L'imperialismo dell'auto. Auto + petrolio = guerra
 8816406143, 9788816406148

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Hosea Jaffe

L'Imperialismo Dell'Auto Auto + Petrolio = Guerra

Introduzione

di

Giorgio Nebbia

alce nero.

IVI FONDAZIONE LUIGI MICHELETTI

DI FRONTE E ATTRAVERSO 614

TERRA TERRA I problemi legati all’ambiente e al relativo intervento dell’uomo esemplificano in modo emblematico la necessità, che nel nostro tem­ po qualunque tematica si affronti si palesa ormai con urgenza, di una visione globale della realtà. Questa collana aveva avuto una breve vita tra gli anni ’80 e ’90 par­ tendo dall’esperienza innovativa nell’agricoltura biologica della Coo­ perativa Alce Nero e dal suo impegno culturale. La ripresa di tale progetto editoriale con un programma a largo spettro di titoli rispec­ chia un forum di dibattito e contributi editoriali che Jaca Book e Al­ ce Nero hanno aperto con persone e istituzioni, come la Fondazione Luigi Micheletti di Brescia e Greenpeace. 1 temi di interesse della collana, connessi alla vita sul nostro piane­ ta, sono: agricoltura, alimentazione, medicina, storia dell’industria, patrimonio e risorse ambientali, architettura e organizzazione del ter­ ritorio, tecnologia; ma troveranno spazio anche temi riguardanti la guerra e la pace, la politica e il dialogo interculturale. Dagli aspetti più pragmatici agli spunti più dichiaratamente spiri­ tuali di riflessione, «Terra Terra» vorrebbe inaugurare un discorso, improntato alla cordialità come di amici che si trovassero a tavola, con tutti coloro che si interrogano sul ruolo attivo dell’uomo su questa no­ stra Terra, in vista di una sua maggiore capacità di armonia con ciò che lo circonda e di un approfondimento della sua statura umana. I protagonisti di questa iniziativa hanno maturato la consapevo­ lezza che nell’organizzazione della nostra società non si possa più giu­ stificare alcuna scelta che non sia rispettosa dell’ambiente in cui vi­ viamo e di chi vi abita, pena il precipitare in catastrofi naturali, belli­ che, umane e sociali sempre più profonde. E in gioco lo stesso «giardino dell’Eden» che avremmo dovuto cu­ rare e non soggiogare.

TERRA TERRA

Dello stesso autore presso la Jaca Book La disoccupazione su scala mondiale, 1985 Progresso e nazione, 1990 Economia dell'ecosistema, 1994 Germania. Verso il nuovo disordine mon­ diale?, 1994 Via dall’Azienda Mondo, 1995 La liberazione permanente e la guerra dei mondi, 2000 La trappola coloniale oggi. Sudafrica, Israele, il mondo, 2003 Eimperialismo dell’auto. Come l’automobi­ le guida la gente, 2004

Hosea Jaffe

L’IMPERIALISMO DELL’AUTO Auto + Petrolio = Guerra Introduzione di

Giorgio Nebbia con testi di

Aurelio Peccei e Lewis Mumford

CIRCOLO IL

alce nero.

grandevetro

Jaca Book

©2004 Editoriale Jaca Book SpA, Milano Tutti i diritti riservati

Prima edizione italiana

marzo 2004 Copertina e grafica

Ufficio grafico Jaca Book In copertina

Disegno Ufficio grafico Jaca Book

Fotocomposizione e impaginazione

Actualtype srl, Milano

ISBN 88-16-40614-3 Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book SpA - Servizio Lettori Via V. Gioberti 7, 20123 Milano, tei. 02/48561520-29, fax 02/48193361 e-mail: serviziolettori@jacabook.Ìt; sito internet: www.jacabook.it

INDICE

9

Introduzione di Giorgio Nebbia

13

Prefazione

Capitolo primo L’AUTOMOBILE COME LA MAGGIORE INDUSTRIA CAPITALISTICA I primordi dell’automobile Il petrolio e l’automobile Come la macchina si moltiplicò nel XX secolo L’industria capitalistica basata sull’automobile

15 15 16 20 24

Capitolo secondo L’AUTOMOBILE COME MACCHINA PER UCCIDERE 29 Le vittime non stradali dell’automobile 33 Gli effetti degli autoveicoli sull’ambiente 36 La distruzione del sistema ferroviario causata dall'automobile 37 7

Indice

Capitolo terzo L’ASSE MACCHINA-PETROLIO E LE GUERRE DELLA GLOBALIZZAZIONE Il petrolio e la «Guerra Fredda» Il petrolio, le trasnazionali mondiali e la guerra

41 43 47

Capitolo quarto L’AUTOMOBILE E IL PROCESSO DI LIBERAZIONE Le lotte locali anti-auto nel Primo Mondo Le riserve petrolifere come ostacolo alle lotte di «sganciamento» anti-auto La macchina elettrica? Consumismo del Primo Mondo contro la liberalizzazione del Terzo

68

INTERVISTA

71

APPENDICE Il crepuscolo di un idolo ( 1971 ), di Aurelio Peccei Il Modo-Di-Morire americano, di Lewis Mumford

8

57 57 60 64

81 89

INTRODUZIONE di Giorgio Nebbia

Dai tanti medici che si stanno affannando al capezzale del­ l’industria automobilistica non si è sentita una sola parola di dubbio sul futuro dell’automobile, la merce sbagliata che ha messo in crisi il posto di lavoro di migliaia di famiglie. Al di là delle alchimie finanziarie, una industria sopravvive se produce una merce che si vende e il destino dell’automo­ bile è segnato da tempo, il suo mercato è saturo: ogni famiglia può possedere una automobile, forse due automobili, alcune famiglie possono possederne tre, ma, per quanto aumenti la pressione dei venditori, l’acquirente non saprà più neanche dove mettere altre automobili. Sono sature le città; le strade urbane possono sopportare una certa quantità di automobili in movimento o ferme, han­ no, insomma, per citare una analogia biologica, una capacità ricettiva limitata. Quando le automobili ingombrano le strade in numero superiore a quello che le strade possono accoglie­ re, si arriva dapprima a situazioni caotiche (non a caso i feno­ meni di caos sono stati scoperti osservando che cosa succede quando una popolazione di animali supera la capacità ricetti9

L’imperialismo dell’auto

va del territorio) e poi alla paralisi. I segni del collasso del mercato dell’automobile sono evi­ denti da molti anni; perfino un «uomo Fiat», come Aurelio Peccei, nel 1971, aveva scritto un articolo intitolato «Il cre­ puscolo di un idolo», pubblicato in appendice a questo libro. Le soluzioni sono chiare da tempo: la mobilità è un diritto, anzi una forma di libertà e democrazia, ma può essere otte­ nuta a condizione che non generi congestione, che non sia pa­ gata con la perdita di salute per avvelenamento dell’aria, che non comporti sprechi di energia, che il mezzo di trasporto, al­ la fine della sua vita utile, non sia un insopportabile e ingom­ brante rifiuto. Per soddisfare queste condizioni l’automobile privata è la merce sbagliata. Peccei, nell’articolo citato scriveva: «Prima che lo stadio di saturazione si estenda a tutti i paesi industrializzati, bisogna procedere a profonde modificazioni delle città. L’automobile uve i suoi ultimi anni di gloria in quanto bene personale, pro­ prietà privata, espressione di uno status sociale. Non c’è dub­ bio che l’automobile individuale, che utilizziamo due o tre ore al giorno, che occupa spazio e inquina le aree geografiche in cui passiamo la parte più importante della nostra vita è un anacronismo. L’automobile deve diventare semplicemente un bene d’uso con le seguenti caratteristiche: massima sicurezza; minimo inquinamento, minimo ingombro. Le formule che sostituiranno l’automobile-proprietà-privata possono essere varie: dagli autobus che circolano su percorsi fissi a microbus a itinerario variabile. «Nell’immediato è probabile che prevalga, per l’urgenza del problema, il trasporto collettivo. La fuga dai centri delle città che si osserva negli Stati Uniti si verificherà presto anche in Europa se non migliorano le condizioni di trasporto. Lo spazio occupato dai trasporti collettivi è infatti 25 volte infe­ riore, per persona trasportata, a quello richiesto dai mezzi di trasporto privati. E evidente che questo cambiamento di meli­ lo

