L'interpretazione husserliana del pensiero moderno. Guida alla lettura della parte I e II della Crisi


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Table of contents :
IL MOTIVO ISPIRATORE
II
L’IDEA CENTRALE
DELLA STORIA
IV
GALILEO E LA « MATERNATIZZAZIONE » DELLA NATURA
LA PROBLEMATICA DEL PENSIERO MODERNO DOPO GALILEO
VI
VII
LOCKE E L’INIZIO
BERKELEY E HUME E LA «BANCAROTTA» DELL’OBIETTIVISMO
IX
KANT E LA RIPRESA
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L'interpretazione husserliana del pensiero moderno. Guida alla lettura della parte I e II della Crisi

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PIETRO FAGGIOTTO

L’INTERPRETAZIONE HUSSERLIANA DEL PENSIERO MODERNO GUIDA ALLA LETTURA DELLA PARTE I E II DELLA CRISI

GREGORIANA EDITRICE - PADOVA

Stampato in Italia - Printed in Italy Tipografia del Seminario di Padova * gennaio 1971

A mia figlia Marta

in occasione del suo primo incontro

con la filosofia moderna

PREMESSA

Questa Guida, nel presentare le linee essenziali della

interpretazione husserliana del pensiero moderno, si propo­ ne di sottolineare alcuni motivi teoretici e storiografici di

particolare interesse in rapporto alla problematica della me­

tafisica classica, quale premessa ed invito ad un loro ulte­ riore approfondimento.

Padova, dicembre 1970. P. F.

I IL MOTIVO ISPIRATORE

DELLA STORIOGRAFIA HUSSERLIANA

L’indagine che Husserl nella Crisi1 svolge intorno al pensiero moderno non muove da meri interessi eruditi, ma è sollecitata da una profonda esigenza teoretica ed etica, l’esigenza cioè di comprendere le ragioni della crisi da cui l’umanità europea è oggi travagliata. Husserl parla di « crisi delle scienze europee », però chiarisce subito che tale crisi non riguarda le scienze nel loro specifico aspetto metodologico e nelle loro applicazioni tecniche, ma consiste nella perdita del loro significato per la vita umana. Le scienze non sono in grado di risolvere i problemi più scottanti per l’uomo : « i problemi del senso o del non-senso della vita umana nel suo complesso » (p. 35). Le scienze attualmente si limitano ad una mera registrazione dei fatti, fuori da una valutazione ultima, e non possono in questo modo assolvere a quella funzione di guida che al­ l’inizio, nella civiltà antica e rinascimentale, esse avevano preteso di svolgere.

1 E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, Martinus Nijhoff, Haag 1954. Trad. it. di E. Filippini, Il Saggiatore, IH ediz., Milano 1968. Le citazioni, dirette ed indirette, del testo husserliano si riferiscono tutte a questa traduzione. 9

Il concetto di scienza del nostro tempo è invero per Husserl un concetto residuo, che è stato ottenuto escludendo tutti i « problemi metafisici », i problemi che concernono ciò che vale « assolutamente » sul piano gnoseologico, etico, storico e superstorico. Per Husserl, in altri termini, la crisi delle scienze è crisi della metafisica, di quella scienza cioè delle cose ultime e supreme, che sola è capace di conferire un senso alle conoscenze parziali, raggiunte dalle altre scienze particolari. « Il positivismo decapita la filosofia » (p. 39) e le impedisce di realizzarsi come quella « scienza onnicomprensiva », rispetto alla quale le singole scienze dovrebbero rappresentare i diversi rami. Ma in questo modo la crisi delle scienze, vista appunto come crisi di una « filosofia universale », è crisi dell’umanità europea, sorta dalla fede nella capacità della ragione di dare un senso al mondo, all’esistenza umana. Non rimane che lo scetticismo: la sfiducia nella ragione e l’abbandono alla doxa (p. 42). Senonché per Husserl questa crisi dell’umanità europea interessa la storia dell’intera umanità che lotta per la pro­ pria autocomprensione. Si tratta di decidere « se quel telos che è innato nell’umanità europea dalla nascita della filo­ sofia greca, e che consiste nella volontà di essere un’uma­ nità fondata sulla ragione filosofica... sia una mera follia... oppure se piuttosto nell’umanità greca non si sia rivelata quell’entelechia che è propria della umanità come tale » (p. 44). La filosofia, che è chiamata a risolvere un tale problema, non è pertanto un « affare privato » del singolo pensatore, ma è l’attuazione di un compito che interessa tutta l’uma­ nità. In questo senso i filosofi sono « funzionari dell’uma­ nità » (p. 46). E in vista di questo compito è necessario che il singolo filosofo si ricolleghi a tutta la filosofia del passato, per comprendere ciò che originariamente, e quindi essen­ zialmente, la filosofia persegue. 10

II

IL CRITERIO METODOLOGICO

DELLA STORIOGRAFIA HUSSERLIANA

Se la funzione del filosofo è quella di elevare l’umanità alla propria auto-comprensione radicale, egli dovrà « pene­ trare attraverso la crosta dei “fatti storici" esteriori della storia della filosofia, indagandone, provandone, verificando­ ne il senso intimo, la nascosta teleologia » (p. 47). In queste parole di Husserl è riassunta l’indicazione del principale criterio metodologico della sua storiografia filosofica. A tale criterio egli accenna più volte nel corso della Crisi, ma su di esso si diffonde più ampiamente nel § 15 dell’opera (Riflessione sul nostro metodo di considerare la storia). Qui egli ribadisce anzitutto il concetto che « ciò che importa è di riuscire a comprendere la teleologia insita nel divenire storico della filosofia, in particolare di quella mo­ derna, e insieme di giungere alla chiarezza di fronte a noi stessi, che ne siamo i portatori, in quanto nella nostra vo­ lontà personale, contribuiamo ad attuarla » (p. 99). La diffi­ coltà di questo compito consiste nel fatto che il telos, che attraversa e orienta la storia dell’umanità, non opera origi­ nariamente in forma chiara e manifesta, ma vive come sedimentato nella catena delle generazioni e deve perciò essere riconquistato sul piano della consapevolezza. « Si tratta di rivificare la concettualità sedimentata... di rivificar11

ne il nascosto senso storico» (p. 100). Realizzare ciò si­ gnifica per Husserl convertire la « fondazione originaria » della finalità storica in « fondazione finale » : nei termini della filosofia classica, che spesso il linguaggio husserliano riecheggia da vicino2, significa portare all’atto (entelechia) quella struttura formale, che fin dall’inizio è presente in potenza nella civiltà umana. È appunto questa distinzione tra « fondazione origina­ ria » e « fondazione finale », tra presenza potenziale ed inconscia e presenza attuale e consapevole del telos che guida la storia, ciò che suggerisce ad Husserl il criterio fonda­ mentale del suo lavoro storiografico. È necessario distin­ guere nelle varie dottrine filosofiche ciò che esse hanno creduto di rappresentare e ciò che in effetti hanno rappre­ sentato nello sviluppo del pensiero umano: distinguere ap­ punto la « crosta » dal « senso intimo ».

Compito dello storico della filosofia non è perciò tanto quello di riprodurre le concezioni di cui i filosofi del pas­ sato hanno avuto sufficiente consapevolezza (e che potreb­ bero anche costituire l’aspetto meno valido e più effimero del loro lavoro), ma quello di penetrare l’aspetto più pro­ fondo del loro pensiero, rimasto « occultato » sotto la coltre dei pregiudizi e delle « ovvietà ». Lo storico della filosofia non deve accogliere senza discussione le interpretazioni che i vari filosofi hanno dato di se stessi, perché tali interpre­ tazioni si lasciano spesso sfuggire la più profonda inten­ zionalità.

2 Parlando, ad esempio, del « trascendentale », Husserl afferma che è un concetto che agisce in tutta la filosofia moderna « come forza di propulsione, e che tende a trasformarsi da vaga dynamìs in energeìa » (p. 126).

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« Anche se attraverso la ricerca storica veniamo a cono­ scenza, magari con estrema precisione, di queste “ autointer­ pretazioni" (eventualmente di quelle di tutta una serie di filosofi), non sappiamo ancora nulla attorno a ciò verso cui, nella nascosta unità dell’interiorità intenzionale, che sola costituisce l’unità della storia, tutte queste filosofie “tende­ vano ". Ciò si rivela soltanto nella fondazione finale; solo in base ad essa si dischiude la tendenza di tutte le filosofie e di tutti i filosofi, solo in base ad essa si può riuscire ad un chiarimento che permette di comprendere i passati pen­ satori, così come essi stessi non sarebbero mai riusciti a capirsi. È perciò evidente che la peculiare verità di una simile “considerazione teleologica della storia" non potrà mai essere confutata dalla citazione di “auto-testimonianze" do­ cumentarie di passati filosofi; perché essa sola si dimostra nell’evidenza di una considerazione critica complessiva che permette di gettare un fascio di luce dietro i “fatti storici" dei filosofemi documentati e che illumina in una armonia finale e conforme a un senso i loro apparenti contrasti e la loro coesistenza » (p. 101). In conclusione, ritroviamo nella prospettiva storiografica husserliana quella stessa attenzione verso gli aspetti oscuri o atematici dell’esperienza, che costituisce uno dei motivi più interessanti e fecondi della sua analisi fenomenologica3. Come una considerazione integrale dell’esperienza non può prescindere dalla tematizzazione di quegli Erlebnisse che comunemente rimangono « inosservati », così una interpre­ tazione integrale della storia deve scavare sotto la crosta dei fatti già positivamente accertati per cogliere il loro senso

3 Si veda a questo proposito il mio Saggio sulla struttura della metafisica, II ediz., Cedam, Padova 1969, pp. 125-129.

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nascosto o, vichianamente, la loro « verità », il loro ordine provvidenziale. Si tratta certo di un’impresa non facile, ed oggi piuttosto screditata, per il pericolo, sempre presente, che lo storicofilosofo, scambiando il proprio personale punto di vista con il telos stesso dell’umanità, operi le più arbitrarie interpre­ tazioni delle dottrine esaminate. E tuttavia ci sembra che, pur con le dovute cautele, il suggerimento husserliano me­ riti di essere attentamente considerato, perché esso appare come l’unica via per tentare una storia della filosofia in grado di cogliere, ove ci sia, il senso unitario della storia, illuminando in questo modo la nostra stessa situazione e il nostro destino.

