Urano. 120 La parola è registrata nell’accezione di stormire (significato 13 del lemma Trombare) in GDLI che esemplifica con una citazione dal Poliziano (Favola di Orfeo, v. 88) che sembra
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I FASCICOLO
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(f. 4v) 10
15
Colle lor cime e gli ocellin che strillano Et dolci limphe ch(e) dal mo(n)te pio(m)bano O q(ua)n(do) d’un bel pomice121 destillano Queste fresch(e) chiarite o(n)de piacevole122 Ch(e) le tube e campan ch(e) a mo(r)te squillano O poggiar123 qualche colle ameno agevole Nel dolce t(em)po: o q(ua)n(do) orione124 ha furia125 redursi alla spelunch(a) dilectevole Lassar da p(ar)te que’ bondì126 de’ curia
f. 4v 14. mo(r)te] lettura incerta (potrebbe trattarsi di mo(n)te o nocte). 17. dilectevole] la parola sembrerebbe in realtà scritta dilectovole (sarà un semplice lapsus calami indotto dalla radice dilecto: del resto la serie rimica è piuttosto sicura). modello straordinariamente vicino ai presenti versi (ricorrendovi, per di più, rime che lo stesso Colocci usa), per cui si crede bene di riportarla col suo contesto: «E’ non è tanto il mormorio piacevole / delle fresche acque che d’un sasso piombano / né quando soffia un ventolino agevole / fra le cime de’ pini e quelle trombano; / quanto le rime tue son sollazevole, / le rime tue che per tutto rimbombano». Poliziano era autore conosciuto e ammirato da Colocci (il suo nome è presente nel codice a f. 82r). 121 Altra parola attestata in Poliziano nel senso generico di roccia e in un contesto simile: «L’acqua da viva pomice zampilla / che con suo arco il bel monte sospende» (Stanze cominciate per la giostra di Giuliano de’ Medici, I, 81, stampate per la prima volta nel 1494). 122 Cfr. Vat. lat. 4818: «lacrimevole | piacevole | dilectevole | solazevole | desdicevole | agevole | rendevole | amorevole», f. 118v, I. Quanto alla desinenza -e dell’aggettivo in rima in questo verso si veda ancora ROHLFS § 366. 123 Il verbo poggiare è probabilmente utilizzato nella sua accezione transitiva di «risalire (una china, un’altura)» (cfr. GDLI, voce Poggiare2 significato 5): il verbo è attestato (come esemplifica GDLI, appunto) in Sannazzaro. La stessa accezione si trova già in Petrarca: Rvf 10, v. 8, «...e ’l bel monte vicino / onde si scende poetando e poggia». 124 Come è noto, Orione è una costellazione dell’emisfero australe: la sua comparsa nel
cielo, un tempo, era collegata con la stagione più difficile e pericolosa per la navigazione, per questo di seguito si allude alla sua furia; per un’idea analoga si veda ad esempio Rvf 41, 9-11: «Allor riprende ardir Saturno e Marte, / crudeli stelle; et Orione armato / spezza a’ tristi nocchier governi e sarte». Si ricorda di sfuggita che anche dolce tempo è sintagma petrarchesco (cfr. Rvf 23, 1) 125 Cfr. Vat. lat. 4818: «penuria | etruria | ingiuria | furia | luxuria | vecturia | curia | incuria», f. 121r, I. 126 La lettura sembrerebbe abbastanza sicura, anche se il senso non è chiarissimo: po-
trebbe trattarsi di un’allusione a qualche consuetudine simile alla salutatio. L’uso sostantivato di bondì (o buondì) è già in Boccaccio (vd. Buondì in GDLI).
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170
VAT. LAT. 4831
(f. 4v) 20
25
30
Li papagalli d’Affrica et de l’Asia Ch(e) Babilonia allecta et suo127 luxuria Quelli pastor e i(n) bisso se do128 agia129 Al ventre al so(n)no >ce volse far intendere< nuguli130 P(er) discretione e p(er) antonomasia Corido hor fa ch(e) le chiostre alpin frugoli131 Ch(e) ria novella mai no(n) senta o strepiti132 e col to exempio I’ anchor biastemo e fugoli133 No(n) hai più cura al render delli i(n)debiti Lieta è la mensa tua lieto el cenaculo Chiusi ch’hai l’ochi hai pagati i tui debiti Sta q(ui) i(n) patientia e p(er) ben fermo oraculo Credi ch(e) è saggio el gra(n) pastor d’Ausonia134
f. 4v 20. Babilonia] con la prima b- corr. su p-. allecta]>attende< allecta. 24. Chorido... fa]>Thirsi è ragionè cagio(n) ch’ogni cosa i(n) terra germini< tucte le cose variando i(n)formano
35
40
f. 5r 1
le tenebre la morte el t(em)po lucido né viene a caso e così a caso termina et l’homo l’homo fa de sole et mucido139 la terra el foco l’aere e l’acqua germina
f. 5r 1. la morte]>el dì l’ombrasì gravela libertate< ho p(er)so el te(m)po. 21. doman] lettura incerta. 22.]◊U◊ marg. sinistro (intervento di Urano fino a r. 23). 23. la] corr. forse su ling relitto di una precedente variante incipiente. 24.]◊C◊ marg. sinistro (intervento di Corido fino a r. 27). 26. m’ami]>brami< m’ami. 27.]◊u◊ marg. sinistro (intervento di Urano). fino] lettura incerta. 28.]◊c◊ marg. sinistro (ultimo intervento di Corido fino a r. 32). pu(n)ta] lettura incerta (potrebbe essere anche pietà o pietra). 29. il mo(n)do] il >ciel< mo(n)do.
167 Le due brevi parole sono vergate con la solita grafia corsiva che ne rende incerta la lettura, tra di esse c’è uno spazio apparentemente vuoto ma con macchie che potrebbero far pensare a lettere o segni non più visibili. 168 Cfr. Vat. lat. 4818: «florido | corido», f. 118v, III. Il secondo nome sembrerebbe provare per la riconducibilità di queste pagine di Vat. lat. 4818 al medesimo progetto che coinvolge i presenti fogli di Vat. lat. 4831. 169 Compaiono solo qui questi due nomi, probabilmente usati per designare altrettanti pastori che hanno preceduto Corido nel suo gesto estremo. 170 Cfr. Vat. lat. 4818, che non riporta la rima -assami, ma vi si leggono quelle in -assa-
no: «lassano | passano | cassano | abassano | compassano | amassano | tassano | relassano», f. 117r, I. 171 Il nesso -au- (qui e nella parole-rima di rr. 29 e 31) andrà considerato dieretico,
come già si è fatto per le rime di f. 3v, rr. 15, 17, 19 (a cui si rimanda), per consentire la clausola sdrucciola.
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I FASCICOLO
177
(f. 5v)
e chi vi(n)ce se stesso è gra(n) victoria172 qui co(n)siste i(n) honor l’ult(im)a laüde U. no(n) ti dà gr(ati)a i(n) ciel né i(n) terra gl(ori)a la cruda mo(r)te anzi u(n) mal fin viptupera173 dell’insudata vita ogni memoria el biasmo col morir no(n) se recup(er)a co[n] poco sangue aq(ui)star fama è facile valor chi senza morte i(n) virtù sup(er)a Io ho visto d’alto cacciò174 el corpo gracile ch(e) di (?)facile e presto(?) hoggi ha merto Hercole175 leto render cercola è ben vero176 Ch(e) gli occhi de Cervero ha ’l bono amico Io so ben quel ch’io dico et fiati caro Ch(e) bench(é) ’l ciel di rado apra le porte va(n)
30
35
40
f. 6r-v
[bianco] f. 5v 30. è] lettura incerta (i tratti della è sono disarticolati). 33. ti] corr. su ta-. 37-44.] la lettura di questi versi è assai difficoltosa è lascia grandi margini di incertezza: la scrittura si infittisce: diminuisce l’interlinea e le righe si stipano entro il margine inferiore. 38. valor] lettura incerta. 44.va(n)] seguono nella riga sucessiva alcune parole fin presso al margine destro, delle quali si intravedono solo i tratti superiori: una rifilatura tarda ha asportato parte della scrittura.
172 Cfr. Vat. lat. 4818: «historia | memoria | gloria | victoria | notoria | boria | scoria», f. 122v, II. 173 La grafia rende un po’ perplessi, ma trova un riscontro anche negli elenchi di Vat. lat. 4818, dove, a f. 122v, I, si legge «supera | recupera | viptupera». 174 Queste due parole non convincono molto; sembrerebbero alludere al fatto che il
soggetto si sia buttato giù da qualche luogo elevato. 175 Da questo punto la scrittura si infittisce, inoltre gli ultimi versi sembrano essere rimasti allo stato di abbozzo estemporaneo: lo rivelano le rime che, se da r. 42 sono piane (anche se della rima di r. 44 non è possibile dire nulla), già dalla presente si mostrano isolate. 176 Il verso è incompiuto: se almeno sillabicamente la lettura è verosimile, manchereb-
be un trisillabo sdrucciolo (che cominci con consonante) a completare il verso con la rima. Questa e le tre righe che seguono sembrano aggiunte in un secondo momento e comunque con un inchiostro diverso, più scuro e meno fluido, confrontabile con quello usato per la numerazione delle pagine.
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II FASCICOLO
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II FASCICOLO
181
f. 7r
çGçuçalçteriæ1
1
f. 7v
[bianco] f. 8r-v
[bianchi] f. 9r 1 5
Un cavalieri ama lei smisurate et [ell]a | no(n) ama lui onde egli se vole da | tale amor p(ar)tire. ella no2.llassa. dice | .G.3 ch’(e)lla deve e(ss)er tenuta do(n)na senza | prodezza : q(uia) stultu(m) e(st) ad voler | e(ss)er amata et no(n) amar(e) et doma(n)|dare q(ue)lla cosa la quale tu negaresti | a(..)i4 |
f. 9r 1. cavalieri] la seconda -i molto lunga sotto il rigo è corr. su -o. [ell]a] lettura incerta a causa della consunzione del margine destro del foglio. 5. ad] ad >adquella di< de mi. 31. .i(d est).] >et l’altro< .i(d est).
Questo poco tempo dura; e d’avere oprati li atti di quello, uomo si pente. [...] E così l’amore puro e mischiato riamane [sic] approvato da me; ma più mi piace lo prendimento delli atti dello amore puro». 38 Queste due righe sembrano alludere sinteticamente a una lunga argomentazione, infarcita di citazioni scritturistiche, che si trova in De amore, pp. 217-225 (I, VI, H); riporto solo un breve brano, che più d’altri sembra vicino concettualmente a quanto qui si afferma, e che compare a p. 219: «Ma se lo ufficio della lingua fa dirittamente, degli altri commessi peccati [il chierico] più gravemente che ’l laico non sarà da punire, con ciò sia cosa che naturalmente di carnalità sia tenuto, siccome li altri mortali». 39 Cfr. De amore, p. 231 (I, VI, H): «Amore è cosa graziosa, che da sola liberalità di mente e nobiltà di cuore procede», ricalcato quasi alla lettera. 40 Nel ms. sembrerebbe di dover leggere ille, tuttavia il confronto col volgarizzamento suggerisce che a porre la questione non fosse l’amante (quale dei due, poi?), a cui un ille dovrebbe corrispondere, bensì la donna, per la quale ci aspetteremmo appunto un illa. A favore di questa interpretazione sta anche l’aggettivo possessivo suo, la cui natura riflessiva ce lo fa riferire al pronome dimostrativo che funge qui da soggetto, che a questo punto non potrà che essere illa, dal momento che non è in questione, qui, chi sia degno dell’amore di uno degli amanti, bensì chi dei due amanti lo sia di quello della donna. 41 La curiosa questione che qui si pone è proposta dalla «più gentile» al «più gentile uomo» (cioè al chierico), come un caso a lei affidato, ma di cui chiede consiglio allo spasimante per saggiarne la sapienza in fatto d’amore. Questi risponderà, ampiamente argomentando, secondo la conclusione che trae Colocci sinteticamente alle rr. 34 e 35 di f. 10r. Cfr. De amore, pp. 241-243 (I, VI, H): «Una femmina di maravigliosa prodezza, essendo da due richiesta d’amore, volendo l’uno da sé partire e l’altro tenere, disse loro gabbando “L’uno di voi prenda di me la parte di sopra, e all’altro la parte di sotto rimanga”. Ciascuno de’ quali sanza indugio sua parte prese, e ciascuno dice avere preso meglio, e contende d’essere d’amore più degno che l’altro per la migliore parte ch’ha presa. Ma la savia donna non vogliendo lo suo amore sanza providenza gittare, di consentimento delli litiganti, domanda che per mio consiglio difinito sia quale di loro due ha preso migliore parte». Ed ecco il parere del chierico: «Nessuno può con ragione dubitare che il prenditore della parte soprana è più da lodare che quello della parte sottana. [...] Sicché il prenditore della parte sotto dell’amore è da cacciare come cane, e quello della parte sopra, siccome naturale, è da tenere».
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II FASCICOLO
191
f. 10v 1 5
10
A una è dicto ch’(e)l suo amante | è morto i(n) ègypto.42 essendo vivo | lei facit Iusta et q(ue)l ch(e) se rechied[e] | alla morte di tal amor(e). poi p(re)[n]d[e]43 | un altro. Torna el primo. petit illa | qual dee tene(re) .G. ch(e) se ella ha | spirito d’amor(e) o pote have(re) et | sforzandosene verso el primo | ch(e) ella dee lassar(e) el s(econd)o et | tener el p(rim)o44 | el men p(er) ch(é) morio45 |
f. 10v 9. dee] con la seconda -e corr. su -a. 11. el... morio] lettura incerta; queste parole sono spostate verso destra e dunque precedute da uno spazio bianco.
Gli inserti in latino nelle righe di Colocci sembrano aderire piuttosto precisamente alle corrispondenti frasi italiane. Va segnalata anche la presenza di un’aggiunta, e cioè quel «i(d est) dal bellico in suso». Potrebbe trattarsi di una semplice interpretazione di Colocci, ma occorre anche tenere presente che una certa tendenza all’espansione didascalica è tipica dei volgarizzatori. Del resto B esplicita il senso spaziale della battuta della donna rendendola però in discorso indiretto – il che ce lo fa rifiutare come modello immediato per Colocci – così: «che l’uno avesse quella parte e’ volesse, o dalla cintola in giù o l’altro da indi in su». Di fatto la battuta nel testo latino suona così: «Alteri vestrum mei sit pars superior electa dimidia, et pars inferior sit alteri designata petenti». 42 La specificazione del luogo è probabilmente un’innovazione del testo che Colocci ebbe sott’occhio giacché R non ha nulla di simile, e anche B scrive semplicemente «il quale andò nell’oste del re, ...», laddove il latino ha «quum [nobilis amator] in regiam esset expeditionem profectus». 43 Qui l’integrazione è solo congetturale: dal ms. si scorge una p con titulus (che varrà appunto pre) seguita da una piccola curva col dorso rivolto verso sinistra, a livello della riga (il resto è nascosto nella legatura del codice), forse residuo dell’occhiello di una d, non c’è tuttavia traccia della nasale (che si può forse immaginare sottintesa nel titulus sopra alla p. 44 Cfr. De amore, pp. 249-253 (I, VI, H: un altro dei casi sottoposti al «più gentile» dalla «più gentile»): «Un amadore d’una nobile femmina, mandato dal suo re per una certa vicenda in parti lontane, alla detta femmina fue nunziato morto, essendo vivo. La femmina, poi che ebbe portato quella trestizia per lo morto che portare si dovea in caso d’amore, prese un altro amante. Poco tempo passato, tornò l’amadore primo e alla femmina richiede l’amore usato, alla quale contradice l’amadore secondo, dicendo che questo amore secondo è perfetto e di ciascuna parte è pesato». Ed ecco la soluzione che l’interpellato amante «più gentile» suggerisce: «Credo io che la donna della quale parliamo, sarebbe diritto se sé medesima ristituisse all’amadore primo, se inver di quello alcuno spirito d’amore la muove. E se pure in lei ogni ispirito d’amore fosse ispento, dico ch’a forza costringere dee sé medesima a volere tornare a quello, che le fu già tanto disiderato e con sì grande diletto ricevuto. [...] Né di questo l’amadore secondo si può lamentare, se la cosa, la quale era d’altri, per errore s’avea presa, se, conosciuto lo errore, l’abandona. Ma se finalmente la femmina sente in sé morto l’amore per l’amadore primo, e vede che in lei ispirito d’amore raccendere non si può verso colui, potrà tenere l’amadore secondo [...]». 45 Non è chiaro se le parole di questa riga vadano ascritte al testo che le segue o a quello che le precede (anche se la menzione della morte – se è corretta la lettura dell’ultima pa-
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192
VAT. LAT. 4831
(f. 10v) 12
16
Un va ad un’altra no(n) (con) i(n)tentio(n) | lassare la prima. la prima l’ha sapu[to] | doma[n]da se ’l deve privar(e) d(e)l suo A. | G. ch(e) no .46 Amor p(er) denar et p(er) altri doni no[n] | se pò dir A.47 |
rola ed il senso che così le si attribuirebbe – ce la farebbe piuttosto ricollegare a quest’ultima). 46 Dubbia è l’identificazione del brano di riferimento. Due sono i casi possibili, assai simili tra loro, proposti in successione, questa volta dal cavaliere, in De amore, rispettivamente a p. 253 e a p. 255 (I, VI, H); ecco i testi: «Priegovi che di rispondermi a uno dubbio mi siate benigna: se l’amadore ch’è andato a un’altra femmina, non per desiderio d’amarla, ma di voler lasciar la prima, dee essere punito di privamento d’amore. Pare che qual cosa faccia l’uno delli amanti, nella quale non assottigli lo desidero d’amore, l’altro la debbe portare pazientemente e correggerlo di parole». A questo, contrariamente a quanto ritiene l’interpellante (e che corrisponderebbe forse al «che no» del nostro testo), la donna risponde che, fatta salva la libertà dell’amata di perdonare l’amante, questi sarebbe da privare d’amore. Il secondo testo è: «Ma tale altra dubitazione sente la mente mia: se d’amore dee essere privato l’amante lo quale andò ad altra femmina, non per volerla amare, ma pure lo suo volere non n’ebbe compimento. Pare a me che per così poco fallo, non debba sì grave danno portare». Anche in questo caso la donna pare di diverso parere, tuttavia coincidente con quello di cui si è sinteticamente data notizia sopra. Confrontati i due casi, quello che Colocci trascrive sembrerebbe piuttosto corrispondere al secondo, dal momento che nel primo è esplicitamente detto «per desiderio [...] di voler lasciare la prima», laddove Colocci scrive chiaramente «non con intention [...] lassar la prima». Si tratterà dunque di una di quelle schermaglie tipiche dell’amor cortese, atte a produrre gelosia, che, come si è ricordato, «è nodrice d’amore». Va notato in ogni caso che non si fa menzione, nel volgarizzamento, del particolare secondo cui la donna sarebbe venuta a conoscenza del fatto, ma questo è forse implicito. Si può anche avanzare l’ipotesi, poi, che il testo di riferimento sia effettivamente il primo, ma secondo la lezione di un volgarizzamento (una redazione più antica di R? o una sua redazione corretta sul confronto col testo latino?) in questo punto più fedele al testo critico fissato da Trojel (Andreae Capellani regii Francorum de amore libri tres, edizione critica a cura di E. TROJEL, Huniae 1892), che ha «[...amator, qui] ad aliam accessit feminam, non tamen ipsam amandi vel priorem deserendi affectu …», che andrà inteso «...andò da un’altra donna, tuttavia, non con intenzione di amar quest’ultima o di lasciare la prima...» (corsivi miei). Di fatto R fraintende (o dipende da un testo latino già corrotto: ma tra quelli recensiti da Trojel non si sono trovate varianti per questo luogo) e interpreta come se nel testo vi fosse un sed anziché vel. La presente ipotesi nasce dalla considerazione del fatto che, curiosamente, nel secondo brano (p. 255) non si fa menzione della questione del «lassar la prima» (che quindi dovrebbe essere inteso come un ampliamento dovuto a Colocci). Si confronti, nella medesima direzione di questa interpretazione, l’ipotesi avanzata a nota 60. 47 Il concetto qui espresso trova molte corrispondenze nel testo, ma vista la sua posizione nel ms. si può pensare che queste due righe sintetizzino De amore, pp. 259-269 (I, IX). Non si sono comunque trovate frasi che potessero essere confrontate puntualmente con quelle di Colocci. Un concetto simile si trova anche in De amore, p. 231 (I, VI, H), a seguire il passo citato a nota 39: «[...] e imperciò si de’ dare per grazia e non per alcuna figura di doni, avegna dio che agli amanti sia licita cosa di donare intra sé doni per cagione di sollaz-
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II FASCICOLO
193
(f. 10v)
24
29
G. la manza48 pò receve(re) dall’ama(n)tj don[i] | . . . . .49 treccecte: Rizzatoi:50 Girla(n)[de] | affibiatori: centure borse51 spechi: co[r]|delle. anella: spetie lavamenti et b[elli] | vaselli et g(e)n(er)al(ite)r p(ar)lando tucti do[ni] | piccoli: et ch(e) valer possono a don[are] | adornezza: et alegrezza: d’aspecto et | d(e) lo ama(n)te li renda memoria | ma nullo dono d’ama(n)ti p(re)nder se | vole ch(e) suspitione d’ava|rità sustenga et se l’uno aman[te] | receve dall’altro anello lo dia52 | portar(e) p(er) amor d(e) lui nel dito mi|gnolo della sinistra et
f. 10v 19. .....] lo spazio vuoto contrassegnato da cinque punti è nel manoscritto. treccecte] lettura incerta. zo. Pur se per doni servissero ad amore, tale amore falsificato sarebbe, né sarebbe da chiamare amore vero». La menzione di questo tema avrà indotto la ricerca del passo che segue, probabilmente già scorso ma non annotato, che si trova tra i «giudizi d’amore». 48 Si potrebbe anche leggere l’amanza, ma si è preferita la lezione a testo sulla base dell’usus che si può desumere dal ms. (si veda in proposito f. 11r, r. 20). Entrambe le parole si trovano attestate per indicare la donna amata (si vd. GDLI sotto questi due lemmi). 49 La lacuna che apre questa riga può dipendere dal fatto che forse Colocci abbia trovato in questo punto una parola che non è stato in grado di leggere. Effettivamente il nome dell’oggetto qui indicato pare aver messo in difficoltà più di un lettore: Trojel propone a testo la parola orarium (un fazzoletto, probabilmente da capo: questa è la lezione del codice D: cfr. Andreae Capellani regii Francorum de amore cit., p. 293), ma l’apparato delle varianti mostra una situazione di parziale diffrazione (F: ororium; G: orallum; C: ornatum; per le sigle dei codici impiegati da Trojel rimando a Andreae Capellani regii Francorum de amore cit., pp. XX-XXXVII). Anche i due volgarizzatori, seguiti da Battaglia non comprendendo chiaramente (o dipendendo da testi latini già corrotti) e preferiscono tenersi l’uno – B – sul generico scrivendo «ornamento da capo», e l’altro – R – sullo specifico, ma cambiando la natura dell’oggetto, scrivendo «discriminale» (una specie di pettine per spartire i capelli). Quest’ultimo oggetto sarà forse equivalente, ai «rizzatoi» che compaiono poco oltre: GDLI registra la parola col significato di «Arricciacapelli», esemplificando dal Fiore. 50 Nei volgarizzamenti non compare nessuna parola corrispondente a questa e in questa posizione: la sua presenza sarà probabilmente una conseguenza della confusione di cui a nt. 49. 51 Nel volgarizzamento questa parola segue gli specchi. 52 Nel margine potrebbe esserci altro, ma la strettezza della legatura non permette di acclararlo. Quanto alla parola dia, a tutta prima la si potrebbe intendere come debba. Il contesto in cui compare, però, richiederebbe piuttosto l’indicativo presente (e dunque il senso di deve). La stessa forma ricompare altre due volte in questa parte del ms., e in entrambi i casi si richiederebbe il modo indicativo: a r. 16 di f. 11r, dove compare coordinato ad un altro indicativo presente (pò), e a r. 1 di f. 12v, dove il contesto rende preferibile l’uso del medesimo modo. La forma dia col significato richiesto da questi contesti è attestata nei dialetti toscani orientali, e in particolare nell’aretino (cfr. A. CASTELLANI, Grammatica storica della lingua italiana, Bologna 2000, c. V. § 53, pp. 441 e 442: «“Dovere”: pres. Indic. 3a sing. e 3a plur.: tipi dea, dia (e dia + encl., di + encl.), deano, diano, accanto ai più rari de, debbe, debbono»). Dal momento che questa forma non si trova altrove nei testi più pretta-
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VAT. LAT. 4831
(f. 10v)
34
dia portar | la ge(m)ma voltata dentro nella | mano celatamente p(er) honestà53 Sapho didascolos: i(n)segna: et lo | Specchio di vene(re) et le nymphe li | †do(...)ro†54 |
f. 11r 1
55G.
p(er) cason d(e) matrimonio nisuno | se pò scusar d’amore56 |
f. 10v 36. †do(...)ro†] lettura difficoltasa per sbiadimento dell’inchiostro e pieghe della carta. mente colocciani del presente ms., essa potrà forse essere ricondotta al volgarizzamento utilizzato dall’umanista, e considerata un’informazione interessante per l’individuazione della provenienza del codice che lo ospitava (se non del volgarizzamento stesso). 53 Cfr. De amore, p. 337 (II, VII, XXI): «La Contessa di Campagna fu domandata che cose può l’amanza dall’amante ricevere licitamente. Ed ella rispose: L’amanza può ricevere licitamente discriminale, treccette, ghirlanda d’oro o d’argento, affibiature o cinture, specchi, borse, cordelle, pettini, guanti, anella, spezie, lavamenti e belli vasselletti, e generalmente parlando, tutti doni piccioli e che valere possono ad adornezza di corpo e ad allegrezza d’aspetto, e che dello amante li renda memoria. Ma nessuno dono tra li amanti prendere si vuole che sospeccione d’avarizia contenga. Ma questo vogliamo che sappiano gli amanti: che se l’uno amante all’altro, anello per amore prenda, nel mignolo dito della sinistra mano lo de’ portare, e la gemma portare dallato dentro della mano e sempre nascosa. E questo de’ fare perché la sinistra mano da tutti i liciti toccamenti si suole più astenere, e nel minimo dito si dee portare, che più che li altri sta la vita e lo amore dell’uomo: e ancora, perché tutti li amanti sono tenuti di tenere loro amore segreto». Come si noterà la citazione di Colocci è quasi letterale. Solo sul finale scorcia rapidamente, e in maniera piuttosto approssimativa, spiegando con un laconico «per honestà». 54 Parola incomprensibile, e del resto non si sa con precisione a quali testi si stia facendo riferimento qui. Fortemente probabile è che questi riferimenti non fossero nel volgarizzamento (in R non si trova nulla di simile e tanto meno nell’altro volgarizzamento; per un caso analogo cfr. f. 10r, rr. 1-3): Colocci sottolinea forse qualche parallelismo di concetti in cui si è imbattuto in altre sue letture che non mi è stato possibile rintracciare. 55 Inizia qui l’elenco delle regole d’amore che si trovano in De amore, pp. 357-359 (II, VIII; nelle note seguenti, dunque, si rimanderà ad esse semplicemente segnalando in numero romano l’ordinale della regola in R e associandovi l’indicazione di pagina dell’edizione di Battaglia). Nel testo cappelliano questi precetti sono introdotti nella cornice di un lungo racconto cavalleresco (pp. 339-361), mentre nel nostro ms. compaiono senza alcuna introduzione senza titoli e numerazione. Il volgarizzamento R si mostra molto fedele al testo latino, e nella lettera, e nell’ordine degli articoli che è esattamente coincidente. Colocci sembra copiare con buona aderenza al testo e l’ordine degli articoli è rispettato, salvo che in due casi. Il primo riguarda l’articolo VI (di cui si è dato notizia alla nota 35), che non è menzionato nel nostro ms.: l’omissione andrà verosimilmente imputata a Colocci, che non avrà ritenuto necessario ritornare sul tema dell’età, avendo già copiato passi concettualmente equivalenti a questo alle rr. 9-14 di f. 10r. Il secondo non è un’omissione, bensì un’inversione tra la regola XXII e la XXIII: in questo caso è difficile stabilire la paternità dell’errore, dal momento che tanto il copista quanto l’umanista possono aver saltato la lettura di un articolo e, accortisene, aver riparato all’errore copiando di seguito l’articolo in un primo tempo omesso. 56 Regola I, p. 357: «Per cagione di matrimonio non si può iscusare alcuno d’amare».
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II FASCICOLO
195
(f. 11r) 3 4 5 6 8 10 12 14 15
G. chi no(n) ha gelusia no(n) pò amar(e)57 | G. Nullo pò e(ss)er ligato da dui amori58 | G. Amor semp(re) cresce et menoma59 | Non ha savor60. q(ue)lla cosa ch(e) l’uno ama(n)te | receve dall’altro p(er) forza61 | G. vedovaggio d(e) dui an(n)i basta de | l’amante morto:62 | G. Nisuno senza causa dal suo amor | deve e(ss)er privato63 | G. Amar no(n) pote chi da co(n)forto de A. | no(n) è (con)strecto64 | G. A. da avaritia semp(re) sta lo(n)tano65 | G. p(er)sona ch(e) no(n) se pò prendere senza ver|gogna p(er) moglie / no(n) se pò né dia | amar(e)66 |
f. 11r 8. vedovaggio] la sillaba ve- è coperta da una macchia d’inchiostro. 57 Regola II, p. 357: «Chi non ha gelosia, non può amare». 58 Regola III, p. 357: «Nessuno può essere legato di due amori». 59 Regola IV, p. 357: «Amore sempre cresce o menoma». 60 Questa è la parola che sembra di poter leggere nel ms., distinguendosi sufficiente-
mente, di solito, la s dalla f nella grafia di Colocci (la seconda, generalmente, ha un taglio ben evidente o addirittura il tratto verticale si chiude in occhiello legandosi ad esso). Il volgarizzamento trascritto da Battaglia ha favore, che non traduce correttamente il latino «[non est] sapidum», a cui invece si avvicina maggiormente la lezione del testo colocciano. Se è corretta la lettura proposta e l’interpretazione secondo cui il testo letto da Colocci e R sono in qualche modo imparentati, occorre prendere in considerazione alcune ipotesi differenti per spiegare la discrepanza. Se il manoscritto visto da Colocci dipende da R, occorrerà supporre che qualche copista abbia corretto un errore di per sé non evidente, dal momento che favor appare lectio facilior, e questa, a meno di non pensare che costui abbia avuto a sua disposizione il testo latino per il confronto, sembra un’ipotesi poco probabile, visti i diversi casi in cui se ne discosta. Al contrario si può ipotizzare che il codice compulsato da Colocci sia più vicino all’archetipo del volgarizzamento, se a questo si deve ricondurre la maggiore fedeltà ad un testo latino che in questo caso non presentava grandi difficoltà di traduzione (e si confronti in questo senso anche la nota 46). Ma vi sono anche ipotesi più economiche, come quella di una ‘errata’ lettura, da parte del nostro umanista, che però paradossalmente corregge il testo, o da parte del copista di R. 61 Regola V, p. 357: «Non ha favore quella cosa che l’uno amante dall’altro prende per forza». 62 Regola VII, p. 357: «Viduità di due anni basta per amore morto». 63 Regola VIII, p. 357: «Nessuno sanza cagione dee esser privato del suo amore». 64 Regola IX, p. 357: «Amare non può chi da conforto d’amore non è costretto». 65 Regola X, p. 357:«Amore da avarizia sempre sta lontano». 66 Regola XI, p. 357: «Persona, la qual sanza vergogna non si possa prendere ’n matrimo-
nio, non si dee amare».
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VAT. LAT. 4831
(f. 11r)
G. Vero Ama(n)te no(n) prende cu(m) desiderio | altri abbracciamenti ch(e) q(ue)lli della | sua manza67 | G. Amor(e) palesato poco sole durar(e)68 | G. Leggiero (con)cedimento d(e) facto fa | despregiare l’amante. el contra|rio el fa tener caro69 | G. l’uno amante i(n) conspecto de l’altro | sole palido devenir p(er)ò ch’ (e)l cor(e) | dell’ama(n)te trema i(n) subita visio|ne dell’alt(r)o70 | G. Amor(e) novo caccia el vechio71 | G. Sola p(ro)dezza fa l’homo degno d’amor(e)72 | G. dove amor minova tosto vien | meno et tardi ritorna73 | G. h(om)o amoroso è semp(re) timoroso74 | G. de vera gelusia semp(re) cresce desiderio | d’amor(e)75 |
18 21 22 25
29 30 31 33 34 f. 11v 1 3 5
G. Meno dorme et magna chi è tor|mentato d’amor(e)76 | G. Suspition p(re)sa de l’amante fa crescer | gilosia & desio d’amor(e)77 | G. ogni acto d(e) l’uno amante | finisce nel pinsier d(e) l’altro78 |
f. 11v 5. ogni] la sillaba -gni si intuisce sotto ad una macchia di inchiostro. 67 Regola XII, p. 357: «Vero amante non prende con desiderio altri abbracciamenti che quelli dell’amanza sua». 68 Regola XIII, p. 359: «Amore palesato rade volte suole durare». 69 Regola XIV, p. 359: «Leggiere concedimento di fatto fa dispregiare l’amante, e ’l contra-
rio la fa tenere cara». 70 In questo brano Colocci ha condensato due comandamenti: Regola XV, p. 359: «L’uno amante in conspetto dell’altro suole palido divenire»; e Regola XVI, p. 359: «Lo cuore dell’uno amante triema in subita visione dell’altro». 71 Regola XVII, p. 359: «L’amore nuovo caccia lo vecchio». 72 Regola XVIII, p. 359: «Sola prodezza fa l’uomo degno d’amore». 73 Regola XIX, p. 359: «Se l’amore menoma, tosto vien meno e tardi ritorna». 74 Regola XX, p. 359: «Amoroso sempre è timoroso». 75 Regola XXI, p. 359: «Di vera gelosia sempre cresce desiderio d’amore». 76 Regola XXIII, p. 359: «Meno dorme e mangia chi è tormentato d’amore». È qui l’inver-
sione di cui a nota 55. 77 Regola XXII, p. 359: «Sospecione presa dell’amante fa crescere gelosia e desiderio d’amore». 78 Regola XXIV, p. 359: «Ogni atto dell’uno amante finisce nel pensare dell’altro».
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II FASCICOLO
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(f. 11v) 7 11 13 15 17 19
G. Vero amante nisuna cosa | crede o pensa : se no(n) come | possa piace(re) a sua amanza79 | pinsier i(n) grembo80| G. Amor no(n) lassa ∧l’amant[e] alla manza nega[re] | alcuna cosa.81 | G. Nisuno amante se pò satiar(e) | delli solazzi dell’altro82 | G. no(n) sole amar(e) chi da troppa abu(n)|da(n)tia de voluntà è comosso83 | G. Li veri amanti semp(re) pensa84 l’un | de l’altro85 | G. Ad nisuna femina è (contra)dicto che | ella no(n) possa e(ss)er amata da dui | ama(n)ti et così a niuno huomo | è (con)tradicto
f. 11v 13. se] con s- corr. su ne. 21. huomo] con h corr. su b. 79 Regola XXV, p. 359: «Vero amante nessuna cosa crede beata se non come possa alla manza piacere». Tuttavia la riga che segue (r. 10) andrà ricondotta al medesimo paragrafo, visto che la G., che sembra marcare i paragrafi, ricomparirà solo a r. 11 (ma vedi nota seguente). 80 Queste parole non compaiono nei volgarizzamenti e non trovano corrispondenze nel testo latino. Si tratta infatti di una glossa dello stesso Colocci con cui vuole alludere ad un passo petrarchesco in cui, attraverso una serie di antitesi, si descrive la condizione degli amanti a cui l’incertezza e l’instabilità legate al continuo pensiero dell’amata rendono la vita invivibile, sicché Amore vi fa sopra trionfo: Triumphus Cupidinis IV vv. 115-120: «[...] pensieri in grembo, e vanitadi in braccio, / diletti fuggitivi, e ferma noia, / rose di verno, a mezza state il ghiaccio, / dubbia speme davanti e breve gioia, / penitentia e dolor dopo le spalle, / sallo il regno di Roma e quel di Troia». Si noti che i sei versi sono evidenziati da una sorta di graffa decorata a f. 150r di Vat. lat. 4787, codice petrarchesco scritto di mano di Niccolò Colocci, padre di Angelo, studiato e postillato dal figlio (su cui vd. M. VATTASSO, I codici petracheschi della Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 1908 [rist. 1960] (Studi e Testi, 20), pp. 50-53 e BERNARDI, BOLOGNA, PULSONI, Per la biblioteca e la biografia cit.). 81 Regola XXVI, p. 359: «Amore non lascia negare alcuna cosa ad amante». 82 Regola XXVII, p. 359: «L’uno amante non si può saziare delli sollazzi dell’altro». 83 Regola XXIX, p. 359: «Non suole amare chi da troppa abondanza di volontà è com-
mosso». Il testo latino ha «voluptatis abundantia», e in questo punto B traduce più correttamente («Non suole amare chi è molto lussurioso»). 84 La forma pensa per la terza persona plurale del pres. ind. (che viene perciò a coincidere con il singolare) è registrata da ROHLFS §552, come originaria di alcuni dialetti settentrionali (Lombardia, Veneto, Canton Ticino e Romagna), ma esteso attraverso alla Romagna anche alle Marche e agli Abruzzi. 85 Regola XXX, p. 359: «Li veri amanti sempre l’uno pensa dell’altro».
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198
VAT. LAT. 4831
(f. 11v)
q(ue)llo no(n) possa e(ss)er | amato de dui femine86 et ciasc[un] | pò e(ss)er amor(e) 87 | f. 12r 1 4
Gualteri d’amore.88 ceco no(n) vede | no(n) pò inamorar(e) d(e) novo. ma se | p(ri)ma / pò p(er)severare89 | A. no(n) †c(...)† se no(n) i(n) (contra)ria g(e)n(er)atione né tra | dui maschi né tra due femine q(uia) | no(n) recte i(m)pler(e)90 p(re)ceptum amoris91 |
f. 11v 24.] la riga è seguita da uno spazio bianco – di ca. 7 cm – che si estende fino al fondo del foglio. f. 12r 4. no(n) †c(...)†] la c è seguita da quelle che sembrano due lettere verticali (più alta la prima) apparentemente non legate tra loro, che non mi è stato possibile decifrare. 86 Regola XXXI, p. 359: «Non è contradetto che una femmina non possa essere amata da due uomini, e uno uomo da due femmine». Qui Colocci, o il testo che segue, amplia il pensiero, e può essere che a queste amplificazioni siano da ricondurre anche le parole che seguono. 87 Dal ms. appare evidente che alcune lettere sono rimaste, al solito, nascoste nel margine di r. 23. Tutte le parole che seguono femine non trovano corrispondenza nel volgarizzamento. Il testo sembra terminare qui, visto che segue un ampio spazio bianco in calce alla pagina. Questa potrebbe essere una prova del fatto che il foglietto attaccato al foglio seguente (f. 12), sia un’aggiunta, magari redazionalmente anteriore (vd. f. 12v r. 9 nota 104), ma, almeno per collocazione, posteriore al testo che qui sembra concludersi. 88 Sulla base delle ipotesi avanzate a nota 1, queste due parole andranno interpretate come il titolo che Colocci leggeva sul frontespizio del volgarizzamento che consultò. La sua menzione, in questo punto, sembrerebbe dunque costituire una segnalazione della fonte da cui trascrisse i testi che nel ms. precedono il presente foglietto e che verosimilmente (secondo, l’ipotesi di cui a nota 104) lo seguirono nella stesura. 89 Si segnala qui un nuovo salto indietro rispetto al testo conclusosi a f. 11v; il testo di riferimento è infatti De amore, p. 17 (I, V): «Ciechità impedisce amore, perché il cieco non può vedere, onde nel suo animo [non] può ricevere pensiero sanza modo. Adunque, nel cieco, amore nascere non può, siccome provato avemo pienamente di sopra; ma questo confesso che è vero nello amore che da acquistare sia, ma non veggio che lo amore, acquistato dinanzi alla ciechità, non possa durare nel cieco». Come appare evidente, qui Colocci riassume fortemente. 90 La lettura di questa parola, come in parte anche di quelle che seguono, non è sicura:
il senso vago si coglie, ma si ha l’impressione che manchi qualcosa (possunt?), e tuttavia si confronti col volgarizzamento. 91 Cfr. De amore, pp. 9-11 (I, II): «Amore esser non può se non tra persone di generazione
diversa. Intra due maschi, overo due femine, amore non può trovare suo luogo, imperciò che due persone d’una generazione debito d’amore non si possono rendere insieme, né adoperare li atti naturali dell’amore: e ragione di ciò si è, perché quelle cose le quali natura niega, amore si vergogna d’abbracciarle».
