Letteratura e storia meridionale. Studi offerti a Aldo Vallone


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Letteratura e storia meridionale. Studi offerti a Aldo Vallone

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BIBLIOTECA DELL'• ARCH!VUM

ROMANICUM



FONDATA DA

GIULIO BERTONI Serie l

·

STORIA



LETTER.\'IURA - PALEOGRAPfA

Vol. 214

LETTERATURA E STORIA MERIDIONALE STUDI OFFERTI A

ALDO VALLONE *

FIRENZE

LEO S.

OLSCHKI

EDITORE

MCMLXXXIX

:\ldo \·allonc

BIBLIOTECA

DELL'«ARCHIV UM ROMANICUM•

FONDATA DA GIULIO

BER T ONI

Serie l - STORIA - LETTERATURA - PALEOGRAFIA

Vol. 214

LETTERATURA E STORIA MERIDIONALE STUDI OFFERTI A

ALDO VALLONE *

FIRENZE

LEO S. OLSCHKI EDITORE MCML X X XI X

ISBN 88 222 363 l

9

Professori e allievi, rappresentanti di enti pubblici e finanziari, di cui si è reso interprete il comitato, nell'offrire questi volumi ad ALDO VALLONE, in occasione del settantesimo genetliaco e del com­ pimento del trentaduesimo anno d'insegnamento universitario, de­ siderano esprimere al maestro, al colle.�a, all'amico la schietta am­ mirazione e l'affettuosa .�ratitudine per il contributo recato agli studi di storia della letteratura italiana, per la partecipazione alla vita dell'università ed a quella civile, per il lustro che ha dato alla sua terra, oltre che per le sue singolari doti umane. ENNio BoNEA - PAsQUALE SABBATINO - LUIGI ScoRRANo LEONARDO SEBASTIO - RuGGIERO STEFANELLI

v

Chi ripercorra gli studi che Aldo Va/Ione dedica da quarant'anni alla letteratura, alla storia ed alla civiltà meridionale facilmente scoprirà la traccia costante che li compagina in un itinerario unico: l'analisi spassio­ nata, dei fatti storici e culturali, rigidamente innestata sulle ragioni della filologia, della storia e dell'arte. Ed è in questo disegno di ampio respiro che trovano spazio, ad esempio, gli studi sulla cultura salentina, che si confronta con naturalezza con il Rinascimento o con l'Illuminismo italia­ no- ma gli interessi coprono tutto l'arco della storia moderna e non solo il Salento - ed europei. La cultura pugliese diviene così come dev'es­ sere: elemento inserito nella cultura nazionale, dalla quale non solo trae, ma alla quale anche dà alimento. Non si trattava in/atti per lo studioso di colmare le lacune lasciate dalla storiografia, ma era necessario ed ur­ gente ricostruire la storia della dialettica tra la cultura regionale - pu­ gliese in particolare - e quella nazionale e sovranazionale, ritessere la fitta trama di scambi e contributi che gli intellettuali della nostra Re­ gione hanno intessuto con il resto dell'Italia. Aldo Vallone è tuttavia noto, oltre che per gli studi di letteratura italiana, per le ricerche dantesche che culminano nei tre volumi della «Storia Letteraria d'Italia» della Vallardi dedicati all'opera e alla fortu­ na del nostro maggior poeta. Questi volumi, che dalla loro nascita sono stati un punto di riferimento costante per tutti gli studiosi, si vedono così confermati in una tradizione pugliese inaugurata da Nicola Zinga­ relli del quale A. Vallone ripropone il rigore, l'impegno e l'amore. Anche per questo la Regione Puglia ha deciso di contribuire alla rea­ lizzazione degli Studi offerti a A. Vallone oltre che per lo straordinario rilievo scientifico che essi hanno: al loro allestimento hanno partecipato le grandi Università del Meridione, Bari, Lecce e Napoli, non solo col sostegno economico, ma anche con la collaborazione scientifica dei loro critici, filologi e storici. A questi si sono affiancati numerosi tra i più eminenti studiosi italiani e stranieri, europei ed americani, così che questi Studi offerti a A. Vallone rappresentano una delle vie attraverso le quali VII

l'Assessorato alla Pubblica Istruzione e Cultura della Regione Puglia, secondo una costante direttrice di politica culturale� dà il suo contributo al dibattito scientifico che si svolge in Italia ed all'estero. Piace che l'op­ . portunità venga all'Assessorato dalla felice occasione di onorare la figura di A. Vallone, di un pugliese cioè che ha dedicato una quarantennale attività di ricerca e di studio al servizio non solo della ricostruzione, ma anche alla definizione e proiezione nel futuro dell'identità storica e cul­ turale della nostra Regione. GIROLAMO PuGLIESE Assessore P. L e Cultura

VIII

Il Comitato ringrazia gli Enti pubblici e privati che, a vario titolo, hanno permesso la stampa di questi Studi, gli estratti, le manifestazioni che l 'hanno accompagnata : Regione Puglia - Assessorato alla Pubblica Istruzione e alla Cultura. Amministrazione Provinciale di Lecce Amministrazione Provinciale di Bari Amministrazione Comunale di Lecce Amministrazione Comunale di Galatina Camera di Commercio e Artigianto di Lecce CNR Università di Lecce Università di Napoli Università di Bari Istituto Universitario di Magistero « Suor Orsola Benincasa )> - Napoli Dipartimento di Linguistica Filologia Letteratura Moderna - Bari Banca Banca Banca Cassa Banca Banca

Vallone - Galatina (Le) Popolare di Parabita e Aradeo dell'Agricoltura - Bari di Risparmio di Puglia - Bari Sud Puglia - Matino (Le) del Salento - Lecce

IX

TABULA GRATULATORIA

Alberto DEL SoRDO Giuseppe DE NITTO Arnaldo DJ BENEDETTO

Antonio ANTONACI Dina ARISTODEMO, Università di Amster­ dam Mario AvERSANO

Francesco Dr GREGORIO, Università de L'Aquila Antonio Dr LAURI Maria Luisa DoGLIO, Università di To-

Luigi BANFI, Università di Milano Raoul BLOMME, Università di Gent Mario BoRIOLO Nino BoRSELLINO

rino Nicola ESPOSITO

!taio BORZI Mario CALABRETTA, Ist. Magistrale« Re­ gina Elena», Acireale Giuseppe Antonio CAMERINO, Università

Laura FACECCHIA Università di Lecce Arturo FALCONIERI, Liceo Classico Statale, Nardò

di Lecce

Michele FEo, Università di Firenze

Costantino CARIELLO, Liceo Scientifico

Pantaleo FoNTE Antonio FRANCESCHETTI

« E. Medi», Battipaglia Gerardo CAsABURI Olga Silvana CASALE, Università di Lec­

Renzo FRATTAROLO, Università di Roma Aldo FuRLANO, 1st. Magistrale « L. Della Valle», Cosenza Donato GAGLIARDI

ce Sebastiano CAso, Università di Kiel Giorgio CAVALLINI, Università di Ge-

Francesco GALLEA Giovanni GELATI Ghino GHINASSI, Università di Firenze

nova Augusto e Franco CESATI Alberto CHIARI

Pompeo GIANNANTONIO Corrado Gtzzt

Emilia CHIRILLI, Università di Lecce Andrea CIOTTI Corrado CIRANNA Michele CocciA, Università , Roma Maria Paola Mossr, Università Cattolica di Brescia Giulio NARDI Liliana Fides Clelia NoviELLO Gioacchino PAPARELLI

Giorgio VARANINI, Università di Pisa

Emilio PASQUINI Marco PECORARO

Maurizio VITALE Nicola VITERBO Silvia VITERBO DEIACO Eugenio VoLPES Tibor WLASSICS, University of Virginia, Charlottesville Giuseppe ZACCARIA Salvatore ZINGALE Sergio Zou, Università di Bologna ALATRI, Centro di studi ( LEEDS, The Brotherton Library, Univer­ sity of Leeds LEIDEN, University Library LYON, Bibliothèque lnteruniversitaire, Section Droit-Lettres MACERATA, Dip. di Lingue e Letterature Moderne, Sezione di Italianistica MAGLIE, Liceo Ginnasio Statale «Fran­ cesca Capece » MARSICONUOVO, Liceo Scientifico «Pea­ no» MELISSANO, Comune MESSINA, Biblioteca della Facoltà di Let­ tere e Filosofia MILANO, Ist. di Italianistica, Università Cattolica NAPOLI, Accademia Pontaniana - Ist. Italiano per gli Studi Filosofici - Ist. Suor Orsaia Benincasa, Biblioteca - Società di Scien7.e, Lettere eArti PAVIA, Dip. di Scienza della Letteratura e dellAr ' te Medioevale e Moderna

PISA, Biblioteca dellI ' stituto di Italiano, Fac. di Lingue R.EADING, Italian Department, University of Reading RoMA, Arcadia, Accademia Letteraria Italiana - Casa di Dante - Centro Bibliografico Dantesco - Dip. di Lingue e Letterature Moderne e Comparate, II Università - Ist. di Studi Pirandelliani e sul Tea­ tro Italiano Contemporaneo - Ist. Tecnico Femminile Statale «Margherita di Savoia» - Liceo Classico Statale «F. Vivona» SALERNO, Liceo Ginnasio Statale «T. Tasso)) SARNO, Liceo Classico «T. L. Caro» SoGLIANO CAVOUR, Scuola Media Statale «G. Palamà » TARANTO, Ist. Magistrale Statale «Vitto­ rino da Feltre» - Liceo Ginnasio Statale «Quinto En­ nio» TORINO, Dip. di Scienze Letterarie e Filologiche, Università TuGLIE, Comune UDINE, Ist. di Storia della Lingua e Let­ teratura Italiana, Università VENEZIA, Dip. di Italianistica e Filologia Romanza, Università VEROLI, Liceo Scientifico Statale «G. Sulpicio)> VICENZA, Biblioteca Civica Bertoliana ZiiRICH, Romanisches Seminar der Uni­ versitiit

XIII

LETTERATURA E STORIA MERIDIONALE

RENZO FRATTAROLO SCRITTI DI A. VALLONE

All'interno dell'ordinamento annalistico, s'è proceduto a disporre i titoli secondo la scansione: volumi, saggi/articoli, prefazioni/introdu­ zioni/presentazioni, recensioni. In ogni sottogruppo, poi, s'è seguito andamento cronologico degli argomenti trattati. Dalla presente bibliografia, oltre alle inevitabili involontarie omis­ sioni, sono stati esclusi i titoli degli interventi sui quotidiani e settimana­ li (come « Il Mattino » , >, >, >, >, ecc.; della . «Lettere Italiane >>. «Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei». «Letterature Moderne »-. . «Annuario del Liceo Palrnieri di Lecce Jo>. . «Nuova Antologia». «Nord-Sud>). «Notiziario della Scuola e della Cultura». ).

Enciclopedia dantesca,

«Annali della Facoltà di Magistero dell'Università di Lecce». «Annali della Facoltà di Lettere dell'Università di Napoli». «Vedetta mediterranea». «La Zagaglia». «Zeitscrift fur Romanisches Philologie ».

·

Le intestazioni delle riviste meno ricorrenti si riportano per intero.

-2-

SCRITTI DI

A. VALLONE

1933 l. Intorno alla religione cristiana, con l'introduzione dell'avv. L. FEDELE, Galatina, Marra 1933, pp. 35.

1937 2. Machiavelli in Oriente, « Quadrivio», 11 lug. 1937. 1941 3 . A. Pam:ini, « Vm » , 29 d.i c . 1 9 4 1 . 1 942 4. Il romanzo italiano dalla Scapigliatura alla Ronda, Genova, Emiliano Degli Orfini 1 942, pp. 300 (, 1 ) . Sommario: Prefazione. l . Momento sentimentale. 1 . 1 . Questionario cri­ tico. 2. Formazione critica. 2 . 1 . Questionario critico. 3. I , 1-15 dic. 1 946. 14. Carlo Levi, « Libera voce » , 16-3 1 dic. 1 946.

1947 15. Prime noterelle dantesche, Galatina, Stab. Tip. Ed. Mariano 1 947- 1948, p p . 45. Sommario: l. Canto I part. v. 63. 2 . Canto I « Pur.», vv. 1 3 -2 1 . 3 . Canto I >, mag.-giu . 1950 . 92. Ree. a G. ToFFANIN, La religione negli umanisti (Bologna 1950), « Ics )>, mag.-giu. 1950. 9 3 . Ree. a I. SADOLETO, Elogio della sapienza, a cura di A. ALTAMURA (Napoli 1950), « Ics » , lug. 1950 . 94. Ree. a G. PETROCCHI, Matteo Bande/lo. L'artista e il novelliere (Firen­ ze 1949). « Ics » , lug. 1950. 95. Ree. a C. F. GoFFIS, La poesia del « Baldus >> (Genova 1950), al « Conciliatore ». Storia delle idee, Lucca, Lucentia 1953 , pp. 104 (« Poeti e prosatori. Letteratura Italiana. Letture per saggi. Problemi letterari >> diretta da U . Bemardini Marzolla); poi in 486, pp. 107-203. Sommario: l . Motivi e problemi del « Calfé » . 2 . L'Ossian nella nostra letteratura e i rilievi critici del Torti. 3. Avvii, fermenti e idee in -

10

-

SCRIITI DI

A. VALLONE

letterati e poeti. 4. La « Chioma di Berenice�> del Foscolo. 5. lA polemica Foscolo-Lampredi, con tre inediti del L. 6. Botta, Colletta, Cuoco e Lomonaco. 7. Il « Conciliatore �> come testo romantico. 13 7 . Una vita per Dante, « Gazz. Mezz. », 25 mar. 1953. 13 8 . Il pascolismo allegorico-morale e la « Divina Commedia», >, II, 1953, 5-6, pp. 28-3 2 ; poi in 135, pp. 202-211. 139. Lectura del canto IV del « Purgatorio», Napoli, Conte 1953, pp . 16; poi in 164, pp. 7 1-89. 140 . Luigi Pietrobono, « Idea » , 15 feb. 1953 . 14 1 . L'influsso de/ latino sulla prosa italiana del '400, >, feb.-mar. 1953. 1954 152 . DA NTE , La Vita nuova, a cura di A . VALLONE, Roma, Ausonia 1954, pp . 120 (2' ediz., Torino, Caula 1966, pp. xm-6 1). 153 . Del Veltro dantesco, Alcamo, Accademia di Studi « Cielo d'Alcamo �> 1954, pp. 26. -11-

RENZO FRA'ITAROLO

154. G. LEOPARDI, Poesie e prose, con introduzione e note di A. VALLONE, Roma, Signorelli 1 954, pp. 244. 155. Note dantesche, « NA

•,

1 8J4, ago. 1 954, pp . 545-548 .

156. Il concetto di nobiltà e cortesia nei secc. XIV e XV, « Lincei », IX, 1954, pp. 8-20; poi in 165, pp. 43-79; poi in 486, pp. 23-40. 157. Letture dantesche d'oggi, « Cn 164, pp. 39-68.

•,

XI V , 1 954, 2-3 , pp. 2 1 7-227 ; poi in

158. Caratteri linguistici della poesia d'oggi. Note e appunti, Roma, Ediz. del Fuoco 1 954, pp. 20. 159. Una lettera di A. Vallone, « La Rassegna>>, VI, 1 954, 6-8 , pp. 24-25. 160. Ree. a A . ScmAFFINI, A proposito dello 1 stile comico' di Dante (in Momenti di storia della lingua italiana, Roma 1 953); a G . CoNTINI, Sul XXX dell'« Inferno » ( « Paragone », IV, 1 953, 44, 3 - 1 3 ) ; a C. MAR­ CHESI, Orazio e l'Ulisse dantesco ( « Quaderni ACI » , 7, 1952, pp. 3 1 -45), « NA », 1 844, ago. 1 954, pp. 545-548. 1 6 1 . Ree. a P . CARLI, Saggi danteschi, ricordi, scritti vari (Firenze 1 954), « La Rassegna », XXIII, 1 954, 9-12, pp. 25-27. 162. Ree. a M . MARTI, Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante (Pisa 1 953), « GiF>>, VII, 1 954, pp. 186- 1 87 . 1 6 3 . Ree. a A. D E L MONTE, Studi sulla poesia ermetica medievale (Napoli 1 953); a A. RoNCAGLIA, Poesia d'amore spagnola d'ispirazione melica popolaresca (Modena 1 953); a C. VIOLANTE, Motivi e carattere della « Cronica » di Salimbene (estr. da « Annali deila Scuola Normale Supe­ riore di Pisa », s. Il, XXII, 1-2, 1953 ) ; a A. PAGLIARO, Il contrasto di Cielo d'Alcamo e la poesia popolare (estr. da « Bollettino Centro Studi Filologici e Linguistici Siciliani », I , 1 95�) ; a M . MARTI, Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante (Pisa 1953 ) ; a G. DI PINO, LA polemica del Boccaccio (Firenze 1 953 ) , « GiF », V II , 2, 1 954, pp. 1 83-185. 1 955 164. Studi sulla « Divina Commedia », Firenze, Olschki 1 955, pp. 175 (« Bib1ioteca dell'' Archivum Romanicum ' », 42). Sommario: 1. Per la datazione della « Divina Commedia » . 2 . Il dialogo nella « Vita nuova » e nel « Purgatorio » . 3. Con Dante tra commenti e -

12

-

SCRITTI DI A. VALLONE

lecturae d'oggi. 4. ' Cortesia ' e stile in tre canti della « Commedia » (« Purg. » VIII e XXVI; >l. 1 9 5 5 ; poi in 254 , pp . 127- 1 4 2 . 1 68, Rassegna di letture dantesche, « Cn » , XV, 1955, pp. 243-258 . 169. Un nuovo Boccaccio, « Ics », lug. 1 955, p. 146 (sulla edizione laterziana del Decameron curata da CH. SJNGLETON). 1 70. Pietro Bembo, « Idea » , VII, 1 955, 9. 1 7 1 . Lettere d'amore del Bembo,

«

Idea » , VII, 1955, 1 3 .

1 7 2 . Ascanio Grandi e i poemi sacri del Seicento, < � F r » , II, 1955, 2, pp. 1 56- 1 7 4 . 1 7 3 . L a prosa d i Gioacchino Toma Pittore, di Scipione Ammirato, « SSa » , l , 1 956, pp. 20 estr. 178. Il cammino dell'« Ortis », dal 1 802 al 1817, « Convivium » , VI , 1 956, 4 , pp. 677-685. -

13

-

RENZO FRATIAROLO

179. Lettura delle �Grazie�> foscoliane, «Dialoghi » , IV, 6, 1956, pp. 167-222. 180. Vittorini narratore, «Gazz. -Mezz.

)>,

29 set. 1956.

1 957 181. Linea della poesia foscoliana,Firenze, Olschki 1957, pp. 175 («Biblio­ teca dell'' Archivum Romanicum'», 4 7 ) .

Sommario: Parte prima. l. La poesia fino ai «Sepolcri))." versi e tradu­ zioni dell'adolescenza. 2. «Tieste». 3. «Le ultime lettere di Jacopo Or­ tis)), 4. «Sonetti». 5. «Odi». 6. Le varie fasi dell'«Ortis )>. 7. Le note e considerazioni della «Chioma di Berenice». 8. Postilla. Parte seconda. l. Lettura delle « Grazie»: il cammino verso il poema. 2. Le varie esperienze. 3. L'atmosfera delle «Grazie». 4. Elementi caratteristici: gerundio, verbi di moto, parti narrative, aggettivi, ripetizione e richiami di parole, particelle. 5. Postille ai versi. 6. La posizione della critica. 1 82. Note dantesche. Ancora del Veltro e della preghiera di S. Bernardo in Dante,«Lm»,VII, 1 957, 6, pp. 735-738; poi in 2 1 1 , pp. 85-89 . 1 8 3 . Rassegna di letture dantesche, >,

XVII, 1957, pp. 209-233.

184. Le riviste culturali e dantesche dell'Ottocento,«GiF ) ) , X, 1957, 4 , pp. 344-353; poi in 1 88, pp. 13-3 3 . 185. Aspetti e figure salentine nelle parti inedite delle «Memorie)) S. Castromediano, « SSa », 1957, 2, pp. 1 -40. 1 86. La 'balaustrata' di Ungaretti, « Letteratura », V, 1957, 25-26, pp. 127-128. 1 8 7 . Ree. a U. LEO, Sehen und Wirklichkeit bei Dante. Mit Nachtrag uber das Problem der Literaturgesichte (Frankfurt am Main 1956), «Sd», XXXIV, 1957, pp. 256-261 .

1958 1 88. La critica dantesca nell'Ottocento, Firenze, Olschki 1958 , pp. 237; 2• ediz., ivi, 1975 del Cesarotti, in *, Problemi di lingua e letteratura italiana del '700 , « Atti della Assoc. lnternaz. per gli Studi di Lingua e Letteratura Italiana (Magonza-Colonia, 28 apr.- 1° mag. 1 962) >>, Wiesbaden, F. Steiner 1 965, pp. 385-3 9 1 . 265 . Myricae, in * , Pascoli. «A t t i del Convegno Naz. di Studi Pascoliani » , di S . Mauro Pascoli e di S . Arcangelo di Romagna 1 965, pp. 247-268.

1 966 266 . DANTE, Vita Nuova, a cura di A. VALLONE, Torino, Caula 1 966. 267. Correnti letterarie e studiosi di Dante in Puglia, Foggia, Biblioteca Provinciale 1 966, pp. 50; poi in 513, pp. 25-66. 268 . Aspetti dell'esegesi dantesca nei secoli XVI e XVII attraverso testi inediti, Lecce, Milella 1 966, pp. 247 (>, 35, 1966, pp. 367-381. 271. Il canto IX dell'« Inferno». Con appendice delle note inedite di Trifone Gabriele, in Nuove letture dantesche, Firenze, Le Monnier 1966, pp . 237-260 (e, a parte, ivi, 1967, pp. 34). 272. Dante e Sofocle nell'episodio di Ulisse, «GiF», XIX, 1966, pp. 2 9 1 -293; poi in 285, pp. 89-92. 273. Il latino di Dante, «RCcm», VIII, 1966, pp. 119-204. 274. 'Baldanza ', ' baldezza ' dai Siciliani a Dante, in * , Dante e la Magna Curia, Palermo, Palumbo 1966,pp. 315-3 33; poi in 285, pp. 51-74. 275. ' H 'Avrtì..)) cpL.:; t-lj.:; CÌf.La.p"t"lot.:; x.a.t t-lj.:; TtOt\l�ç do:; "TÒ\1 N"Ta.\l"t"e. [ trad . gre­ ca di S. A. ANDRIKIDOY de La concezione del peccato e della pena in Dante ] , « H"ò;: , VIII, 1967, l, pp. 25-48. 290. DANTE ALIGHIERI, Il pensiero politico-civile. Passi scelti da «Rime», , X l , 1970, 2 , p p . 76-77. 1971 330. Dante, Milano, Vallardi 1971, pp. 626; l a ristampa con aggiornamento bibliografico, ivi, 1973 (« Storia letteraria d'Italia }>) . Sommario: Premessa: l. L'uomo d i Dante e Dante uomo; 2 . L a « Vita Nuova » e le « Rime » ; 3. La « Vita Nuova » come opera di prosa; 4 . L a cultura e l a formazione d i Dante dalla « Vita Nuova » a l ; 7. La « Monarchia », le « Epistole » politiche e il pensie­ ro politico; 8. La « Commedia » ; 9. Beatrice e Virgilio nello svolgimen­ to delle opere; 10. Le altre opere minori; 11. Il latino di Dante; 12. Il , p p . 6 1-68.

>, XXIII, 1974, pp. 239-252. 375. Poeti del Sud, « NA » , 2079, mar. 1974, pp. 357-364. 376. Fiore letterato e memorialisia, « NA

�.

2083, giu . 1974, pp. 224-238.

377. La poesia di Riccardo Bacche/li, « AANR », XLIX, 1974,pp. 203-224. 378. Prefazione a E . MARZANO, Due momenti di poesia, Galatina, Congedo 1974, pp . 246-248. 379. Ree. a Enciclopedia dantesca, IV (Roma 1974), « NA », 2082, giu. 1974, pp. 5-9. 380. Ree. a E . PARATORE, Nuovi saggi danteschi (Roma 1974), « NA �>, 2082, giu. 1974, pp. 269-270. 381. Ree. a E . CERULLI, Nuove ricerche sul « Libro della Scala » e la conoscenza dell'lslam in Occidente (Città del Vaticano 1972), « Al ��, xv, 1974, l, pp . 56-57. 382. Ree. a V. TROMOFIMOVNA, Dante Alighieri, Bibliograficeskii ukazateli (Mosca 1973), « Al » , XV, 1974, l, p. 58. 383. Ree. a A. CHIARI, Letture dantesche (Bergamo 1973), « Al », XV, 1974, 2, p . 57; anche in < < NA » , 2099, nov . 1975, pp. 286-287.

1975 , XXIV, 1 975, pp. 1-39; poi i n 513 , pp. 299-35 4 . 396. Francesco Biondo/ilio: un critico-uomo, « Opl » , XXI, mag. 1 975, pp. 67-74. 397. Gaetano Martinez, « NA » , 2092, apr. 1 975, pp. 583-589 . 398. La poesia ' pugliese ' di Maruotti, 154-160.

> di Dante, « RCcm o , XIX, 1 977, 1-3, pp. 777-790. 422. Buti nella critica del Trecento, « ABI

•,

XLV, 1 977, 6, pp . 428-437.

42 3 . Il dantismo di Colomb de Batines in due lettere inedite, in *, Studi filologici, letterari e storici in memoria di Guido Favati, Padova, Ed. Antenore 1977, pp . 607-620; poi in 513, pp. 9 1 - 1 0 6 . 424. Dante i n lingua slava, « Al )> , X V I I I , 1 977, l, p . 64. 425. Settembrini letterato e professore, « UNAn », VII, 1 976- 1 977, pp. 247-270 ; poi « AB! o , XLV, l , 1977, pp. 23-30 e in 429, pp. 335-364. 426. L'opera di Matilde Serao a cinquant'anni dalla morte, « Ics » , LXI, lug.-ago. 1 977, pp. 6-7 . 427. Un'idea per Contini, « A B ! » , XLV, 1 977, 4-5, pp. 309-3 1 3 . 4 2 8 . Pensieri sottovoce. LA poesia d i C . Fornaro, « Gazz. Mezz. », 2 7 ago. 1977. 1978 429. Civiltà meridionale. Studi di storia letteraria napoletana, Napoli, Gian­ nini 1978, pp. VIII, 505 (« Genimae ortae », diretta da R. Franchini, n.s. 8). Sommario: Premessa. l . Masuccio Salernitano e la società napoletana. Galateo letterato. 3 . LA polemica latino-volgare e Q. M. Corrado. Civiltà letteraria a Galatina nel secolo X VI . 5 . Vincenzo Monti Napoli. 6. Manzoni e Puoti. 7. Puoti e il « Vocabolario domestico » . -

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2. 4. a 8.

RENW FRATIAROLO

Troya dantista. 9. Linee 1 0 . Dante in Calabria: vichismo di Settembrini. letterato. 1 4 . Un'idea di memorialista.

del dantismo napoletano nel primo Ottocento. D. Mauro. 1 1 . Settembrini letterato. 1 2 . Il 1 3 . Sigismondo Castromediano memorialista e MaÌilde Serao. · 1 5 . Tommaso Fiore letterato e

430. I biografi di Dante da Giovanni a Filippo Villani, in * , The two Hespe­ rias. Literary studies in honor of ]oseph G. Fucilla, Madrid, Bugliani 1 978, pp. 359-369 . 43 1 . Coluccia Salutati e l'Umanesimo fiorentino dinanzi a Dante, « ZrPh » , 94, 1978, 1 .2 , p p . 69-82 . 432. Gli studi da11teschi, « ON », I I , 1978, 3-4, pp. 1 69-183 (su M. Apollonia) .

433. Modi di lettura del « Novellino }>, in * , Masuccio. Novelliere salemitano dell'età aragonese, « Atti del Convegno Naz. di Studi » , Salerno, 9-10 maggio 1 976, a cura di P. BoRRARO c F. EPISCOPO, I , Galatina, Congedo 1 978, pp. 3 1 -44. 434. Tempi e temi dell'opera di Q. M. Corrado (con allegati}, in * , Q. M. Corrado umanista salentino del '500, Galatina, Congedo 1975, pp. 23-65. 435 . Presentazione, di A . DEL SoRDO, Vecchia Brindisi, Bari, Adda 1978, pp. 5-7 . 1979 436. Il pensiero politico di Dante dinanzi ad A. Trionfi e a G. Vernani da Rimini, *, « Atti del Convegno intern. di Studi danteschi » , Ravenna, Longa 1 979, pp. 1 73-20 1 . 437. Boccaccio lettore di Dante, i n * , Giovanni Boccaccio editore e interprete di Dante, a cura della Società dantesca italiana, Firenze, Olschki 1979, pp. 9 1 - 1 1 7 . 438. Gli studi da11teschi d i Ugo Foscolo, 26-3 7 .

>, XX, 1 979, 2, p. 70. 443. Ree. a Carteggio fra B. Croce e F. Torraca, a cura di E. GuERRIERO, e con Prefazione di G. PuGLIESE CARRATELLI (Galatina 1979), « Al >>, x x , 1979, 2 , pp. 68-69. 444. Ree. a M. FAGIOLO DELL 'ARCO e S . CARANDINI, L'effimero barocco. Struttura della festa nella Roma del '600 (Roma 1978), « ABI >>, X LV I I , 1 979, 6, p. 482. 445. Ree. a R . DE PACIENZA, Opere, a cura di M. MARTI (Lecce 1978), « Ln », 1 979, 2-3, p. 93. 1980 446. Condizioni e condizionamenti nel romanzo italiano del Novecento , Napoli, Liguori 1 980, pp. 256. Sommario: Premessa. l. La condizione operaia. 1 . 1 . Il romanzo ottocen­ tesco come « Saggio )). Lineamenti. 2. La condizione impiegatizia. 2 . 1 . Il romanzo a temi borghesi tra Ottocento e Novecento. 2 . 2 . Esemplifica­ zioni. 3. La condizione >, XXI , 1980, l, pp . 45-47 . 448. Aspetti dell'Illuminismo salentino, in ,., , Transactions of the Fifthe Intern. Congress on the Enlightenment, Oxford, The Voltaire Foundation 1980, I, pp . 2 1 4-2 1 7 . 4 4 9 . Foscolo e i legislatori d i norme, « L n », XLI , 2 , 1 980, pp . 68-75. 450. Foscolo nella cultura letteraria napoletana dell'Ottocento, in * , Foscolo e la cultura meridionale, a cura di M .co SANTORO, Napoli, SEN 1980, pp. 1 2 1 - 1 4 2 ; poi in 412, pp. 1 87-220 . 45 1 . La narrativa napoletana del dopoguerra, « Abruzzesistica )>, 1 980, l, pp. 7-24; poi in * , La cultura italiana negli anni '30- '45 . Omaggio ad A. Gatto (« Atti del convegno. Salerno 2 1 -24 apr. 1 980 )>), Napoli, ESI 1 9 8 3 , t. I, pp. 2 1 7-23 9 . 4 5 2 . La condizione femminile nel romanzo italiano d'oggi, « O N >>, IV, 1980, l, pp. 143-174. - 35 -

RENZO FRATTA ROLO

453. Ree. a * , Dante nella letteratura italiana del Novecento (Roma 1979). « Al », XXI, 1980, l, pp. 58-59 . 454. Ree. a M. D'ANDRIA, Beatrice simbolo della poesia con Dante dalla terra a Dio (Roma 1979), « Al », XXI, 1980, 2, p. 5 8 . 4 5 5 . Ree. a A . M. MORICONE, Dibattito su Amore (Bari 1 9 7 9 ) , « N S » , I X , 1 9 8 0 , p p . 228-229.

1981 456. Dante, Milano, Vallardi 198 12, pp. Xlv, 760 (« Storia letteraria d 'lta· lia »). Si apportano numerosi ritocchi ed emendamenti, con aggiunta di un capitolo intero, Tecnica e formazione della poesia dalle « Rime » alla « Commedia » , e di altre parti cospicue. 457. Storia della critica dantesca dal XIV al XX secolo, Milano, Vallardi 1 98 1 , voll. 2, pp. III, 1 1 46 (« Storia letteraria d'Italia ))) . Sommario: Vol. I . Introduzione generale. Prima parte: Dalla Scolastica all'Umanesimo. Seconda parte : Dal Rinascimento all'Illuminismo. Vol. Il. Tena parte: Dal Romanticismo allo Strutturalismo. Indice dei nomi. 458. Cultura e poesia in Leopardi, Napoli, Liguori 1 9 8 1 , pp. 463 (nuova ed. ampliata di Interpretaz.ione della poesia leopardiana, Napoli, Liguori 1974). 459. Il canto IV del « Purgatorio », in * , « Purgatorio » . Lettura degli anni 1 9 76-79, Roma, Bonacci 198 1 , pp. 79-99. 460. Il canto XXIX del « Purgatorio >>, ivi, pp. 675-694. 46 1 . La processione del XXIX del « Purgatorio )> e il medievalismo di Dante, « DD », 55-56, 1980- 1 9 8 1 , pp. 50-68. 462. Nota a Jacopo Alighieri, in *, Letterature comparate. Problemi e metodo. Studi in onore di Ettore Paratore, III, Bologna, Patron 1 98 1 , pp. 1 237-1242 . 463 . L'età della crisi e il ' Dante ' ufficiale: Ceva, Pastorini, Benvoglienti, in * , Studi in onore di Nicola Petruz.z.ellis, Napoli, Giannini, 1 9 8 1 , pp. 367-3 79. 464. Ungaretti e Dante, i n '� , « Atti del Convegno internaz. su Giuseppe Un­ garetti )>, II, Urbino, Quattro venti 1 98 1 , pp. 1 3 85- 1 3 8 7. -

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SCRITTI DI A. VALLONE

465. L'eccidio otrantino (1 480) tra canoni retorici e invenzione narrativa dal XVIII secolo ad oggi, « Cl », IX, 1 98 1 , 3, pp. 486-5 1 8 ; poi in 472, pp. 1 39-174 , e in *, Otranto 1 480, Galatina, Congedo 1986, l, pp. 281-3 1 9 . 4 6 6 . Galateo, Venezia e il « De educatione » , i n * , Vittorino d a Feltre e l a sua scuola, Firenze, Olschki 1 9 8 1 , pp. 299-3 1 1 . 467 . Gallipoli, l'Illuminismo e la famiglia Briganti, >, l, 198 1 , 3 , pp. 290-329. 468. Un'idea di Pierro, i n A . PIERRO, Dieci poesie inedite in dialetto tursitano, Lucca, Tipolito 1 98 1 , pp. 1 4 1 · 1 44 . 469. Ree. a Testi e interpretazioni. Studi del seminario d i filologia romanza dell'Università di Firenze (Milano-Napoli 1978), « Al >> , XXII , 1 9 8 1 , 2 , pp. 53-64. 470. Ree. a Letture C/assemi, voli. VII e VIII (Ravenna 1979), , 19 8 3 , 2 , p . 61. 1984 499. Palmieri, Astore, Milizia e altri minori, Lecce, Milella 1984, pp. 556 ( « Biblioteca di cultura salentina » diretta da M . Marti, 8). Sommario: l . Giuseppe Palmieri di Martignano. 1 . 1 . G. P. di M. e le sue opere. 1 .2 . Nota bibliografica e filologica. 1 .3 . Scelta dalle opere. 2 . Nicola Andria di Massafra. 2 . 1 . N . A . di M . e le sue opere. 2 . 2 . Nota bibliografica e filologica. 2 . 3 . Scelta dalle opere. 3. Michele Arditi di Presicce. 3 . 1 . M. A. di P. e le sue opere. 3 . 2 . Nota bibliografica e filologica. 3 . 3 . Scelta dalle opere. 4. Francesco Antonio Astore di Casarano. 4 . 1 . F. A. A. di C. e le sue opere. 4 . 2 . Nota bibliografica e filologica. 4 . 3 . Scelta dalle opere. 5. Ignazio Falconieri di Monteroni. 5 . 1 . Scelta dalle opere 6 . Giovan Leonardo Marugj di Manduria. 6 . 1 . G . L . M . d i M . e l e sue opere. 6.2. Nota bibliografica e filologica. 6 . 3 . Scelta dalle opere. 7 . Francesco Milizia d i Oria. 7 . l . F . M. di O. e le sue opere. 7.2. Nota bibliografica e filologica. 7 . 3 . Scelta dalle opere. 8 . Indicazioni esegetiche. 9 . Indicazioni linguistiche. 1 0 . Indicazioni ono­ mastiche. 500. Il canto XI del « Paradiso )>, in *, La dimensione umana e la prospettiva divina in Dante, a cura di P. SABBATINO, Pompei, Bibl. « L. Pepe )) 1984, pp. 1 3-38. 50 1 . Il « Fiore » come opera di Dante, « Sd » , LVI , 1984, pp. 1 4 1 - 167. 502 . Modelli di interpretazione dantesca nel tempo, in * , Dante i Slavenski svijet, Zagreb 1984, I, pp. 3 - 1 1 (ed anche in « Al » , XXV, 1 984, 2, pp. 38-49 ) ; poi in 513, pp. 9-24. 503. Il concetto civile-politico di ' educazione ' in Galateo, in * , Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino, Napoli, }ovine 1984, pp. 3765-3776. 504 . Francesco Milizia nel Settecento illuministico, « ltp », XXI, 1 984, 78, pp. 1 0 1 - 1 1 4 . · 505. Giovanni Prati nella critica dell'Ottocento, « A B I )>, 111 , 1 984, pp. 1 85- 198. 506. Prati nella critica di De Sanctis e Carducci, in *, Giovanni Prati a cento anni dalla morte ( « Atti del Convegno. Comune di Lomaso. Prov. Auton. di Trento »), Trento 1984, pp. 1 37-149. - 40 -

SCRITTI DI A. VALLONE

507. Fortunato e Croce, " NA >>, 2 1 5 1 , lug.-set. 1984, pp . 80-92. 508. Bodini salentino-toscano, in * , Le terre di Carlo V. Studi su Vittorio Bodini, Galatina, Congedo 1984, pp. 49 1-508. 509. Tensione morale e civile nella storia aquilana di Raffaele Colapietra, " BAb », LXXIV, pp. 5- 1 8 . 5 1 0. Introduzione a R. CARACCI, L'ingorgo, Venezia, Rebellato 1 9 8 4 , pp. 7-9. 5 1 1 . Prefazione a F. B R UNO , Umanesimo e contro-umanesimo, Napoli, La Nuova Cultura Editrice 1984, pp. 1-111. 1 985 512. DANTE A LIGI I I E R I , La Divina Commedia. Inferno, a cura di A. VALLO­ NE e L. ScoRRANO, Napoli, Ferraro 1985, pp. 492. 5 1 3 . Profili e problemi del dantismo otto-novecentesco, Napoli, Liguori 1985, pp . 450 (« Collana di testi e di critica )> diretta da G. Petrocchi, 29).

Sommario: l . Modelli di interpretazione dantesca. 2. Studiosi di Dante in Puglia. 3. Carlo Troya dantista. 4. Il dantismo di Colombo de Batines in due lettere inedite. 5. De Sanctis e Dante. 6. De Sanctis e l'idea della « Storia letteraria d'Italia » . 7. Per il curriculum vitae di F. Torraca. 8. Nicola Zingarelli dantista con Appendice di lettere inedite. 9. Nicola Zingarelli e le sue lezioni inedite sul « De vulgari Eloquen­ tia » . 1 0 . Croce e Dante. 1 1 . Profilo di Antonio Pagliara. 1 2 . Bruno Nardi ' lettore ' di Dante con Appendice di lettere inedite. 1 3 . La « Commedia » come 1 romanzo ' e il dantismo a Napoli. 5 1 4 . L'esaltazione della poesia volgare. G. Guinizelli e A. Daniello, in * , Lectura Dantis Modenese, Modena, Banca Pop. dell'Emilia 1 9 8 5 , pp. 143-163. 5 1 5 . Marco Lombardo, in '� , L'uomo di Dante e Dante uomo, a cura di P . SABBATINO, Pompei, Bibl . « L. Pepe » 1985, pp. 1 3-33. 5 1 6. Carducci e Dante, « SD » , LVI I , 1985. 5 1 7 . Croce e Dante, Napoli, Guida 1985, pp. 5 4 ; poi in 513, pp. 273-298. 5 1 8 . Le sospensioni e l'arte narrativa di Manzoni, « ON )>, IX, 1985, pp. 5- 1 8 ; poi col titolo Silenzi e pause nell'arte manzoniana, in * , Omaggio ad Alessandro Manz.oni, Assisi, Accademia properziana di Subasio 1986, pp. 2 3 1 -247. -

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RENZO FRA11AROLO

5 1 9 . Il ' grande ' e il ' piccolo ' nella « Storia » di De Sanctis, in * , Francesco De Sanctis un secolo dopo, a cura di A. MARINARI, Bari, Laterza 1985, pp. 539-547; poi in 5 1 3 , pp. 129-140. 520. Il roman1.o impiegati1.io e Piero Chiara, , LI!!, 1986, 4 , pp . 134-135. 528. Prisco e Rea e il roman1.o borghese, in * , Ricerche letterarie e bibliografi­ che in onore di R. Frattarolo, Roma, Bulzoni 1986, pp. 199-205. 529. Leandro Ugo ]apadre, « Cultura e Libri >>, III, 16, pp. 3 86-389. 530. Mam:oni nella critica di De Sanctis, « UNAn » XXVII I , 1 985-86, pp. 3 3 1-346. 53 1 . Prefazione a P. lNGU S C I , L'ora di Nardò, Taviano, Graphosette 1986, pp. 7-20 . 532. lntrodu1.ione a M. A. TAURINO LICei, Favole infinite, Galatina, Conge­ do 1 986, pp. 470-472. 533. Ree. a D A NTE ALIGHIERI, Vita Nuova, con traduz. inglese e illustrazioni di D. G. Rossetti, a c. C. G1zzx (Milano 1985), « NA », 2 1 67, gen.-mar. 1986, pp. 470-472. - 42 -

SCRITTI DI

A. VALLONE

534. Ree. a Il codice Perris. Cartulario amalfitano. Secc. X-XV, a cura di I . MAZZOLENI e R . OREFICE (Amalfi 1 985), « AB! >>, LIV, l , pp. 65-66. 535. Ree. a C. SALUTATI , De fato et fortuna (Firenze 1985), « Al » , XXVII , 1986, l , pp . 67-68. 1987 5 3 6 . DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia. Paradiso, a cura di A . VAL· LONE e L . ScoRRANO, Napoli, Ferraro 1987, pp. 525. 5 3 7 . Beatrice, i n * , Realtà e simbolo della ' donna ' nella « Commedia )), a cura di P. SADDATINO, Pompei, Biblioteca e annotano b partecipazione del cancelliere e del protonotmio o, come in quelli politici, solo di quest'ultimo . Hanno, inoltre, il sigillo d 'oro , pendente da lacci di seta rossa e gialla , di 40 mm. di diametro, con effigiata sul retro l'immagine del re seduto sul trono e rivestito delle insegne della sovranità e sul verso lo scudo con le armi della famiglia d 'Angiò. Le seconde si dividono in s o l e n n i o r d i n a r i e . Le solenni, dette anche d i g r a z i a , sono, per forma e contenuto, molto vicine ai privilegi, dai quali si distinguono per il grande sigillo pendente di cera rossa di 95 mm., con 2 fncce: su una il re sul trono come nel sigillo d 'oro e sull'altra il monarca in abito da combattimento su un cavallo ricoperto da una gualdrappa blasonata . Le ordinarie , che contengono questioni di natura amministmth·a, finanziaria giudiziaria, hanno lo stesso sigillo, che però è aderente, fissato sul margine che ri­ sulta inoltre piegato quando l 'atto è destinato ;ld essere perpetuo . I terzi, di natura finanziaria, si caratterizzano per l 'indirizzo perso­ nale e hanno in comune con quelle precedenti il sigillo, qualche volta sostituito dal sigillo segreto (20 mm. di diametro con una sola faccia disegnata come il retro della bolla d 'oro) e qualche volta con l'aggiu nta di esso. Le quarte, infine, sono di natura intima. La forma del documento in esame contiene in sé i caratteri della III e della IV categoria insieme. Lo stile è di carattere confidenziale, caratterizzato dall 'assenza dell' i n t i t u l n t i o , dnlla mancanza di re­ gistrazioni e, infine, dal non intervento degli ufficiali (cancelliere o 26 Cfr. P. DuRRIEU, Les arcbives Angevines dc Naples. Etudc mr Ics rcgìstrcs dr1 roi Cbarles I (1265-1285), I, Paris, Ern Thorin 1886-87, pp. 178-183.

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pr�rioJ tU. neHa i..e prt'\·eeti�-a àella redazior:.e ii2 in quella •,n.er"""" del destinata­ rio ia pie �.M!e �! u.ra!te!"� òe!h i:�:.o a:� JiiDe 2 C!U'"".2la: che ry-,a] ct..J.&.:ni:.nvJ "' d:ctl.oire » . l'n tipo eli dc:.::t. menro, �Jind!, èiu.tte:SO, come dd reUfJ k: 1teMe l e t t e r e c h i '.l s e , da.lli dip!om.aria. tradiziona­ le, !a cp.1!e, crm1'e W.JtiJ, p� i'! t."'JmiÒet2:rione, per i fi:li che !e so:w prvpri, YJ!-o cYJCUme:n:i d-A:: con-,.e;-..gcno ttte"S:.azio:li di e-;-enti èi :Iatura g:h.:ridic.a.r. In eif.etti eue c.ostituh�.no la. eottispondenz.a personale del re t: c..tJ!!)I; tale, :lO:l e:-a prOOr.t:ta attrave:-so i ar..a!.i degli cifrci del regno. La ie&r.Ja rilevar.aa òiok:r.Mtia. cii ta!i titri d; doo.JJDf::l ti trm·a, ru!taYi.a, un ���.Ja!f.1 dd loro COO �'Jto, �rattu!· w se " u�a che aa e:ooe il sor.a= &.::e,·a =rso ancnc: per i�.xrt.rt e curar t ra.ooor-..i d!Dlom.a.tici èi Saw. Tctw e solo con-:.enuto dcr"s"l!e? For..e èè cr;k..")S-2 di pii..: . La !ormT.l!a usr..a q St..:b anulo nostro tecre--..o » d ha oife--...o la �!h'.!it.Z èi tr2Ue da. tale c.ate!orl!. di ani indicazioni l> (come lo chiama Joseph Scheeben) 1 in cui si propone quasi il modello della teologia del sec. XII I : un concetto che ha poi rielaborato il p. M.-D. Chenu, OP; 2 2) l'Itinerarium mentis in Deum, l'opuscolo che contiene realmente la mens e lo spirito di S. Francesco, riversatosi nell'animus speculativo e contemplativo di Bonaventura filo­ sofo, teologo, mistico, che vede unicamente, come Francesco, nel Verbo Incarnato e Crocifisso la via « seu transitus » - come si legge nelle ulti­ me pagine dell'opera - alla contemplazione perfetta, cioè alla pace dell'e­ stasi della visione di Dio ; sicché giustamente i Padri Editori di Quarac­ chi vedono in Francesco e Bonaventura le due facce di un'unica meda* l

Università di Bari. Handbuch der Katholischen Dogmatik, I, Freiburg, i.B., HerJer, I,

J. Sc!IEEBEN,

1 8 73 , p . 432.

2 M.-D. 19573, p. 54 .

CuENU O.

P., LA théologie comme scimce au XIII� siècle, Paris, Vrin,

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AN CONIO ANTONACI

glia : « Uterque vir desideriorum est (cf. Dan. 9, 2 3 ) ; in utroque idem anhelitus, idem desiderium pacis, licet uterque modis et mediis diversis usus si t ad talem pacem acquirendam ». Del resto, lo stesso Bonaventu­ ra (lo si può leggere nella sua Legenda maior) 3 vede in Francesco non solo « evangelicae perfectionis professorem, ducem atque praeconem )>, ma anche l'« exemplum perfectae contemplationis )> (Leg. maior, cit . , prolog., n . l); 3 ) i l terzo opuscolo ha p e r titolo definitivo, f i n dal Quattrocento, De reductione artium ad theologiam, dove il termine arte deve essere inteso nd suo significato di scienza, e il termine reductio difficilmente traducibile in modo adeguato - deve essere inteso come riconducimento di tutte le scienze (o conoscenze) e di tutte le attività dell'uomo alia teologia, e cioè alia conoscenza di Dio : conoscenza che, in tutto il contesto del pensiero francescano, è sempre amore di Dio, che è la luce fontale (lux fontalis, De red ., 1 ) , l 'origine di ogni conoscenza (origo omnis illuminationis), perché è l'origine e la causa efficiente, formale e finale di ogni creatura. Orbene, il filo conduttore unico ricorrente nei tre opuscoli lo si può sintetizzare in questi termini: l) tutta la creazione - qudla che la speculazione classica precristiana chiamava cosmo - procede da Dio come primo principio (nd Breviloquium) ; 2) tutto il creato, con un procedimento inverso, reclama Dio e ritorna a Lui come fine ultimo (neli'Itinerarium) ; 3) l'uomo, che è al vertice dell'ordine creato (del cosmo = ordine), perché fatto a immagine di Dio, deve manifestare per la sua stessa natura, in tutte le sue attività ed espressioni di vita, questo rapporto dinamico intercorrente tra Creatore e creature (nella Reductio artium). I mezzi o strumenti di queste espressioni o manifestazioni di vita (teoriche o pratiche che siano) sono essi stessi frutto di una illuminazione che viene da Dio, come esemplare sommo di ogni forma d'essere, d'esistere e di conoscere. Questa illuminazione, Bonaventura la chiama dono di Dio . Ed è estremamente significativo il fatto che in tutti e tre gli opuscoli citati il Dottore Serafico inizi sempre con le prime battute della lettera di S . Giacomo, che sembrano il leitmotiv di una musica che pervade tutto il pensiero bonaventuriano e francescano: « Omne datum optimum et omne donum perfectum desursum est, de­ scendens a Patre luminum >> (Gc. l, 1 7 ). La Reductio artium {intendendo come arti, con significato più ampio

3 Ora nella monumentale opera delle Fonti francescane, Assisi, Movimento francesca· no 1977, 2 voli. - 64 -

Galatina

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Basilica di S. Caterina. Particolare del frontespizio e rosone (foto Istituto Statale d'Arte « G. Torna » , Galatina).

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..·ntrak { fotu bli llltu Stat (Red. art., Prol ., n. 1 ) . Ma qui non bisogna fraintendere l 'attributo : che non significa affatto mec­ canico nel significato che oggi comunemente si dà al termine; bensl nel significato originale di opera prodotta dall'ingegno, dall'inventiva del­ l'uomo. 2) il secondo fascio di luce è il « lumen inferius: scilicet lumen cognitionis sensitivae �>. 3 ) il terzo fascio è il « lumen interius �>: la luce interiore: quella della conoscenza intellettiva. 4) il quarto è il « lumen superius: scilicet lumen gratiae et sacrae Scripturae »: la luce superna: quella della grazia, attraverso la quale soltanto si può conoscere la S . Scrittura, cioè Dio : la veritas salutaris che appaga l'anima. Tra la prima luce e l 'ultima non c'è iato né frattura , anche se esiste diversità di operazione riguardo all'oggetto; tanto più che Bonaventura usa lo stesso termine « arte per le attività dell'uomo e di Dio. Varte eterna, di cui egli parla nel Breviloquium /) è la conoscenza di Dio nel Verbo in ordine alla produzione delle cose, ossia la ragione perfetta rappresentativa nel Figlio di tutto ciò che il Padre può produrre e, in modo speciale, di tutto ciò che Egli si è proposto di fare nella sua azione ad extra. Sicché il pensiero fracescano eleva allo stadio della teologia anche le artes libera/es. È vero che la scuola francescana è tributaria di questa intuizione alla mistica medioevale (Bonaventura cita spesso qui il Didascalicon di Ugo 6

Breviloquium, ed. cit., p. 56.

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ANTONIO ANTONACI

da S .Vittore); ma è anche vero che questa concezione « rivoluzionaria )> delle artes mechanicae deve attribuirsi all ' impianto nuovo che quella scuola diede a tutte le espressioni di arte. 2. È significativo il fatt� che nella Reductio artium gli spazi dell 'inventiva nel primo fascio di luce (il lumen exterius) siano ben delimitati e delineati con l'espressione di figurae arti/iciales, cioè di figurazioni o di invenzioni che servono a supplire l 'indigenza dell 'uomo fatto anche di corpo () dell'uomo. Ma per theatrica intende esplicitamente, oltre che il teatro in senso stretto (e quindi la scenografia, la coreografia, ecc.), anche lo sport ( « ars ludorum )>L le canzoni, la musica, espressa in tutti gli strumenti, la pittura, la scultura, l'architettura, ed anche la danza, che Bonaventura chiama « gesticulationes corporis )) (ibid.) . Negli Atti del IV Congresso internazionale d i Filosofia medioevale, tenutosi a Montreal nel 1967, vi è un serio contributo di Philippe Verdier,7 il quale traccia la molteplice iconografia delle sette artes mechanicae, che poi Giotto avrebbe rielaborato a Firenze, dall ' arte delle costruzioni (armatura) alla pittura. Ed è sintomatico il fatto che queste artes vadano spesso effigiate di pari passo con le sette virtù (le quattro virtù cardinali e le tre teologali), al cui vertice - per le une e per le altre - è sempre il Cristo effigiato in alto, seduto in cattedra, da Maestro. Ma è anche di estremo interesse, nello stesso volume, il saggio di Jacques Chailly 8 con abbondante documentazione iconografica e trascri­ zioni di pagine musicali, da cui si apprende che nelle grandi cattedrali di Francia, da Tolosa a Chartres, a Rouen, la danza faceva parte integrante della liturgia, specialmente in quella delle maggiori solennità. La liturgia era anche theatrica. Questo fatto - sia detto qui di sfuggita - fa pensare alla letizia tradotta in canto e danza, al modo nuovo di annun­ ziare il Vangelo, come si legge nello Specchio di perfezione : : ma non dei poveri nel significato d i classe sociale, entro la quale all'analfabeta ignaro del contenuto della pagina scritta della S. Scrittura si desse in sostituzione, o come surrogato, la pagina e colorata ; bensl de1l 'umanità tutta quanta, povera e affamata per sua natura della luce di Dio. S. Bonaventura comincia il primo capitolo deli'Itinerarium con questo titolo: « Incipit speculatio pauperis i n deserto » : dove il termine speculatio non deve essere reso con speculazione quale momento pura­ mente teoretico, che qui non avrebbe senso; bensl come riflessione deii'anima povera, itinerante nel deserto della vita, che vuole rispec­ chiarsi in Dio contemplando la Natura. Solo cosl il cammino del >, direbbe Merleau-Ponty) dell'uomo che nell'opera d'arte pitto­ rica vede se stesso. In altri termini, i l ciclo pittorico fa da tramite di una trasfigurazione eidetica della storia dell'uomo: che non è mai storia avente per oggetto dati diversi dall'uomo (come, ad es . , la storia dei vulcani o dei fenomeni s ismici) , ma l 'uomo stesso nel suo divenire e nel suo sviluppo. Sicché il ciclo pittorico non si riduce ad u n fatto museale, da interpretare in chiave storicistica o di semplice raffronto sti1istico tra « scuole )> o tecniche diverse, appartenenti ad un passato irreversibile e periodizzabi­ le i n epoche od età.

4. Da codesto angolo visuale, a noi non interessa in questa sede vedere quale « scuola » pittorica sia stata preponderante nei cicli cateri­ niani di Galatin a ; bensl notare come l'animus e la mens francescani palpitino qui di quello spiritualismo - più decifrabile nella scuola giottesca anziché in altre scuole che pure vi operarono - che fa deii'antropologia, quale conoscenza o scienza dell 'uomo, un dato inscin­ dibile dalla teologia, quale scienza o conoscenza di Dio, da raggiungere anche attraverso il lumen exterius: e cioè, tramite l 'arte figurativa, immagine dell'immagine di Dio. Ma non è soltanto questa impostazione rivoluzionaria dell'estetica francescana, impiantata sulla dottrina deli 'iliuminazione, a penetrare nei cicli pittorici e , di riflesso, in tutto ii architettonico cateri-

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niano. È l'ispirazione francescana nel suo insieme, è la « spiritualità nuova » (come la chiama il p. Agostino Gemelli in quel suo libro ormai classico sul francescanesimo) /' operata fin dall'avvento del messaggio francescano, a vibrare sia negli 1ffreschi sia nelle linee architettoniche della basilica galatinese . E lo si vede anche nella povertà dell 'insieme . Già qualche anno prima del libro di Gemelli, Ubaldo d'Alençon, nelle sue Leçons d'histoi­ re franciscaine/2 aveva notato come, sotto l'influsso del francescane­ simo, la chiesa romanica si snellisce, diventando povera : la povertà, appunto, dell'affresco si sostituisce allo sfolgorio aureo dei mosaici lucenti: niente di più povero di una parete liscia preparata all'affresco. In sintesi, e per non andare troppo lontano in u n discorso per altro assai seducente, si può dire che ne11a basilica di S. Caterina d 'Alessan­ dria in Galatina la « lezione » francescana si va enucleando nella ricca povertà dell'affresco. Allorché il tempio degli Orsini Del Balzo vien costruito (sulla porta d'ingresso di sinistra si legge la data del 1 3 9 1 ) ed interamente affrescato in ogni centimetro dell'interno (pareti, arch i , sottarchi, angoli, e perfino gli spigoli) , in tutte l e navate e negli ambulacri - e vi occorse almeno qualche decennio del primo Quattro­ cento -, le prediche dei Frati Minori e le « legende >> francescane hanno percorso in lungo e i n largo il Salento (detto anche Terra d'Otranto ) . L'affresco cateriniano fissò sulla parete la « predica » fran­ cescana in tutta la sua freschezza e ingenuità. L'età nuova iniziava cosl anche nell'estremo Sud, dove l'humus sociale era più adatto a recepire certe ist:mze evangeliche, prima fra tutte la povertà come « beatitudi­ ne » dcl1o spirito . Abbiamo detto « età nuova » per contrapporla a quella già tramontata da tempo: l'età delle grandi cattedrali dalle guglie svettanti e dalle vetrate policrome, testimonian?.a di una società ooulcn­ ta che andava alla ricerca di « primati mondiali » anche nel campo dell'edilizia sacra 11 e che nel Salento, per necessità di cose, non poteva trovar posto.

5 . I cicli o blocchi pittorici cateriniani si possono cosl catalogare, prendendo come guida la loro collocazione topica dall'ingresso centrale 1 1 A . GEMELLI, Il francescanesimo, Milano, Ed. Vita e Pensiero 19332, pp. 94-95. 1 2 U. D'ALENçON, Leçons d'histoire franciscaine, « �tudes franciscaines )), 1918,

p. 374.

11 Cfr. ]. GIMPEL, Costruttori di caltedrali, t rad. it al ., Milano, }aka Book 1982, pp. 26, 121 e passim).

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CICLI

PITTORICI CATERINIANI DI GALATINA

all'abside : l ) ciclo >; 2) ciclo della >; 3) ciclo cristologico; 4) ciclo ecclesiologico; 5 ) ciclo angelologico; 6) ciclo mario­ logico; 7 ) ciclo agiografico. I primi cinque hanno una sequenza compat­ ta, logica oltre che topica; gli altri due sono ampiamente sviluppati qua e l à neil'intera basilica . Se a questi sette cicli si unisce la rappresenta­ zione delle Virtù (le quattro cardinali e le tre teologali, più u n'ottava: la Pazienza, che i Frati Minori vollero aggiungere, in omaggio, forse, al Poverello) , tutte affrescate nelle vele della prima campata, si ha il numero completo dei cicli cateriniani. In tutto quest'ampio contesto di affreschi rifluisce il pensiero filoso­ fico e teologico francescano: che è cristocentrico; ma è anche antropo­ centrico, se con questo termine s'intende la centralità dell'uomo imma­ gine di Dio. V'è infatti, nella che scuote l 'uomo - 74 -

CICLI

PITTORICI CATERINJANI DI GALATINA

errabondo alla ricerca di cieli nuovi e terre nuove, una volta constatata, con l'occhio di Francesco d'Assisi, la « insensata cura de' mortali » (Dante, Par. XI 1 - 3 ) . L'antropologia francescana reclama scotianamente la grazia « elevante » : che è, secondo l'espressione di S. Bonaventura, partecipazione della luce fontale che è Dio. Negli affreschi di Galatina si sente, in definitiva, l'eco della perenne « lezione » francescana. Che è questa : la storia dell'uomo è storia dell'Amore di Dio.

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ANDRÉ }ACOB * LES DÉD!CACES DES ÉGLISES GRECQUES DE LA TRINITÉ A MARTANO ET DE LA THÉOTOKOS A CALIMERA (TERRE D'OTRANTE)

Les derniers témoignages épigraphiques du Salento hyzantin n'ont guère retenu jusqu'id l'attention cles spécialistes malgré l'intétet qu'ils peuvent présenter pour la connaissance de la population hellénophone et de sa culture au temps de la Renaissance.1 Les inscriptions de l'époque proviennent pour la plupart, comme il est nature!, des villages qui forment aujourd'hui la Grecia salentine et ont le plus souvent rapport à cles édifices de culte nouvellement construits, signes tangibles de la vitalité persistante du rite grec dans la région à la veille de la contre�ré­ forme. Les deux dédicaces que nous présentons ici ont survécu par bonheur aux sanctuaires dont elles commémoraient l'érection et, bien qu'elles ne soient pas tout à fait inconnues, elles n 'ont encore fait l'objet d'aurune édition. * Fond National de la Recherche Belgique. I Une inscription de Galatina, du début du XVIe siècle (an. 1502/1503 ou 1505/1506), a été publiée par S. CASTROMEDIANO, La Commissione conservatrice dei monumenti storici e di belle arti di Terra d'Otranto al Consiglio provinciale. Relazione per l'anno 1872, Lecce 1873, p . 27, et rcprise par F. CASOTTI, Opuscoli di archeologia, storia ed arti patrie, Florence 1 875, p. xrv; les inscriptions peintes de la crypte de Saint-Sébastien à Sternatia ont été récemment éditées pour la première fois par C. D. FONSECA, A. R. BRUNO, V. INGROSSO et A . MAROTTA, Gli insediamenti rupestri medioevali nel Basso Salento, (« Università di Lecce. Facoltà di lettere e filosofia. Istituto di storia medioevale e moderna. Saggi e ricerche », 5), Galatina 1979, pp. 200-202; une épitaphe de Calimera, datée de 1579, se trouve dans G. MoROSI, Studi sui dialetti greci della TemJ d'Otranto, Lecce 1870, p. 208; la dédicace de l'église Sainte-Marie d'Apiglia­ no, de quelques annés plus récente (an. 1 582), est publiée dans A. ]ACOB, Notes sur quelques inscriptions byzantines du Salento méridional, « Mélanges de l'École française de Rome. Moyen 3.ge - Temps modemes », 95, 1983, p. 85-88.

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ANDRÉ

I.

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JACOB

MARTANO, ÉGLISE DE LA SAINTE-TRINITÉ.

Parlant de Martano dans ses précieux Bozzetti di viaggio, Cosimo De Giorgi énumère les églises grecques citées en 1 608 dans la visite pastorale de l'archevCque d'Otrante Lucio de Morra et précise, à propos de celle de la Sainte-Trinité, qu 'il en possède une inscription : « della quale conservo un'iscrizione greca dedicatoria esistente sulla facciata e del 1 5 1 1 » .2 L'épigraphe n'a plus été signalée depuis et nous ignorons ce qu'il en est advenu. Fort heureusement, De Giorgi l'a reproduite sur l'une des planches hors-texte qui accompagnent le premier volume des Bozzetti 1 et la précision du dessin est t elle qu 'il est assez aisé de restituer le texte dans ses moindres détails.• La légende parle de la « Cappella diruta della Trinità )>, et on peut imaginer que c'est pour ne pas la laisser périr avec le reste de l'édifice que De Giorgi a emporté chez lui l 'inscription. Le sanctuaire n'existe plus aujourd'hui . D'après des informations recueillies sur piace, il était situé à l'endroit qu'occupe actuellement une maison de dimensions modestes, au numéro 22 de la Via Assunta.

Édition Bien que la lecture ne présente aucune difficulté, nous avons néan­ moins marqué d'un point les lettres objectivement doutcuses ou in­ complètes, que ces anomalies soient dues au mauvais état de la pierre ou que l'un ou l 'autre détail ait échappé au dessinateur. Nous avons respecté, sans chercher à la compléter, l'accentuation de l'inscription telle qu'elle apparaìt sur le dessin de De Giorgi. 1 2 3

u��:t"t'E 't'@tocc; ocytoc ae:�oca!J.tiX Tov aòy vocòv x.r�aocvToc x. (oct) >c.eX"nJll (év) ov x.oct 8òc; X,cf@t\1 OCUt'i.l t'OU 7t'ÀEL0\10Ct; '7tOLYjaOCt llcxÀIX(.I.Yj81) utw .Ò.OU!J.tVe�ou Àeyw

E. Ein lexikographischer Versuch, Indogermanische For­ 6

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schungen », 25, 1909, pp . .393-402.

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ANDRÉ ]ACOB

sanctuaire. Dans le cas présent, il s'agit aussi du fondateur (xrfrrw p) 9 de l'église au sens canonique du mot, c'est-à-dire de celui qui en assure la dotation. L'invocation initiale de la dédicace et le participe ''""TI'I !'tvo• évoquent tout naturellerrient une formule de souscription qu'on trouve assez souvent sous la piume des copistes 10 et qui est attestée dans les manuscrits salentins sous la forme suivante : 1 1 Tòv 81XX't'UÀoL� yp&.o/> forza storia e Scrittura ad un mito personale che, come si vedrà, è una chiave interna di tutte le migliaia di pagine di quest'autore ed anche del1a sua vita, per così dire, terrestre. Quando insomma ne diviene fonte conoscitiva.