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Ili

L’IDEA CENTRALE DELLA CONCEZIONE HUSSERLIANA

DELLA STORIA

Per intendere più agevolmente le riflessioni che Husserl svolge intorno al pensiero moderno, non sarà forse del tutto inopportuno riassumere brevemente l’idea centrale della sua ! concezione della storia dell’umanità. Secondo l’Autore, il telos che guida la storia universale è la volontà dell’umanità di realizzare se stessa sulla base della ragione (§ 6). Questa volontà si manifesta nella ci­ viltà greca con la creazione di una scienza apodittica di tipo assiomatico (avente il suo modello nella matematica e, in particolare, nella geometria) e si esprime ulteriormente nel Rinascimento con l’affermazione dell’ideale di una scienza universale, in grado di abbracciare la « totalità infinita del­ l’essere » (§ 8). Senonché nell’età moderna si determina un contrasto tra’ l’ideale vagheggiato e il metodo usato per attuarlo : si tentai di realizzare la filosofia universale « more geometrico »," estendendo alla totalità dell’essere i metodi e i concetti della scienza matematica. Si instaura così quella visione matematistica e meccanicistica del reale, definita da Husser^Tobìettiyismo fisicalisticò », che nel corso dell’età moderna rivela progressivamente la propria insufficienza, determinando ap15

punto la crisi delle scienze europee, nel senso che è stato sopra chiarito (§ 13). Il superamento di tale crisi viene indicato da Husserl nell’abbandono dell’obiettivismo fisicalistico, e dei suoi pre­ supposti matematistici, e nell’instaurazione di un nuovo tipo di scientificità in grado di cogliere validamente il senso uni­ versale dell’essere. A questo nuovo tipo di scientificità Husserl riserva il nome di « soggettivismo trascendentale », di cui l’espressione più matura è la stessa fenomenologia (§ 14).

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IV

GALILEO E LA « MATERNATIZZAZIONE » DELLA NATURA

L’ideale del pensiero moderno di costruire una filosofia universale dell’essere fondata sui procedimenti della mate­ matica, si annuncia in Galileo con la fondazione della nuo­ va scienza, la scienza matematica della natura. Presupposto di tale scienza è la « maternatizzazione » della natura: la natura viene idealizzata e concepita come una molteplicità matematica (p. 53). Husserl si propone di indagare sul processo storico che ha condotto alla costituzione della scienza fisico-matema­ tica. Egli sa bene che lo scienziato moderno, in quanto tecnico, si disinteressa di questo tipo di indagini, pago di applicare meccanicamente determinati procedimenti e di ottenere certi risultati; tuttavia Husserl ritiene che alla filo­ sofia, in quanto scienza universale dell’essente, sia essenziale «fare dell’evidenza geometrica, del "come” della sua ori­ gine, un problema» (p. 59)4, perché solo così si potranno

4 Assegnando alla filosofia il compito di problematizzare quanto nella geometria e nelle scienze particolari in genere è assunto per la sua immediata evidenza, senza essere oggetto di una esplicita rifles­ sione, Husserl ripropone uno dei più importanti concetti della filo­ sofia aristotelica; uno dei più importanti, perché è proprio attraverso questa mediazione delle evidenze immediate che la filosofia si costi­ 17 2

evitare dei gravi equivoci intorno al senso dei metodi usati e della realtà cui vengono applicati (§ 9 k). Troviamo già qui una prima applicazione del criterio storiografico generale che abbiamo più sopra illustrato. « Al fine di chiarire la formazione del pensiero galileiano, non dobbiamo ricostruire soltanto ciò che motivava cosciente­ mente Galileo. Piuttosto sarà molto istruttivo chiarire ciò che comportava implicitamente il modello matematico che lo guidava; anche se, data la direzione dei suoi interessi, ciò doveva restare per lui oscuro e doveva naturalmente pene­ trare nella sua fisica in quanto ne costituiva il nascosto presupposto di senso » (p. 54). Nella sua ricerca di quanto è implicito nella costituzione della nuova scienza, Husserl risale fino alle origini stesse della matematica. Egli prende le mosse dalla considerazione del fatto che ciascuno di noi inizialmente ritiene reale l’insieme delle cose, il mondo, quale si presenta nell’espe­ rienza quotidiana. Successivamente, attraverso la reciproca comunicazione, noi ci accorgiamo che ciò che è reale per uno non lo è per un altro. Non per questo riteniamo che esistano più realtà, più mondi. Seguitiamo a credere nel­ l’esistenza di un mondo, che appare tuttavia diverso ai di­ versi soggetti. È possibile superare la relatività delle « appa­ rizioni » e cogliere qualcosa di intrinseco al mondo, qualcosa che appartenga alla realtà in se stessa? (cfr. p. 53). A questo sembra provvedere la misurazione empirica. Tra la infinita varietà degli oggetti, che costituiscono il mondo-della-vita (Lebenswelt), si scelgono come unità di

tuisce come scienza « senza presupposti ». Si veda, ad esempio, la giustificazione elenctica che nel IV libro della Metafisica Aristotele opera del principio di non contraddizione, principio che le altre scienze usano, e dunque riconoscono come vero, senza tuttavia sotto­ porlo a riflessione critica. 18

misura alcune forme particolarmente adatte e ci si serve di esse per determinare altre forme in maniera univoca, intersoggettiva, praticamente « oggettiva ». È quello che av­ viene, ad esempio, neH’agrimensura. La geometria pura nasce da una idealizzazione della misurazione empirica: i suoi oggetti non sono caratterizzati dalla approssimazione (linee più o meno rette, superfici più o meno piane), ma sono forme-limite «pure», «esatte»; e tra queste forme alcune sono privilegiate (linee, triangoli, cerchi ecc.) in quanto permettono di costruire tutte le forme ideali pensabili e di determinarle quindi in forma univoca e intersoggettiva. Nata da una idealizzazione della misurazione empirica, la geometria diventa a sua volta un mezzo per realizzare una più precisa misurazione, mediante il riferimento per approssimazione degli oggetti empirici alle forme-limite. La geometria perfeziona così la nostra capacità di superare la relatività dell’apprensione soggettiva. Per essa « noi attin­ giamo una verità identica, irrelativa, e chiunque sia in grado di comprendere e praticare questo metodo se ne può convincere. Così dunque conosciamo veramente un essente in sé » (p. 59), Questa almeno, secondo Husserl, la convin­ zione di Galileo. Fino a Galileo tuttavia la matematica aveva trovato ap­ plicazione soltanto nell’ambito delle forme astratte della spazio-temporalità. Era possibile estendere il procedimento matematico a tutti gli altri aspetti della realtà? Husserl si sofferma a considerare questi altri aspetti: essi sono le qualità specifiche di senso (colori, suoni, odori, ecc.), che in opposizione alle pure forme astratte egli indica anche come plenum (Fülle) sensibile, e le relazioni causali. Il mondo-della-vita, quale ci è dato nella intuizione quotidia­ na, non è costituito di sole forme vuote, ma di forme con­ crete, realizzate nei piena', esso inoltre ci si presenta sotto­ 19

posto ad una « regolamentazione universale causale » : « tutto ciò che è insieme nel mondo ha una inerenza reciproca, generale, mediata o immediata, per cui il mondo 'non è soltanto una totalità, bensì una unita totale (Alleinheit), un tutto (anche se infinito) » (p. 60). Tuttavia nell’esperienza quotidiana noi afferriamo lo stile causale nella sua vuota generalità: ci risulta a priori evidente che qualsiasi accadi­ mento è determinato causalmente, ma ci sfuggono le deter­ minazioni causali singole, concrete, la cui conoscenza è invece lo scopo stesso della scienza. Ed ecco allora il pro­ blema: come pervenire ad una conoscenza matematica, apodittica dei piena materiali e delle relazioni causali che non sono direttamente matematizzabili? La loro maternatizzazione diretta è impossibile in linea di principio, perché, anche se noi possiamo misurare gros­ solanamente la gradazione di certe qualità (ad es., la tempe­ ratura, la luminosità, la levigatezza ecc.), non possiamo rife­ rirci come per il mondo delle forme a dei concetti-limite, a delle idealità già preliminarmente determinate, che possano fungere da criteri per una esatta misurazione : « noi dispo­ niamo soltanto di una e non di due geometrie, disponiamo di una geometria delle forme e non di una geometria dei piena » (p. 64). È tuttavia pensabile una maternatizzazione dei piena soltanto nel presupposto che i piena siano appa­ rentati e regolati dalle forme, nel presupposto che ogni mutamento, sia che investa il mondo delle forme, sia che riguardi il mondo dei piena, avvenga secondo rapporti cau­ sali determinabili. Si arriva così ad un concetto che, osserva Husserl, grazie alla educazione scolastica che abbiamo rice­ vuto, riveste ormai il carattere della ovvieta\ che i piena siano il risultato, l’effetto di puri eventi nel mondo delle forme (i colori, i suoni, il calore, ecc., siano costituiti da diversi tipi di vibrazioni).