Introduzione

talità nei confronti dell’automobile richiederà anche delle profonde modificazioni nella progettazione e costruzione del­ le automobili, in funzione dei differenti bisogni che si hanno nelle città o nei percorsi lunghi: ci saranno due o tre modelli di autoveicoli, molto semplici e quanto più possibile standar­ dizzati. «Se questa razionalizzazione della produzione attraverso il mondo si afferma, come conseguenza di una situazione dive­ nuta troppo costosa, anche l’industria automobilistica subirà delle grandi trasformazioni nel senso di una migliore suddivi­ sione della produzione di una grande specializzazione. I gran­ di centri attuali di produzione - Detroit, Torino, la periferia parigina - saranno decongestionati. Produrranno meno ma guadagneranno in qualità dedicandosi alla ricerca e alla spe­ rimentazione dei nuovi mezzi di trasporto. La trasformazione dell’automobile in bene d’uso renderà necessari perfeziona­ menti nella costruzione. Sul piano tecnico si è raggiunta una soglia: non è più importante arraffare qualche secondo di più ai margini di produttività che possono ancora sussistere. Sui criteri di microefficienza prevarranno delle considerazione di macro-razionalizzazione». Nonostante questi avvertimenti fatti, ripeto, da un grande manager della Fiat trentanni fa, l’industria dell'automobile in Italia ha continuato a produrre la merce sbagliata procac­ ciandosi strumenti pubblici per immettere altre automobili in un mercato e in città ormai saturi. Si è cominciato dai cosid­ detti incentivi alla rottamazione, con la scusa che «occorreva^ eliminare dalla circolazione le automobili più vecchie che in­ quinavano di più. La vendita di altre automobili veniva spac­ ciata per operazione ecologica, senza tenere conto che com­ portava costi privati e collettivi, per l'aumento della conge­ stione urbana e per lo smaltimento di crescenti quantità di rottami, inquinanti nella fase di deposito, inquinanti nella fa­ se di recupero di alcune delle componenti. Se poteva esserci il

L’imperialismo dell’auto

una diminuzione dell’inquinamento dovuto all’eliminazione delle «vecchie» automobili, questo era grandemente neutra­ lizzato dall’aumento dell’inquinamento atmosferico dovuto al movimento disordinato e congestionato di molto più nu­ merose automobili «nuove». Fino alla ridicola soluzione degli «ecoincentivi» che prevedono la sostituzione e distruzione perfino degli autoveicoli «catalizzati» spacciati fino a ieri per «ecologici». Enormi quantità di denaro sono state investite nella diver­ sificazione e personalizzazione dei modelli, quando gli sforzi avrebbero dovuto essere concentrati nella standardizzazione e nella progettazione in vista del successivo riciclo. In Italia «Fiat» è nome che significa, per milioni di italiani, impresa, innovazione, lavoro, liberazione dalla miseria nel Mezzogiorno, crescita di classe e cultura operaia. Fiat signifi­ ca capacità di produrre qualsiasi manufatto che possa soddi­ sfare bisogni umani, dai mezzi di trasporto collettivi, dalle macchine per la lavorazione della terra e la movimentazione di materiali, da autoveicoli adatti alle condizioni di trasporto nei paesi del sud del mondo. A mio modesto parere la salvezza dell’industria automobi­ listica e dell’occupazione può venire soltanto dalla ripresa dell’orgoglio per il fabbricare nuove cose sotto nuovi vincoli della diminuzione dei consumi di energia e del miglioramen­ to delle condizioni ambientali, nazionali e planetarie, dalla rinascita di una genuina cultura industriale e operaia, basata sulle cose e non sulle futili e frivole immagini.

12

PREFAZIONE

In un’intervista di Rai 3 del 14 aprile 2002, il Premio Nobel per la Fisica Rubbia ha ricordato tre fatti semplici ma fonda­ mentali a proposito dell’automobile. Uno riguardava gli effetti sull’ambiente: in un anno l’automobile assorbe in media dal­ l’aria una quantità di ossigeno pari al doppio del suo peso (più di una tonnellata di ossigeno, per un totale di un miliardo di tonnellate per tutti i veicoli del mondo); il secondo riguarda­ va il disastroso «effetto serra»: ogni automobile immette me­ diamente nell’atmosfera una quantità di anidride carbonica pari a quattro volte il suo peso (4 tonnellate di anidride car­ bonica, pari a un totale di 4 miliardi di tonnellate per tutti i veicoli del mondo); il terzo riguardava il petrolio estratto dal­ la terra per alimentare le macchine: «un metro quadro di suo­ lo equivale in energia a un barile di petrolio» (1 insieme di tut­ ti i veicoli del mondo consuma in un anno tanta energia equi­ valente all’energia solare che arriva in un anno sulla superficie dell’Italia, 300.000.000.000 nr x 0,14 t). Se ci pensiamo bene, questi tre punti implicano, aldilà del­ la comunicazione scientifica, anche un giudizio sociale sul­ l'automobile.

Capitolo primo L’AUTOMOBILE COME LA MAGGIORE INDUSTRIA CAPITALISTICA

I primordi dell'automobile L’automobile (o «macchina» o «autovettura» o semplicemente «auto») è diventata un elemento caratteristico del XX secolo, ma già nel XV secolo furono fatti i primi tentativi di costruire un veicolo a propulsione autonoma, mosso per mezzo di molle, sfruttando il vento o attraverso ingranaggi. Molti sostengono che l’automobile sia stata inventata dal francese Nicolas-Joseph Cugnot (1725-1804) nel 17691. La sua automobile era un triciclo a vapore in grado di traspor­ tare quattro persone a 3,6 chilometri l’ora2. Nel 1876 l’ingegnere tedesco Niklaus August Otto (18321891) sviluppò un motore a quattro tempi a gasolio, che usa­ va il famoso «ciclo Otto». Comunque, le automobili a petro­ lio (benzina, gasolio, ecc.) hanno sostituito i veicoli terrestri a vapore o elettrici solo dopo il 1900. 1 2

AA.VV. Encyclapaedia lìritannìah Chicago 1987, voi 1°. p. 727. Un ciclo termodinamico a quattro tempi tn.d.t

15

L’imperialismo dell’auto

Tra i primi produttori di automobili ci furono Austin in In­ ghilterra, Ford, Ramson Eli Olds (da cui la «Oldsmobile») e Alexander e James Packard negli USA, Gottlieb Daimler (1834-1900) e Karl Benz (1844-1929) in Germania (comin­ ciarono a costruire automobili negli anni ’80 dell’ottocento). Nel 1895 viene fondato a Parigi il primo Automobil Club, seguito da altri in Gran Bretagna, Germania e Svizzera prima del 1900, anno in cui nelle gare automobilistiche in Europa e negli Stati Uniti si raggiunge la velocità di 80 chilometri l’ora. Nel 1906 si corre in Sicilia la prima Targa Fiorio. Il primo Grand Prix francese si corre a Le Mans nello stesso anno, e il primo Gran Premio italiano nel 1908. Nel 1900 esistono già più di 50 imprese di costruzione di automobili solamente negli Stati Uniti. Alcune, come la so­ cietà di André Citroen (1878-1935)che, prima di costruire automobili, fabbricava munizioni per la Quai de Javel di Pa­ rigi, nascono in stretto contatto con l’industria bellica occi­ dentale. Ci sono 241 fabbriche di automobili negli Stati Uni­ ti, quando Henry Ford ( 1863-1947)lancia il suo Modello t costruito da operai attraverso la catena di montaggio (1908) .

Il petrolio e l'automobile

La storia dell’automobile privata è inseparabile dalla mo­ derna storia del petrolio come «il maggiore e il più dilagante business del mondo, la più grande delle grandi industrie che si sviluppò nel corso delle ultime decadi del XIX secolo. La «Standard Oil» che, alla fine dell’Ottocento, dominava com­ pletamente l’industria petrolifera americana, era tra le pri­ missime e più grandi multinazionali del mondo»3. > D. Yergin, The pnze, London 199], p. 13. Tr. it., Il premio, Milano, Sperling & Kupfer, 1991.

