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Italian Pages 324 [162] Year 1950
FRIEDRICH WILHELM JOSEPH SCHELLING
LEZIONI
MONACHESI
STORIA DELLA FILOSOFIA MODERNA ED
ESPOSIZIONE DELL'EMPIRISMO FILOSOFICO
SANSONI
~
FIRENZE
Titolo originale: A1iinchener Vor!estmgen: Zt1r Geschichte der neueren Philosophie und Darstellung des philosophischen Empirismt1s. (Stuttgart -Augsburg, Siimmtliche Werke, voi. X, 1856-1861). Prima traduzione italiana a cura di GAETANO DuRANTE INDICE
Prefazione del traduttore . . . . . . . . . . . . . . . • . pag. LEZIONI MONACHESI SULLA STORIA DELLA FILOSOFIA
MODERNA
Prefazione
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Cartesio Spinoza. Leibniz. Wolff Kant. Fichte. - Sistema dell'idealismo trascendentale >1
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Jacobi
- Il teosofismo.
Sull'opposizione nazionale in filosofia ESPOSIZIONE DELL'EMPIRISMO FILOSOFICO
PROPRIETA RISERVATA - STAMPATO IN ITALIA
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La filosofia della natura .
PREFAZIONE DEL TRADUTTORE L'ultima filosofia di Schelling è stata giudicata dagli storici hegefiani della filosofia moderna come l'opera di un ritardatario e di un superato che, diversamente da Hegel, ha cercato rifugio nella fede cieca e impenetrabile al pensiero, e come ttti miscuglio indigesto di astrttsa e verbosa scolastica, di torbida e confusa teosofia, di idee specttlative appena abbozzate e fasciate a metà, di fttoghi biblici e di dommi ecclesiastici arbitrariamente interpretati, che non valeva la pena di far conoscere mintttamente, e tale gittdizio si è basato sul pretesto che ciò che vi si trova di vivo e di vitale è già contem1to nelle opere delle prime e più note fasi dell'attività filosofica di Schelling, e che, in ogni caso, non aveva esercitato alctm inj111sso decisivo sttllo svil11ppo ulteriore della filosofia moderna. Così, nonostante che, vivo ancora Schelling, alcuni pensatori, tra i qttali j. H. Fichte, C. H. Weisse, H. Beckers, F. Stahl, si ispirassero alla stta ultima filosofia e lo riconoscessero come proprio maestro nel loro tentativo di trasformare l'idealismo di tipo panteistico in un idealismo teistico che salvaguardasse la personalità, la trascendenza di Dio e la libertà dell'11omo, e nonostante che E. Hartmann sin dal z869 in un suo st11dio acmrato esponesse il pensiero dell'ultimo Schelling cotJ1e 11nità di Hegel e di Schopenha11er e gli si riconoscesse debitore di alcune delle tesi fondamentali del suo sistema, tuttavia, fatta eccezione di Costantino Frantz nel z878-79, di Carlo Groos nel z889 e finalmente di Ktmo Fischer nel z894, l'ultima filosofia di Schelling in tutte le altre storie della filosofia moderna, e anche nelle monografie dedicate al s11_o pensiero complessivo, fu sempre trascurata IX
PREFAZIONE DEL TRADUTTORE
PREFAZIONE DEL TRADUTTORE
e trattata col massimo disprezzo, tanto da suscitare !'ilflpressione che i loro autori non avessero neanche letto gli scritti di Schelling che
razionalismo obbiettivo a render conto del reale concreto nella sua positività, e con acume profondo ne fece vedere le lacune e i limiti, indicando nella stta filosofia positiva il mezzo di oltrepassarlo. Contro l'affermazione della filosofia puramente razionale che tutta la realtà nella sua forma e nel suo contenuto si può comprendere partendo soltanto dalla ragion pura e non ha altro principio che la Ragione, l'Idea assoluta o il Logos, egli dimostra che la ragione può spiegare soltanto il "was ", l'essenza, l'elemento necessario del reale, ciò che il pensiero non può non pensare; ma non p11ò spiegare il st10 "dass " la sua effettività, la sua esistenza in quanto tale. "In ogni cosa reale, egli dice, 1 ci sono due cose del tutto distinte da conoscere e da sapere, zo che cosa è 1111 essere, quid sit; 2° che esso è, quod sit. La prima, cioé la risposta alla questione: che cosa è, mi fa conoscere /'essenza della cosa, o fa sì che io intenda la cosa, che ne abbia intelligenza o un concetto, o che la abbia nel concetto. L'altra, la conoscetrza che essa è, mi dà non il semplice concetto, ma qttalcosa che oltrepassa il concetto, e che è l'esistenza". Nello stesso senso Schelling dice nelle Lezioni sulla storia della filosofia moderna: Si può concedere ad Hegel "che t11tto è nell'Idea logica, ed anzi vi è in modo che nttlla potrebbe essere fuori di essa, perché l'assurdo certamente non pttò esistere mai e in nessun luogo. Afa, appunto per ciò, l'elemento logico si presenta come l'elemento puramente negativo dell'esistenza, come ciò senza di cui nttlla potrebbe esistere; ma da ciò non segue punto che ttttto esista anche soltanto p e r vi r t à dell'elemento logico. Ttttto può essere nell'Idea logica, senza che con ciò sia spi e g a t a alcuna cosa; allo stesso modo che, per es., nel mondo sensibile, tutto è concepito secondo numero e misura, senza che, per questo, la geometria o l'aritmetica spieghir.o il mondo sensibile. Tutto il mondo si trova, per dir così, nelle reti de/l'intelletto o della ragione, tJJa la qt1estione è appunto di sapere c o m e mai esso è entrato in queste reti, giacché evidentemente nel mondo c'è inoltre qualcosa di