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Ciò che per noi è ovvio non lo era però per Galileo, ma fu il frutto della sua opera. Ma come egli giunse a pensare — si domanda Husserl — che tutto quanto si ma­ nifesta come reale nelle qualità specifiche dovesse avere una sua causa e un suo indice matematico negli eventi del mondo delle forme e che da ciò potesse derivare la possibilità di una maternatizzazione indiretta? Già da tempo, ricorda Husserl, erano noti alcuni nessi causali tra l’ambito dei piena e quello delle forme: ad es. « già gli antichi pitagorici avevano osservato la dipendenza funzionale dell’altezza di un suono dalla lunghezza della corda posta in vibrazione » (p. 67). Per un uomo del Rina­ scimento, come il Galilei, incline alle ipotesi più audaci, queste parziali osservazioni erano sufficienti alla formula­ zione dell’idea che tutti gli eventi specificamente qualitativi rimandassero a corrispondenti accadimenti nell’ambito delle forme. L’intero mondo concreto appare allora matematizza­ bile, purché si risalga alle singole esperienze e si misuri effettivamente tutto ciò che si può misurare, elaborando adeguati metodi di misura. « Se si fa questo, il lato degli eventi specificamente qualitativi deve matematizzarsi indi­ rettamente » (p. 67). Sorge così Yipotesi di una induttività universale, della possibilità cioè di risalire dai singoli eventi, anche speci­ ficamente qualitativi, alla determinazione delle leggi matematithe cui sono sottoposti. Per Galileo questa non era una semplice ipotesi. « La fisica era per lui certa quasi quanto la precedente matematica pura ed applicata » (p. 68). D’altra parte la stessa realizzazione della fisica matematica doveva assumere sempre più il significato di una verifica dell’ipotesi5.

5 Husserl coglie qui del pensiero galileiano uno dei problemi più gravi e addirittura drammatici, per i riflessi che esso ebbe nella vita dello scienziato pisano: la difficoltà cioè di determinare l’esatto

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In ogni caso l’impegno maggiore di Galileo non si limi­ tava alla affermazione della possibilità di una fisica mate­ matica, ma si concentrava nella ricerca di tutti i possibili metodi di misurazione (della velocità, ad es., della accele­ razione, ecc.). La maternatizzazione indiretta del mondo porta così al risultato della elaborazione di formule che esprimono nessi causali generali, «leggi di natura», che si possono applicare ai singoli casi e ne permettono anzi la previsione (cfr. p. 70). L’operazione decisiva con cui diventano possibili determi­ nate previsioni intorno al mondo della vita è appunto quella di una coordinazione delle idealità matematiche, l’elabora­ zione cioè delle formule : « Una volta approdati alle for­ mule, sono già possibili le previsioni attorno a ciò che ci si può aspettare nel mondo della vita. Per la vita, l’operazione decisiva è dunque la maternatizzazione e le formule grazie ad essa conseguite » (p. 72). Ora è appunto questa possibilità di previsione che le formule offrono, e quindi questa loro grande efficacia pra­ tica, ciò che, secondo Husserl, ingenera un gravissimo equi­ voco: lo scambio delle formule con il mondò reale. «Nella maternatizzazione geometrica e scientifico-naturale, noi com­ misuriamo al mondo-della-vita (Lebenszeit) — al mondo

valore delle teorie fisiche e la portata della loro verifica. Galileo, cóme del resto i suoi avversari, non pervenne ad una precisa distin­ zione fra verità di ordine fisico e verità di ordine matematico (cfr. G. Morpurgo-Tagliabue, I processi di Galileo e l'epistemologia, Ediz. di Comunità, Milano 1963). Dal canto suo, con molta efficacia Husserl puntualizza la soluzione data dall’epistemologia contemporanea al problema della verifica nella scienza naturale: « Nonostante la ve­ rificazione, l'ipotesi rimane un'ipotesi, e lo rimane per sempre', la verificazione (l’unica possibile) è un seguito infinito di verificazioni. È appunto questa l’essenza propria della scienza naturale, l’apriori del suo modo d’essere: quello di essere un'ipotesi e una verificazione infinite» (p. 71). 22

che ci è costantemente e realmente dato nella nostra vita concreta che in esso si svolge — un ben confezionato abito ideale (Ideenfileid), quello delle cosiddette verità obiettiva­ mente scientifiche... L’abito ideale fa sì che noi prendiamo per il vero essere quello che invece è soltanto un metodo, un metodo che deve servire a migliorare mediante “previ­ sioni scientifiche” in un “progressus in infinitum”, le previsioni grezze, le uniche possibili nell’ambito di ciò che è realmente esperito ed esperibile nel mondo-della-vita » (p. 80). Si tratta di una vera e propria alienazione del senso delle formule, del metodo, della « teorie » scientifiche, alienazio­ ne che conduce Husserl al famoso giudizio su Galileo, quale «genio che scopre e insieme occulta » (p. 81). E l’alienazione di senso può naturalmente essere consi­ derata sotto un duplice aspetto: perdita, da una parte, del significato proprio delle formule; occultamento, dall’altra, della vera natura del mondo-della-vita. ì Quanto al primo aspetto dell’alienazione di senso, Hus­ serl fa notare che esso fu facilitato dalla « aritmetizzazione della geometria », che al tempo di Galileo veniva sempre più affermandosi. « Questa aritmetizzazione della geometria porta da sé, in certo modo, a uno svuotamento del suo senso. Le idealità realmente spazio-temporali, così corqe si rappresentano originariamente nel pensiero geome­ trico sotto il titolo corrente di « intuizioni pure », si trasfor­ mano per così dire in pure forme numeriche, in formazioni algebriche. Nel calcolo algebrico, il significato geometrico passa da sé in secondo piano, anzi cade completamente; si calcola, e soltanto alla fine ci si ricorda che i numeri stan­ no a significare grandezze » (pp. 73-74). Il senso simbolico delle espressioni algebriche si fa sempre più sottinteso ed inavvertito.

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Questo processo di trasformazione del metodo matema­ tico porta ad un estremo di « aritmetizzazione », a una « formalizzazione » compiutamente universale, a una « logi­ stica », che ha un primo chiaro documento nel progetto di Leibniz di una « mathesis universalis » e che giungerà a più matura espressione nella moderna logica formale. Lo svi­ luppo della logica formale dà luogo ad un’arte, ad una tecnica del calcolo, secondo determinate regole di gioco, paragonabile al modo di procedere del gioco delle carte o degli scacchi. Questo passaggio da una matematica legata alle cose alla sua logicizzazione formale è naturalmente, secondo Husserl, del tutto legittimo. Ma questa tecnicizzazione dovrebbe, se­ condo l’Autore, avvenire coscientemente, avendo sempre presente il pensiero originario che conferisce senso al metodo usato. Avviene invece che i fisici matematici, immergendosi completamente nei loro procedimenti tecnici, perdano di vista il senso originario delle formule elaborate, il loro rife­ rimento fattuale : « così il senso delle scienze naturali subi­ sce una complessa evoluzione; avviene un vero e proprio occultamento di senso » (p. 77). Tale occultamento raggiunge le sue manifestazioni più radicali ai nostri giorni, ma, come s’è visto, secondo Husserl esso inizia già con Galileo, con la sua sovrapposizione della natura idealizzata al reale mondo-della-vita, dove in effetti « non troviamo nessuna idealità geometrica, non troviamo né lo spazio geometrico, né il tempo matematico con tutte le sue forme » (p. 79). Siamo giunti così alla considerazione dell’altro aspetto della « alienazione di senso » : l’occultamento del mondo della vita sotto la veste delle formule matematiche. A tale occultamento è connessa la dottrina galileiana della mera soggettività delle qualità specificamente sensibili, da cui derivò poi la concezione della soggettività di tutti i 24

fenomeni sensibili. « I fenomeni sono soltanto nei soggetti; sono in essi soltanto come conseguenze causali dei processi che hanno luogo nella vera natura, processi che dal canto loro esistono soltanto nelle proprietà matematiche. Se il mondo intuitivo della nostra vita è meramente soggettivo, tutte le verità della vita pre- ed extra-scientifica e che con­ cernono il suo essere effettivo, perdono valore. Conservano qualche importanza soltanto nella misura in cui, benché false, annunciano vagamente un in-sé che sta al di là di questo mondo dell’esperienza possibile, un in-sé che lo tra­ scende ... La natura è nel suo "vero essere in sé" matema­ tica » (p. 83). La maternatizzazione galileiana della natura si instaura così su una radicale opposizione di oggettivo e soggettivo, introducendo in tal modo una nuova problematica, che va ben oltre la concezione della natura e investe l’intero campo della filosofia, con riflessi e sviluppi che condizionano tutto l’arco del pensiero moderno.