]oachimism, and indicem (ma in particolare pp. 234-8; Introduzione PoSTEL Le thresor des prophéties de l'Univers, ad indicem. A. MoRISI, Apochalypsis nova. Ricerche sull'origine e la formazione del testo dello pseudo-Amadeo, Roma, !st. St. lt. Medio Evo 1 970, pp. 35-6 e nt. 60; 52 nt. 98; 80-1 nt. 1 5 1 ; C. VA sO LI , Profezia e Raf,ione. Studi sulla cultura del Cinquecento e del Seicento, Napoli , Morano 1 974, ad indicem e in particolare pp. 1 1 9 ; 124; A. MoRISI, Galatina et la Kabbale chrétienne, i n Kabbalistes chrétiens, Paris, Albin Miche! 1 979, p p . 2 1 1 - 3 1 ; nella stessa silloge, G. SCHOLEM, Comidérations sur l'histoire des débuts de la Kabbale chrétienne ( 1 954), pp. 34-35, 44-5 ; B. F. PERRONE, O.F.M., Pietro Colonna Galatina O.F.M. (1465·1540) in un testo di mariologia /rancercana condotto con metodo (( filologic�cabbalistico ) (( Studi francescani )), 80, 1 983, pp. 1 27-162. Anteriore e lontano da queste tema� iche D. SCARAMUZZI O.F.M., Il pensiero di Giovanni Duns Scoto nel Mezzogiorno d'Italia, Roma, Collegio S. Antonio 1 927 pp. 1 26-3 1 . Generico l'articolo bio_grafico di G. CoLoMBERO, Colonna Pietro in Dizionario Biografico degli Italiani, 1st. Enc. It., Roma 1 982, 27, Oxford, Clarendon Press 1 969, a GuiLLAME 366-7 ; 442-7); F. SECRET, Le Haye, Nijhoff 1969, pp. 15-17 e

)

pp. 402-4. 2 Conservata manoscrina nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5580. : ò\!;;� _5580, c. 66r; il brano fu notato già dal Kleinhans (pp. 336-7) nell 'opera che i t ( 1 960; 1 96.52) , t. it. Milano, Bompiani 1 9832 �- G. GADAMER, p. 2 2

;



Verità e metodo

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PIETRO S. DETTO IL GALATINO

2. In tutta questa nuova produzione il punto di riferimento biogra­ fico e bibliografico è affidato ad un saggio di Kleinhans del 1 926.' A mio giudizio però quest'opera conserva validità solo per la descrizione dei manoscritti vaticani e delle opere a stampa. 6 Invece è carente sia nella individuazione de1le altre opere manoscrit­ te, sia ne11a cronologia degli scritti del Galatina sia soprattutto nella sua vicenda biografica. Sul frate pugliese il primo intervento critico fu quello del Wadding ( 1 588-1657 ) ; egli pubblicò negli Anna/es una bolla di Paolo III dell'undici maggio 1 539 che fornisce a tutt'oggi l'ultima notizia del Gala tino vivente 7 e che stabiliva la conservazione dei suoi manoscritti nel convento romano di S. Maria in Aracoeli. Inoltre il Wadding pubblicò anche un elenco delle opere manoscritte del Galati­ no, che restò unico per più di due secoli,8 seguito, dichiaratamente o meno, da fra ' Diego da Lequile, dall'Arcudi, dal De Angelis, dal Tafuri, dal Fabricius, tanto per fare dei nomi. Egli nel 1 650 dichiarava poi che l 'autografo di questi manoscritti era ormai depositato nella Biblioteca Vaticana ; ma per il suo lavoro si servì, a quanto pare, di una copia fatta esemplare nel 1 6 1 O dal presule galatinese Lorenzo Mangiò, che egli qualifica « huius nostri Petri pronepote » seguendo in ciò quanto diceva lo stesso Mangiò.' Soltanto il più noto annotatore del Wadding, G. G. A . KLF.INHANS, De vita et operibus Petri Galatini, O.F.M. scientiarum bibUcarum cultoris (c. 1460·1540), (( Amonianum », I, 1 926, pp. 145-179; 327-356. 6 KLF.INHANS, op. cii., pp. 1 5 1 - 1 7 2 ; 1 72-179. 7 LucAs WADDINGUS, Anr.ales Minorum, XVI, ad Claras Aquas (Quaracchi) 1933, (ristampa corretta della ediz. di Roma 17362), pp. 516-7. LucAS WADDINGUS, Scriptores Ordinis Minorum, Roma, Nardecchia 1906, pp. 190-192. LucAs WADDINGUS, Scriptores cit., p. 192; v. anche KLF.INHAJ\'S, op. cit. pp. 147 e 151. Le più complete notizie su questa trascrizione sono quelle offerte con lo pseudonimo di F. S. Volante da A . T. ARCUDI, Le due Galatine difese, il libro e la patria, Genova (ma Lecce), G. B. Celle 1 7 1 5 , pp. 203-206; 228-29, che si serve di u n s

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memoriale dello stesso Mongiò da lui conservato. Da queste pagine, e da quelle del Pcrronc più giù citate, s'apprende che alla fine del giugno 1 6 1 0 e poi forse fino a trascrizione ultimata, le opere del Galatino erano ancora nel convento di Aracoeli; esse 1 l' a n r i la g t i a s i o gà . n , r è o e a ll i o s �i l t dalle premesse); ma l a voce sul Galatino fu redatta quando il Mongiò era vescovo di Pozzuoli ; cioè dopo il 27.X I . l 6 1 7 e prima della sua morte ( 1 1 .1!.1630). :f: perciò da correggere quanto in G. TOGNETTI, p. 3 1 2 m. 2 . Ancora Arcudi, nell'opera anteriore, Genova (Lecce), Celle 1709, p. 60 afferma di ignorare la sorte delle trascrizioni del Mongiò usate dal Wadding. B. F. PJ-:RRO�f-, in AA.VV. vol. II, Galatina, Congedo 1973, ( pp . 499-632) p. 5 1 7 n t . 44 crede, a ragione, di poterle individuare n e i Codici For. 5 2 , 5 4 c 60 conservati a Roma nel Collegio di S. Isidoro degli Irlandesi, i quali però contengono poco più del (cfr. KLF.If\'IIANS cit. p. 160). All 'Ambrosiana di

�d d�:approbationes 1�i��� :� ��l 'f6; � b ��é f �:! i ;�� � � :l �=t� 6: (��� � ! op. cit., Galatina letterata, re publica christiana » nel pensiero filosofico e politico di P:etro Galatina « Stud; di storia pugliesc in onore di G. Chiarelli » De vera theologia

op.

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Il « De

GIANCARLO VALLONE

Sbaraglia ( 1 687- 1764) segnalò nella sua opera postuma qualche novi­ tà: 1 0 tra l'altro un manoscritto vaticano e una oratio a stampa. u Infine altre due opere manoscritte furno segnalate nel 1893 da Enrico Nar­ ducci, e sono conservate a tutt'oggi nella Biblioteca Angelica: una oratio legata in fondo al ms. 488; e poi il ms. 1 3 66 contenente il celebre « libellus )> De optimo principe che nessuno, incluso il Wadding, era più riuscito a rintracciare; fa seguito la « epistola » De divini nominis tetragrammaton interpretatione.12 Questi tre apporti sono stati ampia­ mente descritti tempo fa dal Perrone. 1 3 3. Dal punto di vista biografico il problema più vistoso è quello che riguarda il cognome del Galatina . Oggi prevale il cognome Colonna, mentre sempre più raramente si apprezza la possibilità di farne un Mongiò. Tuttavia, come si è giunti a questa duplicità? Il Wadding dichiarando, come si disse, che Lorenzo Mangiò era pronipote del Galatina generò, a ben vedere, l'illazione che il Galatina fosse egli pure della stessa famiglia. Qualche decennio dopo un altro francescano salen­ tino, fra' Diego da Lequile (al secolo Donato Maria Tafuri o Tafuro),

De ecclesia instituta e il De ecclesia resti/uta, come segnalò g i à i l Opere di scriuori salentini in Codici Ambrosiani, 1904-1905, p. 80; da ultimo P . O . KRISTELLER, Iter lnst .-Brii! 1965, pp. 305a; 306a. Questi du� Italicum, ma si tratta, come nel caso del De vera theolog,ia, Supplementum et castig,atio ad scriptores trium ordinum S. Francisci a Wadding,o aliisve descriptos, II, Romae, Nardecchia 1921, p. 340. 11 Si tratta dell'attuale Vat. lat. 4582, e della Oratio de Circumcisione dominica. Gli addentes a questa edizione (1921) dello Sbaraglia, oltre alcune correzioni, segnalarono anche l'altra pubblicazione, la Oratio de dominica passione (op. cit., p . 340). In una ultima aggiunta (p. 394) s'accorsero anche di quanto in B.A. (v. qui nt. 12). Su t u t te queste opere mi soffermerò nella parte cronologica. 12 E . NARDUCCJ, Catalog,us Codicum Manuscriptorum praeter J!.raecos et orienta/es in Biblioteca Ang,elica olim Coenobi Sancii Aug,ustini de Urbe, I, Romae, Cecchini 1893, p . 219 ( m , , 488); p p . 572-3 ( m , , 1366). 13 B. F. PERRONE, Il « De re publica christiana » dt., pp. 517-19 e n t . 46-47. Segnalo che le due ultime opere furono ricordate anche dallo Sbaraglia (op. cit., p. 340) sulla base indiretta di un te �timonio spagnolo che le ricerche del Perrone (op. cit., p . 519 nt. 47) non hanno potuto rHrovarc. Il Perrone non sembra conoscere il Narducci né gli addentes allo Sbaraglia (p. 394); si è giovato invece di una segnalazione manoscritta dell'erudito salentino, tra Otto e Novecen to, L. G . Dc Simone (op. loc. cit.). I I ms. 250 della .B .P . L. contiene . infatti . una raccolta d.i biografie salentine del De Simone, e a p. 242_ krs, egl � fa _ mem�tone d1 u n suo spoglio effettuato in B.A. il 19 aprile 1876. La notizia entro poi (c. 184r) nel grande Dizionario biog,ra/ico degli uomini chiari di Terra d'Otr�nt? conservato .ms. in A.S.L. e compilato da F. Casott i , S. Castromediano, L . MaggJUlh, e d a l D e S1mone stesso, dove n e l v o l . V (P.Q.R . ) , alle c c . 182v-184v è bio­ Milano si conservano il Montfaucon e poi G. PETRAGLIOI'\E, « Rivista Storica Salentina )) II, I London e Leiden, The Warburg ultimi testimoni sono ignoti al Kleinhans, di opere comunque conosciute. 10 J . I IYACINTI SBARALEAE

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grafato Pietro Galatina.

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PIETRO S. DETIO I L GALATINO

dedicava alcune pagine d'una sua opera a « Fr. Petrus Mongioius Galati nus »; 14 egli però non solo si dichiarava tributario dei lavori del Wadding ( ." Ed il Gala tino spiegava : « Et licet spiritus iste nomen ipsius (Pastoris) proprium interroganti exprimere noluerit , revelavit tamen ei primas ( ut puto) literas tam agnominis eius, quam nominum gentis, et provinciae, ac patriae ipsius, dicens : G .S .C.G. Quarum quidem literarum significata aliis discutienda relinquo » .86 Pri­ ma di accogliere l 'invito del Galatina, c'è però un altro problema: l'ordine delle sigle corrisponde all'ordine delle chiavi offerte dal france­ scano? In caso di risposta affermativa, G. sarebbe la sigla del sopran­ nome dell'Atteso; S. quella del cognome della famiglia naturale ; C . quella della provincia d'origine; G. quella del paese di nascita . E l a risposta non può, a m i o avviso, che essere affermativa . Anzitutto l'ordine delle chiavi è ripetuto immutato nella inscriptio marginale della stessa carta. Inoltre se la logica della spiegazione offerta dal Galatino era di tendere all'individuazione dell'Atteso, cioè di se stesso, bisognava precipuamente non confondere le chiavi. La sigla C. farebbe natural­ mente pensare all'iniziale di Colonna. Ed allora S. potrebbe divenire sigla di Salentum o Sallentum, provincia originaria, o anche di Sanctus Petrus in Galatina nome che in verità prevarrà su quello di Galatina fino al Settecento. Ma è fuor di dubbio che C . è sigla della provincia originaria dell'Atteso, la Calabria ; né era disattendibile perché vi con­ vergeva una massa tale di attestazioni profetiche che il Galatina non poteva contraddire; ma solo tentare di sfruttare. Egli stesso nota che tanto Gioacchino da Fiore quanto il Vaticinio del Monte Gargano (un testo che asseconda le aspirazioni del Galatina come un guanto) indica­ no la Calabria come luogo natale dell'Atteso." Lo stesso Vaticinio romano che parla oscuramente di una « terra lucae bovis » 88 è sollecita­ to al punto di intendervi citata la Lucania, la quale una volta « Iapigia et Messapia et Salentina et Calabria (teste Strabone) dicebatur ; 8 4 t:: invece conosciuto d a A. MoRISI, Galatino cit., p . 2 3 0 n t . 5 0 , che però non ne offre alcuna esegesi. 85 Vat. lat. 558 1 , c. 5r. 86 Vat. lat. 558 1 , c. 58r. 'l1 Vat. lat. 558 1 , c. 13r. U Vat, lat. 558 1 , cc. 3r c 1 3r. E v . i l De Ecclesia restituta, Vat. lat. 5576, c, 286v. -

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PIETRO S. DETTO I L GALATINO

nunc vero terra Hydrunti »; e la nota marginale tiene ad avvertire che si tratta sempre della stessa provincia; 19 quella originaria dell'Atte­ so. Il fuoco della questione è dunque nella Calabria. E la capienza geografica di questo nomen è sfruttata puntualmente dal Galatina nelle molteplici occasioni che offre il Vaticinio per inglobarvi il Salento 90• In ogni caso l 'equazione che Galatina vuole instaurare è questa: « Calabria ea Italiae regio olim appellabatur quae nunc terra Hydrunti dicitur »; 91 e questa equazione ha un senso solo se quella famosa C. è sigla iniziale di Calabria." Siamo dunque alla soluzione: il soprannome dell'Atteso è « Galatina » , la sua provincia la « Calabria » (nel senso di Salento) ; il suo paese > . Il cognome della sua famiglia naturale (o gens) non è e non può essere Colonna; esso inizia per S. Le molteplici ricerche che ho tentato non consentono una individuazione; 93 hanno però fruttato diversi utili chiarimenti biografici. Intanto resta appurata la condizione umile e poverissima della famiglia S. Ciò era fissato da una lunga serie di brani profetici, come il già menzionato testo gioachi­ mita se è di Gioacchino: 43 ) trova espressione nelle imprese del carro con una ruota spezzata ( CLAUDICAT A LTERA ) , deJl'epitimo ( MINIMAM PARS MAXIMA TRAXIT) , del vaso d'acqua rovesciato sul fuoco ( PAR OBITUS ) , dell'anfisibena ( SUPERE S S E MORI EST " ) . Anche la dichiara­ zione di poter trarre ormai poesia solo dalle lacrime e dal dolore, utilizzata nelle Rime in funzione di protasi (« piova la penna a queste carte intorno / lagrime dunque ognor [ . . . ] » ," ha la sua replica nelle imprese della cornacchia ( MIHI CYCNUS ERIT ) e della lira ( VERSA EST IN LACHRIMA S 46 ) . Tra testo poetico e testo impresistico c'è insomma intenso inter­ scambio; sono l 'uno il doppio dell'altro, in una sorta di scrittura su due registri o, se vogliamo attribuire priorità ideale al testo verbale, di riscrittura attraverso le imprese. I due linguaggi restano certo diversi ; l'icasticità e la brevità tendono a situare l'impresa i n u n a dimensione di 41 Sonetti . . . , pp. 207, 204, 202.

42 Il Rota, pp. 95-96, 96, 99, 101, 104, 120. Secondo Plinio (Nat. Hist., 1 6 , 75) la spinalba è di buon augurio nelle nozze: pur morta Porzia è viva nell'animo del Rota. L'appio è consacrato alle mense funebri (ibid., 20, 1 1 3 ) : l'impresa significa ) ( I l Rota, p. 1 1 8). L'acqua rovesCiata sul fuoco Io spegne, ma anch'essa si consuma. L'anfisibena (Plinio, Nat. Hist. 8, 85·86) è u n serpente che ha un secondo capo in luogo della coda: « mozza una testa [ . . . ] ancor che l'altra rimanga [ . . . ] ciò non rileva niente alla vita, anzi tutto quell'avanzo che si fa dell'un capo non è altro che morire>) (Il Rota, p. 1 33-34). 45 Sonetti . . . , p. 1 4 1 . 46 I l Rota, pp. 105, 1 1 8. L a cornacchia è geroglifico della vedovanza (cfr. Valeriano, Hieroglyphica cit., p. 190).

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« ROTA )) DI SClPIONE AMMIRATO

laconica sentenziosità alla quale sono vietate le atmosfere più sfumate, il racconto e la rievocazione: ma, nel dialogo dell'Ammirato, le prelimina· ri riflessioni teoriche, impegnate più a rilevare le somiglianze che a riconoscere le peculiarità (come invece aveva tentato di fare il Ruscelli), e la considerazione di imprese dalla genesi suggestivamente omologa a quella di contigue esperienze poetiche spingono ad abbreviare al massi· mo le distanze e a leggere le imprese come poesia . Cosl, quando si torna a discutere di questioni di ' linguaggio ' delle imprese, di quale cioè sia il giusto equilibrio tra recondità e intellegibilità (« è altro l'impresa che voler un poJ segretamente palesare un concetto dell'anima? » 47 } , ancora è fatto ricorso ad una fitta rete di riscontri con la poesia: io dico [ . . . ] che bene sarebbe che di due cose inteiiigibili si cavasse queJla eccellentia, che noi abbiamo detto più volte. Perché di vero tale è la poesia, massime queiia de' lirici, la qual trattando di affetti amorosi [ . . . ] senza molte astrattioni di filosofia e di arti o scienze occulte, commuove però gli huomini a meraviglia et a stupore di sé. [ . . . ] Il volgo dilettisi nella pittura; dalle parole cavi quel senso che può; faccia i sentimenti a suo modo, che noi di dò non ci curiamo, purché non ci sforzi sotto questa legge che del tutto ci habbiamo a far intender da loro. Che cosi somigliantemente fanno i poeti, le cortecce de' quali come son note e patenti, così la midolla è segreta e bene conviene esser dotto e scientiato colui che penetrar possa nei loro alti e profondi concetti. [ . . . ] Sapete che oggimai la poesia è partita in due schiere. All'una diletta quello stile corrente e piano, che ha di quel del Petrarca benché in lui tutte le cose concorsero. All'altra quel ritenuto e grave; strada accennata dal Bembo e poi con più studio seguita, anzi quasi di nuovo calcata dal Casa, in guisa con nuove foggie e maniere di dire andò da ciascun altro scostandosi. Et essendo in piato qual delle due si debba seguire e molti molte cose dicendo et in pro della lor opinione aiiegando, dice il Signor Berardino che per gradir a tutte le due, deve ciascun che scrive in guisa gir ordinando e dividendo le sue scritture, che parte di esse siena dolci, dimesse et intelligibi· li, che l 'una parte se ne contenti; parte gravi , alte et un po' lontanette, accioché all'altra si soddisfaccia. Cosi sarei d'openione che si debba far dell'imprese [ . . . ] ."

Una conseguenza di questo atteggiamento, non insignificante per la storia e la fortuna ulteriore del genere, sta nel fatto che la riconosciuta 47

Il Rota, p . 154. Mio il corsivo.

48 lbid., pp. 140·44. La lunga citazione ritaglia passi particolarmente significativi dal vivo della discussione, rinunciando a dar conto della gradualità dei passaggi. Il brano è parzialmente citato c discusso in rapporto al petrarchismo napoletano da P. SABBATlNO, Il modello . . . cit., p. 1 0 1 .

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GUIDO ARBIZZONI

connessione con la poesia spinge a privilegiare l'inventore piuttosto che il destinatario-portatore, come era nelle origini e nella pratica cortigia­ na.4 9 È cosl che nel Rota si nomina sempre, quando possibile, l'ideatore delle imprese anche incidentalmente citate e si costituisce un piccolo repertorio di imprese d'autore che, naturalmente, concede spazio soprat­ tutto alla scuola napoletana della linea Epicuro-Rota-Ammirato : in sintonia con la rivendicazione, che anche vi si legge, secondo cui « gli autori delle imprese non si debbono defraudare della lor laude » ,50 come invece si tende a fare nelle raccolte di imprese ' illustri ', rubrica te con molta evidenza sotto il nome del portatore e solo di rado attribuite ad un ' inventore '. 5 1 Il dialogo dell'Ammirato è percorso dalla tentazione di unificare teoricamente (sul fondamento della duplice operosità del Rota) le due esperienze, poetica e impresistica, anche se, alla fine, la distanza non può essere annullata né può ipotizzarsi una simbiosi confrontabile con quella, del tutto eccezionale, realizzata da Maurice Scève con la Délie. Da una parte restano le imprese, che hanno il loro luogo fuori del libro (sulle pareti delle stanze di una villa) , che al libro pervengono per via mediata, come materiale irriducibilmente allotrio giacché la surrogazione verbale della componente iconica non può che essere inadeguata. Dal­ l'altra sta la poesia, che può alimentarsi di suggestioni impresistiche, tanto che una canzone (Adunque o cieca, o dolorosa vita) può essere dichiarata, nel Rota, « canzone dell'imprese » .52 Ma, in questo caso, le distanze sono solo apparentemente annullate, per via metonimica e dal punto di vista della poesia; quelle della canzone sono imprese dimidiate 49 II riconoscimento del ruolo dell'autore è, come rileva il Klein, segnale dell'acquisi­ ta autonomia dell'impresa: « via via che l' ' arte ' si complicava, l'impresa richiedeva un numero sempre maggiore di capacità tecniche; anziché essere testimonianza di chi la portava e del suo temperamento, diviene via via testimonianza dell'autore e del suo ' ingegno ' » (La teoria dell'espressione figurata d t., p . 139). so Il Rota, p. 206. 51 Le più note di queste raccolte sono: B . PrTTONI, Imprese di diversi Prencipi, Duchi, signori e d'altri personaggi et huomini letterati et illustri [ ... ] Con alcune stanze del Dolce che dichiarano i motti di esse impr�se. Venezia, senza stampatore 1562; G . RuscELLI, Le imprese illustri con esposi/ioni e t discorsi, Venezia, appresso Francesco Rarnpazetto 1 566; C. C.�.MILLI, Imprese illustri di diversi, Venezia, appresso Francesco Ziletti 1 586. Le imprese, riprodotte a stampa, sono accompagnate da esplicazioni che tendono ad assumere la fonr:a di ampi e dotti discorsi (amplificando la struttura che è già del Dialogo del Giovio o dello stesso Rota, impreziosita dalle illustrazioni): si tratta di monumenti tipografici che avviano lo sfruttamento librario deJie imprese ancora peraltro lim� tand?si a raccogliere e duplicare per mezzo della stampa oggetti �ercepiti come esterni al hbro stesso. 52 Sonetti et canzoni (Giolito 1 567), p. 1 19 ; Il Rota, p. 2 1 7 .

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« ROTA >> DI SCIPIONE AMMIRATO

perché integralmente verbalizzate, depauperate della condizione istitu­ zionale della presenza dell'immagine, ridotte a similitudini , salvo che il modello impresistico condiziona la realizzazione stilistica del testo sug­ gerendo l'artificio di non nominare gli oggetti, ma di rappresentarli per perifrasi attraverso le qualità, come chiosando per il lettore, nello scambio degli elementi in praesentia, un assente corpo d'impresa .5J Se l'accertamento della pregnanza di linguaggio dell'impresa stimola l'ipo­ tesi di una piena assunzione in ambito letterario, al patrarchismo ma­ nieristico del Rota (e dell'Ammirato) è al massimo consentito, da un lato, proporre le imprese come equivalenti di un'eletta esperienza lirica e, dall'altro, farle capaci di alimentare l 'immaginario poetico: non è po­ co se, più tardi, quando sarà moda creare imprese espressamente per il libro, esse diventeranno portatrici di messaggi etici universali e la loro connessione dichiarata non sarà più tanto con la lirica, quanto con la precettistica.54 Del discorso qui sopra abbozzato mi pare, in conclusione, che possano indicarsi due destinazioni d'uso. La prima va verso la poesia del Rota : il dialogo dell'Ammirato ci restituisce, da testimone degno di fede, un testo impresistico d'eccezione, unitario e strettamente sintoniz­ zato su una corrispondente esperienza lirica e autobiografica. È un'opera non canonica e per questo tradizionalmente non considerata, ma forse non inutile per collocare entro coordinate appropriate l'opera ufficiale. In particolare quella novità di ' invenzione ', alla poesia del Rota rico­ nosciuta già dall'Atanagi, dovrà qualcosa all'esercizio dell'impresistica.55

Riproduco, come esempio, i versi dedicati al salice, che possono confrontarsi con l'impresa dcll'amaramo qui sopra ricordata: Verdeggia arbor feconda a l'acque in seno peregrina felice, che com' più la radice si bagna, e più vien ricco il ramo e pieno. Cosl la vita mia cresce nel pianto, il qual quanto più spargo tanto più il corso al mio dolore allargo. Penso naturalmente al grande consumo barocco (c gesuitico) di imprese e a libri fortunatissimi come l'Idea de un Principe politico Christiano representada en cien Empresas di Diego De Saavedra Fajardo stampata innumerevoli volte dopo la prima edizione di Monaco, Nicolao Enrico 1640 e tradotta in numerose lingue. Su questo tema restano fondamentali le osservazioni di M. PRAZ, Studies . . ci t., pp. 169-203. Sonelli el canzoni (Giolito 1 567), c. *iiv. Il tema è ripreso da A . Quondam nella presentazione della silloge di rime del Rota stampata in G. FERRONI A . QuoNDAM, U « locuzione artificiosa ». Teoria ed esperienza della lirica a Napoli nell'età del manierismo, Roma, Bulzoni 1973, p. 235: « la particolare attenzione del Rota per l'inventio è l'elemento storicamente più rilevante per la sua collocazione nei confronti della tradizione retorica classicistica )�. SJ

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GUIDO ARBIZZONI

La seconda va verso la storia delle imprese: l'insistenza sullo stretto rapporto con la poesia segna un momento importante della riflessione su di esse. La loro successiva, ampia utilizzazione tipografica è conseguenza della definizione delle peculiarità di linguaggio (di cui si è fatto partico­ larmente carico il Ruscelli nel suo Discorso), ma anche del riconosci­ mento della piena responsabilità e proprietà d'autore e della pertinenza alla retorica e alla poetica (che avrà massima consacrazione nel Cannoc­ chiale aristotelico del Tesauro 5 6 ) . Ma l'approfondimento di questi temi andrà riservato ad un più organico lavoro sulla poesia del Rota, o ad altri capitoli di una storia delle imprese, in molta parte ancora da scrivere.

56 È noto come il trattato del Tcsauro culmini con l'Idea delle argutezze eroiche chiamate imprese (nell'edizione di Venezia, presso Paolo Baglioni 1669, alle pp. 477-53 1 ) : cfr. M. L. DOGLIO, Introduzione a E. TESAURO, Idea delle perfette imprese cit., pp. 5-8. Può essere curioso osservare come in conclusione al suo dialogo l'Ammirato presenti per bocca del Maranta c mostrandoscnc evidentemente fiero, u n suo strumento per fabbricare imprese non molto diverso, anche se tanto meno complesso e sistematico, dell' ' indice categorico ' di cui parla il Tcsauro (Cannocchiale cit., pp. 83-89): « L'altro dl essendo nella sua camera, io gli viddi quasi un libretto di mezzi versi e di due e di tre parole di quel divino poeta [Virgilio] assai belle, con infinite brevi istoricttc d'uccelli c di fiere c di pesci c di hcrbc c di altre cose cavate da historic c da favole; e dimandandolo che facea di quelle, disse: - Questa è la mia guardaroba, signor Maranta, pcrcioché, subito che alcun mi richiede qualche impresa, io ricorro a questo libro c non vi ho da far altro che maritare et accoppiar insieme il corpo con l'anima )) (Il Rota, pp. 229-30). Facile osservare come, all'interno di una poetica manicristica, sia possibile costruire imprese con materiali tutti di riporto. -

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RESTAURI E VERIFICHE PER L'OFFICINA TASSIANA DELLE « RIME >>

l. In un madrigale di sqmstta fattura, scritto per la Peperara, il Tasso « paragona il canto di Laura a' dolcissimi suoni fatti naturalmente e dimostra gli effetti de la sua meravigliosa armonia » : Non fonte o fiume od aura odo in più dolce suon di quel di Laura; né 'n lauro o 'n pino o 'n mirto mormorar s'udl mai più dolce spirto. O felice a cui spira, e quel beato che per lei sospira! Ché se gl'inspira il core, puote al cielo aspirar col suo valore.'

Nell'Espositione, circoscritta ai soli primi quattro versi, il poeta dichiara la lirica un'aemulatio di Teocrito, dimostrando cosl come la lettura degli Idilli del siracusano si estenda, nell'orchestrazione di frammenti musicali, ben oltre l'esperienza dell'Aminta. Ma il Tasso, per civetteria erudita, riporta i versi imitati in greco, lingua che non ebbe mai troppo familiare, benché azzardasse spesso trascrizioni di qualche tarsla preziosa, magari rischiando vistose inesattezze. E cosl avviene in questo caso, dove, anche per sciatteria del tipografo, il frammento è cosl corrotto nella scansione metrica da vedere il respiro strofico sconvolto e * Università di Bologna. l Per il testo, seguiamo Rime del Sig. ToRQUATO TA sSo. Di nuovo date in luce con gli argomenti & espositioni dell'istesso Autore [ . .. ], s.I., ma Brescia, Appresso P. M. Marchetti 1593, Prima parte, p. 236. Si è uniformata la lezione, per punteggiatura e particolarità grafiche, a T. TASSO, Opere, a cura di B . Maier, I. Aminta. Amor FugJ!,itivo. Intermedi. Rime, Milano, Rizzoli 1963, p . 3 1 3 , la più accessibile e corretta « vulgata 1> delle Rime. -

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la presenza di approssimazioni grafiche assolutamente intollerabili, visto che il testo (lo risparmiamo al lettore) è deturpato persino nella separa­ zione delle parole. Per scrup0lo doveroso verso quella che fu certo un'intenzione dotta del Tasso, trascriviamo pertanto integralmente la postilla, risistemando la citazione greca, da considerare, grazie aJle indicazioni dell'Autore e a tracce di qualche parola teocritea ancora leggibile, congettura vicinissima al vero, anche se la brevità del fram­ mento non lascia trasparire a quale stampa greca degli Idilli si riferisse il poeta: Sono questi quattro versi fatti ad imitatione di tre primi di Teocrito, che si leggono nel suo Tirsi, e son questi

�'AM , •� :_ò �LOV?:a�o: x.�l cl 7tt•u�, o:t7t6Àe, , T��o:, o: no•� To:tç no:yo:LaL, �tì.taÒe•o:t, o:Òu, òè x.o:t •u oup(cròeç· ) &c.z

2 . Nel sonetto dove

« dice che 'l mondo non ha maggior meravi­ glia del crine de la sua Donna » , il Tasso cita ancora una fonta precisa per le due quarti ne :

Perch'altri cerchi peregrino errante la bella Europa e varchi i suoi confini, meraviglia maggior de' vostri crini non vide ancora e di sl bel sembiante; né là dove indurossi il vecchio Atlante o l'Asia innalza i monti al ciel vicini, né fra que' lumi 2ncor, benché s'inchini il gran pianeta e poggi al suo levante. « È imitatione di Monofilo Damasceno di cui si leggono alcuni versi appresso Stobeo " Europam, Africam et Asiam omnem peragrans / miracula infinita egregia dum erroribus agor varijs et molestis / tale

2 Rime cit., p . 237 (Esposition de l'Autore). Per il testo, teocritco si è seguito TJIEOCRITUS, Edited with a Translation and Commemary by A.S.F.Gow, Cambridge, University Press 1965, I , p. 5. Un tentativo silenzioso di emendazione anche in T.

TAsso, Le Rime, edizione critica su i manoscritti e le antiche stampe a cura di A. Solerti, Bologna, Romagnoli-Daii'Acqua 1898-1909, I I , p. 22 1 : ma il curatore nulla dice della corruzione della stampa, e registra per cosa tranquillamente tassiana quanto è restauro. il Solerti si servì di Bucholicorum graccorum Theocriti, Bionis, Moschi reliquiae, reccnsuit H . L. Ahrcns, Lipsiae, In acdibus B. G. Teubneri 19092.

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L 'OFFICINA TAS S IANA DELLE « RIME »

autem iubar nunquam inspexi nec in Olympo " » .3 L'eccezionale rarità del frammento, confessato in versio latina, scioglie, indubbiamente, il problema della fonte remota. Ma permette anche di confermare il repertorio da cui il Tasso attingeva simili gemme. È l'Anthologium di Stobeo neila traduzione cinquecentesca di Konrad Gesner,4 di cui per primi parlammo come di un vero livre de chevet del Tasso, uno scrigno di « tesori » da cui trarre ogni sorta di concetti peregrini . 3. Nel sonetto I freddi e muti pesci usati amai, dove il Tasso « descrive con modi poetici, e maravigliosi, la bellezza de la sua Donna assomigliandola al sole )>, contiene, nelle terzine, questa complicata

agudeza: Ché quegli, ingrato, a cui non ben sovviene com'è da voi nudrito e come accolto, v'invola il meglio e lascia 'l salsa e 'l greve ma questi con le luci alme e serene v'affina e purga e rende il dolce e 'l leve ed assai più vi dà che non v'è tolto.5

Nel primo ternario, annota compiaciuto il Tasso, si « tocca l'opinio­ ne di alcuni filosofi, eh 'il sole sia cagione de la salsedine del mare: perché attraendo le parti più sottili e più dolci de l'acque, lascia le più amare e più gravi )), In sostanza, dunque, il sole, l'astro della vita, può anche far inaridire i corpi, mentre il sole d'amore (ossia Lucrezia Bendidio) , « più vi dà che non v 'è tolto )> . La chiosa dedicata ai filosofi parrebbe cosf generica da non richiedere neppure la fatica - alla quale si è sottratto per primo il poeta - di azzardare un'onomastica per

J Rime dt., Prima parte, p. 124 e 125 (Esposition de l'Autore) e Opere cit., I , p. 880. 4 I. STOBAEI Scntcntiae ex thesauris Graecorum delectae quarum autores circiter duecentum & quinquaginta citat in Sermones sive Locos communes digestae a C. Gesnero [ . . . ], Antverpiae, Apud I. Loei 1551, c. 306r (Sermo LXV, Laus pulchritudinis). Dal Gesner il Tasso trae anche l'inesatto « Monofilo » (Monophilus) per « Menofilo » (Menophilus), cfr. l. STODAEI Antho!ogium, recenserunt C. Wachsmuth et O. Hense, Berolini, Apud Weidmannos 1958, IV, p. 482 (1111, 2111, 7). Vedi anche B. BASILE, Tasso e le « Sententiae >> di Stobeo, « Filologia e Critica », l, 1982, pp. 1 12-124. Sulle fonti dossografiche di Stobeo, cfr. M . DAL PRA, La storiografia filosofica antica, Wlano, Bocca 1950, pp. 286-289. s Rime cit., Prima parte, p. 134 e Opere cit., I , p. 268. L'Espositione a cui si farà riferimento, è a p. 135 della cinquecentina.

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1 27

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BRUNO BAS I LE

questi pensatori . Ma il Tasso ritornò ancora sul problema ne Il Ma/pi­

glio secondo overo del fuggir la moltitudine, scrivendo: [ . . . ] i naturali filosofi dicono che la salsedine è generata. De la quale varie sono le opinioni: perch'altri dissero che 'l mare è sudore de la terra, altri che la sostanza de la terra sia la cagione per la qual egli è salsa, altri ch'egli co' vapori mandi sù le parti più dolci e più leggiere e per queste cagioni acquisti il contrario sapore [ ... ] .6

Qui il passo si rivela chiaramente un calco di opiniones del De placitis philosophorum di Plutarco, tanto che possiamo chiedere a que­ st'opera il nome dei sapienti, per verificare a quali frammenti di cultura greca pensasse il poeta componendo quei versi e scrivendo la nota. Ed è possibile fare la trascrizione dall'esemplare postillato del Tasso, con­ fluito nei Moralia - nella versione latina di Guillaume Budé conservati nel Fondo Barberiniano della Biblioteca Apostolica Vaticana: Anaximander mare primariae humiditatis reliquias esse, cuius ignem plusculam assiccasse partem, reliquam autem fervoris vi in alienum degene­ rasse vaporem. Anaxagoras principio, inquit, humore stagnante solis circum­ flexu obusto, sicque pingui evaporato reliquum in salsuginem amarulentiam­ que subsedit. Empedocles perustae terrae sudorem elutis per summa terris ama­ ruisse. Antiphon sudorem aestus ex qua residuus humor amarefactus effcr­ vescendoque in salsilaginem incoctus est, u t in amni sudore accidere sole t . Metrodorus mare p e r terra excolatum terrcnum lentorem rcsipuisse, perinde atque solent quac per cinerem diffunduntur. Platonici quantum elementaris aquae rigoris vi ex acre concretum est, dulce evasisse, quantum vero a terra obustulata conflagranteque suffitum est salsum.7

4 . In una lirica il Tasso « assomiglia la conditione de la sua Donna a quella di colui ch'arse il tempio di Diana Efesia >> . Ecco le quartine del sonetto : Costei, ch'ascende un cor superbo ed empio sotto cortese angelica figura,

6 T. TASSO, Dialoghi, Edizione critica a cura di E. Raimondi, Firenze, Sansoni 1958, vol. II, tomo li, pp. 587-588 (Il Malpiglio secondo, 47-48). 7 PLUTARCHI CHAERONEI PIIILOSOPHI HISTORICIQUE CLARISSIMI Qpuscula (quae quidem extant) omnia, undequaque collecta & diligentissime iampridem recognita ( . .. ] , s.n.t., m a Venctiis, Per I o . Ant. el fratres d e Sabio, sumptu et requisitione D. M . Sessa. Anno d.ni MDXXXII, mense martio, p. 324. Su questo postillato, vedi A . M . CARINI, I postillati barberinùmi del l'asso, (< Studi tassiani )) ' 12, 1962, p . 98, n. 2. - 1 28 -

L 'OFFICINA TAS SIANA DELLE « RIME ))

m'arde di foca ingiusto e si procura fama da' miei lamenti e dal mio scempio; e prender vuoi da quella mano esempio che troppo iniqua osò, troppo secura, per farsi illustre in ogni età futura, struggere antico e glorioso tempio.

Quasi prevedendo la curiosità dei lettori verso la misteriosa « ma­ sacrilega, il poeta suggerisce: « di colui che per soverchio desiderio di fama arse il tempio di Diana Effesia, celebratissimo oltre tutti gli altri, e, come si crede, edificato da l'Amazzoni allora che occuparono l 'Asia. La comparatione è bella, e simile all'impresa che ne portò il Signor Luigi Gonzaga nominato Rodomonte co 'l motto UTRAQUE C LARES CERE FAMA » . 8 Una frase simile compare nel dialogo Il Conte o vero de le imprese, composto a ridosso delle chiose, ed edito a Napoli nel 1 5 9 4 : no

»

[ . . . ] veniamo dunque a i tempi, e prima a quello famosissimo di Diana Efesia, impresa del famosissimo Signor Luigi Gonzaga con l'inscrizione UTRAQUE CLARESCERE FAMA, o a quella del tempio di Giunone Lacinia nel quale sotto il cielo aperto era l'altare con la cenere immobile a tutte le procelle, come affermano Plinio e Valeria Massimo.9

Più della coincidenza, colpiscono le fonti latine, dato che solo in Valeria Massimo compare un riferimento al gesto sacrilego, di cui i nvece Plinio non si cura. I Factorum et dictorum memorabilium libri IX sono dunque alla radice della comparazione « bella >> del Tasso : Ill a vero gloriae cupiditas sacrilega: inventus est enim qui Dianae Ephesiae templum incendere vellet, ut opere pulcherrimo consumpto nomen eius per totum terrarum orbem dissiceretur, quem quidem mentis furorem eculeo inpositus detexit. Ac bene consuluerant Ephesii decreto memoriam taeterrimi hominis abolendo, nisi Theopompi magnae facundiae ingenium historiis eum suis conprehendisset. 10

La forte preterizione del « colui )) ha qui la sua scaturigine, e il Tasso non ebbe lo scrupolo di cercare altre notizie sull'incendiario, il cui 8 &me cit., Prima parte, p. 156 (a p. 157 l'Annota/ione) e Opere cit., I , p. 284. 9 T. TASSO, Dialoghi cit., vol. II, tomo II, p. 1 1 09 (Il Conte, 219). IO V . MAXIMI Factorum et dictorum memorabilium libri novem, cum I. Paridis et l.

Nepotiani epitomis, iterum recensuit C. Kempf, Lipsiae, In aedibus B. VIII, 14, ex. 5 .

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G. Teubncri

1 888,

BRUNO BASILE

nome si disperse, stando a Valerlo Massimo, con le Historiae di Teopompo. Così non seppe mai - o forse semplicemente non ricordò - che Strabone, nella Geograrhia, rivelò quel nome proibito (« Ero­ strato » ) ; 1 1 ma proprio il lapsus diede autorità e forza a quel passo latino. E a rendere malizioso l'incidente erudito da cui nacquero bei versi, ricorderemo che la Geographia di Strabone, fonte della Liberata e poi del Mondo creato, ci è pervenuta tra i « postillati » barberiniani del poeta/ 2 ma per dimostrare solo, in questo caso, che il Tasso non controllava tutte le fonti a sua disposizione. 5. C'è ancora un caso di lapsus nelle Annotationi; ma è una crux che guasta, con una vera e propria lacuna mai restaurata, il corpo delle Rime. A proposito dell'esordio di una lirica d'innamoramento (> ) , il Tasso postilla: L'amor del Poeta nel suo fervore non passò un anno: ma s'un giorno anzi un'ora a gli amanti pare lunghissimo tempo, come dimostra Senofonte con l'essempio di ... amante di Ciro, che parrà uno anno intiero? 13

La lacuna - i puntini di sospensione sono nell'originale - riguarda evidentemente un nome difficile. Il Tasso, seguendo un suo discutibile costume noto agli studiosi delle carte dei Dialoghi, avrà lasciato uno spazio bianco nel manoscritto per poi riempirlo una volta effettuato il necessario riscontro. Ma la trascrizione non avvenne nei tempi dell'iter tipografico, cosl che il poeta, per troppa affezione ad un aneddoto, I l The Geography of Strabo, with an English Translation by H . L . Jones, Cambridge (Mass.), Harvard University Prcss - London, Heinemann 1 950, VI, pp. 224-225. Ma vedi anche la nota erudita in Della Geografia di SnABONE libri XV II, volgarizzati da F. Ambrosoli, Milano, Co i tipi di P. A . Molina 1 834, IV, p . 3 1 7 : « L'incendio di quel tempio s i attribuisce comunemente a Erostrato. Esichio invece ne incolpa Ligdamide, capo dei Cimmeri, il quale penetrò fin nella Lidia e nella Ionia, presso Sardi e giunse anche ad Efeso, ma poi non si dice che incendiasse il tempio di Diana. Callimaco anzi afferma che minacciò di depredarlo, ma poi non vi riusd ». Il luogo di Strabone (XIV, l, 22) è segnalato anche in V. MASSIMo, Detti e fatti Faranda, Torino, UTET 197 1 , p. 664. memorabili, a cura di

R.

12 Cfr. A . M . CARI:-ll, I postiltati barberiniani dd Tasso cit., p. 108 n . 42: Geographicorum libri XVII, olim u t putatur a Guarino Veronensi ac Gregorio Trifemate latinitate donati, iam denuo a Conrado Hieresbachio [ . . . ] ad fidem graeei exemplaris [. . . ] de integro versi [ . .. ], Basileae, Apud J. Vualder MDXXXIX. 13 Rime eit., Prima parte, p . 158 (dov'è anche i'Annotatione), e Opere cit., I , p. 284. II Solerti, in T . TASSO, Le Rime cit., II, p. 161 lascia la lacuna senza note né integrazioni di alcun genere.

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L 'OFFICINA TAS S IANA DELLE « RIME »

precipitò nell'incidente drammatico. Ma è possibile stabilire quanto avvenne. Quel nome non riguarda affatto una donna legata a Ciro . Qui si allude - incredibilmente - ad un episodio omoerotico che vede avvicinarsi Artabazo a Ciro, prima per carpirgli un bacio, poi per confessargli la sua passione, secondo il costume lascivo dei Medi. Tasso lesse l'lnstitutio Cyri in qualche versione latina, 14 e noi azzardiamo un riscontro su quella, diffusissima, del Filelfo, così schietta da lasciar percepire la febbre sensuale di queli'« attimo » che sembra « eterno » ad un ama n te : Quod si amatorij sermonis mentio est faciunda, dicitur in Cyri abitione, cum se invicem seiungerent cognatos per osculum oris eum sese amisisse lege Persarum. Etenim hoc etiam tempore id faciunt Persae. Medus autem quidam, qui et honestus valde et bonus vir esset, diu in stuporem adductus est ab Cyri formae praestantiam. Hic cum videret cognatos illum osculantis, ipse substitit. Ubi vero alij abierunt, Cyrum adij t, atque ait : me salurn ex cognatis Cyre ignoras? Cui respondit Cyrus: num etiam tu cognatus es? Max:ime, inquit . Propterea, inquit Cyrus, me iniveris? Nam saepe mihi hoc facere visus es. Adire enim te, inquit, cum usque vellem, per deos immorta· lis, me pudebat. At nullo, inquit Cyrus, te pudore teneri oportebat, cum esses necessarius: simulque adeuntem osculatus est. Et Medus post acceptum osculum quaesisse dicitur num etiam inter Persas haec esset consuetudo cognatos osrulandi. Maxime, inquit, ubi aut post curriculum temporis se invicem videant, aut aliquo ab invicem eant. Hora esset admodum, inquit Medus, osculandi mei rursus . Iam enim, ut aspicis, ita abeo. Et Cyrus eum osculatus ab se dimittit. Qui cum abisset, ac nondum multum peregisset itineris, iterum venit sudanti equo. Et Cyrus hunc intuitus, num, ait, eorum aliquid es oblitus, guae dicere mihi velles? Non equidem, respondit, sed veni post curriculum temporis. Cui Cyrus inquit: at mediusfidius breve O cognate. Quod breve, Medus respondit? A n ignoras Cyre quod quantulum etiam temporis oculos moveo, mihi videtur esse permultum, quod tum te talem non aspicio? Atque hi:c Cyrus ex prioribus lachrymis primum risit et abeunti illi, confide, inquit, nam post parum temporis vobis aderoY

14

Sappiamo, per certo, che anche l'Oeconomicus di Senofonte fu letto in latino: cfr. conversa [ . . . ] , Tasso, Torino,

ARISTOTELIS et XENOPHONTIS Oeconomica, ab I, L. Strebaco in latinum Parisiis E x officina M. Vascosani MDXLII I . Cfr. A. SoLERTI, Vita d ; T . Loesch�r 1 895, III, p. 1 1 6 (l'esemplare, noto, è perduto). 1 5 XENOPHONTIS PHILOSOPHI AC HtSTORICI ExCELLENTISSIMI Opera

(quae qu;dem · extant omnia), tam. graeca quam latin� hominum doctissi.morum diligentia partim olim, partim nunc latinitate donata, Basileae, Apud N. Bryhngerum MDXLV, p. 15.

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BRUNO BASILE

Ma se questo è il passo a cui pensava il poeta per intonare nelle sue

Rime il tema dell'amore non corrisposto (Ciro, non si dimentichi, « rise » alle profferte del « M�do » ) , come si spiega la caduta del nome, non certo ardua per un filologo che si ricorda dell'impossibile ), poi tra i figli gemelli di Margherita, Carlo e Alessandro, di cui « l'uno chiamato Carlo >> specifica il Tasso - passò anzitempo « a miglior vita » . I l poeta, però, appare sedotto dalla pointe finale del componimento: il ricordo di Castore e Polluce ( « imita Claudiano ») cui sono paragonati i rampolli imperiali, anche se Margherita, in lutto per uno d 'essi, dovrà contentarsi di saperlo vivente nell'altro . Ma il Tasso vela poeticamente questa nota triste con un solenne epicedio, giustificando quella scompar­ sa con l 'impossibilità, per il cielo, di risplendere di « due soli » . E il lirico non ha dubbi su questa immagine - per noi enfatica, se non barocca - come cuore della poesia; tanto che ne rivela, con trasporto, l'origine classica : Poeticamente, e con maraviglioso ornamento, accenna quel che disse . . . che s l come arderebbe il mondo s e fussero due soli , cosl il principato non può insieme tolerare duo principi.1 8

Il « maraviglioso ornamento » è cosl chiarito nel senso , ma non certo nella referenza autorale rimasta nella penna del poeta. Tasso vuoi citare un classico, ma ricorda solo la sententia e non l'autore, lasciato in bianco in attesa del solito riscontro in séguito non compiuto da que­ st'uomo d 'infinita memoria e di pochi libri . L'apoftegma in questione è nascosto ancora nell'Anthologium di Stobeo, che lo registra traendolo da un 'opera perduta del filosofo « Serino )>, un altro dei fantasmi della 11 Rime cit., Seconda parte, p. 83 e Opere cit., I , p. 967. 1 8 Rime cit., Seconda parte, p. 84 (Annotation de l'Autore). Il Solerti, in T. TASSO, Le Rime cit., IV, p. 123 pone un disperato sic dopo la lacuna.

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razza di « Monofilo Damasceno ». Ma, con nostra sorpresa, il frammen­ to recita: Cum Lydis Croesus imperaret, fratrem in consortium imperij assumpsit. Tum quidam ex Lydis accedens dixit : omnium in terra bonorum, o rex, autor est sol, neque quicquam extaret in terra sole non illustrante. At si gemini soles forent, periculum immincret ne omnia conflagrantia pessum irent . Ita et regem unum quidem accipiunt Lydii et servatorem esse credunt: duo vero simul tolerare non possent.19

Proprio come nel caso precedente il Tasso è dubbioso perché la citazione non registra, nella fonte, un'onomastica ( « quidam ex Lydis » vale proprio come « Medus quidam » ) ; ma ignora che è impossibile, per Stobeo, la ruse di una seconda " entrata " integrativa. Quel motto è un unicum in tutta la letteratura classica. Conoscendo però l'usus scribendi del Tasso prosatore, sempre puntiglioso nel registrare la \� voce >> del protagonista di un aneddoto, dissimulandone la fonte, proponiamo di restaurare cosl l'Annotatione: Poeticamente, e con maraviglioso ornamento, accenna quel che disse ( un Lidio } , che sl come arderebbe il mondo se fossero due soli, cosl il principato non può insieme tolerare duo principi.

7. Nella canzone Qual più rara e gentile, il Tasso, isola, commen­ tandoli, alcuni stupendi versi (61-75): N e l'arabico mare è con un altro fior, come di rosa, pianta maravigliosa, che lui comprime anzi che nasca il sole; poi dispiegarlo suole quando egli vibra in oriente i raggi per sl lunghi viaggi ; e di nuovo il raccoglie, allor che pare cader ne l'onde amare. Tal questa donna, in cui beltà germoglia e leggiadria fiorisce, al sol nascente nel lucido oriente

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L 'OFFICINA TA SS IANA DELLE « RIME »

par ch'i suoi biondi crini apra e discioglia; poi ne l'occaso astringe aurei capelli più di lui belli, - e sol velata appare.

Secondo il poeta « narra [ . . . ] Teofrasto ne 1 'Historia de le piante e Proclo nel trattato Del sacrificio e della magia che il loto piega le foglie avanti il nascer del sole; ma nascendo il sole egli le dispiega a poco a poco. E quando il sole monta verso il mezo del cielo, tanto le spande. Ma quando comincia a dechinar verso l 'occaso, di grado in grado richiude le foglie. Con questa similitudine veramente maravig1iosa ci pone i1 Poeta avanti gli occhi la sua Donna, ch'appariva la mattina co' suoi capegli discio1ti, e la sera gli aveva velati e raccolti in treccia » .20 Più della fonte teofrastea o di quel frammento del De sacrificio delibato nella versione del Ficino essenziale per la tessitura dci versi ( , il Tasso, per l'incipit che contiene un calembour pseudoetimo­ logico sull'amata Lucrezia (« Donna, sovra tutte altre a voi conviensi, / se luci e reti suona, il vostro nome ») 33 sente il bisogno di un'ampia digressione. È il tributo a una teoria letteraria che, suil 'orma del Petrarca, aveva diffuso l'acrostico e la variatio onomastica come artifici indispensabili ad ogni Canzoniere, sempre arazzo trapunta dal nome della dama ispiratrice. Il Tasso, dal canto suo, non si sottrae alla convenzione, ma accarezza piuttosto il fascino di un possibile rinnovarsi del 16pos una volta sostituito al nome di Laura (che era della Peperara, ma già segnato da un modello inarrivabile) , quello di Lucrezia: Seguendo l'opinione di Cratilo dice che 'l nome di Lucretia è convenien­ te a la sua Donna, e dimostra le cagioni de la convenienza, dividendo il nome in due parti co 'l difetto d'una lettera solamente; e l'una vuoi che derivi da Luce, l'altra da Retia, parola che fra' Latini significa Reti. Rende poi la cagione perché ella abbia preso il nome da la luce e da le reti, lasciando da parte tutto quello che si potesse dire altramente interpretando questo nome col derivarlo o dal nome Lucrum, che fra' Latini significa guadagno; o dal nome Lucus, che significa bosco sacrato, tutto che questo sia anch'egli derivato dal nome Luce. l misteri più secreti, co' quali si fanno partorire i nomi, sono lasciati a dietro ne la nostra interpretatione, come propria di

32 T. TAsso, Le prou diverse cit., II, pp. 178-179. 31 Rime cit., Prima parte, p. 23, e Opere dt., I, p. 219.

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L 'OFfiCINA T A S S IANA DELLE « RIME 1>

Giulio Camillo o commune di coloro c'hanno seguitata la dottrina de gli Hebrei.34

Per il poeta, dunque, una concessione al cratilismo e ad agudezas etimologiche è possibile, anche se non pare troppo sedotto dalle esegesi talmudiche del retore e " mago " Giulio Camillo Delminio . La nota, precisa, ma poco significante, acquista peso se, rileggendo le opere del Delminio, non avessimo scoperto un dato ad essa correlabile. Il Camillo, in una lettera del 1 5 3 5 , per venire incontro al problema espressivo di lirici incapaci di trovare se non le medesime variazioni sui nomi delle donne amate, propose un complicato sistema cabalistico per trarre da questi, in una sorta di caleidoscopio verbale, ulteriori spunti concettosi. E il retore scelse, come esempio, proprio il nome di Lucretia, dato che « ancor non ho trovato scrittore che si sappia partir dalla allusione fatta alla Romana, che col ferro aprì il suo casto e disdegnoso petto » . Quali mirabilia riusd a trarre i l Camillo dalla « profetica teologica )) degli ebrei con il metodo talmudico >, che > OVVERO IL DIR DEI NOBILI . LINGUA, DIALETTO E CLASSI SOCIALI NEL « CAPECE >> (NAPOLI, 1 592) DEL CORSUTO

l . Il dialogo come luogo delle

«

riprensioni >>

Nella fitta rete del dibattito linguistico di fine Cinquecento, gli interventi segnano il passo sulle grandi questioni generali e s 'inoltrano su questioni particolari in sentieri labirintici, giocando a scomporre il già dato e il già detto, per poi ricomporre il tutto secondo aggregati più funzionali all'abbattimento di obiettivi polemici o all'irrobustimento di postazioni da difendere. Il dialogo, un genere assai fecondo nella tratta­ tistica di quel secolo, si va configurando, allora, sempre più, come luogo delle « riprensioni » che una parte vincente muove a quelia perdente. l ruoli sono fissati sin dall'inizio e il risultato finale è delineato sin dalle prime battute. Tutto avanza senza sorprese e senza sommovimenti, mentre la regia della difesa e dell'attacco si consolida in abilità e tatticismi, esercitati entro uno spazio chiuso e concluso. Pietro Antonio Corsuto,' presente e operante sulla scena sociale e *

Università di Napoli. La biografia del Corsuto è piuttosto scarna. Nato a Saponara (Messina) nella prima i 1 a i a ' « a n a it a u > v , a . Is g r i nel Regno di Napoli, t. I I I , p. m, Napoli, Nella Stamperia di G. Severini 1754, pp. 66-67) (j seppe guadagnarsi il primo luogo )). La sua produzione letteraria è costituita da Il Capece, che a ragione N. TaPPI, (Biblioteca napoletana, Napoli, A. Bulifon 1678, p. 251) definisce « un'opera molto erudita, e critica », e da un manipolo di rime volgari, di cui alrune accompagnano il dialogo: Vidi qua giù da sedi eterne e belle (alla signora D.M.D.) e Ben potete al valor, che non s'obtia (al sig. Pietro Antonio Mastrillo Capano). Un sonetto, Ben potreste, signor, co 't chiaro ingegno, è in appendice alle Rime di ASCANIO PIGNATELLI, Napoli, « Nella Stamperia dello Stigliola • 1 593, p. 83. Cfr. inoltre F. S. QUADRIO, Della storia e della ragione d'ogni poesia, I , Bologna, Per Ferdinando Pisarri 1739, p. 474 e IV, Milano, Nelle Stampe di F. Agnelli 1 749, p. 259; C. MI N IERI RICCIO, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli, tip. dell'Aquila t

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1 43

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PASQUALE SABBATINO

culturale della Napoli di fine Cinquecento, nella sua opera Il Capece overo le riprensioni, Dialogo (... ). Nel quale si riprovano molti degli Avvertimenti del Cavalier Leonardo Salviati, ch'ei /è sopra la volgar lingua. Et si dimostra quanto Dante habbia fallato in quelle parti che a buon Poema si richieggono. Con alcuni Sonetti dell'Autore, & due Canzoni: l'una del medesimo, & l'altra del Signor Torquato Tasso, fatte in lode dell'Illustrissimo & Eccellentissimo signor Prencipe di Conca, a cui quest'opera è dedicata, pubblicata a Napoli, da G. G. Carlino e A . Pace, « ex officina Horatij Salviani » / nel 1592, non porta nuova acqua al mulino del dibattito linguistico, anzi riutilizza quella che trova, muo­ vendosi cos1 lentamente e stancamente. Infatti il Corsuto ha testa da epigono e si arrocca su posizioni ormai da retroguardia, proprio quando si determinano nuove situazioni che richiedono letture meno settoriali e lettori di ben altro respiro. Tuttavia il Corsuto si fa carico, con una mossa a sorpresa, della prospettiva sociale del ceto nobiliare, che, piuttosto numeroso e attivo nella Napoli vicereale, « meravigliosa per i siti, per le marine, & per la sua tanta nobiltà » (l l v) , ha decretato lo stato di mobilitazione contro la crescita della crisi dell'assetto feudale e contro il progressivo affer­ marsi della « mercatura ». Questa classe nuova ed emergente è, tra l'altro, portatrice di un'altra lingua, diversa per forma e contenuto da quella dei nobili. Per questo il Corsuto sceglie di impegnarsi fermamen­ te nel clima assai rovente dello scontro sociale e linguistico, dando colpi, a destra e a sinistra, con la preoccupazione avveduta di ridimensionare la lingua dell'avversario sociale e di mostrarne i punti deboli. Una strategia, dunque, per colpire al cuore la borghesia ed esorcizzarne il fantasma. di V. Puzzicllo 1 8 4 4 , p. 109 (ora in ristampa anastatica, Bologna, Forni 1967) : ritiene , N zi c e d

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della Scintilla 1908, p. 1 1 , n. 98 (indica il luogo di nascita, « da Saponara »); e la voce nel Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 29, Roma, Istituto della di N. · Enciclopedia Italiana 1983, pp. 690-692. 2 Dal 1591 il napoletano Giovan Giacomo Carlino e il veneto Antonio Pace, entrambi provenienti dalle officine di Salviani, lavorano assieme come « editori )). La nuo va > , il Corsuto addita i due percorsi (linguistico-grammaticale e filosofico) che ha inteso affrontare, occupandosi ) e del Capece ( « La dolcezza delle vostre parole, così soavemente compartita, non lascia ch'io m'aveggia quanto sia inchinato il giorno. Già è tempo di ritirarci ... ») riprende e chiude il cerchio narrativo, consegnato inevitabilmente a una funzione di contenitore, entro il quale i due dialoganti possono inserire, a volontà, questioni da dipanare e bersagli da colpire . Lungo il perimetro della finzione narrativa sono collocate le indica­ zioni dei percorsi del trattato. Così, nelle prime battute, Ramires rac­ conta la sua visita a « una nobilissima signora » che appare , avvia il dialogo sul secondo e più breve percorso, con una rapida battuta ( « ! mirabile la pittura; ma fu più tosto ch'altro filosofico il pensiero �> ) e un rimando ad Aristotele ( « ... vuol Aristotele che 'l primo motore, il qual rivolge il primo Cielo risieda in quella parte, ov'è più veloce il moto, & perché il moto è più veloce nella circonferenza, ch'in altro luogo, i vi gli assegna il seggio » , 24r). Il viaggio testuale de Il Capece può dare inizialmente l'impressione di seguire un tracciato rettilineo, i cui percorsi (linguistico-grammaticale prima, filosofico dopo) sono separati e autonomi, anche se consecutivi - 147 -

PASQUALE SABBATINO

sul filo narrativo.5 Ma, guardando indietro, dal punto finale, con un sol colpo d'occhio che si spinga sino al punto di partenza, il tracciato rivela una curvatura trattatistica circolare, con la ovvia chiusura del cerchio. I due percorsi, allora, s'intravedono finalmente legati, al punto che l'uno nutre l 'altro e questo nutre quello. La curvatura, come si vedrà detta� gliatamente più avanti, è nella nozione fondamentale di « virtù morale » proveniente dalle scienze speculative e necessaria per la formazione del profilo professionale del grammatico e del retore, che sono arti rivendi­ cate dal ceto nobiliare, proprietario c custode della scrittura. 3 . La rimessa in gioco del caso Dante

Il Capece è un trattato militante. 6 Il Corsuto interviene, utilizzando tutto il bagaglio erudito di citazioni appropriate e non, di prima e di seconda mano, nel dibattito, che attraversa l'in tera penisola, intorno alla comparazione Ariosto/Tasso. A lanciare la pietra nell'acqua stagnante è s tato il capuano Camillo Pellegrino, con Il Carrafa, o vero della Epica Poesia, pubblicato a Firenze, nel 1 5 84 , nel volume Parte delle Rime di D. Benedetto dell'Uva, Giovanbattista Attendalo, et Camillo Pellegrino. Con un brieve discorso dell'Epica Poesia, voluto e curato dal leccese Scipionc Ammirato, che ha fatto strada presso la corte medicea.

FERRONI-A. QUONDAM,

s G. La « locuzione artificiosa )), Roma, Bulzoni 1973, pp. 126-142: 127 ( « Nella sua parte finale il dialogo si dilunga in questioni ortografiche e grammaticali, e in una più ampia cd esornativa disputa metafisica »). 6 Mancano al momento contributi critici su Il Capece. Cenni sono in C. Storia della grammatica italiana, Milano, Hoepli 1908, p . 233; S. DE Un danto/obo di Basilicata, in Fondi cose e figure della Basilicata, Roma, P . Maglione e G. Strini 1 922, pp. 224-229 (pagine di scarso rilievo sul « furioso dantofobo »; inoltre A ritiene che il Corsuto sia lucano, nativo di Saponara di Grumento); B . History o/ Uterary Criticism in the Italian Renaissance, II, Chicago, University of Chicago Press 196 1 , pp. 904 905; M. RAK, La tradhione letteraria popolare dialettale napoletana tra la conquista spagnola e le rivoluzioni del 1647-48, in AA.VV., Storia di Dalla Napoli, vol. IV, t . II, Napoli, Soc. ed. Storia di Napoli 1974, p. 584; S. lingua al dialetto. La letteratura popolaresca, in La letteratura italiana, Il Seicento, a c. di C. Muscetta, vol. V, t . II, Bari, Laterza 1974, p. 451 ; R. N G O, Centri intellettuali e poeti nella Basilicata del secondo Cinquecento, Melfi, Edizioni interventi culturali 1979, pp. 1 1 7-1 2 1 . Solo con A. Quondam (Dal Mar.ierismo al Barocco. Per una fenomenologia della scrittura poetica a Napoli, in AA.VV., Storia di Napoli dt., vol. V, t. I, pp. 439-442 e ora in La parola nel labirinto, Bari, Laterza 1975, pp. 1 1 1-115) si ha una prima lettura del trattato, inserito nel contesto socio-culturale dell'epoca. 7 Sul Pellegrino e le reazioni della Crusca e del Salviati, con la difesa dell'Orlando furioso (sottotitolo: Stacciata prima) ( 1 585), specie dopo che l'Ariosto aveva filtrato il poema attraverso le Prose bembiane, cfr. La lettura manieristica del Bembo nei dialoghi di C. Pellegrino, in Il modello bembiano a Napoli nel Cinquecento, Napoli, Ferraro 1986, pp. 173-198.

TRABALZA, PILATO,

WEINBERG,

IR

P. SABBATINO,

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NIGRO,

« I L DIR NOBILE �) OVVERO I L DIR DEI NOBILI

Il Corsuto, con la puntualità di un cronista contemporaneo, fedele alla cronologia degli eventi letterari, prende le mosse da Il Garra/a, il termine post quem del dibattito in corso sul Tasso e Ariosto, l'uno . L'Orlando Furioso dell'Ariosto è catalo­ gato e bollato come di Inf. XXIX, 76-77 e 82-83 nelle Prose, I l , V: E i l vostro Dame, Giuliano, quando volle far comperazione degli scab­ biosi, meglio avrebbe fatto ad aver del tutto quelle comparazioni taciute, che a scriverle nella maniera che egli fece: e non vidi giamai menare stregghia a ragazzo aspettato da signorso; e poco appresso: e sl traevan giù l'unghie la scabbia, come colte! di scardova le scaglie.

Il motivo bembiano del mancato silenzio dantesco su (Prose, I l , V) subisce nel Capece una radicalizzazione, con la ridicolizzazione di Dante, le cui comparazio­ ni, quelle elencate, « non sono cose né meno da scriversi nell'infimo carattere del dire >> (8r) . Riannodando, infine, tutti i fili del discorso su Dante e ritornando agli affetti comuni e perpetui, il Corsuto si limita ad affermare che vi sono dei « mancamenti » più che a provarli. La perspicuità, il cui « principal intento è trasmettere con facilità l'intellegibile all'intelletto )>, decisamente « non si trova in Dante » , mentre l'oscurità, l'esatto contra­ rio della pcrspicuità/2 è « in molti luoghi )> . E a conforto si fa appello

Il Ramires rimanda allo Scaligero e al Vettori (« come vuoi lo Scaligero; non già in quella maniera che la prese Pietro Vittorio )�. 8r). Per lo Scaligero cfr. PoeticeJ libri Perspicuum autem non est idem quod lucidum. Nanque lux est actus superficiei visibilis, hoc est

OVVERO IL DIR DEI NOBILI

all'autorità di Della Casa, il quale sostiene nel Galateo, cap. 22, che . L'accumulazione dei « mancamenti )) di Dante crea un crescendo discorsivo che ha una conclusione provocatoria sia contro l'Accademia della Crusca sia contro le filiali napoletane: Onde per mio avviso è da conchiudere che la favella di Dante simile ad altra non sia, che a quella di Laberio, aver d 'Afranio, in quella maniera che l 'una fu mentionata da Quintiliano, & da Gellio l'altra » (Br).

Siamo all'atto finale della condanna di Dante, su cui pesa l'accusa e pesano ancor più le prove di aver usato la lingua plebea. Allo stesso modo Aula Gellio condanna il mimografo Laberio (l sec. a. C.), in Noctes Acticae (passim e particolarmente XVI, 7 e XIX, 13) - cosl come ricorda e riporta lo Scaligero 2 4 - e Quintiliano il poeta Lucio Afranio (Il sec. a. C.) in lnstitutio oratoria, X, l, 100, per aver sporcato gli argomenti delle sue commedie >. Per il Vettori cfr. Commentarii in primum librum Aristotelis de Arte Poetarum, Florentiae, In officina luntarum Bemardi Filiorum 1560, p. 303 : « Hoc aiiud argumentum est, quod dedarat hoc etiam nomine pracponcndam esse tragicam imitationem epicae, quod in ca cuncta paene, guae sunt, perspicua & evidentia sum. Quod bonum non tam expressum invenitur in imitatione cpicorum, quae tota commemorendo sit. Quin autem hoc mirifice utile sit, & satisfaciat animis eorum, qui spectant, dubitari non potesL Ut enim Horatius quoque testatus est. Segnius irritant animos demissa per aures. Quam quae sunt oculis subiecta fidelibus; quamvis hoc ipsc aiiud tunc agens, promlerit. In quibus autem existat haec pcrspicuitas, monstrare volens Aristoteles, nominat agnitioncm, & cetcra facta, quae in tragoedia geruntur. Nam -r"fi à:Ya.yvwp(GtL lego, sequorque receptam lectionem, quae constanter reperitur in omnibus scriptis exemplaribus: eamquc valde hic accommodatam esse puto ». L'&:��WpLGLç aristotelica si è tramutata in perspicuitas ed evidentia. 2l Si rimanda a LoNGINO, Del sublime, 23, dove si indicano i vv. 1403·1408 dell 'Edipo re di Sofocle, un caso esemplare del cambiamento di numero. L'uso del plurale al posto del singolare, da parte di Edipo, ha una maggiore efficacia per l'abbondanza stessa del numero, che sembra moltiplicare le sciagure di Edi po. 24 Poetices libri septem cit., p, 176 : « Est enim pura oratio duplex: aut in qua nihil peregrinum, aut in qua nihil sordidum. Impura Laberii oratio, in qua multa verba sordida, quae Gellius recenset » .

