Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana): Storia dello sfruttamento minerario dall'antichità al XX secolo 9781407358321, 9781407358338

Il volume è uno studio della storia e archeologia mineraria delle Alpi Apuane meridionali (Toscana) dalla preistoria all

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Di relativo interesse
Indice
Indice delle illustrazioni
Abbreviazioni
Premessa dell’autore
Presentazioni (Prof. Paolo Orlandi, Prof. Cristian Biagioni)
CENNI STORICI GENERALI
1. Le mineralizzazioni nella Versilia storica
1.1. Pietrasanta/ Valdicastello – Sant’Anna di Stazzema
La vallata dell’Angina-Ferraio
La vallata del Canale del Fondo
1.2. Vitoio – Ripa – Strettoia
1.3. Stazzema
1.4. Arni
2. Alcune ipotesi sulle coltivazioni minerarie più antiche: la Preistoria
3. Alcune ipotesi sulle coltivazioni minerarie più antiche: dai Liguri Apuani, agli Etruschi, ai Romani.
3.1. Il Bottino, le Argentiere di Sant’Anna, l’Angina e Verzalla
4. Lo sfruttamento minerario: dal periodo romano all’anno 1000
5. Lo sfruttamento minerario: dall’anno 1000 al Lodo di Papa Leone X (1513)
5.1. La fondazione di Pietrasanta ed i primi documenti sull’attività estrattiva
6. Lo sfruttamento minerario: dal Lodo alla fine del Granducato di Toscana
6.1. I Medici ed il Lodo
6.2. Le Riforme Leopoldine ed il Granducato di Toscana
LE MINIERE. PARTE I: COLTIVAZIONI MINERARIE MINORI
7. Miniera di Strettoia
7.1. Mineralogia
8. Miniere di Calcaferro e Farnocchia
8.1. Mineralogia
9. Miniera dell’Angina o Buca di Angina
9.1. Mineralogia
10. Miniera cinabrifera di Ripa
10.1 Descrizione delle gallerie prima del 1973
10.2. Mineralogia
11. Miniera cinabrifera di Levigliani
11.1. Descrizione gallerie
11.2 Mineralogia
LE MINIERE. PARTE II: COLTIVAZIONI MINERARIE MAGGIORI
12. Miniera di Buca della Vena
12.1. Mineralogia
13. Miniere di Monte Arsiccio – Pianello – Verzalla fino al 1945
14. Miniere del Pollone (o di Valdicastello) fino al 1945
15. Miniere di Monte Arsiccio e del Pollone (o di Valdicastello): dal dopoguerra alla dismissione (I946-1990)
15.1. Campioni mineralogici
15.2. Mineralogia
16. Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate: Gallena e Argentiere di Sant’Anna.
16.1. Lavori dal 1500 al 1700
16.2. Lavori del 1800
16.3. Lavori del 1900
16.4. Breve descrizione delle gallerie
16.5 Mineralogia
17. Collezione mineralogica Marco Baldi
APPENDICI
Appendice 1. Visite e ritrovamenti occasionali
Vecchie Argentiere di Sant’Anna
Sbancamenti strada per Gallena
Sbancamenti strada per Cerreta San Nicola
Strada per Cerreta Sant’Antonio
Strada per Sant’Anna di Stazzema
Appendice 2. Nascita della moderna tecnica minerario - metallurgica
Appendice 3. Cenni sui metodi tradizionali per la produzione di argento: amalgamazione e coppellatura (o coppellazione).
Appendice 4. Cenni sull’evoluzione della legge mineraria durante il Regno d’Italia
Appendice 5. Amato Richard (1800-1883)
Appendice 6. Frederic Blanchard (1829-1903)
Appendice 7. Note sulle zone mineralizzate nel territorio del Capitanato di Pietrasanta di Padre Bonaventura Paci (1600) e Giacomo Mill (1700)
Bibliografia
Tavole
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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana): Storia dello sfruttamento minerario dall'antichità al XX secolo
 9781407358321, 9781407358338

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B A R I N T E R NAT I O NA L S E R I E S 3 0 3 4

2021

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Storia dello sfruttamento minerario dall’antichità al XX secolo MARCO BALDI A CURA DI DEBORAH GIANNESSI

B A R I N T E R NAT I O NA L S E R I E S 3 0 3 4

2021

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Storia dello sfruttamento minerario dall’antichità al XX secolo MARCO BALDI A CURA DI DEBORAH GIANNESSI

Published in 2021 by BAR Publishing, Oxford BAR International Series 3034 Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) isbn  978 1 4073 5832 1 paperback isbn  978 1 4073 5833 8 e-format doi https://doi.org/10.30861/9781407358321 A catalogue record for this book is available from the British Library © Marco Baldi and Deborah Giannessi 2021 cover image Uscita vagoncini Galleria Bassoli - Buca della Vena (foto Marco Baldi). The Authors’ moral rights under the 1988 UK Copyright, Designs and Patents Act are hereby expressly asserted. All rights reserved. No part of this work may be copied, reproduced, stored, sold, distributed, scanned, saved in any form of digital format or transmitted in any form digitally, without the written permission of the Publisher. Links to third party websites are provided by BAR Publishing in good faith and for information only. BAR Publishing disclaims any responsibility for the materials contained in any third party website referenced in this work.

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Quando a vent’anni arrivava la sera e ritornavo dalla miniera sudato stanco e col viso nero non ci pensavo che fosse vero che dopo poco sarei diventato anch’io come tanti per sempre malato del male tremendo che incute terrore il “male comune” del minatore. Un’ora di strada al mattino ed alla sera per lavorare nella miniera e ci si andava non c’erano appigli là dentro era il pane dei nostri figli. Sant’Olga, Verzalla, San Vito o Zabelli, là dentro eravamo amici e fratelli e là in quelle tane piú lunghe o piú corte schiavi dolenti si cercava la morte. Sant’Anna, Santa Barbara, Vernacchio o Pianello, erano otto ore di duro martello e dopo poco che si minava già malamente si respirava dal polverone che si faceva a volte la lampada non si vedeva e si cantava e non si pensava a quel malanno che lí si pigliava. Con poco pane nella bisaccia e poco vino nella borraccia a metà turno si strappava un boccone e poi di nuovo nel polverone finchè stremati si arrivava alla sera con poco guadagno e piú tisi nera. Oh quanti compagni del nostro mestiere han già lasciato parenti e miniere le hanno lasciate di notte e di giorno per quel lungo viaggio senza ritorno e son partiti fra stenti ed affanni i piú non avevano ancor cinquat’anni. O voi giovanotti che ancor lavorate nelle miniere modernizzate per fare mine ancor ci vuole il martello usatelo attenti con un po’ di cervello perchè la vita è per noi troppo amara ma la salute è la cosa piú cara. Lido Marchetti (ex minatore)

“…Ma rimane il grande e vero conforto di aver sempre fatto ció che ho voluto, senza dovermi inchinare a nessuno ed almeno per me non è poca cosa”. Marco Baldi, Settembre 2017

Marco Baldi, Buca della Vena, Castellaccio.

Indice Indice delle illustrazioni.................................................................................................................................................... ix Abbreviazioni.................................................................................................................................................................... xv Premessa dell’autore....................................................................................................................................................... xvii Presentazioni (Prof. Paolo Orlandi, Prof. Cristian Biagioni)....................................................................................... xix CENNI STORICI GENERALI 1.

Le mineralizzazioni nella Versilia storica.................................................................................................................. 3 1.1. Pietrasanta/Valdicastello - Sant’Anna di Stazzema................................................................................................ 3 La vallata dell’Angina-Ferraio................................................................................................................................. 3 La vallata del Canale del Fondo............................................................................................................................... 5 1.2. Vitoio-Ripa-Strettoia.............................................................................................................................................. 6 1.3. Stazzema................................................................................................................................................................. 6 1.4. Arni......................................................................................................................................................................... 7

2.

Alcune ipotesi sulle coltivazioni minerarie più antiche: la Preistoria..................................................................... 9

3.

Alcune ipotesi sulle coltivazioni minerarie più antiche: dai Liguri Apuani, agli Etruschi, ai Romani............. 13 3.1. Il Bottino, le Argentiere di Sant’Anna, l’Angina e Verzalla................................................................................. 15

4.

Lo sfruttamento minerario: dal periodo romano all’anno 1000........................................................................... 19

5.

Lo sfruttamento minerario: dall’anno 1000 al Lodo di Papa Leone X (1513)..................................................... 21 5.1. La fondazione di Pietrasanta ed i primi documenti sull’attività estrattiva........................................................... 21

6.

Dal Lodo alla fine del Granducato di Toscana........................................................................................................ 27 6.1. I Medici ed il Lodo............................................................................................................................................... 27 6.2. Le Riforme Leopoldine ed il Granducato di Toscana........................................................................................... 28 LE MINIERE. PARTE I: COLTIVAZIONI MINERARIE MINORI

7.

Miniera di Strettoia................................................................................................................................................... 35 7.1. Mineralogia .......................................................................................................................................................... 40

8.

Miniere di Calcaferro-Farnocchia........................................................................................................................... 41 8.1. Mineralogia........................................................................................................................................................... 46

9.

Miniera dell’Angina o Buca di Angina.................................................................................................................... 47 9.1. Mineralogia........................................................................................................................................................... 48

10. Miniera cinabrifera di Ripa...................................................................................................................................... 51 10.1. Descrizione delle gallerie prima del 1973.......................................................................................................... 57 10.2. Mineralogia......................................................................................................................................................... 62 11. Miniera cinabrifera di Levigliani............................................................................................................................. 67 11.1. Descrizione delle gallerie................................................................................................................................... 72 11.2. Mineralogia......................................................................................................................................................... 74

vii

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) LE MINIERE. PARTE II: COLTIVAZIONI MINERARIE MAGGIORI 12. Miniera di Buca della Vena....................................................................................................................................... 77 12.1. Mineralogia......................................................................................................................................................... 80 13. Miniere di Monte Arsiccio – Pianello – Verzalla fino al 1945................................................................................ 99 14. Miniere del Pollone (o di Valdicastello) fino al 1945 ............................................................................................ 121 15. Miniere di Monte Arsiccio e del Pollone (o di Valdicastello): dal dopoguerra alla dismissione (1946-1990)............................................................................................................................................................... 143 15.1. Campioni mineralogici..................................................................................................................................... 155 15.2. Mineralogia....................................................................................................................................................... 156 16. Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limitrofe coltivate: Gallena e Argentiere di Sant’Anna............... 167 16.1. Lavori dal 1500 al 1700.................................................................................................................................... 167 16.2. Lavori del 1800, Compagnia Mineralogica-Compagnia del Bottino poi Società Anonima............................. 170 16.3. Lavori del 1900, Società S.A.M.A.- Società E.D.E.M.- Società S.C.E.L........................................................ 176 16.4. Descrizione delle gallerie................................................................................................................................. 186 16.5. Mineralogia....................................................................................................................................................... 191 17. Collezione mineralogica Marco Baldi.................................................................................................................... 203 APPENDICI Appendice 1. Visite e ritrovamenti occasionali .......................................................................................................... 209 Vecchie Argentiere di Sant’Anna............................................................................................................. 209 Sbancamenti strada per Gallena............................................................................................................... 209 Sbancamenti strada per Cerreta San Nicola ............................................................................................ 209 Sbancamenti strada per Cerreta Sant’Antonio......................................................................................... 210 Sbancamenti strada per Sant’Anna di Stazzema...................................................................................... 210 Appendice 2. Nascita della moderna tecnica minerario - metallurgica ...................................................................211 Appendice 3. Cenni sui metodi tradizionali per la produzione di argento: amalgamazione e coppellatura (o coppellazione)..................................................................................................................................... 213 Appendice 4. Cenni sull’evoluzione della legge mineraria durante il Regno d’Italia............................................. 215 Appendice 5. Amato Richard (1800-1883).................................................................................................................. 217 Appendice 6. Fréderic Blanchard (1829-1903)........................................................................................................... 219 Appendice 7. Note sulle zone mineralizzate nel territorio del Capitanato di Pietrasanta di Padre Bonaventura Paci (1600) e Giacomo Mill (1700)..................................................................... 225 Bibliografia ..................................................................................................................................................................... 227 Tavole............................................................................................................................................................................... 235

viii

Indice delle illustrazioni Fig. 1.1. Schema tettonico e giacimenti delle Alpi Apuane.................................................................................................. 4 Fig. 1.2. La Versilia storica: mappa dell’area mineralizzata................................................................................................. 5 Fig. 2.1. Buca delle Fate (Cardoso), punte di freccia........................................................................................................... 9 Fig. 2.2. Carta geografica con i siti archeologici e minerari menzionati nel testo.............................................................. 10 Fig. 3.1. Stampo per falcetto in arenaria, epoca Bronzo finale, località La Costa, Valdicastello....................................... 14 Fig. 3.2. Miniera del Bottino, antichi lavori della Galleria Redola come rilevati da Sangui, 1920.................................... 16 Fig. 3.3. Asce in bronzo da Colle alle Banche.................................................................................................................... 17 Fig. 5.1. Castello di Motrone, prima della sua demolizione avvenuta intorno al 1692, disegno attribuito a Giovanni Francesco Grimaldi (1606-1680)........................................................................................................................................ 22 Fig. 5.2. Pianta del Capitanato di Pietrasanta, sec. XVII (1679)........................................................................................ 23 Fig. 6.1. Pianta di “una parte della comunità di Pietrasanta delineata...per conoscere la situazione di alcuni Comunelli”, Giovanni Nicola Mazzoni, 1795.................................................................................................................... 29 Fig. 6.2. Filza di Leggi Leopoldine dal 2 Luglio 1787 al 2 Luglio 1794........................................................................... 30 Fig. 7.1. Cartellino proprietà Società Anon. Miniere dell’Argentiera................................................................................ 36 Fig. 7.2. Miniera di Strettoia (ricostruzione schematica)................................................................................................... 37 Fig. 7.3. Schematica ricostruzione del progetto S.A.M.A. in località Pruniccia................................................................. 39 Fig. 8.1. Miniera di Calcaferro e Farnocchia. (ricostruzione schematica).......................................................................... 43 Fig. 8.2. Miniera di Farnocchia, laveria (foto).................................................................................................................... 45 Fig. 9.1. Buca dell’Angina (ricostruzione schematica)....................................................................................................... 49 Fig. 10.1. Requisizioni successive della Collina di Ripa - scala 1:2500............................................................................ 52 Fig. 10.2. La miniera di Ripa, (ricostruzione schematica).................................................................................................. 53 Fig. 10.3. Località Argentiera, mulinetto e impianto, ed il loro schematico utilizzo......................................................... 55 Fig. 10.4. Galleria Cantina (ricostruzione schematica)....................................................................................................... 58 Fig. 10.5. Parte terminale Galleria Cantina (anno 1970).................................................................................................... 58 Fig. 10.6. Galleria della Vigna, pianta e sezione schematica.............................................................................................. 60 Fig. 10.7. Galleria Fontanaccio, Ribasso, Villa Angelini uliveto....................................................................................... 62 Fig. 10.8. Galleria Cantina parte Vecchia, Ripa (foto)........................................................................................................ 63 Fig. 10.9. Galleria Cantina parte Nuova, cinabro, Ripa (foto)............................................................................................ 63 Fig. 10.10. Galleria Cantina parte Nuova, Ripa (foto)........................................................................................................ 64 Fig. 10.11. Galleria Cantina parte Nuova, Ripa (foto)........................................................................................................ 64 Fig. 10.12. Galleria Cantina inizio via Cantina vecchia, accesso al vecchio buttaggio per livello sottostrada (Mignano), Ripa (foto)....................................................................................................................................................... 65 Fig. 10.13. Galleria Cantina, parte finale, vecchi lavori, Ripa (foto).................................................................................. 65 Fig. 11.1. Miniera di Levigliani, pianta schematica............................................................................................................ 69

ix

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Fig. 11.2. Miniera di Levigliani, ingresso Galleria Cavetta prima del recupero (foto)...................................................... 70 Fig. 11.3. Miniera di Levigliani, vecchio impianto di flottazione (foto)............................................................................ 71 Fig. 11.4. Miniera di Levigliani, resti dei forni per la distillazione distrutti a seguito dell’alluvione del 1996 (foto)....... 73 Fig. 12.1. Miniera Buca della Vena, locomotore di servizio (foto).................................................................................... 80 Fig. 12.2. Planimetria della Miniera di Buca della Vena (tratto da Bertocchini F.)............................................................ 81 Fig. 12.3. Buca della Vena, vecchio ingresso al Castellaccio,1978 (foto).......................................................................... 82 Fig. 12.4. Buca della Vena, cantiere al Castellaccio, 1978 (foto)....................................................................................... 82 Fig. 12.5. Buca della Vena, cantiere al Castellaccio, 1981 (foto)....................................................................................... 83 Fig. 12.6. Buca della Vena, cantiere al Castellaccio, resulte abbandonate a terra, 1980 (foto).......................................... 83 Fig. 12.7. Buca della Vena, cantiere al Castellaccio, zona particolarmente mineralizzata, 1980 (foto)............................. 84 Fig. 12.8. Buca della Vena, rinforzo del soffitto,1980-82 (foto)......................................................................................... 84 Fig. 12.9. Buca della Vena, accesso al livello sopraelevato dintorni zona Castellaccio, in foto Prof. Andrea Palenzona (sn) e il Signor Gianni Frenna (dx) accompagnati in visita dall’autore, 1984.................................................. 85 Fig. 12.10. Buca della Vena, Galleria Bassoli, 1980 (foto)................................................................................................ 85 Fig. 12.11. Buca della Vena, paletta caricatrice con cingoli ad aria compressa, 1982 (foto)............................................. 86 Fig. 12.12. Buca della Vena, vagoncini con sterile in uscita, ultimo periodo, 1986 (foto)................................................. 86 Fig. 12.13. Buca della Vena, parte finale Galleria Bassoli. Area accessi livelli inferiori, 1978 (foto)............................... 87 Fig. 12.14. Buca della Vena, argano per movimento vagoni due livelli più basso, 1982 (foto)......................................... 87 Fig. 12.15. Buca della Vena, accesso alla discenderia, 1982 (foto).................................................................................... 88 Fig. 12.16. Buca della Vena, momento di pausa, 1982 (foto)............................................................................................. 88 Fig. 12.17. Buca della Vena, vecchia galleria abbandonata, 25.7.1986 (foto).................................................................... 89 Fig. 12.18. Buca della Vena, compressore di servizio, 7.7.1986, (foto)............................................................................. 89 Fig. 12.19. Buca della Vena, piazzale, inverno 1980 (foto)................................................................................................ 90 Fig. 12.20. Buca della Vena, panorama dal piazzale, 25.7.1986 (foto).............................................................................. 90 Fig. 12.21. Buca della Vena, vecchio espansore d’aria riciclato in serbatoio acqua, 7.7.1986 (foto)................................ 91 Fig. 12.22. Buca della Vena, locomotiva verso teleferica, 4.9.1986 (foto)......................................................................... 92 Fig. 12.23. Buca della Vena, tettoia con buttaggio sovrastante la teleferica, inverno 1983 (foto)..................................... 92 Fig. 12.24. Buca della Vena, l’amico Filippo, 4.9.1986 (foto)........................................................................................... 93 Fig. 12.25. Buca della Vena, galleria di carreggio, vecchia piattaforma girevole (foto).................................................... 93 Fig. 12.26. Buca della Vena, locomotiva in abbandono (foto)........................................................................................... 93 Fig. 12.27. Buca della Vena, vagonetti abbandonati (foto)................................................................................................. 93 Fig. 12.28. Buca della Vena, piattaforma girevole per deviazioni, Galleria Bassoli (foto)................................................ 94 Fig. 12.29. Buca della Vena, argano mobile su carrello (foto)........................................................................................... 94 Fig. 12.30. Buca della Vena, vecchio argano su carrello (foto).......................................................................................... 95 Fig. 12.31. Buca della Vena, espansore aria compressa (foto)........................................................................................... 96 Fig. 12.32. Buca della Vena, tubazioni aria compressa/acqua (foto).................................................................................. 96 Fig. 12.33. Buca della Vena, accesso al livello Casa Pensieri (foto).................................................................................. 97 Fig. 12.34. Buca della Vena, ingresso per lavori a San Leonardo (foto)........................................................................... 97

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Indice delle illustrazioni Fig. 12.35. Laveria E.D.E.M. Valdicastello........................................................................................................................ 97 Fig.12.36. Derbylite 2° ritrovamento mondiale (foto)........................................................................................................ 98 Fig. 13.1. Teleferica Blanchert, una rara foto (foto)......................................................................................................... 100 Fig. 13.2. Teleferica Blanchert, schema............................................................................................................................ 101 Fig. 13.3. Monte Arsiccio schematica ricostruzione del deposito ferraio......................................................................... 102 Fig. 13.4. Lettera del signor Mangiapan al Sindaco di Pietrasanta................................................................................... 104 Fig. 13.5. Frontespizio requisizione miniera di Monte Arsiccio e Sant’Anna.................................................................. 106 Fig. 13.6. Lettera dell’Ilva al Sindaco di Pietrasanta........................................................................................................ 107 Fig. 13.7. Monte Arsiccio, piano della Concessione di ferro, pirite, rame denominata Monte Arsiccio.......................... 109 Fig. 13.8. E.D.E.M. 1943, Esempio modello denuncia licenziamento operai.................................................................. 114 Fig. 13.9. Monte Arsiccio, ingresso Galleria Sant’Anna. (foto)....................................................................................... 115 Fig. 13.10. Monte Arsiccio, Galleria Sant’Anna (foto).................................................................................................... 115 Fig. 13.11. Monte Arsiccio, vecchio impianto carica (foto)............................................................................................. 116 Fig. 13.12. Monte Arsiccio, stazione di partenza della teleferica (foto)........................................................................... 117 Fig. 13.13. Monte Arsiccio, stazione di partenza della teleferica. (foto).......................................................................... 117 Fig. 13.14. Monte Arsiccio, stazione di partenza della teleferica. (foto).......................................................................... 117 Fig. 13.15. Monte Arsiccio, tramoggia di carico (foto)................................................................................................... 118 Fig. 13.16. Monte Arsiccio, edificio falegnameria attiguo all’ingresso della galleria Sant’Anna (foto).......................... 118 Fig. 13.17. Monte Arsiccio, abitazione del guardiano (foto)............................................................................................ 119 Fig. 14.1. Giardini Villa Franca, foresteria ex E.D.E.M, pestatoio delle polveri (foto).................................................. 126 Fig. 14.2. Topografia schematica di Valdicastello 1833-1852.......................................................................................... 130 Fig. 14.3. Salari dell’Impresa Metallurgica di Valdicastello relativi al mese di di­cembre 1833...................................... 132 Fig. 14.4. Giardini Villa Franca, foresteria ex E.D.E.M.: molazza (foto)......................................................................... 133 Fig. 14.5. Valdicastello: villa Gemignani (foto)............................................................................................................... 133 Fig. 14.6. Miniera del Pollone, disegno dell’autore.......................................................................................................... 135 Fig. 14.7. Lettera del Podestà di Pietrasnta al capostazione, anno 1927.......................................................................... 137 Fig. 14.8. Laveria S.A.M.A. a Valdicastello, 1927 (foto).................................................................................................. 138 Fig. 14.9. Estratto da Relazioni annuali Ingegnere Capo di Distretto Minerario – Carrara anno 1927.......................... 142 Fig. 15.1. Miniera Monte Arsiccio, asina Nina al lavoro (foto)....................................................................................... 145 Fig. 15.2. Monte Arsiccio, ultimi trasportatori di minerale a cottimo (foto).................................................................... 145 Fig. 15.3. Valdicastello, topografia schematica della località citate nel testo................................................................... 146 Fig. 15.4. Da sinistra il sindaco di Stazzema Prof. Bruno Antonucci, Erasmo Sgarroni presidente E.D.E.M. e Alberto Gorelli direttore delle miniere (foto)................................................................................................................... 149 Fig. 15.5. Giacimento del Pollone, planimetria anno 1985.............................................................................................. 153 Fig. 15.6. Monte Arsiccio denuncia infortunio, archivio personale dell’autore............................................................... 154 Fig. 15.7. Grotta naturale di Monte Arsiccio (foto).......................................................................................................... 157 Fig. 15.8. Lettera rappresentanze lavoratori E.D.E.M. ai sindacati.................................................................................. 159 Fig. 15.9a-b. Volantino sindacale............................................................................................................................... 160-161

xi

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Fig. 15.10. Monte Arsiccio, la grotta nera con stalattite di goethite e l’amico Roberto Buonriposi (foto)...................... 162 Fig. 15.11. Monte Arsiccio Miniera Pollone, ingresso al camerone (foto)....................................................................... 162 Fig. 15.12. Miniera del Pollone, Canale Ferraio (foto)..................................................................................................... 163 Fig. 15.13. Miniera del Pollone, il vecchio magazzino (foto).......................................................................................... 164 Fig. 15.14. Miniera del Pollone, il ponte (foto)................................................................................................................ 164 Fig. 15.15. Miniera del Pollone, Cantiere Pizzone (foto)................................................................................................. 165 Fig. 15.16. Miniera del Pollone, vecchia tramoggia (foto)............................................................................................... 165 Fig. 15.17. Miniera del Pollone, tramoggia di buttaggio (foto)........................................................................................ 165 Fig. 15.18. Miniera del Pollone, stazione di arrivo della teleferica da Cantiere Pizzone (foto)....................................... 166 Fig. 16.1. Prospetto del prodotto dell’Argentiera, (1833/1846)....................................................................................... 171 Fig. 16.2. Analisi sul minerale del Bottino....................................................................................................................... 174 Fig. 16.3. Schema di una sezione della Laveria Martinazzo e C. rilevata da Pelloux A. (1922)..................................... 178 Fig. 16.4. Fotoriproduzione della Laveria Martinazzo e C............................................................................................... 179 Fig. 16.5. Miniere di Gallena, planimetria schematica..................................................................................................... 182 Fig. 16.6. Cartello maestranze E.D.E.M in piazza Duomo a Pietrasanta in occasione della visita del Presidente Gronchi (foto)................................................................................................................................................................... 184 Fig.16.7. E.D.E.M., contenitore di esplosivo (foto).......................................................................................................... 185 Fig. 16.8. E.D.E.M., sacco imballaggi (foto).................................................................................................................... 185 Fig. 16.9. Miniere del Bottino, Gallena e Rocca, ricostruzione dei trasporti.................................................................. 187 Fig. 16.10. Miniere del Bottino: Galleria Redola, planimetria schematica, situazione anni ’70...................................... 188 Fig. 16.11. Miniere del Bottino: Galleria Paoli, planimetria schematica, situazione anni ’70......................................... 189 Fig. 16.12. Miniere del Bottino: Galleria Due Canali, planimetria schematica, situazione anni ’70............................... 190 Fig. 16.13. Miniere del Bottino, sezione dei lavori sottostanti al livello della Galleria Due Canali................................ 192 Fig. 16.14. Miniere del Bottino, sezione schematica delle Gallerie................................................................................. 193 Fig. 16.15. Galleria Rocca e Ribasso Breviglieri, ricostruzione schematica................................................................... 194 Fig. 16.16. Boschi di Sant’Anna di Stazzema, cippo minerario, (foto)............................................................................ 195 Fig. 16.17. Strada per Sant’Anna, cartello minerario, (foto)............................................................................................ 195 Fig. 16.18. Argentiera di Sant’Anna, (Santa Barbara) vecchia galleria medioevale, (foto)............................................. 196 Fig. 16.19. Argentiera di Sant’Anna (foto)....................................................................................................................... 196 Fig. 16.20. Argentiera di Sant’Anna, antica entrata della galleria (foto).......................................................................... 197 Fig. 16.21. Argentiera di Sant’Anna, antica galleria parte finale (foto)............................................................................ 197 Fig. 16.22. Argentiera di Sant’Anna, soffitto (foto).......................................................................................................... 198 Fig. 16.23. Argentiera di Sant’Anna, soffitto (foto).......................................................................................................... 198 Fig. 16.24. Argentiera di Sant’Anna, parete (foto)........................................................................................................... 199 Figg. 16.25-16.26. Argentiera di Sant’Anna, parete (foto)............................................................................................... 199 Fig. 16.27. Argentiera di Sant’Anna, vecchio pozzo (foto).............................................................................................. 200 Fig. 16.28. Argentiera di Sant’Anna, pisoliti (foto).......................................................................................................... 200 Fig. 16.29. Argentiera di Sant’Anna, pisoliti (foto).......................................................................................................... 201

xii

Indice delle illustrazioni Fig. 16.30. Argentiera di Sant’Anna, pisoliti (foto).......................................................................................................... 201 Fig. 17.1. Berillo BdV 15 mm.......................................................................................................................................... 203 Fig. 17.2. berillo BdV 15 x 10 mm ritrovamento 1993.................................................................................................... 203 Fig. 17.3. Bournonite Rocca 15 mm ritrovamento 1970.................................................................................................. 204 Fig. 17.4. Bournonite 6 mm con siderite Cava Cugnasca................................................................................................ 204 Fig. 17.5. Geocronite 3 x 1 5 cm Pollone Ribasso Pollone.............................................................................................. 204 Fig. 17.6. Geocronite 6 x 3 x 3 cm blenda 1 5 cm Pollone ritrovamento 1974, Pizzone................................................. 204 Fig. 17.7. Meneghinite Monte Rocca 7 x 5 x 3 xx fino a 15 mm..................................................................................... 204 Fig. 17.8. Pirite BdV fino a 1 cm..................................................................................................................................... 205 Fig. 17.9. Pirofillite Ripa Trincerone 5 mm...................................................................................................................... 205 Fig. 17.10. Quarzo fumé Pollone 15 cm xx fino a 5 cm................................................................................................... 205 Fig. 17.11. Sfalerite BdV................................................................................................................................................... 205 Fig. 17.12. Sfalerite, Galleria Preziosa............................................................................................................................. 205 Fig. 17.13. Siderite, Galleria Isonzo, Bottino 9x7 cm xx fino a 2 5 cm........................................................................... 205 Fig. 17.14. Stibnite cristallo 2 cm Monte Arsiccio........................................................................................................... 206 Fig. 17.15. Solfosale aciculare UK BdV xx fino a 7 mm................................................................................................. 206 Fig. 17.16. Tetraedrite, Pozzo Francese, Pollone 1977, 13 mm........................................................................................ 206 Fig. 17.17. Versiliaite x 10 x 5 mm BdV........................................................................................................................... 206 Fig. A.3.1. Schema di forno a riverbero............................................................................................................................ 214 Fig. A.5.1. Cimitero di Seravezza lapide a muro di Amato Richard (foto)...................................................................... 217 Fig. A.6.1. Necrologio di Fréderic Blanchard................................................................................................................... 221 Fig. A.6.2. Cimitero di Vallecchia, Gruppo tombale Blanchard – Denot (foto)............................................................... 222 Fig. A.6.3. Cimitero Cerrata Sant’Antonio, iscrizioni tombali di Corinna e Federigo Blanchard................................... 223 Tav. 1. Miniera di Ripa: planimetria del giacimento di Ripa (1:1000)............................................................................. 235 Tav. 2. Miniera Cinabrifera di Ripa: pianta (1:500)........................................................................................................ 236 Tav. 3. Miniera di Levigliani: planimetria del giacimento di Levigliani (1:1000)........................................................... 237 Tav. 4. Miniera di Farnocchia: planimetria della zona di concessione mineraria detta “Farnocchia” sita nel Comune di Stazzema (1:10000)........................................................................................................................................ 238 Tav. 5. Miniera di Farnocchia: planimetria generale (1:2000)........................................................................................ 239 Tav. 6. Miniera di Farnocchia: planimetria 405 (1:500).................................................................................................. 240 Tav. 7. Miniera di Val di Radice-Calcaferro-Farnocchia: miniera di pirite in Val di Radice, Comune di Stazzema, planimetria generale, Ditta Fratelli Pocai di Stazzema, (1:500)....................................................................................... 241 Tav. 8. Complesso delle Miniere del Bottino: S. Anna, Monte Arsiccio, Valdicastello (1:2500)..................................... 242 Tav. 9. Miniera del Bottino: Altimetria: Sviluppo dei lavori lungo il filone (1:500)........................................................ 244 Tav. 10. Miniera del Bottino - Gallena e Rocca: Planimetria. Miniere dell’Argentiera S.C.E.L.; Tav. IV (1:25000)..... 246 Tav. 11. Miniera del Bottino: Planimetria S.C.E.L. Miniere dell’Argentiera; Tav. VIII (1:500)...................................... 247 Tav. 12. Miniera del Bottino: Pianta, Miniere dell’Argentiera; (1:1000)......................................................................... 248 Tav. 13. Miniera del Bottino: Galleria Due Canali, prospetto; Società Miniere dell’Argentiera, copia Direz. 66........... 249

xiii

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Tav. 14. Miniera del Bottino: fabbricati dei Due Canali, prospetto e pianta (1:100), cabina elettrica prospetto e pianta (1:50)...................................................................................................................................................................... 249 Tav. 15. Miniera del Bottino: Laveria, prospetto. Miniere dell’Argentiera, 24 luglio 1920 (1:50).................................. 250 Tav. 16. Miniera del Bottino: Cantiere della Rocca e affioramento di Conca Denari, Tav.5 (1:1000)............................. 251 Tav. 17. Miniera del Bottino: Laveria, sez. trasversale misti. Dis. N. 6390. Cagliari dicembre 1920 (1:50)................... 252 Tav. 18. Miniera del Bottino: S.C.E.L. Cantiere della Rocca “sezione” (1:500).............................................................. 254 Tav. 19. Miniera del Bottino: Cantiere della Rocca e Ribasso Breviglieri, Tav.6 (1:500)................................................ 257 Tav. 20. Miniera del Bottino: Cantiere della Rocca, particolari. Ribasso Brevigleiri Tav. 9 (1:500)............................... 258 Tav. 21. Miniera di Valdicastello: planimetria della zona di concessione mineraria detta “di Valdicastello” sita nei comuni di Pietrasanta-Stazzema-Camaiore (1:10000)...................................................................................................... 260 Tav. 22. Valdicastello teleferica: teleferica Canale del Ferraio, confini del polverificio, N. 524 (1:500)........................ 261 Tav. 23. Valdicastello teleferica: Canale del Ferraio, stazione di carico e decauville d’accesso, A526, (1:500)............. 262 Tav. 24. Valdicastello: Ponte del Ferraio e attraverso il polverificio di Valdicastello (1:20; 1:50).................................. 263 Tav. 25. Miniere di Valdicastello: planimetria di un’acquedotto e di una funicolare per l’esercizio del solfato di barite in Valdicastello, Comune di Pietrasanta (1:2500)................................................................................................... 264 Tav. 26. Miniere di Valdicastello: Cantiere Gallena, pianta e sezione (1:500)................................................................. 265 Tav. 27. Miniere di Valdicastello: Società Italiana Esplodenti “La Versilia” L. Bresciani & C. Polverificio di Valdicastello, Comune di Pietrasanta, Sezione catastale G. (1:1250)............................................................................... 266 Tav. 28. Miniere di Valdicastello: piano della concessione di pirite, piombo e barite denominata “Valdicastello”, concessionaria Soc. An. Miniere dell’Argentiera (1:2500).............................................................................................. 268 Tav. 29. Miniere di Valdicastello: piano della concessione di ferro pirite e rame denominata “Monte Arsiccio”, concessionaria Soc. An. Miniere dell’Argentiera (1:2500).............................................................................................. 269 Tav. 30. Miniere di Monte Arsiccio: planimetria generale dei terreni, Comune di Stazzema Sezione E. (1:2500)......... 270 Tav. 31. Miniere di Monte Arsiccio: planimetria della zona mineraria (1:5000)............................................................. 271 Tav. 32. Miniere di Monte Arsiccio: S.A. E.D.E.M. miniera di Monte Arsiccio; profilo longitudinale, Ing. Zabelli (1:500)........................................................................................................................................................... 272 Tav. 33. Buca della Vena: S.I.M.A. spa Società ind. Mineraria Apuana Miniera di Buca della Vena, planimetria (1:500)............................................................................................................................................................ 276 Tav. 34. Buca della Vena: planimetria dei livelli minerari (1:500).................................................................................. 277

xiv

Abbreviazioni A.C.L.

Archivio Catastale di Lucca

A.D.N

Archivio Distrettuale Notarile Lucca – Torino

A.L.L.A.S.

Accademia Lucchese di Lettere Arti e Scienze Lucca

A.S.F.

Archivio di Stato di Firenze

A.S.G.

Archivio di Stato di Genova

A.S.L.

Archivio di Stato di Lucca

A.S.C.P.

Archivio Storico Comunale di Pietrasanta

A.S.C.S.

Archivio Storico Comunale di Seravezza

A.S.C.St

Archivio Storico Comunale di Stazzema

A.S.E.M.

Archivio Società E.D.E.M. Miniere S.p.a – Valdicastello

A.S.P.

Archivio di Stato di Pisa

A.U.S.M.

Archivio Ufficio Statale delle Miniere Carrara – Firenze

B.C.Gr.

Biblioteca Comunale di Grosseto

B.C.Ms

Biblioteca Comunale di Massa

B.C.P.

Biblioteca Comunale di Pietrasanta

B.C.Sp

Biblioteca Comunale di La Spezia

B.G.L.

Biblioteca Governativa di Lucca

B.U.C.P.

Biblioteca Universitaria Centrale di Pisa

B.U.S.T

Biblioteca Universitaria (Dipartimento Scienze della Terra Pisa – Firenze.)

I.G.M.

Istituto Geografico Militare Firenze

M.A.L.

Miscellanea Accademia Lunigianense G.Capellini – La Spezia

Ri.Min.

Archivio ex Societá Ricerche Minerarie

R.M.I

Rivista Mineralogica Italiana – Milano

S.T.S.N.

Società Toscana di Scienze Naturali – Pisa

xv

Premessa dell’autore Quando nel 1970 cambiai tipo di lavoro divenendo ferroviere e capotreno, mi trovai di fronte ad una realtà nuova e a me sconosciuta: la turnazione rotativa con frequente impegno notturno su e giù per mezza Italia. Il tempo libero era abbastanza ma in orari diversi dalla norma quindi difficilmente conciliabili con attività da svolgere in comune, da cui derivò la necessità di una alternativa alla raccolta di cartoline, francobolli o simili.

Giacimenti Minerari sempre all’Università di Pisa tramite il quale conobbi il direttore delle miniere E.D.E.M. S.p.a di Valdicastello Carducci, Monte Arsiccio e Buca della Vena, il signor Alberto Gorelli, perito minerario. Tutti dei veri maestri per coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerli ed apprezzarne la disponibilità, tanto che è qui più che mai doveroso rivolgere un riverente omaggio alla memoria degli ultimi quattro, accomunandovi quella di Bruno e dei numerosi vecchi minatori incontrati nel corso degli anni, ricordando che a loro tutti sono moralmente debitore.

Provenivo da un pluriennale impegno nelle ricerche archeologiche, intercalate da qualche uscita di speleologia, poichè facevo parte di quell’iniziale gruppetto di persone che sotto la guida del maestro e carissimo amico Prof. Bruno Antonucci aveva dato vita fin dal 1961, al Gruppo Speleologico Archeologico Versiliese (G.S.A.V.), gettando le basi per quello che diverrà il Museo Archeologico Versiliese di Pietrasanta (Lucca), oggi a lui stesso intitolato.

La possibilità di accesso alle coltivazioni E.D.E.M., a cui sono rimasto sempre legato fino alla dismissione dei lavori, comportò il contatto con le maestranze in forza e quelle pensionate dalle quali ottenni informazioni preziose. E sono proprio gli anziani minatori, a cui lascerò spesso la parola, i veri protagonisti di una storia che fino ad ora non è stata mai scritta se non con il sudore e la salute lasciati nelle gallerie, frammista al polverone della micidiale prussiera1. A loro è legato il ricordo di ore ed ore passate in ascolto, magari seduti sopra un sasso o davanti ad un bicchiere di vino che non finiva mai, perché finirlo era come nuovamente recidere il cordone ombelicale di un passato lontano che adesso finalmente interessava a qualcuno.

Praticare archeologia o speleologia da solo neanche a parlarne, ed ecco configurarsi lo sbocco dei miei interessi nella ricerca di minerali nelle vecchie miniere versiliesi che, perlomeno teoricamente, conoscevo attraverso le descrizioni di Bruno che le aveva visitate. Feci così le prime esperienze in un ambiente nuovo e pressoché inesplorato visto che ad interessarsene in questa zona erano all’epoca pochissimi, ed in genere “forestieri”, salvo l’altro componente del G.S.A.V. il dott. Giuliano Mutti, che mi prese a rimorchio nella fase iniziale.

Da loro ho ricevuto non solo informazioni, ma cosa ben più importante, delle lezioni di vita, tanto che ancora oggi quando rivedo i miei “pezzi di sasso” o riascolto le vecchie cassette che registrai, mi sorprendo a pensare se non abbia a volte parlato con Il buon soldato Karl di Remarque2 o se stessi vivendo uno scorcio di quel clima di saudades che aleggia nei romanzi di Camus.

Fu veramente la scoperta di un mondo nuovo e per me sconosciuto, dove presto vidi riaffiorare il mio vecchio amore per il passato trasferito adesso alle miniere. La macchina fotografica era all’epoca un sogno nel cielo dell’impossibile, tanto che passeranno più di dieci anni per realizzare un clic personale, ed allora una stima ad occhio, una penna, un taccuino e via, ecco fissato il ricordo negli appunti così alla buona e neppure immaginavo che un giorno il tutto potesse uscire da quel quadernetto, al massimo mi aspettavo di commentare le mie scoperte con Bruno, quando riuscivamo ad incontrarci.

E così, concludendo, è proprio ai minatori che dedico questa specie di diario di viaggio buttato giù nel tempo e frammisto a tanti ricordi. L’ho rispolverato per caso dopo oltre diciassette anni di abbandono in una cassetta, una sera al ritorno da un incontro sul tema delle nostre vecchie miniere tenutosi in un paesino dell’entroterra versilese dove ero stato colpito, mentre parlavo, dal vedere accendersi un brillio in occhi arrivati forse un po’ stanchi ma improvvisamente di nuovo vivaci, lo stesso brillio che

Continuai così le ricerche sul campo a cui affiancai quelle di archivio. Ben presto alla mia attività si aggiunsero nuove importanti conoscenze come, citandone solo alcune, l’allora studente Paolo Orlandi, successivamente docente presso il Dipartimento di Scienze della Terra (Mineralogia) dell’ateneo pisano, l’ingegnere Giuseppe Scaini di Milano, l’ingegnere Carlo Del Tredici bolognese ma con radici “cardosine”, il prof. Gabor Dessau docente di

1 Fino alla adozione del getto d’acqua che fuoriesce dal vertice della punta che penetra nella roccia (il fioretto) abbattendo, se non del tutto ma fortemente limitando, il formarsi della polvere, appunto la cosiddetta prussiera, la perforazione avveniva senza alcuna protezione (metodo a spolvero) se non il mantenere a contatto con la roccia uno straccio bagnato da parte dei più accorti. Questo fu il motivo del formarsi di quell’atmosfera soprassatura di pulvirulenza responsabile della silicosi, la tristemente nota tisi nera dei minatori, spettro e causa di innumerevoli morti in giovane età per intere generazioni. 2 Titolo originale: Im Westen nichts Neues, Erich Maria Remarque, 1929.

xvii

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) avevo visto tempo addietro nei minatori seduti sopra un sasso o davanti a quel bicchiere di vino ormai lontano. Prima di chiudere un immenso ringraziamento va a mia mamma Letizia, a mia moglie Franca e a mia figlia Eva per avere sempre subito in silenzio il moltissimo tempo sottratto loro con i miei “vagabondaggi minerari” che spesso mi hanno preso la mano.

Salvo ove indicato diversamente disegni e cartine sono non in scala e opera dell’autore, cosí come le fotografie. Da segnalare che proprio nelle foto relative alle vecchie argentiere di Sant’Anna viene volutamente omesso il nome della galleria di riferimento, a tutela della stessa e della sua conservazione nel tempo.

Ugualmente ringrazio gli amici e compagni di escursioni: Roberto Allori, Riccardo Buselli, Ernesto Zacchetti, come pure il personale direttivo e le maestranze della Società E.D.E.M che mi hanno sempre agevolato. Non ultimi bensì importantissimi al fine del presente, Mario Taiuti ex archivista dell’Archivio Storico Comunale di Pietrasanta (A.S.C.P.) per il suo spronarmi a far conoscere le mie ricerche su un aspetto della nostra storia passata fino ad oggi poco o marginalmente trattata, e Franco Balducchi ex responsabile dell’ A.S.C.P. per essersi assunto il non lieve lavoro di trasferire al computer i miei manoscritti. Insostituibile infine l’aiuto della carissima amica, fino dai tempi della mia sporadica partecipazione al G.S.A.V., e archeologa Deborah Giannessi, per i numerosi suggerimenti e l’inserimento nella stesura finale di tutte le nuove notizie rinvenute, senza la cui cura e supporto questo lavoro non si sarebbe materializzato. I capitoli descrittivi delle miniere terminano con una breve presentazione sulla mineralogia ad opera di Cristian Biagioni, docente di Mineralogia presso l’Università di Pisa, che ringrazio sinceramente. Cristian è stata una delle prime persone, con il prof. Paolo Orlandi, a leggere il manoscritto molto prima della versione finale, incoraggiandomi a proseguire nelle ricerche di archivio. Agli amici Tristan Kurz e Roberto Buonriposi il ringraziamento per avermi concesso la pubblicazione di alcune loro foto all’interno del volume. Grazie anche a Mariapaola Pers e Nicola Guadagni per l’oneroso compito di revisione del testo finale ed i preziosi suggerimenti. Le ricerche qui presentate sono state condotte in molteplici archivi e biblioteche, di seguito le principali istituzioni: Archivio Catastale di Lucca, Archivio Distrettuale Notarile di Lucca e quello di Torino, Accademia Lucchese di Lettere Arti e Scienze Lucca, Archivio di Stato di Firenze, Archivio di Stato di Genova, Archivio di Stato di Lucca, Archivio di Stato di Pisa, Archivio Storico Comunale di Pietrasanta, Archivio Storico Comunale di Seravezza, Archivio Storico Comunale di Stazzema, Archivio Società E.D.E.M. Miniere S.p.a-Valdicastello, Archivio Ufficio Statale delle Miniere Carrara – Firenze, Biblioteca Comunale di Grosseto, Biblioteca Comunale di Massa, Biblioteca Comunale di Pietrasanta, Biblioteca Comunale di La Spezia, Biblioteca Governativa di Lucca, Biblioteca Universitaria Centrale di Pisa, Biblioteca Universitaria, Dipartimento Scienze della Terra di Pisa e quello di Firenze. xviii

Presentazioni L’opera di Marco Baldi “Inseguire un sogno-Archeologia mineraria nel territorio dell’Enclave Medicea del Capitanato di Pietrasanta” (titolo originale dell’opera) è il frutto di un ricerca condotta dall’autore nell’arco di quasi quarant’anni sulle miniere dell’Alta Versilia.

mineralogiche la cui origine e varietà, stando ai racconti dei vecchi minatori, come dice Marco stesso nelle pagine di questo volume, sarebbe dovuta all’opera di Dio: “... quando Dio ebbe creato tutte le miniere del mondo era sopra di noi e cosi ci scosse il sacco. Ecco perchè abbiamo poco ma di tutto”.

Attraverso la consultazione di una ricca serie di documenti di archivio, spesso inediti, e con le notizie ottenute dall’amicizia con gli ultimi minatori della Società E.D.E.M., ultimi testimoni della millenaria storia mineraria alto-versiliese, Marco Baldi ha intrapreso un viaggio della memoria sul duro lavoro nelle miniere del piombo-argentifero, ferro, pirite, barite, mercurio, che hanno rappresentato per pochi fonte di ricchezza e per molti luogo di faticoso lavoro.

La Scienza moderna è riuscita in parte a spiegare l’origine delle mineralizzazioni versiliesi ma non sono queste le problematiche trattate in questo volume. Qui il lettore seguirà la vita delle miniere e dei minatori, palcoscenico ed attori di una vita faticosa che, ormai lontana nel tempo, è stata una importante risorsa nel territorio apuo-versiliese, ormai scomparsa. Ma i sogni non svaniscono, finchè le persone non li abbandonano. E Marco ci invita a seguire, insieme a lui, il suo sogno.

A fianco di una attenta ricostruzione sulla storia delle miniere, Marco non ha tralasciato gli aspetti naturalistici, curati nel corso degli anni attraverso la raccolta di minerali nelle miniere alto-versiliesi. I campioni più significativi della sua collezione privata trovano giusta sede in questo volume, sulle cui pagine Marco ha trasferito tutto l’amore per il suo territorio e per quelle peculiarità geo-

Prof. Paolo Orlandi (ex. Docente di Mineralogia, Università degli Studi di Pisa)

Ho conosciuto il nome di Marco Baldi prima di conoscere l’uomo. Marco era stato autore, nel 1982, di un articolo sui minerali della miniera del Pollone pubblicato sulla Rivista Mineralogica Italiana. Grazie a quel suo lavoro il mondo collezionistico (e non solo) veniva a conoscenza della reale località di ritrovamento di un minerale iconico per le Alpi Apuane, la geocronite. Questo solfoantimonito di piombo era stato descritto a partire dalla metà degli anni Quaranta dell’Ottocento, ma la sua vera località di provenienza era andata perduta, nascosta dalle nebbie del tempo. Fu proprio Marco, grazie alle sue amicizie con i minatori della miniera del Pollone e con il professor Gabor Dessau, a riscoprirne la vera provenienza. Fu da quel momento che questa località ebbe una nuova vita, portando collezionisti e ricercatori di tutto il mondo a studiarla, rivelando così la ricchezza di specie rare e addirittura nuove che prima giacevano nascoste nelle sue viscere.

anni hanno preso il nome dal territorio in cui sono state raccolte per la prima volta al mondo: apuanite e versiliaite. Marco Baldi si inserisce in questa storia ancora una volta grazie alla sua passione per la Mineralogia e alla sua amicizia con le maestranze minerarie. La “Sala del tesoro del Baldi”, quel vuoto di coltivazione oggi noto anche come “Sala del Castello”, fu la zona più produttiva in termini di minerali rari e a volte addirittura unici. A inizio anni Ottanta Marco raccolse degli incredibili cristalli trigeminati di una specie rarissima, la derbylite. Il campione migliore raccolto da Marco è finito nelle collezioni del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa. Prima di comprendere però che questo minerale era la rarissima derbylite, i ricercatori pisani dovettero faticare non poco e per breve spazio di tempo si fece strada la possibilità che questi campioni potessero essere una nuova specie, per la quale già si pensava al nome “marcobaldiite”.

La fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta del Novecento hanno marcato la scoperta anche di un altro incredibile geosito apuano: la miniera di Buca della Vena. Piccola miniera di ferro ubicata sul versante settentrionale del Monte di Stazzema, questa località era sostanzialmente negletta. Grazie a un laureando in Scienze Geologiche, Francesco Checchi, il mondo accademico venne per la prima volta a contatto con i minerali di questa miniera a metà anni Settanta. Due nuove specie scoperte in quegli

Con la fine degli anni Ottanta e la chiusura delle ultime miniere apuane, rallenta anche l’attività di raccolta di minerali da parte di Marco, ma non la sua passione. Tuttavia, mi permetto di immaginare che nella mente di Marco il vedere gli impianti di lavorazione deserti e in progressivo degrado, senza più quei volti a lui amici con cui soleva intrattenersi, l’osservare le vecchie zone minerarie ormai silenziose e convertite, talvolta, a xix

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) discariche di rifiuti a cielo aperto, fossero colpi troppo duri per un animo sensibile e innamorato di quei luoghi. Da lì il suo progressivo distacco dal territorio. Erano forse quelli gli anni idonei per una riconversione culturale delle miniere. Il tempo è passato. L’azione è mancata. E oggi, forse, è tardi.

perché le miniere almeno affettivamente appartengono a chi le ama) è commovente e dà una dimensione alla sua passione: una vita spesa nello studio della storia mineraria dell’Alta Versilia. Marco è la memoria storica, vivente, delle miniere altoversiliesi. A lui va la mia gratitudine per quanto ci ha insegnato e per quanto continua a trasmetterci.

Qualcosa però può essere salvato. Ho conosciuto l’uomo Marco Baldi alla fine degli anni Duemila, quando da poco laureato frequentavo il corso di dottorato in Scienze della Terra e passavo le mie giornate nel laboratorio di Raggi X del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. Marco era amico del professor Paolo Orlandi, figura di riferimento per tutti coloro che si avvicinassero alla mineralogia regionale. Fu proprio Paolo ad introdurmi a Marco. Già avevo apprezzato la sua figura partecipando come spettatore ad alcune conferenze che lui aveva tenuto in Alta Versilia sul tema delle miniere. Marco si era presentato nell’ufficio di Paolo con il suo sogno, un volume sulla storia mineraria dell’Alta Versilia. Come ogni persona innamorata volge costantemente il suo pensiero all’amata, così il pensiero di Marco era sempre rivolta alle miniere. Le miniere erano il suo chiodo fisso. Se le miniere avessero un’anima, dovrebbero essere grate a Marco. Il tempo sta sempre più sbiadendo il loro ricordo e sta cancellando le loro vestigia. Marco è la loro memoria, è il cantore del tempo che fu e che ricorda anche ai più giovani quali storie meravigliose ci siano da raccontare.

Cristian Biagioni (Docente di Mineralogia, Università degli Studi di Pisa)

La vita ha voluto che, dopo il dottorato di ricerca, riuscissi a continuare a portare avanti la mia passione per lo studio dei minerali (in particolare per quelli apuani, motivo di legame con Marco). Ho vissuto le miniere in un’ottica diversa rispetto a come le aveva vissute Marco: lui ha vissuto le miniere vive, attive, e ne ha conosciuto le storie umane. Io le ho conosciute ormai inattive, ma non per questo morte, ricche come sono di interesse naturalistico. Ho avuto la fortuna di poter proseguire gli studi del professor Paolo Orlandi e di contribuire alla descrizione di numerose nuove specie mineralogiche provenienti proprio dal nostro territorio. A fine 2015 ho individuato un nuovo minerale su un campione proveniente dalla miniera del Pollone. Questo minerale era legato alla geocronite. Quale occasione più propizia per onorare la figura di Marco con un minerale apuano e legato alla sua riscoperta della geocronite? Mi piace pensare che senza Marco, nessuno avrebbe studiato con attenzione la miniera del Pollone e quindi nessuno avrebbe mai scoperto questa nuova specie: la marcobaldiite. Le sue ricerche hanno di fatto aperto la via a quegli studi moderni che hanno portato ai grandi progressi nelle conoscenze dei depositi minerari apuani conseguite negli ultimi quarant’anni. L’approvazione della marcobaldiite rende perpetuo il legame fra Marco e le sue miniere. Nel frattempo, Marco mi ha gratificato della sua amicizia. Mi ha aperto le porte della sua casa, mostrandomi i suoi tesori. Ma ho scoperto che il tesoro più grande Marco lo cela dentro di sé. La passione con cui ricorda ogni aneddoto riferito alla storia mineraria delle sue miniere (sì, sue, xx

CENNI STORICI GENERALI

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1 Le mineralizzazioni nella Versilia storica The Apuan Alps are commonly defined by geologists with the term “tectonic window”, an area where geological processes have brought to the surface rocks that usually lie buried deep under other rock formations. The Apuan Metamorphic Complex is today divided into two tectonic units: the Apuan Unit and the Massa Unit to which belong the mineral deposits object of this study. The mines studied in this work can be classified into four types: • deposits in Pb-Zn-Ag (eg Bottino mine, Pollone mine); • pyrite ± barite ± iron oxide deposits (mines of Monte Arsiccio, Buca della Vena, CalcaferroFarnocchia, Pollone, Strettoia); • deposits in Cu- (Au) (Buca dell’Angina); • Hg deposits (Levigliani, Ripa). • depositi a pirite ± barite ± ossidi di ferro (miniere di Monte Arsiccio, Buca della Vena, CalcaferroFarnocchia, Pollone, Strettoia); • depositi a Cu-(Au) (Buca dell’Angina); • depositi a Hg (Levigliani, Ripa).

Nel complesso montuoso delle Alpi Apuane, idealmente delimitato dal corso dei fiumi Magra, Aulella e Serchio, oltre ai ben noti e celebrati agri marmiferi, che ne costituiscono una delle caratteristiche più conosciute, sono presenti una serie di piccoli giacimenti minerari (Fig. 1, 2), oggetto di ricerche e coltivazione sin dal più remoto passato.

La miniera del Pollone rappresenta una sorta di trait d’union fra i depositi a Pb-Zn-Ag e quelli a pirite ± barite ± ossidi di ferro; quella di Strettoia è invece inserita in questa seconda tipologia di depositi anche se potrebbe presentare una differente storia geologica per descrivere la quale saranno però necessarie future ricerche.

I geologi sono soliti indicare le Alpi Apuane con il termine di “finestra tettonica”. Si tratta, in sostanza, di un’area nella quale i processi geologici hanno portato in superficie rocce che solitamente giacciono sepolte sotto km di altre formazioni rocciose. Queste zone così peculiari consentono di aprire una finestra sulle parti più profonde delle catene montuose, fornendo la possibilità di studiare rocce che hanno sperimentato condizioni di T e P ben diverse da quelle che caratterizzano la superficie terrestre. Le rocce delle Alpi Apuane hanno registrato T di 350°-450°C e P fra 0.3 e 0.8 GPa, subendo così una serie di trasformazioni mineralogiche e tessiturali che le hanno trasformate in rocce metamorfiche.

Prima di proseguire nella descrizione, sento doveroso riportare la frase tante volte ripetutami dai vecchi minatori e che bene illustra la realtà che troveremo nel proseguo: “Quando Dio ebbe creato tutte le miniere del mondo, era sopra di noi e così ci scosse il sacco, ecco perché abbiamo poco ma di tutto”. 1.1. Pietrasanta/Valdicastello – Sant’Anna di Stazzema

Il Complesso Metamorfico Apuano è oggi suddiviso in due unità tettoniche: l’Unità delle Apuane e l’Unità di Massa. Queste unità giacciono, a loro volta, sotto la Falda Toscana, composta da formazioni di età Triassico-Oligocenica non affette da significativi processi metamorfici. I giacimenti minerari oggetto di questo lavoro sono tutti ospitati in formazioni appartenenti alle due unità metamorfiche delle Apuane e di Massa.

Partendo dai primi contrafforti antistanti Valdicastello, incontriamo modestissime manifestazioni di ematite nella collina di Monte Preti mentre proseguendo verso le alture, una volta superato il centro del paese, si accede alle vallate dei canali Angina-Ferraio e Del Fondo, la cui confluenza origina il torrente Baccatoio, particolarmente ricche in mineralizzazioni di vario tipo, qualità e quantità. La vallata dell’Angina-Ferraio

Lattanzi et al.1 (1994) hanno proposto una classificazione dei depositi minerari apuani sulla base delle loro caratteristiche mineralogiche e geochimiche. Le miniere studiate in questo lavoro possono essere classificate in quattro tipologie:

Circa duecento metri oltre la confluenza ha inizio il complesso minerario del Pollone che si sviluppa in entrambi i versanti orografici con tutta una serie di antiche e recenti gallerie, pozzi, cameroni e rimonte di cui alcune ancora parzialmente agibili.

• depositi a Pb-Zn-Ag (es. miniera del Bottino, miniera del Pollone); 1

Tralasciando sia la barite, che oltre nel materiale per vernici, come da sempre utilizzata, troverà il massiccio

Lattanzi, P., Benvenuti, M., Costagliola, P., Tanelli, G. 1994.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 1.1. Schema tettonico e giacimenti delle Alpi Apuane, (Carmignani L., Dessau G. e Duchi G., 1972).

impiego in epoca moderna per la preparazione dei fanghi bentonitici e nel nucleare2, e sia la pirite, che solo dalla fine del 1800 avrà un proprio campo di sfruttamento per la produzione di acido solforico, da questa miniera venne estratta in particolare dal 1833 al 1851/52 galena ad alto ed altissimo rendimento di argento3 accompagnato da noduli di blenda (zinco) e manifestazioni di geocronite4.

Da segnalare come questa ricchezza fosse ben superiore a quella delle vicine e ben più famose miniere del Bottino dove, come evidenza G. Dessau,5 “il minerale che pure veniva cernito a mano, aveva rese inferiori”. Procedendo verso l’alto si perviene ai depositi ferriferi (pirite, limonite/goethite, ematite, magnetite) dei Mulini di Sant’Anna, San Martino e Verzalla, località già ricordate nella vecchia letteratura mineraria e dove è ancora possibile intravedere resti di antiche coltivazioni e sporadici accumuli di materiale per lo più sterile.

Fanghi ad alta ed altissima densità utilizzati in particolare nella ricerca petrolifera ed applicazioni nel nucleare. 3 I valori dichiarati raggiunsero anche i 4Kh/tonn. da Tout-Venant tanto da far già supporre a Panichi (Panichi, 1915) la presenza di altri minerali ad altissimo tenore di argento ed allora genericamente indicati come “Argirose”; in effetti nella galena argentifera proveniente dalla ricchissima Galleria Preziosa sono presenti pirargirite e proustite, conosciuti come argenti rossi. 4 Questo rarissimo solfosale di piombo, sia nella vecchia che nella più recente letteratura mineraria viene indicato come proveniente dalla miniera di Angina (Cap. 9) e proprio ad essa è legata la fama internazionale di cui gode ma anni di ricerche nelle due località mi hanno convinto che la giacitura o quantomeno massima concentrazione sia da ricercarsi proprio nel giacimento del Pollone. 2

Pressochè adiacente a questa, la minuscola miniera cuprifera dell’Angina o Buca di Angina dove il minerale primario, la tetraedrite, un tempo indicata con il nome di Panabase, contiene rame (= o c.a. 38,5%) zinco, argento e 5

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Dessau G., 1935.

Le mineralizzazioni nella Versilia storica

Fig. 1.2. La Versilia storica: mappa dell’area mineralizzata. tracce di oro in quantità apprezzabili tanto che negli ultimi anni ottanta ne venne ipotizzato lo sfruttamento insieme all’argento.

vegetazione e spesso ostruiti da smottamenti, poco al di sopra del piano stradale nella zona della tramoggia di carico minerale genericamente indicati come Le Buchette.

La matrice è formata prevalentemente da una friabile miscela isomorfa di barite/fluorite6 a volte accompagnata da una terra rossastra ricca in metallo prezioso (Ag – Au), oltre ai tipici carbonati di alterazione del rame (azzurrite – malachite) sono presenti calcopirite – bournonite e forse anche la famosa geocronite.

Nella parte superiore estrema della vallata incontriamo un modesto affioramento a galena argentifera al di sotto delle Case di Sennari (Sant’Anna di Stazzema, località Cascatoia), sfruttato anche in un recente passato ma con una limitata attività, mentre nei pressi di Case di Berna affiorano tracce di minerali ferrosi, barite, fluorite, tetraedrite accompagnati dai tipici carbonati di alterazione del rame che probabilmente costituiscono le estreme propaggini dei filoni dell’Angina.

Risalendo ancora si accede al vastissimo giacimento a minerali ferrosi e barite di Monte Arsiccio dove, come fatto notare dal direttore della miniera A. PM. Gorelli “solfuri, ossidi ed idrossidi sembrano seguire una disposizione geometrica con pirite a letto sormontata da barite ed infine oligisto a tetto”.7

La vallata del Canale del Fondo Adiacente alle vecchie e dismesse cave di marmo del Corsinello, si presenta l’omonimo deposito ferrifero dove il filone a magnetite-limonite/ghoetite si trova incluso e/o in ganga calcarea, e proprio per questa particolarità nei primi anni del 1900 “il giacimento pur avendo rese inferiori a quelle di Monte Arsiccio era considerato più redditizio per la presenza del fondente naturale”8. È verosimile che questo così come altri venissero sfruttati già in epoche molto antiche, pur mancandone allo stato attuale delle ricerche, una documentazione certa.

A quota poco superiore abbiamo le Coltivazioni del Pianello, dove il minerale ferroso è incluso in una friabile ganga che rende assai pericoloso il lavoro tanto che il ripetersi di infortuni, anche mortali, ne determinò l’abbandono. Da segnalare infine i bassi e brevi cunicoli scavati a forza di braccia, ormai seminascosti dalla 6 Anche se in quantità diverse, la medesima situazione è (o forse meglio era), osservabile anche in alcuni tratti delle gallerie Preziosa e Rosina nel giacimento del Pollone. 7 Relazione interna E.D.E.M.

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Capacci C., 1915.

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Cantina.11 Attenendoci poi alle relazioni degli storici locali del 1800 esisteva sempre a Strettoia “nel poggio davanti all’oratorio di San Cassiano”12 una miniera di rame della quale non esistono più tracce e/o indizi.

Circa alla sommità della valle, località Argentiera di Sant’Anna, si incontrano una serie di gallerie scavate a forza di braccia e comprese fra le quote di 550 e 750 metri s.l.m. molte delle quali, se non la totalità, già facenti parte dei lavori estrattivi intrapresi da Cosimo I de’ Medici nel 1542. Attualmente alcune sono scomparse sia in seguito a smottamenti che all’apertura di una strada interpoderale, gallerie dove in parte l’attività estrattiva venne ripresa a partire dal 18339, anche se i lavori ebbero breve durata salvo in quella ribattezzata Santa Barbara la quale verrà coltivata saltuariamente fino poco oltre la metà del 1900. Al suo interno, allargata in seguito alle attività più recenti, è percorribile, o forse era a causa di incombenti franamenti iniziali, una lunga e vecchia galleria in diramazione scavata nello sterile.

1.3. Stazzema Una volta superato lo spartiacque formato dai monti Anchiana, Bacci, Ornato, Rocca e Lieto si accede alle vallate dello stazzemese dove procedendo oltre Seravezza incontriamo per prime le miniere di Gallena (piombo argentifero), quindi le adiacenti e famose miniere del Bottino che meritano un cenno particolare visto la confusione esistente quando se ne parla in chiave antica. Genericamente ci si riferisce a tutto quel complesso di gallerie disposte su vari livelli ed ancora oggi esistenti senza specificare che tale assetto è successivo alle attività iniziate nel 1831, mentre le coltivazioni più antiche (da più fonti ritenute preromane) sono localizzate nella parte superiore estrema della vallata stessa e precisamente in località Senicioni e Sciorinello dove avvenne inoltre lo sfruttamento sia di epoca medioevale che rinascimentale, con sporadica attività anche durante il 1600 e il 1700.

Ad ogni modo dalla miniera venne estratta galena argentifera molto pura frammista a blenda ed inclusioni di calcopirite, bournonite, tetraedrite che anche le analisi del 1800/1900 confermarono ricca in argento, da cui la considerazione che mentre nella vallata Del Fondo ed Angina Ferraio il tenore di Ag/tonn. diminuisce con l’aumentare della quota, negli opposti filoni del Bottino avviene il contrario10.

Circa 150 metri oltre l’inizio dell’attuale strada per Cerreta Sant’Antonio, durante i lavori connessi alla sua realizzazione venne in luce un filoncello (potenza 8/12 cm massimo) di galena spatica ricristallizzata molto probabilmente propaggine degli antistanti filoni del Bottino.

Da segnalare il fatto che le zone fino a qui descritte sono comprese in quella che geologicamente parlando viene indicata come “finestra tettonica di Sant’Anna”. 1.2. Vitoio – Ripa – Strettoia Rimanendo nel versante marino spostandoci verso ovest, abbiamo affioramenti a minerali ferrosi e galena nei pressi dell’abitato di Vitoio dove vennero intraprese anche ricerche con brevi lavori in sotterraneo durante il periodo autarchico.

Superato Pontestazzemese e procedendo in direzione di Stazzema, in località Mulina, incontriamo i giacimenti a minerali ferrosi del Canale della Radice e di Farnocchia, sempre in vicinanza del paese, e precisamente Calcaferro nella parte inferiore, e dei Canali Giannino e Rossa nella superiore13.

Sempre nella zona sono segnalate sporadiche tracce di barite, fluorite, tetraedrite.

Nelle vallecole circostanti affiorano mineralizzazioni dello stesso tipo (località la Fossa e Al Logo) già oggetto di ricerche fra il 1950/1960, mentre nelle adiacenze del sito archeologico arcaico di Buca della Giovannina (Farnocchia) abbiamo infine sporadiche manifestazioni di carbonati cupriferi.

Spostandoci ancora si incontra la miniera cinabrifera di Ripa sovrastante il paese omonimo e che, scoperta casualmente nel 1838, è oggi pressoché scomparsa in seguito a franamenti. Presso questa miniera sono quasi inesistenti tracce di mineralizzazione superficiali salvo rare e sporadiche manifestazioni di ematite e fillosilicati di alluminio.

Procedendo in direzione di Cardoso, sulla pendice boscosa sovrastante la località Molino degli Olivi, si trova un nuovo giacimento a minerali ferrosi e barite, la Buca della Vena, il cui stesso toponimo suggerisce origini lontane visto che fin da tempi remoti i vari filoni mineralizzati venivano genericamente indicati con nome di “vena” (ed

Al confine con la provincia di Massa-Carrara troviamo infine il deposito ferrifero di Strettoia (limonite/ematite in prevalenza), sempre dalla omonimia con il vicino paese e già ricordato durante la campagna di escavazione medicea del 1542. Tuttavia non possono escludersi a priori lavori più antichi, stante la presenza di numerose e grosse scorie da trattamento di minerale ferroso su bassi fuochi nel declivio boscoso poco oltre la località

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Precisamente 50/60 metri oltre il ristorante e poco oltre la strada privata che si dirama dalla principale con un piccolo ponticello tuttavia la costruzione di manufatti e conseguente privatizzazione di accesso ha ridotto il campo per ulteriori ricerche. 12 Fianco della collina antistante l’attuale chiesa parrocchiale. 13 Da segnalare che i lavori estrattivi di Calcaferro convissero con gli impianti del polverificio Fratelli Pocai di cui sopravvivono fatiscenti manufatti ed attrezzatura produttiva che meriterebbero ben altra attenzione che lo stato di abbandono in cui giacciono. 11

Baldi M., 1994. Dessau G., 1935.

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Le mineralizzazioni nella Versilia storica in caso di particolare ricchezza si parlava di “cuore della vena”), buca che infatti venne coltivata intensamente fino al 1986/87. Nelle adiacenze di Cardoso veniva segnalata una piccola manifestazione a galena argentifera della quale si sono perdute le tracce, mentre ai piedi del monte Pania (località Culerchia o la Tana o Deglio) vennero intraprese ricerche e piccole escavazioni sia nel 1926/27 che nel 1951 per mettere in vista un filoncello, sempre a galena argentifera, che costituirebbe la estrema propaggine nord di quelli del Bottino14, in entrambe le occasioni i lavori si limitarono a pochi metri di gallerie. Nelle vicinanze di Retignano si trova un altro piccolo deposito di minerali ferrosi già oggetto di modeste escavazioni ben presto abbandonate, mentre poco prima di Levigliani si sviluppa l’omonima miniera cinabrifera dove in seguito a particolari fenomeni geologici (scorrimenti etc.), il minerale si presenta sia allo stato nativo, come goccioline impregnanti la roccia, che nella classica forma di solfuro con la presenza di cristalli cubici di pirite. Gli storici locali del 1800 concordano poi nel segnalare la presenza di lapislazzulo lungo il corso del Canale del Bosco cioè la parte inferiore del Canale delle Volte, lungo la cui sponda si trova il giacimento di Levigliani stesso. Avanzando ancora verso i confini con la Garfagnana e la Lunigiana incontriamo modestissimi depositi mineralizzati a Betigna (Alpe di Basati), dove vennero intrapresi scavi per galena argentifera e minerali ferrosi, Puntato per i minerali ferrosi, Monte Freddone (ex monte Lievora della vecchia letteratura) con minerali ferrosi e cupriferi, e la zona Case di Taveroni nell’angusto Canale delle Verghe sottostante il Pizzo delle Saette (Monte Pania) con ancora minerali ferrosi. 1.4 Arni Si arriva infine alla zona di Arni e Arnetola dove troviamo vecchie coltivazioni per minerali cupriferi e molto probabilmente coeve a quelle condotte fra il 1833 e il 1876, e anche se con impegno sporadico, coltivazioni sono documentate a Rio del Cuore e Bascugliani nei pressi di Vagli dove sembra alimentassero una modesta produzione locale di rame.

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Devo l’informazione geologica al Prof. G. Dessau.

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2 Alcune ipotesi sulle coltivazioni minerarie più antiche: la Preistoria This book presents a study of the mineralogical sources in the municipalities of Pietrasanta, Stazzema and Seravezza, home to the richest mineralogical deposits of the Apuan Alps. Although no real ancient settlement has yet been identified, archaeological documentation, like funerary deposits in caves, rock incisions, and some sporadic finds, document a local presence during the Neolithic and Chalcolithic periods, to which latter belongs a deposit of bronzes (ca. 50) dated to the IX-VIII cent. B.C. (Ripostiglio Colle alle Banche). Per l’antichità tra le varie direttrici di collegamento nel paesaggio versiliese si è in particolare evidenziata quella della zona Baccatoio-Valdicastello- Monte LietoPorchette2 lungo la cui parte iniziale incontriamo la

La ricchezza mineralogica delle Alpi Apuane con i suoi numerosi affioramenti ha senza dubbio stimolato l’esplorazione di queste risorse fin da epoche remote, e considerando la natura e l’utilizzo dei minerali, la loro tipologia, l’economia degli insediamenti più antichi ed infine la quantità di minerali necessari in grado di soddisfarne i bisogni, è teoricamente possibile ipotizzarne l’utilizzazione, quanto meno a livello locale, già in quella che viene comunemente definita Età dei Metalli. L’interesse era rivolto ai minerali ferrosi, al piombo anche argentifero (il tenore di Ag varia da miniera a miniera se non anche da filone a filone), ed in sottordine allo zinco, al cinabro, al rame che si manifestano sotto forma di ossidi, idrossidi, solfuri, solfati, solfosali e carbonati. Il presente studio è rivolto ai soli depositi compresi nel territorio dei Comuni di Pietrasanta, Seravezza e Stazzema nelle cui parti pedemontane e montane sono localizzate e concentrate, ad esclusione di rame e manganese, le maggiori giaciture mineralogiche di tutte le Alpi Apuane. Tuttavia sarebbe fuorviante non tenere nella dovuta considerazione la limitrofa zona della Garfagnana, Lunigiana compresa, tra i paesi di Vagli, Gorfigliano, Arnetola, Arni ed il Monte Tambura dove troviamo i relativamente grandi giacimenti-affioramenti cupriferi a volte accompagnati da piccole manifestazioni di ematite1, così come nell’estrema propaggine al di sotto di Pariana (Massa) dove si trova la miniera del Frigido, in cui il minerale cuprifero (calcopirite) è incluso in ganga ferrosa (siderite). Lo stretto rapporto tra la ricchezza mineralogica e la strategia insediamentale dell’intero territorio apuano è visibile nello sviluppo dei collegamenti fra il versante marino versiliese e il ridosso garfagnino della catena montuosa, collegamenti che andranno sempre più affermandosi attraverso quelle direttrici viarie naturali costituite dai valichi della Foce di Petrosciana, dal Passo delle Porchette e dai loro diverticoli, le quali manterranno la funzione di arterie di comunicazione principali fino alla seconda metà dell’800, quando verrà realizzato la congiunzione stradale Seravezza-Castelnuovo di Garfagnana comunemente indicata come la via d’Arni. 1

Fig. 2.1. Buca delle Fate (Cardoso) punte di freccia. (Cremonesi, G. 1985: Fig. 2 pag. 191). Proprio a Baccatoio, durante i lavori connessi alla realizzazione del tracciato ferroviario Pisa-La Spezia (1861) venne in luce una necropoli del VII/VI secolo a.C. inizialmente ritenuta Ligure, ma oggi accettata come Etrusca. Sempre su questa direttrice sono stati rinvenuti i manufatti bronzei di Colle alle Banche databili al IX-VIII secolo a.C, coevi e simili a quelli trovati nella vicina Pariana (MS), località situata in prossimità della miniera del Frigido. Ancora presso Valdicastello a La Costa è venuto alla luce uno stampo in pietra per fusione di coltelli in bronzo datato al Bronzo Finale; nell’ideale proseguo di questa direttrice verso la Garfagnana troviamo la cosiddetta Buca di Castelvenere che ha restituito sedici bronzetti votivi Etruschi sempre del VII / VI secolo a.C.. (Cocchi Genik, D. 1985).

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Carmignani L., Dessau G., Duchi G., 1972.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

10 Fig. 2.2. Carta geografica con i siti archeologici e minerari menzionati nel testo (azzuro-siti minerari; giallo-siti archeologici; rosa-centri urbani).

Alcune ipotesi sulle coltivazioni minerarie più antiche miniera cuprifera dell’Angina, una direttrice che sottolinea l’importanza di elementi geografici come vallate e corsi d’acqua sia come luoghi insediamentali ottimali che come canali di viabilità privilegiati.

Ed è proprio in queste zone dove sono state possibili condizioni ottimali di estrazione in base alle tecnologie dell’epoca, che fu realizzata una prima esplorazione la quale è alla base della pratica minerario metallurgica sviluppatasi poi nel corso dei secoli successivi.