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V

LA PROBLEMATICA DEL PENSIERO MODERNO

DOPO GALILEO

La concezione matematica della natura, introdotta da Galileo, astrae dai soggetti in quanto persone, dalla loro vita spirituale. La natura diventa un « mondo di corpi real­ mente circoscritto in se », dominato da una causalità neces­ saria in sé conclusa. Da questo mondo di corpi il mondo dei soggetti rimane escluso. Il mondo, dice Husserl, « si spacca in due » : natura e mondo psichico. Si tratta di quel dualismo che avrà la sua manifestazione più evidente con Cartesio (cfr. p. 89). Senonché questa posizione dualistica è vivamente contra­ stata da una opposta tendenza ad una concezione rigida­ mente unitaria della realtà, che è la conseguenza della «esemplarità del metodo delle scienze naturali ». La scienza naturale matematica diventa il paradigma di ogni autentico sapere. Anzi è la matematica pura il modello supremo cui si guarda, « dato che probabilmente, anche in altre sfere di conoscenza, poteva esistere la facoltà innata di un’evidenza apodittica fondata su assiomi e deduzioni » (p. 90). Si giun­ ge così alla persuasione di poter costruire « more geome­ trico » tutta la filosofia come scienza universale della realtà. La concezione matematistica del sapere spinge innanzi­ tutto i pensatori sulla via di una interpretazione fisicalistica della sfera biologica. Si afferma la convinzione che una 26

fisica spinta alle sue ultime conseguenze sarebbe giunta a spiegare tutti i fenomeni biologici (pp. 91-92). Superato il dualismo di realtà fisica e realtà biologica, già con Hobbes si attua il superamento del dualismo tra sfera biofisica e sfera psichica. « Non bisogna lasciarsi fuor­ viare — osserva a questo proposito Husserl — dalla comune contrapposizione di empirismo e razionalismo. Il naturali­ smo di Hobbes vuol essere un fisicalismo e, come ogni fisi­ calismo, si definisce sull’esempio della razionalità della fisica » (p. 91). Infine la concezione matematistica fu estesa alla meta­ fisica. « Un esempio classico del modo in cui il razionalismo naturalistico credeva di poter creare una filosofia sistema­ tica « ordine geometrico » — una metafisica, una scienza delle questioni ultime e supreme, dei problemi della ragio­ ne, ma anche dei problemi di fatto — è VEthica di Spinoza » (pp. 92-93). UEthica è la « prima ontologia universale » costruita sul modello della matematica e risolvente in sé non solo il dualismo di natura e psiche, ma anche quelló di sostanza assoluta e sostanza relativa. E il nuovo ideale matematistico del sapere si afferma non solo sul piano teoretico, ma, sottolinea Husserl, anche su quello pratico. La nuova scienza matematica manifesta la sua validità nella stessa capacità che essa conferisce all’uomo di dominare il mondo, di dominare se stesso, conseguendo in tal modo una felicità sempre maggiore. Così l’uomo crede di realizzare veramente in se stesso l’immagine di Dio. Tuttavia, nonostante questi ambiziosi ideali di universale conoscenza e universale dominio, gli effettivi progressi della nuova scienza si realizzano nel campo della matematica e della fisica. In altri campi (biologia e psicologia) l’applica­ zione del nuovo metodo andò incontro a difficoltà; sicché ad un certo punto venne spontaneo chiedersi « fino a che punto l’esemplarità della scienza fosse legittima » (p. 95). 27

È la stessa psicologia naturalistica, osserva Husserl, quel­ la che mette in crisi l’ideale di una scienza universale ordine geometrico demonstrata. L’analisi dei processi conoscitivi, naturalisticamente interpretati, scuote la fiducia in quelli che fino allora erano stati considerati i modelli della razionalità, la matematica e la fisica e i loro presupposti essenziali: i concetti di spazio matematico e di natura materiale. Con Berkeley e, più ancora, con Hume, viene radicalmente compromessa la stessa concezione di una scienza universale obiettiva. E la nuova scepsi investe non soltanto la conce­ zione scientifica del mondo, ma anche la visione pre-scientifica, quotidiana del mondo, la convinzione cioè dell’esi­ stenza di oggetti, di soggetti, di nessi causali. È naturale allora che il problema della conoscenza venga in primo piano e l’attenzione si sposti dal mondo, come realtà già data, al soggetto conoscente, alla ragione, deter­ minando in questo modo quella che Husserl considera la più grande rivoluzione del pensiero: la trasformazione delV obiettivismo scientifico in soggettivismo trascendentale (cfr. pp. 96-97). Questa trasformazione sarà da questo momento l’oggetto dell’indagine storiografica di Husserl e i due termini che qui vengono immediatamente contrapposti saranno da tale indagine sempre meglio chiariti. Ma già fin d’ora Husserl, al § 14, si preoccupa di procedere alla loro preliminare caratterizzazione. La caratteristica dell’obiettivismo scientifico (indicato anche come razionalismo fisicalistico) è quella di assumere il mondo come già dato, come ovvio, e di impegnarsi nel determinare ciò che in esso vi è di « obiettivo », ciò che esso è « in se stesso ». La caratteristica del soggettivismo trascendentale è inve­ ce quella di considerare il mondo della vita come una forma­ zione soggettiva, il risultato di un’operazione della vita pre­ 28 i

scientifica. Il mondo « obiettivo » della scienza è considerato anch’esso una formazione soggettiva, ma una formazione di grado più alto, fondata pur essa sull’esperienza e sul pensiero prescientifico. « Il primo in sé non è l’essere del mondo nella sua indubitabile ovvietà, ciò che occorre in­ nanzitutto chiedersi non è che cosa obiettivamente gli ine­ risca; il primo in sé è bensì la soggettività, in quanto essa pone ingenuamente l’essere del mondo e poi lo razionalizza, oppure (il che è lo stesso) lo obiettivizza » (p. 98). Soltanto un’indagine radicale che risalga alla soggettività può perciò raggiungere il senso d’essere ultimo del mondo. Dapprima tale soggettività viene interpretata psicologica­ mente, cioè ancora naturalisticamente, ma viene poi intesa come soggettività trascendentale. Da questo momento la storia della filosofia moderna diventa la storia del conflitto tra obiettivismo scientifico e soggettivismo trascendentale. Questa lotta rappresenta per Husserl il senso unitario del pensiero moderno, il quale va orientandosi verso quella formulazione finale della filosofia trascendentale che, come s’è già detto, è la fenomenologia.

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VI

CARTESIO E IL CONTRASTO TRA IL MOTIVO OBIETTIVISTICO E QUELLO TRASCENDENTALE

Accingendosi a chiarire il senso unitario della filosofia moderna dopo Galileo, Husserl concentra la sua attenzione su Cartesio. In Galileo la realizzazione del nuovo ideale matematistico del sapere era rimasta limitata alla fonda­ zione della nuova scienza della natura. Cartesio invece pro­ cede alla « realizzazione sistematica della nuova idea della filosofia universale nel senso di un razionalismo matema­ tico ». Egli perciò può essere considerato come « l’originario genio fondatore della filosofia moderna nel suo complesso » (p. 102). Ma Cartesio, secondo Husserl, non deve essere conside­ rato « il progenitore dell’epoca moderna » solo per il suo contributo alla attuazione di una filosofia come « matema­ tica universale », ma anche, e soprattutto, per aver poste le basi di quella opposta concezione filosofica che è il sogget­ tivismo trascendentale. Proprio nel tentativo di fornire i mezzi più efficaci al suo razionalismo fisicalistico, Cartesio venne maturando alcune idee che dovevano « sradicare » quel razionalismo stesso. 30

Del valore di tali idee Cartesio stesso non ebbe piena consapevolezza, cosicché egli « si lasciò sfuggire quella grande scoperta che già aveva tra le mani ». Ricorrendo anche qui al suo peculiare criterio storiografico, Husserl, convinto che le Meditazioni nascondano « profondità che è quasi impossibile esaurire », si propone non semplicemente di « ripetere ciò che Cartesio dice, ma di localizzare ciò che si nasconde realmente nel suo pensiero: un tentativo di esplicitazione dunque che distingue ciò di cui Cartesio stesso era cosciente e ciò che ai suoi occhi venne occultato da certe ovvietà, pertanto del tutto naturali, che si sovrapposero al suo pensiero » (p. 103). Nella sua ricerca di una filosofia assolutamente fondata, Cartesio intende basarsi su « un fondamento immediato e apodittico, che, nella sua evidenza, escluda qualsiasi dubbio possibile » (p. 104). Egli comincia perciò con una epoche che sospende il giudizio su tutte le sue precedenti convin­ zioni. Si tratta di una epoche radicale che investe tutte le scienze, anche la matematica e lo stesso mondo-della-vita. Ma come può Cartesio passare da un simile dubbio alla fondazione razionale della sua filosofia? Come può, dopo aver posto fuori giuoco tutta la conoscenza del mondo, ritrovare una evidenza immediata ed apodittica6? La rispo­

6 È da notare l’uso non rigorosamente tecnico che Husserl fa del termine « apodittico » quando parla ripetutamente del « cogito ergo sum » come di un « fondamento conoscitivo immediato e apo­ dittico » (p. 104), come di una « evidenza assolutamente apodittica » (p. 105). In realtà, nell’accezione filosofica tradizionale, un’evidenza apodittica è una evidenza che risulta da una apodissi, da una dedu­ zione: è l’evidenza propria delle proposizioni della geometria, le quali, posti determinati assiomi, vengono da essi necessariamente de­ dotte. In questa accezione un’evidenza apodittica non può mai essere immediata. In Husserl invece « apodittico » è sinonimo di « assolutamente evidente », « assolutamente indubitabile » (cfr. anche le Meditazioni

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sta è nota: di tutto posso dubitare fuorché dell’esistenza del mio io che dubita: « cogito, ergo sum ». « Io che opero Vepoche, non rientro tra i suoi oggetti, piuttosto — se la opero in modo realmente radicale ed universale — sono escluso di principio dal suo ambito. Io sono necessariamente, perché sono colui che la opera. Proprio per questo trovo quel terreno apodittico che cercavo e che esclude assolutamente qualsiasi dubbio... Un dubbio universale si risolve necessariamente da sé » (p. 105).

