Le società dell'Italia primitiva. Lo studio delle necropoli e la nascita delle aristocrazie
 8843024655, 9788843024650

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Gilda Bartoloni

Le società dell’Italia primitiva Lo studio delle necropoli e la nascita delle aristocrazie

Carocci editore

a edizione, gennaio  © copyright  by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Omnibook, Bari Finito di stampare nel gennaio  dalle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino ISBN

---

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art.  della legge  aprile , n. ) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Premessa

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zyxwvuts zyxwvutsr Introduzione

I.

Dalla vita alla morte La teoria socio-antropologica di matrice francese e la NEZL’ Archaeology Archeologia post-processuale 1.3. 1.4. Caratteristiche dei contesti funerari nella protostoria italiana Le necropoli analizzate I . j. 1.6, Questioni cronologiche L‘emergere delle aristocrazie nell’ltalia centrale tir1.7. renica Riferimenti bihliografici

1.1.

1.2.

16 18

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2.

2.1.

20

72

27

-0

35

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2.2.

2.3. 2.4. 2.5.

2.6. 2.7.

2.8.

I riti funerari e la tomba

43

zyxwvuts Incinerazione e inumazione: il caso di Populonia Inuniazioni e incinerazioni: il caso di Veio 11 culto “eroico” Le tombe a camera villanoviane Le prime totnbe a camera inonumentali e i tumuli La cerimonia funebre I1 culto degli anteriati Morte peregrina e cenotafi Riferimenti bibliografici 7

3.

zyxwvutsrqpon z z zyxwvuts Necropoli e società

87

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Stratigraiia delle necropoli e indivirluazione di gruppi Dalla famiglia allargata alla faniigiia nucleare: gruppi e circoli 7iinibe bisome e plurinie Dinamiche di genere e problemi demografici Tombe infantili Morti in abitato Riferimenti bibliografici

3.1.

3.2.

La donna in Etruria e nel Lazio

4.

87

93 97

101

102

105

108

I1 j

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4.1. Filatrici e tessitrici Padrone di casa Spose e madri 4.3. Beni da esibire 4.4. Le donne al potere 4.5. 4.6. Le larnentatrici Riferimenti bibliografici 4.2.

5

Carri, cavalli e armature

'59

Le armi da offesa: lance e spade Le armi difensive Carri e calessi I duelli Le scorte armate e il trionfo Guerrieri e/o sacerdoti Guerrieri o cacciatori? Aristocratici e carpentieri Riferimenti bibliografici

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6.

Il vino e le aristocrazie deil'Italia cent& tirrenica

195

6.1. 6.2. 6.3.

Le importazioni di coppe eiiboiche o cicladiche L'introduzione della viticoltura Bere seduti: la tomba 871 di Veio-Casa1 dei Fosso

196 199

8

201

6.4.

7.

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LI banchetto sdraiato: la tomba KT di Caste1 di Decima

203

Kiferimenti bibliografici

209

Conclusioni

217

Indice analitico

221

9

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Premessa Il corpo di ogni uomo insegue la morte irresistibile, ma lascia dietro di sé una parvenza di vita che vive ancora: infatti questa sola ci viene dagli dei. Pindaro, in Plutarco, Romolo, , 

Il contenuto di questo lavoro verte sull’emergere dell’aristocrazia presso le comunità dell’Italia centrale tirrenica nel corso dell’VIII secolo a.C., cioè sul momento finale della prima età del ferro, rappresentato in Etruria, in particolare, dalle ultime manifestazioni della cultura villanoviana. È il momento di passaggio dalla protostoria alla storia. Il libro prende spunto dalla richiesta di Gianluca Mori di fare una nuova edizione aggiornata del volume La cultura villanoviana. All’inizio della storia etrusca: considerando che gli studi degli ultimi anni miei e di altri si sono concentrati sulla parte finale dell’argomento trattato, ho preferito soffermarmi su questo periodo e considerarlo separatamente. Il quadro ricostruito si è basato quasi esclusivamente sull’analisi dei dati funerari. Le onoranze funebri possono rappresentare l’occasione nella quale la comunità sottolinea, nel modo più completo e significativo, la somma delle identità sociali che costituiscono la posizione di ciascuno dei suoi membri. Nei contesti funerari cioè sono rappresentati simbolicamente i ruoli raggiunti nella vita dai diversi individui, indicati mediante attributi, che vengono riconosciuti degni di essere rappresentati dopo la morte. Questi indicatori sembrano variare da contesto a contesto e da un periodo all’altro anche nella stessa necropoli o ambito culturale. Si è sentita la necessità di riproporre lo studio delle necropoli in una prospettiva maggiormente legata a metodi storici e archeologici, rispetto agli enunciati talvolta troppo teorici proposti dalle recenti tendenze della “archeologia della morte” di matrice anglosassone, pur recependo ampiamente la grande linea innovativa di questa corrente di studi. I dati della cultura materiale vanno letti come i testi storici. Questo libro nasce anche dalla necessità di raccogliere una serie di scritti da me elaborati negli ultimi anni, alcuni dei quali in periodici o pubblicazioni non facilmente reperibili nelle biblioteche universitarie, per facilitare lo studio degli allievi del mio insegnamento di Etruscologia e Archeologia italica, ai quali il lavoro è dedicato. Un’approfondita e 

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il più possibile aggiornata rassegna bibliografica segue ogni capitolo per chi vuol saperne di più. All’inizio degli anni settanta () ho usufruito di una borsa di studio offerta dalla M. A. Cotton Foundation, per affrontare questo stesso argomento su Veio, di cui approfondii il problema dei diversi riti funerari. Con gratitudine voglio ricordare in questa sede l’indimenticabile Molly Cotton, conosciuta e frequentata al “Camerone” della British School agli inizi del mio lavoro. Desidero inoltre ringraziare, per l’aiuto nella stesura finale di queste pagine e per la collaborazione alla documentazione grafica, Sergio Barberini, Alessandra Berardinetti, Piera Bocci, Mariassunta Cuozzo e Alessandra Piergrossi.



 Introduzione

. Dalla vita alla morte Dalla fine del II millennio a.C. (tarda età del bronzo) in tutta la penisola italiana è documentato l’uso di deporre nelle tombe insieme al morto oggetti di ornamento e vasellame ceramico o in metallo: infatti la caratteristica più evidente nelle sepolture delle singole comunità è il più o meno ricco corredo funerario che accompagna le diverse deposizioni, spesso un vero tesoro. Alcuni di questi oggetti erano stati utilizzati nella cerimonia funebre, gli altri dovevano indicare il prestigio e il ruolo del defunto. Può essere utile per illustrare come potevano essere accumulati questi beni nella tomba il racconto della sepoltura di Gilgamesh re di Uruk, «il re senza pari, colui che non ebbe uguali tra gli uomini»: «Per Gilgame&, figlio di Ninsun, essi pesarono le loro offerte: la sua cara moglie, suo figlio, la sua concubina, i suoi musicisti, il suo giullare e tutta la gente della sua casa; i suoi servi, i suoi attendenti, tutti quelli che vivevano nel palazzo pesarono le loro offerte» (Sandars, , p. ). La deposizione del corredo doveva essere l’ultimo atto di una complessa cerimonia funebre, articolata in tre momenti principali: l’esibizione del corpo, l’accompagnamento funebre (FIG. .) e la sepoltura. Tacito racconta che a Roma il funerale di un personaggio illustre era celebrato con un fasto straordinario, non dissimile da quello destinato a un generale vittorioso nel giorno del suo trionfo. Il mesto corteo era aperto da strumentisti (per lo più suonatori di flauto) e da cantanti (prefiche prezzolate con le chiome scomposte). Nel foro si teneva un’orazione funebre e infine ci si dirigeva verso il luogo di sepoltura, all’esterno della città, dove il cadavere veniva cremato. Talvolta venivano organizzati dei giochi. Indubbiamente a Roma le usanze funebri arcaiche mantennero a lungo valenza e significato presso le famiglie patrizie. 

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. Disegno di un funerale romano del  di H. C. Andersen (da H. E. NørregfardNilsen, Quadri di viaggio dall’Italia di H. C. Andersen, Roma )

FIGURA

Non molto dissimile sembra il funerale tracciato nelle schematiche scene di ekphorà (trasporto funebre) e pròthesis (esposizione della salma), con raffigurazioni di gruppi di piangenti e suonatori, carri da trasporto e letti funebri, dipinte nelle grandi anfore geometriche del Ceramico di Atene (Ahlberg, ). Nei contesti funebri dell’Italia protostorica e arcaica noi possiamo cogliere solo la parte conclusiva di queste cerimonie. Il rituale funerario è curato ed espletato dai vivi attorno ai corpi dei defunti. La spiegazione della scelta e dello svolgimento dei riti va cercata nel mondo dei vivi. L’utilizzazione dei dati provenienti dalle necropoli è da tempo considerata fonte primaria per la ricostruzione sociologica delle comunità antiche: ed è preferenza motivata dalla molteplice concentrazione e campionatura di materiali rinvenuti in complessi chiusi, quali le tombe. Anzi, nell’ultimo trentennio vi è stata quasi un’esaltazione dei dati funerari come fonte archeologica, che ha provocato la nascita di una speciale branca definita “archeologia della morte”. Va pure tenuto presente, però, che le sepolture e i relativi corredi, che rappresentano solo una delle fonti archeologiche d’informazione su una società, sono forse la fonte più condizionata a livello ideologi

.

INTRODUZIONE

co (Ucko, ). Le tombe mostrano infatti solo quei caratteri (relativi al vestiario, all’armamento, al servizio da mensa) che la comunità riteneva valesse la pena di mettere in rilievo, nell’ambito del rituale funerario, per indicare lo status sociale dell’individuo deposto. Nelle necropoli possiamo cogliere il riflesso di comportamenti sociali ritualizzati simbolicamente: quindi il nesso tra la realtà sociale e la sua traduzione, più o meno simbolica, nei corredi funerari va cercato, se è possibile, nel confronto con altre fonti archeologiche, quali ad esempio la documentazione degli abitati; è infatti attraverso il riscontro con altri dati archeologici disponibili che si dovrebbero poter ricavare i criteri secondo cui avveniva la selezione degli oggetti da deporre nel contesto funerario. Se la mancanza, spesso lamentata, di comparazioni con altre evidenze può costituire un limite d’informazione, bisogna però considerare gli stretti rapporti che nella mentalità arcaica dovevano intercorrere tra sfera rituale e sfera sociale. Il complesso campo delle interpretazioni delle necropoli è da considerare ancora un contesto privilegiato di ricerca in ambito archeologico, sia perché spesso l’evidenza funeraria costituisce l’unica documentazione disponibile, sia perché essa implica uno dei più alti gradi di intenzionalità della collettività corrispondente e dunque, se attentamente decodificata, costituisce una fonte di informazione preziosa sulle ideologie e sulla produzione dell’immaginario sociale. Per le comunità protostoriche, per le quali manca spesso del tutto il supporto di altra documentazione, l’indagine sui caratteri delle sepolture può costituire il mezzo principale a nostra disposizione per tentare di ricostruire la loro struttura socio-economica. Bisogna infatti considerare il rituale funerario, espressione molteplice e polivalente del mondo dei vivi, come l’immagine che ogni gruppo sociale sceglie di dare di se stesso. Le onoranze funebri possono rappresentare l’occasione nella quale la comunità sottolinea, nel modo più completo e significativo, la somma delle identità sociali che costituiscono la posizione di ciascuno dei suoi membri. Nei contesti funerari cioè sono rappresentati simbolicamente i ruoli raggiunti nella vita dai diversi individui, resi mediante attributi che vengono riconosciuti degni di essere rappresentati dopo la morte. Specie per l’impulso della scuola anglosassone, nei cui studi – sulla base di principi di tipo genericamente antropologico e sociologico – sono state enunciate e sviluppate sistematicamente norme e metodologie specificamente archeologiche, nell’ultimo ventennio anche in Italia si sono effettuate analisi e proposte interpretative sulle necropoli protostoriche. 

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. La teoria socio-antropologica di matrice francese e la New Archaeology L’interesse per lo studio delle necropoli nel loro insieme, e quindi non per il solo oggetto, è fenomeno relativamente recente. Indirizzo di ricerca decisamente di tipo tradizionale, dominante negli anni cinquanta e sessanta del ventesimo secolo, è quello che fa capo alla scuola germanica e che, privilegiando lo studio dei manufatti, elabora tipologie volte a stabilire seriazioni cronologiche (Müller-Karpe, Peroni, Toms ecc.). Appare evidente l’interesse rivolto soprattutto all’analisi e alla classificazione dei dati archeologici in quanto fonte storica autentica, cioè “oggettiva”. Dall’associazione e distribuzione di determinati tipi di oggetti differenziati (ceramica, oggetti di ornamento, armi, utensili) si possono ricavare elementi sullo sviluppo cronologico delle tombe e sul graduale ampliamento delle necropoli. Già dal , però, Pallottino, pur riconoscendo la validità della statistica comparata e insieme della stratigrafia orizzontale, ne ricordava il valore indicativo, considerando la possibilità che le variazioni registrate non riflettano sempre un’ordinata sequenza nel tempo, ma possano essere attribuite a fatti imprevedibili di diversità di condizione e di ceto dei defunti, di persistenze rituali, di ritorni di mode. Più volte, del resto, è stata ribadita anche da studiosi che applicano tale metodologia (cfr. ad esempio Bartoloni, Delpino, ), l’esigenza di non trasferire meccanicamente quella che è solo una possibile e probabile successione di complessi tombali in un fatto storico preciso. Una reazione decisa all’indirizzo di ricerca che privilegiava lo studio dei manufatti, ossia l’elaborazione di tipologie volte a stabilire seriazioni cronologiche, si sviluppa in modo relativamente indipendente un po’ dappertutto negli studi preistorici e protostorici. Nel corso degli anni settanta, infatti, nell’ambito di tradizioni di studio anche molto diverse si manifesta un notevole interesse per la struttura economica e sociale delle comunità preistoriche e protostoriche. In effetti, già soprattutto per spinta di Gordon Childe (-; cfr. Childe, ) una ricca tradizione sociologica aveva dato una nuova impostazione agli studi archeologici e in particolare a quelli delle necropoli: l’archeologia sociologica si è occupata prevalentemente dello studio dei cimiteri. Il grande interesse per l’ambito funerario è intimamente connesso con il desiderio di fare dell’archeologia un’antropologia del mondo antico. La documentazione delle necropoli è infatti la più ricca e la meglio 

.

INTRODUZIONE

conservata per una buona parte del mondo antico, mentre assai più rara è la corrispondente testimonianza degli abitati. L’esame dei sepolcreti come contesti strutturati consente lo studio di quegli aspetti delle società antiche, economico, sociologico, intellettuale, che solo in modo più incompleto vengono illuminate da altri tipi di evidenze. Il momento della morte e il rituale funerario nel suo complesso appaiono una rilevante occasione sociale. Uno stretto rapporto tra ideologia funeraria, società, struttura politico-economica viene ribadito, a partire dalle trattazioni di Louis Gernet (), da studiosi francesi e italiani che si ispirano alla “psicologia” della storia. Secondo Jean-Pierre Vernant il primo obiettivo della ricerca deve essere l’indagine sull’uomo, l’uomo antico, nell’ambito del suo contesto socio-culturale, «di cui è il creatore e insieme il prodotto». Attraverso la documentazione archeologica bisogna tentare di interpretare il messaggio indagando sui «contenuti mentali, le forme di pensiero e di sensibilità, i modi di organizzazione del volere e degli atti (Vernant, , p. ). In tale ottica, l’indagine sul passato si configura come una difficile conquista di carattere interpretativo, da attuare attraverso un complesso lavoro di lettura e decodificazione, alla ricerca dei molteplici messaggi e dei codici che presiedono all’immaginario sociale veicolato da ogni forma di cultura materiale. In modo ancor più categorico, la correlazione tra articolazione del sistema funerario e complessità dell’organizzazione sociale viene considerata basilare da Lewis R. Binford () e dal movimento che a lui fa capo (la New Archaeology): i diversi modi di trattamento del cadavere e la varietà del rituale non sono riconducibili a componenti etniche differenziate, ma esprimono la dialettica interna al sistema sociale, le sue stratificazioni orizzontali (sesso, età) e verticali (status, rango). Comune ad ambedue gli ambiti di ricerca (studiosi europei di antropologia del mondo antico e nuovi archeologi di cultura anglosassone) è il presupposto che tra la società dei vivi e la comunità dei morti deve necessariamente esistere un rapporto di analogia; la morte è un momento cruciale, in cui si evidenzia la complessa identità del morto nel rapporto con il gruppo sociale cui appartiene: è l’occasione in cui vengono espressi con maggior chiarezza i valori morali e civili che saldano la vita della collettività. La morte suggella il destino dell’individuo e consente di trarre il bilancio della sua esistenza; davanti alla collettività il defunto si presenta, in questo momento estremo, come centro di sistemi di relazioni (o di parentele) economiche, politiche, ideali. Questa tematica appare ampiamente sviluppata anche di recente in Italia (d’Agostino, ; Bietti Sestieri, ; Curti, ), in polemica con i tradizionali atteggiamenti diffusionisti ed evoluzionisti. 

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La tradizione di studi francese, grazie agli apporti della sociologia durkheimiana e dello strutturalismo, arriva a formulazioni più raffinate e complesse, presupponendo anche nel rituale funerario l’importanza dell’ideologia, della religione e del mito e quindi di tutte le forme che governano l’immaginario: la critica di fondo rivolta agli studiosi della New Archaeology è la pretesa di formalizzare leggi nel campo del sociale. Parrebbe preferibile parlare di indicazioni di tendenze più che di leggi, di generalizzazioni più che di norme (Bezzerra de Meneses, ). Merito della New Archaeology è però l’aver constatato la necessità in archeologia di un corpus teorico e metodologico e di aver tentato di stabilire una saldatura non occasionale tra teoria/antropologia e pratica/archeologia (Bietti Sestieri, ). La nozione di cultura interferisce quindi direttamente in un’operazione come quella della tipologia dei manufatti; la nozione di sito, a sua volta, avrà conseguenze nelle ricerche di superficie o negli scavi (Bezzerra de Meneses, ).

. Archeologia post-processuale Negli ultimi studi il clima di convergenze tra diversi filoni europei appare evidente nelle scelte teoriche e nell’affermazione di un approccio problematico e interpretativo della ricerca archeologica. Al neopositivismo della New Archaeology è stata contrapposta un’apertura teorica alle scienze sociali: «L’evidenza materiale non è il resto muto di una società del passato, ma consiste di resti frammentari di mondi una volta abitati da esseri umani che comunicavano e agivano, che usavano queste condizioni materiali per strutturare e difendere certe tradizioni discorsive» (Barrett, , p. ). L’identità di una persona non può essere letta dal modo in cui è stata seppellita, ma la tomba può gettare luce sugli aspetti del defunto che i parenti e la comunità nell’atto del seppellimento hanno pensato fosse necessario sottolineare con un dato corredo o con altri aspetti del rituale funerario. Attualmente, del resto, gli archeologi che si accingono allo studio delle necropoli hanno accesso a informazioni relative ai contesti ambientali e alla paleopatologia dei resti scheletrici. Metodi di datazione sempre più sofisticati forniscono mezzi indipendenti per la verifica delle diverse cronologie degli oggetti. È necessario un modo di guardare alla società che sia capace di tener conto sia delle scelte individuali che delle aspettative e delle restrizioni sociali. 

.

INTRODUZIONE

La cultura materiale assume un ruolo attivo e viene considerata la componente prioritaria per la costruzione sociale. Gli archeologi possono leggere i dati della cultura materiale come testi storici (Hodder, ). Ambedue, oggetti e testi, durano e sopravvivono alla loro produzione. È evidente l’utilizzazione prioritaria della cultura materiale sia nel valore semantico che in quello strumentale nell’analisi dei contesti antichi. Alle metodologie concordate dell’archeologia processuale viene contrapposto lo studio dei rapporti tra norma e individuo, processo e struttura, materiale e ideale, oggetto e soggetto. La definizione Post-processual Archaeology include una serie di indirizzi diversificati, uniti da comuni prospettive teoriche e metodologiche. L’archeologia post-processuale si propone come obiettivo la rilettura e la rielaborazione teorica di tutti i campi della ricerca archeologica e l’avvio di una riflessione critica su se stessa. Gli argomenti affrontati sono: le modalità di azione delle ideologie; le forme di potere e di legittimazione; le strategie di resistenza e di negoziazione sociale, cioè i linguaggi simbolici e i codici di simbolizzazione; il ruolo attivo delle varie forme di cultura materiale nella costruzione sociale; il rapporto tra struttura e ideologie, cioè tra struttura, pratica sociale e individuo come agente sociale attivo; l’identificazione di più ideologie all’interno dello stesso contesto e le dinamiche di resistenza; le costruzioni di identità e le componenti etniche; la tematica del genere, cioè lo studio delle complesse dinamiche maschile-femminile-infantile; l’immaginario collettivo e le forme di comunicazione sociale; lo studio della mentalità; la centralità del contesto storico e sociale (Cuozzo, ). Il vantaggio dell’archeologia che lavora su un ampio arco di tempo potrebbe essere quello di poter ricostruire le evoluzioni e gli sviluppi di un’area attraverso il tempo e il modo in cui questi sviluppi hanno contribuito alla riproduzione di un sistema sociale o a cambiamenti all’interno di esso (Barrett, ). Bisogna ricordare che i rituali funerari non sono statici. Linee di indagine privilegiate risultano la messa a fuoco di tutti gli aspetti connessi alla presenza di ideologie diverse in un’unica necropoli. L’analisi dei rituali funerari è considerata un articolato momento di comunicazione sociale, con attenzione peculiare al ruolo del simbolismo e delle ideologie: «L’approccio post-processuale sottolinea la polivalenza del rituale funerario la cui performance coinvolge molteplici rapporti tra il defunto, il suo gruppo, la comunità e il mondo soprannaturale» (Cuozzo, , p. ). Tra le varie forme di identità sociale indagate nell’archeologia postprocessuale molta attenzione ha ricevuto negli ultimi anni quella del ge

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nere, cioè l’indagine sui complessi meccanismi maschili-femminili-infantili, sui rispettivi ruoli e sui reciproci rapporti. L’archeologia di genere interpreta «la società come formata da individui che agiscono come agenti sociali attivi, da individui le cui attività e negoziazioni quotidiane formano una parte essenziale della dinamica storica» (Diaz-Andreu, , p. ). La tematica del gender nel costume funerario contraddistingue il filone femminista, che indaga la rilettura simbolica del mondo materiale dell’universo femminile in relazione alla complessa dinamica dei rapporti tra uomini e donne.

. Caratteristiche dei contesti funerari nella protostoria italiana Recentemente si è sentito il bisogno, soprattutto in ambito francese e italiano, di decodificare enunciati troppo semiologici o teorici, per riporre lo studio delle necropoli in una prospettiva maggiormente legata ai metodi storici e archeologici, che permettano meglio di capire e ricostruire le società antiche. Ciononostante, non sembra giusta l’accusa, da parte di protostorici inglesi, di considerare le ricerche italiane troppo volte a interessi tipologici o cronologici. I temi affrontati metodologicamente dalla recente archeologia di matrice anglosassone appaiono, del resto, gli stessi che più o meno esplicitamente vengono messi in evidenza ormai comunemente nello studio dei sepolcreti dell’età del ferro italiana, cioè la topografia della necropoli, la cronologia e i rapporti culturali, la variabiltà funeraria, le differenze di genere e l’organizzazione delle comunità, accompagnati da analisi antropologiche, paleobotaniche e chimiche di particolari manufatti. Nelle necropoli italiane dell’età del ferro sono documentati generalmente il rito inumatorio, con deposizione in fossa terragna, o il rito incineratorio, con ceneri raccolte in un’urna deposta più o meno direttamente in un “pozzo” (FIG. .). Incinerati e inumati possono essere deposti, ove prima ove dopo, in tombe a camera. In alcuni sepolcreti un rito prevale sull’altro, in altri se ne ritrova esclusivamente uno. I resti di bambini, in genere inumati, sono raccolti in grossi contenitori, quali ad esempio anfore; tali tombe vengono definite a enchytrismòs. Possono differenziarsi anche all’interno della stessa necropoli la forma, le dimensioni, la copertura, il riempimento delle singole tombe, sia

.

INTRODUZIONE

. Veio: necropoli di Casal del Fosso con tombe a pozzo, a fossa e a camera

FIGURA



 m

no esse a inumazione o a incinerazione. In queste ultime può essere o non essere attestato un contenitore (in pietra o in ceramica) dell’urna cineraria. Anche le modalità della deposizione del contenitore e dell’urna possono variare, così come nelle tombe a inumazione cambia il modo di deporre il corpo del defunto o il tipo di contenitore del cadavere (cassa lignea o altro), peraltro non sempre documentato. Rientra nell’esame del rituale funebre la deposizione dei vari elementi del corredo all’interno della fossa o del pozzo. Un esame a parte richiedono le tombe a più deposizioni, per lo più a camera, che possono presentare o non presentare lo stesso rito, i corredi differenziati ecc. Le deposizioni vanno distinte per sesso e classi di età. Tale distinzione si può effettuare sia attraverso l’esame dei resti antropologici o delle dimensioni della fossa che attraverso le combinazioni degli oggetti personali del defunto, che facevano parte dell’abbigliamento o dell’acconciatura, o di alcuni elementi, quali le armi o gli strumenti per la filatura, tipicamente distintivi del sesso. Il lavoro della lana è il simbolo della donna, come le armi sono l’emblema dell’uomo. Più difficile, in mancanza di dati antropologici, distinguere le tombe infantili, spesso caricate di indicatori da adulto. 

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Nella maggior parte dei casi, dato il mediocre grado di conservazione degli scheletri, i dati antropologici vengono ricavati dall’analisi dei denti, la parte sempre meglio conservata (anche nelle incinerazioni). La classificazione dell’età su cui ci si basa è quella di Vallois (): infantile I (- anni); infantile II (/-/ anni); giovanile (/- anni); adulto (- anni); maturo (- anni); senile ( anni e oltre). Le necropoli si sviluppano per lo più secondo la conformazione del terreno, con un graduale ampliamento della zona più antica. Le aree prescelte sono molto spesso delimitate naturalmente (da un pendio o da un corso d’acqua) o da una strada. Si possono individuare necropoli che seguono un’unica direttrice (“a sviluppo lineare”) e altre in cui si evidenzia un graduale ampliamento attorno al nucleo originario del sepolcreto (“a sviluppo radiale” o “a ventaglio”). Le tombe possono presentarsi distanziate, concentrate o a gruppi ben differenziati sul terreno ecc. Attraverso l’analisi della disposizione spaziale delle tombe e il confronto con i relativi corredi possiamo, ad esempio, ipotizzare diverse articolazioni della comunità. È sempre più chiara nei vari complessi funerari, anche di recente scavo, l’articolazione in piccoli gruppi delle necropoli a evidente carattere familiare (Trucco, De Angelis, Iaia, ). Purtroppo, i dati di gran parte delle necropoli dell’Italia centrale, frutto di vecchi scavi spesso fortuiti, non offrono che una parte minima degli elementi che servono per un’analisi corretta e completa della comunità in esame. Le analogie e le differenze con i risultati emersi dall’esame di contesti scavati e studiati con tecniche e metodologie moderne, pur permettendo di cogliere solo aspetti parziali di un dato gruppo, possono aiutare a spiegare alcune evidenze, altrimenti mute.

. Le necropoli analizzate Il rapporto tra la società dei vivi e il suo riflesso nel costume funerario, quindi, non può mai essere ritenuto diretto e immediato, ma è per lo più indiretto, selettivo, mediato. Il rituale funerario, cioè, non deve essere considerato una semplice comunicazione dei valori di una determinata comunità. Esemplificativa appare l’utilizzazione in diversi ambiti culturali italiani di modellini di capanna come urne cinerarie, per lo più con simbologie diversificate. L’analisi verterà soprattutto sui secoli VIII e VII a.C. A partire dalla fine dell’VIII secolo a.C., si delinea nella rappresentazione funeraria l’e

.

INTRODUZIONE

mergere di più gruppi elitari dominanti a carattere parentelare (le gentes), in competizione fra loro. Il particolarismo di questi gruppi si manifesta attraverso una pluralità di comportamenti che svela la compresenza di diverse ideologie e l’esistenza di molteplici rapporti con referenti esterni diversificati. Le popolazioni interessate saranno soprattutto quelle dell’Italia centrale: Latini, Sabini, Etruschi e Falisci (FIG. .). Le considerazioni sui vari aspetti delle comunità dell’Italia tirrenica che saranno presentate in queste pagine sono frutto essenzialmente delle indagini effettuate progressivamente in alcune delle necropoli dell’Etruria e del Lazio: Casone e Piano-Poggio delle Granate di Populonia, Grotta Gramiccia-Casal del Fosso e Quattro Fontanili di Veio, Vallone di Velletri, Valvisciolo-Caracupa di Sermoneta. A Populonia sono stati individuati almeno tre sepolcreti con deposizioni riferibili alla prima età del ferro e all’inizio dell’orientalizzante: un primo nucleo in località Piano e Poggio delle Granate, posta all’estremità settentrionale del golfo di Baratti, un secondo gruppo nei poderi Casone e San Cerbone e nel Poggio della Porcareccia, più o meno al centro del golfo, e il terzo, meno consistente, sul versante occidentale del promontorio di Populonia, in località Poggio del Molino o del Telegrafo (FIG. .). La necropoli di Piano e Poggio delle Granate, scavata da Antonio Minto, consiste in un centinaio di tombe, di cui purtroppo non esiste che una inadeguata documentazione grafica. Dallo scavo nei poderi Casone e San Cerbone, eseguito nel  da Luigi Milani e poi ripreso da Minto, sono emerse sepolture individuali a incinerazione e a inumazione di IX e VIII secolo a.C.; entro il VII secolo si colloca un gruppo di tombe a camera con crepidine e alto tumulo cilindrico. Nel , lungo il versante nord-ovest del promontorio di Populonia, è sfuggita ai tombaroli, molto attivi anche nella necropoli di Poggio delle Granate, una piccola necropoli riferibile alla fine del IX-pieno VIII secolo a.C.; purtroppo, solo di una tomba si conosce tutto il corredo, sufficiente però a definire il tipo di deposizione e il carattere del sepolcreto, decisamente familiare. I corredi funerari di Populonia della seconda metà dell’VIII secolo a.C. sembrano mostrare una fase di indubbia recessione che contrasta con la monumentalità delle tombe: recenti studi fanno risalire a questo periodo l’uso di tombe a camera a pseudocupola con avancorpo e crepidine cilindrica, in anticipo quindi rispetto all’architettura monumentale dell’Etruria meridionale, dove fastosi corredi accompagnano però le deposizioni. Diverso il quadro di Veio, ai cui vecchi scavi, effettuati a Vaccareccia nel  da Rodolfo Lanciani ( tombe a fossa) e nel - a Grotta Gramiccia-Casal del Fosso, con circa . tombe del periodo indagato, purtroppo solo parzialmente edite, si aggiungono le più recenti indagini 

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. Le popolazioni dell’area tiberina (disegno di S. Barberini)

FIGURA



.

INTRODUZIONE

. Le necropoli di Populonia

FIGURA

Planimetria zona archeologica di Populonia necropoli villanoviane ripostiglio Falda della Guardiola

NORD

(-) nella necropoli dei Quattro Fontanili, con circa  tombe scavate, la maggior parte delle quali riferibili al pieno VIII secolo a.C., la cui sollecita presentazione in varie annate delle “Notizie degli Scavi di Antichità”, con documentazione grafica di tutte le tombe e relativo posizionamento degli oggetti del corredo, ha offerto a molti studiosi l’opportunità di indagare su questa necropoli villanoviana. Ne emerge un quadro in cui le colline a nord del gran pianoro di Veio risultano preferite per le sepolture di IX e VIII secolo a.C. I sepolcreti di Veio, infatti, si dispongono sui poggi posti intorno al grande pianoro, sede dell’abitato. Come in gran parte dell’Etruria, i sepolcreti più antichi appaiono disposti a nord e sud del rispettivo insediamento, riferibili verosimilmente a due nuclei diversi: a settentrione quelle di Grotta Gramiccia-Casal del Fosso e Quattro Fontanili; a sud-ovest il complesso Valle La Fata-Monte Campanile, con non più di un centinaio di tombe. A partire dall’ultimo quarto dell’VIII secolo a.C., le necropoli (Macchia della Comunità, Vaccareccia, Monte Michele, Picazzano, Casal del Fosso, Riserva del Bagno, Pozzuolo, Monte Campanile) si estendono su tutti i colli intorno al pianoro. 

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Nel  in località Vallone (Velletri), nel bosco comunale di Lariano, a circa  km da Colle Santa Lucia, furono messe in evidenza due gruppi di tombe a fossa, evidenti gruppi distinti di una stessa necropoli, distanti tra loro non più di  m. I materiali recuperati furono solo in parte consegnati al Museo Civico di Velletri. Un progetto di riprendere lo scavo a cura di Salvatore Puglisi non ebbe seguito. Purtroppo, molti dei materiali scomparvero per i bombardamenti dell’ultima guerra (sono rimasti  oggetti), ma grazie a schedine inventariali curate da Nardini e Mancini e alla relazione dello stesso Mancini per “Notizie degli Scavi” del  si può avere un quadro del tipo di materiale rinvenuto. All’abitato terrazzato di Monte Carbolino presso Sermoneta possono riferirsi un centinaio di tombe delle necropoli di Caracupa e Valvisciolo, frutto degli scavi del - di Luigi Savignoni e Raniero Mengarelli. L’arco cronologico in cui si distribuiscono le tombe è esteso dall’inizio dell’VIII secolo a.C. alla fine del VII; la maggior parte dei corredi sembra riferibile al pieno VIII secolo. La maggior parte di questi sepolcreti, frutto di vecchi scavi, non offre quell’apparato di dati relativi al tipo di sepoltura o al posizionamento del defunto e dei manufatti pertinenti al corredo d’accompagno, o i resti antropologici e paleobotanici, che illuminano sul sistema del rituale funerario e caratterizzano le presentazioni delle necropoli di scavo moderno. Esemplificativo a questo proposito è lo scavo e lo studio della necropoli di Osteria dell’Osa sulla via Prenestina, che verrà spesso usato come riferimento soprattutto per il periodo più antico (Bietti Sestieri, ). Questo sepolcreto, in uso dal IX al VII secolo a.C., situato sul lato orientale dell’antico cratere di Castiglione, occupato in epoca storica da un lago, rappresenta, insieme al più piccolo complesso di Castiglione, l’aspetto più antico nel processo di formazione urbana della latina Gabii. È in corso, e già in gran parte pubblicato a cura dell’Istituto Orientale di Napoli, uno studio sistematico sui dati emersi dallo scavo delle necropoli di Pontecagnano, centro principale del gruppo etrusco del Salernitano. I rituali e i materiali delle circa . tombe scavate, databili tra il IX e il VI secolo a.C., mostrano notevoli affinità con quelli dei centri dell’Etruria propria. Attraverso alcune analogie con i dati indagati in queste necropoli, si sono potute confermare certe considerazioni proposte, ricordando continuamente che per quanto riguarda la scelta dei rituali funerari, e quindi il loro significato, ogni comunità deve essere considerata isolatamente. Esemplificativi i tipi tombali adottati contemporaneamente nei due centri principali dell’Etruria mineraria: mentre a Vetulonia personaggi eccellenti sono evidenziati nella morte con l’adozione di modellini di ca

.

INTRODUZIONE

panna come contenitori delle ceneri, nella vicina Populonia uno o più membri di una famiglia emergente vengono deposti, incinerati o inumati, in costruzioni lapidee riproducenti le abitazioni reali. Per la fase orientalizzante ci si è potuti avvalere della pubblicazione di alcuni corredi emergenti dalle necropoli, in attesa di una edizione complessiva, di Castel di Decima, riferita a Politorium o a Tellene, uno dei centri latini distrutti da Anco Marcio per conquistare la foce del Tevere, e di quella dell’Acqua Acetosa Laurentina, inserita nel comprensorio romano. È stato fissato a . il numero originario delle tombe del primo sepolcreto, distribuite tra VIII e VII secolo a.C., di cui ne sono state scavate circa . A causa della lentezza e della onerosità dell’opera di restauro, dovuta allo stato di degrado in cui sono stati rinvenuti gli oggetti a causa dell’acidità del terreno e della pesante copertura a scaglie di tufo delle fosse, attuata solo parzialmente, sono state pubblicate integralmente solo una decina di tombe. Più piccola ( tombe), e verosimilmente attribuibile a gruppi legati da vincoli di parentela, è la necropoli della Laurentina, a  km da Roma. Utilissimi e punto di riferimento per il III periodo laziale risultano i dati della necropoli della Rustica, sulla via Collatina, purtroppo inediti. Sono state evidenziate un centinaio di tombe riferibili a un abitato che occupa un modesto rilievo allungato, alle porte di Roma, in cui si è voluto riconoscere l’antica Caenina. Purtroppo, delle  tombe scavate nel  si hanno solo scarse notizie.

. Questioni cronologiche La protostoria dell’Italia centrale tirrenica, area da cui provengono i contesti presi in esame in questa sede, viene generalmente posta nei primi quattro secoli del I millennio a.C. e articolata in quattro fasi distinte, la prima relativa ancora alla tarda età del bronzo, le altre due alla prima età del ferro e l’ultima alla seconda età del ferro. Le cronologie più seguite negli ultimi decenni fanno capo all’ampio lavoro del  sui campi d’urne a nord e a sud delle Alpi di Hermann Müller-Karpe, che colloca le prime tre fasi nei suoi periodi (Stufe) IV, V e VI. Müller-Karpe ha correlato le sequenze di sviluppo locali di molte regioni italiane in base ai principali tipi di bronzi. La cronologia delle fasi dell’Etruria e del Lazio deriva dal confronto da una parte con la sequenza cumana e dall’altra con le fasi riscontrate in Sicilia, area che mantenne sempre un certo contatto con il Mediterraneo orientale, tra la fine delle importazioni micenee e l’arrivo dei primi coloni greci. 

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Il dibattito ruota intorno al modo di riempire lo spazio di tempo compreso fra due termini storici definiti, cioè la tarda età micenea (XIVXII secolo a.C.) e l’inizio della colonizzazione greca in Italia (prima metà dell’VIII secolo a.C.). La fase orientalizzante, con aspetti culturali simili in tutto il Mediterraneo, è infatti in modo unanime posta nel VII secolo a.C. Scavi successivi hanno precisato queste datazioni: ad esempio, la fine della seconda fase, che prelude al fenomeno culturale orientalizzante (VII secolo), fenomeno che investe non solo l’Italia ma tutto il mondo mediterraneo, deve essere rialzata all’inizio dell’ultimo quarto dell’VIII secolo a.C. (/ a.C.) e il passaggio dall’una all’altra fase tradizionale è stato precisato (/ a.C.) dal ritrovamento in contesti indigeni di ceramiche corinzie ed euboiche, puntualmente databili. Il problema resta ancora aperto per la durata dei momenti più antichi della cultura laziale e villanoviana: nonostante i tentativi e l’acutezza delle diverse argomentazioni, infatti, le datazioni proposte devono essere considerate ipotetiche e opinabili, e quindi del tutto indicative. Recenti analisi dendrocronologiche su insediamenti palafitticoli dei laghi svizzeri (Sperber, ) hanno portato alla revisione della cronologia dell’età del bronzo e del ferro europea e quindi anche italiana. Questo aggiustamento cronologico sembra confermato da una serie di datazioni radiometriche su siti italiani (Gran Carro di Bolsena in Etruria, Fidene e Satricum nel Lazio), che rialzano talvolta di quasi un secolo la cronologia tradizionale. Negli ultimi anni vari studiosi (ad esempio Guidi, Bettelli, Pacciarelli) hanno tentato di adattare i risultati delle analisi tecniche alle diverse cronologie relative dei complessi conosciuti (Tarquinia IA = - per Bettelli, - per Pacciarelli; Tarquinia IB = - per Bettelli, - per Pacciarelli; Tarquinia IIA = - per Bettelli, - per Pacciarelli; Tarquinia IIB = - per Bettelli, - per Pacciarelli). Il risultato è un rialzamento generale della cronologia cosiddetta tradizionale (da  a  anni), con un relativo allungamento del periodo più recente, che difficilmente si concilia con le datazioni storiche dell’Egeo, che hanno costituito sino ad ora il riferimento per tutte le seriazioni locali. Se per il momento più antico il rapporto con le altre culture del Mediterraneo non sembra porre ostacoli a questa nuova proposta – del resto, la storia degli studi sulla protostoria italiana è caratterizzata da alternanza tra cronologie “rialziste” e “ribassiste” –, l’evidenza della colonizzazione greca pone grossi problemi alle datazioni proposte per il villanoviano evoluto, ricco di attestazioni di ceramica importata. 

.

INTRODUZIONE

La ceramica greca rinvenuta nei contesti indigeni è stata considerata fino ad ora elemento fondamentale per la cronologia delle varie manifestazioni culturali nell’Italia protostorica. I vasi appartengono alla ceramica medio-geometrica (coppe a semicerchi penduli e a chevrons) o tardo-geometrica (coppe con metope a uccelli, kotylai Aetos ). La cronologia assoluta della ceramica protocorinzia (e quindi di quella geometrica) è basata sulla più antica attestazione di ceramica greca a Siracusa e quindi sulla datazione di Tucidide per la fondazione di questa colonia (Payne, Dunbabin). Infatti la fase finale dell’arte geometrica in Grecia viene considerata, nella maggior parte dei casi, sicuramente determinabile attraverso i ritrovamenti paralleli e cronologicamente precisati dalla fondazione delle colonie greche nell’Italia meridionale e in Sicilia. Le nuove proposte cronologiche porterebbero quindi a rialzare la fondazione di Pitecusa alla seconda metà del IX secolo a.C., in piena dark age greca. Così la ceramica d’imitazione verrebbe datata prima dei prototipi greci. In questa sede, in cui si tratterà soprattutto di fenomeni della fase avanzata della prima età del ferro e dell’orientalizzante, si è preferito quindi continuare a utilizzare la cronologia tradizionale, in attesa che sia chiarito il rapporto dei nuovi dati emersi dalle analisi radiometriche e dendrocronologiche con le datazioni degli avvenimenti greci e mediorientali. Cronologie tradizionali

Nuova proposta di cronologia

Circa  a.C.

Periodi convenzionali

Lazio

Etruria

Grecia

Momento finale dell’età del bronzo

Fase I

Protovillanoviano III

Protogeometrico

Ca.  a.C.

- a.C.

Prima età del ferro

Fase IIA-B

Villanoviano I

Geometrico antico

- a.C.

- a.C.

Prima età del ferro avanzata

Fase III

Villanoviano II

Geometrico medio

 a.C.

Geometrico tardo I

 a.C.

- a.C.

 a.C.

 a.C.

Seconda età del ferro



Fase IVA

Orientalizzante Geometrico antico tardo II – protocorinzio

Fase IVB

Orientalizzante Corinzio recente

L E S O C I E T À D E L L’ I TA L I A P R I M I T I VA

. L’emergere delle aristocrazie nell’Italia centrale tirrenica A mano a mano che ci si allontana dai decenni iniziali dell’VIII secolo a.C., si fa più evidente il processo di differenziazione economica all’interno del corpo sociale: le tombe contengono materiale sempre più numeroso e ricco e mostrano visibili segni di dislivello sociale. Si delinea così un’élite in cui la donna è privilegiata quanto l’uomo e riceve uguale profusione di beni. I corredi funerari esibiscono un progressivo aumento qualitativo e quantitativo del materiale del corredo; alcune deposizioni si evidenziano rispetto alle altre mettendo in risalto il movimento interno del corpo sociale. È stata fissata nel corso dell’VIII secolo, infatti, la nascita dell’aristocrazia medio-tirrenica. Nella prima metà del secolo si nota una contrapposizione tra alcuni individui connotati come persone di rango e il gruppo che conserva la consueta omogeneità. Non sembra di poter cogliere sostanziali differenze nell’ambito delle aree culturali dell’Italia peninsulare protostorica, specie in quelle bagnate dal mar Tirreno, cioè villanoviano tosco-laziale, cultura laziale, villanoviano salernitano, cultura delle tombe a fossa. Nelle singole comunità emergono alcuni corredi maschili (in genere di guerrieri) e femminili. I materiali pertinenti a queste deposizioni mostrano frequenti rapporti tra personaggi eminenti: troviamo materiale enotrio in Etruria, materiale villanoviano nel Lazio, in Campania, fino in Calabria. Già all’inizio dell’VIII secolo è stato fatto risalire il contatto con genti del Mediterraneo orientale, largamente attestato nei decenni centrali dello stesso secolo. Si è pensato che l’impulso a questi movimenti fosse riferibile alle comunità dell’Etruria meridionale (Tarquinia soprattutto) dove il processo di urbanizzazione e quindi di differenziazione sociale sembra in leggero anticipo rispetto alle altre zone dell’Italia anche tirrenica. I corredi funebri emergenti nelle varie comunità, a parte le norme funerarie connesse alla scelta del rito inumatorio o incineratorio, sembrano sostanzialmente omogenei. Oltre agli oggetti di prestigio indistintamente rinvenuti in tombe di ambo i sessi, le deposizioni maschili sono evidenziati dalle armi in varie combinazioni, quelle femminili dagli ornamenti pertinenti a ricche acconciature e da fusaiole e rocchetti d’impasto, accompagnati talvolta da fusi e conocchie in bronzo. I corredi mostrano un arricchimento considerevole, con l’attestazione di manufatti di provenienza orientale e greca: sigilli, scarabei, pendagli sembrano essere il materiale prediletto dalle nascenti aristocrazie locali, ma non mancano vasi, come attesta il ritrovamento a Tarquinia di 

.

INTRODUZIONE

una brocchetta “fenicio-cipriota” di un tipo largamente diffuso in tutti gli stanziamenti fenici, da Cipro a Malaga, databile, seguendo la sequenza stratigrafica di Tiro, agli anni centrali dell’VIII secolo. Notevole impulso all’accelerazione del processo di formazione urbana delle comunità dell’Italia tirrenica viene attribuito al contatto con le comunità greco-euboiche stanziatesi nel golfo di Napoli a partire dal  a.C. circa. Le comunità indigene stabilirono con i primi immigrati greci, e prima con i prospectores venuti in ricognizione, rapporti di una certa consistenza: la testimonianza materiale più rilevante di scambi tra comunità indigene e genti greche è la presenza, nei corredi funerari di Tarquinia, Veio, Capua, Pontecagnano, di coppe biansate di produzione per lo più euboica, con ornato dipinto sulla vasca tra le anse a semicerchi pendenti quelle più antiche, a chevrons o con metope a uccello quelle più recenti. Questi vasi devono essere intesi come segno di rapporti di ospitalità, di usi acquisiti dall’esterno e forse anche della presenza occasionale di Greci. Anforette e tazzine d’impasto di produzione laziale ed etrusca rinvenute nelle deposizioni della necropoli pitecusana rafforzano la portata di questi rapporti; a queste si devono aggiungere le iscrizioni etrusche, come quella di Hisa Tinnuna rinvenuta a Cuma, indizio probabile di mobilità aristocratica e sicura attestazione di stretti rapporti di ospitalità nell’orientalizzante antico. Il momento iniziale della frequentazione greca sembra caratterizzato da una pluralità di contatti. Strabone (XIV, , ) riferisce che «ancor prima dell’istituzione delle Olimpiadi» ( a.C.), genti di Rodi avrebbero percorso, «giungendo sulla costa japigia e nel golfo di Napoli, mari distanti dalla patria». Fitti legami sono stati individuati tra le genti fenicie di Rodi e di Pitecusa. Come ha recentemente ribadito Bruno d’Agostino, «il merito di questa esplorazione nel remoto Occidente, di cui [come vedremo] si serba una memoria mitica nell’Odissea, spetta ad alcuni membri delle grandi “famiglie” gentilizie alla ricerca di quelle occasioni per emergere, che in patria erano loro negate» (d’Agostino, , p. ). Le comunità con cui vennero in contatto i Greci appaiono dunque ampiamente articolate, abituate a contatti con popolazioni sia di simile che di diversa cultura, pienamente interessate agli scambi, pronte quindi a ricevere qualsiasi stimolo provenisse dall’esterno. Ne è prova il subitaneo accoglimento delle nuove tecniche ceramiche e quindi di artigiani stranieri. Il recente rinvenimento a Osteria dell’Osa di una brocca d’impasto con iscrizione in alfabeto greco, eulin (FIG. .), e la susseguente rivalutazione di una serie di segni alfabetici incisi su bronzi (Ardea) o su fittili (Veio), sembrano rialzare a questa prima fase di “impatto” con il mondo greco l’alfabetizzazione almeno del Lazio e dell’Etruria limitrofa. 

L E S O C I E T À D E L L’ I TA L I A P R I M I T I VA

. Osteria dell’Osa, tomba : brocchetta con iscrizione

FIGURA

La gestione degli scambi appare prerogativa di alcune figure maschili connotate come guerrieri e riconoscibili per le ricche panoplie attestate nelle singole necropoli, dove appaiono circondati dalle sepolture dei membri del clan familiare. Il gran numero di prodotti greci rinvenuti a Veio deve essere infatti considerato prova del grande interesse greco per la via tiberina, attraverso la quale si poteva raggiungere la regione mineraria della Etruria settentrionale, evitando i percorsi marittimo e litoraneo, verosimilmente posti sotto il controllo di Tarquinia e di Vulci, e «quindi il più gravoso tributo che queste città erano in grado di far pagare ai Greci per l’accesso alle risorse del paese» (Delpino, ). Vengono assimilate inizialmente tecniche e modelli figurativi e ben presto modelli più propriamente culturali di un nuovo metodo di banchettare, di un’ideologia funeraria eroica, cioè di un nuovo modo di vivere aristocratico, tali da mutare profondamente la fisionomia della società tirrenica. La causa principale del sorgere di questi contatti deve essere, ed è stata attribuita, all’interesse dei Greci per lo sfruttamento delle colline metallifere etrusche. È opinione che si debba ai Greci l’introduzione della viticoltura in Etruria e nel Lazio: ma dati paleobotanici sembrano anticipare a fasi molto più antiche la diffusione della vite in Italia. In questo periodo si verifica però sia in Etruria che nel Lazio una produzione massiccia di vasi connessi con il vino: crateri, olle, sostegni per olle e crateri, tazze a due manici (kàntharoi), imitanti più o meno fedelmente modelli greci. Quel

.

INTRODUZIONE

lo che viene introdotto sicuramente dai Greci è il consumo cerimoniale del vino, elemento distintivo dei gruppi aristocratici. Strettamente legata al contatto con il mondo greco è anche la produzione di vasi, dapprima solo in argilla depurata, poi anche in impasto sottile eseguito al tornio veloce, anziché a mano, e cotto in forni a temperatura elevata. Inoltre, l’aumento di oggetti di ferro (armi, utensili e ornamenti) nei corredi funerari inquadrabili nel corso dell’VIII secolo a.C. deve essere attribuito a uno sviluppo, o almeno a un incremento, della tecnologia relativa alla lavorazione di questo metallo, tecnologia fortemente sviluppata nel mondo egeo e la cui trasmissione fu presumibilmente facilitata dai contatti con le popolazioni orientali. A maestranze fenicie, o comunque orientali, si deve l’introduzione di nuove tecniche nella lavorazione dell’oro e dei metalli nobili in genere (filigrana, granulazione, ageminatura), oltre che di nuovi motivi figurativi di chiara origine orientale (disco solare, crescente lunare ecc.). Tra le testimonianze più antiche di adozione di queste tecniche sono alcune fibule a drago d’argento con filigrana d’oro, rinvenute in tombe maschili di “guerrieri”, caratterizzate da corredi che preannunciano le sfarzose tombe “principesche” dell’orientalizzante. Tali fibule appartengono indubbiamente a tipi italici e quindi devono essere riferite ad artigiani stranieri o loro allievi, che operano per le committenze locali. È ormai convinzione generale, infatti, che le sofisticate tecniche di lavorazione di molti generi di artigianato presuppongano un apprendistato ricevuto da artigiani greci e orientali, detentori di un sapere più avanzato, stanziati o itineranti nelle varie località. Elemento significativo di questa fase appare dunque, più che l’importazione di oggetti greci o orientali, la trasmissione di nuove tecnologie. Tale fenomeno dovette apparire anche agli antichi di notevole importanza. Lo sviluppo delle tecniche ceramiche e metallurgiche portò alla definizione dell’artigiano a tempo pieno, pienamente integrato, che riesce a ricavare dalla propria attività i mezzi sufficienti per vivere. Indicativo appare il rinvenimento a Bologna, in piena area d’abitato, del deposito di un artigiano, il cui lavoro è diventato quindi stanziale. La formazione di questo “ripostiglio” (. pezzi), non più sotterrato in aree periferiche come nella maggior parte dei casi anche appena precedenti, ma deposto, al più tardi agli inizi del VII secolo a.C., in piena area abitata dentro un vaso sotto il pavimento di una capanna, risale per lo più all’VIII secolo. In questo periodo ogni comunità doveva avere un’officina metallurgica stabile. Il ceto egemone dimostra di aver consolidato la propria ricchezza, non solo basata sulla proprietà della terra, ma anche sugli scambi, inte

L E S O C I E T À D E L L’ I TA L I A P R I M I T I VA

si nella più vasta accezione, compresi gli aspetti vessatori e l’“economia di rapina”, esercitata attraverso la pirateria marittima o l’imposizione di pedaggi. Se le merci e gli artigiani indicano frequenti movimenti, dobbiamo immaginare anche una vivacità nella mobilità aristocratica, non solo dovuta a legami matrimoniali ma anche a ricerca di ulteriore prestigio e potere. Per quanto riguarda le diverse forme di trasferimento dei beni, per quelli di evidente prestigio (armi, vasi decorati ecc.) è probabile che si tratti di doni fra personaggi eminenti. È stato tuttavia consigliato di «evitare di ingigantire la funzione di redistribuzione del dono: il suo ruolo, dal punto di vista quantitativo, non poteva che essere, sul totale dei processi di distribuzione, alquanto limitato» (Musti, , p. ). I vari modi di circolazione (scambio commerciale, dote matrimoniale, acquisizione di bottino di guerra, scambio di doni, rapporti di ospitalità e relativi obblighi, assegnazione di premi per gare ecc.) sono indubbiamente coesistiti negli stessi ambienti. I cento anni che vanno dalla metà dell’VIII a quella del VII secolo a.C. possono a ben diritto, quindi, essere considerati cruciali per le incalzanti innovazioni che portano al passaggio dai grandi centri protourbani alle poleis di tipo greco, dalla lingua orale a quella scritta, e cioè «dalla protostoria alla storia» (Colonna, , p. ). Il processo di articolazione del corpo sociale che porta all’emergere di una società gentilizia comincia a essere avvertito nel Lazio e in Etruria nel pieno VIII secolo a.C. (corrispondente rispettivamente all’avanzato terzo periodo laziale e al periodo IIB dell’articolazione della cultura villanoviana), per poi toccare l’apice sullo scorcio del secolo, all’inizio del periodo orientalizzante. A Roma, di cui la storiografia annalistica ci fornisce un quadro, anche se mitizzato, il periodo esaminato (l’intero VIII secolo a.C.) viene condensato nei pochi anni in cui si ricorda l’arrivo di Romolo con un gruppo di Albani, la fondazione di Roma, il ratto delle Sabine, l’accordo con Tito Tazio e il successivo stanziamento dei Sabini a Roma e culmina con la legislazione sulla proprietà privata attribuita al re Numa Pompilio. Non avendo le genti dell’Italia antica trasmesso testimonianze letterarie coeve al periodo protostorico, un utile confronto offrono testi prodotti nello stesso periodo nell’Oriente del Mediterraneo, cioè i poemi omerici o alcuni libri della Bibbia. Per il VII-VI secolo validi riferimenti si possono trovare anche in Esiodo e nei lirici, i cui temi offrono un riflesso degli interessi di gruppi sociali particolari della Grecia contemporanea, i guerrieri e gli aristocratici. 

.

INTRODUZIONE

La maggior parte degli studiosi, pur considerando la tradizione orale, alla base dell’opera omerica, di lunga durata, concorda nel porre lo sfondo economico e sociale dei poemi omerici nell’VIII secolo a.C.: nell’Iliade e nell’Odissea dovevano essere riflessi gli usi e costumi della classe dominante contemporanea. L’orizzonte dell’uomo omerico è quello di piccole comunità, entro le quali il gruppo a cui egli appartiene e la famiglia con il suo portato genealogico «sono gli unici parametri che lo identificano e gli assegnano un ruolo» (Montanari, , p. ). A capo di ciascuno di questi piccoli gruppi era un basilèus, come conferma anche Esiodo in Le opere e i giorni. Le ricchezze dell’aristocrazia sono costituite dalle terre, dal bestiame, dai servi. Piccoli proprietari, artigiani, indovini e aedi, sia autonomi che dipendenti, costituiscono lo strato più basso delle piccole comunità. Tra VIII e VII secolo, il decollo delle aristocrazie tirreniche coincide con l’accoglimento in Etruria e nel Lazio di modi di vivere e rituali eroici di stampo omerico, diffusi, secondo John Nicolas Coldstream, soprattutto attraverso la circolazione dei poemi stessi. È stato del resto suggerito che proprio in Eubea, l’isola che ebbe un ruolo fondamentale nella colonizzazione greca in Occidente, sia stata trascritta per la prima volta nella seconda metà del secolo tutta l’epopea omerica. Un utile ritratto del modo di vivere delle classi emergenti durante l’VIII secolo nel Mediterraneo è delineato nella Bibbia (Antico Testamento) nei passi riferiti ad Amos (- a.C.) e Osea (- a.C.), i quali, sia pure ognuno con la propria tonalità, pronunciano invettive contro re e dirigenti di Samaria prima della distruzione da parte dei re assiri, riconducendo la catastrofe d’Israele alla decadenza morale e religiosa delle élite.

Riferimenti bibliografici Sull’epopea di Gilgamesh, probabilmente scritta nei primi secoli del II millennio a.C., ma la cui redazione finale risale al periodo di Ashurbanipal (- a.C.), l’ultimo grande sovrano dell’impero assiro: N. K. Sandars (a cura di), L’epopea di Gilgame&, Milano . Sul funerale romano cfr. Tacito, Germania, ; per la Grecia geometrica G. Ahlberg, “Prothesis” and “Ekphorà”, in Greek Geometric Art, Göteborg ; G. Childe, Preistoria della società europea, Firenze . Sulle varie tendenze dell’“archeologia della morte”: L. R. Binford, Archaeology as Anthropology, in “American Antiquity”, , , , pp. -; P. J. Ucko, Ethnography and Archaeological Interpretation of Funerary Remains, in “World Archaeology”, , , pp. -; V. Bezzerra de Meneses, La “New Archaeology”: l’archeologia come scienza sociale, in “Dialoghi di Archeologia”, , , pp.  ss.; B. d’Agostino, Società dei vivi, comunità dei morti: un rappor-



L E S O C I E T À D E L L’ I TA L I A P R I M I T I VA

to difficile, in “Dialoghi di Archeologia”, , , pp.  ss.; A. M. Bietti Sestieri, I dati archeologici davanti alla teoria, in “Dialoghi di Archeologia”, , , pp.  ss.; N. Cuomo di Caprio, Onde di propagazione della New Archaeology in Italia, in “Rivista di Archeologia”, , , pp. -; S. Curti, Note di metodologia interpretativa dei dati funerari. Una necropoli dell’età del ferro laziale e il metodo simbolico contestuale, in “Scienze dell’Antichità”, I, , pp.  ss. Per l’applicazione di teorie etno-antropologiche in Italia: AA.VV., Prospettive storico-antropologiche in archeologia preistorica, in “Dialoghi di Archeologia”, , -, . Per il metodo dell’esame dell’associazione dei tipi: H. Müller-Karpe, Beiträge zur Chronologie der Urnenfelderzeit nördlich und südlich der Alpen, Berlin ; R. Peroni, Per una definizione dell’aspetto culturale “subappenninico” come fase cronologica a se stante, in “Memorie dell’Accademia dei Lincei”, , , pp.  ss.; G. Bartoloni, F. Delpino, Per una revisione critica della prima fase villanoviana di Tarquinia, in “Rendiconti dell’Accademia dei Lincei”, XXV, , pp. -; J. Toms, The Relative Chronology of the Villanovan Cemetery of Quattro Fontanili, in “AION. Archeologia e storia antica”, , , pp. -. Critico M. Pallottino, in Saggi di Antichità, Roma , pp. -. Un quadro del passaggio dalla New Archaeology all’archeologia post-processuale è offerto da S. J. Lucy, Sviluppi dell’archeologia funeraria negli ultimi  anni, in N. Terrenato (a cura di), Archeologia teorica, Firenze , pp. -; inoltre A. Cazzella, Processual and Post-Processual Archaeology: Conciliation or Alternatives?, in A. Bietti, A. Cazzella, I. Johnson, A. Voorips, Theoretical and Methodological Issues. Colloquuium . The Debate on Function and Meaning in Prehistoric Archaeology: Processual versus Post-Processual Archaeology in the s. XIII International Congress of Prehistoric and Protohistoric Sciences (Forlì, Italy, September ), Forlì , pp. -. Sull’archeologia post-processuale e le implicazioni teoriche nella messa in pratica della disciplina: J. Barrett, Food, Gender and Metal: Questions of Social Reproduction, in M. L. S. Sorensen, R. Thomas (eds.), The Bronze Age-Iron Age Transition in Europe, “British Archaeological Report International Series”, , Oxford , pp. -; Id., Towards an Archaeology of Ritual, in P. Garwood, D. Jennings, R. Skeates, J. Toms (eds.), Sacred and Profane, Oxford , pp. ; I. Hodder, Leggere il passato, Torino ; M. Cuozzo, Prospettive teoriche e metodologiche nell’interpretazione delle necropoli: la Post-Processual Archaeology, in “AION. Archeologia e storia antica”, n. s. , , pp. -; Ead., Orizzonti teorici e interpretativi, tra percorsi di matrice francese, archeologia post-processuale e tendenze italiane: considerazioni e indirizzi di ricerca per lo studio delle necropoli, in Terrenato (a cura di), Archeologia teorica, cit., pp. -. Sulle dinamiche di genere: R. Gilchrist, Gender and Material Culture. The Archaeology of Religious Women, New York , pp. -; M. Diaz-Andreu, Identità di genere e archeologia: una visione d’insieme, in Terrenato (a cura di), Archeologia teorica, cit., pp. -. Sull’archeologia di genere sui contesti italiani: R. Whitehouse (ed.), Gender and Italian Archaeology. Challenging the Stereotypes, London , dove (p. ) le ricerche italiane vengono definite troppo legate a problemi tipologici o cronologici.



.

INTRODUZIONE

Sulle teorie socio-antropologiche: G. Gnoli, J.-P. Vernant (éds.), La mort, les morts dans les sociétés anciennes, Cambridge ; L. Gernet, Antropologia della Grecia antica, Milano ; J.-P. Vernant, Mito e pensiero presso i Greci, Torino ; B. d’Agostino, L. Cerchiai, Il mare, la morte, l’amore. Gli Etruschi, i Greci e l’immagine, Roma ; C. Montepaone, Lo spazio del margine. Prospettive sul femminile nella comunità antica, Roma-Paestum . Per una recente messa a punto sui metodi d’analisi e d’interpretazione delle necropoli antiche: S. Marchegay, M. H. Dinahet, J. F. Salles (éds.), Nécropoles et pouvoir. Ideologie, pratiques et interpretations, Paris . Studi recenti di complessi funerari italiani: A. M. Bietti Sestieri (a cura di), La necropoli di Osteria dell’Osa, Roma ; C. Iaia, Simbolismo funerario e ideologia alle origini di una civiltà urbana. Forme rituali nelle sepolture villanoviane a Tarquinia e Vulci e nel loro entroterra, Firenze ; inoltre, per Tarquinia: F. Trucco, D. De Angelis, C. Iaia, in A. M. Moretti Sgubini (a cura di), Tarquinia etrusca. Una nuova storia. Catalogo della mostra, Tarquinia , pp. -. Per Pontecagnano: B. d’Agostino, P. Gastaldi (a cura di), Pontecagnano. II.. La necropoli del Picentino. Le tombe della prima età del ferro, “Quaderni di AION. Archeologia e storia antica”, , Napoli ; S. De Natale, Pontecagnano II.. La necropoli di S. Antonio: prop ECI. Tombe della prima età del ferro, “Quaderni di AION. Archeologia e storia antica”, , Napoli ; P. Gastaldi, Pontecagnano II. . La necropoli del Pagliarone, “Quaderni di AION. Archeologia e storia antica”, , Napoli ; T. Cinquantaquattro, Pontecagnano. II. . L’agro picentino e la necropoli di località Casella, “Quaderni di AION. Archeologia e storia antica”, , Napoli . Per la determinazione delle classi d’età H. Vallois, Les races humaines, Paris . Sulle necropoli veienti di recente: G. Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio. Incontro di studio in memoria di Massimo Pallottino, Roma ; A. M. Moretti Sgubini (a cura di), Veio, Cerveteri, Vulci: città a confronto. Catalogo della mostra, Roma , pp.  ss. Su Populonia: A. Minto, Populonia. La necropoli arcaica, Firenze ; A. Minto, Populonia, Firenze ; F. Fedeli, Populonia. Storia e territorio, Firenze ; A. Romualdi, Populonia tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.C.: materiali e problemi dell’orientalizzante antico, in La presenza etrusca nella Campania meridionale, Firenze , pp. -; G. Bartoloni, La prima età del ferro a Populonia: le strutture tombali, in L’architettura funeraria a Populonia tra IX e VIII secolo a.C. Populonia , “Quaderni del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Sezione Archeologica, Università di Siena”, Firenze , pp. -. Sui recuperi a Velletri: O. Nardini, Scoperta di una necropoli preromana nel bosco comunale di Lariano, in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss.; P. G. Gierow; The Iron Age Culture of Latium, vol. II/, The Alban Hills, Lund , pp.  ss.; L. Drago Troccoli, I materiali protostorici, in Il Museo Civico di Velletri, Roma , pp.  ss. Sul complesso Valvisciolo-Caracupa: L. Savignoni, R. Mengarelli, La necropoli arcaica di Caracupa tra Norba e Sermoneta, in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss.; L. Savignoni, R. Mengarelli, Norba, in “Notizie degli Scavi”, , pp.



L E S O C I E T À D E L L’ I TA L I A P R I M I T I VA

 ss.; R. Mengarelli, R. Paribeni, Norma. Scavi sulle terrazze sostenute da mura poligonali presso l’Abbazia di Valvisciolo, in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss.; H. Müller-Karpe, in Beiträge zu italienischen und griechischen Bronzefunden, in “Prähistorische Bronzefunde”, XX, , pp. -; G. Bartoloni, G. Bergonzi, in Civiltà del Lazio primitivo, Roma , pp.  s.; M. Angle, A. Gianni, La morte ineguale: dinamiche sociali riflesse nel rituale funerario. Il caso della necropoli dell’età del ferro di Caracupa, in “Opus”, IV, , pp. -; Id., An Application of Quantitative Methods for a Socio-Economics Analysis of an Iron Age Necropolis in Latium, in “British Archaeological Report”, , , pp.  ss. Aspetti della necropoli di Castel di Decima: F. Zevi, A. Bedini, La necropoli di Castel di Decima, in “Studi Etruschi”, XLV, , pp.  ss.; F. Zevi et al., Castel di Decima (Roma). La necropoli arcaica, in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss.; F. Zevi, Alcuni aspetti della necropoli di Castel di Decima, in Lazio arcaico e mondo greco, in “Parola del Passato”, XXXII, , pp.  ss.; A. Bedini, F. Cordano, L’ottavo secolo nel Lazio e l’inizio dell’orientalizzante antico. Alla luce di recenti scoperte nella necropoli di Castel di Decima, in Lazio arcaico e mondo greco, cit., pp.  ss.; Id., Periodo III, in La formazione della città nel Lazio, in “Dialoghi di Archeologia”, n. s. , , pp.  ss.; G. Bartoloni, M. Cataldi Dini, Periodo IV A, in La formazione della città nel Lazio, cit.; G. Bartoloni, M. Cataldi Dini, F. Zevi, Aspetti dell’ideologia funeraria a Castel di Decima e altrove nel Lazio in periodo orientalizzante, in Gnoli, Vernant (éds.), La mort, les morts, cit., pp.  ss.; M. Bedello Tata, Memorie dal sottosuolo. Una pagina di scavo dalla necropoli di Castel di Decima (Museo dell’Alto Medioevo. Roma //-//), Roma . Per l’abitato e la necropoli dell’Acqua Acetosa Laurentina: A. Bedini, Struttura e organizzazione delle tombe “principesche” nel Lazio: Acqua Acetosa Laurentina: un esempio, in C. Ampolo, G. Bartoloni, A. Rathje (a cura di), Aspetti dell’aristocrazia fra VIII e VII secolo a.C., in “Opus”, III, , , pp.  ss.; Id., Abitato protostorico in località Acqua Acetosa Laurentina, in Archeologia a Roma. La materia e la tecnica nell’arte antica, Roma , pp.  ss. Relazioni preliminari sulla necropoli della via Collatina (La Rustica): P. Zaccagni, M. Guaitoli, in Civiltà del Lazio primitivo, cit., pp.  ss.; M. Guaitoli, in Enciclopedia dell’Arte antica, classica e orientale, II suppl., IV, Roma , s. v. Sulla cronologia tradizionale: Müller-Karpe, Beiträge zur Chronologie, cit.; R. Peroni, Osservazioni sulla cronologia della prima età del ferro nell’Italia continentale, in V. Bianco Peroni, I rasoi nell’Italia continentale, in “Prähistorische Bronzefunde”, VIII, , , pp.  ss.; G. Bartoloni, La cultura villanoviana. All’inizio della storia etrusca, Roma , p. . Sulle nuove proposte cronologiche: L. Sperber, Untersuchungen zur Chronologie der Urnenfelderkulture in nördlichen Alpenvorland von der Schweiz bis Oberösterreich, Bonn ; G. Belluomini, L. Manfra, A. Proposito, Lago di Bolsena: datazione con il Carbonio  di reperti sommersi e fluttuazioni oloceniche del livello delle acque, in “Il Quaternario”, , , pp. -; R. Skeates, R. Whitehouse, Radiocarbon Dating and Italian Prehistory, London ; A. Guidi, R. Whitehouse, Radiocarbon Chronology for the Bronze Age: The Italian Situation,



.