L’automobile come la maggiore industria capitalistica

Nell’ultimo quarto del XIX secolo, i magnati del petrolio americani, guidati da John D. Rockefeller (1839-1937), erano impegnati per lo più nell’industria deH’illuminazione (illumi­ nazione di edifici, strade, luoghi pubblici e trasporti). Rocke­ feller, fondatore del gigantesco monopolio «Standard OLI», entrò in una disperata competizione con l’industria per l’e­ nergia e illuminazione elettrica fondata da Thomas Edison (1847-1931) con alcuni soci. Verso la fine del XIX secolo, i mo­ nopoli del petrolio erano alla ricerca di un nuovo campo di investimenti su larga scala: lo trovarono poco dopo il 1885, quando Karl Benz costruì la prima automobile, su tre ruote alimentata ad alcool. In quel periodo, alcuni inventori tedeschi, francesi, italiani e di altri paesi applicarono il principio del «ciclo Otto» per sviluppare la forza motrice della macchina: il motore a com­ bustione interna. Uno di questi era il barone Herbert Austin (1866-1941), un ingegnere che progettò in Australia la Wolseley a tre ruote nel 1895 e che nel 1900 guidò la prima Wolseley a quattro ruote. Fondò la Austin Motor Company - da cui il modello Austin Seven -, cominciò a produrre la sua macchina nel 1906 e nel 1936 fu insignito del titolo di barone da re Giorgio v. Avendo abbracciato tale tecnologia e seguito le prime cor­ se automobilistiche da Parigi a Bordeaux e ritorno nel 1895 e su un tracciato nel Rhode Island (USA), un americano entu­ siasta, Henry Ford, lasciò il posto di ingegnere capo alla so­ cietà di illuminazione Edison di Detroit per progettare, pro­ durre e vendere un autoveicolo privato, alimentato a benzina, accessibile dal punto di vista commerciale, che egli chiamò «Ford» e che fece il suo ingresso nel mercato statunitense nel 1900. Ford si unì a Rockefeller e il monopolio Ford-Standard Oil diede vita alla combinazione capitalistica che dominò il successivo XX secolo: l'automobile e il petrolio. 11 binomio petrolio-automobile si espanse a livello mon17

L’imperialismo dell’auto

diale, partendo dalle sue fonti nel Primo Mondo, fino all’in­ dustria manifatturiera in generale, compresi gli esplosivi, an­ che gli esplosivi da guerra, e vari altri prodotti come tubi, piastrelle, valigeria, inchiostri, solventi, saponi, abbigliamen­ to, tutti i tipi di plastica, pellicola, nastro magnetico, unguen­ ti, materiali acrilici, bevande, poliuretano, asfalto per le stra­ de, catrame e perfino olio santo. Inoltre, dopo aver attratto nella sua scia anche l’automobile, il petrolio diventò la causa delle guerre internazionali e «i pae­ si produttori di automobili muovono guerra per il petrolio»4.

La combinazione petrolio-automobile è così potente che, passati appena cent’anni da quando la prima macchina aveva preso la strada, «Le macchine erano la forma di vita domi­ nante... La metà dei guadagni mondiali hanno a che vedere con le macchine; la metà delle risorse mondiali sono dedica­ te alle macchine»5. Alla metà del XX secolo, la combinazione petrolio-automo­ bile faceva proclamare a W.H. Auden (1907-1973) «Oscuro fu il giorno in cui Diesel concepì il suo sinistro motore»6 e un rus­ so avrebbe predetto: «È destinato a spazzare via il mondo»7. Il petrolio presto rimpiazzò il carbone e l’elettricità come maggiore fonte di energia nell’Europa occidentale e, negli Stati Uniti, il maggior consumatore singolo di energia era il motore d’automobile. Durante la «crisi del petrolio» del 1973-75, quando gli stati produttori sotto la guida araba e ira­ niana aumentarono il prezzo del petrolio «gli Stati Uniti impiega[va]no il 45% dell’energia totale per i veicoli»8 e consu4 H. Williams, Autogeddon, London 1991. 5 Ibidem, p. 9-31. 6 W.H. Auden, «A Curse», Thank You Fog, London 1974. 7 I. Ehrenburg, The Life of the Automobile, London 1985. 8 I.D. Illich, Energy and Equity, London 1974. Tr. it., Energia, velocila e giustizia sociale, Milano 1974.

18

L’automobile come la maggiore industria capitalistica

mavano più petrolio dell’india e la Cina messe insieme: «in un anno gli Stati Uniti bruciano nelle loro automobili più petrolio di quanto il giacimento petrolifero dell’Alaska ne abbia prodotto in centomila anni»9. Era il concetto nascosto nelle parole dello stesso Henry Ford nel lontano 1922: «Moltissime cose stanno per cambiare. Impareremo ad es­ sere padroni invece di essere servi della natura»10. Più di mezzo secolo dopo, quando il popolo Yanomami dell’Amazzonia dava la colpa delle proprie nuove malattie al «fumo dei motori», un «servo della Natura», un Marna, della tribù Kogi in Colombia, scrisse una postilla postuma a Ford: «La Terra sta perdendo la sua forza perché essi - i monopoli del petrolio e i poteri occidentali e le loro genti - hanno por­ tato via molto petrolio, molti minerali»11. Lo stesso principale progenitore dell’automobile, Ford, fi­ nanziò parzialmente le autostrade tedesche e nell’agosto del 1938 fu insignito della Grande Croce dell’Aquila Germanica. Già nel 1923 Hitler aveva dichiarato: «Noi vediamo in Hein­ rich [Henry] Ford il leader del crescente partito fascista in America»12 e otto anni più tardi un’edizione natalizia di un giornale di Detroit riportava un discorso di Hitler: «Conside­ ro Henry Ford la mia ispirazione»13. Tuttavia, non è erroneo affermare che gli idoli degli Hitler di quei tempi - e dei nostri - fossero anche gli idoli seguiti dal­ la maggior parte della gente per lo meno del Primo, se non an­ che del Terzo Mondo: d’altro canto, anche il grande rivoluzio­ nario Leon Trotsky idoleggiava la macchina come forza liber­ taria, mentre Wiston Churchill, il grande reazionario, scriveva: 9 111 11 12 *'

R. Ornstcin - P Ehrlich, New World. New Mind. London 1989. 11. Ford, My Life and Work. London 1922. Tr. ir., .Autobiografia, Milano, 1982 A. Ercira, The Elder Brothers. London 1990. A. 1 litici-, 8 marzo 1921, in A. Lev, Henry Eord and thè lews, New York 1980. A. I litlcr, Detroit News, li dicembre 19'1.

19

L’imperialisnio dell’auto

«Ho sempre pensato che la sostituzione del cavallo con il motore a combustione interna sia una triste pietra miliare nel progresso del genere umano»14.

Come la macchina si moltiplicò nel XX secolo

Dall’anno 1899, quando venne registrato negli Stati Uniti il primo decesso causato da una macchina, attraverso tutto il XX fino al XXI secolo, il numero di persone al mondo che hanno comprato, usato e quasi vissuto in una macchina si è molti­ plicato in maniera esponenziale. Nei primi anni del XXI secolo, il numero di nuove automo­ bili prodotte in un anno nel mondo supera i più di trenta mi­ lioni di bambini nati. Già durante la «crisi del petrolio» del 1973 (che si verificò nei primi anni della crisi economica del­ la leadership mondiale euro-nippo-statunitense protrattasi fi­ no al XXI secolo), il numero di stazioni di servizio è cresciuto fino a un quarto di milione. Con l’anno 2000, nel mondo ci sa­ rebbero stati due miliardi di tonnellate di rottami d’automo­ bile, se fossero stati rottamati tutti gli autoveicoli costruiti15. Nel corso del XX secolo sono state prodotte e guidate mille miliardi di macchine. Nel 2000 più di 500 milioni di automobili private hanno circolato per le strade del mondo. U numero delle macchine subì un forte aumento durante il boom economico degli anni ’50-70, dopo la II Guerra Mondiale. La crescita continuò e si fece addirittura più rapida durante la crisi economica mon­ diale successiva al 1970. Tale tendenza è indicata nelle seguenti statistiche:

14 In Churchill Reader, London 1959. 15 C. Fox, California, Co-evolutton Quarterly, 1978 n. 17.

20

L’automobile come la maggiore industria capitalistica

Numero di automobili (in milioni) tra il 1950 e il 200016

Totale

Anno

USA

Altri

1950

40,3

12,7

1990

147,9

292,8

440,7

184

360

544

stima

2002

53

Il numero totale di veicoli (automobili, furgoni e camion, autobus e pullman) nei paesi dell’ocsE (il blocco NATO/UE, più la Turchia) era di 360 milioni nel 1990 e una stima di 500 milioni per il 2000. Il totale di automobili nei paesi dell’OCSE era di 300 milioni nel 1990 e una stima di 400 milioni per il 200217. Il totale mondiale di «veicoli» nel 2002 ha quasi rag­ giunto i 700 milioni.