In generale durante le fasi finali della Preistoria possiamo affermare che la metallurgia e l’adozione della sua evoluzione tecnologica si diffondono rapidamente in tutta la penisola italiana3, ed anche se in passato era opinione degli studiosi che fino quasi alla metà del secondo millennio gli abitanti dell’Italia centrale fruirono ben poco della metallurgia4, recenti indagini confermano il fiorire di attività minerarie nel Bronzo Finale nella Toscana meridionale5. Inoltre per quanto riguarda l’Etruria vera e propria l’inizio dello sfruttamento minerario è da alcuni studiosi fatto risalire già alla cultura di Rinaldone (XI-X sec. a.C.)6, sottolineando l’estrema rilevanza geografica di quest’area per le risorse minerarie. Nella Toscana settentrionale ed in particolare nella regione apuana di nostro interesse, si assiste ad un sensibile cambiamento nella documentazione archeologica tra il periodo Neolitico (VIII-IV millennio) quando questa è praticacamente assente, e la successiva fase dell’Eneolitico (III millennio) con il proliferare di frequentazioni in ripari sotto grotta, malgrado allo stato attuale delle ricerche non siano stati rinvenuti insediamenti veri e propri7. In particolare nell’area relativa a questo studio sono da segnalare rinvenimenti preistorici nelle grotte Buca della Gigia e Tana della Volpe presso Valdicastello8, Buca dei Goti (Farnocchia)9, Buca delle Fate a Cardoso10, Grotta del Tanaccio (San Rocchino, Stazzema)11, che ripercorrono precise direttrici di minerali suggerendo un probabile quadro di interesse minerario. Alcuni di questi siti si trovano infatti in stretta prossimità di zone mineralizzate come nel caso della Buca dei Goti a Farnocchia dove coinvivono carbonati di rame, malachite e azzurrite. Questi rinvenimenti si inseriscono in uno sviluppo generale del territorio documentato dai molteplici manufatti rinvenuti e dalle numerose grotte sepolcrali provenienti dal territorio apuano12 che trovano stretti paralleli sia con i ritrovamenti della Toscana meridionale che in Liguria13. Sembra ragionevole supporre che nella Preistoria le grandi migrazioni di interi gruppi organizzati alla ricerca di ambienti favorevoli alla sopravvivenza e ricchi di risorse ambientali, avessero occasionalmente avuto un incontro con i depositi minerari locali. Grifoni Cremonesi R. 1989. Grant M., 1982: 19. 5 Chiarantini L., Benvenuti M., Costagliola P., Dini A., Firmati M., Guideri S., Villa I.M., Corretti, A., 2018. 6 Bietti Sestrieri, A.M., 1979. 7 Mencacci P., Zecchini M., 1976. Grifoni Cremonesi, R. 1995: 36-37. 8 Antonucci, B. e Cremonesi G, 1967. 9 Antonucci, B. 1985. 10 Antonucci, B. e Cremonesi G, 1967; Aranguren et alii (red.) 1995: 38-42. 11 Cocchi Genik D. 1989. 12 Formicola V. 1980; Mallegni, F. 1985. 13 Grifoni Cremonesi, R. 1995. 3 4

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3 Alcune ipotesi sulle coltivazioni minerarie più antiche: dai Liguri Apuani, agli Etruschi, ai Romani. From the Late Bronze Age the population began to move from the mountains towards the coast and the piedmont area, probably in relation with a growing interest in minerals. Finds retrieved in proximity to actual mines, like the large deposits of bronzes from Colle alle Banche, or the stone mould for an ax found just above the later well-known Valdicastello mine in the site of La Costa (Fig. 4), support this theory. The local population participated in a growing commercial network on the plain, later dominated by the Etruscans when these extended their supremacy in southern Tuscany northwards. The Etruscan presence is reflected, for instance, by the Etruscan necropolis discovered at the bottom of the Valdicastello valley near the small river of Baccatoio. Osservando la topografia dei vari affioramenti e giacimenti, è evidente la loro quasi totale localizzazione in vallate spesso scoscese e sovrastate da alture anche isolate dalle quali era possibile dominare le zone circostanti. Inoltre, come accennato, si attesta una loro collocazione vicino ai sentieri di una certa rilevanza per la Versilia, in particolare a causa della vicinanza al mare dove si andavano sviluppando rotte commerciali organizzate.

Per comprendere a fondo le dinamiche di sviluppo della coltivazione mineraria e della metallurgia nella Versilia storica fin dalle epoche più remote, bisogna tener presente l’unicità di questo territorio le cui particolari caratteristiche hanno contribuito alla crezione di un ambiente ottimale all’esplorazione e alla coltivazione mineraria che si è sviluppata nel corso dei millenni. Di seguito i fattori principali: • Evidenti tracce superficiali

• Presenza di fondenti e scorificanti naturali (calcare – ematite)

In corrispondenza delle giaciture affiorano i tipici prodotti di alterazione del minerale/i stesso in seguito alla azione ossidante delle acque sia meteoriche che di scaturagine nonché per reazioni chimiche proprie. Carbonati verdi ed azzurri (malachite/azzurite) per il rame, ocre rosse e/o gialle in presenza di ferro, pulvirulenze rosse in presenza di cinabro etc..

Quando parliamo di fusione, normalmente ci si richiama ad un bagno metallico con il quale è possibile riempire stampi e/o forme preventivamente modellati ed a volte anche riutilizzabili, ma nella pratica metallurgica più antica, questo era valido soltanto per metalli e leghe a basso punto di fusione come ad esempio argento, oro, rame, stagno bronzo, etc..

• Natura dei minerali

Era comunque conosciuto il fatto che aggiungendo ai componenti della lega rame-stagno=bronzo piccole quantità di ematite, si otteneva un addensamento delle scorie in superficie al bagno stesso che potevano facilmente essere asportate migliorandone così la omogeneità.

Minerali cupriferi, galena, ematite, magnetite, cinabro erano minerali noti e qui presenti in quantità adatte ad uno sfruttamento proporzionato ai bisogni di piccole comunità.

Diverso il caso del ferro la cui fusione avviene intorno ai 1500/1537 gradi a seconda del tipo di minerale utilizzato ed inoltre la temperatura utile si abbassa con l’aggiunta di un fondente naturale come ad esempio il calcare.

• Presenza di boschi e corsi d’acqua anche a regime perenne La maggior parte delle mineralizzazioni si trovano ancora oggi circondate da boschi incolti e nelle adiacenze se non addirittura lungo le sponde di torrenti e/o canali la cui portata era spesso ben maggiore dell’attuale, quindi vi era facilità di approvvigionamento sia per il lavaggio e cernita di quanto estratto che per i successivi processi metallurgici.

Sembra comunque ormai accertato che la tipologia dei primi forni etruschi non consentisse di superare i 1200/1300 gradi nei casi più favorevoli fra i quali giocava un ruolo importantissimo l’abilità del costruttore sia nel dimensionare bocca/volume/tiraggio, elementi che condizionavano la temperatura raggiungibile, sia nell’utilizzare l’azione del vento verso cui venivano quando possibile, orientati. Ne sono un eccellente esempio proprio gli antichi forni etruschi di Populonia posizionati per il massimo sfruttamento delle brezze marine.

• Luoghi nascosti e facilmente difendibili ma anche vicini a vie di comunicazione

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) da Cosimo I de’ Medici e dai suoi successori, che ne fornirono ampiamente i forni della Magona di Follonica e Cecina oltre naturalmente quelli locali come ad esempio a Ruosina, ma non mancarono invii verso lo Stato di Modena e a quelli Pontifici.

Una volta esaurito il processo di combustione minerale/ carbone di legna1, dal fondo venivano estratte masse spugnose composte da ossidi e silicati di ferro poi sottoposte a nuovo riscaldo sopra la forgia (sempre alimentata con carbone di legna) cui seguiva la martellatura su incudine provocando così lo schiacciamento delle fibre e la contemporanea espulsione di impurità sotto forma di scorie. Dopo successivi passaggi di calore e martellature, il risultato finale era un massello di ferro dolce.

A titolo di curiosità segnalo come l’utilizzo di un pezzo di tale pietra, genericamente indicata come Sasso Morto in questa zona della Versilia storica, si è protratto fino quasi ai nostri giorni murandola entro i forni per la cottura casalinga del pane, con la funzione di un empirico termometro.

È superfluo evidenziare la differenza nei soli costi di produzione i quali resero il ferro un materiale pressoché prezioso fino a tutto il Medioevo quando con la riscoperta della forza idraulica (il mulino romano già funzionava ad acqua) per il movimento dei mantici si passerà dalla produzione diretta a quella indiretta2. Una ulteriore conferma di questa “preziosità” nel mondo antico ci viene offerta nella descrizione dell’archeologa Luisa Banti3 dei carri da guerra etruschi rinvenuti nella tomba di Populonia chiamata appunto il Tumulo dei Carri, e dove: “le lamine bronzee che li rivestono sono decorate con intarsi in ferro nel bronzo”.

Inoltre sempre rimanendo nel campo delle ipotesi credo che i prodotti di alterazione dei vari minerali (ossidi, idrossidi, carbonati, ocre) avrebbero potuto trovare impiego quali pigmenti coloranti come da prospetto: Azzurro Giallo Nero Rosso Rosso Bruno Verde

• Pietre refrattarie

Azzurrite Cu3 ( Co3)2 (OH)2 Limonite / Goethite Fe O ( OH ) Manganese Mn Cinabro Hg S Ematite Fe2 O3 Malachite Cu2 CO3 ( OH )2

A proposito del manganese, che non compare in Versilia in veri giacimenti, è comunque presente nei minerali ferrosi di Monte Arsiccio, dove non sono infrequenti masse fangose di colore nero frammiste a quelle gialle e/o rossastre.

Pur essendo molto, ma molto difficile il solo ipotizzare un loro impiego in epoche remote o per lo meno fino a poco prima dell’anno 1000, epoca in cui inizierà l’evoluzione della tecnologia produttiva del ferro e quando si passerà dalla fucina fabbrile al forno a tino, è tuttavia doveroso segnalare la loro presenza nella vallata di Cardoso e precisamente in quella località ancora oggi chiamata Cava della Magona a ridosso del paese di Pruno.

Per quanto riguarda poi il cinabro sembra che il suo impiego sia legato anche all’inizio della cosmesi e nei rituali magico religiosi fino da epoche molto lontane precedenti gli Etruschi, mentre dobbiamo ricordare che l’impiego delle ocre locali per la tinteggiatura dei rustici e delle abitazioni civili sia perdurata, specie nello stazzemese, fino alla metà del 1900.

Lo storico locale Vincenzo Santini ne ipotizzò un impiego fin dal tempo dei Consorti Longobardi della Versilia stante anche la vicinanza con un non meglio indicato e localizzato forno di Gualingo. Le notizie certe della loro utilizzazione risalgono al 1348 quando “il lapicida Nicolao di Lorenzo di Cardoso” ne vende una partita a Filippo Cattaneo di Fivizzano in Lunigiana. Tuttavia l’impiego massiccio e quindi la gestione diretta della cava, è comunque legata alle attività minerario metallurgiche intraprese in Toscana

Come accennato nel capitolo introduttivo per alcuni affioramenti e giacimenti minerari, in particolare per quelli del Bottino e delle Argentiere di Sant’Anna, vengono da più parti ipotizzate, se non date come certe, forme di

L’impiego dei carboni fossili inizierà in Inghilterra nel corso del 1700 provocando la crisi dell’industria metallurgica nelle rimanenti nazioni europee dove il prezzo del carbone di legna era da sempre in costante aumento per la difficoltà a reperirlo tanto da indurre i governi più lungimiranti ad attuare politiche di protezionismo e tutela dei boschi così come fatto, rimanendo in ambito locale, dai Cybo Malaspina di Massa . Il problema venne avvertito anche nel Granducato di Toscana tanto da indurre Leopoldo II a commissionarne uno studio al Prof. Angelo Vegni nel 1837 come si rileva dalla sua pubblicazione del 1842 Osservazioni sullo stato presente della fabbricazione del ferro, raccolte in un viaggio metallurgico fatto in Francia sul finire dell’anno 1838 per ordine di S.A.I.R. Leopoldo II Gran Duca di Toscana, edito a Siena. 2 Aumentando la quantità e la velocità dell’aria insufflata, si giunse alla fusione vera e propria, il cosidetto bagno metallico. Il nuovo prodotto ottenuto malgrado trovasse un largo impiego per il punto di fusione, una volta raffreddato non possedeva più le caratteristiche di resistenza ben note del ferro, anzi risultava molto fragile da cui l’appellativo di ferraccio in Italia e pig iron nel mondo anglosassone. In questo modo si giunse alla produzione di quel ferro altamente carburato che è la ghisa, e solo successivamente si trovò la maniera di affinarlo ottenendo così l’acciaio. 3 Banti L., 1932: 193-194. 1

Fig. 3.1. Stampo per falcetto in arenaria, epoca Bronzo finale, località La Costa Valdicastello. (Aranguren et alii 1995, Catalogo Museo Archeologico Versiliese Bruno Antonucci,: Tav III).

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Alcune ipotesi sulle coltivazioni minerarie più antiche sfruttamento già in epoca pre-romana ed in particolare ad opera degli Etruschi.

precedente quella di fondazione romana (177 a.C.) che avrebbe originato il nome “Lunae metallifera” proprio dal minerale di argento come noto dedicato alla luna. Ma se sia o meno esistita, e dove, una Luni etrusca è questione che ha fatto scorrere fiumi di inchiostro senza arrivare a soluzioni ed il pomo della discordia, se così possiamo chiamarlo, rimane la nota frase di Tito Livio a proposito del territorio conquistato dai romani nelle guerre contro il popolo Ligure: Ager is capto etruscorum antequam ligurum fuerit (Livio XLI/XIII). Secondo G. Badii il nome stesso Bottino sarebbe da collegarsi alla ben nota località mineraria di Serra Bottini presso Massa Marittima8, mentre per il Regio Consultore delle miniere del Granducato di Toscana T. Haupt9 la presenza di accumuli di scorie di fusione nella parte superiore della vallata Del Fondo, dove in effetti esistono depositi ferriferi e piombo argentiferi, era la conferma della sua teoria sulle origini etrusche di questa miniera.

A sostegno di questa ipotesi, anche se fino ad oggi mancano prove certe di tali attività, vi sono il ritrovamento di manufatti archeologici nelle località limitrofe che indicano un’attività di pratica metallurgica fin dall’Età del Bronzo finale, come ci mostra il ritrovamento di uno stampo in pietra per fusione di coltelli all’interno di un piccolo insediamento in località La Costa presso Valdicastello4, posto sulla sommità di un piccolo rilievo immediatamente sovrastante il lato destro del complesso delle miniere del Pollone. L’assenza di documentazione archeologica antica nelle miniere stesse, può semplicemente essere dovuta al fatto che tutte le coltivazioni succedutesi nel corso dei secoli hanno genericamente ripreso lavori preesistenti, distruggendo tutto quanto di più antico poteva sussistere. Inoltre fin dalla nascita della tecnica mineraria moderna le coltivazioni avvennero “a rapina”, seguendo cioè il filone principale e gli eventuali filoni incrociatori, ripulendo a mano qualsiasi sacca o tasca mineralizzata da cui deriva l’andamento spesso a caverna delle vecchie gallerie.

Tuttavia è indispensabile precisare che prima di ritenere probative delle semplici scorie è necessario datarle e stabilire se trattasi di prodotto di prima o di seconda lavorazione poiché è sufficiente il lavoro di un fabbro per produrne anche grossi accumuli, e non possiamo dimenticarci che fino a tutto il Medioevo ciascun villaggio o castello aveva il proprio, costituendo una figura essenziale per l’economia di autosufficienza del centro abitato10.

Questo tipo di sfruttamento non è comunque una caratteristica solo locale, ma comune a molte delle escavazioni del passato, basti l’esempio delle miniere di Rudna Glava (ex Iugoslavia) dove lo sfruttamento dei filoni a magnetite ha provocato lo sconvolgimento dei pozzi preistorici praticati per l’estrazione del rame5, contrariamente a quanto avvenuto a Monte Valerio (Campiglia Marittima) oggi inserito nel locale parco minerario conosciuto come le Cento Camerelle, da dove gli Etruschi estrassero lo stagno6.

Lo storico Vincenzo Santini11 riferisce del ritrovamento nei vecchi cunicoli “di ferri e tessere ossidate” rifacendosi a quanto già riportato da F. Campana12 il quale, assai più esaustivo, descrive una tessera metallica avente da un lato l’immagine di un uomo intento a pagare moneta, e sull’altro lettere dell’alfabeto latino e il numero 55313 ipotizzandone la funzione di mezzo di riconoscimento e riscossione in epoca romana. Infine nelle parole di F. Blanchard, direttore delle miniere nella seconda metà dell’800, “I lavori più antichi sono simili a quelli delle altre vecchie miniere della Toscana, quindi riconducibili al periodo Etrusco e/o Romano”.

Inoltre nel panorama moderno delle miniere, non sono da sottovalutare le frane e gli smottamenti che hanno variato nel corso del tempo l’assetto del territorio, specie nelle zone più impervie come appunto al Bottino, e nelle opposte vallate rivolte al mare Del Fondo e dell’Angina Ferraio, dove il governo Granducale Toscano mantenne fino alla propria caduta degli appositi addetti alla sorveglianza chiamati appunto guardie delle frane, mentre la stessa vallata Del Fondo viene a volte indicata nella vecchia documentazione come Valle delle Frane.

Abbiamo notizia che durante i lavori del 1919-1920 al Bottino, vennero eseguiti dei consolidamenti nelle coltivazioni più antiche, con l’allargamento della vecchia Galleria Redola. Nell’occasione il direttore C. Sagui notò esternamente dei graffiti sulla roccia ed internamente una tipologia di scavo che ricondusse agli Etruschi, facendone poi oggetto di una specifica pubblicazione14 corredata da illustrazioni (Fig. 3.2), dove evidenzia le elevate competenze di arte mineraria degli antichi esecutori che

3.1. Il Bottino, le Argentiere di Sant’Anna, l’Angina e Verzalla Attenendoci a M.L. Simonin7, i primi lavori di estrazione di galena argentifera al Bottino sono da collegarsi ad un insediamento etrusco stanziato nei pressi di Lucca, inoltre questi ipotizza l’esistenza di una città di Luni

Badii G., 1931: 459. Haupt T., 1847. 10 Sia a Monte Anchiana che sul Pianoro dei cosiddetti Pizzi del Bottino esistono ruderi di fortificazioni (probabili torri di avvistamento risalenti al 1000/1200) rispettivamente i cosiddetti Castello di Monte Ornato e la Bastia o Rocca di Monte Ornato riconducibili ai consorti Longobardi di Corvaia e Vallecchia e la supremazia territoriale pisana. 11 Santini, V. 1858-1862: Volume 3: 262. 12 Campana, F. Volume 2: 109. 13 La numerazione riprende quanto riportato dalla pubblicazione in oggetto e non quella romana che invece sarebbe DLIII. 14 Sagui, C. 1920. 8 9

“Il contesto archeologico comprende anche un oggetto eccezionale, una forma di fusione in pietra per un coltello a lama ondulata, classificabile fra i tipi del X secolo a.C.”, Maggiani A., 1989: 57. 5 Javarovic B., 1980. 6 Vd. Appendice 6 F. Blanchard. 7 Simonin M.L., 1858. 4

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 3.2. Miniera del Bottino, antichi lavori della Galleria Redola come rilevati da Sangui, 1920.

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Alcune ipotesi sulle coltivazioni minerarie più antiche già conoscevano il fenomeno dell’arricchimento del filone nei punti di intersezione con gli incrociatori, e la minore resistenza all’avanzamento lungo i contatti. Decisamente contraria alle origini etrusche l’archeologa L. Banti15 la quale, pur dedicandovi poche righe, afferma che il segno di croce sormontante la lettera H è un simbolo tipicamente cristiano, posticipandone le origini.

potremmo avere una derivazione del nome del paese di Ruosina dall’etrusco Rasna, cioè quell’etnia che greci e romani definivano “il popolo che chiama sé Rasenna”. Ed ancora dagli studi del dott. Belli: “ ben si lega con il ferro ed il fuoco di Verse e con il termine Versilia il toponimo Verzalla forse da un originario etrusco Versial”19. L’origine etrusca della nostra miniera dell’Angina è un’ipotesi di archeologia mineraria che avevo prospettato al Prof. B. Antonucci e che fu fonte di innumerevoli discussioni, ma è grazie agli studi dell’archeologo A. Maggiani, a cui deve essere riconosciuto anche il merito di avere affrontato con occhi diversi il problema del popolamento etrusco a nord dell’Arno20, che è emerso chiaramente il significativo ruolo del contatto con l’Etruria meridionale di quest’area e parlando del contesto versilese nell’VIII secolo a.C. afferma: “si forma così il potente centro da cui dipendeva la ricca necropoli del Baccatoio (della quale possediamo purtroppo solo notizie frammentarie e praticamente nessun concreto dato archeologico), allo sbocco al mare della Valdicastello, duplicato versiliese della meglio nota necropoli di Chiavari21”. A Chiavari

Tuttavia è mia opinione che le più antiche coltivazioni sia al Bottino che alle Argentiere di Sant’Anna si siano rivolte più alla produzione di piombo che di argento stante la nota difficoltà di fusione dovuta alla presenza di antimonio. Inoltre analizzando i corredi funebri rinvenuti nelle sepolture etrusche scoperte in ambito locale, non si trovano manufatti argentei se non in quella di Vado di Camaiore contenente due anelli in argento 16. La zona fino ad oggi pressoché ignorata e che invece potrebbe avere visto lo svilupparsi di coltivazioni minerarie e di processi metallurgici, per rame prima e forse anche ferro poi già in epoca pre-romana, è a mio avviso quella compresa tra la vallata di Angina Ferraio e precisamente in località Verzalla17, dove coesistono le omonime giaciture ferrifere (San Martino, Molini etc..), ed il piccolo deposito cuprifero di Angina, che è costituito in pratica da una serie di cavità naturali discendenti di tipo carsico interessate a filoni mineralizzati su vari livelli. Di queste tuttavia dobbiamo ricordare che i lavori sottostanti la quota -10 metri sono riconducibili al 1800/1900. A proposito di questa piccolissima e strana miniera va precisato che l’assetto attuale dell’imbocco formato da un pozzo pressoché verticale che sprofonda per circa 26 metri, è anch’esso frutto dell’attività passata quando, per migliorarne l’accesso e il trasporto del minerale, venne modificata l’originaria fenditura obliqua nella roccia che immetteva ai primi due filoni, anch’essi caratterizzati dalla presenza lungo i contatti filoniani di quella terra rossatra ricca in argento e parti di oro. Rimanendo ancora all’Angina, spesso oggetto di ormai lontane conversazioni con il maestro B. Antonucci che ben la conosceva, e di alcune più recenti con L. Belli18, vorrei anticipare alcuni studi inediti di quest’ultimo riguardo il toponimo. Il nome Angina potrebbe originarsi dal greco igǵŏs, significante contenitore, anfora, coppa (forma oblunga in genere) o dal latino angustus, nel senso di stretto ma con una preferenza per la derivazione greca, altrimenti sarebbe più verosimile il nome angusta. Allargando poi il campo delle ipotesi sulla toponimia nell’opposta vallata del Bottino dove si trovano le omonime antiche miniere, Banti, L. 1931: nota pag. 164. Mencacci, P. e Zecchini, M. 1976. Il corredo funebre della sepoltura comprende inoltre: sette fibule, una armilla e vari frammenti in bronzo, frammenti in ferro. 17 Pur non sottovalutando ipotetiche e possibili sfruttamenti della galena argentifera nelle sottostanti miniere del Pollone a Valdicastello. 18 Al dott. L. Belli il mio ringraziamento per l’autorizzazione a pubblicare le sue osservazioni. 15

Fig. 3.3. Asce in bronzo da Colle alle Banche (Cocchi Genick 1985: Fig. 7).

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Belli, L. 1987: 28, nota 26, Massarosa. Maggiani, A. 1984. 21 Maggiani, A. 1990: 57. 19 20

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) infatti si trova un chiaro parallelo ai rinvenimenti di Valdicastello, dove un insediamento etrusco, in precedenza ritenuto Ligure fino alla rivalutazione dei manufatti avanzata da P. Mingazzini22, era dedito allo sfruttamento delle vicine miniere cuprifere di Libiola (Sestri Levante). L’evoluzione delle strategie insediamentali nel territorio versiliese dall’VIII sec. a. C. è ben evidenziata da Maggiani che rileva come nel Bronzo finale le popolazioni locali, prima insediate in aree montuose interne di cui è un chiaro esempio il sito sul Monte Lieto23, si spostino progressivamente verso il pedemonte e la costa come dimostrano i reperti archeologici rinvenuti in questo territorio: il ripostiglio di bronzi (circa una cinquantina) di Colle alle Banche (IX-VIII sec. a.C.)24 e lo stampo per fusione in pietra rinvenuto a La Costa a Valdicastello (III sec. a.C., vd. sopra)25. Questi rinvenimenti insieme alle caratteristiche ambientali particolari di quest’area geografica con la sua ricchezza mineraria e la facilità di accesso a elementi come fuoco ed acqua indispensabili alla pratica metallurgica, suggeriscono una strategia insediativa che si apre verso nuovi contatti commerciali, un circuito di cui piu tardi gli Etruschi saranno senza dubbio i maggiori protagonisti, come dimostra chiaramente la necropoli etrusca del Baccatoio26.

Mingazzini, P. 1972. Antonucci, B. 1965. 24 Cocchi Genick, D. 2004. 25 Maggiani, A. 1990: 57-59. 26 Mazzini, U. 1921. 22 23

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4 Lo sfruttamento minerario: dal periodo romano all’anno 1000 The Romans conquered the region of the Apuan Alps after a long war against the local population of the Apuan Ligurians and founded the colony of Luni in 177 B.C. The archaeological documentation for their presence in the Versilia storica includes the presence of some tombs, the remains of a villa, traces of streets or some hydraulic and landscape projects related to the centuriation of the area. Although Roman presence is certain contemporary interest in the mineral resources remains to be proven. After the fall of the Roman empire it seems the region experienced an economic regression, and the little available documentation from the following periods indicates that the population relied mainly on agriculture and pastoralism. This situation endured under the Longobards and the Carolingian empire. In the later Middle Age power was in the hands of the local nobles. In Versilia a powerful example was the nobles (Consorti) of Corvaia and Vallecchia, who took a strong interest in the mineral resources, which in turn attracted attention from the competing city-states of Pisa and Lucca. sempre maggiore, ma l’impiego del ferro per usi diversi da quelli militari rimase sempre limitato causa gli altissimi costi di produzione, dove le voci di maggiore incidenza erano il costo e la quantità del carbone di legna (sconosciuto l’utilizzo del fossile) per i vari e successivi passaggi necessari al calore e la conseguente perdita in scorie per martellature del minerale. Una conferma della preziosità del prodotto finale qantomeno nel mondo romano ci perviene dallo storico latino Plinio il quale ci informa che il dono piú raro, prezioso e possibile alle classi sociali piú ricche era un manufatto in ferro 4.

Così come avvenuto per il periodo più antico, la mancanza di prove certe di attività mineraria1 perdura anche dopo la definitiva conquista dell’area Apuo-Versiliese da parte romana e la fondazione della nuova colonia di Luni (177 a.C.), dove gli assegnatari del territorio centuriato (Ager Lunensis) godevano della condizione di “civis romanus” cioè di cittadini di diritto. Questa nuova colonia confinava a sud-est con Lucca (Ager Lucensis) e a sud con Pisa (Ager Pisanum), comprendendo quindi tutte le zone mineralizzate descritte ma, malgrado i greci già dal VII /VI secolo a.C. sfruttassero su scala industriale la galena argentifera delle miniere di Laurion, i romani non avevano cognizioni abbastanza sviluppate né sui minerali né sulla loro formazione, anzi il lavoro nel sottosuolo, sede dell’Ade o regno dei morti, era aborrito sia dagli uomini liberi che dagli stessi schiavi che cercavano di evitarlo.

Nell’uso comune vengono utilizzati metalli alternativi come piombo, rame, stagno e loro leghe come ad esempio bronzo e ottone5 che avendo punti di fusione più bassi e minori successivi passaggi al calore, se non inesistenti, risultano più economici ma anche con caratteristiche diverse. L’importanza dei metalli in quest’epoca è sottolineata dal Prof. John U. Newf “secondo Tacito, una delle considerazioni che spinsero Claudio alla invasione dell’Inghilterra alla metà del I secolo fu la sua ricchezza in minerali”6.

Tuttavia sulla scia di questa politica espansiva2 a cavallo fra II e I secolo venne emanato un Senatus consultum teso ad impedire l’attività mineraria quantomeno nei confini dell’Urbe da parte di elementi estranei all’autorità di Roma, a prova di un interesse specifico sulle risorse minerarie della regione.

Dopo la caduta dell’Impero romano, si verifica una generale regressione economico demografica nonché la scomparsa di molte tecnologie produttive.

È comunque accertato che i minatori furono gli schiavi (damnatus ad metalla) e successivamente con l’inizio delle persecuzioni religiose anche i cristiani, tanto che attenendoci al Prof. Kantorovitz una conferma di questo dato sarebbe rilevabile nei testi delle più antiche litanie3.

Neppure il dominio Longobardo prima e Franco poi contribuirono ad una ripresa, accorpando il potere nelle mani di pochi maggiorenti spesso in lotta fra loro. L’edificio del feudalesimo si basava su di una struttura gerarchica nella quale i due rami del potere, il feudatario per quello laico e il vescovo per l’ecclesiastico, pur non avendo

A seguito della espansione dei confini e dell’incremento demografico, la richiesta di materiali metallici divenne Prescindendo dalle considerazioni di Francesco Campana e riprese da Vincenzo Santini non sempre condivisibili. 2 Le motivazioni reali erano comunque più ampie e finalizzate ad impedire pericoli alla libertà senatoriale ma esulano dal presente studio, basti comunque ricordare la nota frase di G. Cesare “Alea iacta est” quando varcando con le legioni il Rubicome invase di fatto Roma. 3 Newf, J.U. 1982: 484. 1

Plinio Naturalis Historia, libro XXXIII, Cap. I. La lega rame e zinco uguale ottone già ben nota ai greci era conosciuta come oricalco, o oro finto etc… e largamente impiegata specie in lavori ornamentali che resero famose alcune fonderie come quelle greche di Delo. 6 Newf 1982: 488. 4 5

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Niente accadde, ma viene da domandarsi a chi poteva servire una tale credenza e chi avesse potuto diffonderla in una società di analfabeti (condizione comune anche a re ed imperatori), e la risposta non può essere ricercata che in quella stessa casta che aveva la padronanza della scrittura, cioè in quei veri centri di potere che erano le abbazie e i monasteri, in definitiva la Chiesa stessa.

diritto assoluto sopra la terra soggetta, ne godevano però facoltà di prelievo dei prodotti. In questa fase ha inizio la fine della schiavitù intesa nel suo senso peggiore (lo schiavo considerato come semplice oggetto), quando il signore, dominus, capisce che lo schiavo non è un bene durevole poiché soggetto a malattie, a invecchiamento e con possibilità di fuga, tutte componenti che non più compensavano la iniziale spesa di acquisto. Si preferisce cederlo in cambio di una parte di prodotti di una limitata porzione di terra che potrà coltivare e, cosa importante, in cambio di questa nuova condizione sarà disponibile anche a combattere per il proprietario verso al quale si ritiene debitore. Nascono così i servi della gleba uomini teoricamente liberi ma schiavi di fatto, poiché legati insieme ai propri figli ed ai sucessori dei figli a quella terra sì ricevuta, ma oppressa da debiti e servitù contratte con il dominus in cambio di sementi, degli attrezzi da lavoro, della capanna e spesso anche degli accessori. Come già accennato, per tutto l’alto Medioevo le Judicarie Longobarde ed il Comitatus Franchi non contribuirono ad una ripresa economica, situazione a cui si aggiunse la Legge Salica che fissava il diritto di sucessione al primogenito. In questo periodo abbiamo il sorgere delle Consorterie vere e proprie imprese formate dai diversi rami della stessa casata coalizzati allo scopo di difendere quei privilegi veri, o presunti tali, già acquisiti nonchè alla ricerca di nuovi. Rimanendo in ambito locale, troveremo fra breve i consorti di Corvaia e quelli di Vallecchia come dal nome dei paesi omonimi. Solamente la Chiesa riesce a mantenere e sempre di più consolidare la propria supremazia sul potere laico non solo per il carisma del vescovo o vescovo conte7 ma anche con la realizzazione di quella particolare struttura religiosa che è la Pieve (Piviere o Plebato), cioè l’organizzazione di un’area circoscritta e ben definita che permette al potere centrale di essere capillarmente presente nel contado, processo di penetrazione che può considerarsi ultimato già dal VII – VIII secolo. Gli anni a cavallo del 1000 sono infine caratterizzati dalla crescente paura della fine del mondo e le ripetute pestilenze che interessarono l’intera Europa ne erano considerate i segni premonitori tanto che il Movimento Penitenziale raggiunse livelli di vero fanatismo che comportarono, tra le altre cose, il tracollo delle nascite. Le date fatidiche erano il 996 coincidendo il Giovedì Santo con il giorno dell’Annunciazione (non era ancora avvenuta la riforma del calendario), il 1000 da quanto riportato delle Scritture “Mille e non più Mille” ed infine il 1033 compiendosi mille anni dalla Passione e Morte di Gesù Cristo. 7 In un clima di generale regressione, molte città riescono a conservare il proprio rango solamente per il fatto di essere sede vescovile.

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5 Lo sfruttamento minerario: dall’anno 1000 al Lodo di Papa Leone X (1513) The strategic role of Versilia for the control of maritime commercial networks in the Medieval period is reflected in the tensions and wars between the city states of first Pisa and Lucca, and later Florence and Genova, and the construction of a stronghold on the coast, the castle of Motrone (Fig. 7). In 1255 Lucca founded the city of Pietrasanta to limit the power of the local Consorti of Vallecchia and Corvaia and to have access to the local sources of iron. However the presence of minerals soon attracted first the interest of Genova with the Bancorum Sancti Georgii and later Florence with the Medici family. Passata la grande paura, si assiste ad un rinnovato incremento demografico cui fanno seguito la ripresa economica e l’introduzione di nuove tecnologie produttive come ad esempio la rotazione delle colture con il sistema dei tre campi, l’uso della falce fienaia e, nel campo della metallurgia del ferro, forni più grandi e produttivi1. Ma le conquiste più grandi sono la riscoperta della forza idraulica (il mulino romano già funzionava ad acqua) ed il diffondersi delle coltivazioni su larga scala di cereali ad alto valore proteico come piselli, ceci, fave etc… (il XIII° secolo viene infatti indicato come il secolo delle fave) che portano ad un allungamento della vita media.

5.1. La fondazione di Pietrasanta ed i primi documenti sull’attività estrattiva

L’insieme di questi nuovi fattori è favorito dalla riforma del monachesimo benedettino, che vede alcuni ordini monastici uscire dalla quasi clausura dell’eremo, spesso lontano da altri insediamenti, e spostarsi nelle città o nei villaggi dove vengono fondati nuovi monasteri, più rispondenti al desiderio di vicinanza e contatto con il popolo.

Sempre nell’ottica di controllo territoriale va inquadrata la fondazione della Terra-Nova6 di Pietrasanta, voluta ed attuata dai lucchesi nel 1255 per popolare sì la zona e difendere quel piccolo porto così necessario per la

È in questo contesto generale che vanno inquadrate le lotte tra Lucca e Pisa prima, ed in seguito anche tra Firenze e Genova per il controllo del territorio2 e non tanto per le potenziali risorse economiche quanto per la posizione strategica e lo sbocco al mare offerto dal piccolo porto canale di Motrone3, ben presto conosciuto in tutto il bacino del Mediterraneo e la cui importanza commerciale specie per il minerale ferroso elbano4 andrà via via aumentando fino agli ultimi anni del 1300, tanto da meritargli l’appellativo di Chiave di Toscana5.

Luisi, R. 1996 e 2017: 89. Le strutture portuali si trovavano nei pressi dell’omonima località lungo la strada statale SS1 Aurelia circa sei chilometri a sud di Pietrasanta, da segnalare come dal 1400 ad oggi la linea di costa sia arretrata di circa 500/600 metri. Il declino di Motrone è da ricercarsi nel progressivo insabbiamento e nella maggiore portata delle imbarcazioni che impossibilitate all’attracco necessitavano di trasbordo in mare aperto con costi facilmente intuibili, a questo si aggiunga però e cosa non indifferente, la conquista di Pisa da parte di Firenze e l’affermarsi del porto di Livorno. Le strutture portuali erano comunque protette da un piccolo forte che accoglieva anche i magazzini di stoccaggio ed il tutto sormontato da una torre di avvistamento / segnalazione che verrà distrutta il 12 dicembre 1813 in seguito alle guerre napoleoniche da truppe inglesi sbarcate a Viareggio; in epoca successiva le macerie furono vendute ai privati come materiali da costruzioni.

2 3

Ed ecco che attraverso i Cluniacensi e i Camaldolesi prima, e i Cistercensi poi, si attua la diffusione delle nuove tecnologie, alcune delle quali già in uso nel mondo antico e di cui si erano perdute le tracce ma che erano rimaste ben vive in quei già ricordati ”centri di potere”, le abbazie e i monasteri. Contemporaneamente ed in contrapposizione al potere feudale, i piccoli proprietari, i livellari, gli affittuari si sostituiscono ai servi della gleba del potere curtense causando la digregazione del feudalesimo stesso. Nascono i primi comunelli rurali e nelle città l’economia prettamente agricola viene man mano estromessa da quella di mercato, che trova la propria base nel sistema monetario cioè quel tipo di capitale mobile (denaro) che sostituisce quello immobile (terra), verificandosi così la nascita della produzione industriale dei beni che culminerà nel 1400 con la definitiva affermazione del capitalismo.

1

Ecco una dedica al porto da un cittadino lucchese. Ben ti poi ralegrar dolcie Motrone però che di Toschana tu fè chiave ogni nave, galea, cocchi, lenti, et altri legni con tucti loro ingegni posino nel tuo porto virtudioso Motrone dilectoso. Per Davino Castellani cittadino et poeta di Lucha 12 aprile 1369 4 Una volta sbarcato a Motrone, il minerale veniva avviato ai vari fabbrichili locali ubicati per la quasi totalità lungo il corso superiore del fiume Versilia (Valventosa, Ruosina, Gatto, Malinventri) nonché a quelli della Garfagnana e dello Stato di Modena. 5 Pelù, 1974a-b, 1975. 6 Col nome di Terre Nove venivano indicati quei territori di confine in via di popolamento per lo sviluppo e difesa dello stato stesso che ne pianificava la realizzazione.

Si passerà dalla vecchia fucina fabbrile al basso fuoco italico.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 5.1. Castello di Motrone prima della sua demolizione avvenuta intorno al 1692. Disegno attribuito a Giovanni Francesco Grimaldi (1606-1680), Metropolitan Museum of Art 49.63.271, N.Y.

mercatura, ma con lo scopo sottointeso di contrastare o quantomeno limitare la potenza dei consorti di Corvaia, Vallecchia e quella del vescovo di Luni7, la cui giurisdizione ecclesiastica riprendendo quasi per intero il territorio della vecchia colonia romana arrivava ai confini con Lucca proprio nella Versilia.

dei consorti di Vallecchia, mentre ai consorti di Corvaia spetteranno le analoghe di Farnocchia.

Da segnalare che tale assetto perdurerà ancora fino alle riforme del Granduca Pietro Leopoldo alla fine del 1700 come vedremo in seguito.

18 maggio 1247 Ser Paganello del quondam (fu) Ubaldo da Vallecchia, vende a Bernardino da Lucca una corba e mezzo della Argentiera di Valle Buona con contratto di un altro Ser Paganello notaio.

Dalle relazioni di Bartolomeo Lazzeri (A.S.C.P.) abbiamo notizie più dettagliate riguardo alle attività estrattive per galena argentifera:

Notizie certe di attività estrattiva, quantomeno per il minerale di piombo argentifero, si hanno a partire dal 1200 e riguardano i tentativi di risoluzione dei conflitti di interesse fra i consorti versiliesi da una parte e il vescovo di Luni e i Malaspina dall’altra, per la ripartizione dei proventi di una non meglio identificata “Argentiera”8.

18 settembre 1247 Con rogito dello stesso notaio, Alderigo da Vallecchia vende al già ricordato Bernardino da Lucca una corba di sua parte di vena grossa delle Argentiere.

A tal fine nel 1213 venne pronunciato il cosidetto Lodo di Terrarossa (La Spezia), con il quale si stabiliva che un terzo della produzione era riservata al vescovo ed ai Malaspina. Un altro documento del 12199 fissa la proprietà delle Argentiere: quelle di Gallena e di Valle Buona10 saranno

22 maggio 1248 Nella casa di tale Riccardino a Brancagliano (attuale zona di Ponterosso/Crociale) viene reso pubblico il contratto di Ser Ubaldino notaio lucchese con il quale sempre Alderigo da Vallecchia vende al medesimo Bernardino da Lucca un’altra corba e mezzo di vena d’argento con tutte le sue ragioni e pertinenze.

La dizione esatta è comunque Luni-Sarzana come a tutt’oggi poiché in seguito alla distruzione di Luni ad opera dei Normanni nel ‘860 la sede vescovile era stata trasferita a Sarzana da cui il doppio appellativo. 8 Fino ad epoca moderna, con il nome di “Argentiera” vennero genericamente indicate tutte quelle località sede di escavazione e/o lavorazione per tale metallo da cui la diffusione del toponimo. 9 Repetti, E. 1832 e Jervis, G. 1874. 10 Nome con il quale venivano genericamente indicate le vallate del Fondo e Angina Ferraio nonché l’originario insediamento di Valdicastello intorno alla chiesetta di Santa Maria Maddalena.

A questo punto, visto gli acquisti che si susseguono nel tempo, viene da chiedersi se l’interesse di Bernardino fosse rivolto veramente all’argento o piuttosto al piombo, peraltro ottenibile con minore difficoltà e poi facilmente riducibile in lastre utilizzabili per la copertura di tetti e cupole, indispensabili in quella società pervasa da quasi un fanatismo religioso che porterà alla edificazione di nuovi e più grandi luoghi di culto.

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Lo sfruttamento minerario

Fig. 5.2. Pianta del Capitanato di Pietrasanta, sec. XVII (1679), A.S.C.P., Fondo Cartografico.

Ma fin dalla sua fondazione il territorio della futura Pietrasanta vede alterne vicende politiche per il controllo dell’area. Dapprima dai consorti di Corvaia e Vallecchia passa ai Visconti poi, in seguito alle lotte fra Lucca e Pisa alle quali parteciparono alternativamente anche i consorti stessi11, perviene ai pisani, poi ai lucchesi per tornare nuovamente ai pisani e successivamente ai lucchesi12.

( Gallena)”13, il 23 ottobre 1316 le dona a Castruccio Castracani Dux lucense, insieme a tutte le miniere conosciute o che potranno essere scoperte. Con la morte di Castruccio (1328) e la pubblicazione del suo testamento Pro Pina14 parte dei beni rimangono agli eredi e parte tornano alla comunità fino al 1347, quando essendo nuovamente cambiato l’assetto politico viene risolta la vecchia questione del reintegro.

Ma analizziamo nel dettaglio questi passaggi di potere e le alterne vicende che li determinano nel territorio della Versilia storica.

Il Conte Ranieri Donoratico della Gherardesca, Capitano di Pisa, nuovamente concede le vecchie proprietà ai consorti versiliesi (Vallecchia e Corvaia) ma con esclusione delle miniere e divieto di estrarre ”vena auri, argenti, feri, vel alterius metalli qui quidem montes, partes, seu loca remaneant et sunt Pisani communis”15.

Dopo l’edificazione di Pietrasanta proseguono le lotte fra Lucca e Pisa che, per quanto riguarda l’ ambito locale, portano ad esiliare come ribelli i consorti (filo pisani – bando del 1308), alla distruzione delle rispettive rocche e alla confisca dei loro beni a favore della comunità di Pietrasanta, che nonostante la domanda di reintegro avanzata nel 1314 quantomeno per l’ “Argentarium de Farnochio (Farnocchia) et terram ipsius et terram Galini

Tuttavia nonostante la proibizione si continua ad estrarre e lavorare il minerale locale, grazie alla relativa lontananza dal potere centrale e la quasi impossibilità di un controllo capillare in luoghi pressoché “semi-selvaggi”.

11 Volpe, G. 1970. Studi sulle istituzioni comunali a Pisa: pag. 160, Sansoni, Firenze. “A volta combattuti ed adescati dalle città si assoggettavano oggi per ribellarsi domani, si appoggiavano a l’una per sostenersi contro l’altra; ingraziati con i benefici tradivano per averne altri da quelli a cui vantaggio avevano fatto tradimento”. 12 Per una esaustiva documentazione vd: Corsi, D. 1980. La Pace di Lucca con Pisa e Firenze negli anni 1181/1184, Accademia Lucchese di Scienze Lettere Arti. Studi e testi XII.

Repetti, E. 1832. La moglie Pina Streghi era originaria di Monteggiori (piccolo borgo pedemontano circa otto chilometri est da Pietrasanta) e proprio in seguito al matrimonio ne verrà aumentata la fortificazione muraria a protezione e sicurezza di Castruccio stesso in occasione delle sue visite e soggiorni. 15 Santini, V. 1858-1862. 13 14

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Degna di nota la clausola di restituzione “remaneant et sunt pisani communis” che bene illustra il protezionismo in campo minerario esercitato dal comune di Pisa, così come tutte quelle potenze che avevano il controllo di giacimenti/affioramenti sia attivi che potenzialmente sfruttabili.

stabilite, tratti di corda, taglio della mano, et infino allo estremo supplizio della vita oltre la distruzione della cava e la confisca dei beni”. Nel 1484 la terra di Pietrasanta passa sotto il controllo di Firenze che nel 1488, ispirandosi ai vecchi Statuti minerari trecenteschi di Massa Marittima e Rio d’Elba entrambe parti della medesima curia vescovile, emana la sua prima legge mineraria tesa a favorire ed incrementare lo sviluppo delle escavazioni sia per i metalli che per i materiali lapidei seppure a scapito del o dei proprietari dei terreni interessati ai lavori, non prevedendo la refusione per danni arrecati.

In particolare Pisa controllava i vasti depositi ferriferi elbani, fino al 1399 quando passeranno agli Appiano, dai quali ricavava gran parte della propria economia. Pisa, suo malgrado, non potè o seppe sfruttare al massimo la loro potenzialità nonostante il rigido ordinamento legislativo in materia, di cui troviamo un esempio negli accordi commerciali del 1379 con i Catalani, dove si prevedeva per questi ultimi il divieto di importareesportare o comunque trasportare “lo fero de Farnochio ne lo Stato de Lucha”16.

In definitiva tutti i cittadini potevano intraprendere lavori con la sola condizione di comunicarlo entro il mese di ottobre di ogni anno agli Ufficiali del Monte (fisco)20, uno stato di fatto a cui seguono subito effetti negativi ed è proprio per porvi un limite che il 13 gennaio 1512 la legge viene modificata in senso restrittivo introducendo la clausola di tutela per danni arrecati.

Con la signoria di Paolo Guinigi, abilissimo diplomatico e ben introdotto nella città di Genova, e con gli Appiano dai quali otterrà numerose agevolazioni per l’approvvigionamento di minerale ferroso necessario ai fabbrichili lucchesi della Garfagnana, Lucca raggiunge alti vertici di potenza politico-economico-mercantile. Tuttavia al sopraggiungere della morte di Guinigi nel 1430 e perdurando la guerra con Firenze, proprio per finanziare quest’ultima Lucca richiese un prestito di 15.000 fiorini da restituirsi in tre anni alla città amica di Genova. Questa lo accorda ma a condizione che la terra di Pietrasanta, porto di Motrone compreso, passino sotto il suo controllo a garanzia del prestito stesso.

Tuttavia perdurando le lotte fra Lucca e Firenze sempre per il controllo del territorio, nel 1513 viene stabilito, di comune accordo, di sottoporre la questione al giudizio di un arbitro sicuramente al di sopra delle parti e scelto nella persona del Pontefice Giulio II, il quale però muore improvvisamente senza poter derimere la questione. Nello stesso anno gli succede, assumendo il nome di Leone X, Giovanni de’ Medici figlio di Lorenzo il Magnifico che con quel capolavoro di diplomazia costituito dal suo Lodo del 29 settembre 151321, mentre deludeva le aspettative lucchesi probabilmente fiduciose nella plurisecolare osservanza religiosa cittadina, lo assegna in perpetuo a Firenze dando così inizio alla cosidetta Enclave di Pietrasanta che ancora oggi è fonte di diversità di opinioni riguardo ai veri confini della Versilia.

La scadenza del 1433 trova Lucca impossibilitata al pagamento e prosegue così il controllo genovese del territorio che dal 1447 verrà esercitato tramite la potentissima istituzione genovese del Bancorum Sancti Georgii (Banco di San Giorgio), ed è proprio grazie al carteggio fra i suoi rappresentanti in loco ed il governo centrale17 che veniamo a conoscenza non solo della continuità produttiva di minerali ferrosi, ma anche di coltivazioni minerarie locali già attive in precedenza18. Viene infatti permesso lo sfruttamento della Vena ferralis ed interdetto quella della Vena silvestris19, oltre a essere introdotta l’obbligatorietà a sottoporre il prodotto finito al controllo di appositi incaricati del Banco, i quali in caso di giudizio positivo apponevano il marchio di qualità e garanzia, altrimenti imponevano una nuova lavorazione ed in caso di recidiva il tutto veniva affondato in mare aperto.

Conseguenza diretta di questa nuova realtà fu lo sviluppo di Viareggio e del suo porto, un canale resosi così necessario per la mercatura “De lo pacifico et populare stato”, come si autodefiniva Lucca, che culminerà con la grande affermazione marinara della “Marina lucchese” così come la definisce S. Bongi22. Di seguito una breve sintesi delle fasi principali delle vicende storiche di Pietrasanta dal 1255 fino al 1513:

Oltre a quanto sopra furono varate per i trasgressori nuove ed ancor più restrittive sanzioni infatti: “oltre alle pene già

Squarzina, F. 1973. Italia Mineraria. Economia e legislazione. Associazione Mineraria Italiana Roma. 21 Sviluppato in 28 capitoli: Incipit-Explicit-Corraboratio, esordisce con i principi di fratellanza che dovranno regnare fra lucchesi e Fiorentini, libertà di transito e sicurezza per merci, armi bianche, mercanti e vetturali arrivando pian piano alla conclusione premessa da avvenire entro 12 giorni dal ricevimento del Lodo stesso riconsegnando a Firenze le fortezze di Pietrasanta e Motrone (Santini, L. 2013). 22 Atti dell’Accademia lucchese di Lettere – Arti – Scienze Tomo XVIII “Note sulle marine Lucchesi” letta dall’accademico ordinario Salvatore Bongi nell’adunanza del 1 febbraio 1865 a Lucca. 20

A.S.P. Bonaini Statuti inediti pisani volume I. A.S.G. Buste Cancellieri, Il Banco di San Giorgio e le miniere di Pietrasanta; Pipino, G. 1977. L’industria mineraria, Volume VII, Roma. 18 Il ferro di Pietrasanta era sempre stato considerato di ottima qualità tanto da distinguerlo dal concorrenziale “ferro pisanesco”. 19 Vena ferralis cioè minerale di qualità ad alta percentuale di ferro (come ematite, magnetite) a differenza delle Vena silvestris dove le percentuali si abbassano notevolmente (come ad esempio limonite, goethite etc..) 16 17

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Lo sfruttamento minerario 1255

Fondazione

1316/1328 Possedimento di Castruccio Castracani signore di Lucca 1333/1340 Occupata dai fiorentini torna nuovamente ai lucchesi 1341 Occupazione pisana in nome di Luchino Visconti 1369 Per intervento di Carlo IV torna nuovamente ai lucchesi 1406/1428 Possedimento di Paolo Guinigi signore di Lucca. 1446/1484 Genova esercita il controllo economicoterritoriale tramite il Banco di San Giorgio 1484 Passaggio sotto l’amministrazione fiorentina 1494 Piero Medici la dona a Carlo VIII che a sua volta la vende ai lucchesi nel 1496 1500 Dopo l’occupazione di Ludovico XII torna ai fiorentini 1513 Lodo di Papa Leone X23 e definitiva assegnazione a Firenze, ha inizio l’Enclave del Capitanato di Pietrasanta (in seguito Vicariato di Prima Classe) che, salvo il periodo di occupazione francese, perdurerà fino al Regno d’Italia.

23 Lodo del 29 settembre 1513, da evidenziare come Leone X succeduto a Giulio II morto improvvisamente, fosse al secolo Giovanni Medici figlio di Lorenzo il Magnifico.

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6 Lo sfruttamento minerario: dal Lodo alla fine del Granducato di Toscana With Cosimo I de’ Medici began a new era for the Tuscan mineral resources. His kaleidoscopic interest for the natural resources and in particular for those underground promoted the introduction of innovative technology and the use of foreign experts imported from northern Europe, in particular Germany where the mining tradition was better established. These new enterprises were also regulated with laws to solve the many controversies over the territory of the Capitanato of Pietrasanta which was finally placed under control of Florence with the promulgation of the Lodo by Pope Leo X (1513), member of the Medici family. A new legislation followed in the XVIII century with the Riforme Leopoldine of Grand duke Pietro Leopoldo of Tuscany, who in 1788 enacted a motuproprio granducale, which abolished every regalibus previously granting permission for mining, and liberalised exploration for precious minerals. However the many diverse interests in the minerals of the region and the problems related to property rights of land promoted further new regulations and legislation in later years. Archival documents from this period attest the exploitation of the mines of Ruosina, Levigliani and Sant’Anna, activities which in a few and very limited cases can be detected also in situ. 6.1. I Medici ed il Lodo

minerario dove fu disposto ad investire energie e capitali non indifferenti1 pur di raggiungere l’obbiettivo prefissato.

Con il passaggio sotto l’amministrazione fiorentina entra in vigore la relativa legislazione mineraria che nel 1512 aveva introdotto la tutela per i danneggiati, ma nonostante questo la legge rimaneva ancora troppo lacunosa originando il susseguirsi di ricorsi e vertenze da cui derivó l’elaborazione della Riforma del 1525.

A questo proposito non bisogna trascurare il fatto che i Medici, sì Duchi e poi Granduchi di Toscana, furono per tradizione banchieri a livello europeo ed in stretti rapporti con analoghe famiglie di altri stati e nazioni, per la Germania citiamo i Fugger di Augusta e i Torregiani di Norimberga, costituendo vere e proprie potenze economiche in grado di accordare prestiti a re ed imperatori. Una delle conseguenze principali di questa loro posizione fu quella che poterono se non modificare quantomeno condizionare scelte ed alleanze, specie se viste nell’ottica della penuria di metalli preziosi (oro e argento) e di riflesso di liquidità, elementi che afflissero per un lungo periodo l’intero vecchio continente, prima della massiccia immissione sui mercati dei proventi provenienti dal Nuovo Mondo americano.

In quest’ultima, oltre la richiesta annuale, era obbligatorio per chi conduceva escavazioni presentare anche gli accordi sottoscritti con la controparte in materia di danni, servitù di passo ed eventualmente di acque, nonché l’accettazione del Privilegio della Repubblica ad acquistare tutta o parte della produzione. In caso poi di successive divergenze fra i contraenti sia l’arbitrato che la quantificazione di eventuali compensi erano demandati agli Ufficiali del Monte stesso. Tutti questi concetti generali della legge saranno poi confermati nelle successive modifiche del 28 ottobre 1530 e del 9 gennaio 1536.

La penuria generale dei metalli, non solo di oro ed argento ma anche di metalli comuni come ferro, rame, e stagno in particolare, favorì un rigido protezionismo da parte di quelle nazioni ricche in giacimenti minerari, nazioni dove gli stessi addetti ai lavori costituivano una particolare categoria di esperti ben definita, protetta e regolamentata da “Statuti”, se non addirittura distinta da uniformi proprie2.

Nel 1537 finisce la Repubblica e torna al potere la famiglia Medici. Con Cosimo I inizia la grande campagna di escavazioni minerarie condotte dapprima proprio nel territorio del Capitanato di Pietrasanta, dove si protrarranno anche sotto i suoi successori dal 1542 al 1595, salvo brevi periodi di interruzione dovuti a vere o presunte frodi sia nelle coltivazioni che nella gestione amministrativa.

Il finanziamento dell’impresa, almeno nel primo periodo, avvenne tramite le gabelle dell’intero Capitanato di Pietrasanta. 2 Specie in Germania vigeva un regolamento di tipo quasi militare con proprie gerarchie protrattosi fino al 1900 ed anzi in particolari occasioni (feste patronali, inizio nuove coltivazioni, risultati ottenuti etc.) i minatori inquadrati ed in divisa erano passati in rassegna da Autorità dello Stato e propri Capitani. La tradizione era talmente radicata da proseguire anche in occasionali campagne di lavoro all’estero come ad esempio è avvenuto nella seconda metà del 1800 nelle miniere sarde di Ingortuso e Gennamari, sfruttate da una compagnia francese animata dal tedesco signor Bornemann che la richiese a maestranze e tecnici giunti nell’isola intorno al 1853/1855, portati ad esempio di disciplina e immortalati nelle fotografie della seconda metà del 1800 (Ferraris, G. 1994). 1

Dal 1549 al 1562 le attività estrattive avverranno anche nel “campigliese” e a Massa Marittima, tutte zone già sede di attività minerario metallurgiche verosimilmente riconducibili agli Etruschi. La figura di Cosimo I promosse innovazioni e studi scientifici di ampio respiro, in particolare fu un grande ed innamorato cultore di cose naturali specie in campo 27

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) legate sia la scomparsa del bosco d’alto fusto montano7, il cui taglio era interdetto ai residenti per uso privato originando conflittualità messe via via a tacere con la forza e l’emanazione di bandi e motupropri8, sia l’ostracismo ad iniziative per l’escavazione di minerali ferrosi locali, come ad esempio avvenne verso la fine del 1600 per la Compagnia del religioso livornese Padre Paci il quale “disperato fuggì in Francia dove morì di crepacuore9”.

Per questa il corollario immediato fu l’ostracismo, se non un vero e proprio impedimento fisico, a permetterne il trasferimento all’estero, poiché significava l’esportazione di tecnologie produttive custodite gelosamente e potenzialmente in grado di creare concorrenza economica. Intorno al 1539/1541 iniziano le attività nelle Miniere del Bottino e Argentiere di Sant’Anna per lo sfruttamento di galena argentifera, mentre fra 1542/1543 le ricerche vennero orientate anche verso i vecchi e già noti giacimenti ferriferi di Strettoia e dello stazzemese ma ben presto quest’ultimi furono interrotti, e a tal proposito è stato ipotizzato un abbandono per mancanza di rendimento. Anche se la cosa è possibilissima personalmente ritengo che la vera motivazione sia invece da ricercarsi in quell’enorme affare economico concluso da Cosimo I il 17 marzo 1543, con l’acquisizione da parte di Iacopo V Appiano, “Signor di Piombino e Isola d’Elba3”, dello “Appalto generale della vena del ferro elbana per la durata di anni 15 a partire da tale data”.

Rimanendo in questo secolo dobbiamo ricordare, oltre le poche notizie di escavazioni minerarie al Bottino, che nel 1630 la reggente Maria Cristina di Lorena concesse l’uso della villa di Seravezza (leggi Palazzo Mediceo) ai Capitani di Pietrasanta “nei mesi estivi per sfuggire alla esalazioni malariche della pianura”. 6.2. Le Riforme Leopoldine ed il Granducato di Toscana Il 1700 è il secolo dell’illuminismo e delle “spiegazioni razionali”, dei viaggi di studiosi ed eruditi, i cosiddetti viaggiatori illuminati specialmente stranieri, attratti dal mito di Roma e del Bel Paese. Questi, persone di scienza, cultura ed arte, si recarono in Italia per motivi diversi, e spesso hanno lasciato una testimonianza dei loro soggiorni e dei luoghi visitati nelle loro opere10. In questo periodo di dinamismo culturale internazionale nel Granducato di Toscana è l’epoca delle grandi riforme economico-sociali attuate da Pietro Leopoldo e meglio conosciute come Riforme Leopoldine, delle quali citerò le principali che riguardano il Capitanato di Pietrasanta e le leggi minerarie in genere.

L’accordo lo rendeva di fatto il fornitore del richiestissimo prodotto alle varie magone del ferro4 dalla Liguria al Regno di Napoli, comprensi gli Stati di Lucca – Modena e quelli Pontifici, gettando le basi per il futuro sviluppo della Magona Toscana inizialmente denominata Compagnia Cantante nel nome di Bartolomeo Quartierotti, uomo di fiducia del Duca, con sede a Firenze ed in seno alla quale Cosimo riceveva l’82.5% degli utili5. È proprio con quest’ultimo che nel territorio della Toscana soggetta a Firenze, il termine magona assume il significato di vero e proprio monopolio del ferro, dalla materia prima alla lavorazione e commercializzazione del prodotto finito.

La legge 20 aprile 1749, detta Legge sui Feudi, aveva tolto ai feudatari gran parte dei privilegi in materia di gabelle ed escavazioni privandoli di fatto della proprietà delle miniere che passavano sotto il diretto controllo Granducale, e gli effetti furono tali da suscitare rimostranze e ricorsi alla Magistratura da parte degli interessati. Il 23 settembre successivo gli Auditori di Ruota confermano la validità della legge ispirata al concetto della Concessione Cum Regalibus per cui al feudatario appartengono solamente le miniere ed i benefici esistenti al momento della concessione, mentre non può appartenervi tutto quanto può essersi scoperto successivamente11.

È in questa nuova ottica che vengono rilevate le vecchie Ferriere del Capitanato di Pietrasanta e nel 1560 costruito il forno di Ruosina “alla Bresciana andante”, quasi certamente su disegno, se non anche direzione dei lavori, del maestro Giovanni De Zambonari da Gardone “esperto in questo tipo di manufatti” capaci di colare ferraccio da ridurre in ferro. Tuttavia già nei primi anni del 1580 il forno è trasformato in “Edifizio per fabbricare armi” ed il 5 marzo 1584 viene concesso in locazione gratuita ai maestri Sforza Passaglia e Francesco Amorotti di Castiglione dei Gatti che si impegnano “a fabbricare tutte le arme che potessero servire a S.A.S. per le galere ed armamenti della milizia6”.

Pressoché intoccabile la cosiddetta Macchia di Marina ossia quella fascia boschiva a ridosso del mare e ritenuta capace “di opporsi ai venti maligni che spingono le febbri”. 8 Causa il progressivo rarefarsi del necessario carbone di legna vengono aumentate ad otto miglia la distanza “dagli edifizi del ferro”, e l’interdizione al taglio di privati ribadendoli con Bando 8 marzo 1660 e successivo motuproprio granducale di Ferdinando II del 21 novembre stesso. Per entrambi A.S.C.P. collocazione T 59/I e T 63/I. 9 Come ricorda Vincenzo Santini, Santini 1858-1862. 10 Bastino gli esempi del naturalista svedese Rheinold Argenstein e le sue visite ed osservazioni minerarie in occasione del soggiorno a Seravezza nel 1771 (riportate da Targioni Tozzetti (1773) nei suoi viaggi), e di George Cristopher Martini detto ”il sassone” che nel suo Viaggio in Toscana descrive i famosi fucili a “tortiglioni” prodotti a Ruosina dai Fratelli Leoni e ritenuti se non migliori, quantomeno alla pari con gli analoghi arabi e catalani; la manifattura scomparirà con la morte tuttavia specie nello stazzemese continuano ad operare abili armaioli fino a ben oltre l’Unità d’Italia. 11 Squarzina, F. 1973. 7

Proseguire con le vicende della magona esula dal presente studio, tuttavia dovremmo ricordare che ad essa sono Iacopo Appiano era zio di Cosimo per parte di madre. La parola magona, di probabile origine araba, e fatta propria per primi dai genovesi, significa privativa nel commercio di un materiale tanto che già nel 1209 abbiamo notizia delle Magone di Genova, Noli e Savona mentre in territorio toscano la prima a sorgere è con grande probabilità quella di Pietrasanta. 5 Cardarelli, R. 1938, in A.A.V.V.: 143. 6 Cardarelli op. cit.: 227. 3 4

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Lo sfruttamento minerario

Fig. 6.1. Pianta di “una parte della Comunità di Pietrasanta … per conoscere la situazione di alcuni Comunelli”, Giovanni Niccola Mazzoni, 1795 (A.S.C.P., n.396 (I 57), cc.117v.-118r.).

Il 22 marzo 1769 viene riformata la legge concernente la proprietà fondiaria, la cosiddetta manomorta, relativa a chiese, conventi, fondazioni pie e di beneficenza.

Il 6 marzo 1782 viene concessa in tutto il territorio la possibilità di portare armi bianche e da fuoco “purché in giusta misura”, mentre il 5 luglio seguente è soppresso il Tribunale dell’Inquisizione con lo scopo non poi tanto sottointeso, di rafforzare l’Autorità dello Stato. Infine nella prospettiva di liberarsi da un oneroso mantenimento di immobili il 5 aprile del 1784 si perviene all’allivellazione della Rocca di Pietrasanta alla famiglia Masini Luccetti per 950 scudi, e la donazione del palazzo di Seravezza con tutto ciò che contiene ed attigua cappella alla locale comunità15.

Il 30 settembre 1772 è infine soppresso il Capitanato di Pietrasanta e trasformato in Vicariato di prima classe, mentre il 21 luglio 1776 l’intero territorio viene suddiviso in maniera amministrativamente meno frazionata passando dalle nove comunità esistenti a soli tre corpi politici12. Pochi anni dopo con la disposizione dell’ 8 maggio 1781, era stato sancito il divieto di seppellire i morti dentro la cerchia muraria urbana e, necessitando un adeguato spazio, viene decisa la demolizione della vecchia e romanica Pieve dei SS. Giovanni e Felicita, le cui macerie potranno essere reimpiegate per la costruzione della chiesa di Valdicastello.

Ritornando al campo minerario, per definire completamente ed in maniera inequivocabile il diritto e la libertà di escavazioni durante il 1786 sia l’Avvocato Regio che l’Auditore delle Regalie vengono incaricati di riesaminare l’annosa ed irrisolta questione della “Concessione cum Regalibus”, escludendone però minerali e pietre preziose. Tuttavia non si pervenne ad alcuna modifica ed è soltanto il 13 maggio 1788 che il famoso motuproprio granducale abolisce il concetto di regalia ed ogni preventiva concessione liberalizzando anche la ricerca dei preziosi.

Fortunatamente la cosa non ebbe seguito, e fu approvata la scelta di un terreno attiguo all’allora via Regia13 facente parte dei beni dei Frati Agostiniani di Pietrasanta tanto da venire genericamente indicato come “orto dei frati”14. Si passa dalle nove Comunità di: Pietrasanta–Seravezza–Cappella– Terrinca–Retignano e Levigliani–Pruno e Cardoso–Stazzema– Pomezzana–Farnocchia ai tre corpi politici di: Pietrasanta–Seravezza e Cappella–Stazzema o Vicaria e tale suddivisione perdurerà fino al Regno d’Italia. 13 Leggi attuale via Sarzanese, luogo dove si trova, ad uno stadio ampliato, tutt’oggi. 14 La paventata demolizione fu anche motivo scatenante di grandi contrasti fra i due popoli di Capezzano e Valdicastello circa la ripartizione di beni e legati già appartenenti alla Pieve stessa. 12

Viene comunque introdotta una stretta tutela per gli eventuali danneggiati e per i loro beni, nel caso inoltre i lavori avvengano nelle vicinanze di Strade Regie o 15

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Buselli, F. 1965.

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 6.2. Filza di Leggi Leopoldine dal 2 luglio 1787 al 2 luglio 1794 (A.S.C.P. carta 45, segnatura provvisoria 1252).

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Lo sfruttamento minerario Comunitative dovrà essere rispettata anche la legge del 2 agosto 1787 emanata a loro salvaguardia, seguita a brevissima distanza anche della neonata legge 2 agosto 1788 riguardante monumenti e tesori dell’antichità.

Buocompagni, l’11 maggio 1816 viene emesso il motuproprio di esclusione dell’isola dalla libertà della escavazione mineraria, stabilendo che per essa il vecchio motuproprio leopoldino (13 maggio 1788) doveva intendersi come ”non pubblicato”, passando così sotto il diretto controllo Granducale17.

Da notare che il motuproprio rimarrà vigente nel territorio dell’ex Vicariato nonostante il passaggio al Regno d’Italia, condizionando non poco, come vedremo, le attività estrattive fino alla introduzione della legge Mineraria Nazionale operata nel 1927 dal regime fascista (vd. Appendice 4).

Scopo evidente era il poter allargare la gestione anche a capitali privati per incrementare sia l’attività mineraria che quella delle ferriere, tutelandole nel contempo con la Notifica 27 luglio 1816, che rimarrà in vigore fino al primo gennaio 1832, con cui viene proibita l’importazione in tutto il Granducato di qualsiasi ferro straniero. Inoltre il successivo 6 settembre sia i giacimenti elbani che tutti gli impianti produttivi18 passano ad una conduzione mista denominata Amministrazione Imperiale e Reale delle Miniere e Magona per la durata di 12 anni.

Altra importantissima riforma è la rettifica dei confini ecclesiastici voluta da Pietro Leopoldo concordata con lo Stato di Lucca, con il chiaro intento di unificare l’intera enclave sotto un’unica giurisdizione temporale, riforma attuata dal pontefice Pio VI il 18 luglio 1789 con la sua “Bolla in Suprema“16.

Il consiglio direttivo è formato da un Commissario Regio e tre rappresentanti degli azionisti privati, i signori Cesare Lampronti, Sebastiano Kleiber e Luigi Morel de Bouvine19 che in epoca successiva rileverà, come vedremo, la miniera cinabrifera di Levigliani.

Il 26 marzo 1799 anche il Vicariato viene invaso dalle truppe francesi che subito provvedono ad innalzare nella piazza di Pietrasanta l’albero della libertà non ottenendo però gli scopi e gli effetti previsti, tanto da essere cacciati a seguito di una sommossa popolare il 18 luglio seguente, e solamente nel 1800 sarà possibile la definitiva rioccupazione.

Nel 1828 termina per scadenza l’Amministrazione, le miniere vengono scorporate dalla ferriere e gestite direttamente dal Governo, mentre per le seconde viene rinnovato il sodalizio con i vecchi azionisti ad eccezione di Luigi Morel che si ritira.

Durante il periodo napoleonico vengono soppresse leggi e regolamenti granducali anche se in campo minerario lo furono solo nominalmente, fino al Decreto di Felice Baciocchi “Principe di Lucca e Piombino” che viene emanato il 7 dicembre 1806, con operatività dal primo gennaio 1807, prevedendo l’entrata in vigore dell’art. 552 del Codice Civile Napoleonico in materia di escavazioni e la necessità di previa autorizzazione.

Con la Notificazione 16 novembre 1829, che entrerà in vigore con il primo gennaio 1832, decadrà il divieto di importazione subentrandovi però una tassa doganale pari a circa l’80% del valore del prodotto. Tuttavia la rinnovata gestione ha breve vita, tanto che anche le ferriere tornano sotto il diretto e unico controllo Granducale che nel 1835 tratta con privati la cessione in enfiteusi di quelle di Pietrasanta e Pistoia riunificando poi le due gestioni sotto la Regia Amministrazione delle Miniere e Fonderie del Ferro, che perdurerà fino alla scomparsa del Granducato di Toscana stesso.

Al di là della normativa, i ricchi giacimenti ferriferi elbani sono gestiti direttamente, donati poi all’ordine della Legione d’Onore, entrando infine fra le rendite napoleoniche quale sovrano dell’isola stessa. Con la caduta di Napoleone e la Restaurazione dopo il Congresso di Vienna (1815) abbiamo il ritorno al Granducato e alla sua legislatura. In seguito alle clausole stabilite nel Congresso ed in particolare dell’art. 100, che prevedeva la refusione delle rendite minerarie elbane al Principe Ludovisi Il territorio era ripartito fra le Diocesi di: Lucca – Luni e Pisa, con la rettifica : a) passano dalla Diocesi di Lucca a quella di Pisa le parrocchie: Sant’Antonio Abate (Alpe di Terrinca), Ss. Giovanni e Felicita di Valdicastello–Capezzano, Santa Maria Assunta di Cardoso, Santa Maria Asssunta di Stazzema, San Martino di Pietrasanta, San Michele di Farnocchia, San Nicolao di Pruno. b) da Pisa a Lucca sette parrocchie: San Donato di Balbano, San Giulio di Chiatri, San Giuseppe di Torre del Lago, San Lorenzo di Massaciuccoli, San Martino di Castigliocello, San Prospero di Balbano, Santo Stefano di Quiesa. c) da Luni a Pisa quattro parrocchie: Ss. Lorenzo e Barbara di Seravezza, San Clemente di Terrinca, San Martino alla Cappella, Santo Stefano di Vallecchia.

16

Garbaglia, G. 1938. In AA.VV. Miniere dell’Isola d’Elba. Rispettivamente: Pietrasanta–Cecina–Follonica–Montagna Pistoiese– Casentino. 19 In alcune pubblicazioni indicato come Beauvine. 17 18

31

LE MINIERE. PARTE I COLTIVAZIONI MINERARIE MINORI

33

7 Miniera di Strettoia Cromite in noduli – ematite – idrossidi di ferro (limonite – goethite) manganesiferi Small iron deposits were first explored by the Medici family in 1542, but were quickly abandoned for the richer mines on Elba. Again in 1600 the Compagnia di Padre Paci had some activities, but firm documentation starts from the beginning of the XX century when the Soc. Anonima Miniere dell’Argentiera was active there, followed by the E.D.I.S.O.N., the Azienda Mineraria di Strettoia, and finally partly by the Society S.A.M.A. and R.MiFER until 1940 when the extractive activity ended. cessarono con la fine della guerra per essere ripresi nel 1919 dalla Società S.A.M.A (Società Anonima Miniere Argentiera) facente capo all’onorevole Attilio Cerpelli insieme ad altre miniere, la quale Società procedette con grandissimo impegno e larghezza di mezzi iniziando una nuova galleria chiamata Murli, dal nome del sottostante canale circa 20 metri al di sotto degli affioramenti lungo il versante destro orografico del canale stesso.

Il piccolo deposito ferrifero si sviluppa lungo i fianchi delle alture di Palatina circa 1500 metri oltre il paese da cui omonima il nome. Il periodo storico cui far risalire le iniziali coltivazioni minerarie di questa zona è ad oggi ignoto, tuttavia malgrado nessun manufatto metallico è risultato dallo scavo del pressoché attiguo insediamento etrusco di Bora dei Frati (IV – III secolo a.C.), è comunque innegabile la presenza di un’antica attività metallurgica in loco, come rilevabile dalle numerose, ed a volte anche molto voluminose, già citate scorie di lavorazione pressoché concentrate poco al di sopra del Canale di Murli, sponda destra orografica, e che già solo da un’analisi macroscopica sembrerebbero non riconducibili al lavoro di un fabbro.

Procedendo in traverso banco, dopo un’ottantina di metri, venne raggiunto il filone mineralizzato che fu esplorato poi per un fronte di circa trecento metri, tramite pozzetti e gallerie in varie direzioni per uno sviluppo complessivo stimato intorno ai settecento metri, e che permise di valutarne la potenzialità in 200.000 tonnellate di minerale ferroso di buona qualità.

Come testimoniato dalla documentazione fiorentina del 1542, la miniera di Strettoia era fra i depositi a minerali ferrosi esplorati attraverso i lavori di superficie durante la fase iniziale della campagna mineraria medicea, miniera che insieme ai rimanenti depositi ferriferi versiliesi venne quasi subito abbandonata a favore del minerale elbano fino agli ultimi decenni del 1600 quando, come riportato nella vecchia letteratura mineraria1, vi operò la cosiddetta Compagnia del Padre Paci.

Tuttavia i lavori esplorativi in profondità vennero sempre ostacolati sia dalla natura friabile del terreno che dalle notevoli infiltrazioni di acque, la cui difficoltosa eduzione innalzava non poco i costi di gestione3. Per ovviare al problema acque e nel contempo avviare la produzione mineraria all’esterno e opposto versante rivolto al mare, venne steso un nuovo progetto.

Aldilà di queste scarne notizie dobbiamo ricordare che ancora oggi è percorribile la cosiddetta Via del Ferro, ovvero un sentiero che collega Strettoia con il paese di Riomagno2 (Seravezza) lungo il versante montano verso Seravezza e dove, sempre secondo la letteratura citata, erano localizzati forni per minerali ferrosi e la successiva lavorazione del prodotto.

In località Pruniccia dove era peraltro prevista la realizzazione di un centro siderurgico4 nel quale sarebbe Monetti, L.1922. Il suddetto autore, di cui riporto la cartina geologica allegata, indica la massima potenza del filone in 8/9 metri con andamento discendente e fornisce le analisi dei minerali sfruttabili che ugualmente allego in modo semplificato:

3

Notizie certe di attività mineraria risalgono al primo conflitto mondiale quando vi operò, non è ben chiaro se dal o fino al 1917, la Società Cavalier Belli di Roma con lavori prevalentemente a cielo aperto. Questi lavori

Minerali Limonite da Tout-Venant Limonite compatta Limonite e goethite Oligisto (leggi ematite) Cromite in noduli e mista a limonite

In particolare Santini, 1858-1862. A proposito dell’origine del toponimo Riomagno a nostro avviso non dovrebbe essere ricercato nel comunemente accettato “Rivus Magnus” dal prospicente torrente Serra, bensì come suggerito dal Belli, il nome potrebbe essere ricondotto al longobardo “Arimanus”, termine che indica la sede di una Arimannia o luogo del popolo libero, ipotesi che potrebbe aprire nuovi campi di indagine considerando che tutta la zona qui descritta rimase per lungo tempo la linea di confine con i Bizantini. 1 2

Percentuali contenute ferro 36,2 – manganese 0.5 ferro 51,6 - manganese 2.00 ferro 50,1 – manganese 2,1 ferro 65,3 – manganese 2,6 ferro 9,7 – manganese 1,7 cromo 24,7

4 Anche in questo caso (così come vedremo avvenire per altre coltivazioni S.A.M.A), i progetti societari sono grandiosi prevedendo: Altoforno, Cokeria, Cementificio, Case Operai, Raccordo Ferroviario con la prospiciente linea Pisa La Spezia e persino un canale navigabile fino al non lontano alveo della palude di Porta Beltrame.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 7.1. Cartellino di proprietà Soc. Anon. Miniere dell’Argentiera (La Versilia Marmorea, 1923, periodico).

poi confluito anche il minerale ferroso di Monte Arsiccio– Calcaferro-Farnocchia con la possibilità di ulteriori allargamenti a quello delle miniere del Frigido (Massa) e di Fornovolasco (Garfagnana) entrambe sempre gestite dalla Società S.A.M.A, venne progettata una galleria di ribasso che dal piede della collina doveva raggiungere il livello più basso delle coltivazioni in atto o quantomeno esserne immediatamente sottostante, perforando poi un pozzo di buttaggio/drenaggio acque con la speranza di incontrare le colonne mineralizzate discendenti con uguale potenza che, in caso affermativo, avrebbe fatto lievitare la stima a 500.000-600.000 tonnellate di minerale commerciabile.

Con questo documento si esaurisce il carteggio nell’A.S.C.P., ma l’esito della controversia è facilmente deducibile dalle relazioni annuali del Distretto Minerario di Carrara che per gli anni 1922-23 riportano modesti risultati produttivi e limitati avanzamenti che comprendono anche la Galleria di Ribasso o Pruniccia, seguiti poi nel 1924 dalla sola manutenzione conservativa e dal definitivo abbandono dell’attività durante il 1925, facendo sfumare cosí i progetti S.A.M.A. per le miniere di Strettoia. L’assenza di iniziative perdura fino al 1937 quando le nuove regole della legge mineraria nazionale (vd. Appendice 4) permettono nuovi interventi.

Nel 1920 vigendo ancora il motuproprio granducale di Pietro Leopoldo (13 maggio 1788), i progetti S.A.M.A. di un polo metallurgico si scontrano con il rifiuto a vendere dei proprietari dei terreni interessati che ritengono troppo bassi i prezzi di acquisto proposti, provocando un irrigidimento societario che sfocia il 27 novembre nell’inoltro alla Regia Prefettura di Lucca della richiesta di emissione di un Decreto di esproprio per motivi di utilità pubblica.