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PASQUALE SABBATINO

ciulli, « mores suos fassus ». Si cercano, cosi, dei precedenti e tutti Laberio, Afranio e Dante - sono accomunati da uno stesso destino linguistico plebeo. La provocazione è nella contrapposizione netta agli Accademici della Crusca, cor: la rimozione di Dante, che invece essi esaltano quale modello linguistico da imitare. La banalizzazione della posizione degli Accademici della Crusca, infine, affidata al Capece: danno a Dante, & a tutti gli altri scrittori di simil maniera sl sovrana lode, solo perché l'opere loro sono dettate co' modi più popolareschi, & domestici della !or città (8v).

risponde solo a un'esigenza tattica di ridimensionamento della parte avversaria, liquidata dopo averne esasperato la nota (e certo più com­ plessa) posizione a favore della lingua parlata fiorentina . Dante, rimesso in gioco, a ridosso della controversia Tasso/ Ariosto, che gli aveva assegnato un ruolo periferico, riconquista la centralità del dibattito, ma viene letto come in una antologia, che raccoglie il campionario dei mancamenti e delle riprensioni, e viene travolto dai toni più volte spinti della polemica linguistica e sociale di parte nobiliare, che ne fa un modello capovolto." 4. Corsuto e Sa/viali: due modi di leggere il Bembo

Esaurita la dimostrazione di « quanto Dante habbia fallato in quelle parti che a buon poema si richieggono », come è dichiarato nel fronte­ spizio, si chiude anche il primo momento narrativo, corrispondente alla deambulazione di Ramires e Capece. Nel frattempo sono giunti « in un de' più vaghi giardini >> (8v) di Napoli, quello di Marcantonio Carafa, duca di Traetto/ 6 e si siedono all'« ombra di questi cedri, che disposti con ordine sl meraviglioso, non hanno da invidiar punto alle piante di Ciro » , nella reggia estiva di Ecbatana, nota come una delle sette meraviglie del mondo. La scena ora è ferma (« sedianci »), ma si promette un vero movimento dialogico da parte del Ramires, che invita 25 G. M. CRESCIMBENI, nel vol. Dell'Istoria della Volgar Poesia, II, Venezia, Basegio 1 730, p. 286, cosl ferma l'immagine del Corsuto lettore di Dame: « si studiò di morderlo rabbiosamente )). E F. S. QuA.DRIO, in Della storia e della ragione d'ogni poesia dt., IV' p. 259: « contra il nostro Poeta fieramente si riscaldò ». 26 A Marcantonio Carafa, Principe di Stigliano e duca di Traetto, l'Ammirato ha I p l v d /' c ia. Cfr. P . SABBATIN O, 1r::Od�t� �����a�: a r.?ae:::r�ef C�:;:t���o ci�., ;� rr; : ;7s�

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« IL DIR NOBILE

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OVVERO IL DIR DEI NOBILI

il Capece a farsi portavoce del Salviati, spentosi, non ancora cin· quantenne, nel 1589, e dei nodi problematici svolti in Degli avverti­ menti della lingua sopra 'l Decamerone, apparsi in due volumi e in due tempi ( 1 584 e 1586) proponendo una lettura delle Prose del Bembo aperta ad integrazioni e aggiornamenti. Il Ramires, intervenendo su ogni nodo, ma per esporre « quei veri ammaestramenti che da' veri professo� ri, & sovrani maestri della lingua ci sono stati lasciati » (8v), contrappo· ne una lettura rigida e bloccata del Bembo, coniugandola in aggiunta all'ottica sociale del ceto nobiliare. Nella dinamica dialogica il Capece fa da spalla (« Che stimate di ciò . . . ? »; « come dice il Salviati »i « Quel che voi dite io non posso non approvare » ; « Resto soddisfatto delle vostre ragioni »; « Dalle vostre parole io raccolgo quanto voi fondate su 'il vero » , ecc .) più che da controparte. Offre spunti discorsivi, lancia segmenti di dibattito, propone particelle da sciogliere, preleva le tesi dal Salviati, alle quali puntualmente il Ramires contrappone le antitesi. Il discorso è orientato dal Capece sul libro II degli Avvertimenti, cap. II (Da chi si debbano, e per iscrivere, e per favellare raccor le

regole, e prender le parole nelle lingue, che si favellano, e che sono atte a scriversi: e spezia/mente nel volgar nostro), di cui espone l 'assunto centrale: « Il Salvia ti favellando delle regole del volgar nostro, dice cosi, che questi insegnamenti s 'hanno da prendere da quei vecchi autori che scrissero dall'anno 1 3 00 insino al '400, perché col nascimento del Boc­ caccio, o poco innanzi la nostra lingua hebbe la sua perfettione, & dove quelle ci abbandonino esser per ultimo da ricorrere al popolo di Firen­ ze » (8v). 27 La proposta del Salviati ha un versante aristocratico-bembia­ no, con l'ancoraggio della scrittura al fiorentino arcaizzante e purista, quello del « buon secolo » del Trecento, quando Petrarca e Boccaccio hanno raggiunto una forma pura e leggiadra, da cui trarre il corpo delle E L . SALVIA Degli avvertimenti ci t , I, p. 74: « con la crescita del Boccaccio, o poco 27spazio davami, parve, che cominciasse .subito la sua perfezione, e con la mone del medesimo immamineme principio avesse la sua declinazione. Perocché, è cosa da non credersi di leggieri, la differenza, la qual si scorge tra gli scrittori, che rasemaron l'anno milletrecentottanta, e quelli, che cominciarono incomaneme passato il quaurocemo: sicuramcme di gran lunga maggiore, che ne' cento anni addietro non si riconosce tra le scritture ». Da qui le sue conclusioni: « Su le scritture addunque, che parto furono dello spazio di quei cento anni, delle predette regole il fondamento sarà da porre: e dove quelle ci abbandonino, parte dalle più !amane di quelle, se aver ne potremmo, parte dalle più vicine, parte dall'odierno popolo procacceremo il restante. E in tal caso, e diligente lettura, e perfetto giudicio vorrà avere in colui, che a quell'opera debba dar compimento: poiché talora i presenti, talor l'antichità sia convenevole d'anteporre. E ciò intendiamo tuttavia delle regole: perciocché quanto a i vocaboli, e alle guise del fa­ vellare, cavatone un picciol numero, che le moderne orecchie in alcun modo non vogliono più sentire, l'amichità, per nostro avviso, sarà quasi sempre più sicura ». TI,

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regole, e un versante popolare-naturalistico, con il ricorso « per suppli­ mento » alla « voce del popolo, se tra 'l popolo, quel sia riposto, che manca tra gli scrittori » .28 Da parte sua il Ramires a ttacca il Salviati (in particolare il cap . I I I del libro I I : Come si co11osca, e si pruovi, che in Fire11ze si parla oggi manco bene, che non vi si parlava nel tempo del Boccaccio) , ma dopo aver connotato, con segni diversi, il Boccaccio e il popolo di Firenze, l'uno perfetto, l'altro imperfetto: il Boccaccio scrisse in quella lingua, ma non in quella guisa che si favella dal popolo, perché quelle scorrettioni da lui furono avvertite, onde molte voci egli tralasciò, come non buone, & di proprio ingegno dettando ritrovò come acconciamente scriver si potesse quel che con modi popolari il volgo era uso di ragionare . (l Or).

Con questa protratta divaricazione, il Ramires ha poi gioco facile nelle varie argomentazioni a sostegno della imitazione de ). c

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« I L DIR NOBILE

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OVVERO I L DIR DEI NOBILI

fondamento del retto scrivere » (8v) attraversa anche tutti gli altri ambiti, dalle « scienze » alle « arti )> . L'immagine di Elena, dipinta da Zeusi, per il tempio di Giunone, a Crotone, prendendo a modello, per ciascuna parte del corpo, la parte più perfetta dei corpi di diverse fanciulle, così come ricordano Dionisio d'Alicarnasso (nel trattato llEpt 1-l�tJ.�aEw.;) 30 e Cicerone (De inventi an e, I I , 1- 5) assurge ad esempio e ad emblema della imitazione del perfetto attraverso la selezione e la elezio­ ne delle parti perfette di diversi corpi di scrittura . Per il Ramires-Corsuto il punto fermo è dato da e sui quali « dee regolarsi il volgar nostro )) (9r), perché « questi soli con ottimo giuditio separarono il dir nobile da quello del volgo » e « scegliendo costoro le perfettioni sparse nelle loro scritture di quei rozzi antichi, unirono quasi in un corpo con egual prudenza le regole, & le bellezze della nostra lingua )) come Cicerone e Virgilio fecero nella latina. « Imperfetti )) sono tutti quelli che operarono prima dell'età del Petrar­ ca e del Boccaccio, e lo stesso Dante e Giovan Villani e tutta la schiera dei letterati di allora ( « con quegli altri di quel tempo >>) dai quali « vengono trapassate )> le « regole del volgar nostro )) (9r) .30 L'intelaia­ tura è squisitamente bembiana, - e il Bembo, pur citando la Cronica del Villani più di ogni altro testo in prosa, secondo solo al Decameron, esprime con grande cautela un giudizio misurato nelle Prose, II, II ( « Furono altresì molti prosa tori tra quelli tempi, de' quali Giovan riguardo, a quelli, dico, che nel nostro secolo ci paresse esser dotati di prudenza c di giudicio » .

30 In Opuscula, cdidcrunt Hcrmannus Uscncr et Lodovicus Radcrmacher, in acdibus B. G . Tcubncri 1904-1929, pp. 202-204.

31

II,

Lipsiac,

Cfr. SALVIATI , Degli avvertimenti cit., I , pp. 100- 1 0 1 : « Giovan ViUani cominciò a scriver la sua cronica l'anno mille trecento, c procedé avanti fino alla pcstilenzia del trecento quarantotto, la quale c al suo scrivere, c alla vita sua, pose fine in un tempo. Dal principio alla fine di quei quarantotto anni, fece il nostro idioma non picciola mutazione, cioè molte parole, e alcune più vecchie guise dismesse di favellare: nondimeno s'attenne sempre questo scrittore all'uso della sua prima età, in guisa, che per autore dell'anno mille trecento, nella quasi comune massa delle parole, c de' modi, si può torre assolutamente. E abbiam detto nella quasi comune massa, perché nel vero in alcune cose particolari, può parer meno antico degli altri suoi compagni, che nel detto anno mille trecento dettarono in questa lingua. Sopra costui il fondamento è da porre della purità dc' vocaboli, e dc' modi del dire, sì perché scrisse nella pura favella, sl perché stese maggior volume di qualunque altro, che del buon tempo forse ci sia rimaso. La legatura delle voci n'è semplice, c naturale, niuna cosa di soverchio, niuna per ripieno, nulla di sforzato, niente d'artificiato, vi può scoprire il lettore: non per tanto in quell a semplicità si vede una catai leggiadria, e bellezza, simile a quella, che noi vcggiamo in vago, ma non lisciato viso di nobil donna, o donzella. La qual vaghezza in quel secolo, la purità del linguaggio, accompagnava quasi naturalmente ».

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Villa ni, che al tempo di Dante fu e la isteria fiorentina scrisse, non è da sprezzare »), senza nascondere invece le sue preferenze per il volgarizza­ mento dei Ruralium commodorum libri XII del bolognese Pietro Cre­ scenzio ( 1230-1 320 circa),3 2 i! quale svolge un argomento tecnico con stile umile, inadatto certo al racconto di eventi storici - saldamente anticruscante. Si va a incidere, così, direttamente sul prospetto storico linguistico del Salviati, che data all'altezza della Cronica di Giovan Villani, iniziata « l 'anno mille trecento » e portata avanti « fino alla pestilenzia del trecento quarantotto » la formazione e la crescita di una « pura favella » , giunta a maturazione con Dante prima e con Pe­ trarca e Boccaccio dopo. Il momento clou del dialogo, abilmente preparato e atteso, è l'offen­ siva contro il volgo. Alla domanda del Capece sulla possibilità di una supplenza della lingua del volgo sul posto di ruolo del fiorentino arcaicizzante ( , bensì anche di « materia » , dal momento che, « come vuole Aristotele, colui che par­ la senza artificio il suo ragionamento farà senza ragione » (9v) . Il rimando ad Aristotele appare, qui, sfocato e sfugge il luogo dal quale il Corsuto attinge. Ma nel gioco della finzione dialogica, la citazione di Aristotele rafforza e riafferma la tesi linguistica del Corsuto, che ora diviene più apertamente e più sfacciatamente la linea del ceto sociale dei nobili. Autocelebrando la propria superiorità dell' , il ceto nobiliare fa quadrato attorno alia « ragio­ ne )>, rivendicata come proprietà esclusiva della nobiltà. Si ride e irride del volgo, per il quale non ci può essere il salto linguistico, perché estraneo all'arte del dire, né ci potrà essere, di conseguen­ za, il riscatto socio-culturale perché « il popolo è imperfetto nel raII volgarizzamcnto, ad opera di un anonimo, risale al Trecento, ma il Bembo, come osserva M. Pozzi nei Trattatisti del Cinquecento, I , Milano-Napoli, Ricciardi 1978, p. 114, nota 2, « poté leggere il volgarizzamento in una delle numerose stampe (Firenze 1478; Vicenza 1490; Venezia 1495, 1511, 1519, ecc.) » « probabilmente pensava che il trattato fosse stato volgarizzato dall'autore stesso; pertanto lo riteneva anteriore alla Cronica del Villani ». 32

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gionare ». Si circoscrivono, così, i contorni dell'immagine del popolo e si delinea il futuro, con l'intento di esorcizzarlo, mettendo a segno la mossa di svuotamento dell'avversario sociale e linguistico. Aristotele, il principe dei peripatetici, è trascinato prepotentemente per i capelli nell'agone delle rivendicazioni del nobile-dotto contro il popolo indotto . Lo si cita e lo si introduce, a proposito e a sproposito. Cosl più avanti: Et se crediamo ad Aristotele, dice egli che naturalmente non si può esser dotto, salvo che con una lunga essercitazione, & prattica che s'havesse co' libri, da' quali la scienza si prende, & le regole di quella scienza; già noi provato habbiamo che le regole da' sovrani maestri ci vengono, & da quelli con molta fatica, come disse il Castelvetro, s'apprendono: del che essendone affatto privo il popolo, non potrà giamai di quelle essere l'introduttore; ma se cerchiamo più oltre ci dovrà bastare l'autorità di Quintiliano che c'insegna l'uso del retto scrivere doversi prendere dagli scientiati » (9v) .

In una trama di rimandi, da quelli probabili - la Giunta di Ca­ stelvetro - a quelli certi - Quintiliano, Istitutio oratoria, X, 2 - il riferimento ad Aristotele è ancora una volta « di assai difficile identifi­ cazione » .13 Tuttavia è sempre finalizzato nella economia del discorso del Ramires , il quale utilizza Aristotele come autorità somma e, in un certo senso, onnipresente per qualsiasi ordine e sottoordine di problema. E stavolta il problema è cardinale, con la affermazione, « per sentenza d'Aristotele » , che si diventa dotto non per via naturale, bensl per via di frequentazione dei « libri >> e degli , bensl solo che, in sede di « linguaggio col quale perfettamente si scrive » , la natura fa un dono « imperfetto » , {{ essendo miglior duce l'arte, che la natura non è, come disse Cicerone » . La conferma, stavol­ ta, viene da Cicerone, De finibus, IV, 1 0 . Il disegno del Corsuto è preciso e h a coerenza interna, rispondente alle esigenze del ceto nobiliare che combatte in difesa della scienza del l3

G. FERRONI·A. QuoNDAM,

op. cit., p. 136, nota 4 1 .

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ben dire, identificata con la scienza del ben ragionare. Grammatica e retorica, che si acquistano per « virtù morale », cioè « con fatica, & essercitatione » (9v), non possono essere acquisite dal popolo, che ha al proprio attivo solo la via n:lturale. Anzi il popolo non è candidato all'apprendimento di tali scienze, le quali appartengono esclusivamente ai nobili, unici detentori e custodi del patrimonio de11a scrittura e degli « insegnamenti de' maestri » che la stessa scrittura conserva. Svolto il tema centrale del > e di > ( 1 0v), oppure, « non havendola potuto bever col latte >>, di dimorarvi in « buono spatio », cosi come fecero il « Bembo, & l'Ariosto >> per « imparare la lingua del popolo » . Secondo il Salviati, fedelmente dato in sintesi, qui e in seguito, « quel poco di mutamento, che dall'anno 1 400 in qua, è in Firenze, e in Toscana avvenuto nel favellare » non ha fatto smarrire ai moderni « il sentimento » dell'anti­ co. Per questo il Bembo per « buono spazio ebbe in Firenze la viva prati­ ca del nostro favellare » e l'Ariosto « per apprender, come gli venne fat­ to, la forza del linguaggio, con la feccia del nostro popolo non ebbe a schifo di spesso mescolarsi » .34 Si contesta da parte del Ramires che il Bembo e l 'Ariosto abbiano dimorato in Firenze « per tale effetto » . A difesa del Bembo , poi , si citano le Prose, l , XVII e ss., dove in risposta a Giuliano de' Medici, che sostiene l'uso della lingua parlata dal popolo di Firenze, Carlo Bembo ribadisce l'uso della lingua giunta al punto più alto della perfezione nella scrittura del Petrarca e del Boccaccio . « Dunque » , conclude il Ramires, « segue che 'l tutto egli prese da' libri » ( l Ov). E i l Capece, acconsentendo, riprende e ribadisce il particolare, « Da ' libri » , che sono patrimonio dei nobili. L'Ariosto, invece, che non ha disdegnato di « rimescolarsi con la feccia di quel popolo » ( l Ov) fiorentino, è volutamente abbandonato dal Corsuto al suo inevitabile destino, per la lingua « irregolata », con « errori », al punto tale che « da molti professori della volgar lingua fu quel suo poema ricorretto, & ristampato con quelle regole, & osservanze che nel Molza, nel Casa, & nel Guidiccione si ritrovano, i quali non 34

L . S.uvrATI, Degli avvertimenti cit., I ,

pp. 86-87.

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« IL DIR NOBILE '' OVVERO I L DIR DEI NOBILI

al sicuro dal popolo di Firenze l'appresero >> ( ! Ov)." L'occasione si presta per una riproposta del magistero del Tasso, da cui l'Ariosto corretto e ricorretto è abissalmente distante. Se questi esercita il « commercio » linguistico con il popolo fiorentino che « ragiona scon­ ciamente, & inavvedutamente » ( ! Ov), il Tasso, invece, è sovrano maestro nella scienza della scrittura e non può certo essere attaccato « dagli huomini popolari » . Altra questione, legata al1a precedente, vien posta dal Capece: come del retto scrivere non possa esser maestro il popolo ( l Ov-l lr).

Il Ramires svolge ampiamente e dettagliatamente, citando innanzitutto il Bembo, impropriamente il Castelvetro ( « L'autor della Giunta », l l r) e molto genericamente « tutti gli amatori del vero )), i quali « han detto che la lingua con la qual si scrive dagli scrittori di senno, & regolati non può haversi dal popolo, il quale con vocaboli, & modi plebei è uso di ragionare; & coloro all'incontro con modi, & parole nobili, & di scelta ricevute dal commun uso, & consenso de' maestri dell'arte )) ( l lr). La lingua, continua il Corsuto, ha due livelli, quello della favella e quello della scrittura. Nella favella >, nella scrittura, invece, « ci siano maestri i libri di quegli autori, i nomi, & meriti de' quali sono ascesi al poggio mai sempre faticoso dell'eterna fama >> ( l lv). La favella si apprende per via naturale, la scrittura dei maestri per « virtù ))1 cioè « con una lunga essercitationc, & prattica che s'havesse co i libri, da' quali la scienza si prende, & le regole di quella scienza )> (9v). È la scienza dell'« artificio )> , si precisa, della « perfettio­ ne del ben scrivere, & del retto scrivere )> ( 1 2r), tutta consegnata nei libri dei maestri e riproposta, a fine Cinquecento, senza la connessione oraziana dell 'utile dulci, nella direzione unica del delectare. Le istituzio­ ni retoriche, ormai, vivono in uno stato di godimento, dopo la crisi della normativa classica e la celebrazione del primato dell'artificio. E l'artifi­ cio si ha dall'arte e non dalla natura, appartiene ai nobili e non al popolo. Il nodo più resistente del dialogo è quello della > della

Si antepone il Molza, Della Casa e Guidiccioni all'Ariosto e si apre lo squarcio :.ull'iter linguistico e stilistico, in direzione bembiana, dell'Orlando Furioso, nelle varie edizioni ( 1 5 16, 1 5 2 1 , 1532), e sulle diverse critiche mosse nei vari commenti cinquecen­ teschi, dal Dolce (Venezia, 1 542) al Pigna (ivi, 1554), dal Ruscelli (ivi, 1556) al Lavezuola (ivi, 1584). JS

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lingua, che, secondo il Salvia ti, « più nel popolo, che negli scrittori si ritrova, il qual popolo parla naturalmente senza ricorrere alle parole forastiere, come son usi di fare i scrittori » ( 1 3r).l6 Si apre , qui, un contenzioso tra due definizioni della purità di favella : da una parte il Salviati (interpretato dal Capece), per il quale la purità di favella consiste nel « parlar ordinario, & nativo communemente posseduto da quel popolo >> di Firenze, dali'altra il Corsuto, che distingue tra purità di favella e « parlar nativo >>, introducendo una particolare nozione di dialetto. L'una, la purità di favel1a, è « solo una schiettezza di parole senza alcun ornamento, di lingua sottoposta a1le regole » e appartiene alla « locution oratoria )>, come vuole Aristotele (Retorica, III, 2 ,

1404b-1405b) : Aristotele parlando delia locution oratoria, dice che 'l principal suo fon­ damento è la purità della favella [ . . . ] . In somma Aristotele vuole, che questa purità di favella debba esser regolata, & conditionata, & cinque conditioni è dibisogno, ch'ella riceva: la prima è la buona ordinatione, o coUocatione delle particelle unitive, la seconda il nominar le cose con i lor proprij nomi, la terza fuggir l'anfibologie, la quarta la buona distintion de' generi, la quinta, & ultima è il nominar le cose con la conformità del numero ( I Jv).

Sulla scorta del Bembo, poi, il Corsuto addita il Boccaccio " e il Petrarca 38 quali esempi della purità di favella e maestri della elezione 36 SuvrATJ, Degli avvertimenti cit., I, p. 100: . Quest'ultimo è proprio ed esclusivamente del popolo. Con tale distinzione il Corsuto circoscrive l 'area del dialetto, dandogli un evidente segno negativo e connotandolo come aggregato linguistico senza regole e impuro, che soffre costituzionalmente di aperture larghe e incontrollate, non verso l'alto, la lingua pura, da cui invero è nettamente separato, ma verso altri dialetti o realtà linguistiche popolari , in direzione orizzontale. L'ultima questione affrontata riguarda il fondamento del « retto scrivere » da porre non tanto nella « pronuntia », come vuole il Salvia ti nel l. III, cap . II (Dell'ortografia), quanto nell '« uso >> degli scrittori , cosl come insegnano i grammatici e lo stesso Quintiliano, laddove afferma « che non come si pronuntia scriver si debba, ma come have ottenuto la consuetudine ; pescia soggiungendo, che la scienza del ben scrivere, che orthographia da' Greci vien chiamata, è ancella dell 'uso » ( 1 6r) ." Su questo non si ammettono deroghe, né dubbi. Se poi si fa qualche concessione discorsiva, con il gusto di parlare per assurdo ( « se la pronuntia devesse esser il fondamento nello scrivere, donde pensere­ ste, che si togliesse ? » 1 6v), ciò agevola la mossa da scacco matto all 'ipotesi di Firenze, in « quanto che la pronuntia di Firenze è la più cattiva , per esser e11a tutta piena d 'aspirationi )> ( 1 6v),40 e all 'ipotesi della Toscana, « perché molte sarebbono le pronuntie, l 'una diversa dall'altra, & una sarebbe la lingua >> ( 1 6v) - di queste parla il Salviati nella particella IX (Se di quel di Firenze, o d'altro popolo di Toscana si debba seguir la voce nello scriver correttamente) - e permette di riaffermare con perentorietà l 'assunto centrale: .il fondamento della scrittura è nell'uso degli scrittori .

bellissima a maraviglia, e maeHrevole intanto, che altra non possa forse imitarsi, da chi lodevolmente esercitar si debba in quella guisa di poesia »), il Corsuto ribalta e puntualizza: « Non accade, che noi qui gli respondiamo, essendosi già dimostro quanto vaglia Dante per conto della favella: ma che nel Petrarca sia la leggiadria la sua principal lode, non è per certo di dire, essendo più sicuramente, l'ornamento della locutione, & lo spiegar de' suoi concetti con facilità » (15r). La stessa autorità di Quinriliano è esibita dal Salviati (Dc,gli avvertimenti cit., I, p. 201) in direzione contraria: « E benché dica Quinriliano, scrivasi, come si parla, se però l'uso non abbia ottenuto il contrario, altro non vagliano le sue parole, se non che all'uso, in questa parte, non si può far contrasto, e chi a forza ci convien secondario, avvegnacché abuso, per più verace nome l'avesse potuto appellare: poiché in ciò, non come a diritto signore, ma come a tiranno gli s'ubbidisce ». II Ramires definisce barbara )) (18v) la pronunzia del popolo fiorentino ed esemplifica a 19r. J9

40

c.

> ( 1 8r) . Al Ramires basta additare un sol nome, Ascanio Pignatelli ( 1 5 3 3 - 1 60 1 ) , che svolge un ruolo indubbiamente centrale nel secondo Cinquecento napoletano e diviene rappresentativo di una parti­ colare e ideale condizione socio-culturale, coniugando nobiltà di ceto e professionalità di letterato : . . . chiaro non solo, per l'antica sua nobiltà, ma famoso per letteratura, & per lo scriver sl felicemente, ch'egli fa nella nostra lingua, non da invidiar punto a11e buone scritture, di quei due famosi fiorentini, ne11a città de' quali non più quei Petrarchi, & quei Boccacd risorger si veggono: ma in sommo pregio è la mercarura ( 1 8v).

C'è ovviamente sapore di campanilismo, persino agitato, che trova tuttavia la sua ragion d'essere nella negazione di Firenze come capitale linguistica. La lingua della scrittura, invece, come ribadisce il Corsuto, è quella aulica ed arcaicizzante del Petrarca e del Boccaccio, per niente identificabile, come ha già dimostrato e ribadito, con quella del popolo fiorentino di allora . Per le sue capacità sovraregionali e sovratemporali la lingua della scrittura è al di fuori di ogni luogo e al di sopra di ogni tempo. Diffusasi su 'tutta la penisola, appartiene a chi ha l 'arte della scrittura, il ceto dei nobili . Certo non appartiene a una città , né a Firenze, dove il modello bembiano e ormai corsutiano del Petrarca e del Boccaccio non trova consensi e attraversa una fase di declino, mentre « in sommo pregio è la mercatura )> . A questa altezza l 'azione diviene frontale e il nemico sociale viene smascherato e biasimato, sia perché i « mercatanti )> sono « corruttori de' cittadineschi costumi )> ( 1 8v ) , sia perché sono soliti introdurre, per comodità, « novità )> lessicali che provengono dai barbari : Capece. Volete voi per questo biasimar l'arte dei mercatanti ? Ascanio. Senza dubbio. Gli vituperò Platone, & quel Prencipe de' Peripatetici disse, che si dovesser togliere dal numero de' cittadini; & anchora da' Greci furono discacciati dalle città fuori ne' borghi. Et la città - 1 70 -



OVVERO I L DIR DEI NOBILI

d'Epidauro affatto gli diede bando, stimandoli corruttori de' cittadineschi costum i . L'ignominia de' quali ricordò Andrea Faustellino in quei versi: Periurata suo postponit Numina lucro Mercator stigijs, non nisi dignus aquis. Et nel vero, essendo stata quest'arte, secondo Plinio, ritrovata dagli africani, per poter vivere nelle città, è stata solita d 'introdurre molte novità per esser molto commoda secondo, ch'afferma Virgilio Polidoro, a rimescolar­ si co ' barbari. Onde non sarà forse sconvencvole, che tanta stranezza de' vocaboli, & nel popolo, & nelle scritture de' più antichi fiorentini si ritrovi. DaJia qual stranezza l'accorto Boccaccio si guardò quanto poté; non che da quella alcuna volta non gli fusse stato fatta forza, com 'all'incontro il Petrarca non ne fu per aventura macchiato in alcuna parte. Capece. S 'io non m'inganno, non solo al popolo di Firenze, ma a qualsivoglia altro, a cui sia commodo questo rimescolamento già solito d'alterar le cittadine pronuntie, & introdurre strani vocaboli, il simil avie­ ne ... ( 1 8v).

Anche nel momento più teso, guando il ceto nobile identifica la lin­ gua del volgo con la lingua dei mercatanti, il discorso dei due dialo­ ganti, mai come ora concordi, rimane togato e procede con l'accumulo di riferimenti - Platone, Aristotele, Plinio, Andrea Faustellino, Virgilio Polidoro,41 - coi quali si costruisce la linea d'attacco. L'intero passo del Corsuto appare montato con materiali provenienti dal testo di T. 41 Platone, nelle Leg. V I I I , 847d-e, propone di bandire da tutto il territorio statale il commercio al minuto, fatto a scopo di lucro. Aristotele, ncii'Oeconomica I , 1343a, elevando la natura (!flUa��) a metro per misurare ogni attività umana, postula una ge­ rarchia di attività (innanzitutto l'agricoltura, in secondo luogo lo sfruttamento deli:. terra, come nel caso delle miniere), che si dispongono in ordine decrescente. Il com­ mercio, invece, dipende dall'uomo c non è secondo natura. Basato sullo scambio e pratica­ to da alcuni a spese d'altri, il commercio, secondo Aristotele, va giustamente riprovato (cfr. Politica, I (A), I258a-b c passim). Il Corsuto rimanda, inoltre, a Plinio, Naturalis historia, V I I , 56 (57), 199: ( « mercaturas (invenerunt) Pocni » ] , Andrea Faustellino (ancora da identificare) c Vir­ gilio Polidoro da Urbino ( 1 470 c.·l555), autore del De rerum inventoribus ( 1 499), una opera più volte ristampata e largamente diffusa, volgarizzata poi nel 1 587 da F. Bal­ delli. II luogo, a cui il Corsuto fa riferimento, è il l. I I I , c. XVI del De rerum inve;z­ toribus, dedicato ai « primi che hanno ritrovato la Mcrcatura » e ai (( primi Fattori dc' Mercanti »: (( La Mercatura, per dire il vero, è di non piccolo aiuto a gl'huomini di questo mondo, posdache ella è , che provvede all'utile e giovamento della vita umana col trasportare per tutto quelle cose, e merci, che sono al viver nostro necessarie, & oltre a ciò è quella, che gl'huomini ammaestra, & instruisce nell'uso, e nella spericnza di molte cose, molto grandi; si tiene eziandio che ella vaglia non poco, a fare, che si facciano ncgozij, & amicizie ('On genti Barbare, & anche con i Rei ». Si cita dalla ristampa del volgari:r.zamento De gli inventori delle cose. Ubri 8. Tradotti per Francesco Baldelli, in Brescia, Per D. Gronù 1680, p. 187. Ringrazio G. Arbb..zoni per la consulenza nel reperimento di questa fonte. c

c

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PASQUALE SABBATINO

Garzoni, Piazza universale di tutte le professioni, stampato per la prima volta nel 1585. Il Corsuto rimaneggia con cura e rimescola con artifi· cio i moduli compresi nel discorso LXV, De' mercanti, banchieri, usurai, fondaghieri, & merciari, del Sarzoni. Si l avora, dunque, sui seguenti stralci, che citiamo dalla stampa veneziana di Tomaso Baglioni ( 1 6 1 0 ) , disponendoli parallelamente alla successione seguita dal Corsuto : Platone anch'esso vitupera in qualche parte i Mercanti ( . . . ). Arist. anch'egli commanda, che si debba mettere ogni cura, che le città non siano punto cor· rotte dalle cose di fuori, & benché i Mercanti siano necessarij, non vuole però che siano posti nel numero dc' cittadini, & sono da lui biasimati assai, perché essi si dilettano di menzogne, nelle città travagliano le piazze, solevano tumulti, & seminano discordie (c. 237r). I Greci non volevano Mercanti a patto alcuno nella città, ma, accioche i cittadini fossero liberi dal sospetto del pericolo, gli ordinavano un mercato delle cose da vendere fuori de i borghi. Molte altre nationi non volsero, che i mercatanti, andassero a loro, perché gli havevano per corruttori di costumi, con le novità, che introducono. Gli Epidauresi, hoggidì Ragusei, veggendo (come dice Plutarco) che i cittadini suoi si facevano ribaldi per la prattica, la quale havevano con gli Schiavoni, dubitando che corrompendosi i co­ stumi de' cittadini loro per la conversa tione de' Forastieri non si suscitassero cose nuove nella città, principalmente eleggevano un'huomo grave, & saputo da tutta la moltitudine, il quale andasse in Schiavonia, & comprasse quel , che bisognava per gli suoi (c. 237r). Ma Andrea Faustellino a proposito de' spergiuri mercantili la sfodra me· glio in quei due versi: Periurata suo postponit numina lucro. Mercator stygijs ; non nisi dignus aquis (c. 236v). La professione de' Mercanti, ritrovata, secondo Plinio nel settimo libro, da gli Africani ... (c. 235r) . Plinio crede, ch'ella ritrovata fosse per cagione principale del vivere. Polidoro Virgilio dice, ch'ella è molto commoda a pigliare la compagnia dc' barbari . . . (c. 235r).

Il confronto tra il Garzoni e il Corsuto se da una parte rivela una fonte utilizzata dal secondo, ma non citata, dall'altra la dice lunga, e a chiare lettere, su questo Corsuto saccheggiatore, che si aggira tra i testi altrui senza molti scrupoli. Invero al Corsuto interessa che l a cultura dei nobili tiri fuori dagli scaffali le scritture di c u i è proprieta­ ria e custode, con l'esibizione di testi e autori, in modo da poterli senti·

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« IL DIR NOBILE '' OVVERO I L DIR DEI NOBILI

re tutti dalla propria parte. La convocazione è resa necessaria dal mo­ mento storico assai difficile, con l'emergere dei mercanti e con l 'en­ trata della loro lingua, piena di « novità )) e « stranezza di vocaboli ))' nella scrittura, col rischio che i nobili vengano espropriati e gli statuti siano sovvertiti. Questa tabella di marcia degli apporti linguistici re­ gionali e dei dialetti è sentita dai nobili in una dimensione di conflitto sociale. L'ostruzionismo del Corsuto, condotto con ogni sforzo e con una mastodontica mobilitazione di auctores e di auctoritates, da una parte dà la misura di quanto sia lunga, nel tempo e nello spazio, l 'onda delle posizioni bembiane, che resistono a Napoli, sul finire del Cinquecento, nell 'ambito nobiliare, dall'altra fa intravedere le misure del campo avversario e della diffusione della lingua dei mercatanti, ormai sulla scena della storia e della scrittura . Parallelamente alla rivendicazione, da parte del ceto dei nobili, del diritto esclusivo e inalienabile alla scrittura, si agita l'attribuzione allo stesso ceto delle arti del grammatico, « il cui fine è l'insegnar di ben favellare >> (22r), e del « retorico )>, il cui fine è « il vero » . Qualche contestazione vien mossa dal Capece, ma non per quanto riguarda l'attribuzione di tali arti al ceto dei nobili, - su questo c'è unanimismo tacito e complice, - quanto sul fine della retorica (« Io mi sarei guardato di dire, che 'l fin del retorico sia il vero >>) . Il Ramires, però, non scende a patteggiare, anzi rimane fermo nel ruolo di protagonista e di saggio, che dà risposte e soluzioni. Ammette, sulla scorta di Aristote­ le (Ethica Nicomachea, I (A), 1 094a- 1 098b; Politica, III, 1282b), che « tutte l 'arti hanno per fine il buono, e 'l buono si converte col vero, perché si converte con l 'ente, dunque il vero sarà il fine di tutte l 'arti )) (22v). Ancora una volta si delinea il quadro generale e si tracciano le coordinate d 'insieme ( « Et anchora la nostra volontà considerata in se stessa, ha per fine il vero, perché ha per abbietto il sommo bene, & non sol questo, ma secondo alcuni quel che si converte con l'ente » , 23v). Tutte le arti, dunque, hanno per fine il vero. A sua volta la volontà dell'uomo, tesa al sommo bene, che si converte con il vero, ha per fine il vero e potrà raggiungere il buono/vero attraverso ciascuna arte, cioè attraverso la settorialità e specificità e professionalità del canale prescel­ to . Nel caso della retorica, il canale in questione, il Ramires invita a considerare , il primo in « se stesso >> e il secondo . L'uno è « il dire ornato & acconciamente )>, l'altro sta « nella persuasiva )> . Entrambi questi fini, l '« enunciatione )> e il « persuade-

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re )>, sono il vero del retore e appartengono alla unicità di tale profes­ sione : Et diciamo così, che 'l vero è di due sorti, l 'uno si chiamerà incomplesso, aver trascendentale, che il veio nell'essere fu chiamato da altri : l 'altro complesso, cioè nel dare, overo nell'attribuire . Se ragioniamo del primo non sarà altro solo che una proprietà dell'essere di ciascheduna cosa, secondo, che stabilito gli fu, come vuoi Avicenna, & di questa verità si chiama vero ciascheduno ente, della qual verità parla il metafisica. I l secondo, che complesso si chiama, sta nell'enunciatione, & nel persuadere, & è proprio del retorico, senza che ad altri convegna (23v).

Il profilo professionale del retore, messo a punto nella finalità, esce fortemente consolidato, per un rilancio accanto e assieme all'altro profi­ lo professionale, quello del grammatico. L'uno e Faltro si raggiungono con la « virtù » , cioè « con fatica, & essercitatione ». Nulla può « la natura, & la fortuna » (9v). Si ammettono cosl e si cercano vocazioni in ambito nobiliare, mentre si escludono categoricamente nell'ambito dei mercatanti. La campagna di propaganda per le vocazioni del retore e del grammatico punta a garantire il futuro della scrittura e a salvaguardarne l'eredità. l nobili hanno ben inteso che il dominio della scrittura consente loro il dominio su tutte le altre scienze, - quelle del trivio (grammati­ ca, retorica, dialettica) e quelle del quadrivio (musica, aritmetica, geo­ metria, astronomia) - che la scrittura conserva, sviluppa , tramanda , e tra queste sulle scienze speculative, per mezzo delle quali l'uomo rag­ giunge la « somma felicità, & beatitudine » (27r), secondo l'insegnamen­ to di Aristotele: Voleva Aristotele che la beatitudine della intelligenza inferiore consistes­ se nell'apprensione dell'intelligenza superiore, perché intendendo quella s 'uni­ va a lei . . . (27r) .42

42 La « fruition d'Iddio » (28v), conseguita attraverso le scienze speculative, è corretta e integrata secondo la prospettiva della « fede '' cattolica ( « la nostra fede »), che richiama alla « santità della vita ». La somma felicità, allora, non è �< nel lume dell'intelligenza J>, ma nella > OVVERO I L DIR DEl NOBILI

Dalle scienze speculative, inoltre, deriva la « virtù » morale, neces­ saria per l'apprendimento della grammatica e della retorica: Volse Aristotele che tutte le virtù morali fussero intrecciate insieme, & alla sola prudenza congiunte, & chi questa sola possedesse di tutte l'altre fusse signore, le quali virtù morali traggono l'origine dalle scienze speculati­ ve; in quelJa guisa, che una scienza subalternata depende dalla scienza subalternante, cosl la scienza morale, ch'è scienza prattica havrà l'origine dalla scienza speculativa (27v-28r) .

Il cerchio è ormai chiuso su se stesso . Il percorso filosofico del dia­ logo rientra su quello grammaticale-retorico. Il segreto della felicità umana è nella scrittura e questa appartiene per eredità e per diritto ai nobili, destinati per vocazione alle scienze della grammatica e della retorica, che si possono apprendere solo con la « virtù » morale prove­ niente dalla scienza speculativa, consegnata a sua volta nella scrittura dei filosofi. Il cerchio, ormai, si è trasformato, da postazione di attacco e di difesa, in una morsa autoaccerchiante e, alla lunga, perdente.

4. Le codificazioni linguistiche deWaristocrazia napoletana L'impegno di codificazione linguistica da parte dei nobili, nella Napoli vicereale di fine Cinquecento, presenta soluzioni e posizioni diversificate, che hanno tuttavia un comune denominatore, respingendo e disprezzando le parlate degli altri ceti sociali. Al momento si possono già inventariare alcune testimonianze coeve al Corsuto, che danno la misura e le articolazioni di questo processo. È il caso della presenza, tutta ancora da definire e valutare, del marchese Giovan Battista del Tufo (Napoli 1 548 ca. - 1 600 ca.), che, nei >, Ritratto o modello delle grandezze, delitie el maraviglie della nob.ma città di Napoli,'' scritto nel 1588 o giù di Il,

4 Il ms., conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli, coll. XIII. C. 96, è stato edito 3da C. TAGLIARENI (Napoli, Editrice La Zagara 1959), con criteri filologici molto discutibili, per cui si cita dal manoscritto. Per il profilo di Del Tufo cfr. S. VoLPICELLA, G. B. Del Tufo illustratore di Napoli del secolo XVI. Memoria letta all'Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti nella tornata del dl 7 gennaio 1880 e nelle seguenti, Napoli, Stamperia della Regia Università 1880; G. M. MoNTI, Un documento inedito su G. B. Del Tufo, in Le villane/le alla napoletana e l'antica fir;ca dialettale a Napoli, Città di Castello, « Il solco » 1925, pp. 348-355; S. NIGRO, Dalla linP.Ua al dialetto cit., pp. 451-452· A. QuoNDAM, La parola nel labirinto cit., pp. 115-1 19: addita il senso del­ l'operazione di Del Tufo nella « ricognizione etnolo{!ica », nel « gesto imperialistico », che tiene « attentamente distinti i livelli della lingua c del dialetto, per non contaminare la - 1 75 -

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per « le gentil donne �> di Milano, dove l'autore soggiorna « dal ritorno di Fiandra >>, si mostra attento a rilevare la molteplicità dei livelli del dialetto napoletano, ridicolizzando quelli bassi per il degrado da sotto· specie e optando chiaramente :>er quello alto dei nobili. Ad apertura del Ragionamento quinto, il Del Tufo si propone apertamente di dimostrare « il parlar goffo de la plebe. In dispregio di quella >> . Sviluppa poi più ampiamente a c. 1 29r·v: Ma lascio ben quel de la nostra plebe eh 'in uso ella sempre hebbe, ché sol la mescolanza di tante lingue, e forastier parlare fanno tutti inciampare come si vede già per mala usanza con cui ben spesso offende l 'usata orecchia al ben parlar ch'intende. Ché per dir stamo in piè diranno all'erta e per dir porta aperta con lingua lor mal nata usano a dir tal hor: spaparam:ata com' a voi spalancata o pur con bocca torta

spaparam:a sa porta et invece d'ansare dicono i popolan sparpatiare et al fanciul, che tien quel, che gradisce gli dicono isce isce. Poi s'havran qualche colera con voi diran senza ritegno per ogni picciol sdegno

Mannagia l'arma de li muorte tuoi.

' purità ' (e non solo linguistica) del comportamento nobiliare ». Sulla stessa linea è P. FASANO, Gli incunaboli della letteratura dialettale napoletana (« che!le lettere che fecero cammarata co la Vaiasuide »), in Letteratura e critica. Studi in onore di N. Sapegno, I I , Roma, Bulzoni pp. M. PETRINI, La Musa napoletana d i G. B . pp. (utilizza il Del Tufo a sostegno Basile, al « gentil signore )> (cc. l l l v- 1 1 2r). Tuttavia il Del Tufo individua un livello alto e supe­ riore del dialetto, « il fave1lar gentil napolitano )) che appartiene all'ari­ stocrazia ed è « uguale al toscano >> (c. 1 29r) per dignità. Questo filo d'Arianna dell'intero Ritratto o modello delle grandezze, delitie et maraviglie della nob.ma città di Napoli riappare a cc. 1 32v- 1 33r: Ma 'l raggionar, c h e a' cavalier conviensi di supremi alti sensi come son quei de la mia patria bella la cui dolce favella può stare al paragon d'ogni parlare fuor di che poi la vuoi troppo stirare col suo toscanizzare havendo solo a mente spesso il tosto, e 'l sovente che non saprà che sia questa soventaria col testé, e 'l guari o 'l chenti, altresì, o 'l lembo che non stan ben quasi al Boccaccio o al Bembo.

dove il Del Tufo polemizza contro i fautori di una contaminazione « troppo » ostentata tra il livello alto del dialetto napoletano, capace di vita autonoma e paritaria, e il volgare del Bembo. Il punto che accomuna il Del Tufo e il Corsuto è la battaglia al dialetto della plebe e dei mercanti . Tuttavia il Del Tufo salva il livello alto e aristocratico del dialetto e lo colloca sugli altari, accanto, per dignità, al volgere del Bembo, ma in funzione alternativa, con la salva­ guardia di una identità regionale della nobiltà napoletana. Da parte sua il Corsuto non coglie la molteplicità dei livelli nel pianeta del dialetto e non rileva o non ammette l'esistenza di un livello dialettale aristocrati-

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co, guardando la scena di Napoli da una prospettiva dicotomica: da una parte i nobili, dall'altra il volgo (cioè i mercatanti). Alla scelta dialettale di questi ultimi, l 'unica contrapposizione possibile per il Corsuto è la mobilitazione attorno al volgare del Bembo. Un'altra testimonianza del dibattito nobiliare sulla codificazione linguistica è nella seconda giornata del Fuggi/ozio (Napoli 1 596) di T . Costo. L'occasione è offerta dal contrasto emerso tra i sostenitori della natura « tanto goffa e biasimevole >> delle villanelle napoletane e la domanda che si leva invece « appresso degli stranieri >> di questo gene­ re : - Dirovvi, Signore: - li rispose lo Studioso - non è che le villanelle siena da sé goffe né biasimevoli, ma le fan parere ed esser tali alcuni capecchi che, conformandosi con l'umore della rozza e vii plebe, ardiscono di manifestar le lor strane chimere con certi versi o di nove, o di dieci, o di diciotto piedi, anzi che non hanno piedi, né cose di buono che sia, e poi se ne gonfiano immaginandosi d'esser poeti -. - Adunque - soggiunse il Ravaschiero - le villanelle non sono da disprezzare, quando sono ben fatte? Desidererei, se cosl è, d'intendere quali son le cotali - . - Quelle - rispose lo Studioso - che saran fatte nel modo ch'io vi dirò, cioè che non abbino certi vocaboli non usati da altri che da' più vili bottegai di Napoli; che siena senza errori di grammatica; che abbiano i versi giusti, dico giusti di fiato, cosl gli interi, come i mezi; che vi sia spirito e grazia ; e che il soggetto, se non sempre nobile, sia lontano almeno dalle cose indegne e vili. O tu vorresti, mi si potrebbe dire, ch'elle fussero alte di concetto e di s tile, d 'un parlar limato e ben toscano, e che in tutto si pareggiasse al sonetto? Anzi no, perché neanche questo parrebbe punto bene in esse; ma che abbino e il concetto e lo stile facile, familiare e dolce; ed il parlar piuttosto paesano ma nobile, che altramente; del pareggiarsi a' sonetti non ne parliamo, perché a tanta eccellenza non fu destinata la loro bassezza. E però non manco errore de' primi fanno alcuni altri che, facendo professio­ ne di compor villanelle, s'ingarbelliscono come se avessino a far o un sonetto, o una canzone, o altro componimento simile; e, perché né l'ingegno, né gli studi corrispondono all'ardire, vengono a fare una cosa che non è né l'uno né l'altro, infilzando una parola toscana con tre di quelle che s'usano nel mercato di Napoli, e mettendo bocca a materie alte, vi s'inviluppano, parlando a caso, e insomma si fan conoscer per quel che sono.44 44 Si cita dall'ed. critica a cura di C. Calenda, prcannunciata nel saggio Sul testo de ' Il Fuggi/ozio ' di Tomaso Costo (.23 Ben diverso il rapporto del letterato con l 'autorità, esaltata per abitudine cortigiana,24 ma anche per convinzione quando si mostrava capace di garantire la tranquillità della vita quotidiana : per la città partenopca è il caso senza dubbio di Gaspare de Haro e Guzman , prima ambasciatore spagnolo a Roma, quindi viceré 25 e capitano genera­ le nel regno di Napoli, dove combatté efficacemente il banditismo e la delinquenza.2 6 In questa veste e non in quella, pur dovutagli, di intelliicnte restagliata » col significato di gente tartassata, ivi, VII, p. 120 L'heroina intrepida cit., II, p. 667. Cfr. anche ivi, III, pp. 46-47. v un a a o i· e n ta c A q�:s � F��!�ir! rif�ri:���� a ��h� ��l �:J d7 b��!e�:�i:� Vlì��- 67 3 s���� ; postilla, scrivendo di averlo [ .. . ] descritto allusivamente [ .. . ] nella Candia angustiata italiana ». L'heroina intrepida ci t., II, p. 667. Il cane di Diogene cit., III, p. 125 seconda postilla. 1erza postilla, o seconda postilla.

«

20

.30

Gli scrittori napoletani , per nascita o per formazione e vicende biografiche, del Seicento non compaiono nell'opera frugoniana con i1

Il cane di Diogene lvi,

( ... ] »: cit ., VI, p. 666 e sterminato « [ ... ] gli sbanditi, che infestavano assassinandosi a' viaggianti la sicurezza, alle terre il riposo »: VII, p. 674. 27 p. 671 si accenna, tuttavia, a questo suo merito: « Apollo in vero, c'havrà d'intorno le vinudi corteggiatrici, le gratie domestiche, le scienze sollevate, le muse ossequiose». 2B V, pp. 645-646. Precedentemente si legge: « [ . . . ] heroico, e non mai a bastanza celebrato Marchese del Carpio, [ ... ] un Ulisse, col suo reno, e regio governo della sirena partcnopea [ . . . } »: p. 529; cfr. anche VI, pp. 665-667, 669, VII, pp. 671-674, dove si immagina che la sua statua sia nel museo della gloria. 19 p. 149.

lvi,

JO

ivi,

ivi,

ivi,

lvi, I, Ibidem.

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CARMELA REALE

rilievo che ci si potrebbe attendere da un consumatore instancabile di libri, ma le predilezioni del frate ligure andavano verso percorsi di lettura diversi e non risultano citati da lui gli esponenti insigni della let­ teratura dialettale, forse a lui addirittura ignota, ma nemmeno scrittori in lingua del calibro di un Artale, peraltro, come vedremo, membro insieme col Nostro dell'accademia dei Rozzi, mentre sono ricordati i nomi più noti del Quattrocento e del Cinquecento partenopeo, fra gli altri il Pontano, celebrato più volte, « consultore » del giudizio nel tribunale della critica, « sensatissimo » e « assennatissimo » ,31 il Sanna­ zaro, soprattutto il Tasso, sentito probabilmente dal Frugoni in primo luogo come il poeta bistrattato dalle corti, più volte dichiarate sorde alla vera poesia, compagno nell'avventura intellettuale che non trova più la pretesa ricompensa in un mecenatismo ormai mitico ai suoi occhi . Occorre notare che l'elenco d e i nomi contemporanei esplicitamente inclusi dallo scrittore nel suo Parnaso o richiamati nelle postille del Cane è meno vasto di quanto si potrebbe pensare e mostra più volte predilezione per le amicizie personali: Emanuele Tesauro, Anton Giulio Brignole Sale, Antonio Abati, Giovan Battista Vidali. Quasi unico elogio che impegna il Frugoni in area napoletana è quello per Giacomo Lubrano, notato da lui non a caso alla cena dell'eloquenza e ritenuto « [ ... ] grand'architetto di sontuosi delubri, e di macchine cosl alte , che toccavano con la punta il cielo, avanzandosi più che gli obclischi di Memphi: mostruoso ingegnone,3 2 che tenea un'Africa, ma coltivata nell'idea strana: sirena partenopea, non da indormir con la cantilena. profana gli ascoltatori, ma da svegliar anco i Tassi con la sua facondia divina: poeta cos1 canoro, ed Orfeo cotanto harmonioso , che con la cetra in braccio del Crocifisso rapia non le selve, ma le città intere; se pur non rcndea mobili a seguitarlo i sassi, ed i tronchi, humanando le alme ostinate, in convertirle di proterve in pie »,33 ma il Lubrano, gesuita, predicatore famoso, che non aveva ancora pubblicato le Scintille poetiche/4 viene celebrato per la poesia religiosa e sposta quindi la considerazione critica sul piano del moralismo cos1 congeniale all'autore. Sono soltanto nominati il Muscettola e il Battista, insieme con altri 31 lvi, V, rispettivamente pp. 246 e 248. l2 Cfr. ivi, p. 351 prima postilla, dove il predicatore è detto « grand'ingejilnone » dotato di « furor perifrastico » e nel testo « grande macchinator dc i traslati ». ll lvi, pp. 589-590. l-4 Napoli, Domenico Antonio Parrino e Michele Luigi Mutii 1690. - 1 86 -

F. F. FRUGONI E NAPOLI NEL SEICENTO

cigni melodiosi,JS che è appellativo troppo usuale in Frugoni per indica­ re un vero e proprio giudizio, e di un altro poeta, Francesco Balducci, palermitano, ma vissuto a Napoli prima del definitivo trasferimento a Roma e autore di un discorso accademico sulle eruzioni del Vesuvio, il letterato ricorda soprattutto le sventure di poeta mal ripagato, anche se ne qualifica le poesie come impareggiabili, ma ridimensionando poi i sonetti.36 Eccezione di rilievo in questo panorama Giovan Battista Marino : il Frugoni ne condanna ufficialmente la musa erotica, ma dimostra, citan­ dolo più volte, di conoscerne l'opera poetica e di sentirne probabilmente un fascino inconfessato, né sembra strano in uno scrittore cos1 proclive all'ossessione femminile e allo splendore della parola che si metamorfiz­ za. Ricaviamo dalle sue opere qualche aneddoto: « Il Cavalier Marino, che fu l'Ovidio del Sebeto, soleva dire che la natura , in marcar uno con qualche difetto, suoi fare come chi fabbrica, traversando un trave, o sponendo un segno, in avviso che per colà non si passi, per isfuggire il periglio di qualche ruina in testa » 37 o anche « Tornandoscnc da Parigi in Italia il Cavalier Marino, incontrò in Marsiglia un prelato, che andava alla corte il quale gli addimandò, che cosa là si facesse? all'hor rispose il Marino: Monsignore non vi troverete più niuno ; e perché? replicò sorpreso l'altro : perché (soggiunse il faceto ingegnone) gli ho lasciati tutti instivalati )> .3 8 Non si può non notare che la qualifica di « Ovidio del Sebeto », anche se indica la poesia lasciva dell'Adone, istituisce comunque un paragone con un grande poeta e che « faceto ingegnone » non è sicuramente un'espressione casuale in un ammiratore indiscusso delle capacità del1 ' ' ingegno ' (la metafora stessa, del resto, è per lui' ingegnosa '). Sono ricordate nel Cane anche le polemiche con lo Stigliani e il Murtola : Girolamo Preti >. 39 lvi, IV, p. 312; la polemica con il Murtola è ricordata anche ivi, p. 206 seconda postilla: « Qual hor due scrittori si cimentano, si scuoprono le magagne; cosl anca fcrono il Munola, c il Marino''· 40 lvi, p. 390 ultima postilla. CoNRIF.RI scrive: « [ . .. ] la diffcrem:a tra i due 41 lvi, p. 299. Giustamente scrittori è posta non nello stile, �sirene" tutti e due (e si noti che il Frugoni si compiace frequentemente di contrapporre ai buoni scrittori, " sirene" o " cigni ", i c� ttivi, "gufi" "corvi " "cornacchie" "civette" c cosl via), ma nella qualità dell'ispira­ liOne, terrena quella del Marino, celeste quella del Vidali: contenuti mondani e lascivi nel primo, morali c sacri nel secondo)): Poetica e critica . .. cit., p. 190.

D.

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F. F. FRUGONI E NAPOLI NEL SEICENTO

Il nostro scrittore qua e là postilla il Cane con versi mariniani , onore riservato alle citazioni bibliche, a autori dell'antichità classica fra cui Ovidio -, agli spagnoli Quevedo, Gongora, Antonio Perez. Citazione utilizzata almeno tre volte sono i versi « Pasquino gli com­ ponga tepitafio, a lettre tonde: qui giace un dottore, ch'a pena sapea scrivere col graffio »,42 immagine insistita in tutto Il cane di Diogene, dove l'autore si scaglia continuamente contro chi pubblica libri saccheg­ giando le opere altrui . Più volte Frugoni precisa anche l'opera mariniana da cui attinge qualche verso - come si vedrà, soprattutto La galeria - , ma non per consuetudine obbligante; riporto di seguito nella successio­ ne in cui si leggono nel Cane i versi citati : « Non hebbe altro di buon, fu can del duca »,43 « Sul turacciol d'un destro, aver d'un pozzo >>, 44 « Tartareo Giove, che con scettro eterno del palid'orco, e del profondo averno volgi 'l governo >>, 45 « O sapremo arcifanfano de i cucchi )>, 46 « Sonando un calescion dole', e piccante )), 47 « Sareste meglio assai per un sonaglio d'appender al somaro di Parnaso » /8 « Manna Rovenza, con Bovo d'Antona, gl'ingarbugliaro subito il cervello, e spogliato di lauro un fegatello gli ne fecero far una corona >>.49 Per La galeria due citazioni sono ripetute due volte, la prima che riporto anzi una volta è citata nel testo e non in una postilla: « O quanti son, che mostrano di fuori / Gratia negli atti, e leggiadria nel volto; l Ma dentro non han dramma di cervello: l E per tal stravaganza il mondo è bello!>>," quanto all'altra, si tratta di: « Saggio scultor, tu così 'l marmo avvivi, che son di marmo appress'il marmo i vivi )> . 51 Mi sembra utile indicare per completezza anche le altre citazioni dalla Galeria: « Ben habbia lo spedale, che sol perché la peste havea lodato, non volse al mio morir esserm'ingrato »,52 « Qui va in groppa il madrigaletto del Marino :

cane di D;ogene lvi, lvi, lvi, lvi, lvi, lvi, lvi, lvi, lvi, vi,

42 Il cit., V, p. 17 ultima poslilla, VII, p. 1 1 9 seconda postilla, con ((che solo» al posto di ((ch'a pena ». L'ultimo verso anche ivi, V, p. 631 terza postilla. 43 III, p. 229 seconda postilla. 44 IV, p. 538 seconda postilla. 4.5 VI, p. 357 prima postilla. p. 525 ultima postilla. 46 47 VII, p. 331 prima postilla. >" e un riferimento alla Strage degli innocenti: « Plu­ ton è il re de' maligni, onde tien sette corna in testa (conforme il descrive nella Strage dell'innocenti il Marino) [ ... ] >>.56

Nei Ritratti critici, nell'Epulone e nel Cane di Diogene Frugoni afferma di aver ristampato a Napoli il suo poemetto giocoso La guardin­ /anteide,51 purtroppo senza indicare l'editore o il tipoirafo, dato che conferirebbe un maggior grado di sicurezza nell'accettare la veridicità della notizia, non essendo stata finora rintracciata la stampa. Si ha invece l 'indicazione indiretta della data, poiché il volumetto appare « [ ... ] ristampato assai subbito, venti quattr'anni sono, in Milano, e in Napoli [ . . . ] >>"e, forse, il formato del libro, ,59 con riferimento alle tre stampe di Perugia e, appunto, Milano e Napoli. È, d 'altronde, abbastanza credibile che lo scrittore abbia ristampato questa sua operetta in una città che vedeva nel diciassettesimo secolo un buon incremento dell 'attività editoriale; 60 in tal caso un motivo in più potrebbe averlo indotto ad un soggiorno partenopeo. D'altra parte Frugoni aveva certamente occasione di incontrarsi o

lvi, VI, p. 244 ultima postilla . lvi, VII, p. 681 ultima postilla. lvi, III, p. 128 prima postilla. Della seconda quartina della XXXI fischiata è saltato il secondo verso, nel primo è scritto luoghi al posto di buchi citato da Frugoni. lvi, VI, p. 722 ultima postilla. Perugia, Pietro Tornassi 1643. De' ritratti critici cit., III, p. 673. Poiché i Ritratti sono pubblicati nel 1669 e i permessi di stampa ris"!Itano .rilasciati H 25 . fe?braio e l'l novembre 1668, la stampa napoletana della Guardznfanletde dovrebbe malire al 1645 o al 1644 date che ben si adattano all'indicazione ((ristampato assai subbi1o L'Epulone, Vene-.da, Combi e La Nou 1675, pp. finali non numerate. L'indicazione della stampa napoletana, ma non di quella milanese, compare anche nel Cane di Diogene cit., VII, p. 850. Cfr. M. SANTORO, lntrodu:zione in Le secentine napoletane della Biblioteca Nazionale di Napoli, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato 1986 ( ((Quaderni della Biblioteca Nazionale di Napoli)>, serie VI/2), pp. 1·62. 53 .'i4

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F. F. FRUGONI E NAPOLI

NEL

SEICENTO

comunque di scambiare esperienze intellettuali con i colleghi che da ogni parte d'Italia confluivano nei sodalizi accademici.61 Non venivano meno a questa consuetudine gli scrittori di area meridionale e almeno una volta abbiamo diretta testimonianza della presenza del suo nome nell'ac­ cademia dei Concordi di Ravenna accanto a quella di Baldassarre Pisani e di Federico Meninni, fra loro legati da amicizia; dei componimenti in versi di questi e dello scrittore ligure compaiono insieme a molti altri in una miscellanea poetica di questi accademici.62 Ancor più rilevante per il nostro discorso è il fatto che nella stessa Napoli il Frugoni fu anche membro di un'accademia, quella dei Rozzi, come egli stesso ricorda attraverso le lodi che sotto il nome di Innocen­ zo Pellegrino fa del Cane: 70 dei Rozzi e definito dal Gimma « Cavalier letterato )>.7 1 Il Minieri Riccio riferisce una notizia interessante, senza peraltro istituire alcun collegamento con l'attività dei Rozzi: infatti nel

l'autore de' Fasti Mariani, ne incomincia l'elogio con queste parole:

Pallade(m) Chri· stiana(m) damus, Catharina(m) inqua(m), fortissima(m) Virgine(m), et sanctioru(m) Musaru(m) dignissima(m) Praeside(m), non aegide, aut hasta mendaà, sed rota fracta, et lacteo gladio formosa( m)». è « » » 25. >> è 165 recto c: verso, .307 - ccADF.MIF.· . . 500. La recto, 146; 27 1926» è 165 », H

Nel margine sinistro annotato «Rozzi» e sono dati i riferimenti Proclus lib. Il. in Tim. Plat. per Proda, �(Martyrol. Rom. X Septemb. per Santa Rosalia e «Fasti Mar. Novemb. per Santa Caterina. Il ms. un codice cartaceo del XVII secolo di cc. scritte, tranne qualcuna, sul segnato D.IV A SC MS numerazione, posta sul tiene conto di fogli intercalati che non sono computati sul margine alto destro del in un'annotazione in una preesistcnte numerazione a inchiostro che si ferma a c. a mano posta sull'interno della rilegatura sotto il timbro « l\.1AG scritto «Carte numer. (numerazione a macch. - ivi comprese tutte le carte e foglietti stac· cati) nonché l'occhiello, il frontespizio e la dedica, seguono timbro e la firma del· l'allora bibliotecario; un'etichetta della Biblioteca, posta anch'essa all'interno della c� pettina, sul margine inferiore sinistro, reca l'indicazione Ms. N. 1 15. Il titolo manoscritto a c. lr. era originariamente La Biblioteca Manuale degli Eruditi: Titolo Secondo ., poi La c Titolo Secondo sono stati cassati e sostituiti rispettivamente da Della e Le Acca­ demie. A c. 2r si legge: «La Biblioteca Manuale degli Eruditi Divisa in Centrotrenta Titoli Di Gioseppe Malatesta Garuffi Riminese - Le Accademie Opera In cui non solo si arrecano le Notizie delle Accademie di Littere Umane, di Filosofia, Politica, Dogma· tica, Pittura, Scoltura, Musica, etc. Aperte in molle Città dell'Italia; ma ancore le Eru­ dizioni spettanti alle Imprese delle medesime; oltre [prima "con", successivamente cassato] alcune Invenzione Accademiche, ed una Serie di Problemi Eroici, Morali, e Vari»; a c. 311v si legge la dedica �(A' Virtuosissimi Leggitori e a c. 4r viene ripe· tuta il titolo definitivo, con la stessa sostituzione di «Le Accademie)) sotto un cassato >. I sonetti sono disposti uno per ogni recto e verso delle carte. Infine a quelli apposti alle cc. 3r, 3v, 4r, 5r, 5v, 6r, Br, l l v si trovano brevi postille di mano dell'autore. I com· ponimenti alle cc. 4v, 1 3v, 1 4v, 15v, 1 7r, 20r risultano cassati con fre· ghi verticali. I titoli a c. 16v non corrispon­ dono ai rispettivi sonetti.6 La raccolta oratoriana, costituita da 291 sonetti, di cui 4 in dialetto napoletano e l in lingua mista di italiano, latino e napoletano, 5 canzoni e l lettera in terza rima, è trasmessa dal ms. 28. l . 55. appartenente al fondo Valletta della Biblioteca. Si tratta di un codice cartaceo, di mm. 1 65 x 215 del sec. XVII, legato in pergamena, in buono stato di con­ servazione, di cc. 1 5 1 con altre 6 cc. bianche. Il manoscritto, che nel catalogo del Mandarini 7 risulta registrato sotto il titolo di Poesie Va· rie, è anepigrafo e scritto in carattere mezzo tondo.' L'attribuzione dell'opera al Riccio si avvale in primo luogo della coincidenza di 5 sonetti già inclusi nel manoscritto autografo e ài un altro pubblicato postumo con la firma del poeta in L. Crasso, Elogii di capitani illustri, Napoli, D. A. Parrino e M. L. Muzio 1 694, parte I , p. 187 ,' della presenza nella raccolta di d u e componimenti a l u i de-

Si tratta in realtà della p. 228, cfr. nota 1. Cosl come l'indicazione del numero dei sonetti5 non corrisponde a quello dei componimenti effettivamente contenuti nel mano­ scritto. 6 D 'ora in poi indicherò il manoscritto autografo con ms. naz. L 'elenco dei titoli con gli incipit dei sonetti è fornito neil'Appendic� I. 7 Cfr. E. MANDARINI, I codici manoscritti della Biblioteca Oratoriana di Napoli ' Napoli-Roma, A. e S. Festa 1897, p. 283. 8 Anche in questo caso per indicare il manoscritto utilizzerò d'ora in avanti la sig]a ms. orat. Trat!an�osi di un codice privo dì numerazione ho ritenuto preferibile, per agevolare la Citazione, contrassegnare nell'elenco fornito nell 'Appendice Il i componi­ menti con numeri progressivi. 9 Si tratta dei sonetti nn. 67, 1 19, 148, 2 1 3 , 273 del ms. orat. Ancora il titolo del n.

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NOTE PER ONOFRIO RICCIO

dicati/0 nonché di considerazioni di ordine contenutistico-formale (si­ gnificativa la presenza di un repertorio di temi, immagini retoriche e soluzioni linguistiche comuni alle due raccolte, per un 'analisi puntuale delle quali sarà, tuttavia, necessario un riscontro testuale sistematico, al momento non ancora effettuato, ma futuro obiettivo deila fase suc­ cessiva dell'indagine sull'autore). Alia luce di una notizia fornita dalla diretta testimonianza di Giu­ seppe Valletta,11 a cui la raccolta oratoriana anepigrafa appartenne, è pos­ sibile, inoltre, non escludere che l 'indicazione ' Ex Bibliotheca Vallet­ tana ', contenuta nelia nota manoscritta apposta al codice della Na­ zionale, sia riferita alle ' altre di lui [ Il Riccio] opere ' . Si tratta di un brano epistolare scritto dal noto bibliofilo napoletano che, nel ragguagliare come di consueto il Magliabechi 1 2 sulle ultime novità relative alla propria attività di tenace collezionista, riferisce di un ma­ noscritto di poesie inedite del Nostro da lui posseduto e dell'intento di induderlo in un progetto di stampa insieme con i componimenti dei due celebri poeti umanisti, legati al circolo pontaniano, Francesco Pucci e Pietro Gravina , a testimonianza del primato deila poesia ita­ liana . Si legge nella lettera scritta da Napoli in data 18 dicembre 1 685 : « tenendo io solamente in Napoli le poesie di Pietro Gravina napole­ tano [ ... ] , come ancora le manoscritte di Francesco Pucci [ ... ] , e le altre poesie ancor manoscritte di Onofrio Riccio, tutti e tre poeti fa­ mosi e napoletani; penso di farle stampare col titolo Trium poetarum neapolitanum carmina excerpta ex Biblioteca l osephi Vallettae, al che maggiormente mi accingo quanto che Vostra Signoria illustrissima lo­ da che siano ravvivate le glorie dell'I talia che veramente oltre alle al­ tre scienze fu superiore nelle poesie a qualunque nazione » .11 Si po133 , inc. Qui cantò la Sirena; tanti, e tanti e « Del Dottor Giulio Cesare Bianco al s(igno)r D(otto)r Honofrio Riccio )>, inc. Ch'il buon tracio Cantar l'ira de' venti, rispettivamente n . 8 1 e n. 90. Si veda sempre del Vendramini il sonetto n . 82. I l Sul fondo V alletta della Biblioteca Ofiratoriana cfr. almeno M. Santoro, La Biblzo­ teca Oratoriana di Napoli detta dei Girolamini, Napoli, Soc. Ed. Nap. 1979, in particolare le pp. 25-32 con relativa bibliografia a pp. 42-44. 12 Per il rapporto epistolare del Valle tta con l'illustre bibliotecario fiorentino dr. Lettere dal Reg,no ad Antonio Mag,liabechi, II, a cura di A . Quondam e M. Rak, Napoli, Guida 1 978, pp. 1045-1099. u lvi, pp. 1067-1068.

