Levar la mano su di sé. Discorso sulla libera morte 8833922839, 9788833922836

Un libro terribile, questo. Un libro scritto da un pensatore profondo, un uomo deportato e torturato ad Auschwitz, che t

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Italian Pages 190 [158] Year 2012

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Levar la mano su di sé. Discorso sulla libera morte
 8833922839, 9788833922836

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N uova Cultura- Introduzioni 280

Jean Améry

Levar la mano su di sé Discorso sulla libera morte

Presentazione di Innocenza Cervelli Traduzione di Enrico Ganni

Prima edizione luglio I990 Seconckt edizione ottobre 20I2 Ristampa gennaio 2022

© 1976 Ernst Klett, Srurrgarr Titolo originale

Hand an sich legen. Diskurs uber den Freitod

© 1990, 20!2 Bollati Boringhieri editore Torino, corso Vittorio Emanuele Il, 86 Gruppo editoriale Mauri Spagnol ISBN

978-88-339-2283-6

Schema grafico della copertina di Picrluigi Cerri

www.bollatiboringhieri.it

Stampato in Italia dalla MicrografS.r.l. di Mappano di Caselle (To)

Indice

vn

Suicidio e libertà di morire di Innocenza Cervelli

Levar la mano su di sé Prefazione

3 5

I.

Prima del salto

29

II.

Quanto è naturale la morte?

53

III.

Morire di propria mano

78

IV.

Appartenere a se stessi

101

v.

Verso la libertà

Suicidio e libertà di morire di

Innocenzo Cervelli

Placet? vive: non placet? licet eo reverti unde venisti. (Seneca, Ep. LXX/r5) OU!J.& Dali' esperienza fisica della tortura )7 Améry ricava, e per sempre, la riduzione dell'essere umano a corpo: « il torturato nel suo urlo di dolore è solo corpo, nient' altro».>8 E anche la capacità di rendere o di « ribattere il colpo» - uno dei nodi fondamentali, si è visto, su cui si incentra la differenza con Primo Levi - opera questa riduzione a corpo. Il colpo restituito al Kapo Juszek significò, anche qui per sempre, per Améry che « nella vita vi sono situazioni in cui il nostro corpo è tutto il nostro Io e tutto il nostro destino».>' Poi è l'invecchiamento a conferire al corpo il suo primato: « L'individuo che invecchia (. . . ) in parte diviene sempre più proprio corpo (. . . ) Nell'invecchiare io sono io attraverso il mio corpo e contro di lui; in gioventù io ero io, senza il mio corpo e con lui. Quando avrò superato lo stadio dell'invecchiamento ed entrerò a far parte dell'esercito dei vecchi, sarò solo corpo e nient'altro»!" Per­ ché la sequenza sia completa, occorre che Améry, definita una prima volta « storia delirante sul suicidio» una frase schopenhaueriana di