Numero di automobili (in milioni) TOT

OCSE

ASIA

CINA

5

INDIA

4

EU EST

MEDIO ORIENTE, _j

AFRICA

!I 1 1!■

20

RUSSIA

SUD AFRICA

5

!

ISRAELE

i 1

BRASILE

i

ARABIA SAUD.

TOTALE

^549

o/ /o

16 1). Yergin, op. cit.. p. 84*5. 17 Dati basati su lhe

400

20

50

uJ

72,86

5,64

9,11

2.5^ i

Vital WorldLondon

I !

5



l

!

10 i 1.82 j

L'imperialismo dell’auto

Le tabelle successive mostrano il rapporto auto persone, la media dei chilometri effettuati nel 2000, l’estensione della re­ te stradale e i consumi diretti e indiretti di petrolio legato alFutilizzo di autoveicoli.

Rapporto persone veicoli nel 2002 persone

veicoli

Primo Mondo

2,5

1

Terzo Mondo

33

1

Cina, Cuba, Corea del Nord, e Vietnam

250

1

Media dei chilometri pro capite effettuati nel 2000__________ USA

14.000

UE

6.000

GIAPPONE

5.000

AMERICA CENTRALE E MERIDIONALE

2.000

ASIA E AFRICA

1.000

Totale dei chilometri di rete stradale nel 2000 (in milioni) USA E CANADA

UE

7,3 5,6 OCSE

EUROPA EST ASIA

AFRICA

AMERICA CENTRALE E MERIDIONALE TOTALE

22

2,5 1,6 1,8 2,7 21,35

12,75

L’automobile come la maggiore industria capitalistica

Consumi (tonnellate in milioni)

benzina

diesel

700

250

60

120

OCSE

Terzo Mondo

Consumi di derivati dal petrolio utilizzati per autoveicoli tonnellate

per autoveicolo

Primo Mondo

un miliardo

1

Terzo Mondo

200 milioni

0.04

Il trasporto pubblico nel Primo Mondo ha raggiunto un tasso di 550 miliardi di passeggeri.chilometro all’anno e il tra­ sporto privato ha raggiunto un tasso di 7.500 miliardi di pas­ seggeri.chilometro all’anno. Nel Terzo Mondo (inclusa la Rus­ sia, TUcraina e l’Europa Orientale) il trasporto pubblico ha raggiunto un tasso di 700 miliardi di passeggeri.chilometro in un anno e il trasporto privato il tasso di 600 miliardi di pas­ seggeri.chilometro all’anno (di cui il Brasile è una gran partei Per il Primo Mondo il rapporto trasporto pubblico passeggero/chilometro a trasporto privato è di 1 a 14 e nel Terzo xMondo è di 7 a 6. Il trasporto ferroviario costituisce la maggior parte del trasporto pubblico (con un grande contributo del si­ stema mono-rotaia giapponese) e costituisce approssimativa­ mente il 90% del trasporto pubblico del Terzo Mondo; il re­ stante 10% è formato da autobus (molti dei quali precedenti la Seconda Guerra Mondiale). Defletto deirautomobile privata sul trasporto pubblico è evidente: «L'uso del trasporto pubblico diminuisce con l'aumentare della ricchezza dei paesi e con l'aumento del possesso di 23

L’imperialismo dell'auto

un’automobile. Nella maggior parte dei paesi dell'oCSE di cui sono disponibili statistiche, 1’80% o più del trasporto di pas­ seggeri è effettuato con automobili private. I dati scarseggia­ no per i paesi in via di sviluppo, ma dove esistono la propor­ zione è effettivamente inversa»18. Questi dati e il commento sopracitato riflettono la natura privatizzata e asociale del Primo Mondo, e l’accettazione di ta­ le situazione da parte della sua popolazione. D’altro canto i dati e il commento esprimono sia il grado di socializzazione sia la povertà della società del Terzo Mondo.

ìdindustria capitalistica basata sull'automobile La fabbricazione, la distribuzione e l’uso smodato dell’au­ tomobile è la parte più cospicua della maggiore industria del moderno sistema di produzione capitalistico: l’industria del veicolo a petrolio. Il peso preciso dell’industria dell’automobile a petrolio si può misurare attraverso la frazione del prodotto nazionale netto globale o valore aggiunto. Al momento (2002), secondo la sommatoria delle statisti­ che deìTYear Book, la somma globale dei valori aggiunti evi­ denziati in ogni bilancio nazionale ammonta all’equivalente di 25.000 miliardi di dollari americani. Definiamo questo valore prodotto mondiale aggregato (PMA): se si attribuisce all’euro un valore di 0,9 dollari, ammonta a 28.000 miliardi di euro. Consideriamo le automobili: ce ne sono più di 550 milioni nel mondo. Il valore medio (in termini di prezzo) di un’auto­ mobile nuova è di circa 15.000 dollari/euro. Il valore com­ plessivo mondiale delle automobili è quindi approssimativa-

18 Ibidem, p. 113. 24

L’automobile come la maggiore industria capitalistica

mente di 8.000 miliardi di dollari/euro. Ciò corrisponde a circa il 30% del «PMA», il prodotto annuale dell’economia mondiale, ovvero circa 1/3 della somma del prodotto nazio­ nale di singoli paesi. Consideriamo ora l’insieme di autobus, pullman, furgoni e camion (compresi i costosi auto-articolati tir), che sono ap­ prossimativamente un totale di 150 milioni per un valore me­ dio di 50.000 dollari/euro l’uno. Il loro valore complessivo è di circa 7.500 miliardi. Si tratta di una stima prudenziale, da­ to l’alto costo dei camion con rimorchio, dei furgoni e dei pul­ lman, eppure ammonta a un alto 30% del PiMA mondiale. Per computare il preciso peso economico dell’industria del veicolo su strada come frazione del «prodotto mondiale ag­ gregato» - che è una misura marxista del valore aggiunto glo­ bale (stipendi più plusvalore) -, dobbiamo conoscere, in ag­ giunta a quanto si è detto sopra, il valore aggiunto medio per veicolo. La vita media di un’automobile nei paesi dell’OCSE (che, come si è visto posseggono il 90% delle automobili del mondo) è approssimativamente di 3-5 anni. Il valore medio di un’automobile nei paesi dell’OCSE è superiore a quello medio mondiale ipotizzato, cioè 15.000 euro/dollari, penante il va­ lore annuale consumato per automobile è maggiore di 15.000 euro/dollari diviso 3 (per i paesi dell’OCSE) o 5 per il Terzo Mondo. La perdita di valore media annuale per automobile nel mondo è quindi dell’ordine di 5.000 dollari/euro per il Primo Mondo e 3.000 dollari/euro per il Terzo. Se si molti­ plicano per il numero rispettivo di automobili in ogni «Mon­ do», si ottiene 400 milioni x 5.000 dollari/euro per il Primo Mondo e 140 milioni x 3.000 dollari/euro per il Terzo Mondo, cioè 2.000 miliardi di dollari/euro per il Primo Mondo e 420 miliardi di dollari/euro per il Tefzo Mondo, per un totale mondiale di più di 2.500 miliardi di dollari/euro. Solo questo corrisponde al 10% del prodotto mondiale aggregato. A citi bisogna aggiungere la perdita di valore media an25