Il primo aspirante esercente è il commendator Leone Bicchieri di Montignoso (Massa)5, il quale richiede il permesso, denominato Palatina, di ricerca per minerali Nato a Montignoso (MS) di professione appaltatore e condizione sociale benestante. Rientrato da Nairobi si era stabilito a Forte dei Marmi, già in precedenza aveva richiesto il permesso di ricerche per minerali ferrosi in genere e rame nella ex concessione mineraria del Frigido (MS) iniziando i lavori per una riattivazione nella parte della miniera più accessibile e non invasa dalle acque senza però ottenere risultati incoraggianti, oltre al permesso Palatina richiederà anche quelli denominati:

5

Seguendo l’iter burocratico il 6 aprile 1921 il prefetto ordina al sindaco di Pietrasanta competente per il territorio, l’affissione nell’albo pretorio di richieste e progetti per i 15 giorni previsti dalla legge “affinchè ciascuno possa prendere visione e fare le proprie osservazioni”, presentando gli eventuali ricorsi direttamente alla segreteria comunale per il protocollo, e poi per ulteriori 60 giorni direttamente alla Prefettura.

Denominazione permesso Minerali ricercati Quattro Metati ferrosi in genere, manganese, piombo e rame Pruno piombo e pirite Ruosina manganese, piombo e rame Col di Favilla ferrosi in genere, piombo zinco e rame Pomezzana ferrosi in genere, manganese e rame Colle Panestra ignoti (non riportati nelle relazioni)

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Miniera di Strettoia

Fig. 7.2. Miniera di Strettoia (ricostruzione schematica).

ferrosi in genere, manganese e rame, per il versante rivolto al mare della collina omonima con esclusione della vecchia Galleria Pruniccia e area di pertinenza, ma a questa richiesta non sembrano seguire lavori minerari.

Proseguendo ancora nel 1937 il Commendator Bicchieri presenta analoga domanda, ma purtroppo il carteggio di archivio non fornisce altre indicazioni, mentre interessante è la lettera7 del sindaco di Pietrasanta alla Società E.D.I.S.O.N., dove dimostrando di non essere ancora informato della avvenuta assegnazione informa: oltre alla loro sono in corso altre due domande, proseguendo con una succinta cronistoria mineraio societaria che evidenzia la presenza sul territorio di esperta manodopera. Insieme a questa lettera compaiono analoghe comunicazioni al commendator Bicchieri Leone di Forte dei Marmi ed al signor Salvolini Egidio da Forlí, dimostrando sia l’estrema correttezza dello scrivente, sia il desiderio di una veloce ripresa dei lavori.

L’8 luglio nell’albo pretorio del Comune di Pietrasanta compare un’anonima richiesta per il versante opposto (Murli o Canale di Murli) e la Galleria Pruniccia denominato Permesso Strettoia. Il 26 agosto è il signor Salvolini Egidio residente a Forlí che chiede il Permesso Strettoia seguito il 27 ottobre dalla milanese Società E.D.I.S.O.N.6, la quale scrive anche al sindaco di Pietrasanta chiedendo informazioni sia sul giacimento in oggetto, che per quelli su Monte Arsiccio e Valdicastello. In tutto questo rincorrersi di domande il Ministero per l’Economia Nazionale con proprio decreto in data 2 novembre 1937 assegna il Permesso Strettoia con estenzione di 85 ettari (dato che si ricava dalla cifra di lire 170 pagate come tassa annuale a lire 2 a ettaro) alla Ditta Salvolini.

Ma eccoci arrivati ad un nuovo capitolo di questa storia: Municipio di Pietrasanta 3 dicembre. Davanti al segretario comunale Raspelli viene redatto il processo verbale per cave e miniere, in pratica la dichiarazione ufficiale di inizio di attività, con il quale il signor Salvolini si dichiara esercente nominando come direttore lavori il signor Severi Elio, fu Giulio, “domiciliato per ragioni del suo ufficio presso il parroco di Strettoia”, e come sorvegliante il signor Bascherini Luigi, poi sostituito con il signor Rossi Aladino, come riportato nei documenti di archivio.

Ma neppure in tutti questi si avrà un seguito se non sulla carta portando ad ipotizzare il solo accesso ai benefici dati dal regime al potere; con il permesso Pruno sono quantomeno in parte identificabili i vecchi lavori per ricerca piombo e pirite intrapesa a fine anno 1926 dal geometra Santi Paolo in località Cupigliaia (a volte indicata come Tana o Deglio) e limitati ad una sessantina di metri di trincea a cielo aperto e due brevissime gallerie a quote 790 ed 800 s.l.m. collegate con 13 metri di discenderia ma nonostante la supposta ricchezza mineraria iniziale i risultati inizialmente manifestatisi o presunti, non vennero ritenuti tali da giustificarne il proseguo (Relazioni Minerarie di Distretto). 6 E.D.I.S.O.N., sede Foro Bonaparte 31, Milano.

Decisamente scarna la relazione annuale del Distretto Minerario dove si segnala il programma di riattivazione 7

37

A.S.C.P. Protocollo 13 novembre 1937.

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) delle gallerie nel versante Murli, come in effetti avviene nel 1938. no. 1

Nonostante gli sforzi, la grande difficoltà operativa è determinata dalle acque di infiltrazione specie fra le progressive tra i 154 e i 475 metri, che precludono i lavori senz’alcuna continua e costante eduzione. Intanto nel Ribasso Pruniccia verranno perforati 156 metri di avanzamento fino al 19 giugno, quando si verifica un infortunio mortale dovuto allo scoppio di una mina rimasta inesplosa nella volata8 precedente ed urtata con la punta del fioretto dall’operaio che vi rimase ucciso. È la fine della Ditta Salvolini.

no. 1 no. 1 no. 1 no. 5

Il tutto stimato con un valore di lire 40.0009, ma la riattivazione non si avvera e perdurano così guardianaggio e manutenzione.

Il 19 settembre seguente compare l’Azienda Mineraria di Strettoia con recapito presso il vicino Ufficio Postale di Querceta, casella 11, che tramite il proprio legale rappresentante signor Desideri Luigi informa il Podestà di Pietrasanta del cambio di gestione del Permesso Strettoia, adesso con direttore lavori il signor Severi Elio.

Agli inizi del 1940 il Permesso Palatina è trasferito alla Massa Società per l’Industria Mineraria con sede a Milano, via A. Andrea Doria 5, e con amministratore delegato Ing. Dall’ Ovo Allori Alessandro, domiciliato a Livorno. Quest’ultimo, a Pietrasanta in data 2 febbraio, con un processo verbale indica quale direttore lavori l’ingegnere Pagnini Dante, già ingegnere minerario della Società S.A.M.A., e come sorvegliante il signor Bascherini Clivo. Inoltre il giorno seguente denuncia con la stessa trafila la ripresa attività anche negli ex permessi del commendator Bicchieri a Ruosina e a Quattro Metati, permessi ai quali si aggiunge il 13 maggio stesso il permesso per minerali ferrosi e piombo in genere, denominato Permesso Vitoio.

In realtà il signor Desideri rappresenta la Società E.D.E.M. di Torino nata nell’aprile del 1934 in seguito allo scioglimento della Società S.A.M.A. che continua a detenere, nonostante la cessata attività, vecchi diritti minerari anche a Monte Arsiccio e Valdicastello come vedremo parlando di queste miniere. Gli interventi dell’azienda si limitano alla campionatura/ analisi minerali raccolti nelle gallerie del versante Murli che forniscono i seguenti risultati: Fe

SiO2

Mn

Galleria del Ferraccio

43,88%

24,46%1

0,38%

Seconda traversa destra Canale di Murli

32,97%

37,50%

10,55%

Prima traversa sinistra Canale di Murli

30,11%

42,20%

21,09%

Seconda traversa sinistra Canale di Murli

31,57%

40,30%

12,85%

A Vitoio perlomeno fino al 1974, sopravvivevano pochi metri di galleria ed un muretto di contenimento realizzato con sassi mineralizzati a galena microcristallina e limonite/ghetite compatta ed anche qui il direttore lavori era l’ingegner Pagnini, mentre il sorvegliante il signor Neri Angelo di Seravezza. La medesima società opera anche nell’alveo dell’adiacente palude di Porta per ricerche sul carbone fossile (torba in particolare), ma i risultati, sia minerari che del fossile, sono decisamente scadenti e il progetto viene abbandonato.

Viene calcolato che prolungando di un centinaio di metri al massimo l’avanzamento nella Galleria Pruniccia si incontrerà il filone di minerale sfruttabile il cui costo produttivo, compresa la consegna alla stazione ferroviaria di Querceta, raggiungerà un massimo di lire 30 a tonnellata contro le lire 50 a tonnellata del mercato, quindi con un guadagno netto di lire 20 a tonnellata.

Intanto a causa della prossima entrata in guerra dell’Italia iniziano, anche se tenacemente minimizzate dal regime al potere, le carenze militari e cresce esponensialmente la ricerca di materie prime. Alla fine del 1939, inizio 1940, in parte della zona di Palatina/Strettoia subentra la società genovese R.MiFER (Ricerca Minerali Ferrosi) rappresentata dall’ingegnere Massone Francesco come direttore lavori, e dall’ingegnere D’Onofrio Antonio di San Vincenzo (Livorno), mentre figurano come sorveglianti i signori Del Reit Alfredo e Mattes Attilio.

In previsione di un prossimo inizio lavori si procede alla manutenzione conservativa di gallerie e manufatti esterni cosí descritti:

Si procede allo sgombero dei franamenti interni e si inizia un vasto programma di ricerche mirate con relativi avanzamenti, ma i risultati sono decisamente negativi e ne segue l’abbandono solo dopo pochi mesi. Da allora tutto è in completo abbandono, le gallerie sono crollate e l’incolto

no. 2 compressori da 25 HP no. 1 motore elettrico da 25 HP no.1 elettroventilatore da 5 HP con circa 350 metri di tubazione in lamiera e 750 metri 8

di rotaia Decauville, metri 350 di tubazione aria compressa piccola cabina di trasformazione elettrica con trasformatore da 30 KW ora riservetta esplosivi baracca uso ufficio baracca ad uso magazzino e forgia martelli perforatori

Volata termine che indica la deflagrazione delle cariche piazzate.

9

38

Rapporto interno RI.MIN 14774.

39 Miniera di Strettoia

Fig. 7.3. Schematica ricostruzione del progetto S.A.M.A. in località Pruniccia.

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) sottobosco rende estremamente difficile anche la sola localizzazione dei vecchi imbocchi o resti di discarica, ad eccezione del Ribasso Pruniccia che sopravvive sbarrato dal Comune di Pietrasanta. Prima di chiudere e rimanendo in campo di ricerche locali, segnalo la Società Fratelli Lazzi10 impegnata in trivellazioni per idrocarburi e petrolio nella fascia costiera fra Lido di Camaiore, Focette e Marina di Pietrasanta risoltesi con un fallimento. 7.1. Mineralogia A causa della difficoltà di accesso ai lavori minerari, le notizie riguardanti la mineralogia del giacimento di Strettoia sono ancora estremamente limitate. I minerali raccolti ed identificati nel corso delle ricerche sono: calcite, dolomite, ematite, goethite, magnetite, quarzo. La segnalazione di cromite da parte di Monetti non è supportata da dati analitici moderni11.

10 11

Sede Pistoia. Monetti, L. 1922, 1924.

40

8 Miniere di Calcaferro e Farnocchia Minerali ferrosi (ematite – limonite – magnetite – pirite) e barite (Tavv. 4-7) The mines are mentioned in archives from 1379, while activities are documented in the XVI century. In 1920 work was resumed by the S.A.M.A. company, which collaborated with the companies S.C.I.A and the F.lli Pocai with a main interest in pyrite production. Activities were pursued with alternating luck which caused a change of company with new permissions to extract barite and iron minerals in general. The years 1966-67 saw the final end not only of the production, but also of control and maintenance of the mining facilities. Le rovine degli edifici vennero descritte da G.T. Tozzetti nei suoi viaggi in Toscana mentre nel settembre 1751 R. Argenstein relaziona delle “Cave del Vetriolo” ormai franate “ed in rovina”3, relazione seguita da un silenzio che perdura fino al secondo decennio del 1900.

Anche se facilmente ipotizzabile la conoscenza e il probabile sfruttamento in epoca antica delle miniere di Calcaferro e di Farnocchia, non abbiamo riferimenti certi prima del 1379 quando mutata la supremazia territoriale nel trattato commerciale con i catalani viene ricordato ”lo fero de Farnochio ne lo Stato de Lucha”1.

Proseguendo nei propri programmi di sfruttamenti minerari diversificati, ma ancora vigente il più volte ricordato motuproprio di Pietro Leopoldo, fin dal 1920 la Società S.A.M.A cerca di acquistare, o quantomeno trovare un accordo con i proprietari dei terreni mineralizzati e non compresi nella zona fra Calcaferro4 e Farnocchia, precisamente lungo la parte terminale dei Canali Giannino e Rossa ed il Canale Radice5, dove i primi confluiscono, impresa portata a termine nel 1922.

Questo piccolo indizio ci consente di ipotizzare una qualche coltivazione fra XII e XV secolo durante l’alterno controllo territoriale di Pisa e Lucca, con la quasi certa proibizione di attività durante il periodo genovese (1446/1484) che mirava alla sola produzione di qualità. Calcaferro è menzionata, e probabilmente esplorata, nel 1542 durante la campagna mineraria medicea già citata, ma ben presto questa miniera venne abbandonata per il noto protezionismo della magona.

Proprio lungo le sponde di quest’ultimo iniziano l’anno successivo i veri lavori estrattivi, in principio compresi fra le quote di 350 e 375 metri s.l.m., di cui di seguito sono riportati i dettagli.

Attenendoci a Vincenzo Santini2, la famiglia fiorentina Carnesecchi residente a Pietrasanta iniziò nel 1645 a “confettare il vetriolo” (solfato di ferro) di Calcaferro, ottenendone il privilegio decennale con canone annuo di 200 scudi.

Lungo il versante destro orografico due gallerie pressoché sovrapposte coltivano un filone di pirite definita “di ottima qualità” e con potenza stimata fra 0.20 e 2 metri.

Successivamente, nel 1646, la stessa famiglia inoltra denunce alla Magistratura per “furti e molestie alle lavorazioni” da parte di persone locali guidate da tale Pietro Paolo di Filippo, speziale a Pisa, e dagli agenti del signor Mazelet che riteneva di avere l’esclusiva nelle coltivazioni e delle lavorazioni.

Nel minuscolo piazzale della più bassa, previo avvenuto sbancamento e livellamento del terreno scosceso, inizia una Decauville lunga 700 metri che raggiungerà la stazione di partenza di una funicolare che raccorda con la strada delle Mulina presso il cosiddetto Poggio al Piastraio6,

Le attività dei Carnesecchi proseguono, sembra con successo fino al 1654/1655, poi volgono al peggio, fino al 1658 quando arriva l’ingiunzione di abbandonare qualsiasi lavoro essendo ormai scaduti da tempo i termini della concessione.

Targioni Tozzetti, 1752. Tomo IV: 168. Toponimo che indubbiamente si origina dalla presenza di minerali ferrosi e località che insieme a Culerchia e Carbonaia costituisce una delle tre borgate dell’abitato di Mulina. 5 Detto anche delle Molinette (a volte addirittura di Calcaferro) per la presenza nella parte più a valle di un polverificio azionato completamente dalle sue acque opportunamente captate e sfruttate in salti di livello successivi, ancora più in basso e spostati verso il centro abitato un miccificio ed una cartiera già attivi prima del 1920. 6 Nome derivanti dalle sovrastanti cave fra cui quelle di breccia policroma attualmente pressoché abbandonate. Da segnalare che perlomeno fino alla seconda metà del 1700 le cave di breccia furono di esclusiva proprietà granducale, tanto che la zona interessata veniva indicata come “La Bandita” per il divieto di intervento ai privati. Inoltre vale la pena ricordare che la breccia veniva impiegata dal Granduca oltre che nelle opere artistiche, in particolare per i luoghi di culto, come omaggio sottoforma di blocchi ai coevi maggiorenti europei. 3 4

Tuttavia questa rimase disattesa e la dismissione avvenne soltanto con il precipitare economico degli affari. Nel 1673 risultano appaltatori tali Lorenzo Valentini da Retignano ed il fiorentino Giuseppe Amerighi, poi estromessi nel 1680 per debiti con il fisco. 1 2

Archivio di Stato Pisa, Fondo Bonaini. Santini, V. 1858-1862. Commentari Vol. III: 274 e segg..

41

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) dove il minerale caricato su camion raggiunge il piano caricatore delle Tramvie Alta Versilia a Pontestazzemese, per l’inoltro alla stazione ferroviaria nazionale di Querceta.

un analogo servizio di trasporto sempre per la stazione di Querceta, nelle cui adiacenze verrà realizzato anche un piccolo impianto di macinatura e arricchimento che utilizza parte dei macchinari della demolita laveria S.A.M.A. alle miniere del Bottino.

Sulla sponda sinistra troviamo sei gallerie circoscritte in soli 180 metri, e da dove si estrae pirite decomposta in limonite ma non per questo priva di mercato. In entrambi i casi è presente come sottoprodotto la barite, anch’essa commercializzata.

• Impianto macinatura/arricchimento sterile Società S.C.I.A. • due frantoi a mascelle • una macina a cilindri con vagli classificatori oscillanti • un distributore • quattro crivelli filtranti • tre tavole a scossa Ferraris per la piccola pezzatura alimentate da idrovagli sempre Ferraris • un concentratore a cono per fanghi • il tutto veniva azionato da un motore elettrico da 40 HP e la potenzialità operativa stimata in 40 tonn/ 24 ore.

Prima di proseguire sono necessarie alcune precisazioni di carattere generale. In tutte le giaciture di Calcaferro e Farnocchia il minerale solo raramente ha un andamento filoniano, prevalendo lenti o sacche mineralizzate comprese nello sterile a calcare – arenarie – scisti. Ne consegue il limitato sviluppo delle varie gallerie realizzate nei pochi anni di attività, ed anzi non è raro il caso di veri e propri piccoli cameroni dove lo sfruttamento avvenne “a rapina”, fino all’esaurimento del minerale presente.

Durante il 1925 proseguono i lavori in tutte le località, la Società S.A.M.A. mette in comunicazione altre gallerie sulla sponda sinistra incontrando anche magnetite nelle nuove coltivazioni a quota 410 metri s.l.m., mentre la S.C.I.A. rinviene ematite continuando nelle perforazioni di breve o brevissimo sviluppo che raggiunsero le undici unità così distribuite:

Nel 1924 proseguono con impegno le escavazioni evidenziando sulla sponda destra una grossa lente a pirite, tanto che le due gallerie vengono prolungate per circa un centinaio di metri in totale e vengono messe in comunicazione con una discenderia - buttaggio lunga 40 metri, procedendo nel contempo ad iniziarne una terza a livello intermedio per incrementare la produzione.

a) Canale Rossa Sponda destra Sponda sinistra Galleria n° 3 Galleria n° 1 quota m. 436 quota m. 418 Galleria n° 4 Galleria n° 2 quota m. 435 quota m. 419 Galleria n° 5 ignota (presumibilmente fra 430 e 434 metri)

Alla luce dei risultati ottenuti dalla Società S.A.M.A. e sempre nel corso dell’anno, si presenta una seconda Società per lo sfruttamento, la S.C.I.A. (Società Concimi Industrie e Affini) con sede a Firenze che rileva terreni già S.A.M.A. lungo il corso dei torrenti Giannino e Rossa dando così luogo, e grazie al motuproprio di cui sopra, ad una coltivazione della zona di tipo fondiario.

b) Canale Giannino Sponda destra Galleria n° 6 quota m. 437 Galleria n° 7 quota m. 427 Galleria n° 10 quota m. 417

Situazione decisamente favorevole per i proprietari dei terreni in forza del motuproprio di Pietro Leopoldo ma che porterà a controversie legali fra i gestori per vari, o presunti tali, “sconfinamenti”. Per questo valga il solo esempio della Società S.A.M.A costretta a cedere alla Società S.C.I.A. due particelle di terreni fra le piú mineralizzate.

Sponda sinistra Galleria n° 9 quota m. 419 Galleria n° 11 quota m .440 Galleria n° 8 quota m. 445

In tutto questo complesso di gallerie, la più ricca è la numero 2 dove si coltiva un banco di pirite, con potenza stimata fra 4 e 7 metri, con il sistema dei vuoti - colonne, trancie orizzontali montanti e riempimenti. Nelle 1/5/6/8 gli avanzamenti sono limitati ad un totale di 47 metri, mentre nelle rimanenti viene assicurata la sola manutenzione ordinaria.

Le attività S.C.I.A. iniziano con la costruzione di una piccola sala compressori e officina dove ne vengono alloggiati due di produzione Cerpelli azionati da un motore a benzina da 18 H.P., in attesa dell’allaccio all’energia fornita dalla Società Elettrica Ligure Toscana. Con la loro entrata in funzione si perforano quattro piccole gallerie per uno sviluppo totale di 70 metri, rispettivamente alle quote di 365 – 374 – 377 – 390 metri s.l.m., di cui le prime due sono comunicanti tramite discenderia buttaggio. Era inoltre in progetto avanzato, la realizzazione di una teleferica lunga 1400 metri per raccordare il piazzale della miniera con la strada delle Mulina in località Ponte di Tomarlo, vicino al Poggio al Piastraio e quindi anche alla tramvia che svolgerà

Verso la fine dell’anno, antistanti la Galleria n° 9, iniziano carotaggi con una sonda Davis azionata da un motore a nafta (potenza 8 HP) capace di perforare fino ad un diametro massimo di sei pollici, ma si opta per la misura standard di cinque pollici, raggiungendo la profondità di 26 metri con risultati deludenti, visto l’incontro con soli calcari-scisti-arenarie privi di qualsiasi mineralizzazione. 42

Miniere di Calcaferro e Farnocchia

Fig. 8.1. Miniera di Calcaferro e Farnocchia (ricostruzione schematica).

43

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Assai esaustivo il giudizio dell’ingegnere Capo di Distretto Minerario: “a Farnocchia, stante la tipologia delle giaciture, i risultati potrebbero falsare la realtà sia in positivo che in negativo”.

la bufera della grande crisi economica internazionale costringe anche quest’ultima ad una drastica riduzione di personale e a proseguire la propria attività con modesti lavori estrattivi e ricerche tramite un pozzo profondo 15 metri a quota 422,30 metri s.l.m. che incontra pirite. Tuttavia proprio in quell’anno le fortissime piogge provocano l’allagamento della miniera con la conseguente sospensione di ogni attività mentre la produzione annuale non raggiunge le 1.000 tonn..

Viene comunque ultimata la teleferica e modificato l’impianto a valle inserendovi una frantumazione minerale preventiva tramite concasseur a mascelle Max Friederic da 30 tonn/h, ma nel mese di ottobre ecco apparire sulla scena una terza società per lo sfruttamento di minerali ferrosi in genere, la F.lli Pocai di Stazzema che opera su entrambe le sponde del Canale Radice nella parte terminale sottostante le coltivazioni S.A.M.A..

Durante il 1930 la S.T.I.M.A. riesce a sopravvivere fino ad aprile producendo anche 300tonn. di minerale, poi è costretta a gettare la spugna. Quasi non bastasse, nel mese di maggio si scatena un nubifragio con conseguente allagamento delle gallerie e gravi danni alla stazione di partenza della teleferica che vengono riparati solo in parte.

Quella inizia sia le ricerche, poi concentrate lungo la sponda destra alle quote di 278 e 287 metri s.l.m., sia la costruzione di una cabina di trasformazione in attesa del richiesto allaccio agli 8.000 volt della linea principale. Per i trasporti da e per la strada delle Mulina è in progetto l’apertura di uno sterrato lungo 700 metri con pendenza massima 11,5% ed il traforo di una breve galleria, visibile tutt’oggi. Il 1926 vede attive tutte e tre le Società.

Nel 1931 tutta la zona è inattiva e la Società S.A.M.A., ormai in liquidazione, avanza domanda di dismissione lavori, domanda che giacerà inevasa al Ministero tanto che il 28 dicembre 1934 viene inoltrata la dichiarazione di rinuncia poi accolta il 24 gennaio 1935, anno in cui le relazioni minerarie precisano: “tutta la zona compresa nei canali Giannino, Rossa e Radice giace in stato di totale abbandono”.

La S.C.I.A. prosegue con i carotaggi sempre nella stessa località ed in quelle adiacenti effettuandone quattro che si spingono da 8 fino a 40 metri di profondità, ma ancora una volta i risultati sono deludenti, tuttavia vengono comunque sostituiti i tre motori elettrici che azionano compressori, teleferica e frantumatore preventivo.

Nel 1941 l’Italia è ormai coinvolta nella follia della guerra ed il regime ha più che mai bisogno del consenso popolare e, rimanendo in ambito locale, fra cerimonie e festeggiamenti viene osannato “l’italianissimo poeta G. Carducci di Valdicastello”, mentre non è estraneo all’argomento in oggetto l’interessamento del Rais carrarese Renato Ricci, quando infatti il vecchio Distretto Minerario di Carrara diviene il Distretto di Apuania, rievocando così antichi e mitici splendori lunensi.

La F.lli Pocai viene allacciata alla linea elettrica ed installa un motore da 6 HP che aziona un compressore Ingersoll Rand capace di alimentare quattro martelli, segue la costruzione di una piccola officina e l’inizio di un impianto di frantumazione. La S.A.M.A. prosegue nelle attività soltanto fino a settembre poi le abbandona causa la difficoltà di smaltimento sul mercato della produzione che si accumula sui piazzali.

Non vi è il solo cambio del nome, ma anche un’agevolazione agli imprenditori, specie del marmo carrarino, fattori poi estesi anche alla Versilia.

Nel 1927 la S.A.M.A. procede soltanto ad interventi di manutenzione conservativa, mentre la F.lli Pocai termina la strada e mette in funzione l’impianto con un frantumatore a mascelle da 10 HP al quale confluisce il minerale estratto a mezzo di una breve teleferica con stazione di partenza antistante il cantiere numero 3 denominato Galleria del Tasso, ed intermedio alle due quote già dette.

Nel 1941 la Società Anonima F.lli Galtarossa con sede a Genova riscopre i giacimenti limitatamente alla parte superiore ex S.A.M.A. e all’intera vecchia concessione S.C.I.A./S.T.I.M.A., iniziando rilevamenti e ricerche per minerali ferrosi in genere. Il richiamo economico è grande e nel 1942 la neonata Società Anonima Miniere Alta Versilia (M.A.V.) con sede a Viareggio rileva la ex concessione F.lli Pocai e la parte rimasta libera ex S.A.M.A., la più bassa ed attigua confinante, iniziando i lavori con la costruzione di una cabina elettrica di trasformazione, una piccola teleferica automotrice lunga 160 metri, che permette lo scavalcamento del Canale della Radice7, e l’istallazione di un compressore azionante fino a cinque martelli.

La produzione dell’anno è di circa 360 tonnellate di pirite commerciabile. Alla S.C.I.A. subentra la consociata Società S.T.I.M.A. (Società Toscana Industrie Minerarie e Affini) che riesce a produrre 4.000 tonnellate di pirite che vengono acquistate dalla stessa S.C.I.A.. Nonostante l’impegno e le speranze iniziali siamo oramai all’epilogo delle attività minerarie, infatti nel 1928 la S.A.M.A effettua soltanto una limitatissima manutenzione accessoria, la F.lli Pocai abbandona i lavori causa il ribasso del prezzo della pirite e soltanto la S.T.I.M.A prosegue nelle coltivazioni. È il 1929 quando

7 Seppur semisommersa dalla vegetazione, è ancora oggi visibile la ormai fatiscente alta costruzione in legno della stazione di arrivo della teleferica con annesso e sottostante silos di stoccaggio/spillaggio immediatamente prima dei manufatti dell’ex polverificio F.lli Pocai.

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Miniere di Calcaferro e Farnocchia Le coltivazioni M.A.V. si svolgono prevalentemente a cielo aperto e la zona in concessione viene ritenuta potenzialmente in grado di fornire 30.000 mc. di minerale ferroso tanto che la documentazione fornisce dati produttivi per il 1942 e il 1943 interrompendosi poi con l’annotazione “periodo di guerra”. Anno

torna ad interessarsi della vecchia concessione ora allargata anche a quella ex Galtarossa, iniziando un nuovo rilevamento geologico/topografico. Nel secondo semestre 1947 prendono il via le attività preliminari per la riattivazione che iniziano con la ricostruzione di una nuova cabina elettrica, il riposizionamento del vecchio compressore per cinque martelli, fortuitamente sottratto al saccheggio, ed il ripristino della teleferica.

tonn/minerale limonite

magnetite

pirite

1942

480

32

50

1943

320

11

25

Nel 1948 riprende così il via lo sfruttamento sia nella parte ex S.A.M.A che ex S.T.I.M.A. con risultati incoraggianti specie nella zona di Farnocchia (Canali Giannino e Rossa) dove si estrae anche limonite grazie al potenziamento di un piccolo impianto di perforazione, e in concomitanza avviene la razionalizzazione del trasporto del minerale alla stazione di partenza della teleferica riciclando la Decauville ex S.A.M.A..

Questi dati già da soli evidenziano la limitata potenzialità societaria e quantomeno sono ignoti all’autore i risultati della F.lli Galtarossa, peraltro neanche menzionata nelle relazioni minerarie del 1943.

Il 1949 vede il proseguo delle escavazioni e la perforazione nei livelli più bassi (Calcaferro) di una breve galleria di ricerca e due fornelli, mentre nella parete alta vengono riprese le ex gallerie S.T.I.M.A numero 3/4/5 per ricerca pirite. Il bilancio generale dei lavori stima una messa in vista di banchi potenzialmente in grado di fornire 50.000 tonnellate di minerali ferrosi, tanto che si ipotizza la costruzione in loco di un piccolo impianto per l’arricchimento meccanico, come in effetti avverrà nel corso del 1950.

In questi periodi il trasporto del minerale fino al piano caricatore della tramvia a Pontestazzemese, sempre per l’avvio a Querceta, avvenne con piccoli camion che raggiungevano la parte inferiore del Canale Radice sfruttando la strada sterrata aperta durante la gestione Pocai. Come in tutte le rimanenti miniere della Versilia i lavori vengono interrotti dopo l’8 settembre 1943. Durante il 1946, con gli eventi bellici ormai alle spalle, il Distretto Minerario riassume la vecchia denominazione Carrara e sempre nello stesso anno la ricostituita Società Anonima M.A.V., adesso con sede a Ripa di Seravezza,

Nonostante queste premesse, nel 1951 coltivazioni ed impianti passano sotto la gestione della S.p.a. Ligure Toscana Esercizio Miniere con sede a Genova, in seno alla

Fig. 8.2. Miniera di Farnocchia, laveria (Foto T. Kurz).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) quale non è difficile ipotizzare una partecipazione della ex M.A.V..

Ad oggi, le specie rinvenute ed identificate nelle vecchie miniere di Calcaferro e Farnocchia sono:

I lavori proseguono senza grossi impegni e con limitatissimo personale, cercando di recuperare quanto più possibile dalle passate coltivazioni e mettere in luce altre eventuali giaciture fino al 1956 quando subentra la neonata Società A.L.E.M., Azienda Ligure Esercizio Miniere sempre con sede a Genova, e molto probabilmente la diretta trasformazione della ex S.p.a. con l’uscita della partecipante ex M.A.V. Società Anonima.

albite, allanite-(Ce), anatasio, aragonite, arsenopirite, barite, berillo, calcite, calcopirite, “clorite”, copiapite, dolomite, ematite, eritrite, gesso, goethite, magnetite, malachite, melanterite, muscovite, pirite, pirrotina, quarzo, rutilo, scheelite, sfalerite, siderite, tetraedrite, todorokite, ullmannite. I campioni più interessanti sono rappresentati dagli eleganti ciuffi di cristalli aciculari bianchi o aggregati coralloidi raccolti nel corso degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso in alcune masse limonitose dei vecchi cantieri della miniera di Calcaferro. Altra peculiarità è la presenza di cristalli prismatici a sezione esagonale di berillo, sia nella varietà azzurra-bluastra nota come acquamarina, in vene quarzoso-dolomitiche incassate nella magnetite, sia in cristalli verdi, associati a pirite. Nelle stesse vene in cui compare il berillo, sono segnalati cristalli bipiramidali da gialli ad arancioni di scheelite e cristalli prismatici bruni di allanite-(Ce).

Anche la subentrante non incrementa né attività né addetti, limitandosi all’estrazione di limonite nella parte più alta della concessione (miniere di Farnocchia in genere) ricavandone circa 600 tonn. nel corso dello stesso anno, mentre nel 1957 riprende le vecchie gallerie S.T.I.M.A. numero 1/7/8 ed effettua ricerche lungo le sponde del Canale Radice ma senza risultati apprezzabili, tanto che il 1958 vede la completa interruzione di ogni attività. Segue un breve abbandono fino al 1960 quando la Società E.D.E.M. Miniere S.p.a. di Valdicastello richiede il permesso di ricerca per barite e minerali ferrosi in genere ottenendolo nel 1961, e dal 1962 riprendono le ricerche nelle vecchie gallerie che evidenziano la presenza di strati ad ematite con potenza fino a c.a. 60 cm. A valle del polverificio viene invece scoperto un affioramento di barite ad elevata purezza che i successivi sondaggi con carotiere confermano proseguire quasi per 11 metri pur non essendo quantificabile nell’immediato la potenzialità produttiva. Nel 1963-1964-1965 vengono dedicati, dai pochi e saltuari addetti allo sgombero di vecchie gallerie nella parte più a valle (Calcaferro), piccoli lavori a giorno per cercare di scoprire l’eventuale presenza di barite, integrando il tutto con il rilevamento degli strati ad ematite. Gli anni 1966-1967 vedono ancora lo sgombero di porzioni di gallerie ritenute interessanti, la perforazione di due pozzetti lungo l’affioramento a barite e piccoli scavi lungo i contatti per cercare di evidenziarne la consistenza ed il rilevamento geologico/topografico per lo sviluppo di un più ampio programma di ricerche, tantoché durante il 1968 viene ipotizzata la richiesta di trasformazione del permesso in vera concessione mineraria, ma dall’inizio 1969 tutto ritorna nell’abbandono più completo, abbandono che perdura tutt’oggi. 8.1. Mineralogia Le specie mineralogiche ad oggi identificate nell’area mineraria di Calcaferro e Farnocchia sono in numero piuttosto limitato, nonostante le similitudini geologiche e giacimentologiche con i prossimi depositi di Monte Arsiccio e Buca della Vena che, come vedremo, risultano geositi di rilevanza mondiale.

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9 Miniera dell’Angina o Buca di Angina Tetraedrite – Calcopirite – Argento – Oro – Geocronite? Ancient exploitation of this mine seems possible and could be suggested also by the toponym (see Ch. III) which may be of Etruscan origin. Slight information records activity between 1600-1700, but it is only with the Società Hahner in 1800 that we are sure of activity to extract tetrahedrite in this mine. Activity continued until the beginning of the XIX century followed by a pause until 1954/55 when the Società E.D.E.M., working on the upper zones of Monte Arsiccio and Valdicastello, started a new investigation in the area. Decisamente molto scarne le notizie e la documentazione d’archivio su questo piccolissimo deposito prevalentemente cupro-argentifero, quasi sempre solo marginalmente accennato sia nella vecchia che nella più recente letteratura mineraria.

galena argentifera coltivata a Valdicastello nelle miniere del Pollone, portò alla trasformazione e al potenziamento degli impianti produttivi di fondo valle, cosa peraltro sconsigliata dall’allora Regio Consultore delle Miniere del Granducato T. Haupt.

Tuttavia malgrado la limitata produzione fornita questa è di una certa qualità, sempre per il contenuto in argento del minerale primario, la tetraedrite1, oltre alla presenza lungo alcuni contatti filoniani di una particolare miscela isomorfa di terriccio rossastro particolarmente ricco in metalli preziosi come argento ed oro.

Come già accennato è in questo periodo che avvenne la modifica della prima cavità naturale con l’allargamento della originaria fenditura obliqua nella roccia ottenendo un pozzo pressoché verticale profondo circa 26 metri2, dove si manifestano i due filoni mineralizzati rispettivamente a -10 e -20 metri dalla superficie e sfruttati in entrambe le direzioni (andamento nord/sud) pur con sviluppi di gallerie diversi.

Attualmente si sviluppa su quattro livelli di coltivazione realizzati in epoche successive ed in parte interessati da cavità naturali di tipo carsico con l’imbocco del primo livello immediatamente al di sopra dell’alveo del Canale omonimo lungo la sua sponda destra orografica. Già intorno al 1970 il complesso era agibile con grande cautela e con l’ausilio di attrezzatura da speleologia stante la ormai fatiscenza delle scale di servizio messe in opera dalla Società E.D.E.M. di Valdicastello quando, come vedremo, ne riprese una limitata coltivazione nella seconda metà del 1950.

Coevo ai primi lavori è il supposto ritrovamento dei grossi ed incompleti cristalli di geocronite, anno probabile 1843/44, ed ai quali è legata la fama internazionale della miniera stessa. Al tempo ritenuti bournonite, anche se macroscopicamente scambiabili con la tetraedrite, ebbero un’identificazione con le analisi dell’ingegnere T. Kern3, il quale nel 1845 ne pubblicava lo studio riconoscendoli uguali a quel nuovo minerale da poco scoperto a Sala (Svezia) e così chiamato dal dott. Svanberg4, che per primo lo aveva studiato.

Come anticipato parlando delle escavazioni più antiche, ritengo possibile la conoscenza della Buca dell’Angina ed il suo sfruttamento già in epoca preromana a cui fece seguito la caduta nell’oblio, anche a causa della minuscola produzione ottenibile, fino ai supposti lavori del 1600 e fine 1700, peraltro solo vagamente accennati dalle fonti.

Ulteriori indagini, che contribuirono ad aumentarne l’interesse scientifico, vennero compiute in epoche successive dal Prof. A. D’Achiardi5 e G. Bonbicci6 arrivando infine allo studio definitivo del Prof. G. D’Achiardi nel 19017.

Le prime notizie documentate risalgono alla metà del 1800 e sono coeve alla gestione delle miniere argentifere di Valdicastello da parte della Società Hahner e Soci (1841/1851/52) che inizia l’estrazione della tetraedrite, all’epoca indicata con il nome di “Panabase”, nonché quasi certamente di quella terra rossastra di cui in apertura. Questa in aggiunta al buon rendimento della

L’originaria conformazione naturale rimane parzialmente visibile nel lato nord del nuovo accesso in sotterraneo. 3 Kern, T. 1845. 4 Svanberg, L. K. 1840. 5 D’Achiardi, A. 1873. 6 Bonbicci, C. 1874. 7 D’Achiardi, A. 1873. Di particolare interesse la ricostruzione ideale del cristallo che corrisponde perfettamente al primo da me ritrovato nel giacimento del Pollone a Valdicastello 130 anni dopo la prima segnalazione, durante ricerche di altro tipo per il professor Dessau a cui comunicai subito la notizia partecipandone anche il direttore minerario Gorelli. Decisamente una giornata da ricordare dopo le “avventurose” e sempre negative calate in Angina che mi avevano fatto sorgere dubbi. 2

Quantomeno nella vecchia cartografia S.A.M.A. risalente al 1920/22 che ebbi modo di consultare in Archivio E.D.E.M., ne veniva evidenziata in rosso la giacitura nei vari livelli ed indicata con il nome tedesco Falertz cioè letteralmente “rame argentifero”.

1

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) fino a -56 metri dalla superficie ed al cui interno, quota -50 metri o quarto livello, vengono distaccati, sempre con andamento nord-sud, due opposti tronconi di galleria che si rilevano sterili di mineralizzazioni apprezzabili.

Sicuramente era conosciuta, ma è difficilmente anche solo ipotizzabile uno sfruttamento durante la gestione mineraria di Valdicastello da parte di Pellegrino Pieri, mentre molto più probabilmente vi fu un interesse quando la stessa pervenne alla fine del 1800 al signor D. Gemignani8. Il Prof. C. Capacci descrive la miniera nel 1901,9 relazionando di due soli livelli allora esistenti già coltivati ed interessati a filoncelli con andamento mandorlato (potenza variabile da pochi fino ad oltre 50 cm), e dove quello più in basso a -20 metri veniva considerato il più produttivo.

Questo sembra vanificare le speranze di un suo aumento in profondità portando all’abbandono. Entrambe le cavità incontrate vennero indicate in cartografia come Grotte Nuove nome che perdurerà immutato nel tempo. Da segnalare che nel sempre più stretto inghiottitoio finale di quella nord era percepibile, il condizionale è d’obbligo dopo gli anni trascorsi, un marcato rumore di sottostanti acque in movimento.

Lo stesso autore accenna ad una ripresa dei lavori coeva alla sua opera, ma non è altresì ben chiaro se trattasi della miniera in oggetto o genericamente dei bacini mineralizzati circostanti (Valdicastello, Verzalla, Monte Arsiccio), fatto di cui non sono riuscito a trovare riscontri documentari neppure per gli anni successivi, nonostante la relazione venga pubblicata o ripubblicata nel 1915 senza alcuna rettifica o integrazione a quanto affermato. Altrettanto ignoto è se vi furono attività durante il periodo bellico 1915/1918, quando le sovrastanti miniere di Monte Arsiccio vennero gestite dalla Società I.L.V.A., finchè nel 1919 anche la Buca dell’Angina entra a far parte delle zone mineralizzate versiliesi sotto il controllo della neonata Società S.A.M.A., che pur non lasciandoci grande testimonianze di lavori, vi effettuò quanto meno ricerche esplorative spingendosi in basso per verificare l’andamento della mineralizzazione quindi la possibilità di intraprenderne un nuovo sfruttamento, come pur fra le righe sottolinea la stampa d’epoca10, esaltando l’impegno e l’intraprendenza dell’azionista maggioritario A. Cerpelli.

Pur non potendo escludere nuove ricerche in periodo autarchico, l’abbandono continua ufficialmente fino al 1954/55 quando la Società E.D.E.M. di Valdicastello, trovandosi il piccolo deposito compreso nei limiti della propria concessione mineraria di Monte Arsiccio, ne riprende una parziale coltivazione con un più che limitato impiego di uomini e mezzi, protraendola con periodi alterni per cinque-sei anni senza che ne rimangano grandi riscontri, sia sugli interventi minerari veri e propri che sulla produzione, salvo vaghe notizie pervenute da parte della dirigenza che ho conosciuto e che era subentrata alle precedenti, ed i ricordi certamente sfumati di anziani ex minatori che però non vi avevano lavorato, come ad esempio i signori T. Bottari e B. Pierini. Questo il loro racconto: “Vedete Marco, erimo tutti curiosi ma della Angina un si sapea un gran chè salvo che per ricominciare vi misero delle scale di legno così alla bella e meglio mentre alla compagnia che ci lavorava (leggi squadra di minatori) gli davino delle sacchette di tela per metterci dentro la tera rossastra che via via incontravino mentre la roccia sterile veniva abbandonata ammassandola a ritroso, sennò tirandola nei pozzi ed inghiottitoi delle grotte “.

Ed è proprio alla Società S.A.M.A. che con grande probabilità si devono gli interventi nei due rami opposti del vecchio secondo livello e così descritti (Fig. 15): 1) Ramo sud A circa metà percorso si trova la perforazione di un pozzo verticale profondo 15 metri al cui piede si diparte una galleria, il terzo livello, sempre in direzione sud e che avanzando incontra una grossa cavità naturale sempre di tipo carsico che la sovrasta e prosegue in profondità con andamento obliquo.

Eccoci alla conclusione di questo mito scientificomineralogico ritenuto comunque abbastanza interessante per le percentuali argentifere e aurifere presenti, tanto che intorno al 1988/89 venne ipotizzata un’indagine con carotaggi profondi (si teorizzarono oltre 1000 metri per accertare l’effettivo o meno proseguo della componente aurifera in particolare), ma tutto si esaurì sul nascere con il progressivo ed esponenziale aggravarsi della crisi societaria E.D.E.M..

2) Ramo nord Viene prolungato ed ecco il nuovo incontro con uno ancora più grande e dello stesso tipo di cavità che inizialmente verticale si modifica in ripida discenderia sprofondando

9.1. Mineralogia

Ma la vera botta di... fortuna che mi aveva reso ancora più sospettoso era stato lo scoprire che nei vecchi carteggi del 1700-1800 e fino a ben oltre la metà di quest’ultimo, con il nome di canale di Angina veniva spesso genericamente indicato e accomunato anche il corso del Canale Ferraio lungo le cui sponde a Valdicastello si sviluppa il giacimento del Pollone. Sempre il D’Achiardi conferma poi l’isomorfismo con la stefanite. 8 Per entrambi vedi apposita storiografia nel Cap. 14: Miniere del Pollone. 9 Capacci, C. 1907. 10 Oltre alla pubblicazione del Prof. A. Pelloux (vd. bibliografia), una conferma delle attività S.A.M.A. è rilevabile nell’articolo Alla scoperta dell’Italia ignota. Tesori e bellezze della Versilia (Illustrazione Italiana 1 maggio 1921, fascicolo 18: 526-553, nota pag. 527).

La mineralogia della miniera di Buca dell’Angina richiederà, negli anni a venire, ulteriori approfondimenti. Difatti, a causa delle difficoltà di accesso, questa è una delle località meno conosciute del distretto minerario apuano. Gran parte dei campioni studiati provengono esclusivamente dalle vecchie discariche, in gran parte sepolte da una fitta vegetazione e da una coltre di suolo, e da modesti affioramenti mineralizzati presenti nelle vicinanze. 48

Miniera dell’Angina o Buca di Angina

Fig. 9.1. Buca dell’Angina (ricostruzione schematica).

49

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) I minerali ad oggi identificati sono: azzurrite, barite, bornite, calcite, calcocite, calcopirite, cerussite, cinabro, covellite, cuprite, fluorite, malachite, oro nativo, pirite, quarzo, tetraedrite. Le segnalazioni di bornite, calcocite, djurleite, enargite e pearceite riportate da Amodio Morelli & Menchetti richiederebbero ulteriori conferme in quanto la provenienza dei campioni da loro descritti sembra risultare alquanto dubbia11.

11

Amodio Morelli, L. e Menchetti, S. 1969.

50

10 Miniera cinabrifera di Ripa (Tavv. 1-2) The earliest activities of this mine are documented in 1841 and lasted for about 25 years. Then followed a pause until 1932 when the local Angelini family asked for permission to search for cinnabar (mercury), but with no luck. The Società Motosi di La Spezia resumed activities from the 1950’ies until 1965/68. In 1971 a large fire ravaged the whole hill of Ripa where the mine is located, followed the year after by torrential rain which finally caused the collapse of many structures and the end of the mine (for the chronology of the mine see Tav. 7). di ricerca ed infine una coltivazione a cielo aperto detta Trincerone, tutti disposti su vari livelli compresi entro la quota di 160 metri c.a. s.l.m..

Il tentativo di ricostruire almeno a grandi linee le attività iniziali di questa miniera, peraltro esauritesi nel breve arco di 25/30 anni, attenendosi esclusivamente alla vecchia e scarna documentazione dovuta per la maggior parte agli storici locali del tempo come E. Simi e V. Santini ripresi ampiamente da coevi e successivi autori, sarebbe stato un po’ limitativo per cui ho cercato di orientarmi verso altre possibili fonti come l’allora Ufficio Tecnico Erariale di Lucca (oggi Ufficio del Territorio) dove cercai di individuare la zona di influenza della Società Idargifera (vedi Tav. 1) e a verifica alcuni passaggi di proprietà del territorio in oggetto.

Stante il frazionamento proprietario delle tre imprese ottocentesche che vi operarono tutta la zona interessata può essere circoscritta tra la via Provinciale Vecchia (Mignano), via Forni, loc. Embricione adiacenze nord-est di casa Tonini e loc. San Biagino (Fig. 10.1). Procedendo oltre la fontana pubblica o Fontanaccio troviamo una strada privata, lato sinistro avanzando, che raggiunge la ex Villa Angelini e dove poco prima della sua fine fu creato uno slargo per consentire il carico minerale proveniente dalla Galleria Cantina Nuova tramite tramoggia, la quale venne costruita dall’ultima società che vi operò, la Motosi e Porciatti di La Spezia (in seguito solo Motosi).

La scelta della zona di indagine fu condizionata dal fatto che il versante della collina interessato era ancora sede di una ridottissima attività mineraria ed inoltre non aveva subito che minimi processi di urbanizzazione post-bellica1 al contrario di quello avvenuto ed in corso nell’attigua zona nord-ovest (località Embricione e via Forni) che ha cancellato ogni vestigia del passato, salvo qualche breve tratto di vecchie gallerie riconvertite in ripostigli e/o cantine comunque ricadenti in proprietà private difficilmente accessibili.

Avanzando ancora fino quasi al termine si nota una vecchia casetta colonica che rappresenta l’originario ingresso della Galleria Cantina; da qui sarebbe possibile raggiungere tutte le altre coltivazioni ai livelli superiori escludendo però quelle ormai ricadenti in proprietà attualmente recintate3.

La ricerca catastale integrò l’esperienza diretta sul campo avvenuta a cavallo fra gli ultimi periodi di vita mineraria della miniera ed il breve intervallo trascorso fra abbandono e rovina di quelle gallerie o porzioni ancora parzialmente agibili2.

La scoperta del cinabro a Ripa avvenne casualmente durante l’autunno 1838 da parte di un agricoltore che stava lavorando una piccola vigna di sua proprietà, Giò Andrea Salvadori di Francesco4. Questo il nome di colui che trovò una strana pietra di colore rosso rubino e credendo potesse trattarsi di cosa preziosa la portò in visione ai fratelli Semack, direttori della non lontana miniera cinabrifera di Levigliani. Questi, riconoscendo il minerale, provvidero all’invio di campioni a Firenze per essere analizzati dal Prof. G. Battista Berg.

Uniche eccezioni la ricerca a cielo aperto del Trincerone con il breve prolungamento in sotterraneo e la Galleria Fontanaccio poiché utilizzata dal comune di Seravezza che ne capta le acque di una sorgente nella sua parte terminale estrema. Il complesso mineralizzato si sviluppa in maniera avvolgente lungo i fianchi della collina sovrastante il paese omonimo con una serie di gallerie, di semplici saggi

I risultati analitici dovettero essere incoraggianti tanto da indurre alla costituzione di una società per il suo sfruttamento inizialmente denominata: Società in Accomandita Semack e Berg.

1 Siamo in piena linea Gotica e nell’ultimo periodo del secondo conflitto mondiale, le truppe tedesche rasero al suolo con gli esplosivi l’intero paese di Ripa ed adiacenze, durante le mie ricerche erano ancora parzialmente visibili lungo i fianchi della collina piccole trincee e ripari. 2 Oltre la scarsa consistenza del terreno stesso, il processo venne accelerato da incendi dell’intera collina susseguitesi in pochissimi anni e probabilmente di natura dolosa visto la susseguente invasione di cemento.

Teoricamente poiché decenni di abbandono hanno pressoché cancellato i sentieri. 4 Catasto vecchio, Mappale Unico Ripa Sez. K. Giò Andrea possiede: Due case=particelle 457/483, mentre quelle 458/212 sono a vigneto di braccia quadre 2423 (corrispondenti a circa 830 mq). 3

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 10.1. Requisizioni successive della Collina di Ripa, scala 1:2500 (riproduzione dell’autore da originale).

1) La più grande sia per ampiezza territoriale che per disponibilità economica, viene costituita il 4 aprile 1842 sulle ceneri della precedente e disciolta Società in Accomandita ed oltre agli iniziali azionisti, ha come soci G. E. Grower, M. V. Bonaventura – R. Finzi Morelli – L. Beaufagen – C. A. Dalgas – G. Ambron – Berg di Lione – G.S. Deserioune7.

La neonata società nel 1840 acquista la vigna Salvadori5 e nel 1841 inizia le attività tramite lo scavo di gallerie di ricerca sia nella vigna stessa che negli attigui terreni del Dott. Andrea Digerini unitosi come consocio, mentre il Prof. Girolamo Guidoni conduce indagini geologiche nell’area interessata. In quel mondo di capitalismo straniero d’assalto che caratterizzò la Versilia nel post-restaurazione, la notizia fu indubbiamente un vero terremoto, e rappresentó l’ultima speculazione in campo minerario. Vigendo la legge mineraria Toscana legata al motuproprio di Pietro Leopoldo, si aprì una vera corsa all’accaparramento dei terreni rimasti liberi e potenzialmente sfruttabili mentre iniziano le dispute geologico - dialettiche fra gli “scienziati” dell’epoca in particolare fra Paolo Savi e Girolamo Guidoni divisi sulla questione della origine geologica del deposito cinabrifero6.

Il 10 marzo 1843, la Società Idargifera (questa la denominazione assunta anche se a volte è trascritta Idargerica o Idalgifera) “avente un capitale di 1.000.000 di lire Toscane suddivise in azione da lire 1.000 venne ufficialmente riconosciuta con Sovrano Benigno Rescitto del Granduca di Toscana”. 2) Costituita a Parigi8 il 10 gennaio 1843 con rogito del Notaio H. Hailing ha come azionisti:

In breve tempo gran parte dei terreni della collina vengono acquisiti da tre distinte società per lo sfruttamento minerario che vengono così distinte:

Barone M.Maria Mortmart9 – G.B.Berg – N.Perrier – Berg di Lione; l’atto costitutivo, a norma del codice civile francese, prevedeva la formazione di una seconda società

5 La vendita avviene sul finire 1840, nel contratto registrato poi con arroto 2134 del 19/04/1841 è precisato: vendita di vigna con miniera a Semack e altri. 6 Un esempio in: Quale sia la vera natura del mercurio sulfurato della montagna di Ripa nel Vicariato di Pietrasanta. Memoria letta dal Sig. Girolamo Guidoni, corrispondente dell’Accademia dei Georgofili e della Società Geologica di Francia, alla Sez. Geologica del Congresso degli Scienziati di Torino. (Memoria in Atti delle I.E.R. Accademia dei Georgofili e Giornale Agrario Toscano n° 60 – 1841 Firenze).

In altri Deseurionne. La costituzione all’estero di imprese o società operanti poi nel Vicariato e non solo, è una pratica abbastanza diffusa nel post-restaurazione e rimanendo in campo minerario basti pensare alla Impresa Metallurgica di Val di Castello costituita a Vienna nel 1832. 9 Ex Ufficiale napoleonico che ormai ben inserito era rimasto nel Granducato dopo il Congresso di Vienna così come, rimanendo in ambito locale, il parigrado B.S. Henraux capostipite dell’attuale colosso marmifero di Querceta. 7 8

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53 Miniera cinabrifera di Ripa

Fig. 10.2. La miniera di Ripa, (ricostruzione schematica).

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) fra gli stessi e capitalizzata con 120 azioni della prima da lasciare accantonate e dai cui dividendi attingere il finanziamento per i futuri lavori.

comunque ipotizzabile un reimpiego del vecchio forno di Ripa dopo il 1851/1852 quando vennero abbandonati i lavori a Valdicastello.

3) È quella con il minor numero di soci e precisamente: Hahner (Console Sassone residente a Livorno) – M. Gabarths geologo – e l’avvocato Giuseppe Santini di Seravezza già interessato anche nei piccoli depositi minerari di Betigna e Lievora; sempre il Santini diverrà il direttore della miniera stessa come pure di quelle di Valdicastello stante la loro acquisizione da parte della medesima Hahner e soci10.

Anche se non così rapidamente come era iniziata, la fortuna di Ripa si avvia al declino già poco dopo la metà del secolo, per il progressivo esaurimento cui si aggiunge l’immissione sul mercato del mercurio proveniente dai vasti giacimenti del Monte Amiata, dell’Istria e di Almaden (Spagna), tantochè è ragionevole supporre come ultimi lavori quelli nella Galleria Fontanaccio, dove sopravvivono stipiti ed architrave in marmo bianco con incisa la data 1868.

Notizie dell’epoca, scarsamente esaustive e pressoché impossibili da verificare, parlano dell’apertura di 18 gallerie11 alcune delle quali indicate con il nome di azionisti (Mortmart- Perrier ect…) o congiunti (Sofia et alii) mentre la produzione generale fu stimata in 120.000 libbre di mercurio. Secondo successive analisi del Prof. Orosi nel marzo 1844, il rendimento di alcune coltivazioni variava dal 20 al 30% nei filoni più ricchi, le terre rendevano circa il 2% mentre gli ammassi distinti di cinabro, il cosiddetto “cuore dello zulfuro” arrivava mediamente all’86%.

Seguono passaggi di proprietà a privati (Fig.10.1) con la riconversione dei terreni adatti a vigneti/oliveti, mentre le rimanenti porzioni tornano all’incolto boschivo, e l’abbandono continua fino al 1932 quando l’onorevole A. Angelini, proprietario dell’omonima villa, richiede “per sè e soci” il permesso di ricerca minerali di mercurio rinnovandolo ancora nel 1934, senza che però seguano veri e propri lavori, tanto da far ipotizzare uno scarso interesse per lo sfruttamento minerario. Le notizie riprendono così al secondo dopoguerra quando intorno al 1950 viene riconsiderata dalla Società Motosi e Porciatti di La Spezia, in seguito ridotta alla solo ditta Motosi, che ne otterrà la concessione15.

Del cinabro di Ripa si parla durante la Riunione degli Scienziati (Sezione Mineralogica) tenutasi a Firenze il 16 e 20 settembre 1841 e sulla scia di questo un’apposita commissione si reca in visita alla zona mineraria come pure vi andrà “in visita comune” la quinta unione degli scienziati italiani riunitasi a Lucca nel settembre 184312, ma limitandosi alla visita il 27 settembre di quella del Barone Mortmart, essendo le altre già state visitate dal prof. L. Pilla che ne relaziona ricevendo, come messo agli atti del Congresso “ogni più gentile accoglienza sia da parte del sign. Barone che dal direttore sign. Caillaux”.

Le attività preliminari iniziarono con l’esplorazione delle parti agibili nelle vecchie gallerie, ben presto abbandonate per il solo Ribasso Mignano o Galleria Sottostrada dove i lavori vennero sempre ostacolati da infiltrazioni d’acqua, che specie nei periodi di grande piovosità potevano causare smottamenti piuttosto laboriosi da contrastarsi vista la penuria di uomini e mezzi a disposizione. Tuttavia venne affittato un attiguo manufatto con annesso un piccolo piazzale dove trovarono alloggio compressore, magazzino ed ufficio.

Anche se a distanza di due anni le conclusioni della commissione sono uguali: “la distribuzione del cinabro nella montagna di Ripa è pressoché uguale in tutte le parti scavate ed in particolare si presenta sottoforma di masse e filoni sia nel quarzo che nei micascisti”.

Tramite una complicata e paurosa rimonta si arrivava a quota 67 metri s.l.m. (la poi Galleria Cantina), ma la convivenza di passaggio e buttaggio minerale separate solamente da un precario diaframma di tavole, portò presto al suo abbandono ed all’affitto di una piccola casetta colonica nella cui cantina venne iniziato il tratto di collegamento con le coltivazioni, sempre a quota 67 metri s.l.m..

Parallelamente all’avvio produttivo, le società costruirono anche tre forni per il trattamento minerale, rispettivamente nelle località San Biagino, Embricione ed adiacenze dell’attuale Villa Angelini13. Tuttavia quello della Società Hahner perdura in attività solamente fino alla realizzazione di quello alle miniere di Valdicastello, mentre poi fu utilizzato in maniera promiscua14, ma è

Una volta estratto, il minerale veniva ammucchiato a livello della prospiciente strada, poi caricato a forza di braccia su piccoli mezzi per l’avvio alla macinatura.

Federigi, F. 1991. Di esse sono riuscito ad individuarne 12/13 ed un piccolo saggio. 12 La visita venne decisa durante la riunione del giorno 25 e la sera del 26 i partecipanti giunsero a Seravezza per il pernottamento procedendo poi il giorno successivo alla visita delle Miniere del Bottino prima e Ripa poi. Da segnalare infine gli studi sui campioni mineralogici provenienti dalla miniera effettuati dal D’Achiardi il quale probabilmente vi raccolse o venne in possesso del famoso cristallo di cinabro poi raffigurato nella sua Mineralogia della Toscana (Forni, Pisa 1873). 13 Vecchi abitanti del posto e lo stesso capo servizio Sig. Bascherini mi confermarono il ritrovamento di mercurio allo stato metallico durante i lavori nelle adiacenze della villa stessa. 14 Vedi Capitolo 14, Miniere di Valdicastello. 10 11

A questo proposito da segnalare il promiscuo utilizzo del piccolo mulinetto installato dalla Società S.C.E.L., gerente il cantiere la Rocca alle miniere del Bottino, in località Argentiera (Ruosina) come testimoniano le resulte abbandonate in loco16. Sempre nello stesso anno coeva la richiesta del permesso di ricerca Sassalbo (Scortico) per ricerca minerali auriferi. 16 Non mi è comunque ben chiaro se il mulinetto fosse proprietà S.C.E.L. o Motosi rimane il fatto che lo stesso funzionasse in cogestione (Fig. 10.3). 15

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Miniera cinabrifera di Ripa

Fig. 10.3a+b. Località Argentiera: mulinetto e impianto (foto anni ‘80), ed il loro schematico utilizzo.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) com’era, ma tutto è scomparso fra vegetazione e recinzioni private, tranne qualche traccia delle vecchie coltivazioni Trincerone o la Galleria Fontanaccio. Ultima testimonianza le arrugginite lamiere del piccolo box all’imbocco della Galleria Cantina Nuova e che già fu sede, con un tramezzo di compensato, di ufficio, magazzino, spogliatoio, refettorio e ricovero lavoranti.

In seguito alla richiesta di aumento del canone di affitto, la casetta venne abbandonata optando per la perforazione di un pozzetto a sezione quadrata a livello leggermente più alto ed arretrato di circa una trentina di metri. Questo si trovava entro un incolto e per lo meno nel progetto doveva servire per l’accesso in sotterraneo, riattivando poi il buttaggio minerale per Mignano e precludendo l’accesso al proseguo in galleria con una cancellata mobile in ferro.

In breve queste le fasi principali della miniera di Ripa:

Ma una volta realizzati i lavori, la scelta non si rivelò felice, pertanto seguì la perforazione di un tronco di galleria di raccordo, la Galleria Cantina Nuova, spostata ad est ed a quota 67 metri c.a. davanti alla quale venne poi costruita la piccola tramoggia di buttaggio, carico ancora oggi visibile. La produzione rimase comunque sempre abbastanza limitata così come il numero degli addetti, e non cambiò se non durante il fortuito incontro con ammassi mineralizzati17, ragione per la quale non avvennero grandi migliorie. Dopo questo fortuito incontro con un’antica galleria che immetteva alle originarie coltivazioni (vedi Galleria Cantina p. 57), le attività estrattive si trascinarono fino al 1965/68, anno dopo il quale rimasero in forza due soli addetti alla manutenzione conservativa. Questa veniva concordata il giovedì pomeriggio quando a bordo della propria 500 arrivava il perito minerario, che spesso mi prese a rimorchio accompagnandomi in sotterraneo limitatamente alle parti giudicate non a rischio anche se, ma questo era tabù, le altre mi erano molto più familiari.

1838

Giò Andrea Salvadori scopre il minerale.

1840

Nasce la Società in Accomandita Semack – Berg – Digerini.

1841

Con contratto 19 aprile, la suddetta acquista terreni e vigna Salvadori (particelle 212/458).

1842

Scompare la Società in Accomandita che allargata a nuovi azionisti subentra come Società Idargerica.

1843

14 gennaio costituzione della Società Mortmart e soci. 10 marzo Sovrano Benigno rescritto Granducale che riconosce e tutela la Società Idargerica. Probabilmente coeva la Società Hahner e soci.

A fine estate 1971 un incendio devasta tutta la collina arrivando a lambire le abitazioni e riducendo in cenere anche baracca, pali e tavole del vecchio pozzetto che successivamente frana. All’inizio del 1972 una serie di violente piogge accentuò il franamento, tantoché il vero ultimo lavoro fu il livellare il terreno da parte degli ultimi due amici minatori Dario e Lido, che purtroppo non ho più avuto occasione di incontrare ma che ringrazio per le tante agevolazioni ricevute. Quasi per paradosso, la fine attività della Ditta Motosi Aldo La Spezia segnò l’inizio del mio archivio personale sulle miniere. Infatti il geologo societario dott. Perotto Giacomo, conosciuto in occasione di alcune sue visite prima di chiudere a chiave per l’ultima volta la miniera, mi regalò la cartografia mineraria presente comprensiva di pianta e sezioni delle miniere del Bottino e che solamente con il procedere delle conoscenze ho scoperto essere copie di originali della fine del 1800, duplicati dovuti alle Società S.A.M.A. e S.C.E.L. durante il corso delle loro attività nel 1900.

1848

La Società Idargerica acquista nuovi terreni (particelle 64/65/450/467/468/514).

1850

Sempre la stessa acquista particelle 409/459/ 460/776.

1845

Attiva quanto meno la parte finale della Galleria Cantina dove trovasi scalpellata una croce con data 15 giugno 1854. Probabile se non già avvenuto disimpegno della Società Hahner.

1858-

Probabile disimpegno della Società Idargerica, tutta o quanto meno parte delle vecchie proprietà verranno poi rilevate da Dalgas e soci che acquisteranno anche particelle 424/239.

1868

Attiva quantomeno la Galleria Fontanaccio.

1870/72 Probabile cessazione di ogni attività. 1886

18 giugno, la particella 458 (vigna con miniera) viene acquistata da Delmotto Pietro.

1887

I terreni passano a Delmotto Giuseppe di Giuseppe che acquista anche la particella 776.

1932/34 Permessi di ricerca richiesto da On. Angelini e soci. 1949/50 Società Motosi e Porciatti iniziano tentativi di riattivazione. Anni seguenti: La Società Motosi ottiene la concessione per lo sfruttamento come pure per la a analoga miniera cinabrifera di Levigliani.

In quasi 30/34 anni non vi sono tornato che tre o quattro volte così tanto per fare un giro e magari ricordare 17 Tradizionale nella memoria il cosiddetto Occhio del Ciclope, grosso ammasso di cinabro pressoché puro di cui beneficiarono in particolare collezionisti esteri.

1972

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Definitivo abbandono delle attività.

Miniera cinabrifera di Ripa 10.1 Descrizione delle gallerie prima del 1973

Inoltrandosi ancora si raggiunge abbastanza tranquillamente la parte finale accessibile, ma dopo circa 60/80 metri era possibile osservare un cambiamento dell’aspetto della galleria stessa e precisamente:

Come accennato sono ormai scomparse o inagibili, ed inoltre non avevano un proprio nome così come nel secolo precedente ma questo gli venne affidato dalla toponomastica della zona circostante. Ho cercato di elencare/descrivere quelle che sono riuscito ad individuare e ad accedere, alle volte anche a “visitare”18.

Parte iniziale A-B La rifinitura delle pareti è grossolana e limitata a quel tanto che basta per non intralciare il passaggio dei carrelli, sempre mossi a forza di braccia, mentre le impronte lasciate dai fioretti di perforazione sono quelle tipiche dell’età moderna e cioè: diametro del foro più grande e profondità di scavo maggiore, sempre con andamento esterno - interno.

Galleria Mignano Chiamata anche Galleria Sottostrada o Ribasso già al tempo delle mie escursioni era pressoché abbandonata causa franamenti. Poche decine di metri oltre l’ingresso ed in particolare nei periodi di piovosità comparivano vere e proprie cascatelle, contrastate alla buona con pezzi di plastica.

Parte finale B-C Le pareti sono pressoché prive di qualsiasi asperità anzi, dove possibile, rifinite con scalpellatura ad andamento alto/basso in leggera diagonale. Lo sterile è ben ammucchiato e trattenuto da muretti a secco di ottima fattura, mentre i fori di avanzamento sono di diametro e profondità minori, tipici del lavoro fatto manualmente con mazza e piccolo fioretto ruotato ad ogni colpo, metodo detto a stampetta o mazzacoppia, con andamento interno/ esterno, poiché la parte finale è il risultato del fortuito incontro fra i due tronconi avvenuto durante una volata di mine19.

Le dimensioni erano di circa metri 1,20 per 2,00 di altezza per una lunghezza stimata ed accessibile di un centinaio di metri, ma era ancora visibile la vecchia tramoggia di buttaggio con adiacente passaggio persone separate da quel debole diaframma di tavole e paletti la cui sola visione mi ha sempre sconsigliato tentativi di risalita.

Durante il lavoro, il fioretto incontrò il vuoto, e dopo lo scoppio delle mine apparve una vecchia galleria che sembrava un ideale prolungamento di quella in costruzione.

Attigua all’ingresso si trova la dismessa piazzola per stoccaggio e un locale adibito al compressore e a magazzino. Assente anche il vecchio ed unico vagoncino autorovesciatore con cui avvenivano i trasporti a sola forza di braccia.

Esplorata rivelò il suo sviluppo accessibile e nuove mineralizzazioni a cinabro delle quali ho potuto vedere le rimanenti tracce a circa metà tracciato, dove quasi a tetto (lato sinistro avanzando) è scalpellata una croce. Circa 10/15 metri prima del pozzo di buttaggio, specie a livello superiore, la matrice è in prevalenza formata da micascisti con venette e/o filoncelli di quarzite, abbondante infine il talco anche in veri e propri strati.

Galleria Cantina Nuova Con essa può essere identificata la quasi totalità dei lavori della Società Motosi, una volta entrati in sotterraneo si perveniva all’incontro con la precedente e dismessa Galleria Cantina Vecchia comunque sempre percorribile fino al muro di chiusura del passato ingresso, mentre procedendo verso l’interno si accedeva ad un camerone risultato frutto della coltivazione di una grossa sacca mineralizzata della quale rimanevano in vista numerose tracce sia nello scisto che in una venuzza di quarzite bianca, a circa un metro di altezza dal piano di carreggio.

Non potendo rimuovere ed oltrepassare alcuni franamenti, venne in seguito tentato un esperimento per cercare di individuare almeno l’antico ingresso sfruttando la corrente d’aria prodotta dall’effetto camino tipico delle miniere di collina. Si accese così un fuoco di legna verde nella parte più interna della galleria che provocó un denso fumo, il quale dopo un po’ iniziò ad uscire dalla grossa frana che ostruisce una diramazione nella Galleria Del Bosco, ma tutto finì qui.

Attigui, uno stretto fornello ed una più che ripida rimonta con accenno di gradini scavati nella roccia che portava ad una piccola coltivazione cinque sei metri più in alto e mai raggiunta causa la scivolosità derivante dall’abbondanza di talco, intercalata a micascisti e/o sporadici ammassi di quarzite bianca con inclusione di cinabro.

La parte più suggestiva è per me comunque quella del pozzo di buttaggio ed adiacenze, che tenterò di descrivere così come lo disegnai nei miei appunti (Fig. 10.5) avanzando anche alcune ipotesi personali.

Da segnalare come questa sia l’unica parete della galleria dove ho rinvenuto piccoli cristallini di pirite pentagonododecaedra.

Il pozzo ha forma all’incirca quadrata con il lato di circa 3/3,50 metri perfettamente verticale e profondo mediamente 12/13 metri stante la grandissima massa di detriti che vi si sono accumulati e che impediscono

18 Queste esplorazioni avvenivano senza coscienza e trascurandone i rischi con una rudimentale attrezzatura, il cui cavallo di battaglia furono le vecchie e autocostruite scalette prese a prestito dal G.S.A.V.. Ma tutto sommato, e grazie al fatto di poterlo raccontare, fu un’esperienza esaltante così come si rivelò il ripercorrere le miniere del Bottino.

Devo la notizia come quella del fuoco di cui in seguito, all’ultimo caposervizio Sign. Dario Bascherini che ringrazio.

19

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 10.4. Galleria Cantina, (ricostruzione schematica).

Fig. 10.5. Parte terminale della Galleria Cantina (ricostruzione schematica anno 1970).

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Miniera cinabrifera di Ripa di scorgervi qualsiasi altro accenno di galleria/e in diramazione, come indurrebbe a credere la perforazione di un simile buttaggio non certo concepito e realizzato per coltivazioni di modesta entità. Internamente vi è un brevissimo tronco di galleria (5/6 metri) sotto il piano di carreggio Cantina ma sfalsato di 90° nord-ovest rispetto a quest’ultimo.

liberamente. Si presentava come una specie di piccola stanzetta comunque pressoché semifranata nella parte del proseguo rivolta verso l’interno. Verso gli anni ’70 il foro di accesso venne definitivamente chiuso con pietrame dalla Ditta Motosi, foro che si trovava localizzato quasi al piede del primo palo di illuminazione elettrica seguente lo slargo sottostante la tramoggia di buttaggio.

Al di là del pozzo vi è una galleria abbastanza ben conservata almeno per quel breve tratto percorribile (15/20 metri) prima di una frana che la ostruisce completamente. Per accedervi è necessario scavalcare anche un muretto a secco iniziale costruito a guisa di parapetto.

Saggio Procedendo lungo il sentiero che dal box attiguo all’ingresso Galleria Cantina Nuova porta alle coltivazioni Trincerone, dopo poche decine di metri si incontra un grosso saggio probabile originario tentativo per la perforazione di una nuova galleria.

Da segnalare poi la forma ellittica della parete destra (avanzando) realizzata sempre in muro a secco, anche qui curatissimo nell’esecuzione.

Galleria del Bosco – Galleria della Vigna

Se dal bordo del pozzo si guarda invece verso l’alto, a 5/6 metri di altezza si nota benissimo una galleria apparentemente parallela e di dimensioni simili alla sottostante (Cantina) e la cui volta coincide con quella del pozzo stesso ma purtroppo non è stato possibile accedervi.

Gallerie inagibili allo stato attuale, i passaggi sono estremamente pericolosi perchè ostruiti dalle acque meteoriche del terreno in pendenza, con scivolosità esaltata dalla forte presenza di talco. Sempre lungo il sentiero, troviamo un ampio camerone iniziale da dove con pochi rozzi scalini si accede ad un sottostante piano di carreggio sul quale si notano i resti di due gallerie sfalsate di circa 60/70° e cosi descritte:

Una ventina di metri prima del pozzo si trova un fornello a tetto che tramite scalini ricavati nella roccia porta ad un grosso ed obliquo camerone di coltivazione quasi certamente, se non interamente, quantomeno ripreso dalla Soc. Motosi e caratterizzato da filoncelli ed ammassi di quarzite anche mineralizzati.

Ramo destro: completamente ostruito da una frana dove affiorano qua e là i resti di una armatura a pali di legno e tavole ormai più che marciti. È da qui che uscì il fumo durante l’esperimento fatto nella Galleria Cantina.

Dalla base di questo camerone, risalendo un ripido e scivoloso piano inclinato, forse una originaria discenderia, si accede ad un ampio franamento a tetto che ha interessato una vecchia galleria ottocentesca, ipotetico proseguo di quella che non ho potuta raggiungere, come ben testimonia la data 15 giugno 1854 sormontata da una croce che troviamo scalpellata quasi a tetto della parete sinistra (avanzando) ed oggi pressoché piano dei franamenti, forse estrema testimonianza di un lontano infortunio. Proprio da questa zona di frana provengono i migliori campioni mineralogici di tutto il complesso della miniera e per la maggior parte in matrice di quarzo, qui particolarmente abbondante.

Ramo sinistro: la galleria è inizialmente semi-riempita da grossi massi distaccatesi dalla volta e proprio le loro dimensioni mi permisero di passare con estrema cautela nelle varie aperture createsi dal loro incastrarsi, fino a pervenire dopo 5/6 metri ad una ben conservata stanzetta che immette ad una ripida discenderia lunga una decina di metri circa e che termina con un salto stimato in metri 1,80/2,00 dal quale si “atterra” sopra una massa di terra fangosa e talco trasportativi quali detriti dalle acque piovane. A questo punto ci troviamo in un grande stanzone o camerone dove si notano:

Un’ipotesi di interpretazione è che i primi minatori entravano in sotterraneo attraverso l’ingresso oggi franato della Galleria Del Bosco (n. 6 in Fig. 10.5) coltivando un ampio complesso mineralizzato quantomeno su due diversi livelli e le cui resulte venivano convogliate nel pozzo per il successivo inoltro all’esterno tramite una galleria riconducibile a quella successivamente descritta e riportata nella cartina d’insieme come “C” (Fig. 10.6) .

1) Tentativo di galleria che si inoltra verso l’interno del monte per un paio di metri. 2) Altro tentativo di circa 6/7 metri parallelo al precedente ma arretrato verso l’uscita nella vigna circa 6 metri. 3) Un ingresso di galleria completamente riempito con terra e sassi e che, almeno apparentemente, si dirige verso la parte vecchia della Galleria Cantina. 4) Una serie di grossi franamenti quasi al centro del camerone e che hanno formato un accumulo di detriti tantoché salendovi sopra è possibile toccare la volta alta apparentemente 2.5/3,5 metri dal piano di carreggio. Superati questi detriti, si perviene all’ingresso originario ormai completamente riempito da terriccio e sassi provenienti dai sovrastanti terrazzamenti di un

Galleria a livello via privata Venuta in luce casualmente durante lo sbancamento connesso alla realizzazione della strada per villa Angelini, è pressoché scomparsa sotto il costante riporto detritico delle acque meteoriche che vi si convogliavano 59

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 10.6. Galleria della Vigna, pianta e sezione schematica.

uliveto, ma è possibile uscire attraverso uno stretto e verticale inghiottitoio di acque piovane raggiungendo l’esterno e l’imbocco che si trova circa tre/quattro metri più in basso proprio al confine con il terreno una volta coltivato a vigneto. Di esso rimangono visibili le parti iniziali delle due spallette in muro a secco sormontate da unico lastrone di copertura a tetto. In tutto il camerone, lungo all’incirca oltre 20 metri per una larghezza massima di forse 4/6, non ho trovato tracce di mineralizzazione salvo sporadiche “mosche” in matrice di micascisto.

il collegamento con il buttaggio dell’ingresso Galleria Bosco con la parte terminale estrema di quella Vigna fu una razionalizzazione dei trasporti minerari nell’impervio terreno antistante e sottostante la zona di scavo nel bosco. Galleria e coltivazione a cielo aperto Trincerone Nella parte medio/alta della collina ad una quota compresa fra i 120/140 metri s.l.m. attigue ad un dismesso traliccio metallico, troviamo la discarica e la coltivazione a cielo aperto sul cui prolungamento in sotterraneo si sviluppa la piccola ed omonima galleria lunga 32 metri. Questa è assai umida e fangosa a causa dell’acqua che vi entra durante i periodi di pioggia da un caminetto nella parte terminale estrema, dove si convoglia da un inghiottitoio smaltendo quelle raccolte nel sovrastante canalone.

Alla luce delle ricerche sul territorio, della documentazione archivistica, mineraria e catastale credo che in queste due gallerie possano identificarsi i primi lavori ottocenteschi, in particolare la Galleria Vigna, pressochè sconosciuta fino alle mie esplorazioni, ben mostra la caratteristica coltivazione a mano (ripulitura a rapina) di una grossa sacca o tasca mineralizzata. Pressochè coevi i lavori per quella Bosco il cui sviluppo in sottorraneo è riconducibile alla/alle parti più antiche della Galleria Cantina, mentre

Nella parte coltivata a cielo aperto, ed a circa 3/3,50 metri sopra il piano di carreggio della galleria, vi è una cavità artificiale di modeste dimensioni ma dove sono rinvenibili campioni di minerale in matrice di quarzo così come lo 60

Miniera cinabrifera di Ripa sono, con un po’ di fortuna, nella discarica dalla quale provengono anche cianite e pirofillite.

presumibilmente svilupparsi in una diramazione laterale, oggi franata, che si inoltra circa 30 metri dall’ingresso e da quanto rimane visibile è ben curata nella esecuzione ed inoltre la vicinanza del pozzo di buttaggio sembra confermare l’ipotesi di cui sopra.