INTRODUZIONE

in K. Randsborg (ed.), Absolute Chronology-Archaeological Europe, - B.C., Copenaghen , pp. -; M. Pacciarelli, Nota sulla cronologia assoluta della prima età del ferro in Italia, in “Ocnus. Quaderni della scuola di specializzazione in archeologia”, IV, , pp. -; A. M. Bietti Sestieri et al., Un edificio della I età del ferro nell’abitato di Fidene (Roma): posizione stratigrafica, caratteristiche strutturali, materiali, in Atti del XIII Congresso Unione Internazionale delle Scienze preistoriche e protostoriche, Forlì , vol. , pp. -; A. J. Nijboer, J. van Der Plicht, A. M. Bietti Sestieri, A. De Santis, A High Chronology for the Early Iron Age in Central Italy, in “Palaeohistoria”, -, -, pp. -. Perplessità in I. Morris, The Absolute Chronology of the Greek Colonies in Sicily, Randsborg (ed.), Absolute Chronology-Archaeological Europe, cit., pp. -: pur considerando in generale stabile la cronologia assoluta della ceramica greca nell’VIII e VII secolo, ritiene che «before  b.C. the colonial evidence can contribute nothing, and to date the long Greek Dark Age, we must depend on evidence from the east Mediterranean and ultimately perhaps on carbon  dating and dendrochronology». Cfr. anche F. Cordano, Una risposta tardiva sul Lazio arcaico, in Studi in memoria di M. Attilio Levi, in stampa, con altra bibliografia. Sull’inizio delle aristocrazie nell’Italia tirrenica: G. Bartoloni, Le comunità dell’Italia centrale tirrenica e la colonizzazione greca in Campania, in Etruria e Lazio arcaico, in “Quaderni del Centro di studio per l’archeologia etrusco-italica”, XV, , pp. -; Ead., La cultura villanoviana, cit., pp.  ss.; G. Colonna, I Latini e gli altri popoli del Lazio, in G. Pugliese Carratelli (a cura di), Italia omnium terrarum alumna, Milano , pp.  ss.; M. Cristofani, M. Martelli, Lo stile del potere e i beni di prestigio, in J. Guilaine, S. Settis (a cura di), Storia d’Europa, vol. II, Preistoria e Antichità, Torino , pp. -; M. Martelli, Circolazione dei beni suntuari e stile del potere nell’Orientalizzante, in Viaggi e commerci nell’antichità. Atti VII Giornata archeologica (Facoltà di Lettere dell’Università di Genova), Genova , pp. -. Sulla mobilità in Italia durante l’VIII secolo a.C.: F. Delpino, Rapporti e scambi nell’Etruria meridionale villanoviana con particolare riferimento al Mezzogiorno, in Archeologia nella Tuscia, vol. II, “Quaderni di Archeologia etrusco-italica”, , Roma , pp. -. Sui rapporti con il Vicino Oriente: M. Martelli, I Fenici e la questione orientalizzante in Italia, in Atti del secondo congresso internazionale di studi fenici e punici, Roma , pp. -; F. W. von Hase, Ägäische, griechische und vorderorientalische Einflüsse auf das tyrrhenische Mittelitalien, in Beiträge zur Urnenfelderzeit nördlich und südlich der Alpen, Bonn , pp. -. Sulla brocca fenicia da Tarquinia: M. Botto, Il commercio fenicio fra Sardegna e costa tirrenica nella fase precoloniale: considerazioni sulla patera di bronzo  di Castel di Decima, in Actes du IIIe congrès international des études phéniciennes et puniques, Tunis , pp. -. Sulla colonizzazione greca in Occidente: F. Cordano, Antiche fondazioni greche, Palermo ; sulle colonie del golfo di Napoli: D. Ridgway, L’alba della Magna Grecia, Milano ; B. d’Agostino, D. Ridgway (a cura di), Apoikia. I più antichi insediamenti greci in Occidente: funzioni e modi dell’organizzazio-



L E S O C I E T À D E L L’ I TA L I A P R I M I T I VA

ne politica e sociale, “Quaderni di AION. Archeologia e storia antica”, , Napoli ; M. Bats, B. d’Agostino (a cura di), Euboica. L’Eubea e la presenza euboica in Calcidica ed in Occidente, Napoli ; D. Ridgway, The First Western Greeks Revisited, in Ancient Italy in its Mediterranean Setting. Studies in Honour of Ellen Macnamara, London , pp. -; sui rapporti pre-coloniali: F. Delpino, I Greci in Etruria prima della colonizzazione euboica: ancora su crateri, vino, vite e pennati nell’Italia centrale tirrenica, in Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit., pp. -; G. Bailo Modesti, P. Gastaldi, Prima di Pitecusa. I più antichi materiali nel golfo di Salerno, Napoli ; G. Bartoloni, A. Berardinetti Insam, L. Drago, Le comunità della bassa valle tiberina prima della colonizzazione, in F. Krinzinger (hrsg.), Die Ägäis und das Westliche Mittelmeer. Beziehungen und Wechselwirkungen. . bis . Jhr. v. Chr., Wien , pp. -; D. Ridgway, in Magna Grecia e Oriente mediterraneo prima dell’età ellenistica. Atti del trentanovesimo convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto , pp. -. Sui materiali indigeni trovati a Pitecusa: G. Buchner, D. Ridgway, Pithekoussai , in “AION. Archeologia e storia antica”, , , pp.  ss.; Bartoloni, Le comunità dell’Italia centrale tirrenica, cit. Sull’iscrizione etrusca da Pitecusa: G. Colonna, Etruschi a Pitecusa nell’orientalizzante antico, in A. Storchi Marino (a cura di), L’incidenza dell’antico. Studi in memoria di Ettore Lepore, vol. I, Atti del Convegno Internazionale, Napoli , pp. -. Sul ripostiglio di San Francesco di recente: G. Sassatelli, C. Morigi Govi, Felsina etrusca, in F. Bocchi (a cura di), Atlante storico delle città italiane. Bologna, Bologna , pp. -. Sulle importazioni di ceramiche geometriche a Veio: F. Boitani, La ceramica greca o di tipo greco a Veio nell’VIII secolo a.C., in Sgubini Moretti (a cura di), Veio, Cerveteri, Vulci, cit., pp. -. Sulla cultura orientalizzante in Etruria: G. Colonna, in C. Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi. Tra Mediterraneo ed Europa, Bologna , pp. -. Sui riferimenti ai racconti sulle origini di Roma: Colonna, I Latini e gli altri popoli, cit., pp.  s. Moses I. Finley, a cui si deve l’avvio allo studio degli aspetti economici e sociali dei poemi omerici, poneva il contesto culturale di questi nel X-IX secolo a.C., cioè l’inizio dei secolo bui (M. I. Finley, Il mondo di Ulisse, Bari ). Per una datazione più bassa, tra gli altri, A. M. Snodgrass, The Dark Age of Greece, Edinburgh , cap. ; J. N. Coldstream, Geometric Greece, London , cap. ; O. Murray, Early Greece, London ; R. Hägg (ed.), The Greek Renaissance of the Eighth Century B.C. Tradition and Innovation, Stockholm ; A. C. Cassio, Keînov, kallistéfanov e la circolazione dell’epica in area euboica, in B. d’Agostino, D. Ridgway (a cura di), APOIKIA. Scritti in onore di Giorgio Buchner, in “AION. Archeologia e storia antica”, n. s. , , pp.  ss.; E. Scheid Tissinier, L’homme grec aux origines de la cité (- av. J.-C.), Paris . Per i confronti tra poemi omerici e le testimonianze archeologiche, ad esempio: L. H. Lorimer, Homer and the Monuments, London ; V. Karagheorghis, Cipro “omerica”, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit.,



.

INTRODUZIONE

pp. -, con riferimenti bibliografici. Sulle fonti greche, inoltre, F. Montanari, Introduzione a Omero con un’appendice su Esiodo, Firenze ; C. Ampolo, Il mondo omerico e la cultura orientalizzante mediterranea, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., pp. -. Sull’economia di dono di recente E. Scheid Tissinier, Les usages du don chez Homère, Nancy . Per la citazione di D. Musti, L’economia in Grecia, Roma-Bari , p. . Sui profeti della Bibbia: J. Briend, Amos et Osée: deux prophètes face au pouvoir, in A. Lemaire (éd.), Le monde de la Bible, Paris , pp.  ss. Sulla documentazione archeologica e i riferimenti biblici relativi al regno d’Israele: I. Finkelstein, N. Asher Silberman, Le tracce di Mosè. La Bibbia tra storia e mito, Roma , pp.  ss.



 I riti funerari e la tomba

Nell’Italia protostorica sono ampiamente attestati sia il rito dell’incinerazione che quello dell’inumazione. Non risulta mai testimoniata una opposizione sistematica fra i due riti. Certo è, però, che ciascuno dei due mostra una precisa fisionomia e altrettanto precise valenze, ideologiche non meno che “materiali”. Come ha recentemente messo in evidenza Renato Peroni, l’opposizione tra inumazione e cremazione nella protostoria italiana deve essere considerata assoluta, «in quanto in maggior o minor misura coinvolge ogni aspetto del rituale funerario dalla forma e struttura della tomba alla composizione del corredo» (Peroni, , p. ). L’inumazione, sempre secondo Peroni, non dovrebbe implicare direttamente la divinità, mentre nell’incinerazione è evidente una concezione sacrificale e quindi il rapporto stretto con essa. Gli usi funerari presentano, come è stato notato anche per l’ambiente greco, forme diverse a seconda dei luoghi: se ad Atene prevale il rito dell’inumazione, a partire dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C., a Eretria e nelle colonie greche del golfo di Napoli tutti gli adulti, uomini e donne, vengono incinerati e solo adolescenti e bambini vengono inumati. Nella stessa Attica, mentre ad Atene (nei sepolcreti di Odos Peiraios e di Kynosarges) si usa l’inumazione, nel ricco cimitero di Odos Kriozou si conserva il rito incineratorio, dando l’impressione di un gruppo aristocratico con atteggiamenti conservatori. Anche nell’Iliade il rituale dell’incinerazione, pur se prevalente, non è esclusivo, come mostra la probabile inumazione di Sarpedonte (Iliade, XVI, , -). A Roma le fonti scritte attestano già dal periodo regio più antico l’uso dei due riti: Plutarco, nella vita di Numa Pompilio, riporta che «non arsero il suo cadavere, perché egli lo aveva vietato, a quanto si dice; fecero due arche di pietra e le interrarono ai piedi del Gianicolo» (Plutarco, Numa, , , trad. Manfredini). Pur ricordando le perplessità più volte espresse sulla fonte plutarchea, relativa alla scelta di rituale attribuita alla connessione con teorie pitagoriche, la cronologia dell’episodio sembra trovare conferme in altre fonti. Alla coesistenza dei due riti si riferi

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sce Plinio (Naturalis historia, XIV, , ) accennando alle leges regiae, riferite a Numa: Numae regis posthumi legis est: vinum rogum ne respargito, chiarito da Festo ( L.) con il relativo escerto di Paolo Diacono ( L.): Resparsum vinum significat quod in sacris n)ovendia(libris vino mortui sepulchrum) spargebatur (K. O. Müller), disposizione ricalcata nelle XII Tavole (X, : ne sumptuosa respersio). Questa norma appare dunque essere l’anticipazione di una prescrizione contenuta nelle XII Tavole, in cui troviamo altre disposizioni che attestano la coesistenza antica dei due riti: Hominem mortuum in urbe ne sepelito neve urito (X, ); neve aurum addito, at cui auro dentes uincti escunt, ast cum illo sepeliet uretve, se fraude esto (X, ). Le norme prescritte nelle XII Tavole si fanno risalire almeno allo scorcio del VII secolo a.C., quindi è presumibile che quando queste entrarono in vigore ambedue i riti fossero già in uso, come attestano del resto fosse d’inumati e urnette cinerarie dalla necropoli esquilina, databili in pieno VII secolo a.C. È stato messo in evidenza (Audin, ) come non sia mai attestata storicamente una opposizione sistematica tra i due riti e che nessuno dei due sembra caratteristico di un determinato tipo di cultura. Contro l’opinione che a Roma la coesistenza dei due riti si potesse spiegare con un dualismo etnico, Dumézil ha ribadito come non si debba pensare né a cambiamenti etnici né a grossi mutamenti culturali (Dumézil, ). Giannelli aveva già sostenuto che di un dualismo etnico «non vi è traccia nelle istituzioni e nella storia di Roma arcaica» (Giannelli, in Giannelli, Mazzarino, , p. ). A partire dal IX secolo a.C., prima nel Lazio, successivamente in Etruria, il rito inumatorio prevale su quello incineratorio, esclusivo nei secoli precedenti. Nella fase più recente della prima età del ferro, questo costume viene sostituito ovunque dalla pratica inumatoria, la quale presenta il vantaggio di essere più veloce e meno dispendiosa. In Etruria e nelle aree culturalmente affini l’inumazione prevale dalla fine dell’VIII secolo a.C. Eccezionalmente sono attestate tombe di guerrieri inumati e nei sepolcreti a inumazione dell’VIII e VII secolo si sono rinvenuti ricchi corredi funerari appartenenti a principi armati incinerati. A Roma e nel Lazio dall’inizio dell’VIII secolo l’uso dell’inumazione appare esclusivo, con pochissime eccezioni maschili e femminili. Esemplificativa della resistenza ideologica al rito incineratorio nel Lazio è la deposizione della tomba di guerriero  di Castel di Decima (metà dell’VIII secolo a.C.): le ceneri, miste ai resti delle ossa, sono state deposte nella fossa con gli oggetti del corredo deposti come se si trattasse di una inumazione. La tomba a fossa terragna sostituisce il pozzo o la buca, tipici delle incinerazioni più antiche. Queste fosse appaiono generalmente coperte 

.

I RITI FUNERARI E LA TOMBA

da gruppi di pietre o tufi oppure, come a Veio, da grandi blocchi di tufo, più o meno accuratamente scolpiti, talvolta crestati o displuviati. Il morto era disteso supino completamente abbigliato: con più ornamenti le donne, con le armi gli uomini e ambedue i sessi con oggetti pertinenti al corredo d’accompagno. Questo, costituito per lo più da vasellame ceramico, appare usuale in tutte le deposizioni sia a inumazione che a incinerazione. L’aumento degli oggetti di corredo potrebbe essere attribuito, oltre che a un desiderio di esibizione di ricchezza, a una più complessa cerimonia funebre; indubbio è che ovunque, nell’Italia antica, il rito dell’inumazione è accompagnato da un maggior numero di oggetti e da corredi più articolati che nelle coeve tombe a incinerazione. Si analizzeranno più specificatamente gli esempi delle necropoli di Populonia e di Veio in Etruria, con riferimenti a casi particolari di quelle della Acqua Acetosa Laurentina e di Osteria dell’Osa nel Lazio.

. Incinerazione e inumazione: il caso di Populonia Per quanto riguarda il rituale funerario, è stato più volte sottolineato come Populonia mostri caratteristiche peculiari rispetto alle altre comunità villanoviane. Non si nota in questo sito quella rigidità di rituale riscontrabile nelle altre antiche comunità dell’Etruria durante il momento più antico della cultura villanoviana, dove le deposizioni, quasi tutte a incinerazione, appaiono corredate esclusivamente dall’ossuario e da pochi segni indicanti il genere e raramente il ruolo del defunto. Tale omogeneità, più che con una effettiva mancanza di articolazioni interne alla comunità, appare spiegabile con una scelta ideologica. A Populonia invece, in contrasto con la vicina Vetulonia, appare assai precocemente il rito dell’inumazione in fossa. Nelle necropoli di Populonia sembrano testimoniati contemporaneamente (almeno dalla fine del IX secolo a.C.) l’uso del rito dell’incinerazione in vasi biconici e ovoidi e in urna a capanna, deposti entro pozzi o all’interno di tombe a camera, e quello inumatorio in tombe a fossa e a camera. Esclusivamente a incinerazione risulta un piccolo gruppo di tombe localizzato recentemente () nel Poggio della Porcareccia, nella zona centrale del golfo di Baratti; gli scarsi dati di scavo non permettono però più di una generica attribuzione alla cultura villanoviana. Le de

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posizioni più antiche di questo centro si concentrano nell’area del podere di San Cerbone e nella zona delle Granate, dove le sepolture di inumati, soprattutto a partire dalla fine del secolo, sono intervallate con quelle dei cremati. Le tombe del gruppo centrale, messe in luce prima da Milani e poi da Minto, pur distinte in diversi nuclei (San Cerbone, tra le tombe dei carri e dei letti funebri, Casone, spiaggia di Baratti e Poggio della Porcareccia), penso siano da riferire a un unico complesso. Purtroppo, non esiste una documentazione grafica sulla struttura di queste tombe: sono presenti sia tombe a incinerazione che a inumazione. Le prime, molto semplici, sono distinte da Minto in tombe a pozzetto e tombe a buca, cioè a pozzo irregolare che sembrano prevalere; queste ultime sono spesso rivestite da lastre di pietra. Fabio Fedeli riferisce, a proposito dello scavo nel  sulla spiaggia di Baratti, di una deposizione di incinerato del pieno IX secolo a.C. in una buca di forma ellittica, «la cui imboccatura era delimitata da una ghiera di lastre di arenaria sulla quale dovevano poggiare i lastroni di copertura» (Fedeli, Galiberti, Romualdi, , p. ): sembra che i resti delle ceneri di un adulto e di un bambino, deposti insieme, come appare comune, ad esempio, nella necropoli veiente di Quattro Fontanili, fossero stati adagiati sul fondo rivestito da lastre senza ossuario. Sono attestate cassette litiche quadrangolari o rettangolari per la deposizione dell’ossuario e del corredo (ad esempio San Cerbone, tomba , una delle più antiche della necropoli), come a Tarquinia nelle necropoli dei Poggi. Anche le tombe a fossa di San Cerbone appaiono per lo più di un tipo molto semplice; solo in pieno VIII secolo sono attestate tombe con le pareti rivestite da lastroni di calcare, che formano una sorta di cassone. Ciononostante, le incinerazioni in uso ancora nell’VIII secolo appaiono più numerose (il doppio) di quelle a fossa (con un rapporto del  per cento contro il  per cento). Diverso il quadro nella necropoli di Piano e Poggio delle Granate, dove una tomba a fossa è documentata nel momento più antico di uso della necropoli, generalmente a carattere incineratorio (villanoviano IA). La tomba  di Piano delle Granate, inquadrabile nel pieno IX secolo a.C., presentava le pareti rivestite da muretti a secco. Altre leggermente più recenti avevano le pareti rivestite di lastroni di calcare, in modo da costituire una sorta di cassone. Anche le tombe a pozzo più antiche presentavano le pareti rivestite di pietre. Nella fase più antica di vita della necropoli l’uso del rito dell’inumazione risulta, in base ai dati degli scavi Minto, di poco inferiore a quello dell’incinerazione ( e  per cento). Molte delle tombe di questa fase più antica però sono state purtroppo rinvenute danneggiate dall’azione erosiva del mare. 

.

I RITI FUNERARI E LA TOMBA

La contemporaneità nell’uso dei due riti, oltre che dall’analisi dei corredi funerari, ci viene fornita dai dati di scavo: spesso due sepolture, l’una a pozzo e l’altra a fossa, sono ubicate a brevissima distanza e alla medesima profondità, coperte talvolta – come a Piano delle Granate, gruppi ,  e  – da uno stesso tumulo di pietre. A causa della confusione dei corredi di questi gruppi di tombe non è possibile stabilire una preferenza del rituale a seconda del sesso: gli ossuari rinvenuti isolati nella necropoli sono quasi tutti privi di corredo e quindi di elementi caratterizzanti il genere. L’inumazione appare dunque assai precocemente a Populonia, anche se nell’Etruria settentrionale il rito incineratorio continua a prevalere anche nel VII secolo a.C. Tra le più antiche inumazioni, particolare interesse suscita la già citata tomba a fossa  della necropoli di Piano delle Granate (scavi Minto del ), ubicata nella parte di necropoli sulla spiaggia del golfo di Baratti, in parte mangiata dall’azione marina e da porre all’inizio della sequenza cronologica delle tombe populoniesi della prima età del ferro. In questa fossa di grandi dimensioni e, come le altre, rivestita da lastre calcaree, a formare secondo Minto una sorta di cassone, era deposto un guerriero con una spada a lingua di presa, datata dalla Bianco Peroni ai primi inizi dell’età del ferro. Conferma a tale datazione può venire dalla tomba a ziro (interpretata anche come ripostiglio) di Montagna di Campo (Isola d’Elba), dove è attestata una spada dello stesso tipo, complesso datato da Filippo Delpino non oltre la fase iniziale della prima età del ferro. La presenza di armi in contesti così antichi in ambito villanoviano sia settentrionale che meridionale risulta un’eccezione. La qualifica di guerriero è in genere indicata a partire dagli anni centrali del IX secolo da elementi simbolici, quali gli elmi d’impasto pileati a calotta apicata, analogamente a quanto avviene nella limitrofa area laziale, dove le armi sono deposte solo nella forma miniaturizzata. Un’altra eccezione a questo quadro è fornita dalla tomba  di Pontecagnano, a inumazione, datata negli anni centrali del IX secolo, contenente una panoplia completa: oltre alla spada e alla punta di lancia, associazione costante nelle più tarde deposizioni di guerrieri eminenti, una punta di giavellotto e un paio di schinieri, considerati un’importazione dalla Calabria. L’armatura e il rito fanno avvicinare questa tomba ai limitrofi sepolcreti della Fossakultur. Appare evidente in questa deposizione la volontà di ribadire il legame con le genti indigene rispetto agli incineratori venuti dall’Etruria meridionale. Analogamente, nella euboica Lefkandi si trovano tombe di guerrieri inumati in una necropoli a incinerazione: Popham e Sackett hanno attribuito questo fenomeno alla volontà dei leader di riallacciarsi al costume di età eroica micenea, considerandosi essi discendenti di gen

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ti micenee. Altra precoce inumazione in ambito villanoviano è attestata nella necropoli ceretana del Sorbo, nella tomba . Anche in questo caso si può pensare a un legame con la vicina area laziale marittima, dove l’inumazione appare ormai prevalente. L’inumazione di guerriero di Piano delle Granate, anomala quindi per gli inizi della cultura villanoviana, soprattutto nell’Etruria settentrionale, deve pertanto essere attribuita a un’influenza esterna, non potendo riferirla al richiamo di avi inumatori in un’area dove almeno da tre secoli il rito in uso era quello incineratorio. Come negli altri esempi sopra menzionati, ritengo che il rito e il corredo diverso, tale da differenziare ed esaltare l’individuo deposto rispetto agli altri membri della comunità, si possano talvolta spiegare con una connessione con genti esterne, in qualche modo finitime. Indicativo, a questo proposito, come in gran parte dell’Europa, soprattutto nella tarda età del bronzo, sia comune la deposizione di capi connotati come guerrieri, generalmente inumati. Un riferimento naturale appare quello alle genti delle grandi isole del Tirreno: purtroppo, le nostre conoscenze dell’ideologia funeraria in Corsica e Sardegna per l’inizio dell’età del ferro sono molto scarse. In Corsica, l’isola raggiungibile a vista dal golfo di Baratti, conosciamo prevalentemente deposizioni collettive in grotta o incinerazioni e inumazioni in monumenti a torre. Le inumazioni singole, che ho potuto esaminare, appaiono almeno di VII secolo a.C. Per la Sardegna, come ha ribadito Fulvia Lo Schiavo, la generale assenza di corredo individuale nelle deposizioni, insieme all’assenza di ornamenti e di oggetti di lusso personali, contrasta in modo evidente con una situazione economica tutt’altro che arretrata. Appare generalizzato nell’età nuragica per tutta l’isola l’uso di seppellire i defunti praticamente senza corredo e in tombe collettive. Pochissimi appaiono per ora i casi di sepolture individuali. In un recente scavo sono stati recuperati presso il tempio di Antas tre pozzetti, considerati da Ugas e Lucia inquadrabili nella prima età del ferro e contenenti inumati deposti in ginocchio o rannicchiati, come le deposizioni più tarde di Monte PramaCabras: «l’uso della sepoltura individuale non sostituisce le precedenti tombe collettive dove si inumavano ricchi e poveri senza distinzione di classi» (Lilliu, , p. ). Interessante nella tomba  di Antas il rinvenimento nel corredo di una statuina in bronzo di guerriero. A Is Aruttas-Cabras tombe a inumazione singola con scheletro rannicchiato e vasellame ceramico presentano forma emisferica e sono evidenziate da segnacoli a crescente lunare. Più interessante per il nostro tema e per il confronto con la tomba con armi di Populonia appare la tomba a fossa con delimitazione e copertura di lastre di Senorbi, pertinente a un guerriero per la presenza nel corredo di una panoplia pressoché completa 

.

I RITI FUNERARI E LA TOMBA

(spada corta e corazza-spallacci): un tipo di deposizione, mi sembra, alla luce delle nostre conoscenze, considerata anomala anche in Sardegna. In ambito nuragico, il ruolo del guerriero appare enfatizzato dall’enorme numero di bronzetti figurati o da altri ex voto, come le faretrine o le punte di lancia. In confronto con quanto avviene contemporaneamente nella penisola italiana, sembra venga dato scarso valore all’ideologia funeraria, in contrasto con lo stadio socio-economico raggiunto. L’introduzione precoce dell’inumazione a Populonia può essere però collegata al rapporto frequente e continuativo con le genti delle grandi isole del Tirreno; rapporto che deve essersi avviato almeno dall’inizio del IX secolo a.C., se si segue la cronologia alta della produzione dei bronzetti importati. Esemplificativo della coesistenza dei due rituali è lo scavo della ricca tomba a camera  di Poggio del Molino o del Telegrafo, piccola necropoli a sud del golfo di Baratti a carattere evidentemente gentilizio. Il rito funebre associato alle tombe a camera, come vedremo precocemente attestate a Populonia come deposizione della famiglia nucleare, è generalmente quello inumatorio, ma in questa tomba sono sepolti quattro individui: un giovane e un adulto inumati, gli altri due, rispettivamente di sesso maschile e femminile, incinerati. Purtroppo, non è possibile distinguere tra i materiali recuperati, inquadrabili per lo più sullo scorcio del IX secolo a.C., i singoli corredi: certamente è riconoscibile una ricca acconciatura femminile costituita da un bellissimo cinturone sbalzato e da numerose fibule ad arco foliato o rivestito di dischi d’ambra con staffa a disco spiraliforme; i due elmi e i due puntali di lancia potrebbero essere attribuiti alle armature di due individui diversi, anche se non è raro trovare armi plurime in una stessa deposizione. Non riterrei il rito incineratorio come parametro di anteriorità nelle deposizioni della tomba a camera di Poggio del Molino (Fedeli, , p. ), ma piuttosto indizio di una differenziazione di ruoli: si potrebbe, anche se naturalmente in via del tutto ipotetica, riferire il rito incineratorio alla coppia dei genitori, mentre l’inumazione ai figli, di cui uno morto ancora giovane e l’altro già adulto, ma senza ancora un ruolo specifico nel gruppo. A Tarquinia le tombe a inumazione di inizio VIII secolo a.C., nell’orizzonte a cavallo fra le fasi I e II, appaiono riservate a individui di età giovanile. A Poggio dell’Impiccato un gruppo di inumazioni, riconoscibili come infantili per le dimensioni dei sarcofagi, appaiono nettamente distinte dalle incinerazioni. Alle Arcatelle, invece, singole deposizioni infantili in sarcofago sono in stretto rapporto con cremazioni maschili di alto rango: tre cassette con inumazioni infantili circondavano una tomba di guerriero. 

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. Inumazioni e incinerazioni: il caso di Veio A Veio, a partire dagli anni finali del IX secolo a.C. (Toms – Veio IC), come i corredi tombali si mostrano differenziati, così anche il tipo di struttura tombale appare più o meno complesso: accanto a pozzi e a fosse semplici, indicanti rispettivamente il rituale dell’incinerazione (Quattro Fontanili: ; Grotta Gramiccia-Casal del Fosso: ) e quello dell’inumazione (Quattro Fontanili: ; Grotta Gramiccia-Casal del Fosso: ), sono attestati pozzi e fosse corredati da loculi per contenere talvolta il corredo, talvolta il morto. I vari tipi di tombe non risultano differenziati per sesso, ma generalmente una struttura più complessa corrisponde a corredi più articolati. Solamente l’inumazione in sarcofago di tufo (lungo tra  e  cm) sembra peculiare dell’età preadulta: ai Quattro Fontanili tale tipologia tombale, piuttosto rara e attestata soprattutto nell’inoltrato VIII secolo a.C., sembra riservata a infanti di sesso femminile (su otto attestazioni, sei sono riferibili a bambine, due sono indeterminati). Frequente è la deposizione multipla (adulto di ambo i sessi e infante) sia nelle tombe a incinerazione che a inumazione. Dopo un iniziale uso dell’incinerazione in pozzi semplici, a partire dalla fine del IX secolo gli ossuari possono essere deposti in custodie di tufo: eccezionale è l’attestazione in una tomba a pozzo di un sarcofago di tufo contenente i resti di un guerriero incinerato. Ancora alla fine del IX secolo nelle necropoli veienti appare il rito inumatorio, che coesiste con quello incineratorio fino a poco dopo la metà dell’VIII secolo (Toms – Veio IIA), ma in netta prevalenza a mano a mano che ci si allontana dai decenni iniziali del secolo. I pochi ossuari di questo periodo risultano custoditi in grandi contenitori fittili (doli). Coevo e ugualmente raro nelle tombe a pozzo è l’uso del loculo per contenere i ricchi corredi funerari. La precoce accettazione del rito dell’inumazione a Veio, rispetto ad altri centri anche della stessa Etruria meridionale, ad esempio Tarquinia, deve essere attribuita molto probabilmente alla sua posizione di confine, che spesso ne ha facilitato i contatti con le aree culturali limitrofe. Le fosse di inumati appaiono per lo più del tipo semplice, rettangolare allungato con corredo sparso sopra al morto, che è spesso deposto su un tronco d’albero o in una cassa lignea, con la testa rivolta a est. Il numero degli oggetti di corredo aumenta progressivamente con una decisa distinzione tra deposizioni maschili e femminili. Dai decenni centrali dell’VIII secolo a.C. (Toms – Veio IIB) è attestato l’uso di un loculo 

.

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per deporre gli oggetti del corredo di accompagno. Parallelamente appare anche l’uso di deporre il corpo nel loculo, chiuso generalmente con lastre di tufo: la presenza di due loculi, l’uno per il corredo l’altro per il corpo, appare un fenomeno speciale (Grotta Gramiccia: ). L’esame della stratigrafia orizzontale di ciascun sepolcreto evidenzia, dopo una occupazione libera della parte centrale dei pianori, un’articolazione delle tombe in gruppi più o meno consistenti, probabilmente pertinenti a gruppi familiari allargati, riconoscibili non solo in base alla loro disposizione sul terreno, ma anche per la concomitanza di caratteri peculiari del rituale e del corredo. È possibile ad esempio riconoscere nella necropoli dei Quattro Fontanili, nella prima metà dell’VIII secolo, gruppi che scelgono il rito incineratorio, altri che preferiscono quello inumatorio, altri infine dove gli uomini sono incinerati e le donne inumate; durante la seconda metà del secolo, accanto al maggior numero di nuclei con i morti inumati in fosse o in fosse con loculo, sono attestati alcuni gruppi dove solo gli uomini vengono cremati. La scelta del rito è quindi da attribuire alla volontà delle singole famiglie, come più tardi ci viene riferito dalle fonti per le famiglie romane. Nella Roma repubblicana è ampiamente documentata la divisione tra gentes inumanti e gentes incineranti. Cicerone ricorda ad esempio (De legibus, II, , -) come tra la gens Cornelia fosse adottato solo il rito inumatorio e Plinio (Naturalis historia, VII, , ) parla dell’uso dei vari riti legato a famiglie e non a singoli personaggi. A un gruppo di inumatori appartiene la ricca tomba  di Casal del Fosso, pertinente sicuramente a un individuo ai vertici della comunità veiente: la tomba a fossa con grande loculo sepolcrale, caratterizzata da elementi di prestigio, è stata rinvenuta isolata in coppia con una ricca tomba a fossa femminile (tomba ) al limite sud-orientale del pianoro. La netta separazione spaziale dalle altre sepolture sottolinea la volontà di distinzione di queste deposizioni. A una famiglia con aspetti più tradizionali, che le fanno preferire il rito incineratorio degli avi, è riferibile il gruppo cui appartiene un’altra più o meno coeva tomba di capo guerriero, la Z  A di Quattro Fontanili, con le ceneri deposte in un contenitore importato di lusso, una cista a cordoni di bronzo, coperta dal tradizionale elmo crestato: anche la collocazione in posizione abbastanza centrale del sepolcreto a ridosso del nucleo più antico qualifica lo stato sociale di questo gruppo. Un rituale misto, incinerazione per gli uomini e inumazione per le donne, è attestato nel gruppo cui appartiene l’altra prestigiosa tomba di guerriero di Quattro Fontanili, la tomba AA, leggermente più antica delle altre e posta al centro, sembrerebbe in posizione isolata; a questo clan familiare sono state attribuite dieci deposizioni a incinerazione e 

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nove a inumazione: le ceneri di cui è possibile riconoscere il sesso sono maschili, i resti degli scheletri sono femminili. In una tomba a fossa con loculo, tra le più antiche del gruppo (Toms – Veio IIA), è deposta una donna e un bambino (nel loculo). Alcune coppie di tombe (ad esempio, ZAAa maschile a incinerazione e AABBa femminile a inumazione) sono in chiaro collegamento tra loro e talvolta si intersecano. Già tra le deposizioni più antiche, della fine del IX secolo a.C. (Toms – Veio IC), si nota una certa ricchezza nei corredi sia maschili che femminili: si tratta indubbiamente di un gruppo familiare, attestato fino al momento finale di uso della necropoli, che include individui che si distinguono per il rango elevato. Proveniente da Veio è stato considerato un guerriero incinerato nella laziale Gabii (Osteria dell’Osa, tomba ), dove nell’VIII secolo a.C. l’inumazione appare il rito esclusivo. Il defunto, pur non appartenendo per nascita alla comunità laziale, sembrerebbe aver «vissuto al suo interno, completamente integrato nella comunità locale, conservando il rango elevato che ricopriva nella comunità di origine» (De Santis, , p. ), analogamente a quanto dalla tradizione scritta viene riferito per il secolo successivo su Tarquinio Prisco o dalle fonti archeologiche per il Rutile Hipukrates probabilmente sepolto a Tarquinia nell’orientalizzante medio. La testimonianza della tomba gabina rivelerebbe un esempio di mobilità aristocratica già nella seconda metà dell’VIII secolo a.C. A Osteria dell’Osa, nello stesso secolo, solo due donne sono state rinvenute incinerate: l’una (tomba , caratterizzata dalla presenza della brocca (FIG. .) con iscrizione in alfabeto greco: eulin), ribadendo l’aspetto aperto della comunità, è stata considerata anch’essa “straniera”, o almeno legata ai rituali greci, l’altra, una giovane di - anni (tomba ), risulta deposta nel gruppo più consistente della necropoli di questo periodo in posizione centrale, quindi in funzione di “capostipite”. Stesso ruolo si può attribuire all’incinerato della tomba  della necropoli dell’Acqua Acetosa Laurentina, al centro di un grande circolo (III) di  m di diametro, entro il quale sono deposte le inumazioni del resto della famiglia. Altro esempio di mobilità è stato visto nel guerriero deposto nella tomba  di Cuma-Fondo Artiaco: un etrusco sepolto nella colonia greca (Strøm, , p. ). Gli stretti rapporti dell’Etruria con Cuma all’inizio dell’orientalizzante sono del resto resi manifesti dalla citata iscrizione di Hisa Tinnuna rinvenuta a Cuma, indizio probabile di mobilità aristocratica e sicura attestazione di stretti rapporti di ospitalità (Colonna, ). Ritornando a Veio, ancora nelle fasi successive sono documentate famiglie con rituale misto: esemplificativo il caso della tomba a came

.

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ra  di Monte Michele (necropoli alle spalle – nord-est – di quella di Quattro Fontanili), con ambedue gli individui di sesso maschile incinerati. La deposizione nella camera principale, inquadrabile nel secondo quarto del VII secolo a.C., è attribuita a un uomo adulto incinerato (- anni), per cui appare costruita la tomba. Le ceneri del morto sono avvolte in un panno e deposte in un’urna “a capanna” bronzea, e sono accompagnate da un corredo “principesco”. Nella cella destra, riferita a un giovane di  anni circa, le ceneri sono raccolte in un’olla di argilla depurata dipinta e il corredo non mostra particolari indicatori di prestigio. Tra le cinquanta tombe di Veio riferibili all’orientalizzante medio, periodo in cui viene datato il complesso principesco di Monte Michele, solo un’altra deposizione, la tomba V della necropoli di Riserva del Bagno, risulta a incinerazione. Il gruppo di tombe rinvenute nella zona orientale della necropoli di Monte Michele e quelle rinvenute nel sepolcreto di Riserva del Bagno (FIG. .), ambedue piccoli gruppi separati da altri nuclei sepolcrali, devono essere considerati pertinenti a famiglie emergenti che si distinguono non solo per la ricchezza dei corredi o dei monumenti funerari, talvolta dipinti, ma anche per la disposizione particolare delle loro tombe nella topografia delle necropoli veienti, di cui costituiscono piccoli agglomerati familiari. Nel corso del VII secolo, quindi, a Veio e nel suo territorio (come mostrano i rinvenimenti di Malagrotta) l’uso del rito incineratorio è prerogativa solo dei membri maschili adulti di famiglie che dovevano aver raggiunto una eccezionale dignità, messa in rilievo non solo dalla ricchezza del corredo, ma anche da un rituale speciale. L’incinerazione, nel pieno periodo orientalizzante, risulta di rado attestata nel resto dell’Etruria meridionale e centrale o nell’agro falisco: è testimoniata, infatti, esclusivamente in alcuni contesti emergenti (“principeschi”), riferibili a individui di sesso maschile, che la presenza di armi connota come guerrieri; le ceneri sono raccolte in contenitori metallici, in anfore o in olle di bronzo e solo eccezionalmente in urne a capanna di bronzo o d’argento. Il rituale dell’inumazione, ampiamente prevalente, appare attestato però anche per personaggi maschili di livello eminente, ad esempio a Marsiliana d’Albegna (circolo della Fibula, circolo di Perrazzeta, circolo degli Avori) o a Populonia (tomba dei Flabelli), dove, come si è detto, il rituale dell’inumazione appare decisamente in età più precoce che altrove. A Vetulonia, invece, per capi guerrieri sono attestati ambedue i riti: il defunto (o i defunti) della tomba del Duce risulta incinerato, mentre quello della tomba del Littore inumato. A Chiusi, ossuari antropomorfi (i cosiddetti canopi) sono stati indicati come distintivi del ceto emer

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gente (Rastrelli, , p. ): spesso sono disposti su un trono e, a ulteriore testimonianza della loro autorità, sono corredati di armi e di insegne del potere. A Pontecagnano l’uso dell’incinerazione per due tombe decisamente eccezionali (tombe  e ) è stato ricondotto a influenze greche. «Le tradizioni ed il patrimonio ideologico del gruppo euboico dominante di Cuma dovettero esercitare un notevole fascino, specialmente per l’élite di un grosso emporio indigeno aperto alle influenze greche e etrusche, come Pontecagnano» (d’Agostino, , p. ). Gli elementi che collegano le due tombe a quelle greco-euboiche (Eretria e Cuma) risultano, oltre al rito dell’incinerazione (esteso in ambito greco anche alle deposizioni femminili), la deposizione delle ceneri entro lebeti di bronzo, il set da vino per lo spegnimento del rogo e le armi. L’aspetto che le lega alle altre incinerazioni coeve dell’ambiente tirrenico è l’appartenenza a individui di sesso maschile, deposti con ricca armatura. In questo centro, il processo di adesione al rituale incineratorio di tipo greco è stato fatto risalire al secondo venticinquennio dell’VIII secolo a.C. per la presenza di deposizioni con i resti incinerati, probabilmente avvolti in un panno, in tombe a cassa. L’attestazione della deposizione delle ossa non incinerate di un personaggio carico di indicatori di prestigio (armi, strumenti sacrificali, ricca bardatura equina) entro un lebete di bronzo (tomba ) mostra ancora alla fine dell’VIII secolo la difficoltà di aderire completamente al modello straniero. Al riferimento all’ideologia guerriera della tradizione villanoviana si affianca quindi il fascino del costume funerario eroico, conosciuto per i contatti con le genti greche in Occidente. La notizia plutarchea del rituale funerario connesso con Numa, pacificatore e istitutore di norme religiose, potrebbe forse spiegare la scelta dell’inumazione nelle deposizioni di alcuni “capi” di Veio (Casal del Fosso,  e ): il ruolo di guerriero potrebbe essere stato subordinato a quello di grande sacerdote, carica sicuramente attestata per la tomba , la cui deposizione, datata nel terzo venticinquennio dell’VIII secolo a.C. con scudi bilobati, mazza e disco pettorale, è stata giustamente collegata da Giovanni Colonna al sacerdozio dei Salii. Analoga carica sacerdotale potrebbe indicare, nella tomba , l’altissima cresta dell’elmo, nella deposizione di guerriero con carro, inquadrabile nel passaggio tra il periodo villanoviano e l’orientalizzante (/ a.C.). Nella necropoli di Quattro Fontanili, del resto, alcune tombe maschili a inumazione della seconda metà dell’VIII secolo a.C., dalla struttura tombale particolare, con morti privi di armi, ma accompagnate, oltre che da un ricco corredo, da un bastone (GG -) o da un coltello sacrificale (HH -), possono alludere a una funzione legata a pratiche religiose. 

.

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Il rituale incineratorio sembra riservato a personaggi particolari, donne di alto rango o “eroi”, ai quali la comunità ha riconosciuto un ruolo particolare, che viene evidenziato nel momento del passaggio all’altra vita. A questi individui viene riservato un trattamento che, oltre a richiedere un maggior dispendio di energie e anche di risorse economiche, acquista una valenza simbolica pregnante nell’ambito della visione della morte come rito di passaggio. La cerimonia deve condurre alla separazione del corpo dall’anima: solo quando il corpo ottiene una forma fisica stabile, infatti, il defunto raggiunge la sua seconda vita, garantendo il ristabilirsi dell’ordine sociale e permettendo, inoltre, la cancellazione del “miasma” a cui la società è soggetta finché questo passaggio viene abbreviato con la pratica incineratoria e con la totale scomparsa dell’identità originaria del defunto (Hertz, ).

. Il culto “eroico” Dalla fine dell’VIII secolo a.C., ma soprattutto nel VII, assistiamo in Italia a una omologazione dei contesti funerari riferibili a uomini eminenti nelle singole comunità, superando ogni differenza etnica: oggetti identici si trovano nelle tombe di Fabriano e in quelle di Pontecagnano o di Palestrina e di Vetulonia. Il modello di riferimento appare quello dell’eroe guerriero diffuso dall’epopea omerica, in cui «l’eroe ha il carattere del progenitore mitico» (d’Agostino, , p. ). Del resto, come ha recentemente sottolineato Vassos Karagheorghis, «gli eroi e il loro mondo, che tanto affascinarono Omero, non sono mai stati dimenticati e Omero ha contribuito alla loro sopravvivenza perpetua» (Karagheorghis, , p. ). Come nell’Iliade e nell’Odissea, il rito prevalente in queste sepolture è quello dell’incinerazione, rituale che garantisce la permanenza nell’al di là: «non più altra volta dall’Ade ritornerò, poi che imposto sul rogo m’avrete» (Iliade, XXIII, -, trad. Gianmarco). I resti delle ossa bruciate sul rogo, analogamente a quanto viene riferito da Omero per quelle di Patroclo (Iliade, XXIII, -) e di Ettore (Iliade, XXIV, -), vengono avvolti in stoffe purpuree o in coperte di lino e raccolti in urne di metallo prezioso, dopo che il rogo era stato spento con «scintillante vino» (Iliade, XXIV, ). Un panno di lino, eccezionalmente conservato, raccoglieva ad esempio le ossa combuste del capostipite del gruppo principesco di Casal Marittimo alla fine dell’VIII secolo a.C. e resti di lino so

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no stati riconosciuti nel  già da Falchi nell’urna della tomba del Duce di Vetulonia, posteriore di almeno tre generazioni. L’uso del rito incineratorio in contesti principeschi del Mediterraneo, anche in ambienti in cui prevalgono le inumazioni, come quello cipriota, appare testimoniato dopo la metà dell’VIII secolo a.C. Karagheorghis, presentando le tombe di Salamina, attribuisce l’introduzione a Cipro di tale costume funerario ai Greci dell’Eubea in viaggio verso l’Oriente; Gjerstad, invece, riferisce almeno le incinerazioni più antiche a individui immigrati dalla Grecia: un’aristocratica ateniese sposata a un membro della famiglia reale di Salamina sarebbe deposta in una tomba a incinerazione (Salamina, tomba ) ricca di ceramica attica medio-geometrica. Contrario a tale interpretazione è J. N. Coldstream, che considera il tipo di deposizione, con le ceneri raccolte nel calderone bronzeo, esclusivamente maschile (Eretria, Atene) e attribuisce tali aspetti innovatori del rituale funerario nell’isola alla circolazione dei poemi omerici: a Salamina di Cipro più che altrove appare evidente il confronto con il costume funerario eroico tramandatoci da Omero. E come nella necropoli di Cipro, anche in Etruria le deposizioni sono conservate in tombe a camera monumentali. Se il rituale nel suo complesso e negli aspetti ideologici è indubbiamente riferibile all’influsso greco, l’elemento tradizionale è costituito dalla tipologia dell’urna impreziosita dal tipo di materiale: vasi biconici e modellini di capanna bronzei di tradizione villanoviana sono prevalentemente usati come ossuari. Tra questi risulta particolarmente prestigiosa l’urna di bronzo a forma di capanna, rivestita di una lamina d’argento decorata a sbalzo con motivi tipicamente orientalizzanti, della tomba del Duce di Vetulonia. All’interno dell’urna o del ricettacolo (dolio o fossa) che la conteneva, erano deposti i beni personali del defunto. Affibbiagli a pettine e a sbarre per lo più argentei, fibule a drago d’oro e d’argento, armille di bronzo, collane con vaghi d’avorio configurati permettono di immaginarne il tipo di abbigliamento. Altri oggetti simbolici, quali litui d’avorio (tomba A di Casal Marittimo) o scettri (tomba  di Veio, Monte Michele), indicano il ruolo regale del defunto. Il rinvenimento della barchetta nuragica nel quinto gruppo della tomba del Duce, nei pressi dell’urna a capanna d’argento, ne avvalora il significato di eccezionale dono di prestigio, il cui significato primario è stato recentemente omologato a quello di uno scettro (Lo Schiavo, ). Non tutte le armi appaiono sistemate tra i beni strettamente personali (keimèlia): spesso lo è solo la spada con ricco fodero (Casal Marittimo, tomba A), cioè l’arma indossata comunemente. Le altre armi da offesa (asce, lance e coltelli) e da difesa (elmi e scudi) sono depositate in mezzo al resto del corredo, generalmente con il carro (più raramente due carri). 

.

I RITI FUNERARI E LA TOMBA

Ma lo sfarzo più evidente appare nei set da banchetto: l’Iliade termina con la menzione del banchetto solenne in onore di Ettore. Sono attestate serie di lebeti, tripodi, brocche e phiàlai in bronzo e argento sia di produzione orientale che di imitazione locale; tali servizi composti in Occidente riflettono «un accumulo di beni di lusso di provenienze diverse» (Martelli, , p. ). Nel recente scavo della citata tomba A di Casa Nocera-Casal Marittimo sono stati recuperati resti del pasto rituale: mele, uve, nocciole e vino resinato, rinvenuto in una fiasca di bronzo. A un vino “lavorato” si riferiscono anche le numerose grattugie di bronzo trovate in contesti di guerrieri dell’Italia centrale, connesse da Cristofani al vino con formaggio come riferito dai poemi omerici (Iliade, XI, -) e recentemente attribuite da Ridgway a una moda euboica. Analogamente, i massicci vasi a tre piedi di tipologia fenicio-punica (tripod bowl) risultano utilizzati per la riduzione in polvere di sostanze (spezie o essenze vegetali) da miscelare con il vino.

. Le tombe a camera villanoviane A Populonia, in netto anticipo sugli altri sepolcreti dell’Italia peninsulare, è attestato sin dalla seconda metà del IX secolo a.C. (villanoviano IB) l’utilizzazione di tombe a camera a una o più deposizioni, che sono da considerare una innovazione di straordinaria portata rispetto all’Etruria del tempo e al suo assetto sociale, o meglio al suo modo di rappresentarsi a livello funerario. Le tombe a camera più antiche sono a pianta generalmente ellittica, talvolta circolari o rettangolari di varia grandezza, con copertura a pseudocupola, costituita da lastre calcaree disposte a filari aggettanti gli uni sugli altri e impostata sul piano della cella, per lo più accuratamente lastricato. L’ingresso (dromos), delimitato da muretti a secco, presentava una lunghezza di poco superiore al metro; risultava riempito di terra e pietre e spesso ostruito alle estremità con blocchi disposti verticalmente. Un tumulo di piccole dimensioni copriva camera e dromos. All’inizio della serie, nella seconda metà avanzata del IX secolo a.C., si può porre la tomba  di Piano delle Granate (scavi Minto del ), con deposizione pertinente a un guerriero: la cella a pianta ellittica misurava m , ⫻ ,, con dromos d’accesso delimitato da muretti a secco. Di particolare interesse tra le più antiche camere sepolcrali populoniesi è la famosa tomba del rasoio lunato (FIG. .), collocabile nell’VIII 

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. Populonia, necropoli di Poggio delle Granate: tomba del rasoio lunato

FIGURA

secolo a.C. iniziale e attribuibile molto verosimilmente a una deposizione femminile: la tomba a camera, perfettamente circolare (diametro m ,, altezza m ,), era inscritta insieme con il piccolo dromos (lar

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I RITI FUNERARI E LA TOMBA

ghezza cm ) in un circolo di pietre interrotte a circa , m sopra la copertura della tomba. Si tratta indubbiamente della combinazione tra l’ideologia della tomba a camera, a carattere innovativo, e quella del circolo di pietre interrotte, ben documentato soprattutto a Vetulonia, ma conosciuto anche a Populonia, dove tombe a fossa appaiono delimitate da un circolo, ad esempio, a Piano delle Granate già alla fine del IX secolo a.C. o nell’VIII secolo a Poggio della Porcareccia. Tra la fine del IX e l’inizio dell’VIII secolo a.C. (villanoviano IC-IIA) sono inquadrabili per ora le prime tombe a deposizione multipla. Si segnalano le due di scavo più recente, la già citata tomba  di Poggio del Molino e del Telegrafo, con quattro deposizioni, e la tomba  degli scavi  a Piano delle Granate, che le analisi antropologiche attribuiscono a due individui di sesso maschile e femminile. Già da questo periodo nelle tombe populoniesi possono essere deposti non solo la coppia di coniugi ma anche i consanguinei, cioè i membri di una famiglia ristretta. La tomba di Piano delle Granate è stata messa in luce nell’area meridionale della necropoli, dove già nel  Antonio Minto aveva scavato un gruppo di venti tombe a camera, di piccole tombe a pseudocupola inframezzate a tombe a inumazione a fossa. Presenta una cella a pianta quasi circolare (m , ⫻ ,) e la volta a pseudocupola, di cui rimane solo l’impostazione. L’altezza della cupola non doveva superare m ,-,. A una fase più recente, in genere dalla seconda metà dell’VIII secolo e per tutto il periodo orientalizzante, deve essere datato il tipo a pianta rettangolare, talvolta con pareti rivestite di lastre calcaree, piano lastricato e copertura a pseudocupola impostata sulle lastre calcaree. Si assiste, analogamente a quanto avviene nell’architettura domestica, al passaggio dall’uso prevalente di capanne a pianta ovale a quello di strutture a pianta rettangolare, testimoniato ad esempio nell’abitato del Calvario di Tarquinia. Quale che sia il modello strutturale di queste costruzioni, mi sembra da non sottovalutare il riferimento alle abitazioni coeve. Nel costruire le tombe a camera, il modello di riferimento è quello delle case abitate dai vivi. Nella prima età del ferro, in Etruria, le capanne sono per lo più di forma allungata, con angoli arrotondati. Come è noto, la scoperta delle tombe a camera villanoviane di Populonia diede lo spunto per un repentino e vivace dibattito. Sul tentativo di collegarle alle tombe a forno italiche dell’età del bronzo, o alle capanne a cupola conica, o ancora agli ossuari a forma di capanna, prevalse la connessione con il mondo egeo. Molti studiosi, ponendo la cronologia di queste tombe al passaggio tra il periodo villanoviano e l’orientalizzante, le utilizzarono come ulteriore prova dell’origine orientale degli Etruschi. Michel Gras, nel suo lavoro sui traffici tirrenici arcaici, notava 

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la difficoltà di spiegare lo scarto cronologico tra il momento dell’espansione micenea e quello delle tholoi del periodo orientalizzante in Etruria, e tentava di colmarlo con la tesi dell’intermediazione sarda. Direttamente alle esperienze costruttive del mondo nuragico aveva precedentemente fatto riferimento Giovanni Colonna nel tracciare le basi conoscitive per la storia economica dell’Etruria. In seguito, il collegamento con l’ambiente nuragico è stato generalmente accolto. Anche la presenza di più deposizioni ha fatto pensare a una rievocazione della tomba collettiva dell’età del bronzo, ben attestata in ambiente nuragico. Di recente Fulvia Lo Schiavo ha evidenziato come accanto a elementi strutturali comuni (tholos, struttura isodoma, pianta circolare) diversi appaiano i contenuti culturali e cronologici, fondamentali per quanto concerne i vari aspetti del rituale funerario. Inoltre, le opere sarde sono costruite in blocchi molto grandi rispetto alle lastrine di calcare o di alberese con cui sono rivestite le tombe in esame. Al macrolitismo dei complessi nuragici si contrappone un microlitismo delle strutture di Populonia. Un confronto più vicino per il tipo di costruzione è piuttosto, sempre in Sardegna, con le capanne della prima età del ferro, dalla forma circolare e dal tetto probabilmente conico. Al mondo nuragico si possono accostare anche alcune evidenze monumentali coeve alle tombe di Populonia in ambito egeo. Paolo Belli, analizzando le tholoi egee dal II al I millennio, ha messo in evidenza come tale tipo di struttura, soprattutto in piccole dimensioni, come quelle villanoviane, sia documentato nella Grecia post-micenea e nelle isole, soprattutto a Creta. Nel Peloponneso a Nichoria è stata rinvenuta una tomba proto-geometrica a pianta pressoché circolare (circa  m di diametro), con breve dromos d’ingresso, coperto da due lastre presso l’ingresso: come nelle tombe populoniesi, la muratura in lastrine irregolari contrasta con l’accurata pavimentazione a lastre. Sempre assegnabile al proto-geometrico è una piccola tholos rinvenuta a circa  km dal Palazzo di Nestore a Pilo. Notizie relative a tombe di questo tipo sono riportate anche per l’Acaia: una proto-geometrica a Mikros Pontias e tre geometriche a Troumbes. In Tessaglia, intorno a Larisa, a Marmariani, sono state esplorate sei piccole tholoi proto-geometriche, di dimensioni sempre assai limitate (il diametro è di , m o poco più), provviste di un breve dromos. Nelle Cicladi mancano esempi della fase proto-geometrica, ma sono cospicue le attestazioni di epoca geometrica e arcaica. La regione con la più alta concentrazione di tholoi anche di questo periodo è Creta, l’ambiente dove la tholos egea ha avuto probabilmente la sua formazione e dove si possono cogliere gli aspetti e le elaborazioni più originali. Coldstream, nel suo lavoro sulla Grecia geometrica, ha sot

.

I RITI FUNERARI E LA TOMBA

tolineato l’ampio uso di tale struttura tombale, sparsa in gran parte dell’isola: molti di questi monumenti sono stati edificati dopo il X o il IX secolo; altri riutilizzano monumenti più antichi. Coldstream osserva inoltre come non si notino differenze tra i corredi delle strutture a tholoi e quelli delle altre tombe a camera, per cui non c’è ragione di associarle a famiglie di alto rango o status, differentemente dalle principesche tholoi della tarda età del bronzo. A pianta rettangolare è una tomba di Praisòs, il cui confronto per il tipo di parete e copertura con analoghi esempi populoniesi è esplicito. La continuazione dell’uso della tholos in età proto-geometrica, geometrica e orientalizzante è evidente soprattutto ad Arkades, dove piccole tholoi di pianta quadrangolare e circolare sono accostate ad altre più numerose sepolture a incinerazione: la tomba Rho, con la camera costruita da lastrine accuratamente disposte, presenta un lastricato soprastante il culmine della tomba, che può richiamare il circolo di pietre interrotte sopra la tomba populoniese del rasoio lunato, interpretato come area destinata al culto funerario. Tra le altre necropoli, scavate dalla missione italiana, esempi di piccole tholoi proto-geometriche e geometriche sono attestati a Kamares, Kourtes, Priniàs e Gortina, complesso quest’ultimo inserito da Coldstream negli anni centrali del IX secolo a.C. La tholos in questo periodo è presente soprattutto in aree marginali all’ambiente greco. Anche in Sicilia l’uso delle piccole camere con copertura a falsa volta appare attestato a lungo, come ad esempio in quelle scavate da Paolo Orsi a Monte Bubbonia e Adrano, in località Mendolito, databili nel corso dell’VIII secolo a.C. e così descritte: «sono quasi rotonde, col diametro di tre metri e mezzo circa, sono tutte di pietra lavica, i muri alti un metro e mezzo circa, poco più o poco meno in talune, si alzano restringendosi a volta in guisa di forno» (Orsi, Pelagatti, -, p. , nota ). Per quel che riguarda la diffusione di questo tipo di struttura tombale, come avviene generalmente davanti a parallelismi riscontrati in aree diverse e distanti, viene spontaneo chiedersi se si tratti di derivazione o di un fenomeno indipendente. Una problematica affine è stata posta ad esempio per la genesi dell’uso dei modellini di capanne rinvenuti nell’Egeo in contesti abitativi, e in Occidente in ambito funerario. Si tratta o no di una trasmissione dall’Oriente all’Italia centrale e da qui alle popolazioni baltiche? In questo caso, ad esempio, gli studiosi di protostoria centro-europea propendono per la trasmissione dei modelli. Bouzek recentemente ha prospettato l’ipotesi di attribuire agli artigiani bronzisti itineranti la diffusione dell’idea dell’urna a capanna in Nord Europa. L’ampia diffusione dei modellini e le loro differenze cronologiche aumentano, a mio avviso, la pro

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babilità che questa particolare forma ceramica possa essersi affermata autonomamente in ambienti culturali diversi, in epoche diverse e per destinazioni diverse. Ritornando alle strutture a tholos, Giovanni Rizza, nell’affrontare la genesi delle attestazioni di Arkades, propende per una genesi autonoma nelle singole aree. Quindi ci troveremmo davanti alle cosiddette intuizioni parallele. Il fenomeno appare talmente diffuso in tutto il Mediterraneo nel IX e VIII secolo da non dover implicare necessariamente una trasmissione da un’area all’altra, anche se in appoggio all’idea di una propagazione dall’ambiente greco, magari con la mediazione della Sicilia, si potrebbe addurre la coincidenza cronologica tra i monumenti del Mediterraneo orientale e quelli dell’Etruria villanoviana. Del resto, è indubbio un continuo rapporto intercorso tra le genti egee e quelle delle coste tirreniche dopo il declino della talassocrazia micenea, rapporto attestato ad esempio dalla presenza dei bronzi del ripostiglio di Piediluco-Contigliano (XI secolo a.C.) o dall’uso degli scudi bilobati (X secolo a.C.), a cui si affianca il ritrovamento di un’ancora di tipo egeo sulla costa lavinate. È indiscusso il ruolo prioritario prima delle genti di Cipro, poi di quelle della Sardegna nell’ambito di questi traffici mediterranei fra il XII e il X secolo a.C., ma non è improbabile che siano intercorse relazioni dirette, senza alcuna intermediazione, come si è proposto per gli artigiani euboici di VIII secolo, presumibilmente spintisi presso le comunità tiberine, indipendentemente dallo stanziamento di Pitecusa. Mi sembra però che non vada sottovalutata la mancanza, almeno per ora, di attestazioni di strutture a tholos in Eubea. Anche le nuove scoperte di ceramica medio-geometrica a Sant’Imbenia, che sia stata veicolata da Fenici, Greci o Sardi, hanno dimostrato la predominanza dell’elemento euboico in questi movimenti dalla Grecia di manufatti, persone e ideologie. Ritornando al confronto con i più antichi monumenti nuragici, è difficile stabilire un eventuale ruolo di mediazione della Sardegna, dove le strutture a tholos non ebbero lo stesso significato riscontrato in Grecia, in Sicilia e in Etruria. Da ricordare, inoltre, l’uso, confermato per tutta l’isola, di seppellire i defunti praticamente senza corredo, mentre il riferimento all’altra grande isola del Tirreno è innegabile per l’uso delle sepolture collettive con corredi per lo più bronzei in grotta, e forse anche per il rito dell’inumazione. Come in Sicilia a Monte Bubbonia, forse anche a Populonia la difficoltà di scavare grotte nella zona delle Granate, ricca di materiali litici, ha portato alla costruzione di queste piccole strutture tombali. Nella piccola necropoli aristocratica di Poggio del Molino e del Telegrafo, dove il terreno probabilmente lo consentiva, i gruppi familiari risultano deposti in tombe irregolari simili a grotte. La recente 

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I RITI FUNERARI E LA TOMBA

scoperta di una grotta sepolcrale vicino San Vincenzo, il Riparo Biserno, contenente le deposizioni di quattro individui (una signora matura, un adulto di  anni, un bambino di  anni circa e un neonato), con scarso corredo di accompagno, presumibilmente inquadrabile tra la fine del IX e l’inizio dell’VIII secolo a.C., attesta anche nel territorio l’uso precoce dell’inumazione e l’unicità del complesso tombale per più deposizioni. La testimonianza del Riparo Biserno rende verosimile la notizia relativa al ritrovamento a Monte Calamita, nell’isola d’Elba, di alcune sepolture di inumati deposte entro una cavità naturale, i cui corredi, riconosciuti e analizzati da Filippo Delpino, sono stati inquadrati in un momento avanzato della fase più antica della prima età del ferro, cioè in piena coincidenza cronologica con i materiali del Riparo Biserno. Secondo alcuni studiosi, del resto, si dovrebbero trovare tracce di «protocorsi in Etruria, come in Gallura all’inizio del I millennio a.C.» (Grosjean, , p. ). Questi parallelismi sembrano confermati da quanto è riferito dalle fonti riportate nel noto passo serviano (Ad Aeneidem, X, ) sulla probabile fondazione corsa di Populonia. Quello che risulta da evidenziare è l’aspetto molto aperto di questa comunità di frontiera, non solo per quanto riguarda i rituali funerari, ma anche per i molti materiali rinvenuti nelle tombe: le strutture e le suppellettili funerarie mostrano come Populonia, nell’inoltrato IX secolo, fosse in anticipo rispetto ad altre aree dell’Etruria. Si vengono delineando, infatti, dei gruppi familiari anche ristretti, che in quanto tali, in qualche modo, si vogliono distinguere dagli altri membri della comunità. È probabile che l’emergere di questi gruppi sia da attribuire allo sfruttamento delle miniere e alla gestione dei traffici con l’Etruria padana, con i grandi centri dell’Etruria laziale e con le grandi isole del mar Tirreno.

. Le prime tombe a camera monumentali e i tumuli Nel resto dell’Etruria e nel Lazio, durante l’VIII secolo, le tombe rettangolari a fossa, sepolcro prevalentemente usato, tendono a ingrandirsi, dapprima con loculi o nicchie, poi con la duplicazione delle dimensioni, fino a diventare quasi quadrate, con una divisione netta tra la zona destinata al morto, spesso rialzato su una banchina, e quella destinata al corredo, sempre più cospicuo. A partire dalla fine dell’VIII secolo a.C. si diffondono in Etruria le tombe familiari a camera, con ingresso più o meno lungo, per lo più interamente scavate nel tufo nella zona meridionale e più frequentemente 

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costruite nell’ambito settentrionale. Nel Lazio, invece, l’uso delle tombe a camera si verifica precocemente solo a Roma e a Satricum, altrove continua l’inumazione in fosse più o meno grandi. Nella necropoli dell’Acqua Acetosa Laurentina queste grandi fosse erano coperte da tavolati lignei sorretti da una coppia di pilastri, che trovano confronti a Tarquinia nella tomba Avvolta o a Poggio Gallinaro: l’ambiente era addobbato come una camera, con il letto funebre, scudi appesi alle pareti, tavoli per la mensa, troni, scaffalature lignee per i vasi da banchetto. Forme di passaggio dalle grandi fosse utilizzabili per un’unica deposizione alla tomba a camera comune a una famiglia si trovano nella bassa valle tiberina, a Veio, Crustumerium (FIG. .), Falerii Veteres, Narce o Corchiano, nel tipo delle tombe a caditoia rettangolare, che erano costituite quasi da due ambienti, nel primo dei quali, a mo’ di ingresso, non vi era nulla, tranne in casi eccezionali, come nei grandi ingressi delle tombe di Salamina (FIG. .), carro e bardature equine; corredo e morto erano deposti nel loculo chiuso da lastroni di tufo. Stessa ideologia sottendono le grandi fosse centrali dei circoli vetuloniesi (Circolo del Tridente o Circolo degli Acquistrini), divise presumibilmente in due vani sovrapposti da un piantito di legno, con il carro nella parte superiore e il defunto con il corredo in quella inferiore. Cerveteri appare un luogo ideale per seguire le linee di uno sviluppo ricco e articolato degli ipogei scavati: dalla tomba a sviluppo longitudinale, con due ambienti separati da una porta arcuata e preceduti da un lungo corridoio d’ingresso (dromos) con due nicchie laterali, tipo esemplificato dalla tomba della capanna nel tumulo II della Banditaccia, del  a.C. circa, a quelle più complesse, con grande sala principale sulla cui parete di fondo, con porte e finestre, si aprono tre vani con le banchine funebri, di cui abbiamo una splendida testimonianza per lo scor-

. Crustumerium: dalla tomba a fossa alla tomba a camera

FIGURA



.

I RITI FUNERARI E LA TOMBA

. Salamina di Cipro: deposizione del carro

FIGURA

CAVALLO B

CAVALLO A







m

cio del VII secolo a.C. nella tomba degli Scudi e delle Sedie, ricca di elementi di decorazione e di arredo scolpiti nel tufo. Nell’Etruria settentrionale, dove la tomba a camera ha, come si è visto, un precedente isolato nelle piccole tombe a camera coperte a falsa volta di Populonia della fine del IX secolo a.C. e nelle tombe con avancorpo e crepidine cilindrica della fine dell’VIII, si sviluppa per lo più il tipo a camera unica a pianta circolare, pseudocupola sorretta in genere da pilastro e breve dromos, che trova nell’agro fiorentino la più grandiosa dimostrazione con le tholoi di Montefortini, della Montagnola e della Mula, che recenti interventi di pulitura e restauro, con il rinvenimento di frammenti del corredo della tomba (placchette d’avorio de

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corate a rilievo e a incisione, figurine sempre d’avorio umane e animali ecc.), hanno potuto collocare negli anni centrali della seconda metà del VII secolo a.C. Nell’area più interna della Toscana (Chiusi, Castelnuovo Berardenga, Comeana, Artimino) sembra svilupparsi un tipo con camera rettangolare costruita da lastroni con copertura a doppio spiovente sorretta da tramezzi litici: a questo tipo va riferita anche la tomba C della piccola necropoli di Casa Nocera recentemente messa in luce a Casal Marittimo, che ne attesta l’uso anche nelle zone costiere. A tipologie dell’Etruria meridionale, soprattutto vulcenti, rimandano le tombe a disposizione cruciforme di Castellina in Chianti o dei Meloni di Cortona e Camucia, caratterizzate anche da pregevoli decorazioni scultoree, come la testa leonina in pietra serena inserita nello stipite sinistro dell’ingresso della tomba sud di Castellina e il letto con piangenti di Camucia. Alcune tombe a fossa prima e a camera dopo erano coperte da un monticello di terra o sabbia. Il tumulo nasce come «rincalzo esterno di terra, necessario per proteggere e consolidare la parte costruita della tomba, con la funzione di sema o monumentum. La conformazione dell’accumulo è sempre a calotta emisferica, con o senza un cordone di muratura alla base» (Colonna, , pp. -). Nella descrizione omerica dei funerali di Patroclo e di Ettore viene ricordato il tumulo che doveva evidenziare la fossa, chiusa «con grandi lastre di pietra accostate tra loro» (Iliade, XXIV, ); quello che avrebbe dovuto ricoprire i resti di Patroclo e Achille, sulla riva del mare, doveva essere «ampio e alto» (Iliade, XXIII, ). Nel VII secolo a.C. questi monumenti sembrano raggiungere la loro massima espressione con diametri che dai - m dei tumuli “urbani” di Cerveteri giungono fino ai - m di quelli sparsi nel territorio, come il tumulo di Montecalvario a Castellina in Chianti (m ). Ancora più grandi il tumulo della tomba dipinta del Sorbo a Cerveteri, verosimilmente di , m di diametro, il secondo melone del Sodo (Cortona), che si avvicina ai  m, il cui impianto è inquadrabile nel primo quarto del VI secolo a.C., o quello più antico di Montetosto sull’antica via Caere-Pyrgi, per cui è stato calcolato un diametro intorno ai  m. I principi-guerrieri intendono in tal modo sottolineare il prestigio proprio e dei discendenti, che continuavano a usare lo stesso tumulo per diverse generazioni. Il tumulo rappresenta il segno più evidente del possesso della terra in cui si trova e costituisce quindi la manifestazione più concreta del potere dell’aristocrazia: a Cortona i due tumuli (“meloni”) del Sodo, divisi da un corso d’acqua, sembrano segnalare il limite tra due proprietà fondiarie. I tumuli cortonesi (Sodo e Camucia), allineati lungo 

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I RITI FUNERARI E LA TOMBA

un percorso pedemontano allo sbocco degli accessi verso la valle tiberina, mostrano non solo il potere di queste famiglie principesche, ma anche lo sfruttamento terriero della valle e il ruolo nel controllo dei traffici. La monumentalità dei tumuli viene considerata non «un’invenzione indipendente etrusca, ma ispirata a conoscenze orientali, ancora difficilmente da precisare» (Prayon, , p. ): a Gordion, capitale del regno di Frigia, un colossale tumulo (m  di diametro e  di altezza), datato alla seconda metà dell’VIII secolo a.C., includente un unico vano senza ingresso, attribuito verosimilmente alla deposizione del mitico re Mida, domina l’intero altopiano. Anche per la tipologia dei tamburi, sormontati da cornice più o meno elaborata, che doveva sostenere la calotta di terra, è stata postulata un’ispirazione orientale; per i monumenti ceretani si è pensato a un architetto di origini orientali (Siria del Nord), attivo a Caere all’inizio del VII secolo a.C., che potrebbe aver dato avvio alla decorazione architettonica lapidea in Etruria. In questo stesso centro etrusco, del resto, sono stati da tempo individuati artigiani orientali (orafi, toreuti e scultori) e greci (ceramisti) che devono aver accelerato la diffusione tra gli aristocratici etruschi di mode e costumi delle corti del Mediterraneo orientale. Sui tamburi lisci o sagomati si aprivano gli ingressi (dromoi) a scivolo o a scalini di una o più tombe a camera, fino a sette nel tumulo Cima.

. La cerimonia funebre Nelle tombe noi possiamo cogliere solo la parte conclusiva delle complesse cerimonie che accompagnano la sepoltura del morto, articolate in tre parti principali: l’esibizione del corpo, l’accompagnamento funebre e la sepoltura. Se possiamo solo immaginare le prime due fasi del rito, appare sempre più evidente nello scavo dei sepolcreti che l’ultima parte della cerimonia era articolata anch’essa in vari momenti, come l’assemblea dei parenti presso la tomba o il rogo per il rituale dell’incinerazione (FIG. .). A Populonia, nello scavo della necropoli di Piano delle Granate è stato evidenziato un focolare pertinente indubbiamente al culto nella necropoli; un analogo riferimento a una zona adibita a cerimonie funebri si può riconoscere nell’area delimitata da un circolo di pietre interrotte sul tumulo della tomba a pseudocupola cosiddetta del rasoio lunato di Poggio delle Granate. A Creta, le tombe a tumulo più o meno coeve (ad esempio la tomba Rho) presentano un lastricato soprastante il culmine della tomba, interpretato come area destinata al culto funerario. 

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. La cerimonia dell’incinerazione

FIGURA

Anche la calotta dei tumuli, come ha recentemente ribadito Giovanni Colonna, doveva avere una precisa funzione di natura sacrale e religiosa. Ne sono testimonianza i cippi e gli altarini collocati sulle sommità. A Blera, un piccolo tumulo rupestre è coronato da una struttura circolare con tre alloggiamenti per cippi. A Cortona, nel secondo tumulo del Sodo sono stati trovati vari frustuli di una ricca decorazione architettonica: acroterio a volute, frammenti di lastre di rivestimento con teoria di cavalieri, antefisse a testa femminile pertinenti a un tetto della prima metà del VI secolo a.C. Il luogo di rinvenimento dei vari frammenti fa ipotizzare che sulla sommità del tumulo fosse stata edificata una struttura con tetto decorato, un’edicola o un tempietto, forse analogo a quello che Leonardo immaginò per il tumulo di Castellina in Chianti (FIG. .), completando probabilmente qualche resto di struttura esistente. Per accedere alla sommità dei grandi tumuli sono attestate, specie a Cerveteri e nel suo territorio, rampe a gradini, con cui raggiungere probabilmente una zona allestita per compiere atti di culto. Significato affine si deve riferire ad alcuni altari-terrazza rinvenuti nell’Etruria settentrionale (Comeana, tumulo di Montefortini; Prato Rosello, tumuli A e B e quello più tardo di Cortona, secondo tumulo del Sodo, con splendida decorazione scultorea riferibile già a modelli ioni

.