L’imperialismo dell’auto

nuale di camion, pullman, ecc., cioè il loro valore aggiunto to­ tale o «costo di produzione» di 7.500 miliardi di dollari/euro diviso, per la loro vita media. Considerando quest’ultima, prudenzialmente, 5 anni si ottiene un valore di 1.500 miliardi di dollari/euro. Quindi la quota complessiva del PMA relativa alla produzione di tutti i veicoli è 2.500 + 1.500 = 4.000 mi­ liardi di dollari/euro. Ciò corrisponde al 16% cioè 1/6 del PMA mondiale, una quota superiore a quella relativa alla pro­ duzione di qualsiasi altro singolo settore capitalistico. La contribuzione del 16% al PMA data dai veicoli è parte di una più ampia contribuzione poiché la produzione di veicoli è combinata alla produzione e distribuzione connessa al pe­ trolio che essi consumano. Come abbiamo visto, il consumo annuo di benzina e diesel è approssimativamente 1,2 miliardi di tonnellate all'anno. A un costo medio (precedente la tassa­ zione, su cui molti governi sopravvivono o addirittura vivono) di 0,5 dollari/euro al litro, il consumo di petrolio di un veico­ lo dà un apporto di 500 miliardi di dollari/euro al PMA. A ciò va ancora addizionato il valore aggiunto contenuto nella gomma, nel platino, nelle materie plastiche e negli altri prodotti neo-coloniali, in gran parte provenienti dal lavoro sottopagato di piantagioni e miniere di proprietà di transna­ zionali del Primo Mondo, che monopolizzano anche la com­ mercializzazione di questi prodotti e le relative navi e contai­ ner che li trasportano e spediscono in tutto il mondo. Il totale del summenzionato valore aggiunto annuale del­ l’industria dell’automobile-petrolio si innalza pertanto a più di 4.500 miliardi di dollari/euro all’anno, che corrisponde a circa il 20% del valore aggiunto mondiale annuale. È la mag­ gior industria del capitalismo, ben più grande persino del­ l’industria bellica e delle armi. Significativamente, l’industria dell’automobile trae il suo principale plusvalore e molte delle materie prime dal Terzo Mondo. La Corea del Sud, il Brasile, l’Argentina, il Sudafri26

I .’automobile come la maggiore industria capitalistica

ca, l’india e molti altri paesi del Terzo Mondo producono c/o assemblano automobili per l’italiana Fiat, per le società Austin-Rover-Lcyland un tempo inglesi e ora in mani tedesche, le americane General Motors e Ford, la tedesca Volkswagen, la giapponese Toyota e altre... Per di più operai provenienti dalle ex-colonie in Gran Bretagna, Francia (per esempio Re­ nault), Germania (per esempio operai turchi) e in altri paesi dell’ocSE prendono parte alla produzione di automobili, ca­ mion e pullman di proprietà di grandi società del Primo Mondo. Per riassumere: le due basi, di ugual importanza, su cui si reg­ ge l’industria automobilistica sono il petrolio e il Terzo Mondo.

Capitolo secondo L’AUTOMOBILE COME MACCHINA PER UCCIDERE

Molto è stato detto e scritto riguardo al numero di perso­ ne uccise e ferite dall’automobile sulle strade. Poco è stato fat­ to per controllare l’automobile in tal senso, e quel poco qua­ si interamente nel Primo Mondo, specialmente nelle grandi città. Poco, comunque, è stato detto e scritto, e ancora meno fatto, sull’automobile in quanto omicida sulle strade del Terzo Mondo, e niente riguardo ai disastri provocati nel Terzo Mon­ do considerato un tutt’uno, come organismo sociale. La prima morte causata da un’automobile fu registrata a New York il 23 settembre 1899, anno in cui venne prodotta la prima automobile accessibile dal punto di vista commerciale, una coupé. Nel 1990 all’automobile sono state attribuite 17 milioni di vittime nel corso del secolo circa di attività, il doppio di quel­ le dei campi di sterminio nazisti, 18 volte quelle dell'invasio­ ne della Corea da parte della NATO-ONU, 17 volte quelle della guerra del Vietnam e più di quelle della Guerra dei Cent'an­ ni e delle Crociate1. Entro il 2002 il numero di vittime della 1

11. Williiuns, Antogeddon. London 1991, p. 7. 29

L’imperialismo dell’auto

strada nel mondo è stimato attorno ai 20 milioni. Uno scrittore occidentale ha notato: «Le statistiche mo­ strano che l’automobile, dal 1900, ha ucciso molti più esseri umani di quanti ne siano morti in tutte le guerre mai com­ battute dagli Stati Uniti»2. Gli scritti occidentali sull’automobile tendono a concen­ trarsi eccessivamente sul numero delle vittime dovute agli in­ cidenti stradali. Tuttavia, ci sono almeno altri tre modi in cui l’automobile uccide la gente. LJinquinamento e, la distruzione deli habitat e, in modo più significativo e in maggior numero, lo sfruttamento dei popoli del Terzo Mondo. Per quel che concerne l’inquinamento, esso non soltanto uccide le persone direttamente, specialmente i bambini (per­ ché più vicini ai gas di scarico), ma lo fa anche indirettamen­ te attraverso la distruzione dell’habitat umano: l’aria, l’acqua e la terra. È noto che 1’80-90% dell’energia potenziale di un’auto­ mobile si converte in inquinamento e surriscaldamento del­ l’ambiente3. Tra gli agenti inquinanti ci sono sostanze come ossidi di azoto, idrocarburi, specialmente policiclici cancero­ geni, il piombo tetraetile, 800 tonnellate dei quali cadono «su ogni città europea ogni anno... una goccia di quella roba sul­ la pelle e sei morto stecchito»4. I residui di ossido di azoto emessi nell’aria dalle automobi­ li distruggono le foreste e ogni anno sull’Inghilterra cadono 200.000 tonnellate di biossido di azoto, che corrodono i tetti, le chiese, il vetro, il marmo e la carne. Altri agenti inquinanti indiretti comprendono il mercurio (che avvelena il pesce che mangiamo, sia quello in scatola, sia quello del mercato), il cad­ mio e l’alluminio (elemento presente nelle automobili stesse).

2 5 4

L. Munford, The Pentagon of Pfjwer, New York 1970. \ew Ìnternationalìst, Oxford 1989, Autogedd&n, cit., p. 53 S.S. Epstein, «The Real Cost of IVuvI», rhe Ecologist, Comovaglia agosto 1989. n. 4; C. Reati, «Air Pollution and Child l lealih». Creenpeace, luglio 1991, pp. 31-38. 20 The Nt ‘tv Scientist, Londra 19 settembre 1985.

14 15 16 17

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L’imperialismo dell’auto

Gli effetti degli autoveicoli sull’ambiente L’automobile e altri automezzi danneggiano sia l’ambiente naturale che quello umano in modo diretto (attraverso la lo­ ro presenza attiva nonché in qualità di rottami) e indiretto (at­ traverso l’industria del petrolio dalla quale dipendono e i gas di scarico che emettono). Ciò che fanno al corpo umano in modo diretto, lo fanno in modo indiretto all’ambiente natu­ rale e, viceversa, ciò che fanno alla «natura» in modo diretto, lo fanno indirettamente al corpo umano e alla società. I gas di scarico causano più distruzione ambientale di quanto facciano le centrali termoelettriche a carbone o a pe­ trolio, le fabbriche, l’agricoltura meccanizzata, le miniere e l’industria dei servizi di produzione e distribuzione (veicoli a parte). L’automobile è una delle maggiori fonti della pioggia acida che corrode le foreste della Baviera e della Germania, come di tutte quelle che si trovano sul suo percorso. E le fo­ reste sono socialmente necessarie (senza considerare il loro consumo causato dall’ossessione per l’arredamento delle clas­ si medie e operaie). Solo a Roma l’«effetto serra», proporzionale all’anidride carbonica emessa dalle automobili, è cresciuto con l’aumen­ to del numero di auto, dalle 30.000 del 1950 a quasi 3 milio­ ni nel 2000. L’introduzione della marmitta catalitica a parti­ re dagli anni ’80 in realtà ha aumentato il livello di anidride carbonica, ossidando essa stessa il monossido di carbonio emesso dalle automobili21. L’anidride carbonica che proviene dai veicoli terrestri è causa di siccità da una parte22 e di allu­ vioni dall’altra. Gli scienziati prevedono che lo scioglimento dei ghiacci dell’Antartide causato dall’effetto serra (prodot­ to dall’asse automobile-petrolio del monopolio capitalistico 21 C. Baines, BBC Wild Life Magatine, Bristol ottobre 1989. 22 M. Allaby, Living in thè Greenhouse, Wellingborougb Tborsons 1990.