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II FASCICOLO
199
(f. 12r) 7 8 10
13
20
Nobile nobile. plebeio plebeia92 | A iiij gradi. p(rim)o spes. osculu(m) p(ar)tes am|plexus / secreto (con)cedim(en)to d’amor(e)93 | Quest(i)o. se la do(n)na vole elige(re). o q(ue)llo ch(e) ha | più t(em)po et ha più operato virtù | *o giovine dove anchor no(n) appare94 | Cresce A.95 p(er)fecte veder rado. ire96 ama(n)tiu(m) | vera gilusia / . . . . /97p(er) sognar(e) / | et p(er) veder ch’altri te la vol torre / mu|tatio locor(um) / monitione et bati|ture d(e) parenti / / pensar(e) d(e) lei spe|sso / p(er) secrete vederla / p(er) andar(e) | et p(er) star piacevole / copioso et | savio p(ar)lar(e) / p(er) lode date d’altruj98 |
f. 12r 7. Nobile] due lettere sembrano precedere la parola: si tratta probabilmente di una macchia d’inchiostro, dovuta alla piegatura del foglietto forse avvenuta prima che la scrittura si fosse asciugata completamente. 8. p(ar)tes] lettura incerta. 10.]◊(lineetta orizzontale)◊ il breve tratto è posto nell’interlinea tra le rr. 9 e 10, prossimo al margine sinistro, a separare due appunti distinti. 12-13.]◊ * (asterisco)◊ margine sinistro tra rr. 12 e 13 (cfr. f. 9v r. 11). 14. ....] lo spazio vuoto contrassegnao da quattro punti è nel manoscritto. 92 Questa sintetica espressione potrebbe alludere genericamente ai titoli dei dialoghi che occupano la VI sezione della prima parte del libro (cfr. ad es. I, VI, E: «Loquitur Nobilis Nobili» o I, VI, A: «Loquitur plebeius ad plebeiam»). 93 Si allude qui ai quattro gradi d’amore già citati (f. 9v, rr. 13-14 e note relative), ma di cui si riporta il passo per maggior chiarezza: «Ordinati furono anticamente d’amore quattro gradi: lo primo è d’avere isperanza e dare isperanza d’amore; lo secondo è baciare, lo terzo, copia d’abbracciamenti usare; lo quarto, segreta concessione di tutta la persona» (De amore, p. 39 [I, VI, A]). 94 Colocci cominciò a trascrivere a rr. 10-12 il testo di De Amore, I, VI, A, ma accortosi che questo avrebbe occupato molto spazio, lasciò in sospeso l’appunto per proseguirne poi la stesura a f. 9v, rr. 11-24 (a cui si rimanda), connettendo poi le due parti con un asterisco. 95 Qui, come alle rr. 21 e 25, la A. varrà amore. 96 Questa lettura è suggerita dal confronto con il volgarizzamento, che tra gli altri espedienti per far crescere l’amore, cita anche il mostrarsi irati. Colocci in queste righe scorcia fortemente, non curandosi della sintassi, ma preoccupandosi semplicemente di dare un elenco di elementi tra loro scollegati. 97 La parte che i punti del ms. sostituiscono potrebbe essere quella che compare appunto tra la gelosia e il sognare e cioè: «Ancora, cresce l’amore, quando, palesato, durasse: imperciò che l’amore palesato non suole durare, ma suole venir meno» (cfr. De amore, p. 283 [II, II]). 98 Cfr. De amore, pp. 281-283 (II, II): «In che modo l’amore perfecto crescere possa, diròlloti brievemente. Primieramente l’amore cresce se l’uno amante vede l’altro di rado e con fatica [...]. Ancora cresce l’amore, se l’uno amante all’altro alcuna volta si mostra irato [...]. Ancora, cresce amore, quando vera gelosia tiene alcuno delli amanti: quella che è vera nutricatrice d’amore. [...] Ancora, per sognare l’uno amante l’altro, si cresce l’amore. E se tu
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200
VAT. LAT. 4831
(f. 12r) 21
25 28
Quest(i)o. se A. finito se pò raq(ui)star(e) | Solve .G. i(m)possibile se p(er) defecto de l’a|ma(n)te è p(er)duto / et se pur se raq(ui)sta | no(n) è p(er)fecto.99 | Posse manifestare A. licite tribus. i(d est). lo | amante ad uno suo p(er)fecto amico et così lei | et al messaggio p(er) necessità.100 | Quest(i)o duo equales salvo ch(e) uno ricco l’altro | povero. illa petit cui. G. solve ch(e) | più è da pretiar lei ch(e) no(n) cura(n)do | rich(e)zze p(re)nde el povero ma se lei |
f. 12v 2
è povera dia p(re)nder lo richo acciò ch(e) | duri l’amor(e) el quale più volte | manca p(er) povertà101 |
f. 12r 24-25.] Tra queste righe si trova il pezzo di spago che lega il presente foglietto non numerato al f. 12r.
sapessi che un altro la tua manza ti volesse levare, ne cresce, e amaraila maggiormente. [...] Suole talvolta crescere amore per mutazione di luoghi e per correzione e battiture da’ parenti ricevute. [...] Ancora fa crescere l’amore, pensare dello amante spesso, e segretamente vederlo, e diletto di fatto con desiderio preso. E molto fa crescere l’amore, l’andare e lo stare piacevole dello amante, e copioso e savio parlare e le lode che dello amante sono raccontate». 99 Il testo di riferimento, anche questa volta piuttosto riassunto che ricopiato, è De amore, p. 291 (II, IV): «Ma qui è da domandare se l’amore finito può riprendere vita. Se ’l difetto d’amore pervenne per ignoranza d’alcuno fatto, sanza dubbio può tornare a vita. Ma se procede per fallo d’alcuno delli amanti, non ci ricorda che mai lo vedessimo tornare a vita: e impossibile ne pare, se fosse per difetto di natura avvenuto non fosse. E se pure amore vita riprende, non crediamo che in pura fé d’amanti sia fondato». 100 Cfr. De amore, p. 309 (II, VI): «[...] amore, fuori delle persone delli amanti, a tre persone si manifesta licitamente. Allo amadore è conceduto d’avere suo idoneo segretario col quale segretamente sollazzare si possa del suo amore, e lo quale abbia di lui compassione, se alcuna avversità gli avvenisse. E alla amante conceduto è d’avere simile segretaria. E sopra questi, avere possono uno messo segreto, per lo quale amore nascosamente e dirittamente si possa governare», anche in questo caso riassunto e rielaborato. 101 Cfr. De amore, pp. 317-319 (II, VII, III): «Erano due di generazione e di vita e d’altre cose quasi iguali, salvo che di ricchezza. Sicché dubitavano quale di loro due fosse da eleggere per amante. A ciò la Contessa di Campagna così risponde: – [...] è più laudabile cosa che femmina ad amore adorno di povertà, che ad amore di ricchezza, si congiunga. [...] Sicché per ragione sarà da lodare la femmina ricca, se, non curando ricchezza, allo amante si congiunge, al quale possa della sua ricchezza sovenire. [...] Ma se la femmina fosse di povertà gravata, più licito è di prendere amante ricco, imperciò che l’uno e l’altro poveri stando, corta sarebbe la fermezza d’amore. Povertà gli valenti tutti in vergogna somma conduce e in disvariate angoscie e in sonni faticosi, e conseguentemente suole cacciare amore». Qui Colocci riassume e modifica.
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II FASCICOLO
201
(f. 12v) 4
9
Quest(i)o. duo .a.102 eq(ua)li amant et s(er)viu(n)t | lei petit cuinam? dé co(n)cedere el so | amor(e) .G. a chi prima la rechiede | et se petu(n)t simul e(st) i(n) arbitrio mu|lieris103 | Un cavalieri104 |
102 Questa «.a.» andrà verosimilmente interpretata come abbreviazione di amanti. 103 Cfr. De amore, p. 319 (II, VII, IV): «Altri due erano simili in tutte cose, e una donna
incominciarono a servire: e ciascuno domanda d’essere amato da quella. Adunque, è da vedere quale di loro due sia più tosto da prendere per amante. E amaestrane la detta Contessa [di Campagna] che in tal cosa è da prendere quello che prima domanda; e se in un punto fosse la loro domanda, rimane nell’albitrio della femmina di prendere qual vuole». 104 Qui si conclude la pagina e la seconda parte del ms. Questo nuovo incipit sembrerebbe riferirsi proprio al giudizio V (cfr. De amore, p. 319 [II, VII, V]), che in R inizia con queste parole, il quale è anche quello che inaugura questa seconda sezione alle rr. 1-8 di foglio 9r. È perciò verosimile ipotizzare che la striscia di carta legata sul f. 12, sia un appunto provvisorio, preso da Colocci ad una prima rapida consultazione del volgarizzamento, quindi unito alle pagine d’appunti (ff. 7-11) presi in un secondo tempo, con più agio e più estesamente. Questo spiegherebbe anche il suo carattere eterogeneo che fa sì che la pagina accolga testi provenienti da tutto il trattato, però in progressione approssimativamente regolare. L’umanista, interessato da questa prima compulsazione, avrebbe approfondito riportando sul suo quaderno di appunti altri brani e incollando da ultimo, per completezza, anche il suo primo pro memoria al fondo del testo che si era così venuto a creare. Si spiega così anche il rimando di cui a nota 94 (e si vedano anche le note 87 e 88 con rimandi).
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III FASCICOLO
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III FASCICOLO
205
f. 13r
Copiati1
1 2
5
Prop(er)t2 No(n) t(ame)n ut vastos ausim tentar(e) leones Aut celer agrestes cominus ire feras Ovi i(n) — 5 — Fast3 At postq(ua)m virtus annis adolevit i(n) Apros Audet / & hirsutas cominus ire feras
f. 13v
[bianco]
f. 13r 1-2] tra r. 1 e l’estremità superiore (vd. oltre) di r. 2 c’è uno spazio di circa 14 cm. 2-7.] queste righe sono scritte parallelamente al lato più lungo del foglio, in prossimità della legatura, con direzione della scrittura che va dal basso verso l’alto. 1 La parola, compare in alto nella pagina, in mezzo, quasi a mo’ di titolo e si riferisce alla tavola alfabetica che segue (ff. 14r-29r). A riprova di ciò sta – oltre all’inequivocabile appartenenza del foglio 13 a questo terzo fascicolo – il fatto che la stessa parola (copiati) ricompare appunto a foglio 14r. Il presente fascicolo, dunque, costituirà forse l’indice di un libro costituito da testi poetici (quelli indicati appunto nelle pagine a seguire) raccolti e copiati da fonti disparate. 2 La parola sta per il nome latino del poeta elegiaco augusteo Properzio. Il distico che segue infatti è tratto dall’elegia II, 19, vv. 21-22: «Non tamen ut vastos ausim temptare leones / aut celer agrestis comminus ire sues» (SEXTI PROPERTI, Elegiarum libri VI, edidit P. FEDELI, Stutgardiae et Lipsiae 1994). Il testo critico e quello colocciano, come si può vedere, differiscono – oltre che per qualche particolare di ordine più che altro grafico-fonetico – per la sostituzione, da parte dell’umanista, della parola sues in clausola del pentametro, con feras. Tra le varianti riportate dall’edizione critica consultata non compare nessuna lezione simile. Con ogni probabilità Colocci avrà citato a memoria il testo in questione, indotto in errore, forse, dal testo di Ovidio che segue. Infatti i due distici sembrano essere posti qui proprio al fine di un confronto, in considerazione dell’identità (almeno nella memoria dell’umanista), del secondo emistichio del pentametro. 3 La sigla allude alla provenienza del secondo distico: si tratta infatti di Ovidio, Fasti, V, vv. 175-176: «At postquam virtus annis adolevit, in apros / audet et hirsutas comminus ire leas» (P. OVIDIUS NASO, Fastorum libri VI. Fragmenta, post R. EHWALDIUM iteratis curis edidit F. W. LENZ, Lipsiae 1932). Il testo critico e quello colocciano, in questo caso, sono praticamente identici, salvo che per quel feras che compare nel testo di Colocci al posto di leas. Questa volta però la variante è attestata (per es. nel codice D, Monacensis Latinus 8122, del XII secolo). Si potrà forse ipotizzare che questo distico sia stato letto, mentre il precedente sia solo stato richiamato (erroneamente) alla memoria, come sembrerebbe anche provare la presenza per Ovidio di un rimando più preciso al locus («in — 5 — Fast»), di contro a un generico «Propertius».
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f. 14r 1
5
10
15
20
25
A. Copiati4 Amor co(n)tra di me________________________________ fo_ 4 Amor se spirto _____________________________________ fo_ 4 A che sì il timor ___________________________________ fo_ 12 À~ che intagliasti amor _____________________________ fo_ 14 A che sì la pharetra________________________________ fo_ 37 Amor che quei ____________________________________ fo_ 39 Amor servir_______________________________________ fo_ 41 Al sonno _________________________________________ fo_ 48 A che fuggi _______________________________________ fo_ 48 Amo te ogni dì ____________________________________ fo_ 51 À~ che minaccie ___________________________________ fo_ 51 Al so(n)no5 _______________________________________ fo_ 61 Amor poi che _____________________________________ fo_ 62 Amor madonna ___________________________________ fo_ 63 À~ la fama_________________________________________ fo_ 64 A te dà fama ______________________________________ fo_ 64 Amor è› libertà ____________________________________ fo_ 74 À~ che co(n)trasti __________________________________ fo_ 75 Ahimé crudele ____________________________________ fo_ 88 Amici io vi so dir __________________________________ fo_ 96 Amore amore _____________________________________ fo_ 97 À~ che sì fieri sguardi ______________________________ fo_ 99 Amor onde _______________________________________ fo_ 99 Arso son già ______________________________________ fo_ 99 Altri signor ______________________________________ fo_ 100
f. 14r 1. Copiati] di mano colocciana, probabilmente inserito successivamente all’intestazione A dell’altra mano. 8. fo_41] con 1 corr. su qualcosa di non più leggibile, quindi riscritto di seguito. 4 Come si è già avuto modo di dire, la compilazione della presente tavola alfabetica non si deve alla mano i Colocci. Vi sono tuttavia alcune tracce della sua supervisione, costituite da suoi interventi autografi. Questi verranno di volta in volta segnalati nella prima fascia dell’apparato (quando non diversamente indicato si intenderà dunque che la mano è quella del copista a). 5 Abbiamo qui il primo incipit ripetuto (si veda riga 9, ma con diversa indicazione di foglio).
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III FASCICOLO
207
(f. 14r)
30
35
40
Arbor che in su __________________________________ fo_ 1226 A che figliola ____________________________________ fo_ 138 A te no(n) manchan ______________________________ fo_ 139 Anci pria ________________________________________ fo_ 139 Apol che porta ___________________________________ fo_ 141 Alchu(n) no(n) veggio ____________________________ fo_ 143 Adonca restar____________________________________ fo_ 160 À~ me di te parla(n)do _____________________________ fo_ 162 7Adon(n)q(ue) perder _____________________________ fo_ 113 Arion de i nocchier _______________________________ fo_ 126 A che un co(n)vivio_______________________________ fo_ 126 A che dì è› notte __________________________________ fo_ 137 A dio mia cara ___________________________________ fo_ 144 Apollo se scintilla ________________________________ fo_ 149
f. 14r 27-34.] evidente cambio di inchiostro: più chiaro, tendente al grigio ed acquoso (II fase). 34-35.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, a separare r. 34 da r. 35 (III fase da r. 35 fino a r. 40). 37. fo_ 126] con 6 corr. su qualcosa di non più distinguibile. 6 Il cambio di inchiostro che si registra a questa linea (e si estende fino a r. 34) invita a supporre che prima di essa ci sia stata una temporanea sospensione del lavoro: sarà verosimilmente l’inizio della seconda fase di redazione, secondo quanto osservato nell’Introduzione (§ II.3.1.), come prova anche il fatto che, tra il foglio indicato a questa riga e quello della riga precedente ne intercorrano altri 12, tra i quali trovava posto il foglio del componimento indicato a riga 35. 7 I componimenti indicati da questo punto e fino al fondo del recto del foglio sono stati aggiunti nella terza fase di compilazione della tavola. Essi erano probabilmente sfuggiti alle prime fasi di ricognizione: il numero di foglio (113) torna infatti bruscamente indietro a recuperare un componimento che si colloca proprio tra la pagina segnalata a riga 26 e quella della riga seguente. Dal confronto con quanto rilevato a nota 6, si potrà dunque supporre che, dopo la scrittura di riga 26 (foglio 100) il lavoro sia stato temporaneamente sospeso e poi ripreso, ma saltando l’esame di alcune pagine e scorrendo forse troppo frettolosamente (e a questo potrebbe essere dovuta la minore leggibilità dei tratti) le altre (righe 27-34), tanto da dimenticare alcuni ulteriori componimenti tra i fogli pur esaminati. Tornando indietro il copista provvide a colmare le lacune, inserendo gli incipit saltati, dopo un breve tratto di penna orizzontale prossimo al margine sinistro, per segnalare il punto di ripresa del lavoro: appunto la terza fase di redazione della tavola alfabetica per questa sezione.
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f. 14v 1
5
10
B8 Beltà_____________________________________________ fo_ 25 Benché sia Roma _________________________________ fo_ 29 Borgia9 in amor___________________________________ fo_ 30 Benché da cechi __________________________________ fo_ 75 Ben cieco_________________________________________ fo_ 87 Benché sdegnosa il t(em)po _______________________ fo_ 11110 Brocardo11 figliol ________________________________ fo_ 115 Ben riconosco ___________________________________ fo_ 117 Benché in mille __________________________________ fo_ 145 Brocardo ________________________________________ fo_ 148 Benché de oro ___________________________________ fo_ 152
f. 14v 7-9.] cambio di inchiostro (II fase). 9-10.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, a separare r. 9 da r. 10 (III fase da r. 9 fino a r. 13). 8 Comincia qui la seconda sezione coi componimenti che iniziano per B: questa lettera è posta a metà della riga come una sorta di titolo. In calce alla pagina, tuttavia, si trovano alcuni incipit in C, che probabilmente non rientravano più, per ragioni di spazio, nella pagina che segue (si veda riga 14). 9 Compare qui la prima allusione ad un personaggio contemporaneo. Si tratta di Lucrezia Borgia (Roma, 1480 — Ferrara, 1519), cui è dedicato il sonetto Borgia, in amor non è vita né morte (cfr. TEBALDEO, Rime cit., III/1: Ultima silloge per Isabella d’Este, nr. 426, pp. 374-375). 10 Nella II fase di redazione della tavola, per quanto riguarda la sezione B, non sembra che siano stati tralasciati componimenti (se non quelli delle ultime pagine di Q come testimoniano gli alti numeri di foglio della terza fase; cfr r. 10: «fo_ 145» e sgg). 11 Altro personaggio contemporaneo. È forse Antonio Brocardo: nato a Venezia intorno
al 1500 da famiglia non nobile, si dedicò con insofferenza agli studi di giurisprudenza, spintovi dal padre. Nel 1525 fu a Bologna alla scuola del Pomponazzi. Dopo il 1526 si dedicò alla letteratura a Padova, sotto la guida di Trifon Gabriele e Pietro Bembo che lo avviarono allo studio di Boccaccio e Petrarca. A Padova si legò d’amicizia anche con Girolamo Negri, Antonio Mezzabarba, Bernardo Tasso e Sperone Speroni che lo introdurrà come interlocutore nel suo Dialogo della Retorica (1542), quale difensore dell’autonomia della retorica del volgare da quella classica. Furono proprio queste posizioni che lo posero in polemica con il Bembo e contro le quali questi indirizzò probabilmente alcuni versi nel 1531. Le parti del Brocardo furono tenute dall’amico Bernardo Tasso e dal Berni, mentre Pietro Aretino organizzava contro il giovane umanista una feroce campagna diffamatoria. Il Brocardo morì per cause rimaste ignote nel 1531. Di lui furono pubblicate postume delle Rime insieme a quelle del Molza e di Nicolò Delfino (Rime del Brocardo et d’altri authori, Venezia [s.e.] 1538; cfr. notizie e bibliografia in C. MUTINI, Brocardo, Antonio, in DBI, 14, Roma 1972, pp. 383-384).
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III FASCICOLO
209
(f. 14v)
Bembo12 ta(n)ta__________________________________ fo_ 152
15
Cosmico inte(n)do _______________________________ fo_ 16513 Cosmico el crede _________________________________ fo_ 166 Cosmico el saverino ______________________________ fo_ 167 Cosmico l’œ haver _________________________________ fo_ 168 14Che giova ______________________________________ fo_ 111 Che fai febre15 ___________________________________ fo_ 116
f. 14v 13-14] tra r. 13 e r. 14 c’è uno spazio bianco di circa 10 cm. 14-17.] cfr. f. 17r, rr. 47-48; f. 23v, r. 40. 16. saverino] lettura incerta. 17-18.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, a separare r. 17 da r. 18 (III fase da r. 18 fino a r. 3 di f. 15r). 12 Ecco un altro contemporaneo (Venezia, 1470 — Roma, 1547) di cui non c’è bisogno di allegare notizie biografiche. L’epistolario (Vat. lat. 4104, f. 59r e f. 85r; cfr. APPENDICE II) dà notizia del progetto di un’edizione delle poesie del Tebaldeo con curatela congiunta di Bembo (nominato nel presente ms. anche a f. 27r, r. 5 e f. 104r, r. 11) e Colocci, poi non andato in porto. È inoltre verosimile lo scambio e la circolazione di codici e testi tra i due, come avvenne per l’autografo petrarchesco (Vat. lat. 3195) sulla cui base Colocci rinumerò i testi della sua copia del Canzoniere (Vat. lat. 4787: cfr. LATTÈS, Recherches cit., [Extrait], pp. 3132, ma sulla questione si veda C. PULSONI, Appunti sul ms. E 63 della Biblioteca Augusta di Perugia, in L’Ellisse 2 [2007], pp. 29-99 e BERNARDI, BOLOGNA, PULSONI, Per la biblioteca e la biografia cit., pp. 203-207). Il nome di Bembo, poi, compare tra quelli citati dal Sadoleto nella lettera indirizzata da Carpentras a Colocci nel 1529, nella quale sono ricordate le riunioni umanistiche in casa del destinatario (Vat. lat. 4103, f. 16r: cfr. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., p. 71). 13 Questa è la prima voce delle aggiunte di incipit in C che compaiono al fondo della pagina dopo un ampio spazio bianco. Si noterà che i quattro primi componimenti iniziano con la parola cosmico (cfr. anche f. 17r, rr. 47-48 e f. 23v, r. 40). Qui si tratta dunque quasi certamente del nome dell’umanista e poeta padovano Niccolò Lelio Cosmico (Padova, ca. 1420- Teolo [Padova], 1500), il cui nome compare ancora nel presente ms. nel recto del foglio non numerato che segue f. 93 (a cui si rimanda per qualche sintetica notizia). Gli incipit che compaiono da f. 14v, r. 14 fino alla terza del recto del foglio successivo sembrano essere, cronologicamente, successivi al completamento di f. 17r contenente tutti gli altri incipit in C. Probabilmente il copista aveva, in un primo tempo, destinato una sola facciata di ciascun foglio a ciascuna lettera, ma giunto al fondo di f. 17r dovette rendersi conto che lo spazio per gli incipit in C non bastava e scrisse quello che era in più nel verso del foglio immediatamente precedente (il presente), dove abbondava lo spazio grazie all’esiguità degli incipit in B; accortosi però che anche lo spazio in calce a foglio 14v non bastava più (avrà probabilmente voluto evitare un accalcarsi disordinato e indistinto di incipit come era già capitato, almeno dal foglio 17 di Q, per S e T), il compilatore aggiunse il bifoglio che è ora 15-16, ma ne impiegò solo poche righe (le prime tre di f. 15r), lasciando il resto (f. 15v e 16r-v) bianco. 14 Da questo punto inizia la terza fase redazionale per gli incipit in C; le tracce della seconda andranno cercate nelle pagine che seguono (cfr. f. 17r, r. 38 e annotazioni relative). 15 Lo stesso incipit ricompare a f. 17r, r. 6.
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(f. 14v)
Che pensi aq(ui)la16 ______________________________ fo_ 119 Che farem cor ___________________________________ fo_ 122 Compito ho______________________________________ fo_ 123 Chi no(n) ha _____________________________________ fo_ 125 Che pensi morte _________________________________ fo_ 127 Chi vide eolo_____________________________________ fo_ 136 Come va il fasto __________________________________ fo_ 137 Come i pensier___________________________________ fo_ 149 Co(n) altra arte __________________________________ fo_ 150 Colui che d’œ arno_________________________________ fo_ 152
20
25
f. 15r
Crederò ben17 ____________________________________ fo_ 154 Che dimandate __________________________________ fo_ 167 Che più~ sperar ___________________________________ fo_ 169
1
f. 15v
[bianco] f. 16r-v
[bianchi] f. 17r
C Chi intenderebbe___________________________________ fo_ 4 Come se co(m)parar________________________________ fo_ 5 Come del bue ______________________________________ fo_ 6 Chi sa ben legger __________________________________ fo_ 14 Che fai febre______________________________________ fo_ 15 Come se co(m)parar_______________________________ fo_ 18
1
5
f. 15r 3.] la riga è seguita da uno spazio bianco esteso fino al fondo del foglio. f. 17r 3.]◊o(segno a chiave)◊ marg. sinistro: segnala la ripetizione di un incipit: cfr. qui r. 7. 6. che... febre] cfr. f. 14v, r. 19. 7.]◊o- (segno a chiave)◊ marg. sinistro (cfr. r. 3). 16 La lettura di questa parola non è sicura: essa infatti è scritta aqla, con la q tagliata; si
potrebbe anche leggere a quila. 17 Un identico incipit compare a f. 17r, r. 39, ma con una diversa indicazione: «fo_
115».
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211
III FASCICOLO
(f. 17r)
10
15
20
25
30
Colotio mio18 _____________________________________ Che giova a un’œ alma ______________________________ Come legno_______________________________________ Chi no(n) negò ____________________________________ Cor io ti ma(n)do _________________________________ Così riveggio______________________________________ Con quel dolor ____________________________________ Che costei ________________________________________ Che me consigli ___________________________________ Causato ho _______________________________________ Cresce e decresce _________________________________ Con quel voler ____________________________________ Chi crederia ______________________________________ Castel da crudel ___________________________________ Crudel novella ____________________________________ Come vàš il mondo19 _______________________________ Cade che alchun __________________________________ Che vie ___________________________________________ Chi rare volte _____________________________________ Constrinsi ________________________________________ Come celar _______________________________________ Che fai minerva ___________________________________ Con amari ________________________________________ Che colpa ________________________________________ Come nocchier____________________________________ Credo che no(n)___________________________________
fo_ 20 fo_ 26 fo_ 30 fo_ 31 fo_ 36 fo_ 37 fo_ 44 fo_ 45 fo_ 47 fo_ 49 fo_ 50 fo_ 50 fo_ 51 fo_ 52 fo_ 55 fo_ 59 fo_ 60 fo_ 61 fo_ 62 fo_ 63 fo_ 70 fo_ 71 fo_ 72 fo_ 73 fo_ 80 fo_ 90
f. 17r 23. vàœ~] corr. su val. 18 Si tratta dell’incipit di un componimento indirizzato ad Angelo Colocci: Colotio mio,
non sempre al cor risponde (cfr. TEBALDEO, Rime cit., III/1: Ultima silloge cit., nr. 387, pp. 296-297). 19 Questo, come quelli che compaiono a f. 22v, r. 23 e f. 29r, r. 2, sembrerebbe un in-
cipit di imitazione petrarchesca: si confronti Come va ’l mondo! or mi diletta e piace (Rvf 290, 1).
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(f. 17r) 35
40
45
Con gl’œocchi ______________________________________ fo_ 97 Che fai caro _____________________________________ fo_ 100 Chi no(n) ama ___________________________________ fo_ 101 Castiglion20 mio _________________________________ fo_ 102 Così qua(n)do ___________________________________ fo_ 11121 Crederò ben _____________________________________ fo_ 115 Con inchiostro ___________________________________ fo_ 115 Co(n) te bagno ___________________________________ fo_ 121 Che più dolce ____________________________________ fo_ 131 Come colui ______________________________________ fo_ 136 Come presto _____________________________________ fo_ 148 Cacciar me ______________________________________ fo_ 141 Costei àš quel_____________________________________ fo_ 157 Cosmico riposar _________________________________ fo_ 161 Cosmico non pensar______________________________ fo_ 162
f. 17v 1
5
D Da quel giorno _____________________________________ Destinati n’ha il cielo _______________________________ De diversi animal __________________________________ Dicono alchun _____________________________________
fo_ 4 fo_ 5 fo_ 7 fo_ 9
f. 17r 38-48.] cambio di inchiostro (II fase: comprende anche le rr. 14-17 di f. 14v). 47-48.] cfr. f. 17v, rr. 14-17; f. 23v, r. 40. 48.] da questo punto, la registrazione degli incipit in C prosegue a f. 14v rr. 14-29, quindi a f. 15r, rr. 1-3. 20 Probabile menzione del contemporaneo Baldassarre Castiglione (Casatico [Mantova], 1478 — Toledo [Spagna], 1529); anche il suo nome è nell’elenco desunto dalla lettera del Sadoleto al Colocci, citata a nota 12. Come con Bembo, i rapporti con il Castiglione non dovettero essere troppo stretti anche se i circoli e gli ambienti frequentati erano i medesimi (per esempio quello del Goritz: suoi versi si trovano in Coryciana, critice edidit, carminibus extravagantibus auxit, praefatione et annotationibus instruxit I. IJSEWIJN, Romae 1997, nr. 276, oltre che in diverse raccolte manoscritte appartenenti alla biblioteca colocciana: Vatt. latt. 2836, 3351 e 3352; cfr. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., p. 73, nt. 121). Il suo nome, ad ogni modo, compare nell’elenco di f. 104r, r. 12. 21 In questo caso, visto che la prima aggiunta relativa alla terza fase (segnalata a f. 14v, r. 18) riguarda lo stesso foglio 111 di Q, occorrerà ipotizzare che il copista non abbia visto, nella fretta, l’altro componimento iniziante con C (con incipit «Che giova»), che compariva nel medesimo foglio.
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III FASCICOLO
213
(f. 17v)
10
15
20
25
Deh s’œio son ______________________________________ fo_ 13 De la fede ________________________________________ fo_ 20 De diversi animai22 ________________________________ fo_ 22 Diece anni________________________________________ fo_ 22 Dui soli ad un_____________________________________ fo_ 24 Deh che volesti____________________________________ fo_ 49 Da ignoranza _____________________________________ fo_ 57 Da un extremo ____________________________________ fo_ 59 Da i figli__________________________________________ fo_ 70 Duro è› il s(er)vir __________________________________ fo_ 86 De giorno ________________________________________ fo_ 93 Donna el responder ______________________________ fo_ 101 Dice excellente___________________________________ fo_ 114 De le mie triste___________________________________ fo_ 121 De la citerior ____________________________________ fo_ 128 Depinse amore___________________________________ fo_ 143 De Guiscardo23 __________________________________ fo_ 160 De sonetti _______________________________________ fo_ 166 Desine q(ui)s q(ui)s eris ___________________________ fo_ 115 Difficiles nodos___________________________________ fo_ 116 Dubio no(n) era __________________________________ fo_ 120 Deve fortuna mai ________________________________ fo_ 127 Deve sempre soletta ______________________________ fo_ 128
f. 17v 12. fo_ 57] con 7 corr. su 5. 16. fo_ 93] fo_ 9>4Io ho ripreso< ____________________________________ fo_ 32 Il generoso libyco a(n)i(m)ale ______________________ fo_ 36 Io mi conosco ____________________________________ fo_ 46 In colpa donna____________________________________ fo_ 51 Io me partì _______________________________________ fo_ 52 Io che ardea ______________________________________ fo_ 58 Io no(n) me amiro ________________________________ fo_ 62 Iulio perché33 _____________________________________ fo_ 80 Io resto __________________________________________ fo_ 85 Io bramo _________________________________________ fo_ 88 Il fiume __________________________________________ fo_ 89 Ite guanti34 _______________________________________ fo_ 94 In hac p(ro)funda _________________________________ fo_ 97 Io so ben _________________________________________ fo_ 98 Io no(n) son opra ________________________________ fo_ 113 Io me ne vo ______________________________________ fo_ 139 Il mio padre _____________________________________ fo_ 139 Ingrato anchor___________________________________ fo_ 154
f. 20r 2.]◊o- (segno a chiave)◊ marg. sinistro: segnala la ripetizione di un incipit: cfr. qui r. 7. 7.]◊o- (segno a chiave)◊ marg. sinistro: segnala la ripetizione di un incipit: cfr. qui r. 2, e a r. 7 l’incipit è cassato. 21-(27)] cambio di inchiostro (II fase). 19. In... p(ro)funda] cfr. infra r. 30 e f. 17v, rr. 24-25; f. 21r, r. 29; f. 22r, rr. 31-32; f. 23v, rr. 42-43 (incipit in latino). 33 È l’incipit del sonetto Julio, perch’io ho desmess’i canti e i versi, indirizzato a Giuliano Mosti (sul personaggio si veda il commento al sonetto che è il nr. 641 in TEBALDEO, Rime cit., III/2: Altre rime estravaganti cit., pp. 842-843). 34 Così sembra di poter leggere, anche se leggere quanti sorprenderebbe di meno. Si potrà dunque supporre che il componimento in questione accompagnasse un dono – di guanti, appunto – secondo una tradizione che risale alla letteratura latina (e all’epigrammatica votiva ellenistica), basti pensare agli Apophoreta di Marziale.
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III FASCICOLO
219
(f. 20r)
Io pur descrivo___________________________________ fo_ 161 Io vo pel ca(m)po ________________________________ fo_ 165 Io sento fabricar _________________________________ fo_ 161 Io mando________________________________________ fo_ 112 Ingegno no(n) fortuna ____________________________ fo_ 112 Iam merito q(u)a(m) si ___________________________ fo_ 113 Io pur expecto ___________________________________ fo_ 114 Io servo _________________________________________ fo_ 116 Io no(n) ho ge(m)me _________________________ fo_ 118 Il te(m)po fugge35 ________________________________ fo_ 126 Io son come _____________________________________ fo_ 132 Intendo che _____________________________________ fo_ 142 Io volo __________________________________________ fo_ 143 Il te(m)po fugge__________________________________ fo_ 143 Io era co(n) gl’œocchi ______________________________ fo_ 144
25
30
35
f. 20v
[bianco] f. 21r 1
5
L L’œamplo lago ______________________________________ fo_ 3 Lasso qua(n)to è› uno _______________________________ fo_ 8 Lasso ch’œio ardo __________________________________ fo_ 11 Laocoonte36 son __________________________________ fo_ 11 Leggiadro è› il tuo _________________________________ fo_ 21
f. 20r 27. fo_ 161] con 6 corr. su qualcosa di non ben distinguibile. 27-28.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, a separare r. 27 da r. 28 (III fase da r. 28 fino a r. 39). 30. q(u)a(m)] incerto e congetturale lo scioglimento del compendio. 35 Evidente l’eco petrarchesca di La vita fugge, et non s’arresta una hora (Rvf 272, 1). 36 A proposito del personaggio omerico, si potrà ricordare che nel 1506, sotto Giulio II
(1503-1513), venne ritrovato il celebre gruppo scultoreo del I d. C. rappresentante, appunto, il sacerdote troiano con i due figli. Questo ritrovamento costituì, tra l’altro, l’occasione per la composizione di numerosi testi poetici, molti dei quali troviamo raccolti nel codice Vat. lat. 3351 (come segnala DE NOLHAC, La Bibliothèque cit., p. 254). Sull’appartenenza o meno di questo codice alla biblioteca di Colocci, e per altre notizie su di esso si veda qui la nota 54.
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220
VAT. LAT. 4831
(f. 21r)
10
15
20
25
30
Lasso qua(n)to è› uno amante ______________________ fo_ 25 Lasso come fui____________________________________ fo_ 33 Lasso qua(n)te acque ______________________________ fo_ 35 Lasso ch’œera ______________________________________ fo_ 41 Lame(n)ta(n)dome un dì___________________________ fo_ 47 Loda natura ______________________________________ fo_ 52 Leggi è› piangi ____________________________________ fo_ 57 La vestal turba ____________________________________ fo_ 58 Lasso il cor _______________________________________ fo_ 59 L’œepistola tua _____________________________________ fo_ 67 L’œaurata tela ______________________________________ fo_ 79 Lame(n)tar mi ____________________________________ fo_ 81 Lassar me ti ______________________________________ fo_ 82 L’huomo chiama __________________________________ fo_ 89 Letta ho la l(ette)ra________________________________ fo_ 95 Lasso no(n) basta ________________________________ fo_ 106 Letto ho _________________________________________ fo_ 11937 Lassala che ______________________________________ fo_ 123 L’œaurata_________________________________________ fo_ 141 Lassar no(n) voglio _______________________________ fo_ 143 Leggendo l’œopra__________________________________ fo_ 163 Loco no(n) fu ____________________________________ fo_ 112 Liber era(m) _____________________________________ fo_ 115 Lassata ho_______________________________________ fo_ 133 Lasso ch’œogn’œhor _________________________________ fo_ 134
f. 21r 7. Lasso... amante] cfr. r. 3. 17.]◊o- (segno a chiave)◊ marg. sinistro: segnala la ripetizione di un incipit: cfr. qui r. 25. 21. letta... lettera] cfr. r. 23. 23-27.] cambio di inchiostro (II fase). 25.]◊o- (segno a chiave)◊ marg. sinistro: segnala la ripetizione di un incipit: cfr. qui r. 17. 27-28.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, a separare r. 27 da r. 28 (III fase da r. 28 fino a r. 33). 29. liber era(m)] cfr. f. 17v, rr. 24-25; f. 20r, rr. 19 e 30; f. 22r, rr. 31-32; f. 23v, rr. 42-43 (incipit in latino). 37 Le prime due integrazioni della III fase (per cui si vedano rr. 28 e 29 del presente foglio) riguarderanno fogli (112 e 115) precedenti a quello indicato qui (119) relativamente al primo incipit della II fase, ma comunque successivi a quello che si è ipotizzato essere il foglio di partenza (111) delle due ultime fasi di compilazione.
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III FASCICOLO
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(f. 21r)
L’œun thosco______________________________________ fo_ 139 Lasso che io amo_________________________________ fo_ 142 f. 21v 1
M Mondella ____________________________________ fo_ 6 Maravigliomi già ___________________________________ fo_ 9 Mado(n)na io no(n) ho messo ______________________ fo_ 15 Mente che più ____________________________________ fo_ 24 Meraviglia no(n) è› ________________________________ fo_ 28 Milita chi ama ____________________________________ fo_ 39 Misera me ________________________________________ fo_ 41 Mentre che me____________________________________ fo_ 50 Miser chi ama ____________________________________ fo_ 51 Maraviglia no(n) è› ________________________________ fo_ 60 Mira come _______________________________________ fo_ 60 Molti la lingua ____________________________________ fo_ 60 Mostra l’œimagin ___________________________________ fo_ 61 Misero ove _______________________________________ fo_ 80 Misera alma ______________________________________ fo_ 89 Molti la lingua ____________________________________ fo_ 90 39Ma poiché _____________________________________ fo_ 111 mio38
5
10
15
f. 21v 6.]◊o- (segno a chiave)◊ marg. sinistro: segnala la ripetizione di un incipit: cfr. qui r. 11 (e anche rr. 22 e 29, tuttavia non accompagnate dal segno a chiave). 11.]◊o- (segno a chiave)◊ marg. sinistro: segnala la ripetizione di un incipit: cfr. qui r. 6 (diversi tuttavia il vocalismo e l’indicazione di foglio). 13. molti la lingua] cfr. r. 17. 17-18.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, a separare r. 17 da r. 18 (qui si tratta tuttavia di una svista del compilatore che ha collocato il tratto che solitamente segnala l’inizio della III fase in un punto sbagliato: questa, infatti, inizia solo a r. 27 dove, di fatto, il tratto manca). 18-26.] cambio di inchiostro (II fase). 38 Il personaggio citato nell’incipit è Girolamo Mondella, veronese, disegnatore e inta-
gliatore, massaro dell’arte degli orefici di Verona dal 1497 al 1498; dipinse il ritratto – celebrato da Tebaldeo in un carme latino – per Laura Brenzone. Quanto all’identificazione del sonetto cui appartiene l’incipit rimane il dubbio tra Mondella mio, tu ti pensasti il volto (TEBALDEO, Rime cit., III/1: Ultima silloge cit., nr. 316, pp. 152-153, a cui si rimanda per le notizie circa il personaggio) e Mondella mio, se ben m’accorgo (ibid., nr. 446, pp. 414-415). 39 Compare qui, sopra all’incipit e con una coda che si estende un po’ obliquamente nel margine sinistro, un tratto confrontabile con quelli che ricorrono in quasi tutte le sezioni
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(f. 21v)
Madonna ben ____________________________________ fo_ 116 Mentre tu sotto __________________________________ fo_ 116 Ma se averrà_____________________________________ fo_ 117 Maraviglia no(n) è› _______________________________ fo_ 119 Meglio è› haver ___________________________________ fo_ 133 Mosso no(n) de la ________________________________ fo_ 138 Ma no(n) so come ________________________________ fo_ 140 Miser Guiscardo _________________________________ fo_ 141 40Me sola implica ________________________________ fo_ 115 Magnanimo ge(n)til ______________________________ fo_ 137 Maraviglia non è› _________________________________ fo_ 144 Misero Apollo____________________________________ fo_ 165
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f. 22r 1
5
N Nulla al p(ro)fondo_________________________________ fo_ 8 No(n) expectate ___________________________________ fo_ 13 Non credo più ____________________________________ fo_ 17 Nimpha gentil ____________________________________ fo_ 18 No(n) creder______________________________________ fo_ 20
f. 21v 22. Maraviglia no(n) è›] cfr. rr. 11 e 29. 26. Miser Guiscardo] cfr. f. 17v, r. 22; f. 18r, r. 8; f. 19r, rr. 13-15. 29. Maraviglia non è›] cfr. rr. 11 e 22. 27-30] (III fase). f. 22r 2.]◊o- (segno a chiave)◊ marg. sinistro: segnala la ripetizione di un incipit: cfr. qui r. 7. per segnalare l’inizio della terza fase, ma qui non notiamo un salto indietro nella numerazione: esso avverrà solo a r. 27, e questa volta non verrà segnalato da nessun trattino prossimo al margine sinistro. Si tratterà dunque di un errore del compilatore, fattosi trarre in inganno forse da alcune caratteristiche accidentali della grafia delle righe che seguono e che le distinguono dalle precedenti (meno spigolose e più regolari). Qui avremo perciò indiretta conferma del fatto che i tratti di demarcazione della III fase possono essere stati aggiunti solo successivamente al suo completamento all’interno di ciascuna sezione. Di fatto la presente riga è la prima della II fase (non per nulla il primo incipit ascrivibile alla III fase – r. 27 – si trova in un foglio – 116 – che va collocato tra quello indicato a r. 18 – 111 – e quello di r. 19). 40 Inizia qui, verosimilmente, la fase di revisione, come la numerazione del foglio che
compare al fondo della riga conferma. Come indicato a nota 39, questa volta le aggiunte non sono segnalate da alcun tratto, ma la maggior evidenza della prima linea che unisce il presente incipit all’indicazione di pagina, rispetto a quelle precedenti, conferma l’ipotesi che questa linea sia da ascrivere ad una fase nuova di redazione, appunto la terza.