Cartesiane, § § 5-9) e in questo senso egli parla di una evidenza insieme immediata ed apodittica. Questo uso generico del termine « apodittico » ci sembra parti­ colarmente sintomatico, perché rivela come nel procedimento dedut­ tivo, matematico, sia stata colta la prima rivelazione di una evidenza assoluta. Husserl è tuttavia ben consapevole del peculiare valore che il termine « apodittico » acquista quando è usato in senso propria­ mente filosofico; egli infatti si preoccupa di avvertire che « sarebbe del tutto erroneo sovrapporre a questo senso principalissimo dell’apoditticità quello corrente tratto dalla matematica tradizionale » (p. 101). Il mantenimento del termine « apodittico », in relazione alla prima evidenza filosofica, anche dopo che è stata riconosciuta l’origine ma­ tematica del termine in questione, sembra alludere ad una sorta di mediazione di ciò che, per altro verso, si presenta come immediato. L’evidenza dell’« io sono » è infatti un’evidenza riconfermata attra­ verso Yepoché, riguadagnata mediante il dubbio. A questo proposito non sarà forse inopportuno ricordare come Aristotele avesse chiaramente riconosciuta questa particolare forma di mediazione e l’avesse distinta da quella propriamente apodittica, definendola come « elenctica ». Essa consiste nel difendere una tesi mostrando come la pretesa antitesi non abbia in effetti la possibi­ lità di costituirsi. È il caso della tentata negazione del principio di non contraddizione. Ma, potremmo aggiungere, è anche il caso del tentato dubbio universale, che non è in grado di realizzarsi perché non è in grado di investire l’io che dubita. Da questo punto di vista appare assai significativo il giudizio di Husserl: « un dubbio uni­ versale si risolve necessariamente da sé ». Potremmo anche dire che, in fondo, per lo stesso Husserl il senso àeXYapodissi filosofica, quando questa si rivolge ai fondamenti primi, è Yélencos. 32

Secondo Husserl la più concreta formulazione del cogito è la seguente: ego cogito - cogitata qua cogitata. Ciò che è presente al cogito è il mondo nella varietà dei suoi aspetti e delle sue determinazioni, ma non assunto come un in sé, bensì come un « fenomeno », come una « idea », elemento costitutivo del mio cogito. Questo rappresenta « quella sfera d’essere che precede di principio tutto ciò che può essere per me e le sue sfere d'essere, in quanto è la loro premessa assolutamente apodittica » (p. 106): vale a dire che qualun­ que altra verità è apodittica soltanto se può essere ricondotta alla evidenza originaria, assoluta del cogito. Malgrado, tuttavia, la sua scoperta dell’ago, a cui lo aveva condotto la sua radicale epoche, Cartesio non riuscì, secondo Husserl, a mantenere la purezza della sua intuizione filo­ sofica e ricadde in un atteggiamento di ingenuo naturalismo, confondendo Vego, che era stato raggiunto mediante una completa « messa-tra-parentesi » di ogni realtà mondana, con l’anima (mens siue animus sive intellectus), concepita come una parte dell’uomo, distinta dal corpo. A differenza dell’ago che è il risultato àeWepoché, l’anima è il residuo di una astrazione compiuta su di un mondo concepito ancora naturalisticamente come un essente in sé già dato. Questo scambio dell’ago, quale principio trascendentale, con l’anima, naturalisticamente intesa, ha indotto Cartesio e molti altri dopo di lui a ritenere possibile il passaggio dall’ago a qualcosa di « esterno ». Così Cartesio crede di poter trascendere l’io, dimostrando l’esistenza di Dio e fon­ dando poi sull’esistenza di Dio l’esistenza della res extensa. Nasce così quel dualismo cartesiano in cui Dio ha la fun­ zione di garantire il valore trascendente, «obiettivo», delle idee chiare e distinte della ragione. Di fronte a questa posizione, Husserl osserva che l’io, in quanto ego « demondanizzato attraverso V epoche», non può essere trasceso. Appunto perché Vego non è qualcosa 33 3

di mondano, non è un oggetto che possa ammettere accanto a sé altri oggetti, qualcosa di « esterno », si trattasse pure di un altro io. « L’^go essente per sé, quello che viene alla luce nell’epoché non è affatto “un” io che possa avere fuori di sé altri, molti altri io (Mimiche)... Tutte le distinzioni tra l’io e il tu, tra l’interno e l’esterno si “costituiscono” sol­ tanto nell’ego assoluto» (p. 110). Husserl si rende conto della difficoltà di intendere ade­ guatamente questa « intrascendibilità » dell’ago e afferma pertanto che « l’^go è un paradosso, il maggiore di tutti gli enigmi » (p. 108-9). La scoperta dell’ago, che pure costi­ tuisce il telos della filosofia moderna, rimase così in Cartesio, almeno in parte, facilmente occultata. Il filosofo si preoccupò di fondare su di essa il valore delle scienze esatte, concepite ancora nello spirito deH’obiettivismo, e trascurò invece di indagare sistematicamente sull’ego puro, sulle sue funzioni e sulle sue operazioni intenzionali.

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VII LOCKE E L’INIZIO

DELLA REAZIONE SCETTICA

Dopo Cartesio la filosofia segue due linee di sviluppo: la razionalistica e l’empiristica. La prima (Malebranche, Spinoza, Leibniz) è dominata dalla convinzione, caratteri­ stica dell’obiettivismo scientifico, di poter conseguire attra­ verso il metodo geometrico una scienza necessaria e univer­ sale del mondo, concepito come un « in sé » trascendente. La seconda (Hobbes, Locke, Berkeley, Hume) è una rea­ zione scettica alla prima, reazione che scaturisce dall’esten­ sione alla sfera conoscitiva della prospettiva naturalistica. Lo scetticismo è di per sé un controsenso, ma in quanto denuncia l’assurdo di una interpretazione fisicalistica del principio trascendentale, prepara l’affermazione di un auten­ tico trascendentalismo. L’orientamento scettico dell’empirismo si manifesta chia­ ramente in Locke e nel suo proposito di procedere alla determinazione della estensione e dei limiti della conoscenza umana. La posizione del Locke, secondo Husserl, è caratte­ rizzata dal fatto che egli si lascia sfuggire completamente il significato più profondo àeWepoché cartesiana e dell’ago attinto mediante tale epoche9 , ne consegue la piena identi­ ficazione dell’ego con l’anima, concepita come una realtà 35

mondana. Per Locke « la psiche è un reale chiuso in sé come il corpo; nella prospettiva di un ingenuo naturalismo l’anima viene intesa come uno spazio per sé. Per usare la celebre similitudine di Locke: l’anima diventa una tavoletta di cera sulla quale i dati psichici vanno e vengono» (p. 113). Il filosofo inglese non comprende affatto il valore della scoperta cartesiana àeXY intenzionalità, per cui la cogitatio è sempre cogitatio di cogitata : « egli non considera il fatto che nelle percezioni, negli “Erlebnisse” di coscienza è sem­ pre presente, come tale, ciò di cui essi sono coscienza, il fatto che la percezione è in se stessa percezione di qualche cosa, di "questo albero" » (p. 113). Per Locke l’anima, chiusa nella sua particolarità, cono­ sce soltanto le proprie situazioni interne, i propri atti, le proprie idee. Di qui l’agnosticismo lockiano nei riguardi di tutto ciò che trascende la psiche: non possiamo avere una vera e propria conoscenza delle cose in sé, della loro essenza.

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Vili

BERKELEY E HUME

E LA «BANCAROTTA» DELL’OBIETTIVISMO

Dopo Locke continua lo sviluppo deH’empirismo e dei suoi corollari scettici. Viene accolto come ovvio il principio che l’unica conoscenza certa è l’esperienza di sé e i dati immanenti a tale esperienza. « Su questa base Berkeley ri­ duce le cose corporee che appaiono nell’esperienza naturale a complessi di quegli stessi dati sensibili in cui le cose ap­ paiono » (p. 114). Diventa così inconcepibile una realtà , distinta dal suo essere percepita. La materia come essente in sé è una « invenzione filosofica ». D’altro canto le scienze matematiche e fisiche, data la loro origine sensibile, man­ cano per Berkeley di quel rigore concettuale e di quella necessità cui esse aspirano. Hume infine conduce alle estreme conseguenze la posi­ zione empiristica. Per lui sono « finzioni » tutte le validità della vita scientifica e pre-scientifica. Finzioni i concetti ma­ tematici; finzione l’identità dei corpi esterni e quella dello stesso io, posta oltre la molteplicità dei dati sensibili; finzio­ ne la relazione di causalità, intesa come connessione neces­ saria; finzioni infine anche i valori ideali, i valori morali. Si tratta della « bancarotta » di ogni forma di conoscenza obiettiva. 37

Senonché — osserva Husserl — lo scetticismo di Hume, come ogni altro scetticismo, finisce con l’autodistruggersi : Hume presenta come vera la sua teoria della conoscenza, mentre tale teoria, come ogni altro contenuto della psiche, dovrebbe essere un semplice « dato sulla tavoletta », cioè un fenomeno contingente, privo di ogni valore oggettivo (cfr. p. 116). Hume — conclude Husserl — non ignora le difficoltà della sua posizione, ma preferisce adagiarsi sul suo scetti­ cismo, anziché sottoporre a revisione le premesse sensistiche e naturalistiche che lo hanno condotto alla sua posizione scettica. Perché, ribadisce Husserl, le difficoltà dell’empirismo sono dovute alla impostazione obiettivistica da cui esso ha preso le mosse, cioè alla sua identificazione dell’ago con l’anima naturalisticamente intesa e incapace quindi, nella sua particolarità, di giustificare il valore della conoscenza pre-scientifica e scientifica. Si impone perciò l’esigenza di abbandonare la posizione dell’obiettivismo scientifico per accedere al punto di vista del soggettivismo trascendentale.