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L’automobile come macchina per uccidere

trans-nazionale) farà aumentare il livello degli oceani di cin­ que metri, nel corso della vita dei nati nel 2000. Ovviamente, questo sommergerà anche la sua principale causa - l’asse au­ tomobile-petrolio e la sua lobby multinazionale. Centinaia di milioni di persone in tutti i continenti temono - ma affron­ tano - questa prospettiva.

La distruzione del sistema ferroviario causata dall’automobile All’indomani della rapida espansione dell’automobile, av­ venuta dopo la seconda Guerra Mondiale, crebbe la prefe­ renza per l’automobile rispetto alla metropolitana e al treno. Ciò fece sì che la rete ferroviaria e quella metropolitana, spe­ cialmente negli Stati Uniti, a Londra e a Parigi, ne soffrissero dal punto di vista economico nonché da quello dell’immagine pubblica. Tra la prima e la seconda Guerra Mondiale le com­ pagnie produttrici di automobili, guidate dal filofascista Henry Ford, comprarono le linee e le stazioni ferroviarie, la­ sciando che molte diventassero un deserto di strade ferrate inoperose. Le compagnie produttrici di automobili costruirono auto­ bus a benzina altamente inquinanti, più tardi anche a diesel, per trasporare passeggeri che precedentemente avevano usa­ to il treno per viaggiare tra le maggiori città degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Francia, della Germania e dell'Ita­ lia. In questo periodo l’automobile causò un danno finanzia­ rio e materiale irreparabile al sistema ferroviario. Tale danno portò con sé un declino della «cultura» del viaggio in treno. Sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna, così come nei mag­ giori paesi dell’Europa occidentale, la somma totale dei chi­ lometri di linee ferroviarie è rimasta anche ora, all'inizio del XXI secolo, quella del boom della fine del XIX secolo, quando 37

L'imperialismo dell'auto

non è effettivamente diminuita. L’America e l’Europa hanno migliaia di miglia di strada ferrata rimaste inattive da mezzo secolo o più, e parecchie stazioni ferroviarie vuote e in rovina, nonché carrozze e locomotive abbandonate. Oggi il sistema della metropolitana nei paesi dell’OCSE e nelle loro semi-colonie (dove corporazioni statunitensi, giap­ ponesi ed europee hanno fatto fortuna costruendo linee me­ tropolitane) è in crisi. Soffre la mancanza di passeggeri e di denaro. Le vecchie reti metropolitane cadono a pezzi. I loro materiali e i loro sistemi elettrici, che avevano una volta or­ gogliosamente rimpiazzato i fumosi treni a vapore, sono in rovina. Qualcuno sostiene che è lo stato delle reti ferroviarie e me­ tropolitane la causa del fatto che la gente en masse sta usando l’automobile per andare al lavoro e per viaggiare in genere. La gente - non soltanto gli automobilisti ma principal­ mente loro - attribuisce al treno e alla metropolitana la colpa di questa situazione catastrofica. Invece è vero il contrario: la rete ferroviaria e quella metropolitana sono in crisi proprio perché l’automobile le ha «buttate fuori dagli affari». L’au­ mento esorbitante del numero delle automobili e quindi dei loro proprietari è una tendenza congenita in una società con­ sumistica e alienata, che trasforma l’«indipendenza», l’«autonomia», la velocità e il «successo» in feticci egoistici. Nel ca­ so in cui i «guidatori», per qualsivoglia motivo, siano impos­ sibilitati ad usare l’automobile, usano l’aeroplano, altrettanto sporco, inquinante e «distruttivo per l’ambiente», anche quando e dove esiste l’alternativa di un viaggio in treno. Così i parcheggi, i garage, le vie e le strade delle metropoli, delle città e finanche dei villaggi di tutto il mondo si stanno affol­ lando di automobili; si costruiscono sempre più terminali ae­ roportuali e il cielo rimbomba e trema con aeroplani sempre più grandi; ma la rete ferroviaria affonda nel caos, negletta e in decadenza. 38

L’automobile come macchina per uccidere

Le corporazioni capitalista dell’automobile e dell’aeroplano sono da biasimare per questo, ma solamente insieme alla e a causa della «gente». E stata la gente a scegliere l’automobi­ le e l’aereo invece del tram, della metropolitana e del treno. Essa è convinta di aver compiuto una «libera scelta». Ma niente è libero, nemmeno lo scegliere. La gente non ha scelto soltanto l’automobile, ma anche le multinazionali, i leader e i giudizi della più vasta e più distruttiva industria capitalistica. Questo trionfo dell’automobile non solo sta, in tutta evi­ denza, minacciando e tendenzialmente distruggendo il siste­ ma ferroviario, un tempo «grande», inventato e diffusosi nel XIX secolo, ma sta anche consolidando lo spietato potere ba­ sato sul binomio automobile-petrolio della maggiore indu­ stria del capitalismo rampante: l’industria del veicolo, con­ dotta dall’ormai apparentemente onnipotente automobile. C’è tuttavia da dire che non soltanto i capitalisti del petro­ lio-veicolo e gli stati che amministrano i loro affari, ma anche, e soprattutto, le nazioni e la gente di tutto il mondo, sia nel Primo che nel Terzo Mondo, sono e saranno responsabili del­ l’uso e della mania per l’automobile. Hanno forgiato e in tut­ ta evidenza, fino ad ora, stanno continuando a lucidare la lo­ ro stessa Spada di Damocle.

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Capitolo terzo L’ASSE MACCHINA-PETROLIO E LE GUERRE DELLA GLOBALIZZAZIONE

Per quanto spaventose siano le statistiche riguardanti l’au­ tomobile come macchina della morte, i più di venti milioni di morti del XX secolo non sono ancora il cuore della potenza di­ struttiva dell’auto. Il vero nucleo di essa è costituito dal ruo­ lo assunto, con il petrolio, in ciò che viene chiamato «globa­ lizzazione». Il capitalismo è sempre stato - non soltanto adesso - glo­ bale nei suoi obiettivi e nell’espansione. Lo fu quando iniziò, con le crociate, mille anni fa, e continuò ad esserlo svilup­ pandosi nei «Viaggi di Scoperta» di Colombo e nelle guer­ re di conquista, in cui furono uccisi cento milioni di «india­ ni» soltanto in America e un numero equivalente di persone in Africa e in Asia. Il termine «globalizzazione» è un eufe­ mismo per l’«imperialismo», che continua a essere la molla principale della formazione sociale internazionale «a due mondi» globalmente interconnessi da cui è costituito il ca­ pitalismo. Questo sistema mantiene la propria coesione grazie alla distruttività, non attraverso il progresso tecnologico: que41