xx

INNOCENZO CERVELLI

Nietzsche:' cambi awiso nella prefazione della quarta edizione, del 1977, rispetto alla prima del 1968, di Rivolta e rassegnazione: «Un unico punto vorrei sottoporre a revisione e cioè quello in cui ho impiegato l'infelice espressione "storia delirante sul suicidio". In questo ambito nuove convinzioni ed esperienze mi hanno sospinto lungo una strada diversa, dando alle mie riflessioni una dimensione che allora non potevo prevedere». 42 Hand an sich legen. Diskurs iiber den Freitod è del 1976. Nella primavera-estate del 1973Améry ha deciso che il «SUO» Le/eu deve morire. Sa che si tratta di una solu­ zione collaudata, anche accattivante per il lettore. «Tuttavia era un'inevitabile necessità e al tempo stesso una parziale smentita della mia filosofia e della mia estetica del decadimento». Non era più, come nel saggio sull'invecchiamento, un'introduzione di soppiatto della morte nella vita; «l' astrazione del tutto artificiale, che tanto vistosamente aveva sottratto il decadimento al desiderio di morte, franava»!3 Nel febbraio del 1974 Améry tentò il suicidio, e riterrà l'essere stato salvato «fra tutte le cose brutte che mi erano capitate, la peggiore».« Il 1974 è anche l'anno in cui esce Le/eu. Nell'in­ verno 1976Améry scrive : «Le ferite non si sono rimarginate e ciò che nel 1964 era forse sul punto di guarire, torna ad aprirsi come una ferita infetta». 45 Nel 1978 si suicida. È indubbio che questa dram­ matica cronologia registra una svolta tra la fine degli anni sessanta e i primi dei settanta nella direzione esplicita e inevitabile del suicidio; ma se in effetti «la tortura è stata per lui un'interminabile morte», se, nella «nebulosa di spiegazioni» che i suicidi impongono, lo scon­ tro fisico con il Kapo polacco fornisce una possibile « interpre­ tazione» - tanto per riprendere nuovamente gli spunti di Primo Levi - ecco come allora può emergere in primo piano la fisicità, la corporeità, la violenza, il momento operativo del suicidio, «manus sibi adferre», (p. 283). Si può osservare tuttavia che manca in Canetti il riconoscimento della simmetria anche strutrurale e della netta antitesi conte­ nutistica rispetto al discorso in due parti fatto pronunciare da Flavio Giuseppe a Eleazar figlio di Giairo alla fine della stessa Guerra giudaica. Leggendo insieme i due testi - vicenda e discorso di Flavio Giuseppe nel m libro, e discorso di Eleazar e suicidio col­ lettivo di Masada nel VII libro - si ha più l'immagine dello storico ebreo in termini scissi, dimidiati, come si accenna poco più avanti qui nel testo, che non quella troppo realistica del « sopravvissuto » nei termini in cui Cane t ti l'ha inserita nella propria esposizione. 31.

Portinaro, Il sopravvissuto e la morte cit. , p. 196. Le citazioni di Améry, infra, pp. 84, 86,

32 .

A. Momigliano, Appunti �liminari sull'«opposizione religiosa» all'impero romano, in Saggi di storia della religione romana, Brescia Ig88 , pp. 1 6o-6 I .

I o8 , I I 5 , I4- I 5 , 25-26.

J. Améry, Le/eu oder der Abbruch. Roman-Essay, Stuttgart I974. p. I92. Su questo scritto di Améry, cfr. Portinaro, l/ sopravvissuto e la morte ci t., pp. 1 79-8 I, 1 7 3 . 34-

74; tale proposizione è complementare all'altra che , I I gennaio I 989) . 6 I . E. Hillesum, Lettres de Westerbork, tr. du néerlandais, prés . et annotées par Ph . Noble, Paris 1 988, p. 2 0 .

Levar la mano su di sé

Il mondo di chi è felice è altro da quello di chi è infelice. Come pure alla morte il mondo non si àltera, ma cessa. L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus

Prefazione

Chi già conosce altri libri dell' autore, e in particolar modo il sag­ gio Rivolta e rassegnazione. Sull'invecchiare [Torino 1 988] , del quale le seguenti riflessioni intorno al problema della morte libera possono essere considerate una diretta continuazione, non ha bisogno di essere orientato : egli sa che questo volume non può contenere nulla che in un modo o nell' altro possa ricordare un lavoro scientifico. Chi invece non conoscesse l'autore deve onestamente essere messo in guardia. Dalle considerazioni proposte in questa sede nes­ suno giungerà a una comprensione affine a quella che si propone di fornire la scienza del suicidio, la « suicidiologia » . Il lettore non avrà modo di sapere che, e perché , in un determinato paese gli esseri umani si uccidono più che in un altro, né apprenderà qualcosa di sostanziale in merito ai processi (o ai pre-decorsi) psichici e sociali che infine conducono alla morte libera . Il suo bagaglio di nozioni non risulterà arricchito da statistiche, né da rappresentazioni grafi­ che utili a illustrare le conoscenze scientifiche; l' autore non ha mai inteso delineare un modello del suicidio . Questo testo si colloca al di là della psicologia e della sociologia . Ha inizio laddove termina la suicidiologia scientifica. Ho cercato di osservare la morte libera non dall'esterno, dal mondo dei vivi o dei sopravvissuti, ma dall'intimo di coloro che definisco aspiranti suicidi e suicidi. Una « fenomenologia della morte libera », quindi? Non mi propongo un obiettivo tanto ambizioso . Ho rinunciato a tutti i ter-