I RITI FUNERARI E LA TOMBA

. Disegno di un mausoleo (Parigi, Museo del Louvre, Dipartimento di Arti grafiche)

FIGURA

ci). Questi sono stati interpretati come il luogo destinato all’esposizione del defunto (pròthesis) e del corredo funebre, durante i giorni necessari alle cerimonie funebri. Più verosimile appare l’utilizzo di queste strutture nella sola cerimonia della pròthesis. Esisteva quindi presso le tombe, anche isolate nel territorio e lontane dalle necropoli, tutto un apparato destinato al culto funerario di cui noi scorgiamo solo scarse tracce. Sicuramente cappelle di diverso tipo adibite al culto dovevano corredare le grandi tombe di famiglia. Probatori appaiono i recenti scavi di Vulci presso la Cuccumella e la Cuccumelletta, con diversi apprestamenti cultuali: sacelli, altari, are ecc. Anche all’interno delle tombe a camera si possono riconoscere spazi riservati alla cerimonia funebre: le scalinate negli ampi dromoi, all’aperto, delle tombe monumentali tarquiniesi sono state interpretate come una specie di tribuna per assistere ai giochi che accompagnavano la cerimonia funebre. Analogamente, ai partecipanti al momento finale del rito funebre, che aveva luogo dinanzi o nel vano d’ingresso della tomba, 

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dovevano essere riservate la banchine perimetrali degli ampi vestiboli di prestigiose tombe ceretane, come quella degli Animali Dipinti. Le varie fasi della cerimonia funebre (esposizione del morto, trasporto funebre, lamentazioni, banchetto funebre) si possono ricostruire anche attraverso la suppellettile rinvenuta nelle tombe e soprattutto attraverso la posizione, all’interno del sepolcro, dei vari elementi costituenti il corredo. Esemplificativa è stata considerata la tomba Regolini Galassi di Cerveteri (Colonna, Di Paolo, ): nel lungo dromos, davanti alla porta che immetteva nella camera dove era deposta la ricca principessa, sono stati rinvenuti un carro, un letto funebre, un carrello incensiere, numerosissimi spiedi e alari metallici, i sostegni bronzei con i calderoni, vari scudi appoggiati alle pareti, un’anfora attica probabilmente vinaria ecc. Il carro a quattro ruote, trainato da muli o addirittura a mano, dovrebbe essere stato utilizzato per il trasporto della salma dalla casa alla tomba, dove poi è stata traslata per la deposizione finale nella cella. Il letto vuoto semicircondato da una quarantina di statuette di bucchero raffiguranti piangenti dovrebbe richiamare alla mente la pròthesis, compiutasi nell’atrio della casa. Al banchetto funebre sembrano alludere l’anfora con liquido importato, i diversi sostegni bronzei con i relativi calderoni, gli alari e gli spiedi. Gli scudi che decorano le pareti del corridoio-vestibolo, così come scolpiti o dipinti in altri vestiboli di complessi tombali ceretani, dovrebbero evocare gli atri delle ricche case orientalizzanti. Una testimonianza dell’uso di addobbare con le armi sale delle residenze aristocratiche ci è fornita da Alceo (fr.  RP,  D): «Balena il bronzo nella grande casa. Tutta la sala è addobbata per Ares. Brillano gli elmi in cui i cimieri bianchi di coda di cavallo oscillano alti, eleganza sul capo dei guerrieri, brillano gli schinieri in bronzo [...] e corazze di lino non usato» (trad. Mandruzzato).

. Il culto degli antenati Come si è accennato, a Roma le usanze funebri arcaiche conservarono a lungo valenza e significato presso le famiglie patrizie; si mantenne ad esempio la devozione verso gli antenati, con l’uso della sfilata delle loro maschere mortuarie. Tacito, nel racconto del funerale di Druso (Annali, , ) riferisce: «Il funerale ebbe una straordinaria solennità per il corteo delle immagini: si vedevano infatti quella di Enea, progenitore della gente Giulia, quelle di tutti i re albani, quella di Romolo, il fondatore di Roma, e poi quelle dei nobili sabini e di Atto Clauso e i volti degli altri Claudi, in lunga processione». 

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I RITI FUNERARI E LA TOMBA

Già Polibio (, ), del resto, aveva descritto l’uso di far sfilare le immagini degli antenati nei cortei funebri. Queste immagini (assimilabili ai busti di cera dipinti nelle case pompeiane) venivano poste in un sacello di legno dopo che erano state espletate le onoranze funebri. Nell’atrio delle case romane arcaiche, queste imagines maiorum dovevano trovare posto come protettrici della casa e a sostegno del prestigio della famiglia. Virgilio (Eneide, VII, -) rappresenta il re Latino seduto nell’atrio della sua reggia, tra le effigi degli antenati seduti (Pico) o stanti (Italo, Sabino, Saturno e Giano). In Etruria, statue rinvenute nei dromoi e nei vestiboli di tombe possono essere interpretate come figure di antenati dei diversi clan gentilizi, analogamente alla figura seduta sull’urna a capanna, forse da Bisenzio, inquadrabile ancora nell’VIII secolo a.C., o agli acroteri del secondo palazzo di Murlo, che sostituiscono ideologicamente le antefisse a maschera umana del primo palazzo, poste a protezione del tetto della casa, ma disposte probabilmente a formare una scena analoga a quella del concilio rappresentato su uno dei fregi dello stesso tetto. Stessa valenza si potrebbe assegnare per l’epoca precedente a figurine umane stanti incise o sbalzate su coperchi di cinerari villanoviani, rispettivamente d’impasto e di bronzo, dall’indubbio carattere apotropaico. Statue sedute sono attestate in territorio ceretano: a Ceri nella tomba delle statue, dei decenni centrali del VII secolo a.C., sulle pareti laterali del vano d’ingresso sono scolpite ad altorilievo due figure maschili sedute in trono (FIG. .), probabili patres dei due defunti (moglie e marito) deposti nella cella di fondo, «presenti in immagine nella tomba comune ai loro figli, come lo erano certamente nella casa terrena da essi abitata» (Colonna, in Colonna, von Hase, , p. ); a Cerveteri nella tomba delle cinque sedie, del  a.C. circa, cinque statuine di terracotta (tre uomini e due donne), identificati con le coppie dei genitori dei due defunti e con il nonno del signore (Colonna, , p. ), dovevano trovare posto su altrettanti sedili, serviti da due piccole mensae, in un piccolo vano a fianco del vestibolo, attrezzato anche da un altarino a cuppelle per libagioni, due troni vuoti (per i defunti) e un cesto cilindrico, che lo hanno fatto interpretare come sacello domestico (Prayon, ). Un frammento di statua di questo tipo da Veio estende l’uso di porre statue sedute nelle tombe ad altri centri dell’Etruria. Nell’Etruria settentrionale statue riproducenti verosimilmente maiores sono invece riprodotte in piedi, probabilmente schierate nel dromos, in atto di compianto, come le otto figure della Pietrera a Vetulonia, in cui sono state riconosciute quattro coppie di avi; frammenti di statue stanti, con probabile significato analogo, sono attestate nel tumulo di Asciano, trovate nei pressi dell’ingresso delle tombe A e B, e in quello di Camucia, 

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. Ceri: tomba delle statue (da Colonna, von Hase, )

FIGURA

rinvenute nella parte terminale del dromos. In atteggiamento di cordoglio, con le braccia disposte simmetricamente sul torso l’una e con le mani al collo l’altra, sono anche due statue recentemente recuperate a Casal Marittimo e attribuite alla tomba a camera C di Casa Nocera, riferibile alla metà del VII secolo a.C., collocate presumibilmente sulla sommità del tumulo a guisa di segnacolo.

. Morte peregrina e cenotafi Alcuni dei guerrieri potevano ovviamente morire lontano dalla propria terra, spesso nei campi di battaglia: la morte bellica e peregrina richiamata da Cicerone (Franciosi, , pp. -) ce lo ricorda. Nell’Antico Testamento (Genesi, ) è narrata con molta dovizia di particolari la cerimonia della sepoltura di Giacobbe nella terra di Canaan, nella tomba familiare di Macpela: con Giuseppe e i suoi si mosse

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I RITI FUNERARI E LA TOMBA

ro dall’Egitto i ministri del faraone, gli anziani della sua casa, con carri da guerra e con la cavalleria, «così da formare un corteggio assai imponente» (Genesi, , , trad. Testa). In Omero (Iliade, XVI, ) Sarpedonte, figlio di Zeus, dopo esser stato ucciso da Patroclo, viene ricondotto da Apollo nel suo regno, la Licia, e qui seppellito, con tumulo e stele, «ché questo è l’onore dei morti». È stato proposto, da Adriano La Regina, di riconoscere nei guerrieri incinerati i morti lontano dalla patria. In Israele, dove non si usava cremare i resti mortali, perché considerato un atto contrario alla pietà verso i defunti (Amos, , ), Saul e i suoi tre figli, sconfitti e uccisi, vengono riportati in patria e ivi incinerati: «Poi, prese le loro ossa, le seppellirono sotto il tamarisco a Iabes e fecero digiuno per sette giorni» (I libro di Samuele, , , trad. Boccali). Un suggestivo riscontro etnografico si trova nella Historia general de las cosas de Nueva España (-) di fra Bernardino de Sahagun (a cura di D. Joudarnet, R. Simeon, Paris ), dove è ricordato il diritto degli aristocratici di essere sepolti incinerati in patria se morti in guerra, contrariamente agli altri guerrieri che venivano inumati nel campo di battaglia. A morte bellica e peregrina è stata attribuita la doppia incinerazione, riscontrata nella tomba  della necropoli veiente di Grotta Gramiccia, pertinente a un guerriero eminente della prima metà dell’VIII secolo a.C.: il defunto, incinerato lontano da casa, potrebbe essere stato «sottoposto ad un nuovo rito funebre e quindi deposto con il proprio corredo di particolare prestigio» (Berardinetti, , p. ). Spesso per i cadaveri, o le ceneri, dei defunti rimasti lontano da casa veniva costruito lo stesso un monumento sepolcrale ma privo dei resti mortali, un cenotafio. In ambito greco troviamo esemplificazioni dello scorcio del VII secolo a.C., ad esempio nella Ionia a Belevi, non lontano da Efeso, in un tumulo di m  di diametro con crepidine in opera quadrata e camera centrale raggiungibile mediante un lungo dromos, o a Corfù, nel monumento funebre di Menekrates, assimilato anche per le piccole dimensioni a tumuli populoniesi. Tra le testimonianze funerarie dell’Italia tirrenica è stato riconosciuto come cenotafio un tumulo recentemente scoperto a Pisa (Bruni, , pp. -): una grande fossa quadrangolare, inserita in un tumulo di m  di diametro, delimitato da una crepidine di lastre di pietra, conteneva una cassa di legno praticamente vuota; nel riempimento della fossa erano resti di vasi d’impasto e un tridente in ferro con l’asta ritualmente spezzata; al di sopra un altare in pietra con resti dell’apparato sacrificale (coltello e quattro spiedi) distrutto nella costruzione del tumulo e un dolio contenente una gran quantità di cenere con numerosi residui di bronzo. 

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In questi resti è stata riconosciuta una sorta di immagine del defunto, sostitutiva del cadavere, avvicinabile tipologicamente alla testa-busto di Marsiliana d’Albegna. Tale monumento funerario è stato attribuito, analogamente al già citato tumulo di Menekrates, a un personaggio perito verosimilmente in mare (Bruni, , p. ). Analogo significato di cenotafio si può attribuire a un altro tumulo scavato nei pressi di Roma a Castel di Decima, identificato da Rodolfo Lanciani con il monumento funebre di Dercenno (Eneide, XI, -: «Ai piedi d’un alto monte v’era su un terrapieno il grande sepolcro del re Dercenno, antico laurente, protetto da un ombroso elce», trad. Canali): una collinetta artificiale di sabbia (m  di diametro) contenuta da una massicciata di tufi copriva un’ampia fossa rettangolare pavimentata con scaglie di tufo irregolari. La mancanza sul fondo della fossa dei resti ossei del defunto e degli oggetti di abbigliamento personale come in tutte le altre deposizioni della necropoli può far considerare questa sepoltura un cenotafio. Tra i tufi di riempimento e intorno ai bordi della fossa minuti frammenti di vasellame di bronzo e di impasto, di scudi circolari di lamina di bronzo e di morsi da cavallo e cerchioni di carro in ferro fanno pensare a un rituale sostitutivo di una reale cerimonia funebre, con il rogo di tutti i beni del “principe” commemorato.

Riferimenti bibliografici Testo rielaborato da Riti funerari dell’aristocrazia in Etruria e nel Lazio: l’esempio di Veio, in “Opus”, III, , , pp. -; La tomba, in C. Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi. Tra Mediterraneo ed Europa, Bologna , pp. -; Strutture e rituali funerari: il caso di Populonia, in Atti del XX convegno di studi etruschi e italici, Sardegna e Etruria, Sassari , Pisa-Roma , pp.  ss. In generale sui rituali diversi: R. Hertz, Contribution à une étude sur la représentation collective de la mort, in “Année Sociologique”, , , pp. - (trad. it. Sulla rappresentazione collettiva della morte, Roma ); A. Audin, Inhumation et incinération, in “Latomus”, , , pp.  ss.; A. Piergrossi, L’Etruria meridionale interna nel distretto cimino fra VIII e VII sec. a.C. La necropoli di Poggio Montano, tesi di dottorato, Roma . Sulle forme diverse dei rituali funebri nella prima età del ferro italiana: R. Peroni, Introduzione alla protostoria italiana, Roma-Bari , pp. -. Sui costumi funerari in Grecia: J. N. Coldstream, Geometric Greece, London ; I. Morris, Burial and Ancient Society. The Rise of the Greek State, Cambridge . Per una dualità di rito nei funerali eroici dei poemi omerici: A. Schnapp Gourbeillon, Les funérailles de Patrocle, in G. Gnoli, J.-P. Vernant (éds.), La mort, les morts dans les sociétés anciennes, Cambridge , pp. - (contra R. Di Donato, Esperienza di Omero, Pisa ).

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I RITI FUNERARI E LA TOMBA

Sul rapporto di Numa con Pitagora e i Pitagorici: M. Manfredini, L. Piccirilli (a cura di), Plutarco. Le vite di Licurgo e di Numa, Milano . Sui riti funerari nel mondo romano: G. Giannelli, S. Mazzarino, Trattato di storia romana, I, Roma , p. ; G. Dumézil, La religion romaine archaïque, Paris , pp. -; -; G. Franciosi, Riti di sepoltura nelle antiche gentes, in Ricerche sull’organizzazione gentilizia romana, vol. I, Napoli , pp. -; per una visione diversa: F. Taglietti, Ancora su incinerazione e inumazione: le necropoli dell’Isola Sacra, in M. Heinzelmann (a cura di), Culto dei morti e costumi funerari romani. Roma, Italia settentrionale e province nord-occidentali dalla tarda repubblica all’età imperiale. Internationales Kolloquium, Rom - April , Wiesbaden , pp. -. Sulle norme prescritte nelle XII Tavole: F. Casavola, Studi sulle azioni popolari romane, Napoli , pp.  ss.; C. Ampolo, Il lusso funerario e la città antica, in Aspetti dell’ideologia funeraria nel mondo romano, in “AION. Archeologia e storia antica”, , , pp. -. Per la necropoli esquilina: G. Pinza, Monumenti primitivi di Roma e del Lazio antico, in “Monumenti Antichi dei Lincei”, , . Notizie sulla tomba  di Castel di Decima: A. Bedini, in Enciclopedia dell’Arte antica, classica e orientale, II supplemento, Roma , s. v., pp. -. Su Populonia, centro portuale e di frontiera: G. Bartoloni, Populonia. Characteristic Features of a Port Community in Italy during the First Iron Age, in R. Whitehouse (ed.), Archaeology of Power, Part II, London , pp. -; Ead., Populonium etruscorum quodam hoc tantum in litore. Aspetti e carattere di una comunità costiera nella prima età del ferro, in Miscellanea etrusca e italica in onore di Massimo Pallottino, in “Archeologia Classica”, XLIII, , pp. -. Sui rituali funerari di Populonia cfr. anche Ead., La prima età del ferro a Populonia: le strutture tombali, in A. Zifferero (a cura di), L’architettura funeraria a Populonia tra IX e VIII secolo a.C., “Quaderni del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Sezione Archeologica, Università di Siena”, Siena , pp. -. Sull’ideologia funeraria della prima età del ferro in Etruria, che sembra rendere non differenziate la maggior parte delle deposizioni: F. Delpino, Tra omogeneità e diversità: il trattamento della morte nell’Etruria villanoviana, in Atti del III convegno di studio di preistoria e protostoria in Etruria (Manciano-Farnese ), Firenze , pp. -. Notizie sulle scoperte effettuate a Poggio della Porcareccia: F. Fedeli, Populonia. Storia e territorio, Firenze , pp.  ss. Per le scoperte delle tombe villanoviane delle necropoli di San Cerbone, Casone e Poggio della Porcareccia: L. A. Milani, Populonia. Relazione preliminare sulla prima campagna degli scavi governativi di Populonia nel comune di Piombino, in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss.; A. Minto, Populonia. Relazione preliminare intorno agli scavi governativi nella necropoli eseguiti nell’anno , in “Notizie degli Scavi”, , p. ; Id., Populonia. Scavi governativi nell’agro populoniese eseguiti nella primavera del , in “Notizie degli Scavi”, , pp. , , ; Id., Le ultime scoperte archeologiche di Populonia (-), in “Monumenti Antichi dei Lincei”, , , c. . Sullo scavo del  di una tomba a incinerazione F. Fedeli, A. Galiberti, A. Romualdi, Populonia e il suo territorio. Profilo storico-archeologico, Firenze , p. , fig. , .

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Sugli scavi alla necropoli di Piano e Poggio delle Granate: A. Minto, Populonia. Relazione intorno agli scavi governativi eseguiti nel , in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss.; Id., Populonia. Scavi governativi nell’agro populoniese eseguiti nella primavera del , in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss. e  s.; Id., Populonia. La necropoli arcaica, Firenze ; Id., Populonia. Scavi e scoperte fortuite nella località di Porto Baratti durante il -, in “Notizie degli Scavi”, , pp. -; Id., Le ultime scoperte archeologiche, cit., cc. -; Id., Populonia, Firenze . Sulla tomba  di Piano delle Granate: Fedeli, Populonia, cit., p. , n.  g, con riferimenti; inoltre Bartoloni, Strutture e rituali funerari, cit. Sui gruppi di Piano delle Granate cfr. anche F. Delpino, Aspetti e problemi della prima età del ferro nell’Etruria settentrionale marittima, in L’Etruria mineraria. Atti del XII convegno di studi etruschi e italici, Firenze , pp. -. Sulla spada tipo Contigliano da Populonia: V. Bianco Peroni, Die Schwerter in Italien, in “Prähistorische Bronzefunde”, IV, , , p. , n. . Sul complesso di Montagna di Campo: Delpino, Aspetti e problemi, cit., pp.  ss. Sulla mancanza di armi reali nei contesti del villanoviano tipico: R. Peroni, Protostoria dell’Italia continentale. La penisola italiana nelle età del bronzo e del ferro, in “Popoli e Civiltà dell’Italia antica”, , , p. ; G. Bartoloni, La cultura laziale e il villanoviano salernitano. Considerazioni sui rapporti tra le comunità del Lazio protostorico e le genti esterne, in La presenza etrusca nella Campania meridionale, Firenze , pp. -. Sulle tombe di guerrieri inumati nella tarda età del bronzo in Europa: L’Europe au temp d’Ulysse. Dieux et Héros de l’âge du bronze, Paris , pp.  ss. e  ss. Sulla tomba  di Pontecagnano: B. d’Agostino, P. Gastaldi (a cura di), Pontecagnano II. La necropoli del Picentino. . Le tombe della prima età del ferro, Napoli , pp. -; Bartoloni, La cultura laziale e il villanoviano salernitano, cit., p. . Per Lefkandi: M. Popham, H. Sackett, P. Themelis, Lefkandi I. The Settlement, The Cemetery, Athens-London , p. . Per la necropoli del Sorbo: I. Pohl, The Iron Age Necropolis of Sorbo at Cerveteri, Stockholm , pp. - (tomba ). Abbiamo scarse notizie sull’ideologia funeraria corsa. Esempio di tombe collettive in grotta a Ordinacciu, Solaro: F. De Lanfranchi, M. C. Weiss, La civilisation des Corses. Les Peuplades de l’Age du Fer, Bastia , p. , fig. , . Tombe a inumazione di VII secolo a.C. in J. Guilaine, Le Sud de la France, la Corse et la circulation des bronzes de  à  avant J.C., in La Sardegna nel Mediterraneo tra il secondo e il primo millennio. Atti del II convegno di studi, Selargius , Cagliari , pp. -. Sui rapporti tra Corsica ed Etruria nel IX-VIII secolo a.C. (“Etruria geometrica”): G. Lilliu, Rapporti tra la cultura “torreana” e aspetti pre e protonuragici della Sardegna, in Congrès Préhistorique de France, XVIII Session, Ajaccio avril , Paris , p. ; R. Grosjean, Les civilisations de l’Age du Bronze en Corse, in La préhistoire française II. Préhistoire Corse, Paris , p. . Sulla situazione sarda: F. Lo Schiavo, Economia e società nell’età dei nuraghi, in G. Pugliese Carratelli (a cura di), Ichnussa. La Sardegna dalle origini all’età classica, Milano , pp. -; Ead., L’ambiente nuragico, in Zifferero (a cura di), L’architettura funeraria a Populonia, cit., pp. -. Sulle sepolture sar-

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de citate: G. Ugas, G. Lucia, Primi scavi nel sepolcreto nuragico di Antas, in La Sardegna nel Mediterraneo, cit., pp. -; G. Lilliu, La civiltà nuragica, Sassari , pp.  ss. Per la necropoli presso il castello di Populonia: F. Fedeli, Le tombe a camera della necropoli villanoviana di Poggio del Molino o del Telegrafo, in Zifferero (a cura di), L’architettura funeraria a Populonia, cit., pp. -; per il corredo funerario della tomba : F. Fedeli, in L’Etruria mineraria. Catalogo della mostra, Milano , pp. -; Bartoloni, Populonium etruscorum, cit., figg. -. Per l’ideologia funeraria della prima età del ferro a Tarquinia: C. Iaia, Simbolismo funerario e ideologia alle origini di una civiltà urbana. Forme rituali nelle sepolture villanoviane a Tarquinia e Vulci e nel loro entroterra, Firenze , pp.  ss. Sulla periodizzazione in fasi della necropoli veiente di Quattro Fontanili: J. Toms, The relative chronology of the Villanovan Cemetery of Quattro Fontanili at Veii, in “AION. Archeologia e storia antica”, , , pp. -. Sui rituali funerari a Veio: G. Bartoloni et al., Veio e Vetulonia nella prima età del ferro: affinità e differenze sullo sviluppo di due comunità dell’Etruria villanoviana, in Atti XIII Congresso Unione internazionale delle scienze preistoriche e protostoriche Forlì , vol. XI, The Iron Age in Europe, Forlì , pp. -; G. Bartoloni, A. Berardinetti, L. Drago, A. De Santis, Le necropoli villanoviane di Veio. Parallelismi e differenze, in G. Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio. Incontro di studio in memoria di Massimo Pallottino, Roma , pp. -. Sulla tomba  di Veio-Casal del Fosso: H. Müller-Karpe, Das Grab  von Veji, in Beiträge zu italienischen und griechischen Bronzefunden, in “Prähistorische Bronzefunde”, XX, , , pp. -, tavv. - (con imprecisioni sulla composizione del corredo). Analogamente, in posizione isolata rispetto al resto della necropoli sono state rinvenute le principesche tombe - di Pontecagnano: cfr. M. Cuozzo, Ideologia funeraria e competizione tra gruppi elitari nelle necropoli di Pontecagnano (Salerno), durante il periodo orientalizzante, in S. Marchegay, M. H. Dinahet, J. F. Salles (éds.), Nécropoles et pouvoir. Idéologie, pratiques et interprétations, Paris , p. . Per i dati sulla tomba Z  A di Veio-Quattro Fontanili: “Notizie degli Scavi”, , pp. -. Sulla cista a cordoni: B. Stjernquist, Ciste a cordoni (Rippenzisten). Produktion-Funktion-Diffusion, Bonn-Lund , vol. I, pp. -; vol. II, p. , n. , tav. XXV, . Per il contesto della tomba AA di Quattro Fontanili, riprodotta in quasi tutti i manuali di etruscologia (tra gli ultimi F. H. Massa Pairault, La cité des Etrusques, Paris , pp.  ss.): “Notizie degli Scavi”, , pp. -. Per la tomba di guerriero di Gabi-Osteria dell’Osa: A. De Santis, in A. M. Bietti Sestieri (a cura di), La necropoli laziale di Osteria dell’Osa, Roma , pp. -; Id., Contatti fra Etruria e Lazio antico alla fine dell’VIII sec. a.C. La tomba di guerriero di Osteria dell’Osa, in N. Christie (ed.), Settlement and Economy in Italy  B.C.-A.D. . Papers of the Fifth Conference of Italian Archaeology, Oxford , pp. -. Per la provenienza etrusca del defunto della tomba  di Cuma: I. Strøm, Problems Concerning the Origin and Early Development of the Etruscan Orientalizing Style, Odense , p. . Di opinione diversa J. P.

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Crielaard, Honour and Valour as Discourse for Early Greek Colonialism (th-th Centuries B.C.), in F. Krinzinger (hrsg.), Die Ägäis und das Westliche Mittelmeer. Beziehungen und Wechselwirkungen. . bis . Jhr. v. Chr., Wien , pp. -, che considera questo guerriero un greco sposato a una principessa indigena (deposta nella vicina tomba  bis), ribadendo l’ipotesi che tutte le donne nelle colonie greche possano essere indigene (discussione ivi, p. ). Sull’iscrizione etrusca di Cuma: G. Colonna, Etruschi a Pitecusa nell’orientalizzante antico, in A. Storchi Marino (a cura di), L’incidenza dell’antico. Studi in memoria di Ettore Lepore, vol. I, Atti del Convegno Internazionale, Napoli , pp. -. Per il contesto di rinvenimento della brocca iscritta di Osteria dell’Osa (tomba ): A. M. Bietti Sestieri, A. La Regina, A. De Santis, Elementi di tipo cultuale e doni personali nella necropoli laziale di Osteria dell’Osa, in Anathema. Regime delle offerte e vita dei santuari, in “Scienze dell’Antichità”, III, -, pp. -; per i circoli della necropoli dell’Acqua Acetosa Laurentina: A. Bedini, Struttura e organizzazione delle tombe “principesche” nel Lazio: Acqua Acetosa Laurentina: un esempio, in C. Ampolo, G. Bartoloni, A. Rathje (a cura di), Aspetti dell’aristocrazia fra VIII e VII secolo a.C., in “Opus”, III, , , pp. -. Per la mobilità aristocratica nell’orientalizzante etrusco e laziale: C. Ampolo, Roma arcaica fra Latini ed Etruschi: aspetti politici e sociali, in M. Cristofani (a cura di), Etruria e Lazio arcaico, “Quaderni del centro di studio per l’archeologia etrusco-italica”, , Roma , pp. -. Sulle recenti scoperte nella necropoli di Monte Michele: F. Boitani, Veio: la tomba “principesca” della necropoli di Monte Michele, in “Studi Etruschi”, LI, , pp. -; inoltre da ultimo Id., in A. M. Moretti Sgubini (a cura di), Veio, Cerveteri, Vulci: città a confronto. Catalogo della mostra, Roma , pp. -. Sulla tomba  di Riserva del Bagno: F. Buranelli, Una iscrizione etrusca della tomba V di Riserva del Bagno a Veio, in “Studi Etruschi”, L, , pp. - (cfr. anche Bartoloni, Riti funerari, cit., nota ). Sulla necropoli di Malagrotta: A. De Santis, Alcune considerazioni sul territorio veiente in età orientalizzante e arcaica, in Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit., pp. -. Per gli scavi a Marsiliana d’Albegna: A. Minto, Marsiliana d’Albegna, Firenze ; per quelli di Vetulonia: I. Falchi, Vetulonia e la sua necropoli antichissima, Firenze . Sulla tomba del Duce: G. Camporeale, La tomba del Duce, Firenze ; sul complesso del Littore: M. Cygielman, La tomba del Littore di Vetulonia ed i suoi carri, in A. Emiliozzi (a cura di), Carri da guerra e principi etruschi, Roma , pp. -. Sul periodo orientalizzante a Chiusi: A. Rastrelli, Chiusi nel periodo orientalizzante, in Id. (a cura di), Chiusi Etrusca, Chiusi , pp. -; A. Minetti, Le necropoli chiusine del periodo orientalizzante, ivi, pp. -. Sulle tombe  e  di Pontecagnano: B. d’Agostino, Tombe principesche dell’Orientalizzante antico da Pontecagnano, in “Monumenti Antichi dei Lincei”, serie miscellanea II, , , pp. -; sulla tomba : L. Cerchiai, Una tomba principesca del periodo orientalizzante antico a Pontecagnano, in “Studi Etruschi”, LIII, , pp. -. Sulla tomba  della necropoli di Casal del Fosso: G. Colonna, Gli scudi bilobati dell’Italia centrale e l’ancile dei Salii, in Miscellanea etrusca e italica in

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I RITI FUNERARI E LA TOMBA

onore di Massimo Pallottino, in “Archeologia Classica”, XLIII, , pp. -; inoltre F. Boitani, La tomba  di Casal del Fosso, in Dinamiche dello sviluppo delle città nell’Etruria meridionale: Veio, Caere, Tarquinia, Vulci, in Atti del XXIII Convegno di studi etruschi e italici (ottobre ), in stampa. I corredi delle tombe GG - e HH - di Veio-Quattro Fontanili sono presentati in “Notizie degli Scavi”, , pp. - e -. Sul culto funerario “eroico”: B. d’Agostino, La necropoli e i rituali della morte, in S. Settis (a cura di), I Greci. Storia Cultura Arte Società, vol. II/, Una storia greca. Formazione, Torino , pp. -. Sulla diffusione del rituale omerico: Coldstream, Geometric Greece, cit., pp. -. Sull’ipotesi di una continuità dall’XI secolo a.C. e di una probabile rivitalizzazione del costume eroico nell’VIII: V. Karagheorghis, Cipro “omerica”, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., pp. -. Sulle tombe di Casa Nocera a Casal Marittimo, la cui pubblicazione è in corso: A. M. Esposito (a cura di), Principi guerrieri. La necropoli etrusca di Casale Marittimo, Milano . Sull’interpretazione delle deposizioni delle tombe reali di Salamina di Cipro: V. Karagheorghis, Salamina di Cipro, Roma , p. ; E. Gjerstad, A CyproGreek Royal Marriage in the th Cent. B.C., in Studies Presented in Memory of Porphyrios Dikaios, Nicosia ; J. N. Coldstream, Gift Exchange in the Eighth Century B.C., in R. Hägg (ed.), The Greek Renaissance of the Eighth Century B.C. Tradition and Innovation, Stockholm , p. . Sulle barchette nuragiche da ultimo F. Lo Schiavo, Sea and Sardinia. Nuragic Bronze Boats, in Ancient Italy in its Mediterranean Setting. Studies in Honour of Ellen Macnamara, London , pp. -, dove si propone di considerarle “insegne del potere”, attestanti l’importanza della marineria nel mondo nuragico e il richiamo alle battaglie dei “Popoli del Mare” e viene ribadita la cronologia alta tra la fine dell’età del bronzo e l’inizio dell’età del ferro. Sul significato delle grattugie caratteristiche di corredi principeschi: M. Cristofani, Reconstruction d’un mobilier funéraire archaïque de Cerveteri, in “Monuments Piot”, , , pp. -; D. Ridgway, Nestor’s Cup and the Etruscans, in “Oxford Journal of Archaeology”, , , pp.  ss.; sul tripod bowl: M. Botto, Tripodi siriani e tripodi fenici dal Latium Vetus e dall’Etruria meridionale, in La ceramica fenicia in Sardegna. Atti del congresso internazionale sulcitano, Sant’Antioco , pp. -. Sulle tombe a camera di Populonia, inquadrabili nella prima età del ferro, da ultimo G. Bartoloni, La prima età del ferro a Populonia: le strutture tombali, in Zifferero (a cura di), L’architettura funeraria a Populonia, cit., pp. -; una sintesi in A. Naso, Dalla capanna alla casa: riflessi nell’architettura funeraria etrusca, in J. R. Brandt, L. Karlsson, From Huts to Houses. Transformations of Ancient Societies. Proceedings of an International Seminar Organized by the Norwegian and Swedish Institutes in Rome, - September, Stockholm , pp. -. Sul corredo della tomba  degli scavi  di A. Romualdi: S. Rosi, Tomba a camera villanoviana scoperta nel  a Poggio delle Granate-Populonia (Piombino, Li), in “Rassegna di Archeologia”, , -, pp. -. Sulla genesi delle tombe a camera populoniesi: G. Patroni, L’apparizione della struttura a cupola in Etruria, in “Historia”, , pp.  ss.; Å. Åkerstrom,

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Studien über die Etruskische Gräber, Lund ; A. Minto, Pseudocupola e pseudovolta nell’architettura etrusca delle origini, in “Palladio”, III, , pp.  ss. Per un quadro della questione: M. Gras, Trafics tyrrhéniens archaïques, “Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome”, , Roma , pp. -. Il riferimento all’ambiente miceneo è sostenuto, ad esempio, da Giacomo Caputo (La cultura orientalizzante nell’Arno, in Aspetti e problemi dell’Etruria interna. Atti dell’VIII convegno di studi etruschi e italici, Firenze , pp.  ss.), a proposito delle tombe a pseudocupola della media Val d’Arno, ribadendo il ruolo dei Micenei in Occidente tracciato da Pugliese Carratelli con la definizione di uno stanziamento miceneo a Pisa (G. Pugliese Carratelli, Per la storia delle relazioni micenee con l’Italia, in “Parola del Passato”, XIII, , p. ). A un collegamento con i monumenti nuragici, del resto già effettuato negli studi ottocenteschi a proposito della Tanella di Pitagora, accenna Massimo Pallottino già nelle prime edizioni dell’Etruscologia (M. Pallottino, Etruschi, Milano ): «Si potrebbe», dice, «anche esaminare se la costruzione a pseudocupola, tipica dell’Etruria marittima settentrionale, non sia da considerare in rapporto ai nuraghi sardi», ipotesi ribadita nel  (M. Pallottino, intervento in Aspetti e problemi dell’Etruria interna, cit., p. ) a proposito delle tholoi della Val d’Arno, affermando che «È probabile e storicamente ragionevole che le risorse minerarie della zona abbiano attirato sin dall’età del bronzo elementi propri del Mediterraneo orientale favorendo forse la loro conservazione fino alle culture degli albori dei tempi storici. Ma non si può neppure del tutto trascurare la questione degli stretti rapporti intercorsi tra queste zone e la Sardegna nuragica fondamentalmente caratterizzate dalle strutture a tholos». All’ambiente sardo fa riferimento anche Luciano Laurenzi (L’origine della copertura voltata e la storia della cupola, in “Arte antica e moderna”, , pp. -) per le costruzioni a cupola etrusche, datate un po’ troppo in basso, cioè tra la metà del VII e quella del VI secolo a.C. e considerate tentativi maldestri e frutto di una tecnica appresa affrettatamente, non diffusa e non sentita. Lo studioso ritiene «che non si possano ricollegare con la grande esperienza egea; penso invece che la tecnica sia stata insegnata in Etruria da qualche muratore della Sardegna, dove l’arte di costruire volte e cupole a filari aggettanti ebbe un ultimo meraviglioso rigoglio». Sugli stretti rapporti tra Sardegna nuragica e Etruria mineraria villanoviana, messi in luce nell’ultimo ventennio: G. Bartoloni, F. Delpino, Un tipo di orciolo a lamelle metalliche. Considerazioni sulla prima fase villanoviana, in “Studi Etruschi”, XLIII, , pp. -; M. Gras, L’Etruria villanoviana e la Sardegna settentrionale: precisazioni ed ipotesi, in Atti XXII riunione scientifica Istituto italiano di preistoria e protostoria, Firenze , pp. -; F. Lo Schiavo, Osservazioni sul problema dei rapporti fra Sardegna ed Etruria in età nuragica, in L’Etruria mineraria. Atti del XII convegno, cit., pp. -; F. Lo Schiavo, D. Ridgway, Un millennio di relazioni fra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo, in La Sardegna nel Mediterraneo, cit., pp. -; G. Bartoloni, Populonium etruscorum quodam hoc tantum in litore. Aspetti e carattere di una comunità costiera nella prima età del ferro, in Miscellanea etrusca e italica in onore di Massimo Pallottino, in “Archeologia Classica”, XLIII, , pp. -; Ead., Bronzetti nuragici importati nell’Italia peninsulare, in A. Zanini (a cura di), Dal bronzo al ferro. Il II millennio

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I RITI FUNERARI E LA TOMBA

nella Toscana centro-occidentale, Pisa , pp. -. Tali studi hanno dato maggior forza a questo collegamento: G. Colonna, Basi conoscitive per la storia economica dell’Etruria, in Contributi introduttivi allo studio della monetazione etrusca. Atti del V Convegno internazionale di studi numismatici, Roma  (Annali dell’Istituto Italiano di Numismatica, Suppl. ), pp.  ss.; Id., Urbanistica e architettura, in G. Pugliese Carratelli (a cura di), Rasenna. Storia e civiltà degli Etruschi, Milano . Da ultimi F. Prayon, Ostmediterrane Einflüsse auf der Beginn der Monumentalarchitektur in Etrurien, in “Jahrbuch des Römisch-Germanischen Zentralmuseums Mainz”, ,  (), pp. -; A. Naso, Osservazioni sull’origine dei tumuli monumentali nell’Italia centrale, in “Opuscula romana”, XX, , pp. -. Una posizione interrogativa in Lo Schiavo, L’ambiente nuragico, cit. Sulle tholoi del mondo egeo: P. Belli, Tholoi nell’Egeo dal II al I millennio, in La transizione dal Miceneo all’Alto Arcaismo. Dal palazzo alla città, Roma , pp. -; Id., Architecture as Cratfsmanship: LM III Tholoi and Their Builder, in R. Laffineur, Ph. P. Betancourt (eds.), TECNH. Craftsmen, Craftswomen and Craftsmanship in the Aegean Bronze Age. Proceedings of the th International Aegean Conference, Philadelphia , in “Aegaeum”, , , pp. -; per Creta cfr. anche Coldstream, Geometric Greece, cit., pp.  ss.; G. Rizza, Creta antica. Cento anni di archeologia italiana (-), Roma , pp. -. Sulle piccole camere con copertura a pseudovolta della Sicilia: V. La Rosa, Le popolazioni della Sicilia: Sicani, Siculi, Elimi, in Italia omnium terrarum parens, Milano , pp.  ss.; per gli scavi Orsi: P. Orsi, Esplorazioni a Monte Bubbonia dal  al , in “Archivio storico siracusano”, n. s. II, -, pp. -; P. Pelagatti, in Atti del I congresso internazionale di studi sulla Sicilia antica, in “Kokalos”, X-XI, -, p. , tavv. III-IV; P. Orsi, P. Pelagatti, Adrano e la città sicula del Mendolito, in “Archivio storico siracusano”, XIII-XIV, -, pp. -. Sull’origine e la diffusione delle urne a forma di capanna: AA.VV., Etrusker nördlich von Etrurien, Wien , pp.  ss. F. W. von Hase, Norddeutschland und Polen. Die Transalpinen Beziehungen, in Die Etrusker und Europa, Berlin , pp.  ss.; G. Bartoloni, Ancora sulle urne a capanna rinvenute in Italia: nuovi dati e vecchi problemi, in Archäologische Untersuchungen zu den Beziehungen zwischen Altitalien und der Zone Nordwärts der Alpen während der frühen Eisenzeit Alteuropas (Regensburg, November ), Regensburg , p. . Sui rapporti tra genti egee e Lazio nell’XI e X secolo: F. Lo Schiavo, E. Macnamara, L. Vagnetti, Late Cypriot Imports to Italy and Their Influence on Local Bronzework, in “Papers of the British School at Rome”, , , pp.  ss.; Bartoloni, La cultura laziale e il villanoviano salernitano, cit., pp.  ss. Per il rinvenimento dell’ancora: L. Quilici, Un’ancora del tardo bronzo alle foci del Tevere, in “Archeologia Classica”, XXIII, , pp. -. Sul ruolo prioritario dei Fenici di Cipro nella trasmissione dall’Egeo di tecnologie e di idee: D. Ridgway, Relazioni di Cipro con l’Occidente in età precoloniale, in G. Pugliese Carratelli (a cura di), I Greci in Occidente. Catalogo della mostra, Venezia , pp. -. Per un quadro dei rapporti degli Etruschi e dei Latini con il mondo egeo già da periodi così antichi: M. Torelli, L’ellenizzazione della società e della cultura etrusca, in Id. (a cura di), Gli Etruschi. Catalogo della mostra, Venezia , pp.  ss.

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Sui rinvenimenti di Sant’Imbenia: P. Bernardini, R. D’Oriano, P. G. Spanu (a cura di), Phoinikes/B Shrdn. I fenici in Sardegna. Catalogo della mostra, Cagliari , pp.  ss. Sulla forte componente euboica nei rapporti tra Greci e popolazioni indigene dell’Italia antica: M. Bats, B. d’Agostino (a cura di), Euboica. L’Eubea e la presenza euboica in Calcidica ed in Occidente, Napoli ; D. Ridgway, The First Western Greeks Revisited, in Ancient Italy in its Mediterranean Setting, cit., pp. -. Sui rapporti tra Grecia ed Etruria alla fine del IX-inizio dell’VIII secolo, prima dello stanziamento greco in Italia, da ultimo G. Bartoloni, A. Berardinetti Insam, L. Drago, Le comunità della bassa valle tiberina e il Mediterraneo orientale prima della colonizzazione greca, in Krinzinger (hrsg.), Die Ägäis und das Westliche Mittelmeer, cit., pp. -. Sugli scavi del Riparo Biserno a San Vincenzo: F. Fedeli, A. Galiberti, S. di Lernia, E. Pacciani, Lo scavo del Riparo Biserno, in “Rassegna di Archeologia”, , , pp. -. Lo scavo del Riparo Biserno nelle colline del Campigliese testimonia lo sfruttamento delle risorse minerarie da parte della comunità facente capo a Populonia, già da questo periodo, analogamente a quello, più volte ribadito, dei giacimenti di ematite dell’isola d’Elba. Sul complesso elbano del Monte Calamita, le cui suppellettili bronzee risultano riferibili a individui di livello decisamente elevato: R. Foresi, Sopra una collezione composta di oggetti antestorici trovati nelle isole dell’Arcipelago Toscano e inviati alla Mostra Universale di Parigi, Firenze , pp.  ss.; F. Delpino, Aspetti e problemi della prima età del ferro nell’Etruria settentrionale marittima, in L’Etruria mineraria. Atti del XII convegno, cit., pp.  ss. Sul passo di Servio (Ad Aeneidem, X, ), considerato per lo più tardivo, confuso e incerto: Minto, Populonia, cit., pp. -; C. Battisti, Sul nome di Populonia, in “Studi Etruschi”, XXVII, , pp.  ss.; R. Cardarelli, De ora maritima Populoniensi, in “Studi Etruschi”, XXXI, , pp.  ss.; N. Lamboglia, Il problema dei Liguri e la Corsica, in “Giornale storico della Lunigiana e del territorio lucense”, XXVI-XXVII, -, pp.  ss. Per lo sviluppo progressivo dalle tombe a fossa a quelle a camera: R. Mengarelli, L’evoluzione delle forme architettoniche nelle tombe etrusche di Caere, in Atti del III congresso nazionale di storia dell’architettura. Saggi sull’architettura etrusca e romana, Roma , pp. -; R. E. Linington, Prospezioni geofisiche a Cerveteri, in “Palatino”, , , pp.  ss.; F. Prayon, L’architettura funeraria etrusca. La situazione attuale delle ricerche e problemi aperti, in Atti del secondo convegno internazionale etrusco, Firenze , Roma , pp. -; Naso, Dalla capanna alla casa, cit. Sulle grandi fosse (“pseudocamere”) della Laurentina: A. Bedini, Abitato protostorico in località Acqua Acetosa Laurentina, in Archeologia a Roma. La materia e la tecnica nell’arte antica, Roma , pp.  ss.; sulla disposizione del corredo in queste tombe, rispecchiante l’organizzazione funzionale dell’oikos: Id., La tomba  dell’Acqua Acetosa Laurentina, in A. Carandini, R. Cappelli (a cura di), Roma. Romolo, Remo e la fondazione della città, Roma , pp. -. Per i complessi tarquiniesi: H. Hencken, Tarquinia. Villanovans and Early Etruscans, Cambridge (MA) , pp.  ss.;  ss. (tomba Avvolta).

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Un’articolazione delle grandi tombe a fossa con uno o due loculi, attestate nell’agro veiente e falisco-capenate, è stata proposta da Francesco Di Gennaro in: tombe a loculo tipo Narce, tombe a piccolo loculo tipo Monte Michele e tombe a due loculi tipo Montarano (F. Di Gennaro, Via della Marcigliana. Crustumerium. Realizzazione di un primo itinerario di visita della necropoli e dell’area urbana, in F. Filippi, a cura di, Archeologia e Giubileo. Gli interventi a Roma e nel Lazio nel Piano del Grande Giubileo del , Napoli , p. , fig. ). Sull’articolazione delle grandi fosse di Vetulonia: S. Bruni, L’architettura tombale dell’area costiera dell’estrema Etruria settentrionale. Appunti per l’orientalizzante antico e medio, in Zifferero (a cura di), L’architettura funeraria a Populonia, cit., p. . Sull’evoluzione degli ipogei scavati: F. Prayon, Frühetruskische Grab- und Hausarchitektur, Heidelberg . Per una sintesi sull’architettura funeraria etrusca: G. Colonna, Urbanistica e architettura, in Pugliese Carratelli (a cura di), Rasenna, cit., pp.  ss. Per le tombe a tholos della Val d’Arno: F. Nicosia, La necropoli monumentale di Comeana, in M. C. Bettini, F. Nicosia, G. Poggesi, Il Parco Archeologico di Carmignano, Firenze , pp. -; per la tomba della Montagnola: G. Caputo, F. Nicosia, La tomba della Montagnola, Sesto Fiorentino ; per le recenti indagini nella tomba della Mula: G. C. Cianferoni, La tomba della Mula, in F. Martini, G. Poggesi, L. Sarti, Lunga memoria della piana. L’area fiorentina dalla preistoria alla romanizzazione, Firenze , pp. -. Per le tombe a tramezzo: G. Bartoloni, La tomba dell’alfabeto di Monteriggioni, in Etrusca et Italica. Studi in ricordo di Massimo Pallottino, Pisa-Roma , pp. -. Per la tomba C di Casa Nocera a Casal Marittimo: Esposito (a cura di), Principi guerrieri, cit. Per i tumuli di Cortona: P. Zamarchi Grassi (a cura di), La Cortona dei Principi, Cortona . Per le tombe a camera di Chiusi: Rastrelli, Chiusi etrusca, cit. Sul tumulo di Montecalvario di Castellina in Chianti: G. C. Cianferoni, Gli Etruschi nel Chianti, Radda in Chianti ; cfr. ora anche A. Emiliozzi, Zur Restaurierung des Wagens aus dem Etruskischen Grabhügel bei Castellina in Chianti, in Zeremonialwagen Statusymbole Eisenzeitlichen Eliten, in “Jahrbuch des RömischGermanischen Zentralmuseums Mainz”, , , pp. -. Per Montetosto: M. A. Rizzo, Il tumulo di Montetosto, in Atti del secondo convegno internazionale etrusco, cit., pp. -. Per i rapporti con i tumuli dell’Asia Minore: A. Naso, I tumuli monumentali in Etruria meridionale: caratteri propri e possibili ascendenze orientali, in Archäologische Untersuchungen, cit., pp. -. Per un rialzamento della cronologia del tumulo di Gordion, sulla base della dendrocronologia, al  anziché al - a.C.: P. I. Kuniholm, A Date-List for Bronze Age and Iron Age Monuments Based on Combined Dendrochronological and Radiocarbon Evidence, in Studies in Honour of N. Örzgüç, Ankara , pp. -. Sulle terrecotte architettoniche del tumulo di Cortona: P. Zamarchi Grassi, Un edificio per il culto funerario. Nuovi dati sul tumulo II del Sodo a Cortona, in “Rivista di Archeologia”, , , pp. -. Sul disegno di mausoleo attribuito a Leonardo, in cui è stato riconosciuto il tumulo di Castellina: M. Martelli, Un

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disegno attribuito a Leonardo e una scoperta archeologica degli inizi del ‘, in “Prospettiva”, , , pp. -; cfr. ora anche G. Bartoloni, P. Bocci Pacini, The Importance of Etruscan Antiquity in Tuscan Renaissance Art, in The Role of the Artist in the Rediscovery of Antiquity, in “Acta Hyperborea”, in stampa. Sull’intepretazione dell’uso delle rampe degli altari-terrazza: Nicosia, La necropoli monumentale di Comeana, cit., pp. -; S. Steingräber, Le cult des morts et les monuments de pierre des nécropoles étrusques, in Les Etrusques: Les plus religieux des hommes, Paris , pp. -. Per gli esempi della Val d’Arno anche G. Poggesi, Artimino: il guerriero di Prato Rosello, Firenze , pp. -. Sugli scavi di Vulci più recenti: A. M. Sgubini Moretti, Ricerche archeologiche a Vulci: -, in M. Martelli (a cura di), Tyrrhenoi Philotechnoi. Atti della giornata di studio (Viterbo,  ottobre ), Roma , pp. -. Sulle scalinate delle tombe tarquiniesi: G. Colonna, Strutture teatriformi in Etruria, in Spectacles sportifs et scéniques dans le monde étrusco-italique, “Collection École Française de Rome”, , Roma , pp. -; sulla tomba degli Animali Dipinti: A. Naso, Architetture dipinte. Decorazioni parietali non figurate nell’Etruria a camera dell’Etruria meridionale (VII-V secolo a.C.), Roma , pp.  ss. Sulla ricostruzione della cerimonia funebre nell’anticamera della tomba Regolini Galassi: G. Colonna, E. Di Paolo, Il letto vuoto, la distribuzione del corredo e la “finestra” della tomba Regolini Galassi, in Etrusca et Italica, cit., pp. ; sulla stessa tomba cfr. inoltre E. Paschinger, Über ein mögliches familiäres Verhältnis der in der Tomba Regolini-Galassi bestatteten Personen, in “Antike Welt”, XXIV, , , pp. -. Inoltre, sul culto funerario: G. Colonna, Il dokanon, il culto dei Dioscuri e gli aspetti ellenizzanti della religione dei morti nell’Etruria tardo-arcaica, in Scritti di antichità in memoria di Sandro Stucchi, “Studi miscellanei”, , Roma , pp. -. Per le imagines maiorum: M. Torelli, Polis e Palazzo. Architettura, ideologia e artigianato greco in Etruria tra VII e VI sec. a.C., in Architecture et société. Atti del colloquio, Roma , pp. -. Da ultimo: A. Carandini, La nascita di Roma. Dei, Lari, eroi e uomini all’alba di una civiltà, Torino , p. . Per l’urna a capanna con figurina umana seduta sul tetto, dal commercio antiquario, attribuita a produzione visentina: G. Bartoloni, F. Buranelli, V. D’Atri, A. De Santis, Le urne a capanna rinvenute in Italia, Roma , p. , n. ; per il presumibile corredo di accompagno: E. Mangani, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., p. , n. . Sugli acroteri di Murlo: I. E. M. Edlund Berry, The Seated and Standing Akroteria from Poggio Civitate (Murlo), Roma . Sul complesso di Murlo: K. M. Phillips Jr., In the Hill of Tuscany: Recent Excavations of the Etruscan Site of Poggio Civitate, Murlo, Siena, Philadelphia . Sulle antefisse a maschera umana di Murlo: Colonna, Urbanistica e architettura, cit., p. . Per le figurine umane sui coperchi delle urne villanoviane: P. Gastaldi, Pontecagnano II. . La necropoli del Pagliarone, “Quaderni di AION. Archeologia e storia antica”, , Napoli , pp.  ss.; G. Bartoloni, La cultura villanoviana. All’inizio della storia etrusca, nuova edizione aggiornata, Roma , p. . Sulla tomba delle statue di Ceri: G. Colonna, F. W. von Hase, Alle origini della statuaria etrusca: la tomba delle statue presso Ceri, in “Studi Etruschi”, LII,

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I RITI FUNERARI E LA TOMBA

 (), pp. -. A due figure di sesso diverso pensa invece F. Prayon, Die Anfänge grossformatiger Plastik in Etrurien, in Archäologische Untersuchungen, cit., pp. -. Sulla tomba delle cinque sedie di Cerveteri: F. Prayon, Zum ursprünglichen Aussehen und zur Deutung des Kultraummes in der Tomba delle Cinque Sedie bei Cerveteri, in “Marburger Winckelmann Programm”, , pp. -; Id., Zur Datierung der drei frühetruskischen Sitzstatuetten aus Cerveteri, in “Römische Mitteilungen”, , , pp. -; Colonna, von Hase, Alle origini della statuaria etrusca, cit., pp. , , . Per il frammento di Veio: I. Strøm, in Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit., p. , fig. . Per le statue di Asciano: E. Mangani, Diffusione della civiltà chiusina nella valle dell’Ombrone in età arcaica, in La civiltà di Chiusi e il suo territorio. Atti del XVII Convegno di studi etruschi e italici (Chianciano Terme ), Firenze , pp.  ss.; per quelle di Camucia: P. Bocci Pacini, La tomba B del tumulo di Camucia, in M. G. Marzi (a cura di), Il tumulo di Camucia e il carteggio François-Sergardi, Montespertoli , pp.  ss., fig. . Sulle statue stanti di Casa Nocera: Esposito, Principi guerrieri, cit., pp.  ss.; G. Colonna, La scultura in pietra, in I Piceni. Popolo d’Europa, Roma , p. ; A. Maggiani, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., pp. -, nn. -. Per un confronto sulla possibile collocazione sul tumulo cfr. il tumulo di Hirschlanden: P. Brun, Princes et princesses de la Celtique. Le premier Âge du Fer (- av. J. C.), Paris , fig. a p. ; inoltre, su questo complesso: H. Schickler, Il guerriero di Hirschlanden, in Piceni. Popolo d’Europa, cit., pp.  ss. Per il tumulo di Belevi: S. Kasper, Der Tumulus von Belevi (Grabungsbericht), in “Österreich Jahrbuch”, , -, pp. -; per il rapporto fra le tombe a tumulo del periodo orientalizzante a Populonia e quella Menekrates a Corfù: Naso, I tumuli monumentali, cit., pp.  ss. Sulla tomba  di Grotta Gramiccia, inquadrabile all’inizio del villanoviano evoluto: A. Berardinetti, in G. Bartoloni, A. Berardinetti, A. De Santis, L. Drago, Veio tra IX e VI secolo a.C. Primi risultati sull’analisi comparata delle necropoli veienti, in “Archeologia Classica”, XLVI, , p. ; A. Berardinetti, L. Drago, La necropoli di Grotta Gramiccia, in Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit., p. . Sugli scavi del complesso orientalizzante di via San Jacopo a Pisa: Bruni, L’architettura tombale dell’area costiera, cit., pp.  ss. Per una prima analisi del rituale: Id., Pisa etrusca. Anatomia di una città scomparsa, Milano , pp.  ss.; da sottolineare le forti analogie di questo complesso funerario con strutture della necropoli di Chiavari: Id., L’architettura tombale dell’area costiera, cit., pp.  ss. Per il tumulo di Decima: A. Bedini, in A. Bedini, F. Cordano, L’ottavo secolo nel Lazio e l’inizio dell’orientalizzante antico. Alla luce di recenti scoperte nella necropoli di Castel di Decima, in Lazio arcaico e mondo greco, in “Parola del Passato”, XXXII, , pp. -, che preferisce interpretare i dati dello scavo di questo complesso con i resti di una incinerazione di tipo eroico. Per i riferimenti ad Alceo, si veda Th. Reinach, A. Puech, Alcée. Sapho, Paris .



 Necropoli e società

Le necropoli delimitate per lo più naturalmente, come si è accennato (cfr. supra, PAR. .), si sviluppano secondo la conformazione del terreno, con un graduale ampliamento della zona più antica. Sono state riconosciute necropoli “a sviluppo lineare”, con le tombe che si allontanano via via dall’area abitata e necropoli “a sviluppo radiale” (o “a ventaglio”) con un graduale ampliamento intorno al nucleo originario. Le tombe possono presentarsi distanziate, concentrate o a gruppi ben differenziati sul terreno ecc. L’importanza degli elementi spaziali nell’analisi delle necropoli è stata riconosciuta sin dagli anni ottanta. Attraverso l’analisi della disposizione spaziale delle tombe e il confronto con i relativi corredi possiamo, ad esempio, ipotizzare diverse articolazioni della comunità. Per la ricostruzione dello sviluppo delle diverse comunità, i dati relativi all’organizzazione topografica delle tombe nelle varie fasi hanno dimostrato una «rilevanza non minore di quella dei dati “archeologici” e “antropologici”» (Bietti Sestieri, , p. ). Ci si soffermerà in questa sede sull’esempio di Veio in Etruria e su quello di Castel di Decima per il Lazio, con confronti a Vetulonia, Tarquinia, Osteria dell’Osa, Crustumerium e Acqua Acetosa Laurentina.

. Stratigrafia delle necropoli e individuazione di gruppi Sin dalla fase più antica di vita è possibile riconoscere nell’ambito dei singoli centri necropoli distinte e in queste ultime, a loro volta, gruppi distinti già nel corso del IX secolo a.C. L’esame della stratigrafia orizzontale dei sepolcreti di Veio, ad esempio, evidenzia una articolazione delle tombe in gruppi più o meno consistenti, probabilmente pertinenti a gruppi familiari allargati, riconosci

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bili non solo in base alla loro disposizione sul terreno, ma anche per la concomitanza di caratteri peculiari del rituale e del corredo. La documentazione più consistente per il IX e l’VIII secolo a.C. è fornita dai complessi funerari ubicati a settentrione del pianoro di Veio: il gruppo di Quattro Fontanili-Picazzano e quello di Grotta GramicciaCasal del Fosso. Meno definito il raggruppamento Vaccareccia-Monte Michele. I corsi d’acqua non sembrano fornire un confine per le diverse aree sepolcrali riferibili a Veio, mentre fondamentale risulta, sin dalla fase più antica, l’ubicazione lungo importanti percorsi viari che univano Veio alle principali comunità dell’Etruria, Cerveteri a nord-ovest, l’Etruria interna e quindi Tarquinia a nord, Capena e l’agro falisco a nordest, Roma e gli altri centri del Latium Vetus a sud-ovest. Da notare come l’uso delle necropoli nord-orientali sia più tardo, verosimilmente non anteriore alla fine dell’VIII secolo a.C., in perfetta coincidenza con l’emergere dei centri dell’agro falisco e capenate. Nel sepolcreto di Quattro Fontanili, sviluppato in un’area di circa . mq, sono state individuate almeno . tombe, di cui ne sono state scavate ,  a inumazione e circa  a incinerazione. Al complesso Grotta Gramiccia-Casal del Fosso sono riferibili . tombe: l’area utilizzata per la necropoli in località Grotta Gramiccia non sembra superare i . mq, mentre più del doppio (. mq) è stimata l’estensione di Casal del Fosso. Dati parziali offrono i sepolcreti di Vaccareccia ( tombe), Valle la Fata ( tombe) e Monte Campanile (frammenti di ossuari e ciotole di copertura) nei settori orientali e meridionali del complesso veiente (FIG. .). Per il IX secolo, la ricostruzione dello sviluppo delle necropoli è possibile attraverso l’analisi topografica di Grotta Gramiccia, mentre a Quattro Fontanili le aree occupate dalle sepolture più antiche hanno subito gravi danni, o non sono state esplorate sistematicamente. È stato possibile riconoscere in entrambi i nuclei sepolcrali due gruppi distinti di deposizioni, posti a relativa distanza uno dall’altro: a Grotta Gramiccia sono individuabili due aree, che occupano due piccole alture contigue che si sviluppano contemporaneamente con un allargamento progressivo e radiale dal nucleo originario; ai Quattro Fontanili un settore occidentale, parzialmente scavato nei primi decenni del secolo, e uno individuato e scavato per almeno metà dalle ricerche anglo-italiane negli anni -. Sia i pozzi che le fosse sono fittamente distribuiti sul terreno, con una densità media, per Quattro Fontanili, di una tomba ogni  mq, per Grotta Gramiccia di una tomba ogni - mq. Nel corso di questa fase più antica di uso delle necropoli sono attestati diversi casi di più stretta contiguità topografica di coppie di sepolture, che potrebbero te

.

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. Pianta di Veio

FIGURA



stimoniare legami di tipo matrimoniale: spesso i pozzetti sono addirittura tangenti, in evidente connessione tra loro. Un gruppo di sette tombe risulta ad esempio coperto da un’unica platea di tufi. Nel corso dell’VIII secolo le sepolture si dispongono intorno o accanto alle deposizioni più antiche, secondo una complessa disposizione radiale o a gruppi. Nella necropoli di Grotta Gramiccia appare evidente un ampliamento progressivo rispetto ai due nuclei originari, con una maggiore concentrazione di sepolture nel settore meridionale dell’altura. L’esame della stratigrafia orizzontale di ciascuna delle necropoli veienti esaminate evidenzia quindi un’articolazione delle tombe in gruppi più o meno consistenti, probabilmente pertinenti a gruppi familiari allargati, riconoscibili in base alla loro disposizione sul terreno e per la concomitanza di caratteri peculiari del rituale e del corredo. All’interno di questi gruppi più estesi sono a volte riconoscibili alcuni nuclei familiari ristretti, comprendenti almeno una tomba maschile e una femminile accanto a una o più tombe infantili. 

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Nella necropoli di Quattro Fontanili un gruppo di tombe a pozzo con risega riferibili a individui di ambo i sessi e bambini messe in luce in quadrati contigui (W -, W -, WX  ecc.) è caratterizzato dall’uso di spargere le ceneri del rogo sul corredo; inoltre, il corredo ceramico è caratterizzato dalla presenza di vasi dello stesso tipo, legati ad ambiente laziale, per lo più miniaturizzati, quali le ollette a rete e i sostegni-“calefattoi” (Toms – Veio IIA). Altri gruppi di tombe in fossa, riferibili a individui di ambo i sessi, presentano oggetti dello stesso tipo, soprattutto ceramici, nel corredo e per quanto lo stato di rinvenimento lo permetta (gran parte delle tombe di questo sepolcreto risultano violate) sono accomunate dallo stesso tipo di ricchezza. Particolarmente indicativo per chiarire lo sviluppo della necropoli è il gruppo intorno alla tomba CC  A (Toms – Veio IIB), in cui è una deposizione con ricco corredo femminile, caratterizzata dalla presenza di una coppa “euboica” a metopa con uccello e di una brocca a bocca tonda d’imitazione ma di tipologia strettamente legata ai prototipi egei; le tombe di questo gruppo sono ubicate ai limiti, e in qualche caso sovrapposte, alle tombe di incinerati della fase più antica. Inoltre, di notevole interesse appaiono alcune tombe a fossa ravvicinate (EE -; FF -; GG -; FF -; GG -), riferibili a individui di ambedue i sessi, associate dalla presenza di coppe a chevrons d’importazione inquadrabili tutte nella fase finale del villanoviano (Toms – Veio IIB). Una sola delle coppe di questo tipo rinvenuta ai Quattro Fontanili proviene da una tomba esterna a questo gruppo. Si potrebbe quindi azzardare l’ipotesi che un gruppo familiare in particolare abbia avuto rapporti preferenziali con genti greche già dai primi anni della colonizzazione greca in Occidente. Altri gruppi, caratterizzati da tombe a fossa quadrangolare con pozzo centrale, attribuibili a individui di ambedue i generi (Toms – Veio IIA-IIB iniziale), sono accomunati dalla deposizione dell’ossuario in dolio, dall’uso di coprire l’olla-ossuario con vasellame metallico e dal corredo non molto caratterizzato. Questo tipo di deposizione trova confronto in gruppi ben evidenziabili nelle necropoli di Grotta Gramiccia e anche di Casal del Fosso, dove sembrano attestate ancora nel tardo villanoviano evoluto. È interessante notare come ai Quattro Fontanili, nel momento più tardo della necropoli, si affianchino a questi gruppi di tombe deposizioni a fossa con loculo, che corrispondono a un tipo caratteristico di tombe eccellenti. Se dunque nel periodo più antico per le genti di questo gruppo lo status era evidenziato dal rituale eccellente dell’incinerazione e dalla tipologia dell’ossuario-coperchio, in un momento successivo si è preferito il rituale a inumazione, più diffuso nella necropoli e nel territorio circostante, contraddistinto dalla ricchezza di beni occultati. 

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Un altro gruppo è caratterizzato dall’uso di coprire nelle tombe a pozzo (tombe V -, V  C, V , Z  C, Z ) l’ossuario con un tessuto (una stola?), spesso decorato con borchiette e catenelle di bronzo e chiuso da una o più fibule, rituale attestato a Veio anche nella necropoli di Grotta Gramiccia (tombe  e ) e presente a Tarquinia sia nei vecchi scavi (Arcatelle, tomba ) che in quelli più recenti a Villa Bruschi-Falgari, dove il rito della vestizione dell’ossuario è attestato in un terzo delle sepolture di questo sepolcreto. Nelle tombe a fossa la stola risulta avvolgere il capo dell’inumato (Quattro Fontanili, tomba Z -). A Casal del Fosso, necropoli prevalentemente usata nella seconda metà dell’VIII secolo a.C., sono stati riconosciuti almeno sei raggruppamenti, alcuni decisamente separati topograficamente, sviluppatisi verosimilmente intorno a una coppia di coniugi connotati come personaggi eminenti. Intorno a questi, ampie fasce di terreno risultano prive di sepolture. Anche nella necropoli di Grotta Gramiccia alcune tombe a fossa risultano deposte intorno a una o più deposizioni di livello elevato; la volontà della distinzione dei singoli gruppi familiari è particolarmente evidente nel settore sud-occidentale, dove le tombe a fossa - risultano delimitate da un recinto poligonale di tufo. Nella necropoli delle Arcatelle di Tarquinia e in quella di Ponterotto di Vulci alcuni gruppi di incinerazioni (fino a  deposizioni) tra la fine del IX e l’inizio dell’VIII secolo sono collegate da canalette, in evidente «simbolizzazione dei legami di parentela o affinità tra i defunti» (Iaia, , p. ): nella necropoli tarquiniese questo sembra un privilegio riservato ancora a pochi. La disposizione dei sepolcreti più antichi di Veio nelle colline a settentrione del pianoro sede dell’abitato può fornire indicazioni anche sulla progressiva occupazione insediamentale: dagli scavi vecchi e recenti a Campetti, Macchia Grande, Comunità e Piazza d’Armi sembra di riconoscere sul pianoro di Veio un sistema di abitazioni sparse a piccoli gruppi in uso fino a fasi avanzate della storia di Veio, mentre le ricerche di superficie, effettuate dalla British School prima del , evidenziano per le fasi più antiche una concentrazione di materiali nell’area settentrionale, proprio in corrispondenza delle necropoli di Grotta Gramiccia e di Quattro Fontanili. La piccola e isolata necropoli di Valle la Fata sembrerebbe riferibile al gruppo a sé stante insediato nell’altura di Piazza d’Armi. Potremmo quindi pensare a un consistente nucleo più antico dell’abitato ubicato nella zona settentrionale del pianoro (Campetti e Macchia Grande), con piccoli gruppi di capanne sparse sul resto dell’unità orografica. La scelta di impiantare le necropoli a nord del pianoro abitato risulta comune a più centri villanoviani: Populonia, con le necropoli settentrionali di Piano e Poggio delle Granate; Vetulonia, con il gruppo di Pog

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gio alla Guardia, Poggio Belvedere, Poggio al Bello e Poggio alle Birbe; Volterra, con il sepolcreto delle Ripaie. Non è da escludere quindi che queste analogie siano dovute anche a un’esigenza di rituale funerario, il cui significato per ora sfugge. Un cambiamento fondamentale nella disposizione delle necropoli è attestato a Veio dalla fine dell’VIII secolo, allorché vengono per lo più abbandonate le grandi necropoli della prima età del ferro: solo alcune tombe paiono rioccupare queste necropoli con l’evidente volontà di ricollegarsi alle genti più antiche a garanzia della continuità del gruppo. Anche a Pontecagnano, dove nel periodo orientalizzante è riconoscibile uno spostamento verso est, presentando quindi una decisa stratigrafia orizzontale, «le tombe orientalizzanti, pur ponendosi a ridosso di quelle della prima età del ferro, non s’inseriscono nel tessuto sepolcrale precedente ma si collocano ai margini di esso, articolandosi in nuovi raggruppamenti funerari» (Pellegrino, , p. ). Non sembra di riconoscere, alla luce dei nostri dati su Veio, un cimitero principale, come ad esempio la necropoli dell’Esquilino a Roma, ma una serie di piccoli sepolcreti ubicati lungo le vie di comunicazione con i centri maggiori finitimi, probabilmente presso le porte principali della città. L’inizio dell’uso di questi nuovi nuclei sepolcrali coincide del resto con il ripopolamento del territorio, attribuito allo spostamento dal centro verso la periferia di gruppi di aristocratici terrieri. Il controllo strategico delle vie di comunicazione viene assicurato mediante l’impianto di centri di piccole e medie dimensioni, in evidente differenziazione gerarchica. Questi piccoli nuclei tombali “cittadini”, di cui il più consistente, Macchia della Comunità, annovera non più di cento tombe, mostrano caratteri peculiari che li distinguono l’uno dall’altro, sia nella scelta della tipologia delle tombe che nella scelta dei materiali deposti, tali da farli riferire a gruppi diversi da quelli deposti nelle necropoli settentrionali, all’interno delle quali singole famiglie nucleari venivano riunite nelle tombe a camera o in gruppi di fosse strettamente collegati tra loro. La composizione dei corredi e i tipi di strutture funerarie della necropoli di Macchia della Comunità, ad esempio, appaiono decisamente meno ricchi e articolati: tali deposizioni potrebbero essere riferite agli abitanti del quartiere artigianale, riconosciuto nella zona soprastante del pianoro dalle indagini della British School di Roma (J. B. Ward Perkins). Diversamente, i piccoli gruppi di Riserva del Bagno, con  tombe, tra cui la prestigiosa tomba delle Anatre, o quello recentemente scavato da Francesca Boitani a Monte Michele, con  tombe, si distinguono non solo per la posizione separata, ma anche per il tipo di monumento funebre, la ricchezza dei corredi o la peculiarità del rituale funerario, come 

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pertinenti a piccoli clan gentilizi. Tale disposizione sembra anticipare quindi il fenomeno dei tumuli tardo-orientalizzanti, disposti a corona intorno al centro urbano.