ad essa si riferiscono. Soltanto nella situazione attuale della filosofia, creata dalJ' avversione se!flpre più profonda ali' astratto razionalismo in tutte le sue for111e, dall'interesse sempre pitì vivo per il reale concreto nei st1oi aspetti apparentemente più irrazionali e per i problemi che esso suscita, e dall'importanza sempre maggiore data al problema religioso, e specialJJ1ente al problema del rapporto tra filosofia e cristianesimo o religione rivelata, il pensiero dell'ultimo Schelling ha trovato tma valutazione pitì equa ed è stato oggetto di studi pitì accurati soprattutto in Germania, ma anche in Francia, per opera del Tillich, del Leese, dell'Heimsoeth, del Dekker, dell'Ertel, dello Schelsky, del Gi,nter, del F11hrmans, del Delbos e del Jankele1vitch. L'opposizione tra filosofia negativa e filosofia positiva, cioé tra idealismo logico assoluto ed empirismo razionale o idealismo che riconosce la necessità di ricorrere all'esperienza nel SI/O senso pitì vasto per conoscere il reale effettivo e per confermare le deduzioni a priori della ragione, opposizione che costituisce il cardine fondamentale dell'tdtima filosofia di Schel!ing nel pieno possesso di se stessa, è viva specialmente oggi che pare non si possa fare a meno di ammettere, anche semplicemente per ragioni desunte dalla teoria della con_oscenza, un principio obbiettivo razionale del reale. Ma tm tale idealismo obbiettivo, come quello che f11 sostenuto da Schelling nella Stia precedente filosofia e f11 portato poi da Hegel alle sue ultime conseguenze, pone necessariamente il pensiero dinanzi al problema di sapere se la realtà in tutto il st10 contenuto è concepibile partendo da tm principio p11ramente logico, o se presenta aspetti non deducibili a priori da nessuna ded1izione dialettica, e qual'è il metodo che possa farci conoscere tali aspetti nella loro concretezza e il principio a c11i essi si devono far risalire per ottenerne una spiegazione soddisfacente, senza cadere nel contingentismo e nell'irrazionalismo. · Or l'ultimo Schelling si accorse per il primo de!l'insti_(/ìcienza del X
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1 Sc11ELLING's,
Sammtliche Werke, II Abt., III, 57 XI
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PREFAZIONE DEL TRADUTTORE
PREFAZIONE DEL TRADUTTORE
a I t r o e qualcosa di pi ,ì che semplice ragione, anzi qualcosa che oltrepassa i limiti della ragione ". 1 QJ1est'elemento che oltrepassa i limiti dell'elemento logico è la volontà con tutto ciò che ne deriva, la quale aggit1nge al was o al contenuto logico, il dass o l'esistenza; giacché rea/men te esistente è solo ciò che può opporre resistenza, e solo la volontà p11ò opporre resistenza; la cosiddetta natura morta non è che volontà irrigidita nel s110 atto. Tutta la filosofia positiva di Schelling non é che il tentativo di cotJJprendere la realtà, nel più ampio significato della parola, come realtà naturale ed t1mana, sia in base all'idea logica, senza la quale la realtà non è pensabile, sia in base al principio della volontà, sul quale si fonda la posizione reale, la struttura positiva o l'esistenza concreta e di fatto del mondo. E poiché il mondo attuale, sia fisico, sia morale, si fonda in ultima analisi sulla libera volontà di Dio e dell'uomo, Schelling si propone nella sua ultin,a filosofia di costruire, contro l'idealismo assoluto che per lui è un sistema della necessità, 11n sistema della libertà, che comprenda il mondo e la storia umana nei loro caratteri concreti fondamentali come conseguenza di libere decisioni della volontà divina e della volontà umana e, più precisamente, del/' atto per mi Dio, assolutamente sujjiciente a se stesso, crea liberamente il tJJondo, senz' averne alc11n bisogno, per far partecipare della sua perfezione e della sua beatitudine altri esseri razionali; dell'atto libero di ribellione dell'uomo primitivo, che cambiò in peggio lo stato originario del mondo, facendone il mondo attuale, pieno di miserie e di mali; e, infine, dell'atto libero per cui Dio s'incarna nel mondo per redimerlo e per far raggiungere all'uomo la sua destinazione originaria. L'11ltima filosofia di Schelling vuole essere dunque una filosofia essenzialmente cristiana, che si propone, cioé, d'intendere la realtà nalt1rale e il mondo della storia umana in base alle idee cristiane fondamentali dell'assoluta pe,jezione, libertà e trascendenza di Dio, della caduta originaria dell'uomo, e della redenzione per opera di Dio stesso.