Tornando alla galleria dal muro a secco a gradini sovrapposti che delimita l’ingresso, sono emersi cristalli di quarzo molto limpidi (20/25mm. max) anche se spesso ricoperti da una patina terrosa comunque asportabile. L’accesso in sotterraneo è formato da due opposti muri a secco cementati con calce che si inoltrano per circa 2/2,5 metri e sovrastati da grossi lastroni di scisto riquadrati a scalpello che formano la volta. Purtroppo è in atto un cedimento che ha provocato frane; nella parete sinistra, avanzando, è ricavata una piccola nicchia rettangolare (50x30x20cm ca.) della quale ignoro le originali funzioni ipotizzando un supporto per i mezzi di illuminazione.

Da notare infine come la vecchia letteratura mineraria tramandi la costruzione di un forno per distillazione attiguo alla Villa Angelini. Galleria Fontanaccio Come detto, è la meglio conservata di tutto il complesso sia per il terreno meno franoso che per la manutenzione connessa al suo utilizzo da parte del Comune di Seravezza che ne ha completamente cementato il pavimento così come il canaletto di raccolta acque, che sgorgano nella parte terminale estrema alimentando poi una adiacente e frequentatissima fontana pubblica.

Procedendo ancora e superando facilmente una frana, troviamo uno slargo delimitato da altro muro a secco nella parete destra mentre alla base della sinistra un basso passaggio immette a due grosse cavità probabilmente frutto di cedimenti sottostanti come supponibile vista la velocità di smaltimento delle acque piovane.

Le dimensioni stimate sono circa metri 1.50/1.60 per 2/2.10 di altezza per uno sviluppo intorno a 200 metri completamente rettilineo con al termine (lato sinistro) una specie di risalita probabile coltivazione di una sacca mineralizzata, la rifinitura della galleria è anche qui molto curata. A circa 1/3 dello sviluppo si incontrano due stipiti sormontati da architrave, il tutto in marmo bianco, dove è scalpellata la data 1868.

La parte finale è un obliquo caminetto, parte anche in muro a secco, che si innalza per circa 4/4,5 metri poi ostruito da grossi massi di frana incastrati uno nell’altro in precario equilibrio tanto da sconsigliare una risalita anche se penso sarebbe interessante poter accedere alla giacitura sia di cinabro in matrice di quarzite bianca che di pirofillite che sono stati rinvenuti in campioni frammisti a detriti trasportati dalla acque proprio alla sua base.

Galleria Tonini o Dal Tonini Lungo la via Forni leggermente più alta rispetto al piano stradale e poco oltre la diramazione che conduce alla parte più alta della collina comunemente conosciuta come il “segno di Zorro”, per le numerose curve, s’incontrava la galleria già completamente ostruita da una frana pochi metri oltre l’ingresso ed in seguito pressoché scomparsa in conseguenza ai lavori di sbancamento.

Galleria Oliveto – Galleria Angelini Al confine fra bosco ed oliveto a monte della Villa Angelini, seminascosta dall’erba ai piedi dell’ultimo terrazzamento, vicino comunque ad una pianta di fico ed un tronco di olivo tagliato a poche decine di centimetri da terra, si apre una nuova galleria che dopo una breve discenderia iniziale di circa 3 metri prosegue in piano per circa altri 60/80. In una diramazione laterale a sinistra (procedendo verso l’interno) c’è un pozzo di buttaggio verticale a sezione quadrata, lato circa 1.20 /1.40 metri e profondo una trentina che termina nella Galleria Angelini che non ho mai visitato stante il ricadere in una proprietà privata.

Da quanto ho potuto vedere era molto grande e, attenendosi alla cartografia, molto profonda; il dato mi venne confermato da vecchi abitanti del luogo. Curatissima nell’esecuzione e con un canaletto di raccolta drenaggio acque interne mai visto nelle rimanenti gallerie, in queste tuttavia non ho trovato tracce di cinabro ma solamente sporadici indizi di ematite, talco, mica e microcristalli di pirite ormai alterati.

La parte finale del pozzo è a dir poco paurosa con enormi massi distaccatesi dalla volta ed interi strati pressoché ribaltati tanto da sconsigliare la discesa di altri scalini, ma tornando alla galleria iniziale non sono visibili tracce di mineralizzazione a cinabro, mentre sono frequenti filoncelli di ematite con talco e tracce di mica; anche in estate è molto umida per il continuo stillicidio ed abbastanza angusta nel passaggio.

Via Martiri della Libertà (Comunemente chiamata “segno di Zorro”) In seguito alle ricordate violenti piogge del 1972, avvenne un grosso smottamento in corrispondenza della curva stradale poco oltre Casa o Villa Tonini, che comportò il ribaltamento del muraglione di contenimento da poco costruito e nell’occasione vennero in luce, a livelli di poco superiore al piano stradale, due brevissimi tronconi di galleria pressoché invasi dal fango e dove l’unica cosa distinguibile era la parte a tetto formata da lastroni e pali di legno a prima vista riconducibile ad una biforcazione. Ma non fu possibile alcun sopralluogo per la massa di fanghi

Credo che per lo meno la parte finale sia un tentativo di ricerca forse fatto dalla Società Motosi infatti tutto il tracciato è completamente sterile. Le pareti grezze da mina ed i muretti a secco sembrano più accumuli di materiale che vere opere interne. La coltivazione originaria doveva 61

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 10.7. Galleria Fontanaccio, Ribasso, Villa Angelini uliveto (Galleria Angelini, come da notizie riportate).

e detriti in movimento che in pochi giorni le ricoprirono di nuovo.

traggono origine dal metamorfismo delle rocce incassanti ricche in Al2O3.

10.2. Mineralogia

I minerali ad oggi identificati nell’area mineraria di Ripa sono: cianite, cinabro, ematite, goethite, lazulite, magnetite, muscovite, pirite, pirofillite, quarzo, rutilo20.

La mineralogia del deposito cinabrifero di Ripa è estremamente povera, con il cinabro che rappresenta sostanzialmente l’unica specie di interesse collezionistico direttamente legata alla mineralizzazione. Difatti, cianite e pirofillite, altri due minerali ben noti per la località,

20 La miniera di Ripa era nota in passato per gli eccezionali cristalli di cinabro usciti dai suoi cantieri nel corso delle coltivazioni del XIX secolo. Per la storia di questi campioni si veda Dini, A. e Biagioni, C. 2010.

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Miniera cinabrifera di Ripa

Fig.10.8. Galleria Cantina parte vecchia (foto Roberto Buonriposi).

Fig. 10.9. Galleria Cantina nuova-ultime coltivazioni (foto Roberto Buonriposi).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 10.10. Galleria Cantina nuova- ultime coltivazioni (foto Roberto Buonriposi).

Fig. 10.11. Prima parte Galleria Cantina vecchia (foto Roberto Buonriposi).

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Miniera cinabrifera di Ripa

Fig. 10.12. Intersezione tra la Galleria Cantina vecchia e Cantina nuova, si intravede sul fondo il vecchio buttaggio/passaggio promiscuo per livello sottostrada (Mignano, foto Roberto Buonriposi).

Fig. 10.13. Galleria Cantina nuova, crollo di muro di sostegno (foto Roberto Buonriposi).

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11 Miniera cinabrifera di Levigliani (Tav.3) The first mention of a mineral from Levigliani comes from a document of 1153 which mentions the cinnabar of Levigliani, perhaps to be used for colour pigment (vermillion). Further clues to some mineralogical interest in Levigliani come from the XVI and XVII centuries, while certain mention is attested in the XVIII cent. with the use of red pigment derived from Levigliani at the printing press of the Grand duchy itself. During this period the excavation of three galleries are documented, two for the colour pigments and one for the mercury. During the XIX century the activities continued with varying success. In 1957 the mine was attached to the company of Motosi and Porciatti, which also ran the Ripa mine, and was productive until 1967 when it was definitively abandoned. o quanto meno ne venne in possesso, alcuni campioni mineralogici entrati poi a far parte della “Raccolta di cose naturali esposte nella Reale Galleria di Firenze”.

Il periodo cui far risalire il primo sfruttamento è molto incerto, tuttavia rimanendo nel campo delle ipotesi non può escludersi un primo approccio per l’utilizzo del minerale come pigmento colorante. Il mineralogista D’Achiardi nella sua Mineralogia della Toscana1 riporta che il cinabro di Levigliani è ricordato in un documento del Comune di Pisa del 1153.

Sempre nel secolo si suppone vi operasse la cosiddetta Compagnia del Padre Paci (già ricordata) ed un avallo a questo potrebbe essere costituito dalla sua Nota sulle varie località mineralizzate nel territorio di Pietrasanta (vedi Appendice n. 7) dove riporta cinabro a Levigliani ed in altri luoghi.

Segue il silenzio fino ben oltre la seconda metà del 1400, quando Benedetto Dei nella sua Cronichetta informa che intorno al 1470 vennero ritrovati nel territorio della Repubblica Fiorentina diversi giacimenti minerari fra i quali la Cava del Mercurio e dell’Argentovivo (mercurio allo stato nativo) non precisandone l’ esatta località.

Notizie certe iniziano nel 1717 quando la stamperia Granducale di Firenze si trova nella necessità di reperire pigmenti rossi per la stampa di codici e/o libri ecclesiastici, ed il Granduca Cosimo III invia a Levigliani lo scultore Giuseppe Antonio Torricelli con l’incarico di visitare e riattivare la cava. Ancora una volta il termine usato riattivare fornisce un piccolo indizio su lavori precedenti. Il tentativo del Torricelli ha esito positivo tanto da venire acquistata una casetta nelle adiacenze4 “per uso e comodo dei lavoranti” e proprio per regolamentare le escavazioni anche future, il 31 maggio 1718 venne pubblicato il “Bando del Privilegio di cavare minio per dieci anni ed in esenzione di gabelle”5 a favore dei due Ministri della stessa stamperia, Gaetano Tartini e Santi Franchi, cosa che con grande probabilità deluse le aspettative del Torricelli che con argomentazioni diverse non tornerà mai più a Levigliani.

Perlomeno per quanto a mia conoscenza, l’unico giacimento cinabrifero sulle Apuane dove il minerale si manifesta allo stato nativo è Levigliani, ma rimangono a mio parere dubbi sull’effettiva data del 1470. A quell’epoca il territorio interessato era sotto il controllo genovese del Banco di San Giorgio, e vi rimase ininterrottamente fino al 1484 quando effettivamente perverrà a Firenze, sebbene con alterne vicende. Nuovo debole ma attendibile indizio ci viene da Girolamo Chiavacci2, il quale riferisce di una sua ricerca in una cava di mercurio dove ha visto: “In un tarso un po’ di vena di rame e Giorgio Agricola dice che non si trovò mai argento vivo accompagnato da altro metallo” concludendo che spera di trovare “un tesoro grandissimo”3.

Contemporaneamente alla copia del Bando, il capitano di Giustizia di Pietrasanta riceve istruzioni per la sua massima diffusione nel territorio ”Acciò d’alcuno non se ne possa pretendere ed allegrare ignoranza”.

Nella seconda metà del 1600, la zona viene probabilmente visitata dal celebre Nicolò Stenone il quale raccolse,

I lavori intanto si articolavano in tre gallerie delle quali due fornivano cinabro, mentre la terza, costituita

D’Achiardi, G. 1873. 2 Abilissimo fonditore al servizio dei Medici durante la campagna di sfruttamento delle “Argentiere della Montagna di Seravezza” 1542/1592/5. 3 Estratto da Fabretti e Guidarelli 1980: 156, nota 36. A.S.F. Mediceo Filza 598 c. 294 – 29 marzo 1573 – Filza 679 c. 269 – 1 novembre 1575. Il riferimento ad Agricola il medico George Brauer (vd. Appendice 2: Nascita della moderna tecnica minerario-metallurgica) dimostra la conoscenza della sua principale opera di mineralogia e metallurgia De re metallica. 1

Attenendoci sempre alla letteratura mineraria del 1800, la costruzione era a due piani di cui quello terreno adibito ad officina di produzione ed il superiore ad alloggio degli addetti, il tutto già proprietà di Agostina e Margherita di Giò Menchetti da Levigliani venne ceduta per 37 scudi poi impiegati, come si riporta, “nella vestizione di un nipote frate zoccolante”. 5 Cantini, L. 1806. Legislazione Toscana Tomo 12, Firenze (A.S.C.P.). 4

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) probabilmente dalla parte iniziale della Galleria Cavetta, presentava una giacitura di mercurio nativo concentrata entro un filone di quarzo.

3, che è un segno/che la via sia diminuita ciò/nonostante nel progresso la vena/potrebbe essere buona./ Rileggendola possiamo trarne alcune indicazioni: l’effettiva esistenza di franamenti naturali o artificiali nonché l’esistenza di lavori precedenti al 1717.

Le attività s’interruppero dopo solo due anni causa il franamento della galleria principale forse provocato dagli stessi minatori, quasi esclusivamente fiorentini, costretti a rimanere lontani da casa ed in luoghi pressoché semiselvaggi.

Probabilmente sulla scia di questa descrizione, sembra esservi stato un tentativo di ripresa da parte del colonnello Giacomo Mill (vd. Cap. 16, Miniere del Bottino) iniziato intorno al 1755, ma ben presto fallito così come tutti gli altri suoi tentativi in altre località mineralizzate del Capitanato. Tuttavia anch’esso ci lascia una nota sulle località interessate a mineralizzazioni nel Capitanato stesso (vd. Appendice 7).

Nel 1721/22 la riattivazione venne affidata allo scalpellino Giò Battista Farsetti, ma questo tentativo venne deluso forse per il continuo furto di mercurio nativo da parte degli operai che lo rivendevano in proprio specie nei confinanti ducati di Modena e Massa nonché nello Stato di Lucca. Per arginare il fenomeno alcuni vennero licenziati, ma i nuovi “continuarono nel furto facendo lega con i vecchi” e venne nuovamente fatta franare la galleria al punto da far sospendere i lavori.

Nel periodo compreso tra il 1760 e 1763, la miniera fu visitata da Giovanni Arduino da Vicenza che ritenne di individuarvi numerose e promettenti tracce di minerale, comunque tali da rendere economicamente valido uno sfruttamento. Ed è probabilmente seguendo le sue osservazioni e indicazioni che nel 1767 venne costituita a Firenze un’apposita Società che invia a Levigliani Bartolomeo Pastini ed il non meglio identificato signor Nargeret detto “il Patriarca degli Abissi”, ma anche questo tentativo ha breve vita.

Fra i metodi usati per il furto, oltre a nascondere il minerale e tornare a recuperarlo la notte, c’era anche quello di berlo poco prima del termine della giornata lavorativa e fra i suggerimenti di G.T.Tozzetti6, la necessità di costringere gli operai a rimanere in piedi oltre mezz’ora dalla fine del lavoro in casa di una persona di fiducia che “doveva però essere molto ben pagata per impedirgli di fare lega con i ladri stessi”.

Segue un lungo periodo di abbandono fino al 1834 quando Luigi Morel di Bouvine7 decide di riprenderne i lavori sotto la direzione dei F.lli Semack (vedi anche miniera di Ripa, Cap. 10), acquistando dalla Società dei Beni Comunali di Levigliani terreni e vecchi impianti già pertinenze della miniera. Sono così riattivate le gallerie e la vecchia casetta riconvertita in impianto idraulico per il trattamento del minerale con annesso forno per la distillazione, ma nonostante l’impegno economico i lavori debbono essere sospesi nel 1840 causa i mancati guadagni, dopo solo sei anni di attività.

Sempre dal Tozzetti apprendiamo la famosa descrizione della quantità di mercurio nativo “che una volta scoppiando una mina, colò tanto mercurio e seguitò a colare per quasi sei minuti, che i minatori, non avendo tanti vasi per raccoglierlo ne ammezzarono anche due cappelli”. Dopo anni di abbandono, il fiorentino Mario Martini convinse il Granduca a favorirlo nella sua iniziativa di riattivazione della miniera ottenendo sia il “Bando del Privilegio di cavar minio” che una sovvenzione di 120 scudi che servirono alla ripresa delle attività poi protrattasi solamente fino all’esaurimento delle finanze a cui fece seguito un ulteriore abbandono.

Luigi Morel Di Bouvine (a volte indicato anche con De), già membro della terna rappresentante gli azionisti privati nella conduzione e gestione delle risorse minerarie elbane e magona dopo il Congresso di Vienna (vd. Cap. 6) è uno di quei “capitalisti stranieri” del Post-Restaurazione e giunge ad interessarsi della nostra miniera cinabrifera dopo episodi speculativi fatti ed in corso nell’isola e così brevemente riassunti: nel 1819 erano stati posti in vendita beni comunali immobili dei comuni elbani e Morel, forte della posizione occupata, acquista da quello di Portolongone (contratto 2 dicembre 1820) la vasta tenuta di Monte Calamita stimata in 67 ettari per la somma di Lire toscane 4.117 – 12 soldi e 3 denari – con lo scopo non dichiarato di impadronirsi poi anche delle miniere; nel 1823 il comune sospettando una estensione truffaldina dei confini pretende una nuova misurazione che accerta trattarsi di 138 ettari invece dei 67 dichiarati obbligando Morel al pagamento di quanto non incluso nel precedente contratto (stiamo vedendo una fotocopia di quanto avvenuto in Versilia per gli agri marmiferi (Federigi, F. 1981). Morel fa buon viso a cattiva sorte per poter proseguire nell’intento originario tanto da approfittare dei moti politici del 1848 per sobillare gli elbani alla rivendicazione della proprietà del sottosuolo ma nonostante la discussione al parlamento toscano la cosa non ha seguito. Forse deluso nelle aspettative con contratto in data 5 gennaio 1854 la tenuta viene venduta alla contessa Boissy, includendovi clausole tali da dimostrare chiaramente le intenzioni dei due contraenti in tema di proprietà delle miniere del sottosuolo tanto che l’anno seguente la contessa intenta causa al Granducato di Toscana e la questione verrà risolta solamente nel 1862 dalla Magistratura ed a favore dello Stato Italiano (sentenza 25 aprile 1862). Estratto da: Garbaglia, G. 1938. Miniere di Ferro dell’Elba, in AA.VV. Mostra Autarchica del minerale italiano, Roma.

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Il 1700 è il secolo dell’illuminismo con i suoi viaggiatori, per la maggioranza stranieri, che annotano e descrivano tra cui lo svedese naturalista R. Argerstein che venne a visitare la miniera nel 1751, in occasione di un suo soggiorno a Seravezza lasciandone testimonianza con la nota del 19 settembre che trascrivo: Quella (miniera) di mercurio e/cinabro sono in un’istessa vena, ma/distanti l’una dall’altra circa/200 passi/la vena, che non pare essere molto/larga, fa il suo corso verso/mezzogiorno e inoltrasi verso/levante in un monte ormai precipitoso./Un vecchio che ha lavorato 40 anni/ fa a questa miniera, racconta/che hanno levato 30 libbre al giorno/di argento vivo ma in ultimo/non più di libbre

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Targioni Tozzetti, G. 1772. Volume VI: 241 e segg..

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69 Miniera cinabrifera di Levigliani

Fig. 11.1. Miniera di Levigliani, pianta schematica.

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 11.2. Miniera di Levigliani, ingresso Galleria Cavetta prima del recupero (Foto T. Kurz).

1860 eseguito dalla guardia municipale Alfredo Citti con relativa relazione “All’Ill.mo Sign. Gonfaloniere di Stazzema” e confermante quanto denunciato9.

Incurante degli insuccessi precedenti, nel 1844 il Principe Ponyatowski rileva beni e diritti Morel, riprendendo le escavazioni che ancora una volta è costretto ad interrompere dopo un solo anno di attività, sempre per mancanza di utili.

Fino al 31 dicembre 1882 la sede municipale di Stazzema continuó a rimanere a Ruosina cosí come lo era stata per motivi logistici di vicinanza al centro del potere (Pietrasanta) nel periodo di enclave fiorentina, ma con l’elezione a sindaco di Eugenio Bertellotti si realizza il suo vecchio sogno di trasferirla a Ponte Stazzemese come in effetti avviene dal 1 gennaio 1883.

Da segnalare comunque l’acquisto di immobili e terreni anche nelle comunità di Levigliani e Terrinca; genericamente si parla di una riattivazione verso il 1852/54 da parte della fiorentina Rogerius e Soci responsabile poi dei danneggiamenti e dello stato di pericolosità dell’allora via Comunitativa, come conseguenza dei materiali accumulati e dei detriti proiettati durante lo scoppio delle mine.

Incerta così risulta una diretta gestione Rogerius, mentre appare che il cittadino francese Carlo Andony ottenne dal Ponyatowski, per la durata di 50 anni, i diritti di escavazioni per cinabro ed altri minerali presenti o che fossero rinvenuti nelle sue proprietà di Levigliani e Terrinca dando vita alla Società Generale delle Miniere di rame e mercurio in Toscana10, della quale si ignorano sviluppi e risultati, ma comunque in essere quanto meno fino al 1876 come rilevabile dall’opposizione fatta durante i lavori di apertura del nuovo tracciato stradale per la Garfagnana (l’attuale via d’Arni). Questa Società infatti temeva danneggiamenti

Tuttavia dalla documentazione dell’epoca che ebbi modo di consultare intorno al 1980 presso l’Archivio Comunale di Stazzema, purtroppo anch’esso spazzato via dalla tragica alluvione del 19 giugno 1996, non sembrerebbero accertabili vere e proprie coltivazioni minerarie o almeno apparentemente riconducibili a lavori di cava8. Vi sono tuttavia azioni riguardanti la pericolosità e i danneggiamenti sfociati in petizioni popolari seguite da sopralluoghi, come ad esempio quello del 4 settembre

Documentazione dall’Archivio Storico di Stazzema. La denominazione sociale porta a ipotizzare anche un interesse per i piccoli depositi cupriferi della cosiddetta Alpe di Terrinca (Betigna Lievora etc.). 9

Un avvallo a questo in Federigi, F. 1991. Memoriale per i componenti del Municipio di Stazzema scritto da Federigo Neri Capo Cava dei Signori Rogerius e Soci 14 novembre 1860: 75, note 8 e 9.

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Miniera cinabrifera di Levigliani ai propri impianti in località Al Forno presso Terrinca, e rifiutando la temporanea copertura degli stessi con fascine di legna messe a protezione dal materiale proiettato dalle mine come normalmente faceva la ditta costruttrice della strada, creó con questa un diverbio per risolvere il quale, vista l’importanza dell’opera viaria, intervenne la Pretura di Pietrasanta con inventario, misurazioni, stima di immobili terreni e dei beni a cui segue l’immediata ingiunzione di abbandono coattivo per tutta la durata dei lavori a partire dal giorno successivo 14 luglio 187611.

Vighi della RiMin13. Quest’ultimo, nella propria relazione tecnico geologica14 evidenzia il limitato sviluppo dei lavori, la mancanza di ricerche per accertare l’estensione e la consistenza del giacimento dove i filoncini HgS sono molto spesso discontinui e raramente raggiungono i 3 mm di spessore, elemento da cui viene calcolata una stima di resa inferiore a 1%. Inoltre nonostante la vicinanza della strada e la presenza di acqua ed energia elettrica, la natura accidentata del terreno renderebbe difficoltoso installarvi impianti minerari e cosí, conclude, la miniera è priva di rilevanza economica.

A questa data segue un lungo abbandono fino al 1929, quando operante la nuova Legge Mineraria Nazionale la Società Bolognese Avv. Decio Ferrarini e C. richiede il permesso di ricerca12 per cinabro e mercurio, ottenendolo nel mese di ottobre ed iniziando così lo sgombero dei detriti nei cantieri Cavetta e Speranza, per circa una trentina di metri complessivi.

La zona in oggetto è compresa comunque fra le aree dichiarate depresse godendo cosí di agevolazioni e contributi anche per attrezzature produttive. Nel 1957 la miniera viene ripresa dalla ditta Motosi e Porciatti di La Spezia (in seguito solamente Motosi), attiva anche nella non lontana Miniera Cinabrifera di Ripa, impresa che sembra avere legami con la M.A.V. (Miniere Alta Versilia) di Calcaferro, cosa che tuttavia non sono riuscito nè ad accertare nè a smentire.

Ma tutto si limita a questo a cui segue di nuovo abbandono e disinteresse fino al marzo 1956, quando miniere e circondario vengono visitati ed indagati dall’ingegner

Fig. 11.3. Miniera di Levigliani, vecchio impianto di flottazione. 11 La società in questione è la costruttrice Società di Arni, e per una più ampia cronologia e storiografia sulla stessa vedi Federigi, F. 1991. 12 Da notare la nuova dizione “permesso di ricerca” introdotta dalla neonata Legge Minerale Nazionale (vedi appendici) che prevedeva una prima fase di lavori esplorativi connessi appunto al permesso e la trasformazione successiva, se del caso, in vera e propria concessione mineraria con tutti i diritti ed obblighi derivanti.

13 Società consociata alla S.A.M.I.N. e dedita alla ricerca mineraria di base nella intera penisola quale consulente delle altre società minerarie del gruppo Eni. 14 Rapporto interno 12776, 1956.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Unica certezza la cogestione del piccolo mulinetto di frantumazione a mascelle in località Argentiera all’inizio del piano inclinato delle miniere del Bottino con la Società S.C.E.L. (Società Cuprifera Emiliana Ligure) gestore delle coltivazioni nel cantiere La Rocca.

e Franchi, ¼ all’accusatore segreto o palese, ¼ al Magistrato o Rettore che dovrà giudicare ed inoltre quest’ultimo potrà imporre” pene anco afflittive di corpo secondo la circostanza dè casi”. Tutta la produzione potrà essere inviata “per terra o per mare” alla Dogana di Pisa per il successivo inoltro a Firenze senza pagamento di Gabella o passo e lo sdoganamento a Firenze è fissato “in L. 3 al 100 comprensiva in tale somma anco la Gabella di Pisa ed il Passo di San Miniato”; tutti gli addetti ai lavori dovranno avere” una licenza scritta e sottoscritta dal Sovrintendente della Stamperia con il sigillo di detta stamperia”, il canone di affitto per la casetta con gli annessi è stabilito in 200 scudi in 10 anni da pagarsi anticipatamente in 10 rate annue ma alla fine del rapporto e pagamento tutto rimarrà proprietà dei beneficiari tenuti comunque ad accollarsi le spese necessarie per la manutenzione.

Altrettanto vero è che nel periodo 1957-60 vengono abbattute svariate tonnellate di roccia mineralizzata, poi cernita a mano e trattata nel minuscolo impianto di flottazione con attiguo forno di distillazione, il quale venne realizzato in maniera alquanto precaria e sporgente a strapiombo sul sottostante canale delle Volte (o Voltre), comprensivo anche di un piccolo ufficio mentre i compressori orizzontali, l’officina, il magazzino e il locale operai convivevano in una baracca a quota superiore, lungo il viottolo per la galleria Cavetta. I risultati produttivi non furono mai eclatanti visto che il tout-venant stenta spesso a raggiungere il 2 per mille di tenore di mercurio, ma il gestore si fa forte di una relazione geologico-mineraria dell’Istituto Minerario di Genova15 allegata alla seconda relazione dell’ingegner Vighi dell’aprile 196016, e soprattutto delle proprie stime che prevedono l’estrazione di 300 tonn/giorno di materiale equivalente a circa 345kg Hg con un guadagno mensile superiore a lire 13 milioni.

Franc. Galeotti Cancelliere19

11.1. Descrizione gallerie Galleria o Cava Romana È la prima che si incontra procedendo lungo il vecchio sentiero, lo sviluppo è limitato e la parte finale è invasa dalle acque che penetrano da una grossa discenderia a tetto. La profondità delle acque varia dai 10 ai 60/80 cm. verso il fondo, dopo circa 50/60 metri dall’ingresso si accede ad un grandissimo camerone con a tetto la sopracitata rimonta, il che consente una discreta illuminazione limitando però la ricerca con la luce di Wood.

Il lavoro delle poche maestranze diviene così anche notturno, ma ben presto si prospetta una realtà ben diversa da quella sperata, per cui ai periodi di attività seguono lunghe sospensioni in attesa di sovvenzioni, periodi che sfociano nel nuovo e definitivo abbandono intorno alla seconda metà degli anni 60, quando vi rimarrà poi solamente un guardiano, l’amico Enrico17.

Benchè sia una piccola galleria è interessante per i campioni mineralogici rinvenibili quasi sempre in matrice di piccole dimensioni a causa della durezza della matrice. Pressoché assenti sono i filoni di quarzo.

Bando 31 Maggio 1718 (sintesi) Il “privilegio è concesso su esplicita richiesta dei Tartini e Franchi che unitamente hanno chiesto grazia di poter essere soli a far cavare il minio nelle miniere di Levigliano e di tutto il Capitanato di Pietrasanta, siccome di potersi servire della casa e dell’edifizio di S.A.R. per tale effetto fatta comprare e fabbricare vicino alle miniere”. La concessione è ispirata dal desiderio che ha il Granduca “che nella sua città di Firenza si augumentino sempre più i lavori a benefizio dè poveri” il periodo di durata è stabilito dal 23 Marzo 1717 ab incarnationem18 al 20 Marzo 1727 ab incarnationem e che nessuno possa cavare o far cavare il minio nei luoghi suddetti & o altri luoghi de felicissimi stati di S.A. sotto pena di scudi 100 a ciascuna persona che ardisse farlo ed oltre la perdita del minio che fosse stato cavato, la sanzione verrà così suddivisa: ¼ al fisco, ¼ ai privilegiati Tartini

Se la ricerca venisse condotta in periodi di grande piovosità è consigliabile una accurata ispezione del letto nella parte terminale della galleria, dove le acque che tracimano dal camerone smuovono e dilavano vecchie risulte abbandonate, mettendo spesso in luce campioni di cinabro. Da poco oltre l’ingresso fino quasi alla parte finale sono rinvenibili piccole goccioline di mercurio nativo che ben si evidenziano sulla matrice scura della roccia incassante, ed a volte le suddette si presentano associate a patine di cinabro. Negli ultimi 8/10 metri, la ricerca con luce di Wood20 ha evidenziato in entrambe le pareti efflorescenze rosse, mentre quasi a letto della parte destra (avanzando) le stesse erano verde pisello. Purtroppo non sono mai riuscito a scoprire con certezza la loro natura, pur avendo utilizzato anche uno strumento geiger che non segnalò anomalia. Nel camerone finale sono molto diffusi in matrice di scisto verde, cristalli di pirite cubica con dimensioni anche centimetriche, comunque difficili da asportare proprio per la durezza della matrice stessa.

Prof. S. Conti e dott. R. Terranova, sezione Geologia. RiMin T562. 17 A Enrico, prematuramente scomparso, confessavo candidamente la saltuaria intrusione nella miniera. 18 In Toscana il computo del tempo veniva calcolato con la data di concepimento di Gesù Cristo e non con la Sua nascita. 15 16

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Cantini, L. Legislazione Toscana, Tomo 12 Fi 1806 (A.S.C.P). Giornata molto scura, lampada portatile P.A.S.I. ad onda corta.

Miniera cinabrifera di Levigliani

Fig. 11.4. Miniera di Levigliani, resti dei forni per la distillazione distrutti a seguito dell’alluvione del 1996.

Galleria o Cantiere Cavetta

superando la discarica e risalendo con precauzione il buttaggio, avvalendosi anche della vecchia tubazione ad aria compressa rimasta in loco.

Avanzando ancora ed elevandosi di quota, una volta superato il piccolo ruscello o Solco della Rave, si accede ad un piano di carreggio dove sono ancora visibili21 il binario Decauville e quanto rimane del vecchio locale compressori-officina con attiguo spogliatoio refettorio dove sopravvivono camino e tavolo con panche laterali, quest’ultimi comunque già scomparsi nel 1980. Dopo circa 50 metri si apre l’ingresso della galleria un tempo sbarrato da uno sgangherato portone di legno. Specie nella parte iniziale essa è molto ampia e con altezza decrescente man mano che ci si inoltra, ma comunque sempre superiore a m. 1,80-2.

Percorrendo il ramo sinistro, sempre ampio e non pericoloso, si giunge ad una vasta cameretta terminale dove una ormai fatiscente scaletta in legno permette di accedere alla rimonta per il livello Speranza (15/20m. circa di percorso), ma è tuttavia sconsigliabile inoltrarsi stante la pericolosità dovuta allo ”spanciamento” dei muretti a secco che trattengono le rimonte, forse non ancora per molto tempo dal momento che l’autore le ha visionate nel 1970. Tutta questa parte è umida e specie nel caminetto vi è quasi sempre uno stillicidio.

Dopo pochi metri si perviene ad una grossa e ripida rimonta caratterizzata, così come le adiacenti pareti della galleria stessa, da filoni di quarzo abbastanza potenti e matrici di mercurio nativo. Rarissimo il cinabro ed ancor più rari i microcristallini di metacinnabarite. Il filone più ricco è quello interno alla rimonta, dove qualcuno ha drizzato a beneficio di tutti una campata di binario Decauville su cui è possibile salire in precario equilibrio e procedere nella ricerca. Procedendo ancora s’incontra una piccola galleria con sporadiche tracce di mineralizzazione, poi una biforcazione il cui ramo destro termina dopo pochi metri in una discarica di materiale proveniente dai livelli del sovrastante cantiere Speranza che è da qui raggiungibile 21

Galleria o Cantiere Speranza Sempre tramite il sentiero di arroccamento si perviene al Cantiere Speranza che era poi il principale di tutto il complesso mineralizzato, quanto meno nel periodo degli ultimi lavori. Più che di un ingresso si può parlare di una serie di imbocchi che immettono nel grandissimo stanzone di coltivazione, dove incontriamo le discenderie per la sottostante Cavetta ed il pozzo di buttaggio, mentre una seconda discenderia iniziata non venne mai finita. Il pavimento è completamente sommerso da resulte abbandonate e materiale di franamento a parete ed in parte a tetto per cui è sconsigliabile inoltrarsi.

Ricordo comunque trattasi di visite del 1970/74.

73

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Galleria Lunga Ultima in assoluto si raggiunge un po’ laboriosamente a causa dell’invasione del sentiero da parte del sottobosco. Lo sviluppo è completamente o quasi percorribile in periodi di secca, mentre in epoca di piovosità l’acqua penetra liberamente dalle discenderie che servirono per seguire la mineralizzazione fino in superficie. 11.2 Mineralogia La miniera di Levigliani rappresenta un unicum nel panorama mineralogico nazionale, a causa della presenza di una interessante associazione a Hg-Zn-Fe in ambiente metamorfico. Oltre alla relativa frequenza di mercurio allo stato nativo, sotto forma di goccioline all’interno delle vene quarzosocarbonatiche, la miniera è nota per essere la località tipo della grumiplucite, un raro solfosale di mercurio e bismuto finora scoperto in sole due località al mondo. I minerali ad oggi identificati nella miniera di Levigliani sono i seguenti (in grassetto i minerali scoperti per la prima volta al mondo in questa località con il riferimento alla descrizione tipo): albite, “apatite”, aragonite, calcite, calcopirite, calomelano, cinabro, “clorite”, dolomite, epidoto, galena, goethite, grumiplucite, malachite, mercurio nativo, millerite, muscovite, nesquehonite, pirite, pirrotina, quarzo, sfalerite, siderite22.

22

Orlandi et alii 1998.

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LE MINIERE. PARTE II COLTIVAZIONI MINERARIE MAGGIORI

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12 Miniera di Buca della Vena Minerali ferrosi in prevalenza (magnetite - ematite) e barite (Tavv.33-34) Although the toponym of this mine hints at very ancient use the first documentation of activity belongs to the extensive mining exploitation in the area by the Medici 1542/43, but like the others mines it was soon abandoned for the much more productive iron deposits on Elba island. In 1848 a brief exploitation is documented by the Stazzema company Società Anonima delle Miniere di ferro di Stazzema, but again followed by a long period of abandonment until 1938, when a keen interest in mines prompted a new exploitation under the name of Società Catenificio Ingegnere Carlo Bassoli. From this period the mine was widely exploited by different companies active in the region and with large investments in mining equipment due to its high productivity. This lasted until 1985, when the mine was finally closed. From this mine more than 70 different mineralogical types are known, 11 of which were first discovered here, and some of them still only attested in this location. A seguito degli eventi alluvionali del 1996 che hanno in parzialmente modificato l’originaria topografia della parte iniziale del vecchio sentiero di arroccamento, la Buca della Vena è comunque raggiungibile solamente a piedi in circa 30/35 minuti, risalendo quel sentiero che dipartendosi dalla non lontana località Molino degli Olivi1 porta alle cosiddette Case Alte o la Croce di Stazzema, dove si incontrano ben presto due grosse depressioni di origine carsica e dove il suddetto sentiero si biforca per ricongiungersi poi sul piazzale della miniera stessa. Seguendo il ramo destro si perviene così alla stazione di partenza della ex teleferica di servizio già alimentata da una Decauville proveniente direttamente dal sottosuolo in coltivazione.

un non meglio definito “Maestrone”. Nonostante quelli che sembrerebbero essere stati buoni risultati iniziali, le attività minerarie, così come le altre intraprese dalla stessa Compagnia sempre nel Capitanato, ebbero vita breve contrastando con gli interessi monopolistici della Magona, peraltro anche invano sollecitata ad essere l’unico acquirente dell’intera e futura produzione. Segue un lungo abbandono fino al 1848 quando ormai, definitivamente scomparsi i vecchi privilegi magonali, la neonata e senese Società Anonima delle Miniere di ferro di Stazzema4 inizia un nuovo tentativo di sfruttamento, purtroppo ben presto interrotto non per mancanza di minerale bensì per la presenza inquinante di barite che, allora difficilmente separabile, lo rendeva inadatto ai processi metallurgici del tempo.

Questa miniera è conosciuta, e forse anche sfruttata ad uso locale, nei livelli più alti degli affioramenti già in epoche lontane, come suggerisce il nome stesso del sito mineralizzato2. Tuttavia anche in questo caso mancano documentazioni attendibili salvo ipotetiche connessioni con le attività di quel non meglio identificato ”Forno di Gualingo nella vallata del Cardoso” citato dal Santini ed altri. Precedentemente è attestato un interesse allo sfruttamento nel 1542/43 in concomitanza con l’inizio della campagna mineraria Medicea nell’allora Capitanato di Pietrasanta, ben presto interrotto a favore del ben più redditizio minerale ferroso elbano (vd. Cap. 6).

Seguono novant’anni di inattività ed è solamente nel 19385, quando l’Italia è ormai in pieno regime di autarchia e domina l’idea di sfruttare tutto quanto è disponibile indipendentemente dai costi di esercizio, che la Società Catenificio Ingegner Carlo Bassoli richiede il permesso di ricerca per minerali ferrosi e manganese, iniziando così i lavori per le infrastrutture previo trasporto in loco di un motocompressore in grado di alimentare tre martelli, con i quali si procede allo sbancamento e livellamento del piazzale, e alla sua estensione su muraglione a secco.

Attenendosi alla vecchia letteratura mineraria, intorno alla fine del 1600 vi operò la cosiddetta Compagnia del Padre Paci3, che utilizza manodopera locale diretta da

contrasto con la Magona che riuscendo a prevalere fece di fatto cessare ogni attività già prima della fine del secolo da cui la tradizionale riportata disperazione del religioso e sua fuga in Francia dove ne sopravvenne la morte; sempre attenendosi alla vecchia letteratura, tuttavia non dimostrabile, vi furono comunque interventi anche nei depositi ferriferi di Calcaferro, Valdicastello e Monte Arsiccio. 4 Appositamente costituita a Siena nel 1846/47 aveva nei propri progetti anche lo sfruttamento di Monte Arsiccio. 5 È stata prospettata una ripresa dei lavori a cavallo tra fine 1800 ed inizio 1900, cosa possibile come sembrerebbe confermare il Rendiconto alla Accademia dei Lincei del Prof. U. Panichi che relaziona su minerali qui presenti (Panichi, U. 1911). e così pure durante le attività minerarie della Società S.A.M.A. (vd. miniere del Bottino Cap. 16) dopo il 1919/20, ma purtroppo personalmente non sono riuscito a trovarne riscontri.

Già sede della antica ferriera di Malinventre poi Migliorini fino al 1996. Per memoria, fino quasi a dopo la seconda metà dell’800 i minerali vennero anche genericamente indicati come “Vena” ed anzi nel caso di particolari concentrazioni e rendimenti produttivi spesso si parla di “Cuore della Vena” da cui il toponimo. 3 Padre Bonaventura Paci, definito da V. Santini “Dott. Sorbonico e maestro di Rettorica“, fu un religioso livornese che insieme ai parenti iniziò ben oltre la seconda metà del 1600 lo sfruttamento minerario metallurgico dei minerali ferrosi entrando, così come visto, in aperto 1 2

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Immediatamente successiva è la messa in opera di una Decauville fino alla stazione di partenza della costruenda teleferica a contrappeso lunga 250 metri, e che già operativa nell’anno successivo farà da collegamento con il piano stradale della via per Cardoso.

Seguono il piazzamento di un motocompressore, la ricostruzione della teleferica andata pressoché distrutta ed i rilevamenti geologico-topografici necessari, per il proseguo lavori. Operazioni che assorbono tutto il 1956 e la prima parte dell’anno seguente.

Coevo è l’inizio della Galleria Bassoli (metri 359 circa s.l.m.), che diventa l’ingresso principale e il piano di carreggio dell’intero complesso mineralizzato, così lo rimarrà anche durante tutte le gestioni successive fino alla definitiva dismissione dei lavori.

Il 1957 vede la Società E.D.E.M. Miniere S.p.a. di Valdicastello richiedere il permesso di ricerca per barite, denominato Olecchia, nella zona dei passati lavori intrapresi nelle adiacenze di Casa Pensieri, rendendo successivamente agibili le gallerie e circa 40 metri di pozzetti. A questo si aggiunge il contemporaneo tracciamento di una nuova galleria compresa fra le quote di 397 e 383 metri per seguire l’andamento di uno strato di barite con potenza stimata da 1 a 2,50 metri e pertanto ritenuto molto promettente.

Nel 1940 vengono presi in esame anche i depositi a baritelimonite affioranti a c.a. 414 m. s.l.m. nelle adiacenze della cosiddetta Casa Pensieri dove viene posizionato un secondo motocompressore con il quale nel corso del 1941 vengono perforate due brevi gallerie esplorative (rispettivamente lunghe m. 38 e 17,5), le quali forniscono risultati incoraggianti ed inducono alla costruzione di una nuova e minuscola teleferica di raccordo con la principale, per agevolare lo smaltimento dell’attuale e futura produzione.

Coevi sono i lavori di esplorazione e ricerca a cielo aperto. Restano a me ignoti i risvolti della convivenza fra i due gestori, ma rimane comunque il fatto che durante un tradizionale pranzo di Santa Barbara (vedi miniere di Valdicastello Cap. 15) il commendatore E. Sgarroni, tracciando come d’uso un excursus societario, non nascose la propria soddisfazione personale per essere riuscito ad ottenere la concessione mineraria per l’intero giacimento.

Sulla scia di queste buone premesse la Società pensa di incrementare la propria produzione di ghisa ed acciaio realizzando nel proprio stabilimento un nuovo forno elettrico da 2500Kw/h.

Infatti dal 1959 subentra quale unico esercente la Società S.I.M.A (Società Industriale Miniere e Affini) con sede a Pietrasanta e consociata E.D.E.M., con sede a Pietrasanta che interrompe le ricerche potenziando i lavori di infrastrutture. Tra questi si ha la creazione di una linea elettrica ad alta tensione che dal fondovalle raggiungeva l’apposita cabina di trasformazione adiacente l’ingresso Galleria Bassoli, lavori che proseguono fino alla prima metà del 1961, data dopo la quale gli sforzi si concentrano nella realizzazione di un piccolo impianto, per il trattamento preventivo del minerale che risulta ultimato a settembre del 1962.

Nel 1942 subentra però improvvisamente come gestore la Società Nuovo Pignone che subito installa un nuovo motocompressore da 25 HP azionante due nuovi martelli ed in previsione di grandi sviluppi, così come fortemente sperato e desiderato dal regime al potere, ha inizio la costruzione dell’abitazione per il guardiano con annesso ufficio per il direttore di miniera e la limitrofa officina manutenzioni, riparazioni e forgia del fabbro, i magazzini spogliatoio e il refettorio operai. Osannato dalla stampa d’epoca, specie di regime, il tutto venne descritto come “modernissimamente attrezzato ed in grado di accogliere 50 persone contemporaneamente”6.

Anche durante il 1963 non avvengono né escavazioni né ricerche, ma si procede alla costruzione di un nuovo ed apposito locale immediatamente sottostante la cabina elettrica adibito a sala compressori ed al loro trasporto e piazzamento. I compressori sono trasportati alla miniera in parte per via teleferica, così come i componenti più leggeri come bulloneria, pistoni, bielle etc., mentre le carcasse a forza di braccia risalendo dalla sottostante ferriera Migliorini lungo il tracciato del sentiero, e superando le asperità con improvvisati piani inclinati rimovibili e riutilizzabili per il proseguo, in pratica una via di lizzatura marmi utilizzata alla rovescia.

Grazie alla maggiore capacità operativa ed all’aumento degli addetti si incrementa anche la produzione, iniziando ad estrarre da due costruende discenderie che si dipartono dal livello Bassoli realizzate per futuri lavori sottostanti. Ma ormai la guerra è alle porte ed in seguito alla disgregazione connessa agli eventi dell’8 settembre 1943 tutto viene abbandonato e solo nel 1955 la Società Pignone Mineraria, una trasformazione della precedente società, richiede un nuovo permesso di ricerca per barite e pirite limitatamente ai vecchi lavori facenti parte alla Galleria Bassoli ed iniziando nel corso del 1956 lo sgombero dei franamenti avvenuti durante l’inattività.

In questo anno si conclude anche la manutenzione ordinaria generale che comporta la sostituzione di diverse attrezzature interne ormai deteriorate.

6 Pur variando nel tempo la destinazione d’uso dei manufatti, sono stati utilizzati fino alla dismissione lavori salvo le parti via via divenute pericolanti se non scoperchiate per franamento dei tetti causa mancanza di manutenzione da ricondursi all’ impoverimento della produzione e ridimensionamento in negativo di manodopera.

Il 1964 vede ultimato sia l’assemblaggio e collaudo dei compressori che l’impianto di flottazione appositamente realizzato ex novo dalla Società Bario e Derivati nel 78

Miniera di Buca della Vena proprio stabilimento di Massa Zona Industriale, dove è previsto che confluisca l’intera produzione S.I.M.A., come da accordi contrattuali sottoscritti.

per scoraggiare le ormai frequenti intrusioni illegali in galleria ed i relativi vandalismi. Sempre nel corso del 1968 si aggrava il problema dell’inquinamento della barite da parte di magnetite e ematite che sempre di più la sostituiscono con l’abbassarsi della quota in coltivazione, tanto da renderla non più commerciabile con la Soc. Bario10, per cui si ha l’abbandono della ormai inutile frantumazione preventiva alla miniera ed il dirottamento dell’intera produzione agli impianti della consociata Soc. E.D.E.M. di Valdicastello.

Intanto alla miniera sono portati a termine rilievi, tracciamenti e ricerche sempre a quota più elevata, lavori che durante il corso del 1965 verranno ulteriormente estesi con sondaggi a carotiere i quali confermano la buona presenza di minerale anche in profondità, così come era stato ipotizzato. Finalmente iniziano le vere e proprie coltivazioni minerarie partendo appunto da questi livelli, da allora indicati in cartografia come Casa Pensieri e San Leonardo, adottando come tecnica di scavo il sistema vuoti/colonne grazie alla compattezza della roccia incassante che non richiede armamento.

Proprio per seguire l’andamento delle mineralizzazioni, nel 1969 vengono iniziate piccole rimonte dalla Galleria Bassoli verso le coltivazioni in atto, rimonte che confermano la pressoché totale sostituzione della barite.

La produzione si attesta intorno alle 1000 T/mese di barite molto pura e così avviene anche nel triennio seguente tantochè le relazioni del 1968 dichiarano pressoché esauriti tutti quei cantieri coltivati al di sopra dei 385 metri.

Fortunatamente durante il 1970 si verifica una massiccia domanda di mercato per materiale misto a barite-ematitemagnetite dovuta al boom del nucleare, tanto che per fronteggiare le richieste vengono abbattute vecchie colonne mineralizzate a quota superiore i 397 metri, area ormai da tempo considerata sterile. Proseguendo la favorevole congiuntura è intensificato lo sfuttamento dei livelli intermedi in modo tale che nel corso del 1975 risultano praticamente esauriti tutti i cantieri al di sopra della Galleria Bassoli. Da quest’ultima inoltre viene realizzato il distacco di una discenderia per raggiungere e raccordare le nuove coltivazioni con il proseguo delle esplorazioni in profondità, attività integrata da ricerche esplorative nella zona di Casa Pensieri per l’individuazione di eventuali sacche o tasche mineralizzate a barite con elevati o almeno accettabili requisiti di purezza, ma i risultati sono deludenti.

Sempre in questo periodo viene affrontato il problema della modifica alla stazione di arrivo della teleferica arretrandola di alcune decine di metri, previa sistemazione del piazzale di manovra automezzi e perforazione della roccia sottostante il nuovo punto di arrivo. Qui viene creata una vasta tramoggia di stoccaggio dotata di una bocca per lo spillamento a livello superiore del pianale di carico dei camion utilizzati per il trasporto, bocca/ tramoggia azionabile direttamente dall’autista del mezzo7. Proprio in concomitanza con questi interventi, il giovane minatore signor Lando Milani8 si guadagna la stima del responsabile societario in loco il perito minerario signor Fiorini riuscendo a far funzionare in modo continuativo i martelli utilizzati a valle nelle perforazioni descritte, martelli alimentati direttamente dai compressori alla miniera tramite una precaria tubazione9. Milani passa così immediatamente dal lavoro in sotterraneo all’officina manutenzione, arrivando infine a coprire il ruolo di capo servizio fino alla dismissione delle attività estrattive, ed assumendo negli ultimi periodi della miniera compiti di guardianaggio e sorveglianza festiva, sia per il controllo delle pompe automatiche di svuotamento delle acque che

Il problema del sollevamento minerale dai nuovi cantieri al piano di carreggio venne superato con due ampie discenderie dotate di binario Decauville ed argano elettrico e piattaforma ruotante in testa. Si arriva così agli anni 1978/1980 con il progressivo abbassamento dei livelli di lavoro mentre inizia a manifestarsi una parallela scomparsa di mineralizzazioni, con l’incontro di sempre di più vasti e spessi strati di sterile smaltiti nella discarica. A niente approdano i sondaggi con carotiere spinti sempre di più in profondità. Aggiungiamo la messa al bando del nucleare (questo per l’Italia) e soprattutto la sempre più agguerrita concorrenza di paesi neoproduttori ed in via di sviluppo come, rimanendo nel solo bacino Mediterraneo, la Turchia ed in particolare il Marocco11,

Rimarranno comunque pressoché inalterate le due funi portanti avendo così la possibilità di fare giungere al livello piano-piazzale un carrellino e/o piattaforma rimovibili dove caricare e far risalire materiali vari come ad esempio fustini di carburo, bombole gas tecnici, combustibile per locomotore etc.. 8 Proveniente da una tradizionale discendenza di ferraioli, il padre già fabbro nelle miniere di Calcaferro ed i consanguinei titolari dell’omonima ditta artigianale nella natia Pomezzana da dove continuano ad uscire ricercatissime attrezzature manuali per gli scultori del marmo. 9 La tubazione da 1” Gas (diametro 32,5 mm.) era stata realizzata con vecchio materiale di recupero tanto che la ruggine interna distaccandosi provocava il frequente intasamento dei filtri con necessità di smontaggio e ripristino ed ecco l’idea di una martellatura esterna per tutto lo sviluppo alternando getti di aria compressa fino a raggiungere un rendimento accettabile. 7

10 Come da accordi contrattuali la purezza del prodotto non doveva discendere al di sotto del 60% ma nell’evento vi furono crolli fino al 30-35% vanificando il lavoro di laveria e flottazione. 11 Significativa e quasi profetica la relazione dell’ultimo direttore minerario E.D.E.M Sign. G. Perito Minerario Santomaso di ritorno da un viaggio di lavoro proprio in Marocco nelle locali coltivazioni a barite, il quale evidenziando la tipologia di scavo a cielo aperto ed il basso costo della manodopera concluse dicendo: Quando si sveglieranno davvero sarà la nostra fine.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 12.1. Miniera Buca della Vena, locomotore di servizio.

nazioni che innescarono quella sfavorevole situazione di mercato che raggiunse il suo epilogo con l’estrema rarefazione delle commesse dalla seconda metà del 1985, sfociando nell’inevitabile forzoso abbandono di ogni attività mineraria e di trasformazione nel 1987/88, a seguito del tracollo della consociata casa madre Società E.D.E.M..

esse, rappresenta ancora l’unica località di rinvenimento al mondo.

Prima di concludere, un breve cenno delle principali gallerie entro i cui limiti di livello si susseguirono le coltivazioni sempre comunque condotte con il sistema dei vuoti/colonne salvo gli ultimissimi lavori di ricerca che portarono anche l’ulteriore problema dell’aumento di acque reflue come sempre smaltite con le vecchie pompe elettriche:

albite, allanite-(Ce), allanite-(La)12, anatasio, andorite, apuanite13, aragonite, auricalcite, azzurrite, barite, berillo, boulangerite, bournonite, brannerite, calcite, calcopirite, calcostibite, cerussite, chapmanite, cinabro, clinocloro, coloradoite, dadsonite, derbylite, dessauite(Y)14, destinezite, dolomite, dravite, ematite, fluorapatite, fluorite, galena, gersdorffite, gesso, karelianite, magnetite, malachite, mapiquiroite15, marrucciite16, metacinabro, millerite, monazite-(Ce), montroseite, muscovite, oxycalcioroméite17, pecoraite, pellouxite18, pillaite19, pirite, quarzo, robinsonite, rouxelite20, rutilo, scainiite21, schafarzikite, senarmontite, sfalerite, siderite, smythite, spessartina, stibivanite, stibnite, stolzite, tetraedrite,

Lavori di casa Pensieri/ San Leonardo Galleria Bassoli Galleria Sant’Antonio Galleria San Tarcisio

Il corposo elenco di specie mineralogiche ad oggi identificate è il seguente (in grasseto le specie scoperte a Buca della Vena, seguite dagli autori della descrizione tipo):

mediamente metri 414 s.l.m. metri 359 s.l.m. metri 352 s.l.m. metri 347 s.l.m.

Orlandi, P., Pasero, M. 2006. Mellini, M., Merlino, S. e Orlandi, P. 1979. 14 Orlandi, P., Pasero, M., Duchi, G. e Olmi, F. 1997. 15 Biagioni, C., Orlandi, P., Pasero, M., Nestola, F.e Bindi, L. 2014. 16 Orlandi, P., Moëlo, Y., Campostrini, I. e Meerschaut, A. 2007. 17 Biagioni, C., Orlandi, P., Nestola, F. e Bianchin, S. 2013. 18 Orlandi, P., Moëlo, U., Meerschaut, A., Palvadeau, P. e Léone, P. 2004. 19 Orlandi, P., Moëlo, Y., Meerschaut, A. e Palvadeau, P. 2001. 20 Orlandi, P., Meerschaut, A., Moëlo, Y., Palvadeau, P. e Léone, P. 2005. 21 Orlandi, P., Moëlo, Y., Meerschaut, A. e Palvadeau, P. 1999. 12

12.1. Mineralogia

13

La miniera di Buca della Vena, con oltre 70 specie mineralogiche differenti sino ad oggi identificate, è una delle località mineralogiche più importanti in ambito nazionale. Fra di esse, 11 sono state scoperte per la prima volta al mondo in questa piccola miniera che, per alcune di 80

Miniera di Buca della Vena

Fig. 12.2. Planimetria della Miniera di Buca della Vena (Benvenuti et alii 1986, Fig. 4).

tiemannite, tintinaite, ullmannite, valentinite, vanadinite, versiliaite22, vivianite, zinkenite, zolfo. 22

Eccezionale è la presenza degli ossisolfuri di Fe e Sb apuanite e versiliaite, fino ad oggi scoperti soltanto in questa piccola miniera apuana. A testimonianza delle peculiari condizioni chimico-fisiche presenti durante la

Mellini, M., Merlino, S. e Orlandi, P. 1979.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 12.3. Buca della Vena, vecchio ingresso al Castellaccio, 1978.

Fig. 12.4. Buca della Vena, cantiere al Castellaccio, 1978.

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Miniera di Buca della Vena

Fig. 12.5. Buca della Vena, cantiere al Castellaccio, 1981.

Fig. 12.6. Buca della Vena, cantiere al Castellaccio, resulte abbandonate a terra, 1980.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 12.7. Buca della Vena, cantiere al Castellaccio, zona particolarmente mineralizzata, 1980.

Fig. 12.8. Buca della Vena, rinforzo del soffitto, 1980-82.

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Miniera di Buca della Vena

Fig. 12.9. Buca della Vena, accesso al livello sopraelevato dintorni zona Castellaccio, in foto Prof. Andrea Palenzona (sn) e il Signor Gianni Frenna (dx) accompagnati in visita dall’autore, 1984.

Fig. 12.10. Buca della Vena, Galleria Bassoli, 1980.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 12.11. Buca della Vena, paletta caricatrice con cingoli ad aria compressa, 1982.

Fig. 12.12. Buca della Vena, vagoncini con sterile in uscita, ultimo periodo, 1986.

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Miniera di Buca della Vena

Fig. 12.13. Buca della Vena, parte finale Galleria Bassoli. Area accessi livelli inferiori, 1978.

Fig. 12.14. Buca della Vena, argano per movimento vagoni due livelli più basso, 1982.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 12.15. Buca della Vena, accesso alla discenderia, 1982.

Fig. 12.16. Buca della Vena, momento di pausa, 1982.

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Miniera di Buca della Vena

Fig. 12.17. Buca della Vena, vecchia galleria abbandonata, 25.7.1986.

Fig. 12.18. Buca della Vena, compressore di servizio, 7.7.1986.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 12.19. Buca della Vena, piazzale, inverno 1980.

Fig. 12.20. Buca della Vena, panorama dal piazzale, 25.7.1986.

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Miniera di Buca della Vena

Fig. 12.21. Buca della Vena, vecchio espansore d’aria riciclato in serbatoio acqua, 7.7.1986.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 12.22. Buca della Vena, locomotiva verso teleferica, 4.9.1986.

Fig. 12.23. Buca della Vena, tettoia con buttaggio sovrastante la teleferica, inverno 1983.

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Miniera di Buca della Vena

Fig. 12.24. Buca della Vena, l’amico Filippo, 4.9.1986.

Fig. 12.25. Buca della Vena, galleria di carreggio, vecchia piattaforma girevole (foto T. Kurz).

Fig. 12.26. Buca della Vena, locomotiva in abbandono (foto T. Kurz).

Fig. 12.27. Buca della Vena, vagonetti abbandonati (fotoT. Kurz).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 12.28. Buca della Vena, piattaforma girevole per deviazioni in Galleria Bassoli (foto T. Kurz).

Fig. 12.29. Buca della Vena, argano mobile su carrello (foto T. Kurz).

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Miniera di Buca della Vena

Fig. 12.30. Buca della Vena, vecchio argano su carrello (foto T. Kurz).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 12.31. Buca della Vena, espansore aria compressa (foto T. Kurz).

Fig. 12.32. Buca della Vena, tubazioni aria compressa/acqua (foto T. Kurz).

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Fig. 12.33. Buca della Vena, accesso al livello Casa Pensieri (foto T. Kurz).

Fig. 12.34. Buca della Vena, ingresso per lavori a San Leonardo. (foto T. Kurz).

Fig. 12.35. Laveria E.D.E.M, Valdicastello.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig.12.36. Derbylite, 2° ritrovamento mondiale. (campione donato dall’autore al Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa, foto Prof. Paolo Orlandi).

cristallizzazione di queste specie, merita di essere ricordata anche la presenza di altre peculiari specie mineralogiche, rappresentate da ossisolfosali (scainiite, rouxelite) e ossiclorosolfosali (pillaite e pellouxite). La scainiite, descritta su campioni raccolti a Buca della Vena, è stato il primo ossisolfosale di piombo e antimonio scoperto in natura.

Infine, alcuni ossidi complessi di titanio, contenenti ittrio e uranio, sono stati descritti in anni recenti quali nuove specie mineralogiche (dessauite-(Y) e mapiquiroite).

Un’altra peculiarità caratterizzante il deposito di Buca della Vena è la presenza di minerali di vanadio: karelianite, montroseite e stibivanite. Quest’ultima specie è stata scoperta in due differenti varietà (politipi) note come stibivanite-2M e stibivanite-2O, caratterizzate rispettivamente da simmetria monoclina e ortorombica. Il vanadio può essere presente anche nella derbylite, un rarissimo ossido di Fe, Ti e Sb, presente a Buca della Vena anche in una varietà riccamente vanadinifera. Il vanadio è anche il responsabile della colorazione verde assunta dai cristalli di berillo scoperti in questa miniera ed erroneamente chiamati “smeraldo”. Difatti, il colore verde del berillo var. smeraldo è dovuto a piccole percentuali di cromo e non di vanadio. Oltre che in bei cristalli verdi, il berillo è stato raccolto anche in individui azzurri (acquamarina). Merita infine una menzione la relativa abbondanza di minerali di mercurio: cinabro, coloradoite, metacinabro, tiemannite, rouxelite e marrucciite sono tutti solfuri e solfosali di questo elemento. 98

13 Miniere di Monte Arsiccio – Pianello – Verzalla fino al 1945 Minerali ferrosi (ematite-limonite-magnetite-pirite) anche manganesiferi e barite (Tavv.30-32). The oldest documentation relates to the archaeological finds of the area which reflects some interest from the local Apuan Ligurians and the Etruscans (see Ch. III). No activity has been proved during the Medici presence, and just a brief intervention is recorded of Padre Bonaventura Paci in 1600, and in 1846/47 by the Società Anonima delle Miniere di ferro di Stazzema. It was around the beginning of the last century that a German company, the Gelsenkircher Bergwerks Aktien Gesellschaft, realised the potential of the mines, and brought foreign experts and equipment to modernise the mines and make them highly productive. This effort was followed by some Italian mining companies, like the I.L.V.A., the S.A.M.A., the E..D.I.S.O.N. and finally the E.D.E.M., which diversified the production in relation to market demands. (Valdicastello, località Rezzaio), nonché dei diritti di passo, di scarico resulte sterili e delle acque. Questo accordo sembrerebbe sia stato raggiunto nel 1909/10 ed immediatamente dopo furono predisposti i piazzaletti per una iniziale coltivazione di tre livelli sfalsati di 40 metri in ascesa l’uno dall’altro, e collegati con piccoli piani inclinati esterni provvisti di binario Decauville dove scorreranno con movimento va e vieni i vagoncini azionati da argano in testa. Questi, una volta giunti a livello intermedio (oggi livello S. Anna), verranno riuniti in gruppi ed avviati lungo la Decauville orizzontale che conduce alle tramogge di carico della già in costruzione teleferica a rotazione completa1 per il loro inoltro a Valdicastello, dove i carrellini si autorovesceranno nel sottostante silos per il successivo invio alla stazione ferroviaria di Pietrasanta. Il tutto diviene operativo già prima della fine del 1911.

La storiografia disponibile è scarsa fino alla fine del secondo conflitto mondiale, periodo dopo il quale proseguirà densa di dettagli e unificata con quella delle miniere di Valdicastello (Pollone), a causa della medesima gestione proprietaria e dell’unione delle concessioni. Per quanto riguarda le epoche molto antiche, come evidenziato nel capitolo III, pur mancandone prove certe è tuttavia altamente probabile una conoscenza dei giacimenti da parte dei Liguri Apuani o degli Etruschi, popolazioni alla ricerca di minerali sia per uso proprio sia da inserire in una rete commerciale transregionale. Durante il Medioevo al contrario è più probabile uno sfruttamento esclusivamente a livello locale, mentre è certa la mancanza di attività durante il controllo territoriale fiorentino dal 1513 alla fine del Granducato a causa dei già ricordati interessi della Magona, salvo forse un ipotetico tentativo di sfruttamento da parte di Padre Buonaventura Paci nella seconda metà del 1600.

L’intera stazione venne demolita nel corso del 1982-83 a causa del cedimento della travatura in legno a sostegno

Infine nel 1846/47 si ha notizia della costituzione della Società Anonima delle Miniere di ferro di Stazzema, ma sembrerebbe con una breve vita.

Progettata, costruita ed assemblata in loco dalla Ditta Bleichert e C. di Lipsia specializzata nella costruzione di ferrovie. Questa era, se non la migliore, quantomeno una leader a livello europeo tantochè pochissimi anni prima aveva contribuito all’ammodernamento del sistema di trasporto minerale ferroso nelle miniere elbane fornendo la teleferica di raccordo con il nuovo pontile caricatore di Rio Albano lungo 310 metri, dislivello 15 metri, e potenzilità trasporto tonn 3000 in 24 ore. La nostra fu un’opera notevole e tecnologicamente avanzata per il tempo: lunga 1800 metri e capacità operativa circa 20 T/h con sistema di aggancio-sgancio automatico dei carrellini portanti, così come ancora in oggi in uso nelle analoghe tecnologicamente più avanzate. Inoltre aveva intercalato agli stessi carrellini un apposito carrello oliatore che, tramite un meccanismo a catena azionato dall’attrito delle ruote sostentatrici con il cavo portante, lungo tutto il percorso prelevava olio dal serbatoio lubrificando i cavi stessi e diminuendo così l’usura e la naturale ossidazione. Tutte le varie operazioni erano regolamentate da rigide norme di esercizio che prevedevano oltre ad un diretto responsabile capo-teleferica e sottoposti, un regolare e giornaliero controllo di tutti i meccanismi sia statici che in movimento ed ispezione cadenzata della fune portante stessa a mezzo di una piattaforma rimovibile e da effettuarsi direttamente dal capo o suo esplicito delegato con ispezioni ancora più severe in caso di inattività prolungata e tutte subordinanti il nulla osta per la ripresa del servizio; prima di chiudere un episodio, purtroppo non certo dimostrabile, che riporto così come narratomi dai vecchi minatori che molto probabilmente lo avevano saputo dai loro genitori: ”Quando fu finita e venne il momento di collaudarla, non partì al primo colpo (forse per una banalità n.d.a.) ed allora l’Ingegnere responsabile dei lavori si sparò sul posto un colpo di rivoltella alla testa“.

1

Intorno al 1908/9 i depositi mineralizzati di Monte Arsiccio vengono esaminati per un loro potenziale sfruttamento dalla società tedesca Gelsenkircher Begwerks Actien Gesellschaft la quale, con proprio personale, procede a sopralluoghi ed indagini giudicando l’impresa economicamente valida purché attuata con tecniche moderne come allora in uso in Germania, tra cui il supporto di una teleferica per l’avvio della produzione a fondovalle mancando una via di comunicazione percorribile con mezzi di trasporto alternativi alla soma. Vigendo ancora il vecchio e ricordato motuproprio di Pietro Leopoldo in materia di escavazioni, è indispensabile raggiungere un accordo con i numerosi proprietari dei terreni che saranno interessati sia alla vera e propria coltivazione mineraria che alle infrastrutture, specie a fondovalle presso la stazione di arrivo del materiale 99

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 13.1. Teleferica Blanchert, una rara foto, (Calendario Le Miniere anno 2002 Associazione XII Agosto di Valdicastello – Associazione Martiri di Sant’Anna).

di tracciamento e messa in vista dell’intero deposito mineralizzato che si estende dal di sotto della località Berna fino a quella di Collelungo2. Ancora alla Società tedesca è dovuta la denominazione dei vari cantieri coltivati3 e che

del tetto, e la spesa di circa 1.800.000-2.000.000 di lire necessarie per il ripristino non venne ritenuta conveniente dalla proprietà, che preferisce lo smantellamento e la vendita come rottame del materiale ferroso recuperabile, compreso quello delle varie incastellature di supporto dell’intera teleferica che venne effettuato da una ditta di Viareggio. Il materiale recuperato per ciscuna incastellatura si aggirava a circa 400kg ghisa e ferro.

Il suo proseguo nella sottostante zona di Verzalla verrà esplorato e coltivato solo in epoca successiva a questa gestione. Procedendo dalla loc. Berna in direzione di Collelungo abbiamo in successione i cantieri: Pianello 1 – Pianello2 – Massa Nuova – Massa Nuovissima – Arsiccio 3 – Arsiccio 2 – Arsiccio 1, dove le attività avvengono sia a cielo aperto che in sotterraneo. In particolare da esse provengono:

2

3

Essendo prevista la spedizione del materiale tramite carri (leggi vagoni) pianali viene richiesto alle Regie Ferrovie il permesso per la costruzione di un proprio binario morto, munito di scambio per il raccordo con la linea principale, dove avverrà il carico e lo stazionamento temporaneo fino alla formazione di interi convogli omogenei.

Pianello 1 Pianello 2 Massa Nuova Massa Nuovissima Arsiccio 3 Arsiccio 2 Arsiccio 1

Sempre nell’anno alla miniera iniziano le vere e proprie attività produttive e proseguono le operazioni

Limonite - Ematite Limonite – Magnetite Minerali ferrosi in genere anche manganesiferi Limonite Limonite – Magnetite Limonite- Magnetite –Pirite.

Da entrambi i Cantieri Pianello venne estratta anche pirite specie in epoche successive come vedremo nel proseguo.

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Miniere di Monte Arsiccio – Pianello – Verzalla fino al 1945

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Fig. 13.2. Teleferica Blanchert, schema.

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 13.3. Monte Arsiccio (schematica ricostruzione del deposito ferraio).

perdurerà nel tempo anche sotto le successive gestioni salvo l’aggiunta di nuove denominazioni ad altre località limitrofe sfruttate.

1. Automezzo con motore a scoppio alimentato a benzina 2. Denominazione “bascula miniera” 3. Peso a vuoto 4. Portata 5. Lunghezza totale 6. Larghezza massima 7. Altezza 8. Carreggiata 9. Distanza tra gli assali 10. Ruote in ferro e cerchione in acciaio liscio 11. Larghezza cerchioni anteriori 12. Larghezza cerchioni posteriori 13. Velocità massima

Purtroppo non giunge l’autorizzazione al raccordo ferroviario e questo provoca un rallentamento nei lavori minerari che si limitano alla perforazione di 295 metri fra gallerie, pozzetti e fornelli con l’accumolo della produzione sui piazzali. Contemporaneamente alla fase iniziale dei lavori la compagnia mineraria provvede a risolvere il problema trasporto minerale da Valdicastello a Pietrasanta affidandone l’esecuzione alla società italiana Soller di Giorgio Mangiapan, con sede a Milano e filiali a Torino, Tortona etc. e specializzata in trasporti, movimentazioni e depositi. Come riportato sulla carta intestata societaria e dalla comunicazione del 9 aprile 1911 inviata al sindaco di Pietrasanta per informarlo dell’incarico assunto, la Società Soller richiede ed ottiene una convenzione in accordo con il Comune per il transito dei propri mezzi chiamati “bascule miniera” lungo la via di Valdicastello.

tonn. 5 tonn. 5 m. 550 m. 2 m. 2 m. 1,55 m. 3,50 diam. m.1 cm. 12 cm. 17 km/h 10

Ciascun mezzo è dotato di tre freni che agiscono sulle ruote e gli organi di trasmissione. La durata del contratto di trasporto è fissata, salvo imprevisti, in tre anni con l’impegno simultaneo di due mezzi in grado di assicurare una movimentazione di 100tonn/giorno mentre un terzo rimane sempre disponibile a Valdicastello dove viene realizzata anche una piccola officina con annesso deposito di benzina.

Le caratteristiche specifiche dei mezzi Soller sono elencate nelle relazioni annuali del Distretto Mineraio di Carrara dove vengono indicati come carri automobili4:

Finalmente nel 1912 arriva il permesso delle Regie Ferrovie e, bruciando letteralmente i tempi, già prima della fine anno è possibile il collaudo tecnico dello scambio

Tutto quanto è tratto dal corposo carteggio Ditta Mangiapan, Compagnia Mineraria, Sindaco di Pietrasanta, Prefettura di Lucca. In: A.S.C.P. categoria XI-XIV, anno 1928, inedito. 4

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Miniere di Monte Arsiccio – Pianello – Verzalla fino al 1945 di manovra mentre la Soller ottiene il nulla osta per il transito stradale. Tutto sembrerebbe risolto ma non siamo che agli inizi dei problemi che insorgeranno in seguito. La via di Valdicastello si rivela da subito inadatta sia per la limitata grandezza che per la condizione sterrata del fondo, non consono a sopportare tali carichi andando ben presto in rovina e provocando la protesta dei barrocciai e carratori che ne denunciano la pericolosità specie nelle strette curve che: “costringono a manovre temerarie che mettano in pericolo la incolumità pubblica e la vita degli animali”.

traduce nella spaccatura del fronte del no. La Soller non rimane a guardare e tramite i propri legali presenta alla Prefettura di Lucca un ricorso circostanziato ed avverso all’ordinanza di divieto, ed il prefetto in persona il giorno 8 febbraio 1914 scrive una lettera riservata al sindaco ricordandogli che: “...sebbene con lentezza il Mangiapan provvede come da accordi sottoscritti alla manutenzione della strada stessa che non risulta poi cosí disastrata, come rileva nella propria relazione di sopralluogo l’ingegner Mori del genio civile, da cui è possibile dedurre che un cosí drastico provvedimento non trovi fondamento nè ragioni di necessità e di ordine pubblico, come pure non è dimostrabile con certezza che l’esercente viene meno del tutto o ignori le clausole inserite nella convenzione stipulata” e prosegue rincarando il giudizio negativo sull’ordinanza definendola: “un atto di imperio che non troverebbe giustificazione di fatto o di diritto, da cui a stretto rigore giuridico andrebbe annullato da cotesta Prefettura, tuttavia si vorrebbe evitare un tale provvedimento in tale senso, anche per speciale riguardo alla SV, la prego di vedere se non sia il caso di addivenire ad un accomodamento alla questione che puó divenire motivo di turbamento dell’ordine pubblico”.

Mentre la protesta aumenta ecco l’improvvisa rottura del tubo in ghisa dell’acquedotto comunale in “località ai Pini sul ciglio di Levante davanti all’ingresso della vigna Pistoresi pure essendo interrato circa un metro e dove non aveva mai dato segno di cedimento”. Come riferisce la relazione dell’ingegnere comunale, il danno è rilevante non tanto per le spese di riparazione stimate in lire 150, quanto per le conseguenze del mancato approvigionamento idrico di tutto il territorio sottostante, compresa una parte di Pietrasanta. Inizia lo scambio di accuse e contraccuse tra le parti con sopralluoghi che sfociano nel provvediamento di sospensione del transito dei trasporti in attesa di giungere ad una soluzione, ma il Mangiapan sembra ignorarlo addossando la responsabiltà dell’evento all’incuria del Comune “tenuto per legge dello Stato a garantire la transitabiltà sulle sue strade”.

In effetti i suggerimenti vengono recepiti prevedendo una diversa tipologia di trasporto, con l’abbandono dei mezzi motorizzati a favore di una piccola ferrovia Decauville corrente al bordo della strada. La Soller elabora un proprio progetto accolto con favore dal Consiglio Comunale dove anche la società mineraria interviene il 13 luglio con una lettera al sindaco: “confidando nella Sua ben nota cortesia affichè nella prossima adunanza venga inscritta l’approvazione”.

La risposta non si fa attendere. Infatti il 22 ottobre il sindaco emette una propria ordinanaza di immediata sospensione dell’accordo di transito lungo l’intera strada di Valdicastello per tutti i mezzi Soller, incaricando la polizia comunale di renderla esecutiva con l’immmediato sequestro del/i veicoli inadempienti. In aggiunta, per evitare possibili equivoci, il messo comunicatore ne consegna una copia allo studio legale Avv. Marchesini Cav. Alfredo in Pietrasanta, dove la ditta Soller ha eletto il proprio domicilio.

Prosegue ricordandogli i già molti capitali spesi per la miniera e la convinzione che la Dacauville sarebbe il sistema migliore per i trasporti non danneggiando niente e nessuno, infine, cosa non trascurabile, la giacenza in sospeso delle pratiche connesse alla auspicata approvazione del progetto.

Nonostante gli incovenienti, i risultati minerari sono decisamente positivi come testimoniano i 1500mc di materiale utile estratto, gli avanzamenti in orizzontale di metri 170 di gallerie, il trasferimento a Valdicastello dell’intera produzione con l’impiego di 14000 giornate lavorative5. Pur non avendone trovato riscontro nel carteggio, è molto probabile il ricorso ad un provvedimento tampone, con l’uso del vecchio sistema del cottimo a barrociai e/o carrettieri, mentre è da escludersi la riduzione di carico ai mezzi motorizzati; in entrambi i casi non sarebbe stato possibile il trasporto del prodotto nei tempi previsti. Unica certezza è la riduzione drastica di attività estrattive a cui seguono licenziamenti in massa provocando un’impennata della disoccupazione che si

Nuovamente tutto sembra avviarsi a soluzione ma ecco riemergere il malcontento di una parte di abitanti di Valdicastello (95 firmatari) cui si uniscono 16 proprietari di terreni olivati lungo il tracciato che il 2 ottobre presentano al Comune due petizioni avverse, richiedendo modifiche che prevedano l’allargamento della strada di due o tre metri dell’intero tracciato con spese a totale carico della ditta Soller. Concludendo: “la ditta prende tutta la strada per sè e di una via comunale ne fa una strada tutta sua”. Ma adesso sul piatto della bilancia ci sono anche i licenziati, la disoccupazione imperversa e nello stesso giorno arrivano due nuove petizioni in carta da bollo dove ex dipendenti (126 firme), e disoccupati (107 firme), esordiscono denunciando la malafede e gli interessi privati

Considerando l’impiego giornaliero in otto ore per una media mensile di 25 giornate si arriverebbe ad avere 70/75 addetti, cifra non certo trascurabile e che confermerebbe il programma di un progetto a largo respiro e lungo termine (estratto dalle Relazioni Annuali di Distretto).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 13.4. Lettera del signor Mangiapan al Sindaco di Pietrasanta.

degli avversi, caldeggiando l’approvazione incondizionata del progetto Mangiapan “che oltretutto consentirebbe la riassunzione di molti ora ridotti sul lastrico”.

verbali e le non tanto velate minacce di scontri fisici e vandalismi fra le parti avverse con tumulti popolari, tanto che la Prefettura di Lucca l’8 ottobre avverte il Sindaco che in caso di mancato accordo con il Mangiapan renderà il progetto esecutivo per decreto, motivandolo: “opera di pubblica utilità”.