L’imperialismo dell’auto

st ultimo è il mezzo con cui il sistema procede da un campo di distruzione all’altro. Basti soltanto citare, nella prima fase del modo di produ­ zione capitalistico, quello dello schiavismo, le navi all'epoca «avanzate» che, tra il XVI e il XIX secolo, trasportarono venti milioni di africani oltre Atlantico verso la schiavitù nelle Ame­ riche; o lo sviluppo dell’industria metallurgica che produsse le catene e le gabbie di ferro nelle quali gli schiavi venivano rin­ chiusi durante il trasporto in quelle stesse navi; e le pistole, i cannoni e le armi da fuoco utilizzate dai commercianti di schiavi per assoggettare i continenti africano e americano. Le industrie di trasporti navali dei porti di New York, Bo­ ston, Bristol, Liverpool, Bordeaux e Amsterdam, che servi­ rono un «progresso» fatto dalla cattura di schiavi e dalla schiavitù, trasportarono sia schiavi che coloni, nella maggior parte dei casi separatamente. Il «progresso tecnologico» ot­ tenuto sostituendo le vele con il motore a vapore e le eliche quali forza motrice delle navi, fu una parte importante del processo di colonizzazione e di riduzione in schiavitù, senza la quale né l'Africa né gli Stati Uniti sarebbero oggi, secoli dopo, ciò che sono: un continente morente e in rovina da una parte e la nazione più ricca e più bellicosa del mondo dal­ l'altra. Per avere una prospettiva completa sull’automobile, si deve guardare anche alla nave e a tutti gli altri «veicoli» del­ la globalizzazione. I media riportano il numero delle vittime di incidenti stra­ dali, ma non dicono granché delle morti causate, per fare un esempio, dal fallimento del tentativo dell’organizzazione Mondiale della Sanità di salvare 1.800.000 bambini dalla ma­ laria soltanto in Africa. Sono più i bambini morti per questa malattia in Africa nel XX secolo di tutte le vittime della strada in tutto il mondo. L’automobile opera una distruzione su vasta scala, ma non maggiore di quella perpetrata dalle guerre coloniali c «mon42

L’asse macchina-pelrolio e le guerre della globalizzazione

diali» causate da quello stesso modo di produzione, politico ed economico, che Adam Smith, Ricardo e Marx, tra i tanti, chiamarono «capitalismo». L’auto ha ucciso venti milioni di persone solamente in incidenti stradali. Ma la barbarie della schiavitù coloniale capitalista, delle guerre di conquista c di espropriazione da Colombo a Cecil Rhodes, nel corso di cin­ quecento anni hanno ucciso approssimativamente trecento milioni di persone. La prima Guerra Mondiale del 1914-18, intrapresa princi­ palmente da Gran Bretagna e Germania per il dominio eco­ nomico mondiale, fece un numero di vittime, sul campo di battaglia e non, pari a quelle causate dall’automobile in tutto il XX secolo. La seconda Guerra Mondiale, combattuta es­ senzialmente tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti da una par­ te e la Germania e il Giappone dall’altra, e portata poi a ter­ mine dall’URSS, pur indebolita da venticinque anni di assedio imperialista, costò direttamente più di trenta milioni di vite sul campo, ben di più se si contano anche le vittime civili.

Il petrolio e la «Guerra Fredda» La Russia sovietica sofferse molto su entrambi i fronti, quando l’attacco imperialista della Germania nazista massacrò venti milioni di suoi cittadini, oltre a distruggere qualcosa co­ me 20.000 città. Il pedaggio mortale pagato dai russi non fu soltanto tre volte quello dell’olocausto degli ebrei (e di mi­ lioni di altri, non si dimentichi), ma eguagliò il numero delle vittime dell’automobile nel corso del suo primo - e speriamo ultimo - secolo. Queste «statistiche» mettono la natura omi­ cida della macchina in una prospettiva realmente «storica». Inoltre, è necessario, soprattutto ora, ricordare che, anche se la Russia, sotto Stalin, riuscì a schiacciare la macchina da guerra nazista, salvando molli paesi dal nazismo, l’Unione So4)

L’imperialismo dell’auto

vietica si indebolì a tal punto che neppure le sue conquiste nel campo della navigazione spaziale e dell’energia nucleare po­ terono salvarla da settant’anni di assedio imperialista: a parti­ re dal 1989 è scivolata rapidamente nel Terzo Mondo. Nel decennio della restaurazione capitalista, le aspettative di vita in Russia sono calate da oltre 70 anni a 58. Il petrolio fu un fattore fondamentale della «Guerra Fred­ da» combattuta tra il 1950 e il 2000 dalle potenze NATO-UE contro l’URSS. Nel 1988, alla vigilia della contro-rivoluzione capitalistica condotta da Eltsin (il cui colpo di stato del 1989 avvenne sotto la guida di Bush), la Russia era il maggior pro­ duttore di petrolio del mondo, con 600 milioni di tonnellate all’anno contro i 400 milioni degli Stati Uniti e i 280 milioni dell’Arabia Saudita. L’URSS era al secondo posto nel consumo del petrolio, con 450 milioni di tonnellate all’anno contro gli 850 milioni degli Stati Uniti (di cui il 30% importato) e i 250 milioni del Giappone1. La Guerra Fredda non mirava soltanto a minare il com­ plesso militare russo con la sua potenza nucleare, e a strap­ pare all’URSS il predominio nella gara per lo spazio, ma so­ prattutto a riportare al sistema capitalistico i suoi vasti terri­ tori e i suoi più di 250 milioni di abitanti. Per raggiungere ta­ le scopo, l’obiettivo principale dovette essere necessariamen­ te l’acquisizione del controllo e lo sfruttamento della capacità e dell’esperienza russa nella produzione del petrolio. Dopo la caduta del muro di Berlino (eretto tanto per di­ fendere l’Unione Sovietica quanto per mantenere la Germania dell’Est nella sua sfera d’influenza) e il rovesciamento della struttura sociale sovietica, i giacimenti petroliferi dell’ex-URSS passarono via via nelle mani di transnazionali occidentali e di società para-statali del tipo deH’italiana IR1. La Germania, nel 2000 il maggior investitore straniero in Russia, era in grado '

The Economist Vital World Statistici, citp. 90.

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L’asse macchina-petrolio e le guerre della globalizzazione

per la prima volta di realizzare il sogno di Bismarck, Hitler e Adenauer: il possesso dei giacimenti petroliferi più grandi del mondo. Una volta perso il suo petrolio, la Russia perse la so­ la forza che le era rimasta dopo le atrocità naziste e l’invasio­ ne nella seconda Guerra Mondiale e dopo che la Guerra Fredda stessa l’aveva prosciugata di tutte le sue energie. A so­ stegno di quest’ultimo punto, basti menzionare l’insurrezione pro-Occidente a Berlino nel 1953, la social-democratica «Ri­ voluzione Ungherese» del 1956 appoggiata dal Vaticano, la ri­ volta del 1968 in Cecoslovacchia, la caduta del muro di Ber­ lino nel 1989 e lo smembramento della Jugoslavia perseguito dagli eserciti e dalle potenze della nato dal 1989 in poi. La forza petrolifera russa non fu soltanto il risultato dell’e­ conomia pianificata introdotta dalla rivoluzione del 1917 con­ tro il capitalismo e lo zarismo. Le popolazioni della regione conoscevano e utilizzavano il petrolio già nei tempi antichi, quando le genti della penisola di Aspheron, raggiunto il Mar Caspio dalle montagne del Caucaso, bruciavano il petrolio che scaturiva da una sorgen­ te vicino a Baku per fare fuoco a scopo di illuminazione. Gli antichi Persiani veneravano le «eterne colonne di fuoco» di Baku. Questa primitiva industria petrolifera usava fosse sca­ vate a mano, sostituite poi, nel 1871, da pozzi scavati con le trivelle e da piccole raffinerie. Lo sviluppo dell’industria si deve, a partire dal marzo del 1873, alla famiglia svedese Nobel, stabilitasi a San Pietro­ burgo. Ludwig Nobel ( 1832- 1888)vinse un appalto del go­ verno zarista per la fabbricazione di fucili e nel 1878 riempì le stive della prima petroliera, la Zoroaster (secondo il nome usato dagli antichi adoratori dei fuochi di petrolio di Baku). La compagnia petrolifera dei fratelli Nobel divenne subito concorrente della Standard Oil. L'impero petrolifero dei Nobel - che fondarono anche le prime grandi fabbriche produttrici di bombe alla nitroglicerina, e uno dei quali, 45