Schelling dedicò tutta la parte pitì lunga della sua attività filosofica, che va dal z 8I J sino alla sua morte nel I 8J 4, alla costruzione di un tale sistema della libertà, o di un raie teismo speculativo, o di una tale filosofia intrinsecamente cristiana. E se il suo sforzo non mise capo ad alcuna opera sistematicamente compiuta, ma ad una serie di lezioni e di· trattazioni manoscritte in cui non mancano le ripetizioni e gli svolgimenti prolissi, e che poi furono pubblicate postume dal figlio: tuttavia, nel grandioso abbozzo del sistema che egli ci ha lasciato, c'è tanta acutezza e originalità di vedute che se ne possono ricavare le linee essenziali di una interpretazione sistematica del reale che non trascuri alcuno dei suoi aspetti, e che concordi essenzialmente con la visione cristiana del mondo e della vita. Or nessuno degli scritti dell'ultimo Schelling è più adatto a servire d'introdttzfone alla comprensione della sua ultima filosofia quanto le sue Lezioni monachesi " Zur Geschichte der neueren Philosophie " e "Darstellung des philosophischen Empirismus" che furono composte le une e l',1/tra, nella loro jòrma attuale, non prin1a del I 8j 4, si connettono strettamente tra di loro,formano un tutto coerente, d mostrano Schellinggià pervenuto al punto di vista della distinzione tra filosofia negativa e filosofia positiva ed erano destinate, nell'uso che egli ne fece, a dare ai suoi uditori dell'università di Monaco una prima conoscenza preliminare della sua tt!tima filosofia, e a rendere loro più facile l'intelligenza del s110 ultimo pt1nto di vista con le sue idee dij/icili, ma sommamente importanti. I d11e scritti, come osserva il figlio di Schelling nella prefazione al Io 0 volume delle opere complete, "servirono come preparazione e trapasso all'esposizione del sistema stesso e furono esposti oralmente, o insieme con q11esto, o anche di per sé (l'empirismo filosofico come introd11zione alla filosofia) ". 1 Essi quindi si devono giudicare con.formetJJente al foro fine propede11tico. "L'intenzione di Schelling», continua il figlio, cc non era dunque di dare ex professo una storia della filosofia moderna, ma soltanto una caratteristica dei si-
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lbid., I, X, 143.
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lbid., I, X, p. VI. XIII
PREFAZIONE DEL TRADUTTORE
PREFAZIONE JlEL TRADUTTORE
sfe,11i principali, la qttale facesse apparire i principi del sistetJJa da esporre come il risultato dello sviluppo filosofico da Cartesio in poi " 1 o, come dice lo stesso Schelling, egli voleva JJJostrare, mediante l'esposizione storica dei grandi sistemi della filosofia moderna, "da quale punto di sviluppo o di arresto egli intendeva accogliere la scienza e verso quale fine immediato pensava di farla avanzare ". 2 Per quanto rigttarda poi l'Esposizione dell'empirismo filosofico essa doveva avere, secondo il figlio di Schelling, "un significato prescientifico " ed essere " come una via per la quale egli (Schelling) potesse condurre a poco a poco l'uditore all'altezza del sistema, e rendergli facile specialmente l'intelligenza dei principi che dentro la cerchia del sfstema compiuto erano dedotti in modo puramente razionale. Per il lettore che già conosce il sistema stesso questo procedimento che parte da ciò che è dato empiricamente (in senso filosofico), appare come ttna controprova di esso " 3• Schelling cioé intende rispondere co11 q11esta trattazione, nella forma che le dette in ultimo e che è q11ella pubblicata dal figlio, al rimprovero fattogli da Hegel che in lui il sistema incomincia "come da un colpo di pistola", in quanto l'Assoluto in lui è dato in 11n'int11izione immediata incontrollabile, e cos} tutto il sistema pende in aria senza fondamento, mentre Hegel aveva 111esso al posto di tale int11izione immediata tutta ttna scienza, la "Logica". Ora l'ultimo Schelling si propone di fare qualcosa di simile e, come preciso contrapposto della Logica di Hegel, concepisce una scienza il cui significato ultimo doveva essere l'ascensione sino a Dio partendo dal concetto primo e immediato della ragion p11ra: cioé la filosofia puramente razionale o negativa. Ma poiché egli non aveva a_ncora costmito una tale scienza, aveva bisogno di un sttrrogato preliminare, e q11esto doveva essere /'Esposizione dell'empirismo filosofico. Mentre nella filosofia puramente razionale da costruire, l'ascesa a Dio si doveva compiere in modo puramente ra1
Ibid.
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Jbid., I, X,
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I 3· Jbid., I, X, p. VI-VII.
zionale, qtti, invece, doveva avvenire partendo da un'analisi sempre più profonda del dato empirico. E perciò Schelling, parlando una volta del suo progetto di una filosofia puramente razionale e della deduzione puramente a priori degli elementi fondamentali dell'essere, dice: ''Ma la questione ... è se si possano attingere dall'esperienza gli elementi di tale deduzione la .q11ale soltanto può essere l'tmico metodo che conduca al principio stesso. Or noi non potremmo ... negare neanche qttesto ... In tal senso non si può negare che la ricerca che conduce al principio possa partire dall'esperienza, anzi io ho segttìto in parte questa via in altre mie lezioni, benché lo abbia fatto più con ttn intento didattico che scientifico, considerando che il procedimento che va da ciò che è per noi più vicino e più noto ... a ciò che è in sé più conoscibiie, ma più lontano da noi... è il procedimento pùì naturale " 1 • Tutta l' " Esposizione " non doveva quindi essere altro che lo scritto precursore, provvisorio e preliminare, della filosofia puramente razionale o negativa, già concepita, ma non ancora costruita. La presente traduzione delle due opere dell'ultimo Schelling è condotta sull'edizione fatta dal figlio delle opere complete del padre dal I3J6 al I36I presso l'editore Cotta di Stoccarda e di Augusta (F. W. ]. Schelling's sammtliche Werke) in I4 volumi divisi i11 d11e sezioni, la prima di dieci volumi, la seconda degli ultimi quattro. Le due opere si trovano come prima edizione nel Io 0 volttme della prima sezione: le Lezioni sulla storia della filosofia moderna da pagina I a pagina 200, /'Esposizione dell'Empirismo filosofico da pagina 22; a pagina 236. Tutte le citazioni di opere di Schelling, fatte nella prefazione o nel corso della traduzione, si riferiscono all'edizione suddetta con l'indicazione prima della sezione, poi del volH!lle della sezione in numeri romani, e infine della pagina in nmneri arabi. GAETANO DURANTE
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lbid., II, _I, 299.