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IX KANT E LA RIPRESA DEL SOGGETTIVISMO TRASCENDENTALE

Iniziando la presentazione del pensiero kantiano, Husserl, pur ricordando il contributo di Hume al risveglio di Kant dal sonno dogmatico, afferma che la problematica kantia­ na più che a quella deH’empirismo si ricollega a quella del razionalismo (cfr. p. 119). Kant deve essere visto sullo sfondo di quel dogmatismo razionalistico contro il quale reagisce. Tale dogmatismo consiste nel ritenere che le scienze trovino una adeguata giustificazione entro i termini dell’obiettivismo razionali­ stico. Ma se il mondo è qualcosa che esiste in sé e ci è dato attraverso la sensibilità, come spiegare che nel lavoro scientifico si possano legittimamente applicare ad esso le idee innate della ragione? Il ricorso alla mediazione divina implicava un evidente circolo vizioso. « I risultati scientifici erano esclusivamente opera della ragione pura, la quale operava con i concetti innati all’anima conoscitiva. Che questi concetti, che queste leggi logiche, che la pura lega­ lità della ragione avessero una validità metafisico-obiettiva era “ovvio”. Occasionalmente ci si richiamava, ricordandosi di Cartesio, alla garanzia di Dio, senza preoccuparsi del fatto che soltanto la metafisica razionale poteva provare la esistenza di Dio » (p. 120). 39

Insomma, attraverso Hume, « Kant si rese conto che tra le pure verità di ragione e l’obiettività metafisica si apriva un abisso incomprensibile; si rese conto cioè dell’impossi­ bilità di capire come queste verità di ragione potessero venire impiegate per la conoscenza delle cose » (p. 121). Se queste cose ci sono date dalla mera sensibilità perché dovrebbero sottostare alla normatività della ragione? La soluzione di questo problema viene operata da Kant mediante il rifiuto di considerare gli oggetti dell’esperienza come meri dati sensibili. I dati della sensibilità sono per Kant originariamente, sebbene inconsciamente, raccolti se­ condo certe forme a priori, in virtù di una « nascosta ope­ razione spirituale », la quale rende in questo modo l’espe­ rienza pre-scientifica capace di essere elaborata mediante quelle strutture logiche che le sono in effetti connaturate. « In altre parole — scrive Husserl — la ragione ha un duplice modo di fungere e di rivelarsi. Il primo modo è quello del suo auto-dispiegamento sistematico, dell’auto-rivelazione nella libera e pura maternatizzazione, nel farsi delle scienze puramente matematiche. Tuttavia essa presuppone ancora la formazione dell’ “intuizione pura“ che inerisce alla sensibilità. Il risultato obiettivo delle due facoltà è la matematica pura in quanto teoria. Il secondo modo è quello del costante e segreto modo di fungere della ragione, la quale razionalizza costantemente e ha già sempre raziona­ lizzato i dati sensibili. Il suo risultato obiettivo è il mondo degli oggetti sensibili-intuitivi - il presupposto empirico di qualsiasi pensiero scientifico, del pensiero che propone co­ scientemente certe norme all’empiria del mondo circostante attraverso la ragione matematica rivelata. Come il mondo corporeo intuitivo, anche quello delle scienze naturali è in generale una formazione soggettiva del nostro intelletto » (p. 122).

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È chiaro che la distinzione posta da Husserl tra il primo e il secondo modo di fungere della ragione è relativa al pro­ cesso attraverso il quale ne acquistiamo coscienza. Ma l’ordi­ ne può anche essere invertito : ciò che è secondo in relazione al nostro riconoscimento consapevole, è primo sul piano del­ l’attività irriflessa, «nascosta» della ragione: questa pone prima ingenuamente l’essere del mondo e poi, con una formazione di grado più alto, lo obiettivizza entro le strut­ ture del sapere scientifico. Solo così è possibile spiegare come i concetti puri del­ l’intelletto possano legittimamente venire applicati alle intui­ zioni, che a prima vista potrebbero apparire del tutto etero­ genee rispetto ad essi. È appunto la soluzione elaborata faticosamente da Kant nella Deduzione trascendentale, che Husserl cita espressamente nell’atto di coglierne acutamente il più profondo significato (cfr. pp. 133-4). Per questo ritorno alla soggettività come alla fonte di ogni formazione obiettiva di senso, la dottrina kantiana può essere definita una «filosofia trasceti dentale ». Benché tale espressione derivi storicamente da Kant, Husserl dichiara che egli intende usarla in un senso più ampio e radicale per designare quella filosofia che è « puramente » fondata sull’ego ed è quindi definitivamente fondata (cfr. § 26). La filosofia di Kant, secondo Husserl, è lungi dall’aver realizzato in pieno questo concetto. Tuttavia è su questa strada, come lo sono del resto i grandi sistemi dell’idealismo tedesco post-kantiano, che hanno tra loro in comune l’idea che le scienze esatte non sono definitivamente fondate finché non vengono rapportate a quel fondamento sogget­ tivo, che solitamente rimane nascosto, inesplorato. Nei confronti di Kant e dell’idealismo post-kantiano, Husserl si propone di portare la filosofia trascendentale al suo « rivolgimento ultimo » : « ad esperire direttamente quella dimensione del “trascendentale” che da tempo pre­ 41

sentivamo e che tuttavia ci era sempre rimasta nascosta » (p. 128). I primi paragrafi (28-32) della Terza Parte della Crisi contengono ancora delle precisazioni intorno alla filosofia kantiana. Viene ribadita la tesi che la « grande scoperta » kantiana consiste nell’indicazione del duplice modo di fun­ gere dell’intelletto rispetto alla natura (quello nascosto, con cui il mondo della vita viene costituito, e quello esplicito con cui tale mondo viene obicttivato nelle forme dell’attività scientifica), ma vengono anche indicati i limiti della scoperta kantiana: Kant scopre il fondamento soggettivo-trascendentale del mondo oggettivo, ma il « metodo meramente regressivo » da lui usato gli impedisce di attingere intuiti­ vamente il soggetto trascendentale (cfr. p. 143), di averne una vera esperienza, quale si ha nell’« ego cogito » carte­ siano. Per Kant la percezione interna ha solo un valore psicologico, fenomenico e, in quanto tale, non può cogliere la soggettività trascendentale. Anche Kant, quindi, patisce, secondo Husserl, quell’oc­ cultamento della vivente spiritualità che dura da millenni, occultamento che può essere spiegato col fatto che la ten­ denza a penetrare nella profondità delle funzioni spirituali è contrastata dalla molteplicità degli interessi pratici che predominano normalmente nella vita quotidiana (cfr. pp. 147-8). Ma già a questo punto, nell’atto di indicare i limiti del trascendentalismo kantiano, Husserl dà inizio alla sua analisi di quei processi costitutivi del mondo della vita che riman­ gono comunemente inindagati. Al tempo stesso egli delinea il tema centrale della sua « filosofia trascendentale fenome­ nologica » : il mondo della vita è un « prodotto universale spirituale », è formazione di una soggettività trascendentale, cui inerisce per essenza di obicttivarsi in una soggettività umana e di esteriorizzarsi nel mondo (cfr. pp. 142-3). Al42

l’approfondimento della propria posizione Husserl dedica tutta la Terza Parte della Crisi, Tale approfondimento tut­ tavia, per quanto costituisca la parte speculativamente più importante dell’opera, oltrepassa naturalmente i limiti di questa nostra indagine sulla interpretazione husserliana del pensiero moderno. Qua e là nondimeno Husserl ha modo di ritornare sulle valutazioni storiche già formulate e di insistere, in partico­ lare, sulla tesi fondamentale che le varie scienze, per essere davvero tali, per non ridursi a meri procedimenti tecnici, non devono venir concepite come autonome e autosufficienti, ma devono essere considerate come rami di quell’unica filo­ sofia che sa veramente risalire al fondamento ultimo, tra­ scendentale del sapere (cfr. p. 142). Husserl ritorna così al tema centrale dell’opera, perché è proprio nella mancanza di questa loro autentica fondazione filosofica che egli ravvisa la vera ragione della attuale crisi delle scienze europee.