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RENATA D 'AGOSTINO

trebbe, quindi, congetturare che la raccolta poetica a cui allude il Val­ letta nella sua missiva sia quella oggi conservata nella Biblioteca Ora­ toriana. Del nostro autore i testi citati si limitano a tramandare la na­ scita napoletana, un generico riferimento alla sua fama, presso i con­ temporanei, di medico, pubblico lettore nel Regio Studio, nonché di buon letterato e poeta e, infine, la notizia della morte nella peste del 1 656. Quanto alla sua produzione edita nessuna opera scientifica, ma due scritture di pubblicistica politica. La prima, adespota, è la Rispo· sta del fidelissimo popolo napoletano, manifestante la sua Fedeltà, e Costanza, verso S. M. Cattolica, e l'odio capitale contro della Nazion Francese, Napoli, F. A. Or landi 1 648, breve opuscolo di 22 pagine di cui un raro esemplare si conserva nel fondo brancacciano della Bi­ blioteca Nazionale di Napoli. L'attribuzione al Riccio della Risposta è contraddetta, tuttavia, da un 'altra fonte autorevole dell'epoca, il Fui­ doro, che la ritiene opera di Onofrio de Palma e la inserisce nel ma­ noscritto dei Successi, conservato nella medesima Biblioteca, sotto il titolo di Avvertimenti politici al re di Francia che non aspira a metter piede nell'Italia. 14 La seconda, che fino ad ora è risultata irreperibile, porta il titolo di Risposta a 1 Francesi, neWinvasione fatta nel Regno, sotto il comando del Principe Tomaso ed è trasmessa senza l'indicazione delle note tipografiche. Infine un saggio poetico di genere encomia­ stico, anch'esso disperso, intitolato Applausi /estivi a D. Carlo della Gatta, divisi in sonetti, ed Epigrammi, nella difesa /atta d'Orbitello, di cui solo il Minieri Riccio, che lo registra con il titolo di Applausi Poetici, fornisce i dati tipografici: Napoli, 1 646, in 4°. La generica allusione alla circolazione privata di molti suoi manoscritti per le mani di ' letterati ' e ' curiosi ', insieme con altri esigui frammenti affidati alle aggiunte manoscritte del Minieri-Riccio, chiude il quadro assai scarno delle informazioni intorno all'autore. Si tratta di alcune presenze del Riccio poeta, variamente significative per un'ipotesi di ricostruzione dell'ambito culturale in cui egli opera , una produzione diversificata rispetto al genere (ora sacro, ora encomia-

Successi del governo del conte d'Onatte, 1648-1653, l'Appendice, rivoluzione costituziotuJle di Napoli (1647-48), nota Sagg�o storico-�ritico sull� tipografia del Regno di Napoli, Dizio­ nario di opere anonime e pseudonime di scrillori italiani,

a cura di 14 Cfr. I . FUIDORO, A. Parente, Napoli, L . Lubrano 1932, pp. 60 e pp. 201-209. Recentemente la notizia è stata riportata da P L. ROVITO, La « Rivista Storica Italiana )) ' XCVIII, 1986, fase. II, pp. 426-427, 211. Per il _ passato q . _ GtuSTINIANI, Napoli, V. Orsm1 1793, p . 176 registra anomma la scnttura, mentre G . MELZI, I I , Milano, Pisola 1 852 ' p. 461 ripropone l'attribuzione al Riccio.

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NOTE

PER

ONOFRIO

RICCIO

stico, ora civile, ora politico, ora epico) e rispetto al prestigio editoriale, disseminata in un arco di circa sedici anni. Degli interventi del Nostro do qui di seguito l'elenco rispettando un ordine cronologico e fornendo­ ne i titoli laddove è stato possibile reperire le edizioni : un epigramma larino in fronte a G. B. Ricciardi/5 Orazione del Santissimo Rosario della Gloriosa Vergine Madre di Dio, I, Napoli, 1636; alcuni componi­ menti in latino e in volgare, dei quali si dirà più avanti, nella Pompa funerale per la morte dell'eccellentiss. signora D. Isabella Gusmana, duchessa di Frias, celebrata dagli Accademici Erranti di Napoli, Napoli, E. Longo 1 64 1 , pp. 28-32 e pp. 2-6 n .n . ; " l'epigramma latino Aut aliena rapi! quisquis, vel dieta recantat in fronte a E . Capecelarro, Selectiorum consultationum iuris . . . , I, Napoli, G. Gaffaro 1643, p. 1'5 n . n . ; 17 un epigramma in fronte a C . Brancaccio, De angelis, Napoli, E. Longa 1 646; l 'epigramma latino >, i nc. Nell'alte sfere a minacciar l'assalto/ 2 nei quali si celebrano le virtù morali e intellettuali del fondatore e principe dell'Accademia. Infine nelle Poesie liriche di Giuseppe Campanile ll si trova il sonetto in lode dall'autore Credea, ch'esausti amai di Pindo i rivi,34 al quale, di rinvio, nella 47 a sestina del panegirico La Fama « dove si notano varij Signori Amici

Napoli, Stamperia della Università 1862, pp. 9 e 1 0 , poi di nuovo in Cenno « Archivio storico per le province napoletane », V, 1880 , fase. I, p. 151. Cfr. M. MAYLI::NDER, Storia delle accademie d'Italia, IV, Bologna, L. Cappelli 1929, p. 185. Ms. orat., n. 69. Ms. naz., c. 15r. 32 Ms. orat., rispettivamente i nn. 91, 1 16, 279. Cfr. G. CA�PANILE, Poesie liriche, Napoli, G. F. Paci 1666, poi nell'ed. Napoli, D. A. Panino 1674. 34 lvi, p. 60 n.n., nella sezione intitolata Lodi varie d'illustrissimi ingegni italiani, in

Napoli, R. storico delle accademie fiorite nella città di Napoli, 29

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diverse ocrasioni dirizzate all'autore, E dedicate dal Sig. Federigo Meninni al Sig. Marchese del S. R. I. D. GiovambattiJta Spinello.

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NOTE PER ONOFRIO RICCIO

letterati conforme a gli stati delle loro virtuose azzioni », il Campanile elogia ad un tempo l'alta professonalità di medico e la mirabile qualità poetica della produzione del Nostro con i versi: De gli Astri a scorno, ad onta dela Sorte, l L'armi sue son salubri a patrii cori: l Gl'influssi ralfrenar, vincer la morte, l Son del'opere sue gl'incliti onori. l Di sua medica man la Cetra ancora / L'huomo, che fa stupir, l'Etra in­ namora.35 Forse proprio nell'ambito dell'Accademia nasce o, comunque, si incrementa il significativo rapporto di amicizia che lega il Riccio al Severino.36 È possibile trovarne testimonianza nella corrispondenza che

lvi, p. 2 1 1 . Nell'indice dei nomi citati nel panegirico a p. 235 si legge: « Onofrio Riccio fu degno di applausi per gli Entusiasmi Poetici. Lettor pubblico di Medicina, e Vicecancelliero in Napoli. 47 ». Per la prima volta il merito di un'indagine approfondita e sistematica sulla figura del noto chirurgo si deve, nello scordo del secolo passato, allo studioso Luigi Amabile. Il frutto del suo lungo lavoro di ricerca costituito da un nutrito nucleo di cane (appunti, documenti, lettere, ecc.) è conservato in tre grosse buste fra i manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli contrassegnate Xl. AA. 35, 36, 37, che d'ora in avanti indicherò con ms. Amab. 35 ecc. Per la loro descrizione rinvio al commento introduuivo di D. Zangari a L. A..'AA BILE, Marco Aurelio Severino, Napoli, ed. « La Cultura Calabrese » 1922, 3-6 (e· stratto da « Rivista critica di cultura ca1abrese II, 1922, fase. II, pp. 1-131). Si veda u S a i 1:�;,:� t���nb��cchi'�Ma:�%u:�l�·o S�C:��i��=�l S.�� 01ti�7: ��;:��::�o��:�li�0i'i�: della Regia Università. 1890, pp. 23-54 e 65-7 1 , che si sofferma sul problema del processo e delle persecuzioni subiti da] Severino, poi ripreso in Il Santo Olficio dl:lt'lnquisirione in Napoli, II, Città di Castello, S. Lapi 1892, pp. 15-16 e 66-68. (Sull'Amabile si veda la voce bio-bibliografica di F. NICOLINI, Saggio d'un repertorio bibliografico di scrittori nati o vissuti nell'antico Regno di Napoli, Napoli, Biblioteca del Bollettino dell'Archivio Storico del Banco di Napoli 1966, pp. 608-634). In seguito, dopo il generoso ma par.�.:iale lavoro di scavo effettuato dallo studioso calabrese (l'Amabile non era a conoscenza del ricco fondo manoscritto del Severino conservato nella Biblioteca Lancisiana dello Spirito Santo di Roma, per la cui descrizione si veda C. B. SCIIMITT e B. WEBSTER, Harvey and Severino. A neglected Medica! Relationship, Bulleuin of the History of Medicine », XLV, 197 1 , pp. 68-69), la bibliografia sul Severino, ancora oggi in attesa di uno studio fondamentale in grado di offrire finalmente, sulla base di un'analisi il più possibile esaustiva dell'ampia produzione edita e inedita dell'autore, una ricognizione critica della sua opera all'interno della frantumata e ancora poco esplorata realtà medico-scientifica della prima metà del '600, si è arricchita del breve ma utile saggio di M. DuCCESGHI, L'epistolario di M. A. Severino, « Rivista di storia delle scienze mediche e naturali ">, XIV, 1923, pp. 2 1.3·223, che offre per la prima volta una descrizione abbastanza puntua1e dell'epistolario lancisiano del Severino; in tempi più recenti di alcuni stimolanti contributi sui rapporti del Severino con scienziati comemporanei come il citato lavoro di C. B. ScHMITT e B. WEBSTER, pp. 49-75 e ancora dello SCHMITT: A . . Survey o/ some of the Manuscripts o/ The Bibl. Lancisiana in Rome, « Medica] History », XIV, 1970, pp. 289·294; del bel saggio di M. ToRRINI, Lettere inedite di Tommaso Cornelio e Marco Aurelio Severino, « Atti e memorie dell'Accademia Toscana di scienze e lettere ' La Colombaria ' », XXXV , 1970, pp. 137-155. Tra gli studi non specifici sul Severino è opportuno ricordare per un approccio critico più aggiornato con l'autore quello di M. RAK, La fine dei grammatici, Roma, Bolzoni 1974, passim, particolarmente attento a cogliere le implicazioni scientifico-filosofiche della produzione letteraria severiniana. Infine negli ultimi anni si veda l'interessante proposta di J. ELIA, Il medico a rovescio. Per la 35

36

:e- ,

>.63 Tuttavia , alla luce della suggestiva ipotesi interpretativa avanzata dall 'Elia,64 l 'amputazione subita dalla & del suo legamento t, nell 'uso sempre più largamente praticato dagli scrittori moderni , potrebbe essere allusiva di una condizione esistenziale del Severino, una condizione cioè di ' immobilità ' , di ' isolamento ' , di privazione di collegamenti con l 'esterno derivata dal processo e dalle denunce patiti, proprio come l a soppressione della t comporta per l a & ' l ' i mpossibilità di congiunzione '. In questa nuova chiave di lettura l 'operetta, non a caso dedicata a Cassiano Dal Pozzo,65 dietro il camuf­ famento erudito, varrebbe come una richiesta di soccorso lanciata al potente mecenate, per ripristinare collegamenti e scambi col mondo esterno interrotti in maniera forzosa. A questo punto l a presenza del Riccio come prefatore in un 'opera dalle forti implicazioni autobiografi­ che, il suo discorso che anticipa e motiva in qualche modo la domanda d i risarcimento del Severino sono, forse, più che mai il segno d i una scelta non fortu ita da p:1rte dell'autore , ma che si giustifica sulla base di un rapporto di complicità fra i due amici . La partecipazione del Riccio alla vita accademica napoletana non è circoscrivibile, tuttavia, al solo ambito degli Oziosi, per quanto l ' adesio­ ne alla più autorevole adunanza del Regno rappresenti un momento particolarmente vivo e qualificato della sua interazione col tessuto culturale cittadino . L'attività di letterato ha modo di esplicarsi , difatti, anche in istituzioni minori come quella degli Erranti, sorta prima del

1 626 62 M

M

con interessi esclusivamente rivolti alle lettere e alla poesia .66 I l discorso i n t rocluttivo del Riccio occupa le pp. 13-16 n.n. lvi, pp. 1 5- 1 6 Cfr .

pp. 167-170.

n.n.

J. EuA, Il medico o rovescio . .. cit., pp. 152-158, con rispettive 110te,

' 65 Jbid. Si vedano le considerazioni dell Elia sul rapporto che i l Severino stabilisce con il Dal Pozzo.

66 Cfr. C. M!NIERI RICCIO, Cenno storico delle accademie fiorite nello città di Napoli, cit., IV, 1 879, fase. III. pp. 5 19-520; M . MAYLENDER, Storia delle accademie d'Italia cit., Il, 1 927, pp. 3 1 2-3 1 3 .

- 217 -

RENATA D'AGOSTINO

L'appartenenza del Nostro al consesso, non registrata nei consueti studi sulle accademie, è rilevata, invece, in una delle postille manoscritte, dal Minieri-Riccio, che come si è detto conosce la Pompa funerale. La raccol­ ta di rime, nata sotto l'egida ,lell'Accademia per commemorare l 'immatu­ ra scomparsa di Isabella Guzman, discendente della potentissima e nobile famiglia spagnola e sorella del viceré in carica Ramiro Guzman duca di Medina de Las Torres, e dedicata alla viceregina Anna Carafa principes­ sa di Stigliano, in data 15 gennaio 1 64 1 , offre un 'ampia rosa di nomi di accademici 67 che incrementano le conoscenze relative all'adunanz a , non­ ché consente di assegnare al Riccio un ruolo in essa di frequentatore non occasionale, bensì di particolare riguardo. Il poeta, sotto il nome accademico di Peregrino e in qualità di primo assistente, interviene con 6 componimenti, di cui il primo è costituito da 16 sestine ed inizia col verso Ibero io san, da cui l'eccelso nome, seguono poi : l 'epigramma

Ferales nemerosa tuas conde Ida Cupressos, l'epigrafe Isabella Gusmana l Ramiri soror l Heroum mater, l Occidìt: l Norunt scilicet etiam Soles occasum . . . , l'epigramma latino Virgam Hermes, clypeum Palias, Neptune tridentem, i due sonetti Hor che deposto il pondo suo mortale e Questa, che lieta in vista il Ciel sormonta. Infine la raccolta manoscritta, enepigrafa, Carmina diversa, della

latino

Biblioteca Oratoriana dei Girolamini e con buona probabilità produzione inedita dell'Accademia degli Erranti, tra le poesie di argomento sacro c profano in latino maccheronico che la compongono, registra per due

volte la presenza del Riccio quale destinatario di componimenti (« Il­ l .mo Domino Onofrio Riccio » e « Ad Onofrium Riccium, meum in Medicina Praelectorcm, ac Poetam eximium » ) .63 La chiusura provviso­ ria della Biblioteca mi ha impedito, al momento, la consultazione del prezioso manoscritto, privandomi della possibilità, che è quasi una certezza, di acquisire u lteriori elementi e , forse, nuovi autografi del 67 Si tratta di: Francesco Gambacorta (l'Avventuriero), Carlo Capece, principe dell'Accademia (l'Instabile), Cesare Poppa (l'ARitato), Fabio Ametrano, segretario (lo Sviato), Giulio Cesare Sorrcntino (l'Inquieto), Domenico Agresta, secondo assistente (il Tardo), Domenico Pagano (il Vago), Girolamo Fontanella (lo Smarrito), G. Camillo m e r ta ca c ucc o �)� ���� �:��i/:>(I��)!;p;t� )� Qd�:�S� �j;n��d� D� tieg� sS·A���a;� ' � �d��� Longobardo (l'Irresoluto), G. B:�.ttista Risico (il Disunito), Francesco Bernardo (il Veloce) Giuseppe Rosella (il Rotante). Tra i non ascritti agli Erranti: Francesco Balboa E Pa;, e Geronimo �onzales Dc Villanueva, gentiluomo di Camera, tenente di Guardia e governatore d1 Aversa. r i e c o al M Bibli�te�; J�a��i��! c;D N��oll�i�� ��� 1 ���i·;� . A NDARINI, l codici manoscritti della

- 218 -

NOTE PER ONOFRIO RICCIO

Nos tro, come lascia, peraltro, sperare l 'affinhà tematica, prospettata dalia pur ridotta porzione d i titoli riprodotti dal Mandarini, con quella di alcuni suoi componimenti . Nell 'anno

1 63 4

la pubblicazione del sonetto sul tema della corte

Del Sig. Honofrio Ricci Principe deil ' lnresoluti », inc. Notte è la Corte, assai più fosca, e nera, nelia Lucerna de' Corteggiani di Giovan Battista Crisci ,69 permette ad u n tempo di accertare l 'esistenza di questa

«

Accademia, sconosciuta al trimenti al Minieri Riccio

7(1

e al Maylender,71 e

il principato tenutovi dal poeta. Lo stesso può dirsi per quelia di S . Pietro Martire, della quale si sa solo che il Riccio, in data 1 5 marzo

1636, vi presiedesse l 'adunanza . L'epigramma, già ricordato, accluso alla Orazione del Santissimo Rosario della Gloriosa Vergine Madre di Dio, ne attesta l a notizia.7 2 Nello scorcio della tragiea primavera del di cadere vittima del contagio, i l poeta

è

'56,

poche settimane prima

ancora attivo ne!Ia cerchia

degli inte!Iettuali operanti nella città d i Avel lino presso la corte dei Caracciolo Rossi . Del co!Iegamento con l 'ambiente culturale delia pro­ vincia soppravvive la testimonianza diretta di uno dei più impegnati e prestigiosi esponenti della piccola che neii a

élite ave!Iinese, Michele Giustiniani , Vita del cugino Bartolomeo Giustiniani 73 annovera il Riccio

fra gli accademici Inquieti aggregati intorno alla figura del principe Francesco Marino 1 .74 Inoltre il sonetto del poeta,

Lieta non più tra' liquidi Rubini, accluso a La gloriosa morte de' diciotto fanciulli giusti-

6'.1 Napoli, G . D. RoncagHolo 1634. Il sonetto del Riccio è a p. 12 n.n., nella sezione poetica dedicata al Crisci e posta in coda all'opera. 7, I, 1929, fase. 9, p. 15. Per un errore tipografico presente nel testo del Minieri Riccio, puntualmente riprodotto negli studi successivi, la data di fondazione dell'adunanza degli Inquieti risulta non il 1656, ma il 1666; infine da F. SCA.NDONE, Avellino moderna, in Storia d'Avellino, I I I , Avellino, Pergola 1950, p. 97, nota l . -

2 19

-

RENATA D'AGOSTINO

niani patritii genovesi de' signori di Scio del Giustiniani /5 opera che con la precedente rappresenta la fase d i esordio del progetto tipografico avellinese promosso dal letterato ligure,'6 confermerebbe i suoi contatti con il capoluogo irpino. È c9n ogni probabilità al rapporto con il principe mecenate, sostenitore appena più che maggiorenne, sul modello paterno,77 di un rilancio della vita culturale della ci ttà, che si deve l'inserimento del poeta i n quell'ambito . Del Caracciolo, insieme con gli iilustri suoi avi , destinatario privile­ giato della produzione encomiastica manoscritta del Nostro, sono esalta­ te con insistita ammirazione le doti avite di guerriero, di diplomatico e di raffinato cultore della poesia . Tu ttavia i sonetti delle due raccolte napoletane non esauriscono l 'intento celebrativo, per il quale è previsto un più ampio e organico disegno poetico con la Corona di lodi intessuta alle sublimi virtù dell'eccellentissimo signore Francesco Marino Carac­ ciolo principe d'Avellino, Napoli , E. Cicconio 1 650, pp. 8 1 . Un esem­ plare d i questa rarissima edizione, sfuggita al controllo delle fonti, si s i trova oggi nella Public Library di New-York." I pochi indizi a disposizione non permettono ancora d i fissare i tempi e le circostanze che abbiano determinato le condizioni dell'avvici­ namento del Riccio alla nobile e potente famiglia dei Caracciolo Rossi . Certo è, però, che un episodio di cronaca, nel clima ancora travaglia­ to da rappresaglie e sospetti di an tispagnolismo del dopo Masaniello narrato dal Fuidoro nei suoi Successi vede nel febbraio del '49 il gio­ vane principe impegnato in qualità di protettore in un 'operazione di salvataggio del Nostro , incorso in un increscioso incidente con la giu­ stizia vicereale. Si veda il racconto del cronista, che tra l 'altro ha il pregio di delineare con tratti essenziali un 'immagine meno stereoti75 Avellino, C. Cavallo Il sonetto del Riccio è a p . nella sezione riservata ai componimenti dedicati all 'argomento. 76 Cfr. in ptoJX)Sito: G. ZIGAREI.I.I, Discorso sulla tipografia avellinese, Napoli, ti p. Francesco Rossi V. N . TESTA, I tipografi Cavallo in Avellino, « Sentinella Irpina », XVI, n. p. S . PESCATORI, Le accademie irpine cit., pp. nota l ; G . GuERRIERI, Un'edificante .ftoria nel primo libro stampato i n Avellino « Almanacco dei bibliotecari italiani }), Fratelli Palombi Editori pp. R m;lD� S he early bibliography o/ southan Italy Montefusco Benevento e Avellino, « Blbhofilia 1), LXI, fase. pp. e G . ZAPPEI. I A, Come fu introdotta la stampa ad Ar;ellino, � · L'lrpinia » , n . 6, p. , 71 Sul�a ricostit�zione ell'Accademia d e i Dogliosi in Avellino ad opera di Marino II . de1 Caraccwlo Rossi, cfr. 1 0 particolare G. ZIGAREI.LI, Discorso istorico-critico intorno all'ori�ine e dec�dimento dell'Accademia de' Dogliosi della città di Avellino, ed., Napoli, F. Az:..ohno pp. S . PESCATORI, Le accademie irpine cit., pp.

1656.

1894,

, . 'f

184 1 ; 12,

1959,

1842,

3,

3,



�8 �fr. 0237 64

214,

1984,

249-25



1956,

1 1-15, 141-148; n:

3.

9-19;

The National Union Catalog Pre-1956 Imprin!s, vol .

- 220 -

492, 1977,

p.

2a 3-13. 396, N . R .

NOTE PER ONOFRIO RICCIO

pata del medico/poet a :

« Erano stati giustiziati nelle forche due ca­

pipopoli di Marigliano, e fu carcerato Onofrio Riccio, lettore di me­ dicina, che abitava a San Giovanni Maggiore, ingegno raro e fino di questa patria, buon poeta latino, toscano e in lingua napoletana, e in tutte queste lingue nello stile burlesco eruditissimo e di una gran facondia, perché fosse stato poco amorevole della nazione spagnola e avesse in alcuni pensieri dimostrato il suo animo a favore de' sol­ levati, cosa poca decente alla sua condizione. Ma chi considera che essendo s tato questo soggetto tenuto a dietro da' suoi discepoli che con maggior fortuna del proprio maestro e meno ornamento delle let­ tere erano per favore de' ministri stati innalzati a l 'onore della let­ tura nel publico Studio, stipendiati dall 'erario regio e quasi ad onta e dispetto suo, stimarà sempre che questeerano le cause che lo mo­ vevano ad ira per il pregio della sua riputazione, tra' quali numera il fisico Carlo Pignataro, giovane, benché dotto, d'aspetto caprino e , più per tempo di quel che se gli conveniva, da mediocre commodità perve­ nuto alle ricchezze per l 'onore ricevuto dall'aura d'essere publico lettore di medicina negli Regii Studii e protomcdico del regno, cavando grosso guadagno da questi officii e protetto dal regente Capecelatro. Ma la galantaria del principe d 'Avellino, cavaliera educato nelle lettere e di quella nobiltà illustre e nota al mondo , pigliando in sua protezione, come amatore de' virtuosi, il Riccio, ottenne la sua libertà e dichiarollo suo vicecancelliero del Colleggio de' fisici, sin tanto che egli in progresso di tempo fu ammesso alla dignità meritata di publico lettore del Regio Studio

» ."

Giuseppe Galasso nelle sue pagine dedicate al periodo della ' restau­ razione ' dell 'Ofiate, nella Storia di Napoli,fiJ riporta la notizia del Fui­ doro inserendola nel più ampio contesto storico della svolta scientifi­ ca e culturale prodottasi nel passaggio dalla prima alla seconda metà del secolo, permettendo cosl di intuire anche una valenza ideologica presen­ te nell 'episodio. Al di là dell'infondata e riduttiva lettura nella chiave personali­ stica suggerita dal cronista secentesco che fa discendere le ragioni dello scontro da una storia d i risentimenti e vendette tra un collaudo e qualificato lettore di medicina, che vede disconosciuti i meriti del

fiJ

Successi del governo del conte d'Oiiate, 1648-1653, cit., pp. 83-84. G. GALASSO, Napoli nel viceregno 5pagnolo dal 1648 al 1696, in Storia di

FUIDORO, Cfr. t . l , Napoli, ESI 1970, p. 109.

79 I.

Napoli, VI,

-

221

-

RENATA D'AGOSTINO

8 proprio magistero, e un giovane dottore d 'assalto, 1 la collisione tra il Riccio e il Pignataro celerebbe piuttosto una divergenza d i orien­ tamenti di pensiero, o , per meglio dire, potrebbe essere il riflessso della spaccatura acuitasi in questi anni all'interno della classe medi­ ca tra modernisti, sostenitori di spregiudicate teorie terapeutiche di tipo interventistico ( tra cui il caso del Severino è esemplare) e tradizio­ nalisti, fedeli a1la vecchia medicina indolore. Quindi solo pretestuosa­ mente o , comunque, parzialmente la lite tra i due medici coinvolgerebbe motivi di prestigio professionale. Il rivale del Nostro, !ungi dall 'essere il giovane sprovveduto ' d 'aspetto caprino ' , descrittoci dal Fuidoro, e giunto ' più per tempo di quel che se gli conveniva ' a considerevoli ricchezze e a importanti incarichi pubblici, è più probabilmente un personaggio ambiziosissimo e aduso con pratiche discutibili a farsi spazio tra i colleghi per acquisire privilegi e rapide posizioni di potere . « La ragione vera >> che lo aveva spinto a denunciare il Riccio è secondo G . Galasso che « quest'ultimo era seguito da u n maggior numero di discepoli e insidiava l'ascesa dell 'astro allora sorgente del Pignataro >> .82 Di lui, ostinato polemista e aggressivo assertore della tradizione sono ben noti i futuri attacchi polemici sferrati contro il gruppo degli Investiganti e le azioni condotte come protomedico contro Sebastiano Bartoli e Leo­ nardo d i Capua,&l sin dal '49 legati al circolo innovatorc strettosi intorno a Cornelio. Scrive del Pignataro lo storico contemporaneo che « fu il vero centro della resistenza contro l'avanzata della nuova medicina e difese con tutti i mezzi la sua posizione di privilegio accademico e professionale e la sua posizione pubblica » .84 Non è da escludere, quindi, che in questo contesto vada inquadrata anche la controversia tra il futuro protomedico e il Nostro, non estraneo come si è visto a centri dinamici della cultura del tempo da quello degli Oziosi a quello più specificamente medico-scientifico che fa capo a1la figura del Severino . Del resto anche il suo successo come lettore, 81

L 'episodio, tratto dall'antica cronaca,

82

G. GALASSO, Napoli nel viceregno spagnolo dal

moderna cit., p.

86.

è citato anche in F. SCANDONE, Avellmo

1648 al 1696

cit., p .

1 09.

81 Sull'Accademia degli Investiganti e s u l l a polemica intercorsa c o n il gruppo galenista, cfr. almeno M. FISCH, L'Accademia degli Investiganti (trad. it. con l'aggiornamento bibliografico di D. Bcth Marra) . « De homine », nn. pp. e il saggio di M . ToRRINI, L'AccademiJJ degli Investiganti. Napoli « Quaderni storici », XVI, fase. III, pp. e in particolare sulla polemica con il fronte dei tradizionalisti le pp.

H.

17-78

84

1981,

1968;

866-876.

27-28,

166J-16ì0,

845-883,

G. GALASSo, Napoli nel viceregno spagnolo dal

- 222 -

1648 al 1696

cit.,

p.

1 09.

NOTE PER ONOFRIO RICCIO

ascrivibile in quegli anni forse ancora prevalentemente all 'ambito della scuola privata che, come è noto, garantiva talvolta una maggiore auto­ nomia intellettuale e un più avanzato livello di insegnamento rispetto al pubblico Studio, più propenso verso una cultura di tradizione,85 è confermato da un altro fastidio avuto dal Riccio con la Giustizi a . Dai

Processi della Cappellania il Cortese trae la notizia che, appena un me­ se prima della denuncia per antispagnolismo, il 14 gennaio, la polizia avesse fatto un'incursione in casa del Riccio e che lo avesse messo agli a rresti per averlo sorpreso nell'atto di leggere anatomia ai suoi allievi in contravvenzione alle leggi vigenti.86 I l sospetto, che le due notizie siano in qualche modo collegate allo stesso episodio e che si tratti di un unico capo d'imputazione , potrà essere fugato solo da ulteriori indagini. Significa tiva la percezione che della cronaca di questi anni ha un attendibile testimone oculare (o comunque u n testimone orale assai prossimo ai fatti narrati) , Leonardo di Capua, che in u n passo del suo

Pa­ rere lascia intravedere una connessione tra i fatti occorsi al Riccio e la

polemica in atto negli ambienti medici : « E senza andar mendicando esempli di fuora, lasciando da parte stare le persecuzioni sofferte dal nostro Antonio Altomari, abbiam pur noi con gli occhi, o con gli orecchi bastantemente per addietro compreso la rabbia de' medici della nostra città contro il Ferrillo, e lo Schipani, e 'l Fortunato, e 'l Ricci, e soprattutto il Severino, il quale per accusa d 'invidiosi rivali, senza riguardo alcuno per i meriti della sua persona, fu prima incarcerato, pescia toltogli lo speciale, e alla fine de' suoi beni spogliato )> .87 Tuttavia l ' accusa di cospirazione antispagnola e i sospetti di cenniic

5

t

it

�a��s���ft�!ara:r;::IJti��a : N�;Jtd��a·J,���! �I J���e�ttr;: N��l. �S/ 1�6�: lvi, p. 49 c p. 1 1 1, nota 48. 87 L. DI CAPUA, Parere divisato in otto ragionamenti ne' quali 11arrandosi l'origine, e 'l progreHO della medicùta chiaramente l'incertez.za della medesima si manifesta ... , II, s.I., '

N.

pp. 45·59. 8o6

Cologna 1714, p . 61. L'autore in un altro passo dell'opera menziona il Riccio nella schie­ ra dei filosofi moderni degni di stima. Ma meno genericamente ne tesse le lodi ncl bra­ no successivo dedicato agli ingegni contemporanei napoletani che hanno segnato con la propria libera attività speculativa una svolta determinante all'interno delle discipline mcdico-naturalistichc. Prima di chiudere il discorso con il giudizio sui medici Paolo Emilio Fcrrillo, Marco Aurelio Severino e su Sebastiano Bartoli, il Di Capua ricorda: (( [. . ] Girolamo Fortunato, il qual tutto ciò, che nell'opere d'lppocratc, e di Galien si riserba, sì fattamente per le mani avea, che non v'era forse parola, di cui improviso domandatore non gli venisse tosto a memoria: c nondimeno tanto, c sì sovente ove gli pareva, che ragione il richiedesse, costumava egli a rimbcccar l'antiche [. . . ]. E dietro alle sue vcstigie poi non guari lontano andar mirammo Onofrio Riccio, huomo vera· mente per vivezza d'ingegno, e per dabbenaggine d'animo, tenuto sommamente caro dalla Città tutta » . I , rispettivamente pp. 60 e 82-83).

.

(ivi,

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RENATA D 'AGOSTINO

vensa con personaggi coinvolti nel moto non sono facilmente liqmda­ bili o semplicemente assorbibili in una vicenda di conflitti e di scontri che avrebbero determinato macchinose azioni contro i l Riccio da parte di avversari medici operanti nel medesimo ambito professionale. Con­ traddice questa tesi un indizio che emerge dal puntuale studio del Ro­ vito sulla rivolta masanclliana, secondo cui il Riccio risulterebbe far parte degli eletti della consulta formatasi il 28 dicembre del 1 647 in­ sieme con Francesco d 'Andrea, Giulio Capone, Antonio Basso, Bernar­ do Spiriti, tutti protagonisti di primo piano degli accadimenti convulsi di quei mesi.88 Chiarire, quindi, quali livelli di coinvolgimento abbia avuto il Riccio all'interno del composito e spesso effimero gioco delle forze politiche in campo durante le diverse fasi della rivoluzione costituisce uno degli obiettivi prioritari che si prefigge in futuro la mia indagine sull'Autore. Certamente alla luce di questa ulteriore notizia, l'immagine del No­ stro, intellettuale ben inserito nell 'establishment politico come in quello culturale della capitale, già visibilmente individuabile nella mappa dei nomi dei destinatari configurantesi nelle due raccolte poetiche, si con­ ferma c si rafforza inevitabilmente. Comunque siano andate le cose, a tirar fuori dai guai il Riccio, interviene la magnanima intercessione del principe, che, per meglio tributare omaggio alle virtù letterarie e professionali del proprio protet­ to e per riscattarne la reputazione ingiustamente offesa, lo elegge vicecancelliere del Collegio dei Fisici." Il conferimento al Nostro in quella circostanza di una cattedra ordinaria presso il Regio Studio , a cui allude il Fuidoro, o la riabilitazione al pubblico insegnamento come, invece, lascia intendere lo storico moderno, non trovano conferma negli studi specifici inerenti alla storia dell 'Ateneo napoletano. Da essi la qualifica di lettore del Riccio affiora solo a partire dal 1 &54, anno in cui risulta vincitore di concorso alla pari con il Pignataro per la cattedra di 88

Cfr. P. L. Ro v iTO, La rivoluzione costituzionale di Napoli (164748) cit., p.

432, nota 231. 89

Nelle due postille manoscritte iniziali il Minieri-Riccio, traendo la notizia dalle Poe­ sie liriche del Campanile (cfr. supra, nota 35), riferisce della carica svolta dal Riccio di

vicecancelliere, ma dichiara di non sapere di quale ' dignità ' si tratti ed, inoltre, ignora la presenza del sonetto del Nostro nella raccolta. Il principe d'Avellino eredita dal padre Marino I I l'ufficio di Gran Cancelliere del Regno e quindi dei Collegi napoletani, acquistato nel 1609, per 1 4 .000 ducati, dalla famiglia Caracciolo Rossi. Da allora il Collegio ebbe la sua sede definitiva nella celebre dimora del Tasso, proprietà dei principi d'Avellino. dr. F. SCANDONE, Avellino moderna cit., p. 60; R . TRIFONE, L'UniversiJà degli Studi di Napoli, dalla fondazione ai gzorni nostri, Napoli, A. Caldarola 1954, p. 54.

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NOTE PER 0:-/0FRIO RICCIO

Pratica della medicina primaria, resasi vacante dopo la morte, nell'ot· tobre del '53, del medico Antonio Santorello. Questa volta, però, gli equilibri accademici risolvono pacificamente la questione con la nomina del Riccio, il 4 agosto, a lettore della cattedra di Teorica della medicina primaria, l 'anno precedente assegnata al Pignataro, e con il passaggio di quest'ultimo all'insegnamento d�lla Pratica, avvenuto il 30 dello stesso mese.90 Tuttavia negli anni che precedono l'ordinariato una traccia di pubblica attività di docente, relativa alla lettura straordinaria sopra il 4° libro della Metafisica di Aristotele per l'anno 1 64 1 - 1 642, emerge dallo spoglio della documentazione della Cappellania Maggiore effettuato dal­ l 'Amabile nel corso delle sue ricerche sul Severino." L'assenza di testi medici all 'interno della produzione del Riccio, non si sa in che misura attribuibile alla sua scarsa propensione come scrittore per questo genere o, piuttosto, ad un 'inspiegabile e fortuita rimozione operata dalle fonti, fanno rimpiangere la possibilità di verificare diret· tamente la qualità e gli orientamenti del suo insegnamento, altresì ricordato con stima dai contemporanei, che ebbe probabilmente a con­ tribuire in anni decisivi per lo sviluppo del nuovo corso della cultura scientifica alla formazione della nuova generazione. Dalle file dei suoi allievi usciranno, solo per citare i nomi più noti, Federico Meninni, Lucantonio Porzio e Luca Tozzi.92 In qualche caso il rapporto. tra il Nostro e i suoi discepoli travalica i consueti limiti formali tra docente e discente e si arricchisce di una nota di sincera affettuosità. Scrive il Gimma che, allorché infieriva in città la peste, il Meninni, « racchiuso nella propria casa per lo spazio di più mesi, tentò sfuggire quel danno, che già minacciar se gli scorgea: mosso però da impetuoso desiderio di rivedere il Ricci suo Maestro, divenne partecipe del di lui contagio, e già si mirò vicino al sepolcro » .93 Rincresce, in proposito, non aver potuto arricchire di un nuovo piccolo tassello il quadro delle conoscenze relative all'immagine del Rtccio docente che la visione del già citato sonetto in latino, « Ad Onofrium Riccium, meum in Medicina Praelectorem, ac Poetam exi­ mium )), dedicatogli da un allievo, avrebbe certamente consentito.

Cfr. N. CoRTESE, Lo Studio di Napoli nell'età spagnola, in AA.VV., Storia dell'Università di Napoli, Napoli, R. Ricciardi 1924, pp. 348-351; R. TR!FO E, L'Univer­ sità degli Studi di Napoli, dalla fondazione ai giorni nostri cit., p. 67. N 91 Cfr. ms. Amab. 35 fase. I, c. lOv. 92 Cfr. G. GIMMA, Elogi accademici della Società degli Spensierati di Rossano, I, Napoli, C. Troise 1703, rispettivamente pp. 124, 145, 183. 9J lvi, p. 124. 90

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RENATA D'AGOSTI:-.:0

Nella seconda metà del maggio del '56, di fronte all'avanzata inar­ restabile dell'epidemia nella capitale, la Deputazione di sanità, nominata dalle autorità politiche per il coordinamento delle operazioni di soccor­ so, dispone tra i primissimi provvedimenti la convocazione di un colle­ gio di 8 medici, scelti tra i più collaudati del settore sanitario cittadino, tra i quali è presente il Riccio.94 Il 2 giugno, riunitisi in consulto sotto la presidenza dei due chirurghi, Marco Aurelio Severino e Felice Marto­ rella, addetti alla dissezione dei cadaveri di appestati , i membri del collegio accertano la natura del male e proclamano lo stato di emer­ genza.95 Con la fine di settembre quarantaquattro medici risultano falcidiati dalla peste." L'informazione è data dal celebre medico parigino Guy Patin nella lettera del 29 settembre spedito a Tommaso Bartolini.97 Tra di essi si sa che è incluso anche il Severino spentosi il 12 luglio. Ma già alcuni giorni prima, il 21 settembre, in una lettera di Camillo Pellegrino a Cassiano Dal Pozzo si legge: NS 34). L'effetto sull'osservttore era una totale perdita del­ l'orientamento (« confusione >> NS 34). L'irriconoscibilità era data soprattutto dal fatto che l'universo dei beni, il paradiso degli oggetti, era ormai in altre mani, spesso aveva cambiato forma e aveva quindi acquistato altri sensi . Tutti i tipi di beni avevano accentuato la loro vistosità . Le finestre deile case si erano ricoperte di vetri ( « vetreate >> NS 1 8 ) in luogo dei poveri infissi di un tempo ( « 'nceratc » e >) . Le piccole costru­ zioni ad un piano (« dove ne'era lo puzzo e la latrina l co n a lettera e no materazziello )>) erano state ampliate con le concitate misure del lusso ( « co ssala c nnantecamera e cocina l e a lo lietto matarazza tale l che se nne potea fare no spetale » NS 1 9 ) . L'arredo interno si era moltiplicato ( « screttorie, seggie c qua tre fine l co le ccornice e ttravacche nn aura­ te ») grazie alla peste e alla fortuna che avevano unificato i patrimoni (« d'ogne cquatte case n'ha fatt'una » NS 2 1 ) . Le stanze, un tempo frequentate da figure dei ranghi alti (> NS 2 3 ) e persino il codice del cibo. I nuovi ricchi avevano cominciato a chiedere per le loro mense i cibi più rari provocando una rapida lievitazione dei prezzi: Si po parlammo 'n quanto a lo ngorfire mmeg1iore l e da lo mare facevano scire l stopore. l Era pe cierto fatto da stordire l ca l 'nsomma poteano stare a pparagone l a Fellone (NS 3 6 ) .

l mangiavano lo mmeglio e lo pesce de priezzo e ppesce de d'ogne ccosa avevano lo sciare; Cerasse, a Mmida, a lo Ricco

Questo era il paradiso delie materie e degli oggetti con cui era possibile - prima della peste - cogliere e sottolineare i segni della differenza tra i gruppi e i ranghi. Nella prospettiva apparentemente nostalgica e filonobiliare di questo poemetto - che di fatto poggiava sulla filosofia degli equilibri tipica del « popolo civile >> - rutti i tipi di festeggiamento per lo scampato o finito pericolo della pestilenza erano segni di una licenza generatrice di caos sociale. Le osterie si erano moltiplicate, i loro tavo1i invadevano le strade, nei loro piatti c'era i1 miglior pesce e tutte le primizie (« d'ogne ccosa [ . . . ] lo sciare >> NS 36) e poi maccheroni e pasticci, vitelli e pol1i, dolci e vini preziosi e persino il costosissimo gelato , il cibo più alla moda ( « e, com me sempre avessero la freve, / vanno de stata e de vierno la neve >> NS 3 9 ; « e si quarche briccone pe na sera l non ha nneve no mmangia e sse de­ spera >> NS 4 0 ) . Come su un'allucinata scena le maschere dei nuovi soggetti sociali ( « zanne c cquarchiamme >>) erano continuamente im­ pegnate in aliegre conversazioni e costosi banchetti ( « spantosisseme magna . te )> ), inframezzati di canti e balli . Un ultimo contrassegno di questa Napoli sconvolta era la posta dei giochi. Il gioco era diffuso in tutti i gruppi sociali della città e del regno c l 'improvvisa ricchezza permetteva ai nuovi ricchi di gettare sui loro tavoli e a piene mani le monete di gran valore, i tornesi le doppie gli zecchini i ducati , in luogo delle monetine che un tempo erano abituati a giocare (NS 48-50) . - 25 1 -

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Queste trasformazioni non potevano che avere effetti immediati su altri aspetti più remoti e più imponenti dell'immaginario. Le taverne erano affollate, finita la peste, di guadenti dimentichi (> ) e spavalòi ( « dicenno ca chi aùto avea lo mmale / cchiù non potea mori ' , ch'era mmortale » NS 3 7 ) . La miseria, che aveva quasi ammazzato i poveri o almeno li aveva costretti ad una « giusta » vergogna, non poteva più frenare le urgenze di una incredibile folla di marginali ( « e becco collevate mill'e ciento l 'ngnorante, zanne, guittune e pezziente » NS 30). L'universo dei poveri aveva modificato il suo aspetto abituale stravolgendo il quadro della società civile. La elementa­ re fisiognomica era impotente a riconoscere l 'identità - che era data solo dalla posizione nella piramide dei ranghi - dci nuovi ricchi che contraffacevano abito e voce (« chi no le cconosce crede e pensa l che ssiano mercantune de Sciorem�a » NS 3 1 ) e venivano dal magma dei mestieri umili : calzolai , sbirri, bottegai, conciatori, fabbri , osti, ambulan­ ti, garzoni di macelleria, stagnati , Iatrinari, spazzini, ferracavalli, tutti or­ mai signorilmente vestiti ( « co mmancche de lamma e co ccappotte » NS 3 3 ) . Nella stupefacente sfilata delle contraffazioni i garzoni e i bottegai ingoiavano sorbetti, i debitori incalliti ed abituali ospiti delle prigioni erano padroni di case, fattorie, lenzuola, materassi, letti a baldacchino, argenti, i ladri compravano posti neli'amministrazione, i poveri che di solito si vestivAno con i panni usati della Giudecca indossavano abiti di seta. Il primo sensibile effetto di questo mutamento di mentalità era nella crisi dei mestieri umili e nel brusco rialzo dei prezzi. Era difficile trovare chi lavasse le camicie, chi inamidasse i collarini, chi filasse, chi svolgesse i suoi compiti senza dscutere ( « puorco sciaurato l l'àie ditta cince vote e chesta seie, l nn'aie commannate de le ppare meie? » NS 27). I calzolai chiedevano somme altissime per le loro scarpe, le lavora­ vano in tempi lunghi e sostenevano di non trovare apprendisti . Per i sarti era necessario avere lettere di raccomandazione e per i venditori di panni usati della Giudecca somme sempre più ingenti che venivano spese con facilità poiché erano state gl1adagnate facilmente ( « ca denare non erano de stienta >> NS 1 4 0 ) . L'effetto per l'osservatore e r a quello di u n a totale perdita della prospettiva: l'orizzonte sociale appariva piatto una volta che fosse stato privato dci seJ}"ni che consentivano la riconoscibilità dei ranghi ( NS 92). Le norme che regolavano l'andatura e il portamento, come a piedi cosl a cavallo, venivano sistematicamente violate. Nella visione teatralizzata del sociale i nuovi personaggi si muovevano con i gesti sbagliati ( « che belle storie e che brutte figure / vediste, tanno da strasecolare; l che scene stravacante e che mmotanze, l che brutte prospettive e llontanan­ ze » NS 9 3 ) . Per questo gli ideali destinatari delle nuove ricchezze erano le figure topiche del teatro da strada locale : « Dov'è Ttartaglia ma, do­ v'è Scatozza? l Addov'è ghiuto Pascariello Truono? l Dov'è co li compa­ gni Luca Vozza? l Addov'è Ghianno, Parmiero ed Antuono? l Perché ma tenarriano la carrozza » (NS 94). In questa prospettiva l'ordine di appena un anno prima veniva descritto come un irrecuperabile momento felice di una città ricca di uo­ mini che conoscevano la propria professione (« artiste )> NS 1 3 7 ) . L'au· mento dei prezzi aveva alterato la qualità dei servizi e i rapporti con i prestatori d'opera : era necessario togliersi il cappello in segno di rispet­ to per indurre il calzolaio a riparare una scarpa o il rammendatore a rifare una calza, quando si prendeva una purga era necessario tenere - 253 -

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conto del vertiginoso costo dei vasi da notte, i barbieri avevano aumen­ tato le loro tariffe e, dopo aver aiutato a morire molti appestati, si reputavano eguali ai medici. I prezzi degli orefici erano ormai inavvici­ nabili (« ba' cchiù na fattura de n'anello l ca non va' no diamante o no gioiello >> NS 145) come incredibilmenre bassi erano i prezzi offerti a chi era costretto a vendere dal bisogno ( « l'argentaria, l a piso l'accattavano de stagno >> NS 146). Gli stessi poveri oggetti acquistati per pochi soldi dai robivecchi venivano rivenduti a prezzi molto maggiorati (« ca dove n'halUlo spiso duie carrine l si ciento nce ne daie manco annevine » NS 1 4 7 ). I notai, molti dei quali si erano arricchiti durante la moria, avevano fissato lunghi tempi e alte tariffe per le loro prestazioni. Gli speziali avevano facilmente venduto a somme esorbitanti tutti i loro prodotti. Era ormai difficile trovare una masseria a buon prezzo e quasi impossibile trovare un contadino che ci lavorasse (« cchiù le rese fa' lo schiattamuorto l che no na massaria, na stalla o n 'uorto » NS 1 5 1 ) . I debitori avevano trovato l'occasione per non pagare i loro debiti, favoriti dall'impossibilità di perfezionare le pratiche giudiziarie. Un generalizzato aumento dei prezzi aveva in conseguenza interessato anche i beni e le prestazioni tradizionalmente poco costose: le sedie di paglia, i fiammife­ ri, i ventagli, le torce a vento (NS 150), arrotare i coltelli, guidare le carrozze. Persino le prostitute avevano cominciato a preferire la com­ pagnia di questi gruppi emergenti ( « schiattamuorte e mmalandrine » NS 156) e a fissare le loro tariffe in oro piuttosto che in argento ( « ogn'artc 'nzomma se fece vegliacca, l se fece forfantesco ogne mme­ stiero l c pc no piezzo e ppiezzo, 'nzanctate, tutte le cose stettero 'mbrogliate >> NS 1 4 4 ) . Il mutamento aveva interessato anche il popolo basso e notevoli frange di esso avevano finito per occupare le posizioni su cui proprio in quei decenni il popolo alto si andava stabilizzando. Questi ormai illeggibili ruoli erano il risultato della pestilenza (« causa la pesta nn'è, che n'ha zampate l d'ogn'arte li cchiù buone e cchiù aggarbate >> NS 1 3 1 ; « d'ogn'arte mo, d'ognc pprofessione / è lo sciare dell'uommene mancato >> NS 1 34 ) . 3.

L o SGUARDO D I U N O SCRIVANO

Dal tavolo dello scrivano erano notabili eventi invisibili da altri osservatori. I fatti della cronaca quasi nera dell'anno della peste costi­ tuivano i materiali che avevano gradualmente costituito il soggetto di - 254 -

LA

CITIÀ DEGLI ZANNI

questo poemetto. Si trattava di documenti minimi di malizie e frodi, inganni e raggiri, tradimenti e furti che tessevano un 'ideale rete di riferimenti per un'etica scossa dal mutamento. Il modulo adottato, in questo testo come in altri testi di questo autore, era l'elenco di una casistica. La cronaca trovava un suo spazio letterario dominato da un empirico modello di « verità )>, quello della giustizia amministrata, come dichiarava la dedica (« tu che la veretà sempre defenne /e l'uommene forfante squarte e 'mpienne >> NS 8 ) . Nel corso della pestilenza e nei mesi successivi erano stati frequenti i casi di rilevante interesse giudiziario: doti ingenti avevano permesso a donne di basso stato ( « mille spellecchie » NS 52) di cambiare rango, nuovi patrimoni si erano costituiti dal nulla (« se tratta ch'ànno avute meglia­ rate l cierte caccial-a-pascere, papute, l cierte pezziente e cierte allevre­ cate l ch'ogniuno le ppegliava a bessicate » NS 52), avevano trovato spazio sociale i provinciali e gli stranieri prima costretti ai lavori più umili ( « Frostiere de chiù parte e cchiù ppaise l ch' erano state a Nnapole garzune, / mille frabutte e mille spoglia-mpise, l ch'ogn'uno le ppegliava a scoppolune » NS 53) che si erano spesso finti, nel caos della pestilenza, dottori e mercanti per imparentarsi con famiglie nobili e si erano poi adattati a diventare servi, falsari, artigiani, omosessuali e persino scrivani. Nei confusi giorni della pestilenza erano state compila­ te dichiarazioni e testamenti falsi, senza notai, inverosimili parenti dei morti ne avevano rivendicato le eredità, le case svuotate dalla morla erano state occupate con le più incredibili motivazioni ( « co raggiune politeche e dde stato l o co cquarche pretesto o quarche rrasa » NS 56), molti si erano dichiarati eredi di morti senza testamento ( « muorte senza parla ' )> ) e molti testamenti erano rimasti disattesi. I servi diventa­ ti padroni appartenevano alla fascia più bassa delle famiglie ricche ( « chi lo frate tenea pe sservitore, l chi tenea lo nepote pe staffiere, l chi lo cainato avea pe ccompratore l e echi le faceva fa' quarche mmestiere l magnanno sempe pane de sodore )) NS 5 8 ) . Ma anche ai mestieri umili: venditori di castagne e di carrube, garzoni che avevano lasciato i loro lavori ( « l'arte e lo mestiere » ) e che ora la nuova ricchezza spingeva a dichiararsi « cavalieri )>. E cosl altre farsesche figure ( « zanne e mmala­ narine » NS 60) avevano saccheggiato i patrimoni delle fanciulle di cui erano stati nominati tutori, avevano messo le mani sulle lotterie e sui banchi da pegno, erano entrati nelle case e le avevano saccheggiate fidando sul terrore del contagio (« non c'era contrasto né ccontese l per la paura de le buce spase / ch'era affatto 'mpestato lo paiese » NS 62). - 255 -

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Così erano stati scardinati scrigni e bauli, stipi e casse e i saccheggiatori erano entrati nelle stanze con scale e funi, senza neanche darsi la pena di scassinarne le porte e senza nessun timore ( « co ttanta libertate tutte quante l che pparea fosse sed;a-vacante >> NS 63). Analoghi soprusi erano stati perpetrati dai doganieri, dai custodi delle chiese momentaneamente abbandonate e soprattutto dalla folla dei provinciali accorsi alla notizia di una città gravemente spopolata. Roma­ ni, milanesi, calabresi, siciliani erano così piombati sulla città (« dicen­ no: - Cammarate allegramente l ca Napole è bacante e ssenza gente » NS 68) e solo in parte erano stati respinti con la galera o con il patibolo (« Io riesto, sbegottuto da sta vista, l chi fa quarch'arte e chi fa lo copista >> NS 69). Di fronte alla gravità di questo sovvertimento l'uomo d'ordine avrebbe dovuto prendere posizione ma l'impotenza degli avvenimen­ ti di fatto glielo impediva. Troppi « amici » erano coinvolti più o meno direttamente in queste vicende (« ciert'ammice . . . m 'hanno av­ visato: l vonno che non ne parla e cche stia muto l perché cchiù d'uno nce iarria mmescato » NS 64). La « verità » della poesia poteva anche limitarsi alla sua chiusa simulazione con la certezza che il suo messaggio etico era già nell'immaginario della comunità. Poesia e dicerla erano i due canali principali della corrente dell'immaginario ( > NS 64). E d'altra parte il complice silenzio della società letteraria era un altro segno della difficoltà dei tempi ( « O penne, o gente addotte addove site l che ste faccenne 'n carta non mettite? >> NS 1 3 0 ) . Questa posizione non prescindeva d a u n a definita conoscenza del mercato librario e delle regole della società letteraria. Se queste tra­ sformazioni avessero potuto essere osservate da Ovidio ne avrebbe fatto un libro ancora maggiore delle sue Metamorfosi e ne avrebbe venduto in quantità, poiché non si trattava di miti né tanto meno di letteratura, quanto, come si è detto, di una forma, sia pure poetica, di verità ( « ca sto socciesso non è 'nvenzione l né bello 'nciegno de la poesia, l né mmanco chi l'ha scritto s 'è nzonnato l ca tutte l'hanno visto e ppratte­ cato >> NS 106) . Nella logica dello scrivano il mutamento comportava pericoli p e r l a stabilità del su o gruppo (la > NS 1 1 7 ) . La morla aveva colpito anche i quadri dei tribunali che avevano dovuto essere sostituiti con personale di dubbia esperienza e provenienza, staffieri bottegai, pa- 256 -

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nettieri. Il nuovo agglomerato di scrivani era privo dei tradizionali rudi­ menti dell'arte, anche essi recitavano una parte (« la scrivania / da vero è ddevenuta guittaria >> NS 1 1 9). A tutti i livelli l'amministrazione della giustizia era interessata da questo fenomeno, così come era capitato ad altri gruppi professionali del « popolo civile »: certi caprai erano diven­ tati avvocati, certi asinai medici. L'adattamento di mentalità così lonta­ ne si era subito rivelato difficile e avrebbe richiesto un impossibile cambiamento di natura, secondo la logica della fissità dei ruoli (« dde­ venta' lione no coniglio >> NS 1 1 8 ) . Nello stesso calcolato sguardo della scrittura letteraria « sogno » e « verità » erano praticamente indistinguibili (NS 1 1 8 ) . La società era per questo ormai soltanto un paesaggio allucinato: agli asini si erano vestiti con la pelle dei leoni, gli uomini senza virtù ricoprivano cariche pubbliche importanti, erano spuntati fiori su alberi ormai secchi, erano risuscitate carogne già disfatte. Si trattava di rifiuti che solo in super­ ficie potevano avere sapore di dolce ( « so' stronza 'nzoccarate de la peste >> NS 125). L'intero sistema di riferimento dello scrivano era stato così sconvol­ to . La città travestita permetteva soltanto una apparente riconoscibilità dei suoi soggetti: gli abiti lussuosi coprivano corpi di provinciali abitua­ ti ad abiti e tessuti grossolani (« coppole )>, « zegrino )>, « cauzette )>) , le divise dei notai, dei medici, degli speziali, degli avvocati venivano usate dai tessitori che avevano abbandonato i telai, dai muratori che avevano lasciato i loro arnesi ( « la cocchiaia »), dai cuoiai che non si curavano più dei loro finimenti, le mani dei tintori erano incomprensibilmente bianche. I nuovi venditori di vasi da notte, i noleggiatori di cavalli, gli asinai erano in realtà panettieri, fruttivendoli, ambulanti, che vendevano castagne carrube nastri, e persino garzoni . Dietro l'illusorio aspetto dei gentiluomini si nascondevano gli aiutanti del boia, le guardie, gli sbirri, le spie, gli staffieri, dietro il volto dei mercanti c'erano uomini che avevano sino ad allora commerciato soltanto in pidocchi (NS 1 3 0 ) . In luogo della mappa dei volti e degli aspetti consueti erano emersi corpi alterati ( « guerce, zuoppe, bistuorte e scartellate )> NS 1 35) forse segna­ li, secondo le regole della corrente fisiognomica popolare messe anche in proverbio, della presenza di menti altrettanto contraffatte ( « voglia lo cielo e camme so' da fore / non siano dinto d'anemo e dde core » NS 1 3 5). Nulla era così grave come la perdita della corrispondenza tra sem­ brare ed essere proprio nell'epoca in cui il sembrare era la più impor- 257 -

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tante delle funzioni. Il rango era un destino completamente definito ndl'immaginario collettivo. Per questo in tante storie romanzesche di quei decenni era inscritto in fondo soltanto un cambiamento di rango. Diventare qualche altra cosa, entrare nel gioco impossibile delle meta­ morfosi era l'argomento più lavorato di tutta la narrativa . Dal punto di vista del testimone involontario di una cosl ampia casistica civile - che era, per deformazione personale, una casistica giudi­ ziaria - oltre i molti casi di passaggio ' improprio ' di patrimoni e pro­ prietà si erano verificati molti casi di altrettanto improprio passaggio di rango attraverso i matrimoni. Nell'illustrazione di questa casistica - il poemetto adottava spesso un modulario proprio dell'ambiente giudi­ ziario - si enumeravano altri punti di una mentalità molto diffusa e molto stabile nell'immaginario non esclusiva del « popolo civile » («so' ccose senz'ordene e mmesura » NS 86). l vedovi erano rimasti a pregare per tutta la durata della pestilenza ma, finita questa, avevano rapidamente rimediato all'astinenza (« se pigliava ogn'uno la vecina / chi pc mmogliera e echi pc cconcobina » NS 1 63 ). Altrettanto avevano fatto le donne, caste Diane piangenti e meste durante la morla (« non parca de carne ma de pasta » NS 164), e poi rapidamente passate ad un incontrollabile libertinaggio ( « tornammo tutte, priesto, all'uso antico l e chi non ha mmarito aggia n'ammico » NS 1 64). Si era cosl generata una licenza senza limiti regolata soltanto dalla ricerca del piacere indifferente ad ogni altro valore ( « ogn'uno a ggusto, comme vo', se spassa l e ssente gran piacere e gran sollazzo; ogn'una a Ha' spreposete nce 'ngrassa >> NS 165). Il segnale più evidente di un altro scompenso in atto era dato dal mancato rispetto delle nor­ me che regolavano i matrimoni: il padrone aveva sposato una serva, la signora un ragazzetto, il professionista ( « artista ») una nobildonna, il ricco una miserabile, la ricca un povero, l'uomo bello una donna brut­ tissima, la donna bella un uomo semicieco e zoppo, la ragazzina un vec­ chio e il ragazzino una vecchia. Unioni considerate « innaturali >> dal punto di vista del piccolo esponente di un gruppo che auspicava una stabilità relativa degli altri gruppi sociali. Ulteriori rammarichi erano per le interferenze di queste unioni non prive di difficoltà e di scandalo con gli affari correnti e per la decadenza peraltro saltuaria ed apparente del tradizionale controllo dei parenti sull'operato delle donne (« senza piglia' parere né consiglio l d'ammice, de paricnte o vecinate, l ogn'uno priesto priesto, pc sta 'ntresca, l chi pe dcnare e echi pc carne fresca » NS 1 6 7 ) . Anche se, come recitava uno - 258 -

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dei luoghi comuni di questa ideologia, le donne, nella loro bestialità, erano fatalmente più inclini a errori di questo genere ( « le femmene ... l songo rebelle a la raggione l ca songo iuste comme l'anemale » NS 1 8 6 ) . I matrimoni numerosi e affrettati avevano arricchito sacerdoti, levatrici e notai . E sullo stesso incredibile teatro ( « pareano veramente cose strane l le scene e l'apparenzie » NS 169) gli abati avevano lasciato l'abito (per « le pottane » NS 1 6 9 ) e le monache avevano fatto altret· tanto. Le consuete precauzioni che abitualmente precedevano il matri· monio, in tutti i ranghi, erano state dismesse : non si erano richieste in­ formazioni sulla famiglia, sul patrimonio, sui possibili legami di parente­ la, né sulla salute degli sposi. Questa tendenza era stata particolarmente evidente nella fascia media del popolo civile, quella dei mercanti e degli artigiani (> NS 1 7 2 ) . Il nucleo di questo tratto era naturalmente un divieto sessuale : come provavano le molte allusioni era stata una deprecata perché incontrollabile carnalità ad attivare queste scelte. Le sue urgenze aveva­ no fatto dimenticare la dignità del rango ( > NS 1 7 1 ) , il desiderio ( NS 1 7 9 L altre erano prostitute che avevano esercita· to il loro mestiere a bassi prezzi e si erano poi sposate come vergini. Ma questa folla di donne incontinenti ( « vedole, vecchie, giovenelle e zite �> NS 1 8 1 ) aveva poi, giustamente, dovuto affrontare momenti dif· ficili, evidentemente già avvertibili a pochi mesi dalla fine della pesti­ lenza dall'osservatorio privilegiato dci tribunali . Le liti ( « a le ccase loro auto non siente / si non contraste, trivole e llamiente )> NS 1 8 1 ) erano state prodotte dal rapido esaurirsi del momento d i spaesamen· to collettivo seguito alla pestilenza. La cifra del poemetto era nella ero· naca di quei pochi mesi, i cui eventi erano serviti anche a rivelare, anche in forma di letteratura, le posizioni dei gruppi sociali e i loro più o meno consistenti insiemi di parole d'ordine : Stettero 'n tresca ciene poco mise menanno sempe vita sciallacquata, sguazzanno e ttrionfanno 'n feste e rise comm'a la casa nce fosse la Fata. Ma, scompute che fforo li tornise e la rroba, già ssaie comm'acquistata, se so' tutte mmutate de colore e s'è scagnato nn'odio l'amore (NS 182)

4.

LE

' REGOLE DELLA M U S A NAPOLETANA : LO STILE BASSO, L ANTI­

TOSCANISMO, LE DUE STRADE

La forma del poemetto e della letteratura era il solo strumento adatto a descrivere efficacemente l 'ampiezza di questo mutamento e ad attivare, come era palese intenzione di NS, delle linee contrastive. La scelta della forma del poemetto dialettale e di questi argomenti aveva una motivazione teorica molto « forte )>, forse poco evidente in NS ma progressivamente semp:e più marcata negli altri poemetti di Valentino. Il loro modello erano gli esemplari poemetti di Cortese d i quasi cinquant'anni prima. Le loro regole erano definite e antinomiche nei confronti di altri generi e altre maniere della società letteraria. Esse prevedevano per prima cosa uno « stile basso �> che aveva un suo definito gruppo d 'uso ( « lo pparla' napoletano maie potette arreva ' - 260 -

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ncoppa Palazzo e maie ascette da lo vascio de la Dochesca e Jde lo Lavenaro )> NS Ll'autore a echi legge) ed una definita opzione per l 'andamento 4 irregolare ' di una lingua fondata più sulle tradizioni del parlato che su una tradizione della scrittura letteraria ( « A echi dice ca li vierze so' zaffie le faccio 'ntennere ca parlo a la paiesana ... e ccerco mettere nnanze la lengua mia )>) . In secondo luogo era il soggetto che, come tutti i soggetti a basso livelio di mediazione, non aveva bisogno delle intercapedini della retorica se non in misura limitata ( « se . . . quarcun'autro decesse ca non c ' è invenzione l e faccio a ssapere ca non conosce la Veretate, perché se la canoscesse saparria ca va sempe a la n nuda » ). La terza era nella scelta del dialetto che era motivata dalla nascita a Napoli ( come quello dei testi di Cortese. La letteratura, qui sempre la « poesia )>, era considerata un linguag­ gio delle mediazioni . Quando il livello di queste appariva basso ci si avvicinava di molto alla diversa {{ verità )> della cronaca. Si trattava allora di un'operazione che era contraddittoria con molti dci rituali della società letteraria e che forzava spesso anche i limiti di tolleranza della società civile . La poesia dialettale raccontava storie ma non con le sfumate e tranquillizzanti tonalità del romanzesco ma con quelle crude e conflittuali della cronaca ( « La storia non è de Lionbruno, / ma cose vere, chiare e mmanifeste / che soccedute so' dapò la peste » NS 2 ) . Anche questa Musa avrebbe dovuto però consentire l'ingresso nel rituale recinto della letteratura, l'Elicona di Apollo, delle Muse e dei letterati , che prevedeva l'incoronazione, sia pure con una corona di - 26 1 -

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verdure, che era il piatto centrale nel codice napoletano del cibo ( « dall 'uorto tu io de foglia cchiù cenere l piglia no mazzo e ffamme na corona » NS 4). Una Musa che non aveva le maniere smussate della musa cortigiana ( « a lo ccant:/ n'è ttroppo scropolosa l ed a dire boscie non è ttropp'usa >> NS 1 3 ) e che in questa differenza trovava ii suo spazio letterario (« e perzò se mantene groliosa » ) . Il modello d i questa poesia, più volte dichiarato ( NS 1 1 1 ) , fargli ritrovare la ragione (« lo iudicio s 'è p perduto l e ttanta cerevelle so' sbotate » ), permettergli di riscuotersi dal sogno in cui erano immersi ( > NS 1 1 2). Altrettanto impraticabile era lo strumento della poesia, troppo pericolosamente vicina alia verità della cronaca e quindi certamente portatrice di danni per l'uomo di lettere (« saie buono ca song'odiate / chille che bonno di' la veretate >> NS 1 1 4 ) . - 262 -

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Negli ipotetici tempi felici (« li ticmpc felice >> NS 1 1 5) che avevano preceduto questo mutamento la poesia de11a verità era stata accettata ed amata. Nella Napoli dopo la peste trovava spazio soltanto la poesia dell'i:ocredibile ( > ( « tu che la veretà �empe defienne l e l 'uommene forfante squarte e 'mpienne » NS 8)_. altrettanto nemico della vana teatralità che sembrava essere la regola fondamentale de1la società civile ( « n nemico affatto d'ogne guittaria )) NS 9 ) . La dedica comprendeva i convenzionali termini della dichiarazione di parvità (« mme despiace d 'esser addiota )) NS I O ) , della prudente giustificazione dello > ( « n'ave'meglio penna e mmeglio musa l pe pparlare de te >>) , della appartenenza al dorato e rituale recinto della letteratura ( « no iuorno chi sa s'Euterpe o Crio l o quarcun 'autra de chelle ssegnore l che se la fanno co lo iunno ddio l mme daranno na sghizza de lecore >> NS I l ) , delle coincidenze della situazione ottimale del lavoro creativo (il « poeteco forare )>) e del­ la sua antica funzione, quella di rafforzare l 'immagine del dedicatario e di consentirne il passaggio a1la Storia, oltre i pericolosi ed equivoci recinti della Cronaca ( « le bertute toie tanto azzellente l spannere da Levante infi ' a Pponente >> NS 1 1 ) .

6.

L A CITTÀ DEGLI ZANNI

Ne11a « finzione )> della poesia la città era animata dalle incredibili figure dei profitta tori senza rango, becchini ( « schiattamuorte >) (NS 85) che avevano saputo approfittare delle tante occasioni offerte dalla pesti­ lenza. Davanti alle cappelle votive stazionavano truffatori , diventati rapidamente ricchi, che chiedevano ai passanti ane1li e abiti promettendo la salute ( « pe gabbare chelle femmenelle l che, pe golìo d 'ave' la sanctate, l tutte nne le mannavano spogliate » NS 74). Gli eredi dissipavano i patrimoni accumulati con il lavoro in bordelli e conviti (« co le pottane e commertazeiune )>} . Cessato il terrificante brulichio della pestilenza le feste avevano perso ogni misura (« ogn'uno sta 'n festa e grelleia l e sforgia, ioca, sguazza e ppottaneia » NS 7 6 ) . Mergcllina, Posillipo, Poggioreale, l e p i ù rinomate osterie e i bagni, tutti i luoghi delle tradizionali passeggiate a mare, erano ormai affollate di carrozze, barche e feluche destinate non più ai signori o al gruppo emergente della « gente civile » ma alle farsesche nuove figure urbane (« guittone [ . . . ) gente le cchiù bile » NS 78). La mancanza di gusto - 264 -

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procedeva nei loro festeggiamenti una caotica licenza musicale perfetta­ mente speculare all 'accozzaglia dei partecipanti ( « co ccetrole, chitarre e ttammorrielle, l co ttiorbe a ttaccone e calasciune, l moschette, rebec­ chine e ssiscarielle, l co cimmare, viole e biolune l mille zantraglie e mille pettolelle, / co n 'autottanto de zanne e gguittune >> NS 7 9 ) . Persino nelle osterie a pochi passi dalle recenti grandi fosse comuni degli appestati si sentivano i canti e le risse degli ubriachi. Questa condizione era compiutamente teorizzata da due diverse etiche. L'etica conservatrice del « popolo civile » faceva uso dei luoghi comuni adatti a controllare gli scompensi di un eccessivo potere d'ac­ quisto dei nuovi ricchi che venivano a turbare gli equilibri tra cui il nuovo gruppo cercava il suo spazio politico. A questo fine erano riciclabili formule correnti come « non gode chi rrobb'ha dc mal acqui­ sto » (NS 75), « la corza dell'aseno non dura » (NS 7 7 ) e simili . In alcune microscene i galantuomi osservavano il passeggio dei nuovi ricchi e commentavano amaramente tra loro la perduta occasione ( « avimmo tuorto l ca non seppemo fa' lo schiattamuorto » NS 80), o lo scrittore simulante, con i capelli ritti, semisvenuto, gridava senza controllo ma in rima ( (NS 1 1 0 ) .

