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Italian Pages 200 [35] Year 2021
Marco Bertozzi
Litalia di Fellini Immagini, paesaggi, forme di vita
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Indice Copertina
Abstract - Autore Frontespizio Copyright Prefazione
di David Forgacs Introduzione L'inquieto sentimento del borgo
Il senso della civitas
Frammenti urbani, corpi mondani Mescolanze della memoria Onde mediali Frontiere culturali e scie del Mediterraneo Metropoli e metalinguismo
Fake documentary dalla città eterna Senso del cinema e metafisica dell'EUR La vita vagabonda delle immagini
Inconscio a cielo aperto Vocazioni deUa città in scena La casa del Signor Cinema
Condivisioni, intrecci, somiglianze
Dino Buzzati e le porte dell'arcaico Moderno, anti-modemo, post-moderno. L'international folle di Nino Rota Ernst Bernbard e la liberazione dell1nconscio Fellini e De Seta. Il reale e il desiderio
Prossimità culturali, da Guerra a Cavazzoni Spaesati, arcaici, dialettali
Sgangherati italian tour Identità al margine Oltre il canone del Neorealismo Fughe dall'ansia identitaria Fellini e Pasolini, maestri della profezia
Politiche della latitanza e introspezione antropologica
Il senso del ridicolo Le lenti dell'ideologia
Il cinema, agognata modernità Scompaginare le carte Echi dal contemporaneo Una storia di lungo respiro Laboratori iconici L'archetipo dell'artista Cicli figurativi e reinvenzione dell'antico Anacronismi, demoni, persistenze Botteghe del moderno
Un termine elettrizzante Documentarietà del paparazzo Cinesex La moda in passerella Metamorfico, plurale, stilistico Referenze fotografiche
PREFAZIONE
di David Forgacs
Nella storia del cinema c'è un Fellini italiano e un Fellini internazionale e i due non si sono sempre sovrapposti in una figura unica. Il divario cominciò a rendersi visibile con lo scarto tra il successo dei suoi film a casa e all'estero. In Italia la prima grande affermazione la ebbe con I vitelloni, campione d'incassi nella stagione 1953-54, dopo la débélcle commerciale di Luci del varietà e Lo sceicco bianco, mentre altrove la sua fama decollò con La strada, uscito in Italia nel 1954 e all'estero tra il 1955 e il 1956. Tranne in Francia e in Argentina, I vitelloni venne distribuito dopo La strada ed ebbe una risonanza molto minore. Alla storia dolceamara di una combriccola di fannulloni in una cittadina di provincia, in cui molti italiani hanno riconosciuto se stessi o i loro simili, sia pure in forme distorte e esagerate, il pubblico e la critica internazionali preferirono di gran lunga il road movie del brutale Zampanò e dell'innocente Gelsomina. Nel 1957 La strada vinse il primo Oscar per Best Foreign Language Film Oo stesso premio andrà poi ad altri tre film di Fellini, Le notti di Cabiria, 8 ½, Amarcord), ma in Italia, alla sua uscita il film era caduto vittima alla battaglia delle idee che si combatteva allora tra i difensori del neorealismo, a sinistra, e i critici cattolici moderati o di centrodestra. Apprezzato da questi ultimi per la sua tenerezza verso un gruppo di personaggi umili, ai margini della società, e per il messaggio spirituale del finale, venne stroncato esattamente per gli stessi motivi dai critici marxisti di punta, compresi Guido Aristarco, Ugo Casiraghi e Massimo Mida, secondo i quali Fellini evitava i problemi pressanti dell'Italia contemporanea collocando i suoi personaggi sottoproletari e senza coscienza di classe in un mondo rurale atemporale. L'ostilità verso Fellini trasmigrò negli anni sessanta e settanta nella sinistra extraparlamentare, ad esempio con le recensioni di Goffredo Fofi su «Ombre rosse», e mai si acquietò completamente, anche se più tardi alcuni di quei critici si ricredettero, mentre all'estero gli ammiratori di Fellini, come gli studiosi Peter Bondanella, Àngel Quintana e Jean Gili, o i registi Martin Scorsese e Andrej Tarkovskij, lo apprezzavano appunto per il suo rifiuto di ogni ideologismo, la sua straordinaria abilità di generare immagini e fantasie visionarie, e per l'amore illimitato per i suoi personaggi, buoni o cattivi. Sono passati ormai più di trent'anni dall'uscita dell'ultimo film di Fellini, La voce della luna, poco prima del tramonto della sinistra storica in Italia e del crollo della Democrazia Cristiana. Con quel passaggio epocale, e con la morte del regista nel 1993, venne meno anche la polarizzazione ideologica intorno alla sua figura. Infatti, sembra di poter dire che in Italia, negli ultimi trent'anni, sia diventato il regista per tutti, amato e apprezzato universalmente e ricordato con forte nostalgia: e, in questo senso, il Fellini italiano si è riavvicinato a quello internazionale. Un segno recente di questo riavvicinamento è stato l'interesse della RAI per le celebrazioni del centenario, nel 2020, con la partecipazione a documentari come Fellini degli spiriti di Anselma Dell'Olio o Fellini fine mai di Eugenio Cappuccio - che finisce con la testimonianza commossa di Donald Sutherland, «I remember him with love» - o le puntate di programmi come Blob, del 18 gennaio, e Porta a porta, del 21 gennaio, dedicate a Fellini. Questo tipo di commemorazione encomiastica rischia però di falsificare Fellini in un modo diverso dalle polemiche sorte negli anni cinquanta. Elevandolo alla statura del genio titanico che trascende il suo tempo, si rischia di perdere di vista le connessioni tra i suoi film e il momento e il luogo in cui furono creati. Rispetto a quel modo di ricordare Fellini questo nuovo studio di Marco Bertozzi ci restituisce una figura più complessa, e molto più convincente per gli storici contemporaneisti. La sua tesi di fondo è che i film di Fellini, attraverso tutto l'arco della sua carriera da regista, cioè dal 1950 al 1990, hanno intrattenuto un rapporto a volte sommerso ma sempre profondo con la realtà italiana. Bertozzi ribalta nettamente le accuse lanciate dagli antifelliniani negli anni cinquanta, sessanta e settanta contro la figura del regista désengagé, staccato dall'Italia del suo tempo, assorto nelle sue ossessioni personali - l'autobiografismo, l'autoanalisi, il circo, i clown, la spiritualità, lo spiritismo - e ci restituisce un Fellini profondamente radicato nella realtà contemporanea e in sintonia con le grandi trasformazioni che l'Italia stava vivendo: il passaggio da un paese rurale a uno industriale, e poi del terziario, la compresenza di antichi riti, credenze popolari e nuovi rituali della modernità, l'ascesa dei mass media a una posizione sempre più centrale nella vita quotidiana, fino all'esplosione delle televisioni private e l'ubiquità della pubblicità. Per Bertozzi i diversi film di Fellini sono altrettanti specchi delle grandi trasformazioni subite dall'Italia dagli anni trenta (evocati nella prima parte di Roma e inAmarcord) fino agli anni ottanta e novanta (Ginger e Fred, La voce della luna); realizzati non con i metodi mimetico-rappresentativi del realismo sociale o del documentarismo ma, piuttosto, tramite il loro "apporto conoscitivo" alla storia d'Italia, attraverso tecniche che includono la satira, l'esagerazione, la caricatura, la deformazione grottesca, ma anche la scelta accurata dei costumi, la luce, l'uso del bianco e nero o del colore, la messinscena, la musica. Se l'inserimento profondo dei film di Fellini nella realtà italiana è stato già riconosciuto per alcuni suoi film - soprattutto La dolce vita e Amarcord - lo stesso non può certo dirsi per molti altri, che sono stati spesso considerati elaborazioni fantasiose o evasive. Invece qui Bertozzi estende il canone dei film felliniani sull'Italia per includere l'intero corpus. C'è di più. Il radicamento dei film di Fellini nella realtà dell'Italia consiste, per Bertozzi, anche nella loro attenzione minuziosa alla sua geografia. I primi due capitoli de L'Italia di Fellini sono imperniati, come gli stessi film del regista, sul binomio Rimini-Roma, e sul suo pendolarismo immaginario tra i due luoglii: da una parte la cittadina di provincia, il luogo di origine e della memoria dell'infanzia e dell'adolescenza, a cui i suoi film continuano a tornare; dall'altra la sua città di adozione, dove si è trasferito appena prima del diciannovesimo compleanno, la capitale caotica e "gastrosessuale", archeologicamente stratificata e socialmente differenziata, tra prelati e aristocrazia nera, prostitute e operai, intellettuali e giornalisti, che contiene nella sua periferia quel mondo parallelo che è Cinecittà. In quella grande fabbrica dei sogni che diventò la sua seconda casa il regista ricostruì, nel Teatro 5 e nel backlot, luoglii e simboli dell'Italia, dal Colosseo al Grande Raccordo Anulare, dalle strade di Rimini al Canal Grande, dalla Roma del I secolo all'Italietta fascista. Allo stesso tempo, Bertozzi ci fa notare che Fellini era sempre attento alla diversità interna del paese dei mille borglii, che cercava di cogliere linguisticamente tramite le collaborazioni - con Pier Paolo Pasolini per il romanesco de Le notti di Cabiria, con Andrea Zanzotto per il veneziano del Casanova, con Tonino Guerra per il romagnolo di Amarcord - ma anche nei motivi musicali, tramite il lungo sodalizio con Nino Rota, milanese ma per molti anni residente a Bari, che attingeva a una tradizione popolare meridionale per diversi motivi delle colonne sonore. Insomma, l'Italia di Fellini, secondo questa guida autorevole di Marco Bertozzi, è un'Italia complessa, multiforme, presente ovunque nei film felliniani, anche in forme indirette e allusive. E, per tornare al punto da cui siamo partiti, è un'Italia in buona parte rimasta sconosciuta a spettatori e critici stranieri che, anche in una versione sottotitolata, non colgono la pronuncia romagnola, o i dialettismi nel doppiaggio di Amarcord, o il veneziano di Casanova, e ci vedono invece per la maggior parte una generica italianità. Per questo motivo il libro servirà non solo per spiegare meglio l'Italia di Fellini agli italiani, ma anche per reinserire la complessa italianità dei suoi film in un contesto internazionale che non ha sempre saputo capirla e apprezzarla in pieno.