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X OSSERVAZIONI CRITICHE

Uno dei maggiori ostacoli che si oppongono ad una chiara comprensione del profilo del pensiero moderno, trac­ ciato da Husserl, è connesso alla difficoltà di intendere adeguatamente il rapporto che il filosofo istitutisce tra le scienze e la filosofia. Husserl, come s’è visto, fa consistere la « crisi delle scien­ ze » nel loro distacco dalla filosofia, dalla metafisica, di cui dovrebbero costituire, al contrario, altrettante ramificazioni. Questo concetto delle scienze come rami dell’unico albero del sapere potrebbe apparire anacronistico e paradossale, dal momento che uno dei meriti, che più largamente viene rico­ nosciuto al pensiero moderno e contemporaneo, è quello di aver progressivamente conquistato il concetto della piena autonomia delle scienze nei confronti della filosofia, quando questa venga intesa come metafisica, come conoscenza della totalità dell’essere nei suoi fondamenti ultimi. Tale autono­ mia viene spesso anche indicata mediante la contrapposi­ zione tra il carattere puramente operativo delle scienze e il carattere teoretico della filosofia. Le scienze non hanno il compito di farci conoscere la struttura del reale, ma sempli­ cemente quello di operare sulle cose, trasformandole in relazione alle nostre esigenze pratiche. Le scienze rientrano pertanto nella categoria della prassi e non della teoresi, e 44

non possono quindi formare un corpo unico con la filosofia, concepita, come ancora la concepisce Husserl, quale attingi­ mento conoscitivo dei principi primi della realtà. Senonché Husserl, in effetti, non misconosce affatto la autonomia delle scienze, considerate sotto il profilo opera­ tivo. Da questo punto di vista le scienze sono anche per Husserl dei semplici procedimenti tecnici, che possono essere validamente impiegati anche in una maniera puramente meccanica, al di fuori cioè di ogni riflessione epistemolo­ gica, di ogni filosofia della scienza7. L’istanza husserliana di una unione tra scienze e filosofia muove non da preoc­ cupazioni tecniche, ma da esigenze teoretiche ed etiche, cioè filosofiche. La mancanza di una riflessione consapevole sulla scienza come fatto tecnico costituisce un pericolo non tanto per la tecnica quanto per la filosofia: c’è il pericolo che il nostro modo di agire sulle cose venga scambiato per la natura stessa delle cose; che il metodo venga ipostatizzato e confuso con la realtà in se stessa; che la tecnica, dopo aver cacciata la filosofia, ne voglia prendere il posto e da mero procedimento operativo si trasformi in una forma di ingenua e spuria teoresi. In una parola, è il pericolo dello scientismo8.

7 « La scienza e il metodo scientifico non somigliano così a una macchina che produce evidentemente qualcosa di molto utile e di cui ci si può fidare, una macchina che ciascuno può imparare a manovrare pur senza comprendere minimamente le interne possibilità e la necessità delle sue operazioni? » (p. 81). 8 Per questa denuncia dello scientismo la posizione di Husserl si avvicina per molti aspetti a quella di Bergson, il quale pure si richiama, contro i concetti astratti delle scienze fisico-matematiche, ai dati immediati della coscienza, all’intuizione di ciò che è imme­ diatamente vissuto. Si potrebbe dire che con Husserl la reazione allo scientismo viene eretta a canone storiografico. Per un confronto tra i due pensatori cfr. M. Sancipriano, H. Bergson e E. Husserl, 45

Per evitare tutto ciò è necessario che la filosofia, proble­ matizzando, secondo la funzione che le è propria, tutto ciò che in altri campi è assunto come ovvio, rifletta sulla natura delle operazioni scientifiche : ed è questa l’unione tra scienze e filosofia che Husserl auspica. In virtù di questa unione le scienze cessano di essere un mero fatto operativo, perché acquistano una dimensione teoretica: la consapevolezza cioè della loro natura e del loro significato per la vita umana. Precisata così la concezione husserliana del rapporto tra scienze e filosofia, ci sembra risulti anche chiarita la sua interpretazione generale del pensiero moderno. La storia di tale pensiero è la storia della nascita dello scientismo, nella forma specifica del matematismo (in lingnaggio husserliano, la nascita dell’obiettivismo scientifico^ la storia della sua successiva crisi e dell’affermarsi progres­ sivo dell’atteggiamento filosofico antitetico: il soggettivismo trascendentale9. Nello scientismo è già presente quello che Husserl considera il telos che dirige la storia: l’esigenza di una scienza universale dell’essere che possa servire di guida all’umanità. Certo, nello scientismo questo telos si attua in in « Humanitas », n. 11, 1959, pp. 792-799; J. De Marneffe, Bergson’s and Husserl’s Concepts of Intuition, in « Philosophica! Quarterly » (Amalner), XXXIII, 1960-61, pp. 169-80. y L’interpretazione del pensiero moderno come espressione di un fondamentale atteggiamento matematistico non è una prospettiva isolata nella storiografia contemporanea. In Italia essa trova una conferma, del tutto autonoma e perciò particolarmente significativa, nel volume di M. Gentile, Il problema della filosofia moderna, La Scuola, Brescia 1950. In quest’opera il Gentile, richiamandosi ai prin­ cipi della metafisica classica, presenta il matematismo non come uno sviluppo dello spirito critico, ma come una limitazione dogmatica di quella problematicità radicale, che è propria della autentica ricerca filosofica. In tale prospettiva teoretica e storiografica si inserisce anche il nostro volume II problema della metafisica nel pensiero moderno, I, Cedam, Padova 1969. Si vedano ancora: E. Riondato, Aristotele e il valore filosofico della crisi, Antenore, Padova 1963; A. Biral, L'unità del sapere in Husserl, Cedam, Padova 1967.

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maniera inadeguata; tuttavia questa insufficiente attuazione è strettamente connessa allo stesso concetto husserliano di storia come processo mediante il quale un principio razio­ nale passa dalla potenza all’atto, dall’implicito all’esplicito, dall’inconscio al conscio. Il problema della storia è visto così da Husserl, hegelianamente, come « il problema della ragio­ ne nascosta, la quale soltanto una volta giunta a rivelarsi si sa come ragione » (p. 81). Cogliere il senso della storia significa allora saper distin­ guere nelle sue varie manifestazioni, ciò che di volta in volta è già attuato, ma in forma ancora necessariamente imma­ tura e quindi ormai superata, da ciò che è ancora virtuale, ma, appunto perché tale, è destinato a pervenire a più alte e più valide espressioni. Non è un caso se all’inizio le sco­ perte più vitali rimangono in parte occultate, perché tutto ciò che è iniziale è necessariamente implicito ed oscuro. Ciò non toglie che l’attenzione dello storico, che voglia attingere il movimento unitario della storia, debba rivolgersi proprio a questi aspetti meno manifesti; ed egli lo può fare nella misura in cui trovi in sé attuato ciò che agli inizi era soltanto potenziale: in un certo senso più che essere il pas­ sato ad illuminare il presente è il presente che chiarisce il passato; o, meglio, passato e presente si chiariscono entrambi nel reciproco confronto, che permette di riconoscere la conti­ nuità di un processo storico e la sua direzione. Husserl è pienamente consapevole di ciò. « Veniamo a trovarci — egli scrive — in una specie di circolo. Si può giungere a una piena comprensione degli inizi, soltanto a partire dalla scienza data nella sua forma attuale e attraverso la consi­ derazione del suo sviluppo. Ma senza una comprensione degli inizi questo sviluppo, in quanto sviluppo di senso, è muto. Non ci resta altro: dobbiamo procedere e retroce­ dere, a "zig-zag”; nel giuoco delle prospettive ogni ele­ mento deve contribuire al chiarimento dell’altro. Il relativo 47

chiarimento di un aspetto deve illuminare l’altro, e vice­ versa » (p. 87). È evidente come una tale considerazione circolare della storia, che unisce così strettamente il passato al presente, le dottrine prese in esame alle convinzioni filosofiche dello storico, abbia un carattere fortemente teoretico. Lo storicofilosofo, dall’alto della sua maggiore consapevolezza, deve essere in grado di cogliere il significato più autentico di ciò che nel passato si annuncia in modo ancora oscuro e atematico, deve saper « comprendere i pensatori passati, così come essi stessi non sarebbero mai riusciti a capirsi ». Abbiamo già accennato ai pericoli che un simile canone storiografico comporta, pericoli che appaiono tanto più incombenti quanto più si abbiano presenti gli abusi com­ piuti da certa storiografia idealistica, sulla base di analoghi criteri interpretativi10. E tuttavia la possibilità di abusi non è per se stessa un motivo sufficiente per condannare senz’altro ciò di cui si abusa. Opportunamente impiegato, il criterio storiografico in questione permette di cogliere il senso uni­ tario della storia, evitando che l’indagine si disperda nella indefinita molteplicità di ciò che è inessenziale. In ogni caso la prima condizione per un corretto uso del criterio proposto da Husserl è che ^esplicitazione di ciò che è implicito in una dottrina filosofica sia presentato appunto come una « esplicitazione » : deve cioè chiaramente risultare che l’idea che viene valorizzata è presente nella dottrina considerata solo in forma embrionale, commista a molti altri elementi, che non devono essere trascurati se si vuole proce­ dere ad una caratterizzazione completa di tale dottrina.

10 « Du point de vue de la méthode aussi, la philosophie husserlienne de l’histoire semble retomber dans les procédés constructifs de l’idéalisme du siècle dernier » (R. Boehm, La pbénomenologie de l’histoire, in « Revue internationale de Philosophie », 1965, p. 62).

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L’altra e non meno importante condizione è che il filosofo che fa storia della filosofia non ceda alla tentazione di porsi fuori della storia, non elevi il proprio punto di vista al punto di vista stesso dell’Assoluto, ma conservi il senso della pro­ fondità inesauribile della verità, che è poi tutt’uno con il senso della sua storicità. Solo in questo modo egli potrà essere consapevole che la sua presentazione delle dottrine passate è pur sempre una « interpretazione » suscettibile di essere integrata, approfondita, corretta e, al caso, anche so­ stituita da una diversa « interpretazione » che muova da un punto di vista più alto e più comprensivo n. Non è facile dire in quale misura, nelle pagine che abbiamo esaminato, Husserl abbia rispettato queste due con­ dizioni, anche perché in esse egli non si proponeva una completa indagine storiografica, ma tentava semplicemente di fissare quella linea di sviluppo del pensiero moderno, che gli permettesse di chiarire le ragioni della crisi della cultura contemporanea. In rapporto a questo suo particolare intento si possono forse spiegare alcune lacune del profilo storico che abbiamo esaminato. Mi limiterò a rilevare il silenzio di Husserl sulla figura e l’opera di Francesco Bacone, che pure, con l’orientamento pragmatistico del suo pensiero, ha tanto contribuito alla eliminazione della metafisica e alla « decapitazione » della filosofia. Ma in Bacone è assente quel motivo matematistico su cui si concentra la polemica husserliana11 12.