. Dalla famiglia allargata alla famiglia nucleare: gruppi e circoli Nella necropoli laziale di Osteria dell’Osa un unico grande gruppo di  sepolture, attribuite al III periodo laziale, appare isolato al centro del sepolcreto. Queste tombe, distribuite fittamente in un’area molto ristretta, si presentano sovrapposte le une alle altre, tanto che in molti casi le deposizioni sottostanti risultano danneggiate in maniera anche grave. Intorno a una coppia di tombe, l’una femminile, eccezionalmente per la necropoli e per l’area laziale a incinerazione, l’altra attribuibile a un guerriero anziano, si distribuiscono a una certa distanza le tombe più antiche del gruppo; le tombe successive si collocano sopra e intorno a ognuna di esse, formando dei sottogruppi. Questa disposizione è stata spiegata con «l’emergere di un gruppo familiare che si differenzia dal resto della comunità e che tende a sottolineare in questo modo la sua unità e continuità» (Bietti Sestieri, De Santis, , p. ): la pertinenza al gruppo risulta più vincolante del rispetto e della conservazione delle deposizioni precedenti. All’interno di un gruppo familiare allargato, probabilmente anche a membri subalterni, come sembrano dimostrare il  per cento di deposizioni senza corredo, si individuano sottogruppi riferibili verosimilmente ai diversi rami della famiglia. È stato suggerito che si possa trattare di una delle prime testimonianze dell’articolazione delle comunità latine in gentes e clientes. A partire dalla fine dell’VIII secolo a.C., con l’apparire degli aspetti culturali orientalizzanti e l’affermazione della classe aristocratica, la divisione delle necropoli in gruppi distinti si fa sempre più evidente, anche con la presenza di aree lasciate libere a separazione manifesta dei vari nuclei sepolcrali, da considerare indubbiamente appezzamenti familiari. Il fenomeno culmina con l’adozione dei tumuli funerari racchiudenti al proprio interno diverse tombe a camera, a testimonianza della comune discendenza dei diversi nuclei familiari ristretti. La divisione della necropoli in lotti familiari è ben visibile, ad esempio, a Crustumerium, nella necropoli di Monte del Bufalo, dove gruppi di tombe appaiono molto ravvicinati o tangenti nonostante lo spazio libero: l’area riservata indubbiamente agli individui di una stessa famiglia risulta occu

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pata per almeno  anni ( generazioni), dalla fine dell’VIII alla metà del VI secolo a.C., dapprima da tombe a fossa, quindi da camere ipogee che dovevano ospitare nuclei familiari ristretti (padre, madre e figli minori). Più sepolture a fossa diluite nel tempo, delimitate da circoli di pietre disposte per lo più a taglio ma anche a blocchi contigui, ampiamente diffuse nel panorama delle sepolture dell’Italia pre-romana, sembrano riferibili a gruppi familiari più o meno ristretti, anche se non sono da escludere, come nel caso del grandioso tumulo di Borgorose nel Reatino con deposizioni prevalentemente di guerrieri, altri tipi di aggregazione. Nel settore nord-occidentale della necropoli di Acqua Acetosa Laurentina sono state evidenziate un centinaio di tombe di pieno VII secolo disposte a formare ampi circoli o gruppi ristretti. Sono stati individuati cinque circoli fra i  e i  m di diametro: all’interno dei circoli si hanno fosse (fino a ) di grandi dimensioni con orientamenti irregolari, in antitesi con le tombe più o meno contemporanee della stessa necropoli, disposte nord-ovest/sud-est con testa a nord-ovest. Il circolo meglio definito, misurante circa  m di diametro (circolo III), in uso dalla fine dell’VIII alla prima metà del VI secolo a.C., appare delimitato da un canale scavato nel tufo: all’interno sono state rinvenute una decina di tombe, di cui in quella attribuita al capostipite (tomba ) «è attestato eccezionalmente il rito “eroico” dell’incinerazione» (Bedini, , p. ). All’interno del circolo le strutture tombali presentano varietà tipologica (fosse semplici, pseudocamere, pseudocassoni), dovuta probabilmente più a fattori cronologici che all’importanza delle deposizioni. Anche in altri circoli la ricchezza della tomba originaria, scavata al centro, contrasta con il livello delle altre deposizioni; è attestata una varietà di composizione di corredi, che da un tenore piuttosto ricco passano a un solo vaso, generalmente un’olla strigilata, fino alla totale assenza di oggetti. Questi gruppi delimitati di sepolture sono stati attribuiti a individui collegati da rapporti familiari o anche sociali (Bedini, ). L’uso del circolo per nuclei allargati, verosimilmente familiari, è attestato anche nel territorio di questo centro: a Casale Massima un circolo in uso dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C. (periodo laziale III) racchiudeva  deposizioni, di cui le due più antiche in posizione centrale. Più ristretti risultano, nella stessa necropoli della Laurentina, alcuni gruppi costituiti da tre a nove deposizioni: in genere sono sempre presenti due tombe, una maschile e una femminile, con corredo sostanzioso e altre meno ragguardevoli. Pur in assenza di analisi antropologiche, si potrebbe ipotizzare la pertinenza a una famiglia nucleare, con la coppia maritale e i figli minori. Analoghi gruppi sono evidenziati nella vicina necropoli di Castel di Decima, dove generalmente la trama dell’area funeraria appare piutto

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sto rada. Alcune tombe raggruppate, spesso addossate le une alle altre e spesso parzialmente sovrapposte senza rovinare la deposizione, sono state attribuite alla volontà di evidenziare la continuità familiare, analogamente a quanto avviene nelle tombe a camera, che nel Lazio, come si è detto, sono un fenomeno diffuso a partire soprattutto dall’ultimo quarto del VII secolo a.C. Tra la tomba più antica, che funge da “generatrice” del gruppo, e le successive è stato notato uno scarto cronologico piuttosto sensibile, che comprende anche più di un quarto di secolo: questo fenomeno è stato spiegato con la volontà di perpetuare per generazioni il ricordo del defunto e di segnalare al resto della comunità un legame tra individui, qualsiasi sia il significato da attribuirgli, «prolungato anche oltre la morte dei singoli» (Zevi, , p. ). Una definizione dell’occupazione del suolo, anche nell’ambito della necropoli, sembra resa probabile da una sorta di muretto rinvenuto a Castel di Decima accanto a uno di questi gruppi e che richiama i circoli evidenziati alla Laurentina. Nella necropoli di Castel di Decima, però, l’orientamento delle tombe appare costante, grosso modo nord-est/sudovest, con testa verso nord-est: disposizione che dovrebbe sottendere un valore rituale preciso. Solo poche tombe della necropoli, di interpretazione problematica, presentano una disposizione diversa, generalmente perpendicolare alle altre, e sono caratterizzate dalla mancanza completa o quasi del corredo (un’armilla o una “ciambella” di bronzo): è stato ipotizzato che si tratti di tombe più recenti, di VI e V secolo, quando nel Lazio, a causa di leggi suntuarie, era venuto meno l’uso di porre il corredo nelle tombe (Colonna, ), ma la tecnica costruttiva e la connessione topografica con le tombe orientalizzanti rende difficile una simile interpretazione. Si potrebbe riferirle, per il tipo dei pochi oggetti rinvenuti, a tombe di bambini, deposti generalmente nel Lazio negli abitati, o di membri non pertinenti con pieno diritto alla comunità (servi, stranieri) o, almeno per quelle dove sembra mancare qualsiasi traccia di deposizione, a cenotafi: il problema rimane aperto. Anche nella necropoli di Osteria dell’Osa le tombe del IV periodo laziale (- a.C.) tendono a essere distribuite a gruppi di due o tre unità: una coppia di adulti accompagnati talvolta da una deposizione generalmente giovanile: esemplificativa la coppia delle ricche tombe  e , riferibili rispettivamente a una donna e a un uomo, su cui viene posta la tomba , anch’essa deposizione eccezionale, come attesta l’olla strigilata d’impasto rosso con iscrizione di buon augurio saluetod tita. Non mancano casi di tombe di particolare prestigio, generalmente di dimensioni eccezionali, rinvenute isolate nella zona centrale della necropoli, come la tomba  della stessa necropoli, riferibile a un uomo anziano, connotato come guerriero, che spicca fra le altre tombe coeve 

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non solo per la ricchezza dei materiali del corredo, ma anche per la presenza di offerte votive sulla copertura della fossa. Analogamente a Castel di Decima due tombe, eccezionali nella necropoli per le dimensioni (m  ⫻ , circa), che le equiparano alle pseudocamere della Laurentina, e per la ricchezza della deposizione, risultano scavate in un’ampia zona libera circondate da tombe per lo più a gruppi. Ambedue evidenziate da un tumulo, l’una, la tomba , maschile con carro, l’altra, la tomba , con tazza-cratere su alto sostegno e lussuoso abito cerimoniale, sono riferibili all’orientalizzante medio ( a.C. circa la prima,  a.C. la seconda) ed emergono di gran lunga sul resto delle tombe coeve, tanto da far pensare a una coppia al vertice della compagine sociale di Castel di Decima in questo periodo. A Vetulonia la volontà di riunire le deposizioni dei singoli clan familiari è già palese dalla fine del IX secolo a.C. con l’introduzione dell’utilizzo di circoli di “pietre interrotte” nel sepolcreto nord-orientale di Poggio alla Guardia e con l’attestazione di tombe riunite sotto un solo tumulo nella necropoli sud-occidentale di Colle Baroncio. A questa trasformazione nella topografia della necropoli si accompagna l’introduzione nei corredi dei primi oggetti di prestigio e l’adozione dell’ossuario a forma di capanna, indiscutibile contenitore di ceneri di personaggi eminenti. I circoli, pertinenti «a famiglie che tendevano ad allontanarsi dal sepolcreto comune» (Falchi, , p. ), occupavano le migliori posizioni nel sepolcreto di Poggio alla Guardia, riempito altrimenti da ossuari deposti in maniera così ravvicinata che quasi si toccavano l’un l’altro: in  mq di superficie ne sono stati contati . Queste aree, delimitate da pietre informi «fitte sul terreno vergine, a qualche distanza fra loro» (Falchi, , p. ), utilizzate per racchiudere numerosi pozzetti e rare fosse, appaiono in uso almeno fino all’inoltrato VIII secolo a.C., come attesta il primo circolo, dal diametro di  m, contenente nove urne a capanna e sei ossuari biconici o ovoidi, disposti a filari e distanziati tra loro di - cm: nella tomba a deposizione verosimilmente femminile, numero VII, come coperchio di un vaso-ossuario biconico era stata utilizzata una coppa fenicia in bronzo, datata al terzo quarto dell’VIII secolo a.C. Non sembra di riconoscere una scelta legata al genere per il tipo di ossuario, anche se le deposizioni di guerriero sono tutte in urne a capanna (tombe II, III, XV), come quelle di maschi eminenti (tomba I). Separati da questi e isolati anche da tombe a pozzo o a fossa semplice sono i circoli orientalizzanti, sempre delimitati da pietre rozze, con una sola fossa centrale per deposizioni di inumati. A queste si affiancano, a partire dagli ultimi decenni dell’VIII secolo a.C., i grandi circoli continui o di lastre di pietra bianca, che arrivano fino a  m di diametro, le cui fosse hanno restituito veri accumuli di ricchezze (tomba del Littore, 

.

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tomba del Duce, circolo del Tridente ecc.): anche i circoli con più fosse o pozzi dovrebbero essere riferiti a una sola deposizione, le cui modalità rituali risultano però ancora oscure. A Vetulonia, quindi, dalle deposizioni dei gruppi familiari allargati dei primi circoli di pietre interrotte si passa alla tomba singola, esaltante la personalità verosimilmente dei capi, per poi, a partire dalla seconda metà del VII secolo a.C., ribadire il vincolo familiare con le grandi tombe a tholos, tra cui spicca quella della Pietrera, famosa per le statue raffiguranti personaggi in atto di cordoglio, con tumulo delimitato da una crepidine del diametro di oltre  m, con camera centrale e numerose tombe a fossa scavate sui fianchi del tumulo.

. Tombe bisome e plurime Sono state spesso notate negli scavi di necropoli più deposizioni in una stessa tomba a pozzo o a fossa, cioè in strutture riferibili a una sola cerimonia funeraria. Già dal IX secolo a Veio le analisi dei resti antropologici hanno evidenziato come, sia in tombe a pozzo che a fossa, sia frequente la deposizione multipla. In ambedue le necropoli di Quattro Fontanili e di Grotta Gramiccia è comune la deposizione di un bambino e di un adulto, spesso di genere femminile, ma non sempre; non mancano casi di deposizione in uno stesso ossuario di due adulti, maschio e femmina, e di un bambino e altri con la deposizione delle ceneri di una coppia sempre in uno stesso contenitore. Si tratta indubbiamente di morti simultanee. Non mi sembra che ci siano dati sufficienti, però, per considerare usuale negli ambiti funerari in esame il costume del sacrificio umano del compagno o dei consanguinei del defunto, come proposto da Renato Peroni per le coppie di deposizioni in uno stesso ossuario. Nella necropoli di Grotta Gramiccia la presenza di due pozzetti tangenti, come nella tomba , riferibili a un uomo e una donna di circa  anni, o di tre o quattro, inseriti in un’unica struttura a pozzo irregolare con una sola copertura di file di pietre, pone il problema della probabile riapertura delle tombe o della chiusura solo dopo l’ultima deposizione. Nelle necropoli veienti non sembra potersi accertare come a Verucchio, centro villanoviano della Romagna, la riapertura dei pozzetti per deposizioni successive alla prima. Esemplificativo per il caso di riutilizzo di una struttura tombale è il caso eccezionale dell’unica fossa, nella necropoli gabina di Osteria dell’Osa, delle tombe -, riferibili rispettivamente a una donna di  anni e un uomo di , i cui corredi sono stati datati alla fine della II fase 

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laziale (fine IX-inizio VIII secolo a.C.): a un individuo inumato (), la cui fossa venne lasciata aperta per l’esposizione del cadavere, viene aggiunto, con il relativo spostamento del cadavere, un dolio con incinerazione (), contenente tra l’altro la più antica iscrizione in alfabeto greco (eulin) rinvenuta in Italia (FIG. .). Anche la sepoltura maschile risulta connotata da elementi di prestigio, quali il rasoio, oggetto riservato a Osteria dell’Osa e nel Lazio a poche sepolture. Si tratta indubbiamente di una coppia legata da vincoli familiari: la quasi simultaneità delle deposizioni e le età individuate sembrano indicare una madre e un figlio, ma non è da escludere che le tombe, datate per il tipo dei materiali inseriti rispettivamente ai periodi IIB e IIB, possano essere riferite a una coppia di coniugi, di cui l’uomo sarebbe morto precocemente ( anni). Probabile prova del riutilizzo della struttura per una coppia di coniugi può venire da Vetulonia, dove nel primo circolo un pozzo include due urne sovrapposte: sopra, rinvenuto molto superficialmente, un ossuario biconico liscio con una deposizione, in base alla presenza delle due fibule, presumibilmente femminile; sotto, separato da un diaframma di pietra, un’urna a capanna, contenitore di ossa combuste di personalità di prestigio, nel cui corredo erano ornamenti d’oro maschili e una verga di bronzo con ambra ai lati, considerata un simbolo di comando, una sorta di scettro, attestato in pochissime tombe, in genere uno o due per necropoli a Bologna-San Vitale , Vetulonia-Poggio alla Guardia circolo , Tarquinia-Selciatello di Sopra , Cerveteri-Sorbo  e  o a Veio, Grotta Gramiccia, tomba , in contesti maschili privi di armi; nella necropoli veiente di Quattro Fontanili è stato rinvenuto fuori contesto. A Veio e a Tarquinia le verghe sono state rinvenute piegate riterrei intenzionalmente, come altrove troviamo le armi. Questo oggetto, di difficile interpretazione, ma di sicuro significato simbolico, probabilmente indizio di un ruolo politico-sacrale, connota quindi la deposizione maschile di Vetulonia come pertinente a un personaggio eminente nell’ambito della comunità, come del resto è evidenziato dall’adozione dell’urna cineraria a forma di capanna e dalla preziosità della fibula: la mancanza delle armi reali o simboliche, frequenti nelle deposizioni coeve per indiziare i maschi guerrieri, potrebbe far attribuire a questi personaggi particolari una posizione ancora più autorevole. La deposizione a buon diritto va considerata la tomba capostipite dell’importante famiglia deposta nel circolo . La deposizione dell’ossuario biconico nel piano sovrastante, non chiaramente suggellata, potrebbe riferirsi alla compagna, defunta forse in un momento successivo. Non è da escludere, data la particolare struttura di questo pozzo, che si possa trattare, in questo caso, ricorrendo alla citata ipotesi di Renato Peroni, di una cremazione rituale in seguito alla morte del congiunto. 

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L’uso di tombe a cremazione per due individui o di sepolture di una coppia adiacenti, in cui le ceneri maschili sono nei modellini di capanna e quelle della donna in un vaso biconico, sembra confermato da Vulci (Poggio Mengarelli, tomba a pozzo ), da Veio (Grotta Gramiccia, tombe -), da Roma (Arco di Augusto, tombe -). A Veio-Grotta Gramiccia, però, nelle tombe bisome la tomba maschile è posta a livello più alto rispetto a quella femminile. Più comunemente tombe contigue, anche coeve, risultano collegate volutamente al momento della deposizione. A Veio-Quattro Fontanili, due pozzetti contigui (tombe AA  A e AA  B, Toms – Veio IC) pertinenti a deposizioni maschili, connotate dall’elmo crestato posto a copertura dell’ossuario come riferibili a guerrieri, risultano contemporanee. Il secondo, nonostante la presenza dell’elmo e del rasoio, per il tipo di fibula (foliata a gomito) potrebbe essere pertinente a un individuo di età infantile (secondo quanto evidenziato, grazie alle analisi antropologiche, per la necropoli di Grotta Gramiccia), così come un filo di bronzo rivestito di un nastrino aureo avvolto a spirale e un puntalino di bronzo verosimilmente di lancia: una delle deposizioni della tomba HH - della stessa necropoli, che le analisi riferiscono a un bambino di - anni, presenta nel ricco corredo un rasoio, un piccolo puntale di lancia e, inoltre, ascia, morsi e, forse, carro, tutti indicatori di «un ben preciso ceto sociale» (Pacciarelli, , p. ). Lo status eminente dell’altra deposizione (AA  A) è evidenziato dalla presenza di due fibule, rispettivamente ad arco bifido e staffa a disco e ad arco serpeggiante a occhio. Ambedue presentano un rasoio identico del tipo Fermo, con ascia simbolicamente incisa sulla lama semilunata. Si dovrebbe trattare di un personaggio eminente della comunità e del figlio prematuramente scomparso, per lo stesso evento o malattia. Bambini a cui vengono attribuiti i segni del rango dei genitori non sono, come vedremo, rari. L’ascia in bronzo con lungo manico ricurvo, associata ai rasoi nelle scene di caccia al cervo, appare elemento di grande prestigio, in alcuni contesti principeschi dell’orientalizzante antico e medio, specie dell’Etruria settentrionale o padana (Chiusi, Cecina, Verucchio): nella necropoli di Casa Nocera a Casale Marittimo, piccolo sepolcreto a carattere gentilizio in uso dalla fine dell’VIII secolo a.C., le tombe maschili sono tutte caratterizzate dalla presenza di asce di questo tipo, nelle più recenti raggruppate a mo’ di fasci, con evidente intento di attributo simbolico, «che qualifica i portatori come titolari di un rango particolarmente elevato nell’ambito politicomilitare» (Esposito, in Morigi Govi, , p. ). A Tarquinia nella necropoli di Monterozzi una ricca deposizione di bambina in sarcofago (A IX-Tarquinia IIA) appariva inserita nella parte superiore di un pozzo di una incinerazione maschile. 

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La deposizione contigua di pozzi o fosse destinate a suggellare legami di tipo familiare, in genere matrimoniali, appaiono del resto abbastanza consuete. Concludendo l’analisi di queste tombe a doppia deposizione, è evidente che tutti i dati portano a definirle come pertinenti a coppie autorevoli, sia che suggellino legami di matrimonio che di discendenza. Anche nelle tombe a fossa non di rado sono attestate doppie deposizioni. A Veio-Quattro Fontanili, la citata tomba HH - conteneva due deposizioni di bambini inumati: la prima pertinente a un bambino di  anni, come si è visto, con tutti gli attributi del rango cui doveva appartenere; l’altra nel loculo, attribuita a un infante di  anni, con solo un vago di cristallo come corredo funerario. L’attribuzione delle armi a un individuo ancora di età infantile, ma alle soglie della giovinezza (Vallois: infantile II) e l’assenza assoluta di corredo nella deposizione riferibile a un bambino più piccolo potrebbero far ipotizzare anche a Veio lo svolgimento di rituali di iniziazione, come proposto anche per una fase precedente a Osteria dell’Osa e a Pontecagnano. A Tarquinia, nella necropoli di Monterozzi, è stata recentemente scavata una tomba () in grande fossa (tipologia rara in questo centro) della fine dell’VIII secolo riferibile a due giovinetti (fra i  e i  anni il primo e tra i  e i  l’altro), armati di lancia, deposti insieme in una fossa ricca di elementi di prestigio quali coltello e lebete: ambedue hanno una cavigliera d’argento. Il corredo sembrerebbe comune alle due deposizioni perché gli oggetti sono accatastati in un unico mucchio. Maria Cataldi ha suggerito la possibilità che, oltre ai legami di parentela, si possa pensare a rapporti di amicizia o di amore (Cataldi, ). Più comuni, come si è visto per le incinerazioni in uno stesso ossuario, tombe di donne adulte con bambine, generalmente deposte sugli arti inferiori. A Castel di Decima, nella necropoli orientalizzante su circa  tombe sono state evidenziate almeno  tombe bisome (, , , , ), per lo più femminili, generalmente con un individuo adulto e uno infantile: nelle fosse più ampie sono deposti i corpi, talvolta sovrapposti e orientati in maniera opposta, con un unico corredo di accompagno, che ribadisce la deposizione comune e contemporanea. Un’altra tomba della medesima necropoli (tomba ) presenta tre corpi di armati deposti con le singole armi (la lancia) ma con un unico corredo: si potrebbe pensare a tre guerrieri, che sono morti in un unico combattimento, come nel leggendario racconto degli Orazi e Curiazi. Analogamente, tre individui corredati da panoplie più complete sono nella coeva tomba a camera II della necropoli di Satricum. Nel resto del Lazio, l’uso delle tombe a doppia deposizione sembra eccezionale, con l’evidenza di una sola tomba o di due per necropoli (ad 

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esempio a Osteria dell’Osa, Riserva del Truglio o La Rustica, dove gli individui di diverso sesso sono affiancati). A Pontecagnano, dove per la prima età del ferro sono stati riconosciuti grandi “plessi” a carattere familiare con una notevole variabilità nel rituale, un recinto quadrangolare racchiude un gruppo, verosimilmente familiare, pertinente già al periodo orientalizzante recente (primo trentennio del VI secolo a.C.), costituito da due tombe a fossa affiancate, riferite a un adulto e un bambino, e una cassa di lastroni di travertino all’interno della quale sono state individuate quattro deposizioni, avvenute verosimilmente almeno in due fasi successive, attestate da due diversi corredi funerari, per lo più contemporanei: prima sono state seppellite una donna e un bambino, forse di sesso femminile, caratterizzati dalla presenza di una cavigliera di bronzo, che ricorda la deposizione della citata tomba di Tarquinia; successivamente sopra queste sono stati deposti un maschio adulto e un bambino di  o  anni. Non è inopportuno considerare questo cassone la tomba di una famiglia nucleare, costituita dai genitori e da due figli non adulti.

. Dinamiche di genere e problemi demografici Nell’ambito dei gruppi allargati e nucleari appare d’importanza fondamentale analizzare i rapporti, ricavabili non solo attraverso la contiguità topografica ma anche per le concordanze o le differenze nei corredi, tra gli individui adulti maschili, quelli femminili e i soggetti infantili. Le analisi antropologiche sia sui resti degli incinerati, attraverso lo studio dei denti, sia, quelle più complesse, sulle ossa degli inumati, hanno permesso nelle ultime ricerche di proporre un quadro sulla composizione delle singole comunità, sulla durata media della vita, sulle percentuali di mortalità infantile. Una differenziazione dei sessi è anche possibile attraverso l’esame del corredo personale, cioè degli oggetti pertinenti proprio alla figura del defunto e non alla cerimonia funebre. A Veio, dove questo tipo di divisione è in alcuni casi suffragato dalle poche analisi osteologiche, l’analisi comparata delle necropoli di Quattro Fontanili e di Grotta Gramiccia-Casal del Fosso ha dimostrato un rapporto paritetico tra individui riconosciuti di sesso maschile e di sesso femminile nel villanoviano tipico ( incinerazioni maschili,  femminili;  inumazioni maschili,  femminili), mentre si è notata una grande maggioranza di soggetti femminili, il doppio di quelli maschili, nel villanoviano evoluto ( incinerazioni maschili,  femminili;  inumazioni ma

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schili,  femminili); si assisterebbe inoltre, in base alle tombe messe in luce, a un deciso incremento demografico. Lo studio di Alessandra Berardinetti sulla parte più antica di Quattro Fontanili, purtroppo effetto di recupero e non di uno scavo sistematico, confermato dalla più recente analisi della necropoli di Grotta Gramiccia, condotta insieme a Luciana Drago, sembra contraddire questo quadro: non ci sarebbero indizi di un complessivo aumento della popolazione, che però almeno per la fine dell’VIII secolo a.C. appare provato dalla nascita delle diverse necropoli disposte a corona intorno a Veio (Macchia della Comunità e Vaccareccia per prime), che sembrano decisamente più consistenti numericamente e non possono essere giudicate solo sostitutive di Grotta Gramiccia e Quattro Fontanili. A queste considerazioni bisogna aggiungere il dato sulla mortalità infantile, che a Veio sembra raggiungere almeno il  per cento. Un analogo incremento sembra del resto comune ad altri centri di cultura villanoviana come Vetulonia o Pontecagnano. Per quanto riguarda la disparità nei sessi delle deposizioni nella fase avanzata del villanoviano, già sottolineata da Alessandro Guidi per la sola necropoli di Quattro Fontanili, analogie si possono riscontrare nello stesso periodo, ad esempio, in Campania, a Pontecagnano: dal  per cento di maschi contro il  per cento di femmine nel periodo più antico si passa, in base ai dati pubblicati, al  per cento di individui maschili contro il  per cento femminili; nel Lazio, a Caracupa, sono stati riconosciuti  individui femminili rispetto a  maschili, e nel secolo successivo, a Castel di Decima, le tombe del periodo orientalizzante, per cui è possibile stabilire il sesso, mostrano un’analoga percentuale, con il  per cento di deposizioni femminili contro il  per cento di quelle maschili. Questo fenomeno può essere attribuito a cause rituali o sociali, ma non si può escludere la morte bellica e peregrina per gli individui di genere maschile, che, come vedremo, sono generalmente connotati come guerrieri. Il riassestamento del territorio nel corso dell’VIII secolo e soprattutto le guerre, ben documentate nelle fonti per Veio, contro la nascente compagine romana possono in qualche modo aver interrotto un periodo relativamente tranquillo, tale da essere definito come pax villanoviana.

. Tombe infantili Il rituale connesso alle deposizioni dei bambini, come è noto, sembra differenziare nettamente le comunità situate a nord o a sud del Tevere, almeno a partire dall’inizio dell’VIII secolo a.C.: nel Lazio sono attestate 

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solo in casi eccezionali sepolture di infanti nelle aree delle necropoli, poiché questi vengono deposti negli abitati intorno alle capanne. Questo «meccanismo di selettività nella sepoltura formale» (Cuozzo, , p. ), operante dall’inizio del III periodo laziale sino all’età arcaica, è stato collegato con una precisa volontà dei nascenti gruppi aristocratici di delimitare per mezzo di queste tombe le proprie abitazioni, generalmente situate nei punti focali dell’insediamento (Bietti Sestieri, De Santis, ). Questa norma, rigorosa per i bambini sotto i  anni, mostra delle eccezioni per quelli fino ai - anni, soprattutto nel caso di famiglie eminenti. Nella necropoli di Castel di Decima a un bambino di  anni sono stati attribuiti i resti ossei della tomba , deposizione maschile corredata di lancia e spada. Anche in ambiente etrusco le tombe riconosciute come infantili, per lo più a inumazione, risultano differenziate rispetto alle altre deposizioni e in genere appaiono confinate in zone marginali della necropoli, tanto da far postulare l’esistenza di una zona destinata alle sepolture di età preadulta. Non conosciamo (o non riconosciamo) deposizioni di bambini in fase precedente la dentizione. Per questo non è possibile sapere se fosse effettivamente in uso presso le genti latine o etrusche l’infanticidio, che sembrano sottintendere le fonti latine con episodi come le disposizioni di Amulio, relativamente a Romolo e Remo, o le leggi attribuite a Romolo, con la proibizione di uccidere la primogenita e l’obbligo di allevare fino a  anni i bambini riconosciuti. Così come non sembra attestato in ambiente italico l’uso dell’infanticidio delle bambine, con l’esposizione dei nuovi nati di sesso femminile, come proposto da S. B. Pomeroy. È probabile che, come in altre civiltà primitive, i bambini così piccoli non venissero considerati “degni” di una sepoltura rituale e quindi della relativa cerimonia funebre: potevano venire semplicemente interrati. È noto come a Roma il lutto fosse praticato solo per i morti che avevano superato i  anni d’età: i bambini morti prematuramente non risultano ancora integrati nella comunità. A Tarquinia le tombe di infanti sono riconosciute dal precoce uso dell’inumazione, almeno dall’inizio dell’VIII secolo a.C., nell’orizzonte a cavallo fra le fasi I e II: a Poggio dell’Impiccato un gruppo di inumazioni, riconoscibili come infantili per le dimensioni dei sarcofagi, appaiono nettamente distinte dalle incinerazioni. Del resto, anche in altri ambiti, come quello greco, in necropoli prevalentemente a incinerazione, i bambini vengono inumati e deposti in grossi contenitori. Solo alcune tombe riferibili a bambini sono inserite a pieno titolo nelle relative necropoli. Alle Arcatelle di Tarquinia singole deposizioni infantili in sarcofago sono in stretto rapporto con cremazioni maschili di 

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alto rango: tre cassette con inumazioni infantili circondavano una tomba di guerriero. Analogamente a Veio, dove sono rarissime le deposizioni infantili in un ossuario proprio (ad esempio Casal del Fosso, : incinerazione in sarcofago) ed è usuale, come accennato sopra, la presenza di resti infantili in urne cinerarie di adulti, sono riferibili a bambini piccole fosse e sarcofagi di tufo dal coperchio semicilindrico o displuviato, con corredo ridotto o mancante del tutto. Queste deposizioni sono disposte isolate o in gruppi, come nel citato “recinto poligonale” della necropoli di Grotta Gramiccia. Nel caso di gruppi familiari, dove sono attestati diversi tipi di sepolture per gli individui di età infantile, pur mancando analisi osteologiche è stato ipotizzato un trattamento diverso per i primogeniti o per i discendenti di rami diversi (Drago, ). A Osteria dell’Osa nel II periodo laziale, quindi precedentemente al costume laziale di seppellire i bambini negli abitati, sono state riconosciute le deposizioni di maschi primogeniti in base alla posizione, al contenitore dei resti ossei e alla presenza di particolari indicatori di prestigio. Deposizioni infantili collegate a quelle di adulto sono attestate anche a Crustumerium, ribadendo il legame con la sponda opposta del Tevere. Anche in Etruria, quindi, nel rituale funerario i bambini appaiono decisamente separati dal mondo degli adulti, così come nella vita non possono essere considerati membri attivi della comunità. Fanno eccezione alcune deposizioni, generalmente corredate da ricchi corredi, in cui i vincoli familiari hanno il sopravvento sulla comunità. A Veio-Quattro Fontanili, Marco Pacciarelli ha evidenziato alcune tombe infantili, corredate di armi e altri elementi che ne indicano la pertinenza indubbia a «una linea di discendenza privilegiata» (Pacciarelli, , p. ). Un’interessante analogia si riscontra nelle raffigurazioni del carrello cerimoniale da Bisenzio, della seconda metà dell’VIII secolo a.C., dove il fanciullo viene raffigurato con uno scudo ovale. Anche a Pontecagnano, dove la pratica di deporre bambini, incinerati o inumati, nella necropoli appare largamente testimoniata per tutta la prima età del ferro, nella necropoli di località Casella, riferibile al tardo villanoviano, le tombe infantili sono confinate in zone marginali. Eccezionale quindi risulta il caso, enucleato da Mariassunta Cuozzo, di alcuni bambini maschi, sopra i  anni di età, connotati come piccoli principi, avvalorando l’ipotesi che «nella morte spesso le persone diventano ciò che non sono state in vita» (Hodder, , p. ). In alcune tombe di bambini, oltre agli elementi tipici dei maschi adulti di rango, sono stati individuati alcuni indicatori femminili esaltanti il ruolo materno, che possono fornirci «la suggestione di sistemi di discendenza bilineari» (Cuozzo, , p. ). 

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Analogo significato potrebbe essere attribuito alla tomba OP di Quattro Fontanili, con una deposizione riferibile verosimilmente a un individuo infantile, per il rituale a inumazione e il tipo di sarcofago, associato a uno scudo in miniatura del tipo ovale, che le raffigurazioni del carrello di Bisenzio, almeno per la seconda metà dell’VIII secolo a.C., sembrano riferire a fanciulli. Nella tomba, accanto a un rasoio semilunato a dorso interrotto, si è potuto riconoscere, insieme a frammenti di cinturone, un pendente a bulla semilunata, attestato a Veio e a Tarquinia in tombe femminili di adulte o di bambine, probabile riferimento alla madre del piccolo defunto. È indubbia una cura particolare degli adulti nella cerimonia funebre dei bambini, che si traduce nella complessa composizione del corredo funerario.

. Morti in abitato L’impulso dato agli scavi in abitato ha portato come conseguenza nuovi dati relativi alla compagine insediamentale e conseguenti nuovi interrogativi: chi sono gli individui deposti all’interno degli abitati presso case, mura o luoghi di culto? Nell’abitato di Campassini-Monteriggioni (Siena), nella fase più antica (orientalizzante antico) presso le capanne, probabilmente sotto le falde del tetto, sono state messe in luce alcune tombe a incinerazione in ossuario biconico inornato e a inumazione in fossa pertinenti rispettivamente a un uomo e una donna adulti (secondo le analisi di Elsa Pacciani, antropologa della Soprintendenza archeologica per la Toscana). Nell’ossuario frammenti di una fibula ad arco serpeggiante confermano la datazione alla fine dell’VIII secolo-inizio del VII secolo a.C. Queste sepolture potrebbero indicare una fase di non netta distinzione tra area abitata e area sepolcrale. Spesso nella fase più antica la zona adibita alle sepolture non è completamente distinta da quella abitata: l’esempio più conosciuto è quello del Foro romano. Non si può tuttavia escludere che i morti, due adulti, abbiano svolto un ruolo specifico nell’ambito della comunità. Contemporaneamente, infatti, sembra iniziare l’utilizzazione delle aree sepolcrali del Casone e di Busona, per cui i due defunti potrebbero essere interpretati come i capostipiti del piccolo gruppo, proveniente verosimilmente da Volterra, che si era stanziato sul sito di Campassini dando vita a un insediamento a carattere indubbiamente agricolo. A questa fase, infatti, si fa risalire il movimento centrifugo che por

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terà alla rioccupazione capillare del territorio volterrano, di cui Monteriggioni costituisce uno dei centri di confine: una serie di siti disposti a raggiera intorno a Volterra, in posizioni strategiche su direttrici viarie primarie, delimitano questo vasto comprensorio che dalla bassa Val d’Arno (Pisa) e dal bacino dell’Elsa (Casole d’Elsa e Monteriggioni) arrivava alla costa medio-tirrenica. Analogo significato di eccellenza si può attribuire all’incinerato rinvenuto sotto la casa di Livia al Palatino, deposizione eccellente della Roma del IX secolo a.C. Per l’età storica sappiamo che a Roma alcuni clari viri, nonostante la norma sancita dalle XII Tavole hominem mortuum in urbe neve sepelito neve urito (X, ; Cicerone, De legibus, II, ), venivano seppelliti in città. Esemplificativo doveva essere il sepolcro di Valerio Publicola causa virtutis. Sulla Civita di Tarquinia gli scavi dell’Università di Milano hanno messo in luce un edificio recintato di indubbio carattere pubblico (Regia), il cui impianto sembra risalire alla fine dell’VIII secolo a.C. A una fase precedente è stato riferito un recinto nei pressi che racchiude, associate a punte di corna di cervo, deposizioni di neonati e di un bambino, albino ed encefalopatico, che, a detta degli scavatori, «richiama il concetto di monstrum» (Bonghi Jovino, , p. ): per le deposizioni infantili si è pensato a sacrifici umani. L’ulteriore rinvenimento presso quest’area di deposizioni di adulti senza corredo è spiegato da Maria Bonghi Jovino ancora nell’ambito della prassi religiosa; per quello maschile, immaginato di origine greca, si è parlato di un delitto religioso. La nostra conoscenza degli istituti religiosi della protostoria italiana non permette di sostenere o rifiutare del tutto queste ricostruzioni. Appare comunque evidente che gli individui deposti presso il complesso della Civita dal IX al VII secolo a.C. dovettero essere «posti ai margini del corpo sociale» (Iaia, , p. ). Bisogna ricordare che «la comunità antica si fonda sull’esclusione delle donne, dei giovani prima dell’inserimento sociale nella comunità politica, degli schiavi, degli stranieri» (Montepaone, , pp. -). La deposizione di bambini inumati senza corredo difficilmente può essere considerata una delle normali sepolture infantili, alla stregua dei sopramenzionati suggrundaria romano-laziali attestati almeno dalla fine del IX secolo a.C. Le tombe infantili riconosciute negli abitati romanolaziali coevi (VIII-VII secolo a.C.) sono accompagnate da un corredo, anche ricco, come nelle necropoli le contemporanee tombe di adulti. Conosciamo, come si è visto, tombe infantili a Tarquinia nelle necropoli di Monterozzi e di Poggio dell’Impiccato, caratterizzate da piccoli sarcofagi di nenfro. Purtroppo, la mancanza di analisi antropologiche sui re

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sti delle necropoli tarquiniesi rende difficili altre specificazioni o ipotesi. L’esiguità delle tombe infantili riconosciute nelle necropoli villanoviane di Tarquinia, tutte con corredi di un certo prestigio, non esclude però del tutto l’interpretazione come deposizioni di bambini appartenenti a famiglie non eminenti, contrariamente a quanto sembra avvenire a Roma e nel Lazio. Né si può escludere, come è stato sopra evidenziato, analogamente ad altre aree, che i bambini così piccoli (i cui resti appaiono del resto difficilmente riconoscibili) venissero semplicemente interrati in un’area isolata del pianoro, come spesso avveniva nell’area delle necropoli. Problematica anche la definizione delle sepolture prive di corredo, tranne in un caso che ha restituito una fibula ad arco ingrossato del villanoviano antico, rinvenute recentemente a Cerveteri nell’area sacra di Sant’Antonio. Adriano Maggiani e Maria Antonietta Rizzo hanno considerato le tombe protostoriche in uso in un periodo precedente all’impianto dell’insediamento capannicolo. Il palese rispetto con cui è stata trattata una delle tombe protostoriche nelle costruzioni successive dell’altare e del tempio, coprendola con tre lastroni quadrangolari di tufo, ha fatto pensare a una sorta di heròon, oggetto di culto, come in casi analoghi a Eretria, in Grecia o nel Lazio a Lavinio, ancora nel momento di vita del santuario. Anche gli scavi sulle pendici del Palatino hanno portato alla luce un gruppo di tombe presso e sopra le mura più antiche obliterate (orientalizzante antico), inserite, come nella Civita di Tarquinia, in un recinto: un uomo adulto e un bambino in dolio nella stessa fossa, un ragazzo e una donna con corredi, databili tra - a.C. circa, che la povertà della deposizione tende a definire socialmente inferiori. La posizione in connessione con le mura e la modestia del materiale ha suggerito di interpretarle come sacrificio per «espiare l’avvenuta obliterazione di quel monumento, ritenuto evidentemente di una importanza eccezionale» (Carandini, , p. ). Analogamente, una deposizione con materiali (sonaglio, due fibule a sanguisuga, una tazza ad ansa bifora), inquadrabili sempre nell’orientalizzante antico, ma iniziale (ultimo quarto dell’VIII secolo a.C.), la cui composizione ben si addice a una tomba di fanciulla, è stata interpretata come sacrificio umano reale o simbolico per il completamento delle stesse mura. In maniera totalmente diversa sono state considerate le tombe rinvenute sull’abitato di Monte Carbolino presso l’abbazia di Valvisciolo (Caracupa), riferibili alla prima metà dell’VIII secolo a.C., che Adolfo Gianni e Micaela Angle molto opportunamente hanno considerato, per il tipo di corredo, verosimilmente appartenere a un gruppo aristocratico, che si è voluto evidenziare rispetto al resto della comunità. 

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Riferimenti bibliografici Testo rielaborato da Le necropoli villanoviane di Veio. Parallelismi e differenze, in G. Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio. Incontro di studio in memoria di Massimo Pallottino, Roma , pp. - (in collaborazione con A. Berardinetti, L. Drago, A. De Santis) e Aspetti dell’ideologia funeraria a Castel di Decima nell’orientalizzante, in G. Gnoli, J.-P. Vernant (éds.), La mort, les morts dans les sociétés anciennes, Cambridge , pp. - (in collaborazione con M. Cataldi Dini, F. Zevi). Per un tentativo di ricostruzione dell’organizzazione spaziale di una necropoli: A. M. Bietti Sestieri (a cura di), La necropoli laziale di Osteria dell’Osa, Roma , pp. -. Per un’analisi della necropoli di Quattro Fontanili: J. Toms, The Relative Chronology of the Villanovan Cemetery of Quattro Fontanili at Veii, in “AION. Archeologia e storia antica”, , , pp. -; A. Berardinetti Insam, La fase iniziale della necropoli villanoviana di Quattro Fontanili. Rapporti con le comunità limitrofe, in “Dialoghi di Archeologia”, , , pp. -; A. Guidi, La necropoli veiente di Quattro Fontanili nel quadro della fase recente della prima età del ferro italiana, Firenze ; M. Pacciarelli, Dal villaggio alla città. La svolta protourbana del  a.C. nell’Italia tirrenica, Roma , pp.  ss. Le tombe di Quattro Fontanili sono denominate in base al quadrato (m , di lato) di appartenenza, indicato con le lettere e le cifre della quadrettatura: più tombe in uno stesso quadrato sono specificate da ulteriori lettere (J. B. Ward Perkins, R. A. Staccioli, Veio (isola Farnese). Scavi in una necropoli villanoviana in località “Quattro Fontanili”. Relazione preliminare delle prime campagne, -, in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss.). Sull’articolazione in gruppi della necropoli di Quattro Fontanili: G. Bartoloni, Riti funerari dell’aristocrazia in Etruria e nel Lazio: l’esempio di Veio, in C. Ampolo, G. Bartoloni, A. Rathje (a cura di), Aspetti dell’aristocrazia fra VIII e VII secolo a.C., in “Opus”, III, , , pp. -; Ead., Veio nell’VIII secolo e le prime relazioni con l’ambiente greco, in Atti del secondo convegno internazionale etrusco, Firenze , Roma , pp. -. Per la necropoli veiente di Grotta Gramiccia, in corso di pubblicazione a cura di A. P. Vianello, A. Berardinetti e L. Drago: A. Berardinetti, L. Drago, La necropoli di Grotta Gramiccia, in Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit., pp. -. Per la necropoli attigua di Casal del Fosso (da considerare verosimilmente un unico complesso con il sepolcreto di Grotta Gramiccia): F. Buranelli, Proposta di interpretazione dello sviluppo topografico della necropoli di Casal del Fosso a Veio, in R. Peroni (a cura di), Necropoli e usi funerari nell’età del ferro, Bari , pp. -; F. Buranelli, L. Drago, L. Paolini, La necropoli di Casal del Fosso, in Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit., pp. -. Sulla topografia di Veio, ancora insostituito J. B. Ward Perkins, Veii. The Historical Topography of the Ancient City, in “Papers of the British School at Rome”, , . Per un quadro relativo alle necropoli veienti nel periodo villanoviano e orientalizzante: G. Bartoloni, F. Delpino, Veio I. Introduzione allo studio delle necropoli arcaiche di Veio. Il sepolcreto di Valle la Fata, “Monumenti Antichi dei Lincei”, serie monografica I, Roma , pp. -. Sui diversi momenti



.

NECROPOLI E SOCIETÀ

del processo di formazione urbana a Veio: A. Berardinetti, A. De Santis, L. Drago, Burials as Evidence for Proto-Urban Development in Southern Etruria, in H. Damgaard Andersen, H. W. Horsnæs, S. Houby-Nielsen, A. Rathje (eds.), Urbanization in the Mediterranean in the th to th Centuries BC, in “Acta Hyperborea”, , , pp. -; G. Bartoloni, A. Berardinetti, A. De Santis, L. Drago, Veio tra IX e VI secolo a.C. Primi risultati sull’analisi comparata delle necropoli veienti, in “Archeologia Classica”, XLVI, , pp. -. Per la “vestizione” dell’ossuario mediante un panno chiuso da fibule cfr. A; Berardinetti, in Bartoloni, Berardinetti, De Santis, Drago, Veio tra IX e VI secolo a.C., cit. p. ; cfr. anche A. Boiardi, P. von Eles, Verucchio, la comunità villanoviana: proposte per un’analisi, in A. M. Bietti Sestieri, V. Kruta (eds.), The Iron Age in Europe. XIII International Congress of Prehistoric and Protohistoric Sciences Forlì -Italia-- September , “Colloquia”, , Forlì , p. . Sullo sviluppo topografico delle necropoli di Pontecagnano: C. Pellegrino, Continuità/discontinuità tra età del ferro e orientalizzante nella necropoli occidentale di Pontecagnano, in “AION. Archeologia e storia antica”, n. s. , , pp. -. Sugli scavi recenti a Monte Michele di Veio: F. Boitani, Recenti scoperte a Veio, in Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit., pp. -; sulla necropoli di Riserva del Bagno: Bartoloni, Riti funerari dell’aristocrazia, cit., p. , n. , con riferimenti bibliografici; sulla tomba delle Anatre: M. A. Rizzo (a cura di), Pittura etrusca a Villa Giulia. Catalogo della mostra, Roma , pp. -. Per il gruppo - (n) della necropoli gabina di Osteria dell’Osa: A. De Santis, in Bietti Sestieri (a cura di), La necropoli laziale di Osteria dell’Osa, cit., pp. -; inoltre A. M. Bietti Sestieri, A. De Santis, Protostoria dei popoli latini. Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano, Roma . Sul tumulo di Corvaro di Borgorose: G. Alvino, Le sepolture a tumulo di età preromana e il tumulo di Corvaro di Borgorose, in Studi sull’Italia dei Sanniti, Roma , pp. -. Una prima presentazione degli scavi di Crustumerium (Collina della Marcigliana Vecchia), insediamento latino sul Tevere: F. di Gennaro (a cura di), A Crustumerium, Roma ; per i circoli della Laurentina: A. Bedini, Struttura e organizzazione delle tombe “principesche” nel Lazio: Acqua Acetosa Laurentina: un esempio, in Ampolo, Bartoloni, Rathje (a cura di), Aspetti dell’aristocrazia, cit., pp. -; da ultimo Id., in Enciclopedia dell’Arte antica, classica e orientale, II, suppl., III, Roma , s. v.; sul complesso di Casale Massima: Id., Contributo alla conoscenza del territorio a sud di Roma in età protostorica, in “Archeologia laziale”, IV, , pp.  ss. Notizie preliminari sulla necropoli di Castel di Decima nel periodo orientalizzante anche in F. Zevi, Castel di Decima (Roma). La necropoli arcaica, in “Notizie degli Scavi”, , pp. -; Id., Alcuni aspetti della necropoli di Castel di Decima, in Lazio arcaico e mondo greco, in “Parola del Passato”, XXXII, , pp. -; G. Bartoloni, M. Cataldi, La formazione della città nel Lazio, in “Dialoghi di Archeologia”, , , . Per un confronto di tombe di gruppi di notabili isolate all’interno della necropoli: G. Bailo Modesti, Oliveto-Cairano, l’emergenza di un potere politico, in Gnoli, Vernant (éds.), La mort, les morts, cit., pp. -.

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Per le disposizioni funerarie a Roma e nel Lazio limitrofo in età arcaica: G. Colonna, Un aspetto oscuro del Lazio antico: le tombe di VI-V secolo a.C., in Lazio arcaico e mondo greco, cit., pp. -; C. Ampolo, Il lusso funerario e la città arcaica, in Aspetti dell’ideologia nel mondo romano, “AION. Archeologia e storia antica”, , , pp.  ss.; G. Bartoloni, Esibizione di ricchezza a Roma nel VI e V secolo: doni votivi e corredi funerari, in “Scienze dell’Antichità”, I, , pp. ; G. Colonna, Roma arcaica, i suoi sepolcreti e le vie per i Colli Albani, in Alba Longa. Mito storia archeologia, Roma , pp. -. Per l’attestazione a Veio nel VI e V secolo a.C. di analoghe restrizioni nei corredi funerari: A. De Santis, in Bartoloni, Berardinetti, De Santis, Drago, Veio tra IX e VI secolo a.C., cit., pp. -; L. Drago Troccoli, Le tombe  e  del sepolcreto di Grotta Gramiccia a Veio. Contributo alla conoscenza di strutture tombali e ideologia funeraria a Veio tra il VI e il V secolo a.C., in Etrusca et Italica. Scritti in ricordo di Massimo Pallottino, Pisa-Roma , pp. -. Per il corredo della tomba  di Osteria dell’Osa cfr. anche G. Bartoloni, La tomba  dell’Osteria dell’Osa, in “Archeologia laziale”, III, , pp. -. Sull’iscrizione: G. Colonna, Graeco more bibere: l’iscrizione della tomba  dell’Osteria dell’Osa, ivi, pp. -; E. Peruzzi, Grecità di Gabii, in “Parola del Passato”, XLV, , pp. - (discussione in C. Ampolo, L’interpretazione storica della più antica iscrizione del Lazio (dalla necropoli di Osteria dell’Osa, tomba ), in Bartoloni, a cura di, Le necropoli arcaiche di Veio, cit., p. , n. ). Per Vetulonia ancora basilare la monografia di I. Falchi, Vetulonia e la sua necropoli antichissima, Firenze ; inoltre, per il periodo villanoviano: M. Cygielman, Note preliminari per una periodizzazione del villanoviano di Vetulonia, in La presenza etrusca nella Campania meridionale. Atti delle giornate di studio Salerno-Pontecagnano, Firenze , pp. -. Sulle varie possibilità d’interpretazione delle tombe bisome e anche sull’esistenza di tombe bisome simulate: A. Vanzetti, Le sepolture a incinerazione a più deposizioni nella protostoria dell’Italia nordorientale, in “Rivista di scienze preistoriche”, XLIV, , pp. -. Sul costume del sacrificio umano in occasione della morte del congiunto: Peroni (a cura di), Necropoli e usi funerari, cit., pp.  ss.; di recente cfr. Id., L’Italia alle soglie della storia, Roma-Bari , p. . Sulle analisi antropologiche di Veio-Quattro Fontanili, oltre alle relazioni in appendice alle relazioni di scavo: P. Passarello, Paleodemographic Aspects of the Iron Age in Italy: The Veii’s Villanovans, in “Journal of Human Evolution”, , , pp. -. Le analisi dei resti ossei di Grotta Gramiccia sono state effettuate dal dottor Domenico Mancinelli dell’équipe di Alfredo Coppa, dell’Università di Roma, La Sapienza. Per la riapertura degli ossuari di Verucchio: Boiardi, von Eles, Verucchio, la comunità villanoviana, cit., p. . Le analisi degli scheletri di Osteria dell’Osa sono state effettuate da M. J. Becker e L. Salvadei (Bietti Sestieri, a cura di, La necropoli laziale di Osteria dell’Osa, cit., pp. -). Per la tomba bisoma del circolo  di Vetulonia-Poggio alla Guardia: G. Bartoloni, F. Buranelli, V. D’Atri, A. De Santis, Le urne a capanna rinvenute in Italia, Roma , p. , n. . Sul cosiddetto bastone da comando: Ead., La cultura

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villanoviana. All’inizio della storia etrusca, Roma , pp.  ss. Sull’adozione nelle deposizioni di una coppia dell’ossuario a forma di capanna per l’uomo e del vaso biconico per la donna: V. D’Atri, in Bartoloni, Buranelli, D’Atri, De Santis, Le urne a capanna, cit., p. . Per le tombe AA  A e AA  B, in pozzetto ottenuto ampliando il primo: J. Close Brooks, in “Notizie degli Scavi”, , pp. -. Analoga associazione di fibula foliata a gomito e giavellotto, come nella tomba AA  B, nella tomba a fossa AA , verosimilmente da attribuire a un fanciullo per il rituale e le dimensioni della fossa. Sui rasoi del tipo Fermo: V. Bianco Peroni, I rasoi nell’Italia continentale, in “Prähistorische Bronzefunde”, VIII, , , pp.  ss. Sul significato da dare alla presenza del rasoio nelle tombe: P. Gastaldi, Pontecagnano II. . La necropoli del Pagliarone, “Quaderni di AION. Archeologia e storia antica”, , Napoli , p. : a Pontecagnano e a Tarquinia la mancanza dell’elmo nei corredi con rasoio farebbe pensare a un legame con riti di passaggio all’età adulta (taglio dei capelli dei maschi come documentato in Grecia); a Osteria dell’Osa, come a Veio, è stato considerato un elemento di prestigio (Bietti Sestieri, a cura di, La necropoli laziale di Osteria dell’Osa, cit., p. ). Sulle iniziazioni giovanili a Roma: M. Torelli, Riti di passaggio maschili di Roma arcaica, in “Mélanges de l’École française de Rome”, , , pp. -. Sulle classi d’età e sui rituali di passaggio all’età adulta nella Grecia arcaica: D. Musti, La teoria delle età e i passaggi di status in Solone. Per un inquadramento socioantropologico della teoria dei settennii nel pensiero antico, ivi, pp. -. Sui contesti principeschi in Etruria da ultimo C. Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi. Dal Mediterraneo all’Europa, Bologna ; sulle tombe di Casa Nocera a Casale Marittimo: A. M. Esposito (a cura di), Principi guerrieri. La necropoli etrusca di Casale Marittimo, Milano . Per un’analisi dei rituali a Tarquinia nel IX e VIII secolo a.C.: C. Iaia, Simbolismo funerario e ideologia alle origini di una civiltà urbana. Forme rituali nelle sepolture villanoviane a Tarquinia e Vulci e nel loro entroterra, Firenze ; sugli scavi recenti (“dell’alluvione”) a Monterozzi: M. Cataldi, in A. M. Sgubini Moretti (a cura di), Tarquinia etrusca. Una nuova storia. Catalogo della mostra, Roma , pp. -. Per le tombe di Satricum cfr. ora D. J. Waarsenburg, The Northwest Necropolis of Satricum. An Iron Age Cemetery in Latium Vetus, Amsterdam . Sulla leggenda dei tre fratelli romani (Horatii), due dei quali, al tempo di Tullo Ostilio, furono uccisi dai Curiatii, tre fratelli albani: R. M. Olgivie, Commentary on Livy. Book -, Cambridge , pp.  ss. Sulle tombe bisome di Castel di Decima: F. Zevi, A. Bedini, La necropoli arcaica di Castel di Decima, in “Studi Etruschi”, XLI, , pp.  s.; Zevi, Castel di Decima, cit., p. ; Id., Alcuni aspetti della necropoli di Castel di Decima, cit., pp.  ss. A Osteria dell’Osa nelle tombe - un uomo, una donna e una bambina, deposti in due fosse affiancate, presentano un unico corredo racchiuso nel loculo (Bietti Sestieri, a cura di, La necropoli laziale di Osteria dell’Osa, cit., p. ). Le tombe XXVII e XXVIII della necropoli di Marino-Riserva del Truglio risultano sovrapposte, con due deposizioni in una sola fossa di normali dimensioni, separate da due strati di tufelli, sopra un individuo maschile, sotto

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quello femminile: P. G. Gierow (The Iron Age Culture of Latium II. Excavations and Finds. I, The Alban Hills, Lund , pp.  ss.) le considera contemporanee. Nella tomba XXXIII della necropoli La Rustica (Roma, Tor Sapienza), una deposizione maschile e una femminile sono state rinvenute affiancate con il corredo posto in mezzo: Civiltà del Lazio primitivo, Roma , pp. -; altra tomba bisoma nella stessa necropoli è la tomba XXXVI, inedita, con i due morti posti in posizione contrapposta e il corredo collocato nel mezzo. Per i “plessi” della prima età del ferro a Pontecagnano: Gastaldi, Pontecagnano II, , cit., pp. -. Per il recinto tardo-orientalizzante: Pellegrino, Continuità/discontinuità tra età del ferro e orientalizzante, cit., pp. -. Sulle proposte relative all’incremento demografico a Veio: M. Torelli, Storia degli Etruschi, Roma-Bari , p. ; M. Cristofani, Sulla più antica demografia di Veio, in Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit., pp. -. Per una visione diversa: A. Berardinetti Insam, La fase iniziale della necropoli villanoviana di Quattro Fontanili. Rapporto con le comunità limitrofe, in “Dialoghi di Archeologia”, n. s. , , pp. -; per Grotta Gramiccia: A. Berardinetti, in Bartoloni, Berardinetti, De Santis, Drago, Veio tra IX e VI secolo a.C., cit., p. . Sulla necropoli di Caracupa: R. Mengarelli, R. Paribeni, Norma. Scavi sulle terrazze sostenute da mura poligonali presso l’Abbazia di Valvisciolo, in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss.; per un’analisi del complesso Caracupa-Valvisciolo, considerato pertinente a un’unica comunità: M. Angle, A. Gianni, La morte ineguale: dinamiche sociali riflesse nel rituale funerario. Il caso della necropoli dell’età del ferro di Caracupa, in “Opus”, IV, , pp. -; Id., An Application of Quantitative Methods for a Socio-Economic Analysis of an Iron Age Necropolis in Latium, in C. Malone, S. Stoddart (eds.), Patterns in Protohistory, “British Archaeological Report International Series”, , Oxford , pp.  ss. Per una critica alle analisi quantitative nello studio delle necropoli e una verifica della “variabilità funeraria”: M. Cuozzo, Ideologia funeraria e competizione tra gruppi elitari nelle necropoli di Pontecagnano (Salerno), durante il periodo orientalizzante, in S. Marchegay, M. H. Dinahet, J. F. Salles (éds.), Nécropoles et pouvoir. Idéologie, pratiques et interprétations, Paris , pp. -, dove viene riconosciuta una selezione degli individui sepolti in base al rango e non per classi di età. Sul trattamento funebre di bambini morti in tenera età nel mondo romano: Cicerone, Tusculanae disputationes, I, ; Plutarco, Numa, ; Dionigi di Alicarnasso, II, , . Sul fenomeno: J.-P. Néraudau, Être enfant à Rome, Paris ; S. Modica, Sepolture infantili nel Lazio protostorico, in “Bollettino della Commissione archeologica comunale”, XCV, , pp. -. Per il cambiamento tra il periodo laziale IIB e III nelle cerimonie funebri relative agli infanti: A. M. Bietti Sestieri, A. De Santis, Indicatori archeologici di cambiamento nella struttura delle comunità laziali nell’° sec. a.C., in “Dialoghi di Archeologia”, n. s. , , pp. -. Sul costume funerario infantile a Tarquinia nella prima età del ferro: Iaia, Simbolismo funerario e ideologia, cit. Sull’importanza del lignaggio rispetto alle classi d’età: a Veio-Quattro Fontanili tra IX e VIII secolo a.C. Pacciarelli, Dal villaggio alla città, cit., p. ; nell’orientalizzante a Pontecagnano M. Cuozzo, Orizzonti teorici e interpretativi, tra percorsi di matrice francese, archeologia postprocessuale e tendenze italiane: considerazioni e indirizzi di ricerca per lo studio

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delle necropoli, in N. Terrenato (a cura di), Archeologia teorica, Firenze , pp.  ss. Per una differenziazione del trattamento dei primogeniti a Veio: L. Drago, in Bartoloni, Berardinetti, De Santis, Drago, Veio tra IX e VI secolo a.C., cit., p. , n. . La necropoli in località Casella di Pontecagnano è pubblicata in T. Cinquantaquattro, Pontecagnano. II, . L’Agro Picentino e la necropoli di località Casella, Napoli . Sul carrello di Bisenzio: M. Menichetti, Carrello cerimoniale da Bisenzio, in A. Carandini, R. Cappelli (a cura di), Roma. Romolo, Remo e la fondazione della città, Roma , pp. -, con riferimenti bibliografici; sugli scudi ovali, specie a Bisenzio: G. Bartoloni, A. De Santis, La deposizione di scudi nelle tombe di VIII e VII sec. a.C. nell’Italia centrale tirrenica, in Preistoria e protostoria in Etruria. Secondo incontro di studi, Milano , pp. -. Sui doni effettuati, presumibilmente dai genitori, nelle tombe dei bambini: J. de la Genière, Les sociétés antiques à travers leurs nécropoles, in “Mélanges de l’École française de Rome”, , , p. . Per i pendenti emisferici, il cui uso nell’abbigliamento femminile, in Etruria meridionale e nel Lazio, risulta attestato almeno dall’inizio dell’VIII secolo fino agli anni centrali del VII secolo a.C., come dimostrano gli esemplari nella necropoli di Riserva del Truglio: Iaia, Simbolismo funerario e ideologia, cit., p. , che giustamente mostra perplessità nel collegarle alle bulle dei fanciulli dell’aristocrazia etrusca e latina, come proposto da A. Zifferero, Rituale funerario e formazione dell’aristocrazia nell’Etruria protostorica: osservazione sui corredi femminili e infantili di Tarquinia, in Preistoria e Protostoria in Etruria, cit., pp. . Per la tomba OP  di Veio-Quattro Fontanili: “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss.: la tomba è inserita nel periodo Toms – Veio IC per il tipo di rasoio, ma sia il tipo di deposizione, sia la rotella di bronzo potrebbero far abbassare la cronologia, considerando il rasoio un “bene di famiglia” tesaurizzato; vanno riconosciuti come scudo in miniatura e frammenti del pendente emisferico il n.  e parte del ; come probabile cinturone altri frammenti n.  (“Notizie degli Scavi”, , fig. , in alto a destra). Per gli scavi dell’insediamento di Campassini a Monteriggioni: G. Bartoloni, C. G. Cianferoni, J. De Grossi Mazzorin, Il complesso rurale di Campassini (Monteriggioni): considerazioni sull’alimentazione nell’Etruria settentrionale nell’VIII e VII secolo a.C., in Aspetti della cultura di Volterra etrusca fra l’età del ferro e l’età ellenistica e contributi della ricerca antropologica alla conoscenza del popolo etrusco. Atti del XIX convegno di studi etruschi e italici, Firenze , pp.  ss.; G. Bartoloni, Evoluzione negli insediamenti capannicoli dell’Italia centrale tirrenica, in J. R. Brandt, L. Karlsson, From Huts to Houses. Transformations of Ancient Societies. Proceedings of an International Seminar Organized by the Norwegian and Swedish Institutes in Rome, - September, Stockholm , pp. -. Un precedente nell’età del bronzo finale è rappresentato dalla deposizione a inumazione di una bambina di circa - anni a Luni sul Mignone, sotto la capanna  di Tre Erici (C. E. Östenberg, Luni sul Mignone, Lund , p. , fig. ). Per la tomba sotto la casa di Livia al Palatino, pertinente a un individuo di  anni, con elementi di deciso prestigio nel corredo: F. Delpino, in Civiltà del Lazio primitivo, Roma , pp. -.



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Per le norme funerarie nelle leggi delle XII Tavole: Ampolo, Il lusso funerario e la città arcaica, cit. Sul complesso di Tarquinia: M. Bonghi Jovino, C. Chiaromonte Trerè, Tarquinia. Testimonianze archeologiche e ricostruzione storica. Scavi sistematici nell’abitato (campagne -), Roma ; da ultimo (con l’aggiornamento degli scavi più recenti) M. Bonghi Jovino, Area sacra/complesso monumentale “della Civita”, in Sgubini Moretti (a cura di), Tarquinia etrusca, cit., pp.  ss. L’eccezionalità del sito, almeno per l’inizio del VII secolo, viene attestata dall’occultamento di tre bronzi altamente emblematici (scudo, lituo e scure), che trova un significativo confronto nell’offerta “rituale” di tre scudi ripiegati insieme e sovrapposti rinvenuti nell’abitato di Verucchio (G. V. Gentili, Gli scudi bronzei dello stanziamento protostorico di Verucchio e il problema della loro funzione nell’armamento villanoviano, in “Studi romagnoli”, , , pp. -). Per le componenti delle comunità politiche antiche e il ruolo della donna: C. Montepaone, Le donne nella “Città del Buon Governo”: brevi cenni a proposito di ideologie, utopie e pratiche del femminile nella Grecia antica, in M. R. Pelizzari, Le donne e la storia. Problemi di metodo e confronti storiografici, Napoli , pp.  ss. Per gli scavi nell’area sacra di Sant’Antonio a Cerveteri: A. Maggiani, M. A. Rizzo, Area sacra in località S. Antonio, in A. M. Sgubini Moretti (a cura di), Veio, Cerveteri, Vulci: città a confronto. Catalogo della mostra, Roma , pp. -. Per l’heròon di Eretria (piccolo gruppo di tombe a cremazione e a inumazione sormontate in seguito da un basamento triangolare, indizio di culto eroico, localizzate presso la porta occidentale di Eretria), tra gli ultimi: B. d’Agostino, La cultura orientalizzante in Grecia e nell’Egeo, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., pp. -; per l’heròon di Enea: P. Sommella, Heroon di Enea a Lavinium. Recenti scavi a Pratica di Mare, in “Rendiconti della Accademia Pontificia”, XLIV, , pp. -; F. Zevi, Il mito di Enea nella documentazione archeologica: nuove considerazioni, in L’epos arcaico in Occidente. Atti del XIX convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto , pp.  ss. Per l’interpretazione delle deposizioni sul Palatino: A. Carandini, La nascita di Roma. Dei, Lari, eroi e uomini all’alba di una civiltà, Torino , pp.  ss.; da ultimo P. Brocato, Il deposito di fondazione, in Carandini, Cappelli (a cura di), Roma. Romolo, Remo, cit., p. ; E. Gusberti, I corredi delle sepolture nelle mura palatine, ivi, pp. -. Analisi diversa è prospettata, ad esempio, in A. De Santis, Le sepolture di età protostorica a Roma, in “Bollettino della Commissione archeologica comunale”, in stampa. Per le tombe di Valvisciolo: Angle, Gianni, La morte ineguale, cit.



 La donna in Etruria e nel Lazio

Le deposizioni femminili presentano in genere corredi più articolati di quelli maschili, con maggior numero di ornamenti (fibule, perle, pendenti, bracciali, fermatrecce o altri oggetti di abbellimento per le acconciature) e di ceramica. Comune a tutte le sepolture delle donne nelle varie necropoli è la presenza di materiali connessi con la filatura o la tessitura. Purtroppo, non sempre è possibile definire, in assenza di analisi antropologiche, il sesso del defunto: alcuni ornamenti considerati tipicamente maschili o femminili, quali rispettivamente le fibule ad arco serpeggiante e le fibule ad arco più o meno ingrossato o a sanguisuga, si possono trovare nello stesso corredo funebre. Le fibule, quindi, più che elemento di distinzione dell’uno o dell’altro sesso devono essere viste come elementi che sostenevano o decoravano le vesti o motivavano drappeggi al tipo di abito, mantello, tunica ecc. Tra questi si possono riconoscere eventualmente quelli preferiti e perciò più frequentemente indossati da uomini o da donne. Dal confronto con l’analisi delle tombe che sono state attribuite con sicurezza, in base alle analisi antropologiche, e quindi dall’esame dei corredi femminili nelle singole necropoli si possono però evidenziare alcuni elementi che caratterizzano le donne nel momento della nascita dell’aristocrazia nell’Italia medio-tirrenica. Sembra di poter cogliere alcune informazioni sul ruolo e sull’importanza della figura femminile soprattutto nei contatti con le altre comunità, all’interno e all’esterno delle aree culturali indagate: si nota, ad esempio, una funzione fondamentale della donna nelle cause attivanti la circolazione di beni. Già Moses I. Finley, e molti altri studiosi dopo di lui, studiando il mondo omerico, hanno messo in evidenza il ruolo della donna e del matrimonio nel commercio arcaico. I beni di ornamento femminile, del resto, assumono un ruolo essenziale negli scambi: oggetti di metallo più o meno prezioso lavorato; manufatti d’ambra, specie i vaghi di collana o gli ornamenti di vestiti. Nell’esame delle necropoli populoniesi è emerso che la quasi totalità degli oggetti d’importazione sarda è stata rinvenuta in contesti femmini

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li. Le strutture e le suppellettili funerarie mostrano come a Populonia nell’inoltrato IX secolo, forse in anticipo rispetto ad altre aree dell’Etruria, si vengano delineando dei gruppi familiari anche ristretti, che in quanto tali in qualche modo si vogliono distinguere dagli altri membri della comunità. Indicativa la differenza tra le tombe a camera populoniesi con anche quattro individui e i circoli di pietre interrotte di Vetulonia che potevano racchiudere fino a una quindicina di ossuari, strutture ambedue in uso dalla fine del IX secolo a.C., rappresentanti la prima il sepolcro della famiglia “nucleare” e l’altra la famiglia “allargata” di tipo più “primitivo”. È probabile che l’emergere di questi gruppi sia da attribuire a una o più di queste attività: gestione dei giacimenti minerari, impianto del lavoro metallurgico, sviluppo di artigianato metallotecnico (vivamente attivo nell’area, come dimostrano i numerosi ripostigli di bronzi), trasporto del materiale grezzo o lavorato, organizzazione degli scambi. L’alleanza con gruppi di comunità esterne appare fondamentale per tutte queste operazioni: la donna, allo stesso titolo delle materie prime o lavorate e naturalmente anche di altri beni come il bestiame, può rappresentare un «valore di circolazione in una rete di doni e controdoni» (Vernant, , p. ). Del resto, anche nelle altre necropoli villanoviane le più antiche importazioni sarde sembrano peculiari di deposizioni femminili: emblematica la tomba vulcente con tre bronzetti nuragici, statuetta, trono in miniatura, cestello, rinvenuti nella custodia di tufo che conteneva l’ossuario, da considerare tra gli oggetti personali e indubbiamente caratterizzanti. Pur non potendo sostenere la suggestiva ipotesi di riconoscere nella ricca signora sepolta nella necropoli vulcente di Cavalupo, con le ceneri raccolte in un ossuario biconico e ornamenti tipicamente villanoviani, una principessa sarda sposata a un aristocratico etrusco sullo scorcio del IX secolo a.C., dobbiamo considerare l’istituzione matrimoniale elemento di prioritaria importanza tra gli scambi. Quindi un ruolo di rilievo nei rapporti culturali e commerciali deve essere attribuito alle donne. Una presenza etrusca in Sardegna è stata ipotizzata a causa del gran numero di fibule femminili ivi rinvenute, funzionali all’abbigliamento delle genti della penisola italiana ma non utilizzate in Sardegna. Oltre alle fibule (di cui, come si è accennato, non è possibile, se considerate isolatamente, stabilire il sesso dell’utente) attribuibili a tipi che sono stati rinvenuti in Etruria per lo più in contesti femminili, e che quindi vanno considerati come pertinenti a mantelli o tuniche, troviamo in Sardegna rasoi, asce, spade, oggetti maschili di pregio, possibile testimonianza di doni effettuati per stringere alleanze commerciali. In Odissea, VIII,  ss., i Feaci regalano mantelli, tuniche, un peso d’oro, una spada di 

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bronzo massiccio con elsa d’argento e custodia d’avorio. Non è escluso che gli oggetti di tipo maschile siano stati utilizzati anche come contropartita matrimoniale. Il matrimonio appare lo strumento privilegiato di alleanza tra comunità (o famiglie), importantissimo, nel nostro caso, nella gestione dei traffici nel mar Tirreno. «Il proseguimento, per molte generazioni, di questo commercio ben calcolato delle donne creava una rete complessa di obblighi reciproci» (Finley, , p. ). Gli etnologi, del resto, hanno confermato il ruolo prioritario del matrimonio nell’insieme degli scambi che regolano la società. Pur non potendo certamente ritenere tutte sarde (e forse neanche una) le donne deposte con suppellettile nuragica importata, appare chiaro che le beneficiarie principali degli scambi di manufatti siano le donne. «La donna appare equivalente a dei valori di circolazione mobile; essa è come questi oggetto di doni, di scambi, e di ratti» (Vernant, , p. ). Ma se queste sono osservazioni che noi ricaviamo dall’analisi dei manufatti conservati nei diversi corredi, altre sono le indicazioni che nel rituale appaiono messe in evidenza per rappresentare la donna, che ci appare filatrice, tessitrice, madre, padrona di casa o bene da esibire. Del resto, la posizione subordinata della donna appare caratteristica della società di tipo agro-pastorale. È noto, ad esempio, come nell’Asia centrale, presso i gruppi nomadi, le donne avessero una posizione sociale di maggior rilievo rispetto a quella dei popoli sedentari. Eccezione a questo quadro sembra fornire la donna etrusca, che al di là della cattiva reputazione nell’opinione di Greci e Romani, indubbiamente sembra distinguersi dalle donne greche e romane per la partecipazione attiva alla vita pubblica. È stato più volte ribadito che il cosiddetto femminismo etrusco, più che una conquista recente, deve essere considerato una sopravvivenza: più che l’Atene di Solone e Pericle è la Creta dei palazzi di Cnosso cui esso sembra poter esser riferito.