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LEZIONI SULLA STORIA DELLA FILOSOFIA MODERNA
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Sc1mLLING
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Storta filosofia moderna,
PREFAZIONE
Ci sono diverse ragioni per le quali si può trovare utile anche uno sguardo retrospettivo ai sistemi precedenti, se non altro come appendice ad una introduzione alla filosofia. Anche la scienza è opera del tempo e in processo di continuo sviluppo. Chiunque si crede capace di promuoverla di poco o di molto sarà spontaneamente inclinato a mostrare il proprio rapporto con ciò che Io ha preceduto, per render chiaro in questo modo il punto di sviluppo o di arresto dal quale egli crede di accogliere la scienza, e la meta più vicina verso la quale pensa di promuoverla. Egli accrescerà la partecipazione alle proprie ricerche se mostra in qual modo sinora di grado in grado si è fallita la meta suprema. Il principiante di filosofia apprende così, anche se in modo puramente storico, a conoscere già preliminarmente gli oggetti coi quali si ha a che fare e che hanno occupato di preferenza gli spiriti degli ultimi secoli. Se, infine, per apprendere ad apprezzare e a giudicare la verità, è necessario conoscere anche l'errore, allora una tale esposizione è il modo migliore e più mite di mostrare al principiante l'errore che si deve superare. Ma il peso di tutte queste ragioni si accresce, se si tratta non semplicemente di un nuovo metodo o di nuove vedute nelle singole materie, ma di un cambiamento nel concetto stesso della filosofia. Qui allora sarà cosa sommamente desiderata
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PREFAZIONE
che questo concetto, anche indipendentemente dalla verità che esso possiede in sé o originariamente, appaia nello stesso tempo come il risultato storico naturale dei falliti tentativi precedenti, non più nella sua pura universalità, ma come un risultato necessario appunto di q u e s t a epoca.
CARTESIO
Si suole far durare la storia della filosofia moderna dalla decadenza della Scolastica sino all'età presente . ...._Renato .C a t t e s i a .(René Descartes), nato nel I 596, iniziatore deìla filos_ofia moderna, rivoluzionario secondo lo spirito della sua nazione, incominciò col rompere ogni rapporto con la filosofia precedente, col passare la spugna, per dir così, su tutto ciò che era stato fatto prima di lui in questa scienza e col ricostruirla tutta da capo, come se prima di lui non si fosse mai filosofato. La conseguenza necessaria di un tal distacco completo fu senza dubbio che la filosofia si ritrasse in una specie di seconda infanzia, in una specie di minorità, oltre la quale la filosofia gr~ca era già andata quasi sin dai suoi primi passi. D'altra parte, questo ritrarsi nella semplicità della scienza poteva essere vantaggioso; essa si ritirò così da tutta quella profusione per lungo e per largo, che aveva già avuto nel!'Antichità e nel Medio-Evo, quasi sopra un unico problema, il quale ora, per estensione successiva e dopoché tutto vi fu preparato nei particolari, si è allargato sino a diventare il grande e onnicomprensivo problema del!~ filosofia moderna. È quasi la prima ovvia definizione della filosofia quella _eh,? s1 dà quando s1 dice cbe essa è la scienza che incomincia assolutamente da capo. Incominciare quindi da capo, anche semphcdìieìile nel Senso di non presupporre nulla cne fosse
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LF.ZIONI SULLA STORIA DELLA FILOSOFIA MODERNA
CARTESIO
attinto alla filgsofia precedente e da essa dimostrato, non poteva non esercitare un grande influsso I reco T a I e t e deve essersi posto questo problema: Qual'è il primo e il più antico principio in tutta la natura delle cose? Qui il cominciare da capo era inteso 1n senso oggettivo. Ma Cartesio si chiede soltanto: Che cosa è primo per me? e a questa domanda egli naturalmente non poteva dare altra risposta se non: Io stesso, ed anzi, Io stesso al massimo nel riguardo dell' es is t e n z a . A questa prima e immediata certezza doveva poi per lui collegarsi ogni altra certezza, e ogni conoscenza doveva esser vera solo in quanto e finché si connette con quella certezza immediata. Or evidentemente la proposizione: I o s o n o , è, al massimo, punto di partenza per me - e s o 1t a n t o per me; il nesso che sorge mediante il collegamento con questa propos1z10ne, o con la coscienza immediata della mia pro~istenza, non può dunque essere mai altro se non un nesso logico soggettivo, cioé io posso soltanto ragio_nare cosi: come è certo che io sono, così con uguale certezza devo anche ammettere che A, B, C ecc. sono. Ma come propriamente A, B e C si connettono tra di loro, o col loro vero principio, o anche semplicemente con l' " Io sono" stesso, non è mostrato per nulla. La filosofia qui dunque non arriva più in là di una semplice certezza soggettiva, non già del modo di esistenza (il quale soltanto propriamente è dubbio), ma solo dell'esistenza di tutto ciò che è fuori del soggetto. Questo sia detto in generale. Ma passando ora a descrivere in particolare il procedimento di Cartesio, egli si propone, come norma fondamentale, di dubitare provvisoriamente di tutto, e anzi, per procedere in modo assolutamente sicuro e per essere del tutto certo, di sbarazzarsi di ogni pregiudizio, e di ritenere provvisoriamente falso tutto ciò che sinora ha ammesso come vero. Questa massima incontrò una violenta opposizione, specialmente da parte