L’imperialismo dell’auto

Alfred (1833-1896) istituì il famoso Premio Nobel -, entrò presto in competizione con l’impero petrolifero dei baroni Alphonse (1827-1905) Edmond Rothschild, per poi asso­ ciarsi ad esso. Edmond Rothschild fu uno dei primi sponsor dell’idea sionista di un insediamento ebraico in Palestina. Il regime zarista non impedì l’espansione della loro Compa­ gnia petrolifera del Mar Caspio e del Mar Nero fondata nel 1886. Nel 1888 le società petrolifere dei Nobel e dei Rothschild producevano una quantità di petrolio pari all’80% di quella prodotta dal gigante americano Standard Oil. L’antisemiti­ smo zarista non li ostacolava. I Rothschild entrarono in com­ petizione e si associarono anche con un altro ebreo: Marcus Samuel Jr., fondatore, a Londra, della tutt’ora ben nota Shell. VEconomist del 9 gennaio 1892 riportava che il 90% del traffico che passava attraverso il canale di Suez era costituito dal­ le petroliere Shell di Samuel. Al consorzio virtuale tra la Shell, i Rothschild e i Nobel, si unì ben presto la Royal Dutch, fondata nel 1890 da Jan Zijlker (1830-1890), un colonialista olandese di Sumatra, Indonesia. Queste prime compagnie petrolifere si in­ sediarono saldamente sul suolo coloniale e avrebbero combat­ tuto molte battaglie, persino guerre per conservarlo. La storia del petrolio russo è un lungo capitolo nella storia del colonialismo. Il colonialismo al tempo di Adam Smith fu chiamato «la ricchezza delle nazioni»: l’imperialismo di oggi - il moderno colonialismo - si chiama «globalizzazione». Non è difficile dimostrare che la globalizzazione maschera2 in realtà l’imperialismo, una volta mostrato il modo imperialisti­ co, sfruttatore e distruttivo, di operare nel Terzo Mondo del­ ia Banca Mondiale, dell’Unione Europea e delle transnazio­ nali dell’OCSE. Eppure, sotto questa copertura, milioni e mi2 J. Pel ras, H. Vcltmcycr, ìm '¿lohalÌ7.za7jone smascherata. Hituficrtalismo nel XXI se­ colo, Jaca Book, Milano 2002.

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L’asse macchina-petrolio e le guerre della globalizzazione

lioni di persone muoiono per ragioni a loro ignote e incomprensibili. E tutti, vivi e moribondi, desiderano, a volte più della vi­ ta stessa, l’automobile. Per mondare da questo cancro men­ tale non serve a niente isolare la macchina demonizzando­ la, come se i suoi «problemi» si potessero curare senza ren­ dersi conto, toccare e tanto meno cambiare radicalmente la società di cui è parte così attiva. Biasimare la macchina è quasi altrettanto sbagliato - e altrettanto inutile - quanto lodarla. Serve invece capire la macchina, per mettere la so­ cietà nella condizione di poterne fare a meno. Finché essa rimane all’interno del sistema imperialistico esistente, po­ che persone, se ce n’è qualcuna, possono farne a meno. La maggior parte morirebbe senza di essa. L’automobile non è un problema riguardante il singolo: è un problema sociale. Riguarda tutti, non nel senso dell’insieme dei singoli, ma come società globale.

Il petrolio, le transnazionali mondiali e la guerra Le auto blindate, gli autocarri per il trasporto di truppe e il carro armato stesso sono alcuni degli adattamenti dell'auto­ mobile per scopi bellici. Ma dietro (e fisicamente dentro) le automobili, i camion e i carri armati c’è sempre stato il petro­ lio e dietro il petrolio ci sono sempre stati i giacimenti petro­ liferi di tutto il mondo. Lo stesso vale per gli aeroplani. Il principio del motore a combustione interna dell'automobile fu impiegato per la fabbricazione di motori d'aeroplano, prima dello sviluppo del motore a reazione. Una delle prime volte in cui l’aereo venne impiegato per scopi militari fu il bombarda­ mento italiano del 1911, effettuato da aerei militarizzati du­ rante l’invasione imperialista della Libia. Questa militarizza­ zione dell’aeroplano continue» durante la prima Guerra Mon47

L’imperialismo dell’auto

diale e poi ancora nella seconda, quando civili, villaggi e città furono bersagliati in massa, in particolar modo dai tedeschi durante l’invasione della Russia tra il 1941 e la fine del 1942. Il motore a combustione interna dell’automobile era la for­ za motrice degli aerei italiani che bombardarono civili etiopi­ ci con l’iprite nel corso della guerra imperialista italiana del 1935-40. Poi ci fu il passaggio dal motore a combustione interna a quello a reazione e furono aerei a reazione, statunitensi e non, quelli che massacrarono i coreani nel corso dell’invasione del­ la Corea appoggiata dalle Nazioni Unite negli anni ’50 e quel­ li che devastarono il Vietnam con bombe incendiarie e gas ve­ lenosi, compresa la letale diossina, durante la guerra intrapre­ sa dagli Stati Uniti nel 1963-73 per impedire l’unificazione del paese. In tempi più recenti questi aerei a reazione - tutti in de­ finitiva alimentati con il carburante ad alto numero di ottani sintetizzato nelle raffinerie controllate da (e di proprietà di) so­ cietà occidentali - hanno perpetrato atrocità di massa: i bom­ bardamenti nel corso dell’invasione NATO-ONU dell’Iraq nel 1990-91 e, dieci anni più tardi, il bombardamento omicida di cittadini jugoslavi, delle loro città, delle loro chiese, dei loro condomini, delle loro case, degli antichi monumenti e dello stesso territorio cossovaro nel cuore della Serbia. Quest’ultima guerra, combattuta dalla NATO con l’appoggio dell’Unione Eu­ ropea, ha visto l’uso più massiccio di aeroplani di tutti i tempi. Nel 2001-02, il bombardamento in Afghanistan di città, civili e rifugi sotterranei allo scopo di annientare al-Qaeda, i Talebani e i seguaci arabi di Bin Laden - accusato di aver distrutto l’orgoglio americano, le Torri Gemelle di New York, nel settembre del 2001 -, ha mostrato l’utilizzo più intenso di armi di distruzione di massa di tutta la storia. Pressoché tutti, compresa la quasi totalità della «sinistra» eu­ roamericana, hanno appoggiato o si sono astenuti dal prote­ stare, guardando solamente il lato «terroristico» della guerra 48

L’asse macchina-petrolio e le guerre della globalizzazione

(nella quale i terroristi erano chiaramente su entrambi i fron­ ti). Pochi hanno visto lo scopo nascosto della guerra supposta «anti-terrorista» portata avanti dalla NATO insieme all’Unione Europea: le grandi riserve di petrolio e di gas del Kazakistan e degli altri paesi, costretti attraverso minacce e con la virtua­ le occupazione militare a sostenere la «guerra totale» contro una delle più povere e più deboli nazioni della terra. Dopo la sconfitta del governo talebano la «coalizione» della NATO (e, nelle ultime fasi della guerra, anche UE) ha mantenuto le sue forze occupanti sparse in tutto l’Afghanistan preparandosi ad estrarre gas e petrolio dalle riserve dell’intera macro-regione. La prima Guerra Mondiale stessa non si combattè tra le vecchie potenze imperialiste e quelle emergenti soltanto per i territori coloniali, ma nella stessa misura anche per il petrolio. Le compagnie petrolifere britanniche, americane, russe e francesi, condotte dalla Shell e dalle «Sette Sorelle», posse­ devano già la maggior parte dei giacimenti petroliferi, delle petroliere e dei mercati petroliferi del mondo. La Germania, che si preparava alla guerra già dal 1900, non possedeva né aveva il controllo del petrolio, ma non poteva realizzare la sua aspirazione a diventare una potenza coloniale senza pos­ sedere, anzitutto, i giacimenti petroliferi del Mar Nero con centro a Baku. Dal canto suo, dopo che una nave della mari­ na militare tedesca, la «Panther», aveva fatto il suo ingresso nel porto afro-francese di Agadir nel luglio 1911, la Gran Bretagna, su consiglio del Ministro degli Interni Vi inston Churchill, cominciò ad alimentare le proprie nari utilizzando il petrolio al posto del carbone. Churchill dichiarò dì fonda­ re «sul petrolio la supremazia navale» della Gran Bretagna: aveva capito perfettamente che «per tutto il XX secolo petro­ lio è stato sinonimo di potere»'. Alla vigilia della prima Guerra Mondiale, Churchill si assi‘

1). Yergin, /’/»