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III FASCICOLO
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(f. 22r)
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Nulla al p(ro)fondo________________________________ fo_ 24 No(n) sì bel mai___________________________________ fo_ 29 No(n) ti bastava___________________________________ fo_ 33 No(n) volontier ___________________________________ fo_ 45 No(n) del specchio ________________________________ fo_ 49 No(n) bastano ____________________________________ fo_ 54 No(n) più pia(n)to_________________________________ fo_ 58 Natura che p(ro)dur _______________________________ fo_ 62 No(n) se era ______________________________________ fo_ 64 Nimpha crudel____________________________________ fo_ 73 Natura de le cose__________________________________ fo_ 74 Natura come _____________________________________ fo_ 77 No(n) più guerra __________________________________ fo_ 87 No(n) sera(n)no___________________________________ fo_ 97 Non creder s(ign)or ______________________________ fo_ 109 No(n) ti vergogni_________________________________ fo_ 119 No(n) te apparui _________________________________ fo_ 142 No(n) se(n)za ca(n)_______________________________ fo_ 14041 No(n) vengo _____________________________________ fo_ 141 Né à› pregar______________________________________ fo_ 155 No(n) co(n)veniva ________________________________ fo_ 158 No(n) ne admirate _______________________________ fo_ 165 No(n) fu mai targa _______________________________ fo_ 113 No(n) rechiedea__________________________________ fo_ 114 No(n) hèc eolio___________________________________ fo_ 115 Nec veluti________________________________________ fo_ 115
f. 22r 7.]◊o- (segno a chiave)◊ marg. sinistro: c. s., cfr. qui r. 2. 17.]◊(breve tratto obliquo a penna prima della parola Natura)◊ marg. sinistro: si tratta di un semplice trascroso di penna. 22-28.] cambio di inchiostro (II fase). 28-29.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, a separare r. 28 da r. 29 (III fase da r. 29 fino a r. 40). 31-32.] cfr. f. 17v, rr. 24-25; f. 20r, rr. 19 e 30; f. 21r, r. 29; f. 23v, rr. 42-43 (incipit in latino).
41 Il copista torna indietro essendosi accorto di aver dimenticato qualche componimento tra foglio 119 e foglio 142: la sua correzione non è completa, come le aggiunte da riga 29 in poi mostreranno, e nonostante questo recupero continuerà a saltare incipit nelle righe che seguono fino alla 28.
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(f. 22r)
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No(n) mi val _____________________________________ fo_ 116 No(n) fo vergogna ________________________________ fo_ 116 No(n) basta che __________________________________ fo_ 122 No(n) già l’intenso _______________________________ fo_ 132 No(n) sciai lo peso _______________________________ fo_ 133 No(n) expettate __________________________________ fo_ 143 No(n) sì bella ____________________________________ fo_ 151 No(n) già› mado(n)na _____________________________ fo_ 157
f. 22v 1
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O Ò~ benigno atto ____________________________________ fo_ 17 Ò~ cor à› che _______________________________________ fo_ 31 Ò~ benigno atto ____________________________________ fo_ 42 Ò~ impossibil ______________________________________ fo_ 50 Obedisce il leon ___________________________________ fo_ 61 Ogn’œ hor ch’œ io penso ______________________________ fo_ 76 Ò~ qua(n)te fiate ___________________________________ fo_ 80 Ò~ qua(n)to è› lo(n)go_______________________________ fo_ 93 O vision _________________________________________ fo_ 100 Onde l’ingiuria___________________________________ fo_ 116 Ove Palladio42 ___________________________________ fo_ 125
f. 22r 37. sciai] parola di incerta lettura. f. 22v 2. Ò~... atto] cfr. r. 4. 6. fo_ 61] con 1 corr. su 0. 11-(15).] cambio di inchiostro (II fase). 42 Non v’è certezza sull’identificazione del personaggio citato in questo incipit. Potrebbe forse trattarsi di Blosio Palladio Sabino, nome latinizzato di Biagio Pallai. Non se ne conosce la data di nascita, ma morì nel 1550, a Roma, dopo essere stato abbreviatore pontificio da Leone X in poi, quindi vescovo di Foligno. Frequentò gli stessi ambienti in cui troviamo Colocci, come l’‘accademia’ del Goritz e la casa di Agostino Chigi. Il suo nome infatti si lega a due importanti raccolte poetiche: il Suburbanum Augustini Chisii (Roma, Mazochio, 1512), in cui di sua mano è la lettera dedicatoria (cfr. M. QUINLAN. MCGRATH, Blosius Palladius, Suburbanum Augustini Chisii. Introduction, Latin Text and English Translation, in Humanistica Lovaniensia. Journal of Neo-Latin Studies 39 [1990], pp. 93-156) oltre ad alcuni testi, e Coryciana (cfr. Coryciana cit., nrr. 9, 38, 56, 127-128, 136, 140), della quale sembra sia stato il raccoglitore e l’editore nel 1524. Il Palladio stesso ospitava nei suoi giardini fuori di Porta Angelica riunioni di letterati (tra cui Colocci), molti dei quali sono nominati (e così Blosio medesimo) nella più volte citata lettera del Sadoleto (cfr. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., e FANELLI, Ricerche su Angelo Colocci cit., ad indicem; E. BENTIVOGLIO,
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III FASCICOLO
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(f. 22v)
15
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O cosa nova _____________________________________ fo_ 133 Ò~ dulcissimo ____________________________________ fo_ 158 Ò~ cor amato _____________________________________ fo_ 159 Oimé come ______________________________________ fo_ 111 O patria ceca ____________________________________ fo_ 113 Ogn’œ hor ch’el rio ________________________________ fo_ 125 Onde principio___________________________________ fo_ 129 Poiché dal ciel ___________________________________ fo_ 141 Poiché Fran(ces)co43 _____________________________ fo_ 146 Pianto havea_____________________________________ fo_ 149 Padre del ciel44___________________________________ fo_ 153
f. 22v 15-16.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, a separare r. 15 da r. 16 (III fase da r. 16 fino a r. 19). 19-20.] tra r. 19 e r. 20 c’è uno spazio bianco di circa 7 cm (gli incipit in P seguenti – rr. 20-23 – appartengono alla sezione seguente e vanno perciò considerati successivi all’ultimo incipit di f. 23r). 23. Padre del ciel] cfr. f. 23r, rr. 34 e 46. Blosio Palladio di Collevecchio in Sabina nella Roma tra Giulio II e Giulio III, Collevecchio in Sabina 1990 [Collana di studi storici e artistici della Sabina, 1]. 43 Altro riferimento a qualche personaggio, forse contemporaneo. Non sembra possibile tuttavia suggerire identificazioni certe, ma, tenendo presente la “lista” della lettera del Sadoleto citata, si potranno suggerire i nomi di Francsco Bini (fiorentino, protetto dal Bembo e dal Sadoleto, frequentatore della casa di Ercole Strozzi, amico di Berni e di molti letterati; fu canonico di santa Maria Maggiore, dove venne sepolto alla sua morte nel 1556) e del Forni (modenese, allievo di Pomponazzi, insegnò logica a Bologna e a Pisa; morì ancor giovane ad Orvieto nel 1527, dove si trovava al seguito di Ercole Gonzaga; cfr. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., ntt. 114 e 124). Si potrebbe anche ipotizzare che si tratti del Petrarca (non dunque un contemporaneo, evidentemente; e la circostanza non sorprenderebbe, viste le due menzioni del nome Dante di f. 24v, r. 8 e f. 25r, r. 31), di cui l’incipit di r. 23 sembra citare un verso. Francesco è anche il nome dello zio di Angelo (citato a f. 104r, r. 14), che col nipote riparò a Napoli in seguito alla congiura antipapale del 1486 che vide i Colocci alleati degli Aragonesi. Francesco fu governatore di Ascoli Satriano fino al 1492 e consigliere del re di Napoli (cfr. V. FANELLI, La ribellione di Jesi durante la congiura dei baroni, in ID. Ricerche su Angelo Colocci cit., pp. 19-29). Tuttavia se, come sembra, questi testi vanno ricondotti alla produzione del cosiddetto «secondo Tebaldeo» l’identificazione con Francesco Colocci – già morto nel 1499 – risulta poco probabile. 44 Il presente incipit sembra citare il primo verso di un celebre sonetto di Petrarca (cfr.
Rvf 62: Padre del ciel, dopo i perduti giorni), e ricompare altre due volte nel foglio seguente (f. 23r, rr. 34 e 46), ma con differenti indicazioni di foglio.
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f. 23r 1
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P Per mostrar________________________________________ fo_ 7 Pensando al studio _________________________________ fo_ 7 Perse mio figlio ____________________________________ fo_ 9 Parrà forse ad alchu(n) ____________________________ fo_ 11 Perché fosse al suo ________________________________ fo_ 12 Piange l’œagricultor ________________________________ fo_ 14 Per asconder l’œardor _______________________________ fo_ 18 Per monstrar q(uan)ta45 ___________________________ fo_ 22 Porto se mi è› dolor ________________________________ fo_ 26 Prendi che n’œhai ragion ____________________________ fo_ 26 Per frenar ________________________________________ fo_ 27 Perché l’acerba ___________________________________ fo_ 29 Perché seguir _____________________________________ fo_ 29 Più fortunata _____________________________________ fo_ 30 Phebo46 deh ______________________________________ fo_ 49 Pietra47 già _______________________________________ fo_ 54 Pietra già don(n)a _________________________________ fo_ 58 Per haver me _____________________________________ fo_ 59 Par che in un _____________________________________ fo_ 63
f. 23r 2.]◊o- (segno a chiave)◊ marg. sinistro: segnala la ripetizione di un incipit: cfr. qui r. 9. 9.]◊o- (segno a chiave)◊ marg. sinistro: segnala la ripetizione di un incipit: cfr. qui r. 2. q(uan)ta] aggiunto dalla mano di Colocci. 45 La parola «q(ua)nta» è aggiunta da Colocci, che probabilmente intervenne a correggere e completare la tavola redatta da un copista. L’inchiostro sembra lo stesso dei segni a chiave e delle correzioni di molti numeri di foglio relativi agli incipit (oltre che della numerazione dei fogli del ms.). Le stesse considerazioni andranno riferite alla parola «amor» di f. 23v, r. 19. 46 Difficile dire se si tratti di un’apostrofe al sole o piuttosto ad un qualche intellettuale
che portava il nome umanistico Phoebus come il Ph. Capella Venetus, dedicatario del ficiniano Quid sit lumen (1476) e del dialogo Phoebus, sive de aetatum moribus (1520) di Nicolaus Leonicus Thomaeus (Venezia, 1456 — Padova, 1531). Il Febo fu in corrispondenza, con Francesco Filelfo e col Ficino (lettere in Ottob. lat. 1732: cfr. COSENZA, alla voce Phoebus Capella [Venetus]). 47 Il presente incipit e quello della riga seguente potrebbero far riferimento al medesimo testo che rimane tuttavia inidentificato.
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III FASCICOLO
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(f. 23r)
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Prendi che________________________________________ fo_ 77 Pover l’œhabito_____________________________________ fo_ 77 Perse come _______________________________________ fo_ 78 Perché fosse ______________________________________ fo_ 78 Perché te paio ____________________________________ fo_ 79 Poiché restai______________________________________ fo_ 81 Pia(n)gea il pastor_________________________________ fo_ 83 Poiché l’œempio ____________________________________ fo_ 86 Par che in un loco _________________________________ fo_ 89 Per me no(n) ti____________________________________ fo_ 94 Poiché leggiadro _________________________________ fo_ 102 Pascer pur mi potrò ______________________________ fo_ 111 Poi tace _________________________________________ fo_ 111 Padre del ciel ____________________________________ fo_ 114 Poiché l’œimpia ___________________________________ fo_ 122 Poiché io ________________________________________ fo_ 132 Popul se quel ____________________________________ fo_ 147 Padre ritorno _________________________________ fo_ 148 Pria questa ______________________________________ fo_ 14148 Porta ’l famiglio __________________________________ fo_ 157 Per amonirte ____________________________________ fo_ 161 Parme sentir_____________________________________ fo_ 167 Perché voi _______________________________________ fo_ 169 Parme vedere ____________________________________ fo_ 16149 Partir convie(m)me ______________________________ fo_ 115
f. 23r 32-44.] cambio di inchiostro (II fase). 34. Padre del ciel] cfr. r. 46 e f. 22v, r. 23. 45(47).] III fase: in questo caso manca la lineetta prossima al marg. sinistro a segnalarne l’inizio (la III fase di questa sezione comprende anche i 4 incipit di f. 22v, rr. 20-23).
48 Questo breve salto indietro (cfr. anche r. 44), andrà, verosimilmente, imputato a una
correzione estemporanea e non alla III fase redazionale (per cui si veda oltre). 49 Ennesimo salto indietro (cfr. r. 39), ma la III fase inizierà solo dalla riga seguente. La redazione di questa sezione sembra piuttosto accurata, rispetto alle altre, come le due correzioni segnalate e il basso numero di aggiunte (tre nelle righe che seguono e altre quattro a f. 22v) in proporzione al numero totale di incipit, farebbero pensare.
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(f. 23r)
Padre del ciel ____________________________________ fo_ 119 Per satisfare _____________________________________ fo_ 136 f. 23v 1
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Q Quello che in ogni__________________________________ fo_ 5 Quel falso _________________________________________ fo_ 5 Quando talhor la passio(n) __________________________ fo_ 6 Qual è› quel pro(n)to_______________________________ fo_ 12 Quanta virtù ______________________________________ fo_ 14 Quelle tue spoglie _________________________________ fo_ 17 Questo sasso ti do _________________________________ fo_ 19 Quanto diverso oimé ______________________________ fo_ 19 Quel che tentai____________________________________ fo_ 23 >Quando talhor ___________________________________ fo_ 286Quando... passio(n)?(.)?1489< 56 Scritto con lettera maiuscola, sarà verosimilmente il nome di qualche umanista. Proporrei dubitativamente il nome di Niccolò Angeli, detto Niccolò da Bucine, grammatico (è autore di un De complexu partium orationis, Firenze, Giunta, 1500), poeta e traduttore (Il quarto libro della Eneida, ridotto in ottava rima da Niccolò de gli Angeli, Roma, Haer. Antonio Blado, Impressori camerali, 1568) nato a Firenze dove – oltre che a Siena – insegnò. Numerose le edizioni di classici curate per la tipografia giuntina: le Orationes di Cicerone (1515), Macrobio (Interpretatio in Somnium Scipionis edita con i Saturnalium libri VII nel 1515), Quintiliano (1516), Virgilio (1520), Livio (1522), Prisciano, Plauto (1514 dedicata a Lorenzo II de’Medici e 1522; cfr. la voce Angelius Nicolaus in COSENZA). 57 Il notevole salto che sembra testimoniato qui, da foglio 93 (f. 24v, r. 53) al foglio 118
di Q, è colmato dall’appendice di incipit in S che compare, di seguito agli incipit in T, a f. 27r, rr. 33-49. La scrittura delle righe di f. 27r, infatti, precedette cronologicamente quella delle righe di f. 25r. Il bifoglio 25-26 è infatti stato aggiunto in un secondo tempo tra gli attuali ff. 24 e 27, che perciò in un primo momento erano adiacenti. Il compilatore, dunque, aveva riempito con gli incipit in S il verso di f. 24, aveva quindi proseguito – con modalità di cui si dirà oltre – nello spazio lasciato libero dagli incipit in T al fondo dell’adiacente recto di f. 27 (rr. 33-49). Tuttavia, esaurito anche lo spazio ivi disponibile, dovette ritenere opportuno aggiungere un nuovo bifoglio (appunto l’attuale 25-26) tra f. 24 e f. 27, utilizzandolo però solo in parte (ragione per cui i f. 25v e f. 26r sono bianchi). Le righe di f. 25r saranno dunque da ritenersi successive a quelle (rr. 33-49) di f. 27r, e andranno ascritte (almeno fino alla r. 14 di f. 25r) alla seconda fase redazionale di questa sezione (si veda anche nota 63).
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(f. 25r) 5
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Se la pena _______________________________________ fo_ 120 So che __________________________________________ fo_ 120 Se abandona(n)do________________________________ fo_ 143 Sigismo(n)da58___________________________________ fo_ 140 Sismonda mai ___________________________________ fo_ 154 Signor scaccia ___________________________________ fo_ 157 Sismo(n)da il padre ______________________________ fo_ 158 Sigismo(n)da come_______________________________ fo_ 159 Serva Tancredo59 ________________________________ fo_ 160 Ser Nicolò60 _____________________________________ fo_ 162 So ben __________________________________________ fo_ 169 Se mitigar _______________________________________ fo_ 111 Se in guerra _____________________________________ fo_ 111 Sia benedetta quella ______________________________ fo_ 112 Se mai disse _____________________________________ fo_ 114 Solvere sola _____________________________________ fo_ 116 Se il ciel_________________________________________ fo_ 116 So che hai _______________________________________ fo_ 118 Se succedere a me________________________________ fo_ 119 Se la man bella __________________________________ fo_ 123 Se à› le fiate ______________________________________ fo_ 124 Spesso tua lingua ________________________________ fo_ 125 Serebbe mai _____________________________________ fo_ 127
f. 25r (1)-14.] diverso inchiostro (II fase: iniziata a r. 34 di f. 27r e proceduta regressivamente a comprendere r. 33 del medesimo foglio; si vedano in proposito le annotazioni relative a queste righe di f. 27r). 7-8.] cfr. rr. 10-11. 10-11.] cfr. rr. 7-8. 12. Tancredo] cfr. f. 27r, rr. 3031. 14-15.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, a separare r. 14 da r. 15 (III fase da r. 15 fino a r. 39). 21. hai] corr. su sai. 58 Prima menzione di questo personaggio femminile non identificato. Il nome Sismon-
da delle righe seguenti sarà, verosimilmente, solo una sua variante. 59 Personaggio non identificato. 60 Dato il contesto in cui si colloca questo incipit – i fogli 161-170 di Q – sarei tentato
di identificare il personaggio qui menzionato con Niccolò Lelio Cosmico, a cui numerosi altri testi della sezione parrebbero indirizzati (sul personaggio vd. f. 14v, r. 14, annotazioni e rimandi relativi).
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III FASCICOLO
235
(f. 25r)
Serebbe mai _____________________________________ fo_ 127 Sanato anchor ___________________________________ fo_ 129 Simile à› quelle ___________________________________ fo_ 132 Scio che molti ___________________________________ fo_ 135 Se Dante una ____________________________________ fo_ 139 S’œio no(n) torno __________________________________ fo_ 139 S’ el mastro______________________________________ fo_ 139 Se pensi _________________________________________ fo_ 140 Se al mondo _____________________________________ fo_ 141 Sappi che gionto _________________________________ fo_ 145 S’œio no(n) te conoscesse __________________________ fo_ 146 Signor che nel ___________________________________ fo_ 149 Spoglia il profondo_______________________________ fo_ 150 Sì come l’œingegnoso ______________________________ fo_ 151
30
35
f. 25v
[bianco] f. 26r
[bianco] f. 26v 1
5
61Tu
se disposto __________________________________ fo_ 111 Tu già› solevi _____________________________________ fo_ 124 Tu pur Iulio _____________________________________ fo_ 125 Tu credi pur ingrata ______________________________ fo_ 127 Tu sai che io _____________________________________ fo_ 134
f. 25r 27. sanato] la -o non ben leggibile per una macchia d’inchiostro. f. 26v 1-(9).] (III fase relativa agli incipit della sezione T, iniziata a f. 27r).
61 Trova spazio qui la III fase redazionale della sezione T, le cui prime due fasi sono
ospitate invece a foglio 27r. Come si è notato (nota 57) il presente foglio fa parte del bifoglio (ff. 25-26) aggiunto in ragione della carenza di spazio per gli incipit in S registrati al fondo di f. 27r. L’aggiunta si rivelò eccessiva – seppur necessaria – e due facciate rimasero inutilizzate, mentre f. 26v veniva impiegato per l’integrazione degli incipit in T che non avevano potuto trovare posto nel loro luogo ‘naturale’ (il fondo di f. 27r), già occupato dalla seconda fase della trascrizione degli incipit in S. Per quanto riguarda gli incipit del presente foglio, invece, che si tratti della III fase, lo prova la prima indicazione di foglio (oltre che le caratteristiche della grafia, più rapida e larga di quella di f. 27r).
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236
VAT. LAT. 4831
(f. 26v)
Tassin quel che62 _________________________________ fo_ 135 Tal vede _________________________________________ fo_ 135 Tolto m’ha pur ___________________________________ fo_ 143 Trova chi te _____________________________________ fo_ 165 f. 27r 1
5
10
15
20
T Tu me dimandi ____________________________________ fo_ 9 Tu m’œhai lassato __________________________________ fo_ 15 Tristi anni ________________________________________ fo_ 23 Tu vedrai Be(m)bo ________________________________ fo_ 27 Tristi anni ________________________________________ fo_ 41 Tu che creder _____________________________________ fo_ 48 Tu che miri _______________________________________ fo_ 49 Tu pur chiedi _____________________________________ fo_ 52 Tu in un vetro ____________________________________ fo_ 61 Tu andrai ________________________________________ fo_ 63 Trovasi un________________________________________ fo_ 64 Tu pur me ________________________________________ fo_ 64 Tu m’œhai pur _____________________________________ fo_ 72 Tu sei morto______________________________________ fo_ 75 Tu me inviti ______________________________________ fo_ 76 Tu te ne andrai ___________________________________ fo_ 79 Tu voi____________________________________________ fo_ 85 Tal hor che alchu(n) _______________________________ fo_ 91 Tygre leone _______________________________________ fo_ 98 Tu pensi__________________________________________ fo_ 98 Taccia ogni _______________________________________ fo_ 99
f. 27r 2. fo_ 9] fo_ >844era< sono. f. 32r 1. çfaçmçoçso] çfaçmçoçso >schoabbate< 3. lema(n)ti] lettura incerta. 4. Co(n)te] con Co- corr. su de. 20 Anche in questo caso il riferimento è a PETRARCA, Triumphus Cupidinis, IV, 45-47: «e quei che fur conquisi con più guerra: / i’ dico l’uno e l’altro Raÿmbaldo / che cantò Beatrice e Monferrato». I due Raimbaldo in questione sono rispettivamente Raimbaut d’Aurenga e Raimbaut de Vaqueiras. 21 Come accennato, qui il riferimento è probabilmente a una delle facezie raccolte da Colocci nel codice Vat. lat. 3450 (su cui cfr. SMIRAGLIA, Le «Facetiae» del Colocci cit., pp. 221-230). Ai ff. 23v e 24r del codice se ne può leggere una che reca appunto il titolo «de ymagine Cesaris» (vd. APPENDICE V, 1): il pittore è però ivi designato «iuvenis quida(m) scitulus esinas» e il signore di cui si fa beffe è Borso d’Este. Un altro riferimento – cassato – a questa facezia è riportato anche a f. 88v, rr. 1-3 del presente ms., a proposito di Elisio Calenzio (rapidi riferimenti alla medesima in Vat. lat. 3450, ff. 59r, 76v, 79v [I col.]) 22 Anche questo attributo si rintraccia in PETRARCA, Triumphus Cupidinis, IV, 48: «e ’l vecchio Pier d’Alvernia [con Giraldo]». 23 L’aspetto grafico di questa parola non sembra presentare eccessive difficoltà di lettura, anche se il suo significato appare poco chiaro. DEBENEDETTI, Gli studi provenzali cit., p. 213, trascrive lemmati, e graficamente la soluzione soddisfa abbastanza, senonché il titulus per la nasale è posto sulla a e non sulla e (anche se per la corsività della grafia l’argomento non risulta stringente), in ogni caso la parola lemmati non è molto più comprensibile. Si può invece pensare ad una semplice svista con scambio di posizione delle vocali se si accoglie la lettura lemanti, che starà per lamenti. In questo caso avremmo forse notizia di un codice posseduto da Colocci che conteneva dei lamenti in provenzale. Non credo che si possa trattare del canzoniere M (Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 12474 [già Vat. lat. 3794]), di cui entrò in possesso solo nel 1515 e che gli sarebbe potuto servire per rimpinguare le scarne biografie dei provenzali che compaiono in queste pagine o per integrare il catalogo, come fa per i poeti italiani, attingendo da altre fonti. Mi rendo conto, in ogni caso, che l’argomento ha tutta la debolezza delle prove e silentio e, per altro, al momento, non saprei suggerire altre identificazioni, a meno di non voler indicare dubbiosamente e genericamente il codice composito Vat. lat. 7182, o almeno le sue parti appartenute a Colocci, che contengono i Lais de Bretanha e «quelques fragments provençaux» (cfr. LATTÈS, Recherches cit., [Extrait] pp. 27-28). La lettura lemmari, suggerita da Nadia Cannata (cfr. CANNATA, Il primo trattato cinquecentesco cit., p. 193), non finisce di convincere per l’aspetto della lette-
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248
VAT. LAT. 4831
(f. 37r)
di provenza et pisciculi24 | f. 37v
[bianco] f. 38r
ç çirçalçdoæ | G come p(er)venne ad un suo desiderato | fine co(n) la canicula et senapa.25 |
1 2
f. 38v
[bianco] f. 39r 1 2
çGçiaçnçfrçé çrçuçdçel | Divitie nutriu(n)t adulatores .sec(ond)o l’epigr. | greco26 vide
ra che precede la -i che non mi pare possa plausibilmente essere una -r-. Con questa parola si alluderebbe agli spogli di vocaboli che costantemente Colocci compilava a partire dalle sue letture, ma non mi risulta del tutto chiaro come questi potesse ricavare informazioni su un autore da un lemmario (e dai suoi in particolare); del resto poi si potrà aggiungere che per aver compilato un lemmario non è irragionevole supporre che Colocci dovesse possedere o aver avuto a disposizione con agio i testi da cui trarre i lemmi (verosimilmente provenzali), sicché il rimando ad un lemmario in luogo del testo da cui lo si è tratto rende ulteriormente perplessi. 24 Per questa facezia, un riscontro è rintracciabile ancora nel Vat. lat. 3450, f. 29v, dove
però è riferita a Francesco Sforza, e a un «abbas... monasterii Clarevallis» (cfr. APPENDICE V, 2). 25 La parola letta come canicula è letta da DEBENEDETTI, Gli studi provenzali cit., p. 213
– che però vi accosta un eloquente punto interrogativo – cavienta. L’aneddoto a cui qui Colocci allude è narrato da Pietro Alfonsi nella sua Disciplina Clericalis (cfr. Patrologiae cursus completus. Series Latina, accurante J.-P. MIGNE [d’ora in poi PL], 157, Lutetiae Parisiorum 1854, coll. 671-706, Fabula XI, coll. 684-685), naturalmente non a proposito di Giraldo (Guiraut de Bornelh): un giovane innamorato della castissima moglie di un nobile ottiene l’aiuto di una «anus religionis habitu decorata» che convince la donna a concedersi allo spasimante mostrandole una sua canicula a cui aveva fatto ingerire del pane preparato con la senape, in modo che gli occhi della bestiola lacrimassero. Spiega infatti la vecchia quella essere sua figlia trasformata per punizione in cagnetta per aver disprezzato le profferte di un giovane che la amava e che perciò si era ammalato (inoltre a f. 76r di Vat. lat. 3450 [III col.] si legge il seguente rapido appunto: «De vetula et cani|cula / et sinapi»). 26 Stupisce il riferimento ad un «epigramma greco», visto che le tre parole iniziali sono in latino. Colocci possedeva tuttavia una raccolta di epigrammi greci trodotti in latino, il Vat. lat. 2848 (cfr. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., p. 100, nt. 175): un assai rapido esame del manoscritto non ha permesso di rintracciare qui la fonte. L’unico epigramma individuato, che potesse avere pertinenza con il tema, si legge al f. numerato 62v e reca il titolo In Adulator(e)s Bisa(n)tini: «Si quis vir impera(n)s vult adulator(e)s sustiner(e) / Mul-
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IV FASCICOLO
249
(f. 39r)
plutarco d(e) hannibale et an|thioco27 no(n) fece così geraldo. volendo | adular el co(n)te di ghellere o duca ch(e)28 | corendosi un palio dixe ch’ (e)l suo | cavallo era el terzo |
5
f. 39v
[bianco] f. 40r 1 2 5
çGçuçllçieçlçmoæ29 del tino tramo(n)tano30 coetaneo | de dino da mugello31 et dell’altri. legeva gra(n) t(em)po nello | studio d’orliens .i(d est). aurelia fu illustre s(cri)ve | el caccialupo32 se compren-
f. 40r 1.]◊no(n) pò e(ss)er q(ue)sto◊ marg. superiore, spostato verso destra; la glossa si riferisce probabilmente alla notazione interlineare di r. 2. 2. Gullielmo] con -u- corr. su -ui-. del tino] da cunio (cfr. rr. 19-20 e note relative). tos edet scelestes oribus / Quar(e) te oportet probu(m) odio h(ab)entem iuste / ut adulator(e)s odisse eas q(uod) adulator(i)b(us) d(e)lecta(n)t». 27 Si tratta probabilmente dell’episodio in cui Annibale sollecita l’aiuto di Antioco contro Roma, ricordando i precedenti successi del re siriano sui Latini (Vita di Tito Quintio Flaminino, IX). Colocci possedette alcune delle Vite di Plutarco in vari item della sua biblioteca e quella di Tito Quintio si legge, tradotta da Guarino Veronese, in Vat. lat. 1883 (cod. composito, membr., ff. 1-74, parzialmente palinsesto, XV sec., mani diverse, appartenuto ad Agostino Trivulzio), ff. 17r-29r. Non vi sono postille colocciane nei loci che qui interressano, tuttavia la citazione della vita di Tito Flaminino in un altro punto di Vat. lat. 4831 (f. 55r, rr. 4-5) può considerarsi una conferma indiretta per l’identificazione del riferimento. 28 Parola di lettura incerta, si suppone che si tratti di un toponimo forse francese adattato; DEBENEDETTI, Gli studi provenzali cit., p. 213 trascrive Ghallera (ma della difficoltà di distinzione delle due vocali si è già detto) e omette il ch(e) pure ben visibile. In questo caso non si è potuto rintracciare l’episodio a cui si fa riferimento in queste righe. 29 Cfr. Triumphus Cupidinis, IV, 53-54: «[...] quel Guillielmo / che per cantar à ’l fior de’ suoi dì scemo», cioè Guilhem de Cabestanh; fa specie che tra le diverse identificazioni proposte, Colocci non suggerisca anche questa, visto che Guglielmo da Guardastagno è il protagonista di una novella di Boccaccio (Decameron IV, 9; ma cfr. f. 87v, rr. 31-33). 30 La parola va considerata piana e vale ultramontano, cioè ‘francese’. 31 Dino da Mugello, della famiglia fiorentina dei Rossoni, giureconsulto, professore di
diritto civile a Pisa, Pistoia, Bologna e Siena. Fu convocato a Roma da Bonifacio VIII per la compilazione di un De Regulis iuris. Tra i suoi allievi Cino da Pistoia e Oldrado da Ponte (è l’«Oldrado da Lodi» di f. 52r, r. 32). Scrisse commenti al Digesto e al Codice oltre ad alcuni trattati (cfr. G. ERMINI, Dino da Mugello, in EI, XII, Roma 1931, p. 910). 32 Il riferimento è a Giovanni Battista Caccialupi (San Severino Marche, 1420 ca. — Roma, 1496), giurista, e trattatista, studiò a Perugia e esercitò a Siena (cfr. G. D’AMELIO, Caccialupi, Giovanni Battista, in DBI, 15, Roma 1972, pp. 790-797). Lo troviamo citato sovente in questo ms. dal Colocci (cfr. f. 46r, r. 10; f. 52v, r. 10; f. 53r, r. 32) e anche nel suo codice
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250
VAT. LAT. 4831
(f. 40r)
9
de e(ss)er stato q(ue)sto | p(er)ch(é) i(n) un petrarca antico era Una chiosa | v(idelice)t del tino. fece breve ap(paratum) sopra ’l .C(odice). et | (Digestum) vet(us). fiorì nel m. ccc. et circa q(ua)n(do) | fioriva i(n) italia petro di bella p(er)tica33 et | Ricardo malo(m)bra34 cremonese i(n) padua | ch(e) p(er)venne alli t(em)pi di roberto re | et Lampertin35 ramponiò et bartholo|meo.
f. 40r 6. Una] corr. su scr-. 7. breve] corr. su qualcosa di non chiaro, forse no-. 8. (Digestum)] l’opera è indicata tramite l’abbrevviatura consueta nel XV secolo: ff. (Cfr. CAPPELLI, Lexicon cit., p. 137). delle facezie (Vat. lat. 3450, ff. 7r e 78v). L’opera che di lui è più nota è un trattato pedagogico composto a Siena nel 1467 e intitolato De modo studendi in utroque iure (princeps: Venezia, Giovanni di Colonia e Vindelino da Spira, 1472), di cui nel presente appunto Colocci volgarizza un passo del capitolo V intitolato Succinta historia interpretum et glossatorum iuris: «GUILHELMUS DE TYNO Doctor ultramontanus, qui legit longo tempore in studio Aureliensi, fecit breve apparatum super C. et ff. veteri. fuit doctor illustris» (si cita da J. B. GAZALUPIS, Succinta historia interpreturm et glossatorum iuris, in G. PANZIROLI, De claris legum interpretibus libri quatuor, a cura di D. C. G. HOFFMANN, Lipsia 1721, pp. 501-511, p. 504). 33 Pietro di Bellapertica, (Pierre de Belleperche) nato a Lucenay nel Nivernese verso la metà del XIII secolo e morto a Parigi nel 1307, fu un celebre giureconsulto francese: insegnò a Tolosa e Orléans, fu consigliere del re e canonico della Cattedrale parigina. Nel 1306 fu fatto vescovo di Auxerre. Scrisse commentari piuttosto scolastici alle Istituzioni e al Digesto e fu autore di alcune letture sui primi nove libri del Codice (cfr. G. ERMINI, Bellapertica, Pietro di- in EI, VI, Roma 1930, p. 548). Ecco per un riscontro quanto ne dice il Caccialupi: «PETRUS de BELLA PERTICA Burgundus, doctor illustris, scripsit super ff. et C. et super institutionibus. Edidit etiam infinitas disputationes, ut audivi, numero centum. Floruit anno Domini MCCC. ut colligitur ex dictis Cyni et Bart. in l.I. C. de sententiis quae pro eo quod inter. et fuit contemporaneus Dyni» (GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 504). 34 Riccardo Malombra, giureconsulto italiano, nacque a Cremona e morì in tarda età a Venezia nel 1334. Fu discepolo di Jacopo da Arena e nel 1295 professore di diritto a Padova, dove rimase fino al 1310. La Repubblica Veneta gli conferì la cittaddinanza e lo nominò consultore. Proprio per aver difeso le ragioni della Serenissima incorse nella censura. Non ci sono conservate le sue opere, ma si ha notizia di un suo trattato (De testibus) e di sue Questiones (cfr. G. ERMINI, Malombra, Riccardo, in EI, XXII, Roma 1934, p. 30). Ecco il Caccialupi: «RICHARDUS MALUMBRE Cremonensis qui legebat Paduae tempore regis roberti secundum Cyn. in l. si viva matre C. de bon. mater. fuit valentior doctor Italiae suo tempore, ut dicit Baldus in l. quicumque C. de episc. et cler. Iste Richardus fuit condemnatus de haeresi, [cfr. f. 56r, rr. 18-19] ut in d. l. quicunque per Jacob. Butrigarium et Baldum multa scripsit [...]. Floruit anno domini MCCC» (GAZALUPIS, Succinta historia cit., pp. 504505). 35 Personaggio a me ignoto.
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IV FASCICOLO
251
(f. 40r) 15
de botrigarii36. e roberto. odoffredo37 | et franc(esc)o d’accursio38. et bartholo da | napoli39 fu hu(om)o d’alto i(n)gegno et co(m)pose | i(n) li(n)gua lemosina et vide tra li lemosi|ni si ce fu altro Guillelmo |
f. 40r 17-(18).] interlinea leggermente maggiore tra queste due righe. 36 Il personaggio chiamato «Bartholomeo de Botrigarii», sarà forse in realtà Giacomo Botrigario (Colocci avrà confuso il suo nome con quello del Sassoferrato di cui si dirà più oltre), il cui nome compare anche a f. 52v, rr. 16 e 32. Giureconsulto bolognese (nato intorno al 1274), insegnò a Bologna nel 1308-1309 ed ebbe tra i suoi allievi Bartolo di Sassoferrato. Morì di peste nel 1347. Tenne letture sul Digestum Vetus e sul Codice e fu autore di Questiones et Disputationes e di alcuni trattati (cfr. A. TOGNONI CAMPITELLI, Bottrigari Jacopo, in DBI, 13, Roma 1971, pp. 498-501). Il Caccialupi, tuttavia, dà una brevissima notizia a proposito di un Bartolomeo Botrigario («BARTHOLOMAEUS DE BUTRIGARIIS extollitur a Joanne Andrea in addit spec. in tit. de accusat.in III parte» GAZALUPIS, Succinta historia cit, p. 505), ma si sofferma maggiormente sull’altro giurista: «JACOBUS DE BUTRIGARIIS scripsit super ff. veter. et super C. fecit duas lecturas veterem et novam. Item commentavit tit. Institutionum de Action. Edidit etiam infinitas disputationes. Fuit unus ex praeceptoribus Bartoli, floruit anno Domini MCCCXX» (ibid., p. 506). 37 Odoffredo Denari, giurista nato a Bologna nella prima metà del secolo XIII. Studiò principalmente sotto Jacopo Baldovini, viaggiò molto in Francia e in Italia come ricorda nelle sue lezioni, piene di notizie su Irnerio da Forlì e sugli studi giuridici del suo tempo. Fu reputato grande logico e dialettico e commentò diffusamente tutte le parti del Corpus iuris, illustrò la Pace di Costanza, dettò una Summa di diritto feudale e una Summa de libellis (cfr. E. SPAGNESI, Denari, Odofredo, in DBI, 38, Roma 1990, pp. 700-705). Caccialupi: «ODOFREDUS fecit lecturas super C. et ff. floruit anno Domini MCCLX. colligit dictis eius in l. imperium ff. de iurisd. om. iud. Vivebat etiam tempore Joannis Andreae, ut colligitur in addit. Spec in tit. de locat.» (GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 503). 38 Francesco Accursio (Bagnolo, 1182 — Firenze, 1260 ca.) è il celebre autore della Glossa ordinaria o magna al Corpus iuris in cui raccolse in una ordinata sintesi i commenti dei vari maestri di diritto alle diverse parti delle raccolte giustinianee, apportandovi anche correzioni e contributi originali. L’opera divenne presto un testo fondamentale per tutti gli studiosi di diritto. Raccolse anche un corpus delle consuetudini feudali che divenne anch’esso testo fondamentale (cfr. P. FIORELLI, Accorso, in DBI, 1, Roma 1960, pp. 116-121). Il Caccialupi di lui scrive: «Sucurrit deinde tenebris iuris civilis ACCURSIUS Florentinus, qui glossavit Digestum, codicem, Insitutiones, librum Autenticorum, et tres libros Codicis tempore Gregorii IX pontificis CLXXXV. et Frederici II. in ordine Imperatorum XXIV. Tempore quo glossavit librum Autenticorum currebant anni Domini MCCXXVI. ut ipse notavit in Autentica ut praepo. nomen impera. § si qua vero super verbo indict. ob caus.» (GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 503). 39 Non sono riuscito a rintracciare notizie su questo giurista, salvo questo rapido appunto del Caccialupi: «BARTHOLOMAEUS DE NEAPOLI fuit contemporaneus Dyni secundum Joannem Andream in addit. spec. in tit. de iurament. calumn. et in tit. de donation» (GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 504).