. Filatrici e tessitrici Se produrre ed educare è il destino della donna (Pomeroy, ), filare la lana ne è l’emblema (Finley, ). Il lavoro della lana è il simbolo della donna come il “lavoro” delle armi quello dell’uomo. Nell’Iliade Ettore invita la moglie Andromaca a tornare a casa e lasciare a lui il compito di combattere: «Ma va ora a casa e torna alle tue occupazioni, al fuso e al telaio e alle ancelle ordina di badare al lavoro; 

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alla guerra penseranno gli uomini, tutti gli uomini di Ilio, ed io più di ogni altro» (Iliade, VI, -, trad. Ciani). Questa differenza è ben documentata nei corredi che accompagnano le deposizioni funebri, dove troviamo i resti degli strumenti da lavoro caratterizzanti le mansioni in vita. Indicativo per il confronto tra le due funzioni sono due deposizioni in fossa della necropoli veiente di Quattro Fontanili, dove la conocchia (tomba RS g) e la lancia (tomba RS bg) appaiono in due tombe contigue, sicuramente collegate da vincoli familiari, nella medesima posizione a fianco del corpo, tanto che spesso alcuni elementi dell’una o dell’altra, come vedremo meglio in seguito, hanno dato luogo a equivoci. Analogo significato si deve attribuire alla presenza di una fusaiola e di due conocchie d’impasto in miniatura in un’urna a capanna, ossuario legato indubbiamente alla classe eminente e al genere maschile, proveniente probabilmente da una delle necropoli di Vulci: in Etruria generalmente vengono miniaturizzate le armi. Gli elementi più comuni che indicano l’attività della filatura e quella conseguente della tessitura sono le fusaiole e i rocchetti, rinvenuti in molti corredi villanoviani, spesso in più di un esemplare (talvolta anche sopra la cinquantina); le prime appaiono di tipologia assai varia, a forma globulare o troncoconica o biconica, sfaccettate o con decorazione incisa e impressa, i secondi, più omogenei, si diversificano per il tipo di estremità concave o piatte raramente decorate. Talvolta sono documentati pesi da telaio di forma per lo più troncopiramidale. Il numero spesso cospicuo di fusaiole rinvenute in uno stesso contesto ha fatto pensare a un legame di esse non solo con la filatura e quindi con il fuso, ma anche a un utilizzo di queste nei telai. Associata al fuso doveva essere la conocchia, che solo in corredi “ricchi” troviamo in osso, bronzo o in vetro, negli altri doveva essere in legno come il fuso. La presenza di fusi e di conocchie lignei è indiziata anche da puntali di bronzo e di ferro. Conosciamo due tipi principali di conocchia: il primo, per lo più interpretato come fuso, con più o meno forte rigonfiamento centrale dell’asta cilindrica di bronzo, delimitato all’estremità da rondelle di forma lenticolare o troncoconica, in genere di lamina di bronzo, ma anche d’osso come a Populonia nella tomba a camera  di Poggio delle Granate; il secondo costituito da un’asta cilindrica di legno più o meno completamente ricoperta di lamina di bronzo all’estremità superiore divaricata a U (nell’agro falisco sono attestati esemplari con terminazione più complessa a quattro e più divaricazioni e con intarsi d’ambra tanto da farli assimilare a insegne di comando) e nella parte inferiore costituita da un puntale affusolato, di lunghezza complessiva variabile tra i  e i  cm. 

.

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In effetti, come si ricava anche da contributi su simili attività dei nostri tempi, la conocchia o rocca può essere del tipo a mano, lunga al massimo  cm, o a braccio, lunga intorno al metro: in questo caso, la filatrice la tiene mentre lavora sotto il braccio sinistro con l’estremità inferiore infilata nella cintura, nel nastro del grembiule o in altre parti del vestiario. Talvolta gli esemplari più lunghi potevano venire infilati in un buco apposito del pavimento o della parete. Interpretando il primo dei due tipi di conocchia descritti come fuso, secondo la più usuale letteratura archeologica, troviamo stranamente in alternativa fusi o conocchie; nei corredi funerari questi due strumenti non sarebbero mai associati, mentre sono complementari l’uno all’altro nella filatura della lana. Nei corredi di alcune filatrici, quindi, dovremmo trovare contemporaneamente i due utensili. Emblematica per la rappresentazione della donna che fila la lana è una stele incisa della necropoli orientalizzante di Prinias a Creta, con una dama recante fuso e conocchia. La donna viene rappresentata preferibilmente come filatrice fino al tardo impero, come attestano stelai del museo di Konya o Bursa. È più probabile che siano da interpretare come fusi solo quegli strumenti costituiti da un’asticella appuntita all’estremità, talvolta di bronzo e forse più spesso di legno e quindi non conservati, alla cui estremità inferiore veniva inserita la fusaiola d’impasto. Eccezionale documentazione è quella del fuso di legno, recuperato nel  nell’insediamento palafitticolo del Gran Carro (lago di Bolsena), insieme alla relativa fusaiola d’impasto. Nelle tombe più eminenti delle diverse necropoli, oltre agli oggetti di prestigio indistintamente rinvenuti in tombe di ambo i sessi, i corredi maschili sono evidenziati dalle panoplie di armi in varie combinazioni, i corredi femminili dagli ornamenti preziosi e da fusaiole e rocchetti d’impasto, accompagnati talvolta da fusi e conocchie anche in materiali pregiati, come gli esemplari in ambra o in vetro, per cui esemplificativo appare il set (fuso, di cui resta la fusaiola, e conocchia) da Marsiliana d’Albegna (Banditella, tomba ), corredato da un coltellino d’avorio. Particolarmente elaborate appaiono una serie di conocchie in pasta vitrea: indicativo il caso della tomba  di Campovalano, una sepoltura pertinente a una defunta riccamente abbigliata, come testimoniano i . anellini di pasta vitrea rinvenuti all’altezza del torace, il cinturone a placche e i sandali bronzei decorati a sbalzo. Le sepolture principesche si differenziano dalle altre femminili per il numero e la qualità dei beni deposti nel corredo e per il pregio delle acconciature, ma non per gli oggetti caratterizzanti sesso e funzione, che eccellono non nella varietà dei tipi ma nella preziosità del materiale. 

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Alcune fusaiole e rocchetti rinvenuti in deposizioni di guerrieri debbono essere interpretati come offerte simboliche al morto da parte della compagna in vita. Del resto, non è improbabile l’uso delle fusaiole anche come ornamenti. La donna in tutta l’antichità, quale che sia la sua posizione sociale, appare quindi innanzitutto indicata come filatrice. Anche le donne delle famiglie principesche, mogli e figlie di principi, non sfuggono a questo destino. Collegati alla filatura sono una serie di coltellini di bronzo rinvenuti in contesti femminili: nella tomba  di Poggio Selciatello di Tarquinia e nella tomba a fossa  di Piano delle Granate di Populonia, ambedue con corredo muliebre, sono stati rinvenuti pugnaletti, quello populoniese di probabile importazione sarda. La testimonianza di tali “armi” in corredi femminili è frequente: è stato suggerito che tali piccole lame, più che come pugnali, debbano essere interpretate come coltellini usati a supporto nel cucito. È stato proposto di vedere nelle deposizioni femminili una voluta differenziazione tra filatrici (corredi con fusaiola e che presuppongono un fuso di legno) e filatrici e tessitrici (corredi con più fusaiole e più rocchetti; raramente pesi da telaio, forcelle per tessere di bronzo) rispecchianti un diverso status all’interno della comunità. Ultimamente è stato attribuito alle tessitrici un ruolo importante anche nell’introduzione della scrittura. Segni alfabetici sono incisi su rocchetti e il più antico documento epigrafico dell’Italia peninsulare è inciso su un vaso dalla necropoli gabina di Osteria dell’Osa, che per un foro sul corpo è stata collegato alla filatura. Recenti studi hanno dimostrato come questa differenziazione sia dimostrabile solo per una fase avanzata dell’età del ferro. A Tarquinia il simbolismo funerario della I fase villanoviana e dell’inizio della II non sembra attribuire «particolare importanza agli indicatori attività/funzione in ambito domestico femminile, ma è più interessato a sottolineare le differenze di quantità e qualità nelle parures» (Iaia, , p. ). Nella necropoli laziale di Osteria dell’Osa nel corso del IX secolo a.C. la tessitura veniva svolta «prevalentemente da donne giovani non ancora impegnate nella cura dei figli, mentre le filatrici erano donne adulte con figli» (Bietti Sestieri, De Santis, , p. ), mentre nel secolo successivo l’attività della tessitura appare peculiare di donne il cui corredo sottolinea l’alto status sociale. Sempre nel Latium Vetus, però, nella tomba  della necropoli Le Caprine di Guidonia, inquadrabile ancora nell’età del bronzo finale (X secolo a.C.), una conocchia a dischi, un fuso di bronzo, un coltellino, quattro rocchetti e uno strumento verosimilmente legato alla tessitura sono pertinenti a una ricca deposizione di bambina al di sotto di  anni. 

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A Veio nella fase più antica delle necropoli, nella totalità delle incinerazioni femminili è documentata almeno una fusaiola, indubbio simbolo del fuso con asta lignea. A partire da un momento avanzato del IX secolo, il numero delle fusaiole aumenta fino a raggiungere la quantità eccezionale di  in una tomba di Quattro Fontanili. Sempre in questo periodo compaiono i rocchetti e la conocchia lignea con elementi bronzei. Nel corso dell’VIII secolo, in alcuni corredi femminili di particolare ricchezza, sono documentati fusi e conocchie di bronzo e bastoni di legno ricoperti da una lamina di bronzo avvolta a spirale. Altri oggetti legati alle attività femminili sono la forcella per tessere, presente in due tombe femminili di Quattro Fontanili della seconda metà dell’VIII secolo a.C., e l’ago, documentato a Quattro Fontanili (due esemplari) e a Grotta Gramiccia (un esemplare). La maggior parte dei corredi femminili di VIII secolo, anche di bambina, in cui compaiono elementi legati alla filatura e alla tessitura, presenta un ricco abbigliamento personale; emblematica la tomba HH - della necropoli di Quattro Fontanili, datata intorno al -, con conocchia in bronzo,  rocchetti, forcella per tessere, cista di bronzo associata a un costume funerario fastoso e a un ricco corredo di accompagno. A Narce nella tomba . XXII di Monte Lo Greco, in una deposizione bisoma di una donna adulta e una fanciulla, solo la madre presenta nel corredo gli utensili connessi con la filatura e la tessitura. Il telaio è dunque prerogativa solo di alcuni personaggi femminili particolarmente eminenti: le padrone di casa. Nei poemi omerici viene descritto con sufficiente ampiezza il ruolo della padrona di casa. Nell’Odissea, poema in cui meglio si riflette la vita delle corti aristocratiche del primo orientalizzante nel Mediterraneo, Telemaco invita la madre, Penelope, ad accudire ai suoi lavori, al telaio e alla conocchia (Odissea, XXI, -). L’attività di Penelope al telaio è intesa come un contributo autonomo al benessere della casa, equivalente a quello del suo sposo, in grado di costruirsi da solo il letto. Per Omero, la pratica della tessitura e le competenze ad essa inerenti rientrano tra le caratteristiche più illustri di una donna di nobili origini. Sono indicative le scene in cui la maga Circe o la ninfa Calipso lavorano al telaio accompagnandosi con il canto. La prima «con voce bella cantava, intenta a un ordito grande, immortale, come le dee sanno farli, sottili e pieni di grazia e di luce» (Odissea, X, -, trad. Privitera), la seconda «con bella voce cantando movendosi davanti al telaio, tesseva con l’aurea spola» (Odissea, V, -). Il peplo che Elena dona a Telemaco (Odissea, XV, ) è stato tessuto direttamente dalla regina. Una chiara illustrazione delle attività svolte dalle donne all’interno della casa viene offerta dalle raffigurazioni sulle due facce del tintinnabulo, pendaglio sonoro di probabile significato religioso, della tomba 

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degli ori dell’Arsenale di Bologna (FIG. .); da un lato la scena della filatura con la raffigurazione di figure femminili intente ad avvolgere lana grezza sulle conocchie e a filare con conocchia e fuso, dall’altro la scena della tessitura con la raffigurazione della preparazione dei fili dell’ordito e di una dama intenta a tessere. Anche nell’Odissea vengono ricordate, all’interno dell’oikos, le ancelle che attendono alla filatura sotto gli ordini di Penelope (Odissea, XXI, ). Nel trono ligneo della tomba  di Verucchio le scene relative alla filatura e alla tessitura possono chiarire il ruolo delle ancelle o delle donne socialmente inferiori in questo tipo di lavoro: a queste ultime sono affidate la tosatura delle pecore e l’avvolgimento della lana grezza. La filatura e la tessitura sembrano quindi prerogativa delle matrone.

. Bologna: tomba degli ori

FIGURA

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La stessa visione della donna, del resto, la troviamo nella Roma regia dove Tanaquilla, moglie etrusca di Tarquinio Prisco, è descritta da Livio con fuso e conocchia e Lucrezia, moglie di Tarquinio Collatino, appare custode del focolare domestico intenta a filare la lana; da Tanaquilla era stata tessuta la toga regale undulata usata da Servio Tullio. Anche ad Atene la donna di Iscomaco, nell’Economico di Senofonte (VII, ), è tutta dedita ai lavori all’interno della casa. 

.

LA DONNA IN ETRURIA E NEL LAZIO

Oltre al fuso e alla conocchia, attributo delle signore risulta da Plutarco (Quaestiones romanae, ) il tàlaros, cioè un cestello o una secchia per contenere la lana, corrispondente verosimilmente al kàlathos traforato rinvenuto nelle ricche tombe femminili ateniesi di epoca geometrica. Forse a questo scopo erano destinate le diverse ciste in metallo più o meno prezioso caratterizzanti i ricchi corredi delle deposizioni femminili dell’aristocrazia tirrenica. Eccezionale, tra tutte, la secchia di lamina d’argento con decorazione eseguita a leggero rilievo e a bulino della tomba Castellani di Palestrina. Analogo significato dobbiamo attribuire alla situla d’argento della ricca deposizione femminile della cella della tomba Regolini Galassi di Cerveteri, associata con una preziosa conocchia in argento.

. Padrone di casa Particolarmente interessanti per un’analisi comparata dei corredi femminili nelle varie aree culturali sono un gruppo di tombe, rispettivamente di Bologna, Populonia, Veio, Castel di Decima nel Lazio (forse l’antica Politorium) e Francavilla Marittima in Calabria, caratterizzate dalla presenza di una coppa di lamina di bronzo con ansa a maniglia semicircolare sormontata da globetti o listelli desinenti a globetti, tipo presunto di provenienza orientale, ma per cui non sembra da escludere piuttosto un contatto con l’ambiente nuragico. Tutti i corredi emergono rispetto alle comuni deposizioni delle relative necropoli: il corredo di Populonia (Piano delle Granate, tomba ) è evidenziato da una parure di filatrice, con parte terminale della conocchia in bronzo e cinque fusaiole, da bronzi d’importazione sarda, da ceramiche di provenienza tarquiniese e da oggetti d’ornamento di tipo bolognese; il corredo di Bologna, la cosiddetta tomba degli ori di San Vitale, tra gli altri oggetti di prestigio presenta una coppia di morsi equini e molti altri oggetti (pungolo e falere) legati alla bardatura equina, indicanti, come sarà di seguito specificato, una figura femminile eccezionale. La tomba di Castel di Decima è invece caratterizzata dall’associazione della coppa bronzea con un coltello di bronzo con lama a fiamma, uno spiedo con capocchia a ricciolo di grandi dimensioni. Coltelli dello stesso tipo con lama a fiamma e con manico a robusta maniglia quadrangolare, per cui è stata proposta un’origine campana, sono conosciuti in contesti femminili di Valvisciolo-Caracupa, Rocca di Papa, Acqua Acetosa Laurentina (tomba ), sporadici da Velletri, Cuma ed Etruria 

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(forse Cerveteri). Si tratta sempre di corredi di un certo prestigio sicuramente emergenti nelle diverse comunità, come dimostra il corredo della tomba  di Caracupa: in una delle tombe di Caracupa (tomba ), come a Castel di Decima, troviamo associato al coltello lo spiedo; inoltre vi sono resti di un piccolo maiale o cinghiale. I coltelli non appaiono deposti frammisti agli altri oggetti del corredo, ma isolati presso il corpo, come accade generalmente per gli oggetti funzionali e legati personalmente al defunto: siano essi strumenti della filatura o armi. Nella tomba di Castel di Decima e nella tomba II di Valvisciolo-Caracupa troviamo il coltello presso i fianchi della defunta, nella tomba bisoma IV della stessa necropoli tra le gambe dei cadaveri delle due defunte. Perplessità quindi suscita il presunto ritrovamento nella tomba principesca di Rocca di Papa di tale coltello (“scimitarra”) appeso alla parete del cassone. Purtroppo, non abbiamo per Valvisciolo-Caracupa o per Castel di Decima dati antropologici che possano indicare l’età, che presumiamo adulta, delle donne con coltellacci. L’uso di deporre coltelli nelle tombe femminili appare altrove abbastanza eccezionale. In ambiente villanoviano, sia laziale (ad esempio a Veio o a Vulci) che salernitano (a Pontecagnano) sin dall’VIII secolo i grossi coltelli sono peculiari dei corredi maschili: frequente è l’associazione con l’ascia e con lo scalpello, come nel corredo vulcente di Mandrione di Cavalupo o nella tomba  di Pontecagnano, ove costituiscono una sorta di servizio di strumenti sacrificali, aggiungendo al tradizionale ruolo del guerriero quello di responsabile del sacrificio carneo, e quindi di detentore sia dell’autorità religiosa che delle risorse alimentari del gruppo. A Bologna il coltello della tomba maschile  del sepolcreto Benacci Caprara, associato a tre asce, è stato collegato esclusivamente alla sfera del sacrificio: uccisione della vittima e divisione delle carni. Analoghe associazioni di armi e di coltelli di grandi dimensioni troviamo nella Grecia geometrica. Indicativo un corredo dell’Areopago (D : ), con due coltelli e armatura completa: la spada appare intenzionalmente curvata intorno all’urna cineraria e quindi resa inutilizzabile. Diverso risulta il quadro nelle comunità tirreniche di cultura non villanoviana. A Torre Galli troviamo coltelli di svariate misure e nella forma a lama diritta e a lama serpeggiante, sia in tombe maschili che femminili. Il coltello viene considerato nelle deposizioni di armati sostitutivo della spada (come vediamo, del resto, anche in più tarde raffigurazioni di guerrieri nei monumenti etruschi, ad esempio sulla stele di Aule Tite), nei corredi femminili indizio di rango elevato. La concentrazione di rocchetti, coltelli, vasi di lamina di bronzo in una zona della necropoli è stata interpretata come espressione di alto li

.

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vello di ricchezza: la maggior quantità di utensili potrebbe essere vista come indice di una forte concentrazione di attività lavorative e artigianali. Un confronto interessante con le attestazioni laziali per la presenza e la posizione del coltello, anch’esso di grandi dimensioni, troviamo a Sant’Onofrio di Roccella Ionica (tomba ). Nella Cuma pre-ellenica sono attestati coltelli identici a quelli di Caracupa, ma purtroppo fuori contesto. Nel Lazio la deposizione dei coltelli anche di dimensioni eccezionali (purtroppo, il rinvenimento non sempre ottimale degli oggetti di ferro, la cui utilizzazione nel corso dell’VIII secolo per gli utensili e le armi è prevalente, non permette precise indicazioni di dimensioni e spesso di tipo) appare per lo più peculiare del mondo muliebre: a Osteria dell’Osa nel gruppo di  tombe inquadrabili nella cosiddetta III fase laziale (- a.C.) ben tre tombe femminili presentano il coltello di ferro rispetto a una sola tomba maschile, non connotata come deposizione di guerriero. Precedentemente, nel IX secolo un coltello di ferro caratterizzava il corredo funerario di una sola donna adulta, appartenente al gruppo di deposizioni denominato Sud. Sempre nello stesso gruppo, in corredi di uomini adulti incinerati coltelli di bronzo in miniatura appaiono associati a statuette raffigurate nell’atto della libagione, elementi che hanno indotto Anna Maria Bietti Sestieri a considerarli indicativi di una funzione religiosa o cultuale del defunto: in una delle tombe (la ) a questi elementi si aggiungono alcune offerte votive (focaccine e vasi miniaturizzati). Un coltello in miniatura del tipo a lama serpeggiante è presente però con panoplia completa miniaturizzata nella tomba XXI di Pratica di Mare, riferibile ancora al X secolo a.C. Ritornando al coltello della tomba  di Castel di Decima e ai confronti di Valvisciolo-Caracupa, la forma e le dimensioni (quasi  cm) lo legano indubbiamente alla macellazione degli animali e al taglio della carne. Nell’analisi della necropoli di Osteria dell’Osa alle donne detentrici di coltello è stato attribuito un ruolo sacerdotale, analogamente a quanto proposto per gli uomini incinerati deposti con tale strumento. Un esemplare simile proveniente dall’Etruria viene considerato abitualmente un coltello sacrificale usato per sgozzare la vittima e dividerne le carni, una màchaira. È noto come la carne sia da considerare un alimento solo occasionale per la maggior parte della popolazione e come nelle fonti letterarie (specie quelle relative alla Grecia arcaica) i gesti di consumare la carne e offrire un sacrificio si confondano e si identifichino interamente con le forme elementari della socialità. Nello stesso modo in cui si divide il bottino, si divide la carne tra i guerrieri. In alcune complesse civiltà del Vicino Oriente o nell’antica società indoiranica sembra che il consumo di 

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carne fosse praticato in occasione dei pasti sacrificali, anche se non era ignota la (proibitissima) consumazione di carne fuori del sacrificio offerto dai guerrieri. Non si trattava di avvenimenti eccezionali, ma abbastanza frequenti, strutturati secondo un complesso calendario di feste. Quello che appare indubbio è che lo strumento per la macellazione doveva essere simile in ambito pubblico e in ambito privato. Le analisi di resti animali negli abitati protostorici italiani mostrano un consumo deciso di carne, specie suina; inoltre, resti di suino appaiono in ben dodici tombe del Foro romano, oltre che nella citata tomba  di Caracupa con coltello e spiedo. Le fonti letterarie romane ribadiscono infatti la destinazione esclusivamente alimentare del maiale, di cui è ben noto il ruolo essenziale nei culti latini. Il rituale funerario romano contemplava, ad esempio, l’immolazione a Cerere di una scrofa, la porca praesentanea, nel momento in cui il defunto veniva inumato: il sepolcro così diventava locus religiosus. Si potrebbe ipotizzare che in un’epoca in cui ogni funzione religiosa è esclusivamente un fatto privato, della famiglia, legato alla casa e alle pratiche funerarie, e in cui il consumo della carne è prerogativa di personaggi eminenti, il possessore di coltello sia colui che controlla e organizza le risorse alimentari del gruppo o della famiglia; nel Lazio protostorico (dalla fine del IX secolo a.C.) tale compito sembrerebbe attribuibile alle donne pertinenti alla nascente aristocrazia. In Etruria, invece, come in Grecia, tale ruolo non è messo in evidenza, anzi sembrerebbe piuttosto che alcuni guerrieri possano essere visti come detentori delle risorse alimentari del gruppo, e quindi strettamente legati alla pratica sacrificale. Del resto, Marcel Detienne ha dimostrato come in Grecia le donne, tenute a distanza dalla carne, non fossero qualificate a manipolare quegli strumenti che per la loro funzione culinaria sembrerebbero appartenere naturalmente al mondo domestico. Le donne non avrebbero avuto diritto né al calderone (in cui si bolliva la carne), né allo spiedo, né al coltello; nei sacrifici pubblici gli spiedi sono nelle mani degli efebi e le asce sono affidate a uomini maturi. Claude Mossé ha ribadito come nell’oikos la donna, custode del focolare domestico, fosse un elemento importante della religione privata. L’oikos, microcosmo della polis, appare segnato da non dissimili ideali su cui si fondano i parametri di qualificazione individuale: la donna virtuosa avrà una nobile condotta nei confronti di se stessa, di suo marito, dei suoi figli, della sua casa e spesso nei confronti della città. «La donna saggia farà prosperare non solo il marito, ma anche i figli, i genitori, i servi e la casa tutta intera, così come i suoi beni, gli amici, i concittadini e gli stranieri che vi si riuniscono» (Montepaone, , p. ). 

.

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Tra il vasellame ceramico del corredo della citata tomba  di Castel di Decima, oltre al coltello, è attestato un “calefattoio”, sostegno legato nel Lazio per lo più a vasi aperti, cioè alle tazze monoansate. Questa forma ceramica, rinvenuta nelle fasi più antiche della cultura laziale in tombe per lo più maschili e spesso a incinerazione, appare peculiare, nelle tombe a inumazione di VIII secolo, dei corredi femminili, come dimostra, ad esempio, la pianta di scavo di un corredo di Tivoli, poco più recente della deposizione di Castel di Decima, in cui è ben visibile la tazza sorretta dal sostegno. L’uso dei sostegni, di dimensioni sempre maggiori, continua fino al pieno VII secolo a.C. Il processo di evoluzione dal calefattoio al sostegno a bulla e agli holmoi è stato ben dimostrato da Giovanni Colonna. I sostegni delle ricche tombe orientalizzanti laziali femminili (Roma, Esquilino, Ficana, La Rustica, Castel di Decima, Acqua Acetosa Laurentina) appaiono sormontati da crateri monoansati, le cosiddette tazze-cratere, il cui collegamento con il vino e le cupae varroniane e l’analogia di funzione con le olle etrusche (la thina varroniana) è stato ampiamente illustrato da Fausto Zevi. La donna, in occasione dei banchetti, doveva miscelare il vino in questi eleganti contenitori rialzati dal sostegno e posti accanto alla mensa. Il rinvenimento del servizio sostegno con tazza-cratere, talvolta associato ad anfore vinarie d’importazione fenicia nelle tombe riferibili a donne eminenti dell’aristocrazia laziale, ha posto il problema delle notizie sul tabù del vino per le donne. Servio, ad esempio, riferisce: apud maiores nostros feminae non utebantur vino nisi sacrorum causa certis diebus. Secondo Michel Gras, non tutti i vini dovevano essere interdetti alle donne, ma solo il temetum, il vino puro. Il vino importato fenicio, quindi, non puro e inadatto alle libagioni, era probabilmente adatto al consumo da parte di aristocratici di ambo i sessi. Giovanni Colonna invece, commentando l’iscrizione su un’olla di Osteria dell’Osa, dove si legge saluetod tita, suggerisce che la gestione del vino dovesse essere affidata nella società aristocratica «alla donna in qualità di padrona di casa, di mater familias, anche se in linea generale, è tenuta ad astenersi da quella bevanda» (Colonna, , p. ). La constatazione che nei corredi etruschi coevi, quei pochi che a causa del prevalere delle deposizioni in tombe a camera si possono ricostruire, il sostegno (holmos) sormontato da olle appare indifferentemente in tombe maschili e femminili e pone il quesito se questa diversità di costume funerario possa corrispondere a una differenza di comportamento nella vita reale. Da ricordare, però, come l’olla-thina sia indicata anche dalle iscrizioni etrusche di pertinenza femminile. In Etruria non si notano infatti differenze di sesso nel corredo relativo al banchetto, mentre nel Lazio la presenza del servizio da vino sembra prerogativa femminile. Anzi, alcuni “crateri” villanoviani, collegati, 

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da Filippo Delpino, con l’analoga forma e quindi con la stessa funzione dei contenitori greci, anticipando alla fine del IX o all’inizio dell’VIII secolo l’introduzione della viticoltura o almeno il consumo, anche se eccezionale, del vino, appaiono essere stati deposti per lo più in tombe maschili, riferibili a guerrieri. Analogamente all’ambiente etrusco, anche nell’agro falisco, dove nella sola Narce sono attestati ben  esemplari, gli holmoi sono distribuiti sia in corredi femminili che maschili, specie in quelli connotati come di guerrieri. A differenza di quanto è tramandato per la donna romana, che è essenzialmente ricordata invece come custode della casa, le signore etrusche (e falische) sembrano partecipare, come gli uomini, ai banchetti. Nel Lazio antico è quindi probabile che, come il coltello per la distribuzione della carne, in alcuni contesti femminili la deposizione del servizio per miscelare il vino voglia evidenziare il ruolo particolare di alcune donne nella gestione del vino e quindi il loro carattere fondamentale di padrone di casa: la gestione del vino non ne comporta naturalmente il consumo. Nelle famiglie della nascente aristocrazia etrusca, invece, anche la gestione delle vivande risulterebbe prerogativa dell’uomo, il “padrone di casa”, come ci mostrano per la Grecia i poemi omerici. Da Omero a Senofonte, infatti, le donne greche sono relegate nelle loro stanze. Nel Lazio tale simbologia, legata al controllo delle risorse alimentari del gruppo, può essere forse attribuita anche alla deposizione del servizio, consistente nel vaso aperto su calefattoio di fase precedente all’introduzione del vino almeno a sud del Tevere, per cui si deve pensare ad altri alimenti liquidi o semiliquidi. Plinio (Naturalis historia, XIV, ) riferisce che «Romolo faceva le libagioni con latte e non con vino». Nella deposizione della tomba  di Castel di Decima con anforetta su sostegno, come nella raffigurazione in avorio di un banchetto da Megiddo, si è voluto probabilmente aggiungere al segno di responsabile del consumo della carne, fornito dal coltello, quello più generale di controllo e organizzazione delle risorse alimentari in genere: oltre alla carne, latte e cereali che dovevano rappresentare l’alimentazione principale, con cui venivano preparate anche alcune pietanze semiliquide, quali la mola salsa o il puls, una sorta di polenta (distribuita tanto in tazze quanto in anfore). Il ruolo che abbiamo evidenziato per la donna latina di VIII e VII secolo sembra ben corrispondere alla più tarda, notissima epigrafe funeraria: domum servavit, lanam fecit. Al contrario, la donna dei più antichi Etruschi, adorna spesso di beni preziosi, appare essa stessa per lo più solo un bene da esibire (o da scambiare) per mostrare lo status familiare. 

.

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Un’altra attività legata alla figura femminile doveva essere quella della produzione del vasellame ceramico a mano. Hodder ha ribadito come fin dall’età preistorica la caccia e il commercio siano spesso considerati prerogative maschili, mentre la raccolta e la tessitura femminili; le punte di proiettile e gli utensili sarebbero legati agli uomini, mentre vasi fatti a mano e non su tornio sarebbero legati alle donne. È palese come la decorazione della ceramica debba essere considerata un indicatore culturale. L’archeologia “di genere”, nel rivalutare il ruolo femminile, ha notato come in talune situazioni la decorazione ceramica possa rappresentare la voce nascosta della donna in un mondo dominato dai maschi. Hodder ha cercato di dimostrare come, tra le popolazioni della preistoria europea, la decorazione e l’elaborazione della ceramica nel contesto domestico possono avere un ruolo nella negoziazione del potere tra uomini e donne. La ceramica ci appare infatti un veicolo molto comune, in queste fasi, per i rapporti con le comunità più o meno limitrofe. Attraverso i motivi decorativi incisi sul vasellame ci vengono fornite inoltre una quantità di informazioni, che forse era prerogativa delle donne tramandare in quanto depositarie di particolari tradizioni. Non sembra tuttavia, almeno in base alle analisi effettuate nei corredi funerari, di poter scorgere per ora un indicatore per questa prerogativa. Una testimonianza del legame della donna con tale funzione, accanto a quello di una libagione sacra, può provenire, ad esempio, dalle raffigurazioni plastiche sul carrello di Bisenzio, manufatto bronzeo della seconda metà dell’VIII secolo, per cui la donna è rappresentata con un vaso chiuso in testa e uno di forma aperta in mano, in contrapposizione alle figure maschili (di adulti e di fanciulli) armate. Le donne, in conclusione, sono il centro della famiglia, guardiane del focolare domestico, e perciò del gruppo familiare.

. Spose e madri Gli uomini accudivano alle proprie famiglie e ai loro possedimenti come guerrieri; le donne invece dovevano generare e allevare futuri guerrieri. Tutte le donne erano destinate al matrimonio. «Se i riti di passaggio significano per gli adolescenti l’accesso alla condizione di guerriero, per le fanciulle a loro associate in questi riti e spesso sottomesse a un periodo di reclusione, le prove iniziatiche hanno il valore d’una preparazione all’unione coniugale. [...] Il matrimonio è per la giovane quel che la guer

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ra è per il ragazzo: per tutti e due rappresentano il compimento della natura rispettiva, nel momento in cui escono da una condizione in cui ciascuno partecipa ancora dell’altro» (Vernant, , p. ). La donna risulta portatrice di ricchezze e di nobili ascendenze. Nella società omerica sono numerosi i doni che il pretendente offre al padre per ottenere la sposa, gli hédna, sia capi di bestiame che oggetti preziosi. Il matrimonio appare lo strumento privilegiato di alleanza tra comunità (o famiglie); è un vincolo di relazioni politiche tra famiglie aristocratiche, oltre che di beni che sanciscono il contratto tra due gruppi. Le alleanze matrimoniali istituiscono vincoli molto stretti tra i grandi clan aristocratici. Matrimonio e potere possono essere correlati: sposare Penelope garantiva la successione al trono di Itaca. Sposare una bella donna d’alto lignaggio è una prospettiva piuttosto gradita all’eroe omerico e può dar luogo a un’accesa competizione. Del resto, appare molto comune nella storia e letteratura greca il modello di matrimonio figlia regalestraniero. J.-P. Vernant ha osservato che, pur coesistendo in Omero varie pratiche matrimoniali, i diversi aspetti degli scambi matrimoniali obbediscono a regole molto semplici e libere, nell’ambito di un commercio sociale tra famiglie nobili: lo scambio delle donne appare come un modo per creare dei legami di solidarietà e di dipendenza, per acquistare prestigio o confermare una sudditanza, quindi un commercio in cui le donne giocano il ruolo di beni preziosi, tanto da essere paragonati agli agalmata, di cui Louis Gernet ha mostrato l’importanza nella pratica sociale e nella mentalità dei Greci di epoca arcaica. Gli studiosi del mondo omerico hanno evidenziato come il sistema matrimoniale si basi sul doppio trasferimento di beni e di donne e come nella polis la donna non appaia più un oggetto prezioso, ma «una futura produttrice di cittadini, la cui principale qualità è quella di essere lei stessa figlia di cittadini al fine di poter contribuire alla riproduzione della Città» (Scheid, , p. ). Nella Grecia arcaica, in opposizione all’antico regime aristocratico in cui si sposavano delle straniere, viene imposto lo scambio matrimoniale all’interno della città (Gernet, ). È stato ribadito nell’introduzione come la redazione dei poemi omerici e le istituzioni in esso descritte (in particolare dal punto di vista economico e sociale) non siano cronologicamente lontane dal periodo esaminato in questo lavoro: in ambedue gli ambienti ci troviamo in una fase che potremmo definire “protourbana”. Come si è già accennato, il matrimonio doveva costituire uno dei mezzi principali nel costruire alleanze tra famiglie di comunità diverse, dando vita a forti legami indispensabili nell’Italia tirrenica per la gestione dei traffici marittimi. 

.

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Pur non potendo, come si è già accennato, riconoscere con dati certi nella ricca signora sepolta nella necropoli vulcente di Cavalupo, con le ceneri raccolte in un ossuario biconico (tipicamente villanoviano e vulcente!), una principessa sarda sposata a un aristocratico etrusco sullo scorcio del IX secolo a.C., dobbiamo attribuire all’istituzione matrimoniale grande importanza per i rapporti tra le diverse famiglie della nascente aristocrazia tirrenica. Un altro esempio di probabile inserimento di una donna straniera in un contesto tardo-villanoviano è riconoscibile nella deposizione della tomba  della necropoli tarquiniese di Selciatello di Sopra: in una hydrìa tardo-geometrica (vaso greco per l’acqua corrispondente per la funzione al vaso biconico) coperta da una ciotola, sempre in argilla depurata dipinta ma di produzione locale, sono conservate le ceneri di un individuo che la cintura di bronzo connota come femminile. L’importanza del ruolo femminile nella colonizzazione greca è sostenuta anche dalla teoria che considera indigene gran parte delle donne sposate dai coloni greci in Occidente, fatta propria recentemente, ad esempio, da John Nicolas Coldstream per Pitecusa o da Jan Paul Crielaard per Siracusa. In ambito etrusco, per illustrare il ruolo della figura femminile nei nuclei aristocratici possiamo rivolgerci al racconto relativo a Demarato, della famiglia corinzia dei Bacchiadi, che sposa una nobile del luogo arrivando quasi sicuramente a una posizione dominante nella città di Tarquinia. Il matrimonio di uno straniero con una donna della terra che lo accoglie è molto frequente: la fanciulla appare di così nobile origine che non può incontrare nella sua terra un pretendente alla sua altezza. Sposare uno sconosciuto è non solo un sistema per non venir meno alla superiorità della famiglia, ma anche una maniera per non allontanarsi dalla propria casa; l’esule non potrà che integrarsi nel gruppo familiare della moglie e i figli della nuova coppia perpetueranno la nobilissima famiglia materna. Il matrimonio comporta generalmente per la donna una separazione, più o meno dolorosa, dal proprio ambiente di origine: Saffo ha espresso (frammento a) lo strazio della separazione dalle origini: «Espero, che riporti tutto ciò che l’aurora fulgente ha disperso, riporti pecore e capre, porti via la figlia alla madre» (cfr. Bodei Giglioni, , p. ). Un esempio di matrimonio “uxorilocale” in ambito etrusco è stato ipotizzato per i genitori del defunto della tomba principesca  di Verucchio (Torelli, ): il padre nobile umbro esule e la madre etrusca locale di stirpe regale. L’importanza data in Etruria anche alla famiglia della donna è indicata dalla presenza, a partire dal VII secolo a.C., del matronimico nell’o

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nomastica, «espressione patente di orgoglio aristocratico» (Colonna, , p. ), caratteristica che rivela come «la discendenza femminile valeva ad assicurare, anche da sola, la cittadinanza, o almeno, una quasi cittadinanza» (Sordi, , p. ). Emblematica la stele vetuloniese di Aule Feluske, dove il guerriero rappresentato è indicato come figlio di Tusnutaie (prenome del padre) e di Papanala (gentilizio della madre). L’onomastica rivela dunque un rapporto particolare della donna etrusca con i genitori, con il marito, con i figli. Ciononostante, non si può ipotizzare per la società etrusca l’esistenza del matriarcato, come sostenuto da Bachofen nel . Dagli studi di antropologi e storici (cfr. Georgoudi, ), del resto, appare sempre più evidente che il matriarcato è più una costruzione intellettuale che una realtà storica. Nelle comunità etrusche quindi, come ha precisato Heurgon (, p. ), dovrebbe trattarsi semplicemente di una tappa di un lungo «sviluppo in equilibrio instabile e mobile delle forze antagoniste in piena evoluzione» e che ha importanza soprattutto paragonandolo con quanto si osserva in Grecia e a Roma. Una ulteriore conferma dell’importanza del ruolo della donna in ambito etrusco nella discendenza ci viene dalla recente analisi delle necropoli di Pontecagnano in periodo orientalizzante, che hanno mostrato come siano accentrati «nel costume funerario femminile tutti i segni della continuità del nucleo familiare e del gruppo» (Cuozzo, , p. ): da una parte sono concentrate in deposizioni muliebri il maggior numero dei segni di prestigio, dal carro agli strumenti connessi alla gestione alimentare, dall’altra nella persistenza nei corredi dei bambini (oltre i  anni) di elementi generalmente considerati femminili, quali, ad esempio, l’associazione spiedo-coltello. Nella tradizione letteraria Greci e Romani appaiono condannare la partecipazione delle donne etrusche ai banchetti, «nei quali si coricavano come loro [gli uomini] e al loro fianco sui letti del triclinio» (Heurgon, , p. ), condanna dovuta all’indubbia visione diversa della donna nell’ambito della gestione familiare (Sordi, ). Nelle lastre fittili che decoravano il tetto del palazzo di Murlo (Siena), raffigurazioni «scopertamente mirate all’esaltazione dello stile di vita signorile» (d’Agostino, , p. ), in cui cogliamo la più antica rappresentazione di banchetto su klinai (letti conviviali) in Etruria, secondo un’usanza probabilmente ripresa dalle corti del Vicino Oriente, uomini e donne sono semidistesi affiancati (FIG. .). Questa moda sarà poi largamente attestata nelle pitture parietali delle tombe più tarde. Finora non è stato messo in debita luce il ruolo primario che la donna dovette avere come riproduttrice. Difficilmente infatti si recepiscono nei corredi funerari e nella scarsa documentazione iconografica elemen

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. Murlo: lastra di rivestimento della struttura arcaica

FIGURA

ti collegati a tali attività fondamentali, quali quelle del generare e dell’allevare. È stato ribadito del resto come il posto della donna è determinato dal significato che le sue attività acquisiscono attraverso un’interazione sociale concreta (Rosaldo, , p. ). Tuttavia, alcuni elementi sembrerebbero comprovare l’importanza di questo stato: alla facoltà di riproduzione e al parto potrebbe essere collegato un ampio anello (circa  cm) di lamina di bronzo, riservato esclusivamente a costumi da cerimonia, sorretto da una grande fibula (lunga anche  cm), appuntato sulla stola e posto sul ventre della defunta (FIG. .). Questo costume è attestato nel Lazio nell’orientalizzante antico e medio, in contesti femminili principeschi (Grottaferrata, Castel di Decima, Acqua Acetosa Laurentina) o, per lo meno, tra i più ricchi della necropoli (Osteria dell’Osa, La Rustica): la donna defunta potrebbe essere colei che era in grado di generare o ha generato il principe o “l’erede” di una nobile stirpe. Il carattere dell’isolata tomba del Vivaro a Grottaferrata è indubbiamente principesco. A Castel di Decima, le due tombe con defunta ornata dal grande anello, le tomba  e , possono essere sicuramente considerate tra le più ricche della necropoli orientalizzante; la tomba , posta isolata al centro della necropoli, insieme alla coeva tomba  maschile, doveva essere sormontata da ampio tumulo. A Osteria dell’Osa la tomba , con grande anello, è inclusa in un gruppo familiare aristocratico di VII secolo a.C. Analogo costume sembra riconoscersi anche nella ricca deposizione della principessa di Vix dell’inoltrato VI secolo a.C.: un ampio cerchio di bronzo è collocato sul ventre della defunta, la cui età è stata stimata fra i  e i  anni, deposta al centro della fossa (FIG. .). Una probabile differenza va vista nella deposizione della ricchissima tomba  dell’Acqua Acetosa Laurentina, dove tale cerchio di lami

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. a) Castel di Decima, tomba : anello di lamina bronzea; b) Vix: ricostruzione della deposizione della defunta (da Brun, ; elaborazione di S. Barberini e A. Berardinetti) FIGURA

a

b

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na di bronzo era deposto insieme agli oggetti più significativi del mondo femminile, la cista e il flabello, legato nelle iconografie alle scene di matrimonio. In una tomba di media ricchezza nella necropoli di Castel di Decima (tomba ) i due cerchi di minor dimensione posti sui due seni della defunta sembrano convalidare una connessione di questi elementi con la riproduzione, con la sottolineatura o la protezione delle parti del corpo femminile legate alla riproduzione e all’allevamento. Un analogo significato si può attribuire allo scudo fittile appoggiato sul ventre della defunta della tomba  della necropoli della Penna di Faleri (FIG. .). Nel territorio falisco gli scudi in impasto vengono deposti, come i prototipi in lamina bronzea, sul corpo del guerriero: in una tomba femminile l’arma indossata trova difficile interpretazione. Altrove gli scudi bronzei e fittili, in tombe femminili, come vedremo, sono appoggiati alle pareti: non si vuole mettere in risalto il valore guerriero, ma i segni del rango e la continuità gentilizia. Un’altra possibilità di lettura è quindi di vedere in questo scudo fittile un elemento di protezione del ventre della defunta, del luogo della riproduzione. Non è da escludere che tale custodia proteggesse un feto, un bimbo non nato, prematuramente morto nel grembo materno. La mancanza delle analisi osteologiche non ci permette la conferma di tale ipotesi. Generalmente, coppi o vasi per lo più dimezzati, quindi simili a scudi nell’aspetto, proteggono i resti dei neonati, anche prematuri, e dei bambini fino a - anni nei suggrundaria delle capanne laziali. A Pontecagnano, . Falerii, necropoli della Penna: tomba 

FIGURA



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nella tomba , attribuita all’orientalizzante recente, una donna di circa  anni recava sulle ginocchia un enchytrismòs di feto.

. Beni da esibire Generalmente i corredi attribuibili a donne, come si è detto, sono caratterizzati da parures di ornamenti più o meno vistose: fibule di bronzo o di metallo prezioso, fibule con arco decorato da dischi di bronzo, d’ambra o osso, fibule che tenevano le tuniche o fibule decorative che sostengono pendenti di varia forma e grandezza, cinturoni a losanga o a nastro decorati a incisione o a sbalzo con motivi geometrici, collane di perline di pasta vitrea o di vaghi d’ambra, pendagli di bronzo, d’oro o d’ambra dalle configurazioni più svariate. Le deposizioni femminili più ricche, attribuibili verosimilmente alle donne dei principi, mogli e figlie, mostrano uno splendore maggiore rispetto alle altre delle varie necropoli, soprattutto nella preziosità dell’abbigliamento. La moda è la stessa, come dimostrano non solo le donne raffigurate sul tintinnabulo di Bologna, ma anche quelle sui rilievi assiri: ad esempio, nel celebre rilievo del Palazzo Nord di Ninive con scena del banchetto all’aperto di Ashurbanipal con la regina (circa - a.C.), quest’ultima si differenzia dalle ancelle per la ricchezza dell’acconciatura e la preziosità del mantello. Particolarmente vistose dovevano essere le vesti che caratterizzavano alcune signore laziali nel corso dell’VIII secolo a.C., evidenziate soprattutto da un gruppo di deposizioni della necropoli La Rustica (Roma), ma attestate anche a Osteria dell’Osa, anche se eccezionalmente, o a Velletri: il torace era completamente coperto da fibule con pendagli ad anello di varia grandezza e/o a semibulla; un’alta cintura di lamina di bronzo decorata a sbalzo ornava la vita. Alcune tombe femminili si diversificano dalle altre per la ricchezza delle stoffe e per la preziosità dei monili: manti rivestiti d’argento, vesti decorate da ambre o faïence disposte a riquadri mediante fili di bronzo. Un’esemplificazione di questi abiti è offerta da ricche deposizioni femminili della necropoli di Castel di Decima, dove le signore delle tombe ,  e  mostrano una sorta di gonna o grembiale riccamente decorata, come dimostrano file di vaghi d’ambra alternati a paste vitree bianche o azzurre, incrociantisi a formare una scacchiera e terminanti all’estremità inferiore con pendagli di vetro e di faïence o d’ambra, a mo’ di pesi. Deve trattarsi di abiti ispirati a modelli orientali, conosciuti attra

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verso il rapporto commerciale con i Fenici, «coinvolgenti prestazioni di tintori, di orafi e di tektones per il taglio dell’ambra» (Colonna, , p. ). Un confronto indicativo in ambito orientale per l’abbigliamento e soprattutto per il tipo di tessuto è la figura seduta su trono (a banchetto?) del pendaglio in oro da Sam’al (Zincirli, Turchia). Fibule in materiali preziosi rinvenute sulla testa delle defunte indicano la presenza di un manto o scialle, talvolta trapunto di anellini di pasta vitrea multicolori, che scendeva dalla testa sulle spalle. In Etruria tale costume trova riscontro nel menzionato tintinnabulo di Bologna, dove le dame presentano un mantello che copre la testa e ne avvolge il corpo e la tunica, che sembra abbellita da materiali applicati disposti a rettangoli. Sono attestate anche laminette auree (più raramente d’argento, come nella tomba Aureli  di Bologna) circolari, quadrate, rettangolari, triangolari e a meandro, per lo più decorate a sbalzo e fornite di forellini agli angoli, che dovevano impreziosire i sontuosi abiti cerimoniali. Le tuniche appaiono sorrette da fibule d’oro, d’argento o d’ambra, che richiamano il «peplo bellissimo, adorno» di «dodici spille d’oro chiuse con ganci ricurvi», donato da Antinoo, uno dei Proci, a Penelope (Odissea, XVIII, -). A questi abiti preziosi si devono aggiungere collane d’ambra («simile al sole»: Odissea, XVIII, ), bracciali e orecchini d’oro e spirali per i capelli in lamina o in verga sempre d’oro. Le spirali, in genere rinvenute a coppie, indicano la presenza di due trecce, come testimoniano, ad esempio, quelle rinvenute ai lati del cranio della defunta nella tomba principesca  di Castel di Decima. Stesse acconciature sono attestate nella statua femminile della Pietrera o nelle cariatidi di bucchero del tumulo ceretano degli Animali Dipinti. Le spirali più grandi (oltre  cm) potrebbero invece indicare una pettinatura con i capelli raccolti in un’unica treccia, come troviamo rappresentato più comunemente nella piccola plastica coeva (FIG. .). Più raro in Etruria è l’uso degli aghi crinali, tra cui quello a capocchia sferica con decorazione a pulviscolo della tomba del Littore di Vetulonia, alla cui medesima bottega vanno riferite anche le fibule e le armille della stessa tomba. Degno d’interesse risulta questo gruppo di oreficerie femminili, che doveva essere raccolto in un cofanetto rivestito di lamina d’oro, stranamente deposto in una tomba a unica deposizione maschile: già il primo editore (Falchi, , p. ) le aveva considerate come una preziosa offerta di una congiunta (la moglie?) al defunto. All’ambiente orientale rimandano in particolar modo i diademi rinvenuti in numero ridotto nei contesti etruschi: quello a nastro in lamina d’oro, lungo più di mezzo metro, della tomba d’Iside al British Museum, riccamente decorato a sbalzo con una teoria di animali (leoni e chimere) 

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gradienti tra catene di archetti intrecciati sormontati da palmette e quello di elettro, limitato solo alla fronte, anch’esso decorato a sbalzo, da una delle tombe periferiche (tomba II) del tumulo della Pietrera. La fastosità di questi abiti indossati per il rito funerario, ma quasi certamente anche in vita nelle diverse occasioni cerimoniali, è in alcuni casi accentuata da pettorali in lamina d’oro decorata a sbalzo, tra cui eccelle quello a forma semiellittica della principessa inumata nella tomba Regolini Galassi di Cerveteri, con decorazione che è stata considerata «una sorta di antologia del repertorio orientalizzante» (Martelli, in Cristofani, Martelli, , p. ). In alcuni casi, alla lamina d’oro è accostata l’ambra, come dimostrano gli esemplari rettangolari delle tombe laziali Galeassi di Palestrina e Castel di Decima , verosimilmente importati dall’Etruria. È stata anche avanzata l’ipotesi (Pomeroy, , p. ) che queste ricche sepolture di donne fossero una manifestazione indiretta della ricchezza del marito, del padre o del figlio, che avevano curato la sepoltura.

. Le donne al potere Alcuni oggetti particolarmente eloquenti nell’esprimere i caratteri perspicui della regalità come scudi, troni, scettri o carri si sono rinvenuti in contesti sicuramente attribuibili a deposizioni femminili: le donne (mogli, madri o figlie) dei principi sembrano assumerne alcune prerogative. Nella fase precedente, nel IX secolo a.C., non sembra di riconoscere donne con indicatori di prestigio maschili: nella necropoli laziale di Osteria dell’Osa alcune deposizioni caratterizzate da elementi inconsueti, quali un canino d’orso forato nel corredo o un blocco di lava infisso verticalmente alla testa, sono state attribuite a donne che avevano svolto una funzione di stregona o di maga. Indicativa soprattutto appare la presenza di scudi, come ad esempio nella tomba Castellani di Palestrina o nella tomba  dell’Acqua Acetosa Laurentina, dove ne sono attestati almeno tre. Tale uso è conosciuto anche in ambito greco, come testimoniano gli esempi di Verghina o di Cuma, e nel mondo italico a Pitino San Severino, tomba . Questi dovevano, come nelle coeve tombe maschili, essere appoggiati alle pareti delle fosse o delle camere. L’uso di addobbare le pareti delle abitazioni aristocratiche con armi è descritto per la Grecia da Alceo (fr.  RP,  D) e per Roma da Virgilio a proposito della reggia di Pico (Virgilio, Eneide, VII, -); in ambiente etrusco questa consuetudine è testimoniata negli atri delle ricche tombe ceretane a forma di casa. La pluralità degli esem

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plari contenuti in una sola tomba sembra dissolvere la connessione funzionale degli scudi con le altre armi effettivamente usate in combattimento. Non si sottolinea più il valore guerriero, ma i segni del rango e la continuità gentilizia: il centro d’interesse non è più l’individuo in quanto guerriero ma il gruppo gentilizio, con i suoi legami di solidarietà e di continuità che trascendono il tempo (Bartoloni, De Santis, , p. ). Indubbio segno regale è il trono: il trono di Penelope è in avorio e argento con un vello sopra (Odissea, XIX, -). I troni raffigurati sul tintinnabulo di Bologna non differiscono da quelli bronzei rinvenuti nelle tombe principesche di Cerveteri o di Palestrina, da quelli che sostenevano i canopi chiusini o da quelli scolpiti nelle ricche tombe orientalizzanti ceretane, che, com’è noto, riproducono verosimilmente ambienti delle coeve costruzioni private. Questi sedili sono a base circolare con parte inferiore e spalliera piene; al trono è in genere associato uno sgabello poggiapiedi (Colonna, von Hase, ). Analogo appare il seggio su cui siede la dama ammantata nella lastra di Murlo in una scena di assemblea (Rathje, ); ciononostante, desta perplessità l’attribuzione (Torelli, ) a una donna del trono ligneo della tomba  di Verucchio in base all’esegesi dei soggetti incisi (casa e campi), che ben si adattano alla celebrazione del defunto, quale titolare della casa e delle terre. Altro elemento distintivo dei vertici della gerarchia sociale risulta il carro: in tombe femminili della prima metà dell’VIII secolo a.C. è attestata la deposizione della coppia di morsi equini in bronzo, la cui presenza sta indubbiamente a significare il possesso di cavalli e l’uso di veicoli trainati da due di questi: a Bologna, ad esempio, appare abbastanza frequente nelle tombe femminili, anche se in minoranza rispetto a quelle maschili, mentre nella necropoli veiente di Quattro Fontanili sono sicuramente riferibili a contesti femminili una quindicina di tombe con morsi equini di bronzo e di ferro su un totale di una trentina di corredi con morsi. Ancora in età ellenistica lo storico cumano Iperoco riferisce che i Cumani «usavano ingioiellarsi d’oro, indossare vesti vivacemente colorate e recarsi in campagna su carri a due ruote assieme alle loro mogli» (Ateneo, XII, , par.  e). La presenza dei soli morsi bronzei in corredi tombali è stata collegata con carri da trasporto (presumibilmente a quattro ruote, come documentati nelle incisioni dell’età del ferro della Valcamonica, o con tiro a due), quindi non interessanti direttamente la “cavalleria” e l’armamento del guerriero, ma indicanti uno stato sociale particolare: l’attestazione dell’intero equipaggiamento dovrebbe testimoniare invece il ruolo del guerriero e il suo carro da combattimento. Carri a quattro ruote e quindi considerati carri da trasporto sono attestati, anche se eccezionalmente, in sepolture femminili centro-europee (Hallstatt C-D = VII-VI secolo a.C.), riferite a spose di capi, donne che 

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esercitavano il potere esse stesse o sacerdotesse. Spesso, del resto, questi attributi possono essere riferiti a una stessa persona: ad esempio, a Tanaquilla, che affiancò il marito Tarquinio Prisco nel potere, è attribuito da diversi autori (Dionigi di Alicarnasso, Livio, Aurelio Vittore) un ruolo religioso per le sue conoscenze di aruspicina: Tanaquil, perita ut volgo Etrusci caelestium prodigiorum mulier (Livio, I, , ). Annette Rathje si è, a questo proposito, posta il problema se tutto il potere religioso fosse in mano alle principesse etrusche (Rathje, ). In ambiente etrusco-laziale conosciamo carri a quattro ruote verosimilmente utilizzati per il trasporto della salma (ekphorà) da Veio, tomba  di Monte Michele, e da Cerveteri, tomba Regolini Galassi, ambedue riferite a deposizioni tra le più prestigiose delle rispettive necropoli. Dalla metà dell’VIII secolo il carro a due ruote risulta presente in deposizioni per lo più maschili, ma anche femminili: nella necropoli di Castel di Decima sono attestate una sepoltura femminile con carro e almeno sei maschili. Questa percentuale sembra valere per altre necropoli, quali quelle di Casal del Fosso a Veio e di Pizzo Piede a Narce, e per i circoli vetuloniesi. Questi veicoli sono stati generalmente interpretati come bighe nelle tombe maschili e calessi in quelle femminili, e ambedue i tipi, dato il tipo di rinvenimento, indubbiamente come carri cerimoniali: l’esame dei resti di carri in corso sta rendendo meno rigida questa distinzione. In alcune tombe maschili di particolare prestigio dell’area in esame sono stati trovati ambedue i tipi, calesse e biga: in Etruria a Vetulonia, nella tomba del Littore della necropoli degli Acquastrini e nella tomba VIII della Pietrera, e a Marsiliana d’Albegna nel circolo di Perrazeta; in Sabina a Colle del Forno nella principesca tomba XI. Molte appaiono inoltre le tombe con carro a due ruote a doppia deposizione, per cui tale veicolo viene generalmente riferito alla sepoltura maschile. Eccezioni a questo quadro sembrano essere un currus nella tomba  della necropoli veiente di Vaccareccia, della fine dell’VIII secolo a.C., e un altro, secondo una prima ricostruzione dello scavatore, nella tomba  della necropoli laziale dell’Acqua Acetosa Laurentina. L’utilizzo del carro nella vita dei signori può essere esemplificato nei diversi registri della coppa fenicio-cipriota Cesnola , dove sono raffigurati carri da corsa e da trasporto per gli uomini e calessi per la regina e le sue cortigiane. Giovanni Colonna ha recentemente osservato come il possesso del calesse, indubbio indicatore di ricchezza, appaia «strettamente funzionale alla mobilità del signore, alla necessità per lui in quanto proprietario di terre e armenti, di uscire dalla città e di recarsi nell’agro, dove risiedeva la base economica del proprio status» (Colonna, in Emiliozzi, , p. ). 

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Su un veicolo di questo tipo dovettero giungere Tarquinio Prisco e la sposa Tanaquilla con il capo coperto (cfr. lastre di Murlo, FIG. .) da Tarquinia a Roma, portando le loro ricchezze (Livio, I, , ). Un carretto bronzeo in miniatura su cui siedono due figure (verosimilmente un uomo e una donna) dalla necropoli vetuloniese di Poggio alla Guardia, databile al primo quarto del VII secolo a.C., può aiutarci a immaginare la forma di questi calessi, di cui restano generalmente solo i cerchioni delle ruote con i mozzi e i terminali dei timoni a tridente. Il calesse, su cui si era seduti, in contrapposizione alla biga, su cui si stava in piedi, doveva essere preferibilmente trainato da muli, ma anche da asini o buoi (come nei sarcofagi romano-imperiali Diana sarà trainata da buoi): nelle tombe femminili con carro mancano generalmente i morsi. . Murlo: lastra di rivestimento della struttura arcaica

FIGURA

Un parallelismo in ambiente greco deve essere considerato l’àmaxa con cui Nausicaa (Odissea, VI) si reca con le ancelle in riva al mare o la madre di Cleobi e Bitone (in Erodoto, I, ), nel racconto di Solone, si dirige alla festa di Hera argiva. Nelle ricche tombe laziali del Vivaro di Rocca di Papa o di Castel di Decima, tomba , ambedue inquadrabili negli ultimi decenni dell’VIII secolo a.C. risultano particolarmente prestigiosi gli equipaggiamenti equini, con l’elemento di raccordo della bardatura dei due cavalli decorato con figure umane e uccelli: una teoria di figurine umane stanti incorniciate da una serie di volatili nella prima; più complesso il secondo, con due figurine umane a carattere verosimilmente mitologico, che costituisce il prototipo probabile di una serie analoga attestata in Etruria nel VII secolo a.C. Potrebbero esservi raffigurati, secondo l’esegesi di Alessandro Bedini, Afrodite con al seno Enea e Anchise, accecato da uccelli (aquile, corvi o picchi) per essersi accoppiato con la dea, contrapposti. Questo bronzetto ci informa da una parte di una precoce cono

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scenza nel Lazio, alle porte di Roma, del mito troiano e dell’epopea omerica e dall’altro collega alla sfera dei cavalli questa saga di Afrodite, paragonabile alla Ishtar fenicia, come già evidenziato da Burkert. Nelle tombe femminili il carro a due ruote è stato generalmente paragonato al carpentum romano, riservato alle matrone e «strettamente legato alla loro funzione di madri» (d’Agostino, , p. ). Nei più tardi monumenti funerari etruschi, quali, ad esempio, i sarcofagi di Vulci con viaggio all’oltretomba, vengono raffigurati l’uomo su carro trionfale e la donna su un carro dalle ruote più alte, aperto sul davanti. Questo collegamento non contrasta con l’indubbio carattere rituale da vedere in questi carri, come è evidenziato dal contesto di rinvenimento: il veicolo usato nella cerimonia nuziale è poi deposto nella tomba per l’ultimo viaggio. Mario Torelli ha collegato le deposizioni con carro alle lastre con scena di pompa nuziale del complesso di Murlo: le ricche matrone deposte nelle tombe orientalizzanti con carro celebrano con gli stessi attributi il matrimonio e il viaggio ultraterreno. Si tratta in ambedue i casi di scene celebranti riti di passaggio, quello da puella a matrona e quello dalla vita terrena all’aldilà. Ma chi sono queste donne, semplicemente mogli o figlie di re o donne che esercitavano il potere esse stesse o fungevano da sacerdotesse? A Roma il diritto di circolare per la città in carrozza (carpentum) spettava alle donne delle classi superiori e in particolare alle matrone. È stato proposto che la disposizione risalga all’inizio dell’età regia, con la concessione di tale privilegio alle Sabine rapite dai seguaci di Romolo. Anche le Vestali, non solo in quanto donne aristocratiche, ma in virtù della loro speciale funzione sacerdotale, che le rendeva superiori in status non solo alle donne e ai cittadini, ma agli stessi magistrati, potevano giungere al Campidoglio con i loro veicoli, come i sacerdoti maschi e i trionfatori sul currus. Donne aristocratiche con indicatori di potere (carro, màchaira) sono attestate in necropoli ubicate nel versante meridionale della direttrice fondamentale dei traffici interni fra Etruria e Campania (quella delle valli del Sacco e del Liri), in posizione contrapposta a Palestrina, la cui incomparabile ricchezza delle deposizioni la rivela come centro leader dei movimenti di persone e di beni in queste valli. Ad esempio, la ricca signora deposta nella tomba del Vivaro a Rocca di Papa appartiene a una famiglia gentilizia, probabilmente originaria di un centro dei colli albani, insediata in un’area strategicamente collocata, forse a contrastare la nascente potenza di Palestrina. Significato analogo si deve attribuire alle tombe della piccola necropoli del Vallone di Velletri, con deposizione femminile emergente in funzione di capostipite del gruppo. La datazione del complesso del Vivaro, come quella del Vallone, coincide con un momento di riassetto del territorio e quindi della com

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pagine sociale, il passaggio di ruolo egemone nel Lazio interno dai colli albani (Alba Longa) a Palestrina nella seconda metà dell’VIII secolo a.C. Nei racconti mitici, come ha ben evidenziato Pierre Vidal-Naquet (), un ruolo emergente di donne e di schiavi è proprio di situazioni di crisi, quando si rovesciano le consuete relazioni e cambiano i rapporti di forza: Tanaquilla funge da reggente dopo l’uccisione di Tarquinio Prisco. Solo in un mondo in crisi appaiono nei racconti e nelle vicende mitiche, dominanti e risolutrici, queste figure e categorie. Nella tomba VI della necropoli veiente di Vaccareccia, come, forse, nella ricchissima tomba  della Laurentina, come si è accennato, ambedue con deposizioni databili negli ultimi decenni dell’VIII secolo a.C., il carro può essere ricostruito come un leggero carro da guerra o da corsa, tipicamente maschile, simbolo del guerriero e del re. Nell’Iliade la sola dea ad avere il carro da guerra è Hera, la dea sovrana. Successivamente in testi e raffigurazioni carri da corsa e quadrighe sono collegati ad Atena e Afrodite. Dee su questi veicoli (hàrmata) sono raffigurate sul cratere attico scoperto da François a Chiusi o sulle terrecotte architettoniche del tipo Roma-Veio-Velletri. La donna deposta con la biga ha acquisito dunque un attributo che spetta di diritto solo ai guerrieri aristocratici e alla dea sovrana: si tratta forse di una donna così aristocratica da valere quanto un aristocratico maschio.

. Le lamentatrici Un’incombenza che sembra peculiare delle donne di tutti i livelli sociali sin dai periodi più antichi è quella di parte attiva nei funerali, dalla preparazione della salma alle lamentazioni. A queste ultime partecipavano non solo le donne della famiglia, ma anche schiave e prefiche assoldate. Omero, nella descrizione del funerale di Ettore, riferisce della stanchezza di Ecuba per il molto pianto (Iliade, XXIV, ). Su urne biconiche e su molti modellini di capanna usati come ossuario, per lo più di IX secolo a.C., sono incise serie di figure umane schematiche in posizione stante, per lo più a coppie ma anche in teorie: tali immagini sono giustamente state interpretate come raffigurazioni di piangenti, cioè di coloro che hanno il compito, con il pianto corale, di «eternizzare il rito funebre» del defunto (Torelli, , p. ). Negli ossuari biconici monoansati dei centri dell’Etruria meridionale (IX-prima metà VIII secolo a.C.) figure sedute incise a coppie sopra l’ansa sono verosimilmente da considerare come i parenti che partecipano al rito funebre del congiunto. 

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Nel pieno VII secolo a.C. a questa fase del rituale funerario rimandano le braccia incrociate delle statue femminili in pietra che dovevano decorare il tumulo della Pietrera. Le vicende del monumento, la cui volta risulta crollata poco dopo la costruzione, non permettono di collocarle nell’originaria posizione: si è supposto fossero addossate alle pareti, presso il letto funebre, in una composizione analoga a quella delle più tarde scene di compianto funebre, o invece collocate nel dromos come immagini degli avi, sempre nell’azione del compianto, che dovevano accogliere il defunto nella tomba. Attorno al letto in rete di bronzo della sepoltura principale della tomba Regolini Galassi erano disposte  statuette atteggiate in gesti rituali, che dovevano assolvere alla medesima funzione. Uguale significato si deve attribuire alle figurine in bucchero del tumulo tarquiniese di Poggio Gallinaro e ad altre della stessa Cerveteri. Troviamo, del resto, una simile scena di compianto sia sugli ossuari di terracotta che sul più tardo letto funebre della tomba A del Melone di Camucia, con una teoria di piangenti inginocchiate in atto di colpirsi il petto, scolpite a bassorilievo. In ambiente chiusino anche le statue femminili di defunte che sormontano alcuni vasi cinerari (ad esempio, l’ossuario Paolozzi o quello Gualandi) sono colte nel gesto allusivo alle lamentazioni funebri (FIG. .). Le figurine femminili applicate sulla spalla del vaso, alternate a immagini di grifi (gli uccelli eminentemente funerari), vanno accostate a quelle rinvenute presso i letti delle ricche tombe a inumazione precedentemente citate. Analogo atteggiamento è attestato su un lebete d’impasto da Pitigliano, dove tre donne piangenti sono alternate a tre cavalieri raffigurati nel gesto del compianto funebre: possiamo pensare a una sorta di danza, una giostra, in occasione del funerale, in cui si avvicendano donne e giovani, appartenenti alla ricca famiglia proprietaria della tomba. Com’è noto, la rappresentazione dei giovani a cavallo può essere riferita al passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta e la cavalleria è indubbiamente simbolo della classe aristocratica a carattere prevalentemente agrario. Il supporto, inoltre, ben si adatta a una funzione rituale. Stesso significato si deve attribuire al choros di  figurine dipinto sull’olla delle Bucacce di Bisenzio, della fine dell’VIII secolo a.C., che, dato il tipo di rinvenimento, fa preferire un legame con il rituale funerario piuttosto che un riferimento a una generica festa; del resto, «tutto lo svolgimento del funerale può essere definito un’occasione festiva nel senso che viene coinvolto nelle relative cerimonie tutto il gruppo che fa capo alla casata principesca» (Menichetti, , p. ). Evidente appare il ruolo primario delle donne e delle lamentazioni nella cerimonia funebre. 

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. Chiusi: cinerario Gualandi

FIGURA

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Riferimenti bibliografici Testo rielaborato da I carri a due ruote nelle tombe femminili del Lazio e dell’Etruria, in “Opus”, III, , , pp.  ss.; A Few Comment on the Social Position of Women in the Protohistoric Coastal Area of Western Italy Made on the Basis of a Study of Funerary Goods, in International Symposium Physical Anthropology and Prehistoric Archaeology. Their Interaction in Different Context in Europe from the Later Upper Palaeolithic to the Beginning of Historical Times (Roma ), Supplemento della “Rivista di Antropologia”, LXVI, , pp.  ss.; Marriage, Sale and Gift. A proposito di alcuni corredi femminili dalle necropoli populoniesi della prima età del ferro, in Le donne in Etruria, Roma , pp.  ss.; Le donne dei principi, in C. Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi. Tra Mediterraneo ed Europa, Bologna , pp. -. Sulle possibilità di distinguere i diversi generi nelle deposizioni della prima età del ferro di Veio e Tarquinia: J. Toms, The Construction of Gender in Early Iron Age Etruria, in R. Whitehouse (ed.), Gender and Italian Archaeology. Challenging the Stereotypes, London , pp. -. In generale sulla donna nell’antichità greca e romana: M. I. Finley, The Silent Women of Rome, in Aspects of Antiquity, London , pp. -; J.-P. Vernant, Mito e società nell’antica Grecia, Torino , pp. - e -; C. Mossé, La vita quotidiana della donna nella Grecia antica, Milano ; P. Schmitt Pantel (a cura di), Storia delle donne. L’Antichità, Roma-Bari ; S. B. Pomeroy, Dee, prostitute, mogli, schiave. Donne in Atene e a Roma, Milano . Sulla donna e l’oikos: C. Montepaone, Lo spazio del margine. Prospettive sul femminile nella comunità antica, Roma-Paestum , pp.  ss.: Montepaone (p. ) ritiene che l’oikos omerico, nella ricca articolazione che viene data nell’Odissea (signori, figure subalterne, artigiani ecc.), rimandi a un tipo di realtà che non ha piena corrispondenza con un momento cronologico nettamente individuabile (il miceneo, l’età buia, l’età arcaica), ma che attraverso un gioco di composite sfaccettature evochi una realtà ideale tutta da decifrare e che quindi i poemi omerici non possano essere utilizzati come documentazione storica in senso stretto, cioè come esatta riproduzione di una realtà data. Sulla donna etrusca: M. Sordi, La donna etrusca, in AA.VV., Misoginia e maschilismo in Grecia e in Roma, Genova , pp. -; B. d’Agostino, La donna in Etruria, in M. Bettini (a cura di), Maschile/femminile. Genere e ruoli nelle culture antiche, Roma-Bari , pp. -. Sul matrimonio omerico: J.-P. Vernant, Le mariage en Grèce archaique, in “Parola del Passato”, XXVIII, , pp. -; E. Scheid, Il matrimonio omerico, in “Dialoghi di Archeologia”, , , pp. -. Sul commercio e le donne: M. I. Finley, Marriage, Sale and Gift, in “Revue Internationale de droits de l’Antiquité”, II, , pp. -; J.-P. Vernant, Hestia-Hermes. Sull’espressione religiosa dello spazio e del movimento presso i Greci, in Mito e pensiero presso i Greci, Milano , pp. -. Sulla posizione subordinata della donna, ad esempio, P. Lévèque, in Forme di contatto e processi di trasformazione nelle società antiche, “Bibliothèque des École Françaises d’Athènes et de Rome”, , Roma , p. .