dei teologi; questi credettero che in questo modo Cartesio fosse un ateo t e m p o r a ne o ; se uno morisse, obbiettavano, prima di avere scritto o trovato la sperata dimostrazione dell'esistenza di Dio, egli morirebbe da ateo; in questo modo s'insegnerebbe, almeno provvisoriamente, una dottrina perniciosa; ma non si dovrebbe fare il male perché ne derivi ìT bene, eccetera. Ma il senso preciso della massima di Cartesio è soltanto che in filosofia non si deve ammettere alcuna cosa come vera se prima non se ne è conosciuto il nesso che ha con le altre. In quanto incomincio a far filosofia, io propriamente non so ancora nulla filosoficamente. Questo è _evidente di per sé; invece quella massima è meno da approvare se conduce a voler riconoscere come fondamento soltanto ciò che è p e r m e immediatamente certo, e quindi soltanto m e s t e s s o , perche soltanto 1 o s t e s s o sono per me immediatamente certo; giacché questa cosiddetta certezza im.,_mediata della mia propria esistenza è per me in realtà così. incomprensibile - anzi forse ancor più incomprensibile che tutto ciò che io provvisoriamente ho ritenuto falso o almeno -dubbio. Se intendo bene il dubbio su!Ie cose, devo dubitare ugualmente della mia propria esistenza. Il dubbio di Cartesio, che in primo luogo si estende soltanto alle cose conosciute per mezzo dei sensi, non si può riferire alla loro realtà in generale, o in qualunque senso - giacché in un qualche senso la devo loro concedere. Il vero senso del mio dubbio può essere soltanto che io non posso credere che queste cose conoscibili per mezzo dei sensi esistano nel senso in cui esiste c10 che esiste originariamente da sé; giacché il loro essere non è affatto originario; noi vediamo in esse qualcosa di derivato, e in quanto tutto ciò che è derivato ha una realtà semplicemente di p end e n t e e, i n q u e s t o s e n s o , d u b b i a , si può dire allora che esse possiedono in se s te s se un'esistenza dubbia, o che la loro
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LEZIONI SULLA STORIA DELLA FILOSOFIA
MODERNA
natura è di oscillare tra l'essere e il non-essere. Ma appunto questa dubbia esistenza io devo riconoscere anche in me; per la medesima ragione per la quale io dubito delle cose, dovrei dubitare quindi anche di me stesso. Ma, in realtà, il dubbio di Cartesio sulla realtà delle cose non ha realmente il significato speculativo, che noi dianzi gli abbiamo dato; la ragione del 7uo dubbio è una ragione uramente empirica, come egli stesso dice, e cioè, c e egli ha spesso sperimentato di essere --;-tato ingannato dai sensi e d1 essersi persuaso qualche volta in sogno che questa o quella cosa era fuori di lui, mentre dopo si è accorto del contrario; anzi egli aggiunge di aver conosciuto persone che sentivano dolori in membra che da lungo tempo erano state ad esse asportate - in_spiesto argo-u--iento s1 nconosC~i•ex-militare -. Del resto è facile riflettere che tali persone hanno sentito dolori soltanto in membra che avevano avuto una volta, e che non c'è alcun esempio di persone che avrebbero sentito dolori in membra che non hanno mai avuto. Per quest'ultima esperienza egli si crede tuttavia autorizzato in modo particolare a dubitare anche dell'esistenza del suo proprio corpo. Da qui egli poi passa alle conoscenze n o n attinte dai sensi, e quindi fornite dei caratteri di necessità e di universalità, cioé alle verità matematiche, e per porle in dubbio ricorre alla più strana delle ragioni, che non è ricavata, come le ragioni degli antichi scettici, dall'intimo di questi oggetti e dai loro presupposti, ma da qualche cosa di estrinseco. E cioé: sebbene io, così egli dichiara, sia convinto in modo così certo come lo sono della mia propria vita, e non possa evitare di riconoscere che i tre angoli di un triangolo sono uguali a due retti, tuttavia c'è nella mia anima l'opinione - non so bene se acquisita o innata - che c'è un Dio, del quale ho sentito dire che può tutto, e che io (l'essere che dubita) sono interamente e completamente la sua creatura, con tutto ciò che io
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CARTESIO
sono e conosco. Or questo Dio, cosi egli continua, avrebbe potuto anche fare in modo che io m'ingannassi su queste cose che del resto mi sem~rano le più chiare. Come se non si avessero ragioni di gran ½cinga maggiori per dubitare di un tal dubbio! Prima che si formuli questo dubbio, si dovrebbe saper , indicare/ un qualche interesse che il Creatore potrebbe avere ,di ingannarmi con le verità necessarie. Il vero rapporto in cui la filosofia, al suo inizio, si trova verso di tutto, e quindi anche verso le verità matematiche, non è uello di metterle in dubbio (giacché in qual modo essa giungerebbe, anche so o 1n generale, a farle oggetto del suo pensiero?), ma di metterle
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_J~e'""m=p.::li:..::c:.::e::.:m~e:::n~t e:....:d::a~p::a:.:r.;te:::,'......:::s.:'.in:,:.o;._a~q!u:,:an'.:'.d.:::o;,,,..:n~e:::::i:._;:c::o'.!r2.s~o~d;:,:e~l1~a~su~a7 ricerca, che incomincia assolutamente da capo, è condotta _ spontaneamente ai presupposti dai quali dipende la loro verità.1 Dopoché Cartesio ha dubitato in questa maniera, non proprio assai profonda, di tutto ciò che si presenta alla coscienza, egli si chiede se non gli rimanga più assolutamente null'altro di cui egli, per le sopra addotte, o per altre, ragioni, possa ancora ugualmente dubitare. Ora, sebbene gli sia sembrato di aver dubitato di tutto, gli è rimasta tuttavia ancora qualche cosa, e cioé egli stesso c h e così dubitava, non in quanto era composto di testa, mani, piedi e altre membra corporee, giacché della realtà di queste membra egli aveva già dubitato-, ma solo in quanto dubitava, cioé in quanto p e n s a va . Or, esaminando esattamente questo punto, egli credette di scoprire di non poter dubitare di tale cosa, cioè di s é s t e s s o , per n e s s u n a delle ragioni che lo avevano indotto a dubitare delle altre cose. Giacché, egli dice, sia che ora io vegli, sia che sogni, tuttavia p e n s o e sono, ed anche 1 Cfr. Introduzione alla filosofia della mitologia, Opere complete di Schelling, II, I, p. 270. N. d. T.