La questione assume adesso aspetti diversi subentrando motivi di ordine pubblico a causa dei frequenti alterchi 104

Miniere di Monte Arsiccio – Pianello – Verzalla fino al 1945 Di fronte a tali premesse l’amministrazione comunale si trova come suol dirsi “alle corde”. Ed in cerca di un avvallo all’opposizione scrive “A Sua Eccelenza il Ministro dell’Agricoltura e Commercio-Roma” riassumendo in 9 pagine dattiloscritte l’inizio e gli sviluppi della questione, cercando, come si legge nella missiva, “appoggio all’opposizione al progetto Decauville e decreto prefettizio”.

Signor Pardini Arturo di Giuseppe Signor Rambaldelli Luigi fu Vincenzo

In particolare il signor Rambaldelli aveva fino ad allora svolto compiti di guardianaggio per ordine verbale dell’ex direttore miniere ingegner Schemelzer prima che rientrasse in Germania e pertanto era custode di tutte le chiavi che rende disponibili dimostrando, nel corso dei sopralluoghi, una dettagliata conoscenza dovuta al suo precedente ruolo di sorvegliante/capo miniera.

Ma nel paese Italia ci sono ben altri problemi connessi ad una guerra alle porte e con l’entrata in conflitto la società mineraria tedesca, rappresentante della nazione nemica, viene espropriata di ogni sua proprietà e possesso nel Regno d’Italia, con l’assegnazione del giacimento minerario e degli impianti alla genovese Società Ilva, per il proseguo dello sfruttamento6.

Accertato che da circa un anno nessun responsabile societario è piú presente in Italia e che neppure a Pietrasanta è reperibile un rappresentante legale, l’ordine di requisizione viene notificato dai reali carabinieri ai Sindaci di Pietrasanta e Stazzema per l’affissione nei rispettivi albi pretori; in aggiunta è disposto il distaccamento di un presidio militare armato a Valdicastello a garanzia dei beni e scoraggiamento di furti e vandalismi, militarizzando cosí miniere ed annessi.

Il provvedimento, valido per tutta la durata del conflitto, viene adottato il 25 aprile 19167 dal Ministero della Guerra, segreteria Armi e Munizioni, ed il giorno 28 seguente trasmesso come ordine 3895 alla Divisione Militare di Livorno, affinchè venga urgentemente costituita una commissione mista per pianificare l’intervento e i sopralluoghi per la redazione di un dettagliato inventario con specifico stato di conservazione in essere, in modo da fornire tutte le indicazioni per il calcolo di una futura indennità alla ex gestione, da quantificarsi poi con deliberazione ministeriale.

Dopo questi preliminari il giorno 8 maggio iniziano i sopralluoghi che si protraggono fino al 18 maggio. Già il 19 è pronta l’intera relazione dattiloscritta in triplice copia e composta da n. 68 pagine numerate e firmate, n.1 pagina aggiuntiva per l’unica errata corrige, n. 3 planimetrie di dettaglio che illustrano in scala 1:1000: a) Miniera e dintorni, b) stazione di partenza e arrivo teleferica, c) raccordo ferroviario a Pietrasanta.

Il carattere di urgenza è spiegato dal fatto che scorrendo le pagine del verbale non mancano accenni ai lavori di ripristino già fatti o programmati alle strutture esterne come le riparazioni al ponte di riparo teleferica e alla teleferica stessa, facendo supporrre un intervento già in atto della Società Ilva che il 29 dicembre successivo tramite il direttore miniere ingegner Signorini invia un assegno di lire 200 al Sindaco di Pietrasanta a favore delle famiglie dei richiamati alle armi e, quasi certamente, anche a quelle di Stazzema8.

I destinatari sono: il Ministero della Guerra, il Sindaco di Pietrasanta, il Sindaco di Stazzema. L’avvenuta consegna alle due comunità è attestata dai doppi timbri comunali e dalla firma dei riceventi; il tutto racchiuso in una specie di copertina custodia riunita dallo “stabilimento tipografico Rocco Bacci Pietrasanta”. Al momento dell’abbandono erano attivi tutti i cantieri di coltivazione fornendo pirite, misti ferrosi anche manganesiferi e barite. Il conteggio delle giacenze viene fatto stimando il volume dei vari accumuli anche a fondo valle per un totale di 33.473 tonnellate comprensive delle 3360 tonn. di misti manganesiferi presenti nella coltivazione di Massa Nuova, mentre le 481 tonn. di pirite vengono sí riportate ma non censite, nè requisite, causa la pressochè inutilità dovuta alla mancata cernita e alle alterazioni causate dagli agenti atmosferici.

La commissione è composta da due ufficiali del 31nesimo reggimento fanteria, dall’ingegnere capo del Distretto Minerario Carrara e due osservatori/testimoni nominati e delegati a rappresentarli dai sindaci di Pietrasanta e Stazzema ricadendo i beni nei loro territori. Gli incarichi sono cosí ripartiti: Maggiore Monet cavalier Giacomo Tenente Fede Antonio Ingegnere Monetti Luigi

Testimone per il Comune di Pietrasanta Testimone per il Comune di Stazzema

Presidente Segretario Consulente

Tutte le coltivazioni sono raccordate alla tramoggia di carico teleferica con Decauville a semplice binario (scartamento 50cm) del tipo 6kg per metro corrente, che poggiano su traversine in ferro sviluppandosi su due livelli. Quello superiore è lungo circa 600 metri e dipartendosi dai cantieri Pianello 1 serve in successione Pianello 2, Massa Nuova, Arsiccio 3 fino ad incontrare il piano inclinato discendente da Arsiccio 2, raccordandosi con l’altro piano inclinato da Arsiccio 1. Entrambi i piani inclinati sono a

Quanto segue è dovuto al ritrovamento della copia originale ed inedita del verbale requisizione miniere da cui traggo una sintesi (Leva e truppe, categoria VIII, inserto 22, A.S.C.P.). 7 Foglio n. 104639. 8 A Stazzema purtroppo manca il riscontro d’archivio a causa del suo danneggiamento per l’alluvione del 1996. 6

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 13.5. Frontespizio requisizione miniere Monte Arsiccio (periodico Leva e Truppe Cat. VIII ins. 22 del 1916, A.S.C.P.).

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Miniere di Monte Arsiccio – Pianello – Verzalla fino al 1945

Fig. 13.6. Lettera dell’I.L.V.A. al Sindaco di Pietrasanta, (A.S.C.P.).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) girevole da ultizzarsi sul piano di carico a Pietrasanta. A questi si aggiungono ulteriori componenti, come la bilancia pesatura vagoni che il Rambaldelli informa avere già trovato scassinata durante una sua visita precedente, quando oltre a questo accertò il furto delle colonne di castagno posizionate a confine dell’area societaria.

semplice binario con piattaforma girevole alle estremità ed il movimento di vai e vieni dei vagoncini è assicurato da argano in testa. Non è indicato quale tipo di energia aziona il primo, mentre per il secondo è specificato quella animale9, ma il Rambaldelli precisa che nonostante il sistema sia praticamente ultimato non furono mai eseguite le relative prove ed il collaudo.

Da ricordare che in prossimità della suddetta bilancia si trova la tramoggia di buttaggio/spillaggio per carico dei vagoncini a cassa girevole lungo i circa 160 metri del piano caricatore con l’estremità ovest sopraelevata pressochè a confine con la pubblica via.

Lungo la vicina mulattiera per Farnocchia10 sono ancora posizionati i pali con cartelli monitori di divieto di accesso ai lavori e neppure il magazzino/officina del fabbro, la falegnameria e la polveriera presentano manomissioni, cosí come intatte si presentano le stazioni di partenza teleferica e l’adiacente edificio dove si conservano i carrellini di scorta ed il carrello oliatore delle funi portanti, dispositivo che consente di conoscere la posizione di ciascun carrellino lungo il percorso aereo, ed infine il telefono di collegamento con la stazione di arrivo. Nell’attiguo piazzaletto troviamo un piccolo impianto di arricchimento pirite, gli uffici del direttore miniere e del responsabile della teleferica, tenuto ai controlli periodici della stessa compresa l’integrità delle funi portanti che veniva accertata mediante una rotazione completa a bordo di apposita piattaforma removibile11. Infine “un casotto in legno ad uso latrina ed un casottino per il cane da guardia”.

La subentrante I.L.V.A. continua l’attività con lavori prevalentemente a cielo aperto risultanti meno onerosi e rivolgendo le attenzioni anche alla percentuale di manganese presente nel minerale ferroso, vedendosi infine rinnovare l’autorizzazione al proseguo dei lavori con i Decreti del Ministero della Guerra e Ministero delle Munizioni rispettivamente del 18 maggio e 24 luglio 1917. Poco dopo con l’armistizio ed il ritorno alla pace la vecchia società tedesca chiede il reintegro di quanto espropriatole, dando origine a conflitti di interesse e dispute legali fino al 13 agosto 1919, quando il Prefetto di Lucca stabilisce con propria ordinanza la riconsegna della miniera ed annessi per il 21 agosto seguente, salvo il diritto della Società I.L.V.A. al recupero di tutta la produzione e delle attrezzature, usufruendo liberamente anche della teleferica.

Riprendiamo la descrizione della teleferica e delle sue caratteristiche tecniche. Le funi sono una portante in acciaio ritorto di diametro mm. 28 che sorregge carrellini carichi, ed una portante per quelli vuoti in risalita di diametro mm. 22, con una traente di mm. 18; la teleferica ha un sistema di aggancio-sgancio automatico in partenza e rovesciamento automatico in arrivo a Rezzaio, lunghezza metri 1800 e portata 20 tonnellate/ora. Lungo il percorso si innalzano 14 incastellature di pali di castagno e abete ciascuna dotata di staffe esterne per la salita, ed altezza variabile da metri 3,60 a metri 16,50, numerate in progressione dalla partenza. Quelle da 3 a 9, dette gruppo di Collelungo, sorgono dentro una trincea appositamente ricavata nella roccia. Seguono le 4 indicate come gruppo di Salamandrina ed infine la numero 14 o Rezzaio che precede la stazione di arrivo/scarico. Da segnalare fra le incastellature n. 9 e 10 il cosidetto “ponte di riparo”, in pratica un tunnel artificiale in travi di castagno e rinforzi in ferro, realizzato a protezione dalla caduta di pietrame sulla sottostante mulattiera per la Culla, e censito “in buonissimo stato perchè riparato da pochissimi giorni”. Nel vasto piazzale a Valdicastello-Rezzaio, la stazione di arrivo dotata di proprio argano/verricello per il montaggio o la sostituzione di componenti, vi erano pronti in giacenza oltre 70 paloni di castagno nuovi per la riparazione delle incastellature, mentre i magazzini adiacenti contengono “lunghi spezzoni di funi per la teleferica avvolte a spire ed un ricambio completo ancora imballato”, rotaie e 5 vagoncini a cassa

Il 1920 passa nell’inattività ed è quasi certamente in questo periodo che avviene la cessione alla Società S.A.M.A.12 che programma la revisione completa della teleferica da tempo inattiva e la ripresa del cantiere Arsiccio 1, lavori che iniziano in corso 1921 concludendosi nell’anno successivo. Durante il 1923 il cantiere Arsiccio 1 viene dichiarato esaurito scoprendo però la sottostante presenza di un banco mineralizzato a pirite manganesifera tanto che ne vengono preparate circa 50 tonn. per analisi qualitativo/ quantitative contemporaneamente all’avvio di lavori esplorativi nella sottostante zona di Verzalla. Arriviamo così al 1924 che vede soltanto piccoli lavori di manutenzione, l’abbandono delle ricerche a Verzalla ed il concentrarsi degli sforzi nelle adiacenze del dismesso cantiere Arsiccio 1 con lo scavo di tre sottolivelli di galleria, dove si scopre che la ormai esaurita mineralizzazione superiore con pirite a letto e limonite a tetto è adesso a sola limonite e questo provoca la sospensione delle attività ed il riciclo della manodopera in una massiccia manutenzione straordinaria di tutto il bacino mineralizzato ed delle infrastrutture, lavori integrati da una modestissima produzione di pirite che prosegue anche nel 1925. Questa è concomitante con l’inizio di nuove ricerche per pirite nei vecchi lavori della zona Pianello poi estesi a tutte le parti dell’intero giacimento ritenute potenzialmente mineralizzate con

Maneggio cavalli nel testo. L’autore si riferisce sempre alle sue visite effettuate negli anni ‘70. 11 Da manuale di istruzione Blainchert, Lipsia, ex archivio E.D.E.M. 9

Per memoria facente capo all’On. A. Cerpelli; inoltre vd. Cap.16 Miniere del Bottino.

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Miniere di Monte Arsiccio – Pianello – Verzalla fino al 1945

Fig. 13.7. Monte Arsiccio, piano della concessione di ferro, pirite, rame denominata Monte Arsiccio. Zona in concessione alla Società S.A.M.A. come evidenzia la firma per l’esercente apposta dall’allora ingegnere direttore lavori S.A.M.A. Dante Pagnini. Da notare l’arcaica indicazione, leggenda in luogo di legenda. (Dall’archivio Società E.D.E.M..)

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) particolare riferimento agli ex cantieri Arsiccio 1 e Arsiccio 2 nel corso del 1926.

nelle sede di Torino dal cui verbale, pubblicato il 22 giugno dalla locale Prefettura, veniamo a conoscenza di:

I risultati non fanno che deludere le aspettative al punto che nel 1927 le miniere vengono considerate improduttive, anche a causa dell’oggettiva difficoltà di smaltimento sul mercato di minerali ferrosi di bassa qualità. Per non ricorrere alla drastica riduzione del personale, cosa peraltro non gradita al regime fascista, viene avviata una nuova manutenzione ordinaria e la revisione completa di tutto l’impianto di perforazione (compressori, martelli, tubazioni etc..) in previsione dell’inizio delle ricerche in profondità, secondo le indicazioni fornite dagli studi sul territorio compiuti dall’ingegner Zabelli13, cosa che avviene nel 1928 con la perforazione di una nuova galleria che almeno teoricamente avrebbe immesso ad un vastissimo banco di magnetite. Dopo 70 metri di avanzamento in pieno sterile, ancora una volta i lavori vengono sospesi, anche se, come vedremo nel proseguo, le indicazioni di Zabelli erano esatte.

• la decisione di scioglimento della Società; • la situazione patrimoniale in essere ammonta a lire 4.750.000 interamente versati; • la nomina di un liquidatore con facoltà di vendere e cedere anche con trattativa privata ed eletto nella persona del grande ufficiale dott. Fubini Alessandro fu Abramo; • la nascita della Società E.D.E.M. (Società Esercizio Depositi e Magazzini) con sede a Torino Corso Vittorio Emanuele 16 ed amministratore unico dott. ing. Giulio Franzinetti, capitale lire 90.000 come da certificazione del cancelliere capo della sezione commerciale del tribunale di Torino il 29 maggio seguente, (registrato il 21 ottobre a Pietrasanta con il numero 2987 Vol. 669) ed assegnataria delle concessioni minerarie del Bottino e di Valdicastello. Nel 1936 il podestà di Pietrasanta Cav. Bresciani Luigi, nel tentativo e nella speranza di almeno ridurre la disoccupazione, emana un pubblico invito a ditte, imprese, società e privati per una ripresa delle attività minerarie “nelle ricchissime miniere di Monte Arsiccio e Valdicastello” garantendo ai gestori agevolazioni burocratiche e sgravi fiscali.

Il 1929 è l’anno della grande crisi economica mondiale che scuote duramente la Società S.A.M.A., la quale in un estremo tentativo di sopravvivenza abbatte 170tonn. di limonite riprendendo anche le ricerche nei cantieri Pianello 1-2 ed Arsiccio 1-2-3 con esiti incerti, salvo al Pianello 2 dove vengono incontrate limonite, pirite e barite. Completamente infruttuosi i tentativi a Massa Nuova e Massa Nuova Inferiore che vengono abbandonate, così come Pianello 1 e Arsiccio 3, fino ad arrivare al 1930 con limitatissime ricerche a Pianello 2 ed Arsiccio 1 e 2 che si rilevano purtroppo infruttuose.

L’invito è raccolto nel 1937 dalla milanese Società E.D.I.S.O.N. che in seguito al positivo incontro a Pietrasanta tra il proprio legale rappresentante ingegner Noè Emilio ed il podestà avvenuto a fine di novembre, già in dicembre, previa comunicazione al Distretto Minerario di Carrara e sua autorizzazione, inizia le indagini esplorative a Monte Arsiccio.

Visti gli insuccessi la Società S.A.M.A. viene posta in liquidazione nel 1931. Tuttavia in quell’anno si estraggono circa 2.200 tonn. di minerali ferrosi e barite, in particolare dal cantiere Pianello 2, poi trasportate a fondovalle e macinate in un piccolo impianto appositamente costruito nelle adiacenze della stazione di arrivo della teleferica e capace di trattare circa 8 t/h, nella speranza di una inversione di tendenza che nel 1932 porta anche alla coltivazione di una lente a pirite, nello stesso cantiere Pianello 2, con il sistema dei vuoti senza riempimento.

Immediatamente si oppone la Società E.D.E.M., vantando vecchi diritti minerari già S.A.M.A., in virtú del D.M. 12 febbraio 1935 che le assegnava le ex concessioni minerarie del Bottino e Valdicastello. Ma la E.D.I.S.O.N. non è disposta a rinunciare ed inizia la battaglia legale che coinvolge i ministeri delle corporazioni, la Prefettura di Lucca, il Distretto Minerario di Carrara, i Sindaci di Pietrasanta e Stazzema, ricadendo i siti nei territori di loro competenza e proprio nell’ A.S.C.P. si trovano due documenti inediti sullo sviluppo iniziale della questione.

Ormai siamo giunti all’epilogo ed il 1933 trascorre con soli lavori di ripiego e la presentazione della domanda di abbandono attività poi autorizzata dal Ministero della Economia Nazionale con proprio Decreto 31 marzo 1934.

Nel primo il Podestà di Pietrasanta rispondendo alle interrogazioni del Prefetto informa dell’assenza dell’attività estrattiva e mineraria in genere fino dal 1932 “ed inoltre attenendosi agli articoli no. 40 e 26 previste nel Regio Decreto Legge 21 luglio 1927 (Legge Mineraria nazionale n.d.a.) il Ministero delle Corporazioni e il Ministero dell’ Economia Nazionale puó pronunciare la decadenza delle corporazioni ed il concessionario quando non la mantenga in attività pertanto prego la Eccellenza VS di voler esaminare la possibilità di proporre al Ministero competente la decadenza, affidandone ad altra società industriale che dà serio affidamento di razionale ed estese coltivazioni, la sola miniera di Valdicastello

Questo è comprensivo anche delle miniere Bottino/ Gallena/La Rocca e Valdicastello, ed oltre alla dismissione lavori autorizza al recupero delle attrezzature produttive. Appena avuta la notifica viene convocata per il 16 aprile seguente l’assemblea generale degli azionisti S.A.M.A. 13 Ingegner Arnaldo Zabelli con proprio studio a Milano è uno dei primi, se non il primo in assoluto in Italia a compiere indagini geoelettriche rivelatesi talmente esatte da servire da guida anche nel futuro alla Società E.D.E.M..

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Miniere di Monte Arsiccio – Pianello – Verzalla fino al 1945 L’anno si chiude con l’assemblea del 28 dicembre degli azionisti a Torino dove viene deciso il trasferimento della sede societaria a Pavia, via del Carmine 4, e la nomina con identiche mansioni del signor Desideri Luigi in sostituzione del dimissionario ingegner Pigino, ed il cambio di direttore dei lavori adesso il signor Severi Elio.

potrebbe impiegare oltre 100 persone riducendo cosí la mancanza di lavoro”. La seconda è ancora piú drastica infatti: “nota di comunicazione n. 182 del 22 gennaio 1938, il Distretto Minerario di Carrara informa che la Società E.D.E.M. con sede a Torino è stata diffidata a norma di legge ad intraprendere qualsiasi lavoro continuativo sia a Valdicastello che a Monte Arsiccio tuttavia sono in corso trattative fra E.D.I.S.O.N. ed E.D.E.M. per la concessione a favore della prima, cosa che viene sollecitata da cotesto ufficio per consentire una veloce riattivazione delle miniere”.

Il 1939 inizia con una costante richiesta di minerali ferrosi mentre il nuovo direttore, rivedendo i vecchi studi Zabelli, nota che in corso lavori per la nuova galleria, non erano state rispettate le indicazioni deviandola a destra ed allontanandosi sempre di piú dalla mineralizzazione. Immediata la ripresa secondo il piano originario e dopo solo 12 metri di perforazione nello sterile si incontra un grosso banco mineralizzato, prevalentemente a magnetite come è possibile evidenziare giacendo a letto di una enorme e suggestiva cavità naturale che ne permette anche una prima stima in 100.000m3. Quest’evento insperato esalta subito la Società e il regime traducendosi nell’immediato in un aumento salariale medio di circa il 10% per tutte le categorie, nell’introduzione del lavoro femminile diurno per la cernita a mano del minerale direttamente alle miniere (le cosidette sceglitrici), nell’articolazione del lavoro maschile in tre turni successivi di otto ore e seguito dalla ripresa lavori nei cantieri Pianello 1 e Pianello 2.

Quantomeno a me sono ignoti sviluppi e i retroscena della vicenda, ma è tangibile il fatto che il 28 settembre 1938 nella cronaca locale del quotidiano La Nazione14 compare uno scarno trafiletto dove si legge che dal giorno precedente sono ripresi i lavori nelle miniere di Monte Arsiccio per conto di una società torinese, con direttore amministrativo l’ingegner Pigino Silvio, mentre direttore dei lavori è stato nominato il sign. Breviglieri Vito e tutto questo ridimensiona notevolmente la bozza del comunicato stampa E.D.E.M. previsto per l’inizio lavori fissato per il 20 settembre e diretta ai quotidiani locali, dove si esordisce: “si rende noto che in data odierna è stata ripresa la coltivazione delle miniere di pirite e di ferro di Monte Arsiccio, i lavori vengono eseguiti dalla società E.D.E.M. con sede a Torino Corso Vittorio Emanuele 16, rappresentata dall’ing. Pigino Silvio, amministratore unico della medesima, direttore lavori il sign. Breviglieri Vito fu Vittorio nato a Ferrara e domiciliato a Roma via Aquileia 16”15.

Infine la costruzione di una linea elettrica da 8500volt Valdicastello/Monte Arsiccio con cabina trasformazione a Collelungo dove viene ridotta ai 300 e 228volt di esercizio per azionare i nuovi compressori rispettivamente un monocilindrico Cerpelli da 30HP ed un bicilindrico orizzontale la Motomeccanica da 45HP, che alimentano le coltivazioni di Monte Arsiccio e Verzalla, mentre un Fiorentini da 26HP quelle Pianello.

Quantomeno nella storiografia ufficiale prevalgono le ragioni E.D.E.M., ma da notizie rinvenute durante le ricerche archivistiche16 e dai colloqui con ex addetti ai lavori sembra piú che fondata la voce che sostiene che l’effettiva cessione E.D.I.S.O.N. alla concorrente sia avvenuta solamente con la ripresa post bellica.

Viene effettuato un inventario e una stima delle proprietà societarie e potenzialità come da prospetto:

Si procede ai primi interventi irrinunciabili come la revisione della teleferica e lo sgombro dei franamenti interni, a cui fanno seguito indagini esplorative nella sottostante zona mineralizzata di Verzalla, dove vengono individuati siti ritenuti promettenti tanto da programmarvi lavori a cielo aperto ed in sottorraneo, supportati da una piccola teleferica di cui si inizia la costruzione per il raccordo con la principale.

Miniere di Monte Arsiccio e Valdicastello

Stima lire

Impianti

230.000

Fabbricati

230.000

Magazzini e Scorte

30.000

Terreni

100.000

Miniere di Strettoia Impianti

40.000

Totale lire

630.000

Potenzialità Monte Arsiccio e Valdicastello

E probabilmente anche nel non rinvenuto Il Telegrafo. 15 Documentazione in possesso dell’autore. 16 In data 12 agosto 1928 la Società S.A.M.A. presenta domanda affinchè le concessioni del Bottino e Valdicastello vengano rese perpetue come in effetti acconsente il Ministero delle Corporazioni il 19 ottobre 1932. Inserito nella Gazzetta Ufficiale del 3 agosto 1933 per minerali Zn, Cu, e pirite; il 12 febbraio 1935. Il 12 aprile dello stesso anno i diritti vengono trasferiti alla Società E.D.E.M., la quale non effettuando alcun intervento viene dichiarata decaduta con D.M. 8 febbraio 1937 (Gazzetta Ufficiale 15 marzo) (Notizie da Masini, R. “Relazione a corredo della domanda Soc. S.C.E.L., Archivio RiMin/acquater PDF 737) 14

Minerale di ferro in posto e stock

1.600.000

Pirite in posto

900.000

Barite in posto e stock

315.000

Strettoia

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Minerale in posto

2.400.000

Per un totale di

5.845.000

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Questa la stima al 24 marzo 193917 tuttavia Strettoia verrà abbandonata a causa dell’enorme difficoltà operativa nel versante Murli per la grande presenza di acque.

segnali premonitori come ad esempio la sorgente interna dove l’acqua iniziò a cambiare colore e divenne fangosa ma il Perito ripeteva che non c’era pericolo tanto che ci avrebbe fatto dormire la famiglia”.

A questo punto una digressione o meglio un episodio a lieto fine della vita mineraria e dovuto al racconto di vecchi addetti ai lavori, il signor Pieri Italo ed il signor Bottari Torquato, contattati a distanza di moltissimi anni l’uno dall’altro, i quali mi hanno consentito la ricostruzione di quanto segue:

Seconda testimonianza: Sign. Pieri Italo minatore e uomo di fiducia della proprietà. “Ci avevano già lavorato i tedeschi ai primi del secolo con il sistema dei vuoti - colonne poi anche la Società S.A.M.A. dell’On. Cerpelli, verso il 1925/27, l’ ing. Pagnini (della stessa Società S.A.M.A n.d.a.) aveva detto che non bisognava più lavorarci perché pericoloso ma c’era richiesta di minerale e le colonne venivano abbattute a ritroso fino al giorno che si schiantò tutto e ci rimasero in quattro schiacciati”.

“Fra i vari dirigenti alle miniere nel 1938/39 c’era anche il giovane ingegnerino romano Vitaleri (probabilmente aiuto direttore n.d.a.), figlio di un ex ufficiale di artiglieria in pensione di religione ebraica che aveva sposato una donna cristiana, stabilendo che i figli maschi avrebbero seguito la religione paterna mentre le figlie quella della madre. Era alto, magro, con gli occhiali e portava sempre sulla testa una specie di “chiucchino” (leggi zuccotto) nero che sembrava ci fosse incollato. Era lo spavento di noi bimbetti che portavamo da mangiare ai babbi minatori e che quando lo incontravamo avevamo paura, ma invece era una bravissima persona che non aveva mai dato noia a nessuno poi un giorno si seppe che da Valdicastello (via mulattiera unico collegamento viario n.d.a.) stavano venendo su i fascisti per arrestarlo e mandarlo in Germania ma quando arrivarono ormai lo avevano avvertito, fatto scappare al sicuro e non lo trovarono”.

Nel biennio seguente, incalzati dallo stato di guerra e dalla richiesta di materiali, si intensificano gli sforzi produttivi con risultati definiti incoraggianti e vengono sostituiti alcuni carrelli accoppiatori della teleferica probabilmente realizzati in ambito locale18. Nel frattempo la sede sociale viene trasferita a Milano, Foro Buonaparte 55, pressochè attigua alla sede E.D.I.S.O.N. come si rileva dalla carta intestata E.D.E.M. (A.S.C.P. categoria 15 anni 1942-43)19. Si arriva al 1943 quando gli eventi bellici fanno avvicinare sempre di più la linea dei combattimenti in questa zona ed anche le attività minerarie, pur non subendo incursioni dirette, vengono ostacolate dai ripetuti bombardamenti aerei anglo-americani tesi a paralizzare i trasporti con la distruzione delle vie di comunicazione, in particolar modo quelle ferroviarie. Tuttavia si continua a lavorare e vengono esauriti sia il grande banco Zabelli, che la cosiddetta “zona delle grotte” a Verzalla.

Così termina questo racconto ed anche se pressochè impossibile dimostrarlo è molto probabile che la notizia abbia preceduto i cani da caccia arrivando via teleferica. Questo dimostra, oltre all’umanità manifestata che nonostante il fatto che lavorare in miniera era subordinato alla appartenenza al Partito Nazionale Fascista vuoi per ideologia vuoi per necessità, lo spirito di corpo impedisce le delazioni. Personalmente mi auguro che ”l’ingegnerino”, come lo definì Italo, sia sfuggito alla follia dell’Olocausto ed abbia potuto raccontare l’episodio, ma torniamo alla storiografia.

Nella Galleria Sant’Anna si coltiva un vastissimo accumulo di limonite e, tramite avanzamenti mirati si tenta di raggiungere e mettere in vista un ammasso di minerale ferroso rilevato con indagini geofisiche mentre a S.Olga si perforano 120 metri di una nuova galleria per entrare nel pieno della mineralizzazione.

Nonostante i buoni risultati minerari, il 1940 è un anno tragico che si apre con la morte di quattro operai travolti e sepolti nel crollo improvviso della volta del cantiere Pianello 1 il 15 gennaio: Antonucci Gino, Garbati Italo, Monti Francesco, Rossi Medoro, questi i loro nomi.

Da Arsiccio 2 si ricava limonite ”di ottima qualità” mentre viene abbandonato Arsiccio 3 per il costante aumento di misti non utilizzabili. In seguito agli avvenimenti dell’8 settembre le attività estrattive vengono sospese mentre l’avvenuta distruzione della linea ferroviaria con

È doveroso adesso il riportare le testimonianze dei vecchi addetti per il luttuoso evento, visto certamente con i loro stessi occhi, ed un po’ meno scarno dei rendiconti ufficiali che parlano di una “tragica fatalità”.

18 Questo dopo la risposta alla richiesta E.D.E.M. del 16/12/1941 della Ditta Bleichert e C. di Lipsia (lettera del 12/01/1942 ) che conferma la paternità del manufatto ma “ci rincresce che non sia possibile rimettervi i disegni dei carrelli dei nostri accoppiatori automatici” proseguendo “in caso ne occorressero di nuovi o pezzi di ricambio favorite istruirci conformemente etc…” (documentazione privata dell’autore). 19 Ed anche questo potrebbe essere una piccola traccia a confermare possibili cointeressi ma purtroppo per poter almeno sperare in altre notizie bisognerà attendere che il Comune di Pietrasanta renda fruibile il proprio archivio o che permetta l’accesso a quanto sopravvisuto della vecchia documentazione E.D.E.M. che giace da decenni in condizioni non idonee.

Prima testimonianza: Sign. Mancini Remo caposervizio di Monte Arsiccio fino al pensionamento. “Era un brutto posto già coltivato anche tanti anni prima e che in precedenza del crollo aveva dato dei 17

Ri.Min codice 14774.

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Miniere di Monte Arsiccio – Pianello – Verzalla fino al 1945 il bombardamento della stazione di Viareggio, rende di fatto impossibile l’invio delle giacenze sia alle Ferriere Bresciane che alla Soc. I.L.V.A. di Piombino.

anche la tubazione dell’aria compressa ed accatastata alla meglio sui piazzali perché tutto sembrasse in trasando (leggi abbandono), vedete Marco è così che si è salvato il possibile e che dopo la bufera fu recuperato e rimesso in funzione“.

In effetti scorrendo i vari fogli di denunzia di variazioni di operai dipendenti20, obbligatori per qualsiasi ditta e da presentarsi entro il giorno 5 di ogni mese all’autorità di pubblica sicurezza (n.d.a.), presentati dalla Società E.D.E.M. Miniere di Monte Arsiccio e Valdicastello relativi all’anno 1943, si rileva l’inizio di massicci licenziamenti che iniziano il 25 di agosto per concludersi il 25 settembre successivo.

L’avanzata alleata è inarrestabile e viene predisposta la tristemente famosa Linea Gotica che attraversando questa regione prevede un fronte di terra bruciata. A questa fa seguito il comparire sul piazzale principale della miniera dei guastatori tedeschi per l’attuazione dei programmi, ma ancora una volta la parola ai vecchi minatori, i signor Bottari Torquato, Pieri Italo, Pierini Benito, Gamba Carlo e tutti concordano nell’episodio che riporto dai loro racconti.

Sempre da questo carteggio è desumibile la forza lavoro in 105 unità, come vedremo nel proseguo, con una età compresa fra i 65 anni del manovale Lazzari Lanciotto e i 14 dell’apprendista Rovai Sergio, nonchè i Comuni di provenienza elencati in ordine decrescente: StazzemaPietrasanta-Camaiore, pur non mancando Belluno-Massa marittima- e Sassari, mentre risulta direttore miniera l’ingegner De Lucia Vittorio.

“Vedi Marco (o vedete a seconda del frasario specie dei più anziani) un giorno vennero su da Valdicastello dove avevano già spaccato gli impianti (in particolare la laveria n.d.a.) per fare lo stesso servizio alle teleferiche; quella piccola per Verzalla era alla bella e meglio e diedero fuoco a tutto ma quella grossa era di cemento armato e così la minarono per farla saltare, ma ad un certo punto il capo si accorse che l’avevano costruita in Germania (ignoro se dalla targhetta costruttiva o dalle indicazioni in rilievo sulle putrelle di ferro del sistema di rotazione e carico) e diede l’ordine di sminare tutto tagliarono solo le funi e se ne andarono“21.

Di seguito le varie qualifiche ed il relativo numero: Minatori Manovali Apprendista Fabbro Cernitrici del minerale Sorvegliante

41 51 2 1 9 1

Con la ripresa delle attività nel dopoguerra da parte della sola Società E.D.E.M. vennero poi unificate le due concessioni minerarie per cui la storiografia proseguirà insieme a quella di Valdicastello.

Prima di concludere segnalo l’irrigidimento in senso stretto della legge citata causa “stato di guerra” ed il fatto che i fogli di denunzia sono contraddistinti dall’annotazione a stampa “modello ridotto per autarchia della carta” e reclamizzate reperibili presso la tipografia Bacci Rocco piazza Vittorio, Pietrasanta. In questo frangente e con il costante avvicinarsi del fronte, operai e dirigenti danno prova del loro attaccamento alla miniera che fino allora aveva rappresentato non solo la fonte di reddito, ma anche l’alternativa al servizio militare attivo essendo il minatore considerato “persona indispensabile all’economia del Paese” e quindi esentato dallo stesso, e nel caso poi si fosse verificato il contrario era sufficiente una richiesta nominale scritta dal Direttore dei lavori per il rientro almeno per tre mesi, ed in genere dopo due, massimo tre richieste, seguiva il congedo illimitato. Lasciamo la parola all’ex addetto signor Pierini Benito: “Si sapeva che i tedeschi portavano via tutto quello che poteva servigli e lo mandavano in Germania e così si cominciò a smontare tutti i motori, i compressori e le attrezzature portandole nelle gallerie più profonde che poi si fecero franare con le mine; venne smontata 20

Ecco il fortunoso salvataggio di un manufatto principe della nostra archeologia mineraria e che invece giace fatiscente nel più completo abbandono, non rimane che augurarsi un recupero di quanto resta con il moderno progetto Parco Minerario del Comune di Pietrasanta.

21

Art. 130 della legge 773 del 18 giugno 1931.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 13.8. E.D.E.M. 1943, Esempio modello denuncia licenziamento operai (A.S.C.P.).

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Miniere di Monte Arsiccio – Pianello – Verzalla fino al 1945

Fig. 13.9. Monte Arsiccio, ingresso Galleria Sant’Anna (foto T. Kurz).

Fig. 13.10. Monte Arsiccio, Galleria Sant’Anna (foto T. Kurz).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 13.11. Monte Arsiccio, vecchio impianto carica (foto T. Kurz).

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Miniere di Monte Arsiccio – Pianello – Verzalla fino al 1945

Fig. 13.12. Monte Arsiccio, stazione di partenza della teleferica (foto T. Kurz).

Fig. 13.13. Monte Arsiccio, stazione di partenza della teleferica (foto T. Kurz).

Fig. 13.14. Monte Arsiccio, stazione di partenza della teleferica (foto T. Kurz).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 13.15. Monte Arsiccio, tramoggia di carico (foto T. Kurz).

Fig. 13.16. Monte Arsiccio, edificio falegnameria attiguo all’ingresso della Galleria Sant’Anna (foto T. Kurz).

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Miniere di Monte Arsiccio – Pianello – Verzalla fino al 1945

Fig. 13.17. Monte Arsiccio, abitazione del guardiano (foto T. Kurz).

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14 Miniere del Pollone (o di Valdicastello) fino al 1945 Barite – Galena argentifera – Pirite (Tavv. 21-29) The mines of Valdicastello or Pollone are located in the same area as those of Monte ArsiccioPianello-Verzalla and all were possibly exploited in ancient times by the local Apuan Ligurians and/or the Etruscans (see Ch. III). From Medieval times a limited investigation by the Consorti of Corvaia is attested, and a document from the XVII century mentions the mines as an old source of galena. Some of the known galleries, intensively exploited in later times, must have been started much earlier. Between 1832 and 1836 real industrial exploitation of these mines began. The huge impact that these activities had on the environment and the local population is well documented by rich archival materials which record many complaints from local residents, caught in a dilemma between the economic benefits of the activity and its clearly detrimental effects. The production continued until 1850/51. It was followed by periods of abandonment or marginal exploitation until 1921 when the S.A.M.A. company acquired the land and the mining permit, investing large capital in new excavations and transport systems, until 1935 when finally the E.D.E.M. Society became responsible for the last use of these mines. non trovai nessuna traccia di antiche gallerie. Posso invece confermare l’esistenza di filoncelli mineralizzati a galena fino a poco oltre la zona di Cava Cugnasca4 dove, sempre in corso lavori, venne in luce una grossa lente con caratteristiche macroscopiche pressoché identiche a quanto rinvenibile nelle gallerie più a valle: Preziosa, Rosina, Pozzi Francese e Alessandro5.

Lo sfruttamento della galena argentifera già in epoca pre-romana è solamente ipotizzabile anche se la documentazione archeologica dell’area vede un certo interesse insediamentale di questa zona, mentre è più probabile una seppur limitata coltivazione all’epoca dei Consorti di Corvaia e Vallecchia e di Castruccio Castracani come sembrerebbe suggerire la documentazione del tempo, coltivazione poi abbandonata e scomparsa nel periodo successivo a favore dei ben più ricchi depositi del Bottino e delle Argentiere di Sant’Anna.

Ma procediamo per giungere al vero e proprio sviluppo e sfruttamento industriale della zona Pollone avvenuta in tempi a noi relativamente vicini e precisamente nel periodo 1832/1836-76.

Tuttavia un ulteriore ed attendibile indizio di attività metallurgica locale per tale minerale ci perviene dagli atti di una vertenza economica insorta nel 1613 tra Stefano Gamba di Valdicastello e i Frati Agostiniani della chiesetta di Santa Maria Maddalena1.

Quando viene affrontato il tema relativo all’inizio delle attività industriali organizzate nell’enclave medicea del Vicariato di Pietrasanta, si richiama l’attenzione agli anni seguenti la Restaurazione e vengono esaminate e descritte in ogni loro aspetto quelle attività connesse allo sfruttamento degli agri marmiferi. Si tralasciano così, o se ne accenna solo marginalmente, quelle minerarie e metallurgiche le quali, seppure in forma minore e limitata nel tempo, con­ dizionarono la vita e l’economia di interi paesi come, ad esempio, Valdicastello, La Culla, Sant’Anna di Stazzema, Farnocchia e Gallena.

Viene infatti ricordato “vicino alla chiesa esisteva una volta una casa dove anticamente si fondeva l’argento”. Anche G. T. Tozzetti descrivendo la zona nei suoi “viaggi”2 accenna ad una antica e scomparsa miniera di argento, ma non sono riuscito ad andare oltre se non il constatare che anche nella descrizione dello stato delle miniere alla metà del 18003 parla non di vecchie ma di “antiche gallerie abbandonate” indicandole genericamente con il nome di Tri Tri. Ma al di là di queste menzioni malgrado abbia seguito i lavori di sbancamento connnessi all’apertura della strada interna alla concessione mineraria del Pollone per il collegamento con il giacimento di Monte Arsiccio,

In particolare gli sbancamenti non rivelarono molto, eccetto estremamente sporadiche masserelle di barite compatta fino alla loro completa sparizione nel proseguo, dopo lo scavalcamento del Canale Ferraio al di sopra del mulino Bertelli. 5 Per la maggioranza i filoncelli si manifestarono con minerale a grana microcristallina contrariamente alla lente in habitus spatico e forse proprio per questo una sua parte venne fatta recuperare e trasportare dall’allora direttore signor A. P. M. Gorelli nel locale compressori, giacendovi in abbandono dopo la sua scomparsa e dove anni dopo ne raccolsi campioni mineralogici. 6 Argomento già oggetto di una specifica ricerca dell’autore in Baldi, M. 1994. Studi Versiliesi VII/IX. 4

1 Proprio dalla chiesetta omonima prende il nome l’adiacente borgata con la quale si identifica il primo nucleo abitativo dal quale si svilupperà nel proseguo il paese di Valdicastello. 2 Targioni Tozzetti, 1772. 3 Capaci, C. 1910.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) corrispondenza intercorsa tra i versiliesi Giovanni Belloni, Tommaso Albiani e Vincenzo Santini11.

Personalmente ritengo che questo modesto interesse storico possa ricercarsi sia nella scarsa documentazione disponibile, peraltro dispersa fra archivi e raccolte varie sia pubbliche che private ed a volte irraggiungibili, sia nell’accettazione comune, senza tentativi di approfondimento o verifica, della vecchia letteratura mineraria. Con questo studio propongo perciò un tentativo di indagine archeologico-industriale sulle coltivazioni a galena argentifera di Valdicastello e dell’Argentiera7 reso possibile, al di là della conoscenza specifica delle miniere e delle loro vicende, dall’esistenza nell’Archivio Storico Comunale di Pietrasanta di una filza di documenti relativi alla contabilità metallurgica dello stabilimento di Valdicastello compresa fra il 5 ottobre 1832 ed il 30 giugno 1834, fino ad oggi poco o nulla studiata8.

Sempre dalla stessa fonte conosciamo che nel 1829 il suddetto si stabilisce a Gallena da dove inizia le ricerche nelle antiche gal­lerie. Testualmente si scrive: “Qui (nel Vicariato) adesso vi è del moto e non si parla d’altro che della riapertura delle miniere dell’argento e di altri mi­nerali” e si prosegue informando che il Cav. Perres si è rivolto agli abitanti “con un pubblico manifesto per ricercare cento azionisti o capitalisti ciascuno partecipante con 500 franchi per la formazione di una impresa dove lui è direttore generale”. Per il momento non vi sono adesioni, tuttavia conti­ nua a comprare terreni a Gallena e a Valdicastello dove ha intenzione di aprire i pestatoi e la fornace12. Secondo quanto è noto al Santini, l’invito non trova consensi locali ed allora il Perres si trasferisce in Francia ed in Austria alla ricerca di soci e capitali.

Il periodo seguente la Restaurazione è caratterizzato dalla cosiddetta calata degli imprenditori o speculatori stranieri alla ricerca di nuove fonti di guadagno. Le miniere vennero così sfruttate anche in forma selvaggia perché se non apertamente favoriti nella loro azione, questi erano quantomeno tollerati dal potere cen­trale e da una parte di quello locale.

Finalmente il 21 settembre 1832 viene costituita a Vienna l’Impresa Metallurgica della quale egli stesso è direttore generale, mentre il signor Leone Perres ne è il cassiere generale e da questo momento l’attività del Cavaliere diviene frenetica.

All’epoca la Versilia era una terra potenzialmente ricca di risorse naturali ma ancora vergine da industrie ed associazionismi operai offrendo pertanto mano d’opera a basso costo.

Al principio di ottobre lo troviamo in Francia a Parigi e Lione dove acquista attrezzature da miniera e da laboratorio come lampade, bilance di pre­cisione, ecc., provvedendo anche alla loro spedizione da Grenoble a Livor­no13, da dove, il successivo 11 novembre, verranno imbarcate sul navicello S. Demetrio di patron Tartarino Polacci per essere consegnate “salve e non bagnate dalle acque” sulla spiaggia del Forte dei Marmi al signor Agostino Guglielmi, cassiere dele­gato dell’Impresa di Valdicastello.

L’economia rimaneva legata all’agricoltura ed alla pastorizia oltre che ad un modesto artigianato locale come, ad esempio, le coltellerie di Pomezzana oppure la lavorazione del ferraccio9 nel for­no e nei distendini della Magona Granducale a Ruosina, dove veniva impiegata prevalentemente mano d’opera bresciana10 e la cui gestione dal 1835 passerà ai privati. Uno dei primi stranieri ad interessarsi delle vecchie ed abbandonate miniere argentifere è il Cav. Giuseppe Naro Perres, “spagnolo e personaggio noto a Roma per un suo progetto di escavazione del Tevere”, come si rile­va dalla

Sempre in ottobre i membri del Consi­ glio di Amministrazione visitano le miniere, spese per viaggio e soggiorno L. 402, mentre il giorno 15 iniziano i lavori preliminari per la riattivazione, “affidando al caporale Luigi Angelini con altri individui, il cottimo per ren­dere

7 Fino alla seconda metà dell’Ottocento con il nome di Argentiera vennero generica­mente indicate tutte quelle località sede di escavazioni e lavorazioni di minerale argentifero, da cui la diffusione del toponimo. Nel caso in esame, si tratta delle coltivazioni nella parte superiore estrema della vallata Del Fondo, che saranno poi conosciute come miniere di S. Anna. 8 A.S.C.P. Miscellanea di contabilità metal­lurgica di Valdicastello. I vari documenti raccolti nella filza non sono ordinati cronologicamente, anzi sono spesso confusi e l’impressione generale è quella di una fretto­ losa riunione conservativa, forse per successivi atti giudiziari, stante il fallimento dell’Im­presa. 9 Ferraccio, ovvero ferro fuso non ancora raffinato. Quando, nei secoli XIII-XIV, la forza idraulica venne applicata ai mantici dei forni si ottenne la fusione diretta del minerale ma il prodotto ottenuto, a parità di materiali impiegati, non aveva più le caratteristiche di resistenza già note risultando estremamente fragile: si era giunti alla produzione della ghisa, da cui l’ap­pellativo di ferraccio. 10 Con il nome di bresciani viene sempre indicata quella mano d’opera specializzata pro­veniente dalla Lombardia, dal Veneto e dal Trentino (Brescia, Rovereto, Belluno, ecc.), zone di antichissima tradizione mineraria e metallurgica in costante evoluzione, basti l’esempio degli stessi forni granducali di Follonica e di Ruosina, “costruiti e andanti alla bresciana”.

11 Miscellanea. Lettere di scrittori, di dignitari, capi di dicasteri dirette a Vin­cenzo Santini dal 1825 al 1867, In A.S.C.P., filza I 163, n.n. In particolare, lettera di T. Albiani al Santini del 14.6.1829 e di G. Belloni al Santini del 31.7.1829. 12 Leggendo questa frase e dando per scontato che gli acquisti fossero fatti nel rispetto della legge mineraria toscana promulgata da Pietro Leopoldo il 13 maggio 1788, mi sono chiesto se la scelta di operare all’Argentiera ed a Valdicastello trascurando i vecchi lavori del Bottino e dello Sciorinello sia stata fortuita oppure dettata da conoscenze chimiche e geologiche. Infatti, come farà poi notare il mio grande maestro, lo scomparso Prof. Ing. GaborDessau, al quale ritengo doveroso rivolgere un reverente pensiero, “le galene del Bottino, che pure vengono cernite a mano, hanno tenori in argento minori delle altre”. (Dessau, G. 1935. Studi sulla miniera del Bottino, Torino: 333-52).Oltre a questo, variano anche le percentuali di antimonio già notate, seppure in forma empirica, dai fonditori tedeschi al servizio dei Medici durante la campagna di sfruttamento protrattasi con scarsi risultati dal 1542 al 1595-1596, nonchè la roccia incassante, o matrice, dei filoni. 13 A.S.C.P., Miscellanea di contabilità metallurgica, cit., c. 1 r. La nota spese è suddivisa in franchi francesi e in lire toscane, rispettivamente F. 1822,29 e L. 2129-2.

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Miniere del Pollone (o di Valdicastello) fino al 1945 gli altri esecutori18. La fretta di entrare in produzione fa sì che immediatamente, il giorno successivo 1° gennaio 1833, abbiano inizio i veri lavori estrattivi, per il momento limitati alla sola Argentiera, dove sono impegnati, oltre al capo­rale Angelini ed al sottocaporale Matteo Baldi, 15 minatori ed otto manovali. Contemporaneamente viene aperta una massiccia campagna di assunzioni e già nella settimana successiva gli addetti salgono a 38, fra i quali quattro donne impiegate nella cernita a mano del minerale (le sceglitrici sono Rosa Baldi, Lucia Galleni, Stella Aluisi ed Agata Angiolini), per passare ai 64 della settimana seguente.

agibili le miniere e spurgare le gallerie antiche dai fanghi e pietrame che le ingombrano e costruire i necessari stradelli”14. Intanto a Valdicastello, lungo il canale del Ferraio15, si procede alla individuazione della parte di collina da sbancare per ottenere una serie di piani dove costruire alcuni impianti16. La vecchia casa di Gallena è ormai decentrata rispetto agli impianti in costruzione per cui ne viene affittata una a Valdicastello da Manrico Bramanti per L. 11 e soldi 10 mensili, da pagarsi a se­mestri anticipati; mentre le spese generali per la sistemazione sono di L. 198, soldi 6 e 8 denari delle quali L. 38 e denari 5 “ai fratelli Balderi muratori“ “e per loro, che non sanno scrivere, riceve il signor Francesco Gamba”. Quest’ultimo è un personaggio che da adesso tro­ veremo legato all’Impresa sia come fornitore di materiali e di servizi vari sia come magazziniere, funzione che non gli impedirà di anteporre i propri interessi in contesti lavorativi, come vedremo in seguito.

Il numero sarà poi in costante aumento, dato che dal 26 gennaio iniziano le attività estrattive anche a Valdicastello dove viene trasferito, ed avanza­to di grado a caporale, Matteo Baldi. Inoltre, in questa località è introdotto sia il lavoro notturno dei manovali per lo sgombero delle gallerie da quanto estratto nella giornata con un soprassoldo di una lira o di 1-6-8 a seconda della qualifica, sia quello minorile svolto dai cosiddetti garzoni che in se­ guito verranno suddivisi in due categorie a seconda dell’età.

I viaggi intanto non sono finiti ed il 28 e 29 novembre il Perres si reca a Livorno “per trattare con la Compagnia Mineralogica” che dal 1831 ave­ va ripreso, ma senza successo, i vecchi lavori medicei del Bottino trovan­dosi presto in gravi difficoltà economiche. Segue l’acquisto di materiale vario, o quantomeno acquista della cancelleria poiché fino a tutto il gennaio 1833 i fogli di presenza operai e le ricevute di pagamento compaiono su carta intestata della Compagnia stessa dove le diciture “Compagnia Mineralogi­ca” e “Bottino-Sciorinello” sono annullate con tratti di penna e sostituite con “Impresa Metallurgica” ed “Argentiera e Val di Castello”.

Sempre in gennaio arrivano capitali in valuta, ritirati dal Gamba a Carrara19 ed avviene il desiderato Riconoscimento Granducale, tanto che sulla carta intestata comparirà poi la dizione “Impresa Metallurgica autorizzata con Sovrano Benigno Rescritto del 18 Gennaio 1833, miniere e stabilimento dell’Argentiera e di Val di Castello nel Vicariato di Pietrasanta in Tosca­na”. Segue l’acquisto di attrezzature per la coppellazione, mentre all’Argentiera viene costruita una capanna “ad uso magazzino ed officina con forgia e pila per acqua ad uso del fabbro”.

Dal 13 al 29 dicembre il Perres è a Firenze “per vedere il Granduca e fare altre operazioni per la intestatura [riconoscimento] della Impresa” e fra le varie spese sostenute troviamo “Regalie d’uso alle reali segreterie L. 40” ed anche negli anni seguenti avremo voci relative a “vari regali affidati al pro­caccia Iacopo Pera per condurli a Firenze”, ma troppo lunga sarebbe la de­scrizione di spese e ricevute per cui mi limiterò alle più significative.

Questi alcuni esempi di salari giornalieri (le retribuzioni sono espresse in lire, soldi e denari): Caporale sottocaporale: L. 1.13.4; muratore, falegname, minatore, fabbro: L. 1.10; minatore da L. 1.3.4 a 1.6.8; manovale L. 1; sceglitrice, garzone s. 13.4; Gioacchino Sormani “capo maestro falegname e meccanico” riceve L. 80 mensili.

Per terminare l’anno 1832, si osserva che i saldi per lavori e forniture avvengo­no il 31 dicembre sia a Gallena che a Valdicastello17, lo stesso giorno ter­mina anche il cottimo per la riattivazione delle miniere, in anticipo sui tem­pi previsti e con soddisfazione dei committenti tanto da giustificare, oltre al pagamento di L. 1466-8 per mano d’opera, l’erogazione di due “regalie straordinarie ai lavoranti”, una di L. 40 all’Angelini e l’altra di L. 38 da dividersi fra

Pur essendoci una differenza salariale fra i minatori, non com­pare ancora la suddivisione in categorie che interesserà poi anche i mano­vali. Con febbraio iniziano gli arrivi dei tecnici specializzati nei vari settori produttivi, i capi maestri, reclutati prevalentemente in Francia da cui l’appellativo di Savoiardi, in particolare da Parigi, che ricevono un rimborso per spese di viaggio di L. 160 ed una prima

Ibidem. c. 2 r. Contiene anche il dettaglio delle spese. La località è oggi identificabile con Villa Franca, foresteria della Soc. E.D.E.M. Minie­re SpA, alla periferia estrema del paese, e con le adiacenze a sud. 16 Il mulino di frantumazione verrà sempre indicato con il nome francese Bocard ed il responsabile del servizio “bocardiere”. 17 A.S.C.P., Miscellanea di contabilità metallurgica, cit. Dai saldi si rileva l’esistenza a Valventosa della Ditta Francesco Pacchiani, in grado di fornire oggetti di uso domestico e merci varie, di cui ecco alcuni prezzi: una padella L. 2-7-2; un candeliere di ottone L. 3; un mazzo di tre lime L. 3; un sacco di carbone L. 9; una libbra di polvere da mina L. 1-6-2. A Gallena provvide Leone Perres e a Valdicastello Agostino Guglielmi. 14 15

18 Ibidem. La ricevuta dell’Angelini è la n. 6 del 31 dicembre e l’altra, dello stesso gior­no, la n. 15. Da ora in avanti le ricevute sono indicate con R.n. 19 Ibidem. R.n. 35 di L. 7-6 pagate dal cassiere a F. Gamba per una sua gita fatta a Carrara per riscuotere un mandato di 2.000 lire provenienti da (illegg.); c. 353/5.

123

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) il granoturco, l’olio, i formaggi ed i salumi erano invece di produzione lo­cale27, come il vino comune, mentre quello definito “di ottima qualità” era reperito sempre a Livorno insieme a “caratelli di vino dell’Elba”.

sistemazione a Valdicastello presso l’inesauribile Gamba, sempre attento ai propri interessi. Infatti, il 19 febbraio egli “riceve L. 72 per vitto e alloggio somministrati per i primi giorni al commesso Antonio Mugnaini ed ai due capi maestri sa­voiardi20 e per nolo dei letti fin qui serviti ai signori Richard21 e Sormani ed a garanzia” (dei beni dello stesso Gamba).

Ancora oggi esiste a Valdicastello, alla periferia nord del paese ed attigua agli impianti del tempo, la borgata Parigi, ultima testimonianza della cittadella creata dalla dirigenza e dalla mano d’opera specializzata stranie­ra.

Avvicinandosi la bella stagione, si intensificano gli sforzi per la co­struzione degli impianti, proseguono le assunzioni di mano d’opera generica ed aumentano i salari di alcune categorie dirigenziali22. Il 20 marzo a Firen­ ze viene ratificato dal notaio Naro Ferdinando Cartoni il contratto costitutivo dell’Impresa23, mentre il 22 segue l’acquisto a Valdicastello “di un frantoio con mulino sul canale del Pollone a Grottaferrata con servitù di acqua, gora e lavatoio” da Giovanni Matteo Bottari e parenti. Il relativo rogito è del notaio pietrasantese Tommaso Frullani24 che anche in seguito provvederà ai bisogni locali del Perres, come ad esempio il successivo 1° ottobre per la vendita fatta da Giulio Gamba Martelli, sempre a Valdicastello, di “un cor­po di terra con sopra due mulini e servitù di acqua in luogo detto al Prato”25.

A questo punto è da notare come l’acquisto dei mulini nella località “al Prato”, che si trova a valle degli impianti, non era finalizzata alla captazione dell’acqua necessaria al funzionamento di questi ultimi ma piuttosto all’uso diretto dei mulini stessi, escludendo così la dipendenza per molitura dai proprietari di edifici ad acqua, con i quali il Perres entrerà ben presto in con­flitto aperto così come farà, del resto, con gran parte degli abitanti. Continuando la ricerca tra i fogli di presenza degli operai e tra i pagamenti ai tecnici specializzati, per i quali il salario era mensile, è possibile affer­mare che quella di Valdicastello fosse la più grande industria del Vicariato. Infatti, prendendo a campione i documenti relativi al mese di giugno 1833, troviamo ben 257 addetti che saliranno ad oltre 300 in dicembre. La cifra è comunque per difetto non comprendendo i dirigenti e gli avventizi in se­guito all’apertura degli impianti ed inoltre compaiono numerosi pagamenti per prestazioni saltuarie come (ne cito solo alcune di interesse locale): la stima ed il taglio di boschi, la costruzione di scale in legno per le miniere o la fornace da cal­ce, l’opera di carbonai, i trasporti di tavole e mattoni refrattari, ecc.28

Tutto questo offre la possibilità di fare alcune successive considerazioni. Tra i molteplici pagamenti fatti dall’Impresa ne compaiono diversi per generi alimentari che consente di avere un’idea sul tipo di alimentazione che sembra piuttosto frugale, peraltro integrata con l’allevamento di animali da cortile, si registra anche l’acquisto di un maiale, e con la coltivazione di orti e di una piccola vigna. Al tutto si poteva aggiungere la disponibilità di vettovaglie nel Vicariato di Pietrasanta, ma stante la penuria del momento il grano veniva acquistato in grossi quantitativi a Livorno e trasportato con navicelli a Forte dei Marmi per l’inoltro a Valdicastello26. Così arrivavano le aringhe in barile, mentre

È ancora interessante notare che è stato possibile accertare, sempre at­traverso la consultazione della filza, una bassa percentuale di analfabetismo tra gli addetti infatti, anche se scritture e firme appaiono spesso incerte, non sono poi molte quelle ricevute di pagamento dove compare la dicitura: “e per... che non sa scrivere, riceve...”, seguita dalla firma del garante.

20 Sono Giovanni Battista Favre e Giovanni Claudio Richermoz che alla fine dell’anno saranno raggiunti dalle mogli le quali, “stante la condizione di donne che impone di viag­giare separate”, riceveranno un rimborso spese di L. 228; le stesse sarannp impiegate nell’Im­presa quali “maestre del lavaggio del minerale”. 21 Gio. Maria Richard ed il fratello Amato sono i capi maestri meccanici e, probabil­mente, alla cessazione dei lavori del Perres almeno uno passa alle dipendenze della Compa­gnia del Bottino (che era subentrata alla Compagnia Mineralogica) e doveva essere ben esper­to e conosciuto tanto che in occasione della visita a Pietrasanta del 12 marzo 1838, il Gran­ duca Leopoldo II nella giornata seguente “si reca a Ruosina per visitare i pestatoi della Com­pagnia diretti dal savoiardo Richard inventore di abilissimi congegni”. 22 Quelli degli stranieri saranno maggiori, a parità di qualifica, dei salari percepiti da­gli italiani. 23 A.S.C.P., Lazzeri, B., Ricordi e memorie antiche e moderne estratte dall’archi­vio pubblico di Pietrasanta fino all’anno 1850, p. 180 della trascriz. 24 Ibidem. p. 428. L’importanza dell’acquisto non è tanto legata agli edifici quanto alla servitù delle acque, come vedremo in seguito. 25 Ibidem. p. 428. 26 A.S.C.P., Miscellanea di contabilità metallurgica, cit., R.n. 23 del 16.4.1833, da cui risultano pagate L. 31 a padron Fortunato Tonini per trasporto, da Livorno a Forte dei Mar­mi col suo navicello, di balle di grano ed altri generi alimentari; R.n. 8 del 20.6.1833 di L. 80 pagate a Pietro Berti per il trasporto di 160 balle di grano da Forte dei Marmi a Valdicastello. In seguito, non mancheranno arrivi di navicelli con carichi di vino, letti, armadi, tavoli, sedie, canapé e, particolare curioso, anche di un bidè francese.

Uno sguardo al lavoro femminile ci dice che, oltre alle 11-15 sceglitrici addette alle miniere, durante l’estate ve n’erano 48 impegnate “per trasporto della rena alle fabbriche”29 e da 30 a 35 “per trasporto dei fasci di legna” 27 Ibidem. Dalla nota del mese di dicembre 1833 si rilevano i seguenti pagamenti: L. 153 a Giuseppe Bertelli per 17 sacchi di granoturco; L. 143 ad Antonio Beani per salumi; L. 60 ad Angelo Grassi per 10 barili di vino. Ed ecco alcuni costi: un barile di vino L. 6, un barile di olio da L. 48 a L. 52. 28A proposito dei trasporti, va segnalato il fatto pressochè sconosciuto che il riuscire ad entrare in rapporti d’affari con le miniere era molto più ambito rispetto alle cave di mar­mo, sia per la costanza del rapporto, non soggetto a periodi di chiusura per cause atmosferi­che, sia per la regolarità dei pagamenti, sia perché la giornata lavorativa era calcolabile in otto ore. (vd. Blanchard,1877). 29 La sabbia veniva estratta in tre punti diversi dell’alveo del torrente Baccatoio e vi provvedevano da 7 a 10 uomini. Non è ben chiaro se il trasporto agli impianti avvenisse tut­to a braccia oppure se l’opera delle donne fosse limitata allo scarico dei carri giunti all’inizio della mulattiera che portava alle costruzioni. È da notare la fretta nell’approvvigionamento durante la bella stagione poichè l’arrivo delle piogge avrebbe limitato se non precluso le ope­razioni.

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Miniere del Pollone (o di Valdicastello) fino al 1945 tagliata nei boschi circostanti acquistati a più riprese dal Perres.

necessità consideran­do i benefici derivanti dall’attività della Impresa Metallurgica non solamente per gli abitanti di Val di Castello ma per la intera comunità impiegando mano d’opera che toglie la disoccupazione che segue la stagione della produzio­ne dell’olio37”. Viene previsto anche l’utilizzo del cottimo in modo da impiegare un maggiore numero di operai ed il voto unanime della Magistratura Comunitativa dimostra ancora una volta l’influenza esercitata dall’Impresa Metallurgica ed allo stesso tempo le grandi speranze di progresso economico e tranquillità sociale che ven­gono riposte ìn un’attività di tali dimensioni, capace potenzialmente di tra­sformare il volto di un’intera comunità.

Con l’entrata in funzione della laveria e l’ultimazione degli altri impianti, il loro numero passerà ad una sola sceglitrice all’Argentiera30, 30 lavatrici del minerale31 e ancora da 30 a 35 per i fasci di legna32. Particolarmente interessante è una nota di spese relativa al mese di mar­zo 1833 dove, in calce e quasi nascosta, appare l’annotazione “Regalia stra­ ordinaria al Sign. Lamporecchi per le premure prestate all’Impresa come dalla decisione del Consiglio generale di Vienna del 10 Febbraio L. 600”33. La cifra non ha bisogno di commenti rapportandola a salari e prezzi corren­ti, ma purtroppo non sono riuscito a stabilire con certezza chi fosse il non meglio definito signor Lamporecchi34, posso soltanto supporre che si trat­tasse di un membro della omonima famiglia di Pietrasanta ben introdotta nella vita pubblica della comunità.

Dalla lettura del verbale si ricavano: Costo dell’opera a) allargatura, rettificazione e voltura

Lire soldi denari 443

1

8

b) per usurpazione ai Signori Francesco Gamba

Il successivo 5 aprile comunque il Perres scrive “all’Illustrissimo Sig. Vicario Regio”35, dicendo che le attività delle miniere, “che vanno ogni gior­ no aumentando”, necessitano di una strada adeguata poiché quella esisten­te non sopporta più il traffico di uomini, mezzi ed animali36 per cui “mi faccio ardito a sottoporre una domanda che già da qualche tempo mi pro­ponevo di indirizzarLe anche a nome di questi abitanti”.

e D’Andrea Coluccini di terreni ulivati e ortivi 433 Totale

3



876

4

8

Tipo di esecuzione dei lavori “Verrà fatto con il sistema del cottimo che contribuirà a ridurre la disoccupa­zione ancora di più ed inoltre potrà venire affidato al Signor Dottore Santi Gamba già accollatario della detta strada in virtù del contratto iscritto M 20 dell’anno 1832 purché i lavori siano compiuti entro il termine di un mese e mezzo dalla data della deliberazione ed il canone di accollo rimanga compreso nelle annua­li L. 234”.

In definitiva richie­de che si provveda alla sua sistemazione “esaudendo le mie preghiere, lo scopo delle quali tende a pro’ dí questo paese e di tutti i suoi abitanti”. Il Vicario riceve la petizione il giorno successivo ed immediatamente viene incarica­ to l’ingegnere del circondario di recarsi a Valdicastello per un sopralluogo e presentare poi un progetto per “addirizzatura, rettificazione e voltura del­la strada comprensivo delle spese necessarie per i lavori e per la usurpazione dei terreni”.

Pagamento degli espropri “I Signori Francesco Gamba e Coluccini saranno pagati nel venturo anno 1834 ed i terreni rimasti inusati saranno posti al pubblico incanto”, invano Domenico D’Andrea Coluccini ricorrerà alla Magistratura Comunitativa, quantomeno “per avere la riduzione dell’estimo avendo perduto 16 pertiche di terreno ortivo in luogo detto piazza Betta38”, probabilmente non era persona gradita poiché in calce alla petizione troviamo l’annotazione: “Non è meritevole di sgravio. B. Lazzeri e G.B. Magri deputati”.

Il 27 dello stesso mese l’incarico è ultimato e nel giro di due soli giorni, con apposita seduta magistrale del 29 aprile stesso, progetto e spese vengono ap­ provati all’unanimità con la motivazione: “opera di pubblica Con il passare del tempo e stante il basso rendimento e gli elevati costi del trasporto, i lavori minerari saranno concentrati a Valdicastello. 31 Il loro compito era pressochè identico a quello delle sceglitrici, con l’aggiunta del lavaggio prima dell’avvio al mulino di frantumazione. 32 Per un esempio relativo all’occupazione ed ai salari dell’Impresa Metallurgica di Valdicastello si veda Fig. 14.3. 33 A.S.C.P., Miscellanea di contabilità metallurgica, op. cit.; brogliaccio collocato a circa un terzo della filza. 34 A.S.C.P., Registri dei Gonfalonieri e Priori riordinati nel 1816 e 1837 e carte e fo­gli diversi, filza C 73a, n.n. Fra i nomi dei cittadini potenzialmente eleggibili alla carica di gonfaloniere, troviamo i fratelli Lamporecchi ed anche il Dott. Santi Gamba, di cui in segui­to. 35 A.S.C.P., Affari risoluti dai Magistrati delle tre Comunità. Pietrasanta, Seravezza, Stazzema dal 1833 al 1836, filza C 65, c. 21 r. e v.; il Vicario Regio era Primo Ronchivecchi. 36 Il tracciato originario, molto diverso dall’attuale, oltrepassata la pieve dei SS. Gio­vanni e Felicita attraversava il torrente Baccatoio in località Regnalla costeggiandolo fino alle cosiddette Pisciaie alla periferia sud del paese, che attraversava nuovamente proseguendo sotto monte fino alla borgata Parigi, per innestarsi infine sulla mulattiera per S. Anna. 30

In attesa dell’entrata in funzione degli impianti, il minerale estratto vie­ ne lavato direttamente nei canali con conseguente intorbidamento delle ac­ que, mentre il progressivo incremento delle escavazioni rende il fenomeno sempre più consistente con proteste degli abitanti che si trovano pressoché impossibilitati ad usare 37 38

125

A.S.C.P., Partiti, H 51, f. 189 r. e v. A.S.C.P., Affari risoluti dai Magistrati ecc., filza C 65, cit., c. 365r.

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 14.1. Giardini Villa Franca, foresteria ex E.D.E.M, pestatoio delle polveri.

le acque. Si diffonde inoltre il sospetto che in se­guito ai lavaggi si liberino “sostanze venefiche che infettano39”.

Carlo Coluccini abitanti in Val di Castello44” denunciando che in seguito alla prossima entrata in funzione della laveria “le acque diventeranno torbide e infette”, gli stessi comparen­ti espongono anche il timore che il Cav. Perres “potrebbe per proprio tor­naconto impedire l’accesso alla sorgente del Pollone che ricade nelle sue pro­ prietà”, privando così gli abitanti anche dell’acqua da bere la quale “non può essere attinta che alla fonte perché non appena uscita dalla polla corre a mischiarsi con l’acqua del torrente”.

Il supposto avvelenamento trova giustificazione nel fatto che nel corso dell’anno pre­cedente (1832) era stata pubblicata a Firenze una relazione generale sullo stato delle miniere d’argento nel Vicariato di Pietrasanta e fra i vari com­ponenti della galena argentifera venivano indicati arsenico e rame40 e così, in maggio, una parte degli abitanti si rivolge alla Magistratura Comunitativa denunciando una situazione intollerabile41.

I ricorrenti chiedono la garanzia del rifornimento idrico mediante la co­struzione di una fontana pubblica “nella piazzetta attigua alla casa di F. Gamba che trovandosi nel borgo sopra la chiesa è luogo comodo per tutti”, tuttavia per limitarne le spese, suggeriscono di realizzarla “all’uso mila­nese”, utilizzando cioé “tubi” di ontano sorretti da pali, “nella quale mani­fattura si hanno attualmente a Val di Castello costruttori e artefici”.

In seguito alla richiesta di verifica viene deciso di incaricare il Prof. Antonio Targioni Tozzetti42 di compiere uno studio completo delle acque e delle miniere “com­ prensivo di tutte le prove necessarie ed adatte a scoprire la possibilità del veneficio43”. La questione non è che agli inizi ed il 19 agosto seguente “com­pariscono davanti al Gonfaloniere e Priori i Signori Dott. Santi Gamba, Giuseppe Bottari, Francesco Gamba e

Questa soluzione eviterebbe murature e sarebbe accettata dagli abitanti; l’istanza termina con l’invito a verificare la realtà di quanto esposto ed obbligare poi il Perres a costruire la fontana poiché “la mancanza rende già molto infeli­ce la situazione del paese e della popolazione stessa”.

39 A.S.C.P., Perizie e rapporti di lavori riguardanti le tre Comunità e lettere diverse dal 1833 al 1836, filza C 66, c. 112 r. 40 Repetti, E. 1833-1846. 41 A.S.C.P., Partiti, H 51, f. 192 r. e v. 42 Nipote del celebre Giovanni autore dei Viaggi fatti in diverse parti della Toscana, pubblicati nel Settecento in due diverse edizioni. 43 Adunanza del I° giugno 1833.

44

126

A.S.C.P., Affari risoluti dai Magistrati ecc., filza C 65, cit., c. 76 r. e v.

Miniere del Pollone (o di Valdicastello) fino al 1945 Tutto questo ci offre un ulteriore supporto per risalire alla precisa to­pografia degli impianti e ci informa di come l’intorbidamento in atto non fosse che un preludio di quanto si andava preparando, ed accogliendo l’istanza il 21 agosto viene stabilito di ordinare la co­struzione della fontana “ma bensì a tutto solo carico della Impresa mede­ sima assumendo i necessari provvedimenti con intelligenza onde prevenire qualsiasi sconcerto che derivare potesse a danno di quella popolazione così privata di uno dei primi naturali e troppo necessari elementi45”. Sempre in agosto si reca a Valdicastello il Prof. Targioni Tozzetti che visita tutte le coltivazioni in atto, prelevando campioni di minerale poi sottoposti ad una serie di cinque prove diverse sia a caldo che a freddo, delle quali una parte viene eseguita direttamente nel laboratorio dell’Impresa.

suggeriscono una chiave d’interpretazione dei fatti, poiché è proprio in questo periodo dell’anno che avviene la vi­ nificazione seguita poi dalla raccolta e frangitura delle olive, operazioni che necessitano della disponibilità di acque.

I risultati portano il Professore alla conclusione dell’infondatezza del supposto avvelenamento delle acque, tuttavia leggendo l’intera relazione fino ad ora inedita46, si avverte il conflitto dell’uomo diviso fra i risultati analitici e la propria co­scienza. Infatti, prima di concludere, egli evidenzia come l’intorbidamento sia sì di origine meccanica e non chimica ma che è anche destinato ad aggra­varsi con l’imminente entrata in funzione della laveria e del mulino; così scrive il Prof. Targioni Tozzetti: “Affinché un tale intorbamento non possa dirsi assolutamente nocivo, purtuttavia può riuscire di qualche danno quando trattasi di abbeverarvi il bestiame con quelle acque o lavarvi i panni o im­pastarvi le olive o lavarvi gli oli o servirsene per gli altri usi domestici”. Prosegue suggerendo la realizzazione di bacini di decantazione “in manie­ra tale che cessi di essere se non di danno di incomodo almeno per gli abi­tanti di Val di Castello”.

Una volta estratto, il minerale veniva accuratamente ripulito dalla ganga sterile passando poi al lavaggio dove si cercava di liberarlo quanto più pos­sibile dal terriccio e da altre eventuali inclusioni che influivano sul risulta­to finale, ovvero sulla quantità di argento ricavata da ogni tonnellata di minerale rispetto alla quantità di carbone, o di legna, impiegata per la fu­sione49. Nel frattempo poiché non erano stati realizzati neppure quei bacini suggeriti dal Prof. Targioni Tozzetti, fanghi e sabbie scorrevano liberamente nel torren­te50.

La relazione porta la data del 18 settembre 1833 ma nella filza Magistrale di archivio è inserita in quella dell’anno successivo e questo mi aveva por­ tato a considerare la possibilità di un ritardo nella consegna, anche se la cosa poteva apparire un po’ strana vista l’urgenza della richiesta e la celerità con cui si susseguono avvenimenti e decisioni.

Per comprendere appieno il fastidio derivante dai fumi dove si libera anche anidride solforosa, è necessario avere presente la topografia del paese e degli impianti concentrati all’inizio di una stretta gola dove, in assenza di vento, avve­niva il ristagno.

Dato che ormai era stata decisa la costruzione della fontana, si era probabilmente pensato di non rendere la relazione Targioni Tozzetti immediatamente pubblica per non acuire i con­flitti latenti, in attesa di trovare una soluzione cosa che peraltro non avver­rà mai, mentre il 1834 è un anno di grandi tensioni fra il Perres, che nel frattempo si è ben guardato dal far costruire la fontana, e gli abitanti non solo del paese ma dell’intera vallata sottostante, per due nuovi motivi di preoccupazione: le sabbie di resulta della laveria ed i fumi sprigionatisi dalla attigua forna­ce48.

Questo non era che un aspetto del problema, ancora nella parte più a valle, dove le acque del Baccatoio riducono la velocità di scorrimento, avveniva la decantazione naturale con il conseguente innalzamento dell’alveo51 ed in caso di forti piogge seguiva la tracimazione con allagamenti fino all’allora via Regia (attuale Sarzanese).

Ed ecco un susseguirsi di proteste “per i vapori nocivi che ammorbano ed infettano l’aria”. Così il 20 marzo la

In seguito ho trovato una nota di spese del 20 novembre 183347, trasmessa dalla cancelleria di Pietrasanta al Cav. Perres dove, oltre alla iscrizione di volture, compare come ultima voce Copia della relazione Targioni L. 6.13.4..

Gli impianti appartenevano, è bene ricordarlo, all’Impresa Metallurgica e non, come ha scritto il Paiotti, alla “Società francese Boissat, che gestiva le miniere del piombo argenti­fero del Bottino”. (Paiotti, G., Carducci e la Versilia sua terra natale, Pietrasanta 1957, p. 35). Tra i dipendenti dell’Impresa era anche il Dott. Michele Carducci, padre del poeta Giosuè che nascerà nel successivo 1835. 49 Il risultato era il cosiddetto “slicco”, cioè minerale quasi puro. Fino alla metà del­l’Ottocento nei processi metallurgici dell’Europa continentale venne utilizzato esclusivamente carbone di legna il cui prezzo sarà, così come da sempre, in costante aumento per la pro­gressiva scomparsa dei boschi e la loro lontananza dalle industrie. L’Inghilterra, invece, già dalla fine del Settecento aveva adottato il carbon fossile pro­vocando il tracollo dell’industria francese e tedesca; il problema venne avvertito anche nel Granducato tanto da commissionarne uno studio al Prof. Angelo Vegni. Poi, nel 1835, la vec­chia Magona granducale del ferro fu ceduta ai privati. 50 In epoche successive e specie al Bottino verranno recuperate sia la matrice quarzosa sia la resulta di laveria, rivendendole poi all’industria vetraria ed alle fabbriche di mattoni. 51 La zona a bassa pendenza corrisponde alle attuali località Regnalla e Martinatica. 48

Decaduta perciò l’ipotesi del ritardo rimane quella di un quanto mai improbabile errore nell’inserimento ma è la data del 18 settembre e la cer­tezza del ricevimento che A.S.C.P., Partiti, H 51, f. 300 r. A.S.C.P., Perizie e rapporti di lavori ecc., filza C 66, cit., cc. da 110 r. a 121 r. Oltre alla descrizione delle analisi, la relazione ci offre una panoramica sulle conoscenze chimi­che e fisiche del tempo ed il nome delle gallerie, una delle quali era intitolata alla città sede dell’Impresa: Vienna. Il Targioni Tozzetti si sottoscrisse come “pubblico professore di chimica applicata nel­l’I.R. Accademia di Belle Arti di Firenze”. 47 A.S.C.P., Miscellanea di contabilità metallurgica, cit., c. 427. Oltre alla voltura del mulino Gamba, contiene anche le spese per la ricongiunzione di un livello della Pia Eredità Carli pari a L. 31-12-9. 45 46

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) A questo segue una lettera del Perres60 che riassume tutti i problemi che provocano conflittualità, visti ovviamente con i suoi occhi.

Magistratura in­carica i deputati Giuseppe Carli e Dott. Santi Gamba52 di recarsi a Valdicastello per scegliere la località più adatta per la costruzione della fon­tana poiché nel frattempo la popolazione si è divisa. Infatti, mentre una parte la chiedeva ancora “nella piazzetta, luogo comodo per tutti”, l’altra invece “a confine con l’orto di Leonardo Tartaglia sulla strada per S. Anna53”, e nella stessa occasione anche il medico Agostino Pieri ed il chirurgo Odoardo Linoli54 vengono incaricati “di visitare, verificare e riferire sulla nocività dei fumi così vicini al luogo prescelto55”.