INTRODUZIONE
Un assillo che chiama alla scrittura e risveglia la coscienza si è impadronito del mio tempo. Da un germe indefinito, una percezione incerta riguardante il rapporto fra Federico Fellini e il suo paese, è emerso via via un grumo da dipanare, quasi il pungolo di un dovere a cui volevo dare voce. Difficile, all'approssimarsi del centenario della nascita del regista, aggiungersi alla miriade di iniziative in programma, in un calendario ricco di appuntamenti, con mostre, convegni, retrospettive, restauri filmici e documentali, libri, soprattutto libri, che accompagnano un interesse crescente, a volte morboso, e capace di valicare i confini nazionali. In effetti, quello che ci ha sempre colpito in Federico Fellini è la maestria nel toccare diverse corde del sentire e del pensare. I suoi film sono musica per gli occhi e nutrimento per la mente e suscitano l'interesse di tanti, in una ecumenica sensazione di amicalità. Fellini, pericolosamente, ci affascina: mentre imprime alle immagini i segni profondi del suo stile riesce a raccontarci storie mitiche, che affondano nelle caverne dei desideri, delle paure e delle credenze umane; e storie pubbliche, capaci di attraversare un particolare ambiente con una esattezza che sorprende per la sua levità. Ad esempio - così sono più chiaro Fellini è stato un grande cantore della sua città. Ma, al tempo stesso, ne è stato il magico re-inventore. Grazie a Fellini, Rimini, e il suo spirito, non sono stati solo raccontati, ma completamente reimmaginati. I suoi film, con l'apice de I vitelloni (1953) eAmarcord (1973), hanno forti legami con l'ambiente antropologico e paesaggistico della giovinezza, scie del ricordo che, come in un fiume carsico, emergono dalla sua opera e consentono una ricomposizione delle mappe mentali e della percezione pubblica della sua città. E così è stato per Roma, anch'essa coinvolta dalle turbolenze estetiche del regista, ridisegnata per tutti noi grazie a capolavori come Le notti di Cabiria (1957) o La dolce vita (1960), Satyricon (1969) o Roma (1972). Naturalmente non importa che queste città fossero riprese dal vivo o ricostruite nell'antro dello Studio5, a Cinecittà: il nostro modo di pensarle, le architetture mentali con cui le inlmaginiamo, hanno ricevuto una potente sterzata simbolica, sino a divenire «altro» rivelato. Per questo i primi due capitoli del libro sono dedicati a Fellini «architetto», alla sua capacità di ridefinire gli immaginari urbani del borgo e della metropoli. E, sineddoticamente, più vasti paesaggi nell'Italia del Novecento. Più che la verità storica sull'Italia, Fellini ricerca l'alterità del paese. Più che invocare racconti veritieri, estende il pensiero a possibili diffrazioni, cercando curiosamente l'italiano dimenticato. Sino a trovarlo, con uno scarto estetico, fuori da qualsiasi modello istituzionale, fra adesioni patetiche e distacchi comici. In questo senso si colloca la ricerca di «attori naturali», tipi di italiano che sfuggono alla recitazione impostata o alla corretta dizione linguistica per rappresentare, piuttosto, una sintomatologia dei caratteri nazionali. Uno scarto liberatorio, capace di partire dal prossimo - l'infanzia, l'autobiografismo, il genius loci - per spiazzarne la contiguità e giungere a qualcosa d'inimmaginabile: Sotto le spoglie di ciò che potrebbe apparire quasi uguale, del tutto simile, decisamente adiacente, e senza che ci si accorga di dove passi
un'eventuale frontiera, ecco che qui la vita scivola in maniera discreta verso una cosa completamente diversa 1•
Il cinema di Fellini scansa un'Italia già vista e, senza precauzioni, attraverso lo scarto creativo della sua messa in forma, incontra un paese «inaudito». Spariglia le carte e va alla ricerca di frammenti di italianità attraverso stimati compagni di viaggio, nella passione per aspetti arcaici, sottaciuti, non normalizzati, insomma lontani dalla macchina mitologica della modernità. Ciò che cerco di esplorare nel terzo capitolo, Condivisioni, intrecci, somiglianze. Vista oggi, la filmografia felliniana racconta l'Italia con squarci di rara efficacia storiografica, spesso con una forza maggiore di quella espressa in opere di chiaro impegno politico e marcata rappresentazione sociale. I suoi sguardi sulla provincia italiana del bar e del bordello, dell'avanspettacolo e della vita di quartiere, della famiglia e della sala cinematografica, della piazza e della televisione, della Chiesa e della vita pubblica rinviano al mittente la semplificazione ideologica di molte analisi del passato. Piuttosto, il cinema del regista si sottrae a una serie di luoghi comuni sull'Italia e gli italiani grazie a sguardi carichi di accettazione del paese «così com'è». Con il suo cinema Fellini contribuisce a una rigenerazione del racconto nazionale, uscendo dalla tema primato-decadenza-eccezione propagata da larghi strati del dibattito pubblico. È come xse il regista rivelasse un inconscio italiano inenarrabile, o forse invisibile ai più, anticipando il grande lavoro di revisione storiografica sull'Italia compiuto negli ultimi cinquant'anni, ma ancora non assurto a discorso comune•. Nessun risveglio di coscienze assopite da parte di una élite illuminata emerge dai suoi film (con Steiner che, piuttosto, suicida sé e i suoi figli ne La dolce vita); il supposto primato della Roma imperiale è sbeffeggiato in Satyricon o, nelle sue rievocazioni fasciste, inAmarcord; il senso del mistero, del religioso, sono veicolati da una concezione laica e trans-storica dell'esistenza mentre l'istituzione religiosa rappresenta piuttosto uno spettacolo e, al tempo stesso, una costrizione retorica edificata dagli umani. Gli italiani di Fellini paiono giungere da epoche remote e faglie culturali stratificate, per uscire dalle quali non sono sufficienti i dispositivi immunitari della modernità e la semplice nettezza di un nuovo inizio. Nel quarto capitolo - Spaesati, arcaici, dialettali incrocio i protagonisti di questa Italia vista «dal basso», capace di mandare in tilt rappresentazioni istituzionali e riferimenti ideologici consolidati, per rivedere la supposta estraneità di Fellini al discorso pubblico. Preveggendo l'impossibilità di abitare modelli interpretativi forti mi sembra che i muri, in Fellini, cadano ben prima del 1989. La sua «inaffidabilità», la sua «latitanza» ideologica, risultano quanto mai consone all'introspezione antropologica dei mutanti caratteri dell'italianità, agli ardui assestamenti normativi e valoriali di un popolo avviato a tappe forzate verso l'uniformità e l'esattezza del moderno. Piuttosto, rivendicando la latenza di senso dell'esperienza umana contemporanea, Fellini è in sintonia con un filone importante del pensiero filosofico italiano, la riemergenza dell'origine oscura negli anni di una modernità che vorrebbe rimuoverla3. Per questo penso che attraverso le opere di Fellini sia possibile tracciare un'altra storia d'Italia. Una rappresentazione originale, forse qualcosa di magmatico e laterale alla linea patriottarda della stirpe italica in cui risplende il culto di grandi uomini del passato - Dante, Petrarca, Machiavelli, Mazzini; o in cui s'inscrivono momenti teleologicamente orientati all'idea di unità nazionale, dalla grandezza dell'Impero romano sino alla battaglia di Legnano, alla disfida di Barletta, alla Breccia di Porta Pia; o, ancora, in cui echeggiano narrazioni romantiche - una su tutte: il libro Cuore, scritto da Edmondo De Amicis per inculcare nei giovani le virtù civili e il ricordo del Risorgimento. Quella di Fellini è un'attitudine scettica, in cui la narrazione dell'idea di Italia nasce di sbieco e la cui filogenesi rimanda piuttosto al Decamerone di Boccaccio, all'Orlando Furioso dell'Ariosto, al Pinocchio di Collodi4, a La scienza in cucina e /'.Arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, un testo che, secondo alcuni, riuscì «a creare un codice di identificazione nazionale là dove fallirono gli stilemi e i fonemi manzoniani»S. L'idea di Fellini è quella di una comunità che non necessita di condizioni rigide di appartenenza, dunque di valori nazionalisti. Di più: una comunità in cui l'essere italiano esula da presupposti normativi per abbracciare una moltitudine di possibilità - i popoli e le culture che, nella loro infinita varietà, attraversarono e diedero vita al paese - ma nella singolarità e nella potenza degli individui, nella loro precipua maniera di essere. In una filogenesi artistica aliena alla normatività statutaria delle istituzioni, emerge l'eccentricità di un paese che si vuole europeo ma frequenta ancora le rotte degli antichi dei, fra i ventosi arcipelaghi del Mediterraneo. Prospettiva che cerco di osservare nel quinto capitolo, Politiche della latitanza e introspezione antropologica.