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LEZIONI SULLA . STORIA DELLA FILOSOFIA MODERNA
se.· mi fossi ingannato riguardo a tutto il resto, tuttavia e r o poiché erravo, eratn quia errabat11, e per quanto ingegnoso sia ·concepito l'autore della natura, e!i;li non mi può ingannare per questo riguardo, giacché, per essere in annato io de , e s s e r e . nz1, quante più ragioni si apportano di dubitare, tante pii'.iragioni io ottengo che mi convincono della mia esistenza, giacché quanto più spesso io dubito, tanto più spesso io verifico la mia esistenza - quindi, comunque mi volga, io sono sempre costretto a prorompere nelle parole: Io dubito, io penso, quindi io sono! Questo è dunque il celebre C°&ito Stlt/1 di Cartesio, che. dette, senza dubbio per lungò tempo, il tono fondamentale, per dir così, della filosofia moderna, e che operò a guisa di un incantesimo da cui la filosofia fu confinata nella cerchia del soggettivo e dei fatti della coscienza puramente soggettiva. Preso però in un senso più alto, nel Cogito ergo S11t11, o nella decisione di ritenere dapprima ogni cosa co~e dubbia sino a quando non fosse stata collegata in qualche maniera con quell'unica certezza immediata, c'era il più risoluto distacco da ogni autorità; con tale decisione la filosofia conquistava la libertà che essa non poteva più perdere di nuovo da questo momento in poi1 .
ere
1 È per noi [tedeschi] un fatto particolarmente notevole che quest'inizio della filosofia del tutto libera abbia, secondo ogni apparenza, avuto luogo in Baviera; qui dunque è stato posto il fondamento della filosofia moderna. Cartesio, com'egli stesso dice nel suo trattato de Methodo, che io in quest'occasione voglio raccomandare ad ognuno come un eccellente esercizio, era venuto in Germania per vedere l'inizio della Guerra dei Trent'Anni; egli aveva assistito sotto Mass imi 1 i ano I alla battaglia della Montagna Bianca e alla presa di Praga, dove tuttavia si era principalmente informato soltanto di Tycho Brahe e dei manoscritti ch'egli aveva lasciato. Nell'anno 1619, allorchè ritornò all'accampamento dall'incoronazione di F e r d in a n d o I I in Francoforte, egli ebbe il suo quartiere invernale in una località vicina al confine bavarese, dove, com'egli dice,
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È chiaro abbastanza il modo in cui Cartesio fu condotto a questo Cogito ergo sut11 . .l,1 dubbio principale riguardava il modo in cui ci si possa convincere di una · qualche esistenza. ' Questo dubbio gli sembrava insu erabile riguardo alle cose erne. 01 c1 rappresentiamo cose esterne - questo non si nega, e noi anzi siamo costretti a rappresentarcele - ; ma se le cose che ci rappresentiamo e così come ce le rappresentiamo, anche e s i s t o n o , cioè se esistono fu o r i di noi, indipendentemente da noi, così come ce le rappresentiamo, questa è la questione alla quale non c'è alcuna risposta immediata. ~"'s1,.,·o'--v'-'o::.;17e:..:v.:a:._:q~u::i;.:.n:d::i_t::;r:_:o:_v:_:a:r:2e~u~n~p;;_:u:n~t;;:o-:..__;i:_:n:...,.:c:.'.u:'.i-2:p;:e:::n:s;.:ie:.'.r:.'.:o~o: rappresentazione (giacché egli non fa distinzione fra le due cose) ed essere immediatamente coincidono in una sola cosa-, e questo punto egli credette di averlo trovato col suo Cogito ergo sut11; e potche, secondo la sua opinione, ogni dubbio si riferisce soltanto all'esistenza, egli credette con questa proposizione di aver anche superato ogni dubbio. Nel Cogito ergo sut11 Cartesio credette di aver conosciuto pensiero ed essere come immediatamente identici. Giacché egli nega nel modo più _reciso in dilucidazioni posteriori che la proposizione: Cogito ergo sut11 sia da lui intesa come un sillogismo. Ad un sillogismo completo apparterrebbe senza dubbio una proposizione maggiore, la quale suonerebbe così: Ot11ne, q11od cogitai, est - la proposizione minore sarebbe allora: Atqui cogito, e la conclu"sìone: Ergo sut11. Cartesio non può certamente averla intesa così; giacché così la proposizione: Io sono, diventerebbe non trovò alcuno col quale conversasse volentieri, ed ivi concepi (all'età di 23 anni) le prime idee della sua filosofia, che tuttavia rese note molto piu tardi. Come Cartesio incominciò a filosofare in Baviera, cosi egli trovò piu tardi una grande e fedele ammiratrice nella principessa palatina Elisabetta, figlia dell'infelice principe elettore del Palatinato, Ca r 1 o F e d e r i c o , il cosiddetto Re d'un inverno [Schelling ricorda male: il nome del Re d'un inverno è Federico V]; parimenti, ancor piu tardi. un principe della casa palatina fu protettore di S p i n o z a .