Il 16 luglio, intanto, viene presentata la relazione Albiani - Bresciani61 che, data per scontata la costruzione della fontana, chiede invece la demolizione della fornace che l’Impresa potrà ricostruire “a suo totale carico e spese nel luogo più adatto ma lontano”. La soluzione è approvata dalla Magistratura Comunitativa con quattro voti favorevoli ed uno contrario. Il Direttore Generale Cav. Perres ne viene informato due giorni dopo e, toccato nel vivo degli interessi non prende più tempo come aveva fatto in precedenza quando si dichiarava “ardito a richiedere” e quando lo scopo delle sue preghiere “tendeva a pro’ di questo paese”, così il giorno 20 il Cav. Perres scrive “all’Ill.mo Sign. Gaetano Poccianti cancelliere della Comunità di Pietrasanta in risposta al suo pregiatissimo foglio62”.

Mentre i due deputati raggiungono un accordo con il Perres per la costruzione e allo stesso tempo per una semilibertà per gli abitanti di attingere acqua da bere direttamente alla sorgente del Pollone “anche se ricadente nelle proprietà della Impresa”, la relazione del medico e del chirurgo del 12 aprile seguente parla di “co­struire la fonte il più lontano possibile dalla fornace56”, a cui consegue lo stesso giorno la decsione di un nuovo sopralluogo da parte dei depu­tati Pietro Albiani e Lorenzo Bresciani.

Dopo i convenevoli d’uso esordisce dicendo che il frantoio acquistato il 22 marzo 1833 e trasformato in laveria e mulino “sporcava ed infettava le acque così come le infettano quelli che sono inferiormente”. Il problema è dunque sempre esistito, quanto ai contadini ed ai proprietari di mulini e frantoi più a valle “del nobile edifizio della pesta e del lavaggio del minera­le argentifero la cui lavorazione turba, a dir vero, un poco le acque con le sue sabbie”, non possono certamente lamentarsene, esse sono infatti ad­dirittura un beneficio gratuito ed insperato “perché quelle sabbie si sono rivelate utilissime ed hanno otturato tutti i meati da cui spandevano le ac­ que consentendo a tutti i sottoposti edifizi di rimanere in attività tutto l’an­no nonostante la siccità che ci sovrasta, cosa che non avveniva negli anni precedenti”.

Della questione dei fumi verrà informato successivamente il potere cen­trale, ma la relazione del Regio Consultore delle miniere Teodoro Haupt57 al Granduca ribalta la tesi della nocività, sostenendo che non si è manifesta­ to nessun aumento delle malattie e della mortalità sia fra le persone che fra gli animali, “quanto poi al forno utilizzato”, sostiene l’Haupt, “esso è costrui­to all’uso di Sassonia dove ne funzionano da oltre cento anni senza aver provocato danni”. La questione è così chiusa: le regalie e la ragion di Stato hanno di nuovo funzionato.... In tutto questo rincorrersi di istanze e deliberazioni, in una cosa con­ cordano il Cav. Perres, Carlo Coluccini, Francesco Gamba, il Dott. Santi Gamba ed altri abitanti il 22 maggio quando presentano la richiesta di co­struzione di muretti protettivi lungo alcuni tratti della nuova strada: “ormai pericolosa per il grande traffico e specie in diverse curve dove i mozzi dei barrocci colpiscono la gente alle gambe58”. Per quanto reale fosse, il pro­blema non era poi così importante come l’innalzamento dell’alveo del Baccatoio, le torbe e la necessità di avere disponibile acqua “per bere ed altri usi domestici”, come scrivono il 14 giugno Bartolomeo Biagi, Ceccardo Tartaglia, Francesco Bottari ed altri59.

Invece di esserne grati e riconoscenti, così che il Cav. Perres si lamenta che “più avventurosi adesso costoro si rivolsero a codesta spettabile Magi­stratura”. In aggiunta, l’acqua per bere non è affatto un problema poiché “l’Impresa è stata già bastevolmente generosa a permetterne il trasporto, senza però al­cun pregiudizio per i propri stabilimenti, e di costituire una servitù nei pro­ pri fondi”. La fornace, infine, è stata costruita vicino alle miniere e la sua demolizione “comporterebbe una spesa gravosa e perpetua per il trasporto del minerale”. Da non sottovalutare poi il fatto, ancora secondo l’opinione del Perres, “che essa non è sempre in funzione e che lungo tutte le vie pub­bliche della Toscana ve ne sono un gran numero che non producono il mi­nimo inconveniente”. L’Impresa di Valdicastello viene accomunata a quel­le da mattoni e da calce, citando in ambito locale “quella Ponticelli e

A.S.C.P., Partiti, H 52, f. 17 v. L’accenno all’orto suggerisce un’ipotesi sulla conflittualità creatasi nel paese, poi­chè la fontana significava non solo acqua potabile ma la disponibilità per irrigazione della zona ortiva circostante la parte sud della borgata Parigi, senza dover attingere nel canale. 54 Rispettivamente medico e chirurgo della Comunità; al tempo la professione era di­visa nelle due “matricole”. 55 A.S.C.P., Partiti, H 52, ff. 17 v - 18 r. 56 Ibidem. ff. 20 v. - 21 r. 57 Per maggiori notizie minerarie, vd. Haupt, T., 1847. 58 A.S.C.P., Affari risoluti dai Magistrati ecc., filza C 65, cit., c. 295 r. e v. 59 Ibidem. c. 304 r. e v. 52 53

Ibidem. cc. 457 r. e v.; 490 r. e v. A.S.C.P., Partiti, H 52, f. 30 v. 62 A.S.C.P., Affari risoluti dai Magistrati ecc., filza C 65, cit., cc. 457 r. e v.; 490 r. e v. 60 61

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Miniere del Pollone (o di Valdicastello) fino al 1945 nell’anno 1900 l’acqua giungerà “nella piazzetta del borgo sopra la chiesa”, come risulta dalla data scolpita sul frontone.

Bichi sulla via maestra che da Seravezza conduce a Ponte Stazzemese”. In ultima analisi, tutte le questioni di cui si dibatte non sono opera o volontà della popolazione di Valdicastello “perché avendo avuto occasione d’interpellarne la maggior parte ho avuto modo di assicurarmi che le diffi­ coltà che si affacciano non sono dovute tanto da essa, ma sono piuttosto suscitate da due ben note persone63 che agiscono per fini secondari e son pervenute ad indurre in errore i Signori Deputati”. L’imprenditore spagnolo conclude la sua lettera affermando di aver richiesto il parere dei propri in­gegneri a proposito della demolizione: “ma essi mi hanno assicurato essere totalmente inutile e che niuno pregiudizio può derivare dalla sua vicinanza alla fonte”. In definitiva, “tutto ciò premesso, mi duole Signor Cancelliere doverle dichiarare che codesta amministrazione non può assolutamente uniformarsi al parere dei deputati Albiani e Bresciani”.

Il Boissat riprende le coltivazioni affidandone la direzione al signor Marcello Paret poi nel 1841, mancando di poco il raddoppio del capitale iniziale investito, cede il tutto ad una società con a capo il Console Guglielmo Hahner, residente a Livorno e cointeressato nello sfruttamento della non lontana miniera cinabrifera di Ripa da poco scoperta, tantochè gli impianti di Valdicastello saranno poi saltuariamente utilizzati per la produzione di mercurio. Le relazioni minerarie del tempo67 consentono una seppur limitata panoramica delle attività. Oltre alla galena argentifera vengono sfruttati i filoni cupro - argentiferi di Buca dell’Angina ed il rendimento iniziale fu talmente alto da indurre alla demolizione delle vecchie strutture produttive costruendo un nuovo stabilimento definito “grandioso” e dove nei forni alimentati da una soffiera azionata idraulicamente dalle acque canalizzate del canale Ferraio, venivano trattate:

Adesso la Magistratura dovrebbe invalidare il giudizio degli ingegneri e così, in attesa di sviluppi, “la popolazione continui ad avere un poco di pazienza, nel frattempo potrà scavare nuovi pozzi o attingere acqua al di sopra degli impianti”.

• • • •

Della ormai mitica fontana si torna a parlare soltanto nel successivo 1835 con una lettera del Provveditore della Camera di Pisa al Vicario Regio di Pietrasanta nella quale se ne sollecita la costruzione, “spettando alla Vostra Eccellenza far conoscere le determinazioni della Magistratura64”.

galena argentifera minerali cupro argentiferi di Angina cinabro di Ripa prodotti residui delle lavorazioni di oro e argento appositamente acquistati ed indicati come “ceneri e spazzature degli orefici”.

Vennero riprese anche le vecchie coltivazioni delle Argentiere di Sant’Anna, ma la produttività iniziale tende gradualmente a diminuire, mentre si ripropone il passato ed insoluto problema di conflittualità con gli abitanti per le acque del canale intorbidite ed i fumi con nuovi ricorsi alla Magistratura che fatta propria la questione si orienta verso l’obbligo della Società a costruire, ed a proprie spese come già previsto all’epoca del Perres, la ormai mitica fontana pubblica con annessi lavatoi ed abbeveratoio.

Ancora una volta il direttore dell’Impresa ignora qualsiasi ingiunzione, mentre continuano fumi, torbe e petizioni. Si giunge così al 23 febbraio 1836, quando viene affrontato di nuovo il problema “fontana”, tentando una me­diazione con l’incarico al Cav. Giuseppe Carli e all’ingegnere del circon­dario “di visitare, verificare e riferire, interpellando non solo il Cav. Perres ma anche gli abitanti per un concorso alle spese65”. Tuttavia, nel frattempo, gli affari del Perres volgono rapidamente al peggio: “In quest’anno 1837 la Impresa Metallurgica dichiarò il fallimento, cessò la lavorazione ed il pro­getto della fonte andò in fumo e nel 1838 vennero esposte all’incanto tutte le miniere e le fabbriche e vennero aggiudicate al Cav. Alessandro Boissat di nazionalità francese per il meschino prezzo di L. 63.23066”.

Attenendosi ad U. Panichi68 la questione venne seguita anche dal Governo Granducale incaricando il regio Consultore delle Miniere T. Haupt di presentarne una relazione, come in effetti avvenne, ma il benessere generale non poteva ancora una volta prevalere su quello societario tanto che lo stesso citato consultore risolse la questione fumi affermando, come già citato: che i forni sono uguali a quelli funzionanti da decenni in Sassonia dove non hanno mai provocato danni. Per le acque si provvederà a soddisfare le richieste ma intanto nell’immediato si continui, così come da molto, ad avere pazienza. Ma prima della pazienza si esauriscono i capitali societari, che portano nel 1850/51 all’interruzione delle attività e, stante il coinvolgimento Hahner nella miniera di Ripa,

Anche negli anni successivi la sospirata “fontana pubblica con lavatoio” rimarrà un miraggio e solamente 63 Non sono riuscito a stabilire con certezza chi fossero le “due ben note persone” ma probabilmente l’accenno sottintende i deputati Albiani e Bresciani. 64 A.S.C.P., Ministeriali della Reale Camera di Pisa dal 1833 al 1836, filza C 63, c. 836r. 65 A.S.C.P., Partiti H 52, f.80v. 66 A.S.C.P., B. Lazzeri, Ricordi e memorie ecc.., op. cit., pp. 187 e 430 trascriz.: contratto di vendita del 21.7.1838 del Notaio Giuseppe Bartolini di Pietrasanta.

67 68

129

vd. Repetti 1832, Haupt 1847, Targioni Tozzetti 1833. Panichi, U. 1910.

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 14.2. Topografia schematica di Valdicastello 1833-1852.

130

Miniere del Pollone (o di Valdicastello) fino al 1945 penso valga ricordare come anche quest’ultima era ormai giudicata in via di esaurimento69.

Spezia per la trasformazione in ossido di piombo (minio). Il vecchio frantoio minerali torna a macinare adesso barite e silice che vengono vendute alla Richard Ginori di Firenze per la preparazione degli impasti ceramici, ma ecco ben presto profilarsi il tracollo economico nelle vesti di un non meglio indicato figliolo di un avvocato o notaio72 che propone di rilevare il tutto per una cifra, così la definì Italo, “astronomica”.

Intorno al 1873/76, si trasferisce dalla natia Sant’Anna a Valdicastello insieme alla famiglia ed i numerosi capi di bestiame di cui era proprietario, Pellegrino Pieri fu Arcangelo, di professione pastore e agricoltore, di condizione sociale benestante70, il quale volendo espandere i commerci alle proprie attività rileva i diritti di pascolo, di stallaggio ed i terreni produttivi anche nelle adiacenze dei vecchi e dismessi impianti minerari, circostanza che lo porterà a trasformarsi in un imprenditore.

Venne raggiunto l’accordo da perfezionarsi con un contratto dove però esistevano clausole vincolanti probabilmente non comprese dal Pellegrino: l’acquirente subentrava immediatamente nel possesso ed il pagamento sarebbe avvenuto non appena ne avesse acquisita l’intera e piena proprietà, cosa impossibile a farsi essendo Pellegrino solamente un locatario e così, prosegue Italo nel racconto, non appena lo seppero in casa si misero a piangere dicendo che ormai erano rovinati.

Come visto, la Società Hahner aveva cessato i lavori ma deteneva ancora la proprietà di terreni ed immobili mantenendovi un guardiano locale, Cristofano Bigi delle Piovane71, ed un non meglio indicato curatore residente alle Piaggette di Massarosa (Lucca). Lo spostamento di greggi, il trasporto di letame ed altre necessità portarono Pellegrino ad abbreviare i percorsi attraversando le proprietà minerarie ed entrando così ben presto in conflitto con il guardiano Bigi, ed allora presi contatti con il curatore riesce ad ottenerne l’affitto per 4.000 lire (ignote se annue oppure a termine).

Verso la fine del secolo si afferma lo sfruttamento della pirite per la produzione di acido solforico ed intorno al 1893 l’ultimo direttore delle ormai dismesse miniere del Bottino l’ingegner F. Blanchard, ne coltiva una lente compresa nei passati lavori nei sottolivelli tra i pozzi Francese ed Alessandro, da dove venne estratta anche nel corso del 1900 rifornendo lo stabilimento fiorentino della Società Ducco e Alessio.

Pellegrino è analfabeta ma cosciente di questa mancanza, tanto da avviare il figlio alla frequenza delle Scuole Pie di Pietrasanta, tuttavia non manca del senso degli affari ed una volta ottenuto l’affitto si rende conto di avere disponibili altre fonti di reddito. I tempi della produzione d’argento sono ormai lontani ed il costo di una riattivazione delle miniere supererebbe le disponibilità ad ogni modo ebbe l’intuizione che quanto rimasto potesse essere sfruttato diversamente. Sotto la direzione di Licino Pisani e con il sistema del cottimo viene coltivata la galena ed il toutvenant ceduto per 25 lire tonn. alla Società Pertusola di La

Tuttavia i lavori si conclusero con l’esaurirsi della lente stessa. Sempre in questo scorcio di secolo, le miniere in oggetto pervengono al signor Daniele Gemignani il quale con ben più ampi programmi sembrerebbe continuare le forniture così come iniziate dal Pieri ed anzi, la stessa Ginori entra a far parte dell’ Impresa quale comproprietaria del terreno dove insisteva la cosiddetta Cava della Barite, in pratica la zona poco oltre Cava Cugnasca da dove venne estratta con lavori a cielo aperto, come avverrà anche successivamente grazie anche al discreto grado di purezza. Quanto meno a me ignota l’effettiva, o presunta tale, ripresa attività anche per minerali cupro/argentiferi a Buca dell’Angina.

69 Attenendoci alle relazioni dell’Ing. Capacci C. 1907, durante la gestione Hahner erano conosciuti e coltivati sei filoni a galena argentifera di cui cinque lungo il versante destro orografico del canale Ferraio dove anche per tutta la vita delle miniere si svilupperanno i maggiori lavori, ed uno sul versante sinistro e così descritti:

Versante destro Primo Filone

antiche ed abbandonate gallerie indicate come Trì-Trì

Secondo Filone

pozzo francese (250 metri s.l.m.) ed adiacenti gallerie Sassonia e Di scolo

Terzo Filone

Galleria Maria Ferdinanda, Giulia, Giuseppe, Roberto e Amicizia

Quarto Filone

Galleria Alessandro (o pozzo) Viennese, Mista, Nina

Quinto Filone

Galleria Rosina, 40 metri più in basso del pozzo francese ed in corso 1900 collegata al filone del versante sinistro sviluppandosi al di sotto dell’alveo del canale stesso.

Al suddetto imprenditore è comunque dovuto il minuzioso rilevamento cartografico delle vecchie Argentiere di Sant’Anna, forse in previsione di un loro sfruttamento rimasto insuperato anche durante la gestione S.A.M.A. che lo acquisì nella propria cartografia indicandone comunque la provenienza. Sempre al Gemigani è legata la costruzione della bellissima villa (oggi purtroppo scomparsa Fig. 14.5) all’inizio della vallata del Ferraio in posizione dominante l’intero paese di Valdicastello e che, pur con una maggior dovizia di elementi architettonici aerei, richiama all’edificio direzionale della Società gerente nel 1870 le miniere sarde di Gennamari ed Ingortuso.

Versante sinistro Sesto Filone

Galleria Preziosa.

Devo le notizie seguenti alla disponibilità e cortesia del nipote del già ricordato Sign. Italo Pieri+ ex dipendente E.D.E.M. con il quale passai molti pomeriggi registrando nel 1984. 71 Altra piccola borgata alla periferia nord di Valdicastello, sottostante quella di Santa Maria Maddalena e vicina alle vecchie proprietà ottocentesche degli impianti. 70

72

131

Italo, la mia fonte non ricorda bene.

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Miniere

Lire

soldi

denari

2 caporali

2





1 sottocaporale

1

13

4

1 fabbro, maestro dell’Argentiera

2





3 fabbri

1

13

4

1 fabbro

1





44 minatori di la classe

1

10



ciascuno

14 minatori di 2a classe

1

6

8

ciascuno

16 minatori di 3a classe

1

3

4

ciascuno

38 manovali di la classe

1





ciascuno

7 manovali di 2a classe



16

8

ciascuno

35 garzoni di la classe



13

4

ciascuno

17 garzoni di 2a classe



10



ciascuno

1 sceglitrice all’Argentiera



13

4

1 bocardiere

1

16

8

1 caporale

1

13

4

30 lavatrici



13

4

ciascuna

5 manovali

1





ciascuno

1 manovale di la classe

1

6

8

1 manovale di 2a classe

1

3

4

53 manovali di 3a classe

1





ciascuno

13 garzoni di la classe

­—

13

4

ciascuno

3 garzoni di 2a classe



10



ciascuno

ciascuno

ciascuno

Totale 180 persone Bocard e laveria

Totale 37 persone Fabbriche

Totale 71 persone Servizi vari74 8 capi e sottocapi maestri stranieri

Mensilmente L.8075

Vari maestri muratori

2



ciascuno

Vari muratori

1

13

4

ciascuno

6 maestri segatori di tavole

2





ciascuno

2 segatori di tavole

1

13

4

ciascuno

2 maestre di lavaggio

Mensilmente L.4876

1 guardia magazzino

Mensilmente L.5077

1 cassiere

Salario non indicato

1 commesso

Salario non indicato

Fig. 14.3. Salari dell’Impresa Metallurgica di Valdicastello relativi al mese di di­cembre 1833.78 737475

77

È evidente la differenza salariale fra i manovali di miniera e laveria e quelli addetti alla muratura, come pure col caporale di miniera che gode già del soprassoldo per il lavoro sotterraneo così come avviene ai nostri giorni per tutti gli addetti. Vedasi il tutto in Miscellanea di contabilità metallurgica di Valdicastello, A.S.C.P.. 74 Sono Gio. Maria ed Amato Richard, Giovanni Battista Favre, Gio­vanni Claudio Richermoz, Gio. Maria Palthonier (fabbro), Claudio Pelléthier (capo maestro), Francesco e Marco Pelléthier (sotto capi maestri). 75 Mogli del Favre e del Richermoz. 73

76

Francesco Gamba. I salari si intendono giornalieri, salvo diversa indicazione. Il loro am­ montare nel mese considerato è di L. 12876-4-4 ma rimane ignoto lo sti­pendio del cassiere D. Guglielmi e del commesso Mugnaini; alle 287 per­sone impegnate alle miniere, laveria e costruzioni vanno aggiunte le donne per trasporto legna ma il loro lavoro era condizionato dagli eventi atmosfe­rici. La paga di queste donne era uguale a quella delle lavatrici.

76 77

132

Miniere del Pollone (o di Valdicastello) fino al 1945

Fig. 14.4. Giardini Villa Franca, foresteria ex E.D.E.M.: molazza.

Fig. 14.5. Valdicastello: Villa Gemignani (Calendario Le Miniere anno 2004, Associazione XII Agosto di Valdicastello – Associazione Martiri di Sant’Anna).

133

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) idraulicamente dalle acque del canale che venivano captate immediatamente al di sopra del mulino Bertelli e canalizzate a cielo aperto parallelamente al percorso della mulattiera per Sant’Anna fino poco oltre, in ribasso, Cava Cugnasca dove scavalcavano il canale stesso su di un apposito ponte a tre arcate (fig. 15.14), arrivando infine ad azionare i meccanismi del polverificio.

Le attività si esauriscono comunque con i primi anni del 1900 tanto che nel 1908 il terreno della vecchia Cava della Barite era accatastato come “boschivo”, così come altri già sede di passate attività succedutesi nel corso del 1800. Ma proprio nel 1908 ecco profilarsi un nuovo sfruttamento della barite bianca, la cosiddetta varietà Giglio per l’assente o accettabile presenza di impurità, quale componente di vernici speciali.

Le attività sembrerebbero andare scemando con la fine del primo conflitto mondiale pur rimanendo in essere quantomeno fino al 1919/20 quando avvenne la cessione di alcuni porzioni di terreno a favore della neonata Società S.A.M.A. per agevolarne il trasporto minerale, ed ultima testimonianza del passato polverificio è il grosso masso parallelepipedo con cavità semisferiche al centro dove avveniva il cosiddetto pestaggio79 del carbone di legna prima della miscelazione con gli altri componenti l’esplosivo, anch’esso conservato nel giardino della Villa di cui sopra (Fig. 14.4).

L’attuazione dell’iniziativa comporta l’esproprio di minuscole porzioni di terreni per la costruzione di una piccola teleferica automotrice lunga circa 94 metri con la quale, scavalcando il Canale Ferraio, far affluire quanto estratto e cernito a mano direttamente nella vecchia cava fino alla mulattiera per Sant’Anna, ed una canalizzazione di acque all’inizio della vallata per le necessità della manifattura (opificio). La canalizzazione venne ricavata in un precedente edificio ancora oggi visibile ed i cui locali a piano terra verranno poi riutilizzati dalla Società E.D.E.M. Miniere Spa fino al 1985/86 per la macinatura dei frutti di pino marittimo poi immessi sul mercato petrolifero, da cui deriva la nuova denominazione della località come Ai Pinoli78.

Con la costituzione a La Spezia della Società S.A.M.A. vengono rilevate anche queste coltivazioni minerarie, ma gli interventi immediati si limitano al solo rilevamento cartografico in attesa di subentrare anche nel giacimento ferrifero di Monte Arsiccio e nella stazione di arrivoscarico della teleferica di collegamento in pieno paese di Valdicastello (località Rezzaio).

Oltre alla coltivazione diretta, la barite con caratteristiche analoghe veniva raccolta a cottimo specie da donne e fanciulli lungo l’alveo del canale stesso, dove fino ai tragici eventi alluvionali del 1996 erano ancora visibili sporadici mucchietti di materiale lungo le sponde, in particolare nel tratto Cava Cugnasca/Molino del Bertelli da dove era trasportata a forza di braccia fino alla fabbrica dove veniva lavata, pesata e pagata ai cottimisti che in tal modo integravano la magra economia agricolo/pastorizia del paese. Questa una descrizione schematica del ciclo produttivo della barite: frantumata con mazze e martelli per ridurne la pezzatura passava alla cosiddetta molazza (Fig. 14.4) che la preparava per l’immissione al mulino, o alla mola per una prima polverizzazione pervenendo infine al separatore conico a vento che forniva il prodotto utilizzabile, mente il residuo tornava ad essere reinmesso nel secondo ciclo di lavorazione.

Il passagggio di proprietà viene concluso nel 1921 determinando una serie di interventi connessi ai trasporti da e per la stazione ferroviaria di Pietrasanta. Tuttavia i veri lavori estrattivi, specie per galena argentifera, nelle miniere del Pollone vengono momentaneamente accantonati visto lo scarso rendimento della laveria e soltanto dopo la sua sostituzione e il collaudo con esiti positivi80, nelle Officine Cerpelli di La Spezia81 inizia nel 1924 la costruzione in proprio di un impianto del tutto simile a quello sostitutivo al Bottino82 da utilizzarsi proprio a Valdicastello, e da posizionarsi sempre agli inizi della vallata poco al di sopra della passata manifattura della barite previo sbancamento-livellamento del terreno interessato, la canalizzazione delle acque e le relative infrastrutture83.

Sempre nei primi anni del secolo, ed all’inizio della vallata ma a quota leggermente superiore compresa fra 165 e 171 metri s.l.m., troviamo il piccolo polverificio La Versilia del Cav. Bresciani, oggi identificabile con i due vecchi edifici attigui alla cabina elettrica di trasformazione costruita molti anni più tardi anch’esso azionato

Leggi minutissima frantumazione. Si passò dal sistema di flottazione a quello di fluttuazione. La ditta spezzina era proprietà del socio fondatore S.A.M.A. On. Cerpelli A.. 82 Il manufatto fu anche oggetto di una specifica pubblicazione da parte delle Officine Cerpelli e dal titolo Impianti per la concentrazione e separazione dei minerali semplici e complessi in parte ripresa ed allegata alla relazione annuale del distretto minerario di Carrara nel 1927. 79 80 81

Dati tecnici principali Potenzialità 8 T/h

Durante la perforazione dei pozzi petroliferi può accadere che la trivella incontri fenditure naturali entro cui defluiscono e scompaiono i costosi fanghi bentonitici da cui la necessità di una tamponatura con materiale di bassa qualità e costo in grado di ovviare l’inconveniente tipo appunto i frutti del pino macinati in diverse pezzature e che oltretutto per effetto dell’acqua aumentano di volume sigillando; detta materia prima veniva acquistata dalla ditta Salviati di Migliarino Pisano la quale operava la raccolta del solo seme (il pinolo) e proprio per l’azione analoga alla canapa o stoppa, il prodotto E.D.E.M. veniva genericamente indicato con il nome di “Stoppante” anzichè con quello di commercializzazione “Timber Versilia”.

78

Assorbimento Consumo olio Reagente Acqua

175 Kw/h 0,500 Kg/T di refuso 5 Kg 63 mc/h (comunque reimmessa in circolo,n.d.a)

Il costo stimato del prodotto finito, comprensivo anche di manodopera e sorveglianza è stimato in 35 L./tonn. 83 Ancora oggi visibile una porzione del sistema vasche di lavaggio e della condotta aerea delle acque resa inservibile dai genieri tedeschi durante la loro ritirata.

134

Miniere del Pollone (o di Valdicastello) fino al 1945

Fig. 14.6. Miniera del Pollone, 1921 (disegno dell’autore da originale).

Coeva è l’esplorazione dei vecchi lavori a cielo aperto per lo sfruttamento di barite in zona Cava Cugnasca e degli adiacenti saggi in sotterraneo per minerali misti a baritepirite, mentre il 1925 vede soltanto il proseguo dell’attività per la costruzione dell’impianto e indagini in tutte le parti già coltivate nel corso del 1800 con particolare attenzione alla zona dei pozzi Francese - Alessandro. Segue nel 1926 la ripresa dell’attività estrattiva nella Galleria Preziosa tramite livelli in risalita ed in quella Rosina (a volte indicata in cartografia come Ruosina) con la posa esterna di binario Decauville per l’avvio della produzione al trattamento preventivo.

Le relazioni Druetti85 sono piú che lusinghiere prevedendo una produzione quantomeno costante per un decennio, passando poi all’analisi dettagliata delle spese e delle rendite voce per voce arrivando al seguente bilancio annuale86: Rendite Spese Utile

Lire 9.290.000 Lire 6.050.000 Lire 3.240.000

Alla relazione in oggetto è allegato un anonimo dattiloscritto con l’annotazione a penna riassunto aprile 1927 dal quale si ottengono ulteriori notizie sui progetti S.A.M.A. alla quale è quasi piú che certamente riconducibile. Questo consiste nel riepilogo di uno studioprogramma di interventi per il futuro societario che inizia con l’elenco delle proprietà minerarie in Versilia come da prospetto:

In via di completamento la linea elettrica per la fornitura di energia mentre nell’aprile 1927 con grandi speranze e grandi festeggiamenti di regime viene avviata la laveria che da subito si rivela ottimale per il trattamento di barite, galena argentifera, pirite e minerale ferroso in genere, salvo piccole modifiche per ottenere una maggiore purezza della barite.

Giacimenti minerari a galena argentifera.....................................Miniere Bottino Giacimenti minerari Monte ferro e pirite........................................Arsiccio/Farnocchia Giacimenti minerari misti: a pirite/barite, galena argentifera....................Valdicastello Giacimenti minerari di ferro e pirite, e galena argentifera.............................Sant’Anna

Una volta messa a regime la laveria i risultati raggiungono livelli insperati, incoraggiando ancora di piú i grandi progetti S.A.M.A. le cui miniere in Versilia erano state visitate ed indagate nel 1925 dall’ingegner Alessandro Druetti “Consulente mineraio fiduciario della Società S.I.P.E. piriti di Cengio”, desiderosa di trovare fonti di approviagionameto alternativo al monopolio della società Montecatini.

Passando poi alla loro produttività e potenzialità si evidenzia il fatto che perlomeno nell’immediato Bottino e Valdicastello sono da considerarsi miniere di qualità e non di quantità, stante il tenore di argento delle galene che nel concentrato di laveria è compreso fra 1 e 2,5kg a tonnellata, caratteristica che in agosto 1926 ne permise la vendita a lire 4000 a tonnellata. Sempre in laveria si producono 50 tonnellate al giorno di pirite mai inferiore al 50% di solfo e priva di impurità, mentre trattando barite si

A questo segue nel 1926 il dott. Maclaren della inglese Gold Fields orientata all’acquisto delle miniere a galena argentifera del Bottino e Valdicastello84, cosa scontata stanti i buoni tenori di argento e blenda che determinavano favorevoli condizioni di vendita rispettivamente alla società Pertusola di La Spezia ed alla Philip & Lion di Londra. 84 La sola miniera del Bottino per risultati produttivi e i 9km stimati fra gallerie e pozzi era seconda in Italia dopo le analoghe di Monteponi e Montevecchio in Sardegna.

85 86

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01/09/1925, 28/12/1925, 8/5/1925. Druetti, A. 1927.

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Con l’entrata in funzione dell’impianto inizia anche l’invio del prodotto alla stazione ferroviaria di Pietrasanta ed a questo proposito ritengo interessante una lettera rinvenuta in A.S.C.P. e datata 7 settembre 1927 dove il locale Podestà chiede al Capostazione di voler conoscere, “in base alla convenzione stipulata con il Comune, l’ammontare in Tonnellate di minerale spedito dalla ditta Cerpelli nel trimestre giugno/luglio/agosto” e questo apre ad alcune domande ed ipotesi:

arriva ad un concentrato al 98% di solfato di bario ottimo prodotto per la fabbricazione del Bianco Fisso87. Oltre a quanto sopra, da non sottovalutare che il concentrato di barite si ottiene anche come sottoprodotto trattando pirite (e viceversa) ed è vendibile a lire 500 a tonnellata, mentre il Bianco Fisso a lire mille a tonnellata, da cui la possibilità di allestire una fabbrica di acido solforico necessario per la preparazione (mediamente 50 tonnellete di Bianco Fisso richiedono 20 tonn. di acido solforico in parte recuperabile sotto forma di solfo) e la produzione sarebbe stata interamente assorbita dai mercati inglesi e dall’America del sud, Argentina in particolare.

• probabilmente era stata stabilita una specie di tassa al transito sul territorio, così come ad esempio nel Comune di Seravezza per il marmo, portando a supporre l’estensione della stessa anche per il minerale estratto a Monte Arsiccio e a Valdicastello. • Lo specifico rivolgersi alla Ditta Cerpelli e non alla Società S.A.M.A. sembrerebbe poi indicare la gestione diretta delll’impianto da parte della prima che, forse per ammortizzare i costi di produzione, lo avrebbe avuto in gestione diretta e scorporata dalla S.A.M.A., per un periodo prefissato.

Si passa poi all’esame del tipo di minerale che maggiormente interessa la società e precisamente la galena argentifera di Sant’Anna e di Valdicastello che verrebbe cernita e stoccata in silos fino a raggiungere le 2000/3000 tonn., quantità in grado di assicurare il funzionamento continuo della laveria per 15 giorni, trattando lo stesso tipo di minerale.

Grazie alla nuova linea elettrica, sempre nel 1927 anche il paese di Valdicastello conosce l’illuminazione artificiale notturna per il momento limitata agli impianti, poi gradualmente estesa. Ecco riaffiorare i grandi progetti societari con la programmazione di una linea ferroviaria a scartamento ordinario e quindi percorribile da tutti i mezzi delle Regie Ferrovie Italiane fra Valdicastello e la stazione di Pietrasanta90 il cui costo, stimato per difetto, superava la cifra di un milione di lire del tempo91. Si evidenziano così i rapporti con il regime al potere (Partito Nazionale Fascista) ora in grado di tacitare qualsiasi protesta che potesse in qualche modo offuscare o turbare il mito del Genio Italico, contrariamente a quanto avvenuto soltanto 13/14 anni prima con la società tedesca esercente le miniere di Monte Arsiccio.

Cosí il minerale ferroso passa in secondo ordine rispetto alla galena, la cui commercializzazione è in grado di assicurare il mantenimento in esercizio della progettata linea ferroviaria a scartamento ordinario ValdicastelloPietrasanta. Queste le conclusioni. La Società S.I.P.E. è interessata alla pirite mentre la Società S.A.M.A. alla galena argentifera pur essendo proprietaria dei vari giacimenti. Una loro coltivazione condotta da entrambe, porterebbe al reciproco danneggiamento da qui la costituzione di una nuova ed appositia società per la commercializzazione del prodotto finito. Quest’ultima appartiene al 50% ad entrambe le predette Società, rappresentate da un uguale numero di consiglieri nel consiglio di amministrazione e da due sindaci per la S.A.M.A., che vende il minerale alla Società S.I.P.E. con un ribasso del 34% rispetto al miglior prezzo del momento sul mercato. La S.A.M.A. infine rimane proprietaria degli impianti e ne cura il funzionamento e la gestione. Il dattiloscritto si chiude con il prospetto di due tipi di bilancio gestionale annuale88.

Durante il 1928 vengono così coltivati in tutte le giaciture i misti a barite/pirite mentre la nuova costruenda Galleria Ferraio fornisce anche misti di barite/galena/pirite, galleria che con i previsti 109 metri di sviluppo dovrà raggiungere i filoni della Galleria Preziosa. Coeva è la rimozione ed il recupero di vecchio materiale, prevalentemente baritico, accumulato nelle zone di Cava

Tornando alla laveria grazie ai discreti risultati ottenuti, salvo la necessità di un ulteriore trattamento per la barite89 nell’ottica di sfruttarne in pieno la potenzialità, vengono coltivate anche piccole lenti a galena argentifera e pirite nel cosiddetto Camerone compreso fra i due pozzi Francese ed Alessandro.

90 Riassumendo, viene ripreso estensivamente il vecchio progetto tedesco e nell’immediato sono acquistati tutti i terreni e manufatti interessati all’intero tracciato, che prevedeva il raggiungimento del lato sud della stazione con lo scavalcamento aereo, con un ponte in loc. Baccatoio, della linea principale esistente e il successivo proseguo con andamento pressochè parallelo nei limitrofi terreni attigui all’attuale via Del Castagno. Nel paese di Valdicastello era prevista la demolizione dei vari manufatti nel corso dell’avanzamento dei lavori ma questi rimasero illesi per l’abbandono del progetto con la dismissione della stessa Società S.A.M.A.. L’intero tracciato verrà acquistato dal Signor Moresco Italo e Figli così come l’analogo bacino minerario già sede delle miniere del Bottino (anch’esse già proprietà S.A.M.A.); da segnalare infine come l’attuale scuola materna di Valdicastello è frutto della donazione dell’immobile alla locale Parrocchia da parte di un figlio del Signor Moresco, che ben si è meritato la riconoscenza dell’intero paese. 91 Rapporti RiMin..

87 Sostanza di colore bianco largamente utilizzata nell’industria cartaria quale sbiancante ma con applicazioni anche nell’indistria della gomma, della cosmesi etc. 88 Druetti, A. 8 maggio 1927, Torino, Consistenza Mineraria dei giacimenti della Società Miniere dell’Argentiera in Versilia e sua utilizzazione. 89 Occorreva un’ulteriore “sbiancamento” togliendo in pratica qualsiasi impurità che impedisse la commercializzazione.

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Miniere del Pollone (o di Valdicastello) fino al 1945

Fig, 14.7. Lettera del Podestà di Pietrasnta al capostazione, A.S.C.P. Categoria X, Classe 8, fascicolo 1, anno 1927.

Cugnasca e Cavetta (altro nome con cui veniva indicata la vecchia cava della barite) nonchè l’inizio di attività per la linea ferroviaria. Nonostante tutta questa attività l’annuale relazione dell’ingegnere capo del Distretto Minerario giudica i lavori “assai limitati” mentre incalza la grande crisi economica del 1929 che imporrà anche qui drastici provvedimenti e la revisione dei programmi.

Nel 1930 perdura l’inattività dell’impianto, si registrano solamente piccole prove di verifica dopo la sostituzione dei cassoni Ekof con analoghi Soutwestern che migliorano i risultati per misti barite tantochè ne vengono abbattute circa 300 tonn.. In questa occasione si ha il collaudo di un nuovo piccolo specifico impianto di trattamento realizzato vicino alla stazione di arrivo della teleferica da Monte Arsiccio, formato da un mulinetto Harding e un trasportatore ad aria tipo Raymond, il tutto azionato da un motore elettrico, impianto che riusciva a fornire un prodotto puro quasi al 98%.

Innanzi tutto vengono sospesi i lavori ferroviari e ridotto il personale, mentre con la speranza di superare la difficile congiuntura economica si accelera il proseguo della Galleria Ferrario incontrando però, quasi subito, una faglia che rigetta il minerale, rigetto stimato di 10 metri, ed un massiccio aumento della barite a scapito della galena argentifera, elementi che comportano l’abbandono di ogni attività così come già avvenuto a Cava Cugnasca, a Cavetta e ai cantieri per misti a galena/pirite. Come conseguenza diretta si ha il mancato approvvigionamento di materiale alla laveria che rimane pressoché inattiva, salvo sporadici funzionamenti per prove e per la manutenzione conservativa.

Ma l’iniziativa si limita al collaudo effettuato a metà anno e a pochi giorni di attività in settembre. La crisi è inarrestabile, la Società S.A.M.A. viene messa in liquidazione seguita dalla domanda al Ministero di dismissione attività che prosegue con ridottissimi lavori che durante il 1931 portano all’estrazione e sola 137

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) macinatura di circa 6.713 tonn. di misti pirite, con parallelo impegno nella manutenzione conservativa delle miniere e degli impianti, nell’attesa dell’autorizzazione all’abbandono che giunge soltanto con Decreto Ministeriale del 31 marzo 1934 insieme a quello per le miniere di Monte Arsiccio.

Pressochè obbligata fu la scelta societaria di posizionare l’impianto di laveria in un terreno visibilmente scosceso che comportò problemi attuativi connessi a sbancamenti, livellamenti, arrocamento mentre la ridotta superficie disponibile impose la sua suddivisione in tre distinti manufatti a livelli sfalzati. In quello più in alto alloggiava l’intera sezione di frantumazione e macinatura mentre nei sottostanti quelli di fluttuazione vera e propria. Il minerale affluiva alle griglie di buttaggio per i primi frantumatori

Così si conclude l’epoca S.A.M.A. nelle miniere di Monte Arsiccio e Valdicastello.

Fig. 14.8. Laveria S.A.M.A. a Valdicastello, 1927.94

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Miniere del Pollone (o di Valdicastello) fino al 1945 direttamente con i vagoncini carichi in uscita dalla galleria di ribasso alla miniera, percorrendo un’apposita Decauville che correva anche in un tunnel di raccordo fra i due fianchi del monte, mentre gli edifici di macinatura e fluttuazione erano collegati con una specie di passerella lunga circa 50metri, realizzata a sostegno di una canalizzazione in tavole di legno entro la quale veniva fatto scorrere il macinato già ridotto allo stato fangoso, comprensivo delle quantità di olio e reagenti necessari per il completamento del ciclo. La capacità operativa dell’impianto venne stimata in 200 tonnellete/24ore.

miniere, l’ingegnere Pagnini Dante. Le contromisure non si fanno attendere con il diretto intervento del segretario politico che ingiunge: “riassunzione Neri o fornire urgentemente spiegazioni sul licenziamento”. Tutto questo è già in essere nei primi giorni di marzo 1931, ma nel frattempo la notizia ha varcato i confini locali e le spiegazioni vengono ritenute insufficienti. Queste dovranno essere prodotte esclusivamente dal direttore generale delle miniere S.A.M.A. con sede a Torino e non da subalterni, tantochè da Valdicastello si cerca attivamente di contattarlo, ma purtroppo quest’ultimo è fuori sede. Tuttavia per mettersi al sicuro, almeno nei limiti del possibile, dalla ben nota medicina fascista a base di olio di ricino e manganello, alla vigilia della scadenza dell’ultimatum, la direzione Miniere di Valdicastello fornisce al Podestà i testi dei telegrammi inviati alla sede centrale e che trascrivo integralmente:

Prima di continuare, vorrei raccontare un episodio del 193031 che consente ulteriori conoscenze della Società S.A.M.A. e del tradizionale ricorso alle “raccomandazioni”92. Stante la località dei fatti ed il periodo in studio che si collegano al tragico agosto 1944 con la strage nazifascista di Sant’Anna, per ragioni di privacy utilizzeró nomi di fantasia per gli operai protagonisti e precisiamente quelli di Neri, Bianchi e Rossi e questa è la storia.

“Egregio Signor Podestà di Pietrasanta ci pregiamo trascriverle i testi dei telegrammi che ieri ed oggi abbiamo rimesso al direttore generale ing. Albertella:

Nella Valdicastello del 1930 la disoccupazione imperversa a causa della crisi economica generale che qui è acuita dalla quasi dismissione dei lavori minerari della Società S.A.M.A..

10/3/1931 Podestà di Pietrasanta chiede spiegazioni telegrafiche licenziamento operaio Neri dovendo entro ore 11 giorno 12 marzo riferire autorità superiori che raccomandarono l’assunzione, STOP, nostre spiegazioni ritenute insufficienti risultando guardiani in forza.

Non sono pochi a sperare in una pur temporanea assunzione per piccole necessità, fra i tanti il trentenne ex manovale di miniera Neri “fascista e da tempo milite volontario nel battaglione camice nere nella Guardia Nazionale Repubblicana” (come recita l’accompagnatoria dei fasci di combattimento di Pietrasanta) che si rivolge per ottenere lavoro alle miniere direttamente a “Sua Eccellenza il Duce Benito Mussolini” perchè “preso dalla necessità di poter somministrare il pane alla propria famiglia, moglie e tre figli in tenera età”. La richiesta viene accolta il 22 settembre 1930 e il Prefetto di Lucca93 scrive al Podestà di Pietrasanta informandolo che “Sua Eccellenza il Capo del Governo” si interessa del caso e lo sollecita a risolvere in fretta la questione. Facile bussare alla porta della direzione miniere di Valdicastello e già il 2 ottobre il Podestà puó scrivere “in risposta alla nota di Gabinetto no. 3756 ho il piacere di assicurare la Eccellenza VS che nonostante la grave disoccupazione esistente in questa zona ho potuto finalmente farlo assumere al lavoro presso la Società Miniera Argentiera”.94

11/3/1931 Podestà di Pietrasanta non avendo avuto evasione nostro telegramma ieri insiste risposta STOP concludendo ai nostri telegrammi non abbiamo ancora avuto risposta voglia gradire etc etc.” Il direttore generale è in visita alla miniera alpina Champ de Paz, Verres (Aosta), ma la questione non puó essere nè ignorata nè rimandata visto chi muove le fila e cosí: Da ufficio telegrafico Torino ore 14,55 destinazione Pietrasanta (Podestà n.d.a.): Licenziamento Neri causa sospensione lavori assicurazione già data sindacato riassunzione appena possibile-conservati pochi guardiani anziani e capaci servizi speciali e di fiducia-direttore arriva costà domani ore 17 e darà a Vossignoria maggiori spiegazioni STOP”.

Tutto sembra risolto ma dopo circa tre mesi ecco il colpo di scena: licenziamento di Neri e assunzione di Bianchi, altro ex dipendente. L’evento, già di per sè inconcepibile, viene vissuto dal fascio locale come un affronto, o peggio, l’aperta ribellione al potere tanto piú che si vocifera essere Bianchi un amico del supposto dissidente e direttore delle

In effetti il colloquio di spiegazione avviene il giorno 13, seguito a giro di posta dalla conferma scritta, nella quale oltre alla realtà mineraria in essere, troviamo il desiderio e il tentativo non poi troppo velato, di uscire indenne dalla bufera, costi quello che costi, mors tua vita mea, ma vediamo la lettera:

92 Questo episodio conosciuto grazie all’inedito carteggio trovato presso l’Archivio Storico Comunale di Pietrasanta ECA-disoccupati 1930/31 PS 2-2667. 93 Protocollo di Gabinetto no. 3756. 94 Foto d’epoca in origine esposta nella foresteria E.D.E.M. ed oggi conservata presso il Centro Ricreativo Operaio -CRO- di Valdicastello.

“Dalle miniere di Champ de Paz, CP Verres Aosta. All’Illustrissimo Cav. Ballerini Podestà di Pietrasanta.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) A Conferma di quanto ho avuto l’onere di esporle verbalmente ieri in merito al licenziamento dell’operaio Neri le significo che è avvenuto per la messa in liquidazione della Società, sono state trattenuti in tutti i cantieri 8 operai per il servizio di guardia ma tutti con attitudine speciale per ogni eventualità mentre Neri essendo semplice manovale non ha potuto trovare posto nel numero degli 8, numero provvisorio che dovrà essere ridotto di molto per ridurre le spese al minimo possibile.

Questo ho dovuto esporle per la verità dei fatti e a mia giustificazione essendosi tentato da quei signori di mettermi in cattiva luce. Voglia gradire Ing. Albertella G. direttore generale miniera Argentiera”. Ed eccoci arrivati all’epilogo con la lapidaria lettera del 10 aprile 1931:

n.1 operaio a Farnocchia mutilato di miniera e già guardiano da molti anni

“Dalle miniere di Valdicastello all’Illustrissimo Podestà di Pietrasanta, ci pregiamo di informare la Signoria Vostra Illustrissima che l’operaio Neri è stato assunto alle nostre dipendenze il giorno 4 corrente mese e che ha preso servizio il giorno 8 c.m. con perfetta osservanza”.

n.1 un pompista al Bottino e Rocca per la eduzione delle acque onde evitare la rovina dei cantieri

Nessuna firma o scarabocchio solamente il timbro Miniera Argentiera Valdicastello.

n. 1 guardia giurata al Bottino/Argentiera per il deposito esplosivi e fabbricati

Frutto del caso, o effetto Neri, a soli 9 giorni dalla sua riassunzione il Podestà torna a scrivere “Alla Spett. le Direzione Miniere Argentiere Valdicastello” raccomandando l’assunzione dell’operaio disoccupato Rossi “richiedendo comunque il relativo nulla osta all’ufficio di collocamento nell’industria di Pietrasanta”. Ma per il Podestà arriva una doccia fredda con la comunicazione da parte dell’ufficio provinciale di collocamento al lavoro che recita:

Mi permetto specificare a chiarezza le speciali mansioni dei rimasti:

n.1 guardia alla cabina elettrica lo Zuffone e guardia linea già colà residente da molti anni n.1 guardia a Monte Arsiccio n.1 guardia a Valdicastello

“16 aprile 1931-anno IX, l’operaio Rossi risulta di professione lustratore di marmo ed in conseguenza se alla miniera vi sarà un posto disponibile sarà assegnarlo ad un minatore disoccupato...” etc etc queste le premesse ma ormai il meccanismo sotterraneo è partito per buona pace dei “camerati” senza santi in paradiso.

Queste due provvedono al mulino barite (mugnaio e scalpellatore) per poter essere utilizzati nell’eventualità di fare funzionare il mulino per macinare gli stock esistenti ció che è avvenuto nei primi giorni. n.1 guardia notturna a Valdicastello e nello stesso tempo muratore, falegname, etc. capace un po’ di tutto per eventuali riparazioni

“Valdicastello 16 aprile 1931, IX

n.1 elettricista per le cabine elettriche in tensione

All’Illustrissimo sign. Podestà di Pietrasanta Cav. Ballerini Andrea,

n.1 donna per pulizia uffici e foresteria

in risposta alla Sua pregiata del 13 c.m., allo scopo di alleviare la disoccupazione abbiamo chiesto di effettuare alcuni trasporti e contiamo quindi di assumere il da lei raccomandato operaio Rossi.

Come vede semplici manovali nessuno. Questo lo avevo già fatto notare al segretario dei sindacati che per primo mi aveva ricordato Neri e gli avevo promesso che in caso assunzioni non avrei mancato di assumerlo e la mia parola sarebbe stata mantenuta ben sapendo l’origine della raccomandazione da Vostra Signoria già fattami altra volta. VS mi ha osservato che viceversa è stato assunto tale Bianchi amico di Pagnini, essa è avvenuta a mia insaputa e contro la mia volontà perchè non lo avrei riassunto certamente “è avvenuto per opera di quel sign. Pagnini a Lei ben noto che si è fatto autorizzare dal liquidatore”. Io declino ogni responsabilità in proprosito essendo stato messo in posizione ambigua che mi obbliga a disinteressarmi di Valdicastello e la SV ne comprende bene le ragioni personali.

Crediamo peró nostro dovere farLe noto che il Rossi fu già a suo tempo alle nostre dipendenze ed in tale occasione, ed in altre ancora, dimostró qualità sia come lavoratore che come uomo da farne un dipendente tutt’altro che desiderabile. Speriamo che approfitti di questa occasione per riabilitarsi e meritarsi la di Lei raccomandazione. Per la Società Miniera Argentiera-Miniera di Valdicastello Dante Pagnini.”

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Miniere del Pollone (o di Valdicastello) fino al 1945 E con questa lettera con scrittura e firma da manuale di calligrafia termina il carteggio in archivio, ma il licenziamento di Neri e l’assunzione di Bianchi, il tono della missiva al Senior Cav. Ballerini, attributo onorifico riservato ai soli camerati della prima ora ovvero ai partecipanti alla marcia su Roma, non verranno mai dimenticati e l’ingegner Pagnini, passerà dal semplice sospetto alla certezza di antifascista. Per effetto del D.M. 12 febbraio 1935 la concessione mineraria passa alla neonata Società E.D.E.M. (Esercizio Depositi e Magazzini, vedi Cap.16 Miniere del Bottino) con sede iniziale a Torino poi trasferita a Viterbo. Durante l’anno non avvengono lavori, solamente indagini e rilievi cartografici nelle passate coltivazioni, mentre nel 1936 inizia la manutenzione seguita dallo sfruttamento della sola barite rimasta in vista purché assenti o limitatissimi gli inquinanti95 (minerali ferrosi in particolare) e così prosegue anche nell’intero anno successivo, fino a produrne 160tonn. nel 1938. Fra il 1939 e il 1940 aumenta la domanda di barite bianca, richiestissima la varietà Giglio, per le vernici e vengono così riprese e coltivate sia la Galleria Preziosa, sempre in risalita, che la Galleria Rosina, proprio per il basso inquinamento del minerale peraltro presente in ammassi distinti, con la produzione di 65 tonn. nel 1941 e così proseguendo fino al 1943 quando, in seguito ai già ricordati eventi bellici dell’8 settembre e la successiva distruzione della linea ferroviaria, viene a cessare di fatto la possibilità di invio della produzione. Da segnalare infine come la progressiva avanzata delle truppe alleate porta al trasferimento della sede E.D.E.M. prima a Lucca poi a Valdicastello. Come visto la quantità di prodotto rimase sempre molto limitata anche per le scarse risorse impiegate, tuttavia sufficiente ad assicurarsi il mantenimento della concessione mineraria in quel periodo di autarchia. Nel lungo periodo dello stabilizzarsi del fronte lungo la non lontana Linea Gotica, le vecchie gallerie divengono se non abitazioni quantomeno vie di scampo ai rastrellamenti e alle temute incursioni aeree. Il paese di Valdicastello è invaso da sfollati mentre al Rezzaio fino dai primi giorni dell’agosto 1944 i capannoni delle ditta Di Ciolo e C.96 accolgono l’ospedale di Pietrasanta, trasferitovi poiché sotto il tiro dei cannoneggiamenti sia tedeschi che alleati e vi rimarrà fino alla conclusione dell’anno offrendo assistenza sia ad ammalati che ai numerosi feriti civili in alcuni casi particolarmente gravi poi trasportati in quello militare americano di Viareggio.

Come sempre particolarmente ricercata la purissima varietà Giglio. Officina Meccanica di Viareggio, i locali sono oggi identificabili con: refettorio - magazzino - sala riunione del personale della ex Soc. E.D.EM. 95 96

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 14.9. Estratto da Relazioni annuali Ingegnere Capo di Distretto Minerario – Carrara anno 1927.

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15 Miniere di Monte Arsiccio e del Pollone (o di Valdicastello): dal dopoguerra alla dismissione (1946-1990) (Tavv. 21-32) This chapter resumes the history of the mines described in the two previous chapters. After the war they became the property of the same company, the E.D.E.M., until 1990 when mining activity finally ended. The mining activities with new exploration of galleries and the strategy of the company is described in detail, and the author lets the miners, whom he personally met, speak and come to the fore. In the end their stories are the real protagonists of the whole volume. The discovery of new mineral sources in Africa inexorably marked the decline of the mines in Valdicastello and the end of the E.D.E.M. itself. From this mine are two mineralogical species, structurally related to the geocronite and named marcobaldiite and arseniomarcobaldiite. La fine della guerra lascia dietro di sè rovine e distruzioni, le Società E.D.E.M. – E.D.I.S.O.N. si trovano in crisi di liquidità ed i proprietari signori Moretti e Camponetti aprono al Cav. E. Sgarroni che in seguito rimarrà unico detentore di entrambi i giacimenti ed inizierà il lungo, ed a volte travagliato, percorso della ricostruzione mineraria.

era successo a Sant’Anna3 c’era poco da scegliere, o si ripartiva o si scappava al piano per non morire di fame”. Oggi, nell’epoca in cui si impiegano gli elicotteri per questo genere di riparazioni la cosa può fare sorridere, ma in quel momento non era solo lavoro ma la testimonianza, immensa e tragica allo stesso tempo, delle speranze di più generazioni.

Ancora una volta i vecchi dipendenti mostrano il loro attaccamento alle miniere e pur di riuscire a riattivarle si lavora gratuitamente ed a credito, tanto che nel secondo semestre 1946 riprendono le escavazioni al Pollone dove si sfrutta un filone subverticale a barite nella Galleria Preziosa, ma poiché tutti gli impianti erano andati distrutti le circa 20 tonn. prodotte vengono cernite a mano. Verso la fine dell’anno a Monte Arsiccio inizia lo sgombero dei franamenti, il recupero delle attrezzature nascoste e la posa della conduttura dell’aria compressa, ma la messa fuori uso della teleferica impedisce l’inoltro a valle del minerale rimasto accumulato sui piazzali.

Proprio mentre l’operazione è in atto ecco arrivare a Valdicastello il Cav. Sgarroni che incontra avanti a sè una catena umana che si snoda fra boschi e dirupi, ciascuno con il proprio carico in spalla preceduto e seguito da un altro portatore; l’uomo Sgarroni avverte e recepisce il significato di quell’impresa, rimanendone colpito al punto da essere per sempre legato a quel ricordo, di cui parlerà con orgoglio per tutta la vita in ogni occasione opportuna o cercata, specialmente in caso di incontri con la clientela estera.

Lo scoglio è grande ma non insormontabile per gente pratica e decisa. Le funi sono state tagliate è vero ma sono ancora a terra in loco così come i carrellini, ed all’inizio del 1947 vi fu uno spontaneo intervento di volenterosi giunti appositamente dai paesi limitrofi1 per dare manforte ai dipendenti nel recupero e ripristino delle funi tramite la cosiddetta “impiombatura”2.

Dal primo marzo 1948 riprendono così anche le coltivazioni a Monte Arsiccio dove sono stati ripristinati i cantieri Arsiccio 2, Zabelli, Pianello mentre erano in fase di ultimazione i riempimenti necessari alla ripresa della grande lente a pirite e gli altri cantieri intermedi si avviano all’agibilità, come pure la Galleria Sant’Anna, la principale, divenuta pericolante in conseguenza dell’abbandono. Nel frattempo all’esterno sono ricostruite le infrastrutture essenziali come la tettoia per il riparo

Passo la parola ad uno dei vecchi minatori protagonisti (Benito Pierini):

La tristemente nota strage del 12 agosto 1944 che costò la vita numerosi innocenti e nella quale non intendo inoltrarmi se non per concordare con l’ex dirigente E.D.E.M. signor E. Mancini nel suo ricordo di sopravvissuto insieme ad un gruppetto di altri bambini: “siamo vivi per un soldatino tedesco che avrà avuto 16/17 anni cui eravamo stati affidati per scortarci perché scalzi sui sassi procedevamo piano ma quando il grosso delle forze e prigionieri adulti fu fuori vista ci fece cenno di fuggire indietro poi iniziò a sparare raffiche di mitra in aria, non bisogna fare di ogni erba un fascio, ma parlare di strage nazista operata da nazisti e collaborazionisti e non generalizzando di strage tedesca”.

3

“Vedete Marco, anche in tempo di guerra bene o male ci avevano sempre pagato tutti, eppoi con quello che 1 Sant’Anna, La Culla, Farnocchia, Pomezzana oltre naturalmente Valdicastello e il non lontano Casoli di Camaiore. 2 In pratica la riunione dei capi inserendo a spira i vari trefoli uno nell’altro e più volte in modo che non avvenga il distacco per effetto della trazione.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) dei compressori, i silos di stoccaggio ed il magazzino mentre la teleferica e l’impianto elettrico, ripristinato anche grazie al cavo telefonico americano del periodo bellico il cosiddetto “filo dei mori” dalle truppe di colore, funzionano perfettamente.

sempre nelle gallerie ferroviarie, nei tunnel per le condotte di centrali elettriche “e ti andava già bene“ se non dentro ai “pozzi” (miniere di carbone, n.d.a.) dove: “vedi, là fuori era nera anche l’erba e quando andavi giù arrivavi subito ma quando ti ritiravano fuori non arrivavi mai”4.

A Valdicastello invece, le attività estrattive sono molto limitate e la produzione non arriva alle 18 tonn. di barite commerciabile, ma dai rilievi eseguiti sia nella zona conosciuta che in quelle dell’intera concessione viene stimata la seguente potenziale disponibilità: barite in vista ma con inclusione di pirite tonn. 1.000; barite nella zona tracciata tonn. 3.000; barite nelle zone da esplorare tonn. 10.000.

Salari medi anno 1949: Tipo di impiego

Qualifica

Lit./ Rispetto mese 1948

Lavoro in sotterraneo

Sorvegliante

1.208 – 172

Sottocapo Minatore spec. Armatore

Uno sguardo adesso alle retribuzioni mensili dell’anno 1948: Tipo di impiego

Qualifica

Servizi vari Lavori in ambiente

Salario Lit./mese

Lavoro in sotterraneo Sorvegliante

Lavoro in ambiente esterno

Manovale.

Esterno

1.380

Minatore specializzato

1.300

Minatore - servizi vari

1.260

Sorvegliante

1.318

Minatore specializzato

1.280

Manovale e servizi vari

1.238

Specializzato

Magnetite/Ematite

10.106,705

58

Limonite

3.122,475

45

Pirite

999,405

S = 38/40

1.118 – 142

1.170 – 148 1.142 – 138

Specializzato e Servizi vari

1.103 – 135

Prima di proseguire una digressione su due grandi ed insostituibili lavoratori di Monte Arsiccio: l’asino Ugo e l’asina Nina, rispettivamente dal mantello nero il primo e bianco la seconda, grandi amici degli ultimi trasportatori di minerale a cottimo i signori T. Bottari e B. Pierini di cui riporto le parole, e che insieme all’ex minatore signor Gamba Carlo e all’ex dirigente E.D.E.M. signor Mancini E. mi hanno raccontato quest’epoca. “I tempi erano quelli che erano nel primo dopoguerra, ed il petrolio per far funzionare il locomotore di sevizio quando c’era, e molto più spesso no, ma avevamo Ugo e la Nina che vivevano allo stato brado nei boschi (economizzando così anche la biada, n.d.a.) e ritornavano la sera alla stalla e così quando c’era bisogno, praticamente sempre, la mattina a buio prima che sparissero gli mettevamo il collare e via ai barconi (tipo di vagoncino a grande capacità); grande mangiatrice di tabacco la Nina cui qualcuno aveva insegnato il vizio “raccattava tutte le cicche che trovava e gli piaceva così tanto che un giorno quando nell’intervallo lasciai fuori il giubbetto con dentro Buetta e cartine5 mangiò anche la tasca“6.

Sempre nell’anno vengono comunque estratti: Purezza in %

– 143

Manovale

Monte Arsiccio rimane comunque attivo per tutto l’anno, ma i soli risultati apprezzabili sono circoscritti ai cantieri Arsiccio 2 e Zabelli mentre gli altri si rilevano improduttivi come ad esempio Sant’Anna, che riprese il 1 aprile nonostante gli 11 metri di avanzamento si rivelarono solamente sterili.

Tonnellate

}

1.157

Minatore

Nonostante la ripresa estrattiva, la situazione economicosocietaria si presenta decisamente pesante per la difficoltà di smaltimento su mercato di minerali ferrosi a basso rendimento e questo provoca la rarefazione negli acquisti da parte delle tradizionali acquirenti quali le Ferriere Bresciane e la Società Ilva, tantochè durante il 1949 si vengono a creare i presupposti per una definitiva chiusura.

Minerali

Sorvegliante

}

Fe = 33/35

I primi mesi del 1950 sono ancora caratterizzati da agitazioni e tensioni che sfociano anche in dure contestazioni contro

Segue una riduzione dei salari, variabile mediamente dal 10 al 12% secondo la qualifica, a volte corrisposti anche in ritardo e questo provoca risentimenti ed azioni di protesta da parte delle maestranze che tornano a rivedere lo spettro della vecchia via dell’emigrazione, via che finiva quasi

Pressochè identici i vari racconti ascoltati. Piccola confezione del cosiddetto “Trinciato” per la confezione manuale delle sigarette. 6 Dal racconto del signor Carlo Gamba la scolara aveva superato il maestro n.d.a.. 4 5

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Miniere di Monte Arsiccio e del Pollone (o di Valdicastello)

Fig. 15.1. Miniera Monte Arsiccio, asina Nina al lavoro.

Fig. 15.2. Monte Arsiccio, ultimi trasportatori di minerale a cottimo, Bottari Torquato (a sinistra) e Pierini Benito (a destra) con l’asina Nina. (Calendario Le Miniere anno 2002, Associazione XII Agosto di Valdicastello – Associazione Martiri di Sant’Anna).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 15.3. Valdicastello, topografia schematica della località citate nel testo.

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Miniere di Monte Arsiccio e del Pollone (o di Valdicastello) l’amministratore delegato, il cosiddetto “Colonnello”7 il quale, anticipando di molti anni tempi a noi non lontani8, procedeva alla schedatura operai tantochè: “Se ti scriveva in rosso nel taccuino il giorno dopo eri bello e che licenziato”.

quella che si tramanda oralmente come “la mossa ad effetto del Cav. Sgarroni” il quale, recatosi a Lucca durante la notte, minaccia di uccidersi gettandosi dalle mura in caso di mancata accoglienza della richiesta che verrà motivata al Prefetto.

La produzione di Monte Arsiccio precipita dalle 18.299 tonnellate dell’anno precedente a sole 5.485, e così nel tentativo di trovare uno sbocco la società riprende in esame i vecchi filoni a galena argentifera del cantiere La Rocca nelle vicine miniere del Bottino richiedendo il permesso di ricerche detto Gallena .

Se questo episodio sia realtà o fantasia non è accertabile, ma rimane il fatto che giungono capitali freschi e nell’occasione vengono convocati tutti i dipendenti per il saldo degli arretrati, e la convocazione non si limita al solo aspetto venale ma viene offerta una merenda a base di pane, formaggio, salumi e… damigiane di vino, festa voluta dall’uomo Sgarroni che aveva ancora ben vivo il ricordo di quella catena umana vista nei boschi.

Sono comunque gli anni della ricostruzione industriale post-bellica, e fra le imprese impegnate in questo processo si trova l’AGIP che in Val Padana sta attuando un programma di trivellazioni con pozzi profondi per ricerca idrocarburi.

Un bicchiere tira l’altro e così prima di sera i sentieri per Sant’Anna, La Culla, Farnocchia risuonavano di canti e risate avvinazzate, ed ecco spiegata l’origine della tradizionale festa di Santa Barbara a Valdicastello, festa che fu espressamente voluta dal Cav. Sgarroni.

Durante un incontro con i dirigenti, la tradizione orale parla di una cena al Pirelli di Milano presente lo stesso ingegnere E. Mattei, il Cav. Sgarroni entra in contatto con una realtà nuova e pressoché sconosciuta: “la barite per la preparazione dei fanghi ad alta densità necessari proprio per le trivellazioni”; è una vera e propria rivelazione mentre i tempi delle vernici e dei minerali ferrosi a basso rendimento sono forse tramontati ed è necessario riconvertirsi molto in fretta per immettere sul mercato il minerale richiesto. Ecco un immediato susseguirsi di ricerche in tutto il versante nord di Monte Arsiccio, ma gli esiti sono negativi. Vengono comunque esaurite due vecchie trance indicate come 29ma e 31ma e nell’intero anno ne viene ricavato: Minerale

Tonnellate

Purezza %

Barite

5458,654

95/96

Ematite

210,280

54/55

Misti/ Barite-Ematite

362,600

49/50

Da allora, fino all’interruzione delle attività E.D.EM., vennero così riuniti annualmente il proprietario, la dirigenza, le maestranze e le famiglie in una cerimonia religiosa dove si rende omaggio alla protettrice Santa Barbara ed ai compagni scomparsi, a questa segue un pranzo sociale dove come sempre si rinnovano le risate e i canti della prima merenda. Ma lasciamo il commento di questa festa a due generazioni diverse, la prima quella del 1950 “era la prima volta che si rivedevano tutti i soldi in un colpo solo e c’era anco da mangià(re) e da bè(re) e da un bicchiere all’altro alla fine erimo tutti n’ingazzurriti e anco Sgaroni si vedea che d’era contento”; la seconda quella che ho conosciuto e frequentato “si lavora tutto l’anno ad aspettarla e quando viene se non si mangia e si beve non sembra neanche che sia Santa Barbara”. Il 1951 vede la Società E.D.EM. impegnata nel doppio sforzo estrattivo ed organizzativo specie al Pollone dove vengono posati ex novo 250 metri di binario Decauville ripartiti fra i nuovi cantieri, mentre nelle Gallerie Preziosa e Rosina viene sistemata una tubazione ad aria compressa. In previsione di nuovi futuri lavori si sgomberano 80 metri di vecchie gallerie ottocentesche e 12 metri di discenderie, mentre all’esterno entra in funzione la nuova cabina elettrica allacciata in derivazione alla linea elettrica per Monte Arsiccio.

Stesso impegno di ricerca a Valdicastello, dove questa è concentrata nella Galleria Rosina e sul crinale del cosiddetto Pizzone, collegati con una piccola teleferica automotrice antistante l’ingresso della Galleria Preziosa, che rimarrà poi in loco per circa 20 anni. La produzione annua si aggira intorno alle 20 tonnellate di barite sempre cernita a mano, sostituita poi con buttaggio diretto e suo recupero con ruspa. La riconversione non sarebbe comunque possibile senza un’adeguata disponibilità economica da cui la richiesta di un prestito bancario che viene concesso grazie anche a

Nella seconda metà del 1949 la Soc. op. (Società Operaia) Ricerche Minerarie di Pietrasanta conduce un’indagine per ricerca di galena in località Deglio (m. 815 slm), sulla sponda sinistra del canale omonimo nel versante meridionale del Monte Pania. L’esplorazione ripercorre proprio l’interno dei vecchi lavori del 19261927 intrapresi dal geometra Santi Paolo per una ricerca analoga, purtroppo rivelatesi infruottosa nonostante lo scavo di due brevi gallerie.

7 Sulla figura di quest’uomo ho sempre incontrato un muro di gomma fatto di “non ricordo, mi sembra” e mezze ammissioni, unici dati certi l’effettiva appartenenza come ex ufficiale dell’esercito, la nazionalità austriaca della moglie, il nome Iacopo ed una quasi intera giornata di “assedio” nelll’edificio direzionale da parte dei contestatori più facinorosi. 8 L’autore si riferisce allo scandalo dell’archivio segreto Fiat scoperto nel 1970 grazie alle indagini del pretore Raffaele Guariniello.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Coeve le ricerche nell’intero bacino che portano alla perforazione di circa 90 metri di nuove gallerie (solamente a Sant’Olga metri 50), e la produzione di barite si attesta intorno alle 1000 tonnellate al mese con l’impiego di 80 minatori suddivisi in squadre in due turni di lavoro successivi. Al Pollone le ricerche nella parte terminale della Galleria Rosina ed a Cava Cugnasca non danno risultati incoraggianti per l’elevata presenza di inquinanti che precludono la commercializzazione, ed in alternativa iniziano lavori sperimentali di ricerca nell’intera area diretti anche alla sola pirite. Tuttavia il grande sforzo è al Rezzaio dove inizia, attiguo alla stazione di arrivo della teleferica, la costruzione dell’impianto di macinatura che utilizzerà un mulino perpendicolare Breda con capacità operativa su barite e misti barite di 4.000 tonnellate al giorno.

Le nuove conclusioni presentate il 3 novembre del 1949 evidenziano la presenza di filoncelli di quarzo mineralizzati (max. 20cm) così che viene proposto un iniziale sbancamento con trincea di ricerca seguiti da una galleria verso il filone principale9. Il 29 novembre 1950 la Società E.D.E.M. richiede il permesso di ricerca Deglio per minerali di piombo argentiferi, senza tuttavia procedere a nessun intervento in loco anzi richiedendo in ritardo una proproga, nonostante la ormai avvenuta scadenza biennale. In aggiunta, con il sopralluogo del 14 gennaio 1953, il Distretto Minerario di Carrara accerta la mancaza di qualsisi lavoro, inducendo l’ingegnere capo a scrivere la lettera del 17 gennaio con la quale sconsiglia al Ministero competente di concedere proproghe alla Società E.D.E.M. sia per il permesso in oggetto sia per l’analoga richiesta per quello chiamato Gallena giacente nelle medesime condizioni.

Nonostante i 15 metri di galleria e gli otto pozzetti perforati a Santa Barbara nel 1953 con una produzione di 1863 tonnellate di pirite, i risultati sono deludenti in rapporto alle 26.468 ore di lavoro11, mentre sempre a Monte Arsiccio viene scoperta una nuova mineralizzazione al contatto fra scisti e grezzoni che discendendo dall’alto verso il basso si ritiene così distribuita:

Nel 1951 la Società E.D.E.M. affronta il problema amministrativo sdoppiando le sedi direzionali, con l’istituzione di una seconda sede, la principale, a Viterbo con mansioni diverse: • Sede di Valdicastello Coordina e dirige ricerche-escavazioni per barite al Pollone ed ematite a Monte Arsiccio. • Sede di Viterbo Compiti analoghi per la sola barite a Monte Arsiccio e gestione dei nuovi permessi di ricerca.

Ematite Misti Ematite/Barite Barite Misti Ematite/Pirite Pirite

La richiesta di barite e ematite è in costante aumento ed a Monte Arsiccio, che rimane il centro produttivo principale, vengono sfruttati il Cantiere Zabelli con i propri intermedi, mentre Sant’Anna fornisce baritina con purezza fra il 94/96 % con l’esaurimento dei livelli 21-2325-27 si ottiene una produzione più che doppia di quanto estratto nell’intero giacimento nell’anno precedente, ed in aggiunta viene messa in vista una grossa lente di pirite ritenuta di buona qualità e come tale coltivata. Infine viene anche portata a termine la rimonta per il livello Sant’Anna resasi necessaria sia per il buttaggio che per la ventilazione naturale delle varie coltivazioni in atto e programmate.

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La produzione si aggira intorno alle 625tonn. di misti barite/ematite che vengono macinati nel nuovo mulino, ottenendo un “fino” con residui inferiori al 5%, e sempre con lo stesso sono trattate 12600tonn. di barite inquinata da ematite/limonite che tuttavia non ne preclude la commercializzazione grazie all’ormai affiatata e consolidata “coppia imbattibile” o “coppia di ferro” come veniva indicata coram populo, e cioè: il Cav. Sgarroni “quello che sapeva comprare bene a poco” ed il direttore signor A. Gorelli “quello che sapeva vendere bene a tanto”. Sarà forse una pura casualità ma con la loro scomparsa ha inizio il declino, lento ma esponenziale, della società stessa.

Le condizioni di mercato sono favorevoli, ma la società è ancora in fase di sviluppo e nel 1952 viene richiesto il nuovo Permesso Santa Barbara (ex Argentiere di Sant’Anna) per pirite e misti ferrosi/baritici, mentre a Monte Arsiccio prosegue lo sfruttamento della lente a barite/ematite10 e barite/pirite quasi esaurendola fra i livelli Sant’Anna ed intermedio 18; in entrambi i casi il metodo di lavoro adottato è quello dei tagli discendenti a trance affiancate orizzontali con franamento a tetto in ritirata.

La richiesta di materiali per fanghi bentonitici continua ad aumentare, ma gli anni 1954 e 1955 sono caratterizzati da una stasi estrattiva (5182 Tonn. di barite pura al 90% e 4807 Tonn. di misti barite/ematite nel 1954) e dall’abbandono delle ricerche a Santa Barbara. Pressochè oltre 3.000 giornate, da segnalare la scarsa disponibilità operai a lavorarvi causa la presenza di Antimonio (vedi anche miniere del Bottino) ma ecco la testimonianza dell’ex minatore Sign. L. Marchetti: “i tempi erano da fame e bisognava lavorare ma quando vidi e mi accorsi com’era andai dal direttore e gli dissi: o mi ci levi o mi licenzio, ed andai a lavorare a Monte Arsiccio “. 11

Ri.Min T1464. Il misto barite-ematite si rivela particolarmente scevro da impurità tanto che una volta macinato fornisce un “fino ventilato” con residui inferiori al 3%. 9

10

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Miniere di Monte Arsiccio e del Pollone (o di Valdicastello)

Fig. 15.4. Da sinistra il sindaco di Stazzema Prof. Bruno Antonucci, Erasmo Sgarroni presidente E.D.E.M. e Alberto Gorelli direttore delle miniere (Calendario Le Miniere anno 2004, Associazione XII Agosto di Valdicastello – Associazione Martiri di Sant’Anna).108

Tutto è dovuto alla necessità di sviluppare la pianificazione dello sfruttamento a lungo temine in tutte le zone mineralizzate ricadenti nelle due concessioni minerarie, con particolare attenzione ai vari cantieri di Monte Arsiccio dove a Sant’Olga viene scoperta e messa in vista una nuova lente a barite stimata molto pura.

la Società E.D.E.M. può presentarsi anche sul mercato internazionale come azienda d’avanguardia per la fornitura di materiali per fanghi ad alta ed altissima densità, nonché per schermi anti-radiazioni che in seguito verranno utilizzati anche nella centrale atomica sperimentale italiana del Brasimone e commercializzati come Mudbar e Granubar, rispettivamente barite pulvirulenta per fanghi e granulari per schermi.

Complessivamente vengono perforati 210 metri di nuove gallerie e 26 nuovi fornelli per migliorare le comunicazioni e la ventilazione, specie nei Cantieri Sant’Anna, Zabelli e relativi intermedi.

Ben presto hanno inizio le prove di flottazione con esiti incoraggianti.

Nel complesso del Pollone proseguono ricerche e tracciamenti nella Galleria Rosina con direzione est ed in quella di Ribasso con direzione ovest, mentre all’esterno vengono ultimate le tramogge di carico minerale su camion, ed al Rezzaio oltre alla macinatura dell’intera produzione si procede ad allestire un impianto di laveriaflottazione per fronteggiare la domanda, tantochè nel 1956

A Monte Arsiccio, Cantieri Sant’Anna, Sant’Olga, Zabelli, i risultati estrattivi sono addirittura insperati per qualità e quantità stimando per difetto la produzione in 20.000 tonn. fra barite e misti barite commerciabili, e nell’ottica di reperire nuove fonti di approvvigionamento nel 1957 viene richiesto il Permesso Olecchia nelle zone

149

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) mineralizzate della già ricordata miniera di Buca della Vena.

Concessioni minerarie

Minerali ricercati

12

Nel corso dell’anno e nel biennio seguente, si sviluppa un vasto programma di sondaggi con carotiere sia nell’area di Santa Barbara, precisamente in località Quattro Metati, Gallerie Bossoli e dell’Acqua, che all’estremità del Cantiere Sant’Olga di Monte Arsiccio, dove una trivellazione raggiunge gli scisti del Permico dopo aver attraversato quattro strati di materiale a misti pirite – barite - ematite con spessori variabili da 0,20 a 2,50 metri.

Valdicastello

Superficie ha. 66

Fe Mn Pb Zn Cu Ba e pirite

Monte Arsiccio

Superficie ha. 60

Fe Mn Ba e pirite

Santa Barbara

Superficie ha. 271

Fe Cu Pb Zn Ba Hcs e pirite

La Culla

Superficie ha. 161

ignoti

Lo stesso avviene in località Lenzo (altre volte Lenzi) dove il sondaggio attraversa in successione terreni del Retico, Trias e Permico evidenziando un banco mineralizzato a barite/pirite potente circa 2 metri al contatto Retico/Trias, mentre risulta completamente sterile quello tra Trias e Permico.

Olecchia

Superficie ha. 703

Baritina

Valutazioni

Valore (in lire)

Terreni industriali

3.360.000

Fabbricati industriali

12.100.000

Fabbricati civili

23.600.000

Permessi di ricerca

Impianto compressione 2.500.000

Oltre ai sondaggi, il panorama giacimentologico di Monte Arsiccio viene ancor meglio inquadrato con il distacco del nuovo livello San Francesco a quota 506 metri s.l.m. nel Cantiere Sant’Olga, il quale mette in vista due nuovi banchi mineralizzati rispettivamente: 20 metri a misti pirite/barite e 40 metri a baritina molto compatta ed elevata purezza. Per favorirne lo sfruttamento viene realizzata una discenderia di unione fra i due livelli.