Quella di Fellini è una patria antiretorica, che nulla ha a che fare con lo stato che non funziona, la storia tragica del fascismo o un ingenuo vigore nazionalista; ma che sente la prossimità dell'esperienza comune, vissuta nella quotidianità delle relazioni umane e nella continuità di un afflato artistico plurisecolare: nel sesto capitolo, Una storia di lungo respiro, sfioro una scia di rimandi figurativi che evocano esperienze dei secoli precedenti e investono, fra le altre, l'idea di bottega, l'autorità del principe-produttore, la persistenza delle immagini del passato. Insomma, l'idea del cinema quale arte inscritta nell'Italia del Novecento, ma nutrita di poderosi genni a lei antecedenti. Sostanze sensibili per la mente, attivate nell'infanzia riminese ma fortemente dinami2zate nelle relazioni innescate a Roma, sin dai suoi primi incontri: quello, fondamentale, con Aldo Fabrizi, «maschera» della città eterna che prende in simpatia il giovane provinciale e lo introduce nel mondo del cinema; o quello con Roberto Rossellini, basilare per la crescita del regista riminese coinvolto in capolavori che segneranno la storia del cinema mondiale, da Roma città aperta (1945) a Paisà (1946), da Francesco Giullare di Dio (1950) a Europa 51 (1952). Proprio conPaisà Fellini incrocia un'Italia sconosciuta, viaggia da Sud a Nord in un attraversamento essenziale per la comprensione dei molteplici caratteri del paese: nonché, naturalmente, della capacità rosselliniana di imbastire grande cinema accogliendo l'epifanico, il non sceneggiato. Per Fellini, Rossellini è una sorta di Omero (mentre individua in Chaplin una paternità come quella di Adamo) a cui riconosce l'illuminazione fondamentale: la possibilità di fare cinema liberamente, esprimendo il proprio mondo interiore a contatto con il reale in cui si è Ìnlmersi. O, ancora, il legame di Fellini con sceneggiatori in grado di accompagnarlo nell'attraversamento di alcuni caratteri nazionali: di grande dialettica, ad esempio, il rapporto con Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano, in una sorta di marchio di fabbrica di tutta la prima produzione del regista. O quello con Bernardino Zapponi6, che rafforza l'interesse di Fellini per quel mix culturale, tipico dell'Italia del Boom, fra angosce primitive e attività vitali, fenomeni di costume e malessere epocale, elementi di surrealtà e fratture ancestrali del paese. Da La dolce vita in poi Fellini e il suo cinema diventano paradignla di una modernità stilistica senza pari - ne parlo nel settimo capitolo, Botteghe del moderno - con echi che investono l'intero sistema mediale. Un momento nella storia della nostra cultura capace di scoperchiare l'inconscio italiano, per irrorare esperienze internazionali e nuove avanguardie artistiche. Fellini diviene ricercato ospite di programmi radiofonici e televisivi, assediato dai cinegiornali e dalla carta stampata: ricordo solo la quantità di copertine a lui dedicate sui principali magazine italiani, da «ABc» a «Oggi», da «Le ore» a «Playmen», da «La Domenica del Corriere» a «L'Europeo». Il regista rappresenta un testimone fondamentale del paese in cambiamento, un catalizzatore delle tendenze in atto, laddove alto e basso s'inseguono e si riflettono in una incredibile geminazione mediale7. Mentre scrivo sta giungendo a termine la progettazione del futuro Museo Internazionale Federico Fellini. Collocandosi nel centro storico di Rimini, ospitato nella Rocca dei Malatesta, nel mitico Cinema Fulgore nel percorso urbano che collega le due architetture, il progetto del museo si mnove nell'auspicato rapporto fra centro storico e presenza della città balneare, sfumando quella antinomia che l'opera di Fellini, sin da J vitelloni, aveva evidenziato. Ma come esporre Fellini in un museo? Quale rapporto istituire fra le potenti Ìnlmagini dei suoi film e la miriade di materiali cbe «circondano» il suo cinema? Quale l'equilibrio fra percorsi didattici, di avvicinamento al grande regista, e pratiche curatoriali in grado d'innescare ulteriori cristalli di memoria e di conoscenza?• Si tratta di quesiti aperti, cbe ci stanno accompagnando nel tentativo di valorizzare i fondi documentali custoditi alla Cineteca di Rimini (e in altre istituzioni della conservazione cinetecaria) con la reinvenzione multimediale, e interattiva, del cinema di Fellini9. All'esposizione di oggetti materiali - dai costumi di scena al Libro dei sogni, degli appunti musicali di Nino Rota alle sceneggiature originali, dai materiali non fiction a estratti dei film di Fellini... - si tratta di associare momenti interpretativi, in un percorso espositivo capace di sollecitare evocazioni e nuove costruzioni di senso.
Anche perché se oggi ci sembra normale vivere l'esperienza del film all'interno dei musei e delle gallerie d'arte, il processo di rilocazione delle immagini cinematografiche porta con sé alcuni dubbi e diversi fraintendimenti 10 • Certo, il cinema che diviene «arte fuori di sé» come recitava il titolo di una acuta riflessione del compianto Paolo Rosa - contribuisce alla moltiplicazione di esperienze Ìnlmersive, a nuovi percorsi emozionali capaci di disincagliare il sentire e innescare altre dimensioni rituali11 • Ma in luoglii in cui lo spettatore abbandona la tradizionale postura di sala pnò davvero divenire «spett-autore»? Può attivare potenziali rielaborativi del cinema finora inespressi? Penso che si tratti di operazioni concettuali ormai fondamentali, sia per il cinema che per l'arte contemporanea: forze propulsive capaci di sottrarre le immagini a una storia lineare, o a una semplice prospettiva documentale, per una riflessione senza pregiudizi sulla complessità dell'esperienza estetica. Grazie alle crescenti pratiche del riuso emerge un aspetto essenziale del rapporto fra museo e documentarietà in quella lotta fra senso configurato e senso incerto, in cui le immagini «liberate» consentono originali percorsi interpretativi. Correre il rischio di rivisitare le Ìnlmagini della «forma grande» felliniana può condurci oggi a più calibrate analisi sulla loro origine e sul loro significato, ai modi in cui esse si svilupparono e continuano a propagarsi, al va et vien di prestiti, debiti, sollecitazioni fra Fellini e l'Italia che stava attraversando. Si tratta di un intreccio fluttuante, in cui la modernità di Fellini si situa proprio nella ininterrotta vibrazione iconica con cui i suoi film hanno reinventato la complessità della società italiana, sollevandone aspetti dell'inconscio profondo. Laddove paiono emergere lotte, valori, desideri, atteggiamenti, norme non scritte - alfine, categorie della vita stessa in risonanza con le forme originarie di quei tanti modi di essere italiani, Fellini è stato rappresentante assoluto, in uno shock estetico che ci ha allenato alla complessità del mondo, alla sua mescolanza, alla sua magica impurezza. Ringrazio sentitamente David Forgacs, Gianfranco Miro Gori e Daniela Sacco per la rilettura e i preziosi consigli. Anna Villari, Leonardo Sangiorgi, Studio Azzurro e tutti i colleghi al lavoro alla progettazione del Museo Internazionale Federico Fellini che, anche inconsapevolmente, hanno sollecitato riflessioni originali e momenti d'incontro che non scorderò mai. Marco Leonetti e Nicola Bassano, impavidi condottieri della Cineteca del Comune di Rimini e dei Fondi Fellini, per la preziosa disponibilità. Emilio Sala e Giorgio Fabbri Casadei per le suggestioni musicali. Il mio omonimo Marco Bertozzi per alcune utili indicazioni bibliografiche. E, infine, Ermanno Cavazzoni e Francesca Fabbri Fellini per la trascinante forza dei loro ricordi felliniani. Dedico questo libro a Paolo Fabbri.