7.

UN'ALTRA NAVE DELLA FOLLIA

Il vasceJlo che si chiamava Superbia (< < arbascia ») approdava a Napoli, nessuno sapeva da dove venisse, a · poppa sventolava una bandie­ ra di raso giallo con la scritta Adesso c'è, prima non c'era. Non era la nave dei folli ma un'altra nave della modernità, quelJa delle merci (« la roba » ) . Essa trasportava i segni del mutamento più impensabile - e quindi di una follìa più subdola e devastante - che interessava la figura deJI'idealmente inalterabile e statico modello della società . -

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Da questa nave nel lungo proemio (La vascie/lo de /'arbascia, VA) de La mezacanna (B. Valentino 1 660, ME) venivano scaricate le merci più eversive. Innanzitutto i trucchi necessari per il travestimento dei corpi: le 836 cassette di « solemato » e le 836 di « argentato » , i 1 .000 sacchi di conchiglie ( , lo > VA 42), le stecche d'osso per i busti e le palle di vetro per levigare la fronte , scarpe e scarpine di tutte le fogge e infine un milione di specchi. Non meno incredibile l 'oggettistica destinata agli uomini: i calzonci­ ni alla francese o alla boema, i cappellini, i ventagli a specchio, le tabacchiere, i portapastiglie, gli occhialini, i tabacchi e il nerofumo per tingere i capelli, tutti beni destinati alla città travestita e ai suoi assurdi attori . La metafora continua dello Zanni, il cittadino che aveva tentato di cambiare rango cogliendo le opporrunità della pestilenza, segnalava la ossessiva centralità del mutamento (« famme di' la verdà senza paura l ca lo Munno senti' la vo' ncanzune l o pe bocca dc pazze o de boffune )> VA 5; « sta sfacciata guittaria )) VA 3 9 ; « pe fa' pare' segnure li covielle » VA 4 8 ; « ciertc zanne e caca-pozonette » VA 50). L'allegorico vascel1o aveva altre cifre : il suo equipaggio era formato di marinaÌ -donne, tranne il timoniere che era naturalmente un VA 65). La padrona della nave era la - 267 -

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Buffoneria (« Guittaria ») in persona, la capitana si faceva chiamare « la Sfacciata » (« vi ca va tutta quanta spettorata l e le zizze vessiche so' de nzogna >> VA 68) e il resto dell'equipaggio non era da meno. L'addetta ai cannoni (« la Trammera ») era « una de chelle » , la dispensiera ( « la Vordellera ») era vistosamente truccata, una vecchiaccia, che si era esercitata con cinque mariti e ne desiderava ancora, alzava le vele ( « donna Baiorda »), dei rifornimenti si occupava una grassona che portava il mantello « a la smargiassa » e pensava di essere un amorino ( « Cuccopinto ») e con queste provvedevano alla nave altre varie donne di VA 99), le grida, le spese illimitate e irragionevoli del popolo basso - artigiani, formaggiai, limo­ nai, macellai, pasticcieri e persino osti, sbirri, doganieri, spie - come del popolo alto ; avvocati, speziali, medici, notai, cappenere, procuratori, scrivani , mezzi-signori in carrozza e in portantina. Con le merci si rovesciava sul molo una folla di corpi inquietanti: gli schiavi d 'ogni tipo (>) e per inquinare il costume (« l 'huommene non perrò de 'mbroglie zelle, / le femmene pe fa' nuove vordielle >> VA 6 1 ) . Le ' bestie ' che scendevano dalla nave erano a loro volta travestite, ma sot­ to le loro posticce pelli di leone si vedevano asini , scimmie, gatti mam­ moni, cuculi e pipistrelli che parlavano in toscano o in latino. La misura (« mezacanna ») che era l 'argomento di questo poemetto era un ulteriore segmento dell'ideologia in fase di composizione del « popolo civile » . II vascello delle merci era giunto in luogo di un desiderato e impossibile vascello della Misura (VA 19-20), in questo ca­ so la meuacanna una stecca di legno adatta anche a piccole punizioni corporali e che era metaforicamente possibile trovare in certe quantità in Germania, più raramente a Venezia e talvolta a Genova (VA 22-24). La misura, che avrebbe dovuto temperare gli eccessi e ristabilire gli equi­ libri perduti nel corso della pestilenza, era un argomento alla moda. - 269 -

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Il basso livello di mediazione di questa scrittura e il suo breve rac­ cordo con gli altri universi del discorso consentiva di dichiarare che la misura non era stata un argomento della letteratura antica e moderna, incline piuttosto a sconsiderate frivolezze ( « felastoccole de poco o nul­ lo profitto » , VA A chi sa leggere) . Altri argomenti avevano occupato per secoli le pagine - amori, ire, gelosie, guerre e assassinii, follie - e le scene della letteratura - innamo­ rati gelosi, donne furbe, capitani spacconi, ruffiani astuti, serve accorte, servi imbroglioni, pedanti incapaci. Pagine e scene dall'effetto certamen­ te negativo: la loro visione non aveva potuto indurre che comportamen­ ti illeciti ( « cille ch'ànno lietto auto n 'ànno appriso che no muodo de sapere fa' l 'ammore, de levare lo nore a lo prossemo, de fare lo smargiasso e d'essere accedetaro » ) . L a letteratura, della pagina scritta e della scena, n o n e r a che un lungo elenco di eccessi dal punto di vista di una scrittura che sce­ glieva un argomento ideologico, ne valutava ìa devianza nei confronti dell'usuale repertorio di argomenti previsto dalla società letteraria e la prossimità, sia pure indiretta, con il discorso politico. Natural­ mente tanto più era visibile questa incidenza tanto più doveva esse­ re rapidamente esorcizzata, come richiedevano le elementari buone ma­ niere della società letteraria: forse della misura non si era occupato nessuno perché « chi misura è misurato », non intendeva colpire nessuno in particolare - il discorso letterario è sempre generico ( « 'nge­ nerale ») - ma solo mettere in guardia. Nessuna affinità intercor­ reva tra la pratica del testo e quelle della maldicenza ( « non è piecco o, come se sole dicere, maledecenzia avesare le perzune )> ) . Il richiamo alla verità (VA 2) lasciava liberi gli ascoltatori di accettarla o di rifiutarla, era solo la sua incombente prossimità che impediva le calcola­ te architetture retoriche della letteratura barocca ( « non parlo 'nzifra e manco 'nfrasa >> VA 3 ) . Questa poesia ribadiva, anche in questo poemetto, il s u o insistito richiamo alla cronaca ( « la ragione a lo sole sta spasa / e chi non se sa buono mesorare l dà materia a tutte de parlare » VA 3 ) . Anche in questo caso i l poemetto dialettale prevedeva u n a pratica del « sentire )> e non del « leggere » , come in gran parte della poesia coeva. Lo stesso accenno continuo alle « malelingue » (VA 12) era certamente un topos letterario ma aveva anche un altro senso per questa produzione del margine della società letteraria che doveva cercarsi un - 270 -

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pubblico tra ascoltatori/lettori addestrati ad altre norme ( « ti basti ornai d'intendere il toscano l ma che ne parli, oibò, questo non sia l [ . . . ] l Quel che la mente può scriva la mano; / chiarisca il vero e fugga la bugia, l ch'anch'il Cortese col suo basso verso l s'immortalò per tutto l'Universo » VA 9). La tradizione dialettale era anche in questo caso una tradizione dell'uso e per questo più vicina alla « verità )> ( « chello che dice n 'è freddura / ca so' cose massiccie e so' de truono » VA 1 1 ) . Questa poesia era forLosamente destinata alla conversazione ( « pe bassatiempo e pe 'ntrattenemiento » VA 107) dal momento che la moda richiedeva una letteratura ad altissimo livello di mediazione ( « vanno pallune abbottate de viento )) ) e ricca di variabili : s'a no trascurzo non ne'è mmenzione pierde co l'uoglio lo suonno e lo stienta. Nzomma nce vanno de boscie mmescate no sacco pe no po' de veretate (VA 1 07).

8 . LA POESIA DI BABELE Nelle quattro parti de La mez.acanna venivano ridistribuiti simmetri­ camente gli itinerari della nuova Babele, la città in cui tutti i segni avevano perso la loro riconoscibilità (ME 1 . 1 3 ) . Gli argomenti dei quattro dialoghi erano le donne e la loro sfrontata recita sulla scena del mondo (ME 1 ) , l 'onore (ME 2), l'essenza della nobiltà (ME 3), la misura (ME 4). Come i poemetti di Cortese anche Napole scontra/fatto era strutturato come una sequenza di gags comiche che l 'autore-recitante leggeva al suo pubblico. Nel caso de La mezzacanna l'adozione del dialo­ go introiettava nel testo il suo modello comunicativo, probabilmente an­ che a riprova della stabilità di un piccolo nucleo di lettori della lettera­ tura dialettale e di un segnale minimo del declino della pratica della lettura di gruppo almeno dei poemetti. Anche la tesi della poesia-verità veniva in questa occasione ulterior­ mente ampliata a dimostrazione di una qualche meditazione e discussio­ ne delle sue peraltro sempre lineari ma vaghe posizioni. Il lavoro del letterato non dipendeva, come in altri casi, dal breve e fortemente normativizzato circuito cortigiano. In questo, come in altri casi, era un secondo lavoro ricavato volenterosamente nei minimi spazi di una professione faticosa ( « pierzo aggio lo suonno e mme so' strutto / - 27 1 -

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d 'uoglio, d'angresta e carta senza frutto �> ME 1 . 1 ) . Questa diversa posizione permetteva le anticonvenzionali soluzioni di questi poemetti ( « canta ci erte cose l ch'a la iornata d'hoie non songo all'uso, l ca so' peccante, se be ' coriose » ME 1 .2). La identità napoletana e l 'apparte­ nenza al « popolo civile �> determinava anche il cauto rifiuto delle tante esperienze provinciali e cortigiane come della tradizione dei cantori popolari (« io lo quale a Napoli so' nato l e non so' de !agliano [ come G. B. Basile ] né d'Averza [ come G. C. Cortese? ] l e po manco so' surdo ne cecato [ come il Cieco di Potenza] >> (ME 1 .3). Masillo e Titta (l'autore), le due persone dei dialoghi, elencavano nella drammaturgia minore del dialogo, i punti fermi dell'ideologia del popolo civile. Una calcolata antinomia nei confronti di una società disgregata e delirante, riluttante nei confronti di ogni tentativo di controllo ( « hoie lo Munno no vo' correzione l ca va' campare ognuno a battaglione » ME 1 .5). Ogni tentativo, sia pure in letteratura, di invertire questa tendenza generava insanabili contrasti (> ME 1 .42). Infine contro ogni irrigidi­ mento valeva la massima assolutamente moderna della relatività delle idee e del nuovo mito dell'opinione : libero nasce ognuno ed è patrone de fare nzò che bo' la penione (ME 1 . 1 5 ) .

Da questo punto di vista era assolutamente definito il compito con­ venzionale della poesia : non doveva rilevare i comportamenti devianti ma esercitare la logica dell'assurdo ( « d'Ammore, de Guerre e de Paz­ zie, l de Favole, Pallune e Fantasie >> ME 1 .20). L'altra posizione prevedeva un prudente interventismo della poesia per controllare un mutamento che aveva profondamente alterato l 'imma­ gine della città (;J

coniglie, l nce hanno fatte le radeche e l i figlie >> (ME 1 . 1 1 ) . Napoli era ormai un'arca di Noé ripiena di popolazioni aliene : cca nce so' Turche, Muore ed Arbanise, cca Griece, cca Todische Otramontane, cca tanta pesciavino de Franzise cca nce songo porzl tanta Romane, cca nce songo de chiù gran Toscanise, cca megliarate de Ceceleiane, dove so ' chiù lenguaggie e cchiù favelle che non c'erno a la Terra dc Babelle (ME 1 . 1 3 ) .

Per questo la poesia non poteva p i ù dedicarsi ai suoi argomenti consueti. Cupido e Venere, Narciso e la sua trasformazione in fiore, la celebrazione dei signori e la cura della loro < < fama )> e della loro « storia » imprese de riservare ormai ai letterati in difficoltà ( « non stongo 'mpresone o passo guaie )> ME 1 . 1 9 ) e ai cortigiani ( « né manco saccio fa' lo Cortesciano l che taglio faccie e po vaso le mmano )> ME 1 .2 1 ) . Questa poesia intendeva riutilizzare certe antiche e dismesse pratiche delle ME 4 . 5 ) . In altro luogo i nobili senza patrimonio erano comparati ai poeti privi di metaforici condimenti dei quali non restava altro che il semplice nome ( « camme a li Poete l quale, se n 'hanno aruta e n 'hanno agresta, schitto la nnommenata ne le resta )> ME 3 . 2 1 ) . Il nucleo della nozione di nobiltà era la > della quale erano capaci i veri nobili che non potevano che essere stati ed essere sapienri ( « l 'uommene sapute )) .ME 3 .2 2 ) . Non avevano alcun valore in poesia né l 'uso di particolari lingue letterarie - il ME 3 . 3 7 ) . Infine anche i poeti erano esposti ad u n o d e i grandi rischi della cit­ tà travestita: la terribile follìa dell'ignoranza. Il peggiore degli igno· ranti partecipava ormai alle « conversazioni )> e non solo interveniva ma intendeva anche argomentare (ME 4 . 1 4 3 ) : tutti si intendevano di orina e si credevano migliori di Galeno, non conoscevano l 'abc e si sentivano più esperti di Scoto c di Molina, parlavano di teologia, in latino e in toscano senza nessun rispetto per le antiche grammatiche, di filosofia, di molti planetari e stellari, di astrologia, di destino e di fato e persino di poesia senza neppure il supporto dell'elementare vade­ mecum di Donato (ME 4 . 1 45 ) : 'nzomma

tutte s o ' Miedece e Dotture ( M E 4 . 1 47 ) .

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In particolare la poesia era la materia che tutti sostenevano, senza alcuna vergogna, di conoscere benissimo : de poesie ne sanno li crapare, ca tutte fanno storie e soniette, ca quann'uno sa buono copiare nne zampa sane sane li conciette; se puro non se fanno 'nfrocecare e chesto mme l 'ha ditta chi l'ha liette, gente che so' de 'ngiegno assaie sottile, ch'a l'addore canosceno lo stile (ME 4 . 1 48).

9.

QUATTRO ARGOMENTI DEL POPOLO CIVILE BASSO

A qualche anno di distanza dalla sua fine la visione nera della pestilenza era in parte decaduta dalla memoria collettiva . La lacerante casistica degli orrori, degli abusi, delle violenze aveva assunto le forme del costume corrente. Come erano stati insopportabili per il piccolo popolo civile gli effetti della pestilenza cosl erano difficilmente control­ labili i suoi esiti. Per il discorso su questi era necessario ricorrere ad un vecchio modulario conservatore che non sempre rifletteva le posizioni, d 'altra parte non omogenee, di questo gruppo sociale. La scelta delia poesia come contenitore e veicolo di questo discorso era tuttavia di notevole effetto sul piano della comunicazione collettiva perché forzante sulla società letteraria. Questa era la cerniera più imponente tra vertici politici dei gruppi di pressione e d'opinione ed esercizio della scrittura, ormai riconosciuto come il solo strumento efficace per qualsiasi presa di posizione nella scacchiera della società civile. Il poemetto sviluppava quindi i suoi quattro argomenti ampliando gradualmente i termini delle sue licenze: inserzioni di proverbi, calchi del parlato, rifacimenti di fraseggi dei linguaggi specializzati o dei testi aulici, scrittura plurilingue (latino/napoletano/lingua letteraria), calcola­ ti répechages della lingua teatrale con una netta propensione per le soluzioni « zannesche » . La struttura de La mezacanna doveva rendere il disordine del costume, con una serie di calcolate devianze. La stessa dichiarata, in molti luoghi, scelta della « verità », unico strumento per smascherare il Mondo (« viva sempre a lo Munno la Verdate, / perché d'ogn'auta cosa è cchiù potente l e chiarisce le cose ammascarate )> ME 1 .47) consentiva la prossimità al luogo di tutte le violazioni che era naturalmente la cronaca e non la scrittura letteraria e i suoi dogmi. - 275 -

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Nella finzione del dialogo era possibile enfatizzare le posizioni fino a farle giungere al bassissimo livello del parlar zannesco (« non te peglia' cchiù collera, sta zitto, l che d'è? che d'àie? che t'àggio mozzecato? l ca se puro parlasse co no guitto l parlarrisse, mme creo, chiù bencreia­ to. l Canusce buono e guarda le perzone l ca non so' quarche zanne o coppolone » ME 1 .38). I quattro argomenti erano il luogo in cui il Mondo rimaneva ingannato e rimaneva incapace di scelta ( « né scerne da lo stuorto lo deritto l comme l'honesto vivere commanna >> ME 1 .46). Anche le lingue di pietra - delle statue parlanti? - avrebbero parlato e per questo era necessario parlare delle misure, senza nessuna costrizione per i de­ vianti ( « servasenne chi vò, cca non ne'è forza l e bi va chi v o' vivere a la storza » ME 1 .46). Il diabolico consiglio dell'interlocutore era di adottare le buone maniere e l 'antico formulario neutro della poesia (« co la docezza non se perde maie; l o dì camme decette l 'Ariosta: - Passi che vuoi tre carte o quattro senza l leggere o legga e non ce dia credenza >> ME 1 .34). D'altra parte le tesi esposte erano ampiamente giustificate dalla norma­ tiva scritta e quindi dalla sezione evidente dell'ideologia ( « parle d'O­ nestate, l de mezecanne e cose de profitto l e non pe cierto ca te l 'baie sonnate l ca quando dice sta pe legge scritto >> ME 1 .4 1 ) . 9 . 1 . Delle donne

Le donne ( « femmene » ) erano il più visibile e traumatico termine del mutamento, u n soggetto sociale che aveva profondamente modificato alcuni appariscenti tratti del costume. La loro nota sensualità e la loro sempre più evidente libertà (ME 1 .3 1 ) ne facevano un temibile argo­ mento letterario anche per il letterato che, pur scegliendo il registro della « verità )>, avrebbe dovuto badare all 'opinione corrente. Inoltre, come recitava un 'altra norma non scritta dell'ideologia, dietro ogni donna c'era sempre un uomo e in ogni discorso generale c'era sempre la possibilità di colpire, involontariamente, qualcuno (ME 1 .3 2 ) . Anche se, come in questo caso, la colpa dello sregolamento del costume femminile era da attribuirsi interamente al declino del potere maritale (ME 1 . 1 4 2 ) . U n a lunga sequenza (< < u n gliuommero >> M E 1 .44) antifemminile utilizzava naturalmente alcuni dei materiali della tradizione della satira della donna, come provava anche una citazione indiretta da Cortese - 276 -

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(ME 1 .3 6 ) . La grave e velata figura dell'Onestà (ME 1 .48) era la base su cui osservare le attuali devianze delle donne. Queste donne portavano scollature profondissime dal collo alle reni, i capelli scomposti, i seni imbottiti ( « co no paro de cascine l [ . . . ] l ca doie vessiche pareno de nzogna » ME 1 .50). Le scollature venivano esibite nelle piazze per compiaciuto esibizionismo (« pe sfarzo e pe grannezza l [ . . . ] l e sentono gran gusto e gran preiezza » ME 1 .5 1 ) . Un uso ormai diffuso che prevedeva la copertura delle mani con guanti e manicotti e la nudità del resto (« co faccie, pietto, cuollo e spalle n nude » ). Queste spalle scandalose erano anche delle vecchie che ave� vano provveduto ad intonacarle accuratamente ( « certe becchie l [ . .. ] l ca 'nfaccie tutto so' rappe e bessecchie, l camme a le giovenelle van­ no fare l e te vanno mosta' chelle pellecchie l co tanta delegen­ zia 'ntonacate l che bede' no le panno li cecate » ME 1 .55). Le spal· le erano segnate da sfregi e bolle, oleose come la colla, dotate di gobbe, ossute, grassocce e magroline, scure e chiare. Cosl come i volti erano totalmente coperti dai trucchi, alterando le giuste simmetrie e colorazioni naturali e conferendo gradualmente un aspetto bestiale ( > ME 1 .53 ) . Ma erano le stesse madri ad insegnare queste pratiche alle figlie ( « e po, chello ch'è peo, sto brutto abuso / maie chiù se pò leva' ca devent'uso » ME 1 .7 1 ) . Queste pratiche erano pericolose dal punto d i vista del costume visto il meccanismo di produzione del desiderio, compiutamente descritto in questa ottava: Trase pe l'uocchie Amore e bà a lo core e da lo core corre a le medolla e da llà con gran impet'esce fare e dove tocca 'nghiaia o fà na mpolla, sta mpolla po deventa dcssonore, che fete assaie cchiù d'ag1io o de cepolla ed è tanto lo fieto, nzanetate, che dura (un mamma mia) na ternetate (ME 1 .7 3 ) . -

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Contro queste pratiche era possibile soltanto il riso ( « eh 'è na cosa da ridere e crepare >> ME 1 .55), lo scherno (> ME 1 .56), il commento dei marginali ( « danno a parlare l pe nfi ' a li portarobba e monnezzare >> ME 1 .57) oppure il piccolo margine lasciato alla vanità tra le mura della casa : la femmena che bella vo' parere a lo mari to co lo viso tinto lo faccia pe la casa e no a la strata dove da tutte l'huommcn' è squatrata (ME 1 .63}.

La figura dell'elenco veniva utilizzata per la farsesca serie di operazioni della preparazione: E, quanno a lo bcstire s'apparecchiano, s'allisano, se 'nghiaccano e sannciano, se 'nzorfano, se 'ngenzano, se specchiano, s'abbasciano, se torceno e se chieiano, se radeno, se spennano e spellecchiano, s'arrappano, se scergano e benteiano, se grattano, spedocchiano e se strezzano, se tegneno, s'allisciano e se 'ntrezzano. S'appontano, se spontano, se cegneno, se stirano, s'allentano, s'allazzano se secano, se schiattano, se stregneno, se coseno, s'attillano e scafazzano, s'arricciano, s'aparano, se pegnono, se 'mbrogliano, se sbrogliano e mmazzano, se votano, se girano e n'abbentano, regnoleiano e maie non se contentano (ME 1 .66-67) .

Un'altra figura, l'exageratio, era destinata a rendere la lentezza d i questa preparazione (« I o m e confedarrìa d e i ' pensino l a Nola appede e po da Nola a Sessa l cchiù nnante che na femmena de cheste l s'apara se sanneia, s 'alliscia e beste )> ME 1 .68), l'eccesso dei loro ornamenti (« N a galera o na nava dinto maro l de tanta chiuove maie sarrà guarnuta, l quanta spingole 'ntuorno a lo collare l na femmena averrà quann'è bestuta >> ME 1 .69), l'uso smodato delle mantelle (ME 1 .75-80) c dei vestiti sontuosi (ME 1 .95) come l'inaccettabile modifica di uno dci più oscuri e vistosi contrassegni di rango, l'andatura ( « e se lo cammena' vide che fanno / non camminano no, vann' abballanno » ME 1 .96). - 278 -

LA CITIÀ DEGLI ZANNI

Queste pratiche alteravano l'immagine, puramente ideologica, del costume tradizionale composta elencando le posizioni dell'uso romano, dell 'antico divieto cristiano dell'astensione del volto e del corpo nelle chiese (« e le femmene d'hoie, patta de luda, / iarriano, se potessero, a la nnuda >> M E 1 .85), qualche exemplum corrente come la calcolata pudicizia in pubblico di Poppea, l'errore della moglie di Caio Sulpizio uscita in piazza senza mantella e ripudiata, qualche consiglio di coprirsi il volto per le donne belle per non indurre in tentazioni e per le brutte per non causare disgusto, infine il suggerimento di prendersi magari certe libertà fuori dal cerchio regolamentato della città (« ncampagna, fora la cetate, l [ .. . ] l se le po da' sto po' de lebertate >> ME 1 .89) . Di fatto tutte queste avvertenze, come quelle di sopra elencate, riflettevano ancora la posizione del Napole scontraffatto : queste modificazioni del costume producevano ed erano il prodotto di un'alterazione nell'ordine sociale e quindi nella riconoscibilità dei ranghi e delle singole posizioni nella piramide sociale. Il « popolo civile » finiva per confondersi con la nobiltà ( < < scernere non porraie la Segnoria l da la Ceveletate >> ME 1 .92) e non riusciva a distinguersi dal popolo basso e dalla plebe ( « scernere non porraie, previta mia, l chi è puopolo, chi è prebbe e chi se sia >> ME 1 .92) . Per una cultura fortemente condizionata dalla mostra del sé era difficile accettare momenti non rituali nei rapporti visuali interpersonali, il semplice regime del saluto conduceva nella nuova situazione ad insopportabili disguidi comunicativi ( « te truove levato lo cappiello l a chi fuorze dà scola a lo vordiello >> ME 1 .9 3 ) . La vistosa ricchezza degli abiti degli altri gruppi sociali aveva prodotto una ricerca di marche distintive nei gruppi sociali più elevati, le signore non portavano più abiti di valore, né sete tessute con fili d 'oro, né colori vistosi, né catene o ornamenti d'oro ma avevano adottato abiti dettati da una moda cangiante ( « cierte drappe e foggie spagnolesche l dove spenneno poco e banno fresche >> ME 1 . 1 O l) e ornamenti di materie non preziose ma evidentemente di buona fattura (« non ce vedarraie auto a le mane l ch'anelle d'acciavaccio o puro d 'asse » ME 1 . 1 02 ) . Questa calcolata e nuova maniera di vestire spiaz­ zava fatalmente le exagerationes degli altri gruppi (per l 'abito sfarzoso di un'artigiana cfr . ME 1 . 1 1 2- 1 1 8) e indicava l 'immoralità di fondo delle donne, che certamente lavoravano ( ME 1 . 127-128) ma che finiva­ no poi per indossare abiti che, fatti i calcoli , non avrebbero mai potuto comprare con un onesto e faticoso lavoro ( « ncuollo portarrà na - 279 -

MICHELE RAK

madamme11a l quanto porrìa abbuscare se felasse l per quatt 'anne e ntra tanto non mangiasse >> ME 1 . 1 3 1 ) . 9.2.

Dell'onore

Anche l 'onore era un argomento equivoco e tuttavia indispensabile per il popolo civile basso . ' Onore ' era una parola d'ordine fondamenta­ le nei rapporti tra gli individui ed i gruppi, collegata a pratiche diverse: le precedenze, le parentele, i contratti verbali, le apparenze. La sua variante più pericolosa, e per questo palesemente rifiutata anche attra­ verso questo poemetto, era quella che prevedeva l 'uso della forza, una soluzione che un gruppo sociale di piccoli nobili, professionisti, mercanti e burocrati doveva escludere in tutte le occasioni. In questo, come in altri testi, la tesi emergente - ma non vincente in una società deila violenza sospesa - era quella della fragilità teoretica della formula: esisteva certamente un ' onore ' caratterizzato dal fatto di essere acqui­ sibile con l'esercizio di una generica ' virtù ' ( « virtute » ) e adatto a consentire il passaggio alla storia ( �< pò fa' nmortale )) ), ma accanto ad esso esisteva una serie di ' onori ' fatui (« no viento » ME 2 . 1 0) , come l 'assurdo onore maritale ( « cosa besteiale l n'ommo stare sogetto a n'anemale >> ME 2 . 1 6 ) , l 'onore delle zuffe da strada e quello, farsesco e cosl frequente, dei nuovi soggetti sociali, gli zanni del dopo-peste. Nel grande libro ( > ME 2 . 1 9) che poteva essere l'onore erano compresi il seduttore che ne acquistava sottraendo­ lo ad altri (ME 2.30), i mariti che lasciavano troppo libere le mogli, gli incestuosi che violavano le regole di parentela (ME 2 .34), gli ubriaconi, gli usurai, i truffatori, i ladri, gli spogliatori di chiese, gli avvocati imbroglioni, i giocatori, i falsari, i tosatori di monete, i banchieri fraudolenti, gli scansafatiche, i venditori di fumo, i maceilai e i botte- 280 -

LA CITTÀ DEGLI ZANNI

gai, gli assassini, i banditi e i fuorusciti, i condannati allo squartamento e all'impiccagione, le spie, i buffoni, i ruffiani, i detrattori, gli ingannatori e gli adulatori, gli ipocriti, i fraudolenti, i traditori, i mancatori di parola, i debitori insolventi, i superbi e gli arroganti, gli avari, gli attaccabrighe, i preti per danaro o per favore. Questo « inferno » cittadino era possibile solo per i rapporti di forza che, di fatto, questi cittadini « onorati » stabilivano con le loro vittime morali : tu non saie buono e non àie visto nzò che bedimmo spisso prattecato, che quanto chiù sia n'ommo 'nfammo e tristo tanto chiù co prontezza eie onorato, perché paura ogn'uno n 'ha de chisto, massema si è protietto o s'è stemato (ME 2 . 1 23 ) .

L'inferno degli uomini disonorati che difendevano a d ogni passo i l loro onore falso era radicato ormai profondamente neii'ambiente, rende· va lecito anche il teatrale dubbio su se stessi ( « puro nuie porzl iammo 'mmescate / co ste sciorte de gente che decimmo » ME 2 . 1 27 ) , sulla natura dell'onore e sui termini di paragone necessari per definire il comportamento onorevole. Nella chiusura della seconda parte il poemet· to ribadiva i suoi debiti nei confronti dei modelli del discorso giudizia· rio, segnalati dal riferimento volutamentc allusivo ad una casistica giudiziaria, dall'uso di una lingua mista latino/napoletana evidentemen­ te frequente nelle aule dei tribunali e dai riferimenti a spezzoni di legislazione antica o corrente. L'onore era una combinazione di predi­ sposizione virtuosa (« le bertù morale »), di fama (« bona openione ») e di azioni ( « azziune hone » ) . Queste si misuravano con due antiche regole « alterum non ledere » e « ius suum unicuique recidere )) . Le maschere degli zanni si erano stabilmente fissate sui volti di quelli che erano ormai i nuovi abitanti della città con i loro deprecabili costumi. I sempre più rari accenni alla Buffoneria (la « Guittaria )> ) segnalavano un cambiamento di registro di un discorso sempre più ideologico e latamente politico. Le scene inserite nella lunga sequenza dei cittadini disonoranti facevano evidentemente parte della cronaca del tribunale e della strada. Il lettore di questa tradizione deve leggerne almeno due : una vicenda di incesto tra cavalli (ME 2 .37-39) costruita sulla stessa fonte di un racconto fiabesco di circa 50 anni prima (G. B. Basile, Lo cunto de li cunti, Napoli 1634-1636, 2 .6) e una rissa da - 28 1

MICHELE RAK

strada tra un barbiere e « cierte pottanelle >> che si erano fatte curare da lui i loro malanni professionali ( solo per le azioni virtuose della loro famiglia (« so' annobelute, l non furno tale pe li nascemiente l ma schitto pe bertù de li pariente » ME 3 .9 ) . Tutti gli uomini avevano cominciato dal lavoro contadino ( « tutte quante scennimmo da la zappa » ME 3 .69) e solo in seguito alcuni si erano distinti (> ME 3.26). Neppure la cinesica minima del volto o la lingua usata fornivano indicazioni sufficienti (« ma 'mpettatura, l na torciuta de musso o de mastaccio, l parlare co na fosca sguardatura, l na maneca a !ancella co no vraccio, l na nnarcata de ciglia, na sbravura » ME 3 .29). La perdurante perdita delle convenzioni segniche nella città travestita impediva qualsiasi orientamento ( « se sia nobele o no . . . l a quale signo se canosciarria l [ ... ] l porta quarche nzegnale scritto 'nfronte » ME 3 .24 ) . Soltanto la staticità delle condizioni avrebbe potuto evitare que­ sto persistente disorientamento ( « io mme sto comme so' nato » ME 3 .38). La nobiltà non era quindi - era la tesi centrale del poemetto - né nei meriti o nelle virtù degli antenati e neppure nelle ricchezze )« non serveno le cose che so' state » ME 3 .40). l morti puzzavano soltanto (« l 'huommene muorte so' fetiente » ME 3 .40). La nobiltà al contrario - 283 -

MICHELE

RAK

apparteneva interamente al vivente (« sempe fresca vo' sta' Nobeleta­ te ») e si acquistava soltanto attraverso le faticose prove della vita quotidiana (> ME 3 .62). Cosl come certe famiglie avevano scelto i loro capostipiti nella caotica regione dell'illusione : Morgante, Priamo, Ecuba, Anchise, Numa Pompilio, Enea, Venere, Gradasso, il Gran Turco e Orlando. Altre famiglie avevano provveduto (« conforme m'hanno ditto li petture >>) a far dipingere nelle loro sale file di antenati immaginari purché vescovi, prelati, cardinali, colonnelli, princi e signori ( « ma li contemprative [ ... ] l diceno ca ssi qua tre so' accattate l e ca non furno maie dell'antenate >> ME 3 .6 8 ) . Anche nelle famiglie nobili si celava quindi il pericoloso principio della contraffazio­ ne che aveva alterato l'immagine della città : gli scarafaggi volevano diventare api, i porci ermellini, gli asini leoni, i babbuini uomini , i gufi pavoni, le canesche delfini, i pidocchi elefanti. l racconti degli « antiquari » (ME 3 . 1 02 ) ricostruttori di storie di famiglia, disegnatori di alberi genealogici, consultatori di libri di storia e di araldica avevano la struttura dei micromoduli teatrali in cui si rivelava la sempre straordinaria sequenza di eventi che aveva permesso l 'intreccio (ME 3 .74-90) . Anche in questa sede si rilevava la frequenza del lavoro letterario dedicato a questa sistematica contraffazione della storia (« So' già note a lo Munno ste facenne, l già se sanno da tutte ste freddure, l s 'arreduceno tutte quante nbrenne, l 'npoco tiempo ste stampe e s te scretture. l Ntanta calametà so' mo le penne l de poiete e de povere scritture l che pe quattro carrine o poco chiune l te fanno trova' l 'asene liune » ME 3 .9 1 } . Per accumulazione e proprio a proposito dei ranghi più alti e potenziarnente più stabili lo scrivano scopriva, ma senza rivelarlo in scrittura, nella maschera la forma costante del Mondo: ogni essenza visibile nascondeva un'altra essenza (« l 'oro vedarraie deventà chiummo l e tutte l 'autre cose viento, fummo » ME 4 .25). - 284 -

LA CITTÀ DEGLI ZANNI

9.4.

Misura

e

Apparenza ( ME. 4.24) i gentiluomini andavano più semplicemente a dorso di mulo accompagnati da un servo e non erano sottoposti, come questi nuovi momentanei proprietari di veicoli, sempre sull'orlo del fallimento, di­ sposti a lasciare digiuni i figli pur di farne uso nonostante il loro costo elevato: il cocchiere, la biada per i cavalli, l'officina, lo schiavo o lo staffiere, le commedie, gli abiti della moglie, il gioco e il resto. Il mutamento privilegiava l'apparenza: con questo bene si otteneva credi- 285 -

MICHELE RAK

to, si esercitavano le professioni, si mercanteggiava e si combinavano matrimoni (« facele credenza l a chi tene carrozza, tuba e panza, l singhe no sagliemmanco, àggie presenza, l 'ntosciate quanto puoie, vieste a l 'osanza, l perché, se be' non saie la Santacroce l auzarraie grido, nomme, famma e boce » ME 4.30). Petrarca, lo scrittore dei « Carre treinfale l zoé d'Ammore, Caste· tate e Parca l terate da chiù sciorte d 'anemale » avrebbe scritto, guardando i volti zanneschi che montavano su queste carrozze, che si trattava del > ME 4.66). A questo si aggiun­ geva lo sconcerto per il rapido avvicendarsi delle mode che portava anche a Napoli sempre nuove fogge ( ME 4 .7 1 ) : nuovi calzoni (> ME 4 . 7 9 ) . Queste devianze non erano lecite, la sola scelta possibile era quella dell'abito alla spagnola (ME 4.82) tranne per due categorie che l 'abito aiutava a distinguere : gli stranieri e i saltimbanchi (« se po' concedere a' frostiere l ca chiste tale pare a me che ponno l vestire a gusto !loro volentiere. l [ . . . ] l li Sagliemmanche l ca chisse schitto ponna passa' franche » (ME 4 .80). Le capigliature ( « le chiommere ») venivano acconciate in fogge altrettanto stravaganti : i capelli scompigliati ad arte ( « tant'Orlanne foriuse »), posticci (« chi fuorze non l 'ha da la Natura l faresella a posticcio ha na gran cura » ME 4.92), con (« co na cappellera de Sbanni· to l lo vide commena' tutto 'ntosciato l e forze nmente soia se penza e crede / de mettere paura a chi lo vede » ME 4 .9 3 ) , lunghi sulle spalle ( > ME 4 . 1 08), una furiosa e continua ricerca di ), XXVI, 1914, pp. 145 sgg.; M. « Rivista Abruzzese », IV, BELLEZZA, 1954, 2-3 ; V, 1955, 2-4; C. MuTINI, Bull. dell'1st. Stor. it. 74, pp. 1 75-221 (Iv., Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana) ; G . Mt.RIKANGELI, (( Boli. d. Dcp. Abr. di Stor. Patria )), UV-LVI, 1964-'66, pp. 1 2 1 sgg.; G . (( Abruzzo », I, 1 967, p p . TAVANI , 50·65; S . PIACENTINO, « Boli. d . D c p . Abr. di Stor. Patria » , LVII-LIX, 1967-'69: G . CoNTINI, Firenze 1970; A . CLEMENTI, in l'Aquila, Edizioni del Gallo Cedrone 1977, pp. 77·96; C. DE MATTEIS, li Olltura 1983, n . l; G . OLIVA, neolatina in Roma, Bulzoni 1982, pp. 35-86; G. OLIVA, Roma, Bulzoni 1984, pp. 72-86 (ora in G. OLtVA·C. DE MATTEIS, Brescia, La Scuola 1986, pp. 20·24. Gianrù Oliva ha curato i l profilo storico-critico e la bibliografia, Carlo Dc Mattcis la parte antologica. A Buccio ha dedicato un fondamentale saggio Aldo Vallone. Il saggio è in corso di stampa nella dello stesso Vallone, a sua volta in corso di stam­ pa nella Collana > di allora. Al quale, con ogni probabilità, si deve anche la scritta « Appendice », chiaramente vergata da mano diversa rispetto all'intero testo, di mano del Lupacchini. Vi è solo da aggiungere, come elemento nuovo rispetto a quanto in proposito altrove si è già detto, che forse non è stata operazione del tutto persuasiva, dal punto di vista culturale stricto sensu, quella di cucire un testo filologico in uno retori­ co-poetico, per giunta qualificandolo come « Appendice » (in questo caso alla parte « rettorica » dell'intero trattato). Meglio sarebbe stato, forse, che la carta in questione, la quale andava in ogni caso salvata, fosse stata incollata a fine trattato, come cosa a sé, senza cioè la dubbia specificazione attribuitale di « Appendice » . Più interessante, e variamente articolata, appare, invece, la questio­ ne del rapporto tra Del modo e il Sunto ms. ; questione che, come è ovvio, chiede, in via preliminare, un esame ravvicinato di entrambi gli scritti di cui si discorre. La carta inerente a Del modo presenta, sostanzialmente, due pro­ blemi filologici fondamentali: uno teorico, inerente all'individuazione - giusta anche il titolo - del modo di leggere gli antichi codici ; l 'altro pratico, riguardante l 'applicazione delle leggi specifiche di tale > nella redazione originale, o che si presume tale, del codice, o dei codici, in questione. Regolano il modo di leggere gli antichi codici alcune considerazioni preliminari, come la prova - in mancanza, evidentemente, degli auto­ grafi originali degli autori - che « gli amanuensi per ignoranza e fretta storpiano gli originali degli autori » ; la necessità « di vedere se un codice è originale o copia >>; le difficoltà (coli . 687-688); 6) > " e, distribuiti tra le strofe 560- 1 1 59 , « dieci sonetti tuttora inediti » . Sorvo­ lando su ogni considerazione dello studioso relativa alla Cronaca buccia­ na, il quale, tuttavia, non si esime dal denunciare come dal codice autografo dell'Accursio rilevasi chiaro che I 'Antinori non ebbe per le mani che esemplari mancanti e di non perfetta lezione, 15

è certamente di indubbio interesse sostare un attimo sulla parte dell'ar­ ticolo relativa ai sonetti. Per dire, in proposito, che il Minieri Riccio , oltre a riportare per intero il primo sonetto Da che fécemmo questa maledetta Cammorà fatto precedere dall'osservazione per cui l'autore in esso si querela della Camorra (che scrive Cammorà), e cosl fa sapere che fin dal secolo 1 4° nella città di Aquila già esisteva questa sozza setta, benché allora si avesse un carattere meno odioso di quello che ha presentemente, 16

dà anche i capoversi degli altri sonetti, che sono : 2) « Chi voi' sapire bene indovinare >> (dopo la strofa 566 della Cronaca) ; 3) > (dopo la strofa 6 1 1 ) ; 7) > (innanzi alla strofa 1 3 60); IO) . Nell'Avvertenza all 'edizione dei sonetti, lo studioso ricorda come tale edizione si basi sulla Cronaca di Buccio secondo la lezione del ms. XV. F. 56 appena citato, sottolineando, nel contempo, anche lui, come detti sonetti non figurino nell'edizione antinoriana. Merita di essere richiamata, accanto ad altre questioni di cui si dirà più oltre, pure la prudenza con la quale il Pèrcopo sembra accogliere l ' idea del Minieri Riccio secondo cui, come s'è detto poc'anzi, il ms. XV. F. 56 sarebbe autografo di Mariangelo Accursio; prudenza dovuta, essenzialmente, oltre al fatto che il ms., quale ora è, non ha tracce di alcuna firma dell' Accursio, né altro che gli si possa pur lontanamente riferire,18

anche alla fragilità della tesi secondo cui il Minieri Riccio, trovando, in fine del ms., il noto epigramma dell'Accursio su Buccio, credette di poter sicuramente asserire, che il cod. sia stato tra­ scritto dall'umanista aquilano.19

I sonetti della raccolta di Cesare De Lollis 20 sono : l) >. 21 Inoltre, sonetti IV e V, « un po' per il contenuto, un siano di Buccio. Egli è incline ad attribuirli, po' debole appare tuttavia la motivazione suona:

il De Lollis dubita che i po' anche per la forma » /2 piuttosto, al dc Ritiis. Un di tale attribuzione, che

non ho del resto nessun argomento di fatto che avvalori il mio sospetto: perciò lascio giudicare il lettore.2 3

Da ultimo, il De Lollis riporta per intero il sonetto bucciano « Quel homo dice c [ h ] e lo destinato >>, dato incompleto dal Pèrcopo, che nel codice aquilano si legge con le consuete varianti, consistenti fin nel primo verso, che recita « Quale homo dice che lo destinato ». E ciò vuoi dire che l 'Accursio, posto che sia lui, a voler dar corpo al dubbio del Pèrcopo, il copista del codice napoletano, non conosceva il codice aquilano del de Ritiis, sembrando parecchio inverosimile l 'ipotesi - che pur si potrebbe formulare - per cui, pur conoscendolo, l'Accursio non abbia ritenuto di dover tenere conto del codice del conterraneo. Resta di dire dei sonetti che si leggono nella Cronaca bucciana curata dal De Bartholomaeis sul codice dell'Archivio Comunale dell'A­ quila, Fondo S. Bernardino, n. l, che è il codice de Ritiis. I capoversi dei sonetti intercalati in questa edizione della Cronaca, con tra parentesi tonde indicate le relative pagine di appartenenza, sono: l) « O gente sciocca sciate penetuti » (p. 99) ; 2 ) « Io ò le rechie mee tanto amarra· te >> (p. 100); 3) > (p. 1 2 5 ) ; 6) > (p. 1 2 8 ) ; 7) > (p. 1 2 9 ) ; 8) > (p. 1 3 3 ) ; 9) > (p. 134); l O ) > (pp. 1 3 4 - 1 3 5 ) ; 1 1 ) > (p. 136); 1 2) > (p. 1 4 0 ) ; 13) « O Aquilani tristi et sciavorati >> (p. 1 4 1 ) ; 1 4 ) > (p. 1 8 7 ) ; 15) > (p. 296); 1 6 ) > (p. 270); 17) > (p. 27 1 ) ; 1 9 ) > fu creata dal « Commùno » e dai « Capituli >> ; ricevendo dalle loro « pazzie >> (cioè del « Comune » e dei « Capitoli >>, riuscendo difficile che le « pazzie >> possano riferirsi a « li cituli >> del terzo verso) non altro che danni . 29 JO

DE BARTHOLOMAEIS (a cura di), op. cit. Per le questioni storiche a questi problemi inerenti dr. L'Aquila, Japadre 1978. V.

dell'Aquila nel declino del Medioevo,

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304

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E.

PONTIERI,

Il Comune

REDAZIONE LUPACCHINIANA DEL SONETTO DI BUCCIO DI RANALLO

L'interpretazione del Minieri Riccio, sopra tutto in riferimento alla proposta lezione camorra per Camera dovuta principalmente al fatto di non essere lo studioso intervenuto sull'accentatura delle parole « del tutto arbitraria e in una parola orribile >> / 1 viene rigettata, ironicamente, dal Pèrcopo, il quale, oltre al ripristino del significato di Camera al termine Cammorà, che legge Càmmora, propone pure le lezioni « de questo » e « de quisti » - al posto di da - riferite al « Communo )> ed ai « Capituli )>. Con l 'ovvia lettura della prima quartina che dovrebbe essere cosl intesa: da quando creammo questa maledetta Camera di questo Comune e di questi Capitoli, in ciò comportandoci assai peggio « de li citali », dalle loro pazzie non ricevemmo se non danni. Un altro problema, niente affatto marginale, legato sempre alla prima quartina, lo pone la redazione De Bartholomaeis, il quale, nel quarto verso, fa seguire il termine « pazìe » da due punti, legando così le « pazzie » non già al « Communo )> ed ai « Capituli », bensì « a li cituli » ; con la conseguente ed ovvia interpretazione per cui alla crea� zione della « maledetta cammora )> ci comportammo peggio « de l i cito l i ) ) con l e loro « pazfe )> : dove appare chiaro che la « pazzia » è qui considerata categoria « de li citali » piuttosto che dei creatori i nteressati della « maledetta camera )> . Contrariamente alle redazioni precedenti, quella lupacchiniana non sembra dare adito a nessuna perplessità interpretativa, risultando anzi - salvo poi a verificare la sua reale fedeltà al testo bucciano (ma a quale ? ) : ma, intanto, non si dimentichi la necessità del « buon senso » come una delle categorie interpretative basilari di un testo invocata dal lucolano - essa redazione, d'una chiarezza solare. Legge il Lupacchini che da quando creammo la maledetta Camera del Comune con, cioè tramite, questi (leggi, disposizioni) - e creandola ci com� portammo peggio di quanto non si comportino i > al posto di « Tutto giorno » (Minieri Ricci-Pèrcopo) e « Chè tuctojorno » (De Bartholomaeis), che pure indica, certo meglio delle altre lezioni, la continuità temporale delle « pene » e « bannora »; ma per rilevare come il Lupacchini, · contrariamente agli altri, con la virgola (al posto del punto) del quarto verso della prima quartina, leghi direttamente il verso in questione, come è giusto che sia, al senso della prima quartina, di cui rappresentn la logica conclusione. E dentro al verso richiama l 'attenzione il termine bannora, che il Minieri Riccio ed il Pèrcopo leggono bonannora, con l 'interpretazione letterale data da quest'ultimo di buoni anni. Valga la semplice osservazione, in proposito, che è almeno un controsenso che « giorno » e « notte » i « matti » fondatori della Camera, i quali non ricevono altro che danni dalla loro operazione, paghino « pene » e . . . « buoni anni » . Degli altri tre versi della seconda quartina, che dimensionano la struttura della Camera, una considerazione meritano li immoliculi e appònnera, rispettivamente del terzo e del quarto verso deila quartina di cui si discorre. E interessano per l 'interpretazione che dci termini fornisce il Pèrcopo. Per quel che riguarda li immoliculi, lo s tudioso li interpreta con mollicole, molliche. 32 Circa il termine appònnera, spiega, sempre in nota : « appondera, cioè sovraccarica di pesi » .33 Donde l 'interpretazione della quartina, che suona: il fatto che alla Camera entrino più denari di quanto non entrino in piazza « brituli », cioè pietruzze, ad alcuni ingrassa li immuliculi, vale a dire le mollicole o molliche, mentre strugge e sovraccarica di pesi tutta l 'altra gente. Contrariamente al Pèrcopo (e per certi aspetti anche al De Bartho­ lomaeis, considerata la medesima lezione dei versi in questione) il Lupacchini, come si può vedere da un rapido riscontro, legge il terzo verso « Vero è che alcuni ingrassan li 'mmoliculi » ed il quarto « Ma l 'altra gente stru;esi et appannora », con l 'ovvia interpretazione, che suona : dal fatto che alla Camera entrino più denari di quanto non entrino in piazza « brituli » , cioè pietruzzc, deriva che alcuni ingrassano la pancia, mentre « l'altra gente » si strugge c si annebbia, cioè si offusca. Dove, chiaramente, li }mmoliculi, non sono le mollicole, o le 32

n

lvi, p. 2 1 3, nota.

Ibid.

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REDAZIONE

LUPACCHINIANA

DEL

SONETTO DI

BUCCIO DI

RANALLO

molliche, come vuole il Pèrcopo, ma l'ombelico (lat . : umbilicus; in dialetto, ancora oggi, ju mmuglicuiu) ; e dove, naturalmente, all'« altra gente », cioè a quella che non si riempie la pancia, piuttosto che « sovraccaricarsi di altri pesi » , le si annebbia, offusca la vista (per la fame). Un 'ultima osservazione riguarda parte del primo verso della prima terzina, in cui si evidenziano, in modo marcato, la lezione del Pèrcopo, « Cosi me avete detto », e quella del De Bartholomaeis, « Così me ajute Dea » , chiaramente orientata, quest'ultima, all'invocazione dell 'aiuto di Dio nella speranza che, per sua intercessione, si ritorni al « retto agire » , come è detto n e i versi che chiudono il sonetto e come è stato rilevato dal Di Tullio nel suo articolo I sonetti di Buccio di Ranallo,34 letti, evidentemente, nella sola redazione debartholomaisiana. Nulla da dire cir­ ca l'invocazione a Dio, essendo ben noto come un forte sentimento reli­ gioso pervada i sonetti bucciani, al di là, si capisce, non potendosene qui neppure far cenno, del tipo di rapporto che Buccio instaura, o ritiene di poter instaurare, con Dio medesimo. In questione qui è altro, e cioè il « buon senno » , o, se si preferisce, una certa coerenza logica, in ogni caso necessari, l 'uno e l 'altra, anche in ambito filologico, specie in casi - e questo è senz'altro il caso - di acclarate incertezze testuali . A che, o a chi, si riferisce il « Cosi me avete detto » (e chi avrebbe detto ? ) del Pèrcopo in un sonetto in cui appare chiaro sin dall'inizio che a fare la « maldicta Cammora » è inequivocabilmente il noi (Da che fecemmo) ? E che è il me debartholomaesiano che Dio dovrebbe aiutare ad uscire fuori dal disordine economico e sociale vcnutosi a creare dagli eccessi della Camera ? Ancora una volta la lezione lupacchiniana sembra soccorrere forse - ad una giusta interpretazione: il popolo (« nui matti »), che tutti i giorni sostiene ( >, non viene ascoltato da nessuno, dal momento che l 'animo dell'uomo, pur trovan­ dosi nella stessa condizione di coloro che si struggono (> ) , non è capace di modificare una situazione di palese ingiusti­ zia. Ingiustizia talmente radicata tra gli uomini al punto che la > viene data loro , da esserne più tardi esonerato tra il sarcasmo e le proteste di tutti , ed accanto al Bayardi, il Martorelli, autore di due noiosi volumi sopra un minuscolo calamaio ercolanese, che gli servì da spunto per discutibili teorie. In questo ambiente giunge il Winckelmann nel febbraio del 1 7 5 8 con lettere di presentazione a varie personalità napoletane, t r a c u i il Tanucci ed il Mazocchi, che egli considerava « due dci più grand'uomini del nostro secolo )> . Il Winckelmann , sin dal momento della sua partenza per l'Italia, aveva sperato in una sistemazione alla corte di Napoli, ma il progetto era tramontato, e questo stesso viaggio con la previsione di un limitato soggiorno a Napoli era stato procrastinato per vari motivi, non ultimo il fatto che i suoi augusti protettori erano impegnati in ben altre faccende che l 'archeologia, dal momento che la Sassonia era stata invasa, nel­ l'agosto 1756, da Federico di Prussia, all'inizio di quella che sarà chia­ mata la guerra dei sette anni . La buona fama che lo precedeva recò al Winckelmann più danno che vantaggio. Si tenga conto del fatto che il Re e i dotti erano gelosi delle recenti scoperte, e pertanto si comprenderà agevolmente come il Winckelmann fosse tenuto d'occhio perché non prendesse disegni ed appunti nel corso delle sue visite alle antichità ; per il nostro viaggiatore fu una continua scaramuccia con i custodi e le altre persone preposte, ma alla fine, nei due mesi che si fermò tra Napoli e Portici , gli riuscl di vedere e di esaminare più di qualsiasi altro studioso. Molto gli giovò a tale scopo il contegno cortese e quasi dimesso che assunse verso il Paderni, direttore del museo di Portici , anche se in realtà lo con�ide­ rava poco onesto c molto ignorante. Visitò dunque Napoli ed i suoi dintorni, Pozzuoli , Baia, Cuma, Miseno, Caserta, e si spinse fino a Paestum, che desiderava già da tempo di visitare, informato come era della presenza i n quel luogo di tre templi > (lett. al Berends, 25 luglio 1 75 5 ) . - 312 -

WINCKELMANN E L 'ITINERARIO NAPOLETA:-.10

Tutt 'altro ! Proprio in quell'anno 1 755 il Monsignore veniva esonerato dal compito affidatogli, mentre per lo studio e pubblicazione delle antichità veniva creata l'Accademia Ercolanese. Invece qualche altro esempio potrà essere sufficiente. Abbiamo già accennato al Paderni: il Winckelmann lo tratta da « disegnatoraccio ... tanto insigne nell'impostura quanto è sciocco ed ignorante », ma nello stesso tempo cerca di ingannare in tutti i modi la sua vigilanza e la sua buona fede superando i limiti che gli erano stati imposti, e che aveva accettato, per i propri studi . Infine, qualche anno più tardi ( 1 762) gli scrive una lettera riboccante di amicizia e di cordialità, dove tra l 'altro gli chiede notizia di alcune recenti scoperte e particolari circa una statua di Pallade. A proposito del Martorclli c della sua Theca calamaria il Winckel­ mann dice : sotto il nome del suo mecenate, Michele Vargas Macciuccia, egli scrive all'autore un biglietto di spertica­ to elogio, fino ad esclamare « l'opera vostra è di quelle che ferunt omne saeculum . . . è tra le poche del nostro secolo alle quali porto invidia )>. A meno che tutto ciò non sia stato una ironia, ma in questo caso l 'ironia non sarebbe di buon gustoE le polemiche non mancarono, come vedremo. Tuttavia, conviene, a mio avviso, considerare che molto spesso, parlando del Winckelmann, si è posto l 'accento in modo troppo insistito sui giudizi negativi del grande tedesco a proposito della cultura napoletana con la quale egli fu a contatto. Forse uno spirito antiborbonico ha inteso in tal modo coinvolgere in una valutazione storico-politica quello che era l'ambiente dotto dell'epoca, certo non peggiore e non inferiore al paragone di tanti altri. Penso che un più profondo esame della questione andrebbe fatto, e da quel poco che si può dire qui, già appare come dissensi e consensi trovino un loro equilibrio nel naturale svolgersi degli avve.nimenti e nella realtà dei risultati concreti che l 'attività archeologica raggiunse con le nuove, grandi imprese di scavo, da un lato, e con gli studi che quelle scoperte provocarono, vari di indirizzo e di valore, dall'altro. - 313 -

ALFONSO DE FRANCI SCIS

Il Winckelmann ritornò a Napoli nel gennaio del 1 762. Carlo di Borbone era passato al trono di Spagna, nel 1 759, e la regina Maria Amalia era morta l 'anno successivo; a Napoli regnava Ferdinando, ancora fanciullo, e tutta la cosa pubblica era nelle mani del Tanucci . Il Winckelmann nelle tre settimane che restò quivi si dedicò quasi comple­ tamente agli scavi di Ercolano: ogni giorno si recava a Portici, e questa volta ebbe meno a lamentarsi del Paderni, il quale gli fu largo di ospitalità e di facilitazioni perché potesse studiare a proprio agio le antichità. Meno buone furono invece le relazioni col Tanucci, il quale lo accolse con una certa freddezza, sebbene vi fosse stato in precedenza un continuo contatto epistolare: evidentemente negli ambienti di Corte non era diminuita,· col mutar del Sovrano, l 'avversione a far conoscere le nuove scoperte. Del resto, narra il Winckelmann, allo stesso scultore Canart, che restaurava le statue, era talvolta proibito di mostrare alla propria moglie le opere d 'arte che gli erano affidate. Frutto dei suoi studi e delle sue osservazioni fu la « Lettera al conte di Briihl sulle scoperte di Ercolano » (Sendschreiben von den Herkufa. nischen Entdeckungen). La « lettera » , pubblicata a Dresda, passò in un primo tempo inosservata a Napoli, anche perché il Winckelmann non ritenne di inviarne copia in omaggio ai colleghi napoletani, finché non uscì e si diffuse la traduzione francese, che era stata curata dal conte de Caylus. Allora, a causa delle critiche ivi contenute alla condotta degli scavi ed alle persone preposte, cominciarono le polemiche. Il Tanucci , scrivendo all 'abate Ferdinando Galiani, esclamava: dichiara il Winckelmann al Padre Paciaudi, mentre al Muzeii-Stosch scrive : Questa critica è tanto insulsa che provoca davvero nausea e mi si assicura che il marchese Tanucci, segretario di Srato, abbia intimato all'autore ed al tipografo di ritirare tutti gli esemplari. Spero, l 'anno prossimo, di

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' WINCKELMANN E L ITINERARIO NAPOLETANO

vendicarmi con la prefazione che apporrò all'opera sui « Monumenti » e cosl mi lusingo di reprimere l'animosità del dimostratore di Portici con la pubblicazione di un'opera assai più importante.

Ma i benpensanti non apprezzavano una simile Iogomachia ed il grande Antonio Genovesi confidava ad un amico : « Si è dato fuori una lettera , dove il signor \X'inckclmann vi si tratta da un gotto stordito e ignorante, e l 'erudito signor Martorelli da stravolto e fanatico : ma non piace troppo agli uomini di garbo �> . Né d'altra parte il Winckelmann desisté dall'interessarsi di quella che ormai era per lui una ineguagliabile ed insostituibile fonte per i suoi studi sull'arte antica. Stando a Roma, ne riceveva continue notizie dai colleghi napoletani, non ultimo il vituperato Paderni , ed a sua volta ne scriveva agli amici. I l quadretto musivo, firmato da Dioskurides, con gli attori girovaghi, lo entusia�mò : « musaico ... il primo e l'unico del suo genere che sinora sia comparso alla luce ... lavoro d'una sottigliezza che sfugge all'occhio ... quel che accresce il gran pregio di questo monumen­ to è il nome dell'artefice ... �> scrive egli tra l 'altro al Mengs, ed alla fine del febbraio 1 7 6 4 , mentre si pubblicava a Dresda la sua « Storia dell'arte >>, Io ritroviamo di nuovo a Napoli, ospite del P. Giovanni Maria Della Torre, direttore delle raccolte farnesiane di Capodimonte. Ercolano e Pompei gli riserbano sempre nuove sorprese. A proposi­ to del teatro di Ercolano scrive al Paciaudi : , alcuni monumenti sepolcrali di « Via delle Tombe » , ed il Winckelmann notava , giustamente, come il cattivo stato nel quale si ritrovavano i monumenti pompeiani fosse dovuto ai danni che a quella città aveva arrecato il terremoto che di poco (anno 62) aveva preceduto l 'eruzione . Ma di queste e di altre osservazioni che riuscì a raccogliere nelle tre settimane del suo soggiorno napoletano, oltre che scriverne agli amici , riferì poi nelle « Notizie sulle ultime - 3 15 -

ALFONSO DE FRANC I S C I S

scoperte di Ercolano » (Nachrichten von den neuesten 1-lerkulanischen Entdeckungen) pubblicate in quello stesso anno, con dedica al giovane Johann Heinrich Fiissli di Zurigo (omonimo del noto pittore) che gli era stato compagno in questo viaggio. Ed ancora, dal settembre àl novembre 1 7 6 7 , il Winckelmann si reca a Napoli. Da due anni egli progettava questo suo quarto soggiorno napoletano, con l 'idea non soltanto di rivedere la città ed i suoi dintorni, ma di spingersi fino in Sicilia, sebbene sapesse che il Paderni e lo Alcubierre, dai quali dipendeva e lo scavo e il museo ercolanese, fossero assai mal disposti verso di lui. Comunque, andò ad alloggiare in casa del D'Hancarville, un avventuriero di genio che frequentava le corti di mezza Europa, e s'incontrò tra l'altro con un suo caro e vecchio amico, il barone von Riedesel, la cui fama è legata ad uno dei più notevoli libri di viaggio tra quanti se ne scrivevano in quel tempo sulla Magna Grecia. Con questi due amici il Winckelmann compì una ascesa al Vesuvio, nel corso di una eruzione, e lo spettacolo restò vivamente impresso nel nostro viaggiatore, sia per la singolarità del fenomeno, sia per i richiami classici che gli tornavano alla mente. Un suo biografo cosl descrive l'episodio, cavandone i particolari dalle lettere dello stesso Winckel­ mann. Il Winckelmann andò a Portici con Riedescl e d'Hancarville, tre dome­ stici forniti di fiaccole, ed una scorta. Seguendo l'esempio di Plinio Seniorc, traversarono tutti insieme la nuova lava che copriva quella caduta preceden­ temente. Dopo due ore di un cammino, che a Winckelmann, benché avvezzo a viaggiare a piedi, sembrava faticosissimo, furono costretti a camminare sulla lava cocente per giungere sino al cratere. La guida insisteva per tornare indietro. E siccome non avevano altro mezzo per spingerla a proseguire la via, la minacciavano col bastone; D'Hancarville li precedeva con lanterna ed i compagni seguivano le sue orme. La parte superiore delle loro scarpe faceva crepe ad ogni passo e le suole andavano bruciandosi a poco a poco. Cionono­ stante giunsero al cratere, di cui poco si poteva vedere a cagione delle immense masse di cenere che si levavano in aria. Arrivati colà, si spogliarono per asciugarsi le camicie molli di sudore; stavano rannicchiati con tutta la persona su quel terreno infocato, ed ignudi come Ciclopi trascorsero cosl un qualche tempo mangiando per riacquistare le forze. Verso la mezzanotte decisero di tornare indietro, e, ad onta del grave pericolo cui si erano esposti, si portarono di nuovo al calesse che avevano lasciato a Resina, dove, fermatisi all'aperto ed in mezzo allo strepito ed alla confusione degli abitanti che fuggivano dalle case crollanti, bevvero due grandi fiaschi di Lacrima Cristi ».

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Intanto i rapporti con l 'ambiente napoletano non erano dei migliori ; vero che, recatosi a Corte, vi fu accolto benevolmente, e gli fu consentito di proseguire la sua visita alle antichità, tuttavia non poté vedere, tra le recenti scoperte, quelle che erano stimate le più preziose, non gli era permesso, canuninando tra i ruderi, tenere un passo regolare, per il timore che cosl facendo prendesse ed annotasse delle misure, cosa che invcro rispondeva alla realtà, e sebbene in precedenza avesse ricevu­ to in dono dal Tanucci i primi volumi delle Antichità di Ercolano, non gli riusd di averne il quarto, che conteneva la descrizione dei bronzi. D'altra parte, riferendosi alla polemica scoppiata due anni prima a proposito della >, il Winckelmann, mentre era ancora a Roma, confessava al Berends di temere addirittura per la propria vita, ma era questa soltanto una fantasia nata nel suo animo ombroso e suscettibile, e comunque del tutto ingiustificata, se si consi­ deri il carattere dei napoletani. I l Winckelmann non doveva rivedere più Napoli e le sue antichità, ché a meno d 'un anno di distanza, 1'8 giugno 1 7 6 8 , moriva a Trieste per mano d 'un pistoiese, Francesco Arcangeli. l suoi non lunghi soggiorni a Napoli , nonostante tutto, gli avevano dato ampio modo di seguire da vicino gli scavi, di partecipare all'emo­ zione dell 'archeologo militante che di ora in ora, di giorno in giorno, vede ritornare alla luce le testimonianze del passato e cerca di ricono­ scerle, d'interpretarle, di inquadrarle nel tessuto delle sue esperienze e delle sue nozioni, di giudicarne, a seconda dei casi, il valore d 'arte oppure l'interesse documentario. Egli era vissuto, anche se con un certo distacco, accanto ai suoi eruditi colleghi, in un umano alternarsi di amicizia e rivalità, di accordi e di contrasti, di lodi lusinghiere e di severi giudizi : un mondo vario e direi quasi imprevedibile e fluido, quale forse a Roma non aveva e non avrebbe potuto trovare. Per il Winckelmann, continuamente teso a conoscere e riscoprire il bello ideale raggiunto dai greci attraverso le opere d 'arte nei loro felici momenti, Napoli ed i suoi dintorni costituirono il punto massimo, cui poté pervenire, di quella conoscenza diretta della Magna Grecia e della Grecia propria che egli aveva tante volte sognata e progettata, che non poté mai realizzare. Quello che Napoli abbia significato per il Winckelmann si rileva a noi in tutti i suoi scritti . Alle molte lettere, di cui abbiamo citato qua e là pochi passi, dobbiamo aggiungere in primo luogo le relazioni che inviò al Bianconi nel 17 58, per esaudire i desideri del principe Federico è

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ALFONSO

DE

FRANCI S C I S

Cristiano. Qui troviamo notizie di ogni genere, su Ercolano e Pompei soprattutto, ma mescolate a quelle che riguardano altri centri come Roma e Paestum, con erudite dissertazioni sui papiri accanto ad analisi estetiche di pitture e sculture . . I templi di Paestum sono lo spunto p e r varie considerazioni : I tre Templi o sia Portici sono fatti sull'istesso stile, e fabbricati prima dello stabilimento delle leggi di proporzione. La Colonna Dorica ha da essere di 6 diametri e quelle di Pesto non arrivano a 5 . Da ciò si può inferire che l'Architettura sia ridotta in regole d'arte dopo la Scultura. L'Architettura del Partenion d 'Atene è poco elegante al paragone del rilievo nel fregio dell'Ar­ chitrave, di cui ho veduto un disegno esattissimo fatto da Stuart Ingl. Architetto di Grcenwich, che ci lavora adesso intorno a Londra. Parerà un paradosso d'asserire che l'Architettura non s'è formata sull'imitazione di qualche cosa che nella natura rassomigliava a una casa , ma il Scultore aveva il suo archetipo nella natura perfetto e determinato. Le regole della proporzione bisogna convenire che siano prese dal corpo umano, dunque stabilite da Scultori. Questi fecero le Statue lunghe di 6 piedi umani, secondo Vitruvio, e le misure esatte prese da me vi corrispondono. Huetio nella Huetiana pretende che il testo di Vitruvio sia scorretto, o ne sta in qualche dubbio su questo : ma altro è lo studio dell'arte e altro la Dimostraz. Evangelica. Dunque le fabbriche di Pesto sono fatte, o prima che i Scultori si accordaro­ no sulla misura di 6 piedi, lo che pare poco probabile, o prima che gli Architetti adottassero le proporzioni de' Scultori. Gli Archit . antichissimi di Pesto s'accorsero bensì dell'incongruità delle loro colonne, ma non avendo la misura stabilita, per non farle troppo tozze, secondo che gli dettava il sentimento e la ragione, le fecero Coniche, e questa forma conica le rende stabili e se non saranno destrutte con viva forza, resteranno in piedi sin 'alla fine del mondo. L'abaco che posa sopra il collarino delle colonne spunta fuori dell'Archi­ trave a 6 Palmi e questo concorre a rendere l 'aspetto augusto e sorprendente. I triglifi sono nel fregio e sul cantone dell'Architrave in maniera che c'insegna Vitruvio, che non è da spiegarsi che con un disegno di queste fabbriche.