11 Per queste ed altre condizioni che devono essere rispettate nel realizzare una storiografia di tipo teoretico, si veda il saggio di M. Gentile, Se e come è possibile la storia della filosofia, Liviana, Padova 1966. 12 Husserl peraltro accenna a Bacone nella II Parte di Erste Philosophie (Husserliana, voi. Vili, p. 13), per ricordare il prin­ cipio dell’utilitarismo baconiano: Scientia est potentia.

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Questa ed altre eventuali lacune finiscono perciò col porre in maggiore risalto i punti focali della interpretazione husserliana del pensiero moderno: la minuta e penetrante analisi del processo attraverso cui matura il matematismo galileiano; l’interpretazione del problema di Cartesio quale risultato dello scontro tra due diverse ispirazioni filosofiche; la breve ma efficace presentazione dello scetticismo inglese quale fallimento, non della filosofia simpliciter, ma della concezione matematistica e meccanicistica; l’acuta interpre­ tazione del vero significato della Deduzione trascendentale di Kant. Tutti questi motivi si ricollegano infine all’idea centrale della prospettiva husserliana: la crisi della civiltà moderna come crisi della metafisica, come rinuncia cioè alla scienza dei fondamenti ultimi ed assoluti. Si tratta di un’idea che nel nostro clima culturale può trovare accoglienze diverse, ma che in ogni caso merita di essere attentamente consi­ derata da quanti hanno a cuore le vicende e le sorti del pensiero moderno.

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NOTA BIBLIOGRAFICA

Altre opere di Husserl, oltre alla Crisi, contengono qualche ampia trattazione e numerosi spunti di notevole interesse per una più com­ pleta determinazione della sua interpretazione del pensiero moderno. Qui ci limitiamo all’indicazione dei testi più importanti sotto questo aspetto. Delle Logische Untersuchungen (III ediz., M. Niemeyer, Halle 1922; Ricerche logiche, trad. it. di G. Piana, 2 voli., Il Saggiatore, Milano 1968) la Seconda Ricerca è in gran parte dedicata alla discus­ sione delle dottrine di Locke, Berkeley e Hume intorno alla teoria dell’astrazione. Il primo volume poi di Erste Philosophie, Kritische Ideengeschichte (pubblicato nel VII volume di Husserliana (M. Nijhofi, Haag 1956) contiene l’interpretazione husserliana dell’intera storia della filosofia, con particolare riguardo a Platone, Aristotele, Cartesio, Locke, Ber­ keley, Hume, Leibniz e Kant. Per ciò che riguarda il pensiero mo­ derno, questo volume di Erste Philosophie, assieme alla prima delle Logische Untersuchungen, è particolarmente importante in quanto completa il quadro storico dell’empirismo inglese che in Krisis è appena delineato. Quanto a Cartesio, fondamentale è naturalmente il volume delle Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge (Husserliana, I, 1950; Meditazioni cartesiane e Discorsi parigini, trad, di F. Costa, Bompiani, Milano 1960). Per ciò che concerne infine la concezione teleologica che Husserl ha della storia si vedano: Teleologia Universale, tradotta da E. Paci, in « Archivio di Filo­ sofia », I, Husserliana. Tempo e intenzionalità, 1960, pp. 13-16 e ripubblicato in appendice al volume di E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Laterza, Bari 1961. Inediti husserliani sulla teleologia della storia, pubblicati nel testo originale e tradotti da P. Valori in « Archivio di Filosofia », 1954, I, La filosofia della storia della filosofia, pp. 165-175. 51

Tra gli studi dedicati all’esame dell’aspetto storiografico del pen­ siero di Husserl ricordiamo: D. Henrich, Ueber die Grundlagen von Husserls Kritik der philo­ sophischen Tradition, in « Philosophischen Rundschau », 1958, pp. 1-26. E. Filippini, Sull'idea di una storiografia nella “Krisis” di Husserl, in « Aut-Aut », 1959, 54, pp. 413-416.

R. Sokolowski, Husserl’s Interpretation of thè History of Philosophy, in « Franciscan Studies », 1964, pp. 261-280. G. Mende, L'histoire de la Philosophie selon Husserl, in « Revue de Theologie et de Philosophie », 1965, pp. 65-77. V. Agosti, Galilei visto da Husserl, in « Giornale di Metafisica », 1964, pp. 779-796.

P. Filiasi Carcano, Da Cartesio a Husserl, in « Ricerche filosofiche », 1936, pp. 18-34. S. Vanni Rovighi, Il “cogito” di Cartesio e il “cogito” di Husserl, nel volume commemorativo Cartesio, Nel III centenario del “Di­ scorso del metodo”, Vita e Pensiero, Milano 1937, pp. 767-780.

A. Mas solo, Husserl e il cartesianismo, in « Giornale critico della filosofia italiana », 1939, pp. 434-452.

J. S. Fulton, The Cartesianism of Phenomenology, in « Philosophi­ ca! Rewiew », 1940 (cfr. recensione di A. Gurwitsch in « Philosophy and Phenomenological Research », II, 1941-42).

G. Berger, Le cogito dans la philosophie de Husserl, Paris 1941 (cfr. recensione di A. Gurwitsch in « Philosophy and Phenome­ nological Research », Vili, 1946-47). P. Thévenaz, La question du point de départ radicai chez Descartes et Husserl, in Prohlèmes actuels de la Phénoménologie, Actes du Colloque International de Phénoménologie, Desclée De Brouwer, Paris 1952, pp. 9-30 e in L'home et sa raison, t. I, Editions de la Baconnière, Neuchatel 1956, pp. 147-165.

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A. Löwit, L' "épochè" de Husserl et le doute de Descartes, in « Re­ vue de Métaphysique et de Morale », 1957, pp. 399-415. J. Wahl, Au sujet de jugements de Husserl sur Descartes et sur Locke, in Husserl (Cahiers de Royaumont), Les Editions de Minuit, Paris 1959, pp. 119-131. J. M. Laporte, Husserl's Critique of Descartes, in « Philosophy and Phenomenological Research », XXIII, 1962-63, pp. 335-352. G. Berger, Husserl et Hume, in « Revue internationale de Philoso­ phie », 1939, pp. 342-353. W. Enrlich, Kant und Husserl. Kritik der transzendentalen und der phänomenologischen Methode, Halle 1923. P. Ricoeur, Kant et Husserl, in « Kantstudien », 1954-5, pp. 44-67. M. Yamamoto, Husserls Ansicht über Kant [in giapponese, rias­ sunto in tedesco], in «Philosophy» (Tokyo), 1958, n. 34. A. Gurwitsch, La conception de la conscience chez Kant et chez Husserl, in « Bulletin de la Société fran^aise de Philosophie », 1960, 2, pp. 65-96; Der Begriff der Bewusstsein bei Kant und Husserl, in « Kantstudien », 1964, pp. 410-427. I. Kern, Husserl und Kant. Eine Untersuchung über Husserls Ver­ hältnis zu Kant und zum Neukantianismus, M. Nijhoff, Haag 1964.

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feér il problema della storia in Husserl si vedano ancora: P. Ricoeur, Husserl et le sens de l’histoire, in « Revue de Métaphysique et de Morale », 1949, pp. 280-316. H. Lübbe, Husserl und die europäische Krise, in « Kantstudien », 1957-58, pp. 225-237.

A. Banfi, Husserl e la crisi della civiltà europea, in « Aut-Aut », 1958, 43-44, pp. 1-17.

E. Melandri, Husserl: la filosofia della storia. Genesi e sviluppo di un problema, Tesi di laurea, Bologna 1958. De Crescenzio, I valori nella husserliana filosofia della storia, in « Sapienza », 1960, pp. 427-429. E. Paci, Tempo e verità della fenomenologia di Husserl, Laterza, Bari 1961. A. Negri, Husserl filosofo senza storia?, in « Giornale critico della filosofia italiana », 1962, pp. 177-193.

R. Pucci, Il mondo-della-vita e la storia, in « Rassegna di Scienze filosofiche», 1963, pp. 327-356. E. Garulli, Coscienza e storia in Husserl, Stev, Urbino 1964.

E. Paci, Funzione delle scienze e significato dell’uomo, Il Saggiatore, III ediz, Milano 1965.

G. Piana, Esistenza e storia negli inediti di Husserl, Lampugnani Nigri, Milano 1965.

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INDICE

Premessa

...........

Pag7

I.

Il motivo ispiratore della storiografia husserliana

II.

Il criterio metodologico della storiografia husserliana

11

III.

L’idea centrale della concezione husserliana della storia

15

IV.

Galileo e la « maternatizzazione » della natura

V.

La problematica del pensiero moderno dopo Galileo

VI.

Cartesio e il contrasto tra il motivo obiettivistico e quel­ lo trascendentale....................................................... 30

VII.

Locke e l’inizio della reazione scettica .

Vili.

Berkeley e Hume e la « bancarotta » dell’obiettivismo .

37

IX.

Kant e la ripresa del soggettivismo trascendentale .

39

X.

Osservazioni critiche............................................................ 44

.

.

9

.17

26

.35

Nota bibliografica.............................................................................. 51