PREFAZIONE

4

mini derivati dalla parola logos e, per un senso di modestia non privo

di scetticismo nei confronti della ricerca positiva, anche a quelli spe­

cifici. Conosco parte della letteratura sull'argomento. Vi ho tuttavia attinto solo in casi eccezionali: è per questo che rinuncio a una bibliografia. Ciò nonostante mi pare necessario rimandare ad alcune opere e personalità alle quali sono debitore di stimoli e nozioni, e senza le quali questo mio scritto non sarebbe stato possibile. Voglio citare in primo luogo Jean-Paul S artre e tutta la sua opera . Per quanto radicalmente diverse da quelle di Sartre possano essere le mie opzioni e le mie conclusioni, nei momenti di travaglio intellettuale ho tanto spesso cercato rifugio nel potente edificio del suo pensiero da sentirmi obbligato a menzionarlo esplicitamente sin d'ora. Sulle mie riflessioni ha inoltre esercitato notevole influsso La mort di Vladimir Jankelevitc, un libro di grande bellezza e profondità. A una rilevante opera scientifica, cui faccio riferimento sin dal primo capitolo, vale a dire Les suicides di Jean Baechler, devo infine una comprensione . del tutto nuova di alcuni fatti di ordine scientifico e oggettivo . L'essenza del presente volume si colloca tuttavia al di là della ricerca oggettiva. Una lunga e intima consuetudine con la morte in generale, e con la morte libera in particolare, conversazioni con amici assai istruiti e infine esperienze individuali di vitale impor­ tanza mi hanno fornito quella autolegittimazione che è presupposto dello scrivere . In alcuni passi, equivocando, si riterrà forse che io abbia concepito un' apologia della morte libera. Intendo esplicita­ mente prevenire una simile errata interpretazione . Quanto infatti può apparire apologetico altro non è che la reazione a una ricerca che studia il « suicidio », senza conoscere l'uomo che liberamente cerca la morte. La sua condizione è assurda e paradossale. Ho solo tentato di studiare le inestricabili contraddizioni della « condition suici­ daire » e di recarne testimonianza: sin dove può giungere la parola. Bruxelles, febbraio 1 976

JEAN AMÉRY

1.

Prima del salto

L'impressione è quella che si ha quando, per giungere alla luce, si spinge un portone di legno molto pesante, che cigola sui cardini, che resiste alla pressione. Impieghiamo tutta la nostra forza, superiamo la soglia, ci attendiamo, dopo il crepuscolare grigiore in cui eravamo, il chiarore: è invece un' oscurità del tutto impenetrabile quella che ora ci circonda. Turbati e intimoriti ci muoviamo a tentoni, qua e là intuiamo oggetti che non siamo in grado di identificare . Infine, molto lentamente, l'occhio si abitua all'oscurità. Emergono incerti contorni, anche le mani tastanti divengono più abili. Adesso ci ren­ diamo conto di essere in quello spazio che A. Alvarez nel suo bel libro Il dio selvaggio ha definito il « mondo chiuso del suicidio ». Del suicidio? È una parola che non mi piace, e a tempo debito spiegherò anche perché. Preferisco « morte libera »,1 pur sapendo che il gesto talvolta, anzi spesso, si concretizza a partire da una condizione di tormentosa coercizione . Come causa di morte tuttavia la morte libera resta libera persino nella morsa delle coercizioni; nessun car­ cinoma a divorarmi, nessun infarto ad abbattermi, nessuna crisi di uremia a togliermi il respiro . Sono io a levare la mano su me stes­ so, io a morire, dopo aver ingerito i barbiturici, « dalla mano alla bocca )>/ per cosl dire . La questione terminologica va chiarita sin ' [« Freitod », termine per il quale non esiste equivalente in italiano] . ' [, e già ci imbatteremo in un fenomeno spaven­ toso del quale abbiamo già avuto modo di parlare : l'« altro » che, in quanto mio specchio, addirittura in quanto mio nemico, in quanto « inferno », mi sbarra il passo. Non c'è teoria sociale che tenga. Egli mi vuole come mi vuole. lo non accondiscendo mai a questo volere, per quanto possa apparire gentile, benevolo e simpatetico . lo sono solo anche senza essere