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VAT. LAT. 4831
(f. 40r)
Alii notant hu(n)c Gullielmu(m) d(e) cunio | no(n) de tino vide supplementu(m)40 |
18
f. 40v
[bianco] f. 41r
çAçmçeçriçgoæ41 |
1
f. 41v
[bianco] f. 42r
çBçeçrçnçaçrçdoæ42 |
1
f. 42v
[bianco] f. 43r
çUçgoæ43 et |
1
f. 43v
[bianco]
f. 40r 18. Gullielmu(m)] con Gu- corr.su Gui- . f. 43r 1. çUçgoæ et] çUçgoæ et >anselmo< 40 Si allude qui probabilmente a G. F. FORESTI, Supplementum Chronicarum (princeps: Venezia, Bernardino de’ Benali, 1483; seconda edizione accresciuta: Novissimae historiarum omnium ripercussiones, quae Supplementum Supplementi chronicarum nuncupantur, Venezia, Albertino di Lissona Vercellese, 1503). La ristampa R. G. Storia II. 463 (Venezia, G. de Rusconibus, 1513) della BAV potrebbe dubitativamente essere ascritta alla biblioteca di Colocci in ragione di alcune postille che direi di sua mano («ff Casa» sul frontespizio; f. 91r: «Taurinu(m) oppidu(m)»; f. 246r: «ordo militu(m). s(anc)ti Jacobi») o anche di suo interesse (sottolineatura a f. 177v che evidenzia i toponimi «Picenum sive marchiam»). In ogni caso, a f. 144v (l. XIII, anno 1313) si leggono queste notizie su un «Gulielmus de Cumo: natione gallus iuris civilis et pontificii consultissimus et interpres prestantissimus ingenio subtilis et eloquio clarus hac aetate floruit: et paucos ea in disciplina habuit superiores: unde et gymnasium Aurilianense magnifice illustrans edidit professoribus legum non spernenda commentaria. Et primo super digesto veteri libros multos atque super toto codice scripsit. Et quaedam alia». 41 Per i ff. 41r-44r cfr. Triumphus Cupidinis IV, 55-57: «Amerigo, Bernardo, Ugo e
Gauselmo, / e molti altri ne vidi, [...]». Il primo della serie è Aimeric de Peguilhan (XII-XIII secolo). 42 Bernard de Ventadorn (XII secolo). 43 Uc de Saint Circ (XIII secolo).
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IV FASCICOLO
253
f. 44r
çAçnçsçeçlçmoæ44 |
1
f. 44v
[bianco] f. 45r
Nostri45 |
1 2 5
çTçhçoçmçaçssço çdça çmçeçssçinaæ «ch(e) ornò bologna»46 | et morì i(n) p(at)ria et ad q(ue)sto scrive più | ep(isto)le el petrarca. et nota nella vita47 ch(e) | partendo da bologna depo le lassate leggi | Thomasso lo aiutò p(er) lo viaggio ad gire | i(n) Avignone. q(uan)to fusse grato el petrarca | vedasi nel catalogo. i(n) quella exclamatione | «o fugace dolcezza o viver lasso»48 |
f. 45r 1-2.] interlinea maggiore. 44 La variante Anselmo (sarebbe Gaucelm Faidit, XII-XIII sec.) è attestata in numerosi autorevoli testimoni dei Trionfi (per es. nel Laur. 4114) sebbene Appel non la registri (Die triumphe Francesco Petrarcas, in kritischem texte herausgegeben von C. APPEL, Halle 1901, pp. 212-213). È significativo, però, che questa sia anche la variante che presenta il colocciano Vat. lat. 4787, f. 149r (per il quale cfr. qui f. 11v, r. 9 e note). 45 Questa designazione per gli intellettuali che seguono è a sua volta desunta da PETRARCA, Triumphus Cupidinis, IV, 58-61: «E, poi conven che ’l mio dolor distingua / volsimi a’ nostri, e vidi ’l bon Thomasso, / ch’ornò Bologna, ed or Messina impingua. // O fugace dolcezza! o viver lasso!» (corsivo mio). In questo testo, però, essa si applica solo ai tre amici di Petrarca, Tommaso Caloiro (o Caloria) da Messina (morto nel 1341), compagno di studi a Bologna, Socrate (il musicista fiammingo Ludwig van Kempen, 1304-1361) e Lelio (Angelo di Pietro Stefano Tosetti, morto nel 1363) uomo politico romano. Tutti e tre sono destinatari di numerose lettere dell’abbondante epistolario petrarchesco, che costituisce fonte primaria per le notizie contenute in questo zibaldone. Colocci, invece, sembra estendere la designazione Nostri a tutti i poeti delle pagine che seguono, portando il pronome ad indicare genericamente tutti gli intellettuali e poeti dei primi secoli della nostra letteratura che operarono sul suolo italiano. 46 Cfr. PETRARCA, Triumphus Cupidinis, IV, 60 (vd. supra). 47 Si allude qui ad una delle numerose vite di Petrarca compilate tra il XV e il XVI se-
colo, probabilmente quella di Girolamo Squarciafico (fonte anche per la scheda di Cino: cfr. f. 51v, rr. 30-31 e note relative), comparsa in due edizioni veneziane delle opere latine del Petrarca, (Simon de Luere, 1501 e Simone Papiense detto Bevilacqua, 1503; cfr. nt. 49): «Cum sui iuris factus esset, studia legum, quae oderat, posuit, et quos amabat poetas et oratores in manus sumpsit. Bononia igitur profectus, Avinionem rediit, adiutus viatico a Thoma, Siculo Messanensi, qui tanta prosequebatur benevolentia et amore, ut illum non secus quam fratrem haberet» (cfr. A. SOLERTI, Le vite di Dante Petrarca e Boccaccio scritte fino al secolo decimosesto, Milano 1904, pp. 347-359, p. 350). 48 Cfr. PETRARCA, Triumphus Cupidinis, IV, 61 (vd. supra). La presenza di questo verso permette anche di capire che cosa Colocci qui intenda con catalogo (r. 8), e cioè l’elenco dei
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VAT. LAT. 4831
(f. 45r) 10
15
19
Ad costui molte pìstole nel libro delle fami|liare ep(isto)le et nella ep(isto)la .33. lo chiama | «consegliero de re»49 credo di roberto re de | messina e.ssicilia et finge ch(e) giovine | lo prese o di re di francia | Ad costui anchora ap(er)se le piaghe sue50 petrar|ca i(n) decta ep(isto)la et appare lì q(uan)to el re | li porgesse l’orechie havendo sua maestà | preparato sanguinolente battaglie | credo ch(e) sia de re de frantia sec(ond)o ch(e) lui nella | sequente (contra) eduardo (con)forta(n)dolo gire i(n) ba|ttaglia51 |
f. 45r 10. nel] corr. su qualcosa di poco distinguibile (o(..)l). 13. finge] lettura incerta. 19. ch(e)] leggermente differente dal consueto segno per la particella e dunque di lettura incerta.
poeti volgari d’amore contenuto nel IV capitolo del Triumphus Cupidinis, pur con qualche esclusione (si veda in proposito f. 46r, rr. 28-31, dove ricompare il termine). 49 La familiare (d’ora in poi Fam.) in questione è l’attuale III, 7 che, come ricorda Vittorio Rossi (F. PETRARCA, Le Familiari, edizione critica per cura di V. ROSSI, Firenze 1933, I, p. CLXI), l’edizione Veneziana, «per Johannem et Gregorium de Gregoriis fratres» del 1492 (V1) e le altre edizioni che ne derivano, dicono diretta ad un «regius consultor». V1 (che contiene i primi otto libri delle Famm. e numerose altre opere latine, tra cui le Seniles, il Bucolicum Carmen, i Rerum memorandarum libri e l’Africa per citare solo quelle di cui fa menzione il nostro ms.), infatti, dipende da un manoscritto (il codice Bolani – oggi perduto – di cui dà notizia Sebastiano Manilio, curatore dell’incunabolo veneziano), latore della forma b delle Familiares (la stessa dei mss. Marciano Z. L. 477 e Padova, Biblioteca Capitolare, ms. C. 33; la forma a ha come destinatario di III, 7 Paganino da Besozzo) che manca in molti casi dell’indicazione dei destinatari e che il Manilio nella sua edizione sostituì con la sigla «T. M.» (interpretabile come «titulo minuta» o «titulo manca»: cfr. PETRARCA, Le Familiari cit., p. CLII, nt. 1). Fu probabilmente questa circostanza a indurre in errore Colocci che interpretò le iniziali come quelle appunto del messinese. Egli infatti lesse questi testi in una delle edizioni derivate da V1, visto che, probabilmente, vi trovava anche la vita del poeta composta da Girolamo Squarciafico (cfr. nt. 47), assente nell’incunabolo. Anche dopo l’esame diretto di tutti gli esemplari vaticani accessibili di queste edizioni (sostanzialmente privi di postille) non mi è stato possibile rintracciare la copia posseduta dall’umanista e stabilire dunque se si trattasse della stampa veneziana «per Simonem de Luere», 1501 (V2), o dell’altra, sempre Venezia, «per Simonem Papiensem dictum Bivilaquam», 1503 (V3). In entrambe la rubrica di III, 7 (la Fam. nr. 33, secondo la numerazione progressiva, propria delle due stampe) è la seguente: Francisci Petrarchae ad T. M. regium consultorem mediocritatem omnibus in rebus esse appetendam et praecipue a regibus consulentis (cfr. V. ROSSI, Introduzione, in PETRARCA, Le Familiari cit., pp. XI-CLXXII, pp. XLI-XLV, XCIIIXCVI, CLI-CLIII, CLXI-CLXIII). 50 Cfr. Triumphus Cupidinis, IV, 75: «a questi le mie piaghe tutte apersi», che però si riferisce a Socrate e Lelio e non a Tommaso, ormai pianto morto. 51 Si tratta probabilmente di Fam. III, 10, che in V2 e V3 è l’epistola 36: Franciscus
Petrarcha T. M. eum ad belli imminentis profectionem hortans: simulque non pauca de felicitate in brevi spatio multis exemplis commemorans. In essa l’amico è appunto esortato a
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IV FASCICOLO
255
(f. 45r)
Ad thomasso scrive el petrarca ch(e) li | pareva ch(e) di francia e da roma | era i(n)vitato alla corona et mentre | stava i(n) dubio mo haviva l(ette)ra dal | senato et co(n) molte p(er)suasioni | et a.llui va p(er) co(n)segno52 ponendoli tucti | li dubij ava(n)ti all’ochi | et prese alfine li sui magnifici co(n)si|gli e della sua sapientia53 | così scrivendoli «ibo quo iubes si q(ui)s | electionem forte mirabitur r(ati)ones pri|mum dein[de] et(iam) nomen tu[u]m mirantib(us) obijcia(m)»54 | Q(ua)n(do) el petrarca era i(n) roma e lui in vasco|gna55 et vide alla ep(isto)la 54 ch(e) dice | ad thom. «roma tua p(at)ria»56. | nacq(u)e ad misina et morì ad mesina | poco depo coronato el petrarca57 |
22 26
31
34 37
f. 45v 2
ep(isto)la 58 famil(iare) petrarca scrive | ad pelegrino da messina et pia(n)ge | la mo(r)te di thomasso Thomasso suo | Dico ch(e) mai senza lachryme no(n) lo re|cordava: «eximio flore rare
f. 45r 31. scrivendoli] scrivendoli >spessotuu(m) et(iam)nella moriamoriamoriadice< comenta di Socrate nel 1365 (quando cioè Petrarca aveva appunto 61 anni) e ne deduce che essa sarebbe avvenuta «depo 17 a(n)ni» dalla peste del ’48. 69 Questo riferimento – per quanto generico – potrebbe essere riconducibile a Fam. IX, 2 (si veda anche nota 77). 70 Come è noto il dedicatario delle Senili è il fiorentino Francesco Nelli (morto nel 1363 di peste a Napoli), notaio, che Petrarca chiamava classicamente Simonide. 71 Il Bernardo responsabile dell’errore qui confutato è Bernardo Lapini di Monte Ilicino (o Montalcino), conosciuto anche come Bernardo da Siena (Montepulciano, 1418/33 — 1476; cfr. qui f. 93v, rr. 2-5) autore di una Sposizione dei Trionfi più volte ristampata insieme ai commenti dello Squarciafico e del Filelfo al Canzoniere, unitamente alle opere volgari del Petrarca (la princeps è del 1475, Bologna, [Azzoguidi]). Il Lapini, infatti, identifica Socrate con il filosofo greco e Lelio con il dedicatario del De amicitia ciceroniano e intende allegoricamente i personaggi come ipostasi rispettivamente della filosofia morale e della poesia: Colocci, nonostante la confutazione, riconosce una certa ingegnosità alla soluzione («ingeniose però»). Il v. 68 di Triumphus Cupidinis IV che viene aggiunto nell’interlinea (vd. apparato r. 14) – e che compare ancora a f. 47r, r. 3 – starà dunque ad indicare il luogo testuale dei Trionfi a cui fa riferimento il commento di Bernardo e di conseguenza la reprimenda ad esso diretta. Ho condotto uno spoglio sistematico e completo sugli incunaboli vaticani contenenti il commento del Lapini, in cerca di un ulteriore item della biblioteca colocciana, purtroppo senza esiti privi di incertezza. L’Inc. III. 416 della BAV (Milano, Scinzenzeler, 1494), per esempio, presenta numerose postille in una grafia che ricorda da vicino quella di Colocci, ma appare tuttavia più curata di quella consueta. In ogni caso in margine ai versi «Poco era fuor de la comune strada /[...] infino al cener del funereo rogo» (Triumphus cupidinis IV, 67-78; ma Trionfo d’Amore III nell’incunabolo) il Lapini commenta: «la donde dice misser Francesco che gia per lo exercito di grammatica lui era pocho fuore della strada commune di vulgari quando lui vide socrate cioè la dottrina morale conciosiacosa che socrate come scrive il philosopho nel primo della methaphisica, Diogene Laertio nella vita sua Isidoro nelle ethimologie: et Cicerone nel quinto dele Tusculane pretermessa ogni altra cura solo si desse accontemplare i costumi. & Lelio cioè il libro De amicitia di Tulio mediante il quale divenuto amatore delle virtù Affricane per quelle opere celebrare si dé allo studio poetico [...] dice adunque il poeta che con questi due amici per li quali intende queste due discipline cioè poesia & philosophia morale lui cerchò diversi monti cioè diverse & varie investigatione». 72 Non molto chiaro il senso di quest’ultima riga e mezzo; il rimando è troppo generico:
numerose sono infatti le Familiari che hanno Socrate per destinatario e alla designazione «hystoria» si potrebbero associare numerosi referenti. Si potrà forse intendere che Bernar-
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IV FASCICOLO
259
(f. 46r) 17 21
26 30
È p(er)venuta all’età mia una ep(isto)la | d’assai elegante stilo di socrate | in libro antiquissimo dove scrive | una fabula non illepida quale | sarà da me scripta p(er) or(ati)one obliqua | et qui narra della scimia. et dello | anconitano73. tal ch(e) se comprende | e(ss)er q(ue)sto socrate p(er)ch(é) scrive al pe|trarca. et haver haùto opt(im)o stilo | et poi ne ho visto alcuna rima da | no(n) despiacere. pur p(er) non e(ss)er nel | catalogo de’ poeti materni dal petrar|ca scripto io no(n) mi extenderò più | oltra74. |
f. 46v 1
75çFçrçaçnçc(çesçc)ço
çbçaçrbçarçinoæ vide i(n) ragio(n) | canonica et boccaccio lo alle|ga p(er) poeta ad. cart. c. xiij76 fu | fiorentino |
f. 46r 17.] la riga è separata dalla precedente da un maggiore spazio interlineare. 17-30.] cambio di inchiostro e scrittura a maggiore inclinazione (aggiunta posteriore). 23. tal] con tcorr. su i- o sull’asta di un’incompiuta p-. do non si occupa dei personaggi storici («non tocca la hystoria»), come invece avrebbe potuto, facendo riferimento alle epistole petrarchesche a Socrate («in epistola ad eum»). 73 Nel cod. Vat. lat. 3450, a f. 9r, si legge il titolo «De Anconitano et scimia», ma non vi si trova altro e non sono riuscito a trovare neppure in altro luogo la facezia che Colocci si proponeva di scrivere in «oratione obliqua», riferendo cioè, suppongo, le parole di Socrate in discorso indiretto. 74 Sul senso e sulla portata di queste dichiarazioni si veda l’Introduzione (§ II.4.) a questa sezione del ms. Se nell’ottica di Colocci, Socrate non rientra – giustamente – nel «catalogo de’ poeti materni dal petrarca scripto», è ragionevole ritenere che la sua estensione non riguardi anche gli altri due personaggi – Tommaso e Lelio – menzionati al fondo di Triumphus Cupidinis, IV, ai quali è strettamente legato anche il musicista fiammingo: si potrà notare oltretutto che Petrarca li introduce precisando «E poi conven che ’l mio dolor distingua» (v. 58). I poeti materni, per Colocci, saranno dunque i poeti italiani e provenzali di cui si parla ai vv. 28-57 del solito luogo dei Trionfi. 75 Questa scheda biografica è stata inserita in un punto in cui non ce la saremmo aspettata: il verso di questi fogli è normalmente lasciato bianco per ospitare eventuali abbondanti notizie intorno agli autori il cui nome compaia sul recto; inoltre il nome di Francesco da Barberino interviene ad interrompere la sequenza connessa con il testo più volte citato dei Trionfi. 76 Indicazione analoga compare, ma mescolando cifre arabe e romane a f. 48r, r. 3 («vide boccaccio ct. C 13); essa si riferirà forse al numero della carta di un qualche volume boccacciano – purtroppo non ancora identificato – in cui trovare le informazioni qui sinteticamente alluse. Si tratterà verosimilmente di un qualche esemplare (a stampa o manoscritto) dei Genealogiae deorum gentilium libri (di qui in poi Genealogiae), visto che notizie su Francesco da Barberino (1264-1348), in quest’opera, si leggono nel capitolo VI del libro XV, dove, trattando di Roberto d’Angiò e della sua corte, Boccaccio dice di Francesco «[...] si sacros canones longe magis quam poeticam noverit, non nulla tamen opuscula rithimis
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VAT. LAT. 4831
f. 47r
çLçelçio morì prima ch(e) Socrate ch(é) socrate | fu l’ult(im)o forsan 17 a(n)ni prima v(idelice)t alla | peste del 4877 q(ua)n(do) socrate e lelio |78
1
f. 47v 2
4
10
79castructius
petrarca i(n) q(ue)llo | de memorabilib(us) la moneta no(n) | tocco80 |
et q(ue)lla81 dello latro ch(e) q(ue)sti attribui|scono ad re fernando è vechia | historia ch(e) un latro tolta dalla | credentia di castruccio un piacto | di argento sco(n)tra(n)dosi i(n) castruccio | li fé segno ch(e) tacesse ponendose | el dito ai labbri et castruccio tacq(ue) |
f. 47r 3. q(ua)n(do)... lelio] parole aggiunte in un secondo tempo, compaiono scritte discoste di un po’ più di un cm. dal numerale. f. 47v 2-3.] ◊(breve linea orizzontale)◊ prossima al margine sinistro, posta tra le due righe probabilmente come segno di separazione (forse nel punto sbagliato cfr. nota 79). 3-4.] ◊(breve linea orizzontale)◊ prossima al margine sinistro a separare r. 3 da r. 4, tra le quali è frapposto anche uno spazio interlineare maggiore. 10-(11).] spazio interlineare leggermente maggiore. vulgari ydiomate splendidis, ingenii sui nobilitatem testantia, edidit [...]». Colocci dovette avere – sebbene, forse, in tempi più tardi – una conoscenza diretta dell’opera di Francesco da Barberino, visto che in Vat. lat. 3217, fa trascrivere e postilla elenchi di vocaboli tratti dai Documenti d’amore. Il codice reca di mano di Fulvio Orsini il titolo Index Verborum seu Vocum collectus per Angelum Colotium ex Petrarcha, Siculo, Rege Roberto, Barbarino. 77 La notizia non è corretta: Socrate morì infatti nel 1361 (cfr. nt. 68) e Lelio nel ’63, ma il Colocci fu probabilmente indotto in errore dal testo di Fam. IX, 2 in cui, al termine di un lungo elenco di amici perduti per varie ragioni (morte, affari di stato, matrimoni, claustrazioni...), Petrarca conclude, rivolgendosi a Socrate, destinatario della missiva, «ut ad te unum fere tota res redit» (§ 6). Se questo è effettivamente il testo di riferimento, Colocci deve averlo scorso piuttosto frettolosamente, visto che proprio di Lelio si dice «[...] cura reipublice [...] eripuit» (§ 4) e non mors, come avviene invece per Tommaso da Messina. 78 Nuovo rimando (cfr. f. 46r, r. 14, interl.) a Triumphus Cupidinis IV, 68. 79 Tutto il foglio, come si vedrà, è occupato da rapidi cenni a facezie che non sembrano
avere attinenza con il resto degli appunti di questa sezione, forse brevi pro memoria per le notizie che Colocci avrà forse avuto intenzione di allegare nelle schede biografiche. Il verso di f. 47, si direbbe, perciò, quasi un’appendice dei lacerti di Vat. lat. 3450. 80 L’aneddoto cui qui probabilmente si allude si legge in F. PETRARCA, Rerum memorandarum libri [di qui in poi Rer. mem.], edizione critica per cura di G. BILLANOVICH, Firenze 1945, III, 30. Esso sarà ripreso più estesamente a f. 59v, rr. 26-43 (vd.). Non saprei dire se le parole che chiudono questo rapido ed irrelato appunto si riferiscano ancora alla fonte petrarchesca o a diversa fonte, come avviene a f. 59v dove si parla, a proposito dell’aneddoto, di un «un sonecto del secretario» (r. 38). 81 Non sono riuscito a rintracciare la fonte della facezia cui qui si fa cenno.
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IV FASCICOLO
261
(f. 47v) 11
Si fa di qua q(ue)l ch(e) si fa di là respose | la do(n)na |82
13
Dixe la favola della volpe chi | scende e chi sale |83
f. 48r
çDçaçnçte84 vide el petrarca nel | 3 trac[ta]to delle memora(n)de. capi 4685 | vide boccaccio ct. C 13.86 | f. 48v 2
6
ç çoçnçaçgçiuçnçtaç dça çLçuçcçcaæ | b vedi se la canzo(n) dal diviso87 ch(e) comi(n)cia | «O gl(ori)oso re de l’universo» è sua | et chi fu ogolin da corvaro88 i(n) | q(ue)’ t(em)pi | de costui fa mentione danti nel purga|torio89 |
f. 47v 12-13.] spazio interlineare maggiore. 82 Facezia non identificata. 83 Facezia non identificata. 84 Cfr. Triumphus Cupidinis IV, 28-31: «Così, or quinci or quindi rimirando, / vidi gente
ir per una verde piaggia / pur d’amor volgarmente ragionando: // ecco Dante e Beatrice, ecco Selvaggia,...». Il nome di Dante compare nella lista di f. 102r, r. 6. 85 Le indicazioni numeriche si riferiscono alle ripartizioni dei testi a stampa V2 e V3, dove l’episodio è intitolato Alia dicacitas Dantis contra Canem Veronensem ed è il cap. 46, del III trattato del libro II (corrispondente a Rer. mem. II, 83 delle moderne edizioni): «[...] Erant in eodem convictu [presso Cangrande] histriones ac nebulones omnis generis: ut mos est: quorum unus procacissimus obscenis verbis a gestibus multum apud omnes loci ac gratie tenebat. Quod moleste ferre Dantem suspicatus Canis, producto illo in medium: et magnis laudibus concelebrato versus in Dantem: “Miror” inquit “quid cause subsit: cur hic cum sit demens: nobis tam omnibus placere novit: et ob [sic] omnibus diligitur: quod tu qui sapiens diceris non potes”: Ille autem “mi[ni]me” inquit “mirareris si nosses quod morum paritas et si(mi)litudo animorum amicitie causa est” [...]». 86 Di Dante Boccaccio parla nel medesimo locus in cui tratta di Francesco da Barberino (Genealogiae XV, 6), e non per nulla l’indicazione di carta (se così si deve intendere), è la stessa già incontrata a f. 46v, r. 3 (e si veda anche f. 59r, r. 23). 87 Così Colocci designa probabilmente un suo canzoniere smembrato (cfr. BOLOGNA, Sull’utilità di alcuni descripti cit., pp. 567-577), e di cui ai ff. 13r-20 di Vat. lat. 4823 troviamo un lacerto. Ad inaugurare questo lacerto, al f. 13r (che secondo una numerazione precedente cassata era indicato come f. 88) di Vat. lat. 4823 compare proprio la canzone «O glorioso re deluniverso / p(er) cui si volge el cielo...», preceduta nel margine superiore dall’indicazione a mo’ di titolo «canzon» e, di seguito, aggiunto verosimilmente in un secondo tempo, con inchiostro leggermente più scuro e tra due punti, la postilla «.Dal diviso.». 88 Personaggio non identificato. 89 Si tratta, come è noto, di Purgatorio, XXIV, 34 sgg., e, di fatto, alle righe 24-28 di
questo foglio se ne citano alcuni versi.
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VAT. LAT. 4831
(f. 48v) 8 10
15
20 22 24
27
bonagiunta da lucca delli orbizani | optimo dicitor i(n) quella etade i(n) sonecti | et canzone e fu amico di dante | et co(m)prendesi e(ss)er stato suo amicissimo | e dato al vitio della gola. | essendo stato danti doppo’l m et ccc. | a(n)no ad Luca i(n) exilio p(er) meglio | tractar le cose della p(at)ria se inamo|rò de una do(n)na chiamata gentu|cca p(er) diminutione ch(e) molto l’usano | i luchesi et syncope90. †t(.)cco b(.)cc(.) | et bo(..)o† p(er) bono anno91 | usa danti q(ue)lla figura ch(e) usa anchise92 | i(n) purgatorio i(n) prophetizzare el passato | poi ch(e) gli hebbe detto «q(ue)sto è bonagiu(n)ta | bonagiu(n)ta da lucca»93. et i(n)fra | «ma come fa chi guarda e poi fa preza | più d’un ch(e) d’altro fei ad q(ue)l da lucca | ch(e) più parea di me voler contezza | et mormorava et no(n) so che(e) gentucca | sentiva io»94 et legi tucti q(ue)’ versi |
f. 48v 14. a(n)no] lettura incerta. 18-19. †t(.)cco... bo(..)o†] queste parole hanno resistito a tutti i miei sforzi di interpretazione. 24. fa] corr. su chi. 26. di] corr. su da. 90 Cfr. f. 31r, rr. 10-17 e poi specialmente rr. 25-26. 91 Le parole segnalate come incomprensibili dovrebbero costituire un esemplificazione
di quanto detto sopra a proposito della diminuzione o della sincope nel lucchese, ma la corsività del tratto e la decontestualizzazione dei sintagmi non aiuta a fornire ipotesi plausibili, nonostante la discreta chiarezza della grafia in questo punto (leggerei tucco bacco et bonno p(er) bono anno se questo avesse senso). 92 Qui sembra che si alluda all’espediente di affidare a persone morte profezie di eventi già avvenuti nel momento in cui scrive l’autore, ma evidentemente successive al tempo della narrazione. Il rimando al Purgatorio si riferirà perciò al «danti» della riga precedente, e non ad Anchise (per il quale, visto che si tratta di profezie si possono richiamare i vv. 679901 del VI libro dell’Eneide), alludendo appunto alla profezia (vv. 43-48) con cui Bonagiunta apre il suo intervento in Purgatorio, XXIV. 93 Cfr. Purgatorio, XXIV, 19-20: «Questi”, e mostrò col dito, “è Bonagiunta,/ Bonagiunta da Lucca; [...]”». 94 Cfr. Purgatorio, XXIV, 34-39: «Ma come fa chi guarda e poi s’aprezza [Colocci: fa
preza] / più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca, / che più parea di me aver [Colocci: voler] contezza. // El mormorava; e non so che “Gentucca” / sentiv’io là, ov’el sentia la piaga / de la giustizia che sì li pilucca». Entrambe le varianti (segnalate tra parentesi quadre) con cui il testo colocciano si discosta dal quello di Petrocchi sono ben attestate nella tradizione e la seconda, in particolare, era stata adottata già da Giuseppe Vandelli nella sua edizione critica pubblicata per la Società Dantesca Italiana nel 1921 (rimando ai loci in questione dell’edi-
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IV FASCICOLO
263
(f. 48v)
costui morì prima ch(e) danti comi(n)ciasse | la comedia |
29
f. 49r 1 5
çGçuçiçdçoç çcçaçvçaçlçcçaçnçte. la ma(n)decta95 | la facetia del boccaccio96. quella canzona | nobile ch(e) cita el petrarca97 artificiosa docta | comentata da . . . . 98 cicco d’ascoli | La reprende99. no(n) caruit heresi i(n) op(er)ib(us) | suis credebat n(am) a(n)i(m)a(m) cu(m) corpore i(n)te|rire sicut Lucretius vide historias100 |
f. 48v (28)-29.] spazio interlineare leggermente maggiore. f. 49r 4. ....] lo spazio vuoto contrassegnato da quattro punti è nel manoscritto. zione Petrocchi – La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di G. PETROCCHI, Milano, 1966-1967 – e di quella curata dalla Chiavacci Leonardi – DANTE ALIGHIERI, Commedia, commentata da A. M. CHIAVACCI LEONARDI, Milano 1991-1994). 95 Questo è il nome della donna amata da Guido, desunto dal v. 31 della canzone Era in pensier d’amor quand’io trovai. Il nome di Guido Cavalcanti ritorna ancora nella lista di f. 102r, r. 5. 96 Cfr. Decameron VI, 9 e Colocci vi tornerà ancora su in questo foglio (r. 13). 97 È evidentemente la canzone Donna mi priega, perch’io voglio dire, citata da Petrarca
in Lasso me, ch’i’ non so in qual parte pieghi (Rvf 70, 20). 98 Colocci lascia vuoto un breve spazio in cui si riprometteva di integrare il nome di un celebre commentatore di Donna me prega. Si potrebbe suggerire quello di Dino del Garbo (m. 1327), il cui commento circolava in un incunabolo oggi irreperibile (GUIDONIS DE CAVALCANTIBUS, De natura et motu amoris venerei cantio, cum enarratione DINI DEL GARBO, Venezia, Ottaviano Scoto, 1498). 99 Cfr. CECCO D’ASCOLI [F. STABILI], L’Acerba [Acerba etas], a cura di M. ALBERTAZZI, Lavis (TN) 2002, III, 1, vv. 25-36 [1935-1946]: «Amor è passion de gentil core, / che vien da la vertù dil terzo cielo / che nel crear la forma il suo splendore. / Errando scripse Guido Cavalcanti: / “Non so perché si mosse o per qual cielo” / (qui ben me sdegna lo tacer di Danti). / “Donna mi priegha ch’io debia dire” / dimostra che amor muova da Marte, / dal qual prociede l’impeto coll’ire: / distruge pietà con la mercede, / unita cosa con desdegno parte, / corrompe amor con la dolce fede». 100 Un rimando analogo al presente («vide historias») compare altre due volte nel ms.: a f. 69v, r. 30 e f. 72r, rr. 6-7 sempre a proposito di re Roberto d’Angiò. Anzi, nel secondo caso si dice «et vide la historia de antonino». Si sarebbe perciò tentati di intendere il rimando diretto a indicare il Chronicon seu opus historiarum di ANTONIO PIEROZZI – cioè Sant’Antonino, arcivescovo di Firenze (ho esaminato le copie vaticane degli incunaboli dell’opera, ma anche in questo caso l’identificazione di pezzi appartenenti alla biblioteca di Colocci non è stata possibile con certezza: cfr. f. 72r rr. 6-7 e note relative) –. Antonino a proposito dell’esilio di Corso Donati e dei suoi nel 1300, scrive «Ex quibus Guido Cavalcantes unus ex eis morbo gravatus interiit. haud multo postquam reversus et vir philosophus et in primis bonarum artium studiis per ea tempora eruditus» (tit. XX, cap. VIII, § XIV, f. LXXXIIIr dell’edizione di Basilea «per Nicolaum Kepler civem basiliensem», 1491: BAV, Inc. II. 249251). Quella riportata da Antonino, però, è una citazione letterale dal libro IV delle Historiae
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VAT. LAT. 4831
(f. 49r) 8
12 13 14 16
co(n) .p. de capella tolosano101 poi car(dina)le prene|stino. tolosa alhora ep(iscop)ato no(n) eretto | tenne amicitia coi conti de provenza | ch(e) furo(n) re de sicilia102 | fu dextro de corpo de opt(im)a forma: decte ◊opera ad ph[(ilosoph)]ia atheo◊ | vide la novella del Bocaccio103 | costui col guinicelli dice el petrarca e(ss)er stato | in prezzo104. et no(n) di poca stima. | costui fu depo Guido Guinicelli |
f. 49r (7)-8.]◊(lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, posta a separare r. 8 da r. 7, divise anche da spazio interlineare leggermente maggiore. 11-12.]◊(lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, posta a separare r. 11 da r. 12 (quest’ultima è leggermente spostata verso destra). 12. ◊opera... atheo◊] scritto nell’interl. inferiore di r. 12, spostato verso destra e racchiuso da un tratto di penna che lo separa da r. 13. 12-13.]◊(lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, posta a separare r. 12 da r. 13. florentinae del Bruni (cfr. L. BRUNI, Historiarum Florentini Populi libri XII e rerum suo tempore gestarum comentarius, a cura di E. SANTINI e C. DI PIERRO, in Rerum Italicarum Scriptores. Raccolta degli storici italiani dal cinquecento al 1500, ordinata da L. A. MURATORI, nuova edizione riveduta, ampliata e corretta con la direzione di G. CARDUCCI, V. FIORINI, P. FEDELE, Città di Castello 1914-1926, t. XIX, parte III, p. 90 rr. 12-34) e forse più opportunamente a quest’opera si riferisce la designazione «historias». Non sono tuttavia riuscito a rintracciare la citazione (se di questo si tratta) latina di rr. 5-7. 101 P(ietro) de Capella sarà probabilmente Pierre de Chapelle, nato appunto a Chapelle nel Limoges da notabile famiglia, insegnò diritto canonico presso lo studio di Orléans, ricevette un canonicato presso la cattedrale di Parigi e incarichi diplomatici da Filippo IV il Bello nel 1288 presso l’abate Bertran de Monserrat. Nominato vescovo di Carcassonne sostenne con le sue conoscenze di canonista le rivendicazioni di Filippo contro il re di Maiorca a proposito di una contesa relativa al vescovado di Montpellier e fu mediatore dell’alleanza tra il re di Francia, Jaime di Aragona, Jaime di Maiorca e Carlo di Valois. Bonifacio VIII lo fece vescovo di Tolosa e Clemente V cardinale nel 1305 con il titolo di San Vitale. Si recò poi a Roma per ricevere la nomina di inquisitore generale con l’incarico di convertire i Templari. Morì il 16 maggio 1312 (cfr. Biografía eclesiástica completa, redactada por distinguidos eclesiásticos y literatos bajo la direccion del Sr. D. BASILIO SEBASTIAN CASTELLANOS DE LOSADA, Madrid 1863, vol. 17, alla voce Pedro de Capella). 102 Le notizie delle rr. 8-11 sono pressappoco ripetute anche a f. 72r (rr. 9-13), a proposito di re Roberto d’Angiò, ma lì sembra citata una fonte (vi si dice infatti: «1309 vide damaso di maggio ad | dì septe»), che tuttavia non sono riuscito ad identificare e rintracciare. 103 È la già citata novella di Decameron VI, 9. 104 Cfr. Triumphus Cupidinis IV, 34: «ecco i duo Guidi che già fur in prezzo».
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IV FASCICOLO
265
(f. 49r)
Guido cavalcanti fu ma(n)dato i(n) exilio | dal magistrato de danti et vide | ficino nella vita105 et q(ui) te poi extender | della baptaglia e vide leonardo areti|no106. et danti ve(n)ne ad campo co(n) | Arrigo 7 | Vide Landino anchora nel capit(ol)o della | eloquentia |107
17 21 23
f. 49r
[bianco] f. 50r
çGçuçiçdoæ guinicelli108 |
1
f. 50v
[bianco] f. 51r
çGçuçiçtçtçoçnç çdç’çaçrçeçzçzoæ109 |
1
f. 51v 1
çCçiçnoæ fu adunq(ue) cino nella gravità | delle leggi proclive ad amo[re] et | sì de a(n)i(m)o come de stilo da poeti fu | chiamato
f. 49r (16)-17.]◊(lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, posta a separare r. 16 da r. 17. f. 51v 1-(5).]◊p(er)petuus populi p(ri)vati | i(n) Livio (...?) p(re)tor◊ marg. sinistro, scrittura parallela al lato lungo del foglio dal basso vero l’alto, due righe di scrittura di decifrazione incerta. 2. proclive] lettura incerta. 105 Non sono riuscito a individuare questo rimando ad un’opera di Ficino, l’unica con un titolo che possa essere alluso in questo modo è De vita Platonis divini philosophi, in cui tuttavia non trovo nulla che sia riconducibile a Guido Cavalcanti. Non va poi forse del tutto esclusa la possibilità che Colocci confonda il poeta stilnovista con Giovanni Cavalcanti, corrispondente di Ficino, di cui si trovano lettere nel III libro delle Epistulae (cfr. M. FICINO, Opera Omnia, Torino 1962 [riproduzione anastatica dell’Edizione di Basilea del 1576], pp. 490-494). 106 Si tratterà verosimilmente del già citato libro IV delle Historiae Florentinae del Bruni, in cui tuttavia non sono riuscito a rintracciare precisamente il passo qui alluso. 107 Cfr. il cap. IV (Florentini excellenti in eloquentia) del Comento sopra la Comedia di
Cristoforo Landino: «Leggete priego e coetanei di Guido Cavalcanti, et giudicherete in quegli essere insulsa infantia, et niente contenere che non sia vulgatissimo. Ma in Guido cominciorono apparire, se non expressi almancho adombrati, non pochi ornamenti oratorii et poetici, et potea lui essere in prezo pel suo stilo sobrio et docto, se sopravenuto da maggior lume non fussi divenuto tale, qual diviene la luna al sole» (cfr. C. LANDINO, Comento sopra la Comedia, a cura di P. PROCACCIOLI, 4 voll., Roma 2001, I, p. 236). 108 Il nome di questo poeta compare ancora a f. 102r, r. 4 109 A f. 102r, r. 2 si ritrova menzione di Guittone.
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266
VAT. LAT. 4831
(f. 51v)
5
10
14
19
24
amoroso. «ma chi pon freno alli amanti o dà lor leggi»110. et q(ui) fa una exclamatione | era Pistoia città nobile ferace etc. vide | el volterrano111. ma di tanta p(er)ver|sità ch(e) come scrivono . . . . di q(ue)sta terra | nel m . . . . nacq(ue) l’origine di parte | ghelfa et ghibillina. d(e) q(ui) panciatici | de là. cancellieri. come hoggi ad t(em)pi | n(ost)ri habbian veduti morder ne’ cuori d(e) | gli ho(min)i occider l’i(n)fanti. no(n) p(er)donare | ad nisun sexo. | qui nacq(ue). q(ui) fu notrito. q(ui) fu i(n)amora|to. come lui testifica i(n) una sua | canzona ∧di partita dal pretarca anteposta | alle altre canzone del suo seculo «la | dolce vista e ’l bel guardo suave»112 | dove nel fine così dice apostrofa(n)|do ad amor. «amor p(er) e(ss)er micidial | pietoso da(m)mi di morte gioia | sicch(é) lo spirto mio torni ad pistoia»113 | tanto forte li doliva la partenza | de lì et veramente come dice platone | lo divider de due ama(n)ti no(n) è altro | ch(e) morte |
f. 51v 5. alli... exclamatione] scritto nell’interl. inferiore di r. 5, aggiunto probabilmente in un secondo tempo per chiarire il rimando ma chi pon freno completandolo: la scrittura è più minuta e si stipa nello spazio interlineare tra r. 5 e r. 6. 6. ma] >de q(ui)< ma (il sintagma cassato trova posto poi a r. 9). 7. ....] lo spazio vuoto contrassegnato da quattro punti è nel manoscritto. 8. ....] lo spazio vuoto contrassegnato da quattro punti è nel manoscritto. 16. pretarca] così nel ms. 110 Cfr. Rvf 222, 9. Le parole che seguono sono rivolte da Colocci a se stesso e provano che questi appunti facevano parte del progetto di una più compiuta redazione. 111 Il volterrano è Raffaele Maffei (con ogni probabilità conosciuto personalmente da Colocci che era intimo del più giovane fratello Mario: cfr. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., nt. 59, p. 50). L’allusione generica rende difficile rintracciare un passo specifico dell’opera a cui Colocci intende riferirsi. Verosimilmente si tratterà tuttavia dei Commentariorum Urbanorum octo et triginta Libri, Roma, J. Besicken, 1506. L’esemplare della BAV segnato, Mai XI A. IX. 11-12 è tutto pieno di postille (si vedano ad esempio i ff. CCCLXXCCCLXXVI) che mi sembrano riconducibili alla sua mano, pure più curata, anche se Luigi Michelini Tocci ne indicava già una ristampa più tarda (BAV, R. I. II. 1066, Basilea, 1530) da lui postillata (cfr. L. MICHELINI TOCCI, Dei libri a stampa appartenuti al Colocci, in Atti del Convegno cit., pp. 77-96, pp. 89 e 94). Per un esteso excerptum dall’opera del Maffei, cfr. f. 72v, rr. 11-40. 112 Ancora una volta il riferimento è a Rvf 70, v. 40. 113 Citazione dei versi 46, 49-50 della canzone ciniana La dolce vista e ’l bel guardo
soave; ne riporto per un confronto l’ultima strofa (vv. 46-50): «Amor, ad esser micidial piatoso / t’invita il mio tormento: / secondo c’ho talento, / dammi di morte gioia, / che ne vada lo spirito a Pistoia». La canzone è presente nel codice colocciano Vat. lat. 4823 (cfr. Poeti del Duecento, a cura di G. CONTINI, Milano-Napoli 1960, II, pp. 631-632 e 911).