1 F.
Jullien, L'apparizione dell'altro. Lo scarto e l'incontro, Milano, Feltrinelli, 2020,
p. 13. 2
Ricordo il fondamenta]e lavoro di R.. Romano e C. Vivanti (a cura di), Storia
d'Italia, 6 voll, Torino1 Einaudi, 1972-1976; l'opera di G. Galasso, L'Italia come problema storiografico, Torino, Utet, 19n; la recente curatela di F. Benigno e I. Mineo, L'Italia come storia. Primat.o, decadenza, eccezione, Roma, Viella,
2020.
3
Per questa prospettiva rinvio a R. Esposito, Pensi.ero 1.Ji1.Jente. Origine e attualità dellafil.osofia italiana, Torino, Einaudi, 2010. 4 Evocato proprio nella lettera di rinuncia della laurea ad lw,wrem propostagli dal Rettore dell'Università di Bologna - «mi sento come Pinocchio decorato dal Preside e dai Carabinieri per essersi divertito nel Paese dei Balocchi» - Pinocchio è rimasto un film nel cassetto. Cfr. lettera di Federico Fellini a Fabio Roversi Monaco, Rettore
dell'Università d1 Bologna, 8 febbraio 1993s P. Artusi, La scienza in cucina e l~rte di mangiar bene, introduzione e note di P. Camporesi, Torino, Einaud11 1970, p. XVI. 6 Legame scaturito dall'illuminazione del regista alla lettura di Global, libro scritto da Zapponi e pubblicato da Longanesi nel 1967. 7 Molti di questi magazine sono conservati nel Fondo Federico Fellini, alla Cineteca del Comune di Rimini. Cito un numero di «ABC», che titola Le orge di Fellini (e subito sotto «È fatta: avremo il divorzio»); «Sorrisi e canzoni 1V» 1 con in copertina Le donne di Fellini; «L'Europeo», con il regista ripreso nel traffico della celebre strada1 Feder1.co Fellini presenta la storia di Via Veneto; ~Epoca», che si sbilancia con npiù grande film di Fellini. 8 Fra le tante esposizioni degli ultimi anni ricordo «Labirinto Fellini», una produzione della Cineteca di Bologna realizzata in due parti: Invenzioni, curata da D. Ferretti e F. Loschiavo, e La grande parata. curata da S. Stourdzé, Macro Testaccia, Roma. 30 ottobre 2010-30 gennaio 2011; «Fellini 100. Genio immortale». curata da A. Villari, L. Sangiorgi e lo scrivente, per Studio Azzurro, Rimini, Castel Sismondo, 14 dicembre 2019-13 aprile 2020 (sospesa a inizio marzo 2020 per emergenza Covid-19). 9 Il raggruppamento vincitore del concorso internazionale è composto da quattordici soggetti, fra i quali: «Lumiere & Co» di Lionello Cerri, Anteo e Studio Azzurro di Milano, Orazio Carpenzano dell'Università La Sapienza di Roma, Anna Villari, museologa, Federico Bassi, esperto di attività circensi, Tommaso Pallaria, architetto, lo scrivente, in qualità di esperto felliniano. 10 Cfr. F. Casetti, La galassia Lumière. Sette parole chiave per il cinema che viene, Milano, Bompiani, 2015. 11 A. Balzola, P. Rosa, L'arte fuori di sé, Milano, Feltrinelli. 2011.
1.
L'INQUIETO SENTIMENTO DEL BORGO
Parto dalle sue città, Rimini e Roma, all'intersezione di una dialettica fondante l'estetica di Fellini, il rapporto fra locale e universale. Due ]uoghi non indifferenti, che esprimono un'antinomia gravida di scelte (restare/partire) e una appartenema molteplice, carica di risvolti psicologici. L'artista, o l'intellettuale, che lascia la provincia per immergersi nella temperie della capitale vive una
titanica mediazione tra persistenze sentimentali e fughe metropolitane, in un processo negoziale di forti tensioni
antropologi.che. Una opposizione feconda, «un dato strntturale dell'immaginario italiano, in bilico fra mitologie universali - la Chiesa, l'impero romano - e iperlocali (la costellazione dei comuni, le forti identità e appartenenze regionali)». Secondo Andrea Minuz, autore di un'importante ricerca sul Fellini politico, l'universalità delle creazioni visive felliniane intreccia cioè « in modo sistematico il particolarismo di un patrimonio ancestrale. Un patrimonio che, come sulla scia di un sortilegio, sembra evocato dalle profondità dell'inconscio italiano»'. Coinvolte nelle turboleozP deUa 11uova messa in forma, Roma e Rimini - ma, per altri rivoli, anche città come Venezia. Montecatini o Reggiolo - attivano inediti immaginari urbani. In questo senso, quella di Fellini è un'arte che ricostruisce l'Italia delle cento città e dei mille campanili, per divenirne simbolo pulsante, racconto corale agli occhi della comunità internazionale.
IL SENSO DELLA «CIVITAS»
nlegame di Fellini con Rimini non attiene banalmente alla definizione del luogo natale. Il regista in erba non può fare a meno di interiorizz.are l'ambiente che lo circonda, quella città gli entra nel corpo, in una naturale trasfusione paesaggistica. Come un bambino apprende la lingua madre, Fellini impara ad apprezzare quelle commistiolÙ di mare e di campagna, di città storica e di wnanità antica che contraddistinguono la sua crescita e che troveremo disseminate in quasi tutti i suoi film. Il regista nasce nel 1920, quando la città è lanciata nel mercato internazionale della vacanza attraverso film come La città di Rimini (Ambrosia, 1912) o Rimini l'Ostenda d'Italia (Luca Comerio, 1913)2 , e ricuce la sua immagine postbellica attraverso un fuoco di fila mediatico fatto di cartoline, manifesti, concorsi sportivi, periodici vacanzieri e, appunto, film. Mentre Fellini, al Cinema Fulgor, ammira Maciste all'inferno (Guido Brignone, 1926) sulle ginocchia del padre, la città sviluppa la sua vocazione turistica. Ai paesaggi tradizionali di una Romagna antica, in un borgo in cui si sente ancora l'odore della campagna vicina e il profumo della piada, si associa l'energico rinnovarsi della stagione baJneare. Una frenesia, 'Wl affaccendarsi, 'Wl abbellire - spesso con materiali poveri, cannicciati, tende, sipari - che ricorda le precarie costruzioni di villaggi circensi: d'altronde, proprio nelle baracche vanno a vivere i riminesi che affittano le loro case ai villeggianti e il grand barnum di spettacoli, concerti, eventi pirotecnici è confennato dalle cronache del tempo, su testate come «La ve1a», «Il corriere dei bagni», «Il goliardo a mare», «La guida de] bagnante», «Il coniere del mare», «Allegre giomate»3. Sono gli anni in cui un anonimo giornalista de «Il Popolo di Romagna» auspica una superproduzione cinematografica che possa fare incontrare due protagonisti. nell'hall del Grand Hotel, li faccia hallare al Kursaal, passeggiare per i viali dello StabHimento, fare i bagni vicino alla Piattaforma, far l'amore dietro i nuovi capanni municipali. sposarsi a San Marino, ecc. .. Colla enorme diffusione odie:rna del cinematografo non vi è forse mezzo di réclame più efficace, e oggi che il cinema italiano rinasce
(abblamovistovarl lavori del Genina realmente belli), Rimini potrebbe giovarsi di questo mezzo nuovo e originale per farsi della pubblicità4.
Rilnini et sa magnifiqu.e plage non è una superproduzione, ma sembra guidato dagli stessi intenti: si tratta di un documentario realizzato fra fine anni venti e inizio anni trenta, assemblando riprese originali e sequenze di cinegiornali Luce girati in riviera. Il film evoca un luogo di sogno - con riprese aeree che inquadrano il Grand-Hotel, il Kursaal, il lungomare, la spiaggia - una città-palcoscenico dove i piaceri deJlo spirito si accompagnano a quelli del corpos. La crescita di Fellini avviene in questa città, una Rimini nella quale una più ampia libertà di costumi introduce wi'attitudine che si potrebbe deftn1re «teatrale», In cui tutti, davvero tnttl, volenti o nolenti, consapevoli o no, sono attori e spettatori allo stesso tempo. È proprio su questo suo aspetto spettacolare, performativo, che si
registranr..> cambiamenti storici importanti da1 punto di vista del comporta.mento e de] contegno6.