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Sulla inopportunità dell’attribuzione dei generi attraverso le fibule cfr. anche P. Gastaldi, recensione a M. C. Vida Navarro, Warriors and Weavers: Sex and Gender in Early Iron Age Graves from Pontecagnano, in “The Accordia Research Papers”, , , pp. -, in “AION. Archeologia e storia antica”, , , pp.  ss. Sui rapporti tra Etruschi e Sardi nel corso dell’VIII secolo a.C.: M. Gras, L’Etruria villanoviana e la Sardegna settentrionale: precisazioni ed ipotesi, in Atti XXII riunione scientifica Istituto italiano di preistoria e protostoria, Firenze , pp. -; F. Lo Schiavo, D. Ridgway, Un millennio di relazioni fra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo, in La Sardegna nel Mediterraneo tra il secondo e il primo millennio. Atti del II convegno di studi, Selargius , Cagliari , pp. -; G. Bartoloni, Bronzetti nuragici importati nell’Italia peninsulare, in A. Zanini (a cura di), Dal bronzo al ferro. Il II millennio nella Toscana centro-occidentale, Pisa , pp. -. L’ipotesi della provenienza sarda della ricca signora deposta nella necropoli di Mandrione da Cavalupo è espressa in M. Torelli, Storia degli Etruschi, Roma-Bari , p. . Sul ruolo del matrimonio in campo etnologico: C. Lévi-Strauss, Le strutture elementari della parentela, Milano . Troviamo spesso associate a fusaiole e rocchetti terminali conici di bronzo (ad esempio, a Populonia nelle tombe a fossa  di Piano delle Granate e  di Poggio delle Granate; a Veio- Quattro Fontanili nelle tombe HH , X -, CC , N -, R -), da taluni considerati erroneamente puntali di lancia, che sarei propensa a considerare terminali di lunghe conocchie di legno; a Tarquinia (Selciatello, tomba ) troviamo puntali di osso che potrebbero avere la stessa funzione (H. Hencken, Tarquinia. Villanovans and Early Etruscans, Cambridge, MA, , p. , fig.  g, i.). A Vetulonia e a Bisenzio troviamo una sola fusaiola in deposizioni in urne a capanna, quindi riferibili a donne di un certo rilievo (G. Bartoloni, F. Buranelli, V. D’Atri, A. De Santis, Le urne a capanna rinvenute in Italia, Roma , nn. , , , , ); a Tarquinia e a Cerveteri i rocchetti sono rarissimi e indifferentemente dal tipo di corredo troviamo una o più fusaiole: un solo esemplare è nella tomba LXI della necropoli delle Rose, contesto caratterizzato dalla presenza di bronzetti nuragici (F. Buranelli, La necropoli villanoviana “Le Rose” di Tarquinia, Roma , pp. -) o nella tomba  della necropoli del Sorbo, corredo ricco di elementi allogeni e forse con fuso di bronzo (I. Pohl, The Iron Age Necropolis of Sorbo at Cerveteri, Stockholm , pp. -); a Veio, invece, la fusaiola sembra generalmente unica e l’associazione con i rocchetti appare peculiare per lo più delle tombe con strumenti bronzei legati alla filatura (G. Bartoloni, a cura di, Le necropoli arcaiche di Veio. Incontro di studio in memoria di Massimo Pallottino, Roma , pp. -). Tale quadro potrebbe essere mutato, però, dalla nostra mancata comprensione di alcuni oggetti rinvenuti nei corredi, quali, ad esempio, alcuni “pendenti” fusiformi forati orizzontalmente (Hencken, Tarquinia, cit., pp. -), di cui non è improbabile un uso come rocchetti. Quello che appare chiaro è che per quanto riguarda i rituali funerari e la loro relativa ideologia ogni comunità presenta delle proprie regole. Sugli strumenti della filatura in ambito funerario greco: A. M. Verilhac, La femme dans les épigrammes funéraires, in La Femme dans le monde méditer-

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ranéen, vol. I, Lyon , pp.  ss. Sulla relazione della filatura con Minerva, come del resto le armature: J. Maurin, Labor Matronalis. Aspect du travail féminin à Rome, in E. Lévy (éd.), La femme dans les sociétés anciennes, Strasbourg , pp.  ss. Sulla conocchia della necropoli veiente di Quattro Fontanili: “Notizie degli Scavi”, , p. , n. .; sulla tomba  di Populonia-Poggio delle Granate: Bartoloni, Marriage, cit., pp. -. Sul fuso del Gran Carro: P. Tamburini, Un abitato villanoviano perilacustre. Il Gran Carro sul lago di Bolsena, Roma , n. , p. , fig. : fuso di legno a sezione quadrata al centro, circolare all’estremità, decorato da motivi incisi, lungo  cm; sul set da filatura di Marsiliana d’Albegna: G. C. Cianferoni, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., cat. nn. -; per le conocchie di vetro: M. Martelli, Sulla produzione di vetri orientalizzanti, in Id. (a cura di), Tyrrhenoi Philotechnoi. Atti della giornata di studio (Viterbo,  ottobre ), Roma , pp. -; sulla tomba principesca di Campovalano: O. Zanco, Sandali di bronzo sbalzato dalla necropoli di Campovalano di Campli (Teramo), in “Studi Etruschi”, LV, , pp.  ss.; sul coltello della tomba  di Poggio Selciatello di Tarquinia: C. Iaia, Simbolismo funerario e ideologia alle origini di una civiltà urbana. Forme rituali nelle sepolture villanoviane a Tarquinia e Vulci e nel loro entroterra, Firenze , p. ; sulla tomba  di Populonia-Piano delle Granate: Bartoloni, Marriage, cit., p. . Sul ruolo della donna nell’insegnamento della scrittura: G. Bagnasco Gianni, L’acquisizione della scrittura in Etruria: materiali a confronto per la ricostruzione del quadro storico e culturale, in G. Bagnasco Gianni, F. Cordano (a cura di), Scritture mediterranee tra il IX e il VII secolo a.C. Atti del seminario-Università degli Studi di Milano, febbraio , Milano , pp.  ss. Per i più antichi segni alfabetici su strumenti femminili della necropoli di Quattro Fontanili: G. Bartoloni, Veio nell’VIII secolo e le prime relazioni con l’ambiente greco, in Atti del secondo convegno internazionale etrusco, Firenze , Roma , pp. -. La tomba  di Osteria dell’Osa (periodo laziale IIB), da cui proviene il vaso con l’iscrizione in alfabeto verosimilmente greco, eulin (forse colei che fila bene o colei dal bel vestito: C. Ampolo, L’interpretazione della più antica iscrizione del Lazio (dalla necropoli di Osteria dell’Osa, tomba ), in Bartoloni, a cura di, Le necropoli arcaiche di Veio, cit., pp. -), è riferibile a una defunta, che il rituale dell’incinerazione definisce tra le più importanti della comunità collegata con le regioni meridionali della penisola, verosimilmente frequentate dai Greci prima della colonizzazione (A. M. Bietti Sestieri, A. De Santis, Protostoria dei popoli latini. Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano, Roma , p. ). Sull’ideologia funeraria di Tarquinia da ultimo Iaia, Simbolismo funerario e ideologia, cit.; per le considerazioni relative alla necropoli di Osteria dell’Osa: A. M. Bietti Sestieri (a cura di), La necropoli laziale di Osteria dell’Osa, Roma ; per Veio: Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit.: in particolare sulla tomba HH - di Quattro Fontanili: A. Berardinetti Insam, in A. M. Sgubini Moretti (a cura di), Veio, Cerveteri, Vulci: città a confronto. Catalogo della mostra, Roma , pp. -.

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LA DONNA IN ETRURIA E NEL LAZIO

Per le deposizioni di ciste di bronzo e il collegamento con le ciste di argilla dipinte protocorinzie: A. Bedini, La tomba  dell’Acqua Acetosa Laurentina, in A. Carandini, R. Cappelli (a cura di), Roma. Romolo, Remo e la fondazione della città, Roma , pp. -. Per la necropoli di Guidonia-Caprine: I. Damiani, S. Festuccia, A. Guidi, Le Caprine. Preistoria e protostoria in Etruria. Terzo incontro di studi, Firenze , pp. -. Sul complesso di Narce-Monte Lo Greco: F. Barnabei, A. Cozza, A. Pasqui, Degli Scavi di Antichità nel territorio falisco, in “Monumenti Antichi dei Lincei”, IV, , coll. -. Sulla tomba degli ori dell’Arsenale di Bologna e sul tintinnabulo: C. Morigi Govi, Il tintinnabulo della tomba degli ori dell’Arsenale di Bologna, in “Archeologia Classica”, XXIII, , pp. -. Sulla tomba  di Verucchio: G. V. Gentili, in G. Bermond Montanari (a cura di), La formazione della città nell’Emilia e Romagna, Bologna , pp.  ss.; sull’interpretazione delle incisioni del trono, da collegare a scene cerimoniali o legate al matrimonio: G. Kossack, Lebenschilden, mythische Bilderzahlung und Kultfestbilder. Bemerkungen zur Bildszenen auf einer Thronlehne von Verucchio, in Festschrift zum jährigen Bestehen des Vorgeschichtlichen Seminars Marburg, Bonn , pp. -; M. Torelli, “Domiseda, lanifica, univira”. Il trono di Verucchio e il ruolo e l’immagine della donna tra arcaismo e repubblica, in Id., Il rango, il rito e l’immagine. Alle origini della rappresentazione storica romana, Milano , pp.  ss. Sui canestri per la lana delle tombe ateniesi: E. L. Smithson, The Tomb of a Rich Athenian Lady, ca.  B. C., in “Hesperia”, , , pp. -. Sulla tomba Castellani di Palestrina: A. Magagnini, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., pp. -; sul set da filatura della tomba Regolini Galassi: L. Pareti, La tomba Regolini Galassi del Museo Gregoriano Etrusco e la civiltà dell’Italia centrale nel sec. VII a.C., Città del Vaticano , pp. -. Sulla tomba  di Populonia-Piano delle Granate: G. Bartoloni, Le comunità dell’Italia centrale tirrenica e la colonizzazione greca in Campania, in Etruria e Lazio arcaico, in “Quaderni del Centro di studio per l’archeologia etruscoitalica”, XV, , pp. -; sulla tomba  di Castel di Decima: A. Bedini, in F. Zevi et al., Castel di Decima (Roma). La necropoli arcaica, in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss.; sulla coppa della tomba  di San Vitale di Bologna: R. Pincelli, C. Morigi Govi, La necropoli villanoviana di San Vitale, Bologna , p. ; sulla coppa fenicia di Francavilla: P. Zancani Montuoro, Necropoli di Macchiabate. Coppa di bronzo sbalzato, in “Atti e Memorie Società Magna Grecia”, XI-XII, , pp.  ss., che pensa per l’ansa alla riutilizzazione di un cinturone laminato, mentre la coppa è generalmente considerata prodotto fenicio: W. Culican, Cesnola  and other Phoenician bowls, in “Rivista di Studi Fenici”, , , p. , nota  (contra, ad esempio, G. Markoe, Phoenician Bronze and Silver Bowls from Cyprus and the Mediterranean, Berkeley , pp. -). Per il tipo di ansa a globetti, considerato derivato da prototipi ciprioti, trasformato nello stile dell’età del ferro italiana: M. Matthäus, Studies in the Interrelations of Cyprus and Italy During the th to  th Centuries, in L. Bonfante, V. Karagheorghis (eds.), Italy and Cyprus in Antiquity - B. C. Proceedings of an

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International Symposium Held at the Italian Academy for Advanced Studies in America at Columbia University, Nicosia , pp. -. Sulla coppa di bronzo di Castel di Decima: M. Botto, Il commercio fenicio tra Sardegna e costa tirrenica nella fase precoloniale. Considerazioni sulla patera di bronzo della tomba  di Castel di Decima, in Actes du III Congrès international des études phéniciennes et puniques, Tunis , pp. -, che ritiene la coppa rinvenuta a Decima, riferibile a modelli nord-siriani, prodotta in Sardegna da un artigiano orientale o con una profonda conoscenza della tradizione orientale. Sul rapporto di questo tipo di tazze con la produzione sarda: Bartoloni, Le comunità dell’Italia centrale tirrenica, cit., pp. -; A. Maggiani, Una brocchetta bronzea da Vetulonia, in Sardegna centro settentrionale tra l’età del bronzo finale e l’arcaismo. Atti del XXI Convegno di Studi Etruschi e Italici, Pisa-Roma , pp. -. Sulle tombe di Caracupa: R. Mengarelli, R. Paribeni, Norma. Scavi sulle terrazze sostenute da mura poligonali presso l’Abbazia di Valvisciolo, in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss.; per un’analisi del complesso Caracupa-Valvisciolo, considerato pertinente a un’unica comunità: M. Angle, A. Gianni, La morte ineguale: dinamiche sociali riflesse nel rituale funerario. Il caso della necropoli dell’età del ferro di Caracupa, in “Opus”, IV, , pp. -; Id., An Application of Quantitative Methods for a Socio-Economic Analysis of an Iron Age Necropolis in Latium, “British Archaeological Report International Series”, , Oxford , pp.  ss. Sul coltello tipo Caracupa: V. Bianco Peroni, I coltelli nell’Italia continentale (PBF VII, ), München , pp. -, nn. -. Per la tomba di Mandrione di Cavalupo: M. T. Falconi Amorelli, Corredi di tre tombe rinvenuti a Vulci nella necropoli di Mandrione di Cavalupo, in “Studi Etruschi”, XXXVII, , pp.  ss. Per la deposizione principesca di Pontecagnano: L. Cerchiai, Una tomba principesca del periodo orientalizzante antico a Pontecagnano, in “Studi Etruschi”, LIII, , pp.  ss.; per Bologna, BenacciCaprara, tomba : S. Tovoli, Il sepolcreto villanoviano Benacci-Caprara di Bologna, Bologna , pp.  ss. Sul corredo Areopago D : J. N. Coldstream, Geometric Greece, London , pp. -, fig. . Coltelli sono attestati a Veio, ad esempio tombe BB - B (“Notizie degli Scavi”, , pp. -), EEFF  (“Notizie degli Scavi”, , pp. -), FFGG - (“Notizie degli Scavi”, , pp. -), HH - (“Notizie degli Scavi”, , pp. -), II - (“Notizie degli Scavi”, , p. ), II - (“Notizie degli Scavi”, , pp. -), II - B (“Notizie degli Scavi”, , pp. -), JJ - B (“Notizie degli Scavi”, , pp. -), LL - (“Notizie degli Scavi”, , pp. -), O - (“Notizie degli Scavi”, , p. ), WX  (“Notizie degli Scavi”, , pp. -), per lo più contesti piuttosto ricchi, attribuiti a un momento inoltrato di vita della necropoli (IIB-IIC): J. Toms, The Relative Chronology of the Villanovan Cemetery of Quattro Fontanili at Veii, in “AION. Archeologia e storia antica”, , , tabella delle associazioni. Per un’analisi dei corredi di Torre Galli con coltello da ultimo M. Pacciarelli, Dal villaggio alla città. La svolta protourbana del  a.C. nell’Italia tirrenica, Roma , pp.  ss.; sulla necropoli di S. Onofrio: B. Chiartano, Roccella Jonica (Reggio Calabria). Necropoli preellenica di S. Onofrio, in “Notizie degli Scavi”, , p.  ss., fig. .

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Per la tomba  di Pratica di Mare tra gli ultimi G. Colonna, E. Di Paolo, Il letto vuoto, la distribuzione del corredo e la “finestra” della tomba Regolini Galassi, in Etrusca et Italica. Studi in ricordo di Massimo Pallottino, Pisa-Roma , pp. -. Sulla màchaira della collezione Pesciotti, probabilmente da Cerveteri: A. M. Sgubini Moretti, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., n. . Sul significato del sacrificio e delle sue implicazioni ideologiche in una società di tipo arcaico: L. Cerchiai, La machaira di Achille: alcune osservazioni a proposito della tomba dei Tori, in “AION. Archeologia e storia antica”, , , pp.  s. Sui sacrifici in Grecia e in Vicino Oriente: C. Grottanelli, N. F. Parise, P. G. Solinas, Sacrificio, organizzazione del cosmo, dinamica sociale, in “Studi Storici”, , , pp.  ss.; M. Detienne, La cité en son autonomie: autour d’Hestia, in “Quaderni di Storia”, , , pp.  ss.; O. Murray, L’uomo greco e le forme della socialità, in J.-P. Vernant (a cura di), L’uomo greco, Roma-Bari , pp.  ss. Sul sacrificio e le donne: M. Detienne, Violentes ‘eugenies’, in M. Detienne, J.-P. Vernant, La cuisine du sacrifice en pays grec, Paris , pp.  ss. Sul vino e le donne laziali: M. Gras, Vin et société à Rome et dans le Latium à l’époque archaïque, in Forme di contatto e processi di trasformazione nelle società antiche, cit., pp. -; G. Colonna, Graeco more bibere: l’iscrizione della tomba  di Osteria dell’Osa, in “Archeologia laziale”, III, , pp.  ss. Per le iscrizioni sulle olle: M. Martelli, Per il dossier dei nomi etruschi dei vasi, in “Bollettino d’Arte”, , , pp.  ss. Sui vini permessi alle donne: M. Bettini, In vino stuprum, in O. Murray, M. Tecu&an (eds.), In vino veritas, Oxford , pp. -. Sui vasi a forma di cratere in Etruria: F. Delpino, L’ellenizzazione dell’Etruria villanoviana: sui rapporti tra Grecia e Etruria fra IX e VIII secolo a.C., in Atti del secondo convegno internazionale etrusco, Firenze , Roma , pp. -; G. Bartoloni, A. Berardinetti Insam, L. Drago, Le comunità della bassa valle tiberina prima della colonizzazione, in F. Krinzinger (hrsg.), Die Ägäis und das Westliche Mittelmeer. Beziehungen und Wechselwirkungen. . bis . Jhr. v. Chr., Wien , pp. -. Sugli holmoi: F. Sirano, Il sostegno bronzeo della tomba  del Fondo Artiaco di Cuma e il “problema” dell’origine dell’holmos, in Studi sulla Campania preromana, Roma , pp. -; G. Bartoloni, Sulla provenienza degli “holmoi”, in Ead. (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit., pp. -; G. Benedettini, Note sulla produzione dei sostegni fittili nell’agro falisco, in “Studi Etruschi”, LXIII, , pp. -. Per gli avori da Megiddo: M. Mallowan, Nimrud and Its Remains, London . Sull’alimentazione nel Lazio: C. Ampolo, Le condizioni materiali della produzione. Agricoltura e paesaggio agrario, in La formazione della città nel Lazio, in “Dialoghi di Archeologia”, n. s. , , . Sul carrello di Bisenzio: M. Menichetti, Carrello cerimoniale da Bisenzio, in Carandini, Cappelli (a cura di), Roma. Romolo, Remo, cit., pp. -. Per il ruolo della donna in altri ambiti cfr., ad esempio, la Bibbia, dove la donna, benché in famiglia goda di diritti uguali a quelli del marito, dalla legge è considerata al secondo posto (Levitico, , ; Deuteronomio, , ; Numeri, , -; Ecclesiastico, , -).

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Sull’archeologia di genere e il ruolo della donna cfr., ad esempio, I. Hodder, Leggere il passato, Torino . Sulla destinazione di tutte le donne al matrimonio: Pomeroy, Dee, cit., p. . Sul modello matrimonio figlia regale-straniero: C. Leduc, Come darla in matrimonio? La sposa nel mondo greco, secoli IX-IV a.C., in Schmitt Pantel (a cura di), Storia delle donne, cit., pp. -; Montepaone, Lo spazio del margine, cit., p. . Sugli eroi omerici e il matrimonio cfr. anche P. Carlier, La regalità: beni d’uso e beni di prestigio, in S. Settis (a cura di), I Greci. Storia Cultura Arte Società, vol. II/, Una storia greca. Formazione, Torino , pp.  ss. Per il matrimonio nella Grecia arcaica: L. Gernet, Aspects mitiques de la valeur en Grèce, in “Journal de Psychologie”, , pp. -; Id., Osservazioni sul matrimonio in Grecia, in Id., La famiglia nella Grecia antica, Roma , pp. -. Sul racconto di Demarato: C. Ampolo, Roma arcaica tra Latini ed Etruschi: aspetti politici ed istituzionali, in Etruria e Lazio arcaico, cit., pp. -; M. Torelli, M. Menichetti, Attorno a Demarato, in Corinto e l’Occidente. Atti del XXXIV convegno di studi sulla Magna Grecia (Taranto ), Taranto , pp. -. Sul passo di Saffo: G. Bodei Giglioni, L’oikos: realtà familiare e realtà economica, in Settis (a cura di), I Greci, cit., pp.  ss. Sull’onomastica etrusca arcaica: G. Colonna, Nome gentilizio e società, in “Studi Etruschi”, XLV, , pp.  ss. Sul matriarcato: J. J. Bachofen, Il matriarcato: ricerca sulla ginecocrazia del mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici, a cura di G. Schiavoni, Torino ; S. Georgoudi, Bachofen, il matriarcato e il mondo antico: riflessioni sulla creazione di un mito, in Schmitt Pantel (a cura di), Storia delle donne, cit., pp. -; sul matriarcato in Etruria cfr. anche J. Heurgon, Vita quotidiana degli Etruschi, Roma . Sulla tomba Tarquinia-Poggio Selciatello : M. Cristofani (a cura di), Civiltà degli Etruschi, Milano , p.  (M. Iozzo); per il tipo del cinturone: Toms, The Relative Chronology, cit., tipo XVII, . Inoltre A. Berardinetti, L. Drago, La necropoli di Grotta Gramiccia, in Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit., p. , fig. . Per la presenza di donne indigene, mogli o schiave, basata principalmente sulla foggia delle fibule (A. M. Adam, Signification et fonction des fibules dans les cadre des rélations transalpines du VIIIe au Ve siècle avant notre ère, in L. Aigner Foresti, hrsg., Etrusker nördlich von Etrurien, Wien , pp.  ss.), nella prima fase delle colonie greche: G. Buchner, in Napoli Antica, Napoli , p. ; J. N. Coldstream, Mixed Marriages at the Frontiers of the Early Greek World, in “Oxford Journal of Archaeology”, , , pp. -, che precisa (p. ) come veienti le donne indigene di Pitecusa; J. P. Crielaard, Honour and Valour as Discourse for Early Greek Colonialism (th-th centuries B.C.), in Krinzinger (hrsg.), Die Ägäis und das Westliche Mittelmeer, cit., pp. -. Più cauta J. de la Genière, ivi, p. . È molto probabile, infatti, che l’uso delle fibule di tipo italico mostri piuttosto un’adesione da parte delle genti straniere al costume locale, favorita dalla mobilità degli artigiani itineranti (cfr. G. Bartoloni, recensione a G. Buchner, D. Ridgway, Pithekoussai I. La necropoli: tombe - scavate dal  al , in “Monumenti Antichi dei Lincei”, serie monografica IV, Roma , in “Archeologia Classica”, XLVI, , p. ).

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Sull’analisi delle necropoli orientali di Pontecagnano nel periodo orientalizzante: M. Cuozzo, Patterns of Organisation and Funerary Customs in the Cemetery of Pontecagnano (Sa) in the Orientalising Period, in “Journal of European Archaeology”, II, , , pp. -; Id., Orizzonti teorici e interpretativi, tra percorsi di matrice francese, archeologia post-processuale e tendenze italiane: considerazioni e indirizzi di ricerca per lo studio delle necropoli, in N. Terrenato (a cura di), Archeologia teorica, Firenze , pp. -. Sul significato delle lastre fittili: B. d’Agostino, Dal palazzo alla tomba, in “Archeologia Classica”, XLIII, , pp. -. Sul banchetto sdraiato in ambiente tirrenico: A. Rathje, Alcune considerazioni sulle lastre da Poggio Civitate con figure femminili, in A. Rallo (a cura di), Le donne in Etruria, Roma , pp. -; O. Murray, Nestor’s Cup and the Origin of Greek Symposion, in APOIKIA. I più antichi insediamenti greci in Occidente: funzioni e modi dell’organizzazione politica e sociale. Scritti in onore di Giorgio Buchner, in “AION. Archeologia e storia antica”, , , p. ; J. N. Coldstream, Drinking and Eating in Euboean Pithekoussai, in M. Bats, B. d’Agostino (a cura di), Euboica. L’Eubea e la presenza euboica in Calcidica ed in Occidente, Napoli , p. ; G. Bartoloni, Appunti sull’introduzione del banchetto nel Lazio: la coppa del principe, in Studi in onore di Antonia Ciasca, in stampa. Sul posto della donna nella società: M. Rosaldo, The Uses and Abuses of Anthropology. Reflections on Feminism and Cross-Cultural Understanding, in “Signs”, , , pp.  ss. Sugli anelli da sospensione e il loro possibile significato: G. Bartoloni, Le tombe in località Vallone: la deposizione femminile, in L’Artemisio e il territorio veliterno nel quadro del Lazio antico. Conoscenza, valorizzazione, fruizione (febbraio ), in stampa. Sulla tomba del Vivaro di Grottaferrata: F. Arietti, B. Martellotta, La tomba principesca del Vivaro di Rocca di Papa, Roma ; sulle tombe di Castel di Decima: G. Bartoloni, M. Cataldi Dini, F. Zevi, Aspetti dell’ideologia funeraria a Castel di Decima nell’orientalizzante, in G. Gnoli, J.-P. Vernant (éds.), La mort, les morts dans les sociétés anciennes, Cambridge , pp. -; sulla tomba  dell’Acqua Acetosa Laurentina: A. Bedini, Abitato protostorico in località Acqua Acetosa Laurentina, in Archeologia a Roma. La materia e la tecnica nell’arte antica, Roma , pp.  ss.; per un quadro sulla necropoli della Rustica: Civiltà del Lazio primitivo, Roma , pp.  ss.; sulla tomba  della necropoli di Osteria dell’Osa: Bietti Sestieri (a cura di), La necropoli laziale di Osteria dell’Osa, cit., pp. -, figg. -. Per il confronto con la deposizione della tomba celtica di Vix: P. Brun, Princes et Princesses de la Celtique. Le premier Âge du Fer (- a.C.), Paris , pp. -. Sugli scudi fittili: G. Bartoloni, Documentazione figurata e deposizioni funerarie: le tombe con carro, in “Archeologia Classica”, XLV, , , pp. -, a cui bisogna aggiungere quelli della tomba Regolini Galassi. Sulla necropoli della Penna di Faleri: M. P. Baglione, Il Tevere e i Falisci, in Il Tevere e le altre vie d’acqua del Lazio Antico, “Archeologia laziale”, VII, , , pp. -. Sulla tomba  di Pontecagnano: L. Cerchiai, M. Cuozzo, A. D’Andrea, E. Magione, Modelli di organizzazione in età arcaica attraverso la lettura delle necropoli: il caso di



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Pontecagno, in La presenza etrusca nella Campania meridionale. Atti delle giornate di studio Salerno-Pontecagnano, Firenze , p. , n. . Sul banchetto di Ashsurbanipal: R. D. Barnett, Assurbanibal’s Feast, in “Eretz-Israel”, , , pp. -; J. E. Reade, The Symposion in Ancient Mesopotamia: Archaeological Evidence, in Murray, Tecu&an (eds.), In vino veritas, cit., pp.  ss., fig. . Sulla necropoli del Vallone presso Velletri: L. Drago Troccoli, I materiali protostorici, in Il Museo Civico di Velletri, Roma , pp.  ss. Sulle varie produzioni nel Lazio arcaico: G. Colonna, La produzione artigianale, in Storia di Roma, vol. I, Roma in Italia, Torino , pp. -. Sul pendente aureo con principessa in trono e mensa da Sam’al (Zincirli, Turchia), conservato al Vorderasiatisches Museum di Berlino e databile al IX secolo a.C.: Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., pp. -. Sulle oreficerie etrusche: M. Cristofani, M. Martelli (a cura di), L’oro degli Etruschi, Novara . Sugli ornamenti in ambra: M. Forte (a cura di). Il dono delle Eliadi. Ambre e oreficerie dei principi etruschi di Verucchio, Rimini . Sull’abito della principessa della tomba  di Castel di Decima: A. Bedini, Recenti rinvenimenti di manufatti di ambra da Castel di Decima, in Studi e ricerche sulla problematica dell’ambra, vol. I, Roma , pp. -; A. Bedini, F. Cordano, L’ottavo secolo nel Lazio e l’inizio dell’orientalizzante antico alla luce delle recenti scoperte nella necropoli di Castel di Decima, in Lazio arcaico e mondo greco, in “Parola del Passato”, XXXII, , pp. -. Sulle statue del tumulo vetuloniese della Pietrera, rappresentanti verosimilmente gli antenati dei defunti deposti nella tomba: L. Pagnini, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., p. , con bibliografia. Per il contesto della tomba ceretana degli Animali Dipinti: M. A. Rizzo, Cerveteri, la tomba degli Animali dipinti, in Id. (a cura di), Pittura etrusca al Museo di Villa Giulia. Catalogo della mostra, Roma , pp. -. Sulle oreficerie della tomba del Littore di Vetulonia: M. Martelli, in Cristofani, Martelli, L’oro degli Etruschi, cit., pp.  s. Per gli scavi di Vetulonia: I. Falchi, Vetulonia e la sua necropoli antichissima, Firenze ; per lo scavo della tomba del Littore: Id., Vetulonia. Nuove scoperte nella necropoli. La tomba del Littore, in “Notizie degli Scavi”, , pp. -. Per il corredo della tomba d’Iside: S. Haynes, The Isis Tomb, Do Its Contents Form a Consistent Group?, in La civiltà arcaica di Vulci e la sua espansione. Atti del X convegno di studi etruschi e italici, Firenze , pp. -. Sul diadema in elettro della tomba II della Pietrera: I. Strøm, Problems Concerning the Origin and Early Development of the Etruscan Orientalizing Style, Odense , p. , n. . Sulla provenienza dei pettorali di Castel di Decima e Palestrina: M. Martelli, in Cristofani, Martelli, L’oro degli Etruschi, cit., p. . Sulle maghe della necropoli gabina di Osteria dell’Osa: Bietti Sestieri (a cura di), La necropoli laziale di Osteria dell’Osa, cit., p. . Sulla tomba  della Laurentina: A. Bedini, Struttura e organizzazione delle tombe “principesche” nel Lazio: Acqua Acetosa Laurentina: un esempio, in C. Ampolo, G. Bartoloni, A. Rathje (a cura di), Aspetti dell’aristocrazia fra VIII e VII secolo a.C., in “Opus”, III, , , pp. -; Id., Abitato protostorico, cit.; Id., La

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.

LA DONNA IN ETRURIA E NEL LAZIO

tomba , cit., pp. -. Sulla deposizione degli scudi: G. Bartoloni, A. De Santis, La deposizione di scudi nelle tombe di VIII e VII sec. a.C. nell’Italia centrale tirrenica, in Preistoria e protostoria in Etruria. Secondo incontro di studi, Milano , pp. -. Sulle tombe ceretane della seconda metà del VII secolo a.C. e il loro rapporto con la casa aristocratica: G. Colonna, Urbanistica e Architettura, in G. Pugliese Carratelli (a cura di), Rasenna. Storia e civiltà degli Etruschi, Milano , pp.  ss. Sui troni scolpiti nelle tombe G. Colonna, F. von Hase, Alle origini della statuaria etrusca. La tomba delle statue presso Ceri, in “Studi Etruschi”, LII,  (), pp. -. Sulle lastre di Murlo tra gli ultimi M. Torelli, I fregi figurati delle regie latine ed etrusche. Immaginario del potere arcaico, in “Ostraka”, I, , pp. -. Sui morsi equini e soprattutto sui carri nelle deposizioni femminili: Bartoloni, in Bartoloni, Grottanelli, I carri a due ruote, cit.; Arietti, Martellotta, La tomba del Vivaro, cit.; Cuozzo, Orizzonti teorici, cit. Cfr. inoltre sul potere e le donne: A. Rathje, Princesses in Etruria and Latium Vetus?, in Ancient Italy in its Mediterranean Setting. Studies in Honour of Ellen Macnamara, London , pp. -. Sulle donne e l’aruspicina cfr., ad esempio, G. Camporeale, Ai primordi di Roma: ancora sull’apporto degli Etruschi, in L. Aigner Foresti (hrsg.), Die Integration der Etrusker und das Welterwirken etruskischen Kulturgutes im republikanischen und kaiserzeitlichen Rom, Wien , pp. -. Per un elenco di bighe o calessi nelle necropoli della penisola italiana: N. Camerin, in A. Emiliozzi (a cura di), Carri da guerra e principi etruschi, Roma , pp. -. Per i carri della tomba del Littore, presumibilmente a deposizione maschile: ivi, p. . Per i carri della tomba XI di Colle del Forno: P. Santoro (a cura di), La sepoltura principesca di Colle del Forno, in stampa; per la tomba  di Monte Michele cfr. ora F. Boitani, in Sgubini Moretti (a cura di), Veio, Cerveteri, Vulci, cit., pp. -. Sul carpentum: M. A. Pagnotta, Carpentum: privilegio del carro e ruolo sociale delle matrone romane, in “Annali della facoltà di lettere e filosofia. Università degli studi di Perugia. Studi classici”, XV, , pp. -. Per la coppa Cesnola: Culican, Cesnola , cit., pp. -. Sul calesse di bronzo da Vetulonia: M. Cygielmann, in Emiliozzi (a cura di), Carri da guerra, cit., p. . Il passo di Ateneo (XII, ,  e) è ripreso da G. Colonna, L’Italia antica: Italia centrale, in Emiliozzi (a cura di), Carri da guerra, cit., p. . Per i distanziatori di cavalli della tomba del Vivaro cfr. anche G. Colonna, I Latini e gli altri popoli del Lazio, in Italia omnium terrarum alumna, Milano , pp.  ss.; per quello di Decima: Bedini, Cordano, L’ottavo secolo, cit.; G. Dumézil, Anchise foudroyé?, in L’oubli de l’homme et l’honneur des dieux, Paris , pp. -; da ultimo A. Bedini, Elemento di bardatura equina dalla tomba  di Castel di Decima, in Carandini, Cappelli (a cura di), Roma. Romolo, Remo, cit., p. . Accettando l’ipotesi di lettura proposta si anticipa a questo periodo l’introduzione e l’occidentalizzazione del mito greco, attraverso il quale avrà luogo l’assimilazione degli aristocratici tirrenici ai grandi modelli eroici dell’epica (B. d’Agostino, L. Cerchiai, Il mare, la morte, l’amore. Gli Etruschi, i Greci e l’immagine, Roma ).



L E S O C I E T À D E L L’ I TA L I A P R I M I T I VA

Sui miti relativi alle donne con carro: C. Grottanelli, in Bartoloni, Grottanelli, I carri a due ruote, cit.; P. Vidal-Naquet, Il cacciatore nero. Forme di pensiero e forme di articolazione sociale nel mondo greco antico, Roma , pp. . Sulle tombe principesche di VIII secolo a.C. dell’area dei colli albani: Bartoloni, Le tombe in località Vallone, cit. Sulla prima ricostruzione del carro della tomba  della Laurentina: Bedini, Struttura e organizzazione, cit.; Id., Abitato protostorico, cit. (contra Emiliozzi, a cura di, Carri da guerra, cit., pp. -); recentemente Bedini (La tomba , cit., p. ) ha interpretato questo carro come il veicolo, trainato da muli, su cui era stato trasportato il feretro. Per la tomba VI di Veio-Vaccareccia: J. Palm, Veiian Tomb Groups in the Museo Preistorico Pigorini, in “Opuscula Archeologica”, VII, , pp.  ss. Per il vaso François: M. Cristofani (a cura di), Materiali per servire alla storia del vaso François, in “Bollettino d’Arte”, serie speciale I, . Per l’esegesi rituale delle lastre con processione di trighe e bighe da Velletri, interpretata quale solenne processione di due divinità femminili (Fortuna e Mater Matuta): G. Colonna, in Santuari d’Etruria, Milano , p. . Sul ruolo delle donne nei funerali: L. Bruit Zaidman, Le figlie di Pandora. Donne e rituali nelle città, in Schmitt Pantel (a cura di), Storia delle donne, cit., pp. -. Sulle figurine antropomorfe delle urne a capanna: Bartoloni, Buranelli, D’Atri, De Santis, Le urne a capanna, cit., nn. ,  (da Tarquinia),  (da Marino),  (da Castelgandolfo-Albalonga),  (da Osteria dell’Osa). Sulle cosiddette figure sedute degli ossuari villanoviani: Torelli, Il rango, il rito e l’immagine, cit., pp.  ss.; L. Donati, La coppia di figure sedute incise sui cinerari: gli esempi di Tarquinia, in Dinamiche dello sviluppo delle città nell’Etruria meridionale: Veio, Caere, Tarquinia, Vulci, in Atti del XXIII convegno di studi etruschi e italici (ottobre ), in stampa. Contrari a un’interpretazione antropomorfa dell’ornato, riferito piuttosto alla schematizzazione della barca solare, ad esempio R. Peroni, Villanoviano a Fermo?, in La civiltà picena nelle Marche. Studi in onore di Giovanni Annibaldi, Ripatransone , pp. -, o L. Drago, Rapporti tra Fermo e le comunità tirreniche nella prima età del ferro, in Atti del XXI convegno di studi etruschi e italici, (marzo ), Firenze, in stampa. Sull’ipotesi della collocazione delle statue della Pietrera addossate alle pareti della camera: A. Maggiani, in Prima Italia. L’arte italica del I millennio a.C., Roma , p. ; lungo il dromos: Colonna, von Hase, Alle origini della statuaria etrusca, cit., p. . Sulla tomba A del Melone di Camucia: P. Zamarchi Grassi (a cura di), La Cortona dei principes, Cortona , p. . Sull’anticamera della tomba Regolini Galassi di Cerveteri: Colonna, Di Paolo, Il letto vuoto, cit.; sulle statuine da ultimo F. Sciacca, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., pp. -. Sul tumulo di Poggio Gallinaro: C. Petrizzi, in M. Bonghi Jovino (a cura di), Gli Etruschi di Tarquinia, Milano , pp.  e . Sulle statuine-cariatidi da Cerveteri: G. C. Cianferoni, Materiali ceretani del Museo Archeologico di Firenze, in “Studi e Materiali”, VI, , pp. -. Sul cinerario Paolozzi da ultimo M. Iozzo, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., p. ; la presenza delle ceneri nell’analogo cinerario Gualandi rende difficile l’interpretazione come contenitore di acqua lustrale posto nel-



.

LA DONNA IN ETRURIA E NEL LAZIO

la parte superiore della tomba a ziro, come nel disegno della deposizione Coleman proposto in Colonna, Di Paolo, Il letto vuoto, cit., p. . Il corredo della tomba di Filadelfia si è, del resto, rivelato un falso (A. Minetti, Le necropoli chiusine del periodo orientalizzante, in A. Rastrelli, a cura di, Chiusi Etrusca, Chiusi , p. ). Su altre statuine da Chiusi (alcune delle quali di dubbia autenticità): H. Damgaard Andersen, The Etruscan Ancestral Cult. Its Origin and Development and the Importance of Anthropomorphization, in “Analecta Romana Instituti Danici”, , , pp. -. Per un precedente di raffigurazioni in atto di compianto si veda la brocchetta gemina con ansa sormontata da figura antropomorfa femminile con le braccia levate al capo in atto di compianto, da Vetulonia, Poggio alla Guardia, tomba a pozzo, scavo  maggio : F. Delpino, Brocchette a collo obliquo dall’area etrusca, in Etruria e Sardegna centro-settentrionale tra l’età del bronzo e l’arcaismo, cit., pp.  ss., tav. IV, a, c-f. Analogo significato si può attribuire alle anse configurate a figura femminili più tarde di almeno un secolo dall’area chiusina (da ultimo P. Danner, Bikonische Gefässe aus Chiusi, in “Opuscola Romana”, , , pp. -) e populoniese (A. Romualdi, Una statuetta fittile da Populonia: aspetti della piccola plastica di tradizione geometrica dell’Etruria settentrionale, in S. Bruni, T. Caruso, M. Massa, a cura di, Archaeologia pisana. Scritti per Orlanda Pancrazi, Pisa, in stampa). Sulla tomba a camera di Valle Rodeta di Pitigliano, con il lebete a decorazione plastica: E. Scamuzzi, Contributi per la carta archeologica dell’Etruria. Di alcuni recenti trovamenti archeologici interessanti la topografia dell’Etruria, in “Studi Etruschi”, XIV, , pp. -; sul lebete in particolare: Torelli, Il rango, il rito e l’immagine, cit., p. ; sulle corse di cavalieri anche sui fregi degli edifici arcaici, interpretate come giochi equestri eseguiti da giovani per mostrare il loro valore: F. H. Massa Pairault, Les jeux équestres de Poggio Civitate. Représentation et société, in “Ktema”, ,  (), pp. -; sull’importanza della cavalleria nell’agro vulcente durante la fase orientalizzante: G. Bartoloni, Palazzo o tempio? A proposito dell’edificio arcaico di Poggio Buco, in “AION. Archeologia e storia antica”, , , pp. -. Sull’olla della tomba  della necropoli visentina delle Bucacce: M. Martelli (a cura di), La ceramica degli Etruschi, Novara , p. , n. . Sulle feste e cerimonie religiose da ultimo M. Menichetti, I rituali del potere arcaico, in M. Torelli (a cura di), Gli Etruschi. Catalogo della mostra, Venezia , pp. -.



 Carri, cavalli e armature

Sin dalle più antiche rappresentazioni di figure umane in età preistorica il capo è rappresentato come guerriero. Anche nell’Antico Testamento Dio è celebrato come un potente guerriero, l’eroe in battaglia, che sconfigge i nemici d’Israele (Esodo, , -; Salmi, , ). Nell’Italia medio-tirrenica, sin dall’inizio della prima età del ferro, come ci documentano i corredi funerari, appare esaltato il ruolo del guerriero: i personaggi maschili eminenti sono generalmente connotati come guerrieri, esibendo nella deposizione funebre un armamento comprendente armi da offesa e spesso anche da difesa. Nella Roma arcaica, populus equivaleva a esercito. L’esercito era costituito esclusivamente da patrizi: la classe dominante, come spesso nelle società primitive, si identificava con l’esercito. L’aristocrazia romana, del resto, restò sino alla tarda repubblica un’aristocrazia guerriera. Nel periodo più antico (X e IX secolo a.C.) le armi appaiono deposte nei corredi funerari per lo più in maniera simbolica, in modellini ridotti o in materiali diversi da quelli reali. Le armi miniaturistiche di bronzo, che caratterizzano le deposizioni dell’area laziale riferibili ai patres familias, sono rappresentate da lance, spade e scudi bilobati e rotondi: queste sono generalmente associate a ossuari riproducenti modellini di capanna. Anche in Etruria è attestato questo costume, anche se sembrerebbe a livello eccezionale e circoscritto a Veio e Bisenzio, centri fortemente legati ideologicamente all’ambiente laziale. In Etruria, infatti, il ruolo di guerriero, all’inizio della prima età del ferro, è indicato da elmi di terracotta, utilizzati come coperchi degli ossuari biconici: il tipo più antico riproduce elmi del tipo conico con alto apice; quello più recente imita un originale a calotta con cresta triangolare più o meno alta e tubicini ai lati. La tendenza espressa da questi ultimi coperchi a dare un significato antropomorfo al vaso cinerario assumerà alla fine dell’VIII-inizio VII secolo a.C. caratteri sempre più evidenti fino ai coperchi a globo (testa umana?) e ai cosiddetti canopi di Vulci e Chiusi. 

L E S O C I E T À D E L L’ I TA L I A P R I M I T I VA

La presenza dei soli elmi fittili e raramente di altre armi in queste più antiche tombe villanoviane sembra avvalorare l’ipotesi di una voluta austerità nella deposizione funebre. Alcuni elmi, riproducenti il tipo pileato, presentano l’apice conformato a tetto: la loro diffusione sembra distribuirsi per tutto il IX secolo. Questo tipo di copertura degli ossuari appare un elemento di notevole rilevanza simbolica unendo, pur nell’adesione al più usuale tipo di deposizione della cultura villanoviana, quella in vaso biconico, all’ideologia dell’armato espressa dall’elmo quella della casa modellata nell’apice. In un elmo da Vetulonia, necropoli di Poggio Belvedere, sembra addirittura possibile riconoscere un modellino di casa quadrangolare. Come nelle necropoli laziali, soprattutto in quella di Osteria dell’Osa, l’urna a capanna appare quasi esclusivamente associata a personaggi che il corredo connota come guerrieri, così nell’Etruria villanoviana le due funzioni, titolare della casa e guerriero, cioè custode della famiglia all’interno (capanna) e all’esterno (armi), vengono associate e attribuite a una sola persona (il pater familias). Negli elmi fittili di Pontecagnano il riferimento al tetto della capanna non è espresso nell’apice, bensì nella decorazione incisa: di particolare interesse è il coperchio della tomba , con da un lato la raffigurazione di una scena di caccia al cervo e al cinghiale e dall’altro, verosimilmente, una pòtnia theròn (De Natale, ). Dall’VIII secolo a.C., le armi che accompagnano i guerrieri defunti sembrerebbero effettivamente usate o usabili: la classe aristocratica emergente si distingue per la ricchezza e la potenza militare. All’epoca del passaggio all’orientalizzante, gli elementi dell’armamento assumono il carattere di oggetti da parata. Ciò vale in particolare per gli elmi e gli scudi di lamina bronzea, decorati a sbalzo, deposti nelle tombe orientalizzanti soprattutto dell’Etruria meridionale. Personaggi eminenti delle diverse comunità vengono seppelliti con alti elmi crestati, grandi scudi circolari decorati a sbalzo, corte spade e pesanti lance con puntali di bronzo, simboleggianti un tipo di combattimento corpo a corpo (FIG. .). Possiamo trovare un’immagine di questo armamento nel poemetto Lo scudo di Eracle, attribuito sembra erroneamente a Esiodo e riecheggiante Omero: «Impugnò quindi l’asta poderosa che aveva la punta di fulvo bronzo. Poi si pose sulla testa possente un elmo di raro lavoro d’acciaio, saldo, bene adatto alle tempie, e fatto per proteggere il capo del divino Eracle. Con le mani prese alfine lo scudo smagliante che mai alcun colpo non aveva rotto né ammaccato, mirabile da vedere» (-, trad. Magugliani). Del resto, Omero nell’Iliade «offre il più bel ritratto di guerriero, i modelli più valorosi, i più umani anche» (Ducrey, , pp. -). 

.

C A R R I , C AVA L L I E A R M AT U R E

. Veio, necropoli di Quattro Fontanili, tomba AA: l’armatura (disegno di S. Barberini)

FIGURA



L E S O C I E T À D E L L’ I TA L I A P R I M I T I VA

Tombe con simili panoplie appaiono in molte necropoli del Lazio e dell’Etruria, con corredi che segnano il passaggio dalla prima alla seconda età del ferro nell’Italia tirrenica, databili tra il / a.C.: esemplificative le tombe di guerriero di Tarquinia, di Veio (Casal del Fosso, ) o di Castel di Decima (tomba ), pertinenti indubbiamente a personaggi di alto rango, “principi”. Tra queste deposizioni, interessante appare quella della già citata tomba  di Osteria dell’Osa-Gabi, per cui è stata ipotizzata la pertinenza a un guerriero di alto rango, proveniente da Veio e inseritosi a pieno titolo nella comunità laziale. Nell’avanzato VII secolo a.C., secondo soprattutto la documentazione iconografica, sembrerebbe introdotta in Etruria l’armatura greca oplitica e quindi la tattica collegata, che le fonti ci riferiscono adottata a Roma, attraverso gli Etruschi (Diodoro Siculo, XXIII, , ). Dalla seconda metà del secolo, alcuni elementi dell’armatura sono ricollegabili a quelli degli opliti greci: elmi corinzi, scudi a due maniglie, schinieri, spada corta e almeno tre lance. Alle falangi oplitiche riconducono i corni musicali, come quello della tomba dei carri di Populonia, del secondo quarto del VII secolo a.C., probabilmente alludente al ruolo di capo militare del defunto ivi deposto. Secondo gli antichi (Diodoro Siculo, V, ), l’invenzione del corno da guerra sarebbe da attribuire agli Etruschi. Difficilmente nei contesti tirrenici l’armatura di tipo oplitico risulta completa, ma troviamo associate armi locali e greche: esemplificativa la stele di Aule Feluske di Vetulonia (necropoli Bambagini), dove il guerriero con capo coperto da elmo corinzio imbraccia uno scudo di tipo oplitico, ma impugna una scure tipicamente etrusca, certamente non idonea nei combattimenti a schiera (FIG. .). Stessa associazione mista si trova nella tomba a tholos di Casaglia presso Pisa: elmo etrusco, lance, corazza, schinieri e scudo di tipo greco. Troviamo invece essenzialmente elementi dell’armamento greco oplitico nella ricca tomba dei flabelli di Populonia. La conoscenza da parte degli Etruschi del combattimento a schiera di tipo oplitico è provata, del resto, dalle raffigurazioni sia su vasi importati, come l’olpe Chigi di Veio, che su prodotti locali dell’inoltrato VII secolo a.C., quali l’oinochòe della Tragliatella e la pisside della Pania, fortemente influenzati per la decorazione da modelli greci, principalmente corinzi. Ad ambiente corinzio sono, però, anche riferite scene di duello rappresentate soprattutto su vasellame ceramico, quali, ad esempio, il kyathos di bucchero dalla necropoli ceretana di San Paolo, tomba . In ogni caso, né le armi rinvenute nelle tombe né l’iconografia dimostrano, come ha già sostenuto Bruno d’Agostino, l’uso tra gli Etruschi di combattimenti in schieramenti compatti frontali fino all’inoltrato VI secolo a.C. 

.

C A R R I , C AVA L L I E A R M AT U R E

. Vetulonia: stele di Aule Feluske (Firenze, Museo Archeologico)

FIGURA



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. Le armi da offesa: lance e spade Dalle analisi in diverse necropoli appare comune l’attestazione diffusa di lance o giavellotti nei corredi funerari maschili di adulti, di giavellotti o lance rozze nei fanciulli. Più rara risulta l’associazione della lancia e della spada. Alessandro Bedini e Federica Cordano, a proposito della III fase laziale, basandosi soprattutto sull’analisi delle tombe della necropoli di Castel di Decima, hanno visto nella differenza di armamento una voluta distinzione per classi d’età: gli iuvenes sarebbero i portatori di lancia, i maiores quelli con lancia e spada. Nella IV fase laziale, nella stessa necropoli di Castel di Decima, la distinzione di armamento sembra invece legata essenzialmente al rango. Nell’esercito romano arcaico, gli hastati hasta pugnabant, come afferma Varrone (De lingua Latina, , ), i principes gladiis. A Tarquinia e a Veio, nella fase avanzata del villanoviano più antico (Tarquinia IB; Veio IB-C), la lancia appare assai raramente ed è associata, nei corredi funerari, quasi costantemente alla spada. A Veio, questa associazione è attestata anche in forma miniaturizzata (Grotta Gramiccia, tombe  e  a pozzo con loculo – Veio IIA). Di notevole interesse appare la presenza nella tomba  di una lancia di dimensioni normali deposta nel pozzo, differenziandola nel significato dalle armi in miniatura collocate insieme al resto del corredo nel loculo. La lancia costituirebbe la reale armatura del defunto, le armi in miniatura il lignaggio della famiglia di appartenenza, come nei corredi più tardi gli scudi appesi alle pareti delle fosse o delle camere. Già con l’inizio dell’inumazione gli uomini anche a Veio appaiono corredati generalmente dalla lancia, più raramente da ambedue le armi. Del resto, Anthony Snodgrass ha contato nell’Iliade  menzioni di una spada di bronzo e  allusioni alle punte di lance di bronzo. Sembra perciò difficile attribuire, almeno per quanto riguarda Veio o Castel di Decima, a queste lance (hastae), indubbio segno di guerra e di valore, il simbolo del pater familias (iustum dominium). Tali armi, del resto, sono presenti, come si è visto, in tombe di fanciulli (Veio-Quattro Fontanili AA  B) o di giovinetti (Tarquinia-Monterozzi ). Anche nel carrello di Bisenzio della seconda metà dell’VIII secolo a.C., le cui figurine rappresentano un documento unico per l’immagine della vita di un gruppo aristocratico, il giovane è rappresentato con la lancia (o il giavellotto). Inoltre, una tale indicazione sembra vanificata dall’associazione in diversi corredi di una coppia di lance. Snodgrass attribuisce l’analogo fe

.

C A R R I , C AVA L L I E A R M AT U R E

nomeno in Grecia al fatto che erano ormai state adottate tattiche che prevedevano l’impiego di armi a lunga portata, per cui la lancia veniva scagliata come fosse un giavellotto e se ne portava più d’una. La presenza di due o tre lance attestata, a partire dall’VIII secolo avanzato, generalmente in corredi caratterizzati dalla presenza dello scudo e del carro, come si evince dall’analisi della necropoli veiente di Quattro Fontanili, è nota anche da raffigurazioni sia greche sia locali, come l’olla dipinta della tomba di Bocchoris di Tarquinia, e soprattutto dalla nostra fonte principale per l’età geometrica, cioè Omero, che, descrivendo le armature, enumera scudo, due lance e un elmo di bronzo. Patroclo, in Iliade, XVI, -, armandosi «Sospese attraverso le spalle la spada di bronzo, con borchie d’argento, quindi imbracciò lo scudo grande e massiccio; sulla sculturea testa fermò l’elmo ben lavorato, con equino cimiero che in alto ondeggiava pauroso e due forti lance afferrò ben adatte alla sua mano». Tale descrizione trova conforto anche nelle varie rappresentazioni della donazione di armi ad Achille, tema preferito nei rilievi delle casse dei carri da parata etruschi.

. Le armi difensive La panoplia difensiva doveva essere costituita da elmo, corazza, schinieri e scudo, per lo più in materiale deperibile, quale cuoio e/o legno. Soprattutto l’elmo pileato sembra riferirsi essenzialmente a modelli di cuoio. Se per tutta la prima fase del villanoviano sono attestati esemplari in terracotta (a Tarquinia, Veio, Cerveteri, Pontecagnano ecc.), i tipi bronzei da noi conosciuti sono in contesti più tardi, non prima della fine del IX secolo, riferibili ai personaggi eminenti della comunità. Esemplificativa la tomba di Poggio del Molino o del Telegrafo, tomba a camera con quattro deposizioni in uso almeno dall’inizio dell’VIII secolo a.C. con due elmi pileati, uno dei quali riccamente decorato a sbalzo. A Tarquinia gli esemplari in bronzo pileati e crestati appaiono in contesti coevi della fase avanzata del villanoviano antico, riferibili senza dubbio a personaggi ai vertici della comunità, che «preludono alle deposizioni principesche» delle fasi successive (Iaia, , p. ). Armature complete si compongono di elmi crestati con tubicini orizzontali alla base, di scudi circolari di lamina di bronzo decorati a sbalzo con una maniglia interna, di pettorali quadrangolari a pareti più o meno ricurve sempre di lamina di bronzo, di corte spade di ferro con guaine di bronzo e di pesanti lance con puntali di bronzo e di ferro. 

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Queste panoplie sono attestate infatti solo, come si è accennato, dalla metà dell’VIII secolo a.C.: emblematiche le citate tombe del guerriero di Tarquinia, in Etruria, e di Castel di Decima, nel Lazio, o quelle di recente scoperta in Etruria settentrionale (Poggio le Croci di Volterra e Prato Rosello di Artimino). Meno frequenti, come si è visto, le asce, da considerare indicatori di status più che armi da combattimento. Un elemento che accomuna queste armature è una sorta di kardiophylax di bronzo dalla forma quadrangolare, con i lati lunghi più o meno concavi, che appare attestato dal Lazio (Castel di Decima) all’estrema Etruria settentrionale (Artimino, necropoli di Prato Rosello) e forse a Verucchio (Moroni, ): la collocazione sul petto nella tomba  di Castel di Decima ne assicura l’uso e la posizione in senso verticale. La presenza in molti esemplari di forellini ai vertici dimostra l’utilizzazione protettiva di questo pettorale, verosimilmente posto al centro di una corazza di cuoio. Riproduzioni di personaggi armati confermano il tipo di armatura attestato nelle tombe: l’askos Benacci da Bologna, dell’inoltrato VIII secolo a.C., la statuina bronzea di Vetulonia con lo scudo dietro le spalle, che trova riscontro nei forellini degli scudi in miniatura di Osteria dell’Osa, o il gruppo raffigurato sul citato carrello cerimoniale bronzeo di Bisenzio, con l’uomo adulto corredato da scudo tondo ed elmo crestato e il fanciullo con cinturone e scudo ovale, che trova, come si è visto, un confronto puntuale nella più antica tomba OP  della necropoli di Quattro Fontanili. Quest’ultima raffigurazione pone il problema dell’impiego dello scudo ovale o scutum rispetto al più documentato scudo rotondo o clipeus. Si tratta di una diversificazione per classi di età o di una successione cronologica di impiego, in seguito utilizzato solo per i giovani impuberi? Negli studi di Stary e Eichberg e da ultimo di Colonna, appare sostenuta la sequenza cronologica che vede lo scudo rotondo succedere al più venerando ancile o scudo bilobato e lo scudo ovale prevalere nell’armamentario etrusco-laziale del VI e V secolo a.C. Giovanni Colonna ha dimostrato come alla classe degli scudi bilobati appartengano i più antichi scudi deposti in necropoli laziali, cioè quelli dei complessi di Pratica di Mare, pertinenti, com’è noto, ancora alla fine dell’età del bronzo, mentre già nel Lazio del pieno IX secolo è attestato l’uso dello scudo rotondo, non solo nell’esemplare completo di Castelgandolfo, ma anche a Osteria dell’Osa, dove la presenza di un unico dischetto, rinvenuto nel caso della tomba  addossato alla statuetta, esclude l’attribuzione a un frammento di scudo doppio. Diverso appare il quadro nell’Etruria villanoviana, dove nella fase più antica, com’è noto, rarissime sono le armi nelle deposizioni maschi

.

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li e la funzione di guerriero è manifestata attraverso oggetti simbolici. Tra questi indicatori appaiono illustrativi due bronzi in miniatura riproducenti uno scudo ovale: l’uno della tomba Polledrara  di Bisenzio, inquadrabile, secondo Filippo Delpino, quasi all’inizio della sequenza visentina, l’altro della citata tomba OP  di Quattro Fontanili, inserita da Judith Toms in un momento iniziale della fase IC, in perfetta corrispondenza cronologica con gli scudi rotondi in miniatura dell’area laziale. Altre attestazioni potrebbero venire dagli apici di alcuni elmi pileati che sembrano conformati a scudo o da alcune coperture di pozzetti costolate e a forma ovale. Da questi dati sembrerebbe di ricavare che nel IX secolo in Etruria erano utilizzati scudi ovali (presumibilmente in materiale deperibile), mentre nel Lazio già era in uso il clipeo. Solo dalla metà dell’VIII secolo, con l’adozione di armamenti di tipo orientale, troviamo nelle ricche tombe etrusche, come nelle laziali, in genere associati al carro a due ruote, gli scudi rotondi di lamina di bronzo decorati a sbalzo, che appartengono a un tipo di origine assira, diffuso già nella tarda età del bronzo in Europa. I più antichi esemplari datati appaiono nella necropoli veiente di Quattro Fontanili (Toms, fase IIA finale: tomba DE -). Tali constatazioni sembrerebbero tuttavia trovare riscontro nelle fonti leggendarie su Roma antica. Plutarco, infatti, attribuisce a Romolo l’uso di armi greche, poi abbandonate in favore degli scudi lunghi adoperati dai Sabini (Romolo, , ). Gli scudi lunghi sono attributo dei Sabini sulle monete riproducenti la leggenda di Tarpea. Peruzzi, esaminando questo passo, ha richiamato anche la pittura dell’Esquilino con la raffigurazione del combattimento tra Latini e Rutuli, alleati, secondo il poema virgiliano, con gli Etruschi di Mezenzio, re di Caere: i Latini hanno lo scudo rotondo, gli altri ovale. È probabile quindi che in Italia alcune popolazioni usassero lo scudo rotondo, altre quello ovale, senza dover richiamare tattiche oplitiche o manipolari, senz’altro più recenti. La tradizione ricorda, infatti, tre fasi dell’armamento difensivo romano: ) lo scudo rotondo di origine greca (argolikè aspìs); ) lo scudo oblungo di origine sabina; ) lo scudo oplitico che si affianca a quello rotondo. Testimonianza del passaggio tra questi due tipi di armi da difesa parrebbe un elmo, forse da Città della Pieve, con la raffigurazione incisa dei due tipi di scudo, in cui appare esaltata nel rituale funerario la funzione protettiva dello scudo e dell’elmo. La tipologia di questo coperchio, che trova confronti per ora maggiormente in contesti villanoviani meridionali, ben si inquadra nei decenni centrali dell’VIII secolo. Non è da escludere, da quanto sopra evidenziato, che si possa anche trattare del co

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perchio di un ossuario, che doveva contenere le ceneri di un defunto, in cui la pietas familiare voleva evidenziare il passaggio dall’età impubere a quella adulta. È difficile, soprattutto per i materiali fuori contesto, stabilire delle “strategie di rappresentazione”. Eccezionale è la presenza dello scudo a otto (di derivazione egea) in contesti tardo villanoviani di Veio e probabilmente di Bisenzio: la panoplia della tomba  di Casal del Fosso è stata connessa con un costume sacerdotale: «la combinazione di mazza, scudo bilobato, disco-corazza (sconosciuto alle altre deposizioni di guerriero dell’Italia centrotirrenica), evoca il costume dei Salii romani, quale è noto dalle fonti letterarie» (Colonna, , p. ). Anna De Santis ha attribuito ultimamente a questa deposizione, come alla più tarda  di Casal del Fosso, la carica di capo politico (e militare) dell’intera comunità veiente. Il ruolo di indicatore di status di queste armi difensive, siano esse esclusivamente da parata o effettivamente usate in attività belliche, ci viene dalla loro diffusione. Elmi e soprattutto scudi di bronzo sono stati rinvenuti tra gli ex voto dei santuari panellenici di Delfi e di Olimpia, nonché nelle più antiche tombe cumane. Se appare molto persuasivo considerare le testimonianze coloniali come doni cerimoniali – uno dei modi più evidenti di circolazione di beni tra Greci ed Etruschi –, meno chiara è l’interpretazione degli oggetti rinvenuti in Grecia. I bottini di guerra e lo scambio dei doni rappresentano in questo periodo gli esempi più rilevanti tra le forme di trasferimento di beni a vasto raggio. Già nelle più antiche deposizioni con scudi, soprattutto in ambito laziale, si è notata la presenza di due armi difensive di tal tipo. È indubbio che il guerriero, sia in guerra che in parata, non poteva utilizzarle tutte e due. Gli scudi bilobati appaiono rinvenuti sempre a coppia, mentre il numero di quelli rotondi arriva fino a quattro, come nella tomba Barberini; in Etruria sembrerebbe preferita fino all’avanzato VII secolo la deposizione di due scudi, mentre nel Lazio di consueto si trova l’associazione di tre. La pluralità degli esemplari contenuti in una sola tomba dissolve la connessione funzionale degli scudi con le altre armi, cioè quali panoplie effettivamente usate in combattimento. Non si sottolinea più il valore guerriero, ma i segni del rango e la successione gentilizia. Il centro d’interesse non è più l’individuo in quanto guerriero, ma il gruppo gentilizio, con i suoi legami di solidarietà e di continuità che trascendono il tempo. Queste considerazioni possono spiegare la presenza, anche se rarissima, di scudi in tombe femminili coeve (Verghina, Cuma, Laurentina, Veio, Pitino), appartenenti a donne sempre di particolare status: mogli di capi o donne (vedove?) che detengono esse stesse il potere. Nel periodo orientalizzante tali scudi bronzei, rinvenuti lungo le pareti delle fosse (come nelle tom

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be  e  della Laurentina) e delle camere (come nella tomba Avvolta di Tarquinia o nella tomba A della necropoli del Poggione), fino alla loro trascrizione pittorica della tomba Campana di Veio, appaiono utilizzati come decorazione della sepoltura. Dobbiamo immaginare le abitazioni magnatizie addobbate di armi alle pareti, come ci descrive Alceo (fr.  RP.,  D) e come è rispecchiato negli atri delle tombe a camera ceretane. Un’altra ipotesi valida anche per le deposizioni più antiche, dove tre scudi rotondi coprono il defunto della tomba  di Castel di Decima e due scudi bilobati quello della tomba  di Casal del Fosso a Veio, recentemente presi in esame da Giovanni Colonna, potrebbe essere quella di un loro utilizzo nella cerimonia funebre. Nella ceramica geometrica greca appare spesso in scene di pròthesis la raffigurazione di scudi (per lo più bilobati, ma anche rotondi) su tràpezai con figurine umane in evidente atteggiamento di suonatori. Un’altra spiegazione può venire dall’analisi degli scudi fittili: come le più antiche armi difensive di lamina di bronzo, cioè gli elmi, anche gli scudi vengono riprodotti in terracotta. Si tratta di oggetti legati esclusivamente al rituale funerario, contrariamente a quanto avviene in Grecia, dove appaiono anche in luoghi di culto, per lo più in formato ridotto. Ma a differenza degli elmi, conosciuti solo in ambito villanoviano, queste riproduzioni di scudi sono attestate sia in area etrusca, che in quelle laziale e falisca. Proprio da quest’ultimo ambiente, dove sono stati rinvenuti appoggiati sul corpo del defunto, proviene la prova sicura dell’interpretazione come scudi di tutta la serie in esame. Diversi studiosi infatti, anche di recente, li hanno ritenuti grossi utensili domestici, atti, ad esempio, alla cottura delle focacce, come aveva già suggerito Falchi. Si rinvengono in genere in corredi maschili con armamento offensivo e carro. L’esemplare più antico sembra provenire dalla tomba  di Castel di Decima, ancora assegnabile alla III fase laziale, quelli più recenti dalla tomba del Duce di Vetulonia, della metà almeno del VII secolo a.C. Il tipo più comune è a calotta liscia, ma si trovano esemplari con forma più conica (Veio-Casalaccio III) e altri con maniglia (Decima). Il diametro si aggira intorno al mezzo metro. Se si eccettuano gli esemplari di Narce e di Faleri e quello della tomba  di Castel di Decima, rinvenuti in un unico esemplare per contesto, quest’ultimo associato però a tre scudi di bronzo, tutti gli altri sono stati rinvenuti per lo più a coppia, ma anche in più esemplari, fino a cinque come nella tomba  della necropoli di Castel di Decima. Il luogo di deposizione nelle fosse e nelle camere non sembra univoco: ad eccezione dell’agro falisco, come si è visto, si trovano insieme al resto del corredo, lungo le pareti di alcune tombe o tra le ruote del carro. Esemplificative la tomba di Macchia della Turchina, in corso di studio da parte di Stefano Bruni, e la  di Castel di Decima. 

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La posizione lungo le pareti aumenta il parallelismo con i coevi prototipi di bronzo. Quello che stupisce, però, è la povertà di questi materiali, in contrasto, generalmente, con il resto del corredo di cui fanno parte: riterrei sicuro un significato simbolico, da riferire alla cerimonia funebre e collegato allo status del defunto.

. Carri e calessi Le deposizioni dei ricchi personaggi armati appaiono dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C. accompagnate dal carro a due ruote. Precedentemente, segni indubbi di distinzione sociale appaiono i morsi di cavallo, in genere rinvenuti a coppie e attestanti in forma simbolica (pars pro toto) il possesso, o il diritto di usare, carri trainati da due animali, a cui si devono collegare le poche testimonianze di riproduzioni di carri in miniatura, specie da Tarquinia e dal suo entroterra. In ambiente villanoviano, come sopra si è visto, la deposizione dei morsi equini nelle tombe sembra cominciare già a partire dalla fine del IX secolo a.C., sia pure di rado, e si diffonde soprattutto nel corso dell’VIII: i morsi di bronzo con filetti snodabili, con o senza montanti, sono i primi ad apparire in ordine cronologico, seguiti nell’ultimo trentennio dell’VIII secolo da morsi di ferro con filetti snodabili con montanti, in genere associati nelle tombe ai carri. L’uso di deporre il carro, o alcune parti di esso, è attestato in Italia sia in ambiente greco (Cuma) che indigeno, dove lo troviamo in un momento avanzato del secondo quarto dell’VIII secolo a.C. A Veio, a differenza di Castel di Decima o della Laurentina e dell’Etruria settentrionale, il carro sembrerebbe essere deposto smontato e probabilmente ridotto ad alcuni elementi, che non cambiano però l’ideologia di occultare il veicolo con il suo possessore e il significato di anàthema. Questo costume, riflesso anche nei poemi omerici, appare diffuso in gran parte del Mediterraneo, più o meno contemporaneamente (dopo il  a.C.). Il carro, generalmente a due ruote, è accompagnato da una più o meno ricca bardatura equina e talvolta dagli stessi animali (cavalli, asini ecc.) che lo trainavano: esemplificative le deposizioni nelle tombe “reali” di Salamina di Cipro. Mentre la deposizione dei soli morsi equini in corredi tombali è stata collegata con carri da trasporto (a quattro, come documentati nelle incisioni dell’età del ferro della Valcamonica, o a due ruote, come testimoniano i modelli di carri in terracotta dell’avanzata I fase villanoviana) e quindi non interessanti direttamente la “cavalleria” e l’armamento del 

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guerriero, ma indicanti uno stato sociale particolare (non mancano attestazioni della deposizione di tali finimenti equini anche in corredi funerari femminili), la presenza dell’intero equipaggiamento dovrebbe testimoniare invece il ruolo del guerriero e il suo carro da combattimento. Come ha sottolineato Peter Stary nella sua monumentale opera sull’armamento e sulle tecniche di combattimento in Italia centrale verso la fine dell’VIII secolo a.C., gli Etruschi abbandonarono le armature in uso nella prima età del ferro e soprattutto tra il  e il  subirono nelle tecniche di combattimento una forte influenza orientale. Si sviluppa l’uso del carro veloce, veicolo preferito dai personaggi eminenti nelle raffigurazioni di guerra e di caccia dei palazzi assiri o nei fregi del prezioso vasellame di produzione orientale (cipriota) rinvenuto nelle tombe principesche dell’Italia centrale. È stata avanzata l’ipotesi (Stary, ) che inizialmente siano stati importati anche i cavalli. La testimonianza più antica di deposizione di carro da corsa sembrerebbe quella della tomba  di Castel di Decima, del  a.C. circa, o, se effettivamente si tratta di un currus, precedente di almeno una generazione, secondo la cronologia proposta da Alessandro Guidi, quella della tomba EE  B di Quattro Fontanili, dove è stato trovato anche un dente di cavallo. Stary ha considerato anche il carro legato all’armamento del ceto egemone. Solo le deposizioni appartenenti a personaggi emergenti possiedono ricche panoplie (probabilmente da parata) accompagnate dal carro a due ruote, di norma una biga. Queste tombe testimoniano chiaramente una concezione eroica della guerra, secondo la quale il guerriero raggiunge il campo di battaglia sul suo carro, per affrontare il nemico in un duello a morte. Coldstream e Snodgrass hanno dimostrato come la rappresentazione del guerriero sul carro già nella ceramica geometrica sia un esempio di arcaismo. Carri erano usati nella guerra in epoca micenea, ma erano già obsoleti nei combattimenti egei: nell’Iliade la funzione principale era quella di trasportare il guerriero dentro e fuori la lotta, ma i carri nelle scene di battaglia in periodo geometrico devono essere ragionevolmente attribuiti a influenze epiche: Ettore si avventa nella battaglia scendendo dal carro, con due lance in mano (Iliade, VI, -). Dopo l’età del bronzo, la funzione del carro in guerra è alquanto ambigua: se venne mai utilizzato per attività belliche, queste dovettero limitarsi al trasporto dei guerrieri più importanti e facoltosi. In tal modo deve essere letta, ad esempio, anche la scena sul lebete d’argento dorato della tomba Bernardini di Palestrina, di produzione probabilmente cipriota, dove i guerrieri sfilano tutti sul carro, a cavallo e a piedi, ma combattono a piedi. 

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L’immaginario affidato alle tombe con carro mette in rilievo il rango elevato del defunto, la sua condizione aristocratica, e sottolinea soprattutto la distanza che lo separa dalla classe dei clienti o dei servi. Ben diversa appare la situazione nei decenni appena precedenti (metà dell’VIII secolo a.C.), quando tutti gli uomini delle comunità erano indicati come portatori di armi, di lancia i più, di lancia e spada una sparuta minoranza. Durante l’antica età del ferro, come si è sottolineato, i personaggi eminenti sono in genere connotati, a livello funerario, da un armamento comprendente armi da offesa e spesso anche da difesa, che sembrerebbe effettivamente usabile. All’epoca del passaggio all’orientalizzante gli elementi dell’armatura assumono il carattere di oggetti da parata. Ciò vale in particolare per gli elmi e per gli scudi decorati di lamina bronzea deposti nelle tombe orientalizzanti soprattutto dell’Etruria meridionale. Anche il carro, come riferito per gli scudi, rinvenuto in deposizioni maschili e femminili, non sembra più sottolineare esclusivamente il valore guerriero del morto, ma i segni del rango e la continuità gentilizia. Ciononostante, ancora per tutto il VII secolo e l’inizio del VI l’uomo di rango viene innanzitutto celebrato come guerriero, così come la donna come filatrice e tessitrice. Le analisi delle tombe orientalizzanti, specie nelle necropoli laziali, dove le deposizioni ancora in fossa offrono dati certi sulle composizioni dei corredi, mostrano però che solo alcuni guerrieri (e solo due donne) avrebbero avuto il segno distintivo del seppellimento del carro. Già per la necropoli di Castel di Decima è stato notato che dagli ultimi decenni dell’VIII secolo la presenza discriminante del carro sembrerebbe da mettere in relazione con un “ruolo” specifico del defunto. Solo tre su  tombe di maschi armati hanno il carro nell’orientalizzante antico e medio. Le deposizioni, inoltre, non appaiono coeve, ma distribuite per circa un cinquantennio (prima metà del VII secolo a.C.). Le recenti indagini condotte da Adriana Emiliozzi sulle tipologie dei carri (FIG. .) deposte nelle tombe d’ambiente tirrenico hanno messo in evidenza come spesso accanto, o addirittura al posto, del currus i resti di carri a due ruote rinvenuti nelle tombe siano da riferirsi a un calesse veloce, prerogativa sia degli uomini eminenti che, come abbiamo visto, delle matrone. È spesso difficile, perciò, a causa dei resti di ferro rinvenuti per lo più fortemente ossidati, riconoscere di quale tipo di carro si tratti: ad esempio, nel recente repertorio sui carri rinvenuti in Italia di Adriana Emiliozzi e Nicoletta Camerin, nessuno dei carri della necropoli di Quattro Fontanili può essere definito con sicurezza currus o calesse; nell’altra necropoli veiente di Vaccareccia, in contesti per lo più inquadrabili nell’ultimo quarto dell’VIII secolo a.C., invece, se si eccettua il citato currus della femminile tomba VI, tutti gli altri veicoli sono stati riconosciuti come pertinenti a calessi. 