Bisogna poi ricordare il giusto rilievo che egli dà ai quattro famosi quadretti ercolanesi, i quali come gli suggerisce il suo infallibile gusto : fra le ultime scoperte di Ercolano tengono il primato ... e solo possono dare idea di quelle opere dei pittori greci di cui tante meraviglie decantano gli autori antichi.

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Né minor motivo di ammirazione egli trova nelle sculture di bronzo, e valga ad esempio la testa che allora era considerata un ritratto di Platone : Questa testa fatta con meno stento e nella maniera grandiosa di lavorar

in bronzo può dirsi uno stupore dell 'arte. Ella guarda di fianco in giù in atto, ma non in aria, di disprezzo, con fronte pregna di pensieri, ma nell'istesso tempo con dolce sguardo. La lunga barba meno folta di quella di un Giove è più ricciuta e sparsa di quella delle teste che dimandano Platoni, è tirata in solchi quali potrebbe fare il più fino pettine, senza essere taglienti o fatti a bollino, ma morbidi al pari del pelo canuto; e in medesima guisa sono lavorati i capelli striati con ondulazione. Ma, Amico, io disfide chi che sia di spiegare in iscritto l'artefizio di questa testa.

Ed in queste relazioni al Bianconi ritroviamo il nucleo di quegli argomenti che saranno più tardi sviluppati nel Sendschreiben al conte di Bri.ihl e nelle Nachrichten al Fi.issli, cui abbiamo già fatto cenno. Ambedue possono considerarsi trattazioni organiche ed esaurienti delle scoperte che si andavano compiendo: sono ricerche sui problemi topo­ grafici che riguardavano le città seppellite dall'eruzione vesuviana, con l 'esposizione dei metodi di scavo adottati e dei risultati cui essi portava­ no, sono descrizione dei monumenti e delle opere d 'arte, con l 'esame accurato dei papiri e delle questioni filologiche ed antiquarie che essi implicavano e con lo studio delle varie suppellettili . Ed insieme con Ercolano sono prese in considerazione anche Pompei e Stabiae; ché infatti a Pompei era dato vedere e conoscere case e strade, mura e porte urbiche d'una antica città, nel loro reciproco rapporto urbanistico, nei loro particolari struttivi ed architettonici, mentre lo scavo di Stabiae dava l 'idea delle grandiose ville patrizie, dalla pianta complessa ed articolata, con gli ambienti sapientemente disposti per godere il pano­ rama ed i vantaggi del clima, ed ornati con pitture di altissima qualità. Il Winckelmann descrive e giudica ogni cosa con la conoscenza del mondo antico, che gli proviene dalla sua formidabile preparazione filolo­ gica, e con l 'intuito estetico che gli è proprio; non gli sfugge il dato antiquario nei singoli oggetti e ne puntualizza l 'uso ed il significato, ma quando si trova dinanzi all 'opera d'arte ne analizza il valore, ne mette in rilievo il contributo che essa reca alla storia dell'arte antica, e cerca di fissarne lo stile e l 'epoca . Non è possibile ricordare qui partitamente la ricchezza delle sue - 3 19 -

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osservazioni e l'acume delle conclusioni cui egli giunge, ma leggiamo insieme qualche passo, come ad esempio lo scavo di una villa stabiana : A Gragnano, l 'antica Stabia, si trovò una villa o casa di campagna, che in molte delle sue parti era simile _ a quella di Ercolano. In mezzo al giardino v'era uno stagno diviso in quattro parti eguali, sopra le quali erano gettati quattro piccoli ponti di un arco. Sullo spazio vuoto all'intorno v'erano da una parte dieci compartimenti, dall'altra dieci stanzini per lavarsi o bagnarsi, i quali come ad Ercolano erano alternativamente semicircolari e ad angoli . Questi stanzini come quei compartimenti erano ricoperti da u n a pergola fatta nella guisa stessa di quella d'Ercolano, e sul suo davanti era come quella appoggiata a colonne. Intorno a tutto il muro che cingeva il giardino tanto internamente quanto esteriormente correva un canale destinato probabilmente a raccogliere l 'acqua piovana, poiché non si trovò colà alcuna traccia di acquedotti, e bisogna credere che in quei luoghi non si avesse altra acqua che quella che cadeva dal cielo, cosa tanto più probabile che anche nell'atrio di quella villa v'era una cisterna molto grande.

Il richiamo alla Villa ercolanese dei Papiri è chiaro, e di questa villa il Winckelmann scriveva tra l 'altro : S'è scoperta una certa villa fabbricata con gran lusso, per quanto si può dedurre dalle superstiti vestigia, cioè dal pavimento di mosaico, dalla smisu­ rata e singolare spaziosità delle porte con i loro stipiti e soglie di marmo, e da tutto quanto ne è stato scavato. Le più belle statue di bronzo, cioè di figure femminili di grandezza naturale in atto di danzare e tutte le teste o busti di marmo, di cui è adorno l'appartamento della regina, sono state appunto qui ritrovate.

Eppure, nonostante il vivo interesse che il Winckelmann dimostra, qui ed altrove, per i ruderi dell� antiche costruzioni, e nonostante che in tante occasioni il nostro studioso biasimasse, anche con asprezza, questo o quel particolare episodio di scavo che aveva portato, per frettolosità o per una qualche imperizia, alla distruzione o alla manomissione dei reperti, tuttavia, nello stesso tempo, per l 'appunto nella lettera al Briihl, egli polemizza con i forestieri e i viaggiatori che preferirebbero vedere Ercolano scavata tutta all'aperto, e non per cunicoli . Per quanto riguarda lo scoprimento dell'intera città, i o f o riflettere, a quelli che lo desiderano, che siccome le case furono schiacciate dall 'enorme peso della lava, non si vedrebbe altro che ruderi. Siccome inoltre, da quelle parti che erano dipinte si tolsero le pitture per non !asciarle guastare dalle intemperie, le case migliori non si vedrebbero che smantellate. E poi è cosa

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facile immaginare quale immensa spesa importerebbe il rompere e portare via tutta la lava e la terra compatta, e tutto ciò con qual vantaggio? Quello di vedere antichi muri in rovina . Ed infine per contentare la curiosità di qualcuno si sarebbe dovuto distruggere una città ben fabbricata e grande (cioè Resina) per far vedere una città diroccata e mucchi di pietre . . . Coloro che vogliono vedere interamente scoperte le quattro mura delle case seppelli­ te possono andare a Pompei: ma non è necessario tanto incomodo; questo è riserbato soltanto agli Inglesi.

Il Winckelmann condivideva in sostanza i metodi di scavo correnti al suo tempo, metodi i quali oggi non sarebbero più giustificati e tanto meno soddisfacenti, ma essi rispondevano esattamente alle esigenze ed al livello scientifico dell'epoca. D 'altra parte, non bisogna dimenticare che i nostri furoni i primi scavi sistematici che fossero stati mai intrapresi e condotti con un vasto ed in qualche modo organico programma di esplorazione e studio di complessi nuclei urbani. Finalmente, credo non sia di scarso interesse il ricordare che il Winckelmann era convinto che un primo dissotterramento di sculture ercolanesi fosse avvenuto già in età romana; lo deduceva da una iscrizione esistente a Napoli e ne trovava conferma in alcuni indizi che aveva osservato negli scavi : l 'ipotesi è insostenibile, perché l'iscrizione si riferisce più probabilmente a Pozzuoli e comunque va diversamente interpretata, ma è notevole per lo sforzo della erudizione c per il tentativo di conoscere la sorte che, nei secoli dell'Impero, ebbe il sito delle città sepolte. Ma anche nello scrivere le sue opere maggiori, la Geschichte der Kunst ed i Monumenti antichi inediti, il Winckelmann trovò solido fondamento e trasse materia per le sue teorie e per le sue conclusioni parimenti a Roma e ed a Napoli. Così in quegli scritti incontriamo assai di frequente la citazione ed il ricordo delle opere venute alla luce dallo scavo e conservate nel Museo di Portici, nonché di quelle che appartenevano alle varie raccolte private napoletane, Valletta, Mastrilli, Caraffa di Noia : in special modo le sculture di bronzo e le pitture, una documentazione unica che non esisteva altrove. Né è forse un caso il fatto che queste due opere maggiori furono pubblicate dopo che il Winckelmann aveva conosciuto le antichità napoletane, quasi che queste fossero state il necessario ed indispensabile complemento delle sue esperienze romane; nel 1764 la Geschichte der Kunst cui il Wincklmann lavorava già dal 1 7 5 7 , e nel 1 767 i Monumenti antichi inediti, a conclusione di un lavoro intrapreso sin dal 1 7 6 1 . E nel 1 765, dopo il suo terzo soggiorno a Napoli, il - 321 -

ALFONSO DE FRANCI SCIS

grande archeologo si accingeva a preparare una nuova edizione della Geschichte der Kunst che la morte non gli consentì di portare a termine. Del resto, come abbiamo accennato, il Winckelmann sentiva spirare a Napoli l 'aura della grecità, e nel suo continuo ricercare le forme perfette nella natura oltre e prima che nell'arte, osservava : la razza greca d'oggi è famosa per la bellezza, e quanto più la natura si avvicina al dima della Grecia, tanto più belle, scultoree e possenti sono le forme delle creature che essa genera ... Napoli, che più di tutte le altre regioni d'Italia gode di un clima mite e di stagioni più uniformi e più temperate, trovandosi essa molto vicina a quella zona di cielo sotto cui giace anche la Grecia, presenta spesso forme e strutture che possono servire di modello per una figura di ideale bellezza e che, riguardo alla forma del volto e in partico1are ai tratti di questo ben marcati ed armonici, sembrano essere create per la scultura . . . I Napoletani sono ancora più raffinati ed arguti dei Romani, e i Siciliani lo sono ancor più dei primi; i Greci però superano gli stessi Siciliani .

E, forse, come omaggio alla estrosità napoletana, anche questa intesa come retaggio dei greci, dobbiamo intendere quanto egli scrive al Bianconi: I Napoletani generalmente paiono nimici a spada tratta della linea dritta : gli fa nausea di non vederla subdivisa in curve di varie sorte che vengono a formare angoli acuti, ottusi etc. Le case, le finestre, gli ornamenti sino alle carrozze sono fatte cosi.

Dobbiamo concludere che il tempo trascorso a Napoli fu in fondo per il Winckelmann un piacevole soggiorno? Penso di sl, se pur tra meschine ostilità e polemiche egli vi ritornò sempre volentieri per alimentare il proprio spirito delle tante testimonianze del passato che la regione gli offriva e se, come egli stesso confessa, godette ivi tutto quello che ad un forestiero può riuscire gradevole. L'incontro del grande archeologo tedesco con il mondo della cultura napoletana apportò a quest'ultima nuova linfa ed estese ad un livello più ampio e più maturo la conoscenza e la valutazione delle nostre antichità. E di ciò per l'appunto che Napoli deve essere grata al Winckelmann .* * L'articolo fa parte della ricerca in corso sulle antichità napoletane nella civiltà europea.

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ANTONIO IURILLI

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IL CORPUS GALATEANO FRA SCRIPTORIA SALENTINI E BIBLIOTECHE DI ERUDITI-BIBLIOFILI NAPOLETANI

Questo manoscritto, che dal titolo sembra di non essere altro che un'opera ascetica, esso si rende interessante per la lingua in cui è scritto, per l'epoca a cui si appartiene, e che discorrendo di tutto, è una pagina interessante di storia patria, e che sarebbe util cosa lo stamparlo onde andasse fra le mani di tutti. Noi crediamo che questo manoscritto siasi reso rarissimo, attesoché sferza bastantemente e giustamente i Corpi Religiosi, per cui facil cosa è credere che questi uomini, tesori e peste della società, quante copie avessero raccolte, tanto ne hanno distrutte. Ma una sola bastava per darla alle stampe? Ma chi ardiva di combattere la potenza de' Religiosi? E dopo che si avesse avuto tal coraggio, come al giorno d'oggi, ce n'era un 'altra più forte ancora a supcrarsi, ed è quella de' Papa e de' Re, i quali nemmeno sono stati risparmiati dal Galateo in questo manoscritto in parola . '

Maturate in un clima di probabile anticlericalismo tardo-ottocente­ sco, ma di sicura e appassionata bibliofilia, queste note apposte da Pietro Martorana alla sua personale trascrizione dell'Esposizione del ( Pater noster ' di Antonio De Ferrariis Galateo/ sembrano voler rias-

Università di Bari. P. MARTORANA, Postille autografe all'Esposizione sopra l'Orazione dominicale di Antonio Galateo, ms. datato 1868, Napoli, Biblioteca nazionale, cod. 700 del Fondo S. Martino, pp. 385-386. Dcil:J non agevole ricerca di un esemplare del testo volgare ga1ateano il Martorana offre2 una minuziosa descrizione, compiaciuta, nelle citate Postille: egli avrebbe cercato una copia dell'opera presso i Girolamini di Napoli, dove Michele Gervasio, per il quale v. oltre, aveva depositato il suo cospicuo patrimonio librario, ma avendo rinvenuto una copia incompleta, si era rivolto a Camillo Minieri Riccio, possessore di un esemplare ricevuto forse da Michele Arditi, per il quale v. oltre, da cui Michele Capa1do aveva tratto un esemplare (oggi nella Biblioteca provincia1c ' Dc Gcmmis ' di Bari, scgn. cart. XCIV-l) impiegato infine dal Martorana. Del Martorana, filopatridc e dialettologo napo­ letano, sono principalmente note le Nothie biografiche e bibliografiche degli scrillori del * l

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sumere, e nel contempo manifestare, sintomatici elementi connotativi di una trasmissione dell'unica scrittura volgare dell'umanista salentino con· sumatasi all'insegna di non celate reazioni sentimentali in bilico fra l'orgoglioso possesso di un opus intemperans 3 e quello, altrettanto orgoglioso, di un prezioso documento di lingua.4 Analoghe reazioni sentimentali, nutrite anche da un rinato interesse per la memoria storica della propria terra , possono peraltro oggi più generalmente motivare l'attenzione, particolarmente sette·ottocentesca, al corpus galateano e, di riflesso, spiegare la spesso tortuosa trasmissio­ ne dei testimoni che lo hanno tramandato, nonché la loro significativa concentrazione entro specifiche coordinate geo-culturali e persino la ragione di certe fortune editoriali.5 Esauritasi l'effimera fortuna ' europea ' dell'opera galateana (arrisa - come è noto - alla produzione geo-corografica) nell'inspiegato fallimento dell'edizione completa delle Epistole e di altri opuscula che

Napoli 1874, rist. anast. Bologna, Forni 1972, nelle quali figura, si­ gnificativamente, una corposa ' voce ' dedicata al Galateo (pp. 206-207) . 3 Sulle presunte correlazioni, ideologiche e cronologiche, fra !'Esposizione !'Eremita, ipotizzate da biografi e studiosi sette-ottocenteschi del Galateo ora nel senso di un moralistico ripensamento della corrosiva ironia del dialoghetto latino, ora in quello di una ininterrotta polemica antiecclesiastica persino riformistica, cfr. la sintetica rassegna critica proposta da P . ANDRIOLI NEMOLA, Catalogo delle opere di A. De' Ferrariis (Galateo), Lecce, Milella 1982, pp. 2 1 8-219. 4 Sintomatico di tale diffuso atteggiamento, comune a numerosi eruditi e antiquari fra Sette Ottocento, ma già rilevabilc nel primo episodio oggi noto di napoletani trasmissione della scrittura volgare galateana (per il quale v. nota 58), è un passo che si legge nella Moneta di b:lltersi a perpetuo monumento della regale amnestia . . . di M. ARt>ITI, Napoli, Tipografia Chianese 1815, p. 1 9 : � E quale festa non avrebbe fatta l'Ab. Galiani, già mio collega nell'Ercolanese Accademia, se quest'opera del Galateo gli fosse fortunatamente caduta uelle mani, quando a stampare era inteso il suo bel libriccino del Dialetto Napoletano? Ma a lui dato non fu il poterla vedere; e quindi la gloria concedette al solo Francesco Tuppo di aver composti in quel dialetto interi trattati )), Non è un caso che l'opera ebbe come trascrittori e come gelosi possessori anche altre personalità della filopatria napoletana e della ricerca demologica come Michele Capaldo, Giacomo Martorelli Camillo Minieri-Riccio. 5 Un articolato profilo della fortuna editoriale delle opere del Galateo si legge nella introduzione al Catalogo delle opere di A. De' Ferrariis della A�DRIOLI Nt:MOLA, op. cit., pp. 29-65; un puntuale catalogo di edizioni delle singole opere è invece ricostruito corrispondenza dci capitoli ad esse man mano dedicati. Sulle sorti editoriali del De sttuin Iapygiae, l'opera certamente più fortunata dell'umanista salentino, cfr., oltre a R. IuR LARO, Galateo contrai/atto. Nota sulle edi:aoni del ' De Situ Iapigiae ' di A. De Ferrariis Galateo, in Studi di storia pugliese in onore di N. Vacca, Galatina 1 97 1 , pp. 273-285, a D. DEFIL!PPIS, L'edizione basileense la tradizione manoscritta del ' De ritu Iapygiae ' di Antonio De Ferrariis Galateo, � Quaderni dell'Istituto nazionale di ?tudi sul Rinas�imento meridionale », I, Napoli, presso l'Istituto 1984, pp. 23-50, anche ti. recente co t nbuto offert? da V. _Z_AC�IIINO . Divagazioni galateane. Il ' De situ Iapy· , f:e /9� �ra;:,���.��2 manoscntta e edz:uont falltte, Sallentum », nn. 1-2-3, gennaio-dicemdialetto napoletano,

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IL (( CORPUS

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GALATEANO

l'eterodosso marchese d'Oria Giovan Bernardino Bonifacio aveva porta­ to con sé nell 'esilio elvctico,6 la vicenda di quel corpus sembra ripiegarsi entro gli spazi di una complessa tradizione manoscritta, assai spesso concentrata negli archivi di eruditi napoletani e salentini, alle cui premure e fervori filopatristici va ascritto il merito di una illuminata conservazione, insostituibile preliminare, oggi, di una rifondazione criti­ ca dell'opera del Galatonesc. Risulta certo arduo ricostruire una puntuale mappa di quella tra­ smissione alla luce delle compiaciute dichiarazioni di possesso di codi­ ci galateani che costeilano le scritture bio-bibliografiche salentine fra Sette e Ottocento : 7 ciò che ne emerge è infatti una indistinta trama di presenze, la quale tuttavia concorre in maniera decisiva a definire la circolazione provinciale di molte fra le opere dell 'umanista. Persuasivi segnali a favore di tale ipotesi vengono, per esempio, dal cospicuo zibaldone galateano di Luigi Giuseppe De Simone,8 spesso costruito sui 6 Sulla incompiuta edizione basilcense delle opere del Galateo, avviata, come è noto, dal Bonifacio nel 1 558 con la pubblicazione presso l'editore Perna del De situ lapygiae e del De situ elemcntorum, fondamentale, anche se in parte meritevole di verifiche, rimane lo studio di M. WE LTI , Il prog,etto fallito di un'edizione cinquecentesca delle opere complete di Antonio De Ferrariis, detto il Galateo, « Archivio Storico per le Provincie Napoletane » , serie I I I , X, 1972, pp. 1 79- 1 9 1 . Cfr. anche, dello stesso autore, Giovanni Bernardino Bonifacio, marchese d'Oria, im exi! (1557-1597), Genève, Droz 1 976. Su altre edizioni fallite del De situ Iapygiae fra Sei e Settecento dr. le citt. Divagazioni gala­ teane di V. ZACCHINO. 7 Cito, a titolo esemplificativo, quella di D. DE AxGELts, Le vite dc' letterati salentini, Firenze 1710, rist. anast. Forni 1973, pp. 45-46, il quale, dopo aver ricordato il copioso fondo galateano custodito nella biblioteca di Giuseppe Valletta a Napoli e altri manoscritti posseduti dagli Acquaviva di Conversano e di Nardò, nonché quelli conservati dall'abate Tommaso de Rossi, cantore di Galatone, annota il suo personale possesso « in originale » del manoscritto dell'Esposizione del ' Pater noster ' con la dedica di Pictr'An­ tonio de Magistris a Girolamo de' Monti, marchese di Corigliano d'Otranto. 8 Giurista, erudito e archeologo, il De Simone (Lecce 1 835-1902), personalità di spicco della filopatria salentina ottocentcsca, accumulò un cospicuo c interessante zibaldone di notizie riguardanti la vita e le opere del Galateo. In gran parte inesplorato, esso è custodito nella cartella n . 300 della sezione manoscritti della Biblioteca provinciale di Lecce c si articola in quindici fascicoli (dei diciotto che la cartella complessivamente contiene), dei quali ritengo utile fomite un sommario indice per argomenti: fase. l: Galateana . Estratti da alcune schede di Michele Arditi (il De Simone si dichiara, in questo e negli altri fascicoli, largamente debitore nei confronti delle Memorie da servire alla vita di Antonio Galateo, che Michele Arditi, per il quale v. la nota successiva, « prese a raccogliere - come affenna Io stesso De Simone - nell'autunno 1 785 »). Contiene: notizie storiche su personaggi c avvenimenti citati nelle opere del Galateo; notizie sulla tradizione ms. delle stesse {interessante e meritevole di approfon­ dimenti quella secondo cui « nello Archivio di Palazzo a Napoli nel 1785 vi era - in 4° ms. - Istoria delta presa detta Città di Otranto, se, X, ord. I, lett. A , n. 2 1 »); documenti e notizie di iconografia galateana. fase. Il: privo di titolo, contiene sparsamente notizie biografiche del Galateo. fase. III: privo di titolo, contiene in 5 cc . notizie e annotazioni riguardanti il De ritu Iapygiae. - 325 -

ANTONIO I URILLI

dati già acquisiti un secolo prima al ricchissimo archivio galateano di fase. IV: Date intorno a' fatti e agli scritti del Galateo estratti dalle ' Memorie, etc. ' di Michele Arditi. fase. V: privo di titolo, contiene ·prevalentemente notizie sull'albero genealogico deila

famiglia Dc Ferrariis. fase. VI: Mn. del Galateo - Dalle ' Schede ' di Michele Arditi. Contiene: notizie riguardanti il possesso di mss. galatcani c i relativi possessori (Tomaso dc Rossi, cantor.e di Nardò c vicario capitolare di Ugento; Cappuccini di Alessano; vescovo dc Caris possessore di mss. delle Lettere; mss . della Chigiana; G. B . Crispo; mss. che Arditi ebbe da Danzica; cod. del De nobilitate presso l'Ambrosiana; epistole conservate presso l'Archivio di Palazzo di Napoli nel 1785; mss. arcudiani passati al Tanza; notizie date dal Pollidori sulle note di P. A. Dc Magistris - forse al De situ Iapygiae - conservate da Francesco Crasso, canonico di Galatone; « cose » galatcanc presenti in Gallipoli); mss. del De .titu Iapygiae posseduti da: Archivio Capitolare di Napoli, Biblioteca dci Gesuiti al Salvatore (ms. passato nelle mani dall'Arditi), Biblioteca Vaticana (il cod. vat. alessandrino, copiato da Parisio Muscio, vi è qualificato come « preziosissimo » ) , Bibliote­ ca Ambrosiana, copia del De situ annotata da Carlo della Monaca; « opere del Galateo che non abbiamo (noi) )�; �( opere mss. inedite del Galateo, ave trovarlc )� {interessanti da Viterbo? - c ad un riferimenti ad una Apologia del Galateo ad Egidio Calendario) ; date delle opere del Galateo. fase. VJI: di scarso interesse galatcano, contiene notizie sui poeti galatonesi ascritti all'Accademia degli Infiammati, sugli ultimi discendenti del Galateo, un bozzetto della casa natale dcll'umanista. fase. VIII: contiene la trascrizione del De situ Iapygiae ottenuta dal Dc Simonc dalla Biblioteca Vaticana nel 1888 (antigrafi l'Onoboniano 1922 c il Rcgincnsc 1370). fase. IX: Ricerche per gli Scritti e per le ossa del Galateo. Contiene: corrispondenza mtrattcnuta dal Dc Simonc con i l borgomastro di Danzica von Wintcr in relazione ai mss. galatcani posseduti dnlla Biblioteca civica della città polacca (le lettere del De Simone sono conservate in minuta); corrispondenza intrattenuta con Enrico Tozzoli nell'intento di ottenere da costui copie dci mss. galatcani posseduti, per lascito di Michele Tafuri, dalla famiglia Tozzoli {sono quelli dell'attuale fondo ' Tafuri-Tozzoli ' della Biblioteca provinciale di Avellino); lettere di commissione cd estratti conto inviati al Dc Simone dal libraio-antiquario napoletano Giuseppe Dura in relazione all'acquisto di un manoscritto del Galateo c di De Ferraris Galatei opuscula.

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fase. XIII: Galatcana - cose alle quali provvedere presto - Trani l novembre

1887. Contiene notizie c informazioni richieste a numerosi corrispondenti, utili alla rico­ struzione di un profilo biografico del Galateo (probabilmente quello che egli intendeva anteporre alla vagheggiata edizione completa delle opere dcll'umanista, per la quale cfr., nelle pagine successive di questo con�ributo, la corrispondenza con la famiglia Tozzoli ) . fase. X I V : privo di titolo, accoglie esclusivamente note filologico-erudite sull'episto­ la De villa Vallae.

fase. XV: Amici Pontaniani (o meno) del Galateo. Amici del Galateo o personaggi da lui nominati (contiene un indice dci personaggi citati nel corpus del Galatonese). fase. XVI: Cronologia degli scritti e de' fatti del Galateo (contiene una ' selva ' di notizie erudite attinte in varie direzioni).

fase. XVII: Albero ;,enealogico de' de Ferrariis (contiene anche notizie su antenati

c discendenti del Galateo).

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VII . (non numerato): Corrispondenza mia per la Galateana. Contiene: _ nc�i GALATEANO

quella prevalentemente conservativa di un altro galatinese attivo in pieno secolo XVI I I , l 'abate Antonio Tanza, singolare figura di religioso di modesta, per quanto ci è dato oggi di conoscere,'2 levatura culturale, alle prese con vicende spesso complesse, nell'ambito del duraturo rap­ porto di collaborazione che lo legò all'arcivescovo Giuseppe Capecelatro, del quale fu vicario nella diocesi di Taranto dal 1 7 9 7 al 1 8 0 9 . Erede di una cospicua parte dei codici arcudiani , che ancora posse­ deva agli inizi del nuovo secolo, 1 1 e di altre opere galateane raccolte con non comuni doti di bibliofilo, l 'abate Tanza appare un imprescindibile quanto ambito punto di riferimento per chi, al centro e in periferia, perseguisse intenti editoriali o semplicemente critici nei confronti del­ l 'opera del Galatonese. Alcuni passi del fitto carteggio da lui intrattenu­ to col fratello Oronzo durante il soggiorno tarantino documentano tale prerogativa : [ . . . ] Dentro l'alcova dove tenevo gli abiti in quella scanzia che si sta sopra dev'essere un pacchetto con ivi dentro alcuni opuscoli del Galateo, se nel frattempo non avessero mutato sede. Incomrnodatevi di trovarli e date quelli che vi saranno richiesti da cotesto nostro D. Baldassarre, 1 4 prendendo da lui ricevuta colla promessa di restituirli dopo 20 giorni. «

che reca nel frontespizio, dopo il titolo, la nota: Dialogus e latebris creptus, tineis vendicatus, e barbaro caractere transcriptus, multisque mendis purgatus ... Attamen caute legendus , Il ms., oggi a Napoli, era appartenuto ad Antonio Tanza, per il quale v. la nota successiva. Ai mss. arcudiani attinse F. CASOTTI per la pubblicazione di quattro inediti galateani (Scritti inediti e rari di diversi autori trovati nella Provincia d'Otran­ to ... , Napoli, Vaglio 1865), e cioè: De educatione (ricevuto in prestito dal Tanza), Ad •.

Mariam Lusitanam, De beneficio indignis, Ad Maramontium. 12

Cfr. N. VA CCA , Terra d'Otranto fine Settecento inizi Ottocento, Bari, Società di Storia Patria per la Puglia 1966, pp. 5- 18. Una nota del De Simone, fondata su una testimonian7..a dell'Arditi, lo fa possessore di almeno quattro delle epistole trascritte da A.T. Arcudi (cfr. nota 1 1 ) e del De educatione trascritto da Silvio Arcudi, ma erroneamente attribuito dal Dc Simone ad Alessandro Tommaso. Questi mss., sempre secondo la testimonianza di De Simonc, erano stati prestati all'Arditi dal Tanza per intercessione di Baldassar Papadia, sul quale cfr. la nota successiva (Lecce, Bibl. prov., vol. 300, fase. 6°, prima carta n.n,). Il Tanza aveva inoltre nella sua biblioteca tutti gli altri mss. copiati da Silvio Arcudi, oggi custoditi nel vol. 49 della Biblioteca provinciale di Lecce (cfr. nota 1 1 ) . Possedeva infine la copia dell'Eremita trascritta da Alessandro Tommaso Arcudi, oggi alla Biblioteca nazionale di Napoli (dr. nota 1 1 ) . Su altri mss. di opere galateane posseduti dal Tanza v. oltre. 14 Baldassar Papadia (Galatina 1748- 1832), letterato e storico della sua città natale, oltre che giurista, costituisce un elemento-chiave nella mappa settecentesca della trasmis­ sione dei codd. galateani in area salentina e napoletana. Autore delle Vite d'alcuni uomini illustri salentini, Napoli, Stamperia Simoniana 1806 (ristampate anastaticamente da Forni, Bologna 1977), fra le quali un posto di rilievo occupa quella dedicata al Galateo, si giovò dell'amicizia col Tanza per assecondare le richieste dei numerosi corrispondenti che da Napoli gli chiedevano copie dei testi galatcani. Poté così fornire all 'Arditi i mss. arcudiani di alcune epistole del Galatonese (cfr. la nota 1 1 ) , come attesta il De Simone I

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D.S. Ditemi quali sono i manoscritti che darete

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D. Baldassarre .JS

[ . . . ] Io lasciai i manoscritti del Galateo. Continuate a far diligenze neiie casse che dopo la mia partenza erano situate nella libreria. Dev'esserci fra l'altri un manoscritto ch'è la parafrasi del Pater Noster, che è in un quarto ben grosso e va unito con altri. Forse li avrò posti in quel banco con altre mie carte che non so in quale occasione si trasportò sotto il mezzano. Col ritorno del P. Abbate vi mando la chiave. Certo è che non li ò portati. Arditi 16 gli chiese ma non gli ebbe. Alcune copie si fecero in casa di D. Baldassarre per uso del Padre AfflittoY Riverite detto amico e diteli tu tto ciò. D.S. Spero che troverete un involto in 4° con li saputi manoscritti. Se no si sono rubati o perduti. Vi supplico veder tutto: esigete da D . Baldassar­ re la ricevuta ed avvisatcmi. 18 [ . .. ] Vi manderò la chiave del Galateo, ma io dubito che essi siano confusi e dispersi quei preziosi pezzi tra tante rivoluzioni delle carte lasciate costl e che siasi che han praticato nelle mie stanze. Mi fa peso che un pezzo siasi trovato fuori del mazzo e nella camera vostra. S . Antonio faccia il miracolo. 19

Mi consolo che le cose del Galateo si sono trovate: conservatele come cose preziose, con tutto ciò che ci è in quel fascio. Saluto D. Baldassarre.20

(fase. VI, prima pagina non numerata del vol . 300 della Provinciale di Lecce) nonché una copia dell 'Esposizione del ' Pater noster ' (ivi, seconda pagina non numerata); ad Eustachio D'Afflitto, erudito napoletano autore delle incomplete Memorie degli scrittori del Regno di Napoli, la copia dell'Eremita csemplata da Alessandro Tommaso Arcudi (l'attuale ms. XV D 6 della Nazionale di Napoli), della quale poté pure avvalersi lo stcs· so Arditi (t'vi, seconda pagina, non numerata) e una copia dell 'Esposizione del ' Pater noster ' ; al Gervasio i materiali galateani sui quali v. la corrispondenza Papadia·Gervasio pubblicata e commentata nelle pagine successive. Sul Papadia cfr. G . VALLONE., G. B. Ta/uri e B. Papadia storici e l'ideale della civica amministrazione, « Archivio Storico Puglicsc », XXXV ( 1 982), pp. 237·279, in particolare le pp. 239·24 1 , che contengono anche una esauriente bibliografia dì riferimento sugli interessi galateani del Papadia. IS Lettera del 13 ottobre 1 803, in N . VACCA, op. cit., pp. 143-144. Il carteggio pubblicato dal Vacca comprende, oltre le lettere del Tanza inviate da Taranto durante il vicariato, numerose lettere di Giuseppe Capecclatro al Tanza, alcune lettere di Antonio Spe-.tzaferri, leccese, collaboratore forense di Oronzo Tanza. 16 Sull'Arditi cfr. nota 9. 17 Sul D'Afflitto cfr. la nota 14. Si deduce da questa precisazione del Tanza che lo scriptorium privato del Papadia, sulla cui attività v . oltre, era attivo già agli inizi del sec. XIX. 18 Lettera del 23 ottobre 1 803, in N VACCA, op. cit., p . 1 45. L'abate cui il Tanza si riferisce è Massimo Cuomo, amico del vicario, il quale resse la Badia di Loreto. 19 Lettera del 3 novembre 1 803, ivi, pp. 146-147. 20 Lettera del 1 0 novembre 1 803, ivi, p . 147. I l Tanza era disposto, conoscendo l'intensa curiosità erudita del Papadia, a barattare le sue notizie e i suoi materiali letterari con piccoli favori che chiedeva al suo amico nella veste di giudice, come dimostra questa lettera: ai più di quelli che qui si ritrovano; intendo del primo copiato per errore e che ho gradito. Ora la supplico a farmi copiare l'Apologetico diretto al Leonkeno, poiché lo stampato da mc ... è scorretto e manca un passo greco, come credo per non essersi saputo scrivere da quello amanuense. Se qualche altro opuscolo è interessante e contiene qualche notizia di quei tempi e che riguarda alcuna circostanza della persona medesima del Galateo, bramerei ancora d'averlo copiato, essendo la regalia che si presta all'amanuense non cara. Ho scritto ad un mio illustre cugino che dimora costl fra' P.P. della Missione in Monte Cavallo, ed è il sig. Cesari, che venga a soddisfare per me quello che V.S. ill.ma ha speso, ed ho scritto ancora al· l'amico, cui ho acchiusa la presente, che ve la faccia capitare costl franca di posta, c se il sig. Cesari non è venuto ad adempiere al mio debito, lo faccia l'amico che ho priegato, non piacendomi che V .S. ill.ma dopo cotanto incomodo non venga subito soddisfatto di quel che spende per me. Intanto La ringrazio quanto so e posso per cotal favore che mi ha fatto, e vorrei che mi comandasse in qualche cosa che le potrebbe abbisognare di queste ultime contrade della Japigia, e lo dico veramente, senza mistero )), (Lecce per Galatina, 8 dicembre 1806; Biblioteca Vaticana, cod. Vat. lat. 9057, cc. 1 9-20). I 1 3 1 voll. che attualmente conservano la corrispondenza inedita del Marini sono descritti e corredati di indici da E. C'\ R US I , Lettere inedite di G. M., pref. e indici, 3 voli., Roma, Biblioteca Vaticana 1840. Sul Marini e sui suoi vasti interessi eruditi cfr. M. MARINI, Degli aneddoti di G. Marini. Commentario di suo nipote, Roma 1 822, e A. CoPPI, Notizie sulla vita e sulle opere di monsignor G.M. , Roma, Ajani, s.d. [ma 1815 ] ; dr. anche M . M IGL I O , Il carteggio tra G.M. e Annibale Mariotti e l'edizione del primo libro del ' De gestis Pauli Secundi ' di Gaspare da Verona, in Studi sul Medioevo cristiano offerti a R. Morghen, Roma 1974.

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nella di lui vita,26 è troppo scorretta, come sono scorrette le copie tutte che qui esistonoY [ . . . ] Il tratto in volgare dell'Esposizione sul Pater Noster del Galateo è ben lungo e ms., né mai si è stampatç> : appena ho io rapportato due squarci nella di lui Vita.28 Si tiene dal nostro D. Antonio Tanza, passato Vicario del nostro Arcivescovo di Taranto: 29 ne ho fatte due copie, una pel nostro cav. Arditi, e l'altra per il fu P. M. Afflitto.30 Desiderate una voi, conviene che cerchi al sig. Tanza il ms. e ve la farò fare con qualche giusta dilazione di tempo. Ora mio figlio, vostro servo, sta tutto applicato a copiarvi i Poemi Latini che desiderate,31 ed essendo la stampa scorretta, non soffre poca fatiga ad interpretare, per quanto può, il vero senso. Io farò che intermetta questo lavoro e dia principio alla copia della Esposizione; è pigro per natura ed una malattia sofferta non è molto lo ha reso pigrissimo, così che se pigrizia fosse sua sirocchia .

.. ] Quando avrete la copia

dell'Esposizione mcntovata, oh quali risa farete per il caustico che sparge c per l'idioma che adopra! 32

La Biblioteca Vaticana e il suo dotto custode rappresentano dunque le fonti privilegiate per la corretta riappropriazione delle Epistole gala26 Papadia allude alla biografia di Galateo inserita nelle Vite d'alcuni uomini ... cit., pp. 9-94; del De educa/ione si parla alle pp. 48-49. n Lettera del 9 febbraio 1809, Napoli, Biblioteca Oratoriana dei Girolamini, vol. XXVI I I 5 24, c. 76. Papadia si riferisce con ogni probabilità ai mss, arcudiani posse­ duti dal Tanza (dr. la nota 1 3 ) , sui cui limiti si era già espresso nella lettera al Marini (cfr. la nota 25) ; la copia del De Educa/ione definita « troppo scorretta » è quella csem plata da Silvio Arcudi e posseduta da Tanza. Sulle dist:usse qualità di copisti attribuite agli Arcudi cfr., oltre alla nota di Cosimo De Giorgi riportata nel corso della nota 1 1 , D . CoLUCCl, Asterischi ga/ateani ... cit. 23 I passi riportati in realtà sono quattro, rispettivamente alle pp. 1 3 , 20, 24, 35-37. Sugli episodi d i arbitraria iperdialettizza2ione operata dal Papadia su quei passi cfr. le mie osservazioni svolte in Problemi lessicali nell'Esposizione del ' Pater noster ' di A.G., « Lingua e Storia in Puglia » , IX, 1980, p . 56, not:o. 7 , e in L'Esposizione del ' Pater noster ': nole ... cit., nota 22. 29 La carica di Vicario era cessata nel marw 1 809. 30 Cfr. la nota 1 4 . La copia fatta fare per l'Arditi non può essere identificata con nessuna delle due copie oggi custodite presso la Biblioteca della famiglia Arditi di Castelvc_tere in Presicce, in quanto entrambe le copie sopravvissute appartengono ad un � p i n c a m os u n il t a ra copie fatte fare per l'Arditi e il D'Afflitto.

�j�� i:���� �� ��� ; �à �� d�l T: :; ��� ��:� d: � ;;:i� ���� ��ti: 1� d:ll� 3 1 La lettera non fornisce elementi utili alla identificazione di queste altre opere commissionate dal Gervasio al Papadia. 32 Lettera del 1 8 aprile 1 809, vol . XXVI I I 5 24, c. 80. - 33 4 -

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« CORPUS >>

GALATEANO

teane, consegnate, in area salentina, alla infida e parziale tradizione arcudiana, i cui limiti vengono ancora una volta segnalati dal Papadia : Mi pervenne finalmente il m s . degli opuscoli del Galateo estratto dal codice della Vaticana 33 e fattomi trascrivere dal dottissimo mons. Marini, custode della medesima un tempo . Vi potrò servire adesso per quanto desiderate, essendo assai più corretto il mio ms. di quello qui esistente presso il sig. abate Tanza, che ha pochi opuscoli scorretti e privi del greco per lo più.34 Ditemi quali opuscoli voi desiderate e sarete a volo servito.3 5 Alla disponibilità dell'abate Tanza è invece affidata la possibilità di poter riprodurre altre opere galateane, fra le quali comincia ben presto ad emergere, per poi caratterizzare profondamente l'intera dinamica del carteggio, la richiesta di quell'unicum letterario e linguistico che è l'Esposizione del ' Pater noster ' , per la quale il Gervasio mostra di nu trire un particolare interesse: [ . . . ] Non ancora ho fatto dar principio alla copia desiderata dell'Esposizione del Pater Noster perché i molti impicci non mi han permesso di andare a chiederla dal suddetto sig. abate. Vi servirò appena potrò portarmi da lui e la darò a qualche giovine amanuense, non potendo per suoi incomodi questo mio figlio, vostro servo, copiare quel volume.36

L 'impossibilità di assecondare le richieste del Gervasio attraverso l 'organizzazione familiare dello scriptorium, costringe tuttavia Papadia a cimentarsi con le non esaltanti qualità culturali di amanuensi galatinesi prezzolati, le quali rappresentano una seria remora nella trascrizione di testi linguisticamente ostici presso chi aveva perduto la familiarità con le lingue classiche e stentava a decifrare un costume linguistico ormai desueto come il volgare salentino di koiné. È un problema che attraver­ sa l'intero carteggio, manifestandosi più vistosamente tutte le volte in cui il Gervasio reclamava maggiore celerità: [ . . . ] Sarete servito per i descrittimi opuscoli e per l'Esposizione sul Pater del Galateo. Conviene rinvenire un Amanuense che sappia scrivere e copiare se l3 Delle epistole contenute nel Vat. Lat. 7584 il Papadia foml l'indice in appendice alla Vita del Galateo nelle citt. Vite d'alcuni ... , pp. 68-70. 34 I l riferimento è sempre ai mss. arcudìani. Sulla mancata conoscenza del Greco da pane degli Arcudi cfr. il cir. saggio della Cowccr, pp. 45 sgg.

lS Lettera del 26 maggio 1809, vol. XXVIII 5 24, c. 82. Nel prosicguo la lettera precisa che le parti greche degli opuscoli erano state trascritte dal Marini stesso.

36

Lettera del 26 maggio 1809, vol. XXV I I I 5 24, c. 82.

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non bene, almeno non tanto male. Si tratta di Latino, il quale non solo non s 'intende, ma non si legge. Che debbo io fare per servirvi? Tanto quanto posso e debbo.37

È venuto da me l'Amanuense a portarmi alquanti fogli degli opuscoli che mi avete imposto dd Galateo. Come egli ignora il Greco, così lasciò il vuoto per iscriversi. Farò che mio figlio s'i mpieghi a copiarlo e ad emendarne qualche errore del copista, e quindi ve li spignerò acchiusi nella mia lettera per la posta, come avete ordinato. Seguirò ad indicare all'Amanuense quali opuscoli dovranno occuparlo e vi manderò l'elenco di tutti col principio e fine di ciascheduno, secondando così i vostri voti.38 [ • • • ] [ . . . ] Appena dato termine dall'Amanuense agli opuscoli che mi prescriveste di volere pria degli altri, mi affretto di qui acchiuderli per così averli subito, avendomi scritto che la spesa della posta è inferiore alla premura di subito posscderli. Ho fatto scrivere da mio figlio, vostro servo, il Greco, e mi figuro che sia corretto. Del resto qualche errore sarà corso alia penna dell' Amanuen­ se e vi dico che non è esente d'errori il ms. rimessomi per non aver potuto collazionare la copia coll'antico ms. il ben dotto mons . Marini, siccome mi scrisse. Gradite l'esecuzione, qualunque sia, e lasciatevi servire per il Pater Noster e per gli altri opuscoli. Vi scriverò in appresso per la regalia dovuta all'amanuense, convenendo dargli a conto qualche denaro.39 [ ••• ] [ . . . ] De' miei opuscoli ne farò estrarre copia, ma l'Amanuense buono dov 'è? Siamo fra scribae nescienti. Farò per voi tutto quanto e posso e debbo, e non mentisco.40 [ . . . ] [ . . . ] Chi sarà l'Amanuense che dovrà copiare i ms. suddetti? [ ... ]

Hic opus, hic

labor est."

Forte, intanto, dci buoni uffici interposti per l'ascrizione del Papa­ dia all'Accademia Pontaniana, 42 il Gervasio incalza il suo corrispondente con la richiesta dell 'Esposizione e dell'Eremita, mentre continua, fra le note difficoltà trascrittorie, l'invio delle Epistole esemplate dalla copia vaticana del Marini. Alle richieste, evidentemente pressanti, delle due opere galateane più cariche di significati polemici, ma anche, nel caso dell'Esposizione, di ampie digressioni storiche sulle quali si appuntava 37 Lettera del 1° luglio 1809, ivi, c. 91. Di analogo tenore è la lettera del 7 luglio dello stesso anno, ivi, c . 89. 38 Lettera del 29 luglio 1809, ivi, c. 95. c.

39

Lettera del 12 agosto 1809, ivi,

40 4l

Lettera del 24 maggio 1 8 1 1 , vol. XXV I I I 5 27, Lettera del 1 2 luglio 1811, ivi, c. 120.

42

Lettera del 1 6 settembre 1 809, vol. XXV I I I 5 25, -

97.

33 6

-

c.

1 1 8. c.

99.

IL

(l CORP U S »

GALATEA!\'0

l 'interesse antiquario e storiografico del Gervasio,4 3 l 'erudito galatinese è costretto ad opporre esasperanti dilazioni attraverso le quali non è difficile intravedere un certo rarefarsi dei buoni rapporti col Tanza, il quale peraltro appare sempre più come l 'unico in grado di fornire i testimoni delle opere meno note, e perciò più ambite, del Galateo: [ . . . ] Mi conviene chiedere il ms. del Pater per farlo trascrivere. l miei impicci non mi hanno permesso d'andare dal sig . Tanza per domandarlo. Vi servirò, caro amico, come conviene.44 [ . . . ] Non vi siete dato carico della copia rimessavi de' tre opuscoli del Galateo. Mi do a credere che a quest'ora gli avete ricevuti. Mi affretterò a chiedere la Esposizione sul Pater da questo sig. T anza, che a mc la favorirà sicuramente, e vi servirò come meri tate. Ho dato a copiare gli altri opuscoli del mio ms.45 [ • • • ]

Io vi spinsi alcuni fogli degli Opuscoli del Galateo ed ora tengo degli altri portatimi dall'Amanuense a cui ho passato in conto carlini diciotto. Pertanto non ve li rimetto perché non sono stati collazionati e non si è scritto da mio figlio il Greco. Appena saran terminati, ve li spingerò come feci degli altri, de' quali attendo avviso . Dopo le vendemmie si comincerà a copiare il trattato sul Pater noster, non avendo potuto finora chieder­ lo." [ ... ] [ . . . ] Lasciate che passino le presenti vendemmie e poi vi servirò per il Dialo­ go dell'Eremita e del trattato sul Pater del Galateo. E. troppo però scorretta la copia che qui si ha del suddetto Dialogo e vi manca, se non erro, il Greco.47

Manca negli opuscoli ms. che tengo della Vaticana. Non vi mando gli opuscoli trascritti perché si hanno ancora da collazionare. Mi mancano i 41 La Biblioteca Oratoriana dei Girolamini custodisce anche, fra le carte appartenute al Gervasio, brevi Estratti storici dell'opera manoscritta di Antonio Galateo intitolata Espositione sopra il Pater noster in dialetto leccese, au10grafi dell'archeologo dauno, consistenti i n note erudite su fatti e personaggi citati nella scrittura volgare dell'uman.ista salentino (vol. XXVIII 4 39). +l

45

Lcnera del 18 luglio 1809, vol. XXVI I I 5 24, c. 93. Lcnera del 2 1 agosto 1809, ivi, c. 1 0 1 .

46

Lcnera d e l 1 6 settembre 1809, ivi, c. 95. � Forse per questa ragione fra i mss. galateani appartenuti al Gervasio si conserva oggi una copia dell'Eremita proveniente di Recanati spaziavano a perdifiato per la campagna risonante d'echi, avventandosi giù dalla torre antica con uno slancio e uno spazio lirico rare volte raggiunti, e dai quali appunto esso s'appartava, bensì altri , annidati fra le pagine delle letterature europee. Né si tratta solo di precise referenze intertestuali, ma più spesso di strane coincidenze, delle quali non sarebbe né facile né pertinente controllare i meccanismi, ma che portano pur sempre a un medesimo quantunque lontano punto di convergenza. La bibliografia sull'argomento/ vasta e puntuale a un tempo, non mi pare facilmente perfettibile se non forse per il tentativo di ampliare il raggio di investigazione, che suole di preferenza circoscri­ versi in un settore linguistico ben determinato, trascurando altre aree letterarie, delle quali il giovane Leopardi ebbe notizia ed esperienza di studio negli anni del suo apprendistato.' *

Università di Napoli.

1 Già Claudio Monteverdi, sulla scia di H. RHEINFELDER, Zwei Gedichte von Giacomo Leopardi, « Studi italiani », VI, 1961 e di U. LEO , Il passero solitario: Eine Motivstudie, in Wort und Text: Festschri/t fur Fritz Schalk, Franckfurt am Mein 1963 e rimeditando il saggio di G. MESTJCA, « I l vcrismo nella poesia di Giacomo Leopardi », in

Studi leopardiani, Firenze 190 1 , aveva spiegato con ricca documentazione come il passero

leopardiano fosse solitario solo per ragioni poetiche, ma non per qualità naturali. Cfr.

CLAUDIO MoNTEVERDI, Passero letterario, in Unguistica e Filologia. Omaggio a Benvenuto Terracini, Milano, Mondadori 1968, pp. 193-199. 2 Il rimando d'obbligo, s'intende, è G. L., Opere a cura di FRANCEsco FLORA,

Milano, Mondadori 1940, ma con più diletto e fruibilità si legge il commento arioso e minuzioso a cura dei De Robertis (G. LEOPARDI, Canti, a cura di GIUSEPPE e DoMENICO DE RoBERTIS, Milano, Mondadori 1978). l Sulle letture c la preparazione del giovane Leopardi esiste una vasta bibliografia che mi par superfluo riportare qui: basti citare i saggi di M. PoRENA, Un settennio di letture di G. L., « Rivista d'Italia », XXV, 1922, 5 e Le letture del L. nella prima dimora a Roma, « La cultura }>, VI, 1926, 2, ora in Scritti leopardiani, Bologna 1959 e G.

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Va detto comunque che tutti i riferimenti intertestuali invocati ogni qual volta si rinvenga un passero, solitario o no, non possono essere assunti come possibili antecedenti, né bastano in nessun modo a condi­ zionare l 'originalità di una cosi alta poesia. Evidentemente le somiglian­ ze del tipo di « La passer periserosa e solitaria l che sol con seco starsi si diletta >> del Pulci (Morgante, XIV, 60), o quella dello strambotto di Pamfilo Sasso : « Come fa il passer solitario, i' volo l piangendo la mia cruda e trista sorte », non sono altro che coincidenze, risalenti tutte a un medesimo archetipo. Il modello più arcaico e allo stesso tempo convincente per l 'identificazione del costume naturale del passero e la condizione del soggetto poetico, che costituisce innegabilmente la strut­ tura del canto leopardiano, è l 'Antico Testamento (Salmo Cll,8 : < < Vigi­ lavi , et factus su m sicut passer solitarius in tecto » ), filtrato attraverso il sonetto 226 di Petrarca, che inizia appunto con una vera e propria traduzione del versetto biblico: « Passer mai solitario in alcun tetto l non fu quant'io . . . ». Meno probabile mi pare il raffronto proposto, con cauta incertezza, da Paparelli con la « Passera solitaria » di Ambrogio Viale. La quale non condivide con il passero recanatese nemmeno i l sesso, o forse solo i l generico attributo di solitudine, mentre i l suo lezioso schema ritmico da canzonetta ( quinari con ritornello) , il motivo ispiratore e l 'intero disegno strutturale lo costringono nelPArcadia più convenzionale. Ma forse la compiaciuta itcrazione del tema, presente anche in altri versi della medesima raccolta, potrebbe (come opportu­ namente notava Paparelli) dargli qualche titolo per un possibile parago­ ne: specialmente grazie a un sonetto dove il tetto di supporto , biblico o petrarchesco che sia, trasfigurato in « rotti muri » potrebbe far pensa­ re, sia pur tangenzialmente, alla « torre antica ))1 e dove un endecasilla­ bo non male scandito ( « empio d'acerbo lagno i campi e l 'ora ))) chiude la seconda quartina con certa decorosa spaziosità.4 Dal versetto biblico, attraverso Petrarca e giù per l 'Arcadia, altri rami discendono che portano sempre al topos letterario della identifica­ zione poeta = passero (Oimé, quanto somiglia / al tuo costume il mio ) ; m a individuano altre famiglie tematiche che, a m i o avviso, hanno poco o PACEI.I-A, Elenchi di letture leopardiane, (( Giorn. Stor. lett. It. », CXLIII, 1 966. Su e e eo a di t fp��!a� �P';��:rr: ((sf.i����'ii�1.�� A�a�t>cc;��-s���u�re�t�M�9�J�;���· sT o.fe'd: A. MARTINF.NGO, La Spagna e lo Spagnolo di Leopardi, proprio in ciò che lo differenzia dall'infelice poeta: O come se ' gentile, caro augellino: oh quanto e 'l mio stato amoroso al tuo simìle, s GIULIANA Dr FEBO Dr V no, Pedro Soto de Roias e il (( Passero solitario >>, « Trimestre », Pescara, I I , 1968, l, pp. 152-162. 6 FEDERICO GARCIA LoRcA, Homenaje a Soto de Rojas, conferenza tenuta in Granada in occasione di un omaggio a Soto nell'ottobre del 1926 e della quale si include un ampio resoconto nelle Obras completas, Madrid, 1975 ( 19" ed. I , pp. 1026-1033). Il poe­ ta fu studiato negli anni Cinquanta da A. GALLEGO MORELL, Obres de son Pedro Soto de Rojas, Madrid CISIC 1950, e poi da ARozco DrAZ, Introducci6n a un poema barocco granadino, Granada 1 955.

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tu prigion, io prigion: tu canti, io canto, tu canti per colei che t'ha legato, ed io canto per lei. Ma in questo è differente la mia sorte doleNe, che giova pur a te l'esser canoro, vivi cantando, ed io cantando moro.

Quel che mi par certo è che tanto il cardellino spagnolo, quanto questo non meglio identificato augellino nostrano, non hanno alcuna parentela con il passero : il quale né è in gabbia, né è prigioniero di donna, ma sdegnoso e in disparte per sua libera scelta, come il poeta che lo ha creato a sua immagine e simiglianza, ha dinanzi a sé tutto l 'infinito e la felicità poetica di naufragarvici. Devo osservare d 'altra parte che nemmeno il passero del petrarchesco sonetto 226 si mostra solitario per qualità o genere, ma per una situazione o condizione che si compara con quella del Poeta (in spagnolo il predicativo < < fu » andreb­ be tradotto con estar non con ser). E dunque non sembrerà azzardato affermare che il passero di Leopardi non si riferisca a una specie e forse nemmeno a una condizione specifica ma, riconducendosi al modello petrarchesco e assumendolo come referente dichiarato, diventi « solita­ rio » per pura e semplice sinestesia, trasferendo in esso il poeta la propria naturale inclinazione. E si ricordi del resto come il disegno o il desiderio di un tale trasferimento già per tempo esistesse nella mente del Poeta, se nell'operetta morale Elogio degli uccelli del novembre 1 824 (vale a dire una decina d 'anni prima della redazione definitiva del poemetto),7 egli cosi conclude le considerazioni sulla natura lieta degli uccelli : « ... io vorrei, per un poco di tempo, essere convertito in uccello, per provare quella contentezza e letizia della loro vita » . 8 Ne consegue che il riferimento/citazione a Petrarca, cosl evidente c preciso, vanifica le altre recenti equivalenze, che da quella medesima fonte derivano. Allo stesso modo, l'assumere « solitario » come sinestesia fa apparire superflue o non pertinenti le pur interessanti puntualizzazioni erudite di Monteverdi sulla vera natura del passero cosiddetto solitario. Ritornando al « jilguero )) spaenolo, avvertiamo che il motivo, colla7 Il Passero solitario, come si sa, fu composto fra il 1831 e il 1835. Tutta la controversia suUa data si legge in DoMENICO DE RonERT I S , Una contralfazione d'tmtore. Il � passero '> di Leopardi, Firenze, Licosa 1976. 8 Elogio degli uccelli, in LEOPARDI, Opere, ediz. Flora (cit.), t. I , pp. 959-966. - 354 -

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terale all'altro del quale ha pur la stessa origine, denuncia all'anagrafe un'altra famiglia, sparsa un po' dappertutto, ma particolarmente nume­ rosa nella Spagna del Sette e dell'Ottocento. « Jilgueritos, paxarillos, pajaritos }>, costretti in gabbia per simboleggiare l'amore negato o attesi all'agguato da malvagi ragazzacci scappati di tra le pagine di un futuro libro Cuore, svolazzano impauriti per le antologie settecentesche, pas­ sandosi la mano da Cadalso a Meléndez da questi a Jovellanos, fino a poeti deliziosamente « minori }) come Salas o perfino alla « afici6n }) di scrittori e commediografi prima ingiustamente screditati e poi ignorati come Cornelia. Di questi il più sconcertantemente vicino alla sensibilità leopardiana, e non per qualche parola da estrapolare con accorte pinze ai fini di un improbabile confronto, ma per una strana coincidenza ideologica ed estetica convergente da itinerari culturali diversi, è Gaspar Melchor de Jovellanos, il severo magistrato e statista che un po' si vergognava (come ogni uomo del Settecento) di scrivere delle poesie di altissima vibrazione lirica, che attendono ancora di essere sistematicamente ana­ lizzate ' Jovellanos dunque compose nel 1 7 7 9 una « epistola » filosofica nota come Epistola del Paular la quale, specie nel testo della seconda redazione interamente rifatto nel 1 7 8 0 , presenta non singole analogie ma tutto un tono o un'aria leopardiana ante litteram. Dall'antico mona­ stero che domina la valle di Lozoya, la vista spazia e induce nel poeta omologhe considerazioni sull'infinito, che « spaurano » il suo cuore donandogli poi la quiete. La cultura umanistica di Jovellanos vince le resistenze del suo radicato fondo cattolico, per cui il misticismo del luogo cede all'incanto della pausa vergiliana come al tropo oraziano del « beatus ille }>. L'armonia della luce, la « risuefia aurora }> di pronuncia classica, trionfa dei fantasmi notturni come dei vaghi presentimenti romantici . Bisogna dire per altro che, malgrado l'educazione cattolica (o forse proprio per quella), la concezione che Jovellanos ha della natura è di tipo pessimistico e materialistico, molto simile a quella che sarà di 9 Non intendo con queste parole disconoscere il valore della superba e (( inmejora· ble » edizione critica di JosE CAso GoNZALEz, Poesias de Gaspar Melchor de ]ovellanos, Oviedo, Instituto de Estudios Asturianos 196 1 , né La poética de ]ovellanos, Madrid, Prensa Espaiiola 1972, né i suoi studi sul pensiero di Jovellanos che stanno confluendo nel grande disegno delle Opere Complete, ma solo ribadire l'opinione già espressa nella mia Letteratura spagnola del Settecento, Firenze, Sansoni 1974, che tutta la poesia del Settecento è più spesso studiata con minuziosa erudizione che analizzata linguistamente nella complessità dei codici e delle strutture a lei peculiari. Ma si veda lo studio esemplare di )oAQUIN ARCE FERNANDEZ, La poesia del siglo ilustrado, Madrid, Alhambra 1 98 1 . - 3 55 -

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Leopardi (salvate, s 'intende, le differenze e le distanze) . E leopardiana appare, in questa epistola, tutta la sequenza dell'uccellino impaniato dal tradimento dell'uomo; o la metafora delle passioni come foglie menate a capriccio del vento; o quella del precipizio in cui ci versano l'errore e l'illusione: jAsl también de juventud lozana pasan, oh Anfriso, las livianas dichas ! Un soplo de inconstancia, de fastidio o de capricho femenil las tala y lleva por el aire, cual las hojas de los frondosos arboles caidas. Ciegos empero y tras su vana sembra de contino exhalados, en pos de ellas corremos basta ballar el precipicio, do nuestro error y su ilusi6n nos gulan. Volamos cn pos de ellas, como suele volar a la dulzura del reclamo incauto el pajarillo. Entre las hojas el preparado visco le detiene; lucha cautivo por huir, y en vano, porque un traidor, que en asechanza atisba, con mano infiel la libertad le roba y a muerte le condena, o drcel dura. 10

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125

Ma neanche questo « pajarillo » (non per essere incauto, solitario) presenta ovviamente alcuna relazione con il nostro, né a ciò miravo riportando il brano di Jovellanos. Ci aiuta però a coltivare il sospetto che tanti passeri non fanno « il » Passero solitario. Voglio dire cioè che il centro della poesia, il nucleo che il poeta ha sviluppato, vestendolo, s'intende, del proprio pessimismo concettuale, non sia da ricercare nell'immagine biblica del povero passero, oltre tutto ornitologicamente inesatto, ma da tutt'altra parte : nell'apertura del canto, direi, e nella nota paesaggistica che, anche nelle intenzioni del poeta, il Passero condivideva con L'infinito, La quiete, La sera del dì di festa e la Primavera. E me ne fa persuaso l 'altro attributo del passero, quello del canto (cantando vai), che dichiara anch'esso la sua filiazione petrarche­ sca (sonetto 353 : Vago auge/letto che cantando vai) ed è tutto sommato ancor più pertinente e pregnante dell'altra del sonetto 2 2 6 . Anche, direi, per il magnifico enjambement del secondo verso (passero solitario, IO

Cfr. l'ediz. critica già citata di ]osé Caso, pp. 184-185,

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vv.

1 1 2·129.

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alla campagna) che, come è proprio di questa figura, sembra perdere per un momento nella pausa di fine verso il nesso sintattico con il verbo seguente, riverberandosi tutto ne1la clausola ritmica dello stupendo endecasil1abo e in essa attraendo il lessema immediatamente anteriore, s1 che pare voler indicare uno spazio aperto e sconfinato (con quelle cinque « a >> in fi1a: alla campagna) dove co11ocare la solitudine annuo· data del passero/poeta. In tanto ariosa apertura finisce per coinvolgere anche il verbo reggente, che non sembra più essere > ma « vai » . E d è pur vero che < < v a i » è l a forma progressiva di < < cantando » e non verbo di moto/ 1 ma come resistere a1la suggestione di echi che articola un arioso movimento per tutto il cielo de1la valle, veicolato da « erra >> del v. 4 e poi da « valle », che circoscrive tutt'intorno, con la deissi che ne concreta i confini, Io spazio di tanto girare. E ci conferma in questa impressione l'accenno che il poeta stesso ne faceva molti anni prima, nel 1 8 1 9 , in un appunto di lavoro che conteneva prcsumibilmen­ te il disegno di due o tre cose possibili (ma certo l 'idea del passero) e che comunque trovò (trovarono) la propria realizzazione oltre dieci anni dopo : « Galline che tornano spontaneamente la sera alla loro stanza . Passero solitario . Campagna in gran declivio veduta alquanti passi in lontano, e villani che scendendo per essa si perdono tosto di vista, altra immagine dell'infinito >> .1 2 L'appunto, cos1 remoto ancora da ogni possi­ bile progetto di codificazione (il canto apparve per la prima volta nella edizione napoletana del ' 3 5 ) , non è nemmeno un pre-testo, ma una vaga impressione, un 'immagine pittorica nata come possibile variante dell 'In­ finito (« altra immagine dell 'infinito >> appunto) dopo gli « argomenti >> I , I I I e IV, e riposta nell'archivio della memoria, da utilizzare in qualche futura occasione. Esso ci offre tuttavia una guida fondamentale, anche se a volte trascurata, alla interpretazione del testo: e cioè che la coppia oppositiva non sia quella , scontata nella sua definizione pessimi­ stica, di « solitudine vs compagnia » o, se si preferisce, di « tristezza vs a1legria », ma quella di « staticità vs movimento ». II passero, con ogni evidenza, è solo l 'immagine motrice, un referente troppo dichiarato (dal Petrarca dei due sonetti citati o direttamente dal Salmo 102) per essere I l V. il bel commento di D. DE RoiiF:RTIS (op. cit., p. 154, note 4 e 5) a « campagna J> e cc cantando vai » . 12 :t: il VI degli « Argomenti di idilli J > , incluso questo n e l Supplemento generale a tu/le le mie carte, del 1819, conservato nella Biblioteca Nazionale di Firenze, e riportati tutti in Opere (Flora), t. I , p. 376 sg. I l corsivo è mio.

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altro che un pretesto, un telaio strutturale che la consuetudine gli ha reso congeniale: ma il vero centro della poesia sembra essere nella notazione paesaggistica e nel respiro lirico con cui è colta. Liberatosi altrove del concetto parafilosofico, culminato nella bella immagine lu­ creziana della solitudine cosmica (L'infinito), può ora liberamente utiliz­ zare i ritagli d 'immagine precedentemente appuntati ( « altra immagine dell'infinito >>, come egli stesso la definisce) con l'abbandono e la felicità (e la modernità di taglio e di linguaggio) propri delle cose cosiddette « minori )> , come appunto gli I dilli dei quali questo canto idealmente sembra far parte. 13 2. Se dunque il paesaggio di ascendenza vergiliana , sia pur mediato da Petrarca o dai più prossimi modelli arcadici, può e deve considerarsi il nucleo centrale e caratteristico del Passero solitario, non stupirà che in rami collaterali e non intersecanti di quella medesima traiettoria discen­ dente si ritrovino coincidenze stranamente significative. Le quali, s 'in­ tende, lungi dall'essere invocate come modelli indiretti o semplici e occasionali segmenti intcrtestuali, costituiscono invece testimonianza e riprova di fonti comuni alle quale due culture convergono c rifluiscono poi per cammini diversi. Mi riferisco ancora una volta a un passo di Jovellanos, concretamen­ te ai versi 44-58 della terza epistola, intitolata Epistola heroica de ]ovino a sus amigos de Sevilla, scritta nel 1 7 7 8 : 45

N i los alegres campos, del otofio con las doradas galas ataviados, ni la inocente y rUstica algazara con que hace resonar los hondos valles la bulliciosa juventud, que roba

50

del padre R�co las opimos dones ; ni en las verdes laderas las rebafios, do con las llenas ubres de su madre jucga balando el tierno corderillo; ni las canoras aves por el viento;

55

ni en su argentado margen, por mil giros serpeando el arroyuelo murmurante, ni toda, en fin, la gran naturaleza en su estacién mas rica y deleitosa le causa algUn piacer al alma mia.

13 Era come si sa l'interpretazione di Croce, con tutto il fascino che ancora conserva �er il Passero preferisco rifanni alle belle osservazioni di De Robertis alla p. 52 dell'ediz : citata. - 358 -

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Sottolineo i vv. 46-48, il v. 5 3 e parte del 54 per rendere evidenti quelle che a me sembrano possibili concordanze con il canto lcopardia­ no, ma devo riconoscere, come per l 'altro brano qui su riportato del medesimo Jovellanos, che si tratta solo di una vaga coincidenza di ritmo. E tuttavia il paesaggio, o il gusto del paesaggio, presenta una innegabile quanto labile somiglianza che sembra richiedere una giustifi­ cazione. La quale non può essere altra che queila di risalire a una fonte comune, un punto di congiunzione delle due rette divergenti : e ciò perché a tutt'oggi pare certo si debba escludere tassativamente, daile poche letture spagnole del conte Giacomo, questa del Jovellanos poeta. E se per la Epistola del Paular, poteva esistere una remota possibilità di esser conosciuta fuori di Spagna, già che Antonio Ponz l'aveva inserita nel X volume del suo Viaje de Espaiia pubblicato nel 1 7 8 1 (del quale per altro non esiste traccia né fra i libri dcila biblioteca di Monaldo né fra i minuziosi elenchi di letture del giovane poeta) ; di questa di Sevilla non sono documentate edizioni anteriori a queila postuma del 1 8 30. Eppure quella > del loco, come non immaginarla « tutta vestita a festa >>? E quel « resonar las hondos vailes » non ha la stessa proiezione di lontananza dci « rimbomban lontan di valle in valle » ? E « las canoras aves por el vicnto » e i « mil giros » ? È chiaro che bisognerà fare un lavoro di stratigrafia . Va detto a questo punto come anche Joaqufn Arce, in un suo meditato e finissimo saggio sulla sensibilità di Jovellanos, ch'egli chia­ mava preromantica, aveva notato, oltre aiie coincidenze con la poesia italiana contemporanea (Parini in primo luogo), questa strana anticipa­ zione e vicinanza con Leopardi, forse dovuta al . L'osservazione è giusta e può essere ampliata ben al di là delle idee politiche manzoniane, pur se sono anch 'io convinto che è su quest'orma e non altrove che vanno seguiti i passi , tutti ideali, di Manzoni attraverso le strade napoletane .' Sono, nello sviluppo della riflessione manzoniana, strade lunghe e sinuose, inerpicate e spezzate, spesso sfocianti su panorami di insolita bellezza e singolare luminosità, proprio come le vie di Napoli non metaforicamente parlando. Invero, l 'importanza di Lomonaco e specialmente di Cuoco nella * Università di Napoli. l P. ProvANI, Mam:oni e Napoli, ora in Margini critici, a cura di F. TESSITORE, Napoli, Bibliopolis 1981, p. 31 sg. E cfr. M . PARENTI, Manz.oni e Napoli, Sa!"Lana, Car­ pena ed. 1958, spec. pp. 941.