Una spettacolarizzazione del vivere urbano che sembra nutrire i desideri e le fantasie estetico-erotiche di Fellini e dei suoi anùci adolescenti, nelle loro fughe da] centro città alla marina, verso il Grand Hotel. Sia in estate, per scrutare i rituali del bel vivere e della seduzione, sia in inverno, con le porte sbarrate e i ventosi fantasmi della stagione passata. Un Grand Hotel reale, edificato nel 1908 dalla SMARA (Società Milanese Alberghi Ristoranti e.Affini)7 per lanciare Rimini nel mercato europeo della vacanza e, al contempo, un Grand Hotel immaginario, arredato da Fellini inAmarcord con i sogni di modernità che affollano i desideri degli italiani di quegli anni8 • Le tracce di quell'imprinting brillano quali cristalli di una memoria costantemente rielaborata: ecco il mostro marino pescato sulla spiaggi.a di Rimini nel 1934, immortalato sulle pagine de «La Domenica del Corriere» da Achille Beltrame, che torna nel finale de La dolce vita; ecco 'fitta e i suoi amici danzare nella nebbia, fra le foglie secche, sulla deserta terrazza invernale del Grand Hotel ricostruita inAmarcord; o, ancora. l'esplosione dei botti creati con lo zolfo che scendeva dalle miniere di Perticara, giù, sino alla stazione vicino all'anfiteatro romano, che Fe1lini rievoca nella scena della «fogheraccia», all'inizio diAmaroord. II regista pesca liberamente da quella età in cui i oonfuù fra immaginazione e realtà sono ancora esili, separati da una membrana porosa, soggetti u osmosi fra diversi livelli di realtà e molteplici urgenze espressive. Sono gli anni in cui il giovane si nutre indistintamente di Dante o dei fumetti: del primo ricorda la forza evocativa della storia di Francesca da Rimini, Lanciotto da Polenta e il fratello Paolo: ho capito che tutto nella vita, anche la banale storia di Wl adulterio provinciale, può diventare sublime se sappia.mo raccontar]a in un certo
modo, in una certa lingua. È DaDte che mi ha fatto riflettere per primo a questa parola astratta, tanto abusata, che amiamo scrivere con una
maiuscol.a: Arte9.
Ma i fumetti sono la sua vera, fantastica ossessione, e l'arrivo domenicale de «Il corriere dei piccoli» costituisce il nutrimento della sua passione per il disegno, per g]i aspetti caricaturali e ironici nello schizzare un personaggio, per l'importanza dell'idea di «messa in quadro» all'interno di una cornice: ciò che osserviamo sin dai suoi ritratti dei divi americani visti al Fulgor, o nei primi lavori inviati al «420». Anche con il disegno Fellini contribuisce a ridefinire le mura civiche e antropologiche della sua città, con raffigurazioni del popolare Casino o de Il porto, de] Venditore di c:anocchie o della Saraghina. Una autobiografia emozionale che Fellini edifica e smorza, costruisce e allontana: «Consegnandoli al pubblico li ho cancellati, i miei ricordi, e poi non so più distinguere quello che è veramente accaduto da ciò che mi sono inventato» 10• Intanto i cinegiornali prodotti dal LUCE tratteggiano una Rimini che al divertimento associa la retorica del fascismo, con i miti del corpo e la solerzia realizzativa di infrastrutture pubbliche. Negli anni trenta la città è scolpita da ritualità legate al tempo del non lavoro, in un orizzonte simbolico in cui la sua immagine si definisce staccandosi dalla Romagna contadina, assumendo i contorni della città della vacanza e delle liturgie fasciste legate agli orizzonti marziali dello sport e della salute11• Titoli come Mussolini inaugura la colonia novarese di Miramare (1934), Spiagge italiane. Scene di vita balneare sulla ridente spiaggia di Rimini (1934), Visita di. Mussolini alln colonia marina per ifa.nciulli della provincia di Reggio Emilia a Miramare sull'Adriatico (1934) sPgnano la nuova immagine di Rimini e, al contempo, definiscono uno stile ripreso da Fellini in alcune scene dei suoi film, quando il pubblico rumoreggiante al cinema Fulgor deve sorbirsi l'enfasi di regime dei cinegiorna1i Per un giovane negato in ginnastica e in cultura nu1itare, distante dallo stereotipo del romagnolo ascellare propagato dal Duce e sarcastico sabotatore dei più tronfi rituali del Ventennio, si consolida un'attitudine critica che esploderà nell'originale capacità di raccontare il fascismo quotidiano, scardinando parole d'ordine e appartenenze politiche precostituite12• Certo, su quei primi diciotto anni della sua vita si concentrano racconti fondativi e molte pubblicazioni tentano d'individuarne i caratteri originari. Decine di monografie dedicano i primi capitoli agli anni riminesi del regista, per tratteggiare una mitografia a cavallo fra l'invenzione bella e buona - la fuga di Fellini bambino con il circo Pierino-, il ricordo verosimile - le marachelle con Titta e gli altri amici-, 1a narrazione consapevole - la collaborazione con l'amico Demos Bollini, con il quale apre una bottega in cui realizza ritratti di divi e di gente comune13. In questo magma editoriale sull'imprinting del Fellini riminese il testo più citato è n 1nio paese, un racconto autobiografico terminato dopo il suo ricovero in clinica, a Roma, mentre stava preparando il «maledetto» Viaggio di Mastorna. Il mio paese appare per la prima volta nel volume La 1nia Rimini, curato da Renzo Renzi ed edito da Cappelli nel 196~. Si tratta di un testo fondamentale per l'espansione del rapporto fra Rimini e Fellini, memorie raccolte nel corso di varie interviste e rimesse in forma da Renzi stesso per l'approvazione finale del regista. Tradotto in varie lingue, codifica una poetica della memoria legata alla città dell'infanzia e della giovinezza, consegnandone il racconto agli orizzonti più profondi dell'inconscio collettivo: sino alla partenza per Roma, nel 1939, in quell'atto che ciclicamente ritorna - da I Vitelloni a Roma, sino a Intervista (1987) - e che Fellini vive come cesura necessaria, simbolicamente potente e ricca di potP.nzialità creative. C'è una fotografia che voglio ricordare: Fellini è con gli amici Titta Benzi, Mario Montanari e Luigino Dolci, ai Giardini della Montagnola di Bologna. È 1'8 gennaio 1939 e gli amici riminesi lo hanno acoompagnato a Bologna, dove Federico avrebbe preso il treno per Roma, in una specie di dissolvenza incrociata fra gli anni della giovinezza e le aspettati.ve della sua «seconda vita»'-5, Sono tutti eleganti, Fellini veste un trench e indossa una cravatta a farfalla, ma è l'unico senza cappello. Non sa che nel prossimo viaggio di ritorno vedrà Rimini annientata, con le macerie ancora per strada, distrutta da trecentonovantasei bombardamenti: una lacerazione profonda che resterà impossibile da raccontare, ma rafforzerà il senso di distacco dagli oITori e dagli immaginari politici del Ventennio. A1l'attenzione per le appartenenze primigenie di Fellini si erano già dedicati altri, fra i quali Sergio Zavoli, con un documentario che cercava di collocare il regista nel contesto storico della Rimini degli anni venti e trenta. Zauoli racconta Fellini, prodotto dalla RAI nel 1964, costituisce un atto importante di quello scandaglio antropologico che attraversa le origini della poetica felliniana. Zavoli, anch'egli romagnolo e, come Fellini, emigrato a Roma, va alla ricerca di un genius loci. in grado di definire gli orizzonti culturali dell'estetica felliniana. Attraverso panoramiche sulla città, interviste ai vecchi amici, come l'avvocato Titta Benzi, testimonianze del preside del liceo frequentato dal regista o della madre di Fellini stesso, Ze.voli cerca d'individuare atteggiamenti e norme non scritte della «riminesità». Una lettura appassionante della città che porterà Zavoli a scrivere Romanm., altro «8Ill8l'Cord» riminese ricro di richiami felliniani, con forti analogie nel racconto dei cortei fascisti, ne1l'episodio del grande pesce arenatosi sulla spiaggia o, ancora, nella mancata citazione diretta di un luogo, Rinùni, evidentemente alla base delle evocazioni di Zavoli16•
FRAMMENTI URRANI, CORPI MONDANI
Con I uitelloni Rimini è per la prima volta al centro della narrazione. Siamo nel 1953 e dopo lo scarso successo commerciale de Lo sceicco bianco Fellini inaugura quel filone di ricostruzione della sua giovinezza che lo porterà a grandi successi di pubblico (J uitelloni si colloca al primo posto per incassi de] cinema italiano nella stagione 1953-54). Ma se i fatti, le evocazioni, i personaggi, la divaricazione fra
città di mare e centro storico sono inequivocabilmente riminesi, ]'ambientazione reale è altrove. È la città di Ostia, con altre location vicino a Roma, ad accog]iere le gesta di protagonisti segnati dall'illusione de1la conquista facile e dalla mancata assunzione di responsabilità. Rimini diviene per Fellini uno spazio mentale fluido, in continua rielaborazione: una genesi creativa che evidenzia alla perlezione il dilemma e le posSiòilità della rappresentazione urbana al cinema17, laddove pratiche testimoniali si confrontano con poetiche finzionali e immaginative (in cui forte è la volontà di fare emergere verità più profonde attraverso la menzogna filmica). Nel vitelloni la Rimini edificata da Fellini è soprattutto quella de] centro storico, la città millenaria fondata dagli antichi romani: mentre il mare resta un orizzonte misterioso, dove i «vitelloni» passeggiano d'inverno, inventandosi sfide assurde e bighellonando nelle giornate uggiose. Ricco di evocazioni è il rapporto di Fellini con il mare: nulla di turistico, di ginnico, di solare, quanto una specie di algoso brodo in continua ebollizione. Questo mare, lo sai, lo amo con passione! È emozi.ODante e misterioso, traditore e accogliente, non possiamo fidarci di lnl neanche per un seeondo e. nonostante ciò, troppo spesso gli diamo cieca confidenza. È un mare fernml-.::ia. Più forte degli ,,omini clte lo attraversano. Più forte delle ]oro diffidenze. In tutti i miei film il mare Adriatico è là, presente18.