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IV FASCICOLO
267
(f. 51v) 27
poni q(ui) qualch(e) sonecto de cino et q(ua)lch(e) | pri(n)cipio etc114 |
29
nota la vita del petrarca ch(e) cino lo admoniva | alle leggi et non abhorebat humanita115 | et la risposta. et q(uan)to sia la gravità delle | leggi finge le laude sue. | q(ua)n(do) passò q(ue)l fiume ch(e) el villano no(n) lo | voleva passare se no(n) li prometteva | di darli un (con)seglio | 33116 no(n) fu avaro avisando ch(e) volendo uno | far fare uno (con)siglio p(er) 25. ducati | ad uno suo coetaneo no(n) lo volse | fare et lui lo fé p(er) dece et q(ue)llo si | fece dar(e) u(n) cavallo (con)fessa(n)do ch(e) cino | era savio.117 |
33 36
41
f. 52r
çCçiçnçoç çdçaç çpçiçsçtçoiaæ di casa scinibaldi | fece nell’a(n)ni del .S(ignore) ccc. Xiiij118 i(n) q(ue)lla ch(e) | al dì de s(an)c(t)o barnaba finì la
1
f. 51v 28-29.] le due righe sono separate da uno spazio bianco di circa 2 cm. 30. humanita] >leges< humanita. 32-33.] spazio interlineare leggermente maggiore. 36. 33] segno (numerico?) di lettura incerta. f. 52r 1. casa scinibaldi] nobile famiglia. 2. ccc. Xiiij] Π (il segno, posto nell’interlinea sopra la data, costituisce un rimando alla glossa marginale che si estende tra rr. 2 e 13: vd. di seguito). 114 Si tratta, nuovamente di qualche annotazione in vista di una redazione più svilup-
pata. 115 La vita cui qui ci si riferisce è quella già citata (cfr. f. 45r, r. 4 e notazioni relative) di Girolamo Squarciafico: «Cynus humanitatis studia non haborrens, sed cum vacaret otio, illorum captus suavitate, saepe Franciscum secum habebat, nec desinebat etiam illum hortari ut inceptum studium persequeretur» (cfr. SOLERTI, Le vite cit., pp. 347-359, p. 349). 116 Questo numerale andrà forse inteso come rimando ad una pagina o alla partizione di un qualche testo che non saprei identificare; se volesse alludere alla Familiaris nr. 33 (cioè Fam. III, 7, già citata a f. 45r, r. 11), un debole parallelo potrebbe essere costituito dal fatto che in essa si deplora l’avidità in un re (spec. nel § 7). 117 Non sono riuscito a rintracciare fonti o paralleli per questi aneddoti. 118 Il numerale romano si riferisce all’anno 1314 e la glossa marginale che si legge in
corrispondenza (vd. p. sg.), ricorda una ribellione di Candia, nome arabo (Khandak = il vallo) della capitale dell’isola di Creta, eretta da alcuni musulmani fuggiti dalla Spagna nel IX secolo. Creta passò poi a Bisanzio (nel 961), quindi, al tempo della IV crociata (1204) alla Serenissima. Le ribellioni dell’isola contro Venezia furono numerose: la più eclatante (che non corrisponderebbe dunque a quella a cui allude Colocci nel testo, se ad essa va ricondotta la data del 1314) fu quella del 1363, domata da Luchino dal Verme (cfr. F. TOMMASINI, L’isola nel Medioevo e nell’età Moderna, alla voce Creta in EI, XI, Roma 1931, pp. 854856).
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VAT. LAT. 4831
(f. 52r) 6
10
15
sua lectu|ra sopra el .C.119 che aviva pri(n)cipiata | l’a(n)no passato et q(ue)sta fu q(ue)lla lectura ch(e) | affinò lo i(n)gegno di bartolo120 | In q(ue)sti. prati pigliò el pabulo q(ui) | si i(m)pi(n)guò el ferace i(n)gegno di bartholus | de q(ui) ne nacque tanta luce come | dice. bal. i(n) c.121 «si vasallus i(n) tit(ulo). si | de feudis fuerit (con)troversia i(n)ter d(omi)n(um) et | vasallu(m)». scripse ad pieno sopra la | prima parte del .(Digestum). vecchio i(n)fino | al titulo «si noxali causa agatur i(n)clu|sive» et sopra el titolo «de rebus creditis» | nella secu(n)da parte sopra lo resto | poca additione scripse su q(ue)sto. | cino amico de Jo(anni): an(drea) bolognese122. secu(n)do ch(e)
f. 52r (2)-13.]◊P nell’a(n)no ch(e) ca(n)dia (con)tro venetiani rebellatasi | fu facta colonia.◊ marg. sinistro, scrittura parallela al lato lungo del foglio dall’alto verso il basso. 6. bartolo] bartolo >suo di[scepolo]scrive< Attesta. 21. da... quale] et u(n) poco d(e) petro d(e) bella pertica (aggiunto in un secondo momento in interl.). 27. nella] >dirà< nella. 30. (Digestum)] cfr. f. 40r, r. 18. 32. sopra] con s- corretta su de. 39-40.]◊(lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, posta a separare r. 39 da r. 40 (e spazio interlineare leggermente maggiore). 123 Su Dino da Mugello e Pietro de Bella Pertica (quest’ultimo citato nella glossa interlineare di cui si dà notizia nella prima fascia di apparato) rimando alle note relative alle righe 4 e 10 di f. 40r (a proposito di «Guiglielmo del Tino»), dove i due giuristi erano già stati menzionati. 124 Gli appunti di questo foglio (da r. 1 al presente punto di r. 19) dipendono dalla più volte citata Historia del Caccialupi: «CYNUS DE SIGISBULDIS de PISTORIO florebat anno domini MCCCXIV. quo anno in die sancti Barnabae apostoli finivit lecturam super C. quam inchoaverat anno praecedenti. Ista lectura perfecit ingenium Bartoli ut inquit Baldus in c. si vasallus in tit. si de feud. fuer. controv. inter dom. et vas. Scripsit plane super prima parte ff. veterum usque ad titulum si ex noxali causa agatur. inclusive: et super tit. de rebus creditis in II parte : super reliquis parvam additionem scripsit: fuit iste Cynus amicus Joannis Andreae, ut attestatur Joan. Andr. in addit. in tit. de locato. Fuit discipulus Dyni : quem praeceptorem suum reverendissimum fuisse profitetur in mille locis» (GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 505). 125 Per le notizie su Dino da Mugello (rr. 24-36) cfr. sempre Caccialupi: «DYNUS Mugelanus claruit anno Domini MCCXCVII. tempore Bonifacii VIII pontifici CCI. et Adolfi imperatoris: scripsit subtilissime super ff. et super titul. Instit. de Act. Fecit etiam mirabile commentum super tit. de reg. iur. in VI. Huic disputando determinanti aliquam quaestionem adesse videbatur tota synodus legalis philosophiae: ut dicit Cyn. in l. unica. C. de sententiis quae pro eo. quo interest. Reperiuntur etiam consilia eius elegantissima» (GAZALUPIS, Succinta historia cit., pp. 503-504). Si noti che la designazione dell’anno in cui «claruit» Dino differisce dagli appunti di Colocci, rispetto a questa redazione del testo del Caccialupi. 126 Non sono riuscito a rintracciare la facezia cui qui si fa cenno in Vat. lat. 3450.
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VAT. LAT. 4831
f. 52v 1 5
9
16
21
hebbe el n(ost)ro mes(er) cino i(n)finiti scolari127 | di elevato i(n)gegno ma nisuno più | di bartolo saxoferrato. q(ue)sto amò | sopra tucti l’altri et p(er)ch(é) come di | platone successor opt(im)o fu aristo[te]le | et theophrasto di lui così cino lassò | felice herede bartolo di saxoferrato | bartolo dico ch(e) socto tale maestro fece | la sua vi(n)demia quale da Johan bapt(ista) | caccialupo è chiamato «specchio: | p(ad)re et lucerna de ragion civile» | ch(e) nacq(ue) nel m. ccc. ix et comi(n)ciò | ad studiare nel m. ccc. xxiij et | nel m. ccc. xxx. publicamente d(e) | ragion respose. et anchor ch(e) fusse | descipulo de Jacobo butrigario128. i(n) bolog|na vide si est ver(um)129. et discipulo de | Raynerio da forlì130 no(n) di manco | socto cino fu la messe e ’l fructo | la vi(n)demia. La p(er)fectione sua | compose bartholo cose assai ch(e) son | p(er) sé notorie131 da tal fonte emanate | et maxime nella lectura sopra | el codice ch(e) q(ui) exactamente si co(n)|sumò l’ingegno †p(..)g(.)† di bartolo |
f. 52v 1. i(n)finiti scolari]◊franc(esc)o de tigrino tigri | e ’l petrarca◊ nel marg. superiore destro, sopra alla parole indicate, si leggono queste due righe di incerta decifrazione (la parola tigri è in realtà scritta pressappoco alla stessa altezza e di seguito a petrarca, ma è avvolta da un tratto di penna a semicerchio che la riconduce alla riga superiore della glossa) e vergate con un inchiostro differente da quello del resto del foglio. 15. et] corr. su ch(e). 21. ch(e)] corr. su et. 25. †p(..)g(.)†] la parola è sbiadita e resa illeggibile dalle condizioni della carta (si potrebbe ipotizzare una forma abbreviata del tipo pregmo, per pregiatissimo o pregevolissimo). 127 I due nomi che compaiono nella glossa del margine superiore in corrispondenza di questo punto, saranno stati aggiunti in un secondo tempo come esempi degli infiniti scolari di Cino. Per Petrarca non sarà necessario aggiungere altro a quanto già s’è detto, mentre l’altro nome potrebbe corrispondere a «FRANCISCUS TIGRINI de Pisis» che, secondo quanto ne dice il Caccialupi «floruit tempore Bartoli, fuit doctissimus, et sanctae vitae», ma del quale non si dice che sia stato allievo di Cino (cfr. GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 506). 128 Per le notizie su Bartolo (rr. 8-16) si veda ancora il Caccialupi, questa volta esplicitamente citato (r. 10): «BARTOLUS DE SAXOFERRATO Picenus speculum, pater, et lucerna iuris civilis, natus anno domini MCCCIX. incoepit studere in jure civili anno domini MCCCXXIII. idem publice de iure respondit anno domini MCCCXXX. obiit anno domini MCCCIX [sic!] aetatis suae anno XLVI fuit discipulus Cyni, Jacobi Butrigarii et Reinerii» (GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 506). 129 Un altro degli appunti per sé di cui il Colocci dissemina le pagine di questo ms. Raccomandazione analoga, ma in volgare, a r. 29 di questo stesso foglio. 130 Raniero Arsendi da Forlì, giureconsulto del XIV secolo, studiò a Bologna presso Bartolomeo de Pretis. Insegnò a Bologna, a Pisa (nel 1338) e a Padova (nel 1344), dove morì nel 1358. Di lui ci sono giunte delle Lecturae e due trattati (uno è conservato nel cod. Vat. Ottob. lat. 1254; cfr. G. ERMINI, Raniero da Forlì, in EI, XXVIII, Roma 1935, p. 825). 131 Cfr. GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 506: «Edidit mirabilia commenta in jure nostro, quae propter eorum celebritatem notoria sunt».
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IV FASCICOLO
271
(f. 52v) 26 30
hebbe co(n)temporanei Cino Lapo da casti|glioni132 recupero da san miniato et | Joh(ann)i de pagliaresi133 del quale ip(s)o cino | receta una facetia vide si è vero | dello disgratiato. hebbe anchora. Joh(ann)i | andrea. Frjderico petruccio de sena134 | Iacomo butrigario. oldrado ∧da Lodi135 advocato | consistoriale. nicolò de materelli136 | modonese. et poco dipo q(ue)sti Caspar |
132 Forse Lapo da Castiglionchio sr., destinatario di Fam. VII, 16; XII, 8; XVIII, 12, menzionato anche in XI, 6 (§ 10) e XVIII, 11 (§ 1-3). Fu canonista e visse lungamente nel XIV sec. In buoni rapporti con Petrarca, gli fece conoscere alcune orazioni di Cicerone e l’Institutio oratoria di Quintiliano. Esercitò l’avvocatura ed insegnò a Firenze, dopo essersi addottorato a Bologna. Nel 1378 fu a Padova e nel 1380 ottenne da Urbano VI, per Carlo III di Durazzo la corona del Regno di Napoli. Morì nel 1381 a Roma. Compose trattati, Allegationes e commentari giuridici (V. ROSSI, Lapo da Castiglionchio, in EI, XX, Roma 1933 e A. BARTOCCI, Lapo da Poggibonsi, in DBI, 63, Roma 2004, pp. 735-736). La forma del nome del giurista impiegata da Colocci dipende ancora una volta dall’historia del Caccialupi (vd. infra). 133 Sui tre giuristi appena citati, si veda ancora Caccialupi: «RECUPERIUS DE SANCTO MINIATE, ET JOANNES PAGLIARENSIS de Senis fuere contemporanei Frederici [Petrucii vd. infra], et viri singulares. LAPUS de CASTELLIONE contemporaneus praedictorum fecit inter caetera opus notabile Allegationum suarum» (GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 506). 134 Federico Petrucci, giureconsulto e canonista, insegnò prima a Bologna e infine a Siena (dal 1322). Tra il 1333 e il 1343 fu allo studio di Perugia dove ebbe per scolaro il Baldo. Di lui si ricorda particolarmente un trattato De permutatione beneficiorum (G. ERMINI, Federico Petrucci, in EI, XXVII, Roma 1935, p. 64). Di lui il Caccialupi scrive: «FREDERICUS PETRUCIUS de Senis fuit contemporaneus Joannis Andreae, Cyni, Oldradi, Nicolai de Materellis, et aliorum, de quibus paulo supra. Floruit anno domini MCCCXV. Edidit notabile opus consiliorum» (GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 506). 135 Oldrado da Lodi è menzionato dal Petrarca in Fam. IV, 16 (§ 13), che lo definisce «iurisconsult[us] nostra etate clarissim[us]». Oldrado da Ponte nacque a Lodi e morì ad Avignone nel 1335. Studiò a Bologna sotto Dino da Mugello e Jacopo da Arena e insegnò a Padova (1307-1318). Successivamente fu alla corte papale di Avignone esercitandovi una forte influenza. Autore di commentari al Codex e al Digestum, prese anche parte brillantemente a pubbliche dispute e appoggiò Giovanni XXII, negando l’universalità del potere imperiale contro Enrico VII (B. BRUGI, Oldrado da Ponte, in EI, XXV, Roma 1935, p. 261). Si veda anche GAZALUPIS, Succinta historia cit., pp 505: «OLDRADUS DE LAUDE fuit contemporaneus Joannis Andreae et Cyni et fuit discipulus Dyni. Fuit advocatus consistorialis. Edidit super juris civili plures lecturas, quarum rara copia reperitur: solenne opus consiliorum fecit. Floruit anno MCCCXX. Vixit imperante Ludovico IV. Vidi eius compendiosam et utilem lecturam super feudis circumfertur hodie eius tractatus de Legitimatione, cum aliis: qui sunt multum utiles». 136 Nicola Mattarelli, giurista contemporaneo di Dante, considerò illegittima la successione di Roberto d’Angiò al padre Carlo II, nel Regno di Sicilia, avendo quegli usurpato i diritti del nipote Caroberto (cfr. E. PETRUCCI, Roberto d’Angiò, in ED, IV, Roma 1973, pp. 1000-1004, p. 1000). Di lui il Caccialupi scrive: «NICOLAUS DE MATERELLIS, doctor Mutinensis, fuit contemporaneus Joanni Andreae, ut colligitur in additionibus ad spec. in
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VAT. LAT. 4831
(f. 52v) 36
40 41 43
>de calderini credo pur bolognesede... bolognesema sopra altriçSçeçnçnçuçcçcçioæ< (il nome di Sennuccio, dopo essere stato depennato anche da f. 53v, troverà posto a f. 54v). tit. de confessis .§. sequitur. Edidit pulchras lecturas super ff. et C. illarum copia rara» (GAZALUPIS, Succinta historia cit., pp 505-506). 137 La cassatura di cui si è detto nella prima fascia d’apparato, sarà dovuta al fatto che Colocci si accorse dell’errore nel designare come bolognese Gaspare Calderini (su cui vd. H. J. BECKER, Calderini Gaspare, in DBI, 16, Roma 1973, pp. 605-606), verosimilmente confuso con Giovanni Calderini, lui sì bolognese, citato poi a r. 39; cfr. GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 506: «GASPAR DE CALDERINIS floruit paulo post [i due giuristi appena nominati]». 138 Cfr. GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 506: «JOANNES FABRI, doctor ultramontanus, qui fuit Aquitanus, scripsit super Codice, et Institutiones». 139 Giurista già citato a f. 46r, r. 3 (alle cui note si rimanda per più informazioni); il Caccialupi ne scrive quanto segue: «JOANNES CALDERINI Bononiensis adoptivus Joannis Andreae Doctor. magnae scientieae et vitae sanctae, floruit tempore Joannis Andreae et post commentavit Decretales, et fecit pulchrum opus consiliorum» (GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 506). 140 La glossa posta tra questa riga e la precedente (vd. I fascia d’apparato, rr. 40-41) precisa il nome di uno dei maestri di Giovanni d’Andrea: quel «MARTINUS DE SILEMANIS» di cui il Caccialupi precisa «fuit contemporaneus Dyni. Iste fuit praeceptor Joanni Andreae in legibus: ut refert Joannes Andreae in additionibus Specul. in titulo de arbitris» (GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 504). 141 Cfr. Rvf 92, 12: «Pianga Pistoia, e i citadin perversi». 142 Così sembrerebbe effettivamente scritto, ma si tratterà forse di una svista e la parola doveva essere danti (cioè Dante; lo scambio della sonora con la sorda sarà forse stato indotto per assimilazione dall’altra dentale sorda che segue).
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IV FASCICOLO
f. 53r 6
10 12 15
20
25
30 31
36
273
scripse più volte al petrarca et el pe|trarca a.llui et così gioh(ann)i andrea | al petrarca el petrarca nelle ep(isto)le li | scrive del figliolo143 no(n) so se dice de | lo n(atur)ale o dello adoptivo no(n) ho il | libro apresso di me | della origine de’ chiosatori | Cino fu q(ue)llo ch(e) ap(er)se la via alli studiosi | de ragio(n) civile p(er)ch(é) morto dino | no(n) fu h(om)o ch(e) più luce desse alle leggi | ch(e) lui i(n) civile et Jo. andrea in cano(ni)co | erano stati li volumi delle servate | legge digesti p(er) iustiniano imperatore | «tronche mozze incise» come scrive | Procopio et volendo fugir lo error(e) | della prolixità i(n) quello della | brevità et oscurità come se vede | nelli codici theodosiani ch(e) anchora | si trovano. No(n) bisognavano tante | chiose no(n) tanti (con)siglie144. latino elega(n)|te copia de cose. no(n) è meraviglia se | Gellio se Festo se tucta la scola d(e) huma|nità erano docti i(n) legge ch(e) copiosam(en)te | trovava. La copia della li(n)gua. deplorata | cagio(n). della ambition d(e) Justinian et | de i(m)becill[it]ate delli i(n)gegni | Soccorse ad q(ue)sto Guarnerio. overo yr|nerio come scrive el caccialupi ch(e) stu|diò da se stesso et comi(n)ciò a.llegere i(n) bo|logna et ap(er)se la scola | dove fu i(n) tal città assai famoso | chiamato meritame(n)te «lucerna et illu|minator primo
f. 53r 10-11.] spazio interlineare leggermente maggiore (r. 11 è scritta a mo’ di titolo in mezzo al foglio). 23. No(n)] corr. su di. 26. Gellio] con G- corr. su li-. 29. Justinian] con J- corr. su g-. 34. et] et>studiavbartho< cino. f. 53v 1.]>çSçeçnçnçuçcçcçioæ< (cfr. ff. 53r, r. 1 e 54v, r. 1). 7. i(n)siNo] la N – maiuscola per maggior chiarezza – è corretta su alcune lettere non chiaramente leggibili (forse h o il gruppo lt). 9. come]>cosìda< ultramonti. 145 Le rr. 31-38 sono citazione di GAZALUPIS, Succinta historia cit., p. 501: «GUARNERIUS, seu IRNERIUS, dum studuisset legibus ex seipso: et legit Bononiae unde tunc fuit maximi nominis: Et merito appellatus Lucerna iuris: tanquam primus illuminator nostrae scientiae. Ita dicit Odof» (e cfr. f. 52v, rr. 9-12). 146 Il nome di Cino sostituisce la variante incipiente «Bartho[lo]», verosimilmente il più volte ricordato B. da Sassoferrato (cfr. f. 52r, r. 6; f. 52v, rr. 3, 21 e 25).
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IV FASCICOLO
275
f. 54r 1
çfçrçaçnçcçeçsçcçhçiçnoæ147 morì prima ch(e) socrate | credo alla moria del 48 et socrate morì | q(ua)n(do) el petrarca haviva Lxi a(n)no v(idelice)t 17 | a(n)ni de poi come attesta nel prohemio delle | senili ad simonide148
2 5
f. 54v
çSçeçnçnçuçcçcçio è chiamato «humano» | dal petrarca morì prima ch(e) socrate | Sennuccio fu fiorentino. coetaneo et | amico del petrarca al quale scrive | q(ue)ll’affectuoso sonecto «sennuccio io vo | ch(e) sappi». e q(ue)ll’altro. et q(ue)ll’altro149 | trovane uno dell’altri ad proposito150 | et molte epistole. fu homo hum|anissimo. col qual giocava spesso | nelle ep(isto)le et max(im)e. Lxij151. |
1 3 7 10
f. 55r 1
çhçoçnçeçsçtçoç çbçoçlçoçgçnçeçse152
f. 54r 1.]◊vide si fu barbarino◊ marg. superiore, al centro (la glossa si riferisce all’identità del Franceschino della riga sg.). 5. prohemio] la sillaba proh- è corretta su una parola che inizia comin-; -emio forse per chiarezza è stato riscritto nell’interlinea. f. 55r 1-(2).] tra le due righe è lasciato uno spazio bianco di circa 7,5 cm. 147 Si tratta del rimatore Franceschino degli Albizi, contemporaneo e amico di Petrarca che ne piange la morte avvenuta nel 1348 nelle Famm. VII, 11; 12; 18 e lo menziona con Sennuccio in Triumphus Cupidinis IV, 37 («Sennuccio e Franceschin, che fur sì humani»). Colocci non è tuttavia del tutto certo dell’identità del personaggio, visto che in margine annota di verificare se non si tratti di Francesco da Barberino. 148 Sull’interpretazione colocciana delle informazioni cronologiche offerte dalle Seniles cfr. nt. 68. 149 Colocci cita l’incipit di Rvf 112. Gli altri sonetti dedicati al poeta tardostilnovista
Sennuccio del Bene (ca. 1275-1349) nel Canzoniere sono Rvf 108, 113, 144, 287 e 291 e la canzone Rvf 268. A questi alluderà rapidamente l’umanista a r. 6. 150 Ancora una volta sarà un appunto che Colocci prese per sé in vista di una redazione
più compiuta di queste annotazioni. 151 Maxime e probabilmente unice: nell’espistolario petrarchesco non si trovano altre epistole dirette a Sennuccio oltre a Fam IV, 14. Il numerale («Lxijj»), come si è già rilevato altrove (cfr. nt. 49 e sgg.), corrisponde alla numerazione progressiva delle epistole nelle due stampe veneziane. 152 Il nome di Onesto da Bologna (ca. 1240-1303) compare ancora a f. 102r, r. 11.
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276
VAT. LAT. 4831
(f. 55r) 2 5 6
10
15
153li
fu p(re)dicto ch(e) doveva morire i(n) campo | de’ fiore p(er) el ch(e) fugiva roma ma li ad|ven q(ue)l ch(e) ad hannibal vide i(n) vita t. fla|minij plutarco. «gleba libyssa teget»154 | bavaro torna(n)do i(n) italia ad trento | cecco dixe ch(e) erat venturus vide | supplementu(m) ludovico bavaro155 | «bavarico i(n)ga(n)no»156 vixe lud. an. 30 | Se recita una facetia di cecco ch(e) e(ss)e(n)do | molestato da frati «tu cecco ch(e) sai ciò ch(e) | se fa i(n) celo ch(e) fa la su el n(ost)ro p(ad)re san | franc(esc)o [?]» alhora cecco dixe no(n) e(ss)er anchora | i(n)trato i(n) celo p(er)ch(é) fece una regola ch(e) no(n) | posseva andar se no(n) a.ddui a.ddui de|po la morte
f. 55r 2.]◊(linea orizzontale)◊ nell’interl. sup. di r. 2 si estende un tratto orizz. che attraversa l’intero foglio e separa lo spazio destinato a Honesto bolognese da quanto segue da r. 2). 5. gleba] con g- corr. su t-. 5-6.]◊(linea orizzontale)◊ un tratto orizz. che attraversa l’intero foglio separa le due righe tra le quali intercorre uno spazio interl. di ca. 2 cm. 9-10.] spazio interlineare leggermente maggiore. 10-(27).] cambio di inchiostro, più scuro (si direbbe lo stesso di f. 53v, rr. 13-18). 10. facetia]>fabuladove< (la parola è poi collocata a r. 3). 6. fusse] fusse >anla memoria< et expectatio(n). 20. 15] corr. su 13. 22.......] lo spazio vuoto contrassegnato da sei punti è nel manoscritto. 162 FANELLI, Angelo Colocci e Cecco cit., p. 201 legge «et pena», tuttavia assai difficilmente la prima lettera della prima parola può essere ricondotta ad una e, dal momento che inizia con un ricciolo rivolto verso sinistra che potrebbe al limite far pensare al primo tratto di una r, o appunto di una n, ma non di una e (nemmeno colocciana). Anche concedendo poi che il gruppo – per me – ra (la seconda e la terza lettera) della seconda parola possa essere preso per un en, non vedo come il breve tratto verticale che chiude la parola, con tanto di puntino, possa venir letto a. Il senso di quanto risulta da questa lettura, sicuramente difficilior rispetto a quella di FANELLI, andrà forse ricondotto al luogo profetico della morte di Cecco: a «Campo de’ fiore» (cfr. f. 59r, rr. 6-7) si può ben alludere, allegoricamente con un prati. 163 FANELLI, Angelo Colocci e Cecco cit., p. 201, legge era, ma la forma della prima lettera – maiuscola – è pressocché identica alle numerose G (per «Gualtieri») che si possono vedere nel II fascicolo del ms., e la seconda lettera non ha nulla delle r minuscole colocciane. Se si guarda al significato, poi, il già restituisce decisamente meglio il senso della precocità di Cecco e dei suoi «grandissimi segni». 164 FANELLI, Angelo Colocci e Cecco cit., p. 201, legge espressioni, ma la x è decisamente
perspicua, non c’è traccia del tratto che sulla p solitamente vale per il gruppo -re; quelle che per lo studioso dovrebbero essere due s sono troppo basse e oblique. Anche in questo caso il senso della lettura da me proposta è meno piano: si potrebbe intendere nel senso di attesa che suscita aspettative per qualcosa di grande, in considerazione dei segni portentosi (il senso, appunto del latino expectatio). 165 FANELLI, Angelo Colocci e Cecco cit., p. 201, legge ultro viene. Di fatto nel ms. si vedono due sequenze di grafemi separate, che io intenderei appunto «ulta mente», riconducendo la discrezione della parola alla presenza dell’esponente vocalico nella prima parte. Diversamente mi sembra che non sia facile motivare la posizione di quella che per FANELLI è una o (molto sollevata sul rigo e, per altro, con una foggia assai singolare). Il -mente è poi molto corsivo e poco compiuto.
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IV FASCICOLO
279
(f. 55v) 25
28
34 35
40 41
ta(n)ta | admiratio(n) di populi ch(e) no(n) altrame(n)te | era admirato ch(e) uno166 cosa i(m)mortale | ognuno convertiva in stupore. | Quivi lesse molti anni. grato ad | quel populo era ghibellino et tirato | dalla amenità del loco andò i(n) fire(n)za | p(er) tre a(n)ni dove era i(n)veterata inimi|citia di docti et vulgar opinione | d(e) docti tucti fusero167 maghi pur trahe|va tucti i(n) admiratione | era no(n) solo di accidental adornato ma | di na(tur)al juditio dotato i(n) modo ch(e) 168 | q(ua)n(do) uno correva era | proverbio i(n) firenza. «ad cecco d’ascoli | se ne va». o q(ua)n(do) auctore degno | allegavano «cecco d’ascoli l’ha decto» | vide petrarca nell’ep(isto)la famil(iare) 36 de ma|tematicis169 |
f. 55v 26. era admirato] di lettura incerta, la desinenza -ato è corretta su qualcosa di non ben distinguibile. 28. grato]>depo tindo venuto< q(ua)n(d)o. 40-41.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, a separare r. 40 da r. 41. 166 FANELLI, Angelo Colocci e Cecco cit., p. 201, legge una, ma, di fatto la o è leggibilissima e chiara. 167 FANELLI, Angelo Colocci e Cecco cit., p. 201, legge de docti supra maghi. Il senso ne risulta esattamente capovolto. Qui l’aspetto paleografico non evita l’equivoco: sulla lettura supra non ho che da obiettare che l’occhiello della s chiude in un punto un po’ troppo prossimo all’asta, richiamando più da vicino la f di quanto non capiti di solito e che la pancia della p è forse troppo aperta e la lettera troppo alta sul rigo per non ricordare piuttosto una s. Avanzo tuttavia entrambe le osservazioni con incertezza. Concedo invece che la prima parola possa agevolmente essere un d(e) – e non un ch’(e’) come sarei stato portato a leggere in un primo momento – purché si intenda il sintagma che ne risulta, come un genitivo oggettivo. Mi sembrerebbe quasi contradditorio attribuire un’opinione vulgare (direi nel senso dunque di popolare, non di vulgata) a dei docti: il senso sarebbe dunque, secondo la mia lettura, che a Firenze ci fosse, da parte del popolo, un’inveterata diffidenza nei confronti dei dotti, che erano tutti perciò considerati un po’ come maghi e nonostante questo («pur», r. 33) Cecco suscitava l’ammirazione di tutti. 168 Questa parola faceva parte del sintagma «esse|>ndo venutofortunaetpochi fogliacerbomaera i(n) fire(n)zefusse< campasse. 185 L’arabico sarà ancora Pietro Alfonso (o di Alfonso: Huesca, 1062 — dopo il 1120), in realtà non arabo, ma ebreo spagnolo. Nella Disciplina Clericalis si legge infatti la storia di un giovane accusato ingiustamente d’un furto d’olio: il suo ricco vicino di casa, che vorrebbe entrare in possesso della sua proprietà, gli affida in custodia dieci «tonellos cum oleo», cinque dei quali – all’insaputa del ragazzo – non sono completamente pieni. Il ricco potrà accusarlo di aver rubato l’olio mancante e rivalersi su di lui. L’ingegnosa argomentazione ‘fisica’ di un filosofo scagiona il giovane: siccome l’olio all’interno di un contenitore si divide in una parte più leggera che emulsiona in superficie e una più densa che resta in fondo ed è proporzionale alla quantità d’olio racchiuso in partenza nel recipiente, basterà confrontare nelle giare piene e in quelle dimezzate le dimensioni delle rispettive parti, per stabilire se vi sia stato davvero un furto (PL, 157 [1854], coll. 688-689). È forse la natura di questa argomentazione che spinge Colocci ad associarvi un riferimento ad Archimede in Vitruvio (da ultimo si segnala un rapido appunto di Vat. lat. 3450, f. 20r [I foglietto, recto]: «de oleo ablato p(er) amurcam (?) cognito»). 186 È il celebre «ej˜rhca», e FANELLI, Angelo Colocci e Cecco cit., p. 204, trascrive infatti eureca, senza che questo, paleograficamente parlando, abbia niente a che fare col testo: la i è ben visibile e al posto della c c’è una chiarissima x, che varrà per la c greca. La citazione è da VITRUVIO, De Architectura, libro IX, § 216. 187 Anche l’aneddoto cui si allude qui si può leggere nella Disciplina Clericalis di Pietro
Alfonsi (PL, 157 [1854], coll. 677-678, fabula III): «Mulum noviter natum vulpes in pascuis invenit, atque admirans ait: tu quis es? Mulus dicit se Dei esse Creaturam. Cui vulpes: Habesne patrem aut matrem? Mulus ait: Avunculus meus est equus generosus. Sicut ergo mulus non recognoscit asinum patrem suum, eo quod pigrum et deforme animal est». In Vat. lat. 3450, f. 81v (I col.), si legge l’appunto «il mulo interrogato de chi era | figlio». 188 Ancora una volta la fonte dell’«exempio» qui alluso sembra essere la Disciplina clericalis (PL, 157 [1854], coll. 679, fabula IV), dove però si parla di un uomo e non di una volpe: «Transiens quidam per sylvam, invenit serpentem a pastoribus extentum et stipitibus alligatum, quem mox solutum calefacere curavit. Calefactus serpens circa foventem serpere
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IV FASCICOLO
285
f. 57v
[bianco] f. 58r
çAçnçtçoçnçiçoç çdçaç çfçeçrçrçaçrçaçæ189
1
f. 58v
[bianco] f. 1 2 5 6
59r190
ç çoçrçtçeçnçta | p al t(em)po de henrico sept(im)o furono assai monstri | i(n) italia come nel fine delle cose memora(n)|de del petrarca. et191 | çfçaçlçsa opinio(n) de | cicco mathematico ch(e) doveva morir i(n) campo | de fiore: et
f. 59r 4-5.]◊(lineetta orizzontale)◊ il breve tratto è posto nell’interlinea tra le rr. 4 e 5, prossimo al margine sinistro. Tra le due righe intercorre uno spazio interlineare leggermente maggiore. coepit, et tandem ligatum graviter strinxit. Tunc homo: Quid, inquit, facis? Cur malum pro bono reddis? Ad haec serpens: Naturam meam facio. Bonum, ait ille, tibi feci, et illud malo mihi solvis?». Di una «vulpis», invece, «q(ui) s(er)pentem a morte liberavit et arguit» parla il rapidissimo appunto di Vat. lat. 3450, f. 16r (IV foglietto recto). 189 Forse Antonio Beccari (Ferrara, 1315 — Milano, 1371/1374), studiò legge a Bologna, fu poeta cortigiano presso vari signori dell’Italia Settentrionale e amico del Petrarca. Ne sono conservati 85 componimenti di vario argomento e metro, ma per lo più riconducibili alla tradizione della poesia giocosa, caratterizzati da una lingua che risente fortemente della koinhv padana cortigiana (cfr. A. BECCCARI, Le Rime, edizione critica a cura di L. BELLUCCI, Bologna 19722). 190 Nella sequenza dei fogli ho ristabilito l’ordine dettato dalla cartulazione. Nello stato attuale di legatura del manoscritto, in realtà, f. 58 è seguito da f. 61 e quindi dal bifoglio – centro del fascicolo – 59-60. Sulle ipotetiche ragioni delle irregolarità intervenute, cfr. il capitolo relativo alla Fascicolazione (§ I.1.4.) nell’Introduzione al volume. 191 S’interrompe qui la frase: il testo a cui qui si fa riferimento è verosimilmente Rer. mem. IV, 117-127; Enrico VII è menzionato al § 117. In V2e V3 è il cap. xviij del VI trattato del IV libro: De portentis tempore Henrici Septimi visis: «Obsidente Brixiam Henrico septimo; in Galliis solis ac lune simul eclypsim et minacem insueti syderis faciem visam: lune quoque tergemine speciem: species varias et arculos etiam celo sparsos: crucis imaginem continentes: et in Italia deflagrantes poli parte: ac sine ullis fulguribus aut nubilibus: et (ut dici solet) ignaro Jove horrendum cecinisse aiunt: Nos enim etsi iam in lucem editi: nulla tamen eius temporis certam memoriam habemus. Super hec in finibus Patavorum equam novem pedibus editam: per rura Gallie cisalpine insuetas volucrum formas apparuisse pluma (ut ferunt) cineritia sanguineis maculis cristato vertice: nec alias ea specie in his regionibus memoria hominum unquam visas: nisi temporibus Fredericis principis: maiores natu affirmabant».
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286
VAT. LAT. 4831
(f. 59r) 9
13 14
20
25
ch(e) no(n) possecte192 evitare el fato | gli advenn[e] come ad lo figlio de adelecta | et pyrro epirota. vide el petrarca de | vaticinio193. la falsità et vanità di magi | reprendi et l’ambigua p(er)plexità . «ibis redibis» | et vide el capit(ol)o del petrarca in sa194 | plin i(n)tucte l’edictione d(e) magia195 | cesar fu celebrato da ovidio i(n) li(n)gua scythica | p(er)ch(é) no(n) dunq(ue) io debbo celebrar voi i(n) quella li(n)gua | ch(e) ne acco[m]pagna dal dì ch(e) usciamo i(n) questa | luce i(n)fino all’extreme tenebre q(ue)sta ne po(r)ge | el lacte co(n) le canzo(n) della cuna196 q(ue)sta ne dà | li exempli della vita co(n) q(ue)sta i(n)terprete | p(er)veniamo alla cognitione delle l(ette)re latine | co(n) q(ue)sta alle greche. ch(e) i(n) vero moltiss(im)e | cose conforme sono tra la lingua italiana | et greci come fra la latina et greci | V(idelicet) oimé. bastazo197. et c(etera) p(er)ch(é) i(n) italia | no(n) ha(n)no fioriti men greci ch(e) latini. comi(n)cia|mo da pythagora el quale lassò el tale e ’l | tale discepolo: et nomina
f. 59r 12-13.] interl. leggermente maggiore tra le due righe. 13-14.]◊(lineetta orizzontale)◊ il breve tratto è posto nell’interlinea tra le rr. 13 e 14, prossimo al margine sinistro. Tra le due righe intercorre uno spazio interlineare leggermente maggiore a demarcare l’evidente cambio di argomento. 21. co(n)] con c- corr. su p-. 192 FANELLI, Angelo Colocci e Cecco cit., p. 204, legge – non so per quale ragione, visto che la grafia è piuttosto chiara in questo punto – potesse. 193 I riferimenti sono rispettivamente a Rer. mem. IV, 39 (una profezia relativa alla morte di Ezzelino da Romano – 1194-1259 – pronunciata dalla madre Adelecta), e a Rer. mem. IV, 26 (su un simile caso relativo a Pirro re dell’Epiro). 194 Incerto lo scioglimento di questa sigla che può stare per summa o secunda o – forse in questo caso più verosimilmente – supra (e quindi con riferimento ai rimandi appena riportati). 195 Non sono riuscito a individuare il luogo pliniano così sinteticamente indicato. Quanto alle «edictione»: finora ne è stata individuata solo una appartenuta a Colocci e da lui postillata: è BAV, R. I. II. 999 (Venezia, «per Joannem Rubeum, Bernardinum fratresque vercellenses», 1507; cfr. FANELLI, Le lettere di Mons. Angelo Colocci nel museo Britannico cit., p. 68). 196 Per un parallelo nella trattatistica coeva cfr. P. VALERIANO, Dialogo della Volgar lingua, in Discussioni linguistiche del Cinquecento, a cura di M. POZZI, Torino 19962, pp. 37-94, p. 57. 197 Per il significato di questa parola si veda GDLI, sub vocibus «Bastaso» e «Bastagio»: entrambe significano facchino, sono voci dialettali e antiche, la prima attestata in Masuccio Salernitano, Boiardo e poi Campanella. Come Colocci stesso si accorse la parola deriva dal greco bastavzw («io porto»).
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IV FASCICOLO
287
(f. 59r)
tucti q(ue)lli ch(e) furono | suoi scholari. aggiungesi ch(e) et(iam) molti picen|ti molti d’umbria andavano ad pytha|gora come li nobili romani alli barbari | ethrusci198 et poi archita archimede pla|tone. sono citati da aristotele. li itali | pythagorici de q(ui) horatio de q(ui) ennio ch(e) | e(ss)endo italiano et havendo studiato i(n) grecia | et nutrito i(n) q(ue)lla li(n)gua adricchò el par|lar latino. facile adunq(ue) cosa ch(e) tra itali | et greci sia co(n)formità de molte cose ch(e) lati|ni non hebbero. voglio p(er) q(ue)sto i(n)ferire | ch(e) italiani i(n) qual se voglia li(n)gua ch(e) | habbino scripto semp(re) ha(n)no. facto opere | degne de laude. scripse ovidio i(n) li(n)199 |
29
35
40
f. 59v 1
6
9
15
scripse eliano romano i(n) li(n)gua greca | scripse marullo greco i(n) li(n)gua latina | scripse Josepo hebreo i(n) greco scripse ennio greco | i(n) latino. scripse folchecto italiano i(n) li(n)gua | lemosina. scripse virgilio italo i(n) li(n)gua | latina. Livio patavino no(n) ben lassata la | sua patavinità fu fama dello eloquio roma|no. | Dico adunq(ue) ch(e) i(n) qual se voglia li(n)gua se | possono le hystorie vere nude et expresse | narrare i(n) ogni li(n)gua se possono le pa|ssion d’amore exprimere et i(m)primerle | nelli animi delle done et ad q(ue)sto nisuno | miglior i(n)strumento trovo ch(e) la materna li(n)|gua. alle cui parole no(n) i(n)terpreti bisognano | no(n) chiose no(n) comenti no(n) ambiguità et | se alcuni equivoci vi sono la pratica l’uso | dimostra q(ue)l ch(e) significhino200 et q(ui) da’ exempio | de eq(ui)voci et ambigui.
f. 59r 29-30. ad pytha|gora] tra le due parole compare nell’interlinea la parola nobil, scritta però sotto e subito prima della parola picen|ti di r. 28: visto il possibile parallelo con i nobili romani di r. 30, rimango in dubbio se riferire l’aggettivo a pythagora o a picenti e dunque sul punto in cui collocare la parola. 31. poi] lettura incerta. 39.] ◊"(manicula)◊ il segno posto nel margine sinistro sottolinea l’importanza della conclusione a cui si giunge in questa riga. f. 59v 8-9.] spazio interlineare leggermente maggiore. 198 L’argomento è topico: cfr. VALERIANO, Dialogo della Volgar lingua cit., p. 70, nt. 100. 199 Il discorso continua nel verso del foglio, ma questa frase rimane a mezzo: proba-
bilmente Colocci intendeva scrivere «i(n) li(ngua) scythica», come si evince dalla continuazione (f. 59v, r. 1: «scripse eliano romano i(n) li(n)gua greca»); il voltare pagina avrà forse comportato una distrazione che non ha consentito di terminare la frase. In alternativa si potrebbe anche supporre che qui vada introdotto – secondo un cambiamento di disposizione degli argomenti nel testo – il passo che apre questo nuovo paragrafo (f. 59r, r. 14). 200 Cfr. VALERIANO, Dialogo della Volgar lingua cit., pp. 56-57 e nt. 57.