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LEZIONI SULLA STORIA DELLA FILOSOFIA MODERNA
una proposizione ottenuta mediante una proposizione universale; in questa forma sillogistica la certezza immediata sarebbe perduta. L'opinione di Cartesio è dunque che il Sum è incluso nel •Cogito, è compreso e dato conteni oraneamente in esso senz'al~ra me iazione. Da ciò segue poi che il cogito propriamente equivale a cogitans smn (del resto, in generale, il verbo non ha altro signihcato, ed e soltanto una contrazione di predicato e copula, p. es. lego non significa altro che Sllm !egens, sono leggente 0 un leggente). Or questo Sum cogitans non può inoltre avere il significato che io non sono n i e n t e a ] t r o se non pensante, che io esisto soltanto in quanto penso, o che il pensiero è la sostanza del mio essere. Giacché Cartesio esprime quel!' "Io penso" soltanto in quanto pensa o dubita, nell'actu del suo dubbio. II ensiero non è altro quindi che una determinazione, o un modo o maniera i essere; anzi, il cogitans ha soltanto il significato: io sono nello s t a t o del pensare. Lo stato del pensare vero e proprio è notoriamente per la maggior parte degli uomini uno stato rarissimo, passaggero, anzi uno stato non naturale dal quale essi di solito cercano di uscire il più presto possibile. È noto il detto di Schiller: 0ft schon war·ich ttnd hab wahr!ich an gar nichts gedacht.I A dir vero Cartesio usa, come già si è osservato, la parola P e n s a r e in un senso assai generale, in cm essa s1gm ca, er es., anche l'accorgersi o il percepire sensibile.,Sennonché, neanc e lo stato e percepire sensi I e e un mio ~ manente. Se si volesse dire che tale stato non cessa neancli.e nel sonno, perché io per lo meno sogno; tuttavia rimane sempre quello stato d'impotenza, durante il quale non dico, è vero,: Io sono, come non lo dico nel sonno, anzi neanche nel 1 [È un giochetto di parole che perde nella traduzione il suo carattere spiritoso, fondato sull'assonanza: " Spesso già io ero e non pensavo veramente a nulla"]. N. d. T.
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corso della vita sveglia abituale, ma durante il quale nondimeno incontestabilmente io sono. II st11JJ incluso nel cogito significa dunque soltanto: s11m qua cogitans, sono in quanto pensante, cioé in quella determinata maniera di essere che è detta pensare, e che è semplicemente una maniera di essere d i v e r sa da quella, per es., del corpo, la cui maniera di essere consiste nel riempir e lo spazio, cioé nell'escludere, dallo spazio che occupa, qualunque altro corpo. II sum incluso nel coito non ha uindi il si nificato di un incondizionato: Io sono, ma soltanto il significato di un:" Io sono in una certa maniera , ,cioé appunto in quanto pensante, in quella maniera di essere che si chiama pensare. Quindi neanche nell'Ergo sum può esser contenuto: Io sono incondizionatamente; ma soltanto: Io sono in una certa maniera. Ma, come gia si è mostrato, anche delle cose si può propriamente dubitare soltanto che esse s i a n o incondizionatamente; ma che esse siano in una certa maniera, si può stabilire allo stesso modo' come Cartesio stabilisce il suo Sum. È infatti ugualmente esatto conclude~: Io dubito della realtà delle cose, dunque esse sana, o almeno:, dunque esse non sono assolutamente OPll 0 Gi2ecbé di ciò che non è assolutamente e in nessuna maniera io non posso neanche dubitare. Dal mio dubb10 stesso sulla rea!ta delle cose segue dunque, - non già che esse sono indubitabilmente o incondizionatamente, ma che esse sono in una certa m:miera; ma neanche dall'Io penso segue più che questo: che io sono in una certa maniera. Ma tutto ciò che è soltanto in una certa maniera è già, appun~r do, un essere dubbio. Nel vero senso del dubbio, non già semplicemente empiricq_ ~ soggettivo, ma oggettivo e filosofico, l'esser tribuisco e cos 10 come uello che at · · co alle cose. a noi possiamo risalire ancor più indietro ed anzi revocare in dubbio lo stesso " Io penso " - almeno nel significato che esso ha incontestabilmente in Cartesio. Dell'af-
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LEZIONI SULLA STORIA DELLA FILOSOFIA MODERNA
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fermazione: Io penso, ci sono infatti due cose distinte a fondamento: 1°) ciò che in me pensa, p. es., colui che in questo momerìto," appunto, dubita, ~ i ò che riflette su questo pensare o dubitare; soltanto in quanto q u est' u 1t i m o riconosce quel primo come identico con sé dico: Io penso. L' "Io penso " non è dunque, nella sua verità, qualcosa d'immediato; esso sorge soltanto mediante la riflessione che si rivolge in me al mio atto di pensare, il quale atto di pensare del resto ha luogo anche indipendentemente da colui che riflette su di esso, come è chiaro dal fatto che io di solito penso, senza dirmi che penso, senza ripensare questo pensare; anzi, il vero pensare deve essere un pensare oggettivo, indipendente dal soggetto che riflette su di esso, o, in altre