Un immaginario evocato anche attraverso l'esperienza onirica: «Stanotte ho sognato il porto di Rimini che si apriva sopra un mare gonfio, verde, minaccioso come una prateria mobile, sulla quale correvano nuvoloni carichi, verso terra. Io ero gigantesco e nuotavo per guadagnare il mare, partendo dal porto, che era piccolo, angusto» 19. Un mare denso di accenti extra-naturalistici, che rimanda a quello in plastica diAmarcm-d, o di E 1.a naue va (1983). Un orizzonte lontano, nella divaricazione tra la Rimini invernale, del centro storico, e la nuova città balneare. Renzo Renzi ricorda che questo dato del mare è forse il più illuminante di tutti perché ci dice implicitamente che, se Fellini si avvicina con la sua opera a] genfus foci, ebbene questo carattere di fondo riminese noo. è marinaro, ma contadino [... ] È, infatti, il contadino dell'entroterra che vede il mare oome il paesaggio impraticabile dal quale giungevano, fino all'Ottocento, le scorrerie dei pirati turcheschl, così sugg:erendo appunto le immagirù di una dimensione del mistero e della minaccia2°.
Un'amplificazione dei modi di pensare Rimini ben evidenziata da Renzi: al centro storico, alla città estiva, al mare d'inverno, è necessario aggimgere clementi della Romagna contadina, quelli di una campagna cosi prossùna, pressoché interna, alle mura della città. Quel mare visto da terra, tùteriormente espresso dalla poetica e dai contributi di Tonino Guerra, grande collaboratore di Fellini~.11. Le molteplici apparizioni del mare contraddistinguono il cinema di Fellini e segnano UD'appartenenza peninsulare Renza scampo. Sul mare dell'infanzia, temuto, bramato, rifiutato nei suoi VBlori vacanzieri o ginnico sportivi, esaltato piuttosto per il suo mistero, si affacciano ora le passeggiate invernali del Vitelloni. A venire, il mare accompagnerà il pianto disperato di Zampanò nella spiaggia de La strada; il finale de La dolce vita, con il pese@ gigante spiaggiato e la sordità di Marcello innanzi all'apparizione della ragazzjna-angelo; ]'iniziazione sessuale che la gigantessa Saraghina offce ai giovanetti fuggiti dal collegi.o dei Salesiani, in 8 1h; in molte sequenze di Amarco1-d- dall'arrivo delle «manine» al passaggio del Rex; nei bambini che spiano la bagnante in cabina ne La città delle donne; in tante seqnen7.e di E la nave va. Mare ormai di plastica, lontano àaila sua rappresentazione realistica, capace di evocare aspetti placentari, simbolo stesso deUa vita, richiamo aJla grande madre mediterranea. Ma vorrei tornare alla categoria del «vitellone» per seguirla nel paesaggio ambientale di una Rimilli irriconoscibile, edificata in fretta
e furia negli anni della ricostruzione post-bellica: una metropoli balneare in cui, senza soluzione di continuità, si susseguono alberghi, dancing, negozi, pizzerie, ge1aterie. In quel «borgo», Fellini ricorda una umarùtà venuta da tutte le parti del mondo, con facce gialle, rosse, verdi, illuminate dalle insegne, a comprare gelati imbellettati, pesce che viene dalla Spagna, piue fatte male; gente che non donne mai perché hanno il juke-box persino sotto il letto. [ ...] Minghirù, con gli occhi lucidi di
soddisfazione diceva: "Tu sei andato a Roma, ma qua..• " Aveva ragione. lo mi sentivo straniero, defraudato, rim.picciolita22 •
Un passaggio epocale in cui l'indole di una precisa generazione che godeva ancora di alcune libertà «primitive», quasi animalesche subisce un processo di adattamento forzato, con costi umani che si sarebbero visti solo successivamente: e che Fellini avrebbe illustrato nei suoi fihn degli anni ottanta. Sulle promesse di quell'avvenire sereno, lindo, industrialmente asettico, banno scritto in tanti, in un'opera di resIBtenz.a civile e poetica progressivamente rivalutata. Qui ricordo solo che i caratteri di quella mutazione antropologi.ca e ambientale vengono osservati anche da un altro migrante romagnolo, il poeta Paolo Pagliarani, che da Milano racconta di un paese natale ormai scomparso: «Adesso non c'è più soluzione di continuità tra Rimini e VISerba, è tutto un Rimini nord, tutto alberghi e pensioni, una wna balneare un po' più popolare di Rimini centro, con ignoranza e presunzione rubiconde di benessere» 2 a. n «vitellone» attraversa l'esuberanza ài questa nuova Rimini, ma assume ben presto un valore nazionale, arrivando 8 definire un certo tipo di «maschio italiano», conosciuto in tutto il mondo. Un tipo da bar, abituato a perdere tempo al biliardo e a rivendicare le proprie gesta sessuali in forme auto-promozionali e spesso triviali. Eppure il termine è orgogliosamente difeso da Fellilli innanzi a chi, ritenendolo inadeguato, propone di cambiare il titolo del film: in Italia la società dmnbutrice non voleva questo titolo perché lo considerava stravagante. C'era il tentativo di suggerire un giudizio moralistico, volevann cbiam'lI'lo I vagabondi, Ifo:n.mdloni, I buoni a
nuUa, tutta una serie di titoli che tendevano a esprimere un giudizio moralistico sui personaggi. Ma io mi sono opposto ed è rimasto!
vitelloni. Anche in Francia è uscito con Le,,; inuhTus ma poi Stornato il titolo originale24.