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VAT. LAT. 4831
(f. 59v) 20
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bench(é) i(n) ogni li(n)|gua è fatica fuggir lo equi[vo]co sì dello | scrivere come del proferire. tanto significa | φιλa201 proferendo q(uan)to | fila latino. et nomi coi verbi V(idelicet) | le fila benedecte. e nome. filare et | fila tu et sec(ond)a p(er)sona e q(ue)l medesimo | leggesi circa el scrivere de castruccio tira(n)no | di Lucca una facetia202. ch(e) volendo p(er) gioco | Gabbar u(n) suo secretario ch(e) scrivendoli i(n) l(itte)ra | cursiva ch(e) se maiuscola fusse stata no(n) così | li saria successo et depo molte parole | scripte ambigue de voler o no(n) voler al | fine fece un nolumus ch(e) la prima | l(itter)a. no(n) se cognosceva se era .n. o vero .v. | pur el secretario più p(re)sto p(er)suaso dalle | occurentie d(e) castruccio e dal bisogno ch(e) da | la l(ite)ra / decte li denari et de poi repete[n]doli | le fu ap(er)to el gioco et recordomi haver | visto un sonecto del secretario ch(e) scriveva | ad castritio «se havesse la moneta203 mia | qua su la qual ma(n)dai no(n) so ch(e) via | se tenne
f. 59v 22. φιλa]>homine q(uan)tome scripse< ad me. 7. ch(e)] corr. forse su q(ue)l.
204 Quelli citati a rr. 39-42 sono evidentemente gli endecasillabi che formano una delle quartine del sonetto menzionato a r. 38 (si è adottata in questo caso nella trascrizione una disposizione del testo, che evidenzi i versi pur non rispettando gli a capo del ms. che, invece li riporta di seguito): a rima incrociata e con i versi estremi ossitoni. Non mi risulta chiaro se l’ultima lettera vada letta u o vu 205 Il numero di questo foglio sembra corretto su un numero precedente: questa modifica della numerazione andrà forse ricondotta alle traversie relative alla disposizione dei fogli in questo punto del quarto fascicolo di cui in parte si è detto (cfr. nt. 190). 206 Si tratta qui di Elisio Calenzio (al secolo Luigi Gallucci: Fratte – oggi Ausonia –, 1430-1502/3), amico di Angelo e dello zio Francesco Colocci, frequentato dall’umanista a Napoli e a Sulmona, dove si era rifugiato nel 1494. Il Calentio era stato precettore del re di Napoli, Federico d’Aragona, e governatore di Squillce. Abbondante scrittore di versi latini, la sua opera si conserva in tre codici appartenuti al Colocci (Vatt. latt. 2833, 3367, 3909; cfr. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., p. 12, nt. 20 e DE NOLHAC, La Bibliothèque cit., pp. 255 e 256). 207 Si tratta degli Opuscula Elisii Calentii Poetae Clarissimi usciti postumi da Besicken a Roma nel 1503, per cura di Colocci e del figlio del poeta Lucio. Se l’identificazione è corretta, avremo un terminus post quem per la compilazione di questi appunti. Per ulteriori e più approfondite notizie sul Calenzio e sui codici che ne contengono l’opera, rimando alla scheda a lui relativa (f. 88v) e alle note ad essa pertinenti. 208 Lo si legge al f. [44r] degli Opuscula cit. (ne ho consultato l’esemplare, purtroppo
mutilo in alcune parti, Roma, Biblioteca Universitaria Alessandrina, Rari 106); si tratta di una sorta di indovinello che reca stampato nel margine destro la soluzione («Vis Ius»): «Dictio mortales auget monosyllaba curas / Si teneat medium littera prima levat». 209 La parola mentula si trova annotata a vario titolo e in più punti degli zibaldoni colocciani. Nel codice Vat. lat. 3450 (f. 39r, V foglietto recto) si legge l’accenno ad una facezia: «D(omi)ni Asini flore(n)tini (contra) genitorem | Asino florentino civi filius natus cui cu(m) mulieres | hesitarent q(uod) nomen imponeret R(espo)n(d)it vocetur me(n)tula». In Vat. lat. 4817, f. 49r si trova invece l’appunto «çMçeçnçtolaæ la mentuccia al borgo» (e similmente a f. 55r «çMçeçnçtolaæ al borgo et lochi circu(n)stanti») che può essere messo in relazione con la spiega-
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«i(n) sul lito di chiassi»210 | Q(ue)sto ha(n)no i latini questo l’ispani q(ue)sto li greci | q(ue)sto li volgari. e’ galli et la magior parte de le | facetie i(n) ogni li(n)gua versa circa lo equivoco | e anchora lo eq(ui)voco nelle metaphore et | translato. ch(e) me recordo un fiorentino havere | parlato co(n) un ceco da un occhio. et dicendoli | q(ue)l sano «io ce giocaria l’occhio del capo» | respose el guercio «ad q(ue)sto no(n) giocarò io | ch(é) no(n) haveria l’altro da i(n)vitarvi211». poneva | adunq(ue) el primo l’occhi p(er) la cosa più pretiosa | se cosa più caro no(n) ce è ch(e) l’occhi come giura | catullo212 Ad un altro spagnolo ferito li have(n)ne ch(e) | no(n) havendo se no(n) un lume un occhio una | finestra. et essendoli data una ferita nell’a|ltro occhio no(n) turbatosi della sua antiqua affa|bilità voltatosi ad torno dixe «alla bona | nocte segnori». q(uas)i dicesse «el dì e ’l lume è | spento et la sera è facta». | Questa amesi questa sia abbracciata salva semp(re) | la maestà della lingua latina | 213
f. 60r 13. fiorentino]>spagnoloun< l’. 19. caro] così nel manoscritto. 26. spento]> mancatoromana< lingua latina. zione etimologica («parva menta») che viene proposta in Vat. lat. 4831. Al tempo stesso gli appunti di questo codice gettano luce sulle possibili motivazioni che hanno presieduto alla compilazione della breve nota di Vat. lat. 4817: Colocci rileva una variante lessicale rustica che potrà servire ad esemplificazione di quella ambiguità di cui tratta nel nostro codice. 210 Citazione di Purgatorio, XXVIII, v. 20. In questo caso l’ambiguità riguarderà la parola Chiassi che, oltre che toponimo, come plurale di chiasso varrà anche «postriboli, bordelli» (cfr. GDLI, alla voce Chiasso1, seconda accezione, con esempi da Pulci e Bandello). 211 Per il significato di questo verbo si veda GDLI che riporta (sotto la voce Invitare) due accezioni le cui areee semantiche sembrano portarci piuttosto vicino a quella indicata dal senso della presente frase: «letter. sfidare, provocare» e, col senso più specifico di pungolare, attestato in Varchi (nr. 6); «gioc. proporre una determinata posta per una partita a carte», attestato in Castiglione, Firenzuola e Berni (nr. 8). Si veda, per l’episodio che inviterebbe ad identificare il fiorentino di queste righe col Burchiello, f. 87r, rr. 32-35 (con un riferimento ad una facezia sinteticamente registrata in Vat. lat. 3450, f. 80v). 212 A quale dei componimenti del corpus catulliano qui si alluda è difficile dire, vista l’alta ricorrenza delle allusioni agli occhi come, appunto, «cosa pretiosa». Suggerirei, forse, il carme III (v. 5), dove tuttavia essi non compaiono all’interno di un giuramento. 213 Queste due righe sono state vergate in calce alla pagina, forse come pro memoria relativo alla conclusione del discorso (fatta salva – cioè – la solennità, la maestà del latino,
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f. 60v 1 2 5 6
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lepore | aggiungesi ad q(ue)sto ch(e) molte metaphore ben | decte vulgare ap(re)sso i latini no(n) ha(n)no | gr(ati)a et così proverbij novi ch(e) oggi so(n)no | i(n) observantia et li antiq(ui) no(n) l’havevano | In su(m)ma et ip(s)a legib(us) suis utitur ogni sci(enti)a | ha li suoi termini p(ri)(va)ti ch(e) usandoli p(er) co(mun)i p(er)dera[n]|no et de gr(ati)a et de significato. volse poggio | fiorentino molte facetie del suo t(em)po redurre | i(n) latino et no(n) possecte i(n) tucto | et q(ui) da’ exempio di molte facetie | Legi la grammatica tucta et la Rhetorica et p(er) capi|ta rer(um) toccale | più al greco∧lü gw"214 se conforma ragionare ch(e) è vulgare | ch(e) ratiocinare p(er)ch(é) nui et parlar et far | conti come greci diciamo ragionare.
f. 61r 1 5
çpçeçtçrçaçrçcaæ se mutò nelli 40 anni | o circa et e(sse)ndoli mostrata una do(n)na | dixe ch(e) no(n) affaticava più l’occhij | et decte l’exempio de uno ch(e) amò | una ceca de un ochio |
f. 61v
[bianco]
f. 60v 2. aggiungesi] con la terza -g- corr. su -s-. 10. possecte]>no(n) li fu co(n)cesso< possecte. 13-14.] spazio interlineare leggermente maggiore.
tuttavia, si adotti e si prediliga il volgare) che rimane tuttavia incompiuto. Su Colocci e la questione della lingua cfr. G. SALVADORI, Lingua comune e lingua cortigiana negli appunti di Angelo Colocci e ID., Lingua fiorentina e lingua italiana nel Cinquecento, in Fanfulla della domenica 31 (1909), rispettivamente nr. 20 (16 maggio), pp. 2-3 e nr. 28 (11 luglio), pp. 1-2; O. OLIVIERI, Gli elenchi di voci italiane di Angelo Colocci, in Lingua nostra 4/2 (1942), pp. 2729; F. AGENO, Sulle controversie linguistiche in Italia, in Giornale storico della Letteratura italiana 138 (1961), pp. 90-100; S. LATTÈS, Studi letterari e filologici di A. Colocci, e A. GRECO, L’apologia della “Rime” di Serafino Aquilano di Angelo Colocci, in Atti del Convegno cit., rispettivamente pp. 243-256 e 205-219; CANNATA, Il primo trattato cit. 214 La lettura di questa parola è incerta, vista anche la curiosa forma dei segni adottati: g è sostituita da una g piuttosto chiara e quello che ho letto come w ha una forma decisamente inconsueta, dovuta forse al legamento che la unisce al grafema successivo, che con nessuna certezza ho ricondotto a ", e che in realtà ricorda molto più una m.
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[...]215 f. [65]r
[bianco] f. [65]v
[bianco] f. [67]r
[bianco] f. [67]v
[bianco] f. 68r
[bianco] f. 68v 1
çRçoçbçeçrçtçoç reæ216 | ç çeç çeçtç çpçhç(çiçlçoçsçoçpçh)oæ et poeta | La sapientia de R roberto et la vita sua ch(e) fu | norma de costumi et de sapientia |
f. 68v 2. çRçeç çeçtç çpçhç(çiçlçoçsçoçpçh)oæ] sapiente et fortezza (le due parole sono scritte nell’interlinea, ma in realtà, sostanzialmente di seguito alle due parole di r. 1 messe a testo).
215 Tra f. 61 e f. 68 si colloca una lacuna di quattro fogli e altri due (di seguito designati come [65] e [67]) se ne trovano privi di numerazione; sulla questione e sulle ragioni della numerazione con cui sono qui indicati i fogli che ne sono privi si veda il § I.1.4. nel capitolo relativo alla Fascicolazione dell’Introduzione). 216 Il nome di Roberto d’Angiò compare a f. 102r r. 10. Roberto d’Angiò (1278-1343), figlio di Carlo II, re di Napoli dal 1309, capo delle forze guelfe italiane, si oppose alla spedizione di Enrico VII (1311-1313) ed ottenne la signoria di Firenze (1313-1321) e Genova (1318-1328). Fu per questo inviso a Dante che lo critica per bocca del fratello Carlo Martello in Paradiso VIII. Fu invece mecenate e amico di Petrarca e Boccaccio (per più estesa documentazione sulla figura di Roberto, oltre alla voce di PETRUCCI, Roberto d’Angiò cit., in ED, rimando all’ormai tradizionale studio di F. SABATINI, Napoli Angioina. Cultura e Società, Napoli 1975, in particolare la Parte II: La cultura italiana nella capitale angioina al tempo di Roberto e di Giovanna I, pp. 51-146, e ora a L’État Angevin. Pouvoir, culture et société entre XIIIe et XIVe siècle. Actes du colloque international organisé par l’American Academy in Rome, l’École Française de Rome, l’Istituto storico italiano per il Medio Evo, l’U. M. R. Telemme et l’Université de Provence, l’Università degli studi di Napoli «Federico II» (Rome — Naples, 7-11 novembre 1995), in Collection de l’École Française de Rome 245 (1998), in particolare – per gli aspetti letterari e più latamente culturali – si vedano A. BARBERO, Letteratura e politica fra Provenza e Napoli, ibid., pp. 159-172 e I. HEULLANT-DONAT, Quelques réflexions autour de la cour angevine comme milieu culturel au XIVe siècle, ibid., pp. 173-191).
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(f. 68v) 5
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217Giaceva
col corpo languido Roberto ma co(n) | l’animo alacre et i(n)fracto: nisun dolore nisu(n) | abbactimento d’a(n)i(m)o nisuna paura del passar(e) | nisuno desyderio di remane(re) al mo(n)do et | maximam(en)te i(n) q(ue)lli luochi dove co(n) tanto | honore era vixo tanti triumphi haveva re|portato tanti plausi exauditi:218 q(uas)i pareva | d’una oscura labirinto et da prigione | tetra e(ss)er liberato. «Arebat cutis». el | calor vitale nel vecchio pecto già re|dacto spesso o tuctavia mancava. cresceva | tuctora el male. Li spirti eran più rari | Arrivava el giorno ult(im)o et instava | el t(em)po dell’hora extrema al breve corpo | gl(ori)oso: «e ’l dubio passo de che’l mo(n)do | trema»219. Nulla querela. nisuna lachry|ma spargeva: q(ua)n(do) l’altrui asciugava:220 | cognosceva e(ss)er caro alli suoi et alle|gravase ch(e) p(er) suo’ meriti fusse sì caro | Vedeva fanciulli. li successori del | regno: et temea di q(ue)lla età ch’(è) molto | socto posta a pericoli. cognosceva | el sacro secreto della sua religio[sa] moglie | ch(e) anchora lui vivendo pensava221. | poteva securamente el peso del
f. 68v (4)-5.] spazio interlineare leggermente maggiore. 217 In questi fogli (da qui, fino a f. 69v, r. 10), Colocci volgarizza il testo di PETRARCA, Rer. mem. III, 96. 218 Per le rr. 5-10 fino a «honore», cfr. Rer. mem. III, 96, 5: «Decubuerat corpore quidem languidus sed animo alacri et infracto. Nullus dolor, nulla costernatio, nullus egrediendi metus, nullum manendi desiderium, in illo presertim habitaculo ubi tanto cum honore permanserat»; la parte che segue («tanti triumphi... exauditi») è espansione dovuta a Colocci. 219 Cfr. PETRARCA, Triumphus Mortis, I, 105: «Io dico che giunta era l’ora extrema / di quella breve vita glorïosa / e ’l dubio passo di che il mondo trema»: si tratta dunque di un tassello del Petrarca volgare, inserito da Colocci nel suo volgarizzamento del Petrarca latino. 220 Per le rr. 11-21, cfr. Rer. mem. III, 96, 6: «Corpus velut ergastulum, artusque fatiscentes velut totidem libertatis sue vincula cernebat. Arebat cutis et vitalis calor infra senilem teporem iam redactus assidue decrescebat; ingeminabant morbi, rarescebat spiritus et transibat dies ultimus: extreme hore tempus instabat. Nulle interim querele, nulle ipsius lacrime fluebant, cum alienas abstergeret»; l’espressione «arebat cutis» (r. 13) non viene tradotta da Colocci, quasi che il suo significato («la sua pelle era consunta»), stranamente non gli risultasse trasparente. 221 Per le rr. 22-28, cfr. Rer. mem. III, 96, 9: «Noverat se suis esse carissimum seque id meritum gaudebat, quibus gravissimum se maerorem relinquere certus erat. Videbat adulescentulos regni succssores et etatem multis obiectam periculis verebatur. Noverat sacrum religiose coniugis archanum, fugam e saeculo, illo adhuc spirante, meditantis». L’ultima frase tuttavia è lasciata a mezzo nel volgarizzamento dell’umanista. La moglie cui qui si allude è Sancia di Maiorca.
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(f. 68v) 30
35
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regno | alla sua do(n)na comettere poteva fu(n)da|re i(n) q(ue)ll’a(n)i(m)o ogni edificio gra(n)dissimo | no(n) mancava se no(n) lei volere. | come apparve manifesto ch(e) anchorch(é) | de l’altrui Miseria si dolesse più della | salute dell’a(n)i(m)a hebbe cura ch(e) del caso publ[i]co | ch(e) depo le cenere del funereo222 tanto marito 223 | poco de poi nelli sacri mura del mona|sterio viva se stesso sepelir volse ad | magior cose aspira(n)do ch(e) ad regni de’ | mortali224. questo casto p(ro)posito |
f. 69r 2 5
9
affligeva molto l’animo del sacro re | no(n) sapendo a chi comectere el stato dello | imperio. Vedeva li scogli ap(er)ti | recordavase delli passate tempestate | et da l’aq(ui)lone et da l’austro già p(er)venuteli | et ve(n)ture presagendo come vigila(n)te | nochiero e governator egregio225. era i(n) | gra(n)dissimi frangenti e solitudine | ad tanta dificoltà de cose ch(e) corpi | validi et sani doveva atterar pur | ad pensare: co(n) a(n)i(m)o i(n)defesso. governò | et decte opt(im)o recapito morendo. | primam(en)te li
f. 68v 30. alla sua] ad sì illustre. 32. volere. | come] volere. >bench(é)< | come. 36. cenere del funereo] lettura incerta. f. 69r 1. l’animo] con l’ corr. su n.
222 Queste parole non si leggono molto chiaramente o per lo meno il loro senso non è del tutto trasparente: forse si tratta di diversi tentativi incipienti di traduzione dell’espressione «post sepulcrum tanti coniugis» (vd. oltre), disposti in sequenza, ma poi non cassati. 223 Consiglio l’espunzione di questa parola se la si intende come pronome riflessivo: in un primo momento, infatti, Colocci avrà forse avuto l’intenzione di collocare qui l’espressione che si lgge poi a r. 38 «se stesso sepelir volse» (o espressione analoga), ma, ordinata diversamente la frase, non ha poi cassato i residui di una variante incipiente. Del resto tutta la redazione di questi appunti mostra di mancare di una revisione, come testimonia anche la ridondanza del seguente (r. 37) «poco de poi» rispetto al «depo» di r. 36. 224 Per le rr. 29-40 fino a questo punto, cfr. Rer. mem. III, 96, 10: «Tuto quidem poterat illustri femine regni pondus curasque committere, poterat illi animo superedificare quantumlibet: fundamenta non deerant; nisi ipsa – quod eventus docuit – quamvis miserata casum publicum, saluti proprie succurrere maluisset seque post sepulcrum tanti coniugis mox intra sacros parietes monasterii sepelisset ad altiora suspirans». 225 Per il testo da «questo casto proposito» (f. 68v, r. 40) fino a questo punto di r. 7 di f. 69r, cfr. Rer. mem. III, 96, 11: «Hoc muliebre propositum, iampridem cognitum, multa volventis animum angebat [...]. Circumspiciebat scopulos, meminerat procellarum, et ab aquilone lesus et ab austro venturasque presagiens tempestates, gubernator egregius [clavum commissurus inexpertis] [...]»; anche qui Colocci amplifica aggiungendo «vigilante nochiero» (r. 7).
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circu(n)stanti piangendo et | lachrimosi magn(ifi)camente castigando | monstrò ch(e) a.llui nulla cosa trista no(n) aspera | no(n) miserabile no(n) molesta et finalm(en)te | no(n) e(ss)erli morte se no(n) suave et jocu(n)|da226. et sec(ond)o la s(ente)n(tia) di cesare assai li | pareva d’esser vissuto o alla gl(ori)a | o alla n(atur)a: et già desiderava uscire | delli legami corporei da q(ue)sta soglia mor|tale et andarsene ad regni più stabi|liti et più alti et però no(n) era da pia(n)gere | ma alegrarsi del suo viaggio227. et sì | el pianto d’ognuno co(n) le ornate et sente(n)|tiose parole raffrenava così ogni opinio|ne della miseria de morte tolse esterpò | dalli pecti de’ ciru(n)stanti ch(e) i(n)sino ad q(ui) | tengo beati coloro ch(e) | poterono odire ragionarlo228 et despu-| tare della beatitudine della morte | come se le schole de philosophi fussino ap(er)te229 | finalmente adverso tucti et ciascuna cosa | ch(e) antivedeva terribili et aspere accomo|dati remedij ad tal veneni preparava | li governi del regno lassò al successor | quali lui co(n)giu(n)se co(n) felice | pri(n)cipio. et
f. 69r 21. delli] con -i corr. su -e. 28. ad q(ui)]>alhorase tenevano beati< tengo beati. 37. felice]>non molto< felice. 226 Per le rr. 7-18 fino a questo punto, cfr. Rer. mem. III, 96, 12: «Tot difficultatibus rerum, que vegetum licet ac validum fatigare debuissent, moriens indefesso animi vigore consuluit. Primum omnium flentes ac eius conditionem miserantes magnifice castigatos docuit nil sibi triste, nil asperum, nil miserabile, nil modestum, denique nil nisi suave prorsus et iocundum morte contingere». Colocci espande alle rr. 11-12 («governò et decte opt(im)o recapito») il semplice consuluit del testo petrarchesco. 227 Per le rr. 18-24 fino a questo punto, cfr. Rer. mem. III, 96, 13: «Satis se, iuxta cesaream sententiam, vel nature vixisse vel glorie, optare se iam ex corporis statione discedere, sperare ab hoc mortali solio digressum ad feliciora et stabiliora regna proficisci; minime itaque lugendum sed omni gaudio prosequendum iter suum». 228 Così piuttosto chiaramente nel testo. Colocci, traducendo velocemente e distratta-
mente avrà congiunto il pronome enclitico con l’infinito sbagliato (anziché «poterono odirlo ragionare»). Diversamente si potrebbe leggere ragionando, che ricalcherebbe molto da vicino la costruzione latina: «quibus illum ex ipsa morte contionantem contigit audire...», ma paleograficamente convince di meno perché non v’è traccia dell’occhiello della d. 229 Per le rr. 24 («et sì...») — 32, cfr. Rer. mem. III, 96, 14: «[Quid multa?] Sic omnium
gemitus oratione compescuit, sic omnem miseriarum mortis opinionem ex audientium pectoribus extirpavit, ut nunc usque se se felices arbitrentur quibus illum ex ipsa morte contionantem contigit audire, nec morientis cubiculo ullas philosophorum scolas preferant». Anche il semplice oratione è espanso in «co(n) le ornate et sente(n)tiose parole» (rr. 25-26), mentre il senso dell’ultima frase («e non preferirebbero le scuole dei filosofi al letto di lui morente») è modificato (o frainteso) e semplificato.
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q(ue)lli admoniva qual cosa | era da cercare qual da fugire no(n) altra|mente ch(e) apolline al figlio de climene | i(n)segna(n)doli el viaggio ch(e) ad tener havesse230 |
40
f. 69v
come coi pari come coi sub|iecti come co(n) li amici come co(n) li adversarij se havessero | ad governare q(ue)sto co(n) tal (con)siglio | et q(ue)llo co(n) quell’altro231 | Queste et cose altre assai co(n) la solita | i(m)mota et sincera maestà più | tosto acresciuta. voltata la mente | a.ddio la felice et regal a(n)i(m)a li rese | et libero et sciolto da ligami | del mo(n)do lieto se ne tolse232. | piansero la sua morte li subditi orba|ti no(n) di re ma di p(ad)re. piansero | li colligati regni. piansero li amici | piansero li studiosi d’ogni∧vera virtù | né da un solo poeta od historico la | sua partita fu collachrymata233. | Morì nelli a(n)ni del .s. m . . . . . . | fu sepellito i(n) napoli nello t(em)pio de | dove anchora appare co(n) tal epithaphio234 |
2
5
11 15 17
f. 69v 1. pari] equali. 4.]◊(tratto di penna obliquo)◊ uno svolazzo originatosi dalla -o chiude la riga. 6. i(m)mota] lettura incerta. 9. sciolto] corr. su qualcosa di non ben distinguibile. 10. mo(n)do] corr. su altro: la seconda -o è corr. su -r. 11. li]>depetrar|ca[..]loro[...]< genuam potitus»). 252 Su Petrarca e Boccaccio si avrà modo di tornare, quanto al Sabellico (ca. 1476-
1506), si tratterà probabilmente di un rimando generico alle Enneades o M. ANTONII COCCII SABELLICI Historiarum rapsodiae enneadum de orbe condito ad annum salutis 1504, edito in due tempi a Venezia presso Bernardino e Matteo Veneti, nel 1498 e nel 1504 (ne ho consultato l’esemplare della BAV segnato Inc. S. 174-175 che tuttavia non è colocciano). Notizie su re Roberto si leggono al fondo del libro settimo e al principio del libro ottavo della IX enneade (ff. LXXXVIv-LXXXVIIr e f. XCr). 253 Cfr. BRUNI, Historiarium Florentini Populi cit., libro IV.
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IV FASCICOLO
301
(f. 72r) 9
14
21 22 26
coronata 1309 vide damaso254 di maggio ad|dì septe et nota la peste ch(e) fu i(n) q(ue)lli | t(em)pi et guido era ad tolosa co(n) .p. de | capella tolosa255 era alhora vescovato | or: s(an)c(t)i ang(el)i | Joha(n)na fece suspendere andrea suo cugino | et marito256. vide damaso. cognosceva | roberto l’a(n)i(m)o de Johanna. femina a(n)i(m)osa | delicata vedeva li costumi de andrea | onde molto co(n) l’a(n)i(m)o stava sospeso pur | morendo li decte opt(im)i consegli | costui decte avignone al papa | ch(e) erano conti di provenza | Temeva la regina giovine figliola | e d(e) lo novo re l’adolescentia l’i(n)gegni | et li costumi de cortesani diceva | el petrarca q(ue)sti due e(ss)er dui agnelli | tra molti lupi et un regno senza | re. ch(e) no(n) è re chi p(er) altrui si regge257 |
f. 72r 8-9.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, a separare r. 8 da r. 9, e spazio interlineare leggermente maggiore. 13-14.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, c.s. 20. costui... papa] l’appunto deve essere stato aggiunto in un secondo tempo: esso si trova infatti all’altezza del tratto di penna che sostanzialmente separa r. 19 da r. 21 (vd. oltre). 19-21.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, a separare le due annotazioni (r. 20 è aggiunta all’altezza della lineetta). 21-22.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro c.s.; interlinea leggermente maggiore. 254 Non sono riuscito a identificare la fonte indicata in questo modo. Sembrerebbe trattarsi di un qualche cronista (dato il riferimento al giorno e all’anno che seguono), ma non ho trovato nulla in tal senso. Considerato che Colocci frequentemente si rifà a notizie desunte da giuristi (cfr. i rimandi al Caccialupi di ff. 40r, r. 6; 46r, r. 3; 52v, r. 10; 53r, r. 32), si potrebbe suggerire dubbiosamente di identificare il personaggio con il Magister Damasus, canonista del XIII secolo, autore dei Tractatus singulares plurimorum doctorum, in praxi valde contingibiles: ne ho consultato rapidamente la stampa lionese «per Joannem Marion» del 1519 (BAV: Rac. Gen. Dir. Can. III. 265 [nt. 2]), senza tuttavia trovare riferimenti utili. Del resto sembra assai poco probabile che una fonte duecentesca possa recare notizie relative all’angioino. 255 Per notizie analoghe cfr. f. 49r, rr. 8-11, a proposito di Guido Cavalcanti. 256 Giovanna I d’Angiò (1326-1382), figlia di Carlo, unigenito di Roberto, succedette a
suo nonno sul trono di Napoli nel 1343: aveva sposato Andrea d’Ungheria, duca di Calabria (suo cugino di secondo grado, in quanto figlio di Caroberto; il padre di quest’ultimo, Carlo Martello, era fratello di Roberto), il cui assassinio nel 1345 provocò l’invasione guidata dal fratello Luigi I d’Ungheria (1347-1348). Giovanna dovette riparare in Provenza ma nel 1352 poté rientrare nei suoi possedimenti e governò con l’aiuto del gran siniscalco Niccolò Acciaiuoli (m. 1365). 257 Cfr. Fam. V, 1 [Ad Barbatum Sulmonenesem, de Roberti siculi regis obitu], 2-3: «Ita
me regine iunioris novique regis adolescentia, ita me regine alterius etas ac propositum, ita me tandem territant aulicorum ingenia et mores. Mendax hic utinam sim propheta; sed agnos duos multorum custodie luporum creditos video, regnumque sine rege. Nam quid ego eum qui ab alio regitur, regem dicam [...]?».
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302
VAT. LAT. 4831
(f. 72r)
fu un altro platone sec(ond)o petr e ad | nisun re sec(ond)o o di sapientia o di gl(ori)a258 | vide si barbato era co(n)sigliere di re o ch(e) | cosa259 | chiamava duce del suo i(n)genio dui el car(dina)le | colo(n)na et roberto260 |
28 30 32
f. 72v 1 2 6
çRçoçbçeçrçtçoç reæ | Raco(n)ta come henrico sept(im)o haveva occu|pato italia et roma et toscana et come | lui refrenò la sua sup(er)bia et defese li | fiorentini e p(ar)te guelfa et pigliò genua | defensor de roma e delle cose eccl(esi)astice | Amator de Italia. Andò i(n) francia a far|se coronare et torna(n)do etc. vide supple|mentu(m)261 e de-
f. 72r (27)-28.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ marg. sinistro c.s. 29. Il primo o] corr. su d(e). 29-30.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ marg. sinistro c.s. 31-32.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ marg. sinistro c.s. 258 Cfr. Fam. V, 1, 3: «[...] qui [Robertus] et Plato alter ingenio fuit et regum nulli aut sapientia secundus aut gloria» (un altro passo in cui Roberto viene paragonato a Platone si legge in Fam. XV, 7, 10). 259 La presente annotazione sarà stata indotta dall’aver trovato come destinatario della lettera appena citata (vd. sopra) proprio Barbato di Sulmona. L’espressione «consigliere di re» era già stata riferita a Tommaso di Messina (cfr. f. 45r, r. 12). 260 Cfr. Fam. V, 1, 4: «Duos ingenii duces habui: utrunque michi annus hic abstulit, et de altero quidem nuper, dum adhuc essem in Italia [...], nostro cum Lelio questus sum, de hoc hodie tecum queror querarque dum vixero». Colocci nell’identificare il primo dei due duces commette probabilmente un errore: con Lelio ha fatto lamento nuper – nella Fam. IV, 13 – della morte di Tommaso da Messina e non del cardinale Colonna, a cui è indirizzata proprio la lettera che segue quella da cui si è tratta la citazione. 261 Cfr. FORESTI, Supplementum Chronicarum cit., Venezia, Georgii de Rusconibus,
1513, libro XIII (anni 1308-1310) f. 243v: «Robertus caroli secundi: Neapolitanorum ac siciliae et apuliae regis filius: hoc anno [1310] patre defuncto in regnum eius succedens: regnavit 33. Rex a multorum scriptorum miris laudibus celebratus: quoniam nedum rei militaris peritia: ex multarum scientiarum ornamento vere inclitus est habitus. Qui regni titulis a clemente papa in Avinione susceptis, ex Galliis profectus est ad Palagurum Bononiae legatum: qui circa Ferrariae tumultuantis eidem demandavit. Misit deinde Ioannem fratrem ex Neapoli Romam: et inde Henricum imperatorem expelleret: qua sua tyrannide totam Italiam perturbat: Coactus Henricus abire fecit quapropter Robertum ipsum reum lesae maiestatis fecit: et non citatum regno privavit. Quam tamen senteniam: cum inde secutis Clemens postmodum irritam fecit: ut habetur in cle. pastoralis: de re iudicata. Hic itaque Robertus dignissimus princeps: et rex Genuae. Saonae. et quarundam aliarum urbium dominium habuit Guelphorum opera: Demum nullo superstite filio moriens: regnare precepit: Andream ex Carolo Martello fratre Ungariae rege natum: videlicet nepotem: licet Ioanna nata ex Carolo filio Roberti: a Florentinis olim vocati regnum administraverit [...]».
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IV FASCICOLO
303
(f. 72v) 10
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25
descrivi bene le sue baptaglie | Raphael262. fiorentini. facta lega co(n) le p(ro)x(im)e città | luca volterra sena pisa de co(mun)i (con)silio | Ruberto duca de calabria. giovinecto fecero | capitanio g(e)n(er)ale el quale assediò pistoia | dove stato ci(n)q(ue) menses q(ua)n(do) p(er) opera de | nicolò da prato car(dina)le legato no(n) have(n)do | egli possuto remetter bianchi et negri263 ordi|nò ch(e) Bonifatio papa ma(n)dasse dui lega|ti prohibendo la obsidione d(e) pistoia | el giovinecto pri(n)cipe no(n) disobidiente se | n’a(n)dò i(n) p(er)sona i(n) francia et al messe u(n)|dec(im)o lui absente nel mille ccc vj si | rese pistoia et (contro) sua voglia la città | fu spianata et divisa tra luchesi e fio|rentini264 et poi nelli 1312 henrico | dim(n)da(n)do ad fiorentini presso265 et vittualia | co(n) molta gente p(er) legatos/ i(n) questo fiorentini | refutando facto
f. 72v 9-10.]◊(breve lineetta orizzontale)◊ prossimo al marg. sinistro a separare r. 9 da r. 10. 11. volterra]>etad< i(n) francia. 27. facto] >ma(n)dato p(er)mandò carNota se fu Joha(n)na prima o maria ch(e) succes|sse< o maria morì prima sorella de | carlo suo figlio271 | et cola pesce cosa mira(n)da al t(em)po del re | roberto272: |
f. 73r 16-17. geometra | fiorentino] geometra >p(er)usin< | fiorentino. 17-18.] spazio interlineare leggermente maggiore. 21-22.]◊(breve tratto orizzontale)◊ prossimo al marg. sinistro a separare r. 21 da r. 22 e spazio interlineare maggiore. 22-23. >Nota... succe|ssese no(n)< ni. 8-9. excita|to] nell’interl. di r. 8 sopra le prime tre sillabe della parola si legge chiamato. 273 Queste due righe di appunti sembrano riferirsi ad altro personaggio diverso da Roberto, suggerirei suo nonno Carlo I (1226-1285) che succedette in effetti nel regno di Napoli a suo fratello, appunto San Luigi IX (1215-1270). 274 Cfr. PLATINA, De vita cit., Clemens V: «Eodem vero anno [1309] Karolo Secundo rege Neapolitano mortuo, filius Rhobertus in regnum a pontifice missus[...]». Il resto della pagina riporta le notizie in modo tale da far pensare ad una rapida sintesi del testo di Platina salvo l’espressione latina inserita da Colocci (r. 31) e la menzione di Castruccio. 275 Per le rr. 2-7, cfr. Rer. mem., I, 37, 12: «Quid loquar de doctrina? [...] Sacrarum
scripturarum peritissimus, philosophie clarissimus alumpnus, orator egregius, incredibili phisice notitia: poetriam non nisi summatim attigit, cuius, ut sepe dicentem audivi, in senectute penituit». Il fatto che i §§ 10 e 11 del medesimo capitolo Rer. mem. si trovino volgarizzati rispettivamente a f. 75r e 74v, inviterebbe a supporre che gli appunti del presente foglio, relativi al § 12 fossero posteriori alla compilazione dei ff. citati (cfr. nt. 291 e § II.4.2. dell’Introduzione).
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IV FASCICOLO
307
(f. 73v)
15
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31
33
q(ue)llo ch(e) et(iam) p(er) fama lo | haviva conosciuto276./ pareva ad tanto | .s(ignore). ch’(e)l petrarca meritasse q(ue)lle fro(n)de | de ch(e) desiato haveva già la corona | da piccoli a(n)ni: et no(n) vedeva più si(n)|gulare autor de un ta(n)to dono ch(e) sua | maestà. ap(er)seli el suo a(n)i(m)o ma q(ue)lla | regia mente/ ch(e) i(n) nisuna cosa se no(n) i(n) | alti e gl(ori)osi facti pigliava piacere | co(n) humanissime parole et colla | serenità della syderea fronte de|mostrò la sua letitia277. et ragiona(n)do | alcune cose dell’arte poetica et del pro|posito et delle d(iffe)r(enti)e de poeti et delle | proprietate della laurea corona/ ch(e) li | toccavano l’orecchi et l’anima i(n) pre|sentia d(e) molto q(ue)sto attribuer il volse | ch(e) no(n) piccola parte del suo t(em)po | haveria speso studij poetica si più | presto ch(e) alhora cognosc[i]uto l’havesse o da|lli teneri a(n)ni278 | 279comi(n)ciò
dare op(er)a alla poesia ma la | morte i(n)vida ruppe ogni suo disegno | ch(e) si poteva p(er)severar. chi dubita | ch(e)
f. 73v 21. la]>gaudionell’arte< (anche se la preposizione andrà considerata non compresa dalla cassatura e occorrerà immaginare una desinenza masch. plur. per l’aggettivo che segue). 32-33.]◊(linea orizzontale)◊ nell’interl. sup. di r. 33 si estende un tratto orizz. che attraversa l’intero foglio: le righe che seguono sono la prosecuzione degli appunti di f. 74r. 33. comi(n)ciò... op(er)a] elicere el senso de virgilio (la frase è scritta nell’interl. di r. 33 spostata verso il marg. sinistro: funge probabilmente da indicazione del punto d’attacco di questi appunti [rr. 33-36] con quelli che, nella cronologia della stesura di queste pagine, li precedettero immediatamente: f. 74r, rr. 1-42). 276 Per il testo da r. 8 fino a questo punto di r. 13 cfr. Rer. mem. I, 37, 13: «[...] Veneram Neapolim clarissimis fame vocibus experrectus et illud unicum nostri seculi miraculum visurus; letus fuit adventu meo, ut qui de me grande magis quam verum aliquid audivisset». 277 Per le rr. 13-23 fin a questo punto cfr. Rer. mem. I, 37, 14: «Visum est michi tandem lauream poeticam, quam a teneris annis optaveram, sibi potissimum debere: neque enim clariorem tam insueti muneris auctorem videbar habiturus. Quod cum sibi narrassem, regius ille animus, ut qui nullam nisi ex altis et gloriosis actibus voluptatem caperet, gaudium suum tum verbis humanissimis tum sideree frontis serenitate testatus est». 278 Per il testo da «et ragionando» (r. 23) fino a r. 32 cfr. Rer. mem. I, 37, 15: «Ceterum in ipso examine, ubi parvitati mee altissimum illud ingenium condescendit, cum quedam de arte poetica ac de proposito et differentiis poetarum deque ipsius lauree proprietatibus dixissem aures eius animumque tangentia, multis audientibus hoc michi tribuere dignatus est, ut assereret non parvam temporis sui partem poeticis studiis impensurum se fuisse, si que ex me audierat ab ineunte etate cognovisset». 279 Le rr. 33-39 sono la continuazione di quelle che si leggono immediatamente alla loro destra, a f. 74r, rr. 18-42 (alle cui note, rimando per ulteriori chiarimenti). Esse costitui-
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VAT. LAT. 4831
(f. 73v)
gra(n) splendore de’ poeti seria stato | pur i(n) q(ue)l poco t(em)po no(n) poco testimonio | fece del suo i(n)gegno come appare | i(n) alcuni fragmenti del materno280 |
39
f. 74r 1
6
10
14
fu dalli teneri a(n)ni roberto de sì Ruzo et | duro i(n)gegno et somachioso come recita ’l | boccaccio haver odito da Jac: sanseverino | conte de chiaramo(n)te ch(e) no(n) senza gra(n) | fatica de’ maestri poteva pigliare | li primi elementi delle l(ette)re et mentre | ch(e) quasi de’ suo’ facti li amici tucti | si disperavano p(er) solerte i(n)dustria et i(n)gegno | del suo pedagogo / tirato dalle favole de | esopo ad sì gra(n)de desiderio di sapere | et di studiare ch(e) no(n) solo l’arte libera|le ad poeti domestiche i(m)parò / ma alli | secreti della sacra ph(ilosoph)ia penetrò et tal fu | e divene q(ue)sto pri(n)cipe ch(e) da solomone | i(n) poi nisuno altro re ha(n)no | conosc[i]uto li mortali de costui più | docto281 |
f. 74r 2. duro] pigro. 4. ch(e) no(n)] che odì dal p(ad)re >atucti< li amici tucti. 15. nisuno]>ad< nisuno. 15-16. ha(n)no | conosc[i]uto]>accade< ha(n)no | conosc[i]uto. scono il volgarizzamento di alcuni passi di BOCCACCIO, Gen. lib. cit., XIV, 22 e qui precisamente: «[ut plenum Virgilio sensum summeret] ceperit operam dare. Sane festina mors novum interrupit studium, quod si perseverare potuisset, quis dubitet, quin in maximum poetarum decus et Ytalorum commodum studio tali vacantium evasisset?». Per una corretta lettura del testo boccacciano volgarizzato si dovrà dunque leggere, nell’ordine, rr. 18-42 di f. 74r e quindi rr. 33-36 di f. 73v. 280 Ancora a f. 76r, rr. 40-43 (a cui si rimanda) Colocci parla, in relazione a re Roberto, di «molti suoi fragmenti» e cita anche un incipit. La parola materno indica di solito in Colocci il volgare (cfr. qui f. 46r, r. 28; f. 53v, r. 6; f. 59v, r. 14): l’umanista sta insomma informando di avere notizia di frammenti in un volgare italiano (come si dirà) attribuiti a re Roberto. Tuttavia, come ricorda Sabatini, è «molto probabile che questo sovrano angioino, come i suoi predecessori, non parlasse veramente alcun volgare italiano» (SABATINI, Napoli angioina cit., p. 83) e la natura dei «fragmenti» è affatto diversa da quella immaginata da Colocci. 281 Per le rr. 1-17 cfr. BOCCACCIO, Gen. lib. cit., XIV, 9: «[...] audivi iam dudum illustrem
virum Iacobum de Sancto Severino et Clarimontis comitem, dicentem se a patre habuisse suo, Robertum, [...] tam torpentis ingenii puerum fuisse, ut non absque maxima demonstrantis difficultate prima licterarum elementa perciperet, et cum fere de eo hac in parte amici desperarent omnes, pedagogi, ingenium eius, solerti astutia rimantis fabellis Esopi in tam grande studendi sciendique desiderium tractus est, ut brevi non tantum domesticas has nobis liberales artes didicerit, verum ad ipsa usque sacre phylosophie penetralia mira perspicacitate transiret; talemque de se fecisse regem, ut a Salomone citra regum doctiorem mortale agnoverint».