.

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. Castel di Decima, tomba : ricostruzione del carro (A. Emiliozzi)

FIGURA

Carri utilizzati per il trasporto del defunto, analogamente a quanto attestato dalle tombe reali di Salamina o dalla già citata tomba  di Monte Michele a Veio, potrebbero essere i veicoli rinvenuti nelle tombe principesche  e  di Pontecagnano, come quello della tomba  del Fondo Artiaco di Cuma; per i resti di combustione rilevati, è stato ipotizzato che essi venissero bruciati sul rogo insieme al defunto. 

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. I duelli Come è stato accennato, né le armi rinvenute nelle tombe né l’iconografia dimostrano l’uso fra gli Etruschi di combattimenti in schieramenti compatti frontali fino all’inoltrato VI secolo a.C. Un’illustrazione di un duello tra guerrieri addobbati con panoplie come quelle descritte si può riconoscere nella scena centrale della grande fibula a disco da Vulci (necropoli di Ponte Sodo) all’Antikensammlungen di Monaco, dove si fronteggiano due guerrieri elmati con spada corta e scudo (FIG. .). Ancora in talune raffigurazioni etrusche di tardo VII e di . Fibula d’oro dalla necropoli di Ponte Sodo, Vulci (Monaco, Staatliche Antikensammlungen)

FIGURA



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fine VI secolo a.C., come il cosiddetto sostegno di Murlo, accanto al carro in sosta montato dal solo auriga ha luogo il combattimento tra due personaggi armati con alto elmo, spada corta e scudo rotondo, come nelle tombe descritte. Ancora nel VII secolo le battaglie, come ha suggerito Snodgrass per la Grecia, dovevano apparire avvenimenti scomposti, dominati in parte dalle armi da getto, in parte dai combattimenti con la spada e con la lancia. Emblematico il piatto rodio con la raffigurazione di Menelao ed Ettore che combattono sul morto Euforbo (Iliade, XVI,  ss.). Come ha rilevato Oswin Murray per la Grecia della fine della dark age, la guerra doveva «largamente basarsi sul campione individuale e sui suoi compagni, che costituivano quasi una classe di guerrieri» (Murray, ). Il duello era prerogativa dei nobili, ai quali solo era possibile procurarsi la costosa armatura. Questi potevano arrivare sul campo di battaglia sul carro o anche a cavallo, ma combattevano a piedi: l’evoluzione verso una vera e propria cavalleria sembra più tarda. Già Helbig aveva ribadito come la cavalleria avesse sostenuto un ruolo marginale in Grecia e a Roma. La presenza dei morsi a coppia nella maggior parte delle deposizioni analizzate fa pensare a un ruolo minore della cavalleria almeno nell’VIII e VII secolo a.C. Problematico è il significato da assegnare alla deposizione di un solo morso o di tre morsi in un solo contesto. Se per la necropoli di Quattro Fontanili, le cui tombe purtroppo sono state rinvenute per lo più violate, si può presumere che la mancanza sia dovuta a un precedente trafugamento, e che quindi si tratti lo stesso della simbolizzazione di un tiro doppio di animali, negli altri casi (a Bisenzio e Bologna) non è escluso che si tratti della connotazione di cavalieri, come è stato proposto per Este (Pare, ). Nelle lastre di terracotta che decoreranno i palazzi tardo-orientalizzanti, che, come esamineremo in seguito, possono essere considerati testimoni attardati di un modo di vivere aristocratico, che conosce il suo apogeo nella fine dell’VIII e nel VII secolo a.C., le corse di cavalli erano emblematiche del rituale di passaggio dei giovani. Una probabile differenza di età e quindi di ruoli, ma non di rango, tra colui che monta il carro (il sovrano, presumibilmente adulto) e il cavaliere (il principe successore) si evince dalle recenti letture dei fregi della situla della Pania (Menichetti, ). L’importanza del cavallo nell’immaginario dell’aristocrazia è ben rappresentata dagli hippobòtai euboici, allevatori di cavalli, e negli emblèmata dipinti su numerosi crateri tardogeometrici locali provenienti dallo scarico dell’acropoli di Monte Vico e dal complesso suburbano di Mezzavia. Le descrizioni delle battaglie, inoltre, insistono sull’importanza della cavalleria di Calcide. Anche in Etruria le precoci raffigurazioni di cavalli sulla ceramica d’imitazione greca e di tradizione locale, rinvenuta nelle deposizioni funerarie, indicano un legame stretto tra questo animale e l’aristocrazia. 

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Un riferimento alla cavalleria potrebbe essere visto anche nei pochi corredi che dalla fine dell’VIII secolo, allorché cominciano a essere attestati i carri nelle tombe, presentano solo i due morsi, che potrebbero riferirsi al possesso di due cavalli da parte di ciascun cavaliere (Momigliano): ad esempio, nella necropoli di Vaccareccia di Veio, in contesti riferibili all’orientalizzante antico, al momento cioè di maggior attestazione dell’uso di deposizione dei carri nelle tombe, troviamo solo i morsi di cavallo, non rinvenuti nelle tombe con resti del veicolo a due ruote, eccettuato il caso eccezionale della tomba VI a deposizione femminile con currus. La scarsa importanza che viene data nelle deposizioni funerarie alla cavalleria contrasta con quanto conosciamo dalle fonti scritte. Per la Grecia Aristotele, nella Politica (IV, b), la considera emblematica della classe aristocratica: «presso gli antichi [...] tutta la forza risiedeva nella cavalleria». A Roma la cavalleria non aveva importanza solo dal lato militare, ma è stata posta da alcuni storici contemporanei in rapporto con l’origine del patriziato. Si collega la formazione del patriziato al servizio in questo corpo, il quale in origine avrebbe costituito la guardia del re (De Martino). Andreas Alföldi ribadisce a questo proposito i presupposti gentilizi della cavalleria, in quanto la stabilità del corpo dipendeva dalla forte coesione di un’aristocrazia: l’esercito nel periodo monarchico era costituito da . fanti e  cavalieri. Arnaldo Momigliano, invece, mostra una posizione più conforme alla lettura dei dati archeologici: la cavalleria risulta in sottordine alla fanteria, il magister equitum subordinato al magister populi, al quale è interdetto, come al dictator, di montare a cavallo (Livio, XXIII, ; Plutarco, Fabio Massimo, ). Secondo Momigliano, tutti siamo abituati a visualizzare i nostri aristocratici come esseri superiori in groppa a un cavallo. Questa è l’eredità del nostro Medioevo, che non può essere trasferita nella Roma dei re. La guardia del re aveva, del resto, poco a che vedere con l’aristocrazia dei proprietari guerrieri, i quali, attraverso gentes e clientes, fornivano gli uomini alla fanteria e furono disciplinati da Servio Tullio.

. Le scorte armate e il trionfo La costante associazione degli scudi in terracotta con il carro da parata potrebbe far pensare a un legame fra i due elementi nel rituale funebre. Si rinvengono in genere in corredi maschili con armamento offensivo e carro. Anche il luogo di deposizione nelle fosse e nelle camere non sem

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bra univoco e legato all’ambiente di rinvenimento: nell’agro falisco, come si è già accennato, si trovano sul corpo del defunto insieme al corredo personale, altrove insieme al resto del corredo, lungo le pareti di alcune tombe (Tarquinia-Macchia della Turchina, Veio-Monte Michele), o tra le ruote del carro (Castel di Decima, tombe  e ). Le differenze riscontrate nella disposizione di tali manufatti nella tomba, pur nell’evidente affinità nella tipologia, prospettano una decisa diversità nelle cerimonie funerarie dei singoli ambienti e nella relativa ideologia funeraria locale. Discordanze tra i diversi ambiti culturali si riscontrano, ad esempio, anche nella deposizione dei grandi holmoi d’impasto, peculiari delle deposizioni femminili nel Lazio, maschili nell’ambiente falisco, non distinti in Etruria. Come si è già messo in evidenza, appare chiaro il significato simbolico, da riferire alla cerimonia funebre e collegato allo status del defunto, anche nella scelta della terracotta per la produzione di questi scudi al posto dei più costosi esemplari bronzei: esemplificativo il rinvenimento nella tomba del Duce di Vetulonia, centro dove i corredi appaiono generalmente più ricchi di bronzi che di ceramica. Il legame con i carri è evidenziato in particolar modo nelle tombe di Castel di Decima dove tali manufatti sono deposti davanti o sopra la “cassa” del currus. A tal proposito, Giovanni Colonna ha ricordato l’esistenza in ambito orientale di raffigurazioni di carri da guerra con gli scudi aderenti. Sui rilievi e gli avori di Nimrud dal regno di Assur-Nasirapli II troviamo appese sul carro sia in scene di guerra che di caccia armi, generalmente le faretre, con dentro frecce e ascia, poste diagonalmente sul fianco della cassa, e la lancia inserita su un angolo posteriore; sulle scene raffigurate su alcuni avori il carro è chiuso posteriormente da uno scudo con protuberanza centrale accentuata. Tali immagini sembrano mostrare la posizione sul carro delle singole armi durante la corsa del carro o l’uso di una sola di esse (arco, lancia ecc.), quindi si tratterebbe di armi reali e non simboliche o in funzione decorativa. Le fonti iconografiche etrusche (gruppo più antico di fregi figurati di Cerveteri, di Tuscania, di Veio, di Poggio Buco, di Roselle e di Tarquinia; monumenti “di prestigio”, quali le uova di struzzo o le pissidi eburnee) mostrano l’uso cerimoniale del carro da guerra, con il condottiero che, armato di tutto punto, sale sul carro con l’auriga oppure ne è trasportato, entro un corteo di «apparitori e seguaci» (Colonna, in Emiliozzi, , p. ): il guerriero è preceduto e seguito da due o tre portatori di scudo, definiti erroneamente opliti. Tali fregi appaiono come i testimoni attardati di questo mondo aristocratico che conosce il suo apogeo nel VII secolo a.C.: come è stato già accennato, bisogna considerarle rappresentazioni che rispecchiano una realtà, uno stile di vita 

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aristocratico che vediamo introdotto in ambiente tirrenico nel secolo precedente. Infatti, queste scene devono essere inquadrate nella prospettiva più ampia dell’arrivo nelle comunità tirreniche di stili di vita di derivazione greca e orientale, che la documentazione archeologica indica come tratto distintivo della classe aristocratica. Quello che colpisce nella diffusione di questo schema decorativo è l’esaltazione del carattere militare del “signore”, caratteristica che noi riscontriamo, come si è detto, anche nell’analisi delle necropoli dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C. Le scene, in cui un guerriero sul carro è preceduto e seguito da altri armati, sono considerate una sorta di corteo vittorioso, con una probabile allusione al trionfo. Pur derivando inequivocabilmente dalla scena greca della partenza di Anfiarao, tutti i riferimenti al mito sono stati abbandonati e quello che nel modello ellenico era una partenza fatale e tragica si trasforma in semplice sfilata. Jannot li precisa come cortei e pompe dove bisogna probabilmente riconoscere dei trionfi privati collegando queste immagini, peculiari dell’ambiente tirrenico, a pratiche di guerra privata e di attività militare del clan gentilizio. Queste truppe singolari ed eterogenee sarebbero manifestamente contingenti di milizie familiari: sembrerebbe quindi che certe attività militari siano devolute al gruppo familiare, fuori dell’ambito della città. Appare in ogni modo legittimo il collegamento delle raffigurazioni delle lastre con il rituale «antichissimo, molto verosimilmente panitalico del thriumphus». Torelli () ha mostrato come è probabile che in uno stesso monumento due scene simili, ma contrapposte, possano indicare i due momenti della celebrazione militare, la partenza e il ritorno del guerriero vincitore: esemplificative le lastre di Tuscania, con l’attributo del lituo in diversa e significativa posizione. Si potrebbero perciò considerare, anche se ipoteticamente, questi scudi fittili simboli di una più o meno piccola scorta armata, attribuita per qualsivoglia merito o ruolo solo ad alcuni guerrieri e documentata nel rituale funerario. In queste deposizioni con carro potremmo perciò riconoscere lo stesso intento celebrativo sopra messo in rilievo per le lastre fittili con processione di carri e armati: il viaggio-trasporto verso l’aldilà doveva avvenire con tutti gli onori e attributi come nelle pompe, processioni, trionfi ecc. della vita terrena. Il rinvenimento di carri in tombe di guerrieri, diffuso in ambito etrusco-laziale già dal pieno VIII secolo a.C., potrebbe mettere in dubbio l’assunto di Plutarco relativo all’origine del trionfo. L’istituzione del trionfo è assegnata da Dionigi di Alicarnasso a Romolo (II, , , trad. Cantarelli: «Ultimo nella processione veniva Romolo stesso rivestito di una veste purpurea, con le chiome incoronate di alloro; per conservare intatta la 

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dignità regale viaggiava su una quadriga»), mentre Plutarco l’attribuisce, in espressa polemica con Dionigi, all’opera di Tarquinio Prisco: «Dioniso è inesatto quando dice che Romolo si servì di un carro [per il trionfo]. Si narra che Tarquinio, figlio di Demarato, fu il primo re a portare i trionfi a questa forma di lusso; altri dicono che il primo a celebrare il trionfo su di un carro sia stato Publicola. Le raffigurazioni di Romolo, che si possono vedere a Roma, lo rappresentano tutte mentre porta il trofeo a piedi» (Plutarco, Romolo, , -, trad. Manfredini).

. Guerrieri e/o sacerdoti Il rinvenimento nella Civita di Tarquinia del deposito di fondazione, databile all’inizio del VII secolo, composto da un’ascia, uno scudo e una tromba-lituo, deposti piegati e quindi non più utilizzabili, come in alcune testimonianze funerarie, mostrano la compiuta concentrazione dei poteri militare, religioso e politico nelle mani di un solo personaggio, il rex. Nel IX secolo a.C. ancora a Osteria dell’Osa, secondo le analisi puntuali di Anna Maria Bietti Sestieri, si nota una differenza di ruolo tra il pater familias guerriero e il sacerdote, e a Veio, nella necropoli di Quattro Fontanili, alcune tombe maschili della metà dell’VIII secolo a.C., dalla struttura tombale particolare, prive di armi, ma corredate, oltre che con un ricco corredo, da un bastone (GG -) o un coltello sacrificale (HH -), possono alludere a un ruolo importante nell’ambito della comunità, legato a pratiche religiose. Un potere maggiore degli altri guerrieri, deposti nello stesso periodo, è indubbiamente da attribuire al defunto della citata tomba  di Veio-Casal del Fosso, la cui deposizione, datata nel terzo venticinquennio dell’VIII secolo a.C., con scudi bilobati, mazza e disco pettorale, è stata collegata da Giovanni Colonna al sacerdozio dei Salii. Analoga carica sacerdotale potrebbe indicare l’altissima cresta dell’elmo della tomba  (FIG. .), deposizione di guerriero con carro leggermente più tarda, inquadrabile nel passaggio tra il periodo villanoviano a quello orientalizzante (/ a.C.). Si può pensare a personaggi dotati di maggior potere politico a capo di più clan gentilizi, reges di una curia (Menichetti, ). Il ruolo di guerriero e quello di sacerdote è attestato ancora sui fregi di terracotta che decoravano i tetti, come attestano le lastre da Cisterna all’Ashmolean Museum di Oxford, testimonianza più tarda dei modi di vivere aristocratici del periodo orientalizzante. 

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. Veio, necropoli di Casal del Fosso, tomba : elmo

FIGURA

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. Guerrieri o cacciatori? L’attività del cacciatore, sia sul carro che a piedi, non appare molto attestata, o almeno riconoscibile, né nei corredi funerari orientalizzanti, né nella documentazione iconografica, a differenza di quanto conosciamo nel mondo orientale. Rare sono le punte di freccia, presenti, ad esempio, nella tomba dei carri di Populonia, dove evidenti allusioni alla caccia sono riconoscibili nelle teorie di animali raffigurati sulla cassa della biga. Testimonianza dell’attività venatoria può essere la non rara deposizione di cani nelle tombe dei padroni. Il seppellimento del cane nella tomba del carro di bronzo di Vulci potrebbe testimoniare l’impiego del carro nella caccia, come nella documentazione iconografica orientale. Ma sia le raffigurazioni più antiche su foderi di spada e rasoi villanoviani, sia quelle inquadrabili nel VII secolo a.C. prediligono scene di caccia con arcieri in piedi o in ginocchio. Come ha messo in rilievo Giovannangelo Camporeale, la maggior parte delle scene di caccia raffigurate su manufatti etruschi di epoca orientalizzante si riallacciano a filoni iconografici orientali e difficilmente possono essere riferite a costumi locali. Sono rappresentate, ad esempio, scene di caccia al leone e allo struzzo, che non sono mai vissuti in Etruria. Frequente, come attestano anche le analisi faunistiche negli abitati etruschi, è invece la caccia al cinghiale e al cervo (De Grossi Mazzorin, ): a Monteriggioni-Campassini l’incidenza della caccia nell’alimentazione, anche se non prioritaria, è palese. L’importanza della caccia nell’area, del resto ancora piena di boschi, è testimoniata anche dalla deposizione di cani in ricche tombe a tramezzo. In genere, per cogliere l’importanza del ruolo della caccia nella vita aristocratica dobbiamo rivolgerci alle scene raffigurate sulle pareti delle tombe o sui vasi. Per la caccia al cervo sono illuminanti la figura del cacciatore con arco della tomba degli Animali Dipinti di Cerveteri o il cervo colpito da otto giavellotti in un’anfora veiente del pittore delle gru. Un riferimento alla caccia è indubbiamente riconoscibile nelle raffigurazioni del carrello di Bisenzio, con le figure dell’arciere, del cacciatore, del cane al guinzaglio, degli altri cani, dei cervidi o delle lepri. L’uso dell’arco o del giavellotto è confermato dalle immagini incise su spade villanoviane già dal IX secolo a.C.; mentre in alcuni rasoi villanoviani, databili all’VIII secolo a.C., l’ascia a lungo manico ricurvo è associata alle scene di caccia al cervo. Tale arma trova confronti, come si è già accennato, nelle panoplie di armi dei principi dell’Etruria settentrionale e di Verucchio. 

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La maggior parte delle scene di caccia, o alludenti ad essa attraverso teorie di animali, che si trovano sui manufatti del periodo orientalizzante dipendono dalla tradizione figurativa orientale prima e greca e orientale poi. Mancano però le scene complesse delle cacce regali assire; nell’iconografia etrusca, il cacciatore è generalmente isolato e impegnato da solo contro l’animale più o meno feroce. Si vuole celebrare il valore dell’uomo. Camporeale ha considerato, del resto, i riferimenti alla caccia nei diversi manufatti orientalizzanti etruschi uno dei diversi modi di autorappresentazione del signore etrusco. Anche per quel che riguarda l’ambiente greco, l’associazione in uno stesso vaso di fregi con guerrieri e carri con quelli di leoni e cani potrebbe essere spiegata con la volontà di indicare lo status eccelso dell’uomo cacciatore (Coldstream, , p. ). È stato più volte ribadito come la caccia rappresenti un’attività esclusiva dei gruppi aristocratici, emblematica nell’illustrazione del passaggio dei giovani signori all’età adulta, come indicano i fregi di Murlo o le scene della situla della Pania (Cristofani, ). In questo senso è stato interpretato da Alain Schnapp l’episodio di Odisseo che con i figli di Autolico (suo nonno) sul Parnaso caccia il cinghiale e ne viene ferito (Odissea, XIX, -): «nella consorteria giovanile la caccia costituisce l’attività per eccellenza che permette al futuro re di affermarsi» (Schnapp, , p. ). Cacce collettive dovevano essere infatti sicuramente quelle al cinghiale, come ci indicano anche gli autori antichi, da Omero a Senofonte: i fregi con cani e lepri, solo talvolta inframmezzati da cacciatori armati, dipinti sulle ceramiche d’importazione greca o di imitazione, possono alludere agli inseguimenti collettivi degli animali da cacciare. Allusioni a una caccia più complessa troviamo nei riquadri dipinti nell’anticamera della tomba Campana di Veio, con chiari riferimenti all’attività venatoria dei cavalieri: il potere “regale” della gens ivi deposta è evidenziato dalla presenza di un portatore di bipenne e dalle teorie di scudi dipinti nella cella di fondo.

. Aristocratici e carpentieri A Veio, nella necropoli di Casal del Fosso, in due tombe di guerrieri ( e ) datate nel terzo quarto dell’VIII secolo a.C. (Veio IIB) si sono rinvenute rispettivamente associate asce e scalpello nella prima, ascia, raspa, lima e scalpello nella seconda. A Pontecagnano, nella citata tomba “principesca” , caratterizzata dalla ricca bardatura equina, due scal

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pelli sono associati a un’ascia e a un coltello; scalpelli (o picche) sono attestati nelle altre due tombe principesche di Pontecagnano ( e ) e generalmente interpretati come attinenti alla sfera sacrificale. Strumentario completo per la lavorazione del legno, come nella tomba  di Veio-Casal del Fosso, troviamo anche a Este nelle tombe Ricovero  e Randi , ambedue deposizioni maschili particolarmente ricche. A Pitecusa, nelle tombe ,  e  (“del carpentiere”), inquadrabili nel TGII e rispettivamente riferibili a due bambini di  e  anni e a un uomo di  anni, cioè a individui che vengono considerati non godere di pieno diritto o perché troppo giovani e non ancora integrati nella comunità o perché socialmente inferiori, sono deposti in diversa associazione vari arnesi da lavoro di carpentiere (ascia a cannone, scalpello, punteruolo e coltello). Indubbia è quindi l’interpretazione di questi arnesi come legati al lavoro del legno. Francesco Buranelli ha messo in evidenza come essi siano attestati in corredi di diverso livello di ricchezza, ma la presenza nelle tombe di guerrieri di Veio, nella prestigiosa tomba dei flabelli di Populonia o nelle ricche tombe di Este fa pensare a un significato simbolico: illuminante il riferimento, proposto da Buranelli, ai passi omerici (Odissea, V, -, -; XXIII, -, -) in cui vengono cantate le doti di Ulisse carpentiere e falegname, ricordando «il letto ben fatto, che io [Ulisse] fabbricai e nessun altro». Sono ricordate la bipenne, l’ascia, la sega e la pialla. La presenza di tali utensili è quindi da interpretare come gli altri simboli (armi, carri ecc.) deposti con la volontà di «sottolineare un ruolo elitario» (Capuis, , c. ). Decisamente polivalenti appaiono, del resto, oggetti quali l’ascia o la bipenne: armi, strumenti sacrificali o da lavoro. Omero ne illustra il significato di utensili, a proposito della costruzione della zattera: Calipso «Gli diede una gran scure, ben maneggevole di bronzo, a due tagli: e un manico c’era molto bello d’ulivo solidamente incastrato. Gli diede anche un’ascia lucida» (Odissea, V, -). L’ascia, per lo più di bronzo, è piuttosto rara e presente in contesti di pieno VIII secolo, associata generalmente alla spada, ma attestata, ad esempio a Veio, in tutte le necropoli villanoviane, anche in contesti femminili di particolare prestigio: la collocazione dell’ascia, nella tomba  di Grotta Gramiccia, presso la testa della defunta, affiancata alla conocchia, avvalora l’ipotesi (Berardinetti, Drago, ) di indicatore del prestigio della padrona di casa e quindi di simbolo della spartizione carnea nell’ambito familiare. Il passaggio da strumento funzionale a strumento di sacrificio si deve attribuire probabilmente a questo periodo. Un altro antico simbolo di valore e di potere è la bipenne: se si eccettua l’esemplare corredato da fasci di verghe della tomba del Littore di Vetulonia o la citata stele di Aule Feluske sempre da Vetulonia, in Ita

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lia è per lo più attestata nella forma miniaturizzata e simbolica. La presenza a Pitecusa (necropoli di San Montano), in tombe di adolescenti, di piccole bipenni in bronzo (tomba ), d’avorio ( ) e d’osso () potrebbe far ritenere questo insediamento greco il tramite della diffusione in Italia. Particolarmente comuni risultano le doppie asce in miniatura in contesti funerari della Macedonia, quindi in un’altra zona periferica della Grecia; si trovano inoltre dedicate nei grandi santuari ellenici. A Tarquinia, modelli in bucchero di bipenne, rinvenuti nel tumulo monumentale di Poggio Gallinaro, per il luogo di deposizione (presso la porta della tomba) e l’associazione con statuine sempre di bucchero, sono stati interpretati come offerte votive. La bipenne (pèlekys) è dunque ben nota nel mondo egeo e, come ha messo in rilievo Nicola Parise, non può essere disgiunta, nel suo significato di keimèlion, dai tripodi e dai lebeti e come questi è da considerare tra i “segni premonetari”. Il passaggio da valore circolante a unità ponderale del pèlekys è stato posto da Parise nello scorcio dell’età tardo-geometrica, per cui appare suggestivo, anche se ipotetico, attribuire un significato di oboli di Caronte a queste armi in miniatura deposte nelle tombe.

Riferimenti bibliografici Testo rielaborato da Documentazione figurata e deposizioni funerarie: le tombe con carro, in “Archeologia Classica”, XLV, , , pp. -; La deposizione di scudi nelle tombe di VIII e VII sec. a.C. nell’Italia centrale tirrenica, in Preistoria e protostoria in Etruria. Secondo incontro di studi, Milano , pp. - (in collaborazione con A. De Santis); Guerra e caccia, in C. Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi. Dal Mediterraneo all’Europa, Bologna , pp. -. Sulla miniaturizzazione delle armi da ultimo A. Berardinetti, in Dinamiche dello sviluppo delle città nell’Etruria meridionale: Veio, Caere, Tarquinia, Vulci. Atti del XXIII convegno di studi etruschi e italici (ottobre ), in stampa. Sulla presenza e sul significato di elmi fittili a Veio: G. Bartoloni, Veio e il Tevere. Considerazioni sul ruolo della comunità tiberina negli scambi tra Nord e Sud Italia nella prima età del ferro, in “Dialoghi di Archeologia”, n. s., , , pp. -. Tali coperchi sono attestati in tutte le necropoli villanoviane dove è documentato l’uso del cinerario a forma di capanna, esclusa Bisenzio, dove peraltro non sono attestati coperchi a elmo né crestato, né apicato, ma particolarmente diffusi appaiono nelle necropoli veienti, a differenza, ad esempio, di Tarquinia o Vetulonia: a Veio, nella necropoli di Grotta Gramiccia, ne conosciamo otto esemplari (inediti), in quella di Quattro Fontanili circa una dozzina; a questi si aggiungono altri elmi pileati (rispettivamente dieci da Grotta Gramiccia,  da Quattro Fontanili, almeno uno da Monte Sant’Angelo) senza una chiara allusione alla capanna nell’apice. Le deposizioni con elmo pileato appaiono per lo più prive di corredo accessorio e anche di elementi caratterizzanti il sesso qua-

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li le fibule, rendendo perciò difficile un loro preciso inserimento nella sequenza culturale delle necropoli. Non accompagnano queste deposizioni le armi, che appaiono invece in più di un contesto a Tarquinia (C. Iaia, Simbolismo funerario e ideologia alle origini di una civiltà urbana. Forme rituali nelle sepolture villanoviane a Tarquinia e Vulci e nel loro entroterra, Firenze , pp.  ss.; inoltre F. Trucco, Villa Bruschi Falgari: il sepolcreto villanoviano, in A. M. Sgubini Moretti, a cura di, Tarquinia etrusca. Una nuova storia. Catalogo della mostra, Roma , pp.  ss.). Per l’elmo di Vetulonia: J. Sundwall, Gli ossuari villanoviani di Vetulonia, in “Studi Etruschi”, V, , pp. -. Sugli elmi di Pontecagnano: P. Gastaldi, Pontecagnano II. . La necropoli del Pagliarone, “Quaderni di AION. Archeologia e storia antica”, , Napoli , pp.  ss.; S. De Natale, Un elmo d’impasto con decorazione figurata da Pontecagnano, in “Ostraka”, V, , pp. -. Sui coperchi a globo, esclusivi, sembrerebbe, del territorio vulcente: E. Mangani, Corredi vulcenti degli scavi Gsell, in “Bollettino di Paletnologia Italiana”, , , p. , con riferimenti; inoltre A. M. Sgubini Moretti (a cura di), Veio, Cerveteri, Vulci: città a confronto. Catalogo della mostra, Roma , pp. -. Sui canopi di recente A. Minetti, Le necropoli chiusine del periodo orientalizzante, in A. Rastrelli (a cura di), Chiusi Etrusca, Chiusi , pp. -. A favore di una struttura non egualitaria nella prima fase dell’età del ferro in Etruria: F. Delpino, Strutture tombali nell’Etruria meridionale villanoviana, in Preistoria e protostoria in Etruria. Secondo incontro di studi, Milano , pp. ; Id., Tra omogeneità e diversità. Il trattamento della morte a Tarquinia villanoviana, in Preistoria e protostoria in Etruria, Terzo incontro di studi, Milano , pp. -. Per la tomba del guerriero di Tarquinia: I. Krieseleit, Das Kriegergrab von Tarquinia, in Die Welt der Etrusker. Archäologische Denkmäler aus Museen der sozialistischen Länder, Berlin , pp. -; per la tomba  di Veio-Casal del Fosso: H. Müller-Karpe, Das Grab  von Veji, in Beiträge zu italienischen und griechischen Bronzefunden, in “Prähistorische Bronzefunde”, XX, , , pp. -, tavv. - (con imprecisioni sulla composizione del corredo: cfr. L. Drago, in G. Bartoloni, A. Berardinetti, A. De Santis, L. Drago, Veio tra IX e VI secolo a.C. Primi risultati sull’analisi comparata delle necropoli veienti, in “Archeologia Classica”, XLVI, , p. ). Per la tomba  di Castel di Decima: F. Zevi, A. Bedini, La necropoli di Castel di Decima, in “Studi Etruschi”, XLV, , pp.  ss.; A. Bedini, F. Cordano, L’ottavo secolo nel Lazio e l’inizio dell’orientalizzante antico. Alla luce di recenti scoperte nella necropoli di Castel di Decima, in Lazio arcaico e mondo greco, in “Parola del Passato”, XXXII, , pp.  ss. La tomba del guerriero di Osteria dell’Osa è pubblicata da A. De Santis, in A. M. Bietti Sestieri (a cura di), La necropoli laziale di Osteria dell’Osa, Roma , pp. -. Sull’introduzione della tattica oplitica in Etruria: B. d’Agostino, Organisation militaire et structure sociale dans l’Etrurie archaïque, in O. Murray, S. Price (éds.), La cité grecque d’Homère à Alexandre, Paris , pp. -. Una prima rappresentazione di opliti etruschi è stata vista su uno dei fregi della situla di Plikasna di Chiusi, su cui da ultimo F. Sciacca, in Morigi Govi (a cura di), Prin-

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cipi etruschi, cit., p. , n. . Per l’attribuzione dell’armatura oplitica ai ceti dipendenti: M. Torelli, L’ellenizzazione della società e della cultura etrusca, in Id. (a cura di), Gli Etruschi. Catalogo della mostra, Venezia , p. . Per i corni da guerra: P. Cassola Guida, Spunti sull’interpretazione dell’“arte delle situle”: la situla della tomba Benvenuti , in “Ostraka”, VI, , , pp.  ss.; per il corredo e i problemi relativi alle deposizioni nella tomba dei carri di Populonia: A. Romualdi, in A. Emiliozzi (a cura di), Carri da guerra e principi etruschi, Roma , pp.  ss.; per la struttura del tumulo: L. Barbi, Analisi delle caratteristiche tecnico-costruttive della Tomba dei Carri, in A. Zifferero (a cura di), L’architettura funeraria a Populonia tra IX e VIII secolo a.C., Firenze , pp. -. Per la stele di Aule Feluske di Vetulonia: I. Falchi, in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss.; per l’iscrizione: G. Colonna, Nome gentilizio e società, in “Studi Etruschi”, XLV, , pp. -. Per il corredo della tholos di Casaglia: P. Mingazzini, La tomba a tholos di Casaglia, in “Studi Etruschi”, VIII, , pp. -; sulla struttura inoltre S. Bruni, L’architettura tombale dell’area costiera dell’estrema Etruria settentrionale. Appunti per l’orientalizzante antico e medio, in Zifferero (a cura di), L’architettura funeraria a Populonia, cit., p. , figg. -. Interpretazioni delle scene dell’oinochòe della Tragliatella: M. Menichetti, L’oinochoe della Tragliatella: mito e rito tra Grecia ed Etruria, in “Ostraka”, I, , pp.  ss.; per le raffigurazioni sulla pisside della Pania: M. Cristofani, Paideia, aretè e metis: a proposito della Pania, in “Prospettiva”, -, , pp. -; M. Menichetti, Le pyrriche degli eroi; a proposito di un’anfora del pittore dell’Eptacordo, in “Ostraka”, VII, -, , pp. -. Per la tomba San Paolo  di Cerveteri: M. A. Rizzo, Le tombe orientalizzanti di San Paolo, in Sgubini Moretti (a cura di), Veio, Cerveteri, Vulci, cit., pp.  ss. Per il kyathos già M. Cristofani, M. A. Rizzo, Un kyathos e altri vasi iscritti dalle tombe orientalizzanti di San Paolo a Cerveteri, in “Bollettino d’Arte”, , , pp. -. Sull’armamento e le tecniche di combattimento in Italia fondamentale il lavoro di P. Stary, Zur eisenzeitlichen Bewaffnung und Kampweise in Mittelitalien (ca. . bis . Jhr. v. Chr.), Mainz am Rhein ; inoltre M. Eichberg, Scutum. Die Entwicklung einer italischen-etruskischen Schildform von den Anfangen bis zur Zeit Caesars, Darmstad ; d’Agostino, Organisation militaire, cit.; G. Bergonzi, Etruria-Piceno-Caput Adriae: guerra e aristocrazia nell’età del ferro, in La civiltà picena nelle Marche. Studi in onore di Giovanni Annibaldi, Ripatransone , pp. -. Sulla difficoltà di distinguere nei resti delle deposizioni funerarie lance e giavellotti: R. Peroni, Introduzione alla protostoria italiana, Roma-Bari , p.  o A. Small, The Use of Javelins in Central and South Italy in the th Century, in Ancient Italy in its Mediterranean Setting. Studies in Honour of Ellen Macnamara, London , pp.  ss. Per le analisi dei guerrieri di Castel di Decima: A. Bedini, F. Cordano, Periodo III, in La formazione della città nel Lazio, in “Dialoghi di Archeologia”, n. s. , , pp.  ss.; G. Bartoloni, M. Cataldi Dini, Periodo IV A, ivi, fasc. . Per le analisi di Tarquinia e Veio, rispettivamente: Iaia, Simbolismo funerario e ideologia, cit. e G. Bartoloni, A. Berardinetti, A. De Santis, L. Drago, Veio tra IX e VI secolo a.C. Primi risultati sull’analisi comparata delle necropoli veienti,

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in “Archeologia Classica”, XLVI, , pp.  ss.; sulla tomba  di Veio-Grotta Gramiccia: A. Berardinetti Insam, in Sgubini Moretti (a cura di), Veio, Cerveteri, Vulci, cit., pp. -. Per le armature e la guerra in ambito greco, ad esempio P. A. L. Greenhalgh, Early Greek Warfare, Cambridge ; A. M. Snodgrass, Armi ed armature dei Greci, Roma ; J. N. Coldstream, Warriors, Chariots, Dogs and Lions: A New Attic Geometric Amphora, in “Bulletin of the Institute of Archaeology, University of London”, , , pp. -; P. Ducrey, Guerre et guerriers dans la Grèce antique, Paris . Per l’ipotesi di considerare la lancia simbolo del pater familias: V. Scarani Ussani, Il significato dell’Hasta nel III periodo della cultura laziale, in “Ostraka”, V, , pp. -. Sul carrello cerimoniale di Bisenzio (interpretato come praefericulum, il vaso per la presentazione delle offerte nei sacrifici della dea Ops) e sull’esegesi delle figurine plastiche come prima testimonianza figurata dei rituali di passaggio della classe aristocratica: M. Torelli, Sescespita, praefericulum. Archeologia di due strumenti sacrificali romani, in Etrusca et Italica. Scritti in memoria di Massimo Pallottino, Pisa-Roma , pp.  ss.; M. Menichetti, Carrello cerimoniale da Bisenzio, in A. Carandini, R. Cappelli (a cura di), Roma. Romolo, Remo e la fondazione della città, Roma , pp. -. Sulla tomba  di Tarquinia: M. Cataldi, Lo scavo dell’alluvione, in Sgubini Moretti (a cura di), Tarquinia etrusca, cit., pp. -. Per la tomba AA  B di Veio-Quattro Fontanili cfr. cap.  (J. Close Brooks, in “Notizie degli Scavi”, , p. ). Per la tomba di Bocchoris di Tarquinia: H. Hencken, Tarquinia. Villanovans and Early Etruscans, Cambridge (MA) , pp.  ss.; per la datazione al - a.C.: F. Canciani, in CVA Tarquinia , Roma , p. , con riferimenti. Sugli elmi: M. Egg, Italische Helme. Studien zu den ältereisenzeitlichen Helmen Italiens und der Alpen, Main am Rhein ; F. W. von Hase, Früheisenzeitliche Kammhelme aus Italien, in Antike Helme. Sammlung Lipperheide und andere Bestände des Antikenmuseums Berlin, Mainz am Rhein , pp. -. Per il corredo della tomba I di Populonia-Poggio del Molino: F. Fedeli, Necropoli di Villa del Barone, Populonia, in M. Cristofani (a cura di), Civiltà degli Etruschi. Catalogo della mostra, Milano , pp.  ss.; G. Bartoloni, Populonium etruscorum quodam hoc tantum in litore. Aspetti e carattere di una comunità costiera nella prima età del ferro, in Miscellanea etrusca e italica in onore di M. Pallottino, in “Archeologia Classica”, XLIII, , pp. -. Per la struttura delle tombe a camera: F. Fedeli, Le tombe a camera della necropoli villanoviana di Poggio del Molino o del Telegrafo, in Zifferero (a cura di), L’architettura funeraria a Populonia, cit., pp. -. Sulle tombe di guerriero di Volterra: G. Cateni (a cura di), Volterra, la tomba del Guerriero di Poggio alle Croci, Firenze ; per il corredo della tomba di Prato Rosello: G. Poggesi (a cura di), Artimino: il guerriero di Prato Rosello. La tomba a pozzo del tumulo B, Firenze . Per i frammenti di Verucchio, riferibili verosimilmente a un kardiophylax rettangolare: G. V. Gentili, Il villanoviano verucchiese nella Romagna orientale e il sepolcreto Moroni, in “Studi e Documenti di Archeologia”, I, , p. . Sulla posizione orizzontale del pettorale cfr. ancora Poggesi (a cura di), Artimino, cit., pp. -.

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Per il corredo della tomba bolognese Benacci , con askos e parte del corredo miniaturizzato: C. Morigi Govi, D. Vitali, Il Museo Civico Archeologico di Bologna, Bologna , p. ; per la statuina di guerriero da Vetulonia: I. Falchi, Scoperte di nuovi sontuosi ripostigli di circoli di pietre e di altre tombe, in “Notizie degli Scavi”, , p. , figg. -; per gli scudi in miniatura di Osteria dell’Osa cfr. ora A. M. Bietti Sestieri (a cura di), La necropoli laziale di Osteria dell’Osa, Roma , tipo n. ; la tomba OP  di Veio-Quattro Fontanili è presentata in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss. Perplessità sull’attribuzione a un fanciullo inumato di questa deposizione in Delpino, Strutture tombali nell’Etruria, cit., p. , nota . Sugli scudi bilobati: G. Colonna, Gli scudi bilobati dell’Italia centrale e l’ancile dei Salii, in Miscellanea etrusca e italica in onore di M. Pallottino, in “Archeologia Classica”, XLIII, , pp. -, che considera (pp. -, fig. ) il motivo a pelta inciso su rasoi quadrangolari (X-prima metà del IX secolo a.C.) alludente a scudi a lati rientranti e non a bipenni, come H. Müller-Karpe, Von Anfang Roms, Heidelberg , p. ; inoltre E. Borgna, Ancile e arma ancilia. Osservazione sullo scudo dei Salii, in “Ostraka”, II, , pp. -. Un frammento di scudo bilobato (l’elemento ovale di raccordo: cm  ⫻ ) è conservato tra i materiali visentini della collezione Paolozzi nel Museo Archeologico di Chiusi, inv. ., che può indurre a riferire a Bisenzio anche gli esemplari sporadici di Norchia, pubblicati da Colonna. Sugli scudi rotondi di lamina di bronzo: I. Strøm, Problems Concerning the Origin and Early Development of the Etruscan Orientalizing Style, Odense ; A. Geiger, Treibverzierte, Bronzerundschilde der italischen Eisenzeit aus Italien und Griechenland, in “Prähistorische Bronzefunde”, III, , ; Id., Die italischen Bronzeschildfunde, in Archäologische Untersuchungen zu den Beziehungen zwischen Altitalien und der Zone Nordwärts der Alpen während der frühen Eisenzeit Alteuropas. (Regensburg, November ), Regensburg , pp. -. Inoltre M. De Min, Documenti inediti dell’Italia antica, Treviso , p. . Sull’utilizzazione degli scudi di lamina, verosimilmente foderati di cuoio, esclusivamente a scopo cerimoniale, cfr. ad esempio M. Michelucci, Marsigliana d’Albegna. Circolo degli Avori, in M. Cygielman (hrsg.), Etrusker in der Toskana. Etruskische Gräber der Frühzeit, Hamburg , pp. -. Secondo A. Geiger (Treibverzierte, Bronzerundschilde der italischen Eisenzeit, cit., pp. -), un uso effettivamente bellico può essere ipotizzato per gli esemplari databili tra il  e il  a.C. La tomba DE - è presentata in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss., figg. , . Sull’elmo di Città della Pieve: A. Minto, I clipei funerari etruschi ed il problema dell’origine dell’imago clipeata funeraria, in “Studi Etruschi”, XXI, -, pp. -. Sulle fonti relative alle armature difensive romane: E. Peruzzi, Le origini di Roma, vol. II, Bologna , pp.  ss. Sulla presenza di figure principesche a Veio nella seconda metà dell’VIII secolo a.C.: A. De Santis, Da capi guerrieri a principi: la strutturazione del potere politico nell’Etruria protourbana, in Dinamiche dello sviluppo delle città nell’Etruria meridionale: Veio, Caere, Tarquinia, Vulci. Atti del XXIII convegno di studi etruschi e italici (ottobre ), in stampa.

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Sulle dediche di elmi e scudi nei santuari ellenici tra gli ultimi I. Strøm, A Fragment of an Early Etruscan Bronze Throne in Olympia, in “Proceedings of the Danish Institute at Athens”, III, , pp. -. Per la tomba  della Laurentina da ultimo A. Bedini, La tomba  dell’Acqua Acetosa Laurentina, in Carandini, Cappelli (a cura di), Roma. Romolo, Remo, cit., pp. -; sulla tomba Avvolta di Tarquinia: Hencken, Tarquinia. Villanovans and Early Etruscans, cit., pp.  ss., figg.  A-B; per la necropoli del Poggione di Castelnuovo Berardenga: E. Mangani, Castelnuovo Berardenga, Siena. L’orientalizzante recente in Etruria settentrionale: tomba A della necropoli principesca del Poggione (), in “Notizie degli Scavi”, -, pp. -. Sulla tomba Campana: G. Colonna, Gli Etruschi e l’invenzione della pittura, in M. A. Rizzo (a cura di), Pittura etrusca al Museo di Villa Giulia. Catalogo della mostra, Roma , pp. -. Per la tomba  di Castel di Decima, ancora sostanzialmente inedita: F. Zevi, A. Bedini, La necropoli di Castel di Decima, in “Studi Etruschi”, XLV, , pp.  ss. Sulle deposizioni di due o tre scudi, generalmente appoggiati alle pareti, cfr. ora Strøm, A Fragment of an Early Etruscan Bronze Throne, cit., p. , nota . Sulle scene rituali nella ceramica geometrica greca: E. Rystedt, Notes on the Rattle Scenes on Attic Geometric Pottery, in “Opuscula Atheniensia”, XIX, , pp. -. Per le offerte di scudi in piccole dimensioni in Grecia: F. Canciani, Bronzi orientali e orientalizzanti a Creta nell’VIII e VII sec. a.C., Roma , pp.  ss.; Snodgrass, Armi ed armature, cit., pp.  e . Deposizioni con “scudi” di terracotta in Etruria: . Vetulonia, tomba del Duce: diam. , ,  (Morigi Govi, a cura di, Principi etruschi, cit., nn. -); . Tarquinia, Macchia della Turchina, tomba  (M. Bonghi Jovino, a cura di, Gli Etruschi di Tarquinia, Milano , pp. -); . Tarquinia, scavo GAR; . Cerveteri, tomba Regolini Galassi (L. Pareti, La tomba Regolini Galassi del Museo Gregoriano Etrusco e la civiltà dell’Italia centrale nel sec. VII a.C., Città del Vaticano , pp.  ss.); . Cerveteri, necropoli di Monte Abatone, tomba : sepoltura della camera; . Veio, necropoli di Casal del Fosso, tomba , a camera a pianta trapezoidale; . Veio, necropoli di Casal del Fosso, tomba  a camera; . Veio, necropoli di Casal del Fosso, tomba  a camera con due banchine; . Veio, necropoli di Casal del Fosso, tomba  a camera; . Veio, necropoli di Casal del Fosso, tomba , tomba a pianta irregolare. Nel Lazio: . Ficana, tomba  a fossa; . Laurentina, tomba ; . Fidene, tre esemplari sporadici (Civiltà del Lazio primitivo, Roma ); ---. Castel di Decima, tombe , , ,  (?). Nell’agro falisco (P. Baglione, Il Tevere e i Falisci, in Il Tevere e le altre vie d’acqua del Lazio Antico, in “Archeologia laziale”, VII, , , pp.  ss.): . Narce, sepolcreto di Pizzo Piede, tomba  a fossa con loculo sepolcrale, nn. -; . Narce, sepolcreto di Pizzo Piede, tomba  a fossa con loculo; . Narce, Monte Cerreto, tomba  a camera con due deposizioni, maschile e femminile, e carro; . Narce, Monte Cerreto, tomba  a camera; . Narce, Petrina, tomba  a grande fossa quadrata, n. ; . Narce, Petrina, tomba  a grande fossa quadrata; . Faleri, necropoli della Penna, tomba  a camera con due sepolture in sarcofago scavato entro tronco d’albero, con coppia di scudi deposti all’interno, all’altezza del bacino dei defunti; . Nepi (D. Rizzo, Recenti ri-

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cerche nell’area di Nepi, in Identità e civiltà dei Sabini. Atti del XVIII convegno di studi etruschi ed italici, Firenze , pp. -). Per un’interpretazione di questi come utensili domestici: I. Falchi, Vetulonia, in “Notizie degli Scavi”, , p. : A. Bedini, L’insediamento della Laurentina. Acqua Acetosa, in A. La Regina (a cura di), Roma.  anni di civiltà, Verona , p. . Sulla deposizione di morsi: F. W. von Hase, Die Trensen der frühen Eisenzeit in Italien, “Prähistorische Bronzefunde”, XVI, , ; C. F. E. Pare, Wagons and Wagon-Graves of the Early Iran Age in Central Europe, in “Oxford University Committee for Archaeology”, Mon. , . Sui carri in Italia: E. Woytowitsch, Die Wagen der Bronze- und frühen Eisenzeit in Italien, in “Prähistorische Bronzefunde”, XVII, , ; A. Emiliozzi (a cura di), Carri da guerra e principi etruschi, Roma . Sull’introduzione del carro da corsa: P. Stary, Zum Bedetung und Funktion zweirädriger Wagen während der Eisenzeit in Mittelitalien, in “Hamburger Beiträge zur Archäologie”, , , pp. -; cfr. ora P. Stary, Early Iron Age Armament and Warfare. Near Eastern Influences from Aegean Via Etruria to Anadalucia, in Ancient Italy in its Mediterranean Setting, cit., pp. -. La tomba EE  B è presentata in “Notizie degli Scavi”, , pp. -. Sembra preferibile interpretare i modellini di carro fittile come carri da trasporto (Iaia, Simbolismo funerario e ideologia, cit., pp. - e ) più che come bighe (Trucco, Villa Bruschi Falgari, cit.). Per il lebete della tomba Bernardini: F. Canciani, F. W. von Hase, La tomba Bernardini di Palestrina, Roma , pp. -, n. . Sulle tombe reali di Salamina: V. Karagheorghis, Cipro “omerica”, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., pp. -, con riferimenti bibliografici. Per i resti di carro della tomba di Cuma-Fondo Artiaco : L. Cerchiai, G. Pescatori, G. d’Enry, in Emiliozzi (a cura di), Carri da guerra, cit., p. . Sulla fibula di Vulci a Monaco ( a.C. circa): M. Cristofani, M. Martelli (a cura di), L’oro degli Etruschi, Novara , pp.  e . Cfr. ora M. Pacciarelli, Raffigurazioni di miti e riti su manufatti metallici, in A. Carandini, Archeologia del mito. Emozione e ragione fra primitivi e moderni, Torino , pp.  ss., con una interpretazione suggestiva ma non probabile. Sul sostegno di Murlo: P. G. Warden, in S. Stopponi (a cura di), Case e palazzi d’Etruria, Milano , pp. -. Per la guerra in Grecia in età geometrica cfr. anche O. Murray, Early Greece, London . Per il piatto di Euforbo a Londra, British Museum: E. Simon, Die Griechischen Vasen, München , pp.  ss., tav. . Per la cavalleria a Roma, ad esempio, W. Helbig, Zur Geschichte des römische Equitatus, in “Bayerische Akademie der Wissenschaften. Philosophische-Historische Klasse. Abhandlungen”, , pp.  ss.; A. Alföldi, Il dominio della cavalleria dopo la caduta dei Re in Grecia ed a Roma, in “Rendiconti della Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti. Napoli”, XL, , pp.  ss.; A. Momigliano, An Interim Report on the Origins of Rome, in “Journal of Roman Studies”, , , pp.  ss. (trad. it. in Roma arcaica, Firenze , pp.  ss.); F. De Martino, Sulla storia dell’equitatus romano, in “Parola del Passato”, XXXV, , pp.  ss. Sull’importanza del possesso dei cavalli nell’aristocrazia etrusca, soprattutto del territorio vulcente, cfr. ad esempio G. Bartoloni, Palazzo o tempio? A proposito dell’edificio arcaico di Poggio Buco, in “AION. Archeologia e storia antica”,

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, , pp. -. Testimonianza ulteriore dell’importanza che almeno a Vulci e nel suo territorio doveva avere il possesso del cavallo è il recente rinvenimento nella stipe votiva di Banditella presso Vulci, il più antico deposito votivo (fine VIII-inizio VII secolo a.C.) per ora rinvenuto in Etruria, di un bronzo riproducente un cavallo bardato: V. D’Ercole, F. Trucco, Canino (Viterbo), località Banditella. Un luogo di culto all’aperto presso Vulci, in “Bollettino di archeologia”, -, , pp. -. Per le attestazioni di Ischia, Monte Vico e Mezzavia: J. N. Coldstream, Euboean Imports from Pithekussae, in “Annual of British School at Athens”, , , pp. -. Per la deposizione degli holmoi d’impasto: G. Bartoloni, Sulla provenienza degli “holmoi”, in Ead. (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio. Incontro di studio in memoria di Massimo Pallottino, Roma , pp. -. Una tipologia di holmoi in ambiente falisco in G. Benedettini, Note sulla produzione dei sostegni fittili nell’agro falisco, in “Studi Etruschi”, LXIII, , pp. -. Per le raffigurazioni di armi appese ai carri, cfr. ad esempio R. D. Barnett, M. Falkner, The Sculptures of Assur-Nasirapli II (- B. C.), Tiglath-Pileser III (- B. C.), Esarhaddon (- B. C.) from the Central and South West Palace at Nimrud, London , p. , tav. CXVI-CXVII; M. Mallowan, L. G. Davies, Ivories in Assyrian Style, Ivories from Nimrud II, Aberdeen , n. , tavv. XX-XXI (ad esempio, Barnett, Falkner, The Sculptures, cit., p. , tav. IX; p. , tav. XLIII; p. , tavv. CXVI-CXVII; cfr. anche S. M. Paley, R. P. Sobolewsky, The Reconstruction of the Relief Representations and their Positions in the Northwest-Palace at Kahlu (Nimrud), , Rooms I, S.T. West-wing, Mainz , tav. V,  e ); per gli avori: M. Mallowan, G. Hermann, Furniture from SW  Fort Shalmaneser, Ivories from Nimrud III, Aberdeen , pp. -; R. D. Barnett, A Catalogue of the Nimrud Ivories, London , S, tav. XVII; G. Hermann, Ivories from Room SW  FortShalmaneser, Ivories from Nimrud IV, vol. I, London , n. , tav. . L’ipotesi di Colonna è espressa in La formazione della città nel Lazio, cit., p. . Sull’iconografia del guerriero che sale sul carro, tra molti, J. R. Jannot, Les cités étrusques et la guerre, in “Ktema”, , , pp. -; C. Chateigner, Cortèges en armes en Etrurie. Une étude iconographique de placques de revêtement architectonique étrusques du VIe siècle, in “Revue Belge de Philologie et d’Histoire”, LXVII, , pp. -; B. d’Agostino, Dal palazzo alla tomba. Percorsi della imagerie etrusca arcaica, in Miscellanea etrusca e italica, cit., pp. -; M. Torelli, I fregi figurati delle regiae latine ed etrusche. Immaginario del potere arcaico, in “Ostraka”, II, , pp. -. G. Colonna, in Emiliozzi (a cura di), Carri da guerra, cit., p. ; da ultimo M. Martelli, Nuove proposte per i Pittori dell’Eptacordo e delle Gru, in “Prospettiva”, , , pp.  ss., con riferimenti. Tale tipo di raffigurazione (corteo di guerriero sul carro), che riflette, come si è detto, costumi bellici tradizionali, è ancora attestato ad Atene sullo scorcio del VI secolo, come dimostra un rilievo riutilizzato nella costruzione delle mura di Temistocle (base di statua funeraria MN : A. M. D’Onofrio, Un “programma” figurativo tardo-arcaico (le basi ateniesi con “Ballspielenen” riconsiderate), in “AION. Archeologia e storia antica”, , , pp. -). Tale corteo è stato interpretato come puro motivo ornamentale (A. Philadelpheus, Bases archaïques trouvées dans le mur de Thémistocle à Athènes, in “Bulletin de correspondance

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hellénique”, , , pp. -), come rappresentazione di un agone (D’Onofrio, Un “programma” figurativo, cit., p. ) oppure prevalentemente come corteo funebre (D. Woysch-Méautis, La représentation des animaux et des êtres fabuleux sur les monuments funéraires grecs (de l’époque archaïque à la fin du IV siècle av. J. C.), Lausanne , p. , con bibliografia). Sull’origine del trionfo: H. S. Versnel, Triumphus. An Inquiry into the Origin, Development and Meaning of the Roman Triumph, Leiden ; L. Warren Bonfante, Roman Triumphs and Etruscan Kings: The Changing Face of the Triumph, in “Journal of Hellenic Studies”, , , pp. -; da ultimo F. Zevi, Demarato e i re “corinzi” di Roma, in A. Storchi Marino (a cura di), L’incidenza dell’antico. Studi in memoria di Ettore Lepore, Napoli , pp. -, con bibliografia. A favore del racconto plutarcheo, ad esempio, C. Ampolo, M. Manfredini (a cura di), Plutarco. Le vite di Teseo e di Romolo, Milano , p. . Sulla caccia in Etruria: G. Camporeale, La caccia in Etruria, Roma ; in Grecia cfr. ad esempio A. Schnapp, Pratiche e immagini di caccia nella Grecia antica, in “Dialoghi di Archeologia”, n. s. , , pp. - o Coldstream, Warriors, Chariots, Dogs and Lions, cit. Per le punte di freccia di Populonia: A. Romualdi, in Emiliozzi (a cura di), Carri da guerra, cit., p. . Per la deposizione di cani in tombe: G. De Marinis, Topografia storica della Val d’Elsa in periodo etrusco, Firenze , p.  (Monteriggioni); A. M. Sgubini Moretti, La tomba del carro di Vulci, in Torelli (a cura di), Gli Etruschi. Catalogo della mostra, cit., p.  (Vulci). Per le analisi faunistiche: J. De Grossi Mazzorin, in G. Bartoloni, G. C. Cianferoni, J. De Grossi Mazzorin, Il complesso rurale di Campassini (Monteriggioni): considerazioni sull’alimentazione nell’Etruria settentrionale nell’VIII e VII secolo a.C., in Aspetti della cultura di Volterra etrusca fra l’età del ferro e l’età ellenistica e Contributi della ricerca antropologica alla conoscenza del popolo etrusco (Volterra ). Atti del XIX convegno di studi etruschi e italici, Firenze , pp.  ss. Sulle asce incise sui rasoi: V. Bianco Peroni, I rasoi nell’Italia continentale, in “Prähistorische Bronzefunde”, VIII, , , nn. , , -, , , , spesso collegati alla caccia dai motivi (animali e cacciatori) incisi sul dorso opposto della lama. Sulle asce dell’Etruria settentrionale: A. M. Esposito (a cura di), Principi guerrieri. La necropoli etrusca di Casale Marittimo, Milano , pp. -; per la tomba Campana: Colonna, Gli Etruschi e l’invenzione della pittura, cit. Sui rituali di passaggio che i giovani devono superare per accedere alla condizione di adulto: F. H. Massa Pairault, Les jeux équestres de Poggio Civitate, in “Ktema”, , , pp. -; F. Lissarague, L’autre guerrier. Archers, peltastes, chevaliers dans l’imagerie antique, Paris-Rome , pp.  ss.; M. Cristofani, Paideia, aretè e metis: a proposito della Pania, in “Prospettiva”, -, , pp. ; L. Cerchiai, Le tombe a cubo dell’età tardo-arcaica della Campania settentrionale, in S. Marchegay, M. H. Dinahet, J. F. Salles (éds.), Nécropoles et pouvoir. Idéologie, pratiques et interprétations, Paris , pp.  ss. Sugli strumenti da carpentiere in tombe di guerrieri: B. d’Agostino, Tombe “principesche” dell’Orientalizzante antico da Pontecagnano, in “Monumenti Antichi dei Lincei”, serie miscellanea II, , , p. , fig. ; p. , fig. ; F. Buranelli, Utensili per la lavorazione del legno in due tombe villanoviane da Veio, in

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.

C A R R I , C AVA L L I E A R M AT U R E

“Archeologia Classica”, XXXI, , pp. -, con confronti in ambito italico; L. Cerchiai, Una tomba principesca del periodo orientalizzante antico a Pontecagnano, in “Studi Etruschi”, LIII, , pp. -; A. M. Chieco Bianchi, L. Capuis, Este I. Le necropoli casa di Ricovero, casa Muletti Prosdocimi e casa Alfonsi, “Monumenti Antichi dei Lincei”, serie monografica II, Roma , pp.  ss.; L. Capuis, Per un’“archeologia della morte” nel mondo paleoveneto: limiti e prospettive di ricerca, in “Aquilieia nostra”, LVII, , c. ; G. Bartoloni, recensione a G. Buchner, D. Ridgway, Pithekoussai I. La necropoli: tombe - scavate dal  al , “Monumenti Antichi dei Lincei”, serie monografica IV, Roma , in “Archeologia Classica”, XLVI, , pp. -. Sulle diverse funzioni delle asce: Peroni, Introduzione alla protostoria, cit., pp.  ss. Per la presenza di asce in tombe femminili di Veio: Drago, in Bartoloni, Berardinetti, De Santis, Drago, Veio tra IX e VI secolo a.C., cit., p. ; A. Berardinetti, L. Drago, La necropoli di Grotta Gramiccia, in Bartoloni, Le necropoli arcaiche di Veio; cit. Una funzione dell’ascia in relazione alla spartizione delle carni in tombe di armati dell’Etruria e del Lazio è ipotizzata in G. Bartoloni, A Few Comment on the Social Position of Women in the Protohistoric Coastal Area of Western Italy Made on the Basis of a Study of Funerary Goods, in International Symposium Physical Anthropology and Prehistoric Archaeology. Their Interaction in Different Context in Europe from the Later Upper Palaeolithic to the Beginning of Historical Times (Roma ), Supplemento della “Rivista di Antropologia”, LXVI, , p. , con bibliografia. Sul significato militare e religioso della bipenne in ambito greco, cfr. ad esempio J. P. Crielaard, Some Euboean and Related Pottery in Amsterdam, in “Bulletin Antieke Beschaving. Annual Papers on Classical Archaeology”, , , pp. -. Per la bipenne in Etruria da ultimo E. Tassi Scandone, Verghe, scuri e fasci littori in Etruria. Contributi allo studio degli Insignia Imperii, Firenze , pp.  ss. Sulla presenza di doppie asce in miniatura a Pitecusa: Bartoloni, recensione a Pithekoussai I, cit., pp. -: degno di interesse il confronto, sempre in ambito greco periferico, con il corredo della tomba macedone di Vojnik (Kumanovo), attribuito da Kilian al Mazedonische Eisenzeit IB (antico e medio geometrico), dove sono attestate tre doppie asce di bronzo in miniatura (K. Kilian, Trachtzubehör der Eisenzeit zwischen Ägäis und Adria, in “Prähistorische Zeitschrift”, , , p. , fig. , -; asce in miniatura sono attestate anche nella necropoli di Vergina: M. Andronikos, Vergina I, Athens , pp. -). Doppie asce nei santuari ellenici: H. Philipp, Bronzeschmuck aus Olympia, in “Olympische Forschungen”, XIII, , pp. -. Per i segni premonetari: N. Parise, Verso l’introduzione della moneta nell’antica Grecia, in AA.VV., Il denaro, Roma , pp.  ss. Sulla diffusione dell’offerta dell’obolo di Caronte: G. Bergonzi, P. Piana Agostinetti, L’obolo di Caronte. Aes rude e monete nelle tombe: la pianura padana tra mondo classico e ambito transalpino nella seconda età del ferro, in “Scienze dell’Antichità”, I, , pp. -.



 Il vino e le aristocrazie dell’Italia centrale tirrenica

Come si è cercato sinora di dimostrare, tra VIII e VII secolo a.C. il decollo delle aristocrazie tirreniche coincide con l’accoglimento in Etruria e nel Lazio di modi di vivere greci e orientali e di rituali eroici di stampo omerico, diffusi, secondo J. N. Coldstream, soprattutto attraverso la circolazione dei poemi stessi. Gli aristocratici indigeni stabilirono con i primi immigrati greci (e fenici) rapporti tali da assorbirne inizialmente tecniche e modelli figurativi e ben presto modelli più propriamente culturali, con l’introduzione della scrittura, di un nuovo metodo di banchettare, di un’ideologia funeraria eroica, cioè di un nuovo modo di vivere aristocratico, tali da mutare profondamente la fisionomia della società. La novità maggiore è indubbiamente quella della scrittura, che però, se si eccettua il documento, legato ancora alla pre-colonizzazione, di Osteria dell’Osa, non offre per l’VIII secolo ancora attestazioni sicure. Il fenomeno più vistoso è quello del consumo del vino nelle cerimonie pubbliche e private. Anche le fonti su Roma antica ci indicano tale cambiamento: se Romolo libava ancora con il latte, Numa introduce la viticoltura. Come ha messo in rilievo Oswin Murray, il mondo descritto nei poemi omerici è strutturato intorno ai riti della commensalità. Gli alimenti più simbolici sono la carne e il vino, riservati a circostanze speciali e consumate in certi riti. È stato precedentemente già messo in evidenza come la carne sia da considerare un alimento solo occasionale per la maggior parte della popolazione antica e come nelle fonti letterarie (specie quelle relative alla Grecia arcaica) il gesto di consumare la carne e offrire un sacrificio si confondano e si identifichino interamente con le forme elementari della socialità. Le occasioni di banchettare non dovevano essere rare: «si tratta di ricorrenze comuni regolate da un complesso calendario delle festività» (Murray, , p. ). Nel periodo storico, il banchetto vero e proprio, con il consumo di carne e bevande, sembra decisamente distinto dal simposio, accompa

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gnato generalmente dai discorsi o da altri rituali sociali. L’elegia e la poesia lirica nascono nelle cerchie di aristocratici che bevono insieme. Il greco si differenzia nel bere vino dal barbaro, che vi si abbandona in maniera eccessiva, per il consumo ritualizzato di questa bevanda, che viene assunta allungata con l’acqua e durante occasioni specifiche: «Alcinoo disse all’araldo: mescola il vino con acqua nel cratere e distribuiscilo a tutti e libiamo a Zeus» (Odissea, VII,  ss.). Già in Omero, la compostezza di Alcinoo e degli Achei a banchetto «è contrapposta alla disastrosa inumanità di chi ignora che bere è un atto di civiltà» (Della Bianca, Seta, , p. ). Il sympòsion appare quindi come una «pratica d’intrattenimento conviviale centrata sul consumo del vino» (Lombardo, , p. ). Tale costume, momento importante di socializzazione e di aggregazione, è stato considerato «l’espressione originale tra VIII e VII secolo a.C. di uno stile di vita aristocratico legato all’emergere di una vera e propria aristocrazia, come ceto (o ordine) sociale che tende a riconoscersi, definirsi e distinguersi» (Vetta, , p. XL). A partire dalla fine dell’VIII secolo a.C. una serie notevole di vasi, tazze (kàntharoi) o coppe per bere, brocche per versare (oinochòai) e contenitori per mischiare acqua e vino (crateri) documenta l’uso diffuso di bere vino nelle cerimonie anche funerarie dell’Italia centrale tirrenica.

. Le importazioni di coppe euboiche o cicladiche La testimonianza materiale più rilevante del consumo del vino nei banchetti funerari dei personaggi eminenti delle comunità dell’Italia centrale tirrenica è la presenza nei corredi funerari di un tipo particolare di coppa biansata, di produzione medio e tardo-geometrica greca, dapprima d’importazione (euboica per lo più) poi d’imitazione locale, indubbio segno di «rapporti di ospitalità, di usi acquisiti dall’esterno e forse della presenza occasionale dei Greci in quelle località» (Cordano, , p. ). Più recentemente, David Ridgway ha ribadito, accanto allo scambio di doni, l’importanza della partecipazione a cerimonie e rituali, «con tutto ciò che tali attività comportano di modi particolari (e le apposite attrezzature) per bere vino» nei rapporti di “affari” tra coloni greci e aristocratici indigeni (Ridgway, , p. ). Le coppe più antiche (dalla fine del IX secolo a.C.) presentano tra le anse un motivo a semicerchi pendenti, il cui tipo però sembra perdurare ancora oltre la metà del secolo, come ad esempio gli esemplari di VeioQuattro Fontanili: le più recenti, con una decorazione definita a che

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vrons, dal caratteristico motivo decorativo nelle zone tra le anse, risultano di produzione prevalentemente euboica (Lefkandi, Eretria, Calcide), ma anche attica, corinzia e cicladica. Bruno d’Agostino ha recentemente messo in evidenza come ciascun centro tirrenico mostri relazioni con diversi centri dell’Eubea e delle Cicladi e che questi «legami preferenziali con centri diversi siano stati intrattenuti da diverse gentes, secondo quel particolarismo di comportamenti che è proprio del periodo che precede la colonizzazione» (d’Agostino, , p. ). Meno diffuse sono le coppe, sempre di origine euboica, di uguale forma, ma con metope a uccello dipinto sulla vasca tra le anse. In termini di cronologia relativa e assoluta, come stabilita per la sequenza egea, gli skyphoi (coppe) a chevrons sostituiscono quelli a semicerchi pendenti prima della metà dell’VIII secolo a.C. La connessione di queste coppe con il consumo del vino, e quindi con i riti della commensalità, viene ribadita da vasi indigeni, leggermente recenziori, rinvenuti in corredi di Pitecusa e legati indubbiamente alla funzione di bere: anforette con spirali incise dall’Etruria o dal Lazio e tazzine ad ansa bifora, con funzione di attingitoio, dal territorio tarquiniese-vulcente e dall’area laziale, per cui si è pensato a spostamenti di genti indigene nell’isola (ma non è da escludere si possa trattare della testimonianza di scambi). L’analogia nella funzione tra anforette a spirali d’impasto e coppe biansate d’argilla può essere provata da due deposizioni di Castel di Decima, le tombe  e , ambedue riferibili a donne eminenti nell’ambito della comunità, rispettivamente riferibili all’orientalizzante antico e a quello medio: ambedue le tombe presentano nella zona riservata al servizio da banchetto del corredo una sorta di “cassetta” contenente l’una  coppe, l’altra una cinquantina di anforette. Alla luce degli studi di ceramica euboica più recenti, appare chiaro che bisogna riconoscere una fase di rapporti con i Greci precedente all’impianto pitecusano ( a.C. circa), che nell’Italia centrale tirrenica coinvolge soprattutto la bassa valle tiberina. A Veio, a Roma e a Ficana vengono importate coppe a semicerchi pendenti di produzione mediogeometrica. Ma se nel centro etrusco si trovano in deposizioni funerarie, testimonianza probabile del consumo di vino nella cerimonia funebre, a Roma e Ficana sono attestate in contesto d’abitato, rispettivamente dal supposto empòrion del Foro Boario e dall’insediamento capannicolo in uso dall’inizio dell’VIII secolo a.C. Tale fenomeno è stato spiegato con una certa resistenza nel Lazio a introdurre nuove forme ceramiche nell’ambito funerario, a differenza di quanto si può dire per l’ambito villanoviano sia tosco-laziale che saler

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nitano, dove la ceramica di tipo greco appare pienamente accettata nel costume locale sia nella società dei vivi che in quella dei morti. A Roma, invece, la produzione di vasi in argilla depurata dipinta sin dalla prima fase avviene preferibilmente in forme locali: anforette, brocchette globulari (ad esempio, i corredi XXX e XXXI dell’Esquilino, rispettivamente con una brocchetta globulare e con anfora e brocchetta globulare, inseriti all’inizio della sequenza delle tombe attribuite al III periodo laziale, contemporaneamente alle più antiche importazioni). A Osteria dell’Osa, sempre nel Lazio, la citata brocca con iscrizione in alfabeto greco della tomba , tipologicamente estranea al contesto di rinvenimento e alle aree circostanti, è stata spiegata come l’adattamento locale alle brocche di vino, usate in ambiente euboico per l’ultima libagione. La tomba  è stata riferita a una donna straniera. A Veio come a Tarquinia, invece, crateri d’impasto sembrano testimoniare sin dalla fine del IX secolo a.C. la conoscenza delle usanze cerimoniali elleniche. Possiamo quindi ritenere che prima della presenza organizzata di genti greche a Pitecusa e quindi della fondazione di Cuma, singoli individui euboici abbiano avuto stretti rapporti con Veio, a cui va attribuito in questo periodo il predominio dei traffici sul Tevere sia dal mare che dall’interno, e nell’Etruria marittima con Tarquinia. Una presenza di manufatti e maestranze greche a Tarquinia è ben spiegabile con i frequenti contatti di questo centro con l’Italia meridionale, più direttamente interessata dalla colonizzazione greca. Oltre agli oggetti greci, infatti, continuano a essere importati vasellame e ornamenti, quali le fibule a quattro spirali, di produzione meridionale: indicativa, nella tomba  di Selciatello di Sopra, l’associazione di una brocchetta enotria decorata a tenda con una coppa a ornati geometrici di importazione greca. Sono stati individuati nei primi rapporti tra i Greci e le comunità dell’Etruria e del Lazio tre momenti: il primo precedente la colonizzazione, il secondo contemporaneo e il terzo legato alle prime generazioni dei coloni. Il più antico (fine IX-inizio VIII secolo a.C.) è documentato dall’importazione di coppe a semicerchi penduli, dall’imitazione della forma del cratere e dall’inizio della produzione di ceramica dipinta: le comunità indigene apparivano già articolate e in grado di gestire un traffico di materie prime, alla base di tutti questi rapporti, e di recepire modelli culturali allogeni. È probabile che questi movimenti dalla Grecia siano dovuti a prospectores «che operavano al di fuori delle gerarchie dei luoghi d’origine» (d’Agostino, , p. ). Il secondo momento, inquadrabile nei decenni centrali dell’VIII secolo a.C., appare caratterizzato dall’importazione e imitazione di manufatti euboici (coppe, hydrìai) accanto alla produzione di tipi locali d’im

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pasto dipinto, soprattutto brocche. L’ultimo (seconda metà dell’VIII secolo) vede un consolidamento e un incremento, accanto alle importazioni, delle produzioni locali, sia d’imitazione di tipi greci in argilla depurata che di nuove fogge d’impasto dipinto: esemplificativo il gruppo delle brocche a bocca tonda di Tarquinia.