Intanto la mascolinità de1 «vitellone» è in espansione e negli anni sessanta si allarga a palcoscenici inte111azionali, con riviste come «King Cinemonde» o «Cinesex», prodighe nell'offrire una rete di informazioni, cataloghi in super8, e conispondell7.e con la Svezia, l'Inghilterra, i paesi scandinavi conosciuti attraverso le conquiste estive. Un'espansione libertaria che gode, paradossahnente, di un ulteriore tassello mediatico: l'educazione culturale di cinegiornali che, uscendo dai doveri della cronaca spicciola, àisseminano un gusto del piccante attraverso «innocue» considerazioni di costwne. Si tratta di un format capace di elaborare i frutti ài un conservatorismo ancora
diffuso e rappresentare ulteriori condensazioni immaginifiche nel rapporto fra Fellini, la città natale e la Romagna. Lo vediamo, ad esempio, ne «La Settimana lncom» 1143, del 9 settembre 19542 s, in cui «brillano» le partecipanti al concorso di Miss Italia e Miss Cinema tenuto al Grand Hotel di Rimini, al termine de1 Festival di Venezia (dove è stato appena presentato La strada). O, in trasferta nella vicina Repubblica di San Marino, nel «Settimanale Ciak» 517, del 13 novembre 195826, in cui la voice over ricorda che «per il cinema, il premio è andato a Federico Fellini, il regista che vince UD premio al • giorno». Intanto l'attrazione del cinema per la Rimini balneare e la sua fauna umana emerge in una serie di :film-inchiesta (I noovi angeli, 1961, di Ugo Gregoretti), COIWlledie (La parmigiana, 1963, di Antonio Pietrange1i o L'ombrellone, 1965, di Dino Risi), melodrammi. politicogiovanilistici (Pronto ... c'è una certa Giuliana per te, 1967, di Massimo Franciosa); capolavori di Valerio Zudini (Estate violenta,1959, La ragazza con 1.a valigia, 1960, La prima notte di quiete, 1972), in un'espansione mediatica alla quale contribuiscono
anche forme di cinema amatoriale. Ricordo le cronache visive di Davide Minghini, amico di Fellini e fotografo del quotidiano «n Resto del Carlino», che con la sua 16 mm racconta la città e i suoi riti, dalle cresime ai carnevali, dalle tempeste in spiaggia alle gare motociclistiche, dai voli in elicottero sino aJle elezioni delle «miss» e aJla nascita dell'icona architettonica per eccellenza, il grattacielo di Rimini. Un cine-fuoco di fila amplificato dalla messe di documentari promossi dalla Azienda di Soggiorno della Provincia di Forli, con edizioni in lingua inglese, francese, tedesca, in cui la Riviera di Rimini diviene l'estivo bengodi per milioni di turisti: fihn promozionali come Arrivederci a Rimini (Stefano Silvestrini), Estate sull'Adriatico (Giorgio Majoli), Sommer an der Adria (Vincenzo Giampieri), Italien Adria (un vero e proprio spot per il mercato tedesco), Rimini (Luciano Vittori, in inglese), nei quali la voice over guida lo spettatore in strutture narrative sulla vita del vacanziere stesso, consumato attore di varie location. Un immaginario esaltato da ulteriori «registi sociali», le migliaia di padri di famiglia che azionano la loro carnera amatoriale per riprendere rituali di soggiorno in albergo, vita di spiaggia, parchi giochi, dancing dove si esibiscono cocktail vocalist come Silvio Berlusconi o Fred Buscaglione27. Forse proprio per questa sovraesposizione mediatica Fellini non torna volentieri a Rimini: ha una sorta di blocco, preferisce immaginarla com'era prima della gueITa, in una dimensione della memoria antecedente l'esuberanza della nuova metropoli balneare. E solo per l'insistenza con cui gli runici cari si fanno vivi, Titta Benzi su tutti, accetta di tornarci per ricevere la massima onorificenr.a della città, il Sigismondo d'oro, nel 1963: a patto che si tratti di una tavolata in compagnia, alla Grotta Rossa, senza troppi doveri istituzionali28 •
MESCOLANZE DELLA MEMORIA
Il percorso nella memoria inaugurato con la partenza di Moraldo ne 1 Vitelloni, ripreso nelle affettuose pratiche casalinghe dalla nonna in 8 ½ (1963), rivisitato coi circensi nel paese de I clowns (1970), sviluppato, in Ro1na, con gli sco]aretti che attraversano il Rubicone, diviene finalmente esplicito inAmarcord. Qui l'album di rimembranze abbraccia affettuosamente gli abitanti di Rimini, osservati nell'arco di un anno di vita. n borgo - titolo del primo copione - era emerso dopo l'idea de L'uomo invaso; quindi Fellini pensò a Romagna, per approdare infine, dopo una versione con la h e ]a doppia m (Hammaroord), adAmarcord (da «a m'arcord», mi ricordo), scelto per la sua misteriosità cabalistica e per la curiosa assonanza musicale con il celebre «Amaro Cora)!,. Anche per Amarco1-d nessuna scena viene girata a Rimini, il film nasce a Cinecittà e, per le scene dal vero, sulla costa lazia1e. Que1la di Fellini è un'evocazione di aha creatività, ma basata su ricognizioni urbane
precise: è Davide Minghini, citato amico del regista, che realizza una campagna fotografica in città, riprende decine di volti e di luoghi riminesi, scatti che serviranno a Fe1lini per scegliere le comparse e a Danilo Donati per la ricostruzione delle scenografie a Cinecittà29. In Amarcord si riconoscono chiaramente il corso di Rimini con il cinema Fulgor, piazza Giulio Cesare (l'attuale piazza Tre Martiri), la Fontana
della Pigna e piazza Cavour, il Grand Hotel, il porto e il lungomare. Topografie di una realtà d.ecostruita., in qualche modo metafisica, che acquista corporalità con le prime indicazioni offerteci dall'avvocato narratore: «La nascita di questo paese si perde nella notte dei tempi. Comunque, la prima data certa è il 268 a. C., quando diviene colonia romana e punto di partenza della vi.a Emilia».
Reinventando il suo borgo natale FeUini assurge alla progettuale visionarietà dei grandi costruttori di forme: grazie al successo internazionale del film, diventa un «architetto» capace di incidere non solo sugli immagmari di milioni di spettatori, ma anche sulla stessa città di pietra. C.Ome accade al Borgo San Giu1iano di Rimini,
1'antioo borgo dei pescatori mai ritratto nei film di Fellini ma arricchitosi, negli ultimi anni, di murales rea1izzati da pittori locali, con scene tratte da Lo. dolce vita, Amarcord, La voce della luna (1990). Apprezzati soprattutto durante l'affollatissima Festa del Borgo, sembrano onnai rappresentare la vera anima riminese, icone naif attorno alle quali pare vibrare un rinnovato senso della civitas. Auche i trenini per turisti che ora attraversano il Borgo San Giuliano - sino a pochi anni fa considerato un quartiere degradato3° descrivono il borgo come «autentico» luogo natale di Fellini. Nulla di più falso, nulla di più vero: un quartiere quasi abbandonato, dove abitavano i matti e i poveracci di Rimini, rinasce oggi grazie alle evocazioni di un «gran bugiardo». D'altronde, grazie a Fellini, altri aspetti della sua città natale assurgono a nuova vita, e pulsano in una dimensione internaz.i.onale. Penso al cinema Fulgor: dal diffuso scinbllio semantico della parola, dall'idea di folgore, di bagliore improvviso, primigenia nomazione della sala riminese in anni di esaltazione della «fata elettricità», si passa oggi - dopo il restauro :finnato dal Premio Oscar Dante Ferretti - all'idea della sala cinematografica per antonomasia, la «sala delle sale», queUa di FeUini e di un Cinema che non c'è più, ma del quale riconosciamo passate glorie e attuali noSW]g)P., In un immaginario felliniano reinventato, il restauro del Fulgor ci consegna una sala che non è mai esistita ma che, grazie a evocazioni stilistiche in bilico fra Art Nouveau e reminiscenze hollywoodiane, sembra rappresentare al meglio il periodo aureo del grande cinema. Oppure penso al mitico Grand Hotel, che dopo il successo diAmarcord diviene uno degli hotel più celebri, e celebrati, al mondo. O, ancora, a creazioni antropologi.che come l'enorme Saraghi o a, «Ur-donna uni.ca» secondo l'espressione coniata da Paolo Fabbri, oornparabile alle raffigurazioni erotiche pica.ssiane o alla dirompente .sessualità di Brunelda, l'ex cantante litica de l'America di Kafka, in una condensazione figurativa che dal mondo dell'arte investe ]a cultura di m.assal1• Un processo di definizione ed espansione che investe altri personaggi diAmarcordJo zio matto, Titta, la Gradisca ... - divenuti caratteri di un repertorio universale dell'umanità .svincolato da quella provincia dell'anima che pareva doverli custodire per sempre. C.On analoga empatia e capacità di osservarne tratti dilungo periodo, è come se Fellini avesse rielaborato quella società provinciale italiana descritta da Leopardi nel suo celebre Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl7taliani - una società fatta di piccoli centri e consorzi umani scarsamente interessati a uno sviluppo collettivo- per offrirne, congiuntamente, una critica e una comprensione più vaste32 • Ma Rimini emerge anche in modo indiretto, attraverso un'attività onirica finalmente disponibile grazie alla pubblicazione dell'incredibile Libro dei sogni di Fellini33: una cosmografia personale nella quale la città risulta fra le ossessioni ricorrenti. Penso al sogno del 20 febbraio 1961, in cui il regista è in un locale assordante, pieno di gente del cinema, ed è chiamato dalla cassiera a rispondere al telefono: «La chiamano da Rimini»; ma dall'altro lato il vuoto, nessuno risponde. O a quello del 7 ottobre 1961: «Sul portone della casa di via Clementini a Rimini (è la casa dove ho abitato da ragazzo) incontro Luigino Dolci (mio vecchio runico, compagno di scuola... )». C'.ome al sogno del 16 luglio 1965, «V1Sione ipnagogica», in cui una donna investita da un camioncino carico di frutta in prossimità di Rimini induce Fellini a chiedersi: «è una visione che anticipa il fallimento della manifestazione che Rimini voleva fare in mio onore?», O, per finire, ai numerosi sogni in cui nuota nel porto della città: oltre a quello già evocato, il sogno del 12 novembre 1966 o quello del 25 giugno 1974, al quale è associata la frase: «Sono io il capitano di que.sto piccolo piroscafo così piccolo, buio e attraccato dalla parte del mare aperto? È notte fonda. Il mare gonfio livido. Si deve partire?». Si tratta di anamnesi che sembrano rinviare ad alcune sequenze di E la nave va (1982), o alla epifanica apparizione del Rex fra onde finte diAmarcord: figurazioni capaci di rappresentare la magia nascosta delle cose, ectoplasmi attivati dal ritorno a] borgo natale. «Quando vengo a Rimini sono aggredito dai fantasmi, che pongono domande a cui è imb::iravante rispondere ... »34. Fellini esalta queUe parti insondabili e persona1i - allucinazioni, frammenti di vita interiore, fantasmi della memoria - per esprimere l'indomabile dalla ragione. Aspetti che investono espansioni del sensibile, presenze di elementi della natura - il mare, la luna, ma anche le manine o ]e foglie caduche - o atmosferici - come il vento, la nebbia, sino alla neve - e conducono alla rarefazione del pensiero razionale, in un visibile incerto, che sembra quasi farsi tattile. I suoi attori che vo]tPggiano e si perdono nel «nebbione» riminese sembrano attraversare l'esperienza del linùte, quella cortina wnida in cui accendere il mixer della memoria. «La nebbia è una grande esperienza esistenziale. Rimini d'inverno non c'era più. Via la piaWI, via il Palazzo comunale, e il Tempio malatestiano dov'è andato a finire? La nebbia ti nasconde agli altri, ti mette nella ~Jandestinità più inebriante, diventi l'uomo invisibile. Non ti vedono e quindi non ci sei»3S.