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FULVIO

TESSITORE

formazione del Manzoni - tale che un autorevole partecipe interprete come il Bagnetti 2 ha potuto, con documentato fondamento, parlare di « origini napoletane )) di tanta parte di questa formazione - è inversa­ mente proporzionale alle esplicite testimonianze del poeta. Non mancano certo accer�ni significativi nel carteggio, dove, ad esempio, in una lettera a Parigi del 1 804 1 Manzoni ricorda il Cuoco lettore privato del Platone in Italia, che allora andava componendo senza risparmiare critiche al Monti, in quell'epoca ammirato dal poeta lombardo. O quando, in una lettera a Fauriel del 1 8 1 1 ,' indica in Cuoco il mediatore delle sue conoscenze vichiane, ricordando l 'ancora inedita lettera di Vico su Dante, indirizzata a Gherardo degli Angeli nel 1 725, che Cuoco aveva donato a Bossi, il quale la prometteva al Manzoni. Anche il nome di Francesco Lomonaco non è assente nelle lettere, specie quella al Monti da Parigi del 3 1 agosto 1 805, nella quale il poeta, raccomandando le aspirazioni dell'amico ad ottenere la cattedra di Storia e Geografia nel collegio militare di Pavia, deliziosamente schizza, con affettuosa bonarietà, il ritratto dell'esule napoletano : « Ignaro troppo della materia di che egli vuolsi far dottore non posso nulla predire del progresso che ella può fare nelle sue mani, ma ti ringrazio delle premure che prendi a faver d 'un uomo che stimo ed amo per la sua probità » .5 Ritratto sostanzialmente corrispondente a quello del sonetto del 1802 pubblicato dallo stesso Lomonaco nel I volume de Le vite degli eccellenti italiani in testa alla biografia di Dante: 6 Come il divo Alighier l 'ingrata Flora Errar fca per civil rabbia sanguigna, Pel suoi, cui liberai natura infiora, Ove spesso il buon nasce, e rado alligna, 2 Cfr. G. BOGNETTI, La genesi dell'« Adelchi >> e del « Discorso » e il pensiero storico­ ( 1 95 1 - 1 952), ora in Manzoni giovane, a cura di M. politico del Manzoni fino Cataudella, Napoli, Guida 1972, p. 66. Una tesi parzialmente discordante sugli importanti colloqui con Cuoco enuncia G. TROMBATORE, Saggio sul Manzoni. La giovinezza (Venezia, Neri Poz:r.a 1983, pp. 105 sgg.), il quale, però, non manca di osservare con acutezza che da esso « gli veniva l'invito e anzi un'imperiosa sollecitazione a legger più a fondo in se stesso, a ridiscutcre a districare se non proprio a risolvere i suoi contrasti e i suoi dubbi interiori » (p. 108). 1 Cfr. A . MA NZO NI, Lettere, a cura di C. ARIETI, I , Milano, Mondadori 1970, p . I L

al 1821

4 s

Ibid., p . 1 1 8 . Ibid., p. 1 6 e cfr. p . 5 .

6

A Francesco Lomonaco, vv. 1-8, in A. MANZ0/1\I, Poesie rifiutate e abbozzi delle nconosciute, a cura di L Sanesi, Firenze, Sansoni 1 954, p. 54 e cfr. pp. LXIV-LXVII. Si veda anche Poesie di A. Manzoni prima della conversione, a cura di A. Chiari, Firenze,

Le Monnier 1938, pp. 97-103.

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MANZONl

E LA TRADIZIONE

VICHIANA

Esule egregio narri, e tu pur ora Duro esempio ne dai, tu, cui maligna Sorte sospinse, e tiene incerto ancora In questa di gentili alme madrigna.

È il Lomonaco autore dell' Rapporto al cittadino Carnot sulla catrastrofe napoletana del 1799, così citato in una nota del canto III, verso 100 7 del Trionfo della libertà, al quale, come vedremo di qui a poco, numerosi spettrali periodi lomono­ chiani fanno da ispirazione, non senza il ricordo della prosa storiografi­ camente misurata del Cuoco. Il quale certamente ben altra influenza esercitò sul giovane Manzoni, sia egli o no 8 il compagno innominato dei versi su La vaccinazione o l'innesto del vaiolo del 1809 e giù di Il: 9 Qual compagno s'avesse a la sua via lnfin d'allora il giovinetto acerbo, Tal savio il vide, e a lui ne presagia Cose che or fora il rammentar superbo; Ben di poche memorie in compagnia Ne la custodia del mio cor le serbo; Dubbio le serbo al paragon sincero Del Tempo certo testimon del vero.

Immagini non contrastanti coi tardi ricordi che dal 1 8 6 1 in qua il Manzoni affidò a Don Raffaele Masi di Atripalda, preside del Liceo Beccaria a Milano. 1 0 In questi si dice che: « Il nome poi che più avea in bocca era quello del Coca e facea gran conto dei suoi scritti politici. Il saggio sulla rivoluzione napoletana era tra i libri che aveva più letti e non v 'era cosa ivi accennata o descritta che non ricordasse. Vincenzo Coca, diceva, essere stato il primo a scrivere che la libertà non era possibile senza l'unità e che per unire la Nazione bisognava innanzitutto mettere fuori gli stranieri, insomma quasi lo diceva suo maestro in politica >> . E segue l 'aneddoto delle passeggiate interminabili dei due giovani amici che, infervorati nei loro discorsi, si accompagnavano 7 Cfr. Poesie rifiutate cit., p. 4 1 . 8 Per il s l propende il CHIARI (Poesie d i A. Manzoni cit., p. 3 19), per il n o il SANESI (Poesie rifiutate cit., p. CIX). 9 Cfr. vv. 9-16 in Poesie rifiutate d t., p. 1 13 e Poesie di A. Mam:.oni cit., p. 3 12. IO Sul conto che ne faceva il Manzoni, cfr. Lettere cit., vol. III, pp. 306, 328, 370, 4 1 1 , 485.

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FULVIO TES S ITORE

vicendevolmente a casa l 'uno dell'altro senza farla finita .1 1 Va aggiunto che Cuoco fu qualcosa di più del pur importante maestro in politica se a lui prevalentemente si deve l'avvicinamento a Vico, letto in una chiave cha favorf l'incontro con la science de l'homme ideologique secondo le tracce che sono ben evidenti iO. Urania e nel carme in Morte di Carlo Imbonati, dove probabilmente altri temi cuochiani - quelli dell'articolo del Giornale italiano su La Gloria letteraria e il gusto 12 - sono fonti di una delle idee più importanti. 13 E sul Cuoco bisogna fermarsi per risalire da qui, attraverso anche il Lomonaco, al vichismo della conce­ zione manzoniana della storia, sulla quale intendo brevemente tratte­ nermi in questa sede non prima d'avere dichiarato il mio completo consenso con un'osservazione fondamentale del lucidissimo Bognetti: « Il pensiero del Manzoni , non si presta ad essere spezzato in tanti segmenti e poi distribuito questo alla cura dello storiografo, quest'altro al cultore di critica letteraria, un terzo a chi sia esperto delle cosi dette crisi delle anime e così via. Astrarre anche solo da uno di questi aspetti è senz'altro un falsare tutto quel che resta, cercare di padroneggiarli tutti è proprio in questo caso il pericoloso ma necessario cammino della verità ». 14 2. L'insegnamento cuochiano, rinverdito nei colloqui della vec­ chiaia, che per una delle tante risorgive manzoniane già aveva costituito il centro cosi del frammento della canzone del 1 8 1 5 su Il proclama di Rimini u nel verso 34, brutto quanto famoso : liberi non sarem se non sia m uni; Il

ar. R . MA S I , Studi e ricordi intorno ad A. Man1.oni, a cura di G. Capitelli nel vol. Excelsior. Prose, Lanciano, R. Car2bba tip. 1893, pp. 150- 1 5 1 . Anche N. ToMMASEO (Colloqui col Manz.oni, a cura di C. Giardini, Milano 1944, p. 45) testimonia dell'amicizia per Cuoco e riporta l'episodio dci reciproci accompagnamenti. l2 Cfr. V. Cuoco, Scritti vari, a cura di N. Cortese e F. Nicolini, I, Bari, Laterza 1 925, pp. 222-232. Si ricordi anche la notizia che del carme manzoniano dà il Cuoco nel « Giornale italiano » del 3 aprile 1806 (cfr. Scritti vari dt., vol. I, p. 266). u Cfr. L. TONELLI, Manzoni, Milano, Corbaccio 1922, p. 45 e E . G ABBU T I, Il Manzoni e gli ideologi francesi, Firenze, Sansoni 1 936, pp. 96-97. Una rinnovata lettura della formazione manzoniana si deve a A. LEONE DE CASTRIS, L'impegno del Manzoni Firenze, Sansoni 1966, pp. 3-28, di cui VJ. visto anche la prima stesura A. Manzoni tr� ideologia e storicismo, Bari, Adriatica ed. 1962. 14 BaGNETTI, op. cit., p. 27. 15 Cfr. A. M ANZONI, Poesie e Tragedie, a cura di F. Ghisalbeni, Milano, Mondadori 1957, p. 1 20. S _ cfr. V. Cuoco, Saggio storico rulla rivoluzione napoletana la cui 1 conclusione nella Ia ed. del 1 8 0 1 si può leggere nella edizione di F. Nicolini (Bari ' La­ t c: rza 19292, pp. 283-284) dove è riportato il brano soppresso e modificato nella n edi­ Zione del 1806 (questo è aJle pp. 2 1 1-212 della cit. ed. Nicolini).

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MANZONI E LA

come dell'ode Marzo

1 82 1

TRADIZIONE

VICHIANA

1 6 negli squillanti e dolenti versi 29-3 3 :

Una gente che libera tutta, O fia serva tra l'Alpe ed il mare; Una d'arme, di lingua, d'altare, Di memorie, di sangue e di cor;

questa imperitura lezione cuochiana già risuona nella conclusione del Trionfo della libertà, là dove il genio detta all'Italia il compito di farsi una: 17 Contra i tiranni sol la cittadina Rabbia rivolgi, e tienti in mente fiso, che fosti serva, ed or sarai reina. Un concetto che anche Lomonaco, nel « Colpo d'occhio sull'Italia )) posto a completamento del Rapporto, aveva fatto proprio quando, unico riparo a tanti mali, aveva escogitato l'unione: « È d 'uopo >> - scriveva - « che l'Italia sia fusa in un solo governo )> . 1 8 Non sorprende anche per questo che nei versi della ruggente giovinezza manzoniana la filoso­ fia politica cuochiana, cosl intrisa di storia fino a far con questa tutt'uno, si vesta della rabbiosa retorica di Lomonaco, ingenua quanto autentica trascrizione dolorosa del comune animo cuochiano, proteso a valutare storiograficamente la fallita rivoluzione di Napoli, il cui bilancio negati­ vo sa ben dare spazio e positivo giudizio al sacrificio d 'una generazione di philosophes non caduti invano. Così accenti di Lomonaco - dove collega la tirannia, non contenta d'aver fatto piovere da sé sola tante calamità sopra quella Nazione, alla sua sorella superstizione, la quale con un cenno sconturba ed agita l'universo ispirando il sozzo e violento fanatismo - si riscontrano con le nemiche compagne della libertà nel carme manzoniano, dove 19 contro libertà ed uguaglianza

Impugnando un flagel d'anfesibene La Tirannia giacevasi da canto, E si graffiava le villose gene 16 Cfr. MANZONl, Poesie e tragedie dt., p. 1 1 6. 11 Or. Trionfo detta libertà, canto IV, vv. 1 42-144, in Poesie rifiutate cit., p. 47. 18 F. LoMONACo, Rapporto in appendice a V. Cuoco, Saggio storico cit., ed. Nicolini,

p. 327. 19 Trionfo della Libertà, canto I , vv. 103-105 e vv. 1 12-1 1 4 , in Poesie rifiutate cit., p. 17. -

3 67

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FULVIO

TESSITORE

avendo nei pressi la superstizione che il volgo chiama religione: Evvi una cruda, che uno stile innalza, E 'l caccia in mano a l 'uomo e dice: « Scanna », E forsennata va di balza in balza.

Non diversamente la raccapricciante raffigurazione della città iner­ me, corsa e battuta dalla ferocia della reazione/0 che Lomonaco affida ad una sua pagina mossa e commossa, si ritrova nel carme manzoniano. Vediamo. Lomonaco scrive : « I santuari dell'onore e della pudicizia sono profanati con i stupri, adulteri ed incesti. I palagi spogliati, le capanne derelitte, le teste dei cittadini pendenti da patiboli innalzati su tutti i paesi . In questo stato di cose il figlio strappato dalle mura domestiche indarno domanda sull'esistenza dell'autore dei suoi giorni, inutilmente il padre cerca sapere se il pegno più caro delle sue affezioni respiri ancora. La sposa errando nella regione dei sogni, invano cerca l'oggetto dei suoi amori. Il fratello e l 'amico ignorano la sorte del fratello e dell'amico, che o son morti o spasimano immezzo a tormenti. La donzella è condannata a languire in seno ad una perpetua verginità, giacché non vi è chi possa stringere con lei il nodo dell'imeneo )> .2 1 Il Manzoni nel Canto III," sembra fargli eco : II furor per le vie rapido scorre, E con grida i satelliti, e con cenni Incera e sprona, e a nova strage corre. Allor s'ode uno strider di bipenni, Un cupo scroscio di mannaie. Ahi come Oltre veder con questi occhi sostenni! Chi solo amò di Libertate il nome, O appena il proferl, dai sacri lari Strappato e strascinato è per le chiome. Ai casti letti venian que' sicari, Qual lupi digiuni atro drappello, D'oro e di sangue e di null'altro avari . E invan le spose al violato ostello, Di lagrime bagnando il sen discinto, Fean con la debil man vano puntello; 20 Mi riferisco al racconto del DE LoRENZO, Nel furore della reazione. 2 ! LOMONACO, Rapporto cit., p. 310. 22 Trionfo della libertà, canto I I I , vv. 163-189, in PoeJie rifiutate cit., pp. 36-37. -

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MANZONI

E LA TRADIZIONE VICHIANA

Che fin fu il ferro, ahimè ! cacciato e spinto Entro il seno pregnante: oh scelleranza! E il ferro, il ferro da l'orror fu vinto. Gli empi no, che con fiera dilettanza Pascean gli sguardi disiosi e cupi, E fean periglio di crudel costanza. E i pargoletti a que' feroci lupi Con un sorriso protendean le mani, Con un sorriso da spetrar le rupi. Ed essi: ah snaturati! oh in volti umani Tigri ! col ferro rimovean l'amplesso, E fean le membra tenerelle a brani.

Al centro del comune racconto della tragica rivoluzione di Napoli è quella che Lomonaco considera la più perversa e la più disonorata delle figlie di Maria Teresa d'Austria alle cui scelleraggini e turpitudini ben si addicono le accuse rivolte all'altra figlia di Maria Teresa, la famosa Maria Antonietta di Francia.23 E per Manzoni: " . . . Partenope serve a lei che vinse In crudeltà la maga empia di Calco, E de' più disumani il grido estinse

specie quando il sangue di martiri eroi scorreva a rivoli per la « città infelice » e si vide, un « vago spettro )) , quello della « barbara consorte di Luigi » : 25 ... spinto da voglia empia ed infame Lieto aggirarsi intorno al tristo brago. Avidamente pria fiutò carname, E rallegrassi, e poi con un sogghigno Guatò de' semivivi il bulicame. Quindi il muso tuffò smilzo ed arcigno, E il diguazzò per entro a la fiumana, E il labbro si !ambi gonfio e sanguigno. 2.J

24

l5

LoMONACO, Rapporto cit., p. 3 1 3 . Trionfo della Libertà, canto I I I , vv . 6 1 -63, in Poesie rifiutate d t . , p. 3 2 . [bid., canto I I I , vv . 2 1 1-2 1 2 , 2 1 2-2 1 9 , 228, in Poesie rifiutate cit., p p . 38, 3 9 .

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FULVIO

T E S S ITORE

Tuttavia, quel che va sottolineato nell'ode del giovane Manzoni, pur cosl ribollente dei furori truculenti di Lomonaco, è qualche distinguo tipico del Manzoni maturo, qui ispirato piuttosto al serrato argomentare storiografico cuochiano. Tale il pentimento che restringe ai sovrani l 'invettiva indiscriminata lanciata contro la « città fetente » , Napoli, che « l'accesa Etna l'ultrice » dovrebbe coprire e penetrare « fino a la radi­ ce » :

Ma n o : sol pera i l delinquente: sopra Lei cada il divo sdegno, e sui diademi, Autori infami de l'orribil' opra.26

Una limitazione che trova giustificazione nella pietosa comprensione per il popolo degli umili i cui bisogni vanno individuati, interpretati e rispettati: 27 Ed U siculo e 'l calabro bifolco Frange a crudo signor le dure plebe, E riga di sudore il non suo solco.

Una limitazione assai sgnificativa, che si collega alle distinzioni circa le feroci rampogne rivolte alla chiesa ed agli uomini di chiesa/ 8 prean­ nuncio proprio nel pieno dell'ateismo giovanile, della rigorosa religiosi­ tà manzoniana di dopo la conversione, rivolte alla grandezza della fede che sa discernere tra le forme del culto e le profondità del sentimento divino rivissuto nell'esperienza degli uomini e specie degli umili . E qui Lomonaco cede il passo al Cuoco, non solo allo storico della rivoluzione del 99, il cui Saggio ha uno dei suoi nuclei determinanti nella valutazio­ ne della religiosità popolare, legata ai bisogni o sentimenti del popolo minuto, oggetto e soggetto delle rivoluzioni attive, ma anche al filosofo vichiano di formazione razionalistica mai rinnegata, bensf sposata e fortificata con la logica della storia : insomma il Cuoco che poteva andare d'accordo con il Lomonaco più profondo e più rilevante anche per la formazione del Manzoni. Ibid., canto III, vv. 259-260, 262 264, in Poesie rifiutate cit., p. 40. Ibid., canto III, vv. 64-66, in Poesie rifiutate cit., p. 33. Cfr. ibid., canto II, vv. 172-189 (in Poesie rifiutate cit., p. 28) e v. 1 3 3 (p. 26). Giustamente, sia pure in un quadro interpretativo sostanzialmente diverso da quello da me qui proposto, il TROMBATORE (op. cii., p. 1 1 3) ha richiamato la tesi di Cuoco sull'uffici.o dvii� d�ll_a ragione . dalla funzione storica della Chiesa {cfr. Platone in Italia, �1cohm, I I , Bm, Laterza 1924, pp. 249-256 a Scritti vari cit., vol. 1, pp. 62:7�� �JJS)

26

Il 28

c

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MANZONI

E

LA TRADIZIONE VICHIANA

3. Penso al Lomonaco da studiare e ristudiare ancora oggi, andan­ do alla ricognizione di alcune sue fonti , che sono anche quelle del Cuoco, da Machiavelli a Vico, agli illuministi meridionali sui cui testi entrambi gli esuli nella Cisalpina, il molisano ed il lucano, si erano effettivamente formati. In modo particolare bisogna riflettere sul co­ stante riferimento a Vico del Lomonaco (di qui a poco vedremo quello del Cuoco), giacché il Vico a cui si rivolge il Lomonaco è « colui il quale ha compiuto lo sforzo fino allora maggiore di ridurre a filosofia la storia con soggettar la varietà degli usi e dei costumi, delle religioni, lingue e governi dei popoli, attraverso un'analisi storica della mente e del cuore dell'uomo » . Cioè è lo scopritore della storia come scienza nuova dell'uomo integrale soggetto morale ed insieme fisico e materiale. È il Vico che può accordarsi con Genovesi e con Filangieri cui andava, come per il Cuoco, l'attenzione particolare del Lomonaco in quanto tutti e tre sono autori di una scienza legislatrice dell'umano fondata sulle cognizioni morali non meno che su quelle fisiche e matematiche e mediche e psicologiche. « Poiché aggirandosi queste discipline sulla contemplazione dell 'uomo ed essendo questo ente soggetto alle naturali leggi, non potrà mai essere ben conosciuto ove una strana filosofia da siffatte leggi voglia allontanarlo. Questo è il motivo per cui la scienza dell'uomo essendo stata scampagnata dalla fisica rimase e tuttavia rima­ ne avvolta nelle tenebre �> .2 9 L'antropologia dunque non si potrà trattare con rigore geometrico se l'innesto morale-religioso si disleghi dal fisico. In nome di questa antropologia totale Vico può accordarsi con i rifor­ matori settecenteschi animati dalla genovesiana « filosofia tutta di co­ se » quale la chiamò e intese Cuoco, così come può nella Milano cisalpina e romagnosiana accordarsi con l'ideologia portata di Francia. Questa antropologia, che vichianamente sa essere la filosofia storicamente insita nelle cose e nella natura degli uomini, che sa essere scienza del vero in quanto scienza del fatto, vale a superare il paradossale dottrinalismo di quell'Illuminismo che, armato di principi troppo generali per essere concreti, è trascorso dall'astratto al praticismo non al particolare storico. Ed è notevole la critica che, nei Discorsi letterari e filosofici, Lomonaco muove a certo illuminismo, accusato non già di essere cosmopolita ma di non saperlo essere storicamente in aderenza all'integralità dell 'umano. « Sprofondati nei particolari sono impotenti a formarsi un'anima co29 LoMONACO, Vite degli eccellenti Italiani, in Opera, Lugano, G. Ruggia 18 31-1837, vol. VIII, pp. 276-277.

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FULVIO TESS ITORE

smopolita che soggiorni nel mondo come in una città. Rinchiusi come una lumaca in una piccola nicchia non escono mai, anzi ne formano il loro universo credendosi di una natura superiore a quella dégli altri }> .30 L'insegnamento di Vico serve a superare la sterile antitesi dell 'astratto e del concreto in nome di una ·s toria che come scienza etica (che altro è infatti la scienza dell'uomo integrale che anche Lomonaco vuole costrui­ re tra sette-ottocento ? ) partecipa dello spirito e della natura, delle idee e della materia secondo la natura totale dell'uomo fisico e morale. Lomonaco è sicuramente uno dei tramiti dell'innesto vichiano sulla cultura del tardo illuminismo che attraverso l 'ideologia consumava la sua crisi , aprendo il secolo della nuova scienza della storia. Lo è con tragico travaglio personale, perché a lui personalmente non riuscl di superare il dislegamento tra il fisico ed il morale-religioso e questa incapacità lo portò al suicidio (il l" settembre 1 8 1 0 ) , che tanto impressio­ nò Manzoni, abbandonando, in fedeltà al suo Diogene cinico, questo aspro deserto del mondo nel quale egli sentiva di poter vivere solo quando fosse riuscito a trovare l 'intesa con la bella e felice eticità immediatamente vissuta dagli antichi, al cui mondo anche Lomonaco guardava ora con struggente nostalgia, ora con agonistico impegno. Certo non è corretto tentare, di fronte a questi temi, troppo facili e perciò errati tracciati di vite parallele, però va osservato che quelli della maturità milanese del Lomonaco, attraversati drammaticamente dalla ricercata e non trovata armonia tra etica e fisica, sono anche gli anni nei quali il Manzoni assaggia l'approfondimento etico dei motivi psicologici (specie del de Tracy) e storici (specie del Fauriel) del movimento ideologique, il cui metodo analitico tanto era naturalmente convergente con il carattere razionalistico della sua formazione, ma più ancora del suo intelletto. Cosicché concordo con quanti 1 1 hanno sostenuto che non insoddisfazioni di ordine speculativo, quanto di ordine etico allontana­ rono il Manzoni dagli ideologi ai quali d 'altronde si era avvicinato in forza dei suggerimenti direttamente e indirettamente provenutigli dalla ricerca etico-storica del Cuoco, che, anche attraverso la originale lettura di Vico, lo raffozava nella nativa curiosità di studiare la pulsante realtà dell'uomo, ritenendo che fondamento di questa sia il divenire storico ed il valore morale inteso come valore religioso. JO Io., Discorsi, pp. 332-333. 3 1 Cfr., ad esempio, B. BOLDRTNI, LA formazione del pensiero etico-storico del Manzoni, Firenze, Sansoni 1954, pp. 60 e sgg.

cit.,

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-

MANZONI E LA

TRADIZIONE

VlCHIANA

Un documento importante di tutto questo è l'Urania, a cui il Manzoni attende tra il 1 807 ed 1 809, contemporanea, come ha osservato il Trompeo, del lavoro di Cabanis della Lettre sur le causes primières e di Fauriel de La histoire du stolcisme, così da poter dire che uno stesso spirito animava i tre amici . Ora in Urania, dove i concetti vi­ chiani sono « risentiti da un animo simile a quello di Vico anelante all'ordine ed aiia giustizia » ; 3 2 dove l a terrena pietà, tipicamente vichia­ na, per l 'umanità errante, « prelude come frase musicale ancora incerta e diffusa e non bene espressa alla celestiale catarsi dell 'Adelchi e dei Promessi sposi, a quel senso della grazia divina di cui tutta l'opera rnanzoniana è impregnata » ; n in Urania, i miti classici , rivissuti anche da Lomonaco nello stesso volgere di tempo, si trasvalutano in concetti cristiani. .56 Né Manzoni si ferma al rilievo per definire le condizioni di longobardi ed i taliani al tempo dell 'invasione di Carlo Magno e contrastare l 'interpretazione che essi formassero >, come suona l'enunciato nel capitolo 2°. La tesi dei «due popoli>> e per lui un principio ben più generale, quasi una vera e propria teoria politica e storiografica, non diversamente che in Cuoco. «La distinzione dei conquistatori e dei conquistati è un filo che non solo conduce l'osservatore per gli andirivieni delle istituzioni del medio evo, ma serve pure a legare quest 'epoca con le altre più importanti della storia, e che sembrano le più diverse>>.57 E tuttavia a noi ora interessa osservare dell'altro e di più. Partendo da qui, Manzoni enuncia non solo una interpretazione della storia d'I talia destinata a pesare non poco, anzi moltissimo, sulla coscienza del paese in anni cruciali c fin oltre il 1848. Egli definisce la sua idea di storiografia, dove i succhi vichiani, nell'intreccio tra umanologia cuochiana e scienza dell 'uomo ideologica, fermentano originalmente. Per intanto, impostare la lettura della storia longobardica in Italia nella prospettiva dell'attenzione per le relazioni tra i due popoli com­ porta il rifiuto di «quell'abitudine strana di non vedere nella storia quasi altro che alcuni personaggi. Non si trattava qui soltanto di papi e di re; e in una tanta discussione d 'interessi l 'ambizione degli uni o degli altri è un oggetto di considerazione molto secondario.58 Si sa che gli uomini i quali entrano a trattare gli affari di una parte del genere umano, vi portano facilmente interessi privati di dominazione; trovare dei personaggi storici che li abbiano dimenticati o posposti, quella sarebbe una scoperta da fermarvisi sopra con la riflessione. Ma nel 55 Cito il Discorso nella stesura del 1822 da MANZONI, Saggi storici di F. Ghisalbcrti, Milano, Mondadori 1963, p. 194. 56

n

e

politici, a cura

Ibid., p. 200. Ibid., p. 204.

58 Ibid., p. 235. In un abbozzo (1820) del cap. I del Discorso (cfr. ed. cit., p. 272), Manzoni scrive: «La storia non è per essi (gli eruditi) altro che il racconto delle avventure dci principi, dei fatti pubblici di un popolo stabilito in Italia, ma della massa degl! abitatori non rapportano essi né un fatto né una volontà, né una voce, né resp1ro ».

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MANZONI E LA TRADIZIONE VICHIANA

dibattimento fra quelle due forze, [la forza dei re longobardi e quella dei papi, cui Manzoni ha accennato innanzi] si agitava il destino di alcuni milioni di uomini: quale di queste due forze rappresentava più da vicino il voto, il diritto di quella moltitudine di viventi, quale tendeva a diminuire i dolori, a mettere in questo mondo un po' di giustizia? Ecco a parer nostro, il punto vero della discussione».39 Una pagina dove già prepotente s'affaccia l 'istanza morale della storia e nella storia . E non è tutto. Lo studio delle « relazioni» fra i «due popoli» segna il comincia­ mento della «storia positiva, la vera, la importante storia: qui si sente tosto che la scoperta di quell'errore non è tanto una cognizione, quanto una sorgente di curiosità, per chi nella storia ama di vedere i varj svolgimenti e gli adattamenti della natura umana nel corso della società; di quello stato così naturale a1l'uomo e così violento, cosf voluto e così pieno di dolori, che crea tanti scopi dei quali rende impossibile l'adem­ pimento, che sopporta tutti i mali e tutti i rimedj piuttosto che cessare un momento, di quello stato che è un mistero di contraddizioni in cui l'ingegno si perde, se non lo considera come uno s tato di prova e di preparazione ad un 'altra esistenza».60 Il senso del processo storico, pieno di mali e di rimedi che danno forza di continuità alle cadute ed alle rotture del mondo della vita, non è affidato soltanto al riscatto nell'altra esistenza, quella dci campi eterni «cui menano felici i floridi sentier della speranza»,61 di fronte alla prima, dolorosa, atterrata, af­ fannosa. I l senso del processo storico è rimesso alle « scoperte di fatto», ossia alla storia positiva, alla storiografia come scienza, la quale dunque è tutt'uno con il senso, il significato, il valore della storia. Manzoni lo dice quando definisce « filosofiche >> (nel senso tutto vichia­ no e settecentesco d'indagine sugli interessi reali dell'umanità) 62 le ricerche «le più accurate su lo stato della popolazione italiana durante il 59 60

61

Tbid.,

p. 236.

Ibid., pp. 205-206. Il cinque maggio, vv. 9 1 -92

in Poesie e tragedie, cit., p. 105. 62 Cfr. C. DE LOLUS, A. Manzoni e gli storici liberali francesi della Restaurazione (1926) ora in Scrittori d'Italia, a cura di G. Contini c V. Santoli, Milano-Napoli, Ricciar­ di 1968 p. 225. La hcn nota lettera crociana dcll'antistoricità manzoniana, le polemiche

conness� c le convergenti ricerche storiografiche di F. Nirol ini possono essere seguite attraverso gli scritti che F. NtcOI.INI raccolse nel volume Arte e storia nei Promessi Sposi, Milano, Longancsi 1958, dove, non si trova soltanto il ricchissimo Peste e untori nei Promessi Sposi e nella realtà storica, Bari, Laterza 1 937. Una diversa lettura si deve ad A. GALLETTI, del quale vanno visri A. Manzoni (II ed., Milano, 1944, spcc. pp. 299-354) c, per un approfondimento cririco, Natura e finalità della storia nel moderno pensiero europeo, Milano, Mondadori 1953. -

3 79

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FULVIO TESS ITORE.

dominio dei longobardi >>. Che se queste ricerche ; 17 dove si enuncia un'idea ben precisa del processo storico che non è progressiva lineare continuità, hegelianamente impietosa dei singoli e delle particolarità generazionali tali da trasformare in un mattatoio la storia universale con idea indegna di Dio e dell'umanità. Tale il gusto tipicamente vichiano ed ideologico per le origini, incentrato sul concetto di «formazione » /8 rimontante direttamente a Condillac. Tale, soprattutto, il dovere dell 'imparzialità, cosllucidamente sottolineato da De Sanctis come carattere proprio della storia manzoniana e di tutta Ja scuola liberale.79

n

Ibid., pp. 21 0-21 1 .

73 Cfr. ibid., p p . 207, 277. 74 Cfr. ibid., p . 203, 222. 75 La citazione di Vico si trova nel Discorso (1822), pp. 222-223, seguendo l'edizione

milanese del 1801 della Scienza Nuova. 76 Cfr. Discorso (1845) cit., p. 97. 77 Discorso (1822) cit., p. 245. 78 Cfr. DE .Lo�LIS, op. �it., p. 289. I l gusto per le origini è proprio del Fauriel, secondo una luada tnterpretaz10ne del Sante-Beuve nei Portraits contemporainr dove allo ' storico francese viene attribuito anche l'impegno per la «imparzialità» della storia. 79 Cfr. F. DE SANCTIS, La scuola cattolico-liberale e il Romanticismo a Napoli ' a cura di C. Muscetta e G. Candeloro, Torino, Einaudi 1953, per e s. pp. 9 e sgg.

-38 2-

MANZONI E LA TRADIZIONE VICHIANA

Se a tutto ciò, pur determinante, qui non è possibile che alludere, quel che va osservato è che i l ricordo congiunto a Vico e Muratori indica la consapevolezza manzoniana che la storiografia è il nesso indissolubile, di comprensione e perciò il giudizio, di individualità (e da qui l'istanza etica della storiografia manzoniana talvolta indiscriminata­ mente confusa con l 'oratoria, pur non assente) e fondazione universale degli individuali (e da qui l'insistenza sulla responsabilità degli uomini, ma anche di Dio, che è - dagli Inni sacri al Natale del '33, attraverso tutto ciò che sta i n mezzo e specialmente i Promessi sposi nelle due pri­ me redazioni - il problema del Manzoni). Guardando da questo osservatorio, in ultima istanza Manzoni con­ cepf la storia come misterioso intreccio di libertà e necessità che è difficile unificare, cosl da ricavare l'impressione e più che l'impressione che la storia sia una caotica contraddizione non solvibile se non nella scelta escatologica extramondana ed extraesistenziale. «Gran segreto è la vita » - dice Adelchi morente - « e noi comprende che l 'ora estrema».80 La storia diventa, meglio può diventare una teologia della storia, che la rigenerazione dell'umanità affida, con la potente invocazione del Na­ tale, alla « virtude amica» che in alto la trarrà: O Figlio, o Tu cui genera L'Eterno, eterno seco;

con quel che segue.81 E però qui non si chiude il problema di Manzoni. L'incomprensibile nella storia è qualcosa che anela a comprendersi . La teologia della storia è vichianamente una teologia civile ragionata, che mira a fondare, per dar loro sicurezza, l 'individuale e l 'umano sull 'universale. Cosicché, e lo attesta per non dir altro La Pentecoste, la storia non è reificazione né deificazione dell'accaduto, ma umanizzazione 82 della ferocia, della bestia­ lità caotica in nome della pietas che esistenzializza anche il divino, il «Dio vivente» de La Pentecoste 83 nel rapporto con l 'uomo . Lo attesta - giacché qui non è possibile se non concludere senza spiluccare altra dorumentazione invero infinita nella compatta operosità manzoniana 80

Adelchi, atto V, vv. 351-352 ( 1 821), in Poesie e Tragedie cit., p. 771 . 81 Inni sacri, Il Natale, vv. 43-44, in Poesie e Tragedie cit., p. 6. ar. L. DERLA, Il realismo storico di A. Manzoni, Milano, Istituto Editoriale Cisalpino 1965, p. 55. a:J La Pentecoste, v. 1 0, in Poesie e Tragedie cit., p. 16. 82

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FULVIO TES S ITORE

dell'eccezionale decennio 1 8 1 5-1 825 - Il Natale del '33 che par sfiorare e più che sfiorare la duplice bestemmia che l'introduzione alla

Storia della colonna infame 84 vorrebbe esorcizzare: « negar la Provvi­ denza o accusarla». Ricordiamo il Natale del 1833: di u n ambiente che si poneva come portavoce dell 'intera regione, nonché del regno da poco frantumato. Si ha la possibilità di seguire le vie percorse dagli autori , prosatori, poeti, critici, per giungere all'elaborazione matura della loro arte, ritcssendo i rapporti tra le idee e le strutture letterarie, rileggendo contrasti e polemiche che sostanziarono un dibattito che visse talora ai margini della cultura italiana del tempo, ma che pur diede vita ad una letteratura, ad una filosofia e ad una critica partenopea. Si avrà dunque una rilettura abbastanza completa del milieu cultura­ le, ma anche un quadro del giornalismo napoletano di quegli anni che si avvia a conoscere momenti esaltanti senza temere confronti con quello coevo europeo. Si affacceranno alla ribalta letteraria nomi nuovi, noti e meno noti: molti di essi hanno legato la loro esistenza a fogli; di altri si potrà conoscere l 'impegno giornalistico accanto alla precipua attività di

3

Cfr. A. BALDAZZI, Bibliog,rafia della critica dannunziana nei periodici italiani dal Roma, Archivio Italiano Cooperativa Scrittori 1977. Ma ancora più convincente mi sembrano i risultati raggiunti con gli « Indici della terza pagina dei quotidiani italiani» diretti da Marta Brusda in una ricerca condotta nell'ambito dell'Istituto di Filologia Moderna dell'Università degli Studi di Urbino. Lo spoglio effettuato su periodici del Novecento (quindi su giornali reperibili con mag­ giore facilità, ma anche senz'altro più noti) ha evidenziato come spesso la bibliografia e la critica tralasciano articoli validissimi per il contenuto perché «nascosti» sulla terza pagina dei quotidiani. 1880 al 1938,

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REPERTORIO BIBLIOGRAFICO RICAVATO DAI PERIODICI NAPOLETANI

docente, di avvocato, di scrittore, di medico, di politico;4 di altri ancora verranno alla luce interessi culturali insospettati . Ci sarà in tal modo anche un recupero del giornalismo alla letteratura/ cui tanto ha dato particolarmente in questi anni in cui era meno difficile trovare ospitalità sulle colonne di un giornale che nell 'ufficio dei pochi editori presenti a Napoli. Sono questi dei motivi sufficienti a giustificare un lavoro non certo alieno da difficoltà, quali, soprattutto, il reperimento delle colle­ zioni complete di alcune testate e l a schedatura dei giornali che dovrà essere fatta manualmente in biblioteca senza poter utilizzare immedia­ tamente il computer,6 ma i risultati, a giudicare da quanto fino ad oggi è s tato già effettuato, sono molto confortanti. Gli studiosi non solo avranno facilmente la possibilità di reperire voci bibliografiche altrimen­ ti sconosciute, ma potranno anche accertare come non poche osservazio­ ni critiche o indicazioni di manoscritti erano già state pubblicate nell 'ul­ timo quarto del secondo Ottocento.

I parametri di lavoro. I parametri cronologici - 1 870-1 900 - sono stati scelti perché mi sembrano gli anni, dopo la caduta del governo borbonico ed i primi anni che segnano il passaggio alla libertà in seno al nuovo Stato italiano, della piena maturità della cultura napoletana. È un trentennio ricco di personalità, che riuscirono a dare un'immagine nuova al giornalismo cd alla letteratura come a tutte le altre forme artistiche e di pensiero. Lo svecchiamento della struttura sociale s 'accompagnò a quello culturale confermato da quello del mondo universitario attuato dal De Sanctis. In questo periodo, rispetto a quello immediatamente a ridosso della spedizione dei Mille, i giornali hanno una vita più duratura pur nell 'alto numero di testate che conferisce al giornalismo napoletano 7 un primato 4 La classe culturale napoletana del secondo Ottocento si reggeva, a causa del­ l'alta frequenza di analfabeti, sul ristretto numero di professionisti, che formavano in genere le redazioni dei giornali o davano al giornalismo un notevole contributo. 5 Sul rapporto tra letteratura e giornalismo cfr. P. GIANNANTONIO, Letteratura e giornalismo, in Contemporanea, Napoli, Loffredo 1981 («Valutazioni», 8), pp. 32-37 con bibliografia. 6 Gli indici saranno redatti con l'utilizzazione di un programma appositamente elaborato. 7 Sul giornalismo napoletano del secondo Ottocento occorre ancora rifarsi ai con­ tributi specifici di M. .MANDALARI, Giornalisti e scriJtori napoletani, e di conseguenza di opposizione all'arte del Carducci e dei suoi seguaci che avevano invaso buona parte della pubblicistica italiana del tempo, auspice soprattutto Angelo Sommaru­ ga u che del poeta maremmano aveva fatto il vessillo della propria attività editoriale . Non pare, però, che il GND volesse « anche essere il rincalzo del Giornale napoletano di filosofia c lettere »14• Il legame tra i due periodici era tenuto dagli uomini che provvedevano all 'uno e all'altro. Attraverso lo spoglio delle due testate appare evidente l'im­ pegno profuso nel GND sia dal Fiorentino che dall 'Imbriani, specie da quest'ultimo che, adoperando non pochi pseudonimi, talora riempiva con suoi scritti le quattro pagine del giornale. Lo spoglio del GND manifesta l'eccessivo impegno critico dei suoi contenuti lasciando scarso spazio alla narrativa, affidata generalmente a firme poco note, tranne quella della Marchesa Colombi. A giudicare da queste indicazioni bisogna ritenere che il GND avesse fallito nel suo in tento di contrastare l'egemonia del «Fanfulla della Domenica)>, che neppure con la creazione della «Cronaca Bizantina)> perse del tutto lo

in corso di stampa negli atti del Convegno: la relazione è accompagnata da un'appendice con l'elenco degli articoli pubblicati da Imbriani sui periodici ad eccezione dei quotidiani. 12 F. FLORA, Il Giornale Napoletano della Domenica, > morale e critica, lanciata contro tutti gli altri colleghi, a sostenere sia H Fiorentino che l 'lmbriani. Rileggendo, infatti, l'articolo di presentazione del settimanale, scritto dal Fiorentino, appare chiaramente la « fede>> critica che sosterrà il comportamento degli uomini assunti per sceverare il bene dal male, per additare « ai posteri>> 1 6 quanto fosse vernmcnte di valido e di nuovo neila produzio­ ne letteraria e critica del tempo, tentando di scongiurare « una cospira­ zione» ordita a danno dei cittadini facendo credere che « qualmente l 'età nostra formicoli di uomini grandi , di gente che fa una scoperta ad ogni passo che dà, che ad ogni pagina che scrive fa una rivelazione nuova ». 11 Fiorentino ed Imbriani operano per evidenziare gli errori della critica storica, ovvero la malafede con cui esprimono giudizi i seguaci del Carducci. Scrive infatti il filosofo: «Noi, inventori della critica storica, siamo gente scaltrita, ed a furia di avere scoperte le frode altrui, abbiamo tanto progredito, da prender grandi precauzioni, perché niuno possa più accorgersi delle nostre».1 8 In tale prospettiva è giusto avvertire i « posteri» sulle principali frodi perpetrate dalla « falange carducciana �>: «V'ha taluni, per esempio, che non hanno fatto di grandi cose, no certo; e neppure scritto opere d'importanza, neanco per idea: eppure sono celebrati per grandi, e come tali arriveranno a voi: sapete perché? perché hanno saputo tacere con s1 cocciuta ostinazione, che qualcuno ha da prima imaginato una tragrande [sic] originalità di concetti, a cui nessuna parola si potesse trovare proporzionalmente adeguata; sen 'è quindi cominciata a spandere la voce: grandi concetti si maturano dentro quel cerveilo li: non scrive perché un libro è troppo poco: e poi non ne ha il tempo, egli pensa! Oh se si degnasse scendere da queile alture, da quel cielo, se parlasse, se scrivesse! Ripeti oggi , 15 Intanto nel 1 882 nasceva a Roma un altro giornale letterario domenicale: ((La Domenica Letteraria» fondata il 5 febbraio 1 882 da Ferdinando Martini dopo aver abbandonato « Il Fanfulla della Domenica» nelle mani di Enrico Nencioni. Il nuovo foglio domenicale non riuscl a sopravvivere una vita indipendente: nell'agosto del 1 883 il Martini lo cedette al Sommaruga obbligandosi a pagare la metà deUe passività. Nel primo anno di vita «La Domenica Letteraria>> svolse un'azione di opposizione al « Fanfulla della Domenica>>: ma in effetti al Martini mancarono validi collaboratori e personalità che avessero le capacità di opporsi ad una critica troppo benevola nei confronti di tutto ciò che, nel bene e nel male, avesse impronta carducciana. 16 F. FIORENTINO, Ai Posteri, in GND, 1 gennaio 1 882. 11 Ibid. 18 Ibid. -

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REPERTORIO BIBLIOGRAFICO RICAVATO DAI PERIODICI NAPOLETANl

ripeti domani, il semideo è creato: una nube misteriosa lo circonda: il volgo adora. Posteri, accorti ! Non credete nulla di nulla: quel cervello è vuoto come una zucca: il silenzio, un partito preso; quelli che ci credono, sono degl'imbecilli; gli altri che fingono di crederci, degl'ipo­ criti . V 'ha poi certi altri, meno furbi, che qualcosa hanno scritto: come abbiano fatto non saprei dirvelo neppure io : la via più consueta mi si dice che sia questa. Si tratta, poniamo, di un libro di erudizione: è presto fatto. Colui che s'è incaponito di passare per autore fa copiare da un archivio qualsiasi mezza serqua di documenti, li dà al tipografo, ne fa correggere le bozze da un altro: all 'ultimo, vi appone il suo nome, e lo licenzia al pubblico. Il lavoro come vedete, l 'han fatto l'archivista, l 'amanuense, il prato, il correttore; ma ciò non toglie che l'indomani qualche gazzetta non imbocchi la tromba della fama , che qualche accademia non risponda gratulando, ammirata della scoperta, e che tutti non ripetano a coro il nome dell 'illustre scrittore�> .19 Altre, e ben più sottili, sono le arti adoperate per conferire gloria critica ad uno scrittore. Contro questo meccanismo, a difesa dell'ignaro lettore , insorgono quanti scrivono sul GND. Oltre il Fiorentino e l'Imbriani c'è Gaetano Amalfi a dare una valida mano ai primi due nella stroncatura soprattutto di tu tto ciò che avesse, seppur labile, una matrice carducciana. L'Imbriani « cominciò gustosamente a lavorarsi poeti e filologi, e anzi quanto gli capitavano a tiro, per un verso o per l'altro». 20 Adolfo Barrali e Alessandro D'Ancona, col quale negli anni prece­ denti aveva tenuto un lungo ed interessante carteggio, 21 sono le sue vittime più illustri; non mancano però poeti e scrittori, grandi c piccoli, a cui non abbia riservato qualche strale pungente della sua polemica. Giuseppe Chiarini, invece, è rivisitato dall'Amalfi, che sulle orme del maestro, dopo aver spulciato gli errori commessi dal poeta carducciano in alcune traduzioni di Heine, sostiene « che il Chiarini non è mica un gran poeta, come si va strombazzando da' suoi ammiratori, e neppure un mediocre poeta , perché, come lirico, non è capace di commuovere, di uscire dal rettorico, di cogliere il solo lato importante dell'argomento, depurandolo dalle vuote ed inutili generalità; perché, come novelliere, non ha la virtù di trasformare un fatterello da cronaca di gazzetta in una bella e calda poesia. I noltre non ha alcuno ideale metrico e non si 19 !bid.

20 F. FLORA, Il Giornale Napoletano della Domenica, cit., p. 430. 21 Cfr. Carteggi di Vittorio Imbriani. Gli hegeliani di Napoli .. cit., pp. 211-279.

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RAH'AELE GIGLIO

mostra molto esperto delle regole più comuni del verseggiare. Certo mi sarebbe stato caro, nelle seguenti miserie letterarie, riconoscere nel Chiarini una gloria italiana; ma, da banda le chiacchiere, diciamolo schietto, il Chiarini non è poeta )>.22 Al di là di questa posiz'one anticarducciana, il GND contribul nell 'ambiente partenopeo alla diffusione della cultura e ad un dibattito critico che colmò una lacuna nella pur varia pubblicistica del tempo. Gli interessi del periodico spaziarono dall 'arte alla narrativa, dalla poesia italiana e latina a que11a straniera, da11a musica a11a polemica letteraria ed alla critica di autori e testi, da11a rivisitazione di autori della letteratura napoletana al folclore, dalla commemorazione o biogra­ fia storica a11a pubblicazione di documenti inediti . Articoli, recensioni, note e rubriche contribuirono in pari modo all 'attuazione del program­ ma editoriale. Tra i non pochi pregi il GND ha il merito di aver aperto la cultura del tempo ai problemi di una letteratura nazionale, rivisitata con un particolare orizzonte critico, nel tentativo, scarsamente riuscito, di rom­ pere l'egemonia critica che attraverso i propri fogli aveva assunto Roma, dove convenivano ormai anche le firme dell'ambiente torinese, milanese e bolognese aggregandosi all'impero editoriale 33 di Angelo Sommaruga . Ma l 'esperienza del GND non fu inutile: tracciò la strada alle successi­ ve pubblicazioni settimanali di vario interesse nelle quali la letteratura, anche se intesa in modo diverso, aveva una parte cospicua. La scomparsa del settimanale, dovuta non solo a11o scarso numero di abbonati, ma soprattutto a1l 'impossibilità fisica di Imbriani di sostenere la grave mole di lavoro, riportò di nuovo l'ambiente culturale napoletano al precedente « oscurantismo » privandosi dell 'unico foglio che fino allora aveva avuto l 'ardire di dimostrare la vitalità culturale di una città in un confronto, alcune volte perdente e provinciale, con gli uomini ed i centri più accreditati della letteratura italiana. BIBLIOGRAFIA: F. FLoRA, Il giornale Napoletano della Domenica, « Pega­

so

»,

IV, 1932, pp. 427-442, poi in « Emporium

»,

XLII, luglio 1936; F. FATTO­

RELLO, Il giornale napoletano della Domenica, «Rivista Letteraria», 1933. Ma si veda anche Carteggi di Vittorio Imbriani. Gli hegeliani di Napoli ed

altri

corrispondenti letterati ed artisti, a cura di N. Coppola, Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano 1964 , passim.

.

22

G. AMALFI,

2l

Sui periodici appartenuti al Sommaruga cfr. G. SQUARCIAPINO, Roma bizantina

P. poeta Giuseppe Chiarini?, in GND, 26 marzo 1882.

Clt., pp. 402·445.

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INDICE DEGLI AUTORI

Nel presente indtcc i titoli degli articoli sono stati riportati per intero. Per le re­ censioni è stato adottato il seguente criterio: la sigla R messa ad inizio del titolo ripor­ tato nel presente indice avverte che esso è il titolo completo del volume recensito; quando, invece, la recensione compare con un titolo diverso da quello del volume que­ sto è stato indicato tra parentesi quadrc preceduto dalla sigla R. Gli pseudonimi, quando è stato possibile, sono stati sciolti; pertanto gli articoli sono stati elencati sotto la forma del cognome dell'autore; tuttavia tra (] è stato indi­ cato lo pseudonimo adoperato. Alla fine degli indici è riportata la tavola degli pseu­ donimi. Talora si è preferito puntualizzarc un titolo generico indicando tra parentesi quadre l'argomento specifico: ad es.: Un Canzoniere inedito del XIV secolo [Pietro Jacopo De Jennaro]. La sigla indicante la testata {in questo exemplum GND) e l'anno di pubblicazione degli articoli (1885) sono stati aboliti in questa stampa.

ACMì

AIEVOI.I ERIBERTO ALITINO AMABILE LUIGI AMALFI GAETANO

R.: M. Farnarari, Della storia militare del Rea· me di Napoli Dopo una lettura Memorie del Capitano Puck La Coupe et les lévres. Poema drammatico del Musset Amore L.a prima opera in musica in Italia Le poesie del Campanella R.: G. O. Annicchini, Intermezzo Felice Parrilli Lo starnuto, il Natale e la vip)lia di S. Giovan­ ni [R.: Tradizioni popolari catalane] E poeta Giuseppe Cbirini? Stregonerie [R.: Usi e costumi abruzzesi descrit· ti da De Nino] Novelle abruzzesi [R.: Tradizioni popolari abruz· usi di G. Finamore] Giovanni da Procida nella tradizione popolare R.: Carmelo Moroccclli, Prose e poesie per eser· citare le classi eler1rentari Il gran poeta tedesco Wal/isch R.: Felix Thessalus, Traité de l'origine du lan­ I!.Uage Susurri [R.: Susu"i, Versi di Pier Vittorio Car­ lomagno]

Belliniana [R.: Vincenzo Bellini, di M. Scheril­ lo] -

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RAFFAELE GIGLIO

ANGIUSANI G. ANONIMO

ANTONA TRAVERSI C. A. R. ARDITO PIETRO

ASTURARO A. BARONE GIUSEPPE

BERNARDI GIOVANNI BotviTo GIAMBATTISTA BRUZZANO LUIGI BYDUSTANY

Maldicenze paesane B la Monti-Pickler la Teresa dell'Ortis Soprannomi Giordaniana [R.: Pietro Giordani e la sua dii­ tura letteraria, di Ildebrando Della Giovanna] Romaniana [R.: Felice Romani e i più reputati maestri di musica, di Emilia Branca] Prendiamo attol Detti et /atti memorabili del molto reverendo Monsignor Perrelli Ched' è un critico [R.: Artista e critico, di Pi e­ Ira Ardito] R.: Amore ha cent'occhi, di Salvatore Farina Di una inondazione di libri scolastici Due traduzioni di alcuni distici latini di Niccolò Perrone Il professore Bartoli giudicato in Germania Un documento del 1636 Sei documenti inediti sul Campanella ( l ) Sei documenti inediti sul Campanella (Il) Cunto de 'na maesta Sentenza di morte contro i Cenci (l) Sentenza di morte contro i Cenci (Il) Dei Sepolcri di Ugo Foscolo ( l ) Dei Sepolcri d i Ugo Foscolo ( I l ) Dei Sepolcri d i Ugo Foscolo ( I I I ) Qualche altra parola sugli uccelletti cipriani Le liriche del Manzoni: Il Natale Sul Natale del Manzoni Le liriche del Manzoni: LJ Resurrezione Le liriche del Manzoni: LJ Passione Le liriche del Manzoni: La Pentecoste Le liriche del Manzoni: Il nome di Maria Le liriche del Manzoni: Il Cinque Maggio Le Rime della Guacci (l) Le Rime della Guacci (Il) Le Rime della Guacci ( I I I ) LJ Battaglia d i Maclodio. Coro d e l Manzoni Le Rime della Guacci (IV) La vittoria di Carlo Magno sui Longobardi. Pri­ mo coro dell'Adelchi La morte dell'Ermengarda. Secondo coro del­ l'Adelchi Marzo 1821 Le Rime della Guacci (V) Le Rime della Guacci (VI) Le Rime della Guacci (VI I ) L'Antropologia e i l Metodo statistico I manoscritti orientali della Bibl. Nazionale di Napoli Iasogami e Camicoto Un Canzoniere inedito del XIV secolo [Pietro Jacopo De Jennaro] l. Mutato Dominio. II. Ai Dottoroni Discorso de alcune antiche ordinanze de cavalieri La canzone del capraio. Scena calabrese Il « sin nicn » o il Capodanno in Cina -

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REPERTORIO BIBLIOGRAFICO RICAVATO DAI PERIODICI NAPOLETANI

CAPASSO GAETANO CAPITELLI GuGLIELMO CARDONA ENRICO

CAROSELLI AUGUSTO CASTI ENRICO

CIPOLLONI ALFONSO CIRINO L. CoLAMARINO DIEGO CoNFORTO DoMENICO

CoRRERA LUIGI DA LBONO CESARE D. D. P. DE ANGELJS ERRICO DE CmARA S. DELLA SAL_A VINCENZO DE LUCA DI LIZZANO E.

06 s lO L 10 L 03 B 02 G 02 Li 07 p 09 M 09 L 10 L 18 L

Un ministro impiccato [ Vincenzo De Filippis] L'abate Gregorio Aracri (l) r a racri (Il) t ll ic Il Giornale del Vesuvio Il cognome Donizetti I Fabbri (dal provenza/e di Teodoro Aubanel) Bellini di fronte alla storia Pagine di cronaca letteraria Un libro di Zola Per una nuova traduzione di Orazio La battaglia di Muret (dal provenza/e di Vietar Balaguer) Sole di notte. Leggenda catalana (dal provenz.ale di Fr. Pelay Briz) Dal provenz.ale di A. de Cagnaud: l'inverno su le Alpi A G. B. Marsuzzi Un'ode latina Ode latina Antico incivilimento de' Vestini Un'ode latina La Visione di Mina Il XIX Anniversario di Publio Virgilio Marone. Epigramma Una degna vita [Elogio di P. E. lmbriani] Giornali del dottor D. Conforto Giornali del dottor D. Con/orto Giornali del dottor D. Con/orto Giornali di D. Con/orto. Maggio 1682 Giornali di D. Conforto. Giugno 1682 Giornale delle cose successe in Napoli. Luglio 1682 Giornale delle cose successe in Napoli. Agosto dell'anno 1682 Delle cose successe in Napoli nel mese di Settembre 1 682 Giornali delle cose successe a Napoli, Ottobre 1 682 Delle cose successe in Napoli nel mese di No­ vembre 1 682 Le streghe di Benevento

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Francesco Ricciardi Gaspare Capone Note biografiche Giuseppe Polignani. Commemoraz.ione 'E mise 'e l'anno. Novella popolare raccolta a Meta Galeauo di Tarsia Storie popolari napoletane Storie popolari napoletane A Pasqualino Fiorentino Traduzione de' distici Ferrucciani Al mare Di Ferrante Cara/a e d'un suo manoscritto I Sereni e Fabriz.io Maramaldo Preghiera. Canzone Per Ghita

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RAFFAELE GIGLIO

DE SANCTIS FRANCESCO D'OviDIO FRANCESCO DucA DEMETRIO

ELLERRE EoLIO NELE EROS FIORENTINO FRANCESCO

L'unica poesia italiana del Pontano Di alcuni versi del Sannazzaro Per un marinaio mendico. Ode Le liriche del Tansillo Il povero fiore La Prigione. Versi di un Italiano Napoleone Caix LA partenza. Bozzetto di marina La lettera. Secondo bozzetto di marina. Cattivo tempo. Terzo bozzetto di marina

04 25 02 12 19 18 29 17 01 05

R.: Enrico Po-.:zetti, Prosodia e versificazione greca Tommaso Gro55i Vicinanza dell'amata (dai Ueder di Goethe)

09 04 L 19 1 1 L 27 08 p

Ai Posteri R.: Domenico Berti, Nuovi documenti di Tom· maso Campanella tratti dal carteggio di Giovan· ni Fabri �-: Gaspare Virgilio, La psichiatria nella sto·

"'

Michele Ferrucci R.: R. Mariano, Giordano Bruno: la vita e l'uomo La giovinezza di Giordano Bruno R. : Vincenzo Giordano Zocchi, Memorie di un ebete Il Natano del LeHing R. : Luigi Capuana, Studi di letteratura contem· poranea or el one Giovanni Lanza La conferenza del Giacosa sul vero nel teatro Una poesia del Panzacchi R. : Le relazioni dell'Ageno [I casi delle guerra per l'Indipendenza dell'America, di Giuseppe Colucci] Il testamento di Galeazzo di Tarsia R.: Nicola Fornelli, L'insegnamento pubblico ai giorni nostri Un dialogo di Giordano Bruno Lettera al Dottor Mauatinti Galeauo di Tarsia Commemorazione: I. Camillo Minieri Riccio Risposta ad una cartolina anonima R.: Ferdinando Gnesotto, Le Metamorfosi di Ovidio Giuseppe Garibaldi Corrispondenza Canto novo Marc'Antonio Epicuro Berardino Rota Antonio Paola R.: Giovanni Gozzadini, Maria Teresa di Se­ rego-Allighieri Gozzadini Agli elettori del Collegio di Monteleone La critica storica odierna (l) LA critica storica odierna (II)

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FoRNELLI NICOLA

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REPERTORIO BIBLIOGRAFICO RICAVATO DAI PERIODICI NAPOLETANI

LA critica storica odierna ( I I I ) La critica storica odierna ( I V )

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GUANCIA L I QUINTINO GUERRINO PRIN.A

Elegia latina c o n versione italiana Cose lodigiane

03 1 2 p 04 06 P!

H.

Il nutrimento degli antichi greci [per la prima parte cfr. X . ]

24 09 s

l MBRIANI VITTORIO [Il Misantropo] [ I l Misantropo)

La Beatrice Allaghieri R.: R1me di G. Sommi Picenardi R.: Due Antologie. I. [Crestomazia della poesia italiana del periodo delle origini, di Aldo Bar­ tali ) R.: Novelle di Giovanni Cavalcanti Agli Editori Fratelli Treves R.: Due antologie. II. [ Poesie di autori contem­ poranei, di G. L. Patuzzi ) Paralipomeni a l Misogallo [R.: L a Francia e i suoi meriti vecchi e nuovi verso l'Italia, di F. SantiniJ Arminio Cherusco Versificatore e Poeta (l) A Pau/o Fambri Le poesie del Campanella Paremiogra/ia [R.: Rilccolta di proverbi veneti fatta da F. Pasqualigo) Versi/icatore e Poeta (Il e I I I ) Patto col Diavolo R.: Amore legittimo. Versi di Ge/lio Cilentano La Strenna Album dell'Associazione delta stam· pa LR.: Anno Secondo. Strenna-Album della Associazione della Stampa Periodica in Italia] L'esilio di Dante [R.: Dell'esilio di Dante, di Isidoro Dcl Lungo) Vita di Giuseppe Poerio Il frate!!o del Pisanelli Sulla prima novella del Pecorone Versione dallo Heine R.: Capricci satirici di Anastasio Spicilegio di spropositi R.: Il Conte Giovanni. Novellette di Ciro Mas­ saroli Gabriella di Dante Allagbieri Roba d'Oltralpi [ R . : Lyriche und epische e Das Miirchen, di F. Roeber) Spicilegio di spropositi Una facezia del Domenichi Ores/e Raggi Eco e dieresi Vaticini politici di Tommasi, Bonghi, Imbriani, Rosei, Pisanelli, Con/orti, D'Errico La Società Italiana degli Autori Ad una equanime. Tre lettere inedite di Giuseppe Giusti illu­ strate Roba d'Oltr'Alpe [ R . : Poeti inglesi tedeschi moderni e contemporanei] Due biografie. l. [ R . : Cesare Cantù giudicato dall'età sua]

[ Quattr'Asterischi] Ul Misantropo]

[ Un Italianissimo] [Jacopo Moeniacocli] [ Quattr'Asterischi)

[ Il Misantropo) [Il Misantropo]

[ I l Misantropo) [ I l Misantropo] [ Quattr'Asterischi) [Jacopo Moeniacoeli) [ I l Misantropo] [Quattr'Asterischi] [ Quattr'Asterischi] [ I l Misantropo] [Un Monarchico] [ }acopo Moeniacocli] [Jacopo Moeniacoeli ) [ Il Misantropo) [ Il Misantropo]

- 399 -

01 01 L 01 01 L 08 01 L 08 0 1 L 08 01 s 15 0 1 L 15 22 22 29 29

01 01 01 01 01

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29 05 12 12

01 02 02 02

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19 02 L 26 05 12 19 19 19 02

02 03 03 03 03 03 04

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02 04 L 09 04 L 09 09 09 16 16

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23 04 s 23 04 Pl 30 04 p 20 05 L 07 05 L 1 4 05 L

RAFFAELE GIGLIO

[Jacopo Moeniacoeli] [Quattr'Asterischi] [Un Monarchico] [Il Misantropo] [Quattr'Asterischi] [Jacopo Moeniacoeli] [Il Misantropo] [ Un Monarchico] [Quattr'Asterischi] [Jacopo Moeniacoeli] [Ugo di Napoli] [Quattr'Asterischi] [Jacopo Moeniacoeli] [II Misantropo]

LABANCA B. LANZA CARLO

MANDALARI MARIO MARO-IESA CoLOMBI M,A RSELLJ NICOLA MINIERI RICCIO C. MoLINARa DEL CHtARO L. MoRANDI LuiGI NETTI FRANCESCO NrccoLJNI GIAMB.STA NICOLINI NICOLA PAPANDRF.A T. PARLACHIARO ( I L)

Tre leuerine di Giorgio Sand Le Poesie varie del Bozzelli Leopoldo Tarantini Leuera inedita di Giuseppe Mazzini Due biografie. Il. [ R . : Biografia di Mauro Mac· chi, di Giuseppe Ricciardi] Gli uccell"tti cipriani R.: In morte di Leopoldo Rodinò, di Carlo Maria Tallarigo Incontri, reminiscenze, imitazioni, plagi Ferrea vox [R.: Commemorazione di Giovanni Unza, di Silvio Spaventa] R.: Bibliografia del VI Centenario del Vespro Siciliano di L. Pedone Lauriel Inno alla luna Una visita a Sant'Ono/rio Una novella di Boson da Gubbio Alla Lodo/a Polemichetta con Bertucce e Camaleonte Nuova crestomazia italiana per le scuole secon­ darie

14 14 21 28

05 05 05 05

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28 05 s 04 06 L 04 06 L 11 06 L 18 06 c 02 23 30 06 06 20

07 07 07 08 08 08

s p

N N

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08 1 0 L 13 08 Pl 01 01 L 29 01 c

Lettera al Direttore 1....4 colpa nell'Arte Leopoldo Rodinò R.: Emanuele Celesia, Storia della letteratura italiana nei secoli barbari Muta col tempo l'espression dell'Arte Apollonia Tirio, favola erotica Un poema povenzale [ R. : Felix Gras, Toloza geste Provençale] Gennaro Seguino Bellini [ R . : Memorie e lettere a cura di F. Florimo] lA suocera di Publio Terenzio Della Rosmonda del Rucellai Scuole popolari R . : Mariano Capdepon, Tempestades del alma R.: Mariano Capdepon, El Corsario Platone artista

23 04 L 1 4 05 c

Dodici canti del popolo di Melito Parto-Salvo Carlo Guarna Logoteta e Camillo Minieri Riccio Cose leggiere Vite squallide I giornali nuovi lA politica dello Stato italiano Lettera inedita del Sannazzaro [Giambattista Bolvito] Storie popolari napoletane Storie popolari napoletane Lettera al Tallarigo

10 29 01 22 29 04 15 19 29 19 13

09 10 01 01 01 06 01 02 10 11 08

Le avventure della Pittura in Italia Vita d'artista Tre leuere inedite Versi Sugl'informi

12 30 23 05 12

03 04 07 03 03

Abramo Cucchi Note di lingua civile

16 07 c 25 06 Li

- 400 -

29 01 L 12 02 L 02 04 N

28 05 M 16 07 L 06 08 T lO 09 Pd 24 09 L 29 1 0 L 05 11 Fi F

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REPERTORIO BIBLIOGRAFICO RICAVATO DAI PERIODICI NAPOLETANI

PARZANESE p, p, PASQUALIGO FRANCESCO

PASSERINI GiAN LUIGI PERSICO FEDERICO PERRONE NICCOLÒ PISANELLI GIUSEPPE PITRÈ G I U SEPPE

PoERIO ALESSANDRO PoERIO CARLO POLIDORO FEDERIGO

PROFANO (UN)

Un nuovo libro sull'Arte [ R . : Guida alto studio critico della letteratura, di Pio Ferrieri] Favoletta Ched'è la Beatrice Il peccato di Dante Da Orazio. Ode Quirtioni dantesche Le Assise de' Re del Regno di Sicilia David Winspeare Ad Antonium Tarium Filiolum non redeuntem mater lamentatur Francesco Mario Pagano La Tinchina dell'alto mare (novella popolare toscana) l Ire fratelli Il Zoccolo di legno. Novella popolare fioren­ tina l tre pareri. Novella popolare toscana di Pra­ tovecchio nel Cosentino [sic] Novantanove pensieri I-LIX Novantanove pensieri LX-XCIX Vita di Giuseppe Poerio Ideale e reale Del bello musicale La musica antica ne' canti della Chiesa Ritorno della musica antica Marco Wahltuch ed Angelo Valdarnini. Ame­ nitadi filosofiche

06 12 23 18 30 26 07 05 19 18 05

08 11 04 06 07

A

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Il L

05 03 03 06 03

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26 03 F 30 04 F 02 07 F 20 02 09 05 09 20

08 07 07 03 04 08 IO 09 19 1 1

F

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B

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M M M

27 08 Fi

RIZZUTI MICHELE Rocco EMMANUELE ROMANO NICOLA RONDINELLA RosiNA

Pietru Biancu. Poemetto calabro Maldicenze paesane Sul Natale del Manzoni Ciociaro Ai Barbari novi. Ode. Barbara Novissima

09 01 12 08 16

07 p

SANTAMARIA NICOLA SANTINI FERDINANDO

Giuseppe Ralfaelti Allo sdegno. Ode Futuro prossimo Non più sangue: dal francese del Coppie Le generazioni. Forma e sostanza Poche cose sul cosa La partenza di Maria Stuarda da Parigi. Qua­ dro di Gaspero Landi !salina La Malmonacata Strenne: lettera all'avv. Mandalari g iere [ R . : Canzoniere di Girolamo Ra­ gusa Moleti] Versi/icatore Pompeiana La sintesi a priori ed il nesso causale

05 05 12 23 25 16 23

03 02 03 04 06 07 07

27 05 09 01 22

08 p 03 NP 04 NP IO L 01 p

12 16 24 30

03 04 09 04

Le cicalate R . : Nicola Misasi, Racconti calabresi Le cicalate La franchezza del pro/. Bartoli R . : In obitum Mariae Gratiae Fruguglietti R . : Pietro Dolci, Manualetto di geografia storica

08 29 26 02 09 30

DI L 01 L 03 L 04 L 04 s 04 L

SAvARESE RoBERTO SCHERI L L O MICHELE SETTI GIOVANNI

SOGLIANO A. SPAVENTA BERTRANDO TALLARIGO CARLO M. [ I l Filantropo] [Il Filantropo] [Il Filantropo] [Il Filantropo]

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-

401

-

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RAFFAELE GIGLIO

TANSILLO LUIGI TARANTINI LEOPOLDO TORRACA fRANCESCO TROMBETTA ERCOLE TROPEA GIACOMO VoLP ICELLA SctPIONE

x

17 08 05 02 04 22

12 01 03 07 06 10

Centuria di Piflerate Centuria di Pilferate III-XIII Mario Galeota Centuria di Piflerate XIV-XXIII Centuria di Pilferate XXIV-XXX Centuria di Pilferate XXXI-XXXIX Centuria di Pilferate XL-L Centuria di Pilferate LI-LIX Centuria di Pilferate LX-LXXXIX Centuria di Pilferate Centuria di Pilferate Giulio Acciani, poeta napoletano del sec. XVII

15 12 19 09 30 07 14 04 16 03 10 17

01 03 03 04 04 05 05 C6 07 09 09 12

Il Museo sannitico e la Biblioteca Molisana in Campobasso Il nutrimento degli antichi greci [ma per la prima parte cfr. H . ] Visione R.: Della vita e delle opere di Pietro Tenerani

x. X...

xx

ZAMPINI SALAZARO

R.: Girolamo di Maio, Pensieri e considera:àoni intorno alla miseria R . : E. Magliano, l ntroduzione allo studio della letteratura R.: Francesco Torraca, Gli imitatori stranieri di Iacopo Sannazaro R.: Francescantonio Colacino, Guida popolare per la festa, processione . . . R . : Orazio Balestrieri, Ricordi grammaticali R.: Baldassarre Labanca, Marsi/io da Padova riformatore politico ... R.: Vincenzo De Amicis, Lt commedia popolare latina e la commedia dell'Arte L'Orazione del Pontano a Carlo VIli R.: Luigi Morandi, Voltaire contro Shakespeare R.: . Tommaso Caivano, Storia della guerra d'A­ mertca Scipione Staffa, la donna al cospello de' secoli R . : Pietro PaccUa, Vocabolario geografico uni­ versale Le elezioni poiitiche e i maestri elementari Nuova Crestomazia italiana per le scuole se­ condarie R.: Raffaello Fornaciari, Prose di G. Leopardi Governo e governati { R . : Governo e governati, di Pasquale Turiello) Due madrigali inediti Nicola Nicolini Il Tansillo ed il Sannazaro Quistioni grammaticali Rime di I...ap o Gianni

F.