. L’introduzione della viticoltura È opinione diffusa che si debba ai Greci l’introduzione della viticoltura in Etruria e nel Lazio. La vitis silvestris è nota in Italia già dal neolitico e la vitis vinifera è attestata almeno dal IX secolo a.C., come dimostrano le analisi paleobotaniche dell’abitato del Gran Carro sul lago di Bolsena. Alcune testimonianze letterarie (Catone, Origines, ; Varrone citato da Plinio, XIV, ; Dionigi di Alicarnasso, I, , ; Ovidio, Fasti, , -; Plutarco, Quaestiones romanae, ; Origo gentis Romanae, XV, -) ed epigrafiche (Fasti Praenestini-CIL, I, p. ) riferiscono del tentativo del mitico re di Caere Mezenzio di ottenere dai Rutuli un tributo di vino. La parola etrusca vinum viene fatta derivare dalla lingua dell’area tiberina, uinom, ricorrente in un testo della metà del VII secolo a.C. «Mentre il nome del vino appartiene ad una fase di contiguità culturale [degli Etruschi] con il mondo laziale, precedente forse alla colonizzazione greca, la cultura che si elabora intorno ad esso appare ellenizzante» (Cristofani, , p. ). L’affinità del modo di definire tale bevanda, a cui si aggiunge la notizia dell’introduzione della viticoltura ad opera di Numa Pompilio, re di origine sabina, largamente confortata cronologicamente dalle fonti archeologiche, farebbe del resto pensare a un contatto fra etrusco e latino precedente all’alfabetizzazione e quindi all’impatto con il mondo greco. Recentemente, Luciano Agostiniani ha però dimostrato che la parola etrusca vinum deve essere considerata prestito dal greco oinos, riconducendo l’inizio della cultura del vino alla colonizzazione. Certo è che in questo periodo è attestata, in Etruria soprattutto, ma anche tra le altre popolazioni dell’Italia tirrenica, la produzione di vasi adatti a questa bevanda e alle cerimonie connesse: crateri, olle, sostegni, tazze a due manici (kàntharoi), imitanti più o meno fedelmente modelli greci. Michel Gras riporta alla fine dell’VIII secolo a.C. l’attestazione più antica di kàntharoi locali, che, come hanno sostenuto sia Paul Courbin che John Nicolas Coldstream, non sembrano derivare da prototipi greci, di qualsivoglia produzione. Il legame con modelli metallici può veni

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re da una delle attestazioni più antiche, quella dell’esemplare in argento della tomba del guerriero di Tarquinia ( a.C.), molto simile nella forma alle analoghe tazze della stessa tomba e associato a una tazza ad ansa sormontante (kyathos), analogamente in metallo nobile, parte del pregiato servizio da bere del principe ivi deposto. Da ricordare a questo proposito è il nome locale, zavena, del kàntharos, rispetto ad altri connessi al bere vino, come thina-olla, per cui è facile il riferimento al dinos greco, o qutum-brocca, derivato da kothon. Come si è già ribadito, alle genti egee che frequentavano le coste tirreniche si deve attribuire l’introduzione dell’uso del banchetto e soprattutto una più ampia somministrazione e consumo di vino nella vita quotidiana e nei rituali funerari: l’ideologia del banchetto si può definire l’espressione più preziosa dello stile di vita dell’aristocrazia, sia di quella greca che di quella etrusca e latina (Rathje, ). A quest’epoca e al contatto con gente straniera si deve riferire probabilmente, più che l’introduzione della viticoltura, l’inizio della coltura intensiva della vite, che si organizzerà soprattutto nel VII secolo a.C.: è stato osservato che il modo di coltivare la vite in Etruria proverrebbe, secondo le fonti latine, dai colli napoletani, l’area cioè dell’euboica Cuma. Lo sviluppo della viticoltura organizzata nell’Italia antica e nella stessa Etruria dopo l’arrivo dei Greci a Pitecusa e in Campania trova conferma a Punta Chiarito di Ischia, dove, presso una “fattoria” in uso dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C., due piccole fossette circolari sono state interpretate come tutori per sostenere le viti, quindi testimonianza della coltivazione appoggiata al palo, tecnica attestata generalmente nelle zone greche e grecizzate. Recenti analisi su strumenti bronzei (falcetti pennati), in coincidenza con la produzione di vasi a forma di cratere, hanno fatto ribadire, per l’introduzione della vite in Etruria, un’anticipazione almeno alla fine del IX secolo a.C. La coltivazione della vite (come quella dell’olivo, la cui introduzione nell’Italia tirrenica sembra ancora più tarda) richiede forti capitali d’impianto e adeguate recinzioni. Per quanto riguarda il vino, invece, non si può escludere la sua derivazione dalla vitis vinifera silvestris, la specie maggiormente attestata, per ora, nei giacimenti dell’età della pietra recente e nell’età del bronzo; nondimeno, la mancanza nei diversi scavi di residui solidi (vinacce), che dovrebbero abbondare utilizzando frutti di tale vite, e la necessità di una maggiore quantità di uva che si sarebbe dovuta utilizzare rispetto a quella della vitis vinifera sativa, comprendente tutte le varietà coltivate in età storica, e quindi un notevole impiego di mano d’opera, non permettono di confermare lo sviluppo della coltivazione della vite già in epoche così antiche. 

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La notevole quantità di residui di vite in depositi antropici potrebbe essere determinata anche dalla sola commestibilità dell’uva. Non bisogna dimenticare altre possibili utilizzazioni, anche in campo medicinale, come testimonia Plinio (Naturalis historia, XIV, -) per l’epoca romana.

. Bere seduti: la tomba  di Veio-Casal del Fosso Nell’epopea omerica i signori bevono seduti: Alcinoo seduto «sul trono beve vino come un immortale» (Odissea, VI, ). In Italia, la più antica raffigurazione connessa con il consumo del vino è quella del gruppo enfaticamente posto sul coperchio del cinerario di Montescudaio (presso Volterra), inquadrabile nel secondo quarto del VII secolo a.C.: l’uomo è seduto su un trono, mentre la donna somministra il vino. La funzione della donna di distributrice di questa bevanda appare confermata dalle iscrizioni sulle olle, definite di pertinenza femminile dalle iscrizioni. L’adozione dell’uso di bere vino seduti su troni appare, però, in base alle analisi dei corredi funerari, più antica di almeno tre generazioni. Una serie di coppe emisferiche per lo più in metallo prezioso, ma anche in impasto, caratterizzano, come ha sottolineato recentemente Annette Rathje, tombe di guerrieri e “principesche”. Queste coppe, che si possono «facilmente tenere in una mano per bere» (Rathje, , p. ), trovano ampia documentazione sulle raffigurazioni di avori o sui rilievi dei palazzi assiri già dal IX secolo a.C. Questa forma appare ancora attestata nel più recente fregio di banchetto di Murlo (FIG. .). Nella ricca tomba  di Casal del Fosso, di cui è stata già evidenziata la pertinenza a un basilèus, la coppa in argento è associata con un poggiapiedi di lamina di bronzo, elemento, come ha giustamente notato Giovanni Colonna, collegato al trono e di questo, nel caso di assenza, probabile indicatore. Del corredo, inquadrabile tra la fine del villanoviano e l’inizio dell’orientalizzante (/), fa parte anche un lebete, mentre non sembrano attestati oggetti legati più specificatamente al banchetto carneo, quali coltelli, alari o spiedi. È evidente un voluto riferimento al consumo del vino, che avvalora l’ipotesi di una connessione tra il calderonelebete e il vino. Il riferimento a modelli reali orientali è avvalorato dalla presenza del flabello, che si trova analogamente nei rilievi dei palazzi neoassiri. Alla stessa tomba è stato attribuito (Brown, Müller-Karpe) un rytòn a testa leonina di importazione orientale (Rathje, ), verosimilmente prodotto a Sam’al (Zincirli, Turchia), che trova confronto nei ri

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. Rilievi del palazzo di Sargon II

FIGURA

lievi del palazzo di Sargon II, datato intorno al  a.C., con scene di simposi ufficiali (FIG. .). Purtroppo, l’associazione proposta nella prima esposizione del corredo al museo di Villa Giulia non viene confermata dalla lettura del giornale di scavo, anche se non deve essere esclusa: è interessante, in ogni modo, che a Veio, alla fine dell’VIII secolo, analogamente al palazzo di Sargon siano utilizzati vasi da bere di carattere indubbiamente cerimoniale. Sia che questo oggetto vada considerato un dono tra capi sia un’attestazione di un’avvenuta cerimonia per suggellare un rapporto d’affari, è palese il suo riferimento al rituale del bere vino. 

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Colonna ha sostenuto l’uso comune di banchettare seduti ancora per tutto il VII secolo a.C. Una testimonianza della prevalenza dell’usanza di banchettare seduti in Etruria negli anni centrali del VII secolo potrebbe venire anche dal tipo di strutture rotonde con banchine alle pareti, attestate in ambiente funerario negli atri delle tombe degli Animali Dipinti o della Mercareccia, in ambiente urbano forse nella casa con recinti di Roselle, tutte planimetrie considerate ancora legate alla tradizione, rispetto all’architettura coeva. In Grecia sono state riconosciute (Cooper, Morris, ) nei santuari alcune costruzioni rotonde per «ritual dining in sanctuaries», che si affiancherebbero ad altre rettangolari: quelle rotonde con sedili, le altre «for reclining on a kline arrangement».

. Il banchetto sdraiato: la tomba  di Castel di Decima Due sono considerati gli indicatori distintivi della commensalità greca nel periodo storico: la posizione sdraiata e la separazione tra il mangiare e il bere. Secondo recenti studi, quest’uso può essere rialzato anche in Occidente almeno alla fine dell’VIII secolo a.C. L’uso di banchettare sdraiati sui letti comincia infatti nel Vicino Oriente nell’VIII secolo a.C. Nell’ambiente fenicio ambedue i modi di banchettare, seduti o distesi, erano praticati nell’VIII secolo a.C. È probabile che le due pratiche in Italia coesistessero almeno fino all’inoltrato VII secolo. Le prime manifestazioni del banchetto di tipo sdraiato nel Mediterraneo orientale e occidentale sono state messe in relazione con il noto passo biblico (Amos, , -) in cui il profeta Amos (-), condannando la pubblica amministrazione di Sion, ci mostra uno spaccato della vita dei signori orientali nel pieno VIII secolo a.C.: «Essi, che giacciono su letti d’avorio e poltriscono sui loro divani, che mangiano agnelli del gregge e vitelli nella stalla [...] Essi, che bevono nelle coppe da vino e con il più fino degli unguenti si ungono». Tale descrizione trova riscontro nelle coeve scene di vita aristocratica costituenti la decorazione di numerose patere metalliche di produzione fenicio-cipriota: sui diversi registri della coppa Cesnola , ad esempio, è raffigurato un banchetto reale all’aperto: il re e i suoi cortigiani sono distesi rispettivamente su un letto e su materassi posti sul pavimento, mentre nella festa della regina tutti sono seduti sul carro, mostrando già un esempio di uomini distesi e donne sedute a banchetto, esattamente come nelle più tarde rappresentazioni greche ed etrusche. 

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La posizione sdraiata nel banchetto appare come un privilegio del re e di qualche dignitario detenente particolare autorità; analogamente allo stare seduto sul trono e al correre sul carro, il banchettare sdraiato è prerogativa reale. Gli studiosi non sono concordi sull’origine del banchetto disteso. Tale usanza appare molto estesa e confermata dai rinvenimenti in Oriente. «È probabile che gli Assiri abbiano adottato l’uso del bere sdraiati dalle recenti conquiste degli Stati levantini dove la kline era usuale» (Reade, , p. ). Nella raffigurazione sui palazzi reali di beni catturati dagli Assiri in Fenicia si possono anche vedere i tipi di oggetti legati al banchetto, prodotti in area levantina e importati anche in Italia. Secondo Dentzer, è in Siria che si deve cercare il centro di diffusione del nuovo costume sia verso est che verso ovest, in particolare verso Cipro. Recentemente, Murray ha visto nella coppa rodia tardo-geometrica della tomba  della necropoli pitecusana di San Montano, con iscrizione metrica (cosiddetta coppa di Nestore), «the earliest evidence from a distinctively sympotic life-style» in ambito greco (Murray, , p. ), in cui si promette a chi berrà da essa il godimento dei piaceri di Afrodite, e confrontando la profezia di Amos con il testo della coppa, fa derivare sia la lirica greca che quella ebraica dall’influenza fenicia. La tomba  è pertinente a un giovane di - anni, di una famiglia di origine almeno in parte orientale; al corredo appartengono, oltre alla coppa rodia, aryballoi, aryballoi “levantini” (rodio-cretesi) del protocorinzio antico, quattro crateri e un vaso d’impasto d’importazione peninsulare, che dimostra i contatti di questo gruppo con le genti indigene dell’Italia centrale tirrenica. Un frammento di Archiloco sembra convalidare l’ipotesi rialzista di Murray, attribuendo l’uso del banchettare sdraiati in ambito greco almeno all’inizio del VII secolo a.C.: «Sul legno è il mio pane impastato, e qui sul legno il mio vino d’Ismaro, sul legno sdraiato io bevo» (Archiloco, fr.  D. =  LB). Le analisi dei materiali fenici rinvenuti sulle coste tirreniche presentate via via da studiosi di materiale punico, quali Bisi, Ciasca, Botto, Bartoloni, Docter e Niemeyer, inducono a proporre alcune brevi considerazioni sul banchetto in Italia e sulla tomba  di Castel di Decima, il cui corredo, pubblicato in modo più che esauriente da Fausto Zevi nel , è stato oggetto di un nuovo restauro. Elemento caratterizzante questo ricco contesto funerario è la commistione di elementi fenici e greci: da una parte l’anfora vinaria e il tripod bowl, dall’altra le coppe tipo Thapsos e la coppa biansata (skyphos o kotyle) d’argento. Tipici dell’ambiente greco fenicizzato risultano inoltre gli aryballoi del tipo spaghetti style, verosimilmente prodotti da 

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Fenici stabilitisi a Rodi (a Ialiso). Questa deposizione appare la prova tangibile delle forme di coesistenza e collaborazione, ben visibili a Pitecusa e chiaramente attestate in Omero, tra Greci e Fenici; come ha ribadito Alfonso Mele, «i Fenici navigano in acque greche, raggiungono porti greci, si fanno accompagnare da Greci e in patria e nei loro viaggi di commercio» (Mele, , p. ). Del resto, già Ettore Pais aveva messo in evidenza come, ancor più che dalle bellezze della terra e del cielo e dall’eccellenza delle acque, i Calcidesi e gli Eretriesi furono probabilmente attratti dalle opportunità commerciali che Ischia era in grado di offrire. Come ha già messo in rilievo Fausto Zevi, questi tipi di anfore, caratterizzanti i complessi emergenti delle necropoli laziali costiere e tiberine, specie Castel di Decima, Ficana e Acqua Acetosa Laurentina, non sono attestati prima dell’ultimo quarto dell’VIII secolo a.C.: non sono infatti testimoniati nei due complessi principeschi di Castel di Decima pertinenti alla fase di passaggio fra III e IV periodo laziale, ambedue del tipo a fossa con loculo per ricevere il numeroso corredo vascolare: la tomba di guerriero  e la tomba , con ricco set di vasellame metallico riferibile a una signora di pari status. La presenza più antica di questi contenitori, quindi, deve essere connessa con l’inizio dell’uso del simposio in ambito laziale: il contesto più antico appare, alla luce delle nostre conoscenze, quello della tomba , datato all’ultimo quarto dell’VIII secolo a.C. Questo e gli altri contenitori di vino derivati da prototipi levantini della tarda età del bronzo sono stati da ultimo riferiti a produzione cartaginese, piuttosto che sarda o direttamente orientale. L’arrivo sulle coste laziali potrebbe essere stato mediato dal contingente fenicio di Pitecusa, nella cui necropoli sono attestate anfore identiche. Associata all’anfora di tipo fenicio e strettamente connessa nella pratica conviviale appare la coppa tripodata, utilizzata per la riduzione in polvere di sostanze (spezie o essenze vegetali) da miscelare con il vino. Testimonianza dell’uso nei banchetti delle coppe a tre piedi è nel celebre rilievo del Palazzo Nord di Ninive, con scena di banchetto all’aperto di Ashurbanipal con la regina (circa - a.C.), dove tale vaso è appoggiato al centro sopra il grande sostegno o trasportato da una delle ancelle. Più strettamente connesso con il mondo greco appare invece l’uso di grattugiare formaggio nel vino, conosciuto nei poemi omerici (Iliade, XI,  ss.) e attestato in Eubea dall’inizio del IX secolo a.C., in contesti di guerrieri in cui è ampiamente documentato il servizio di vasi connesso con il vino. A Castel di Decima, nella tomba di guerriero , databile al primo quarto del VII secolo a.C., sembra documentata per ora la più antica presenza di grattugia bronzea in Italia centrale: la grattugia era collocata accanto agli strumenti di ferro, spiedi e coltello. Mele ha pre

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cisato che il vino mescolato col formaggio grattugiato (farina e miele), il kykeòn, deve essere considerato una bevanda energetica, adatta per guerrieri che vanno in battaglia. L’esame autoptico effettuato da Massimo Botto sia sulla coppa tripodata che sull’anfora permette di asserire che le caratteristiche d’impasto dei due vasi sono uguali, per cui il collegamento funzionale appare indiscutibile. Botto considera anche questo vaso un’importazione dalle colonie fenicie della Sardegna sud-occidentale. Le recenti obiezioni alla provenienza sarda delle anfore, a favore di una derivazione cartaginese, pongono dubbi anche per l’origine del tripod bowl, pertinente a un tipo, a detta dello stesso Botto, largamente attestato in ambito fenicio. Tra gli oggetti personali del defunto, un uomo adulto che il corredo connota come guerriero d’alto lignaggio, unica per ora, per la posizione e per il tipo, tra i contesti “principeschi” dell’orientalizzante laziale, è la coppa d’argento, purtroppo molto frammentaria, ma indubbiamente riferibile a uno skyphos biansato. Il luogo di rinvenimento, all’altezza della mano sinistra (FIG. .), tra gli oggetti personali del defunto, lo mette in evidenza tra tutti gli altri ricchi oggetti del corredo e lo definisce di esclusiva proprietà del defunto stesso. Come è già stato più volte sottolineato, nelle tombe laziali dell’orientalizzante antico e medio (in special modo nelle necropoli di Castel di Decima e della Laurentina) si nota una netta distinzione tra la zona destinata al defunto e ai suoi oggetti personali e quella per il corredo di accompagno: in alcune tombe la zona della fossa destinata alla deposizione del cadavere è leggermente rialzata rispetto al piano di posa del corredo, in una specie di banchina; in altri casi la divisione tra le due parti è resa evidente da un allineamento di tufi al centro della fossa. Fausto Zevi, rilevando questa disposizione all’interno delle tombe, ha messo in evidenza la differenza concettuale tra «ornamenti e oggetti che personalmente appartengono al defunto e vengono posti nella fossa assieme con lui, e il corredo, che rappresenta l’equipaggiamento del sepolcro predisposto dai sopravvissuti». Anche all’interno del corredo di accompagno si può però notare un’ulteriore articolazione: nell’angolo nord-occidentale della fossa sono generalmente deposti alcuni oggetti caratterizzanti il defunto; il carro con gli scudi fittili nelle tombe di guerriero, un gruppo di vasi di piccole dimensioni generalmente dello stesso tipo, disposti in una sorta di arca, per le tombe femminili. Anche le tre lance dovevano appartenere a questo gruppo, confermando per quest’epoca che l’armatura era costituita da una sola lancia e che le altre dovevano far parte del corredo personale. 

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. Castel di Decima, tomba 

FIGURA

Questa ulteriore divisione ribadisce ancora una volta la differenza di ruolo tra l’uomo e la donna: la sfera d’influenza dell’uno all’esterno della casa, dell’altra all’interno. La coppa d’argento è indubbiamente legata agli oggetti strettamente afferenti al ruolo e allo status del defunto, cioè pertinenti al servizio personale del principe, come negli esempi conosciuti dall’epopea omerica. Pur ridotta a un solo elemento, la “coppa del principe”, la più antica delle tombe principesche dell’orientalizzante etrusco-laziale contiene in sé la matrice ideologica dei servizi personali per bere, in metallo prezioso, come nella tomba  di Cuma-Fondo Artiaco, dove oinochòe, 

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skyphos e patere argentee, bruciate nel rogo con il corpo, attestano la personale proprietà degli oggetti. A proposito del ruolo della coppa nelle rappresentazioni regali, vale la pena di ricordare la coppa d’argento di Giuseppe, in cui «beve il mio signore» (Genesi, ). Già nel , nel convegno di Ischia su La mort, les morts dans les sociétés anciennes, con Fausto Zevi e Maria Cataldi ci ponemmo il quesito se la posizione di tale vaso in metallo prezioso (l’unico della necropoli), indubbiamente poggiato sulla mano sinistra, potesse indiziare l’uso di banchettare sdraiati. Com’è noto, le più antiche rappresentazioni di banchettanti distesi in Grecia sono sulla ceramica del corinzio antico, in Italia sulla ceramica importata e contemporaneamente sul fregio con scena di banchetto del complesso quadrangolare di Murlo, dove sono attestate sia le coppe emisferiche, di tipo, come si è visto, più propriamente orientale, che quelle a due anse, che rimandano a prototipi greci. Come precedentemente è stato proposto per le lastre con raffigurazioni di processioni militari, anche quelle con scene di banchetto, come ha già suggerito Rathje, devono essere considerate come rappresentazioni rispecchianti una realtà, uno stile di vita aristocratico introdotto nell’ambiente tirrenico almeno nel secolo precedente; ad esempio, la scena della processione con carro e soldato sembra trovare le sue origini nell’antica concezione aristocratica precedente l’affermazione della tattica oplitica in Italia. L’associazione di aryballoi globulari protocorinzi e di quelli del tipo cosiddetto rodio-cretese attestata nella tomba  di Castel di Decima, come nella tomba  di San Montano, appare una costante in ambito pitecusano. L’indubbia importanza di questi piccoli recipienti come contenitori di olio, probabilmente non ancora conosciuto in Italia, va ricollegata all’uso riferito da Amos, già nei banchetti di VIII secolo a.C., di ungersi con unguenti profumati. Questi aryballoi, inoltre, dovrebbero costituire tra le più antiche importazioni di tali manufatti sulla costa medio-tirrenica. Le coppe tipo Thapsos senza pannello, skyphoi del protocorinzio antico, trovano ampi confronti a Pitecusa, dove sono generalmente di dimensioni molto maggiori: ad esempio, l’esemplare della citata tomba , alto , cm e con apertura di , cm, ha una capacità di quasi il doppio. Sono stati rinvenuti in un bacile, vaso considerato per lo più legato al consumo di carne, ma per il quale non si deve escludere, data la forma, una funzione collegata al contenere vino, che in questo poteva anche essere riscaldato. La presenza di ceramica protocorinzia (PCA) risulta strettamente legata al fenomeno della colonizzazione e quindi l’importazione sulle coste laziali deve essere connessa con lo stanziamento pitecusano. 

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Concludendo, quindi, possiamo ipotizzare che a Castel di Decima abbiamo una delle più antiche, se non la più antica testimonianza nell’Italia indigena del costume del banchetto sdraiato, secondo la moda fenicia. L’introduzione sulle coste laziali deve essere attribuita, piuttosto che a Fenici stanziatisi nel Mediterraneo centrale, alle genti di Pitecusa, come sta a dimostrare, nel contesto di Castel di Decima, la commistione tra oggetti di tipologia fenicia e oggetti più propriamente greci, primo fra tutti lo skyphos d’argento. Il rapporto precoce con genti euboico-pitecusane delle comunità del Lazio tiberino è ora largamente testimoniato dai recenti rinvenimenti di ceramica d’importazione nell’abitato di Ficana, la cui rioccupazione nella fase romulea appare strettamente legata, come ha sottolineato Fausto Zevi, ai traffici euboici sul Tevere. Un servizio simposiaco di produzione greca o imitazione greca, costituito da un aryballos, una oinochòe e una coppa, proviene del resto dalla capanna (o fossa) VI di Satricum nel Lazio, inquadrabile nell’orientalizzante antico.

Riferimenti bibliografici Testo rielaborato da Appunti sull’introduzione del banchetto nel Lazio: la coppa del principe, in Studi in onore di Antonia Ciasca, in stampa. Sul banchetto in ambiente tirrenico: F. Delpino, Il principe e la cerimonia del banchetto, in C. Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi. Tra Mediterraneo ed Europa, Bologna , pp. -. Sul simposio: M. Vetta (a cura di), Poesia e simposio nella Grecia antica. Guida storica e critica, Roma-Bari ; M. Lombardo, Pratiche di commensalità e forme di organizzazione nel mondo greco: symposia e syssitia, in O. Longo, P. Scarpi (a cura di), Homo edens. Regimi, miti e pratiche dell’alimentazione nelle civiltà del Mediterraneo, Verona , pp. -; O. Murray, L’uomo greco e le forme della socialità, in J.-P. Vernant (a cura di), L’uomo greco, Roma-Bari , pp. . Per le più antiche testimonianze del termine sympòsion nella letteratura greca (Alceo, fr.  Voigt; Focilide, fr.  Diehl) cfr. L. Della Bianca, S. Beta, Oinos. Il vino nella letteratura greca, Roma , p. . Sulle modalità dei rapporti tra Greci e comunità dell’Italia all’inizio della colonizzazione: A. Mele, Il commercio greco arcaico. Prexis ed emporie, Napoli ; D. Ridgway, L’alba della Magna Grecia, Milano ; F. Cordano, Antiche fondazioni greche, Palermo ; G. Maddoli, L’Occidente, in S. Settis, I Greci. Storia Cultura Arte Società, vol. II/, Una storia greca. Fondazione, Torino , pp. -. Sulla presenza di artigiani greci nella bassa valle tiberina, contemporanea ma indipendente rispetto alla colonizzazione: J. P. Descoeudres, Die vorklassische Keramik aus dem Gebiet des Westtors, in Eretria V. Ausgrabungen und Forschungen, Bern , pp.  ss.

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Per le coppe a semicerchi pendenti in Italia: J. P. Descoeudres, R. Kearsley, Greek Pottery at Veii: Another Look, in “Annual of British School at Athens”, , , pp.  ss., con datazione considerata troppo bassa (M. Popham, I. Lemos, recensione a R. Kearsley, The Pendent Semicircle Skyphos: A Study of its Development and Chronology and an Examination of it as an Evidence for Euboean Activity at Al Mina, “Bulletin of the Institute of Archaeology, University of London”, Suppl. , London , in “Gnomon”, , , pp. -); E. La Rocca, Ceramica d’importazione greca dell’VIII secolo a.C. a Sant’Omobono. Un aspetto delle origini di Roma, in “Cahiers du Centre Jean Berard”, , , pp. -, fig. , dove non viene messo in evidenza il tipo; J. Toms, La prima ceramica geometrica a Veio, in G. Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio. Incontro di studio in memoria di Massimo Pallottino, Roma , pp. -; J. R. Brandt, E. Jarva, T. Fisher Hansen, Ceramica d’origine e d’imitazione greca a Ficana nell’VIII sec. a.C., in Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit., pp. -; D. Ridgway, L’Eubea e l’Occidente: nuovi spunti sulla rotta dei metalli, in M. Bats, B. d’Agostino (a cura di), Euboica. L’Eubea e la presenza euboica in Calcidica ed in Occidente, Napoli , pp. - (ceramiche di Sant’Imbenia, Sassari); G. Bailo Modesti, Coppe a semicerchi penduli dalla necropoli di Pontecagnano, in Bats, d’Agostino (a cura di), Euboica, cit., pp. -. Sui rapporti tra Etruschi e Greci prima della fondazione di Pitecusa: F. Delpino, L’ellenizzazione dell’Etruria villanoviana: sui rapporti tra Grecia e Etruria fra IX e VIII secolo a.C., in Atti del secondo convegno internazionale etrusco, Firenze , Roma , pp. -; Id., I Greci in Etruria prima della colonizzazione greca. Ancora su crateri, vino, vite, pennati nell’Italia centrale protostorica, in Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit., pp. -; G. Bartoloni, A. Berardinetti, L. Drago, Le comunità della bassa valle tiberina e il Mediterraneo orientale prima della colonizzazione greca, in F. Krinzinger (hrsg.), Die Ägäis und das Westliche Mittelmeer. Beziehungen und Wechselwirkungen. . bis . Jhr. v. Chr., Wien , pp. -. Prima della fondazione di Cuma: B. d’Agostino, Prima della colonizzazione. I tempi e i modi nella ripresa del rapporto tra i Greci e il mondo tirrenico, in “Atti e memorie della Società Magna Grecia”, III s., I, , pp. -; J. N. Coldstream, Prospectors and Pioneers, Pithekoussai, Kyme and Central Italy, in G. R. Tsetskhladze, F. de Angelis (eds.), The Archaeology of Greek Civilisation. Essays Dedicated to Sir John Boardmann, Oxford , pp. -. Sui diversi centri di produzione delle coppe greche importate e sulle modalità di distribuzione: B. d’Agostino, La ceramica greca e di tipo greco dalle necropoli della I età del ferro di Pontecagnano, in G. Bailo Modesti, P. Gastaldi, Prima di Pithecusa, i più antichi materiali greci del golfo di Napoli. Catalogo della mostra, Napoli , pp. -. Sulle importazioni di coppe: A. Peserico, Griechische Trinkgefässe, in “Archäologischer Anzeiger”, , pp. -. Sulle coppe a chevrons a Veio da ultimo F. Boitani, La ceramica greca o di tipo greco a Veio nell’VIII secolo a.C., in A. M. Moretti Sgubini (a cura di), Veio, Cerveteri, Vulci: città a confronto. Catalogo della mostra, Roma , pp. -. Sul significato delle coppe geometriche nella necropoli di Quattro Fontanili cfr. anche L. Hoffmann, Civilisation on Bar-

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barian Soil? An Evaluation of Greek Geometric Pottery at the Quattro Fontanili, in “Hamburger Beiträge zur Archäologie”, -, , pp. -. Sulle ceramiche di produzione peninsulare nella necropoli di San Montano di Ischia: G. Buchner, D. Ridgway, Pithekoussai , in “AION. Archeologia e storia antica”, , , pp.  ss.; G. Bartoloni, Le comunità dell’Italia centrale tirrenica e la colonizzazione greca, in Etruria e Lazio arcaico, in “Quaderni del centro di studio per l’Archeologia etrusco-italica”, XV, , p. ; M. A. Rizzo, Ceramica etrusco-geometrica da Caere, in Miscellanea ceretana, “Quaderni di Archeologia etrusco-italica”, , Roma , p. ; G. Bartoloni, recensione a G. Buchner, D. Ridgway, Pithekoussai I. La necropoli: tombe - scavate dal  al , “Monumenti Antichi dei Lincei”, serie monografica IV, Roma , in “Archeologia Classica”, XLVI, , p. . Sulle tombe  e  di Castel di Decima, inedite: F. Zevi, Alcuni aspetti della necropoli di Castel di Decima, in Lazio arcaico e mondo greco, in “Parola del Passato”, XXXII, , pp.  ss. Sull’ideologia funeraria laziale nell’VIII secolo a.C.: G. Bartoloni, La cultura laziale e il villanoviano salernitano. Considerazioni sui rapporti tra le comunità del Lazio protostorico e le genti esterne, in L’Etruschizzazione della Campania, Firenze , pp. -. Per il collegamento della brocca iscritta di Osteria dell’Osa con la libagione: D. Ridgway, Greek Letters at Osteria dell’Osa, in “Opuscula Romana”, XX, , pp. -. Sui rapporti fra Tarquinia e l’Italia meridionale: F. Delpino, Rapporti e scambi nell’Etruria meridionale villanoviana con particolare riferimento al Mezzogiorno, in Archeologia nella Tuscia, vol. II, “Quaderni di Archeologia etrusco-italica”, , Roma , pp. -. Sui passi relativi a Mezenzio, re di Caere: M. Gras, Trafics tyrrhéniens archaïques, “Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome”, , Roma , pp. -; G. Colonna, Etrusco QARNA: latino DAMNUM, in C. Ampolo, G. Bartoloni, A. Rathje (a cura di), Aspetti dell’aristocrazia fra VIII e VII secolo a.C., in “Opus”, III, , , p. . Sulla parola etrusca vinum: M. Cristofani, Vino e simposio nel mondo etrusco arcaico, in P. Scarpi (a cura di), Homo Edens. Regimi, miti e pratiche dell’alimentazione nelle civiltà del mediterraneo, vol. II, Storie del vino, Verona , pp. -; L. Agostiniani, Sull’origine del nome del vino in Etrusco e nelle altre lingue dell’Italia antica, in L. Agostiniani et al., Studi in memoria di Adriana Quattordio Moreschini, Pisa-Roma , pp. -. Per l’origine del kàntharos in ambiente tirrenico: M. Gras, Canthare, société et monde grec, in Ampolo, Bartoloni, Rathje (a cura di), Aspetti dell’aristocrazia cit, pp. -; sul kàntharos nella Grecia geometrica: P. Courbin, Les origines du canthare attique archaïque, in “Bulletin de correspondance hellénique”, , , , pp. -; J. N. Coldstream, Greek Geometric Pottery, London , passim. Sulla tomba del guerriero di Tarquinia: I. Krieseleit, Das Kriegergrab von Tarquinia, in Die Welt der Etrusker. Archäologische Denkmäler aus Museen der sozialistischen Länder, Berlin , pp. - (p. : kàntharos e kyathos d’argento). Sugli scavi di Punta Chiarito a Ischia: S. De Caro, C. Gialanella, Novità pitecusane. L’insediamento di Punta Chiarito a Forio d’Ischia, in Bats, d’Agostino (a cura di), Euboica, cit., pp. -. Per le analisi paleobotaniche sui resti di vi-

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naccioli, ad esempio, L. Costantini, L. Costantini Biasini, M. Hopf, in P. Tamburini, Un abitato villanoviano perilacustre. Il Gran Carro sul lago di Bolsena, Roma , pp.  ss. Sul cinerario di Montescudaio: F. Delpino, A. Dore, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., pp.  e -, con riferimenti bibliografici. Per le iscrizioni sulle olle: M. Martelli, Per il dossier dei nomi etruschi dei vasi, in “Bollettino d’Arte”, , , pp.  ss. Per le coppe emisferiche in argento: A. Rathje, Gli Etruschi e gli altri: il caso di Veio, in Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit., pp. -; per le imitazioni ceramiche: A. Rathje, L. Wriedt Sørensen, Ceramic Interconnections in the Mediterranean, in Actas del IV congreso international de estudios fenicios y punicos, IV, Cadiz , pp. -. Sulla tomba  di Veio-Casal del Fosso: H. Müller-Karpe, Das Grab  von Veji, in Beiträge zu italienischen und griechischen Bronzefunden, “Prähistorische Bronzefunde”, XX, , , pp. -, tavv. - (con imprecisioni sulla composizione del corredo: cfr. L. Drago, in G. Bartoloni, A. Berardinetti, A. De Santis, L. Drago, Veio tra IX e VI secolo a.C. Primi risultati sull’analisi comparata delle necropoli veienti, in “Archeologia Classica”, XLVI, , p. ); inoltre L. Drago, Una coppia di principi nella necropoli di Casal del Fosso a Veio, in Dinamiche dello sviluppo delle città nell’Etruria meridionale: Veio, Caere, Tarquinia, Vulci, Atti del XXIII convegno di studi etruschi e italici (ottobre ), in stampa. Sulla diffusione dei poggiapiedi di lamina di bronzo: G. Colonna, F. W. von Hase, All’origine della statuaria etrusca: la tomba delle statue di Ceri, in “Studi Etruschi”, LII,  (), pp.  ss.; per un esemplare in legno da Verucchio, tomba : P. von Eles, in Morigi Govi (a cura di), Principi etruschi, cit., p. ; sul rytòn a testa leonina da ultimo A. Rathje, Il banchetto in Italia centrale: quale stile di vita, in O. Murray, M. Tecu&an (eds.), In vino veritas, Oxford , pp. -. Per le raffigurazioni relative al banchetto sui palazzi assiri: J. E. Reade, The Symposion in Ancient Mesopotamia: Archaeological Evidence, in Murray, Tecu&an (eds.), In vino veritas, cit., pp. -. Sulla circolazione dei beni di prestigio attraverso lo scambio di doni: C. Ampolo, in G. Bartoloni, M. Cataldi, Il periodo IV A, in La formazione della città nel Lazio, in “Dialoghi di Archeologia”, n. s. , , pp. -. Sulle tholoi, dining room: F. Cooper, S. Morris, Dining in Round Buildings, in O. Murray (ed.), Sympotica. A Symposium on the Symposion, Oxford , pp.  ss.; sugli atri delle tombe ceretane con banchine: A. Naso, Architetture dipinte. Decorazioni parietali non figurate nelle tombe a camera dell’Etruria meridionale (VII-V secolo a.C.), Roma ; sulla casa con recinti di Roselle da ultimo G. Bartoloni, P. Bocci Pacini, Roselle: una rilettura dei dati di scavo, in G. C. Cianferoni (a cura di), Città e territorio nell’Etruria settentrionale. Atti dell’incontro di studio, Colle Val d’Elsa , pp. -. Sul banchetto sdraiato in Oriente: R. D. Barnett, A Catalogue of the Nimrud Ivoires, London , p. ; J. M. Dentzer, Le motif du banquet couché dans le proche orient et le mond grec du VII au IV siècle avant J.C., Rome-Paris , pp.  ss. Presso i Greci: O. Murray, Nestor’s Cup and the Origin of Greek Symposion, in APOIKIA. I più antichi insediamenti greci in Occidente: funzioni e modi dell’organizzazione politica e sociale. Scritti in onore di Giorgio Buchner, in

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.

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“AION. Archeologia e storia antica”, n. s. , , pp. -; J. N. Coldstream, Drinking and Eating in Euboean Pithekoussai, in Bats, d’Agostino (a cura di), Euboica, cit., pp. -. Sul passo di Amos: J. Briend, Amos et Osée: deux prophètes face au pouvoir, in A. Lemaire (éd.), Le monde de la Bible, Paris , pp.  ss. Sui confronti archeologici: S. Mittmann, Amos , - und das Bett der Samarien, in “Zeitscrift des Deutschen Palästina-Vereins”, , , pp. -. Per i letti d’avorio cfr. l’esemplare d’avorio trovato nel Ceramico e appartenente alla tomba di un àristos di Asia Minore: U. Knigge, Kerameikos IX: Der Südhügel, Athens , pp. -. Per le patere fenicio-cipriote: G. Markoe, Phoenician Bronze and Silver Bowls from Cyprus and the Mediterranean, Berkeley ; in particolare sulla coppa del Metropolitan Museum: W. Culican, Cesnola  and Other Phoenician Bowls, in “Rivista di Studi Fenici”, , , pp. -; Markoe, Phoenician Bronze, cit., pp. - (Cy ). Per altre scene di banchetti divini e reali sulle coppe fenicie: A. Rathje, Il banchetto presso i Fenici, in Atti del secondo congresso internazionale di studi fenici e punici, Roma , vol. III, pp. -. Per i contatti tra Cipro ed Etruria nel tardo VIII secolo a.C.: I. Strøm, Cypriot Influences on Early Etruscan Banqueting Customs, in L. Bonfante, V. Karagheorghis (eds.), Italy and Cyprus in Antiquity - B.C. Proceedings of an International Symposium Held at the Italian Academy for Advanced Studies in America at Columbia University, Nicosia , pp. -. Sulla tomba  di Pitecusa-San Montano: Buchner, Ridgway, Pithekoussai I, cit., pp. -; Murray, Nestor’s Cup, cit.; cfr. inoltre F. Zevi, Una nota su Pitecusa, Veio e il Lazio, in Bartoloni (a cura di), Le necropoli arcaiche di Veio, cit., pp.  ss. Per il tipo di tazza a corpo baccellato e ansa sormontante cfr., ad esempio, Bedini, Cordano, Periodo III, cit., p. , tipo ; per l’assegnazione a produzione rodia dei balsamari rodio-cretesi: M. Martelli, La stipe votiva dell’Athenaion di Jalysos: un primo bilancio, in S. Dietz, I. Papachristodoulou (eds.), Archaeology in the Dodecanese, Copenaghen , p. ; Ead., I fenici e la questione orientalizzante in Italia, in Atti del secondo congresso internazionale di studi fenici e punici, cit., vol. III, p. . Per l’importazione di questi unguentari: C. Dehl, Die Korintische Keramik des . und frühen . Jhs v. Chr. in Italien. Untersuchungen zu ihrer Chronologie und Ausbreitung, Berlin ; M. Cristofani Martelli, La ceramica greco-orientale in Etruria, in Les céramiques de la Grèce de l’Est et leur diffusion en Occident, Napoli , pp. -. Sull’introduzione dell’olio: C. Pavolini, Ambiente e illuminazione. Grecia e Italia fra il VII e il III secolo a.C., in “Opus”, I, , pp.  ss. Sul passo di Archiloco: B. Gentili, Interpretazione di Archiloco fr.  D =  LB, in “Rivista di Filologia e d’Istruzione Classica”, XCIII, , pp.  ss. Sulla ceramica fenicia rinvenuta nel Lazio: A. M. Bisi, La presenza fenicia in Italia nei primi tempi della colonizzazione greca, in “Magna Grecia”, , , pp. , -; A. Ciasca, A proposito di anfore fenicie, in Studi di paletnologia in onore di Salvatore M. Puglisi, Roma , pp. -; Gras, Trafics tyrrhéniens archaïques, cit., pp.  ss.; P. Bartoloni, Le anfore fenicie e puniche di Sardegna, Roma ; M. Botto, Considerazioni sul commercio fenicio nel Tirreno nell’VIII e nel VII secolo a.C. Le anfore da trasporto nei contesti indigeni del Latium Vetus, in “AION.



L E S O C I E T À D E L L’ I TA L I A P R I M I T I VA

Archeologia e storia antica”, , , pp. -; Id., Anfore fenicie dai contesti indigeni del Latium Vetus nel periodo orientalizzante, in “Rivista di Studi Fenici”, , , pp. -; R. F. Docter, H. G. Niemeyer, Pithekoussai: The Carthaginian Connection. On the Archaeological Evidence of Euboeo-Phoenician Partnership in the th and th Centuries B.C., in APOIKIA, cit., pp.  ss.; R. F. Docter, M. B. Annis, L. Jacobs, G. H. J. M. Blessing, Early Central Transport Amphorae from Carthage: Preliminary Results, in “Rivista di Studi Fenici”, , , pp. -; M. Botto, Tripodi siriani e tripodi fenici dal Latium Vetus e dall’Etruria meridionale, in La ceramica fenicia in Sardegna. Atti del congresso internazionale sulcitano, Sant’Antioco ; Id., I contatti fra le colonie fenicie di Sardegna e l’Etruria settentrionale attraverso lo studio della documentazione ceramica, in Atti del XX convegno di studi etruschi e italici, Sardegna e Etruria, Sassari , Pisa-Roma . Sui contesti laziali con anfore fenicie: F. Zevi, La situazione nel Lazio, in Il commercio etrusco arcaico, Roma , pp. -. La tomba  di Castel di Decima è presentata da F. Zevi, Castel di Decima (Roma). La necropoli arcaica, in “Notizie degli Scavi”, , pp.  ss. M. Bedello Tata, Memorie dal sottosuolo. Una pagina di scavo dalla necropoli di Castel di Decima (Museo dell’Alto Medioevo. Roma //-//), Roma : non ha trovato riscontri l’ipotesi di riconoscere tra le lamine di bronzo un poggiapiedi. Le analisi dei resti sono state effettuate da E. Lombardi Pardini ed E. Pardini, dell’Istituto di Antropologia dell’Università di Firenze (): sesso maschile, età - anni. Porzioni delle arcate alveolari molto deformate post mortem, con parecchi denti ancora in situ. Per la tomba , notizie in F. Zevi, A. Bedini, La necropoli di Castel di Decima, in “Studi Etruschi”, XLV, , pp.  ss.; A. Bedini, L’ottavo secolo nel Lazio e l’inizio dell’orientalizzante antico. Alla luce di recenti scoperte nella necropoli di Castel di Decima, in Lazio arcaico e mondo greco, in “Parola del Passato”, XXXII, , pp.  ss. Per la tomba  cenni ibid. e in Bedini, Cordano, La formazione della città nel Lazio, cit., pp.  ss. Per il rilievo di Ninive: R. D. Barnett, Assurbanibal’s Feast, in “EretzIsrael”, , , pp. -; I. J. Winter, The King and the Cup: Iconography on the Royal Presentation Scene on UR III Seals, in M. Kelly-Buccellati (ed.), Insight through Images. Studies in Honor of Edith Porada, “Bibliotheca Mesopotamica”, , Malibu , pp. -; Reade, The Symposion in Ancient Mesopotamia, cit., pp.  ss., fig. . Sulle grattugie: D. Ridgway, Nestor’s Cup and the Etruscans, in “Oxford Journal of Archaeology”, , , pp.  ss.; Ridgway, L’Eubea e l’Occidente, cit.; cfr. anche A. Mele, in Bats, d’Agostino, Euboica, cit., pp.  (kykeòn) e  (vite). La tomba  è pubblicata da G. Bartoloni, in “Notizie degli Scavi”, , p. , nr. , fig. . Per l’organizzazione dei corredi all’interno delle tombe a Decima e nel Lazio: Zevi, Alcuni aspetti della necropoli di Castel di Decima, cit., pp.  ss.; G. Bartoloni, M. Cataldi Dini, Il periodo IV A, cit.; G. Bartoloni, M. Cataldi Dini, F. Zevi, Aspetti dell’ideologia funeraria a Castel di Decima e altrove nel Lazio in periodo orientalizzante, in G. Gnoli, J.-P. Vernant (éds.), La mort, les morts dans les sociétés anciennes, Cambridge , pp. -, dove a p.  vengono proposte connessioni della coppa della tomba  con il simposio (cfr. inoltre M.



.

I L V I N O E L E A R I S T O C R A Z I E D E L L’ I TA L I A C E N T R A L E T I R R E N I C A

Gras, Vin et société à Rome et dans le Latium à l’époque archaïque, in Forme di contatto e processi di trasformazione nelle società antiche, “Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome”, , Roma , p. ). Sul fregio con banchetto di Murlo: A. Rathje, Alcune considerazioni sulle lastre da Poggio Civitate con figure femminili, in A. Rallo (a cura di), Le donne in Etruria, Roma , pp. -; Id., The Omeric Banquet in Central Italy, in Murray (ed.), Sympotica, cit., pp.  ss., specie pp. -. Sul significato delle coppe nell’epopea omerica e nella letteratura greca arcaica cfr. il lavoro documentatissimo della compianta Nazunska Valenza Mele, Il ruolo della coppa da Omero a Pindaro, in “Scienze dell’Antichità”, V,  (), pp.  ss. Per la funzione dei lebeti-calderoni: Ead., Da Micene ad Omero. Dalla phiale al lebete, in “AION. Archeologia e storia antica”, , , pp.  ss.; M. Torelli, Banchetto e simposio nell’Italia arcaica: qualche nota, in Scarpi (a cura di), Homo edens, cit., p. . Sulle più antiche importazioni di ceramica corinzia: C. Dehl, Cronologia e diffusione della ceramica dell’VIII secolo a.C. in Italia, in “Archeologia Classica”, XXXV, , pp.  ss.; altre testimonianze di skyphoi PCA a Castel di Decima nella tomba  (cfr. Zevi, Castel di Decima (Roma), cit., p. ). Sulla tomba Cuma-Fondo Artiaco : F. Sirano, Il sostegno bronzeo della tomba  del Fondo Artiaco di Cuma e il “problema” dell’origine dell’holmos, in Studi sulla Campania preromana, Roma , pp. -. Per la capanna VI di Satricum: Civiltà del Lazio primitivo, Roma , pp. -, tav.  A. Per un’interpretazione alternativa o come una fossa, riempita con offerte votive, o come una deposizione funeraria: M. Maaskant-Kleibrink, Settlement Excavations at Borgo le Ferriere , vol. I, The Campaigns , , , Groningen , p. .



 Conclusioni

Dalle analisi fin qui effettuate sui contesti funerari appare chiaro che le figure meglio evidenziate sono quelle degli aristocratici e dei principi, cioè dei personaggi emergenti nelle varie comunità, siano essi uomini e donne. Sono le deposizioni di questi, infatti, a essere piene di indicatori. La differenza con le altre tombe è appunto nella presenza di oggetti segnalanti prestigio ed eccezionalità. Questi personaggi tendono a mostrarsi «ciascuno come un rex all’interno del proprio quadro sociale, sia esso la familia o la gens più o meno allargata, la curia o il populus» (M. Menichetti, in Gli Etruschi, Venezia , p. ), analogamente al basilèus, che nel mondo greco arcaico indica un monarca generico. Il termine ricorre al plurale sia nell’Odissea, sia nell’esiodeo Le opere e i giorni, per indicare un certo numero di signori in seno alla medesima comunità, peraltro di dimensioni piuttosto modeste. A queste figure vanno collegate quelle di donne o bambini appartenenti allo stesso ristretto nucleo familiare, ugualmente con deposizioni ricche di indicatori di prestigio. Il modello di riferimento, o comunque un’immagine, dei personaggi maschili può essere visto nella figura di Ulisse, come l’eroe stesso si presenta in Odissea, XIV,  ss.: egli aveva sposato una fanciulla dell’aristocrazia fondiaria, aveva guidato una flotta contro stranieri, non aveva disdegnato la pirateria ed era stato uno dei capi dell’esercito greco contro Troia. Per le donne sono stati effettuati confronti stringenti con figure quali quella di Penelope, ma non mancano donne eccezionalmente insignite di potere, come la tradizione ci riferisce per Tanaquilla. Non molto diversi sono, del resto, gli attributi e le figure degli aristocratici anche in tempi più vicini a noi. A Firenze, i giovani Medici, volenti o nolenti, dovevano cimentarsi nelle stesse attività che caratterizzavano i rampolli delle aristocrazie etrusche e laziali di VIII secolo a.C.: le corse dei cavalli nei tornei o la caccia. Se per gli aristocratici-guerrieri dell’Italia antica, come per Ulisse, era segno di vanto mostrare le capacità nel lavorare il legno o altre materie, Benvenuto Cellini ci descrive l’abilità di Cosimo I de’ Medici nel ripulire 

L E S O C I E T À D E L L’ I TA L I A P R I M I T I VA

e aggiustare le statuine rinvenute ad Arezzo insieme alla Chimera, usando “cesellini” e “martellini”, e Montaigne (Journal de voyage en Italie par la Suisse et l’Allemagne en  et ) descrive nel  il granduca Francesco come molto attento e scrupoloso nei lavori artigianali. Analogamente, la circolazione degli oggetti preziosi, che nell’VIII secolo a.C. arrivavano dall’Oriente nelle dimore etrusche e laziali, e in seguito venivano occultati nelle tombe dei personaggi eminenti, non si limita all’antichità. Esemplificativa una coppa di tipo fenicio-cipriota rinvenuta a Chiusi (FIG. .), associata alla citata situla di Plikasna, per cui possiamo immaginare un passaggio di doni tra personaggi eminenti, quale ap-

. Chiusi, patera della tomba di Plikasna (da F. Buonarroti, De Etruria regali. Explicationes et conjecturae, Firenze )

FIGURA



.

CONCLUSIONI

punto Plikasna, analogo a quanto esemplificate nei poemi omerici. Ampolo, del resto, ha dimostrato come i poemi omerici siano la «illustrazione migliore del sistema del dono, per giunta ormai ridotto allo strato più alto della società come è verificabile anche nell’Italia tirrenica» (C. Ampolo, in “Dialoghi di Archeologia”, , , p. ). In Iliade, XXIV, -, Priamo offre ad Achille, per riscattare il corpo di Eracle, dodici pepli, dodici mantelli, dodici tappeti, dodici tessuti, dodici chitoni, dieci talenti d’oro, due tripodi, quattro lebeti e una coppa, già dono prezioso a Priamo di «uomini traci, venuti [a Troia] in ambasceria». Allo stesso modo, in Odissea, IV,  ss. Menelao, dopo avere offerto a Telemaco una «bella coppa, perché libagioni tu faccia tutti i giorni, in ricordo di me, agli dei immortali», gli dona un cratere d’argento che gli era stato regalato da un Phaidimos, re di Sidone («me la donò quella volta che nella reggia m’accolse, quando là arrivai: ora io te la voglio donare»: Odissea, IV, -). La coppa d’argento dorato da Chiusi, verosimilmente opera dello stesso artigiano della situla, considerata prodotto di un orientale immigrato in Etruria (Cerveteri?) e acquisita dalle Gallerie medicee intorno agli anni venti del XVIII secolo, viene già considerata perduta da Filippo Buonarroti nelle Explicationes et conjecturae al De Etruria Regali di Thomas Dempster (). Alcuni documenti d’archivio del Museo degli Uffizi (SABSF, Bianchi MS  Arsenale ) di G. Bianchi e di L. Lanzi (SABSF, Lanzi MS , c.  Armadio XII-XIII Vasellame) riferiscono rispettivamente: «La patera è a Parigi nel Tesoro Reale»; «La patera dello stesso lavoro che si trovò insieme con questo vaso [situla di Plikasna] conservasi nel Museo del re Cristiano». Quindi la patera era stata donata, verosimilmente da un Medici, a Luigi XIV (o XV) e conservata nelle collezioni reali francesi. Purtroppo, non sono riuscita a trovare traccia di questa coppa né nei musei di Parigi, né nella documentazione d’archivio (Archivio di Stato, Archivio della Bibliothèque Nationale, Archivio del Cabinet des Medailles), né negli inventari della Corona del  (Inventaire générale des diamans de la Couronne, perles, pierres gravées et autres monumens des Art et des Sciences existans au Garde-meuble fait en conformité des decrets de l’Assemblée Nationale Constituente des - mai et  juin , par le commissaire MM. Bion, Christine & Delattre, Imprimerie National, Paris , con un’appendice sull’Inventaire des bronzes du garde-meuble de la Couronnne) e neppure in quelli della Bibliothèque Nationale, nel Département des Monnaies, Médailles et Antiques (Registre des dons et des acquisitions de Cabinet des Médailles, ). Probabilmente questa prestigiosa coppa è stata donata dal re di Francia a qualche altro personaggio. La ricerca continua. 

Indice analitico

Autori antichi Alceo, , ,  Archiloco,  Aristotele,  Ateneo,  Aurelio Vittore Sesto, 

Omero, -, , , , , , , , -, ,  Ovidio Nasone Publio, 

Catone Marco Porcio, detto il Censore,  Cicerone Marco Tullio, , , ,  Diodoro Siculo,  Dionigi di Alicarnasso, , -,  Erodoto,  Esiodo, -, 

Paolo Diacono,  Plinio Secondo Gaio, detto il Vecchio, , , , ,  Plutarco, , , , , -,  Polibio,  Saffo,  Senofonte, , ,  Servio, ,  Strabone,  Tacito Publio Cornelio, ,  Tucidide, 

Festo Sesto Pompeo,  Livio Tito, , -, 

Varrone Marco Terenzio, ,  Virgilio Publio Marone, , 

Autori moderni Agostiniani L.,  Ahlberg G.,  Alföldi A.,  Ampolo C.,  Andersen H. C.,  Angle M., 

Audin A.,  Bachofen J. J.,  Barberini S., , ,  Barrett J., - Bartoloni G., ,  Bartoloni P., 



L E S O C I E T À D E L L’ I TA L I A P R I M I T I VA

Bedini A., , ,  Belli P.,  Berardinetti A., , , ,  Bernardino de Sahagun, frate,  Bettelli M.,  Bezzerra de Meneses V.,  Bianchi G.,  Bianco Peroni V.,  Bietti Sestieri A. M., -, , , , , , ,  Binford L. R.,  Bisi A.,  Boccali G.,  Bodei Giglioni G.,  Boitani F.,  Bonghi Jovino M.,  Botto M., ,  Bouzek J.,  Brown W. L.,  Brun P.,  Bruni S., -,  Buonarroti F., - Buranelli F.,  Burkert W.,  Camerin N.,  Camporeale G., - Canali L.,  Cantarelli F.,  Capuis L.,  Carandini A.,  Cataldi Dini M., ,  Cellini B.,  Childe G. V.,  Ciani M. G.,  Ciasca A.,  Coldstream J. N., , , -, , , , ,  Colonna G., , , , , , , -, , , , , -, , -, , , ,  Cooper F.,  Cordano F., ,  Courbin P.,  Crielaard J. P., 

Cristofani M., , , ,  Cuozzo M., , -,  Curti S.,  d’Agostino B., , , -, , , , - De Grossi Mazzorin J.,  Della Bianca L.,  Delpino F., , , , , ,  De Martino F.,  Dempster T.,  De Natale S.,  Dentzer J. M.,  De Santis A., , , , , ,  Detienne M.,  Diaz-Andreu M.,  Di Paolo Colonna E.,  Docter R. F.,  Drago Troccoli L., , ,  Ducrey P.,  Dumézil G.,  Dunbabin T. J.,  Eichberg M.,  Emiliozzi A., , -,  Esposito A. M.,  Falchi I., , , ,  Fedeli F., ,  Finley M. I., ,  Franciosi G.,  Galiberti A., , ,  Georgoudi S.,  Gernet L., ,  Gianmarco M.,  Giannelli G.,  Gianni A.,  Gjerstad E.,  Gras M., , ,  Grosjean R.,  Guidi A., , ,  Helbig W.,  Hertz R., 



INDICE ANALITICO

Heurgon J.,  Hodder I., , ,  Iaia C., , , , ,  Jannot J. R.,  Joudarnet D.,  Karagheorghis V., - Lanciani R., ,  Lanzi L.,  La Regina A.,  Lilliu G.,  Lo Schiavo F., , ,  Lucia G.,  Maggiani A.,  Magugliani L.,  Mancini R.,  Mandruzzato E.,  Manfredini M., ,  Martelli M., ,  Mazzarino S.,  Mele A.,  Mengarelli R.,  Menichetti M., , , ,  Milani L., ,  Minto A., , -, ,  Momigliano A.,  Montanari F.,  Montepaone C., ,  Morris S.,  Mossé C.,  Müller-Karpe H., , ,  Murray O., , ,  Musti D.,  Nardini O.,  Niemeyer H. G.,  Nørregåard-Nilsen, 

Pais E.,  Pallottino M.,  Pare C. F. E.,  Parise N.,  Payne H.,  Pelagatti P.,  Pellegrino C.,  Peroni R., , , - Peruzzi E.,  Pomeroy S. B., , ,  Popham M.,  Prayon F., ,  Privitera A.,  Puglisi S. M.,  Rastrelli A.,  Rathje A., -, -,  Reade J. E.,  Ridgway D., ,  Rizza G.,  Rizzo A. M.,  Romualdi A.,  Rosaldo M.,  Sackett H.,  Sandars N. K.,  Savignoni L.,  Scheid E.,  Schnapp A.,  Simeon R.,  Snodgrass A., , ,  Sordi M.,  Sperber L.,  Stary P., ,  Strøm I.,  Testa E.,  Toms J., , , , , ,  Torelli M., , , -,  Trucco F., 

Orsi P., 

Ucko P. J.,  Ugas G., 

Pacciani E.,  Pacciarelli M., , , 

Vallois H. V., ,  Vernant J.-P., , -, 



L E S O C I E T À D E L L’ I TA L I A P R I M I T I VA

Vetta M.,  Vidal-Naquet P.,  von Hase F. W., -, 

Ward Perkins J. B.,  Zevi F., , , -, -

Popoli Achei,  Assiri, 

Greci, -, , , , , , , -,  Latini, , 

Etruschi, , , , , -, , , 

Rutuli, ,  Sabini, , ,  Sardi, 

Falisci,  Feaci,  Fenici, , , , 

Traci, 

Nomi dei personaggi Achille, , ,  Afrodite, -,  Alcinoo, ,  Amulio,  Anchise,  Anco Marcio,  Andromaca,  Anfiarao,  Antinoo,  Apollo,  Ares,  Ashurbanipal, ,  Assur-Nasirapli II,  Atena,  Atto Clauso,  Aule Feluske, , -,  Aule Tite,  Autolico,  Bacchiadi, 

Bitone,  Calipso, ,  Caronte,  Cerere,  Circe,  Cleobi,  Cosimo I de’ Medici,  Curiazi,  Demarato, ,  Dercenno,  Diana,  Dioniso,  Druso,  Ecuba,  Elena,  Enea, ,  Eracle, , 



INDICE ANALITICO

Pericle,  Phaidimos,  Pico, ,  Plikasna, - Priamo,  Publicola Valerio, , 

Ettore, , , , , , ,  Euforbo,  Francesco I de’ Medici,  Giacobbe,  Giano,  Gilgamesh,  Giuseppe, , 

Remo,  Romolo, , , , , , , -,  Rutile Hipukrates, 

Hera, ,  Hisa Tinnuna, ,  Iperoco,  Iscomaco,  Ishtar,  Italo, 

Sabino,  Sargon II,  Sarpedonte, ,  Saturno,  Saul,  Servio Tullio, ,  Solone, , 

Livia,  Lucrezia,  Menekrates, - Menelao, ,  Mezenzio, ,  Mida,  Nausicaa,  Nestore, ,  Numa Pompilio, , -, , ,  Odisseo, -,  Orazi, 

Tanaquilla, , -, ,  Tarpea,  Tarquinio Collatino,  Tarquinio Prisco, , , -, ,  Telemaco, ,  Tito Tazio,  Tusnutaie,  Ulisse cfr. Odisseo Vestali, 

Papanala,  Patroclo, , , ,  Penelope, -, , , , 

Zeus, , 

Luoghi Acqua Acetosa Laurentina, necropoli di, , , , , , , , , -, , , , , , , , -, , -, , , - Agro falisco , , , , , , , , , , 

Alba Longa, , ,  Arezzo,  Artimino, , , ,  Prato Rosello (Carmignano), tumuli di, -, ,  Asciano, tumulo di, , 



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Baratti, golfo di, , -,  Bisenzio, -, , , , , , , , -, , , , - necropoli delle Bucacce, ,  necropoli di Polledrara,  Blera,  Bologna, , , , -, -, , -, , ,  necropoli Benacci Caparra, , , ,  necropoli dell’Arsenale, ,  necropoli di San Vitale, , ,  Bolsena, Gran Carro, , , , ,  Bolsena, lago di, , , ,  Bursa, museo di,  Caenina,  Caere (Cerveteri), , , , -, , , -, , , , , , , , -, , -, , -, , , , , -, -, , -,  area sacra di Sant’Antonio, ,  Montetosto, tumulo di, ,  necropoli della Banditaccia,  necropoli del Sorbo, , , ,  necropoli di San Paolo,  tomba degli Animali Dipinti, , , , ,  tomba degli Scudi e delle Sedie,  tomba delle Cinque Sedie, ,  tomba Regolini Galassi, , , , , , , , , ,  Calabria, , , ,  Francavilla Marittima, ,  necropoli di Sant’Onofrio di Roccella Ionica, ,  necropoli di Torre Galli, ,  Campania, , , , , , , , , , , , ,  Campovalano di Campli (Teramo), necropoli di, ,  Capena,  Capua, 

Casale Massima, necropoli di, ,  Casal Marittimo, -, , , ,  necropoli di Casa Nocera, , , , , , ,  Casole d’Elsa, ,  Castel di Decima, necropoli di, , , , , -, , , -, , -, -, , -, -, -, -, -, -, -, , , , -, , -, , -, , - Castelgandolfo, ,  Castellina in Chianti, , ,  tumulo di Montecalvario, ,  Castelnuovo Berardenga, ,  necropoli del Poggione, ,  Cecina,  Ceri, tomba delle statue, -, , ,  Chiusi, , , , , , , , , , , , , - tomba della Pania, , , , ,  Cisterna,  Colli albani, , ,  Comeana, , , - tumulo di Montefortini, ,  Corchiano,  Corsica, , ,  Cortona, , , ,  melone del Sodo I,  melone del Sodo II, , ,  tumulo di Camucia, , , , ,  Crustumerium, , , , , , ,  necropoli di Monte del Bufalo,  Cuma, , , , -, , , , , , , , , , , ,  necropoli del Fondo Artiaco, , , , , ,  Elba, isola di, , ,  Montagna di Campo,  Monte Calamita, , 



INDICE ANALITICO

Este, , ,  Fabriano,  Falerii Veteres, , , , ,  necropoli della Penna, , , , , ,  Ficana, , ,  Fidene, ,  Frigia,  Gabii, , ,  Castiglione, lago di,  necropoli di Osteria dell’Osa, , -, , , , -, , , , , -, , -, -, , , , , , , , , -, , , , , , , , , ,  Gordion, ,  Grecia, , , , , , , , , , , , , , -, , , , , , -, , -, -, , , -, -, , , , -,  Achaia Mikros Pontias,  Achaia Troumbes,  Atene, , , , , , ,  Areopago, ,  necropoli del Ceramico, ,  necropoli di Kynosarges,  necropoli di Odos Krozou,  necropoli di Odos Peiraios,  Cicladi, isole,  Cipro, , , , , , , , , , ,  Salamina, , -, , ,  Corfù, ,  Creta, , , , , ,  Arkades, - Cnosso,  Gortina,  Kamares,  Kourtes,  Praisòs,  Priniàs, 

Delfi,  Eubea, , , , , , , , , ,  Calcide, ,  Eretria, , , , , , ,  Lefkandi, , ,  Macedonia,  Verghina, ,  Olimpia,  Parnaso, monte,  Peloponneso, Nichoria,  Pilo,  Rodi, ,  Ialiso,  Tessaglia, Marmariani (Larisa),  Grottaferrata,  tomba del Vivaro, , , -,  Guidonia, necropoli Le Caprine, ,  Ionia, Belevi,  Ischia, ,  Mezzania, ,  Monte Vico, ,  Punta Chiarito, ,  Israele, , , ,  Konya, museo di,  Lavinio (Pratica di Mare), , , ,  Lazio, , -, -, -, -, -, -, , , , , , , , , , -, -, , -, , -, , -, -, , -, , -, , , , , -, , - Licia,  Londra, British Museum, ,  Malaga,  Malagrotta, ,  Marsiliana d’Albegna, , , , , , 



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circolo degli avori,  circolo della fibula,  circolo della Perazzetta, ,  necropoli di Banditella, ,  Megiddo, ,  Monaco di Baviera, Antikensammlungen, ,  Montescudaio, ,  Murlo, , , -, , -, , , , , , ,  Napoli, , , , , ,  Narce, , , , , ,  necropoli di Monte Lo Greco, ,  necropoli di Pizzo Piede, ,  Nimrud, ,  Ninive, , , 

Populonia, , , , , , , -, , -, -, , , -, , -, , , , , , , -, , , , , -,  necropoli del Casone, , ,  necropoli della Porcareccia, , , ,  necropoli del Molino o del Telegrafo, , , , , , ,  necropoli di Piano delle Granate, -, , , , , , , - necropoli di Poggio delle Granate, , , , , , , , ,  necropoli di San Cerbone, , ,  tomba dei carri, , ,  tomba dei flabelli,  tomba del rasoio lunato, -, , 

Oxford, Ashmolean Museum,  Palestrina, , , -, -, , , ,  tomba Barberini,  tomba Bernardini, ,  tomba Castellani, , ,  tomba Galeassi,  Parigi, ,  Piediluco-Contigliano, ripostiglio di,  Pisa, , , , ,  tholos di Casaglia, ,  Pitecusa, , , , , , , -, -, , , -, , , , - necropoli di San Montano, , , , ,  Pitigliano, ,  Pitino San Severino Marche, ,  Poggio Buco, , ,  Politorium, ,  Pontecagnano, necropoli di, , , , , -, -, , -, , , -, , , , , , , , , -, , ,  necropoli di Casella, , , 

Rieti, tumulo di Corvaro Borgorose, -, ,  Riserva del Truglio, ,  Rocca di Papa, -, -,  Roma, , , , , -, , , , -, , -, , , , , -, -, , , , , -, , , , -, , , , -, , -, , , -,  Campidoglio,  Gianicolo,  necropoli dell’Esquilino, , , , , ,  tombe all’Arco di Augusto,  Roselle, , ,  Rustica, necropoli della, , , , , , , ,  Sabina, necropoli di Colle del Forno, ,  Samaria,  San Vincenzo, riparo Biserno, ,  Sardegna, , , , , -, , , , , , , , - Gallura,  necropoli di Is Aruttas-Cabras, 



INDICE ANALITICO

necropoli di Senorbi,  tempio di Antas, ,  Satricum, , , , , ,  Sermoneta, , ,  abitato di Monte Carbolino, ,  necropoli di Caracupa, , , -, , , , -,  necropoli di Valvisciolo, , , , , , , -,  Sesto Fiorentino, tomba della Montagnola, ,  tomba della Mula, ,  Sicilia, , , , -,  Adrano, località Mendolito, ,  Monte Bubbonia, -,  Siracusa, ,  Sidone,  Siena, Campassini-Monteriggioni, -, , ,  Siria, ,  Tarquinia, , -, -, , , , , , , , , , , , , , -, -, , -, , , , -, -, , , -, -, , - abitato del Calvario,  necropoli delle Arcatelle, , ,  necropoli di Macchia della Turchina, , ,  necropoli di Monterozzi, -, , ,  necropoli di Poggio dell’Impiccato, , ,  necropoli di Poggio Gallinaro, , , ,  necropoli di Poggio Selciatello, , -,  necropoli di Poggio Selciatello di Sopra, , ,  necropoli di Villa Bruschi-Falgari, , ,  tomba Avvolta, , , ,  tomba del guerriero, , , , , 

tomba della Mercareccia,  tomba di Bocchoris, ,  Tellene,  Tevere, , , , , , , , , ,  Tiro,  Tirreno, mare, , -, -, ,  Tivoli,  Troia, ,  Turchia, Zincirli Sam’al, , ,  Tuscania, - Uruk,  Valcamonica, ,  Veio, , , , , , -, , , , , , , , , , -, , -, , -, -, , -, , , -, -, -, , -, -, -, , -, -, -, -, -, -, , - Campetti,  Comunità,  necropoli di Casal del Fosso, , , , -, , , , , -, , , , , , -, , -, , , ,  necropoli di Grotta Gramiccia, , , -, , -, -, -, , , , , , , -,  necropoli di Macchia della Comunità, , -,  necropoli di Monte Michele, , , , , , , , , , ,  necropoli di Quattro Fontanili, , , , , -, -, , , , -, -, -, , , -, , , , -, , , , , -, , , -, , - necropoli di Picazzano, ,  necropoli di Pozzuolo,  necropoli di Riserva del Bagno, , , , , 



L E S O C I E T À D E L L’ I TA L I A P R I M I T I VA

necropoli di Vaccareccia, , , , , , , , ,  necropoli di Valle la Fata-Monte Campanile, , , ,  Piazza d’Armi,  tomba Campana, , , ,  tomba delle Anatre, ,  Velletri, , , , , , -, ,  Colle Santa Lucia,  Lariano, ,  Museo Civico, , ,  necropoli del Vallone, , , , -,  Verucchio, , , -, , , , , , , , ,  Vetulonia, , , , , , , , , , , , -, , , , , , , , -, , -, , , , -, - Circolo degli Acquastrini, ,  Circolo del Tridente, ,  necropoli Bambagini,  necropoli di Colle Baroncio,  necropoli di Poggio al Bello,  necropoli di Poggio alla Guardia, -, , , , , 

necropoli di Poggio alle Birbe,  necropoli di Poggio Belvedere, ,  tomba del Duce, , , , , , ,  tomba del Littore, , , , , , -,  tumulo della Pietrera, , , -, , , ,  Volterra, , -, , , , ,  necropoli delle Ripaie,  necropoli di Poggio le Croci, ,  Vulci, , , , , -, , , , , , , , , , , -, , , , -, -, ,  Cuccumella,  Cuccumelletta,  necropoli di Mandrione da Cavalupo, , , , ,  necropoli di Poggio Mengarelli,  necropoli di Ponte Sodo,  necropoli di Ponterotto,  tomba del Carro di Bronzo,  tomba d’Iside, 