parole, esso penserà con tanta maggior verità, quanto meno del soggetto vi si immischia. Poiché, dunque, sono due cose distinte il soggetto che pensa e il soggetto che riflette su di e~so e lo pone come identico con sé; o, in altre parole, poiché c'è un pensare oggettivo, indipendente da me, allora il soggetto riflettente si potrebbe ingannare appunto in tale supposta identità, ossia nell'attribuire a s é il pensare o r i g i nari o, e l' "Io penso " potrebbe non significare nulla di più di quel che significhi l'espressione di cui io mi servo ugualmente: Io digerisco, io faccio umori, io cammino, o io cavalco, poiché non è propriamente l'essere pensante che cammina o cavalca. In me si pensa, questo è il fatto puro, alla stessa maniera come con ugual diritto io dico: m'immaginavo e: a me parev:i. La certezza quindi che Cartesio attribuisce al Cogito ergo st1n1, non resiste all'esame; se è una certezza, è una certezza cieca e inconsiderata. E tuttavia con questa certezza Cartesio collega tutto il resto. Il suo principio è: Tutto ciò che è visto in modo così chiaro e distinto come l' "Io sono ", deve essere pure vero. Senonché, espresso più esattamente, tale principio
può solo significare ~Tutto ciò che si collega con quella cieca,. empirica certezza che io ho_ del mio proprio essere, o che implicite è posto con l' " Io sono ", o che si può dimostrare necessario a completare la ra resentazione del!' " Io sono ", evo ammetterlo come ugualmente vero che l' "Io sono", (il principio cartesiano non va più in là); cioé non segue che la cosa sia così, anche oggettivamente e indipendentemente da ~La verità del!' " Io sono " può sussistere ugualmente bene se io soflo semplicemente costretto a rappresentarmi tutto il resto, per es., il mio corpo e le altre cose che apparentemente influiscono su di lui. Se io voglio una volta collegare tutto all' " Io sono ", devo anche rinunziare ad andar oltre tale necessità di rappresentazione di tutto il resto; può essere anche cosa del tutto indifferente per me, se sono a me stesso il centro di ogni sapere, che ciò che son costretto a rappresentarmi esista o non esista indipendentemente da questa mia rappresentazione; allo stesso modo come, per servirmi dell'esempio di Descartes, ciò è del tutto indifferente per chi sogna, finché sogna. _ fartesio, al quale non importava comprendere le cose, ma soltanto sapere se esse s o n o (il minimo che si può sapere delle cose), fu causa, col suo esempio, che per un tempo abbastanza lungo, fosse considerata come la più importante _della filosofia la questione di sapere se alle nostre rappresentazioni delle cose esterne corrisponda qualche cosa nella realtà. Sarebbe stata cosa facilissima per Cartes10 spingersi sino al pieno idealismo, cioé al sistema che afferma che le cose non esistono oggettivamente fuori di noi, ma soltanto nelle nostre rappresentazioni, per quanto necessarie. Ma egli non lo volle; per sfuggire quindi a tale necessaria conseguenza, si rifugiò in un altro concetto. Poiché le rappresentazioni non hanno in se stesse alcuna garanzia, egli ha bisogno di , un g a r a n t e della verità delle sue rappresentazioni di cose
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esterne qui egli cerca di pervenire dal soggettivo all'oggettivo (µer:6./Jaatç) e questo garante egli lo trova in Dio, la cui esistenza deve però essere prima dimostrata. Ciò egli fa brevemente nel modo seguente: C'è in me il concetto di un essere perfettissimo. (Ciò è presupposto come un fatto empirico, allo stesso modo come anche l' " Io penso " è soltanto un fatto empirico). Or appartiene al concetto dell'Essere perfettissimo - non, come si disse più tardi, il concetto dell'esistenza in generale, perché, così inabilmente ·come K a n t presenta questa prova, Cartesio, al quale si deve riconoscere, dentro i suoi limiti, tutta l'acutezza, l'ingegnosità e l'agilità mentale della sua nazione, non era solito ragionare, giacché sapeva bene che l'esistenza in generale è qualcosa d'indifferente rispetto alla perfezione e all'imperfezione appartiene dunque al concetto delJ'Essere perfettissimo anche il concetto dell'esistenza necessaria. Appena dunque penso Dio, devo anche pensare che egli esiste. Questo è dunque l'argomento dell'esistenza di Dio, noto sotto il nome d~ argomento ontològlco. Dal semplice concetto • dell'Essere perfettfsiìmo viene poi concluso inoltre che l'Essere perfettissimo non sarebbe tale se egli non fosse anche l'Essere veracissimo (quì c'è un passaggio dal concetto, che sinora sembrava inteso soltanto come un concetto metafisico, a delle proprietà morali); ad un tale essere dovrebbe quindi essere anche impossibile ingannare! ~ riguardo al!e verità matematiche - (è strano che Cartesio sempre metta 1n dubbio ~oltanto queste verità e non anche i concetti universali e le leggi del pensiero, del giudizio e del ragionamé~fo), 2 o) riguardo alle cose sensibili (poiché soltanto Dio potrebbe· ~sare questa illusione) ... Qui ora dunque, dopoché era stat