ZANELLA GIACOMO ZUMBINI BONAVENTURA

Chiara stella Romeo e Giulietta ( l ) Rumeo e Giulietta ( I l ) I...a profezia del Tago (Dallo spagnuolo di Leon) Poeti italiani e poeti stranieri [ A proposito di uno scrillo di G. Zane/la) Un dubbio sul Giannone -

402

-

30 04 Fi 07 05 L 14 05 L 14 05 28 05

F Li

JO 07 S JO 07 L 06 08 L 20 08 Fi 27 08 s OJ 09 V OJ 09 V 17 09 s 08 10 L 29 10 L

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03 09 A 17 09 s 1 7 09 p 05 02 A 08 12 12 26

01 02 03 03

N L L

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05 02 L 22 01 L

INDICE DEI SOGGETTI

I soggett1 sono indicati in maiuscoletto. Nel presente indice sono stati inseriti anche gli autori recensiti. I titoli dei v(}. lumi recensiti non sono stati riportati per intero; pertanto occorre utilizzare l'Indice degli autori per conoscere per esteso il titolo del volume. La sigla R tra parentesi qua· dre avverte che l'articolo è una recensione. Gli pseudonimi, quando è stato possibile, sono stati sciolti. Pertanto essi non com· paiono nel presente indice. Il riscontro nell' Indice degli autori permette di conoscere lo pseudonimo eventualmente adoperato dall'autore per il singolo articolo. Sotto le voci di Letteratura italiana, Musica, Storia, Poesia italiana e straniera . . sono state raccolte schede di interesse generale. In genere, per esigenze tecniche, i titoli degli articoli non sono stati riponati per intero. Di qui la necessità di provvedere ad un riscontro nell'Indice degli autori. L'anno di pubblicazione degli articoli (in questo exemplum è solo il 1885) è stato abolito in questa occasione di stampa.

ACCIANI GIULIO VOLPICELLA SciPIONE ALIGHIERI DANTE IMBRIANI VITTORIO PASQUALIGO FRANCESCO

ANASTASIO IMBRIANI VITTORIO ANNICCHINI G. O. AMALFI GAETANO ARACRI GREGORIO, abate CAPASSO GAETANO ARDITO PIETRO AMALFI GAETANO ARTE NETTI FRANCESCO PARLACIIIARO (IL) SOGLIANO A.

x.

Giulio Acciani, poeta napoletano del Sec. XVII

17 12

LA Beatrice Allaghieri L'esilio di Dante [R] Gabriella di Dante Allaghieri Ch ed'è la Beatrice Il peccato di Dante Quistioni dantesche

01 26 09 23 18 26

Capricci satirici di Anastasio [R J

19 03

G.

O.

Annicchini, Intermezzo [R]

01 02 04 04 06 Il

22 01

L'abate Gregorio Aracri (l) L'abate Gregorio Aracri ( I l )

08 IO 15 IO

Ched'è un critico? [ R ]

IO 12

Le avventure della Piuura in Italia Un nuovo libro sull'Arte [ R ] Pompeiana Il Museo Sannitico

12 06 24 03

- 403 -

03 08 09 09

RAFFAELE GIGLIO

AUBANEL TEODORO CARDONA ENRICO

23 07

I Fabbri

BALAGUER VICTOR CARDONA ENRICO

La battaglia di Muret

19 I l

BALESTRIERI ORAZIO TALLARIGO CARLO M.

Ricordi grammaticali [ R ]

28 05

BARTOLI ADOLFO ANONIMO

��/rofessore Bartoli giudicato in Germa·

TALLARIGO ÙRLO M.

La franchezza del pro/. Bartoli

30 07 02 04

BELLINI VINCENZO AMALFI GAETANO CARDONA ENRICO LANZA CARLO

Belliniana [ R ] Bellini d i fronte alla storia Bellini [ R ]

lJ 08 03 09 28 05

Nuovi documenti d i Tommaso Campanella tratti dal carteggio di G. Fabri [ R ]

08 01

I manoscrilli orientali della Biblioteca Na­ ·donale di Napoli

02 04

BOLVITO GIAMBATTISTA MINIERI RICCIO CAMILLO

Giambattista Bolvito

19 02

BONGHI RUGGERO IMBRIANI VITTORIO

Vaticini politid

23 04

BORRELLI PASQUALE fiORENTINO fRANCESCO

Pasquale Borrelli

05 03

BOSON DA GUBBIO {MBRIANI VITTORIO

Una novella di Boson da Gubbio

06 08

BOZZELLI IMBRIANI VITTORIO

Le Poesie varie del Bozzelli

1 4 05

BRANCA EMILIA AMALFI GAETANO

Romaniana [ R ]

BERTI DOMENICO fiORENTINO fRANCESCO BIBLIOTECONOMIA BARONE GIUSEPPE

BRUNO GIORDANO FroRE.'lTINO FRANCESCO

Giordano Bruno, LA vita e l'uomo La giovinezza di Giordano Bruno Utt dialogo di Giordano Bruno

19 Il

[R]

22 01 29 01 1 4 05

CAIVANO TOMMASO TALLARIGO �RLO M.

Tommaso Caivano

27 08

CAIX NAPOLEONE D'OviDIO fRANCESCO

Napoleone Caix

29 I O

Le poesie del Campanella Sei documenti inediti sul Campanella (l) Sei documenti inediti sul Campanella (Il) Nuovi documenti di Tommaso Campanella traiti dal carteggio di Giovanni Fabbri [R] Le poesie del Campanella

12 02 24 09 0 1 IO

CAMPANELLA TOMMASO AMABILE LUIGI ANONIMO fiORENTINO fRAt>:CESCO IMBRIANI VITTORIO

-

404

-

08 0 1 29 0 1

REPERTORIO BIBLIOGRAFICO RICAVATO DAI PERIODICI NAPOLETANI

CANTù CESARE IMBRIANI VITTORIO CAPDEPON MARIANO LANZA CARLO

Due biografie. I Cesare Cantù [R]

14 05

Tempestades del alma [R] El Corsario [R]

24 09 29 10

CAPITELLI DOMENICO CAPITELLI GUGLIELMO

Domenico Capitelli

05 03

CAPONE GASPARE DALBOI\:0 CESARE

Gaspare Capone

12 03

CAPUANA LUIGI fiORENTINO fRANCESCO

Studi di letteratura contemporanea [R]

1 2 02

Di Ferrante Cara/a e d'un suo mano· scritto

19 02

CARAFA FERRANTE DE LUCA Dt LIZZANO E. CARLOMAGNO PIER VITTORIO AMALFI GAETANO

Susurri [R]

23 07

CAVALCANTI GIOVANNI IMBRIANI VITTORio

Novelle di Giovanni Cavalcanti [R]

08 01

CHIARINI GIUSEPPE AMALFI GAETANO

È poeta Giuseppe Chiarini?

26 03

COLACINO FRANCESCANTONIO TALLARIGo CARLO M.

Guida popolare sione [ R]

per la festa,

proces-

14 05

COLUCCI GIUSEPPE FIORENTINO FRANCESCO

Le relazioni dell'Ageno [ R ]

CUCCHI ABRAMO PAPANDREA T.

Abramo Cucchi

16 07

DALBONO CESARE DALBONO CESARE

Note biografiche

09 07

D'ANNUNZIO GABRIELE FIORENTINO FRANCESCO

Canto novo [R]

02 07

DE AMICIS VINCENZO TALLARIGO CARLO M.

La commedia popolare latina e la com·

2} 0 4

media dell'Arte [R]

30 07

DE CAGNAUD A . CARDONE ENRICO

L'inverno stl le Alpi

03 12

DE FILIPPIS VINCENZO C1\PASSo GAETANO

Un ministro impiccato

25 06

DE JENNARO PIETRO ]ACOPO BARONE GIUSEPPE

Un Canzoniere inedito del XIV secolo

16 07

DELLA GIOVANNA ILDEBRANDO AMALFI GAETANO Giordaniana [ R ]

2 9 10

DEL LUNGO IS!DORO lMBRIANI VITTORIO

26 02

L'esilio di Dante [R]

- 405 -

RAFFAELE GIGLIO

DE NINO AMALFI GAETANO

DI MAlO GIROLAMO TALLARIGO CARLO

M.

DOLCI PIETRO TALLARIGO CARLO M.

DO MENI CHI IMBRIANI VITTORIO

EPICURO MARC'ANTONIO fiORENTINO fRANCESCO

FABRI GIOVANNI fiORENTINO fRANCESCO

FAMBRI PAULO IMBRIANI VITTORIO

Stregonerie [ R ]

16 04

Pensieri e considerazioni intorno alla mi­ seria [ R ]

30 04

Manuale/lo d i geografia storica [R]

30 04

Una facezia del Domenichi

09 04

Marc'Antonio Epicuro

16 07

Nuovi documenti di T. Campanella traiti dal carteggio di Giovanni Fabri [R]

08 01

A Paulo Fambri

29 01

Amore ha cent'occhi [R]

17 12

Della storia militare del Reame di Na­ poli [R]

01 01

Un nuovo libro sull'arte [R)

06 08

Michele Ferrucci

15 0 1

Il Notano del Lessing Platone artista Ideale e reale Marco Wahltuch ed Angelo Valdarnini. Amenitadi filosofiche La sintesi a priori ed il nesso causale Pensieri e considerazioni intorno alla mi­ seria [ R ] Voltaire contro Shakespeare [ R ]

12 02 05 1 1 09 04

Traditioni popolari abruzzesi [R]

2 1 05

A Pasqualino Fiorentino

15 01

Bellini [R]

28 05

FARINA SALVATORE AMALFI GAETANO

FARNARARI M. AcMl

FERRIERI PIO PARLACHIARO (IL)

FERRUCCI MICHELE fiORENTINO fRANCESCO

FILOSOFIA fiORENTINO fRANCESCO LANZA CARLO POLIDORO fEDERIGO PRoFANo (Un) SP.WENTA BERTRANDO TALLARIGO CARLO M.

FINAMORE G. AMALFI GAETANO

FIORENTINO PASQUALINO DE LucA Dr LrzzANO E.

FLORIMO FRANCESCO LANZA CARLO

FOLCLORE AMALFI GAETANO

Lo starnuto, il Natale e la vigilia di S.

Giovanni Stregoneria [ R ] Novelle abruzzesi [R] Giovanni da Procida nella tradizione po­ polare

- 406 -

27 08 30 04 30 04 20 08

19 03 16 04 21 05 11 06

REPERTORIO BIBLIOGRAFICO RICAVATO DAI PERIODICI NAPOLETANI

ASTUARO A. BYDUSTANY CoRRERA LUIGI DE ANGELIS ERRICO DELLA SALA VINCENZO MANDALARI MARIO MoLINARO DEL OnARo L. PITRÈ GIUSEPPE

Rocco EMMANUELE TALLARIGO CARLO M.

Detti e fatti memorabili del molto Re­ verendo Momignor Perrelli 26 1 1 L'Antropologia e il Metodo statistico 05 1 1 Il « sin nien » o il Capodanno in Cina 05 02 19 02 Le streghe di Benevento 'E mise 'e l'anno. Novella popolare rac­ colta a Meta 04 06 Storie popolari napoletane 12 1 1 Storie popolari napoletane 0} 12 Dodici canti del popolo di Melito Por­ 10·09 to-Salvo Storie popolari napoletane 29 IO Storie popolari napoletane 19 1 1 La Tinchina dell'alto mare (novella popo­ lare toscana) 2 6 0} I tre fratelli }Q 04 Il zoccolo di legno. Novella popolare fiorentina 02 07 I tre pareri: Novella popolare toscana di Pratovecchio nel Cosentino [sic] Maldicenze paesane Guida popolare per la festa . . [ R ]

20 08 01 10 14 05

Prose d i G. Leopardi [ R ]

29 10

FORNACIARI RAFFAELLO TALLARIGO CARLO M.

FORNELLI NICOLA FIORENTINO FRANCESCO

FOSCOLO UGO AMALFI GAETANO ANTONA-TRAVERSI C.

L'insef!,namento pubblico a i nostri gior­ ni [ R ]

P. l a Monti-Pickler l a Teresa dell'Ortis

IO

Dei Sepolcri di Vf!,o Foscolo (I) Dei Sepolcri di Ugo Foscolo (Il) Dei Sepolcri di Ugo Foscolo (III) In obitum Marae Gratiae Fruguglietti

0 9 04

Galeazzo di Tarsia Il testamento di Galeazzo di Tarsia Galeazzo di Tarsia

19 1 1 } Q 04 2 1 05

Marco Galeo/a

19 0}

FRUGUGLIETTI GRAZIA TAI.LARIGO CARLO M .

07 05 08 26 Q} 10

11 12 12

GALEAZZO DI TARSIA DE CmARA S. FIORENTINO FRANCESCO

GALEOTA MARCO VotPICELLA SCIPIONE

GARIBALDI GIUSEPPE FIORENTINO fRANCESCO

Giuseppe Garibaldi

11 06

GELLIO CILENTANO IMBRIANI VITTORIO

Amore legittimo [ R J

12 02

L a conferenza del Giacosa sul vero nel teatro

02 04

Un dubbio sul Giannone

22 01

Giordaniana [ R ]

29 10

GIACOSA GIUSEPPE FIORENTINO FRANCESCO

GIANNONE PIETRO Z. Z. GIORDANI PIETRO AMALFI GAETANO

-

407

-

RAFFAELE GIGLIO

GIORDANO ZOCCHI VINCENZO fiORENTINO fRANCESCO

GIORNALISMO CARDONE ENRICO MARCHESA CoLOMBI (LA)

GIOVANNI DA PROCIDA AMALFI GAETANO

GIUSTI GIUSEPPE IMBRIANI VITTORIO

GNESOTTO FERDINANDO fiORENTINO fRANCESCO

GOETHE WOLFGANG EROS

GOZZADINI GIOVANNA fiORENTINO fRANCESCO

GRAS FELIX LANZA CARLO

Memorie di un ebete [ R ]

05 02

Il Giornale del Vesuvio I giornali nuovi

05 02 29 01

Giovanni da Procida nella tradizione po· polare

Il 06

Tre lettere inedite di Giuseppe Giusti illustrate

20 05

Le Metamorfosi di

04 06

Ovidio

[R]

Vicinanza dell'amata (dai Lieder d i Goe­ the)

27 08

Maria Teresa di Serego-Allaghieri Gozza­ dini [R]

IO 09

Un poema provenza/e [R]

23 04

Tommaso Grossi

19 I l

GROSSI TOMMASO EoLIO NELE

GUACCI GIUSEPPINA ARDITO PIETRO

Le Le Le Le Le Le Le

Rime Rime Rime Rime Rime Rime Rime

della della della della della della della

Guacci (l) Guacci ( I l ) Gut1ed ( I I I ) Guacci (IV) Guacci (V) Guacci (VI) Guacci (VII)

2 8 05 04 06 Il 06 09 07 03 09 1 7 09 12 I l

GUARNA CARLO MANDALARI MARIO

Carlo Guarna logoteta e Camillo Minie­ ri Riccio

29 IO

Versione dallo Heine

1 9 03

HEINE HEINRICH IMBRIANI VITTORIO

IMBRIANI PAOLO EMILIO CoLAMARINO DIEGO

Una degna vita

LABANCA BALDASSARRE TALI.ARIGO CARLO M.

Marrilio da Padova riformatore ..

LANDI GASPERO SANTINI fERDINANDO

1 5 IO [R)

30 07

La partenza di Maria Stuarda da Parigi

27 08

Giovanni Lanza Ferrea vox [ R ]

19 03 18 06

Rime d i Lapo Gianni

22 10

LANZA GIOVANNI

fiORENTINO fRANCESCO IMBRIANI VITTORIO

LAPO GIANNI TROPEA GIACOMO

- 408 -

REPERTORIO BIBLIOGRAFICO RICAVATO DAI PERIODICI NAPOLETANI

LEOPARDI GIACOMO TALLARIGO CARLO M.

Prose di G. Leopardi [R]

LESSING GOTTHOLD EPHRAIM FIORENTINO FRANCESCO

Il Natano del Lessing

12 02

Amore Soprannomi Intermezzo [R] Susurri [ R ] Cbed'è un critico Di una inondazione di libri scolastici Qualche altra parola sugli uccelletti cipriani Iasogami e Ca.micoto Pagine di cronaca lelleraria Prosodia e versificazione greca [ R ] Il Gamella bu!Jone Due antologie I. [ R ] D u e antologie I I . [R] Paralipomeni al Misogallo [ R ] Paremiografia [ R ] Amore leginimo [ R ] LA Strenna Album dell'Associa:done della stampa [ R ) Sulla pdma novella del pecorone Spicilegio di spropositi Roba d'oltr'Alpe [ R ] Spicilegio d i spropositi Eco e dieresi Roba d'oltr'Alpe [ R ] Gli uccellelli cipriani Incontri, reminiscenze, imittn:ioni, plagi Polemichetta con Bertucce e Camaleonte Nuova crestomazia italiana per le scuole secondarie [ R ] La colpa nell'Arte Storia della lelleratura italiana nei secoli barbari [ R ] Muta col tempo l'espression dell'Arte Novantanove pensieri. I-LIX Novantanove pensieri. LX-XCIX Strenne: lellere all'avv. Mandalari Versi/icaJore Le Cicalate Le Cicalate Introduzione allo studio della letteratura [ R ] La commedia popolare latina e la comme­ dia dell'Arte [ R ] Nuova crestomazia italiana per l e scuole secondarie [ R . ] Quistioni grammaticali Romeo e Giulietta ( l ) Romeo e Giulietta ( I l )

22 IO 1 5 IO

LETTERATURA ITALIANA AIEVOLI ERIBERTO AM:ALFI GAETANO ANGRISANI G. A. R. BARONE GIUSEPPE CARDONA ENRICO ELLERRE fiORENTINO fRANCESCO IMBRIANI VITTORIO

LASZA CARLO

POERIO ALESSANDRO ScHERILLo MICHELE SETTI GIOVANNI TALLARIGO CARLO M.

TaoMBETTA ERCOLE 2AMPINI SALAZARO F. LINGUISTICA AMALFI GAETANO CARDONE ENRICO

Traité de l'origine du language [ R ] I l cognome Donizetti -

40 9

-

29 IO

22 01 23 07 IO 1 2 02 04 22 IO 0 1 IO IO 09 09 04 19 03 08 01 1 5 01 15 01 29 01 1 2 02 12 19 02 09 09 16 07 04

02 03 04 04 04 04 05 06 Il 06 20 08 08 IO 01 01 29 12 02 09 01 16 08 26

01 02 07 07

IO

04 01 03

0 7 05 30 07 08 04 12 12

IO

06 02 03

05 07 12 02

RAFFAELE GIGLIO

PARLACHIARO (1L) SANTINI fERDINANDO TALLARIGO CARLO

M.

25 16 2} 28

Note di lingua civile Forma e sostanza Poche cose sul cosa Ricordi grammaticali [ R ]

MACCHI MAURO IMBRIANI VITTORIO

06 07 07 05

28 05

D u e biografie. Il ( R ]

MAGLIANO E. TALLARIGO CARLO M.

Introduzione allo ture

studio

delle

lettera·

MANZONI ALESSANDRO ARDITO PIETRO

ROMANO NICOLA

07 05

Le liriche del Manzoni. Il Natale Sul Natale del Manzoni La Resu"ezione lA Passione La Pentecoste Il Nome di Maria Il Cinque Maggio LA battaglia di Maclodio. Coro LA vii/oria di Carlo Magno mi Longobar· di. Primo coro dell'Adelchi La morte di Ermengarda Marzo 1821 Sul Natale del Manzoni

15 12 19 26 16 }0 07 25

04 05 06

2} 06 [} 12

07 08 08 02

I Sereni e Fabrizio Maramaldo

19 0}

01 02 02 0}

04

MARAMALDO FABRIZIO

DE LucA Dr LIZZ ANo E.

MARSILIO DA PADOVA TALLARIGO CARLO M.

Marsi/io da Padova riformatore politico [R]

}0 07

A G. B. Marsuzzi

27 08

II Conte Giovanni. Novellette di Ciro Mas· saroli [ R ]

02 04

MARSUZZI G. B. CAROSELLI AuGUSTO

MASSAROLI CIRO IMBRIANI VITTORIO

MAZZIN! GIUSEPPE IMBRIANI VITTORIO

Lettera inedita d i Giuseppe Mazzini

28 05

La psichiatria nella storia [ R ]

08 01

Commemorazione: I Camillo Minieri Riccio Carlo Guarna logotela e Camillo Minieri Riccio

29 1 0

Racconti calabresi [ R ]

29 01

Voltaire contro Shakespeare [ R ]

20 08

Prore e poesie p e r esercitare l e classi elementari [ R ]

1 1 06

MEDICINA fiORENTINO fRANCESCO

MINIERI RICCIO CAMILLO FIORENTINO fRANCESCO MANDALARI l\-fARIO

21 05

MISASI NICOLA TALLARIGO CARLO M.

MORANDI LUIGI TALLARIGO CARLO M.

MOROCCELLI CARMELO AMALFI GAF.TANO

- 410 -

REPERTORIO BIBLIOGRAFICO RICAVATO DAI PERIODICI NAPOLETANI

MUSICA ALITINO GARDONE ENRICO PoLIDORO FEDEIUGO

La prima opera in musica in Italia Bellini di fronte alla storia Del bello musicale La musica antica ne' canti della Chiesa Ritmo della musica antica

12 1 1

O J 09 20 08 10 09 19 1 1

NARRATIVA A cM l

AMALFI GAETANO ANONIMO BRUZZANO LUIGI CIPOLLONI A. DucA DEMETRIO IMBRIANI VITTORIO LANZA CARLO MARCHESA CoLoMBI (LA) NETTI FRANCESCO RoNDINE LLA SAVARESE RoBERTO ZAMPINI SALAZARO F.

2 0 08 Memorie del Capitano Puck Dopo una lettura 1) 08 24 09 Maldicenze paesane 22 10 Cunto de 'na maesta La canzone del capraio. Scena calabrese 15 10 La visione di Mirza 18 06 La partenza. Bozzetto di marina 1 7 09 La lettera. Secondo bozzetto di marina 01 1 0 Cattivo tempo. Terzo bozzetto di marina 05 1 1 Una visita a Sant'Ono/rio )0 0 7 0 6 08 Una novella di Boson da Gubbio Apollonia Tirio, /avola erotica 02 04 0 1 01 Cose leggiere 22 01 Vite squallide )0 04 Vita d'artista Ciociaro 08 10 05 OJ Isolina La ma!monacata 09 04 08 01 Chiara stella

LETIERATURA LATINA CARDONA ENRICO fiORENTINO FRANCESCO LANZA CARLO

LETIERATURA STRANIERA AIEVOLI ERIBERTO LANZA CARLO

MAZZATINTI

Per una nuova traduzione di Orazio Le Metamorfosi di Ovidio [ R ] Uz suocera d i Publio Terenzio

08 10 04 06 1 6 07

Uz Cot1pe et les lévres. Un poema provenza/e [ R ] E l Corsario [ R ]

0) 09 2) 04 29 10

Lettera a l Dottor Mazzatinti

1 4 05

Tre leuere inedite

2) 07

TARANTINI LEOPOLDO

Nicola Nicolini

05 0)

PACELLA PIETRO TALLARIGO CARLO M.

Vocabolario geografico universale

0) 09

Francesco Mario Pagano

05 0)

Una poesia del Panzacchi

16 04

Antonio Paola

)0 07

Felice Parrilli

05 0)

fiORENTINO FRANCESCO

NICCOLINI GIAMBATTISTA NICCOLINI GIAMBATTISTA

NICOLINI NICOLA

PAGANO FRANCESCO MARIO PISANELLI GIUSEPPE

PANZACCHI ENRICO FIORENTINO fRANCESCO

PAOLA ANTONIO FIORENTINO FRANCESCO

PARRILLI FELICE AMALFI GAETANO

-

41 1

-

RAFFAELE GIGLIO

PATUZZI G. L.

Poesie di autori contemporanei [R]

1 5 01

Prose e poesie per esercitare le classi elementari [R] Scuole popolari

1 1 06 l O 09

Bibliografia del VI Centenario del Vespro Siciliano [R]

02 07

CARDONA ENRICO

Sole di notte. Leggenda catalana

26 I l

PERRONE NICCOLò ANo:>� IMO

Due traduzioni di alcuni distici latini

0 2 07

Versificatore e poeta (l) Versificatore e poeta ( I I

22 01 05 02

IMBRIANI VITTORIO

PEDAGOGIA AMALFI GAETANO LANZA CARLO

PEDONE LAURIEL LUIGI IMBRIANI VITTORIO

PELAY BRIZ FR.

PINDEMONTE IPPOLITO lMBRIANI VITTORIO

PISANELLI IMBRIANI VITTORIO

POERIO ALESSANDRO IMBRIANI VITTORIO

POERIO GIUSEPPE POERIO C. · IMBRIANI V.

POESIA ITALIANA E STRANIERA BERNARDI GIOVANNI CARDONA ENRICO CAROSELLI AuGUSTO DE LUCA DI LIZZANO E.

DE SANCTIS FRANCESCO Eaos IMBRIANI VITTORIO

NtCOLINI NICOLA PARZANESE PIETRO P. RIZZUTI MICHELE ResiNA SANTINI FERDINANDO

e

III)

1 2 03

Il fratello del Pisanelli Versificatore e poeta ( l ) Versi/icatore e poeta ( I I

e

III)

Vita d i Giuseppe Poerio

l. Mutato dominio. II. Ai dottoroni

22 OI 05 02 05 03

05 02 2 3 07 I Fabbri 19 1 1 La battaglia di Muret 03 12 L'inverno su le Alpi 2 7 08 A G. B. Marsuzzi 15 01 A Pasqualino Fiorentino 22 01 Traduzione de' distici Ferrucciani 29 OI Al mare 23 04 Per la Ghita Preghiera 02 04 Per un marinaio mendico 02 07 Il povero fiore 19 1 1 La prigione. Versi di un Italiano 1 8 06 Vicinanza dell'amata. Dai Lieder di Goe­ the 27 08 Arminio Cheruso 22 O I A Paulo Fambri 29 OI Patto col diavolo I 2 02 Versione dallo Heine 19 03 Ad una equanime. 30 04 Inno alla Luna 23 07 Alla Lodo[a 06 08 Versi 05 03 Favoletta I2 I l Pietru Biancu. Poemetto calabro 0 9 07 Ai barbari novi. Ode. Barbara novissima I6 07 Allo sdegno. Ode. 05 02 Futuro prossimo 12 03

- 4 12 -

REPERTORIO BIBLIOGRAFICO RICAVATO DAI PERIODICI NAPOLETANl

SAVARESE RoBERTO SETTI GIOVANNI Vo LPICELLA SciPIONE

X ..

POESIA LATINA ANONUviO CASTI ENRICO CIRINO L. GUANCIALI QUINTINO PASQUALIGO FRANCESCO P'ERRONE NICCoLÒ

Non più sangue: dal francese del Coppée Le generazioni. Ode La partenza di Maria Stuarda da Parigi. Quadro di Gaspero Landi lsolina U maimonacata Epigrammi Centuria di PiJJerate Centuria di PiJJerate I I I-X I I I Centuria d i PiJJerate XVI-XXIII Centuria di PiJJerate XXIV·XXX Centuria di PiJJerate XXX I -XXXI X Centuria di PiJJerate XL-L Centuria di PiJJerate LI-LIX Centuria di PiJJerate LX-LXXXIX Centuria di PiJJerate Centuria di PiJJerate Visione

23 04 25 06 27 05 09 22 15 12 09 30 07 14 04 16 03 10 17

08 03 04 OI 01 03 04 04 05 05

06

07 09 09 09

Due traduzioni di alcuni distici latini di 02 07 Niccolò Ferrone 19 02 Un'ode latina 11 06 Ode latina 22 10 Un'ode latina Il XIX anniversario di Publio Virgilio Marone. Epigramma 24 09 03 1 2 Elegia latina con versione italiana 30 0 7 Da Orazio. Ode Ad Antonium Tarium 19 03 18 06 Filiolum non redeuntem mater lamentatur

POLIGNANI GIUSEPPE D. D. P.

Giuseppe Polignani

06 08

PONTANO GIOVANNI DE LucA DI LIZZANo E. TALLARIGO CARLO M .

L'unica poesia italiana del Pontano L'orazione del Pontano a Carlo VIII

04 06 06 08

RAFFAELLI GIUSEPPE SANTAMAltiA NICOLA

Giuseppe RaJjaelli

05 03

RAGGI ORESTE IMBRIANI VITTOlUO

Oreste Raggi

16 04

RAGUSA MOLETI GIROLAMO SETTI GIOVANNI

Un canzoniere ( R ]

12 03

RICCIARDI FRANCESCO DALBONO CESARE

Francesco Ricciardi

05 03

RICCIARDI GIUSEPPE IMBRIANI VITTORIO

Due biografie. II. ( R ]

28 05

RODINO LEOPOLDO IMBRIANI VITTORIO LANZA CARLO

I n morte d i Leopoldo Rodinò ( R ] Leopoldo Rodinò

04 06 29 01

Roba d'Oltralpi [R.]

09 04

ROEBER R. IMBRIANI VITTORIO

- 413 -

RAFFAELE GIGLIO

ROMANI FELICE AMALFI GAETANO

ROTA BERARDINO FIORENTINO FRANCESCO

RUCELLAI GIOVANNI l...ANZA CARLO

SAND GEORGE lMBRlANI VITTORIO

SANNAZZARO JACOPO

DE LucA Dr LIZZANO } •

MINIERI RICCIO CAMILLO TALLARIGO CARLO M. TORRACA FRANCESCO

SANTINI FERDINANDO IMBRIANI VITTORIO

SCHERILLO MICHELE AMALFI GAETANO

SEGUINO GENNARO LANZA CARLO

SHAKESPEARE WILLIAM

TALLARIGO CARLO M.

Romaniana [R]

19 l l

Berardino Rota

3 0 07

Delta Rosmonda del Rucceltai

06 08

Tre letterine di Giorgio Sand

14 05

Di alcuni versi inediti del Sannau.aro Lettera inedita del Sannazzaro Gli imitatori stranieri di Jacopo Sannaz­ zaro [ R ] I l Tansillo e d i l SannatUlro

25 06 1 5 01

Paralipomeni al Misogallo [ R]

15 01

Belliniana { R ]

lJ 0 8

14 05 02 07

Gennaro Seguino

14 0 5

Voltaire contro Shakespeare [R]

20 08

SOMMI PICENARDI GIOVANNI lMBRIANl VITTORIO

Rime di G. Sommi Picenardi [R]

01 01

La donna al cospetto de' secoli [R]

03 09

Della storia militare del Reame di Na­ poli [R] Sentenza di morte contro i Cenci ( l ) Sentenza d i morte contro i Cenci (Il)

0 1 01 22 lO 29 lO

STAFFA SCIPIONE

TALLARIGO CARLO M.

STORIA AcMl ANONIMO BoLVITO GIAMBATTISTA C... s TI ENRICO CoNFORTO DoMENICO

Discorso de alcune antiche ordinanze de cavalieri Antico incivilimento dei Vestini Giornali del dottor D. Conforto Giornali del dottor D. Con/orto Giornali del dottor D. Conforto Giornali di D. Conforto. Maggio 1682 Giornali di D. Conforto. Giugno 1682 Giornale delle cose successe in Napoli Luglio 1682 Giornale delle cose successe in Napoli. Agosto dell'anno 1682

Delle cose successe in Napoli nel mese di Settembre 1682 Giornali delle cose successe in Napoli. Ottobre 1682 Delle cose successe in Napoli nel mese di Novembre 1682 -

414

-

19 22 29 26 30 28 25

02 lO 01 03 04 05

06

23 07 27 08 24 09 29 10 26 1 1

REPERTORIO BIBLlOGRAFICO RICAVATO DAI PERIODICI NAPOLETANI

FIORENTINO FRANCESCO FoRNELLI NICOLA

H. IMDRIANI VITTORIO

r-.:lARSELLI NICOLA :-.JICOLINI NICOLA PAS SERINI GIA.NLUIGI PRINA GUERRINO TALLARIGO CARLO M.

x.

23 04 Le relazioni deli'Ageno [ R ] 10 09 Giovanni Gou.adini [ R ] 26 1 1 La critica storica odierna ( I ) OJ 12 La critica storica odierna ( I l ) 10 12 La critica storica odierna ( I I I ) 17 12 U critica storica odierna (IV) Il nutrimento degli antichi greci [per 24 09 la prima parte cfr. X.] 08 01 Agli Editori Fratelli Treves Vaticini politici di Tommasi, Borghi, Im­ briani, Rosei, Pisanelli, Con/orti, D'Er­ rico 23 04 Bibliografia del VI centenario del Ve­ 02 07 spro Siciliano [ R ] 04 06 La politica dello Stato Italiano 12 DJ Sugl'informi 07 05 Le Assise de' Re del Regno di Sicilia 04 06 Cose !odigiane 27 08 Storia della guerra d'America [ R ] L e elezioni politiche e i maestri elemen­ tari 17 09 17 12 Governo e governanti [ R ] Il nutrimento degli antichi greci [ m a per 17 09 la prima parte cfr. H]

TANSILLO LUIGI DE LUCA DI LIZZANO E. TANSI LLO LUIGI TORRACA fRANCESCO

Le liriche del Tansil!o Due madrigali inediti Il Tansi/lo ed il Sannazzaro

12 1 1 0 8 01 02 0 7

TARANTINI LEOPOLDO IMBRIANI VITTORIO

Leopo/do Tarantini

02 05

U conferenza del Giacosa sul vero nel teatro Della Rosmonda del Rucellai

02 04 06 08

Della vita e delle opere di Pietro Tenerani [R]

05 02

Traité de l'origine du /anguage [ R ]

09 07

Gli imitatori stranieri d i ]acopo Sannaz­ zaro [R]

14 05

TEATRO FIORENTINO FRANCESCO LANZA CARLO

TENERANI PIETRO

xx

THESSALUS FELIX AMALFI GAETANO TORRACA FRANCESCO TALLARIGO CARLO M. TURIELLO PASQUALE TALLA.RIGO CARLO M. VALDARNINI ANGELO PROFANO (UN) VIRGILIO GASPARE FIORENTINO FRANCESCO VOLTAIRE TALLARIGO CARLO M.

Governo e governati [ R ]

17 12

Marco Wahltuch e d Angelo Valdarnini. Amenitadi filosofiche

27 08

LA psichiatria nella storia [ R ]

08 01

Voltaire contro Shakespeare [ R ]

20 08

- 415 -

RAFFAELE GIGLIO

WALFISCH AMALFI GAETANO

Il gran poeta tedesco Walfisch

25 06

WAHLTUCH PRoFANo (uN)

Marco Wahltuch ed Angelo Valdarnini

27 08

WINSPEARE DA VID PERSICO FEDERICO

David Winspeare

05 03

ZANELLA GIACOMO ZuMBINI BoNAVENTURA

Poeti italiani e poeti stranieri

05 02

ZOLA EMILE CARDONA ENRICO

Un libro di Zola

0 1 IO

- 4 16 -

PSEUDONIMI E SIGLARIO

PSEUDONIMI Il Filamropo: Carlo Maria Tallarigo Il Misantropo: Vittorio Imbtiani Jacopo Moeniacocli: Vittorio lmbciani Quattr 'Asterischi: Vittorio lmbriani

Un halianissimo: Vittorio Imbriani Ugo di Napoli: Vittorio lmbriani Un Monarchico: Vittorio Imbriani

SIGLARIO A : Arte B: Biografia Bi: Biblioteconomia BUN: Biblioteca Universitaria - Napoli C: Commemorazione D: Diritto E. Emeroteca Tucci · Napoli F: Folclore Fi : Filosofia G: Giornalismo L: Letteratura

-

Li: Unguistica M : Musica N: Narrativa P : Poesia P d: Pedagogia Pl: Polemica R: Recensione S: Storia T: Teatro V: Varie

4 17

-

ANTONIO VILLA:'•II

*

FRANCESCO FIORENTINO MAESTRO EUROPEO

Ripensare oggi la figura e il pensiero di Francesco Fiorentino nel Centenario della morte offre la rara occasione di poter esplorare, in una sola, più cose : ricostruire l'immagine vivente di un maestro di pensiero e di vita nel senso più pieno; intercettare, attraverso di lui, una crucialis· sima temperie storica fatta di idee personaggi passioni, sviluppatisi a cavallo delle due metà dell'Ottocento i taliano; ripercorrere una delle primissime « invenzioni interpretative » di quel grande sentiero storico· filosofico che trova nel Rinascimento i taliano, liberatosi dai « ceppi )> della Scolastica aristotelica, uno straordinario foyer del pensiero europeo, che genera tutta la grande cultura dei secoli successivi, nel cui circuito quella italiana, svecchiatasi dai provincialismi in cui si era rinchiusa, può quindi rientrare con pieno orgoglio come grande progenitrice e conti· nuatrice, sulle orme dei Greci. Francesco Fiorentino, calabrese, meridionale, vive in quel preciso cinquantennio dell'Ottocento italiano che - collocato a metà fra le due metà del secolo - va dai grandi ardori romantici e risorgimentali ai laboriosi cimenti dello Stato nazionale da edificare nel quotidiano. Egli appare perciò, già solo per questo, vivo testimone ed attore di un 'epoca assai importante per noi, anche per ciò che significa e ha significato l'apporto della cultura meridionale al grande respiro della nazione. Chi cercasse, però, in Francesco Fiorentino la grande originalità o la potenza logica o il laborioso articolato dialettico rimarrebbe certamente deluso; anzi, spingendosi su questa strada fuorviante, potrebbe rica· varne addirittura un senso di povertà di esiti e l'impressione di una tal quale !abilità di percorso riflessivo, sottoposto all'azione magnetica or di questo or di quel pensatore. *

Università di Napoli.

- 419 -

ANTONIO VILLANI

Altri infatti (si pensi, ad esempio, a Giovanni Gentile) ne ha già puntualmente rilevato le oscillazioni di pensiero e fin le grame incertez­ ze nel seguire Kant. Basti pensare, in proposito, come sia consolidata l 'interpretazione (ma andrebbe- forse ripensata) che vede succedersi nel pensiero di Fiorentino tre fasi fondamentali: quella cattolica e , poi , giobertiana, di cui Galluppi, Cousin e Gioberti sono i numi tutelari ; quella idealistica in cui Bertrando Spaventa è il punto di riferimento filosofico ed etico; quella positivistica o, come preferisce meglio dire Gentile, neo-kantiana, in cui l'emergere forte del positivismo si sposa attraverso confronti con Spencer, Ardigò, Comte, Villari, De Meis, fino a Vincenzo De Grazia - con un kantismo dell'a priori rivisitato, per certi versi, in chiave spenceriana ( l 'a priori per l 'individuo è a posteriori per l a specie) e, per altri versi, in una chiave che, in nome del divenire dell'immanenza, scioglie lo stesso a priori nella fluidità della storia. Ma dalla Lettera filosofica ( 1 858) su Tommaso Rossi, contempora­ neo del Vico, alla militanza garibaldina in Calabria alle traduzioni di Agostino, Anselmo e Bonaventura al Panteismo di Giordano Bruno

( 1 8 6 1 ) al Saggio rulla filosofia greca ( 1 864) alle Lettere sopra la Scienza nuova ( 1 865) al Pomponazzi ( 1 868) al Telerio ( 1 872- 1 874) alla Filoso­ fia contemporanea in Italia ( 1 876) alla militanza come parlamentare italiano alle due Lettere rullo Stato moderno a Silvio Spaventa ( 1 876) al Manuale di Storia della Filosofia ( 1 879- 1 88 1 ) alle opere uscite postume (Il Risorgimento filosofico nel Quattrocento, del 1 885, e Studi e ritratti della Rinascenz.a, del 1 9 1 1 ) corre in realtà in Fiorentino un medesimo filo rosso, che illumina la sua figura di uomo, studioso, filosofo, lette­ rato, stilista, critico, politico, educatore, cittadino, combattente . Quale dunque lo spazio proprio, il proprium, di Francesco Fiorenti­ no ? In lui c'è, sempre, da un lato, il tentativo di attingere, fra le opposte correnti filosofiche, un'unità più profonda e, dall'altro, una

medesima idea e passione: reimmettere la cultura napoletana e meridio­ nale nel gran circuito nazionale (e vedi l'attenzione acuta da lui dedica­ ta, non a caso, all'Accademia dei Pontaniani nel Quattrocento) e reinse­ rire la stessa tradizione culturale nazionale - sulla scia di Bertrando Spaventa e di Francesco De Sanctis e a differenza di chi (Gioberti, Galluppi, Rosmini), pur meritevole, aveva avuto il torto di « dimenti­ carla » - nella grande circolazione del pensiero europeo moderno.

E, mentre nel secondo Ottocento Carducci rivolge la sua attenzione poetica al Medioevo come nostra radice nazionale e mentre Verga e

- 420 -

FRANCESCO FIORENTINO MAESTRO EUROPEO

Capuana scoprono la dimensione regionale della vita italiana, Fiorentino cerca le radici, d'I talia e d 'Europa, nel Rinascimento italiano, che diventa cosl cul1a europea - e l 'Italia di allora nuova Alessandria -, primavera filosofica della grande cultura moderna, che poi « dimentiche­ rà» le proprie radici. E Bruno precorre Spinoza, e Campanella Cartesio, e Vico Kant, e il grande umanesimo rinascimentale quella laicità moderna che poi si porrà «contro l'assolutismo dei principi e la rediviva teocra­ zia dei Papi », e gli araldi di questo pensiero ne sono, in realtà, anche gli eroi (Bruno, Campanella), perché testimoniano fino col sangue le proprie i dee nuove. Ma nel Rinascimento sono affluite le grandi tradizioni filosofiche antiche, la filosofia greca: come Dante attraverso Tommaso aveva attinto ad Aristotele, Petrarca, più moderno, attraverso Agostino ha rimesso in onore Platone. h Petrarca, per Fiorentino, il padre dell 'uma­ nesimo europeo. La Scolastica aristotelica viene cosl frantumata dal platonismo, che urge come istanza nuova del soggetto moderno. E nel Quattrocento si hanno il nuovo incontro con i Greci, il grande dibattito teologico del Concilio di Firenze, e l'Umanesimo fiorente del Ficino e i Pontaniani di Napoli c Lorenzo V alla e Cusano ed Enea Silvio Piccolomini e Gemisto e Leonardo e Filelfo, ecc. Fiorentino non pone dunque questa sua visione del Quattrocento come arbitrario mito fantastico, come difensiva giacula­ toria delio spirito italico, ma la giustifica a fondo, e lo fa con una ricchis­ sima e imponente esplorazione erudita. In realtà, pur ne1le mobili contraddizioni in cui oscilla, il pensiero di Fiorentino si sviluppa verso uomini e idee della storia, per dir cosl, come nel lavoro di un geniale archeologo restauratore, che sotto un affresco riesce a far emergere l 'altro più be1lo ed antico, sicché l'apparente catena di contraddizioni si rivela i n realtà scavo progressivo di un medesimo filone: e cosl sotto la teologia vedi affiorare la filosofia moderna, e sotto la religiosità lo spirito laico, e sotto il cristianesimo ascetico del Medioevo quello nuovissimo scavato dal Valla, eudemonologico e vivo, educante alia laicità e alla vita; e sotto la crosta aristotelica vedi riaffiora­ re Platone, ma rivissuto nel segno dell'immanenza dello spirito; e sotto l'emergenza idealistica dell'idea il necessario riagglutinarsi dei fatti contrapposti dai positivisti; e sotto il dilagare del positivismo la nuova incontenibile istanza dell 'Assoluto immanente e storico: e Ia ciclicità degli strati ritorna in una progressione che ha del vichiano, interpretativa sl ma anche creativa.

- 42 1 -

ANTONIO VILLANI

Ecco quindi il vivacissimo intreccio dei temi fiorentinian i : senso cristiano ma rivissuto in laicità; senso del pensiero creatore e della libertà come rifiuto . Il Rinascimento era stato i n I talia il concreto verificarsi di questo supremo principio storico : splendida civiltà ancora in apparenza, ma intimo deperimento delle « idee che costituiscono la vita di un popolo )> . I tempi della sto­ ria europea erano stati diversi, ma l ' accordo tra vita morale e vita so­ ciale, civile era ben maggiore nell'Europa più arretrata che conquistava l ' I talia rinascimentale colta e raffinata rispetto al paese conquistato. La presenza di una logica unitaria della storia italiana non poteva es­ sere affermata con maggiore coerenza; e in questa unità complessiva del discorso storico delineata a partire dalla letteratura è certamente uno dei maggiori motivi di forza interpretativa e di validità critica del­ la Storia.

È stato giustamente rilevato che, da un punto di vista storico ge­ nerale « l'interpretazione desactisiana si regge su di un principio diret­ tivo d'ispirazione laica, naturalistica e positiva, e specialmente anti-me­ dievalistica, che si ritrova i n altri storici italiani dell'Ottocento, ma ebbe la sua formulazione e la sua applicazione dottrinaria più tipica nei gran· di storici francesi della Restaurazione )> ; e che « questo principio è il superamento del Medioevo nella graduale ' riabilitazione della natura ' verso una nuova sintesi di ' ideale ' e di ' reale ' sotto l'insegna del pen­ siero moderno )> . I l luogo che Dante occupa nella ricostruzione storica - 43 1 -

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desanctisiana è dovuto al significato singolare che gli viene assegnato di sintesi della cultura e della civiltà medievale e, insieme, di inizio di quelle moderne, ed è sintomatico che su questa modernità di Dante il De Sanctis insista come su un punto di grande rilievo. L'osservazione che abbiamo riferito è importante. Essa richiama, innanzitutto, l 'altra grande componente europea della cultura desancti­ siana (come di tutta quella italiana del suo tempo) , ossia la cultura fran­ cese del periodo della Restaurazione, accanto a quella idealistico-germa­ nica, e soprattutto hegeliana, troppo spesso privilegiata in modo per­ fino esclusivo. Vale la pena di ricordare le notazioni autobiografiche del De Sanctis sul suo interessamento ai dibattiti parlamentari e politici della monar­ chia orleanista in Francia, seguiti attraverso la lettura dei giornali fran­ cesi, in cui si sprofondava tanto da non vedere o udire altro, con « una passione e una emozione quasi (fosse) un francese e (si trovasse), lì, e (prendesse) parte per l 'uno o per l 'altro » . Così pure vale la pena ài ricordare che francese fu l a mediazione linguistica, attraverso la quale egli conobbe la cultura storica, letteraria e filosofica della Germania durante il periodo della sua formazione, quando non conosceva il te­ desco. E, al di là del generale pensiero storico-politico, che certamente dal rapporto con quella cultura francese uscì fortemente influenzato, specifica fu pure l 'influenza analoga che sul De Sanctis s i esercitò in fatto di teoria estetica o critica letteraria . È stato, del resto, osservato, e a ragione, che la stessa lettura e riflessione sul Cousin, ossia su un pensiero eclettico a cui il De Sacntis riserbò poi un giudizio negativo, intanto « gli spianarono la strada per farlo giungere a quell'Hegel , la cui estetica fornisce i principi fondamentali » alle posizioni desancti­ stane dalla metà degli anni '40 in poi . La questione andrebbe, anzi , sviluppata fino a riconoscere nell'elaborazione storiografica francese dell'epoca romantica la matrice sostanziale dell'intelaiatura del pen­ siero storico desanctisiano. Il che è vero per il Medioevo, ed è vero anche per il Rinascimento.

È notevole che, delle due ipostasi storiche che furono tra le più classiche della cultura romantica, nel corso del pensiero desanctisiano l 'una - il Medioevo - mantenesse la sua complessiva saldezza e unita­ rietà, mentre l 'altra - il Rinascimento - aveva una sorte più complessa. Il Cantimori mise bene in rilievo che, per quanto « il De Sanctis ado­ peri a più riprese i termini ' Risorgimento ', ' Rinascimento ' , s i può dire che la questione o il problema o il concetto del Rinascimento non - 4 32 -

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(lo) interessa [ . . . ] , è fuori del suo orizzonte mentale così ampio e pro­ fondo ». In realtà - proseguiva Cantimori « il De Sanctis non ebbe un concetto del Rinascimento, e [ . . . ], sebbene usasse a volte il termine e l 'idea (' grande epoca ' ) del periodizzamento in quel senso, preferì at­ tenersi all ' idea del ' secolo ' e del ' momento ' di passaggio fra un ' se· colo ' e l'altro e dei grandi uomini, ' sintesi del secolo ' )) . Non è, tut· tavia, completamente esatto che il concetto di Rinascimento sia in De Sanctis del tutto risolto in quello di Modernità, età moderna, di cui « Rinascimento )>, « Quattrocento » e « Cinquecento » , « Risorgimen· to )>, « secolo del Machiavelli» etc . - ossia, tutte le espressioni con cui egli parafrasa significativamente e disarticola quella, anche cronologi· camente, più comprensiva di Rinascimento - « rappresentano per lui il preludio, l'aurora appena baluginante, secondo lo schema hegeliano, o l 'alba (quanti giornali rivoluzionari e risorgimentali hanno avuto per titolo questi termini nell'Ottocento e oltre ! ) con le prime luci decise » . Intanto, comunque articolata nell'espressione e nel riferimento crono· logico, una concezione del Rinascimento in De Sanctis resiste. Resiste, anzi, tanto da essere la chiave di volta che egli dà della storia nazionale italiana. È, infatti, sul divorzio tra vita morale e cui· tura da lui riscontrato nel Rinascimento che De Sanctis fonda il mo· mento discriminante del dramma italiano. Il blocco compatto dell'in­ tuizione, delle concezioni, della fede, della moralità proprie del Me· dicevo si dissolve in Italia in un individualismo disgregante, nel culto della forma e dell'arte prese per se stesse, in un edonismo da carpe diem, nell'indifferenza alla vita politica e civile, in una cultura del de­ coro e della norma, nel conformismo religioso e morale e in altre simili o equivalenti direzioni. Il processo di dissoluzione è lungo, ma fatale. Per due secoli esso è coperto dai fulgori di una civilità brillante, al­ l'avanguardia dell'Europa; e fa nascere il problema del come mai « l'Eu­ ropa che si formava conquistò l ' I talia che contava parecchi secoli di civiltà » , il problema della « singolare impotenza italica in mezzo a tu t te le apparenze della grandezza e della potenza », il problema della « differenza capitale tra l'I talia e le nazioni che dovevano sceglierla a campo delle loro lotte >>, il problema del crollo della nazione più colta e civile d'Europa « al primo urto (dei) barbari » . Alla fine, pe­ rò, il risultato è inevitabile: la « corruttela italiana )> porta una Italia, alla quale « non mancava l'ingegno, mancava la tempra )>, alla retro­ guardia, moralmente e civilmente, dell'Europa moderna. Indubbia, quindi, la permanenza di una concezione, e anche di

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particolare spessore, del Rinascimento. Non è, però, soltanto questo ad impedire di liquidare troppo rapidamente il pensiero desanctisiano al riguardo. Proprio nella Storia prende fortemente corpo l 'articolazione del Rinascimento in due periodi distinti, nei due secoli, cioè del Quat­ trocento e del Cinquecento, nei quali « si realizza questa grand'epoca , detta il Risorgimento, che dal Boccaccio si stende sino alla seconda me­ tà del secolo decimosesto ». Nel senso desanctisiano questo periodo è nel suo complesso il secondo secolo della letteratura italiana . Nelle conferenze su Machiavelli egli specificava di chiamare « secolo non lo spazio convenzionale e ristretto di cent 'anni, ma una delle grandi età dell'umanità: apparisce il secolo quando apparisce un altro mondo. Quando entra a far parte dell'umanità una nuova natura , allora comincia­ no le grandi epoche, le quali non sono artificialmente create, ma sono prodotte da una lenta elaborazione dell'umanità, che si fonda sul passa­ to » . Questi secoli-epoche non sono, propriamente parlando, quelle prima­ vere storiche, quelle primavere della civiltà, a cui si sarebbe richiamato anche l'Omodeo. Essi comprendono in sé il momento creativo, l 'esplo­ sione creativa di ogni Genien-periode, ma abbracciano anche il periodo di incubazione della fioritura e quello successivo del dissolversi delle idee e dei principii. Sono, dunque, una periodizzazione globale che è tutt'altro da quella « impostazione classica per secoli », che è sembrato al Cantimori di dover richiamare al riguardo. L'applicazione che ne fa il De Sanctis - sulla scia di impostazioni congeniali allo storicismo ro­ mantico e destinate a trovare prosecuzione in quello positivistico - è alla storia letteraria, ma, come sempre, la letteratura è poi per lui il canovaccio, il terreno di riscontro coessenziale di tutto il processo sto­ rico-civile nella integralità dei suo svolgimenti. Ed è da questo punto di vista più organico e comprensivo, meritevole di per se stesso di par­ ticolare attenzione ai fini di una reale intelligenza della sua metodolo­ gia storica, che egli, all'interno del secolo-epoca costituito dal Rinasci­ mento, vede i due secoli cronologici del Quattrocento e del Cinquecento. Tra l 'uno e l 'altro De Sanctis istituisce egli stesso un rapporto di conti­ nuità e di derivazione: il Cinquecento non fa che raccogliere e portare a realizzazione l'opera del secolo precedente, sicché « in cinquant'anni di lotta l'Italia sviluppò tutte le sue forze e attinse quell 'ideale che il Quattrocento le aveva lasciato in eredità )>. Tuttavia, una distinzione fra l 'uno e l 'altro viene fatta, ed è sottile, ma determinante nel com­ plesso della prospettiva desanctisiana relativa alla storia italiana. Nel Quattrocento è già compiuta la separazione tra letteratura e vita mo-

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rale, ma è già compiuta anche la separazione tra borghesia e popolo, morale pubblica e morale privata , potere e società, vita sociale e vita religiosa, pensiero politico ufficiale e mentalità corrente, arte e pen· siero . C'è già il trionfo del mondo borghese, ma c'è già anche il suo adeguarsi agli ideali cavallereschi del mondo cavalleresco che la borghe­ sia aveva sovvertito. Il Quattrocento è, però, ancora un secolo pieno di impulsi. Esso avvia un processo creativo, « che non poté essere im· pedito o trattenuto dalle più grandi catastrofi >>. È vero che l'Italia venne già « trovata da Carlo VIII nel pieno vigore delle sue forze in· tellettive e nel fiore della cultura , ma vuota l 'anima e fiacca la tempra » . Nel complesso, però, i l Quattrocento è ancora un'epoca aperta ; un'epo­ ca in cui il destino del paese non è ancora scritto sotto il segno della fa­ talità, come sarà evidente nel secolo successivo, e non per ragioni sol­ tanto cronologiche, ossia solo per il lasso di tempo richiesto da un pro· cesso complesso e difficile, bensì proprio perché si tratta di una fase « di gestazione e elaborazione » . Il processo di irrigidimento della pla­ sticità e della perdurante creatività di questo slancio innovativo e pro­ gressivo è ciò che, invece, caratterizza il Cinquecento, non meno della sua opera di realizzazione degli ideali culturali posti dal secolo prece· dente. Ed è, infatti, in relazione al Cinquecento che il giudizio negati­ vo del De Sanctis sul Rinascimento si sviluppa in tutte le sue implica­ zioni . Nell'I talia del Quattrocento c'è ancora un magistero reale ri· spetto all 'Europa; in quella del Cinquecento non si può che constatare la « separazione da tutt'i grandi interessi morali, politici e sociali che allora commuovevano e ringiovanivano molta parte d 'Europa )> . La Con­ troriforma segna il momento discriminante di questo processo negativo. Il Quattrocento aveva istituito un « compromesso tacito )> tra filosofia e teologia, così come tra classicismo e cristianesimo. Grazie a questo compromesso, « le idee più ardite si facevano largo )> e « il mondo, be­ ne o male, andava innanzi )>. Perciò, se il moto rinascimentale - affer­ ma De Sanctis, lanciandosi in una interessante e significativa ipotesi storica : un genere di riflessione in lui inconsueto e non congeniale « avesse potuto svilupparsi liberamente, non è dubbio che avrebbe tro· vato il suo limite nelle applicazioni politiche e sociali )>. Esso si sarebbe perciò fermato « in quelle idee medie, che meno sono lontane dalla realtà, e che si trovano delineate già nel Machiavelli, il più pratico e positivo di quegli uomini nuovi )>. In tal modo « avremmo forse avuto la patria del Machiavelli, una religione purgata di quella parte grotte-

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sca e assurda, che la rende spregevole agli uomini colti, e una educa­ zione virile dell'animo e del corpo ». Si rendeva conto qui, il De Sanctis, della sottile contraddizione che si insinuava nel suo schema di interpretazione del Rinascimento a seguito di un'ipotesi così specifica? La conseguenzialità di tale ipotesi, rispetto alla distinzione che di fatto egli opera tra Quattrocento e Cin­ quecento e rispetto al carattere più dinamico e aperto che egli attri­ buisce al Quattrocento, è fuori discussione. Tuttavia, il giuclizio di fon­ do era pur sempre che l 'avvio stesso del Rinascimento consisteva nel­ la rottura dell'integrità etica, civile, culturale del mondo medievale e che questa rottura costituiva di per sé un fatto determinantemente ne­ gativo. E, di conseguenza, l'ipotesi di un'Italia, che, non controrifor­ mata, attuasse una riforma morale, politica e religiosa in grado di dare un esito positivo alle grandi premesse apertesi nel Quattrocento e svi­ luppatesi poi solo nella vita letteraria e culturale, con la parte più alta della vita intellettuale dell'Italia del Cinquecento riassunta nei nomi dell'Ariosto e del Machiavelli, era una ipotesi che col giudizio di fondo negativo sul Rinascimento confliggeva tanto più in quanto si trattava di un giudizio di fondo già fatto valere nello studio delle premesse del Rinascimento, in Petrarca e in Boccaccio. È vero che la possibile rifor­ ma così adombrata dal De Sanctis viene da lui prospettata come un quid medium tra il negativo esito controriformistico e la linea più avan­ zata ravvisabile nelle premesse quattrocentesche; ma si tratta pur sem­ pre di un'Italia senza confronti migliore e preferibile rispetto a quella che, nella medesima pagina del De Sanctis, è da lui dipinta come l'I ta­ lia della Controriforma : « scredente, sensuale, indifferente, rettorica nel­ le forme, insipida nel fondo, con letteratura conforme; religione, pa­ tria, virtù, educazione, generosità . . . temi poetici e oratorii frequentatis­ simi, con esagerazioni spinte all'ultimo eroismo, perché in nessuna re­ lazione con la serietà e la pratica della vita » . M a si tratta poi, veramente di pura e semplice ipotesi? Bisogna dire di no, dal momento che il giudizio prosegue con l 'affermazione che « né l 'Inquisizione co' suoi terrori, né poi i Gesuiti co' loro vezzi po­ terono arrestare del tutto quel movimento intellettuale, che avea la sua base nel naturale sviluppo della vita italiana )>, ossia nelle premesse quattrocentesche e nelle sue conclusioni del secolo seguente, sicché In­ quisizione e Gesuiti « poterono bene ritardarlo tanto e impedirlo nel suo cammino che ci volle più di un secolo perché acquistasse importanza sociale )>. Da allora in poi, ossia dalla metà del Cinquecento, « se vo-

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gliamo trovare i vestigi di una nuova Italia, che si vada lentamente elaborando, dobbiamo cercarli neil'opposizione >> al regime politico , do­ minato dalla Spagna, e al sistema etico e religioso, imposto dalla Chiesa della Controriforma. « La storia di questa opposizione è la storia della vita nuova )), aggiunge De Sanctis. Essa « non è stata ancora fatta in modo degno » , ma « n sono i nostri padri, là batteva il core d'Italia, là stavano i germi della vita nuova )). La malattia italiana era « il vuo­ to della coscienza, e la storia di questa opposizione italiana non è altro se non la storia della lenta ricostituzione della coscienza nazionale )) . Essa rispondeva talmente a l filo conduttore della storia italiana « che dove trovi movimento intellettuale, ivi trovi opposizione più o meno pronunziata, e spesso involontaria e quasi senza saputa dello scritto­ re >> . La coscienza si ritrova in questa minoranza di « uomini nuovi di Bacone, in questi primi santi del mondo moderno, che portavano nel loro seno una nuova Italia e una nuova letteratura » . E si stabilisce cosl, nella sostanza, un legame, un rapporto diretto, per cui anche il rinnovamento italiano dei secoli XVI II e XIX è in effetti, da un lato, una ripresa e, dall'altro, una prosecuzione della linea italiana più po­ sitiva, di cui l'opposizione alla Spagna e alla Controriforma era stata espressione. I Manzoni , i G rossi, i Pellico >, sicché « il secolo riverl nei tre grandi italiani i suoi padri , il suo presentimento ». E cosl De Sanctis ricorda che con Machiavelli, Bruno, Campaneila, Vico era già nato in Italia « un concetto scienti­ fico della storia » . Nella prosa del Foscolo « l 'Italia . . . ripiglia le sue tradizioni e si ricongiunge a Vico e Muratori » . L a prospettiva che cosl viene delineata dal D e Sanctis non è, insom­ ma, diversa da quella che, con ulteriore e forte approfondimento, il Croce traccerà nel suo saggio su La crisi italiana del Cinquecento e il legame del Rinascimento col Risorgimento, nonché nella Storia dell'età barocca in Italia. Ed è una prospettiva in cui il grande rilievo nazionale conferito al Rinascimento è fin troppo evidente ed esclude non solo la dissoluzione del concetto che ne ebbe il De Sanctis in quello più gene-

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rale di civiltà moderna, ma anche la sua riduzione unidimensionale al consumarsi della crisi morale dell'I talia rinascimentale. Nel1e sue concrete articolazioni il pensiero storico del De Sanctis offre, anzi, la possibilità di intendere più a fondo i riferimenti e la struttura del giudizio da lui eiaborato sul movimento e sulla direzione della storia d'Italia nel primo e nel secondo « secolo )> della sua lette­ ratura, ossia dal secolo XIII al XVI . Si tratta di riferimenti e di una struttura che non sono facilmente riducibili ad una impostazione pu­ ramente idealistica e moraleggiante, come quella che troppo spesso si attribuisce allo stesso Dc Sanctis. II fondamento idealistico è innegabile in lui. Lo esprime forse con sintesi più felice di altre la frase lapidaria del capitolo machiavelliano della Storia: « la storia del genere umano non è che la storia dello spi­ rito o del pensiero )>; idea, alla quale egli vedeva legata la genesi del­ la filosofia della storia, dal momento che la storia dello spirito è an­ che la storia del suo passaggio da una nazione all'altra, che cosl « con­ tinua secondo le sue leggi organiche la storia del mondo )) . E giusta­ mente il Cantimori notava, al riguardo, che « questa linea di filosofia della storia è inserita dal De Sanctis nella sua potente esposizione sin­ tetica del pensiero del Machiavelli, quasi come un contrappunto, o co­ me una specie di tarsìa, che faccia meglio risaltare c spiccare la linea principale )>. E, tra l 'altro, è anche questa linea a mettere in evidenza il concentrarsi della visione storica desanctisiana nella definizione di grandi blocchi storici epocali, come il Medioevo e come il Rinascimento, che, dunque, non possono essere considerati dissolti in lui dal più agile e articolato movimento del suo pensiero, quando egli scende alla determinazione delle singole fasi o aspetti con cui i grandi blocchi sto­ rici vengono qui presentati . Sussistono, anzi, fino al punto che nessun protagonista della vita storica da lui ricostruita è presentato come iso­ lato e a sé rispetto al contesto generale del processo; tutti (da Dante al Machiavelli, dal Boccaccio al Manzoni, dal Petrarca al Metastasio) sono momenti del corso generale e come tali sono analizzati e valutati. Altra questione è quella del moralismo , più ampia nei riguardi del­ l'intera personalità ed opera del De Sanctis. Sul piano della storiogra­ fia da lui costruita anch'essa si lega , però , strettamente al già richia­ mato fondamento idealistico della sua metodologia. Da questo pu nto di vista l 'unificazione del giudizio morale con quello storico e con quel­ Io estetico era una conseguenza inevitabile del canone generale; ed è innanzi tutto da questa convergenza di criteri che la ricostruzione e l'a-

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nalisi desanctisiane derivano la ragione intima della loro forza di sug­ gestione e della loro capacità di penetrare e di illuminare con unità e rigore logico una così folta serie di oggetti storici. Connotazione sto­ rica , dunque, e non moralistica, quella che caratterizza nelle pagine dc­ sanctisiane il giudizio d 'insieme. Certo, essa può esprimersi, a seconda - si direbbe - dell'ispirazione del momento, con temi di più alto o di più basso livello . Perfino del Machiavelli, nell'esaltarne la visione anticipatrice di un destino nazionale dell'Italia, si dice che egli ne ebbe solo l 'idea, « e non sappiamo che abbia fatto altro di serio, per giun­ gere alla sua attuazione, che di scrivere un magnifico capitolo ... che testimonia più le aspirazioni di un nobile cuore che la calma persua­ sione di un uomo politico )>. Però, è poi la stessa unità storico-morale quella che non solo dà forza alla storiagrafia del Dc Sanctis, ma - an­ cor più - giustifica in lui la forte espressione del legame tra passato c presente, tra politica c storia. Di essa il caso giustamente più famoso (c tanto singolare in un libro originariamente scolastico) resta certa­ mente il passaggio della Storia, proprio nel capitolo sul Machiavclli, in cui s i dà il commosso annuncio dell' ; ed essa « era il c medio

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ceto ', avvocati, medici, architetti, letterati, artisti , scienziati , professori, prevalenti già di cul tura, che non si contentavano più di rappresentanze nominali, e volevano i1 loro posto ne11a società >> . Si tratta di giudizi, certamente, né peregrini, né originali e che, però, servono a darci il senso del realismo effettivamente sottostante al pensiero storico del De Sanctis nel1a sua articolazione eminentemen­ te idealistico-culturale. Né è meno sintomatico che, anche in questa oc­ casione, il metro di giudizio rimanga quel1o de11e capacità di una clas­ se di andare oltre i propri 1imiti corporativi : la nuova borghesia non si postulava come classe particolare e non reclamava privileg i , ma an­ zi a cui si riporta la formazione di tutto il suo pensiero. Ma l'altezza storiogra­ fica della Storia è segnata dalla forza concettuale e rappresentativa con la quale essa va oltre le sue fonti e costruisce un ritratto storico del­ l 'Italia originalmente e potentemente centrato sul suo impianto etico­ culturale e, insieme, aperto, come si è detto, alla considerazione degli elementi sociali portatori delle istanze e dei modi di essere etici e cul­ turali che formano l'oggetto specifico della ricostruzione. -

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Questa proiezione desanctisiana sulla storiografia posteriore è ben lontana dall'esaurirsi con la Storia. Waltcr Maturi non trovava giusto che