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IV FASCICOLO
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(f. 74r) 20
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costui come recita el boccacio | fu clarissimo ph(ilosoph)o: preceptore de medi|cina/ egregio: et fra li altri di q(ue)lla | etade i(n)signe theologo e(ss)endo | ch(e) i(n)sino all’a(n)ni sexagesimo∧sexto della sua | età disprezzato virgilio chiama(n)dolo «fa|buloso h(om)o et e(sse)r de nisun prezzo» | tractone l’ornato delli versi et tosto | ch(e) mis(er) franc(esc)o petrarca le comi(n)ciò ad | aprire li arcani sensi delli poemi | stupefacto se stesso represe et | come odì co(n) le sue orechie ch(e) mai | havere più i(n)teso no(n) mai più havere stimato | sì sublimi et egregi sensi e(ss)er stati | nascosi socto sì ridiculo cortice | et velame come sono le fictioni delli | poeti et co(n) gra(n)de co(n)punctione | de conscientia damnava el suo i(n)|gegno et dolevasi dello i(n)fortunio | ch(e) così tardi l’artificio poetico have|va conosciuto et i(n)teso et no(n) se ver|gognò o p(er) la vechiezza et p(er) la | speranza della breve vita se possecte | tenere ch(e) posti giù tucti li studij delle | bone facultate piglia(n)do el studio di virgilio282 |
f. 74r 18-42.]◊(tratti di penna a riquadro)◊ la porzione di testo compresa tra r. 18 e r. 42 è racchiusa da tratti di penna che correndo orizzontalmente tra r. 17 e 18, e verticalmente nel marg. sinistro, come una specie di graffa che si estende da r. 18 a r. 37, la isolano dal resto della pagina; i tratti sono accompagnati da un segno di rimando e una glossa marginale (vd. oltre). 21. theologo]>ph(ilosoph)o< theologo. 21-23.]◊ç. .æ (segno di richiamo)| Infra|pone(n)|da◊ la glossa che invita a infraponere il testo delimitato dai segni di cui si è detto (vd. rr. 18-42) è scritta nel marg. sinistro e il segno che la precede andrà interpretato come un indicatore del punto in cui porre il testo, ma non lo si è incontrato altrove nel ms. 22. ch(e) insino]>p(er)venuto< 24. et]>i< et. 26. le] corr. su li. 28. stupefacto] con -f- inserita in un secondo tempo a correggere un precedente gruppo -ct- (come se fosse stato stupectacto). 30. havere] in entrambi i casi la desinenza di questa parola è incerta (la sintassi suggerirebbe haveva, ma paleograficamente la soluzione soddisfa di meno). 32. ridiculo]>soctilepari[menti?]inte[se]< haviva odito. 6. re di francia] primogenito (da riferirsi al figlio di r. 5). (a cui rimando). Colocci ha probabilmente aggiunto nello spazio bianco che trovava libero immediatamente a sinistra di quello qui impiegato, le righe che ancora mancavano, non potendo, per la presenza del nome «çPçaçnçdçoçlçfoæ» (forse Pandolfo Malatesta) e dello spazio ad esso deputato, utilizzare il verso di questo stesso foglio. Di fatto poi ignora questa primitiva ripartizione, facendo seguire al nome «pandolfo» notizie ancora relative a re Roberto. 283 Per comprendere queste quattro parole occorre tenere presenti le ultime righe (4345) di f. 75r «più dolce li pareva l’acqua e ’l pane nella sua libera povertà ch(e) l’argento et l’oro nelli palazzi di potenti nel servato | tenor della sua vita». Qui si sta naturalmente parlando di Petrarca e non di re Roberto. Le rr. 2-26, costituiscono infatti la prosecuzione degli appunti del fondo di f. 75r (tratti da Rer. mem. I, 37, 9), ancora relativi a re Roberto. La compilazione della presente pagina sarà dunque successiva a quella di f. 75r, la quale a sua volta dovrà considerarsi posteriore a quella del suo verso, che, altrimenti, avrebbe ospitato le notizie che invece si trovano qui (f. 74v). La pagina termina con un ampio spazio bianco, e anche questo concorre a provare che le notizie qui raccolte sono in realtà un’aggiunta e un’integrazione secondo le modalità accennate. 284 Per il testo delle rr. 2-4 (che conclude quello delle rr. 26-45 di f. 75r), cfr., Rer. mem. I, 37, 9: «[...Dulcius michi satis est cum paupertate mea] fedus ictum servare quam temptare regum limina, in quibus nec quenquam intelligerem nec intelligerer a quoquam». 285 La sintassi di queste righe appare piuttosto trasandata e brachilogica, ma un con-
fronto col testo latino aiuta nell’interpretazione. La confusione nasce dalla mescolanza della prima e della terza persona, del discorso diretto e del discorso indiretto e dall’omissione di un verbum dicendi; si dovrà dunque intendere: «ad cui el petrarca [rispose] (cfr. lat. respondi): – et questo ho [io] pur odito! – ma (sott. rispose) che ’l padre tene...» 286 Per le rr. 4 (da «subgiunse») — 11, cfr. Rer. mem. I, 37, 10: «Tunc [Robertus] adiecit
audisse se quod primogenitus regis literarum studium non negligeret. Cui ego idem me audisse respondi; verum id patri tam molestum, ut ferant eum filii preceptores pro suis hostibus ducere. Quod an verum sit, neque nunc assero, neque tunc asserui: sed ita famam loqui atque id michi omnem adeundi cogitationem vel tenuem precidisse narravi».
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IV FASCICOLO
311
(f. 74v)
sp(irit)o i(n)fre|muit. et toto corpore cohorruit et de|po alquanto silentij fissi l’ochi i(n) terra | et come el ciglio sciupto287 ne faciva | fede no(n) senza gra(n)de i(n)dignatione passata | alzò la texta et dixeli «così è la vita | delli ho(min)i così sono li juditij li studij e le voglie | varie ma io ve giuro ch(e) più dolci | mi sono le l(ette)re che(e) lo regno. e molto più | chare et p(re)tiose et q(ua)n(do) del uno havesse | ad esse[r] privato piò288 tosto lo regno ch(e) le | l(ette)re voria p(er)dere». lacrima289 / «O voce | verament[e] ph(ilosoph)ica e veram(en)te digna de | esser celebrata da ogni p(er)igreno i(n)ge|gno»290 |
15
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f. 75r 1
5
lo studio di roberto re ch(e) no(n) solo nacque re | ma fu re pria ch(e) nascesse repetendo la lo(n)ga | nobiltà delli avoli et antiq(ui) p(ro)genitori sì di p(ad)re | come di materna linea generato alle|vato i(n) amplissima fortuna tante cose ch(e) lo i(m)pe|diro.
f. 74v 15. sciupto] lettura incerta. 19. ma]>etproductopar[lare?]< ragionar. 16. ch(e)] corr. su q(uod). 18. de] corr. su da. 24. i(n) bocco] così nel ms. 291 Per le rr. 1-7 (fino a questo punto), cfr. Rer. mem. I, 37, 5: «Is enim non post labores studiorum, quod de multis vidimus, ad altiorem pervenerat statum, sed in regia natus, imo quidem, si dici fas est, rex antequam nasceretur, non patre tantum, sed tam paternis quam maternis avis ac proavis ortus regibus, educatus in amplissima fortuna, tot perrupit obstantia rex puer». Appare chiaro perciò come il «tolsesi davanti» (r. 7) sia in realtà un ampliamento, atto forse, nelle intenzioni di Colocci, a chiarire il «ruppe et dissipò». Rer. mem., I, 37, è la stessa fonte di cui Colocci aveva volgarizzato i §§ dal 12 al 15, a f. 73v e di cui i §§ 10 e 11, volgarizzati a f. 74v, costituiscono la continuazione. Verrebbe dunque fatto di pensare che i presenti fogli siano stati compilati secondo un ordine inverso rispetto a quello presentato dalla cartulazione (cfr. § II.4.2. dell’Introduzione). 292 Per le rr. 7 (da «circu(n)vento») — 16, fino a questo punto, cfr. Rer. mem. I, 37, 6: «et ut simul cuncta complectar, nostro seculo genitus, processu autem etatis variante fortuna maximis periculis circumventus, aliquandiu passus et carcerem, nec minis nec insultibus nec blanditiis fortune nec inertia temporum a studiis abstrahi quivit unquam: seu pacis seu belli negotium tractaret seu curam corporis ageret, perdius ac pernox, ambulans sedensque, libros prope se voluit; omnis eius de rebus altissimis sermo erat». 293 Per le rr. 16 (da «et no(n) pativa») — 21, fino a questo punto cfr. Rer. mem. I, 37, 7: «Et quod de Caesare Augusto diximus, hic multo minore et quasi nullo prorsus substinente, materia diligentissime semper custodivit, ut ingenia seculi sui complecteretur benignitate regia et inventiones novas recitantibus, non tantum patientissimus auditor, sed plausor etiam et humanissimus fautor assisteret». 294 Per le rr. 21 (da «et q(ue)sta») — 26, fino a questo punto cfr. Rer. mem. I, 37, 8: «Hec eius vita usque sub extremum fuit. Nil unquam puduit addiscere, senem philosophum et regem; nil notis quoque communicare piguit; hoc intimum in ore habuit: discendo docendoque sapientem fieri».
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IV FASCICOLO
313
(f. 75r)
una sola voce ne fa manife|sto test(imoni)o ch(é) co(n) le sue orechie mis(er) franc(esc)o | petrarca dixe havere i(n)teso. q(ua)n(do) | un giorno co(n) lui ragiona(n)do di molte | et varie Cose lo adima(n)dava p(er)ch(é) così | tardi l’era andato ad visitare et egli | al re li periculi del mare et della terra | et l’i(m)pedimenti di fortuna varij prolo(n)garo|no el suo desiderio / Intrarono i(n) no(n) so che | ragionamento del re di francia dima(n)|dandolo se mai mis(er) franc(esc)o era stato | nella sua corte Respose el petrarca | no(n) mai havervi pur pensato de andarvi | subridendo el re e doma(n)dando la ragio(n) | p(er)ch(é)? p(er)ch(é) ad un re ignorante dixe io | saria stato poco utile et molto gra|ve et più dolce li pareva l’acqua e ’l pane | nella sua libera povertà ch(e) l’argento et l’o|ro nelli palazzi di potenti nel servato295 |
30
35
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45
f. 75v 1
4
Re roberto | Danti li sonecti l’i(n)titula | Roberto re di napoli | a.llui el petrarca dicò l’africa costui extolle | al celo sì nelli versi come nelle prose | sì nel volgare come nello latino spesso | el
f. 75r 27. voce] parola. 31. Cose] con C- corr. su l-. 34. prolongaro] sulla desinenza -ro si intravvede un segno di compendio, anche se la parola di fatto è scritta per esteso (l’ultima sillaba è a r. 35). f. 75v 1. Re roberto]◊dal boccaccio◊ marg. superiore sinistro. ◊ come aug(ust)o fra poeti | così ognuno a.llui d’ogni | sorte d’ingegno◊ marg. superiore destro. 295 La frase resta sospesa perché prosegue a f. 74v (rr. 2-4), come si è accennato. L’ulti-
ma espressione sarà dunque «nel servato | tenor della sua vita» e non andrà riferita, come sembrerebbe invece di dover fare, a nelli palazzi, ma andrà intesa come equivalente, almeno concettualmente, a «l’acqua e ’l pane», che non ha un corrispettivo nel testo latino dove si dice semplicemente «[Dulcius michi satis est] cum paupertate fedus ictum servare», cioè, sostanzialmente, «mantenere il patto stretto con la propria povertà». Per il testo latino relativo alle rr. 26 (da «et q(uan)to fusse») — 45, cfr. Rer. mem. I, 37, 9: «Quanto denique literarum amore flagraverit, vel una vox eius indicat quam ego hiis auribus audivi. Dum enim die quodam multa colloquens ex me quesisset cur eum tam sero visitassem, et ego – id quod erat – terre marisque pericula necnon et impedimenta fortune varia traxisse votum meum dicerem, incidit nescio quomodo Francorum regis mentio; interrogante eo unquam ne in illius aula fuissem, respondi nec unquam quidem cogitasse me de hac re; subridente eo et ragionem flagitante: “Quia illiterato” inquam “regi inutilis et michi insuper honerosus esse non placuit. Dulcius michi satis est cum paupertate mea fedus ictum servare quam temptare regum limina, [in quibus nec quenquam intelligerem nec intelligerer a quoquam”]».
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314
VAT. LAT. 4831
(f. 75v) 8
15
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25
31
35
chiama «veramente argo296 scipione» | Dice miser franc(esc)o petrarca nel libro | delle cose memora(n)de ch(e) roberto re | de hierosolimitani et de sicilia et pri(n)|cipe delli ph(ilosoph)i del suo seculo. tucti li | dì della sua vita ad certe hore | deputate del mezo delle turbulentie | della regia vita. all’otio come ad | qualche statione quietissima solea co(n)fe-| rirse297. ivi molto exercitatosi finch(é) | la età el tolerava/ ad uno solo tucte | le cose cedevano. haveva uno pala|zzo i(n) napoli overo pomerio nella | co(n)trada298 . . . . . . cinto de mura | altissime et da una gran parte p(er)cosso | da l’onda del mare 299forsi verso q(ue)lla | regione dove era exposta al zephy|ro el portico che philostrato co(n)duxe | a.ffar egregia opera de zographia | luoco è napoli amenissimo greco p(er) | li(n)gua politico300 Amenissimo ch(e) q(uan)to | la campagna è più amena d(e) tucta italia | divini †ro[..]† etc e così napoli di | campagna e q(ui) dì le laudi sue q(ue)sto fu | el secesso d(e) virgilio. q(ue)sto de silio. q(ue)sto | de statio q(ue)sta d’i(n)finiti elevati i(n)gegni i ch(e) | l’antica et n(ost)ra etate ha producto | Ad q(ue)sto adunq(u)e giardino hora co(n) pochi | hora co(n) grandissima copia de ba-
f. 75v 19. overo]>nel< overo. 20......] lo spazio vuoto contrassegnato dai sei punti è nel ms. 24. che] corr. su de. 25. de zographia] pictura. 27 li(n)gua politico] tra le due parole nell’interl.: già. 28. †ro[..]†] non sono riuscito a decifrare in alcun modo plausibile questa parola (l’ultima sillaba parrebbe molto dubitativamente -se).
296 Il riferimento sarà alla II egloga del Bucolicum Carmen: l’appellativo Argo compare ancora a f. 76r, r. 21 (a cui rimando). 297 Per le rr. 9-16 fino a questo punto, cfr. Rer. mem. I, 10, 1: «At ne semper vetustissimis immoremur: sitque aliquis et etate nostre locus: Robertus hierosolymitanus ac Siculus rex, regum et philosophorum huius evi meo princeps iudicio per singulos dies statutis horis e mediis regie vite turbinibus in otium velut in aliquam quietissimam stationem se conferre consueverat». 298 L’espressione «nella contrada» con lo spazio che segue lasciato vuoto per integrarvi il nome in un secondo tempo è un’aggiunta colocciana. 299 Le righe che seguono fino a r. 33 compresa, non sono riconducibili ad un testo pre-
ciso né tantomeno a un passo petrarchesco: esse verosimilmente nascono dall’esperienza del soggiorno napoletano di Colocci e dalle sue letture classiche. 300 Il senso in questo contesto di questa parola non è trasparente.
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IV FASCICOLO
315
(f. 75v)
40
roni | veniva / et exerci|tava el suo pancratio301 hora co(n) la ba|lestra alli preposti bersagli. et q(ue)sto | tanto exactamente ch(e) li maestri facil|mente ad dietro lassava: tanto era il | versatile acume del suo celeste i(n)gegno302 | ben ch(é) da prima no(n) solo alli nimici | ma anchora alli sui pareva cosa |
f. 76r 2 5
10
14
poco honorevole no(n) sapendo li scio|cchi quante facende erano i(n) quel poco | de otio /et q(uan)to negotio vi era cop(er)to | qual cosa poi ch’al fin ad tucti fu mani|festa / el dispregio tornò i(n) admiratio(n) | no(n) poca de gl(ori)a di tanto h(om)o303. era spesso | pr(esen)te el petrarca q(ua)n(do) nel mesurar de’ | colpi i(n)clinato de ciascuno la saecta | i(n)ternoscebat .i(d est). çsçtçaçva çcçhçiçnçaçtçoç çaçdç çgçiçuçdçiçcçaçrç(çeç)ç ç|ç çcçhçiç çmçiçgçlçiçoçrç çcçoçlçpçoç çfçaçcçtçoç çhçaçvçeçsçseæ. In questo t(em)po | mentre andando et ritornando l’hore si co(n)|sumavano el vecchio corpo recreava | et le acre co(n)troversie de subiecti et nodi | inextricabili del popolo el solveva304. et più |
f. 75v 36. et exerci|tava]>Spesso al gioco dell< etexerci|tava. f. 76r 3. vi] corr. su ci. 9-10. çsçtçaçvçaç..ç.ç çhçaçvçeçsçseæ] la sottolineatura è nel ms. 12. el] corr. su qualcosa di non ben distinguibile. 301 Così sembrerebbe di leggere nel ms., ma non si ritrova una espressione corrispondente nel testo latino che ha semplicemente: «balista lusitabat» (Rer. mem. I, 10, 2). Qui, e in altri punti in prossimità di questo, Colocci avrà ampliato il testo che stava traducendo. Per quanto riguarda la parola «pancratio», GDLI fornisce la seguente definizione: «Esercizio e competizione atletica in uso presso gli antichi Greci, consistente nelle due gare di lotta (con ammissione di tutte le figure, e anche della lotta a terra) e di pugilato (praticato senza uso del cesto)». Il senso generale di ‘esercitazione di forza’ non dovrebbe stonare molto col contesto in cui si trova la parola, tuttavia le prime attestazioni che ne riporta il GDLI risalgono solo a Marcello Adriani (1553-1604) e a Buonarroti il giovane (1568-1646). 302 Per le rr. 16 (da «ivi») — 41 (salvo l’inserzione colocciana delle rr. 22-33), cfr. Rer. mem. I, 10, 2: «Illic multiplex ei quondam exercitium dum tulit etas: uni tandem cuncta cesserunt. Fuit illi in urbe Neapolitana palatio confine pomerium, prealtis circumseptum menibus et pelago non modica ex parte circumfluxum. Huc modo cum paucis: modo cum ingenti procerum catherva quotidie veniens: balista lusitabat; idque tam sedulo: ut confestim – tantum erat et tam ad omnia versatile celestis acumen ingenii – eius artificii magistros post tergum linqueret». 303 Per il testo compreso tra r. 42 di f. 75v e questo punto di r. 6 di f. 76r, cfr. Rer. mem. I, 10, 3: «Que res primum non hostibus modo, sed suis quoque minus venerabilem fecisse creditur: ignorantibus quantum negotiorum sub illo otio tegeretur. Quod ubi tandem rebus ipsis innotuit, contemptus omnis in admirationem et gloriam versus est». 304 Per le rr. 6 (da «era spesso») — 14, fino a questo punto, cfr. Rer. mem. I, 10, 4: «Interfui ego sepenumero dum dimetiendis ictibus acclinis singulorum sagittas internosceret, interea tamen, dum eundo et redeundo tempus teritur, et senile corpus recrearet et acres subiectorum controversias vixque extricabiles populorum nexus absolveret».
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316
VAT. LAT. 4831
(f. 76r)
20
25
28 31
35
dirò ch(e) disarmato et giocando quel ch(e) da | tucto ’l mo(n)do fu visto. l’armati exerciti | rompeva et fracassava et spesse volte | gravissimi p(er)icoli no(n) tanto della sua p(er)|sona remosse ma provide ch(e) adosso | no(n) li venisse et p(er)ò dice el petrarca | ch(e) fe veramente argo el gran re sicilia(n)305 | proprio come gioca(n)do co(n) q(ue)lle balestre | et co(n) q(ue)lli strali havesse cavati l’occhi | a suo’ nimici306 et poi alfine lassa(n)do el | mo(n)do i(n)degno de un tanto re / volò alla | sup(er)na corte307 / così ben collocava et dispe(n)|sava el t(em)po el singularissimo a(n)i(m)o di roberto | desiderava più volte308 haveria proposto se stato | li fusse co(n)cesso recuperare lo regno suo | de hierosolimi né p(er) altro tal titulo s[an]c[t]o | Osservava se no(n) p(er)ch(é) li fusse un sti|mulo ad la i(m)presa s(an)c(t)a et alli passi | giusti del sepulcreto de cristo è i(n) man de’| cani ma la sup(er)bia et i(n)vidia de’ cristi|ani no(n) p(er)mecteva ch(e) i(n) unità e’ p(er)venisse | al suo desiderato fine |
f. 76r 23. havesse]>li< havesse. 27-28.]◊(breve tratto orizzontale a lapis)◊ nello spazio interlineare tra r. 27 e r. 28, nel mezzo del foglio c’è un tratto a lapis (forse recente). 30. s[an]c[t]o] la parola manca del tratto di compendio. 31. Osservava] la O- è corr. su una precedente lettera non molto chiara (forse una s-). 32. la] corr. su li. 305 L’appunto di rr. 20-21 («et p(er)ò... sicilia(n)») non riguarda i Rer. mem., ma probabilmente – come già accennato – l’egloga II del Bucolicum Carmen – intitolata appunto Argus – composta da Petrarca in morte di re Roberto, in cui la parte del poeta è affidata al pastore Silvio e in Argo è allegorizzato appunto il sovrano (la cita anche Boccaccio nel suo De vita et moribus Domini Francisci Petrarchae de Florentia, leggibile in SOLERTI, Le vite cit., pp. 253-264). Eccone alcuni versi (107-111) che sembrano alludere alla previdenza e alla vigile accortezza (direi... oculatezza, trattandosi di Argo) di re Roberto: «Pastorum rex Argus erat, cui lumina centum / Lincea, cui centum vigiles cum sensibus aures, / centum artes, centumque manus, centumque lacerti, / lingua sed una fuit, cum qua rupesque ferasque / flecteret et fixas terre divelleret ornos» (cfr. F. PETRARCA, Il Bucolicum Carmen, e i suoi commenti inediti, a cura di A. AVENA, Padova 1906). 306 Per le rr. 14 (da «et più») — 24, fino a questo punto, cfr. Rer. mem. I, 10, 5: «Quid notissima replicem? Constat hunc inermem ludentemque – quod omnes vidimus – armatos exercitus fudisse et gravissima sepe discrimina non tantum a suorum propulisse cervicibus, sed etiam ne appropinquarent providisse, denique, non aliter quam si balista illa cunctorum transfodisset oculos, suorum semper prevertisse consilia». 307 Per le rr. 24 (da «et poi») — 26, fino a questo punto, cfr. l’inizio di Rer. mem. I, 10, 6: «Et ille quidem nuper indignum presentia tantis regis orbem deferens: migravit ad superos». 308 Poco chiaro il senso di queste tre parole (che creano una certa incongruenza sintat-
tica con quel che segue), pur di lettura non particolarmente equivoca. Si tratterà forse di una variante incipiente per il testo che segue, che non è poi stata cassata.
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IV FASCICOLO
317
(f. 76r) 37 38
42
hebbe figliola madona maria. | scripse i(n) rima imita(n)do lo stile de danti fu gra(n)|dissimo ph(ilosoph)o come appare p(er) molti suoi | fragmenti ad la n(ost)ra età p(er)venuti assai mo|rali et gioco(n)di. ch(e) comi(n)ciano «Amor ch(e) movi | el ciel p(er) tua virtute» et po.lli affacto de supra309 |
f. 76v 1 2 5
>çRçeç çrçoçbçeçrtoæ< | fioriva la sua corte de singularissimi h(omin)i | barlaa(m) boccaccio. petrarca. da q(ue)sta | scola nacq(ue) la nobile e famosa maria310 | sua figliola q(ue)sta excitò l’i(n)gegnii socto | l’ombra de costoro fioriron sì gra(n)di | e singulari i(n)gegni. fue
f. 76v 1.>çRçeç çrçoçbçeçrtoæçRçeç çrçoçbçeçrtoæ< e sempre sotto la cassatura si leggono alcune lettere, che possono dubitativamente essere lette >çdçaç çlçeçnçciæ< riferibili forse a Juan del Encina che sarà menzionato poi a f. 90r, rr. 1-2 e f. 107r, r. 4. 309 Quest’ultima è una delle frequenti raccomandazioni che Colocci rivolge a se stesso: si riprometteva di porre (pònili > pon li > po.lli) altri versi di Roberto di seguito a quello appena citato. Ai «fragmenti del materno» di re Roberto Colocci ha già fatto menzione, come si è visto, a f. 73v, r. 39. Colocci aveva dunque notizia di testi in un volgare italiano attribuiti a re Roberto. L’incipit che l’umanista cita qui (rr. 41-42) mi ha permesso di rintracciare il testo in questione: se ne conserva una redazione adespota ai ff. 82r-85v del cod. Vat. lat. 13072 (il testo, con il rimando a questo ms., è registrate al nr. 837 di CARBONI, Incipitario della lirica italiana cit. [Studi e Testi, 297 (1982)]). Non sarà verosimilmente questo l’item appartenuto alla biblioteca di Colocci, tuttavia il testo è quello da cui furono tratte le parole che si trovano nell’elenco alfabetico intitolato «çRçEç çRçOçBçEçRçTOæ» ai ff. 257r267r del già citato Vat. lat. 3217. Da ultimo ho rintracciato ancora un’edizione settecentesca a stampa del testo che lo attribuisce a re Roberto: Il trattato delle virtù morali di Roberto re di Gerusalemme, Il tesoretto di Ser Brunetto Latini, Quattro canzoni di Bindo Bonichi da Siena con alcune rime di M. Francesco Petrarca estratte da un suo originale, dedicati al merito singolarissimo dell’Illustriss. signor Maurizio Francesco Giuseppe Turinetti..., a cura di S. BRUSCOLI, Torino 1750, pp. 1-32 (e non a caso il curatore menziona Colocci nella premessa al Cortesissimo lettore). Si tratta in realtà del Trattato delle volgari sentenze sulle virtù morali di Graziolo Bambaglioli (mi riservo tuttavia di affrontare più dettagliatamente la questione in altra sede). 310 Maria (di Valois) era in realtà il nome della moglie del figlio di Roberto (oltre che della madre del sovrano): Colocci qui sta forse facendo confusione con qualche personaggio di questo nome (Maria di Champangne?) di cui avrà trovato notizia, o semplicemente la confonde con la nipote di Roberto, Giovanna (cfr. f. 73r, rr. 22-24).
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VAT. LAT. 4831
(f. 76v)
10
roberto p(er) | origine. se i(n)fia(m)mò legendo le fabu|le di isopo311. | fu ogni stilo breve et elegante come | dice el petrarca et nella co(n)solatione | della morte de sua nepote lauda lo | epitaphio o pegra(m)ma suo quale spera | e(sse)r eterno et confidase312 |
15
rex ph(ilosoph)or(um). lo i(n)voca nell’africa313 |
16
et vide i(n) q(ue)sta ep(isto)la familiar ad dio|nysio q(uan)to desyderava el petrarca | della sua laurea p(er) mano di q(ue)sto | re / ch(e) fingeria e(sse)r chiamato q(ua)n(do) | sua maestà nol ma(n)dasse ad chiamar(e) | sua maesà dico che de due lauree | et de studij e di baptaglia era degno314. | vide petrarca nella ep(isto)la 70 famil(iare) | della regina vecchia ch(e) remase e della | giovine et d(e) uno ch(e) successe ad re |
21 23
f. 76v 9-10.]◊(lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro a separare r. 9 da r. 10, tra le quali intercorre uno spazio interlineare leggermente maggiore. 14-15.]◊(breve tratto orizzontale a lapis)◊ nello spazio interlineare – leggermente maggiore – tra r. 14 e r. 15. 15. lo... africa] queste quattro parole (caso unico nel ms.) sono vergate con inchiostro rosso (sebbene molto chiaro e acquoso). 22-23.]◊(lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro a separare r. 22 da r. 23. 311 Per le notizie e le fonti di queste prime nove righe cfr. f. 73r, rr. 1-17 e f. 74r, rr. 9-12. 312 Qui si allude all’epistola Fam. IV, 3, (Ad inclitum regem Sicilie Robertum), e in parti-
colare al § 12: «Quanta demum gloria est quam tu sibi supremis laudibus peperisti! certe, dum illud tuum sive epygramma sive epytaphium dici mavis, quod eterne mansurum esse confido [nuper defuncte neptis memoriam celebrabit, semper illa tecum et cum clarissimis omnis evi nominibus vivet]». 313 Non sono riuscito a rintracciare l’epiteto nell’Africa. Lo si trova invece nella Familia-
ris appena citata: «Sed cui hec insipiens loquor? profecto non modo regum nostri temporis sed philosophorum regi» (Fam. IV, 3, 8). 314 Cfr. Fam. IV, 2 (è la numero L di V2 e V3: Fran. Pet. Dionysio suo: Illi quod ad Rober-
tum regem vocatus accesserit congratulans: multa quoque de divitiarum contemptu deque brevitate vite desiderio ac de laudibus regis commemorans), indirizzata a Dionigi di Borgo S. Sepolcro, e in particolare il § 15: «De me autem sic habe: brevi te consequar, nosti enim quid de laurea cogito, quam singula librans, preter ipsum de quo loquimur regem, nulli omnino mortalium debere constitui. Si tanti fuero ut vocer, bene est; alioquin fingam nescio quid audiisse, vel epystole sue sensum quam ipse michi summa hominis incogniti et familiarissima dignatione transmisit, quasi dubitans, in eam potissimum partem traham ut vocatus videar». Non trovo invece il particolare delle «due lauree» (r. 18).
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IV FASCICOLO
319
(f. 76v)
rob. chiamato pur roberto d(e) q(ue)lo dice | tanto male. et nella 71315 | fu multo humano et dicese ch(e) passa(n)do | un giorno co(n) gra(n)de armato p(er) lo litto de | pozzoli i(n)tese la fama de una Maria | ch(e) faceva q(ue)sto et q(ue)sto dispose de conoscerla | fece portarsi al litto et volse veder | e conoscerla316 e così de molti altre cose | virtuose o di mano o d’i(n)gegno | et i(n) alia andreas regulus puer alti | Animi317 |
28
35
f. 77r 1 5
çLçaçnçdçiçnoæ temerario nello | tradurre pli(nio). eloquente assai | et bone l(ette)re latine. molto | affectionato alla p(at)ria. fu secre|tario comentò virgilio comentò | d318 |
f. 76v 27-28.]◊(lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro c. s. 30. i(n)tese] corr. su qualcosa di non ben distinguibile. 32. fece] con fe- corr. su di-. 34-35.]◊(lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro a separare r. 34 da r. 35. 315 L’epistola citata a r. 23 è la. Fam. V, 3, quella numerata appunto LXX (Franciscus Petrarcha Joanni Columne: Illi de sua Romam Neapolimque versus profectione narrans; quidque sibi in via contigerit exponens: Robertum etiam quendam valde detestans) in V2 e V3. Qui Colocci allude in special modo ai §§ 8-12 e 14, mentre l’espressione «regina vecchia» traduce probabilmente il «regina senior» del § 20, riferendosi a Sancia di Maiorca. L’espressione «et nella 71» (r. 27) sarà da riferirsi alla menzione della regina Sancia (e non del diabolico Roberto), che infatti è ancora menzionata in Fam. V, 4, 2. 316 L’episodio tratteggiato in quest’ultimo paragrafo ha come fonte Fam. V, 4, 10-16 e cfr. in particolare § 15: «Fama est Robertum [...] his quondam litoribus magna classe pernavigantem, permotum talis femine miraculo, videndi gratia substitisse Puteolis [...], sed fortassis, aliam ob causam cum illuc applicuisset, rem novam spectare voluit ardens et noscendi cupidum illud ingenium». 317 L’Andrea regulus è il giovane ‘reuccio’ Andrea d’Ungheria, presente con la regina
Giovanna e Petrarca stesso ad uno spettacolo di gladiatori, secondo il racconto di Fam. V, 6, 4: «Aderat regina et Andreas regulus, puer alti animi, si unquam dilatum dyadema susceperit [...]». Con queste due righe termina la sezione dedicata a re Roberto. 318 Non si legge nulla più che questa lettera in questa riga. La parola sarà forse stata danti: celebre è infatti il Comento sopra la Comedia (1481) del Landino (Firenze, 1424 — Pratovecchio, 1498), che si è già incontrato citato da Colocci stesso nelle pagine di questo ms. (cfr. f. 49r, r. 23). Le altre opere a cui fa riferimento qui Colocci sono un volgarizzamento della Naturalis Historia di Plinio (1476) e forse un commento a Virgilio, edito nel 1488. Anche le sue Disputationes Camaldulenses (1472-1473) propongono, nel terzo e quarto libro, una lettura allegorica dell’Eneide. Il Landino tenne, dal 1458, la cattedra dello Studio di Firenze, leggendovi testi latini, ma ci sono pure conservate due prolusioni di corsi che illustravano le Rime di Petrarca e la Commedia (cfr. la voce di C. DIONISOTTI, Landino, Cristoforo, in ED, III, Roma 1970, pp. 566-568).
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320
VAT. LAT. 4831
(f. 77r) 9
vide ch(e) fu nepote de un gabrielo maestro | de lorenzo319 | vide i(n) musica un franc(esc)o ceco fratello de | suo avolo se pò dire maior patruus320 |
11
çMçaçtçeçoç palmieri321 vide landino322 se no(n) | fusse caduto [in] here-
7
f. 77r 10-11.]◊(linea orizzontale)◊ Le rr. 10 e 11 sono separate da uno spazio bianco di ca. 3, 2 cm, mentre subito sopra r. 11 si estende un tratto orizz. che attraversa l’intero foglio; in prossimità del marg. destro compare un segno costituito da due barrette oblique: ◊//◊. 319 Cristoforo Landino fu maestro del giovane Lorenzo de’ Medici, e se è questo il Lorenzo cui Colocci allude a riga 8, si dovrà forse concludere che la notizia di queste due righe ha poche probabilità di essere fondata. Per altro non sono riuscito trovare notizia alcuna dell’esistenza di un Gabriele Landino (ma il cognome può ben essere altro). 320 Cfr. LANDINO, Comento cit. (c. V: Fiorentini excellenti in musica), p. 240: «Ma richiede l’amore della agnatione che non defraudi delle debite lode Francescho Cieco fratello del mio avolo, al quale tanto concedecte la natura di giudicio nell’audito quanto gli tolse nel viso. Chosa certo mirabile che privato in tutto del vedere fussi non indocto in philosophia; non indocto in astrologia; ma in musica doctissimo et nella quale tanto valse nel suono de gl’organi, che nella nobilissima città di Vinetia per giudicio di tutti e musici e quali da tutte parti quivi eron concorsi, fu in forma di poeta dal re di Cipri, et dal duca Veneto, di laurea corona ornato». È infatti noto un Francesco Landino o Landini, compositore e organista (Fiesole, ca. 1325 — Firenze, 1397) che divenne cieco in giovane età. I suoi interessi – che gli procurarono grande fama negli ambienti colti fiorentini – si rivolsero, oltre che agli studi teorico-musicali, anche alla letteratura e alla filosofia (scrisse molti testi poetici da lui musicati e un poemetto latino in lode della logica di Guglielmo d’Occam). Entrò in contatto con Franco Sacchetti di cui musicò molti testi poetici (cfr. D. FUSI, Landini, Francesco, in Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, diretto da A. BASSO, IV: Le biografie, Torino 1986, pp. 265-267). 321 Matteo Palmieri (Firenze, 1406-1475). Studiò a Firenze e praticò l’arte dello speziale fino al 1432, quando fu chiamato a pubblici uffici. Lasciò molti scritti, specialmente di carattere storico-biografico (è sua una Historia florentina, storia della guerra pisana incominciata nel 1432 e un De temporibus, cronaca dalla creazione del mondo fino al 1449, poi continuata dal pisano Mattia Palmieri). Lo rese però celebre specialmente il poema dottrinale in terzine La città di vita (steso tra il 1451 e il 1465), una tarda imitazione della Commedia dantesca, i cui contenuti dottrinari però gli attirarono una condanna per eresia (sul personaggio cfr. G. BOFFITO, L’eresia di Matteo Palmieri, in Giornale Storico della Letteratura italiana 37 (1901), pp. 1-69; C. FINZI, Matteo Palmieri dalla ‘Vita civile’ alla ‘Città di vita’, Milano 1984; G. CARPETTO, The Humanism of Matteo Palmieri, Roma 1985). 322 Cfr. LANDINO, Comento cit., cap. IV: Florentini excellenti in eloquentia, I, p. 238:
«Scripse De temporibus Matheo Palmieri, volume perspicuo et molto utile, el quale da gl’impressori con somma ingiuria è stato mutilato. È di tale inventione nel suo poema scripto in versi toscani ad imitatione di Dante, che se non fussi caduto in alchuna heresia potea facilmente vivere».
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IV FASCICOLO
321
(f. 77r) 14 16
sia. pigliò lo stilo | de danti. credo sia sepulto i(n) araceli | et p(er)ò sei povero dixe ch(é) semp(re) ce | remecti di q(ue)l di casa323 | Dì qualch(e) facetia di heresia |
f. 77v 1
çMçaçrçiçaçnçoç çGçeçnçaçzçaçnoæ324 |
2
ç.çsç(çiçgçnçoçrç)ç.ç çpçaçnçdçoçlçpçhoæ325 |
3
ç.çSç(çiçgçnçoçrç)ç.ç çmçaçlçaçtçeçsçtçaç çdçaç çrçiçmçinoæ326 |
f. 77r 13-14.] spazio interlineare leggermente maggiore. f. 77v 1-2.] tra le due righe intercorre uno spazio bianco di ca. 3, 4 cm. 2. çpçaçnçdçoçlçpçhoæ] çpçaçnçdçoçlçpçhoæ> fu hu(om)o assai facetoprie(ss)ndo piccolo< (per un esordio analogo cfr. f. 92v, r. 2). destinati ad altri. Versi del Carbone si trovano trascritti in Vat. lat. 2836, codice appartenuto a Colocci (cfr. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., nt. 20, pp. 12-13; l’edizione dei suoi Carmina in P. DE MONTERA, L’humaniste napolitain Girolamo Carbone et ses poésies inédites, Napoli 1935; e ora S. MARIOTTI, Per una nuova edizione dei ‘Carmi’ di Girolamo Carbone, in Da Malebolge alla Senna. Studi letterari in onore di Giorgio Santangelo, Palermo 1993, pp. 361-365). In alternativa si potrebbe proporre il nome di Ludovico Carbone (Cremona?, 1430 — Ferrara, 1483), umanista e oratore ufficiale degli Estensi, autore di sette dialoghi latini, poeta e volgarizzatore, raccolse Facezie in volgare ad imitazione di Poggio Bracciolini. Questo è l’unico elemento – oltre ad un’adeguata collocazione cronologica – che sembrerebbe deporre in favore di questa identificazione, visto che la conoscenza da parte di Colocci dell’altro Carbone è attestata (si vedano: R. PASTORE, Carbone, Girolamo e L. PAOLETTI, Carbone, Ludovico, in DBI, 19, Roma 1976, rispettivamente pp. 695-699 e pp. 699-703). 356 Benedetto Cingulo (o da Cingoli) fu amico di Colocci e di suo zio Francesco, frequentati forse a Napoli: al secondo dedicò un suo poemetto (Fortuna), mentre il primo curò l’edizione postuma dei suoi versi (Sonecti, Barzellette e Capitoli del claro Poeta Benedetto Cingulo, Roma, Besicken, 1503; in cui è anche compresa la canzone colocciana «In morte di Benedetto da Cingoli detto ‘Cingulo’ o ‘Piceno’»). Poeta marchigiano, visse nella seconda metà del XV secolo. Fu a Milano presso gli Sforza, dove conobbe il Calmeta, e a Firenze presso il Magnifico che lo ammise all’Accademia Fiorentina, quindi ottenne l’incarico di pubblico lettore nell’Università di Siena. Ebbe a modello la poesia del Tebaldeo e dell’Aquilano, dei quali fu però più sobrio e meditativo. Morì probabilmente a Siena nel 1495. Suoi versi si conservano nei codd. Vatt. latt. 2951, 3353, 3388, 2834, tutti appartenuti a Colocci, mentre uscirono altre due stampe con la sua opera poetica: Fioretti di cose nuove di diversi Autori, Venezia, Zoppino, 1508 e Opere del preclarissimo poeta B. Cingulo nuovamente stampate, Siena, Niccolò e Giovannni di Alessandro, 1511 (cfr. E. MALATO, Benedetto da Cingoli, in DBI, 8, Roma 1966, pp. 429-430). 357 Non è chiaro il senso di questi appunti: si direbbero altrettante allusioni ai titoli o
agli argomenti di qualche fabula. 358 Questa è un’allusione ad una facezia, intitolata appunto Apostoli Personati, che si legge ai ff. 33r-34r di Vat. lat. 3450: la storia di un uomo semplice e devoto, gabbato da alcuni ladri che si mascherano da apostoli inscenando una visione per derubarlo (vd. APPENDICE V, 3).