ONDE MEDIAU
Uscendo da considerazioni prettamente filmiche, nel decennio di Amarcord Rimini rinforza la sua presenza negli immaginari nazionali. Al di là del film di Fellini un'espansa onda mediale trasporta i modi di pensare la città in una originale oollocazione di frontiera, fra provincia italiana e orizzonti internazionali. Esemplare il caso dell'Isola delle Rose, la piattaforma gallP.ggiante progettata dall'ingegnere Giorgio Rosa e costruita in acque internazionali, al largo di Rimini, che sogna di divenire una nazione indipendente: occupata dalle forze di polizia italiane e sottoposta a blocco navale viene abbattuta nel febbraio del 1969, suscitando vastissima eco sulla stampa internazionale. Oppure, a inizio anni settanta, l'esplosione della Orchestra. Casadei, con il «boom del liscio a e canzoni come Romagna e Sangiovese (1972), Ciao mare (1973), La. 1nazurka di periferia (1973), Si1npatia (1974), Ritorna a Rimini (1974) e, soprattutto, Romagna mia, il motivo regionale più cantato dagli italiani ne] mondo. Non solo dai romagnoli: «Il: owio che i romagnoli, sia quelli rimasti nella loro terra sia quelli emigrati a1l'estero, cantino la loro canzone; meno ovvio che essa risuoni nella testa, scaturisca dalla gola di tedesclii e francesi, polacchi e russi o venga tradotta in gi.apponesea36. Ma Rimini è anche il titolo dell'album di Fabrizio De André (1978, con la omonima, celebre canzone, e versi come «Ma voi che siete a Rimini/ tra i gelati e le bandiere/ non fate più scommesse/ sulla figlia del droghiere»); poi Rimini Ouagadougou, la canzone di Lu Colombo, con strofe come «Rimini mi sembra l'Africa/ Rimini come Ouagadougou»; RiJnini, il titolo del romanzo di Pier Vittorio Tondelli (1985, seguito da Un week end post-nwderno, 1990); Rimini, Rimini, il film di Sergio Corbucci del 1987, grande successo al botteghino con un incasso di quasi tre miliardi di lire. A questi si associano altri film, dal citato Lo. pri1na notte di quiete (cult-movie con .Alain Delon) a JocJ:s. Angeli in disooteca (1983, prodotto dalla Ùta sul cinema, Roma-Bari, Laterza, 1983, p. 32. 11
Sull'Immaginarlo ediflcatattito inere11te ~ modalità di Fellini n..l raccouta.,, il fascismo rimando al rapilDlo V (.Politioo. della latitanza e iiùrospf!Zioru, antropologica). '3 Ricordo, ad esempio, il capitolo Rimfui, l'anti-Ro""' di N. Benhamon nel HM Fellinicittd, a cura di J. -M. Méjean, Chatou:r-. Editi on de La Transparence - Fondation Fellini pour le Ci11éma, 2009, pp 83-86; il secondo capitolo di Fellini. A /ife, di H. Halpiledei bersaglieri Giulio Ricordi. Subi vari amwgiameirti, sino all'ultimo di Raffaele Guconato, grazie al quale prese la fonna "5
conosciuta e :ruonalll. oggi. 26 E. Sala, «I duE timidi» di Nino Rota. Un'opera ime, u,ediale a cavallo fro. radio, cinema, teatro e televisione, in F. Lombardi (a cura di), NinoRoto.. Un timido
protagonista del llOllect:ntn mlJSiro.l.E, To1ino. EDT, 2012, p. 146. rl1F. Fellini, in un estratto del film di Anselme, Dell'Olio, Fellini thglispiriti, 2020. ~ F. Fellini, in Carissimo Simenon Mon chère F.-ùlim, a curn di C. Gauteur e S. Sager,
Milano, Ad.elpbi, i~8, p. 80. 211 Jntervista rilasciata da N. Rota a G. Ba.chman \'11 febbraio 1964 e pubblicata, a cura di R. Calabtetto, in L'undice.sima musa. Nino Rota e i ,ruoi media, a cura di V. Rizzaroi, Roma, RAI-ERI, pp. 181-198 {la citazione èa p. 187). 3'> P.M. De Santi, .Dedicato a Nino Rota: autogrofi., partiturE, mo.n.ife5ti e fotografie
per la storia di un grande musicista, Fireme, Giunti, 1990, p. 22. 31 E. Sala,An Ethno--electronic Suund:scape: Nino Rota',r Musi.e/or 'Fellini-Satyricvn' (1969), in «Musieand the Moving Image>, xr, 3, autnnno 2018, pp. 3-21. 32 E. Sala, La b.:w6k femminile e l'ucMUo nt6(!(!(Z7UCo. ù mw;iche di Nino rota per R
Casanova dt FE!derioo FeUint, In Copioli, Morin (a cura di),
n Casanova di Fellini fe1"i e
og9i, cit., pp. 181-193.
33 Je cltteslrari,Arte e psioo/ogi,,: >ifl,=ioni sulritine...,rio artistico di Federico Fellini, creatività ~ :, Paolo Pasolini Casarsa,
http://www.centrortudipierpaolopasolinicasarsa.it/... 23 F. F~ini, citato inL'artl:! dl:!lla visioni:!. C o ~ con Gojfndo Fofi. e Gianni Volpi, cit., p. 23. 21 S. Daney, Lo sguardo ostinato. Rijlessfoni di un ci.nefil.o, Milano, Il Castoro, 1998,
p. 78. F. Fellini, citato in Angelucci, Fellini e l7 sacro, cit., p. 172. a6 Ibid., p. 172. 2.'!
0:1
Ricordo l'importanza della h:mga storia del pre-clnema. per la cultura visiva italiana.
Fra gli altri, rimando a Brunetta, R viaggio dell'ioononauta dalla camera
=
di
Lronardo alla luce dd Lumièrl:!, cit., e al mio La t>muta Lumièn. L'immaginario urbano nel ainema delle origini, Bologna, CLUEB, =1. 28- Zeri, La pe:rcuione visiva drl11talia e degli italiani, cit., p, ~ !biti,
63.
p. 63
Fellini, in Goffndo Foft intervista Fedel"WO Fellini, cit., p. 64. 3, M. Caociari,La mente inquieta. SaggiD sull'wnan"zional.... 10
Im.pégnM:i. sul set d.& La Maya dunuda di Hénri Koster, 1958.
u J. Neutres, Et Felli11ifi;mda Rome, Paris, Cherra t.Bprime, autorizza la proiezione in pubblklo con il divieto di vieloneper i minori degli anni 18». La società di produzione rlcorr& in appello, ma li tentatiw, non Mrti6ce alcun effetto e il film resta vietato ai minori di diciotto anni. 21 Ricordo il progetto di ricerca nazionale, in corso di realizzazione, Comizi d'amore. ll cinema e la questione ses:nw:fo in Italia (1958-1978), coordinato dall'Università degli Studi di Milano, con l'obiettivo di comprendere il ruolo del cinema nei comlitti culturali intorno alla questione sessuale e nel più generale processo di modernizzazione dell'Italia del dopoguerra. 22
C. Dawling, The.Assthetfos ofDailyLife, in «British Joumal crf Aesthetirs», voi. L,
3, 2010, pp. 225-242. l!3 F. Fellini,
Smw un gran bugiardo. L 'ulti.ma oonfessùmB tk1 maestra :raccoltrJ da
Damian P&tigrew, Roma, Elleu Multimedia, 2013, p. 23. ~
P.M. De SaJrti, I disegni di Fellini, RoDU1-Bari, Lllterzu., 1993.
~
Fellini, Sono un gran bugiardo, cit., pp. 3:5-36.
26 Lo Veb-0, Felli11i i: la mixla, dt., p. 4l, 2'J
C. Tosi Pamphlll {a rura di), :rhimt di cfMma. D