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330
VAT. LAT. 4831
f. 86r 1 2 4 6 9 12
ç çeçrçaçpçhçiçnoæ359 | S et anch’io solea dir una bugia do|ma(n)da chi fu q(ue)lla360 | porta la . p(er)ch(é) nisuno li orine | adosso361 | Quel buffon dell’ossa allatratore v(idelicet) | calmeta ch(e) essendo come cane se havia | ma(n)giato l’osso362 | come le monache di genova faceva | el seraphino s’andava co(n) dio et | poi dima(n)dava licentia363 | ho visto molti negri che se chiamano | giohanbianco364. dixe seraph. ad u(n) | fidele né p(er)ò affermo ch(e) fusse ad | q(ue)l chyromante ch(e) vive |
+
f. 86r 1-2.] spazio intelineare leggermente maggiore. 3-4. 5-6. 8-9. 11-12.] tra le righe indicate in ciascuna delle coppie elencate intercorre uno spazio interlineare leggermente maggiore. 359 Serafino Ciminelli, (L’Aquila, 1466 — Roma, 1500) entrò al servizio del card. Ascanio Sforza che lo condusse con sé a Milano, quindi a Roma; fu poi a Napoli – presso la corte aragonese – e, all’arrivo dei francesi, a Urbino. Nuovamente a Roma, passò al servizio del duca Valentino, fino alla morte. Fu abile poeta cortigiano e acquistò una notevolissima fama, di cui è prova anche il volume promosso dall’Achillini in sua memoria, le Collettanee grece latine e vulgari per diversi auctori moderni nella morte de l’ardente Seraphino Aquilano, Bologna, C. Bazaleri, 1504. Il Colocci, che lo conobbe probabilmente alla corte di Napoli e consolidò a Roma questa conoscenza, nutrì grande ammirazione per lui e curò l’edizione postuma delle Opere dello elegante poeta Seraphino Aquilano finite ed emendate con la loro Apologia (di Angelo Colocci a Silvio Piccolomini) e la vita di esso poeta (di Vincenzo Calmeta), Roma, Besicken, 1503 (cfr. GRECO, L’Apologia delle «Rime» cit., A. ROSSI, Serafino Aquilano e la poesia cortigiana, Brescia 1980; ID., Il Serafino di Angelo Colocci, in Angelo Colocci e gli studi romanzi cit., pp. 473-486; l’Apologia colocciana si può leggere in Le Rime di Serafino de’Ciminelli dell’Aquila, a cura di M. MENGHINI, Bologna 1894, e nella recente edizione S. DE’ CIMINELLI, Strambotti, a cura di A. ROSSI, Parma 2002, pp. 290-297; vd. anche SERAFINO AQUILANO, Sonetti e altre rime, a cura di A. ROSSI, Roma 2005). 360 Allusione a una facezia non identificata. 361 Nel codice Vat. lat. 3450, si trova più di un’allusione a questa facezia: «74 | p(er)ché
il frate di Rodi porta la +» f. 63v (V foglietto verso); «perché q(ue)l cavaliero po(r)ta la + in pecto» f. 77v; «lo cavaliero porta la + i(n) pecto| ch(e) nessuno vi pissi» f. 79 r (II colonna). Evidentemente si sarà trattato di un battuta di spirito che spiegava, con un umorismo un po’ grossolano, la ragione per cui certi ordini cavallereschi erano fregiati di una croce (+). 362 Non chiaro il senso di questo appunto né rintracciata la facezia cui allude. 363 Ho rintracciato l’aneddoto cui questo appunto si riferisce nel Vat. lat. 3450, f. 26v
(cfr. APPENDICE V, 4). 364 Anche in Vat. lat. 3450, f. 73r si legge un appunto analogo a questo (ma non vi ho ritrovato niente di più): «Q(uan)ti mori Joan biancho».
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IV FASCICOLO
331
f. 86v 1
çAçuçgç(çuçsçtçiçnç)çoç çdçaç çuçrçbçiçnoæ365 |
2
Mateo buoiardo366 |
3 5
ç çuçrçcçhçiçeçlloæ367 faremo co(n) q(ue)sta cencia|rella | b Tu hai ben dicto «el mio morì de morte | subitana» et tu te sai ben ch(e) altre volte | dixi q(ua)n(do) mangia(n) due jocti ad | un ta-
f. 86v 1-2.] tra le due righe si estende uno spazio bianco di ca. 11,5 cm. 2-3.]◊(linea orizzontale)◊ Le rr. 2 e 3 sono separate da uno spazio bianco di ca. 4, 8 cm, mentre subito sopra r. 3 si estende un tratto orizz. che attraversa l’intero foglio. 365 Agostino Staccoli, da Urbino (Urbino, 1420/25 — Roma, 1488). Oratore di Federico da Montefeltro presso la curia romana (intorno al 1477), fu poi scriptor litterarum e abbreviatore pontificio. Non conobbe Colocci, che pure ne era «observantissimo», come ne scrive il Pattolo nella dedica all’umanista dei Sonecti et Canzone de Misser Augustino da Urbino, Roma, Besicken, s.a. [ma probabilmente 1503], ff. 3v-4v (cfr. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., nt. 94). Le sue rime sono conservate dal codice Additional 14853 del British Museum di Londra. 366 Matteo Maria Boiardo (Scandiano, 1444 — Reggio nell’Emilia, 1494); tra i contributi più recenti si veda almeno: E. MONDUCCI, G. BADINI, Matteo Maria Boiardo. La vita nei documenti del suo tempo, Modena 19972; Il Boiardo e il mondo estense nel Quattrocento. Atti del Convegno internazionale di studi (Scandiano — Modena — Reggio Emilia — Ferrara, 13-17 settembre 1994), a cura di G. ANCESCHI e T. MATARRESE, Padova 1998. 367 Gli appunti sono da ricollegare a quelli del foglio successivo interamente dedicati a Domenico di Giovanni, detto Burchiello (Firenze, 1404 — Roma, 1449; alla biografia di Burchiello vanno ricondotte, oltre che le ultime righe di questo foglio, forse anche f. 88r, o, se non altro, rr. 1-14 e forse 20-27). Questi esercitò la professione di barbiere (la sua bottega era luogo di convegno di pittori e poeti) e fu poeta polemico (anti-mediceo) e comico-realistico secondo quel bizzarrissimo genere poetico (alla burchia) di cui fu uno dei più brillanti creatori e divulgatori e che gli meritò il nomignolo di Burchiello. La grafia di questo nome, in questi appunti, oscilla frequentemente tra burchello e burchiello. Per le sue posizioni politiche subì il bando dopo il rientro di Cosimo de’Medici (1434) e fu a Venezia, Parma, Gaeta, Siena e infine Roma, dove morì di malaria nel 1449, dopo essersi riavvicinato ai Medici (cfr. G. PATRIZI, Domenico di Giovanni, in DBI, 40, Roma 1991, pp. 621-625). In un recente contributo Giuseppe Crimi ha studiato un buon numero delle facezie burchiellesche che Colocci annota in questi fogli e rintracciato paralleli con l’opera poetica del fiorentino. Quando sarà necessario nelle pagine a seguire si farà dunque riferimento a G. CRIMI, Burchiello e le sue metamorfosi: personaggio e maschera, in Auctor/Actor. Lo scrittore personaggio nella letteratura italiana, a cura di G. CORABI e B. GIZZI, Roma 2006, pp. 89-119. Dal lavoro di Crimi si mutuano anche le sigle che si sciolgono preventivamente: SB è I sonetti del Burchiello, a cura di M. ZACCARELLO, Torino 2004; SBL: Sonetti del Burchiello del Bellincioni e d’altri poeti fiorentini alla burchiellesca, Londra [ma Livorno, Masi] 1757; SI: DOMENICO DI GIOVANNI DETTO IL BURCHIELLO, Sonetti inediti, raccolti ed ordinati da M. MESSINA, Firenze 1952. Inidentificata la facezia di rr. 3-4.
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332
VAT. LAT. 4831
(f. 86v)
gliere368 | f. 87r 1 2 3 6 10 11 13
burchello | dixe allo s(ignor) di s(an)c(t)a fiora «voria | .s(ignore). i(n) v(ost)ro s(er)vitio ch’(e’) l’havessero q(uan)to | barili i testiculi»369 | q(ua)n(do) burchello i(n)vitò alle nozze certi | romane et no(n) ma(n)giavano alle | nozze di q(ue)sta moglie li | dixe ch(e) faria come la matrona | d(e) parigi370 | Del confessore ch(e) dixe «aspeta» ad q(ue)llo | de caponi371. | hebbe tre donne dicendo ch(e) no(n) era | peccato et pur se cavava la voglia | co(n) toccar carne et denar fra chi et ch(e)372 | faceva
f. 87r 1.]>çMçaçtçeçoç çmçaçrçiaæ< il nome è posto al centro del f. e cassato (il nome del Boiardo compare a f. 86v, r. 2). 8. q(ue)sta] q(ue)sta>fecerobbaet(.)lo i(m)p(er)a|tor del mo(n)doçbçuçrçcçhçiçeçlloæ< il nome è posto al centro del f. e cassato. 4-5.] spazio interlineare leggermente maggiore. 14. petro] corr. su pietro. 15-(16).] spazio interlineare leggermente maggiore. 377 CRIMI, Burchiello cit., p. 100 e nt. 36 non rintraccia nessun preciso riferimento per questo aneddoto – né io saprei suggerire altro –, ma richiama l’attenzione sul significato del verbo burchiare («rubare»). 378 Una storia analoga a quella cui Colocci sembra alludere qui è narrata da Pietro Alfonsi nella sua Discpilina Clericalis (PL, 157 [1854], coll. 692-693, fabula XVII): due burgenses in viaggio con un rusticus, vogliono sottrarre a quest’ultimo l’ultima pagnotta rimasta e decidono, con l’intento di ingannarlo, che essa andrà a chi sognando vedrà mirabiliora. Approfittando però del sonno dei compagni il rusticus mangia la pagnotta. Ignari i burgenses fingono di svegliarsi e si raccontano reciprocamente i sogni: uno è stato tratto in cielo dagli angeli, l’altro all’inferno; sogni mirabili che meriterebbero loro il pane. Svegliano dunque il rusticus che fingeva di dormire, il quale spaventato domanda loro se siano già tornati. Alla domanda piena di sorpresa dei burgenses («Quo perreximus unde redire debeamus?») la sagace risposta del rusticus è la seguente: «Nunc visum erat mihi quod duo angeli unum ex vobis accipiebant et aperiebant portas coeli, ducebantque illum ante Deum; deinde alium accipiebant duo alii angeli, et aperta terra ducebant in infernum, et his visis putavi neminem iam amplius rediturum, et surrexi et panem comedi». 379 CRIMI, Burchiello cit., p. 100 e nt. 39, richiama a proposito di questa facezia alcuni paralleli lessicali con i sonetti SB CLXXVIII, 15-17 e SI XLV, 15-17, ma soprattutto la dice ricalcata su P. BRACCIOLINI, Facezie, a cura di M. CICCUTO, Milano 1994, nr. CXL, pp. 266268: «Petrus Masini, civis noster, admodum mordax in loquendo fuit. Is cum senex diem suum obiret, condito testamento, nihil, praeter dotem reliquit uxori. Hoc illa cum gravissime ferens apud virum se postpositam, neque sibi ab eo quicquam relictum quereretur, contenderetque multis cum lacrymis ut aliquod suae senectuti subsidium legaretur: “Vocate Notarium ac testes” vir moribundus inquit “ut aliquid relinquatur uxori”. Quibus subito accersitis, adstante uxore, ad testes conversus Petrus: “Haec me obtundit” ait “ut aliquid sibi relinquam. Ei ergo ut morem geram, vos testes advoco qui adestis, me sibi relinquere foetidiorem et ampliorem vulvam aliqua alia huiusce civitatis muliere”. Hoc dicto, ridentes omnes abiere, elusa foemina ac moesta responsione viri». 380 Facezia non identificata.
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IV FASCICOLO
335
(f. 87v) 16 20 22
26
31 34 35
De uno senese ch(e) voliva li facesse | una scusa ch(e) se arrecasse | un peso adosso. burchiello li dixe | ch(e) no(n) lo saperia fare p(er)ch(é) forsi | farria com[e] fece q(ue)lla fantesca | ch(e) scusò la patrona381 | Ch(e) si fa alla messa papale | fu dima(n)dato. el burchiello «credo» | dixe «ch(e) siano alle strecte adesso | io lassai ch(e) si basiavano»382 | era già un po’ canuto et p(er)ò li dixe | a q(ue)lla do(n)na ch’(e’) cavalli bianchi erano | bon pelo. et lei li dixe ch(e) è vero | ma era prohibito ch(e) no(n) corresse i(n) q(ue)llo | paese. et toccossi el pecto «ben | mado(n)na ancho e’ porri ha(n)no | li capelli bianchi et pur la coda è | verde»383 | Lo corno d(e) Ia(n)ni lo sa384 | fu prima sartore come è hoggi el figlio | et fé bacter(e) el maestro ad s(ancta). fiora385 |
f. 87v 22. papale]>credo ch(e)< papale (cfr. rr. 23-24: credo | dixe che). 30. el pecto]>[...]benha< fece mado(n)na son stata io» (f. 74v). 382 CRIMI, Burchiello cit., p. 101 e nt. 46, spiega che la freddura è giocata sul secondo senso erotico dell’espressione «alle strette» (e rintraccia il sintagma in SI I, 5-6). 383 Una simile risposta faceta è adottata da Boccaccio in Decameron IV, Introduzione (§ 33): e sulla conoscenza di Boccaccio cfr. f. 40r, rr. 1-20 e note relative). CRIMI, Burchiello cit., p. 100 e nt. 40, rintraccia anche un parallelo in POLIZIANO, Detti piacevoli cit., nr. 389, p. 110 e tra i sonetti di Burchiello stesso (SB CVII, 17). In Vat. lat. 3450 ho tuttavia identificato, a f. 16r (verso del II foglietto), una redazione colocciana della facezia in questione (cfr. APPENDICE V, 7) e un’allusione ad essa a f. 17r (verso dell’VIII foglietto): «Tu hai el capo più bianco d’u(n) porro | vere inq(ui)s. et cauda(m) viridiore(m)». 384 Un mio errore di lettura della parola corno (originariamente letta corvo), ha indotto in errore anche CRIMI, Burchiello cit., pp.101-102, che per questa facezia suggerisce perciò riferimenti forse non del tutto pertinenti. La facezia rimane inidentificata; ho trovato tuttavia in più punti di Vat. lat. 3450, l’appunto «lo corno d(e) Ia(n)ni lo sa» (f. 2r, X foglietto; f. 62r, verso del I foglietto [numerato 31]; f. 76r, IV col.; f. 79r, II col.). 385 Non trovo attestazione della notizia relativa all’originaria professione del Burchiello, né dell’aneddoto cui qui si allude.
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VAT. LAT. 4831
f. 88r 1 2 3 5 7 8
13
386çMçaçtçeçoç
fç çrçaçnçcoæ387 | se tu ce stai no(n) bisogna ch(e) ce torni388 | >taxava li 3 fratelli pulci ch(e) no(n) | sapeva qual peggior si fusse et ne ho | visto un tractato di tre fratellli ava(n)ti | chi fu ’l peggio |< vada l’un p(er) l’altro389 | fo ma(n)dato ad roma ad veder del .s. | franc(esc)o de inocentio et e(ss)endo ad | bon co(n)vento fu †c(.)s(...)† co(n) l’hoste al quale | respose pagami la caraffa a me et tu | tienti el bono augurio p(er) te390 | raco(n)tava del bolognese ch(e) cadendoli la torre | della gabella supra sentì la tro(m)ba et dixe | s’è chiarito d’un bel †(..)so† così
f. 88r 1.]◊Stette ad Luciniano | di siena et fece | q(ue)lla fabula (e tratto di penna ad arco che le racchiude)◊ queste tre righe scritte in piccolo e racchiuse da un tratto di penna che le separa dal testo del foglio, si leggono nel marg. superiore sinistro, accanto al titolo. 2-3.]◊(lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro a separare r. 3 da r. 2. 3-6.] queste righe sono cassate da due tratti obliqui. 5. ava(n)ti] di lettura incerta. 6-7.]◊(linea orizzontale)◊ tra r. 6 e r. 7 si estende un tratto orizz. che attraversa l’intero foglio. 10. †c(.)s(...)†] i miei tentativi di decifrazione di questa parola non hanno avuto successo. 12-13.]◊(lineetta orizzontale)◊ prossima al margine sinistro, a separare r. 13 da r. 12. 15. †f(..)so†] altra parola per me indecifrabile. 386 Non è del tutto chiaro a che si riferiscano le tre righe della postilla del marg. sup. sinistro (per cui vd. I fascia d’apparato, r. 1); mi limito solo perciò a ricordare che in Vat. lat. 3450 sul recto del foglietto incollato su f. 7r è trascritta in latino con grafia molto corsiva una facezia «de pr(es)b(ite)ro lucignani», che, secondo l’appunto colocciano «Inter facetias suas Jo: Bapt(ist)a Caccialupus [...] dicere solebat», mentre una più estsa redazione volgare se ne legge a f. 6r-v. Essendo Matteo Franco prete, a lui potrebbe riferirsi l’appunto di Vat. lat. 3450. 387 Il personaggio a cui si fa riferimento qui è Matteo Franco (o Matteo della Badessa: Firenze, 1474 — Pisa, 1494), prete, impiegato presso Lorenzo il Magnifico, forse per l’istruzione dei figli; fu amico di Ficino e Poliziano. Tra il 1473 e il 1476 ingaggiò una tenzone poetica alla burchiellesca con Luigi Pulci (i sonetti della tenzone si leggono in L. PULCI — M. FRANCO, Il libro dei sonetti, a cura di G. DOLCI, Milano 1933). Fu canonico di Santa Maria del Fiore (potrebbe perciò essere lui il «maestro ad s(ancta). fiora» di f. 87v, r. 36). 388 In Vat. lat. 3450, f. 81v (I col.) si legge un rapido appunto che sembra alludere a questa stessa inidentificata facezia: «se ce stai no(n) bisogna ch(e) ci torni». 389 Non è chiaro a cosa alludano queste parole: forse ad una facezia attribuita a Borso
d’Este se si possono identificare con quelle appuntate in Vat. lat. 3450 f. 74v «Duca borso fece dar(e) un altro pugno al feritor | et vada l’un p(er) l’altro». 390 In Vat. lat. 3450 si trovano un paio di appunti che sembrano riferirsi alla facezia a
cui qui si allude: «95 | dell’hoste e bono augurio» (f. 66r, recto del II foglietto); «Paga la caraffa/ et lo augurio sia tuo» (f. 75r, III col.). Non chiara tuttavia la sostanza dell’episodio.
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IV FASCICOLO
337
(f. 88r) 16 17 19 21
26
hoggi io ◊morendo. stava male◊391 | çlçoçrçeçnçzçoç çsçpçiçriçto392 | o ce sto o no(n) ce sto syllogismo †cer(...)o† | et q(ui) trova de clarysippo | Amico di mis(er) franc(esc)o mio tio393 | qual fu poi co(n)sigliero del re | e(ss)endo un giorno taxato da u(n) maestro di | scola de l’arte sua che era bella et lui | come recordevol di danti ch(e) prisciano ha|via posto nell’i(n)ferno394 così li respose. «maestro | veram(en)te l’arte n(ost)ra è bella ma sol q(ue)sto | mi dà noia ch(e)
f. 88r 15. ◊more(n)do. stava male◊] le tre parole sono scritte su due linee (la prima termina dopo il punto) nell’interlinea inf. risp. a r. 15, spostate verso destra (in pratica di fianco al titolo di r. 16) e racchiuse da un tratto di penna sinuoso che prosegue il tratto di separazione tra r. 15 e r. 16. 15-16.]◊(linea orizzontale terminante a destra in una curva)◊ attraversa tutto il f. e separa l’aggiunta interlineare di r. 15 (vd. sopra) da r. 16. 17. †cer(...)o†] parola per me indecifrabile. 20-21.]◊(lineetta orizzontale)◊ prossima al margine sinistro, a separare le due righe tra le quali intercorre uno spazio interlineare leggermente maggiore. 22. bella]>vilela fabula de yma|gine cesaris. | i(m)puta(n)doli se ch(e) lui era | bastardo ch(e) l’altri no(n) erano397< | e(ss)endo piccolo figliolo del secretario | della regina Joh(ann)a398. come lui dice | «cu(m) pariter vir mulierq(ue) daba(n)t» | un dì de un certo arcivesco di | taranto facendo no(n) so ch(e) giochi |
f. 88r 26-27.]◊al nost(r)o | rasoio◊ nel marg. sinistro all’altezza delle rr. segnalate compaiono queste tre parole che andranno forse considerate un chiarimento, visto che nel testo la parola rasore (r. 26) è aggiunta in un secondo tempo nell’interl. f. 88v 2-4. >la fabula...eranocom’el p(ad)re f[..] caccio quel suo ant[...]< la r. 2 è scritta nell’interl. a correzione di alcune parole cassate da un pesante frego e perciò poco leggibili. 6. babilonia]>novap(er) q(ue)sta< ma ta(n)5 çiçmçpçia e(m) amat çtçoçgçlieæ et io si del ch(e) re de silvi secul pensa el chi imper perch(e) respose tal ch(e) e dure p(er) quel ch
f. VIr 27-28.]◊(tratto ondulato verticale)◊ il tratto, posto nel marg. sinistro sembra voler racchiudere ed evidenziare le rr. 27-28. 33-35.] ◊"(manicula e tratto ondulato verticale)◊ la manicula evidenzia le rr. che il tratto ondulato circoscrive (rr. 33-35). 5 Per le rr. 1-24 di f. VIr cfr. Inf. I, rispettivamente, i versi: 4, 6, 7, 14, 28, 31, 33, 41, 44,
45, 52, 53, 58, 61, 65, 82, 83, 88, 96 (non però riconducibili al testo dantesco le rr. 15-16, 2223, 25-26).
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V FASCICOLO
357
(f. VIr)
+
40
dite mi i so(n) facta
f. VIv 1
5
10
ner lor coma(n)di er tolse lo sto si al venir(e) to nel primo pro posto6 se no(n) retrove ntelletto cosi ro porta me duro
15
20
25
lle [.] ta a› riste di coloro re a re lassa [.] passa 6 Per le rr. da: f. VIr, r. 27 a VIv, r. 7, cfr. Inf. II, rispettivamente, i versi: 2, 3, 5, 6, 13,
15, 17, 18, 20, 34 (o 41), 44, 54, 60, 66, 74, 91, 99, 120, 125, 137, 138 (la r. 7 di f. VIv probabilmente completa r. 6; non è invece riconducibile al testo dantesco r. 8).
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358
VAT. LAT. 4831
(f. VIv) 30
volto nedi çediæ nave
35
dar me voce[?] ne lira d(e) D[io]7 [.] [le?] dri
40
f. VIIr 1
+ 5
+ + 10
+
15
Cio era novo no(n) lassavan hanno tanta i(n)taç(çnç)çtçoç çvçoceæ sembianza h p(er)o ch(e) ciascu(n) volsesi a me el mio maestro desceso(?) .i. cin la sesta co(m)pag fuor de laq8 vede qual lassando la no(n) enga(n)ni
7 Per le rr. 9-39 di f. VIv, cfr. Inf. III, rispettivamente, i versi: 18, 10, 11, 12, 23-33 (per le rime poco visibili delle rr. 19-22), 35, 46, 47, 48, 49, 51, 66, 67, 69 o 72, 82, 102 (non sono invece immediatamente riconducibili al testo dantesco le rr. 11, 36-37, 41-42). 8 Per le rr. 1-12 di f. VIIr, cfr. Inf. IV, rispettivamente, i versi: 28, 52, 64, 74, 79, 84, 91, 98, 148, 150 (non sono invece riconducibili al testo dantesco le rr. 9-10).
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V FASCICOLO
359
(f. VIIr)
20
s
25
30
e 35
40
hor incom hor son ve çmçuçgçhçiçaçrç(e)æ le gru fac laere ner ch(e) libito çnçoçmçinoæ9 cingere r dove colp regula canina quando no(n) have e pone i e fui p(er) r tu fusti la neg[...] sia dannate se tanti pregote poi chino10 ch(e) poe [.] ch co(n)sum[.] no(n) è senza q(ui) vidi ge11
9 Per le rr. 13-22 di f. VIIr, cfr. Inf. V, rispettivamente, i versi: 10, 18, 20, 25, 26, 29 (ma compare l’infinito mughiare a r. 18), 46, 51, 56, 68 (non sono invece riconducibili al testo dantesco le rr. 23-24). 10 Per le rr. 25-36 di f. VIIr, cfr. Inf. VI, rispettivamente, i versi: 9, 14, 22, 24, 42, 86, 89, 92 (non sono invece riconducibili al testo dantesco le rr. 29-30, 32-33). 11 Per le rr. 37-40 di f. VIIr, cfr. Inf. VII, rispettivamente, i versi: 5, 9, 10, 25.
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360
VAT. LAT. 4831
f. VIIv 1
parto(n)[..]
5
cise
10
15
20
25
30
era e delalta torre erna çcçoç(çn)teæ ro parve carca rora trui j parch(e) .i. i(n) loco far gra(n)de agirata ci çlçaç çmçoçrçtçaç çgçeç(çnç)çte ratto .i.12 m tenzone nel capo ro .s. çlçuç(çnç)çgaæ a çeçrçse per lalta tor[..] me proserpi[..] edessi
in suso 12 Per le rr. 8-21 di f. VIIv, cfr. Inf. VIII, rispettivamente, i versi: 3, 27, 29, 30, 79 (per le
rr. 17-18), 80 (forse per r. 19), 85, 102 (non sono invece riconducibili al testo dantesco le rr. 1-7, 9-10, 15-16).
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V FASCICOLO
361
(f. VIIv)
forza ov[?..] 35
a [.] r(um?) [.] morta se[.] col corpo o[.]ano i(n) parte presso
40
f. VIIIr 1
5
+ 10
15
20
S.
n[.] ce le sue mortale p(er)o fu no(n) f[.] dimon poch(e) ch. Theseo se colui ch(e)l suo terre ch(e) çhçoçrçrçiçbçiçle e d(e)stor do(n)na m ingiurie e co(n) forza ma p(er)ch(e) [..]an [..]pessi C[..] p
f. VIIIr 9-10.]◊(tratto curvo verticale)◊ il tratto, posto nel marg. sinistro sembra voler racchiudere ed evidenziare le rr. 9-10. 21. C[..] p] un piccolo foro nella carta non consente la lettura di alcune lettere.
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362
VAT. LAT. 4831
(f. VIIIr)
25
30
35
40
de q[ue]lli sotto m io vidi como unda l ch(e) n(ost)ro fece dorte dove voglio ch(e) dan morti çcçoç(çnç)çtçoçrtoæ [.]çrçuçvçiçdi(?) allor soff se co(n)[..]re breve r ch(e) no(n) e i al cespugli sanza en so si colse
f. VIIIv 1
5
sta larma sap(re)ssa decati
10
l torme(n)to f. VIIIr 23.] da questo punto il tratto più sottile e chiaro rivela un cambio di penna. 32. ch(e) dan] nell’interl. sup. e spostate verso sinistra, in corrispondenza di queste parole si legge ho q(uel) ch(e).
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V FASCICOLO
363
(f. VIIIv)
stolta la(n)to ae f. IXr 1
s co
A f. IXv 1
sta s
5
n .
10
15
20
e a sto q(ue) co(n) osta(n) e re li fus[.] me no(n)
f. IXr la grafia delle lettere di questo f. e dei fogli tagliati seguenti è quella di Colocci. 1.] questa riga, come le altre di f. IXr, sono in realtà le ultime del foglio che nella parte superstite restante non mostra segni di scrittura.
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364
VAT. LAT. 4831
(f. IXv)
mo sti veram cano(ni)co costo sa(m)pa adaq(u)a erca
25
30
f. Xr
[bianco] f. Xv
[bianco] f. XIr
[bianco] f. XIv 1
dei i cato egio
5
10
15
fle evero p(er) la ta ma e p(er) ar a no(n) leme(n) studi li se
f. Xr-v di questo foglio rimane in realtà solo un piccolo lacerto prossimo al taglio di piede. f. XIv 1.] questa r. 1 compare in realtà nella pagina dopo uno spazio bianco all’incirca corrispondente ad una decina di righe.
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V FASCICOLO
365
(f. XIv)
e
nicc. e o(n) e stato
20
a(n)doli in dixe de [...] tro rice
25
f. XIIr 1
et 5
10
15
20
e[.] ca i(n)[.] e i(n) po(n)ti
c a Advoc et così prima e poi dant Io me fei altr
f. XIIr 16-18.] tra r. 16 e r. 18 intercorre in realtà uno spazio di circa 9 righe.
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366
VAT. LAT. 4831
(f. XIIr)
et diss Apparechi li comi(n)ci lemosina deli piu confecti privi fra vergati i(n)tend
30
f. XIIv
[bianco] f.
94r13
1
çpçiçsçtçoçia14 |
f. 94v 1
çJçoçhç(çaçnçnç)çiç çaçgçaçbçiçto15 |
f. XIIr 31. i(n)tend]>bati< i(n)tend. 13 Nello stato attuale del codice, dopo l’ultimo foglio tagliato, si trova in realtà legato al centro del fascicolo il bifoglio [nn]-107. Per le ragioni illustrate nell’Introduzione (§ I.1.5.) si è preferito ripristinare l’ordine indicato dalla cartulazione. 14 Antonio Cammelli detto il Pistoia (Pistoia, 1436 — Ferrara, 1502). Compì studi assai modesti in patria e nel 1478 si recò dapprima presso Niccolò da Correggio, quindi alla corte ferrarese degli Estensi. Quando per ragioni ignote fu rimosso dal suo ufficio, tentò di ingraziarsi Ludovico il Moro e la corte mantovana dei Gonzaga, tramite Isabella d’Este. Di fatto nel 1499 è a Mantova, dove scrisse la tragedia Pamphila (ispirata alla novella Decameron IV, 1) e nuovamente a Ferrara dove morì. Abile verseggiatore in volgare, ammirato dai contemporanei, è ricordato da Castiglione (Cortegiano II, 67), Ariosto (Satira VI, 94-96) e Aretino (Ragionamento delle Corti). Fu anche in rapporti col Cosmico al quale indirizzò i cosiddetti «sonetti maledici» (secondo la ricostruzione dei curatori di A. CAMMELLI DETTO IL PISTOIA, Rime edite e inedite, a cura di A. CAPPELLI e S. FERRARI, Livorno 1884). Prima di morire riordinò la sua abbondante produzione poetica della quale ci rimangono due autografi (Milano Bibl. Ambrosiana, H 223 inf.; e Mantova, Archivio di Stato, Arch. Gonzaga, serie E. XXXI.3, Ferrara, b. 1235; cfr. DE ROBERTIS, Cammelli, Antonio, in DBI, 17, Roma 1974, pp. 277-286; A CAMMELLI, detto il PISTOIA, I sonetti faceti secondo l’autografo ambrosiano, a cura di P. ORVIETO, Pistoia 2005). 15 Potrebbe essere l’Agapito (Urbino, seconda metà XV secolo) che fu bibliotecario di Federico da Montefeltro, conoscitore di greco e latino e subentrato intorno al 1480 a Lorenzo Astemio in quell’incarico. È l’autore dell’Indice Vecchio (BAV, Urb. lat. 1761) del fondo Urbinate della Bibl. Vaticana (cfr. A. CARELLA, Agapito, in Letteratura italiana cit., Gli autori, I, p. 28). Per completezza si segnala poi che ai ff. 209-222 di Vat. lat. 7182 (codice composito sulla provenienza colocciana di alcune parti del quale c’è tuttora incertezza: cfr.
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V FASCICOLO
367
(f. 94v) 2 6
11
musico: .s(ignore). di sarsina et come | el patriarca li decte riflesione | et di che poi ne nacque la | guerra tra malatesti et la chiesa | et ne successe la rocta de. | vide storia16 et po(n) q(ui) li pri(n)cipij | de alcune sue cose et morì i(n) | asisio dove io ang(e)lo li feci | la sepultura | L’ aqua e ’l foco et la suspitione17 | q(ue)sta la dixe alli .s(ignori). mala|testi |
(f. 94v) 14 17 19
scripse al .s(ignor). malatesta e ’l | .s(ignor). malatesta a.llui. et justo | et ang(e)lo galli18 ad i(n)vicem | libro (com)pose de balli dove co(n)fortava | co(n) la astrologia | da signor di polenta. |
f. [95]r19
[bianco]
f. 94v 10-11.] spazio interlineare leggermente maggiore. LATTÈS, Recherches cit., pp. 27-28 e UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit., ad indicem) si trova un poemetto intitolato In Croci cultum, dedicato ad un «Agapytum Geraldinum Ducale Secretario». Il nome di Giovanni Agabito compare anche nella lista di f. 104r, r. 14. 16 Non sono riuscito a trovare la fonte di questa notizia, che anche negli appunti di Colocci tuttavia rimane incompleta («la rocta de...», r. 6). 17 Si tratta di una fabula che può essere letta nel foglietto incollato a f. 8v di Vat. lat. 3450 (cfr. APPENDICE V, 9). 18 Angelo Galli (di cui si trova menzione anche nella lista di f. 104r, r. 8), nacque nell’ultimo decennio del XIV sec. ad Urbino, cresciuto presso la corte dei Montefeltro nello studio delle lettere e nell’esercizio dell armi e sotto la potente protezione di Bernardino degli Ubaldini che seguì in molte imprese d’armi (per es. nel 1417 in aiuto di Pandolfo Malatesta, nel 1426 in aiuto dei Visconti contro il duca di Milano, nel 1431 nell’occupazione di Città di Castello). Negli anni successivi gli furono affidati numerosi incarichi diplomatici, in particolare nel 1432 fu inviato da Guidantonio di Montefeltro a Milano presso Filippo Maria Visconti e nel 1438 fu rappresentante del Montefeltro al Concilio di Ferrara e nel 1442 al Concilio di Basilea. A Ferrara incontrò Giusto de’Conti col quale strinse un sodalizio poetico che influenzerà la sua successiva produzione. La sua intensa attività diplomatica, sempre al servizio dei Montefeltro, ebbe una discreta rilevanza nel sanamento dei contrasti tra i Visconti e gli Sforza. La sua produzione poetica è ampia ed estesa e piuttosto rilevante nel quadro della lirica volgare del ’400. Intrattenne corrispondenze poetiche con vari personaggi di spicco dell’epoca, quali Sigismondo Pandolfo Malatesta, Malatesta Malatesta e Alessandro Sforza. Morì prima del 10 dicembre 1459 (cfr. G. NONNI, Galli, Angelo, in DBI, 51, Roma 1998, pp. 596-600 e A. GALLI, Canzoniere, edizione critica a cura di G. NONNI, Urbino 1987). 19 Questo ed i successivi 5 fogli non sono numerati (la numerazione riprende da f. 101).
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368
VAT. LAT. 4831
f. [95]v
[bianco] f. [96]r
[bianco] f. [96]v
[bianco] f. [97]r
[bianco] f. [97]v
[bianco] f. [98]r
çVçiçvçonoæ >egidio Thibaldeocavalli bianchi no(n) corrono i(n) questo | paese toccandosi30< | Quella del patre et dello lenzolo | ch(e) i(n)traveno a.llui31 |
9 11
f. 101v 7-8.]◊(breve tratto orizzontale)◊ nell’interl. sup. di r. 8 – separata da r. 7 da uno spazio bianco di ca. 9 cm – si estende per alcuni cm un tratto orizz. 8-9.]◊(lineetta orizzontale)◊ prossima al marg. sinistro, a separare r. 8 da r. 9. 27 Il papiense è Francesco Alidosi, nato intorno al 1455, intimo di Giuliano della Rovere quando questi era ancora Cardinale di S. Pietro in Vincoli, con la salita di quest’ultimo al soglio pontificio come Giulio II fece una rapidissima carriera favorita dalle sue notevoli doti di diplomatico: ottenne il titolo cardinalizio di Pavia nel 1505 ma fu ucciso da Francesco Maria Della Rovere a Ravenna il 24 maggio 1511 (cfr. G. DE CARLO, Alidosi, Francesco, in DBI, 2, Roma 1960, pp. 373-376). Fu protettore di numerosi artisti (Michelangelo, Bramante) e intellettuali, tra i quali Scipione Carteromaco (al quale Colocci invia – il 15 maggio 1511 – una lettera con questo indirizzo: «D. Scipioni Carteroma|cho [...] | venetijs. aut bonomie | In domo R.mi car(dina)lis | papiensis» Vat. lat. 4104, f. 42v). 28 Non sono riuscito ad identificare la provenienza di questa frase latina. Il «Julius» menzionato sarà plausibilmente papa Giulio II (1503-1513). 29 Si tratta dell’eclettica personalità di Ciriaco di Filippo Pizzicolli (Ancona, 1391 — Cremona, ca. 1455). Giovanissimo si imbarcò come mercante e visitò l’Egitto, il mar Egeo, la Dalmazia, la Sicilia e Costantinopoli (tra il 1412 e il 1418). Nel 1421, tornato ad Ancona entrò in contatto col Cardinale Gabriele Condulmier (il futuro Eugenio IV) e frequentò la scuola latina della sua città. Nel 1424 fu a Roma dove raccolse epigrafi antiche. Tra il 1425 e il 1432 intraprese un lungo viaggio in Oriente, nell’Egeo e a Costantinopoli. Tra il 1433 e il 1435 è in Italia e scorta l’imperatore Sigismondo in una visita romana. Fu ancora in viaggio fino al 1438 (Illiria, Epiro, Grecia), poi per sei anni si trattenne in Italia, tra Ancona, Firenze, l’Emilia e la Lombardia. Tra il 1444 e il 1448 fu ancora in Oriente ed esplorò il Peloponneso. In tutti questi viaggi cercò e raccolse oggetti antichi e opere d’arte, manoscritti, e specialmente epigrafi, ammassando il materiale epigrafico raccolto in un monumentale Commentario in sei volumi andati perduti nell’incendio che, nel 1514, distrusse la biblioteca pesarese di Alessandro e Costanzo Sforza. Dei suoi viaggi teneva diari meticolosi con notazioni di interesse archeologico, corredate di disegni, schizzi e copie di iscrizioni. Ci rimangono solo alcuni quaderni autografi e copie parziali tratte dagli amici (cfr. R. SABBADINI, Ciriaco D’Ancona, in EI, X, Roma 1931, p. 438 e ROSSI, Il Quattrocento cit., pp. 111-112; Ciriacus of Ancona’s Journeys in the Propontis and the Northern Aegean (1444-1445), ed. by E. W. BODNAR & CH. MITCHELL, Philadelphia 1976; L. MONTI SABIA, La ‘Naumachia regia’ di Ciriaco d’Ancona, in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli 8 [19771978], pp. 129-186). «Ciriaco d’Ancona antiquario» compare anche a r. 13 di f. 104r. 30 Per la facezia qui accennata e cassata cfr. f. 87v, rr. 27-32 e annotazioni relative. 31 Facezia non identificata.
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V FASCICOLO
371
(f. 101v) 13
et come Leonardo aretino. li scrive | e lo philelpho et fé greco. latino | vulgare. antiquario. una ca(n)zone | ne ho vista. |
f. 102r 1
5
celio32 | Guitton Frate d’arezzo | Arnaldo | Guido Guinicelli | Guido cavalcanti | Danti folco33 |
(7)
10
cino cicco d’ascoli Roberto re honesto. bo
f. 102v
[bianco]34
f. 102r 7.]>cecco d’as