Impianti elettrici

2.170.000

Teleferiche

5.000.000

Decauville

4.600.000

Impianti forza idraulica 400.000

Ha inizio la sperimentazione “dell’apparecchio a mano Tirfor”, in pratica un arganetto a cavallino portatile per il disarmo e recupero del legname utilizzato in armamento delle trance, affiancato prima del franamento a tetto in ritirata.

Rete distribuzione aria compressa

180.000

Attrezzature varie da miniera

2.300.000

Impianto frantumazione 2.460.000 Impianto di macinazione 16.000.000

A Santa Barbara, i lavori di avanzamento nell’antica Galleria del Metato incontrano una mineralizzazione pressoché insignificante mentre quelli a cielo aperto evidenziano un filone di ematite spesso circa un metro al contatto con i calcari e la cui potenza sembrerebbe aumentare con la profondità. Al Pollone si coltiva con un grande impegno il nuovo cantiere aperto a 190 metri sopra il livello Rosina denominato Pizzone, mentre nel ribasso continua la ricerca verso ovest seguendo una fenditura fra gli scisti sericitici del Trias costituita da misti barite - pirite e, diversamente a quanto avviene a Monte Arsiccio, qui si opera con avanzamento a vuoti-colonne.

Impianti teleferiche

1.500.000

Officina

400.000

Giacenza magazzini prodotti

8.000.000

Giacenza magazzini scorte

7.500.000

Minerale commerciabile 240.000.000 per un totale di lire

332.070.000

Inoltre sono presenti i seguenti materiali: • Impianto compressione comprensivo di n. 2 apparati in cattivo stato ed inattivi. • Impianto di forza idraulica inattivo da tempo. • Teleferiche non comprensive del materiale in giacenza per la realizzazione di n. 3 di piccole dimensioni.

A cavallo fra 1956 e 1957 viene effettuato un accurato sopralluogo nelle miniere e proprietà E.D.E.M. per una stima sull’effettiva consistenza patrimoniale, come da relazione dell’ingegner Schmid del 18 marzo 195713 dal quale ho tratto notizie interessanti che riporto di seguito e nella quale si anticipa una prossima riunione delle due concessioni di Monte Arsiccio e di Valdicastello nonchè l’aumento della nuova superficie a circa ha.204.

Il triennio 1960/1962 trova la Società E.D.E.M. in continua espansione di mercato, e vengono richiesti due nuovi permessi per ricerca minerali ferrosi e barite, rispettivamente quello Verzalla al di sotto di Monte Arsiccio e Veciullo nei pressi di Farnocchia, iniziando i relativi rilevamenti geologici ed l’apertura di trincee e pozzetti nelle parti a maggior concentrazione di minerale per esplorarne la consistenza in profondità. Inoltre viene rilevata la ex concessione A.L.E.M. a Calcaferro.

Foto d’epoca molto probabilmente scattata a Valdicastello in occasione dell’omaggio alla cappellina nella piazzetta antistante la borgata Parigi. La cappellina è dedicata alla patrona Santa Barbara e ai minatori morti in miniera, ricordati con apposite targhe in marmo. 13 Ri.Min rapporto interno T812. 12

150

Miniere di Monte Arsiccio e del Pollone (o di Valdicastello) A Monte Arsiccio si procede a ritmo serrato tanto da esaurire i livelli intermedi del cantiere Sant’Anna compresi fra le quote di 561 e 565 s.l.m., mentre vengono ultimati i collegamenti interni Sant’Erasmo e San Francesco e Zabelli/Arsiccio 2 e per esplorare in profondità l’eventuale presenza di banchi e/o lenti mineralizzate viene progettata e realizzata una galleria di unione fra Arsiccio 1 e Arsiccio 2, ma la zona si rivela completamente sterile.

messi in vista affioramenti e contatti per valutarne la consistenza. Al Pollone si ultima anche una piccola teleferica automotrice fra il recente cantiere Pizzone e la tramoggia di carico attigua alla Galleria Preziosa15, mentre al Rezzaio viene perfezionato il nuovo impianto. In questa fase in seno alla Società E.D.E.M. entra la consociata S.I.I. (Società Imprese Industriali) con il compito di gestire i lavori a Quattro Metati in previsione di futuri sondaggi con carotiere.

Stesso impegno al Pollone, mentre al Rezzaio inizia nel 1962 la costruzione di un nuovo impianto di flottazione in grado di trattare anche i misti barite/pirite allargando ancora il campo di sfruttamento minerario. Sempre all’inizio del triennio prende corpo il progetto di un prolungamento stradale dal paese di La Culla fino a Monte Arsiccio alla località Casale pressoché all’altezza della stazione di partenza della teleferica, dove nel contempo vengono realizzate una serie di nuove tramogge di carico atte allo spillaggio diretto su camion.

Il triennio seguente, ed in particolare l’anno 1966, è caratterizzato da una diffusa recessione di mercato connessa alla crisi internazionale ed il Pollone rimane inattivo per diversi mesi durante i quali vengono ripresi in esame i vecchi lavori del 1925/26 a Cava Cugnasca per una possibile riconversione allo sfruttamento a cielo aperto, mentre nella Galleria Rosina si procede con il consolidato sistema estrattivo dei vuoti-colonne.

Il 1963 è un anno significativo, la sede societaria viene unificata e trasferita in via Pirgo a Roma, modificando nel contempo la denominazione sociale, dalla vecchia Esercizio Depositi e Magazzini alla nuova Esercizio Depositi Escavazioni Minerarie, ma l’evento principale è il completamento della strada il cui impegno economico è stato quasi totalmente a carico della società e che consente, non solo il miglioramento dei trasporti puramente connessi alle attività minerarie, ma offre nuove possibilità di sviluppo al paese di Sant’Anna.

A Monte Arsiccio vengono esauriti tutti i livelli a quota 561 metri iniziando quelli a quota 559 metri ed introducendo in servizio piccole pale meccaniche caricatrici cingolate e ad aria del tipo Eimco 12B, che riducono notevolmente sia le operazioni che il dispendio di risorse umane, mentre prende consistenza il progetto di un prolungamento della nuova strada dal Casale fino a fronteggiare nel livello sottostante le coltivazioni in atto, con costruzione di un’unica tramoggia di buttaggio alla quota della Galleria Sant’Olga cui verrà collegata con Decauville e locomotore di servizio.

Una breve digressione. L’approvigionamento di vari generi alimentari e materiali diversi al paese di Sant’Anna era stato fino ad allora assicurato, compatibilmente a volume e peso, dalla vecchia teleferica tedesca grazie alla disponibilità degli esercenti succedutesi nel tempo, ma da adesso era possibile superare le limitazioni potendo arrivare con mezzi fino alla miniera per il tradizionale proseguo a soma o spalle di uomo. Fra i vari servizi svolti vi era, come racconta la pescivendola ambulante signora Iolanda Giovannelli nel suo libro diario14, la fornitura a richiesta di pesce fresco consegnato insieme al conto agli addetti alla stazione di arrivo a Valdicastello che lo inoltravano a quella di partenza e ricevendo poi il pagamento, è proprio il caso di dirlo, “a giro di teleferica”.

Lo sbancamento inizia nel 1965/66 procedendo con grande celerità16 poiché una volta realizzato l’intero progetto sarà possibile migliorare l’inoltro della produzione a Valdicastello con camion, cosa peraltro in via sperimentale, e la definitiva messa a riposo della teleferica, che ormai avanti con gli anni necessita di continue revisioni e sostituzioni di parti meccaniche come ad esempio i carrellini corrosi dalle resulte sulfuree e reintegrati dalla Officine Barsanti di Pietrasanta molto più vicine dell’originaria casa costruttrice Bleichert. L’optare per il trasporto su gomma pur allungando il percorso di una decina di chilometri è bilanciato dalla dismissione del lavoro di sollevamento minerale con

Le coltivazioni proseguono in modo regolare in tutta la zona a concessione E.D.E.M iniziando inoltre le prove sperimentali del nuovo impianto al Rezzaio i cui risultati si rivelano addirittura superiori alle aspettative, permettendo lo smaltimento delle commesse in tempi ridotti, consentendo un’ulteriore affermazione della Società nel mercato specialmente estero.

15 La stazione di partenza è circa 190 metri al di sopra della Galleria Rosina, ma la vita della teleferica (pur rimanendo in loco) sarà breve venendo poi sostituita da una precaria canalizzazione di buttaggio fino al sottostante piazzale utilizzando una pala meccanica del tipo Fiat FL8 per il carico su camion. 16 Negli anni seguenti il completamento, la strada verrà prolungata fino al paese di Sant’Anna grazie alle disponibilità di fondi statali ma adesso un aneddoto dovuto alla cortesia dell’ex capo servizio Sign. Remo Mancini: “per avere più vicina la polveriera durante i lavori, era stata ripulita una zona vicino alla teleferica dove poi si scavò una galleria per contenervi gli esplosivi e tutto intorno veniva costantemente tenuto pulito per paura di incendi; un giorno vennero ad ispezionare i lavori i dirigenti dell’Ufficio delle Miniere di Carrara ed al ritorno trovarono proprio lì sul pulito un gruppetto di operai che durante la pausa pranzo vi aveva acceso un fuoco per riscaldarsi – Apriti cielo…- “superfluo ogni commento su cosa successe...

Durante il 1964, oltre alla regolare coltivazione di Monte Arsiccio con una produzione stimata di 150 tonn./giorno viene richiesto il nuovo permesso per ricerca barite denominato La Fossa (Stazzema), dove in breve sono 14

Giovannelli I., 1995, Versilia Amore Mio, Tip. Massarosa Offset.

151

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) argano dal complesso Sant’Olga fino all’esterno della galleria Sant’Anna, ed dal lungo proseguo su vagoncini fino alle tramogge di carico e ritorno a vuoto, con conseguente recupero del personale addetto alle varie operazioni e non ultima la cessata pericolosità connessa alla potenziale caduta di materiali in movimento aereo.

magnetite-limonite-ematite associata a pirite ed in particolare il tout-venant al Pollone è costituito da rocce prevalemntemente scistose mentre a Monte Arsiccio prevale il calcare (grezzoni); a Buca della Vena invece abbiamo barite-ematite e già questa diversità comporta cicli produttivi diversificati dei quali cercherò di illustrare a grandi linee le fasi principali. Il minerale estratto nelle tre miniere affluisce in una specie di deposito di stoccaggio, coperto a livello superiore agli impianti, quello di Buca della Vena solamente in minima parte da utilizzarsi in casi eccezionali del tipo salvare una commessa o simili perchè stante l’elevata purezza è destinato ad un proprio sito di stoccaggio nel piazzale da dove viene prelevato e ridotto a pezzature granulare compresa fra mm 2,5e mm 0,2-0,3 a seconda del tipo di utilizzo nel campo di schermi antiradiazioni e proprio questa particolarità determina una cadenza di preparazione connessa alla domanda di mercato ed alla pezzatura.

Il 1967 si annuncia con deboli segnali di ripresa nel mercato ed in previsione di ulteriori miglioramenti vengono incrementate le ricerche nei Permessi Quattro Metati e La Fossa, proseguendo lo scavo di trincee ed i rilevamenti. Al Pollone continua il lavoro nella Galleria Rosina recuperando anche vecchie resulte abbandonate, ed inizia quello a cielo aperto a Cava Cugnasca che verrà presto resa raggiungibile anche con camion con la sistemazione del il vecchio e disagevole percorso su muro a secco parallelo ed adiacente al canale Ferraio, agevolando così anche l’arroccamento verso il nuovo refettorio-magazzino sottostante i Cantieri Pizzone.

Il tout-venant del Pollone e di Monte Arsiccio vengono prelevati alternativamente ed immessi in una serie di frantumatori a mascelle che inducono la pezzatura a 2-3 cm pervenendo ad un mulino totativo a palle di ferro che riducono ulteriormente la granulometria a circa 1/2 mm passando infine ai classificatori a rastrello ed agli addensatori che rendono la miscela pronta per la flottazione. A seconda della provenienza e quindi della composizione abbiamo due percorsi diversificati pirite e barite, dove nel percorso barite viene ottenuto un Ba SO4 con una purezza stimata fra il 94 e il 97%, mentre le resulte vengono avviate con canalizzazione alle vasche da decantazione a valle del paese di Valdicastello in località La Croce di Regnalla, dove avviene la decantazione e l’acqua tracima infine nel torrente Baccatoio. La barite arricchita viene immessa in mulini pendolari Breda che la riducono a pezzatura commerciale cioè inferiore a 40micron e peso specifico minimo di 4,20 per la preparazione dei fanghi.

Arriviamo agli anni 1968/69 che vedono il regolare proseguo di attività sia a Monte Arsiccio che al Pollone, dove in particolare si perforano 45 metri di nuova galleria a Cava Cugnasca per seguire la mineralizzazione in profondità. Concomitanti le attività nei permessi di ricerca. Con il 1970 la società è ormai affermata a pieno titolo sul mercato interno ed internazionale tanto che non è fuori luogo affermare che il decennio fino al 1980 rappresenta la sua massima espansione sia in termini di produttività che commercializzazione. Per tale motivo ritengo arida ed inutile una cronologia annuale riportando le sole notizie di maggiore interesse come l’introduzione di due nuovi locomotori da miniera Orestein e Koppler rispettivamente nella Galleria Rosina al Pollone e Sant’Olga a Monte Arsiccio con il compito di effettuare il trasporto alle tramogge.

Ultima operazione è lo stoccaggio dentro i silos, l’insacchettatura in sacchette cartacee da 50kg o in un grande contenitore, il cosidetto big bag da 1,5 tonn., operazione quest’ultima a richesta del committente.

Vengono abbandonati i permessi di ricerca, restituendo simbolicamente quello Quattro Metati alla Società E.D.EM. prima della rinuncia, mentre intorno al 1972/73 viene interrotta la coltivazione nella Galleria Rosina concentrando le attività nei Cantieri Pizzone e Cava Cugnasca dove sono realizzate nuove rimonte per ulteriori indagini sulla consistenza della mineralizzazione. Coevi sono i lavori di ricerca nella parte superiore della Galleria Preziosa mentre a Monte Arsiccio sono ormai in via di esaurimento i vari cantieri della Galleria Sant’Anna.

Infine una precisazione: il prodotto utilizzato nel processo di flottazione è un sapone tensioattivo biodegradabile, tipo olio di pino o similari. Nel 1974 i due giacimenti vengono unificati in un’unica concessione mineraria, sempre comunque comprensiva anche di Verzalla e di Angina, mentre a Monte Arsiccio viene definitivamente esaurita Sant’Anna e potenziato il lavoro a Sant’Olga.

Da conversazioni con la dirigenza, i tecnici del laboratorio e le maestranze E.D.E.M di Rezzaio riporto di seguito il ciclo produttivo della barite.

Nel triennio seguente vengono intraprese ricerche per pirite nei vecchi Cantieri Pianello, ma con risultati deludenti che ne provocano l’interruzione passando alla ricerca di ematite nella zona adiacente la sala compressori

Le mineralizzazioni principali sia a Monte Arsccio che al Pollone sono costituite prevalentemente da barite152

Miniere di Monte Arsiccio e del Pollone (o di Valdicastello)

Fig. 15.5. Giacimento del Pollone, planimetria schematica anno 1985.

Al Pollone prosegue lo sfruttamento di cava Cugnasca e dei vari cantieri Pizzone dove si realizzano 170 metri di nuovi avanzamenti per seguire i filoni più bassi mettendo in luce nuovi depositi a misti barite commerciabili a un livello poco superiore alle vecchie coltivazioni

e magazzini in località Collelungo17 procedendo sia a cielo aperto che in sotterraneo con risultati incerti. 17 Genericamnete indicata come Al Casale per la presenza dell’edificio adibito ad abitazione del guardiano ed ufficio del capo servizio.

153

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) In aggiunta a quanto sopra non necessita lo sgombero delle resulte che vengono utilizzate quali terrapieni di contenimento, ma il 20 novembre 1978 inizia il declino E.D.E.M con la tragica e prematura scomparsa in seguito ad un incidente stradale nei pressi di Lucca, del direttore ed artefice di grandi successi il signor Alberto Perito Minerario Gorelli (1917-1978), poi sepolto nella natia Tatti (Grosseto) e rimpianto non solo dai collaboratori e dai dipendenti, ma dell’intera Valdicastello e dai limitrofi paesini montani.

ottocentesche dei Pozzi Francese e Alessandro, anche in parte ripresi. Vengono comunque forzosamente interrotte le attività nella parte superiore della Galleria Preziosa non potendo ulteriormente indebolire e compromettere il già debole diaframma con l’esterno superiore, dove si trovava un manufatto dell’acquedotto comunale di Pietrasanta. È di questi anni il progetto di realizzare una strada camionabile di servizio interamente ricadente nei limiti della concessione e che collegherà le tramogge di Monte Arsiccio con gli impianti di Valdicastello.

Nonostante questo, le attività proseguono abbastanza regolarmente in entrambi i giacimenti, ed anzi al Pollone vengono allargate tutte le gallerie necessarie dal livello refettorio alla quasi somminità dei Cantieri Pizzone in vista dell’entrata in servizio di una pala gommata per lo sgombero della produzione, evitando così buttaggi interni/ recupero/buttaggio esterno cosa che avverrà nel 1982, mentre nell’anno successivo si sostituisce l’intero gruppo compressori.

Questa operazione è resa possibile senza ricorso ad arbitrati, grazie agli accordi di comodato con i vari proprietari di terreni, prevalentemente boschivi, interessati al tracciato ed i quali potranno poi usufruirne liberamente per necessità connesse alla conduzione dei fondi stessi.

La strada da Monte Arsiccio avanza velocemente e prosegue anche lo sbancamento in risalita per la congiunzione dei due tronchi prevedendo pure la ripresa dei vecchi lavori per barite a cielo aperto oltre Cava Cugnasca e la cosiddetta Cavetta, iniziandovi la costruzione di una grossa tramoggia in legno per carico diretto su camion. Per agevolarne la manovra viene allargata e rafforzata con muraglione in cemento armato la stretta curva già esistente.

Anche se l’impegno finanziario non è indifferente, è innegabile la ricaduta positiva connessa alla drastica riduzione del percorso quindi dei consumi e dei tempi ed una più elastica applicazione del codice stradale come ad esempio la possibilità di carico e simili. I lavori iniziano quasi subito partendo da Monte Arsiccio e procedono abbastanza velocemente grazie anche alla zona pressoché deserta di abitazioni, cosa che riduce ampiamente quelle cautele legate allo sparo di mine in ambienti esterni alle miniere.

A Monte Arsiccio si riconsiderano piccoli depositi mineralizzati all’interno di Sant’Anna installandovi

Fig. 15.6. Monte Arsiccio denuncia infortunio, archivio personale dell’autore.

154

Miniere di Monte Arsiccio e del Pollone (o di Valdicastello) un grosso aspiratore (diametro tubazione 300mm.) per ovviare la mancata ventilazione naturale. Già dai primissimi anni ottanta erano insorte difficoltà legate alla crisi del nucleare, all’aumento dei costi gestionali, alla diminuzione della domanda cui si aggiungerà un impoverimento delle mineralizzazioni specie a Buca della Vena ed a poco approdano i sondaggi fatti con carotiere nei limiti della concessione.

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1949

18.299

8.470

1950

5.485

32.254

1951

18.048

50.302

1952

18.351

68.653

1953

18.517

87.170

1954

12.228

99.458

1955

17.191

116.649

1956

16.958

133.607

1957

18.898

152.505

203.389

23.192

223.581

1961

20.740

244.321

1962

18.815

263.136

1963

19.600

282.736

1964

32.447 315.183

Anno

Sede

1934-1939

Torino

Corso V.Emanuele 16

1939-1942

Pavia

via del Carmine 4

1942-1943

Milano

Foro Buonaparte 55

fine 1943

sede Lucca

ignoto

1944

Valdicastello

località Rezzaio

1948-1951

Valdicastello

località Rezzaio

1951-1963

Valdicastello

località Rezzaio

1951-1963

Viterbo

ignoto

1963-1990

Roma

via Pirgo 20

Sin dalla riscoperta della reale giacitura della geocronite19, la miniera del Pollone è stata attivamente esplorata dai collezionisti di minerali per i bellissimi campioni di quarzo (anche fumé), barite e solfosali usciti dalle sue gallerie. Negli ultimi anni, l’esame delle fasi accessorie presenti nei banchi di barite e pirite microcristalline ha consentito la scoperta e la descrizione di solfosali di piombo e argento rarissimi o addirittura nuovi. Infine, il riesame dei campioni storici e moderni di geocronite da parte dei ricercatori dell’ateneo pisano ha messo in luce non soltanto la presenza di termini intermedi fra geocronite e jordanite20, ma anche la presenza di due specie mineralogiche, strutturalmente correlata alla geocronite e battezzate marcobaldiite ed arseniomarcobaldiite.

Tonnellate di Tout-Venant scaricato

8.470

26.127

1960

Giacimento del Pollone e strada interna per Monte Arsiccio

Riepilogo delle tonnellate annue di minerale trasportato dalla gloriosa teleferica durante la gestione E.D.E.M. fino al suo quasi pensionamento nel 1964, ed un riepilogo delle varie sedi E.D.E.M. dalla nascita alla definitiva scomparsa.

1948

1959

15.1. Campioni mineralogici

Non esiste un seguito se non la dismissione e l’abbandono delle miniere e degli impianti, chiudendo così un millenario susseguirsi di attività mineraria in Versilia.

Progressivo Tonnellate

174.262

Sedi E.D.E.M.:

Gli ultimi 70 dipendenti sono ben consci della situazione e si ipotizza anche un interesse E.D.E.M alla dismissione delle attività estrattive a favore della sola trasformazione di materia prima importata18. In tale senso tramite le Organizzazioni Sindacali Unitarie si rivolgono ai sindaci dei Comuni di Pietrasanta e Stazzema ed ai parlamentari locali (8 giugno 1987), mentre ai segretari nazionali delle citate Organizzazioni Sindacali (stessa data) comunicano richiedendo il loro intervento la vicinissima scadenza degli accordi E.D.E.M/AGIP per le forniture e l’orientamento Agip a non rinnovarli, acquistando da società importatrici operanti la sola trasformazione con costi minori.

Tonnellate

21.757

totale

Il 1985 poi è un anno particolarmente sfavorevole per le vendite specie adesso che è scomparsa la famosa “coppia imbattibile” (per memoria comm. Sgarroni – Gorelli), ma il vero problema alla sopravvivenza è l’immissione sul mercato di barite a basso costo da parte del Marocco e della Turchia, che determina una sempre maggiore rarefazione delle commesse.

Anno

1958

La lista delle specie mineralogiche fino ad oggi identificate nella miniera del Pollone, così come lungo la strada interna che congiungeva Valdicastello Carducci con la miniera di Monte Arsiccio, è la seguente: acantite, albite, anatasio, anglesite, arsenopirite, azzurrite, barite, billingsleyite, boulangerite, bournonite, calcite,

In effetti la Società E.D.E.M. ipotizzò la sola trasformazione tramite un accordo con le Ferrovie dello Stato per la istituzione di uno-due treni merci completi a cadenza settimanale Sicilia-Pietrasanta destinati al trasporto del minerale importato ma non vi fu alcun seguito.

18

Baldi, M. 1982. Biagioni, C., Dini, A., Orlandi, P., Moëlo, Y., Pasero, M., e Zaccarini, F. 2016.. 19 20

155

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) carducciite21, cerussite, chovanite, cinabro, “clorite”, diaforite, dolomite, famatinite, fettelite, florencite-(Ce), fluorite, galena, geocronite, gesso, goethite, “ialofane”, jarosite, jordanite, koninckite, magnetite, malachite, marcobaldiite22, meerschautite23, melanterite, meneghinite, millerite, monazite-(Ce), muscovite, owyheeite, parasterryite24, polloneite25, proustite, pirargirite, pirite, quarzo, rutilo, sfalerite, siderite, sterryite, strengite, tennantite, tetraedrite, titanite, variscite, xanthoconite, xenotime-(Y), zinkenite.

i depositidelle Alpi Apuane meridionali, da Valdicastello Carducci sino a Fornovolasco26. Per queste sue peculiarità, la miniera di Monte Arsiccio, con oltre 90 specie mineralogiche ad oggi identificate, rappresenta una delle più importanti località mineralogiche in ambito nazionale e una delle località più importanti a livello mondiale per lo studio dei solfosali. I geologi che si sono occupati dello studio di questo interessante geosito hanno anche messo in luce l’esistenza dei fusi a solfuri di più bassa T mai scoperti sul pianeta: durante i processi metamorfici che hanno interessato le Alpi Apuane una piccolissima frazione del giacimento di Monte Arsiccio andò incontro a processi di fusione parziale, con la formazione di fusi a solfuri che concentrarono elementi quali tallio, mercurio, argento, arsenico, antimonio, piombo e rame, portanto così alla cristallizzazione di associazioni mineralogiche molto particolari27.

Oltre agli eccezionali campioni di geocronite e jordanite usciti dalle sue gallerie, la miniera del Pollone è un importante sito per lo studio dei solfosali di argento in ambiente metamorfico. Fra questi, ben quattro sono stati scoperti in questa miniera per la prima volta al mondo. Ancora a testimonianza dell’unicità dei depositi altoversiliesi, è da notare la presenza di due ossi-solfosali, la chovanite e la meerschautite.

Elenchiamo solo alcune delle specie ad oggi identificate. Ulteriori dettagli saranno pubblicati su un volume in fase di preparazione (in grassetto le nuove specie scoperte per la prima volta a Monte Arsiccio, seguite dal relativo riferimento bibliografico):

Giacimento di Monte Arsiccio Molto limitate quantità e qualità delle specie mineralogiche per la maggior parte raccolte nel tout-venant giunto a Rezzaio prima dell’immissione agli impianti; la scelta fu condizionata dal fatto della pressoché inesistenza delle discariche alla miniera e scarso rifornimento con materiale sterile fresco ed inoltre alla difficoltà operativa in sotterraneo dove le zone dimesse presentavano rischi veramente non trascurabili.

aktashite, anatasio, andreadiniite28, annabergite, “apatite”, aragonite, arsenopirite, arsiccioite29, barite, benstonite, berillo, boscardinite30, calcite, calcopirite, cerussite, chovanite, cymrite, derbylite, dolomite, ematite, galena, gersdorffite, gesso, goethite, graeserite, “ialofane”, laffittite, magnetite, mannardite, mapiquiroite31, mimetite, molibdenite, muscovite, polhemusite, protochabournéite32, pirite, quarzo, realgar, routhierite, rouxelite, sfalerite, siderite, spessartina, stibivanite, stibnite, tetraedrite, valentinite, zinkenite.

15.2. Mineralogia Sino alla metà degli anni Duemila, la miniera di Monte Arsiccio era nota in ambito mineralogico per la presenza di un modesto numero di specie mineralogiche, rappresentate in primis dai cristalli geminati di arsenopirite presenti nelle rocce scistose che incassano il giacimento, dai campioni di aragonite raccolti nelle rocce dolomitiche carsificate poste a tetto del deposito, e dagli individui di spessartina, un granato manganesifero raro nelle Alpi Apuane.

La mineralogia della miniera di Monte Arsiccio presenta strette analogie con quelle di Buca della Vena. Fra i solfosali, sono presenti due ossi-solfosali, chovanite e rouxelite. Queste specie, decisamente rare in natura, indicano particolarissime condizioni di cristallizzazione presenti nei depositi alto-versiliesi. La similitudine con Buca della Vena è rafforzata dalla presenza di derbylite e stibivanite. Ma in accordo con la maggior ricchezza in arsenico della mineralizzazione di Monte Arsiccio, la derbylite è in alcune vene sostituita dal suo correspettivo arsenicale, la graeserite. Raramente, nei livelli più alti della miniera, sono stati raccolti campioni di berillo verde.

A partire dalla seconda metà degli anni Duemila lo studio accurato di questa mineralizzazione ha consentito di ottenere un quadro più dettagliato, rivelando una eccezionale varietà mineralogica e portando alla scoperta di una inattesa mineralizzazione a tallio. La sua scoperta ha promosso ulteriori indagini che hanno consentito di mostrare una anomalia a tallio estesa a tutti

Biagioni, C., D’Orazio, M., Vezzoni, S., Dini, A. e Orlandi, P. 2013a. Biagioni et alii, 2013a. 28 Biagioni, C., Moëlo, Y., Orlandi, P. e Paar, W.H. 2018. 29 Biagioni, C., Bonaccorsi, E., Moëlo, Y., Orlandi, P., Bindi, L., D’Orazio, M. e Vezzoni, S. 2014b. 30 Orlandi, P., Biagioni, C., Bonaccorsi, E., Moëlo, Y. e Paar, W.H. 2012. 31 Biagioni, C., Orlandi, P., Pasero, M., Nestola, F. e Bindi, L. 2014a. 32 Orlandi, P., Biagioni, C., Moëlo, Y., Bonaccorsi, E. e Paar, W.H. 2013. 26 27

Biagioni, C., Orlandi, P., Moëlo, Y. e Bindi, L. 2014. Biagioni, C., Pasero, M., Moëlo, Y., Zaccarini, F. e Paar, W.H. 2018. 23 Biagioni, C., Moëlo, Y., Orlandi, P. e Stanley, C.J. 2016. 24 Moëlo, Y., Orlandi, P., Guillot-Deudon, C., Biagioni, C., Paar, W. e Evain, M. 2011. 25 Topa, D., Keutsch, F.N., Makovicky, E., Kolitsch, U., Paar, W. 2017. 21 22

156

Miniere di Monte Arsiccio e del Pollone (o di Valdicastello)

Fig. 15.7. Grotta naturale di Monte Arsiccio e minatori (foto d’epoca originariamente esposta nella foresteria E.D.E.M. oggi conservata presso il Centro Ricreativo Operaio -CRO- di Valdicastello, rielaborazione grafica di Gabriele Moriconi, Editografica). Stante la natura carsica del terreno comprensivo e limitrofo ai depositi mineralizzati di Monte Arsiccio-Pianello-Angina e Verzalla durante i lavori minerari si sono succeduti incontri con cavità naturali di varia ampiezza e conformazione poi regolarmente distrutte per volontà umana e di cui rimangono sporadiche testimonianze con grossi spezzoni di stalattiti e stalagmiti (diametri fino ad olte 50/60cm) abbandonate nel bosco circostante la zona di Galleria Sant’Anna e Cantieri Pianello anche se ormai seminascosti dalla vegetazione di sottobosco. Gli incontri che suscitarono più interesse avvennero nel 1939 durante lo scavo della nuova Galleria Zabelli ed intorno al 1950 nei Cantieri Pianello (le versioni orali contrastano spaziando al 1949 al 1953), mentre attenendoci ai racconti degli ex addetti ai lavori e della dirigenza a volte si entrava in contatto con cavità di modeste dimensioni spesso completamente riempite da barite saccaroide in genere molto pura e facilmente recuperabile con il semplice spillaggio. Purtroppo non sono riuscito a stabilire con esattezza a quale incontro si riferisca la foto in oggetto.

Concrezioni anomale in una caverna naturale all’interno di una miniera di ferro a Valdicastello34.

Numerosi sono i minerali contenenti mercurio, spesso assieme ad altri elementi come argento, rame, arsenico e tallio: aktashite, arsiccioite (qui scoperta per la prima volta al mondo), laffittite, polhemusite (identificata dubitativamente da Costagliola)33, routhierite e rouxelite. Il tallio compare in alcuni nuovi minerali, quali la già citata arsiccioite, boscardinite e protochabournéite.

Via d’accesso: lasciata a Valdicastello la carrozzabile, si segue la mulattiera per Sant’Anna fino ad un gruppo di case (q. 420m circa) dopo il quale si svolta a destra per un ripido sentiero, giunti ad una fonte, si svolta a sinistra proseguendo in breve salita fino ad una miniera 34 Indubbiamente si riferisce alla cavità Zabelli, peraltro la più vasta, la purtroppo anonima relazione trovata nel corso delle mie ricerche, dattiloscritto che allego integralmente.

Costagliola, P., Benvenuti, M., Tanelli, G., Cortecci, G. e Lattanzi, P. 1990.

33

157

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) (stazione teleferica). Si seguono poi i binari della Dacauville fino all’ingresso principale della miniera. La cavità si apre all’interno di questa, a ca. m. 250 dall’ingresso. L’ingresso è chiuso con un cancello di legno.

bianche, cristallizzate. I fenomeni di cristallizzazione raggiata sono caratteristici dei depositi subacquei. I cristalli che li compongono sono trasparenti e candidissimi. Questi hanno una sezione di pochi mm. di lato e lunghezza variabile tra i 5 ed i 20 cm. di diametro. All’imbocco pari circa alla profondità.

Descrizione della cavità: la cavità consiste in un’ampio salone di forma lenticolare inclinato di circa 10 gradi. Dimensioni in pianta di ca. 100x70. Altezza fino a circa 20 metri. A fianco comunicante con salone per ampio tratto, si trova un’altra cavità, lunga una 60ina di metri, priva di concrezioni perchè apertasi nello scisto, per franamento di parte di questo nella sottostante caverna. Entrati nella caverna, si scende una scaletta a pioli (metri 4). Il pavimento è ricoperto da massi di calcari ematite e scisti, poche le stallattiti. Si discende verso destra per una 20ina di metri e si giunge ad una vasta zona (metri 30x40) ricca di stalattiti e stalagmiti, i massi sul pavimento sono ricoperti di grandi colate, candide o gialline che danno alla caverna l’aspetto di un ghiacciaio. Proseguendo ancora si arriva ad una fossa, priva di concrezioni, che termina contro una parete della cavità. Si risale quindi sulla sinistra, per una 15ina di metri, sempre in mezzo ad uno scenario fantastico di stalattiti e stalagmiti. Superato un “altopiano” di una 20ina di metri, si discende verso la parte inferiore della caverna (altri 20 metri). Lì la parte forma una specie di nicchia, che si inoltra con volta assai bassa per parecchi metri. Il pavimento è ricoperto da uno strato di argilla imbibita di acqua, con alcuni laghetti circondati di acqua e di incrostazioni. La maggior parte delle concrezioni è candida. Vi fanno spicco alcune concrezioni anomale, gialle, rosse, e persino nere.

Sono state trovate perle di grotta di modeste dimensioni. Alcune sono sagomate a forma di trottola, indizio che la loro formazione è avvenuta all’interno ad un asse fisso: fenomeno questo assai raro. Numerose altre cavità simili sono state trovate nelle vicine miniere, ma si tratta di cavità di dimensioni minori.

Volgendo un poco a sinistra, si supera un conoide detritico, ridiscendendo in un ambiente più vasto. Il pavimento è ad un livello un poco inferiore e rappresenta il punto più basso della cavità. La volta è molto alta e quasi priva di stalattiti. Risalendo sulla sinistra un conoide detritico si giunge dopo una 20ina di metri alla “chioma della gorgone” eccezionale concrezione composta da numerose concrezioni anomale capillariformi (diametro mm. 2-5) molto lunghe ed aggrovigliate, il loro colore è giallo chiaro. Continuando a salire per 10 metri, si giunge alla cavità laterali dalle pareti scistose prive di concrezioni. Volgendo a sinistra per breve salita si torna dopo una 50ina di metri alla scaletta di partenza. Le concrezioni: delle concrezioni anomale si considerano ora quelle elicoidali e di fenomeni di cristallizzazione raggiata. Le prime possono considerarsi stalattiti subacquee, accresciutesi per effetto delle differenze di concentrazioni e delle variazioni ambientali fra le litoplasi delle rocce circostanti e la caverna invasa dalle acque. Le precipitazioni seguono per tanto i filetti di correnti: le concentrazioni presentano spiraloide o irregolare raramente ramificate, mancano di canale interno, 158

Miniere di Monte Arsiccio e del Pollone (o di Valdicastello)

Fig. 15.8. Lettera rappresentanze lavoratori E.D.E.M. ai sindacati.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 15.9a. Volantino sindacale.

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Miniere di Monte Arsiccio e del Pollone (o di Valdicastello)

Fig. 15.9b. Volantino sindacale.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 15.10. Monte Arsiccio, livello Sant’Anna “la grotta nera” con stalattite di goethite e l’amico Roberto Buonriposi.

Fig. 15.11. Monte Arsiccio: Miniera del Pollone, ingresso al camerone (foto T. Kurz).

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Miniere di Monte Arsiccio e del Pollone (o di Valdicastello)

Fig. 15.12. Miniera del Pollone: Canale Ferraio (foto T. Kurz).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 15.13. Miniera del Pollone, il vecchio magazzino (foto T. Kurz).

Fig. 15.14. Miniera del Pollone, il ponte.

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Miniere di Monte Arsiccio e del Pollone (o di Valdicastello)

Fig. 15.15. Miniera del Pollone, Cantiere Pizzone.

Fig. 15.16. Miniera del Pollone, vecchia tramoggia.

Fig. 15.17. Miniera del Pollone, tramoggia di buttaggio.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 15.18. Miniera del Pollone, stazione di arrivo della teleferica da Cantiere Pizzone.

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16 Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate: Gallena e Argentiere di Sant’Anna. Prevalentemente galena argentifera e zinco (Tavv. 8-20). A rich documentation from the XVI and XVIII centuries exist for these mines, which are described by various contemporary historians. It was Cosimo I de Medici who started to exploit the galena in these mines with large investment of capital and imported experts from Germany. Foreign interest continued to attract capital to these mines until 1868, and the period is well-documented by the last director of the mine, the Frenchman Fréderic Blanchard, who left an extensive archive of the projects, the galleries, the workmen, and relevant maps. During the XX century the three companies of S.A.M.A., E.D.E.M. and S.C.E.L. operated the mines with varying success until 1966, when they were finally closed. The mine of Bottino has provided the best mineralogical examples from the Apuan Alps now in museum displays, primarily in the Cerpelli Collection (Museo di Storia Naturale of the University of Pisa). It is also known for its large specimens of boulangerite. 16.1. Lavori dal 1500 al 1700

I primi anni vennero dedicati a queste operazioni ed alla preparazione a fondovalle nei pressi di Ruosina delle infrastrutture dove poi alloggiare frantumazione e fusione del minerale, già preventivamente cernito sul luogo di scavo evitando così il trasporto di sterili lungo percorsi montani scoscesi.

Premesso che quel poco di conosciuto e documentato in epoche antiche e precedenti il 1500 è già stato inserito in apertura di questo volume, per quanto riguarda il periodo dal 1539 al 1595 la migliore ricerca archivistica rimane quella compiuta da Fabretti e Guidarelli presso l’Archivio Storico di Firenze, ed alla quale rimando per una ben più esaustiva documentazione1. Da questo studio ho ricavato molte informazioni integrando così quanto già conoscevo ed alcune fasi un po’ lacunose come quelle riportate nella vecchia letteratura mineraria di F. Campana, G.T. Tozzetti e E. Repetti2.

Se il reperire manodopera generica fu abbastanza facile visto la grande disponibilità locale, altrettanto non poté avvenire per quella specializzata (minatori – partitori – saggiatori – fonditori – affinatori, genericamente indicati come Maestri o Capi-Maestri a seconda del livello di abilità raggiunto) e meno che mai i direttori dell’Impresa o Maestri Generali mancando nel territorio dell’Enclave una vera tradizione minerario - metallurgica specifica.

La data più probabile dell’inizio delle attività minerarie nelle cosiddette Argentiere della montagna di Seravezza è compresa fra il 1539 e 1541 sotto il governo di Cosimo I dei Medici che fece intraprendere la ricerca dei resti delle vecchie ed antiche coltivazioni per galena argentifera localizzate nella parte superiore estrema delle vallate del Bottino (Conca Danari – Sciorinello – Senicioni o linea degli affioramenti in genere), e nell’opposto versante rivolto al mare di Monte Ornato - Sant’Anna di Stazzema con il successivo riattamento di quante ritenute promettenti.

Tuttavia grazie alle amicizie di cui anticipato, Cosimo I riuscì a far giungere dalla Germania un primo gruppo di esperti guidati da Jeronimo Richel, dando così inizio alle vere coltivazioni ed ai primi timidi tentativi di fusione condotti da Ridolfo Carnesecchi e Francisco Chemiondez3, ma che produssero risultati deludenti. Alla fine dello stesso anno e sempre dalla Germania dove era stato possibile reclutarli grazie ai banchieri Torregiani di Norimberga, arrivano altri Maestri con a capo Cristofano Degler, detto il gobbo per la sua malformazione fisica, grandissimo esperto nella fusione ed affinazione tanto da essere nominato Maestro Generale con stipendio di 500 scudi per il primo anno, e 200 per quelli successivi oltre al 25% sugli utili4. Proprio a lui furono dovuti i primi

Fabretti C. e Guidarelli, A. 1980. Altra fonte non molto rivista in chiave mineraria locale è quella conservata in A.S.C.P. dove purtroppo non esistono specifiche filze o indicazioni guida, per cui la ricerca ha ripercorso a ritroso gli indizi via via incontrati tra Suppliche, Deliberazioni, Affari Magistrali etc.... Recentemente notevoli migliorie per la consultazione sono state introdotte da uno dei responsabili il sign. Franco Balducchi delle quali ho largamente beneficiato riuscendo a risalire e consultare carteggi e documenti fino ad oggi inediti che mi hanno permesso di apliare il panorama minerario locale. Inoltre vorrei ricordare la preziosa collaborazione delle due archiviste Costagli Maria Giulia e Puglisi Francesca che mi hanno sempre segnalato, qualsiasi accenno, titolo, o connessione a miniere incontrati duranti il loro lavoro di riordino dell’archivio pre-unitario.

1 2

3 Spagnolo con precedenti esperienze nelle miniere tedesche o, per rimanere in linea con il tempo, “nelle Cave della Magna” nome con il quale veniva generalmente indicata questa nazione. 4 Fabretti, M. e Guidarelli, A. 1980: 146 nota 11.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Maestri Generali stranieri, portò ben presto a divergenze fra l’amministratore Girolamo Inghirami ed il Degler per quanto riguardava il pagamento della manodopera. Il primo era orientato per il salario fisso mentre il secondo per quello a cottimo, ma la grande amicizia che legava il Duca agli Inghirami fece prevalere la tesi dell’amministratore e l’allontanamento del Degler sostituito nel 1558 da Antonio Glegg, già da quindici anni direttore delle miniere tedesche dei Fugger e reclutato insieme ad altri trentaquattro specialisti.

risultati positivi nella fusione di questo strano minerale che pur essendo macroscopicamente uguale a quelli estratti in altre miniere, fondendo si comportava in modo diverso non riuscendo a ricavarvi tutto il piombo e l’argento potenzialmente contenuti. Si verificavano inoltre variazioni nel rendimento anche fra coltivazione e coltivazione, fenomeno allora misterioso, che è dovuto anche alla presenza del nocivo e volatile antimonio da sempre responsabile di innumerevoli morti per saturnismo, e che portò all’empirica supposizione “di vapori arsenicali che struggono e trasportano l’argento”.

In occasione di questo viaggio verso Seravezza si ha una conferma dell’ostracismo all’espatrio. Infatti nonostante il permesso accordato da Ferdinando I d’Asburgo, il gruppo viene bloccato dal Governatore del Tirolo fino all’arrivo di uno specifico lasciapassare confermante la libertà a proseguire per la Toscana. Ma i risultati del Glegg delusero le aspettative e venne sostituito nel 1560 da Pietro (o Pier) Martire originario della zona di Como.

Vista con occhi moderni la cosa si spiega in parte anche con il fatto che sono riscontrabili variazioni anche fra miniera e miniera se non fra filone e filone ma la chimica, allora bambina, muoveva appena i primi passi e l’unico testo di arte mineraria e metallurgica che si discostava dalla tradizione alchimistica fornendo indicazioni valide, rimaneva la famosa Pirotechnia del senese Vannoccio Biringuccio (vd. Appendice n.2).

In tutto questo rincorrersi di avvicendamenti e conflittualità era comunque già iniziato a profilarsi l’esaurimento di alcune coltivazioni specie nel versante rivolto al mare con susseguente calo della produzione.

Riconducibile a questo periodo iniziale fu il ritrovamento di attrezzi antichi nelle vecchie gallerie come riportato nella letteratura del ‘700 e ‘800 ed anzi, stante la provenienza degli addetti ai lavori le attività vennero regolate adottando prima gli Statuti Minerari di Massimiliano d’Austria tradotti da Matteo Cioli, poi nel 1547 quelli tedeschi ora tradotti dallo scrivano alle miniere Bolfo d’Augusta giunto col gruppo del Degler, che nel 1556 provvederà anche alla traduzione del nuovo trattato De Re Metallica opera del medico ungherese George Brauer meglio conosciuto come Agricola.

Causa l’impegno profuso e le non celate speranze, la diminuzione della produzione era un po’ difficile da accettarsi come evento naturale, da cui ne derivò la ricerca di eventuali responsabilità che nella fattispecie ricaddero sull’amministratore Girolamo Inghirami e suo figlio Giovannetto, accusati di cattiva gestione dal Capitano di Pietrasanta ed incarcerati nel 1559. Ancora una volta la fiducia di Cosimo I per quella famiglia è incrollabile tanto da nominare nuovo amministratore l’altro figlio di Girolamo, Matteo che rimarrà in carica fino al 1571 quando con la sua morte si conclude l’impegno della famiglia al servizio dei Medici.

Sempre attenendoci agli storici locali (V. Santini in particolare), dello stesso gruppo faceva parte anche tale Giò Daudonet del Reno, già Maestro Fonditore anche di campane, e che in seguito ne realizzerà un piccolo esemplare da collocarsi nell’Oratorio di San Rossore5 scandendo con i suoi rintocchi lo svolgimento delle attività alle miniere.

Per poter seguire in maniera più diretta e continuativa l’andamento sia delle miniere che delle neonate cave marmifere, Cosimo ordina la costruzione della Villa di Seravezza (l’attuale Palazzo Mediceo)6 dove in seguito verrà in soggiorno anche con la moglie7.

La tradizione vuole che in epoca successiva questa campana venne spezzata da ignoti ed i frammenti riciclati durante la fusione di una di quelle della chiesa di San Lorenzo a Seravezza. Sempre dalla stessa fonte giunge la notizia del suo matrimonio con una ricca vedova di Basati dando origine alla famiglia Campana omonimando la professione del capostipite.

Nel 1564 cede il potere al figlio Francesco e licenzia Pier Martire preferendo una gestione diretta delle varie attività. Il 16 febbraio 1569 cede a Francesco il Palazzo Situato sulla sponda sinistra orografica del torrente Vezza su progetto dell’arch. militare mediceo M. Bontalenti, primo ad utilizzare per le difese bastioni pentagonali (la cosiddetta linea dei fuochi dove ciascuno protegge l’altro) in sostituzione dei tradizionali semisferici, ed al quale architetto sono dovute anche le ville di Pratolino e le difese d’epoca del porto di Livorno citandone solo alcune; il 5 aprile 1748 il Granduca Pietro Leopoldo lo donerà alla comunità di Seravezza passando così a diverso uso come ad esempio palazzo comunale, biblioteca, museo etnografico etc.. AA.VV. 2014, Palazzo Mediceo di Seravezza, da Cosimo I a patrimonio Mondiale UNESCO, a cura di Tenerini A., Ed. Monte Altissimo). 7 Anch’essa assisterà spesso alle prove di fusione, probabilmente uno dei pochissimi avvenimenti per così dire “mondani” in una località priva di altre attrattive se non il clima ed il paesaggio e così lontana dalla capitale Firenze. 6

Il conflitto di competenze, originato anche dalla diversa concezione del lavoro alle miniere in stati diversi e che perdurerà ininterrotto per tutta la durata gestionale dei Riconducibile al periodo di dominazione territoriale pisano entro i cui confini il Santo era particolarmente venerato, è oggi scomparso con il già lontano spopolamento della montagna, si trovava poco al di sopra delle attuali “casette della Argentiera di Sant’Anna” e fino alla prima metà del 1700 vi era annesso un piccolo cimitero per la sepoltura delle salme; da segnalare l’ubicazione pressochè intermedia fra le due già ricordate torri di avvistamento medioevali pisane.

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Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate con le sue pertinenze e le officine per le miniere di argento. Sempre nell’anno giunge alle miniere Giuliano Chiavacci, altro grande amico del Duca ed esperto fonditore8, ma nonostante l’impegno neanche lui riuscirà a sfruttare il potenziale di questa galena argentifera apparentemente uguale alle altre conosciute, ma così diversa nel comportamento e che sempre sarà motivo di sconcerto nonostante il susseguirsi di nuovi e variegati procedimenti anche più o meno empirici.

maggior rendimento con la mescolanza del minerale proveniente da due opposti versanti, ma intanto i filoni delle Argentiere di Sant’Anna sono pressoché esauriti. Il lavoro viene affidato a cottimo a maestranze tedesche ed italiane che riescono ad ottenere una discreta produzione facendo così rinascere i mai sopiti sospetti di frode. Ma la tendenza verso l’esaurimento è inarrestabile considerando in particolare la capacità operativa del tempo, e l’unica coltivazione valida rimane quella del Bottino (Senicioni – Galleria Redola – Conca Danari).

Se la produzione di argento fu quasi sempre mediocre tanto da essere utilizzata quasi esclusivamente in oreficeria9, diverso il caso del piombo che già nel 1548 veniva inviato via mare10 al Provveditore di Pisa, successivamente dal 1574 anche all’Opera di Santa Maria del Fiore a Firenze ed al porto di Livorno, dove la quantità eccedente alla fabbricazione delle palle di artiglieria per le navi e torri costiere era venduta ai privati11.

Arriviamo così fra alti e bassi alla morte di Cosimo I che però non interrompe le attività di estrazione che proseguono sotto suo figlio Francesco I il quale nel tentativo di risollevarne le sorti nel 1578 invia alle miniere l’esperto portoghese Jorge Del Mej. Questo, che già aveva operato nelle analoghe miniere del nuovo mondo americano entrando in contatto con il metodo di separazione attraverso il mercurio14 tenta di utilizzare la stessa metodologia anche qui ma con risultati deludenti, che però l’esperto giustifica con il basso tenore di argento contenuto nel minerale e dovuto alla tecnica di scavo difforme da quanto in uso in quelle americane.

Nel frattempo inizia piano piano a formarsi una vera e propria manodopera specializzata locale che gradualmente integra e/o sostituisce quella straniera anche in posti di responsabilità minerario/metallurgiche12, riciclandosi poi dopo la chiusura delle miniere in una nascente categoria di abili artigiani13.

Ancora una volta sarà Giuliano Chiavacci ed i suoi miscugli di minerali diversi che, pur rimanendo mediocri, migliorano i risultati. Anche al Bottino si fa ricorso al cottimo, ma qui avviene un peggioramento della rendita probabilmente dovuto alla scarsa cura nella qualità cernita a mano a favore della quantità. Intorno al 1583/1584 giunge un nuovo esperto, Messer Antonio Tedesco che vi rimarrà fino al 1593 pur non riuscendo a modificare in positivo la situazione, ma ormai la vita delle miniere si avvia al compimento, dal cottimo si passa all’affidamento diretto degli scavi ai minatori e la produzione aumenta riaccendendo ancora una volta gli insoluti sospetti di furto e frode che portano alla chiusura coatta con muratura dei vari ingressi per impedire anche il recupero degli attrezzi di lavoro, cosa avvenuta sembra in un giorno festivo alla fine del 1592, (probabilmente il 18 settembre) almeno attenendoci agli storici locali dell’800.

La necessità di avere sempre disponibile ed in quantità sufficiente ai bisogni del carbone di legna, portò al divieto del taglio “di qualsiasi arbore” nel raggio di tre miglia dalle miniere, ma il provvedimento era spesso disatteso proprio per il bisogno degli abitanti di reperire legname e nuovi terreni da ridurre a coltivo. A questo proposito il 1557 vede la pubblicazione di un nuovo Bando del Divieto, ma ancora una volta con modesti effetti al punto che nel 1559 il Provveditore Girolamo Inghirami accusa i due popoli di Capezzano e Valdicastello, allora riuniti in unica comunità, di aver bruciato 1500 piante di castagno anche seppure costretti per necessità. Alla miniera nonostante il grande impegno del Chiavacci i risultati non variarono molto. Si accertò comunque un 8 Esperienza dovuta al fatto di provenire da una famiglia di Maestri di Zecca. 9 Oltre alla ben nota fornitura a B. Cellini “per un vaso” come comunemente riportato, ne fecero uso anche gli orafi D. Santini “per un candeliere grande” J. Pastore, spagnolo “per un vaso da bottiglieria”, G. Corsi “per un candeliere” e V. Danti in due epoche successive “per figure di apostoli”, (Fabretti M. e Guidarelli A. 1980). 10 Utilizzando forse quanto ancora restava del vecchio e pressochè inagibile porto di Motrone e se l’impegno via mare era maggiore veniva però evitato il transito terrestre nei confini del limitrofo Stato di Lucca con possibile verifica delle effettive qualità e quantità trasportate specie per un materiale destinato ad usi bellici. 11 Fabretti M., e Guidarelli, A., 1980. 12 A.S.C.P. collocazione T 04/I (fondo relativo a trascrizioni, tesi su storia locale) 1574 Giulio Antonio da Ruosina è “minatore esperto”. 1583 Marco di Francesco di Farnocchia è “Capo dei lavoranti” mentre Maestro Paolo da Ruosina è “Esperto fonditore”. 13 Alcuni troveranno impiego negli “Edifizi del ferro della Magona “disseminati lungo il corso dei torrenti (Vezza in particolare) da Ruosina fino al Cardoso e dove si lavorava quasi prevalentemente il solo minerale ferroso elbano.

Aldilà di quanto appena esposto, personalmente ritengo ben più attendibile quanto riportato da Fabretti ed Guidarelli e precisamente che la gestione delle miniere sia stata fonte di interessi e speculazioni economiche private da parte degli addetti in posti di responsabilità, ed in particolare dell’ultimo amministratore Marcello Strozzi “che già fatto ricco si voleva liberare di quel fastidio e travaglio“ riuscendo a convincere Ferdinando I ad ordinarne la chiusura (1594) per il poco guadagno e la pericolosità del lavoro che provocava la morte di molti uomini. L’ultima notizia riportata dalle due storiche è quella di una lettera dell’aprile 1595 inviata dal Segretario Girolamo Seriacopi al Sovrano informandolo che la 14

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vd. Appendice 3 per la tecnica di amalganazione.

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) fabbrica dell’Argentiera sarà trasformata in fabbrica di archibugi.

scavo che non consente il regolare deflusso all’esterno delle acque di scolo.

Con l’argento prodotto vennero comunque coniate anche monete15 ed attenendoci a Francesco Campana16 durante la reggenza di Maria Cristina Lorena17 furono riprese le attività estrattive al Bottino nominandovi Provveditore il Cav. Giovanni Campana18 per ottenere il metallo necessario al conio del cosiddetto Testone o Quarto di Ducatone avvenuto il 28 settembre 1630. La moneta recava impressa da un lato la testa della Reggente coperta da un velo e la dicitura: “Crist Lothar M.D. Etrur D.MP”; mentre su rovescio l’arma dei Lorena sormontata da una corona e la data 1630; la sigla D.MP significava De Metallis Pietrae Sanctae, cioè fatta con il metallo proveniente da Pietrasanta.

È probabilmente sulla scia di questo che nel 1755 il colonnello inglese Giacomo Mill al servizio dei Medici sembra ne tenti un nuovo sfruttamento insieme ad altre miniere locali, di cui ci lascia così come già fatto alla fine del secolo precedente dal religioso B. Paci, una “nota” delle località mineralizzate nel Capitanato (vd. Appendice n. 7). Sempre nello stesso anno il Mill fa domanda alla Magistratura Comunitativa di Pietrasanta: ”per ottenere le piante dei lecci tagliati nella Macchia di Marina (a grandi linee l’attuale zona compresa tra il parco della Versiliana e Via Unità d’Italia) con cui purificare i metalli che va scavando nei monti del Capitanato20”.

Dopo questa data non si registrano altre notizie fino ai primi del 1696 quando il Capitano di Pietrasanta Bartolomeo Vannuccini richiede alla Magistratura del Monte: “il permesso di ricercare a proprie spese le cave del piombo argentifero nella montagna del Bottino” ricevendo l’autorizzazione con lettera al Capitano di Giustizia della Comunità del 17 aprile seguente.

Ben presto la sua impresa si rivela fallimentare al punto che già nel 1763 i lavori sono stati abbandonati ed inoltre lui stesso viene ricercato per debiti oltre che il direttore Scarlatti. Gli strascichi giudiziari si prolungano nel tempo fino al 1771 con l’intervento del Granduca che ordina trattenute di stipendio allo stesso Mill per pagare almeno alcuni creditori, nominando l’Auditore di Ruota Giuseppe Franceschi amministratore del restante patrimonio fino al 1774. Questo procede alla stesura della graduatoria dei creditori ed al concordato, individuando sette danneggiati da rifondere: i due fratelli Belloni, l’alfiere Landi, Vincenzo Landucci da Pisa, Domenico di Cerreta, Filippo Gìorgi ed Angelo Ferroni.

Non conosciamo altro seguito fino al 1703 con la nuova iniziativa del Principe ereditario Ferdinando che fece estrarre una piccola quantità di minerale da inviarsi in Austria – Germania – Ungheria nazioni ad antica tradizione minerario metallurgica, nella speranza di trovare qualcuno capace di giungere ad un appropriato metodo di fusione, cosa che sembra riuscisse ad un maestro di zecca di Praga poi invitato in Toscana per sovrintedere alla riapertura delle miniere.

16.2. Lavori del 1800

Con la morte di Ferdinando si chiude questo nuovo capitolo.

Compagnia Mineralogica - Compagnia del Bottino poi Società Anonima.

Durante il suo soggiorno a Seravezza nel 1751, il naturalista svedese Reinhold Argenstein visita le miniere locali, così come la cinabrifera di Levigliani e flerrifere di Calcaferro, lasciandoci per tutte specifiche relazioni19 e concludendo per quella del Bottino che la mancanza di tornaconto non è totalmente imputabile alla natura del minerale, ma dovuta anche all’imperfetta tecnica di

La ricostruzione storica di seguito proposta è stata possibile grazie al riesame anche un po’ critico di tutta la documentazione raccolta in anni di ricerche fra biblioteche ed archivi, tra cui spicca una fonte preziosa di informazioni e indicazioni rappresentata dall’ultimo direttore della miniera, il francese F. Blanchard (Appendice n. 6). In un clima di speculazione imprenditoriale che caratterizza la Versilia Granducale nel post-restaurazione, si proseguono le indagini e l’acquisto di terreni, si ricorda che era ancora vigente il motuproprio di Pietro Leopoldo, iniziato nel 1829 dal cav. G. Naro Peres su iniziativa del livornese avvocato Sansoni.

Vengono ipotizzati anche coni in epoche successive fino a Pietro Lepoldo e sempre con la dicitura D.MP e se questo avvenne veramente, considerando l’assenza di nuove attività, bisognerebbe supporre un precedente accantonamento del prezioso metallo. 16 Volume I pag. 18 nota. 17 Vedova di Ferdinando I e persona molto devota, trascorse lunghi periodi nella Villa di Seravezza dilettandosi anche con la pesca alla trota nelle già esistenti peschiere Granducali nel limitrofo torrente come testimonia l’esemplare in marmo sormontante il pozzo nel cortile della Villa stessa e che la tradizione vuole essere delle stesse dimensioni di quella catturata dalla Reggente. 18 Per V. Santini le miniere erano già nuovamente attive nel 1619 quando viene ricordato come Ministro per la durata di due anni Agostino Campana da Seravezza, sempre il citato autore concorda con Francesco Campana per la datazione del conio monete del 28 settembre 1630. 19 Relazioni riportate anche da G. Targioni Tozzetti nei suoi Viaggi in diverse parti della Toscana. 15

In quello stesso anno viene costituita, sempre a Livorno, la Compagnia Mineralogica per lo sfruttamento dei filoni piombo-argentiferi del Bottino, o meglio di quanto compreso fra il fondovalle e i vecchi lavori di Conca 20 A.S.C.P. le carte relative si trovano in Filza H 33 carta 3r-v, carta 8v e 9r.

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Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate

Fig. 16.1. Prospetto del prodotto dell’Argentiera (Repetti E. 1833/1846. Dizionario geografico fisico storico della Toscana).

Il minerale estratto vi giungerà trasportato a spalle da appositi incaricati e già preventivamente cernito a mano sul luogo di scavo, ma l’esiguo capitale iniziale21 si esaurisce con i primi interventi ed è necessaria una nuova sottoscrizione azionaria che lo innalza a 100.000 lire, consentendo il proseguo dei lavori e l’entrata in esercizio pur con una ridotta produzione.

Danari, Senicioni e Sciorinello, zone rimaste libere, insieme a Gallena lungo il corso del canale omonimo e del suo affluente Dei Panni, dagli acquisti del Peres. La Compagnia Mineralogica dispone di un capitale di 30.000 lire toscane raccolte fra azionisti italiani, francesi in particolare ma anche di altre nazionalità visto le molte etnie presenti ed interessate a vario titolo nel dinamico porto labronico, che faceva della città il maggior centro commerciale del Granducato stesso.

Tuttavia il sistema di amalgamazione si rivela da subito inadatto ed improduttivo, così come già lo era stato nel 1500, al punto di far prospettare l’abbandono dell’attività.

Dopo le procedure iniziali, il 15 ottobre 1831 la Compagnia viene autorizzata “con Sovrano Benigno rescritto del Granduca” e inizia lo studio di quanto necessario per la riapertura ed entrata in produzione affidato all’ingegner G. Baldracco, il quale presenta la propria relazione nel 1833 indicando fra i lavori prioritari la razionalizzazione dei trasporti da e per il fondovalle fino allora collegati solamente con impervi sentieri, soggetti a continui franamenti stante la scoscesa conformazione della montagna.

Caso, fortuna o chi per esse, vollero che uno degli azionisti, forse più diffidente o lungimirante, avesse inviato campioni ad un laboratorio specializzato di Marsiglia per ulteriori e mirate indagini chimico – qualitative – quantitative. I risultati, decisamente incoraggianti, portarono ad un ulteriore aumento di capitale innalzandolo a 496.700 lire, contemporaneamente alla modifica della denominazione sociale in Compagnia del Bottino che dal 1836 subentra alla precedente, e all’abbandono immediato dell’amalgamazione per tornare alla coppellatura.

Per quanto riguarda la vera produzione di argento viene proposto ed attuato il metodo di amalgamazione (separazione tramite mercurio) anziché la tradizionale coppellazione o coppellatura per l’enorme risparmio di combustibile (carbone di legna) che ne consegue, mentre l’impianto per il trattamento e la successiva distillazione viene localizzato sempre a fondovalle dove sorgeranno anche gli altri manufatti necessari.

Tuttavia fin dall’apertura della miniera era iniziata la costruzione dei due piani inclinati necessari per Cifra veramente irrisoria anche se solo rapportata alla coeva Impresa Metallurgica di Valdicastello le cui sole spese gestionali mensili superavano le 6.000/8.000 lire per non parlare del milione di Lire Toscane disponibili dalla Società Idargerica di Ripa nel 1843.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) È superfluo sottolineare gli inconvenienti ed il dispendio di risorse di tale sistema, che comunque rimase in uso fino al 1848 quando venne sostituito, cito direttamente da F. Blanchard: avec un système très ingénieux in pratica una primordiale monorotaia corrente per tutta la lunghezza del piano e formata da longheroni in legno di noce25 rivestiti lateralmente e superiormente con lamiera di ferro sagomata ed inchiodata. Il tutto sollevato da terra con una serie di puntelli, ancora in legno, piantati nel terreno ad altezza variabile per rendere quanto più possibile omogenea la pendenza.

raggiungere le coltivazioni sia in atto che future, e così descritti: Primo piano Dal fondovalle raggiunge la località Due Canali22 scavalcando il canale del Bottino con due ponti a piano di calpestio in legno, il primo e più a valle a campata unica ed il secondo a tre sostenute da pilastri in pietra, e costeggiandolo su muraglioni a secco alti mediamente tre - sei metri; il tracciato comprende anche due brevi gallerie di 45 e 90 metri e lo sviluppo totale è circa 800 metri con una inclinazione di 13°.

Sopra la monorotaia veniva piazzata una specie di controguida di scorrimento, anch’essa in legno, attraversata lateralmente (quindi in senso ortogonale all’appoggio) da una barra in ferro provvista al centro di una serie di piccole ruote dentellate sempre in ferro, ed azionabile dall’operatore per una maggiore o minore aderenza al longherone regolando così a modo di freno la velocità di discesa; all’estremità dell’asse venivano sospesi due robusti sacchi di tela contenenti ciascuno circa 110Kg di minerale già cernito, mantenendo il tutto in equilibrio tramite i pesi opposti così come in una bilancia. Ogni congegno pesava a vuoto circa 70 Kg ed era affidato ad un addetto che ne accompagnava e regolava la discesa, lo scarico e lo riportava al punto di ripartenza (sacchi compresi), riuscendo a compiere anche quattro viaggi al giorno a 35 cent. il viaggio.

Secondo piano Da Due Canali e con angolo ottuso rispetto al precedente, sempre costeggiando il canale del Bottino su muraglioni con altezza fino ad oltre sette metri, congiungerà al minuscolo piazzaletto della progettata Galleria Paoli23 dopo 306 metri e 22° gradi di inclinazione. Coevo ai piani inclinati è l’inizio della costruzione di un impianto di laveria, sempre a fondovalle, e 14 metri più in basso dell’inizio del primo piano inclinato per consentire lo stoccaggio minerale in tramoggia. Questa è azionata dalle acque dello stesso canale del Bottino derivate con apposita canalizzazione che le convoglia ad una ruota idraulica a cassetti completamente in ferro e con diametro di circa 5 metri il cui asse, corrente a tetto dell’intera costruzione, fornisce il moto ai diversi meccanismi tramite cinghie e ingranaggi. Il 21 aprile 1836 entra in funzione.

Abbandonato il metodo di amalgamazione e mancando la fonderia, peraltro già prevista ed in costruzione ma che diverrà operativa solamente nel 1846, il minerale subiva un primo arrossimento ponendolo sopra fasci di legna sostenuti da treppiedi in ferro, poi veniva trasportato a Valdicastello dove grazie ad accordi con la Società gerente quelle analoghe miniere26 subiva un’ulteriore desolforizzazione in forni a “Riverbero”, seguita dalla vera produzione di argento in quelli a “Muffola”.

A seguito delle istruzioni dell’ingegner Baldracco, erano state allargate alcune parti dell’antica Galleria Redola nelle cui diramazioni terminali venivano coltivate due colonne di minerale tramite due pozzi chiamati rispettivamente: Sansoni ed Orsini24.

Nel 1841 la Compagnia del Bottino si trasforma in Società Anonima e come tale proseguirà fino alla cessazione dei lavori prima della fine del secolo.

Nel corso 1840 inizia la perforazione della nuova Galleria Paoli ubicata 115 metri più in basso della linea degli affioramenti, e a meno 72 metri dalla Galleria Redola e con la quale raggiunge la base delle due colonne mineralizzate. L’opera richiede oltre dieci anni di impegno, infatti divenendo operativa solamente nel 1851 sia per l’avvio all’esterno della produzione che per il drenaggio delle acque reflue dell’intero complesso sovrastante.

Durante il 1845 il mulino di frantumazione viene se non sostituito quantomeno integrato con cilindri trituratori in grado di ridurre ancora di più la pezzatura, mentre nel 1846 entra finalmente in funzione la fonderia che però sempre secondo F. Blanchard: ”non diede mai grandi risultati lasciando molto a desiderare”. Arriviamo al 1851 con il completamento della Galleria Paoli dove gradualmente vengono abbattute le due ricche colonne mineralizzate.

Con il procedere dei lavori ed il completamento del primo piano inclinato ha inizio un nuovo tipo di trasporto minerale, sempre previa cernita in loco, con una tecnica simile a quella utilizzata negli agri marmiferi per la lizzatura dei blocchi. Infatti questo adesso veniva caricato entro un cassone montato sopra due specie di pattini in legno e guidato nella discesa da un apposito addetto, probabilmente il responsabile di un gruppo di operatori.

Si prosegue fino a quando nel 1854/55 quella relativa al pozzo Orsini rivela un accrescimento di potenza di circa un metro e questa inaspettata e favorevole coincidenza spinge alla intensificazione dei lavori sia estrattivi che accessori, come la costruzione di appositi forni per l’arrostimento

Dalla confluenza dei due discendenti dalle attigue vallate. Dal cognome di uno degli azionisti. 24 Sempre dai cognomi di due azionisti maggioritari. 22 23

25 26

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Dimensioni 80 per 120 mm.. Per memoria prima del Cav. A. Boissat poi del console Hahner e soci.

Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate del minerale che rimarranno attivi fino alla dismissione dei lavori.

ma pur sempre un indizio di un qualche risultato ottenuto dagli operai.

Nel 1859 l’installazione nella laveria di un classificatore a cono sostituisce il vecchio metodo delle tele traforate sovrapposte e di cui sempre Blanchard afferma non conoscerne molto, ma nello stesso anno il filone così improvvisamente arricchitosi altrettanto rapidamente scompare, ed il fatto coglie la Società pressoché impreparata non essendo stati predisposti altri cantieri alternativi.

Sempre nel 1861 vengono realizzati importanti lavori anche alle infrastrutture esterne, come la messa in opera nella laveria di due tavole convesse e sei crivelli a scossa comandati da camme che comportarono la sostituzione della ruota idraulica con una sviluppante maggiore potenza (14 HP?) in grado di azionare contemporaneamente tutti gli impianti. Ma la grande opera che venne realizzata fu il progetto di innovazione del sistema di trasporto del minerale a valle, poichè la monorotaia, ritenuta sufficiente in passato, non soddisfaceva più le esigenze del momento, a causa sia dell’aumento della produzione sia della lentezza di movimento a cui conseguiva il maggior costo degli operatori e l’usura di tutti i componenti strutturali, sacchi di tela compresi.

Una conseguenza diretta è l’esubero del personale che sfocia in aperte conflittualità con la forse prima lotta sociale versiliese dei minatori, che inizia il primo settembre 1859 per finire il 31 agosto 186027 quando viene decisa una nuova serie di lavori e l’intensificazione di quelli già in atto per la perforazione di una nuova galleria, la Due Canali, così chiamata per l’imbocco attiguo alla loro confluenza. Non estraneo a quanto sopra l’andamento favorevole del bilancio societario che nonostante tutto chiude la gestione 1859/1860 con un guadagno attivo del 10% circa.

Con queste premesse prese corpo la decisone di una ferrovia automotrice Decauville a semplice binario (scartamento 60 cm) su entrambi i piani inclinati. Il progetto, sottoposto al consiglio di amministrazione nel mese di giugno 1861, venne immediatamente approvato e la costruzione iniziata il primo settembre terminò nel luglio 1862. Il movimento di va e vieni è assicurato tramite cavi di acciaio che si avvolgono sopra pulegge del diametro di tre metri, e la frenatura è effettuata con una puleggia in ferro rivestita da legname (diametro metri 1.20), sopra la quale si serra una fascia sempre in ferro, azionata da un apposito addetto. I cavi hanno il diametro rispettivamente di 21mm per il piano più lungo dove si muovono accoppiati tre vagoncini, e 18mm per quello più corto, dove a causa l’elevata pendenza ne corre uno solo ed ogni vagoncino trasporta circa una tonnellata di minerale cernito28.

La Due Canali era già stata iniziata nel 1857 a 125 metri sotto il livello Paoli ma il lavoro era sempre andato a rilento limitando l’avanzamento ad un centinaio di metri contro i settecento del progetto. Dall’estremità interna dovevano poi ripartirsi due diramazioni per raggiungere le colonne mineralizzate esplorando così anche l’andamento dei filoni in profondità. Fra i due livelli Paoli e Due Canali vennero previsti cinque nuovi livelli di coltivazione (alla data di chiusura ne saranno attivi quattro ed uno iniziato), ed il collegamento con un pozzo di buttaggio, denominato Speranza, la cui esecuzione inizia probabilmente nello stesso 1861 subendo una temporanea interruzione dal luglio 1862 al marzo 1863 per consentire l’installazione alla sommità di una piccola macchina a vapore azionante un verricello per il sollevamento delle resulte ed delle acque reflue, poiché il farlo a braccia d’uomo come avveniva da sempre non era più economicamente conveniente in rapporto all’aumentato prezzo della manodopera, questo un debole

Sul piano di carregggio ogni 5 metri si trovano i supporti guida cavo e per ogni invio occorrono due sole persone, il manovratore-frenatore in alto e l’accompagnatore che provvede anche alla lubrificazione degli organi in movimento. Proseguono le escavazioni nei pozzi Orsini e Sansoni, avanza la Galleria Due Canali e si procede all’apertura di un pozzetto di collegamento fra i nuovi livelli, sia per renderli ancor più comunicanti che per la futura ventilazione naturale sfruttando l’effetto camino.

La Notizia riportata da F. Blanchard è si scarna ma certamente esatta come nel suo stile ed ho cercato di trovare altre fonti più esaustive scartabellando fra gli atti della Magistratura senza approdare a niente ed il silenzio può forse essere dovuto al fatto che in corso protesta operai non vi furono episodi o atti “delittuosi” esulando così dalla competenza del “Magistratura Criminale” stante anche l’attenta sorveglianza delle autorità nel seguire una questione dove riaffiorano i vecchi e mai sopiti timori connessi alla temuta nocività dei fumi sprigionati dalla fonderia e che già 25 anni prima avevano originato proteste a Valdicastello come si rileva dal dispiaccio 06 maggio 1860 dalla delegazione di Governo di Pietrasanta al Gonfaloniere di Seravezza, (A.S.C.S. carteggio officiale 1860, filza XXII, nn., a circa metà filza) dove si informa: “Voglia oggi tentarsi una dimostrazione ai forni fusori del Bottino, sono state date disposizioni alla forza Carabinieri e scritto alla Guardia Nazionale per un servizio di prevenzione a tutela delle proprietà ed ordine pubblico” proseguendo poi con esplicite indicazioni al gonfaloniere stesso: “Ella a sua volta la prego spendere tutta la sua infleunza perchè tali violenze non avvenghino e si releghino le false suspestizioni invalse anche in codesta comunità dei pregiudizi che vogliono ripetersi dal fumo di quelle fucine”.

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Il completamento della Due Canali avviene l’11 settembre 1868 e così il minerale ed le acque sia meteoriche che d’infiltrazione e/o scaturigine dell’intero complesso sono avviate all’esterno. Conseguenza scontata è la dismissione dei trasporti lungo il piano inclinato per la Galleria Paoli, dove comunque la ferrovia viene mantenuta in efficienza per i viaggi delle attrezzature e quelle poche discese con minerale fatto raccogliere a forfait negli antichi lavori. Completamente in ferro avevano la carcassa in lamiera da 4mm. e la capacità poco superiore a mezzo metro cubo, vennero forniti dalle Officine francesi Crouseau.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 16.2. Analisi sul minerale del Bottino (Blanchard, F. 1877).

Concomitanti ai lavori minerari di cui sopra ed in previsione di un futuro collegamento con la progettata galleria lunga, sempre nella parte terminale estrema della Due Canali inizia la perforazione del Pozzo Nuovo (dal 1919 si chiamerà Speranza), che durante questa gestione mineraria raggiungerà la quota -70 metri dal piano di carreggio con due livelletti esplorativi a -20 e -40 metri. Per lo snellimento dei lavori venne effettuata l’installazione in testa di una nuova macchina a vapore (potenza richiesta 20/25 HP) in una piccola piazzola e ricovero laterale ed immediatamente adiacente al Pozzo Nuovo, già nella sua fase di ultimazione, con le stesse funzioni di quella entro la Galleria Paoli29.

La congiunzione Due Canali-Pozzo Speranza porta a congelare, almeno per il momento, il progetto di esecuzione di una nuova grande galleria a livello degli impianti di fondovalle, la quale doveva raggiungere, con uno sviluppo stimato di circa 2.000 metri, il piede delle colonne, esplorando così anche la presenza e l’andamento di eventuali filoni incontrati. Una volta ultimata sarebbe stata messa in comunicazione con la parte terminale estrema della Due Canali sostituendola così tramite pozzo di buttaggio nelle sue funzioni, ed annullando l’incidenza della voce trasporti esterni nel bilancio gestionale. Parallelamente ai lavori nei livelli intermedi avanzano le due diramazioni sempre al termine della Due Canali e per il ramo sinistro, entrando, viene ipotizzato il futuro raggiungimento della quota immediatamente sottostante gli antichi lavori della Conca Danari, cosa che comporterebbe la perforazione di circa 500 metri di nuova galleria.

Nel 1875 campioni di minerale cernito vengono inviati a Londra presso il laboratorio chimico dei F.lli Hollwey e le analisi eseguite dal dott. Rosenthal confermano il proseguire nel rendimento filoniano. Scorrendo le notizie statistiche sulla produzione mineraria italiana per il ventennio 1860 -1880 (regia tipografia Roma 1881) possiamo conoscere:

A fondo valle viene modificato il sistema di arrostimento preventivo, sostituendo al carbone di legna, dai prezzi altissimi e scarso in grossi quantitativi, con il più economico fossile (coke) attraverso il seguente procedimento.

• l’intera produzione mineraria affluisce all’esterno attraverso la Galleria Due Canali salvo quello da sporadici cottimi nella Galleria Redola che utilizza il piano inclinato più corto Due Canali-Paoli (mantenuto in esercizio proprio per i trasporti alla stessa Galleria Paoli e le relative calate per la Due Canali) raggiungendo poi gli impianti di fondovalle entro appositi vagonetti automotori lungo il piano inclinato più lungo. • L’impianto di laveria è formato da sei crivelli a scossa, due cilindri frantumatori, un tamburo classificatore, una sezione di pestaggio a dieci pestelli, tre crivelli veloci a quattro comparti ciascuno.

Un primo strato di carbone di legna sormontato da uno di minerale (peso circa 3000 Kg) quindi uno di coke minerale fino a raggiungere il limite previsto. Al centro un grosso palo di legno secco, poi estratto a fine operazione creando una specie di camino di tiraggio mentre altri paletti più piccoli e sempre in legno, rimanevano infissi a corona garantendo la continuità della combustione. Seguiva l’accensione ed il ciclo completo durava dai 20 ai 30 giorni. Una volta esaurito, lo sterile veniva accumulato lungo la sponda del fiume mentre il poco ricco in rame (circa 2 tonn. annue) venduto ad imprese di Marsiglia, il rimanente avviato alla produzione.

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Per l’azionamento dell’argano di sollevamento.

Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate • L’intero complesso è azionato da una ruota idraulica stimata di 10HP • Il rendimento è stimato nel 15% e nel 1878 la produzione fu 632tonn, del valore di lire 130 a tonn. per un totale utile di lire 82.100. • L’impianto di fonderia situato a breve distanza fornì: Argento Piombo dolce Piombo agro Litargirio commerciale Per un totale di lire

1. Contenente dal 20-30% di piombo e 0,1% di argento mediamente 2. il tenore di piombo è intorno all’8% I risultati non sono certo molto incoraggianti e sfociano nei tentavi di esplorazione del vecchio filone La Borra, località nei pressi di Ruosina, dove sono ostacolati dalla presenza di acque di scaturigini interne, a cui consegue in breve tempo l’abbandono generale.

kg. 3 tonn. 38,951 tonn. 7,425 tonn. 12,795 126,245

In conclusione fino al 1868 il minerale veniva cernito direttamente in loco accumulando lo sterile (quarzo escluso) su terrazzamenti di contenimento. La fama delle miniere con i campioni mineralogici rinvenibili dilaga ben presto nel mondo scientifico del tempo, tanto da essere oggetto di ricorrenti visite, ricerche e relazioni di diversi studiosi come, citandone solo alcuni, Q. Sella, L. Bonbicci, A. D’Achiardi, G. Meneghini che vi individuò e studiò un nuovo minerale che omonima il suo cognome la meneghinite, presente anche in macroscopici individui centimetrici e aciculari “raramente distorti”, fatto che fornì al Prof. G. Dessau nella prima metà del 1900 una chiave per ipotizzare una fase di deposizione avvenuta in condizioni di quiete dei fluidi mineralizzati.

• Sempre nel 1878 la forza lavoro è 185 unità così ripartite: maschi adulti 156 maschi inferiori ai 14 anni 21 femmine adulte 8 Totale 185 Confrontando con i dati del 1856 (vedi elenco p. 176) si nota una costanza nella forza lavoro pur con una sensibile diminuzione di personale femminile addetto al lavaggio minerale (17 unità). In seguito, sempre scorrendo la statistica, vediamo il nascere ed affermarsi, specie nelle miniere sarde, di Società di Mutuo Soccorso, che si autofinanziano con la contribuzione volontaria degli associati che versano regolarmente una quota compresa fra 3-4% del salario mensile ricevendo, in caso di necessità, ricovero ospedaliero a Iglesias, cure mediche e medicinali gratuiti ed un sussidio di un terzo della paga giornaliera.

Fino dai primi momenti, la direzione dei lavori venne affidata all’ingegnere Angelo (o Angiolo) Vegni30, che pur curando anche altri interessi ne seguì lo sviluppo fino Definito dallo storico locale E. Simi (1855: 86): “Abile direttore delle miniere”, Angelo Vegni nasce a Pari (GR) il 3 aprile 1811 frequenta poi le scuole del seminario arcivescovile di Siena passando poi allo studio di scienze fisiche e naturali nella locale università con risultati tali da permettergli di poter partecipare e vincere concorso e borsa di studio per la ammissione alla frequenza dei corsi liberi presso la prestigiosa École des arts et métiers di Parigi dove nel 1837 consegue il diploma di ingénieur des mines, cosa rara per la Toscana, e non solo, del tempo, e che nel succesivo anno 1838 gli vale l’incarico da parte dello stesso granduta Leopoldo II di compiere un viaggio di studio in Francia per meglio conoscere e riferire sulla convenineza o meno della adozione dei carboni fossili in sostituzione del tradizionale di legna nei processi metallurgici con particolare riferimento ai minerali ferrosi cosa che si traduce in una corposa e dettagliata relazione (Vegni, 1842) che oltre l’interesse granducale gli fa conferire nel febbraio 1840 la nomina ad accademico corrispondente dei Georgofili. Nel 1842, a soli 31 anni, è chiamato a dirigere le prestigiose miniere del Bottino dove introduce numerose innovazioni tecniche sia estrattive che produttrice che in breve tempo portano a grandi risultati economici. In corso 1845 entra a far parte come segretario della neonata Società Autonoma delle Strade Ferrate di Seravezza per la costruzione di una linea fino al pontile caricatore di Forte dei Marmi che avrebbe favorito tutte le attività commerciali, minerarie comprese, ma nonostante gli sforzi non è possibile raccogliere i 2.150.000 lire toscane necessarie ed il progetto non ha seguito come pure un suo personale tentativo per una ferrovia a cavalli Seravezza- Stazione ferroviaria di Querceta nonostante la ricevuta autorizzazione governativa. Nel 1856 dona all’Accademia dei Fisiocratici di Siena 32 campioni di minerale del Bottino (24 grezzi di miniera ed 8 di lavorazione) che entrano a far parte delle loro collezioni museali nella sez. di Storia Naturale divenendo nel contempo accademico della stessa. Poi nel 1858 abbandona la direzione mineraria del Bottino dove subentra il giovane ing. minerario francese F. Blanchard, che nel 1860 è nominato consulente tecnico presso l’ufficio di sorveglianza delle Regie Miniere dell’isola d’Elba e Fonderie di Follonica, dove nuovamente introduce migliorie in entrambe proponendo anche la realizzazione di nuove vie di comunicazione che facilitando i trasporti avrebbero avuto positive ricadute economiche. Uomo competente e di poliedrica versatilità si adopera anche per la fondazione della scuola agraria delle Capezzine a Cortona, alla quale lascia il suo intero e ragguardevole patrimonio dopo la morte avvenuta nel 1883.

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Con il passare degli anni aumentano contribuzioni e benefici fino all’avvento del PNF (Partito Nazionale Fascista) che le identifica come serbatoi di dissidenza al potere sopprimendole a favore OND (Opera Nazionale Dopolavoro), consentendo un capillare controllo istituzionale. Intanto e nonostante la produttività e il potenziale proseguo nel tempo, si va delineando una grave crisi nel settore dovuta al tracollo dei prezzi di piombo ed argento, tantochè nel 1880 la Società viene messa in liquidazione e rilevata da facoltosi e non meglio indicati livornesi. Si giunge alla sua definitiva chiusura nel 1883. Durante il luglio 1866 vengono ripresi i lavori limitatamente al livello immediatamente sovrastante la Galleria Due Canali dove viene recuperato il minerale piombo/ argentifero giacente abbandonato che viene venduto alla Società Pertusola di La Spezia per la produzione di ossidi di piombo, il cosidetto minio antiruggine oggi illecito. Tuttavia le modeste quantità disponibili e la pericolosità del luogo di lavoro spingono alla decisione di prosciugare il vecchio Pozzo Speranza, e l’inizio della ripresa dei lavori nelle gallerie avviene solamente nel 1888. La galena argentifera estratta veniva suddivisa in due qualità mercantili: 175

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) al subentrare del giovane ingegnere francese Fréderic Blanchard31 che vi rimarrà fino all’interruzione dei lavori, lasciandoci preziose testimonianze non solo tecniche ma anche di carattere generale, che consentono una seppur limitata ricostruzione del contesto sociale del tempo come di seguito evidenziato. Innanzi tutto possiamo conoscere come la manodopera generica fosse facilmente reperibile ed anzi execivement a buon mercato, i salari giornalieri sono riportati dallo stesso in Franchi francesi, poiché nonostante il lungo periodo della sua vita trascorsa in Italia Fréderic non abbandonò mai la lingua madre, e così distribuiti:

Lavoranti addetti alle miniere 38 Minatori 38 Manuali 15 Pestatori e Scevratori di miniera 1 Caporale di miniera 3 Riparatori ed armatori 4 Portaferri 2 Fabbri 2 Muratori 2 Sottocaporali di miniera 3 Braschini o tira mantice 1 Guardiaboschi

Minatore Manovale

Lavoranti addetti alle officine 2 Capi fonditori 8 Fonditori e Coppellatori 2 Porta scorie 3 Braschini per preparare le cariche dei forni 2 Carbonai 1 Macchinista per la macchina soffiante e cilindri 4 Operai addetti ai cilindri trituratori 2 Operai addetti ai pistoni per preparare le ceneri delle coppelle 4 Manuali 2 fabbri 1 Braschino o tira mantice 2 Muratori 2 Scarpellini 2 Falegnami 1 Tagliatore per il trasporto del minerale sulla slitta33 4 macchinisti per il trasporto del minerale con la macchina 1 Maestra del lavaggio 22 Lavatrici 1 Sarta per le balle del carbone 1 Donna per le cariche e gli zolfanelli 1 Borracciaio

Franchi Franchi

1,35 da 1,05 a 1,20

Gli addetti agli avanzamenti, ai quali il lavoro era dato a forfait un tanto a metro o gradino, raramente superavano 1,50 Franchi rimanendo però a carico del lavoratore il combustibile (olio o petrolio) per la lucerna, mentre la giornata lavorativa in miniera era per tutti calcolata in otto ore. Nel settore marmifero i salari, sempre giornalieri, erano leggermente più alti ad esempio barrocciai e carrettieri arrivavano ad 1,68 / 2 Franchi ma l’impegno era di 10/12 ore e specie nelle cave fortemente condizionato dal clima, da cui la tendenza generale a ricercare il lavoro conto miniere risultando continuativo per l’intero corso dell’anno, fatto non trascurabile e probabilmente la vera ragione di questa scelta “A cause que le paie s’il fait exactement tous les mois, depuis 50 ans, sans aucun retard” (vedi Appendice 6). Personale impegnato con la Compagnia del Bottino nel 1856 32 Impiegati residenti a Livorno 1 Presidente 2 Sottopresidenti 4 Consiglieri 1 Segretario 1 Commesso

Riepilogo Impiegati residenti a Livorno Impiegati alle miniere Addetti alle miniere Addetti alle Officine Totale

Impiegati residenti alle miniere ed officine 1 Direttore dei lavori 1 Sottodirettore 1 Ispettore 1 Cassiere agente 1 Commesso

n° n° n° n°

9 5 107 68 189 persone

16.3. Lavori del 1900 Società S.A.M.A- Società E.D.E.M. – Società S.C.E.L

F. Blanchard subentrato all’ingegner Vegni a soli 29 anni lascia, almeno temporaneamente le miniere di Monte Valerio gestite dalla potente compagnia mineraria londinese casa Hollwai con interessi in diversi paesi e sotto la sua direzione i lavori subiscono ulteriori migliorie ed in particolare i trasporti e gli impianti produttivi di fondovalle che assumono sempre di piú un assetto industriale. Nel 1861 anch’egli dona all’Accademia dei Fisiocratici 6 campioni di prodotti di lavorazione che vegono aggiunti ai precedenti, entrambe le donazioni sono ad oggi presenti nel museo della stessa anche se in seguito a rimaneggiamenti solamente 20 pezzi conservano le originali cartelline d’epoca datate (Archivio Accademia dei Fisiocratici, Siena). 32 Estratto da Simi, E. 1855. L’autore E. Simi a pagina 257 della pubblicazione citata ringrazia il sign. Angelo Finocchietti di Pisa, Ispettore delle Miniere del Bottino, per avergli fornito la nota stessa. 31

La ricostruzione di questo periodo risulta meno laboriosa, vuoi per la maggiore e migliore documentazione conservata negli archivi citati a cui si aggiunge quella degli Uffici Statali delle Miniere (corpo delle miniere in 33 Personalmente ritengo che la dizione esatta e probabilmente distorta dalla stampa d’epoca da cui l’ho ripreso, sia “tragliatore”, nome derivante dalla cosiddetta “traglia” ovvero il sistema di trasporto su slitta formato da due robusti pali in legno uniti da tavole formanti un piano ed in uso specie per il trasporto all’asciutto dei carichi di falasco attraverso le zone acquitrinose e così chiamata comunemente nel territorio della Versilia Storica.

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Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate genere n.d.a.), vuoi per la fortuna e possibilità di avere potuto attingere alle fonti orali degli ex addetti ai lavori ed ai loro discendenti.

a cabina elettrica di smistamento ed i suoi annessi36, in previsione di uno sfruttamento in futuro da parte di gallerie in altre località come le limitrofe Argentiere di Sant’Anna ed in particolare la Galleria Santa Barbara.

L’abbandono della miniera continua fino al 1918, quando terminato il primo conflitto mondiale l’On. Attilio Cerpelli34 dà vita alla Società S.A.M.A. (Società Anonima Miniere Argentiera) con sede a La Spezia fino al 1928 poi trasferita a Torino, avvalendosi della collaborazione degli ingegneri Alessandro Astolfoni e Cornelio Sagui, rispettivamente per la direzione tecnico-amministrativa e dei lavori. I progetti societari sono decisamente grandiosi prevedendo lo sfruttamento della quasi totalità delle zone mineralizzate della Versilia ed in altre più o meno limitrofe35 iniziando con quelle a galena argentifera e zinco del Bottino – Gallena – vecchie Argentiere di Sant’Anna e con il successivo passaggio alle coltivazioni di minerali ferrosi in genere, cupriferi e barite rispettivamente localizzati nelle già note ed abbandonate miniere di Calcaferro-Farnocchia, Monte Arsiccio-Verzalla , Strettoia, Buca dell’Angina e Pollone presso Valdicastello.

Altra cabina elettrica viene costruita a livello Due Canali dove avviene la riduzione ai 200 Volt di esercizio37 e, sempre nell’anno, iniziano le operazioni per una teleferica elettrica (lunghezza circa 1.000 metri, dislivello superato fra le due opposte stazioni metri 280, massima campata metri 240) per raccordare le coltivazioni di Gallena, tutte facenti capo alla locale Galleria Santa Barbara o Casello38, alla progettata laveria attigua a livello Due Canali. Si riscontra un grande impegno anche nel nuovo cantiere La Rocca per la perforazione dell’omonima galleria al piede dei cosiddetti Pizzi del Bottino dove esplorare e coltivare in profondità i filoni più alti, ma a causa della conformazione del terreno particolarmente impervio e scosceso, è necessaria la preventiva realizzazione di due piazzaletti.

Per quanto riguarda il Bottino vigendo ancora il vecchio motuproprio di Pietro Leopoldo, vengono acquistati terreni anche a Gallena lungo il corso superiore del canale omonimo e dell’affluente Dei Panni, già sede di passate ricerche per minerali argentiferi.

Il primo è decisamente minuscolo proprio davanti all’imbocco della galleria, ed il secondo assai più ampio e si trova circa 95 metri più in basso, nella località dov’è per altro già progettata una seconda e lunga galleria di ribasso da collegarsi successivamente nella sua parte terminale estrema con le future coltivazioni discendenti da La Rocca, e con la quale provvedere al recupero dell’intera produzione ed al drenaggio delle acque, eliminando così risalite interne e il doppio trasbordo, cosa che non avverrà mai almeno durante la gestione S.A.M.A..

Nel 1919 iniziano in tutte le zone interessate i lavori preliminari per la riattivazione delle coltivazioni. Innanzi tutto vengono ripristinati i due piani inclinati con precedenza al più lungo ed indispensabile per il trasporto di materiali ed attrezzature come, ad esempio, quanto necessario per il prosciugamento dell’allagato ottocentesco Pozzo Nuovo ora ribattezzato Pozzo Speranza e portato a termine già nel corso dell’anno.

Intanto nell’immediato il piazzaletto maggiore accoglierà manufatti per una piccola sala compressori, un’officinamagazzino e l’adiacente stazione di partenza con relativa tramoggia di carico di una teleferica automotrice per la laveria, a questa il minerale affluirà da La Rocca tramite altra minuscola teleferica di raccordo, sempre automotrice.

Paralleli gli interventi esterni per le infrastrutture sia a fondo valle che in località Zuffone, versante marino del Monte Ornato, dove sorgerà un grande manufatto adibito

Durante il 1920, previo l’avvenuto sbancamento e livellamento del terreno scosceso precedente la confluenza dei Due Canali e la costruzione delle strutture murarie e delle canalizzazioni per l’acqua, la Ditta Martinazzo e C.

Fondatore nel 1904 dell’omonima ditta a La Spezia detentrice di numerosi brevetti per pompe, compressori, scambiatori etc. di cui era leader in campo mondiale per qualità e tecnologia e che raggiunse il massimo della notorietà il 16 aprile 1933 quando il transatlantico italiano Rex, costruito nei cantieri Ansaldo di Genova Setri Ponente e al quale la stessa aveva fornito pompe per turbine ed altro materiale, conquistò il prestigioso Nastro Azzurro per la traversata Gibilterra-New York compiendolo con un anticipo di 27 ore e 20 minuti rispetto all’orario previsto; siamo in pieno periodo fascista e l’occasione consente al regime di esaltare ancora di più il mito del Genio Italico imponendo comunque il cambio della denominazione sociale in Termomeccanica Italiana, ma nel 1935 il fondatore (probabilmente deluso n.d.a.), tecnici e brevetti si trasferiscono nella nuova sede Cerpelli Pompe a Querceta (da G. Giannelli - Almanacco Versiliese 1° voce Cerpelli – bibliografia cui rimando per maggiori ed esaustive notizie). 35 Rispettivamente: Miniera del Frigido a Massa per minerali ferrosi e cupriferi, giacimenti manganesiferi di Monte Sorbolo fra Arcola e Vezzano Ligure (SP) dei quali nel 1921 la Società inoltra domanda alla Prefettura di Genova per il riconoscimento della scoperta ma che rimarrà in sospeso per l’intero corso dell’anno per mancate verifiche e sopralluoghi, vecchie coltivazioni ferrifere di Fornovolasco in Garfagnana dove quanto meno nei progetti era prevista anche la costruzione di una propria centrale idroelettrica lungo il corso del Rio Turrite Cava con richiesta di esproprio terreni interessati “per motivi di pubblica utilità” come previsto dalla legislazione del tempo. 34

La cosiddetta “Casa Zuffoni” dotata di locali per gli addetti alla sorveglianza e magazzino, l’energia a 8.000 Volt era fornita dalla Società Elettrica Ligure Toscana e giungeva tramite apposita linea costruita ex novo dipartentesi dal paese di Capriglia ed anche dopo la dismissione lavori della Società S.A.M.A. il manufatto continuò ad essere abitato dalla famiglia del minatore Sign. Mancini Pilade fino al 1938/39 e vi nacque anche la secondogenita Lira; da segnalare che Pilade fu uno dei più giovani assunti nel 1911 dalla Società tedesca che sfruttava i depositi ferriferi di Monte Arsiccio. Con il sorgere della lotta partigiana nell’ultima fase del secondo conflitto mondiale, Casa Zuffoni diverrà la Casa Bianca probabilmente originandolo dal primo rifugio della formazione dei patrioti di Gino Lombardi prima del trasferimento in zona Farnocchia ed anzi gli incontri fra il Lombardi e la fidanzata Margherita, che potendo recava anche armi sottratte in pianura, avvenivano in località Le Selve (Pontestazzemese) nella casa della Sign.ra Vannoni Annunziata che nuovamente ringrazio per le notizie fornitemi. 37 Tensione riportata dal Prof. A Pelloux, mentre nella relazione dell’ingegnere del Distretto viene indicata in 220 Volt. 38 Il secondo si origina dall’appellativo tipicamente locale di indicare un posto di controllo, nel nostro caso la stazione di partenza della teleferica. 36

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 16.3. Schema di una sezione della Laveria Martinazzo e C. rilevata da Pelloux A. (1922).

di Cagliari con sue maestranze e tecnici specializzati inizia il montaggio del proprio impianto di laveria comunemente ritenuto uno dei più moderni esistenti in Italia e di cui traccio una sintetica descrizione dovuta sia alla relazioni di Pelloux che alla documentazione d’epoca.

Nella tettoia più in alto avveniva la cernita minerale, visibili la parte finale del piano inclinato più lungo e sulla sfondo quello per la Galleria Paoli. Del tutto sopravvivono, nel 1983, fatiscenti vasche di decantazione e la casa a sinistra. Nel 1921 con la laveria ormai collaudata ed operativa, iniziano i veri lavori estrattivi nel Pozzo Speranza (ex Pozzo Nuovo) e nelle gallerie in diramazione adesso indicate con un proprio nome desunto dai luoghi simbolo del non lontano trascorso conflitto mondiale, mentre si procede con impegno alla perforazione del nuovo Pozzo Venezia che durante il 1922 raggiungerà i meno 106 metri dal piano di carreggio Due Canali.

Azionata elettricamente da un motore di 15 HP si suddivide in due distinte sezioni dove affluisce il minerale già preventivamente cernito a mano sia nell’attiguo piazzale che nell’apposita tettoia. Il serbatoio principale delle acque è formato da un grosso bacino in muratura a livello superiore ed alimentato dai limitrofi canali opportunamente captati. Queste pervengono poi a fine ciclo in vasche di decantazione affiancate, poste a livelli inferiori della laveria e da dove sono reimmesse in circolo tramite pompe di sollevamento.

Proseguono inoltre le ricerche nella zona di Sant’Anna e Gallena, mentre a La Rocca oltre all’estrazione si esplorano anche livelli sovrastanti la galleria di ingresso e che in seguito verranno riempiti con sterile così come altri livelletti esplorativi.

Il cernito viene avviato ad un primo concasseur a mascelle che lo frantuma grossolanamente, passando quindi ad un secondo che lo riduce in piccola pezzatura per finire in un mulino a cilindri trituratori da dove perviene ad una serie di vibrovagli, crivelli, idrovagli e tavole a scossa che permettono un arricchimento stimato intorno al 55-60% con una produzione, sempre stimata, di circa 50 tonnellate ogni otto ore. Le resulte sterili (genericamente chiamate polverino) sono vendute alle fabbriche di mattoni, mentre il quarzo all’industria vetraria.

Prima di procedere alla sequenza cronologica diamo uno sguardo alla potenzialità e innovazioni della S.A.M.A. sia nell’immediato che nel proseguo delle sue attività. Un fatto notevole per il tempo è l’installazione del collegamento telefonico tra miniera e miniera, e tra miniera e direzione a fondo valle, con la possibilità di inserimento 178

Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate

Fig. 16.4. Fotoriproduzione della Laveria Martinazzo e C. da Illustrazione Italiana (1 maggio 1921, n. 18). Nella tettoia più in alto avveniva la cernita minerale, visibili la parte finale del piano inclinato più lungo e sulla sfondo quello per la Galleria Paoli. Del tutto sopravvivono, nel 1983, fatiscenti vasche di decantazione e la casa a sinistra.

sul circuito nazionale tramite la centrale operativa di Pietrasanta.

Sempre fra i grandi progetti societari c’era la perforazione di una nuova galleria lunga 690 metri ed inclinazione in ascesa di circa 17°, la “mitica” Galleria Cerpelli39 per mettere in comunicazione diretta i due opposti versanti coltivati e precisamente il ramo sinistro della Due Canali (Galleria o ricerca Fortuna) e di riflesso gli impianti con un livello più basso delle vecchie riprese Argentiere di Sant’Anna e dove era previsto l’afflusso della loro intera produzione. In effetti ne venne iniziata l’esecuzione, proprio dal versante di Sant’Anna, ma gli scavi furono abbandonati dopo circa una novantina di metri di avanzamento, optando per il progetto di una teleferica dalla Galleria Santa Barbara agli impianti di Valdicastello, visto tempi di esecuzione e costi gestionali complessivi.

Per l’avvio della produzione ai successivi trattamenti metallurgici, non essendo previsti in loco come nella precedente gestione, venne previsto un piccolo scalo o raccordo nella limitrofa località Zarra (Ruosina) per l’immissione dei vagoni sul tracciato delle Tramvie della Versilia, cui era affidato il trasporto fino alla stazione di Querceta. Negli avanzamenti più lontani i martelli sono azionati da piccoli motocompressori portatili mentre la ventilazione, quando non avviene naturalmente per effetto camino, è assicurata da elettroaspiratori così come nei pozzi e nei livelli di pertinenza, mentre il drenaggio delle acque è assicurato con elettropompe attive 10/12 ore al giorno e che scaricano nella Galleria Due Canali, dove ancora una volta confluiscano anche quelle di tutto il rimanente e sovrastante complesso pervenendo infine all’esterno in una canalizzazione immediatamente sottostante al centro del piano di carreggio Decauville.

Il trasporto del minerale dai pozzi è assicurato con argani elettrici di sollevamento, mentre nei vecchi lavori 39 Ancora oggi, ma frutto dell’immaginario collettivo che comunque dimostra la risonanza almeno a livello locale del progetto, molti vecchi ne parlano ancora come effettivamente esistente mitizzandola come il passaggio utilizzato da partigiani e civili durante il secondo conflitto mondiale per sfuggire ai rastrellamenti tedeschi.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) fino alla galleria d’ingresso per il successivo inoltro all’esterno43, ed attenendoci a quanto recentemente affermato “il Pozzo Locarni era dotato di ferrovia a cremagliera etc.44”.

ottocenteschi sovrastanti si procede come nel passato con il buttaggio e recupero a livello carreggio (per memoria Due Canali). Il trasporto avviene con vagoncini autorovesciatori di grande capacità mossi a mano negli avanzamenti così come il carico a forza di braccia, successivamente saranno riuniti in gruppi ed agganciati a piccoli locomotori a benzina che effettuano la spola con la laveria. La vastità dei progetti ed delle aree coltivate non fanno che accrescere la fama di questa “Italianissima Società” che peraltro uniformandosi alle aspirazioni del nuovo corso fascista, provvede alla costruzione a fondo valle, adiacente ai vecchi manufatti della precedente gestione, di abitazioni per impiegati e di dormitori per gli operai serviti da un proprio spaccio alimentari, in probabile contrapposizione alle passate cooperative rosse.

A Gallena viene ultimata, collaudata e messa in operatività la teleferica, facendo così affluire in laveria anche quanto estratto in questo versante, dove le attività rimarranno peraltro circoscritte alla Galleria Santa Barbara o Casello. L’anno si chiude con un bilancio di spesa per le sole coltivazioni di Sant’Anna e Gallena stessa di Lire 68.740 comprensive delle 4.360 giornate di lavoro e dei 96 metri di nuove gallerie e pozzetti. Queste cifre, considerando la giornata lavorativa di otto ore per una media mensile di impegno pari a 25 giornate, ci permettono uno sguardo all’esiguità degli addetti considerando probabilmente, operazioni non continuative.

Ancora nel 1922, all’esterno ed attigue alla laveria, sono realizzate una nuova cabina elettrica di trasformazione operante con tre trasformatori statici ad olio di 75 KW ciascuno, una sala compressori unica formata da due gruppi Cerpelli mossi da motori elettrici Ansaldo con potenza totale di 120 HP40 ed in aggiunta un analogo impianto di riserva-emergenza. Una volta terminati i lavori verrà così eliminato il compressore a La Rocca facendovi arrivare l’aria compressa necessaria tramite tubazione in ferro del diametro di 5 pollici, sezione in grado di eliminare anormalità dovute alla perdita di pressione di carico e poter così alimentare tutti i martelli utilizzati. Quantomeno a me è ignoto se lo stesso procedimento venne fatto anche per le coltivazioni di Gallena cosa che personalmente sono portato ad escludere, non fosse altro che per la distanza e le conseguenze tecniche ad essa connesse.

Nel 1923 si documenta un notevole incremento di attività nei livelli sottostanti la Due Canali scoprendo che, abbassandosi, torna a prevalere la mineralizzazione a galena argentifera anziché la temuta blenda. Altrettanto incoraggianti i risultati a La Rocca ma purtroppo la grande laveria si rivela inadatta per il trattamento di questi minerali non riuscendo a raggiungere i livelli di produttività almeno accettabili da cui, per non vanificare tutto quanto fino all’ora compiuto e speso, la decisione di smantellarla e sostituirla45. Questa viene sempre alloggiata negli stessi manufatti previe le necessarie modifiche strutturali interne con un nuovo tipo operante con il sistema di fluttuazione, vista la inadeguatezza della separazione idraulica.

Proseguono le ricerche e le esplorazioni nelle vecchie gallerie del versante di Sant’Anna e precisamente: Santa Barbara, Pollastrelli, Felcini, Tana, Fontana, Dell’Acqua, Trincee e Rava41. In pratica quasi tutti gli antichi lavori delle Argentiere di Sant’Anna idealmente compresi fra le quote di 562 e 729 metri s.l.m..

Nel 1924 le coltivazioni al Bottino sono limitate a gennaio/ febbraio e solamente nei sottolivelli Due Canali, poi con marzo segue la temporanea interruzione di tutte le attività minerarie, salvo la manutenzione, per consentire il rinnovo che si compirà entro l’anno. Nel 1925 i lavori riprendono regolarmente ed entra in funzione il nuovo e già collaudato impianto con risultati talmente incoraggianti per qualità e quantità da indurre ad un aumento della produzione mineraria accentuando il recupero di quanto più possibile materiale abbandonato

Ben presto le attività si riducono alle prime quattro poi al solo complesso Santa Barbara con risultati non molto incoraggianti. Nel nuovo cantiere La Rocca il panorama è invece diverso e si procede anche alla perforazione di un pozzo inclinato a 45°, il cosiddetto Pozzo Locarni, che dovrà avanzare in discenderia parallelamente alle nuove coltivazioni a livello sempre più basso42, assolvendo la funzione di carreggio per la risalita della produzione

Una volta pervenuto sul minuscolo piazzaletto seguiva il primo avvio al sottostante livello ribasso quindi l’inoltro alla laveria. 44 Mancini, S. 1998: 33. Personalmente non condivido l’affermazione dell’esistenza di una ferrovia a cremagliera nel pozzo Locarni che però può benissimo essere dovuta all’incompletezza delle mie ricerche, decisamente contrario alla esistenza di un collegamento durante la gestione S.A.M.A (1919/1934) fra “il Cantiere principale ed il sottostante carreggio denominato galleria Breviglieri” perchè a quanto mi risulta e vedremo nel proseguo, esso avvenne solamente una trentina di anni più tardi con la gestione S.C.E.L. ed inoltre se vi fosse stato un qualsivoglia anche piccolo collegamento non sarebbe stato necessario svuotare l’intero complesso La Rocca trovato completamente allagato a seguito degli anni di abbandono (vd. gestioni E.D.E.M. e S.C.E.L ). 45 Gran parte del vecchio impianto venne ceduto alla Società S.T.I.M.A. operante nella zona di Farnocchia per minerali ferrosi in genere ed in regime pressochè fondiario con la confinante Società S.A.M.A. stessa (vedi Miniere di Calcaferro, Capitolo 8). 43

Rispettivamente per quello capace di alimentare 14 martelli e l’altro per 6 martelli. 41 L’elenco viene così riportato per comodità scritturale non rispettando la sequenza altimetrica che invece, partendo dal livello più basso, è la seguente: galleria (da adesso semplicemente g.) Santa Barbara – g. Del Fabbro – g. Del Metato – g. Fondone – g. o pozzo Travi o al Trave – g. o Buca Tana- g. Dei Bossoli – g. Pollastrelli –g. dell’Acqua – g. Fontana – g. Rava – g. Trincee (vd. Appendice 1). 42 Il primo livello è armato con legname, il secondo invece a corona sostenendo il primo mentre il terzo, il più vasto, è ricavato in roccia molto compatta che rende inutile ogni intervento, secondo quanto riportato dal Sign. A. Mizzan (di cui in seguito) durante la gestione S.A.M.A. venne perforato anche un secondo pozzo pressochè parallelo al primo poi riempito con materiale sterile in corso lavori. 40

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Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate come sterile nel secolo precedente, anche nei livelli sottostanti la Galleria Paoli.

di Sant’Anna viene definitivamente abbandonata, e quasi non bastasse arriva sulla scena economica internazionale il tracollo del prezzo dei minerali che rende assolutamente improduttiva la coltivazione entro pozzi e/o discenderie a causa dell’incidenza del costo connesso a sollevamento, ventilazione forzata, drenaggio delle acque, da cui la decisione di abbandonare tale tipo di lavori recuperando le attrezzature in tutti i livelli sottostanti la Due Canali, a cui segue l’inizio del loro allagamento convogliandovi le acque reflue dell’intero complesso.

Rimane preclusa ad ogni attività tutta la zona sovrastante, Redola e vecchi lavori Senicioni, a causa di franamenti del passato o in atto, tutti difficilmente controllabili. Oltre al recupero inizia anche l’abbattimento dei pilastri che vi erano stati lasciati a sostegno sempre nella precedente gestione, e questo sarà probabilmente una delle cause o concause che a breve termine (1927) provocherà un grandioso cedimento interno e la sconseguente parziale inagibilità.

Il 1929 vede inattive Gallena e la Laveria mentre il personale è drasticamente ridotto al minimo indispensabile. Nella speranza di poter superare la crisi in atto incontrando nuovi filoni mineralizzati e facilmente accessibili vengono perforati a La Rocca una trentina di metri del previsto ribasso, ma l’esito è negativo come pure le ulteriori ricerche in prossimità della faglia.

Fortunatamente l’evento si verificò a miniera inattiva (ignoro se giornata festiva o durante la notte essendovi versioni contrastanti ma comunque dopo il mese di agosto) come raccontatomi da uno degli ultimi minatori del vecchio Bottino, il signor Polidori Giorgio che parlandomi della Due Canali e delle sue diramazioni l’ha sempre inspiegabilmente chiamata la Galleria del Mille o dei Mille, molto probabilmente riferendosi alla distanza in sotterraneo che doveva percorrere giornalmente per arrivare sul posto di lavoro nell’avanzamento verso Conca Danari, e mostrandomi con piacere il vecchio martello che conservava a ricordo, mi diceva: “lo vedi quello lì? è il diavolo che ti tronca e ti fa perde (re) la salute ma se volevi mangià(re) e tirà (re) avanti non c’era scampo“.

Nel 1930 perdura l’inattività salvo un estremo tentativo fatto avanzando ancora per 12 metri nel ribasso La Rocca incontrando però solo sterile. Così prima della conclusione dell’anno le miniere del Bottino e le sue pertinenze vengono dismesse, tantoché l’ingegnere Capo di Distretto annota nella propria relazione: “scompare nel distretto di Carrara la produzione del piombo argentifero”. Con il 1931 la Società S.A.M.A. presenta domanda di rinuncia alla concessione mineraria per le zone fino qui descritte e viene posta in liquidazione rimanendo proprietaria di immobili e terreni acquistati46, ma al termine dell’anno la domanda giace ancora inevasa presso il Ministero dell’Economia Nazionale, ed è solamente con D.M. 31 marzo 1934 che vengomo autorizzate sia la rinuncia con sospensione dei lavori che il recupero delle attrezzature.

Si rileva un grande impegno anche a Gallena e La Rocca dove ci si avvia alla coltivazione di un terzo livello in ribasso, mentre nel versante marino gli interventi sono limitati a circoscritte ricerche all’interno di Santa Barbara. Vanificato dai risultati tramonta il progetto di realizzarvi una teleferica e così avviene anche nel corso del 1926 che vede il pressoché totale disimpegno con Sant’Anna. Il 1927 è caratterizzato da un ulteriore incremento di attività nel nuovo livello a La Rocca, a Gallena e nel recupero del vecchio materiale nei precedenti lavori ottocenteschi e del nuovo al Bottino, perlomeno fino al momento del grande crollo cui già accennato.

Nel frattempo con Decreto 12 febbraio 1935 le Concessioni Minerarie del Bottino e Vadicastello passano alla Società E.D.EM. ed il 20 aprile dello stesso anno la Società S.A.M.A. vende parte dei terreni e la vecchia foresteria all’Impresa Giacomo Moresco e F.gli di Massa47 per lire 17.000, un’area stimata in braccia quadre 2.102.230 corrispondenti a metri quadri 714.758,20 rimanendo comunque esclusi dalla vendita miniere, impianti minerari, piano inclinato (il più lungo e tutta l’area ex laveria con relativi manufatti n.d.a.) piazzaletti e tutte le loro pertinenze già pervenute alla Società E.D.EM.. La vendita è fatta “a corpo“ cioè senza l’effettiva misurazione di controllo fidandosi di quanto riportato in catasto.

Tuttavia nell’avanzamento verso Conca Danari il minerale scompare improvvisamente in corrispondenza di una faglia, mentre nel frattempo arrivano le prime avvisaglie della prossima crisi economica internazionale cui aggiungere i risvolti connessi all’applicazione della nuova Legge Mineraria Nazionale (vd. Appendice 4). L’anno successivo il 1928 vede il trasferimento della sede societaria a Torino, e pur rimanendo inalterato l’impegno a livello locale cambia la denominazione in cartografia ed negli atti amministrativi.

Grazie a questo, il primo ottobre 1935 le due Società S.A.M.A. – E.D.E.M., sempre rappresentate dal signor Franzinetti, procedono ad ulteriori vendite di terreni ed

Nel corso dell’anno si registrano grandi mutamenti in negativo, nell’ormai vastissimo camerone o terzo livello La Rocca aumenta la presenza inquinante di pirite mentre i nuovi lavori in corrispondenza della faglia (avanzamento per Conca Danari) evidenziano la scomparsa del minerale sia ad est che ad ovest, e rimane solo la speranza di ritrovarlo avanzando ancora nello sterile. Tutta la zona

Primo liquidatore Ing. Gioannini che autorizzò e assistè l’Ing. G. Dessau nel suo sopralluogo alla galleria Due canali e livelli superiori accessibili, visita compiuta a lume di candele come sempre raccontatomi dal maestro Ing. Dessau stesso. 47 Rogito del Dott. Annibale Germano Notaro in Torino e stipulato negli uffici della Società Italiana per il Gas, via XX Settembre Torino. 46

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 16.5. Miniere di Gallena, planimetria schematica.

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Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate immobili al Cav. Andrea Ballerini fu Arnaldo residente a Pietrasanta48 e così specificati:

Scomparsa così la Società E.D.E.M. nel 1939 il Marchese Francesco Fracassi richiede il permesso di ricerca per minerali argentiferi e piombo per l’intero bacino minerario, ma non seguono lavori mentre con il decreto ministeriale del 20 aprile 1941 il permesso ampliato a ricerche di zinco rame pirite passa all’impresa Giacomo Moresco e figli, che oltre alla rcerca di aiuti economici contatta l’Azienda Minerali Metallici Italiani (A.M.M.I.) di Roma che invia per un sopralluogo tecnico l’ingegnere Girolami Giovanni ed il 14 dicembre dello stesso anno viene presentata la relazione dove si evidenzia:

• La Società E.D.E.M. cede i manufatti minerari del fondovalle, già trasformati in segheria marmi azionata idraulicamente e termicamente, compresi i diritti di uso e derivazione delle acque del canale del Bottino e del torrente Vezza per lire 37.000 ricevendo nell’immediato ed a saldo lire 25.000. • La Società S.A.M.A. vende i rimanenti capannoni ancora in suo possesso e catastalmente stimati in braccia quadre 5.375 (metri quadri 1.828) nonché terreno definito brullo e scosceso di braccia quadre 3.545 ( metri quadrati 1.206) ricevendo anch’essa a saldo lire 4.000 per le 5.000 stabilite rimanendo comunque patuito dai contraenti che i restanti terreni ed immobili S.A.M.A – E.D.EM. saranno venduti al Sign. Frefrel Rag. Giacomo fu Carlo Francesco, industriale svizzero residente a Milano.

1. al Bottino i livelli intermedi sono inagibili per avvenuti crolli e franamenti mentre quelli sottostanti la Galleria Due Canali sono totalmente allagati. 2. A Gallena non avvennero grossi lavori di coltivazione e venne privilegiata la produzione a scapito della ricerca. 3. La Rocca è agibile e con minerale in vista tuttavia i costi di produzione saranno elevati causa la necessità del sollevamento per l’avvio all’esterno mancando una galleria di buttaggio/carreggio in ribasso.

Stesso giorno, stesso venditore e stesso notaio il Sign. Frefrel acquista:

Il rapporto non è incoraggiante ma lo stato di guerra ed l’autoarchia portano ad un ulteriore sopralluogo dell’ingegner Belli Marcello all’inizio del 1942, e la cui relazione è ancora piú impietosa. Come riporta la comunicazione AMMI del 25 Marzo del 1942 al commendator ingegner Dario Moresco (fratello di Giacomo n.d.a.) a Milano, dove vengono nuovamente illustrati tutti gli aspetti negativi, pur non precludendo completamente il proprio aiuto “se la sola impresa Moresco vuole procedere nei lavori alla Rocca, la AMMI contribuirà per la realizzazione di una galleria in ribasso con lire 250/metro di avanzamento fino ad un massimo di lire 100.000, i pagamenti avverranno ogni fine mese previo accertamento degli effettivi risultati nel frattempo avvenuti, ma tutto questo è subordinato all’accettazione Moresco del diritto di prelazione AMMI in caso di vendita della miniera a parità di condizioni”.

• Dalla Società S.A.M.A. in località Argentiera e Bottino terreno boschivo di braccia quadre 11.984 ( metri quadrati 4.075) e due particelle in catasto 411-412 di terreno pasturativo con immobile a due piani dotato di acqua potabile ma non ancora accatastato che viene venduto con tutto ciò che contiene, cioè a porte chiuse per la somma di lire 6.000. • Dalla Società E.D.E.M e stessa località, un fabbricato rustico e diroccato di braccia quadre 169 ( metri quadrati 57,55) per lire 300. Da tutto quanto premesso è facilmente deducibile l’interesse S.A.M.A. – E.D.E.M al realizzo di liquidità infatti l’ultima società trascura completamente ogni lavoro minerario tanto da perderne la Concessione nel 1938 provvedendo comunque alla vendita di terreni e fabbricati connessi all’attività. Infatti il 20 novembre dello stesso anno (1935) con rogito del medesimo notaio Dott. Gian Giacomo Guidugli e nel suo studio di via Garibaldi n° 1 a Pietrasanta49:

La lettera porta in allegato i risultati del proprio laboratorio chimico su campioni raccolti in corso sopralluogo: Pb 59,10% Ag gr. 933/tonn

“Il Sign. Pigino dott. Ing. Silvio di Giuseppe possidente e residente a Torino amministratore unico della Società E.D.E.M. con sede sempre a Torino Corso V. Emanuele 16, vende al già ricordato Sign. Moresco Italo il piano inclinato più lungo e tutto il terreno e fabbricati dell’ex laveria, nonché 141 metri quadrati di altro terreno in località Zarra per lire 1.250.”

che potrebbero fornire gr. 1577 di argento per ogni tonnelata di piombo. È quasi superfluo sottolineare la mancanza di lavori minerari.

Sia le precedenti che la presente vendita sono fatte ancora ”a corpo”.

Durante il 1950 la Società E.D.E.M. di Valdicastello (vd. Miniere del Pollone, pag. 143) vede ancora di più aggravarsi la difficoltà di smaltimento sul mercato della propria produzione di minerali ferrosi a basso rendimento, e di riflesso la conflittualità operaia, da cui consegue l’esigenza di trovare soluzioni alternative alla chiusura. Queste si concretizzano con la richiesta di permessi di ricerca fra i quali quello denominato Gallena per minerali

Rogiti del Dott. GianGiacomo Guidugli Notaro in Pietrasanta e redatti nella casa del Cav. A. Ballerini via Oberdan n° 6 Pietrasanta. Repertorio n° 8722 ed 8723. Da ricordare che fino alla metà del 1900, nei contratti di compravendita erano riportate le estensioni sia in braccia quadre che in metri quadrati. 49 Rogito al repertorio n° 12034 fascicolo 3721. 48

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) piombo-argentiferi e zinco nella zona compresa fra Monte Rocca – Sciorinello – Senicioni e Gallena stessa, in pratica la medesima area lasciata decadere nel 1938. Le ricerche vengono indirizzate al vecchio cantiere La Rocca dove i lavori saranno diretti dall’ingegner E.D.E.M signor Rolletti50 e seguiti dallo stesso caposervizio delle miniere di Monte Arsiccio, il signor Mancini Remo51. Segue il trasporto a forza di braccia della minima attrezzatura necessaria (campate di binario - un vagoncino – mazze, pale e picconi) e fra gli addetti alle operazioni troviamo anche l’erculeo minatore signor Moriconi Amos che in seguito vi trasporterà (a forza di braccia) anche una motopompa, provvedendo poi al rientro del tutto o quasi, al magazzino di Monte Arsiccio dove era stato prelevato salvo il binario e il vagoncino rilevati, come vedremo, dalla subentrante Società S.C.E.L..

Fig. 16.6. Cartello maestranze E.D.E.M in piazza Duomo a Pietrasanta in occasione della visita del Presidente Gronchi, primi anni 50 (foto T. Kurz)

Ma lasciamo la parola ad Amos che in poche frasi ben descrive la situazione generale e triste fama della miniera:

Cuprifera Emiliana Ligure, Presidente-Azionista Sig. Baglietti) con sede a Genova e che circoscrive il proprio impegno alle sole e dismesse coltivazioni de La Rocca e Ribasso53.

“Lo vedi quello lassù? È il Bottino quello che ne ha ingollati (uccisi dalla silicosi n.d.a.) tanti ed i più erano giovani, la mattina a buio ti mettevi in collo una latta di petrolio (tanica n.d.a.) e la giornata cominciava quando la posavi sul piazzale, c’era da patì (re) tanto ma almeno alla meno peggio si tirava avanti“.

A fondovalle si trovano dei vecchi manufatti appositamente affittati per l’ufficio tecnico direttivo e l’officina magazzino principale mentre al riparo di una modesta tettoia addossata ad un vecchio muro attiguo alla stazione di arrivo della nuova e costruenda teleferica automotrice, verrà poi posizionato un piccolo impianto di macinatura formato da concasseur a mascelle e tavola a scossa (vedi anche miniera di Ripa pag. 51) .

Ha inizio lo sgombero dei franamenti avvenuti all’interno della galleria di accesso, il consolidamento e l’armamento dei punti pericolanti utilizzando paletti e fascine reperiti nei boschi circostanti cercando di economizzare, e la posa del binario in parallelo coll’avanzamento verso il Pozzo Locarni che, una volta raggiunto, rivela che tutti i livelli sottostanti sono inagibili poiché completamente invasi dalle acque e per il proseguo è necessario il loro prosciugamento.

La casetta a più piani antistante la ex laveria a livello Due Canali viene recuperata, ripristinandone sia il tetto che il pavimento del piano superiore e adibita a carpenteria legname. Viene inoltre collegata al Ribasso La Rocca, che con la nuova gestione si chiamerà Breviglieri (dal cognome del proprietario effettivo), tramite teleferica a due campate con il pilone intermedio in legno. A circa un terzo del percorso in risalita ed immediatamente attigue al Ribasso Breviglieri sorgono due piccole baracche, sempre in legno, adibite rispettivamente a locale compressore ed a officina di emergenza, spogliatoio e refettorio. Poco più avanti viene riattivata la vecchia tramoggia di buttaggio e caricamento minerale che arriverà poi a fondo valle via teleferica automotrice a campata unica. Ribasso e tramoggia sono uniti con binario Decauville dove scorre un unico vagoncino mosso a forza di braccia.

Ed ecco l’intervento di Amos con l’arrivo della motopompa, ed intanto nell’attesa le ricerche vengono spostate nell’antica galleria e Pozzo di Conca Danari nella omonima e limitrofa vallecola, dove i limitati avanzamenti esplorativi avvengono praticando i fori per le cariche esplosive con il vecchio sistema della cosiddetta mazzacoppia52, ma l’impegno in entrambe le zone è di breve durata stante l’inizio della riconversione industriale della Società che passa al massiccio sfruttamento della barite. Dopo breve abbandono il permesso con scadenza 1955, viene rilevato dalla Ditta Breviglieri, già attiva nel campo del caffè, che lo fa intestare alla Società S.C.E.L. (Società

La tubazione ad aria compressa messa in opera una trentina di anni prima dalla Società S.A.M.A. viene riutilizzata nei limiti del possibile limitandosi alla sostituzione e modifica

Ingegnere minerario della Società e che in epoca successiva subirà un serio infortunio con ricovero ospedaliero cadendo nel canale Ferraio all’interno del giacimento del Pollone. 51 Che ancora una volta ringrazio per disponibilità e notizie fornitemi. 52 Operazione compiuta da due operai “la coppia” dove uno regge la punta che penetra mentre l’altro la colpisce con la mazza e ad ogni colpo il primo provvede anche a farle fare una piccola rotazione in modo da ottenere un foro circolare, altro nome del procedimento è “avanzamento a stampetta”. 50

Fra il personale che operò nell’avanzamento del Ribasso Breviglieri troviamo anche il signor Giuseppe Galanti, minatore, il quale dopo essere passato prima della fine attività S.C.E.L. alle dipendenze della Società E.D.E.M. ne diverrà poi il capo servizio per le miniere del Pollone a Valdicastello fino alla loro chiusura, curando anche la realizzazione del tratto in ascesa della strada di sevizio interna per Monte Arsiccio. A lui devo molte informazioni qui riportate.

53

184

Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate

Fig.16.7. E.D.E.M., contenitore di esplosivo.

Fig. 16.8. E.D.E.M., sacco imballaggi (foto T. Kurz).

dei tratti inservibili54, mentre il minuscolo manufatto in pietra all’ingresso della Galleria La Rocca diviene il deposito del carburo, di lampade etc..

Alla scadenza del permesso nel 1955, questo viene rinnovato fino al 1958. Inoltre parallelamente alle attività interne proseguono quelle per le infrastrutture, con il ripristino dei due ponti in legno e le due brevi gallerie lungo il primo piano inclinato, utilizzato quale via di arroccamento per gli impianti a livello Due Canali.

Rimane incerto stabilire se lo svuotamento dei livelli allagati sia stato fatto completamente dalla Società E.D.E.M. o lo abbia ultimato la subentrante, come sembrerebbe probabile.

Coevi il rifacimento della cabina elettrica di trasformazione presso la ex laveria, lavoro eseguito dalla locale ditta edile Bertelli, la sistemazione dell’unico ed impervio sentiero per La Rocca da sempre interessato a smottamenti, il collaudo e la messa in esercizio (ufficiale) della teleferica. Intanto fra il 1958-1959 (data probabile 1958) con il carreggio Ribasso ormai terminato avviene il collegamento diretto con le coltivazioni sovrastanti, rendendo così la miniera veramente operativa come da programmi tantochè, sempre nel 1958, il permesso viene trasformato in vera e propria concessione mineraria, e come tale si procederà nel recupero di materiale nel primo e secondo livello e alla coltivazione nel terzo che viene prolungato.

Si procede all’avanzamento del Ribasso che con uno sviluppo stimato intorno ai 300 metri dovrà raggiungere la quota immediatamente sottostante al livello più basso de La Rocca, raccordandovelo con una discenderia/buttaggio e ottenendo così il triplice scopo: 1) esplorazione del o dei filoni in profondità, 2) buttaggio diretto del minerale per l’avvio alla tramoggia di carico evitando tutto il lavoro di sollevamento interno e calata esterna come in passato55, 3) drenaggio ed aerazione di tutto il complesso coltivato. Una volta avvenuto lo svuotamento completo dalle acque, il quadro generale che si presenta non è molto incoraggiante: il Pozzo Locarni è agibile solamente fino al primo livello poi interessato a franamenti in profondità che richiederebbero grandi mezzi di intervento, il secondo ed il terzo livello sono anch’essi interessati a franamenti ma più modesti. Si procede ad una sommaria messa in sicurezza e all’unione con piccole discenderie e pozzetti, mentre si provvede ad organizzare il futuro recupero del minerale rimasto abbandonato nel primo livello, la cosiddetta “Sala Nera” poiché quasi interamente ricavato nella tormalinolite.

Tutti gli scavi56 forniscono galena argentifera, pur con una limitata produzione, fino al 1965/66 quando ancora una Durante il 1962 la zona mineralizzata in oggetto venne visitata e studiata dal laureando in Geologia A. Mizzan, il quale presenta la propria tesi presso l’Università di Milano dal titolo: Il giacimento a galena argentifera di La Rocca che ho avuto il piacere di leggere ed apprezzare e dalla quale riporto alcune notizie di interesse generale locale come la nuova interpretazione dei terrazzamenti:

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Gallena Minazzana Nocelli Farnocchia- Sant’Anna Vaccareccia –La Porta

Vengono comunque sgomberati circa 160 metri cubi di fanghi e detriti mentre aumenta l’impegno per l’ultimazione del ribasso.

345 metri s.l.m. 650 metri s.l.m. 750 metri s.l.m.

Terrazzamenti che ritiene essere: “anse meandriformi dei fiumi di un precedente stadio contrariamente a quanto affermato dallo Zaccagna nella nota illustrativa della Carta Geologica delle Alpi Apuane (1920) che le attribuiva a possibili cicli di erosione marina“. Ugualmente da ricordare le osservazioni sulla idrografia “particolarmente visibile nell’Autoctono scistoso e l’allineamento delle sorgenti tipico di discordanza tettonica (Autoctono/Parautoctono ovvero fra rocce scistose e carbonatiche) e di sorgenti di strato nelle formazioni superiori; le sorgenti del primo tipo hanno carattere perenne mentre quelle del secondo sono meno costanti”. Sempre lo stesso inserisce in tesi i ringraziamenti ai signori A. Gorelli e R. Mancini (rispettivamente direttore E.D.E.M e Capo servizio per quelle di Monte Arsiccio) “per la ospitalità goduta durante il lavoro di campagna”.

54 Per memoria la vecchia tubazione aveva un diametro di 5 pollici gas mentre adesso nelle sostituzioni si passa a quella di un pollice gas così come per tutta la condotta aria occorrente ex novo. 55 Questa soluzione era già stata ipotizzata dalla Società S.A.M.A. con la sola variante di collegarsi con l’allora terzo livello anzichè con uno ancora più basso poichè sembrerebbe che durante la gestione S.C.E.L. vi sia stato un tentativo di esplorazione dell’andamento del/i filoni in profondità 11 metri aldisotto del terzo livello ed i lavori poi riempiti con sterile ma se la cosa sia o meno avvenuta non sono riuscito ad accertarlo con sicurezza.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Galleria Due Canali

volta torna a prevalere la pirite provocando una crisi che culmina con la dismissione dei lavori, cui probabilmente non è estranea anche l’interruzione dei finanziamenti agevolati.

L’ingresso, già orgoglio della Società S.A.M.A.57, si trova pochi metri al di sopra della confluenza fra il Botro della Spiaggia ed il Canale del Bottino ed è pressoché attiguo all’inizio del piano inclinato per la Galleria Paoli ed ai resti del vecchio bacino raccolta acque per la laveria. Salvo i primi 8/12 metri è facilmente percorribile ed in tutta sicurezza58 per i suoi quasi 700 metri di sviluppo in perfetto rettilineo poiché scavata in roccia molta compatta dove non mancano veri filoni e/o strati di quarzo. Avanzando verso l’interno, dopo 150/200 metri circa troviamo a destra una breve galleria di ricerca e l’inizio della quarzite, giungendo così alla parte terminale che si allarga notevolmente consentendo in passato le manovre e gli scambi di tracciato ai piccoli locomotori e vagoncini correnti su Decauville. Si arriva infine in breve alla diramazione finale da dove, rivolgendosi verso l’imbocco, è possibile scorgere un cerchietto di luce ormai lontana. Sempre per tutto lo sviluppo sono osservabili:

Riassumendo brevemente e desunti dalla cartografia S.C.E.L., i lavori furono compresi fra le seguenti quote sul livello del mare: • Galleria La Rocca • Ribasso Breviglieri

metri metri

712,18 s.l.m. 617,45 s.l.m.

ma non mancano altre fonti che riportano quote diverse. 16.4. Breve descrizione delle gallerie Galleria Redola La Galleria Redola si trova sottostante ai lavori antichi dei Senicioni/Sciorinello e durante la visita dell’autore negli anni Settanta era decisamente pericolante da cui la decisione, anche se un po’ sofferta, di non inoltrarsi troppo e limitare la ricerca nello sterile trovato abbandonato e da dove provengono modestissimi campioni quasi sempre massivi, raccolti più per curiosità che per interesse.

1. Al centro della volta ed equidistanti, una serie di fori già alloggio per i sostegni della linea elettrica interna che alimentava il verricello di sollevamento/calata in testa al nuovo Pozzo Speranza e del quale sopravvivono le fondazioni in cemento e resti di una specie di quadro elettrico di controllo. 2. Sempre al centro del piano di carreggio sia di miniera che Decauville, è possibile notare alcuni tratti della originaria canalizzazione delle acque reflue all’esterno (dimensioni 30x25cm ca.) ed è questa l’unica galleria, fra le tante che ho visitato, dove ho visto in opera tale accorgimento anziché il solito canaletto di scolo laterale.

Galleria Paoli L’ingresso originario è franato per il cedimento del terreno antistante, tuttavia il crollo ha messo in luce una nuova e piccola apertura a tetto che immette alla parte iniziale della galleria, peraltro allagata per circa 15/20 metri dopo i quali si accede ad una prima zona da superare con cautela a causa di un grosso macigno distaccatosi dalla volta e rimasto in precario equilibrio, incastrandosi fra le due pareti e gravando anche sul vecchio armamento in legno di dubbia consistenza. Avanzando ancora troviamo la parete sinistra caratterizzata dalla presenza di spessi strati di carbonati che vi si sono depositati con l’abbondante scorrere delle acque e con colorazioni variabili dal bianco latteo al verde pisello fino all’azzurro, spesso intercalati da striature marroni. Risulta ben chiaro come la zona sia stata e probabilmente sia ancora soggetta a forti tensioni che hanno provocato numerose fratture (fino a 3-4cm) entro le quali scompaiono le acque stesse.

Arrivati in fondo, incontriamo le due diramazioni pressoché ortogonali e così descritte: Ramo destro o Galleria Isonzo Pochi metri oltre al bivio e pur rimanendo l’ambiente assai ampio, cessa la sicurezza come evidenziano cedimenti della volta ed in parte della parete destra contrastati con grossi pali in legno opportunamente incastrati, adiacenti il locale alloggio verricello. Il pozzo è completamente allagato d’acqua in costante fuoriuscita, ma la sua limpidezza è tale che perlomeno fino dove riesce a penetrarvi la luce si evidenziano i resti di una scala verticale e puntelli vari.

Giunti alla biforcazione finale abbiamo il ramo destro precluso da una grossissima voragine mentre il sinistro, un po’ meno malmesso, immette al vecchio Pozzo Sansoni pressoché ostruito da massi franati ed interi strati di rocce ribaltatisi dalle pareti. Il piano di calpestio si riduce a poche decine di centimetri ma è comunque percorribile con l’aiuto di attrezzatura per speleologia, e successivamente si ritrova la galleria integra fino ad una grande frana (non superata) nelle cui adiacenze in precedenza era stata realizzata una specie di pozzetta per la raccolta d’acqua che ancora vi affluisce scorrendo lungo una stalattite, e dove un anonimo scrisse con vernice nera o catrame Viva il Duce. L’ultima visita l’ho effettuata nel 1973/75 per recuperare due “avventurosi”, cogliendo così l’occasione di rivedere un po’ gli ambienti la cui situazione di conservazione sconsiglia qualsiasi ritorno.

Procedendo ancora, il pavimento diviene una pietraia per il materiale cadutovi da un muretto a secco e si incontra una rimonta percorribile che immette a lavori, forse esplorativi, 57 Munita di propria porta in robuste assi di legno rinforzate con ferri opportunamente sagomati recava in alto un cartiglio con scritto: “Società S.A.M.A. 1919 Galleria Due Canali” ed il tutto inserito in un frontale muro a secco con attiguo traliccio a sostegno di una specie di decorativo indicatore di vento (da cartografia S.A.M.A). 58 Non vi ritorno da oltre 25 anni ma ho saputo che il cedimento della parte iniziale del piano inclinato per la sovrastante Galleria Paoli l’ha occlusa provocandone il completo allargamento ma, sempre per notizia, sembra che recentemente qualcuno abbia rimosso l’ostacolo e così prosciugandola di nuovo.

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Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate

Fig. 16.9. Miniere del Bottino – Gallena e Rocca – ricostruzione dei trasporti.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 16.10. Miniere del Bottino: Galleria Redola, planimetria schematica, situazione negli anni ‘70.

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Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate

189 Fig. 16.11. Miniere del Bottino: Galleria Paoli, planimetria schematica, situazione negli anni ‘70.

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

190 Fig. 16.12. Miniere del Bottino: Galleria Due Canali, planimetria schematica, situazione anni ‘70.

Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate a quota non molto superiore. Una volta tornati in basso è ancora possibile il proseguo lungo il muretto a secco che gradualmente diviene ellittico appoggiandosi all’opposta parete fino ad arrivare ad uno slargo, comunicante anche con i lavori sopracitati, mentre a sinistra inizia una nuova e non molto lunga galleria in diramazione abbastanza ben conservata.

In esso incontriamo brevi gallerie e pozzetti ma anche una rugginosa scala in ferro messa quasi in verticale e che immette ad una possibile ricerca cinque sei metri più in alto. Una curiosità: un costante stillicidio colpisce proprio il centro del terzo gradino che già risulta semicorroso ed inaffidabile; il piano di calpestio è per la maggior parte allagato, ma utilizzando un vecchio tavolone semisommerso è possibile ritrovare la via del Pozzo Locarni ed arrivare all’enorme camerone del terzo livello, dove sono ben visibili tracce di galena e verso il fondo, in alto un ammasso di pirite che affiora come una specie di occhio.

Volendo inoltrarsi ancora è necessario abbassarsi sotto un cedimento a tetto pervenendo infine al tratto finale, anch’esso abbastanza ben conservato, ma in parte invaso dalle acque.

Teoricamente sarebbe possibile abbassarsi ancora utilizzando un buttaggio, ma inutile sfidare la sorte ancora di più, molto meglio risalire alla Sala Nera mentre provo quanto penetra un dito nei fradici pali di armamento via via incontrati, a conferma della buona dose di incoscienza.

Ramo sinistro o Galleria Fortuna Anch’essa decisamente ampia perlomeno per quelle poche decine di metri che portano alla rimonta (lato sinistro) per la base del Pozzo Sansoni attraverso il quale sarebbe teoricamente possibile risalire fino ai vecchi livelli intermedi di coltivazione, ma la particolarità di questo tratto è il costante e continuo stillicidio che in qualche caso ha prodotto sul pavimento delle piccole pozzette calcaree (6/10cm. massimo), contenenti a volte piccoli sassolini completamente ricoperti da un duro strato bianco giallognolo le cosiddette Perle di Grotta (Pisoliti) nel linguaggio comune dei praticanti.

Per il Ribasso Breviglieri che, almeno all’epoca, non presentava grosse difficoltà, meglio accedervi dal sentiero da La Rocca o risalendo quello dai Due Canali peraltro molto più malmesso e faticoso e qui si chiudono le iniziali “ubriacature da minerali”. 16.5 Mineralogia

Pressoché limitrofo all’inizio rimonta, un grosso franamento della volta che ha schiantato la vecchia armatura in pali e tavole che adesso affiorano quà e là ma anche questo è superabile con cautela cercando di non produrre rumori, potenziale causa della caduta dei cosiddetti “pipistrelli”59, arrivando quasi alla zona di faglia dove una nuova frana ne sconsiglia il proseguo.

La miniera del Bottino è certamente la miniera apuana che ha fornito i campioni museologicamente più validi. Basti ricordare la bellissima Collezione Cerpelli, oggi conservata presso la sezione di mineralogia del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa60. Si tratta di una raccolta di 138 esemplari, con campioni splendidamente cristallizzati di galena, sfalerite, calcopirite, meneghinite e minerali di ganga (quarzo, siderite).

Galleria o Cantiere La Rocca

La miniera del Bottino è anche celebre per gli stupendi campioni di boulangerite, in masse feltrata di dimensioni decimetriche.61

Il suo ingresso è ricavato in roccia apparentemente compatta ma basta avanzare di pochi metri per incontrare una volta formata da ormai esausti paletti, raro tavolame e fascine. Proprio la presenza di queste ultime è sicuro indizio di vuoti sovrastanti ed inoltre sono inserite a guisa di ammortizzatori nell’eventuale caduta di terriccio o pietrame. Si arriva così alle due discese per il primo livello; fino al 1972/73 era utilizzabile la prima dove esisteva una scaletta in legno che poi con il “boom dei minerali” scomparve lasciando la strada del vecchio Pozzo Locarni dove l’acqua scorre a rivoli e l’imbocco è semiostruito da radici aeree.

L’elenco dei minerali ad oggi identificati è il seguente (in grassetto i nuovi minerali ivi scoperti e i relativi riferimenti bibliografici): acantite, albite, anatasio, “apatite”, aragonite, argentopentlandite, arsenopirite, barite, bottinoite62, boulangerite, bournonite, brandholzite, calcite, calcocite, calcopirite, cassiterite, cerussite, chamosite, cinabro, covellite, cubanite, dolomite, dravite, fluorite, freibergite, galena, gersdorfiite, gesso, goethite, idromagnesite, kermesite, malachite, magnetite, marcasite, meneghinite63, muscovite, oro nativo, pentlandite, pirargirite, pirite, pirrotina, quarzo, rutilo, senarmontite, serpierite, sfalerite, siderite, stibnite, ullmannite, valentinite, zolfo.

Arriviamo comunque con cautela al primo livello, la cosiddetta Sala Nera poiché scavata nella durissima e nerastra Tormanilolite (il quarzo nero come genericamente indicato dai minatori) dalla quale tramite un pozzetto si perviene al secondo livello, non in buono stato di conservazione.

Orlandi, P., Dini, A., Pagano, R. e Cerri, M. 2002. Una esauriente descrizione dei minerali raccolti è dato in Benvenuti et al. (1992/1993). 62 Bonazzi, P., Menchetti, S., Caneschi, A. e Magnanelli, S. 1992. 63 Bechi, E. 1852.

Il rumore provoca vibrazioni che si traducono, ingigantite dal silenzio, in possibile distacco di materiali in incerto equilibrio appunto i “pipistrelli”, nome prevalentemente usato in cava e la cosa è tenuta sotto controllo in tutte e due le attività da particolari operatori addetti alla bonifica ed indicati come: sgazzatori in miniera, tecchiaioli in cava.

60

59

61

191

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

192 Fig. 16.13. Miniere del Bottino – Sezione dei lavori sottostanti al livello della Galleria Due Canali.

Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate

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Fig. 16.14. Miniere del Bottino, sezione delle gallerie.

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

194 Fig. 16.15. Galleria Rocca e Ribasso Breviglieri (ricostruzione schematica).

Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate

Fig. 16.16. Boschi di Sant’Anna di Stazzema, cippo minerario (foto T. Kurz).

Fig. 16.17. Strada per Sant’Anna, cartello minerario, (foto T. Kurz).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 16.18. Argentiera di Sant’Anna, (Santa Barbara, foto T. Kurz).

Fig. 16.19. Argentiera di Sant’Anna (foto T. Kurz).

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Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate

Fig. 16.20. Argentiera di Sant’Anna, entrata della antica galleria (foto T. Kurz).

Fig. 16.21. Argentiera di Sant’Anna, antica galleria-parte finale (foto T. Kurz).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 16.22. Argentiera di Sant’Anna, soffitto (foto T. Kurz).

Fig. 16.23. Argentiera di Sant’Anna, soffitto (foto T. Kurz).

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Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate

Fig. 16.24. Argentiera di Sant’Anna, parete (foto T. Kurz).

Figg. 16.25-16.26. Argentiera di Sant’Anna, parete (foto T. Kurz).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 16.27. Argentiera di Sant’Anna, vecchio pozzo (foto T. Kurz).

Fig. 16.28. Argentiera di Sant’Anna, pisoliti (foto T. Kurz).

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Miniere del Bottino – Monte Rocca e zone limtrofe coltivate

Fig. 16.29. Argentiera di Sant’Anna, pisoliti (foto T. Kurz).

Fig. 16.30. Argentiera di Sant’Anna, pisoliti (foto T. Kurz).

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17 Collezione mineralogica Marco Baldi (Selezione di alcuni degli esemplari più significativi, foto Cristian Biagioni)

Fig. 17.1. Berillo BdV 15 mm.

Fig. 17.2. Berillo BdV 15 x 10 mm ritrovamento 1993.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 17.5. Geocronite 3 x 1 5 cm Pollone Ribasso Pollone.

Fig. 17.3. Bournonite Rocca 15 mm ritrovamento 1970.

Fig. 17.6. Geocronite 6x3x3 cm blenda 1.5 cm Pollone ritrovamento 1974, Pizzone.

Fig. 17.4. Bournonite 6 mm con siderite Cava Cugnasca. Fig. 17.7. Meneghinite Monte Rocca 7 x 5 x 3 cm fino a 15 mm.

204

Collezione mineralogica Marco Baldi

Fig. 17.8. Pirite BdV fino a 1 cm.

Fig. 17.11. Sfalerite BdV.

Fig. 17.9. Pirofillite Ripa Trincerone 5 mm.

Fig. 17.12. Sfalerite, Galleria Preziosa.

Fig. 17.10. Quarzo fumé Pollone 15 mm, fino a 5 cm.

Fig. 17.13. Siderite, Galleria Isonzo, Bottino 9 x 7 cm fino a 25 cm.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Fig. 17.14. Stibnite cristallo 2 cm Monte Arsiccio.

Fig. 17.17. Versiliaite 10 x 5 mm BdV.

Fig. 17.15. Solfosale aciculare UK BdV fino a 7 mm.

Fig. 17.16. Tetraedrite, Pozzo Francese, Pollone 1977, 13 mm.

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APPENDICI

207

Appendice 1 Visite e ritrovamenti occasionali Vecchie Argentiere di Sant’Anna

Bossoli o Bussoli3 Buca Trave Buca Tana Fondone Felcini Pungitopi Metato Pozzo al Fabbro Santa Barbara Ribasso Santa Barbara

Le gallerie sono ubicate nel versante marino del Monte Ornato a quota compresa tra 790m e 554 s.l.m. e la loro individuazione non è favorita dalla floridezza dell’incolto sottobosco che le circonda. Sia la Galleria Santa Barbara che la sottostante zona fino al cosidetto Ribasso Santa Barbara sono il frutto di lavori non continuativi condotti tra il 1 gennaio 1833 dall’Impresa Metallurgica di Valdicastello, e il 1952/53 dalle Società S.A.M.A. ed E.D.E.M..

Sbancamenti strada per Gallena

Fortunatamente tutte le attività hanno interessato solamente un breve tratto iniziale delle originarie antiche gallerie oggi conosciute come Ribasso.

Intorno al 1978/1979 grazie anche ai finanziamenti europei venne iniziato lo sbancamento per una strada che raggiungesse il paesino di Gallena fino allora servito da una sola mulattiera.

Visitate più per curiosità storica che per la ricerca di minerali furono per l’autore una vera nuova esperienza, qui infatti fu possibile osservare le antiche tecniche di scavo realizzate a forza di braccia, in gallerie spesso ellittiche e di ridotte dimensioni. Particolarmente belle sono quelle poche e rare porzioni dove le pareti sono quasi completamente ricoperte da carbonati bianchi che uniti all’elevata umidità esaltano la loro brillantezza quando, investite dalla luce artificiale dell’acetilene, danno l’impressione di essere immersi in un alone latteo1.

Il tracciato si sviluppa per la quasi totalità lungo la sponda sinistra del canale omonimo quindi opposta alle vecchie miniere del Bottino tuttavia, così come molti altri, ne seguii l’avanzamento rinvenendo fra le resulte varie specie mineralogiche sempre di dimensioni ridotte ma ben inseribili in una raccolta locale. I minerali raccolti durante tali lavori sono: albite, calcite, “clorite”, dolomite, galena, meneghinite, pirite, pirrotina, quarzo, rutilo, sfalerite, siderite. Da segnalare il rinvenimento di interessanti cristalli aciculari di pirite4.

I minerali sino ad oggi rinvenuti nelle vecchie miniere dell’Argentiera di Sant’Anna sono: acantite, albite, aragonite, barite, boulangerite, bournonite, calcite, calcopirite, cerussite, covellite, digenite, ematite, galena, gesso, goethite, magnetite, malachite, meneghinite, pirite, quarzo, sfalerite, siderite, tetraedrite.

Sbancamenti strada per Cerreta San Nicola Si diparte sul lato destro, avanzando, dalla strada che dal paese di Strettoia porta al Castello Aghinolfi di Montignoso poco oltre la località Cantina fino a raggiungere il piccolo e semi abbandonato paesino di Cerreta San Nicola.

Particolarmente noti in ambito collezionistico risultano i campioni di barite, in candidi cristalli tabulari su matrice di siderite alterata, spesso con individui tabulari di bournonite (frequentemente completamente alterata)2. ELENCO GALLERIE: Trincee Rava Fontana Dell’Acqua Pollastrelli

706 s.l.m. 690 s.l.m. 684 s.l.m. 678 s.l.m. 659 s.l.m. 646 s.l.m. 646 s.l.m. 629 s.l.m. 584 s.l.m. 554 s.l.m.

In seguito ai lavori di sbancamento, vennero raccolte alcune specie mineralogiche interessanti, fra cui la lazulite. Queste scoperte dettero il via a un’attenta ricerca che portò ad individuare alcuni sistemi di vene quarzose nelle quali furono raccolti buoni campioni di ematite, lazulite e pirofillite5.

790 s.l.m. 779 s.l.m. 750 s.l.m. 728 s.l.m. 714 s.l.m.

Le specie ad oggi identificate nell’area di Monte Folgorito sono: “apatite”, cianite, “clorite”, ematite, lazulite, pirofillite, quarzo, rutilo, svanbergite, xenotime-(Y).

Sono ormai 30-35 anni che non vi ritorno quindi non conosco la situazione attuale certamente peggiorata, ma riporto quanto rinvenni nelle resulte abbandonate e franamenti vari nella parte iniziale dell’ampia galleria Santa Barbara lungo il piano di carreggio, senza risalire a livelli superiori causa la manifesta precarietà. 2 Dini, A., Lorenzoni, M. 2010. Cerussite, bournonite e barite della miniera dell’Argentiera di Sant’Anna (Stazzema, Lucca). Rivista Mineralogica Italiana, 1/2010: 56-61. 1

Diverso appellativo locale della medesima pianta il bosso. Orlandi, P., Perchiazzi, N. e Barsanti, M. 1982. La pirite in cristalli allungati di Gallena (LU). Rivista Mineralogica Italiana 1/1982: 3-6. 5 Dini, A., Bramanti, A., Mancini, S. e Orlandi, P., 1997. La lazulite del Monte Folgorito (Alpi Apuane), Pietrasanta, Lucca, Rivista Mineralogica Italiana 2/1997: 171-78. 3 4

209

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Sbancamenti strada per Cerreta Sant’Antonio Nel corso degli sbancamenti per l’apertura di tale strada, venne alla luce un filoncello di galena fortemente deformato e ricristallizzato durante gli eventi tettonometamorfici che hanno interessato le Alpi Apuane6. Sbancamenti strada per Sant’Anna di Stazzema Poco prima di giungere nella piazza del paese, in una piccola cavità naturale messa in luce durante lo sbancamento stradale, sono state osservate masse compatte di barite, con patine di azzurrite e malachite. Tale mineralizzazione richiama quella non distante di Buca dell’Angina.

6 Carmignani, L., Dessau, G., e Duchi, G. 1972. I giacimenti minerari delle Alpi Apuane e loro correlazione con l’evoluzione del gruppo montuoso, Memorie della Società Geologica Italiana 11: 417-31.

210

Appendice 2 Nascita della moderna tecnica minerario – metallurgica I primi tentativi di codificazione scientifica dell’arte minerario-metallurgica, che abbandonano la vecchia alchimia e si basano su elementi fisici, avvengono nel XVI secolo e propongono soluzioni di indubbio valore, spesso innovative, e pressoché insuperate fino al 1700.

4) “De veteribus et novis metallis“ in questo libro si ripercorre la storia della tecnica mineraria fin dall’antichità. In epoca successiva la pubblicazione venne ampliata con l’aggiunta del “rerum metallicorum interpretatio” ossia un glossario in latino e tedesco dei vari termini metallurgici, ma parallelamente il Bauer curava la stesura definitiva del suo grande capolavoro, il citato “De re metallica” forse portato a termine sembrerebbe fra 1533-1553.

Queste rimangono pietre miliari nel vasto campo dell’evoluzione tecnologica mentre la loro rapida diffusione sia in Europa che nel neonato Nuovo Mondo americano venne innegabilmente favorita ed accelerata dal parallelo sviluppo della stampa.

Durante il 1574 la terza ed importante pubblicazione del secolo fu Beschreibung allerfürnemisten Mineralischen Ertzt unnd Berckwercksarten/il Trattato sopra i più importanti tipi di minerali e composti metallici di Lazarous Ercker ed edito a Praga, pubblicazione in cui si forniscono precise indicazioni sulla neonata tecnica di assaggio dei minerali da sottoporre a fusione, gettando le basi per lo sviluppo e l’evoluzione della chimica quantitativa.

Il primo vero trattato di metallurgia, è il De Pirotechnia del senese Vannoccio Biringuccio (1480/1539-40) edito (o forse riedito) a Venezia nel 1540 dallo Stampatore Roffinello. I suoi primi quattro capitoli esaminano la fusione dei minerali aurei ed argentiferi nonché quella del piombo, dello stagno, del rame e del ferro fornendo la prima descrizione abbastanza completa del processo di amalgamazione/liquazione dell’argento1, ed inoltre quella di un forno a riverbero. Tuttavia nel solo volgere di 16 anni l’opera di Biringuccio viene superata, specie per la pratica mineraria e la metallurgia in genere, dall’altrettanto e più famoso trattato De Re Metallica del medico ungherese George Bauer (1494-1555), meglio conosciuto come Agricola, studio pubblicato postumo a Basilea nel 1556.

Nel secolo successivo è da segnalare il trattato Arte de los metales del religioso spagnolo Alvaro Alonso Barba edito a Madrid nel 1640, dove vengono riportate le tecniche di estrazione di argento ed oro dai rispettivi minerali così come praticate nelle miniere del nuovo mondo americano ed alcune notizie sulla metallurgia europea in genere.

La poliedrica figura del Bauer merita un cenno particolare. Medico operante nei distretti minerari di Joachimsthalin in Boemia e Chemnitz in Sassonia prese ad interessarsi delle attività minerarie e collaterali con le quali era quotidianamente in contato tramite gli addetti ai lavori, integrando così la sua già vasta cultura nel campo delle scienze naturali e raccogliendola in un primo volume, pubblicato a Basilea nel 1546, suddiviso in quattro saggi così descritti: 1) “De ortu et causis subterraneorum” tratta argomenti di geografia fisica. 2) “ De natura eorum quae efluunt ex terra” esaminana le acque ed i gas del sottosuolo con i relativi fenomeni. 3) “De natura fossilium“ decisamente il più importante poiché è il primo vero trattato completo di mineralogia2; Entrambi i procedimenti consistono nell’estrazione di argento ed oro dai rispettivi minerali tramite il mercurio ed erano conosciuti fin dall’antichità e praticati su larga scala dai romani nei giacimenti spagnoli come riferisce Plino nelle sue Istorie Naturalis (Libro XXXIII ). 2 il termine fossilium deriva dal latino medievale/rinascimentale “fossilia” significante minerali o meglio cose scavate, e non fossili come oggi inteso. 1

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Appendice 3 Cenni sui metodi tradizionali per la produzione di argento: amalgamazione e coppellatura (o coppellazione). Dall’ormai lontana fase iniziale di lavorazione del metallo nella cosiddetta Età dei Metalli e fino alla nascita e diffusione della moderna metallurgia chimica, l’estrazione di argento dai vari minerali che lo contengono avvenne in due modi e precisamente senza o attraverso l’azione del calore. La scelta razionale dell’una o dell’altra soluzione intesa in termini di rendimento economico finale in rapporto agli sforzi produttivi, fu una conseguenza della seppur empirica evoluzione tecnologica poiché non tutti si adattano, sempre inteso come rendimento, all’uno o all’altro metodo1. Nel primo caso abbiamo quello indicato come trattamento per via umida o amalgamazione mentre nel secondo quello per via secca o coppellatura, come qui di seguito brevemente descritti volutamente omettendo formule e reazioni chimiche che intervengono nel processo.

lasciato riposare il miscuglio per un periodo generalmente superiore ad un mese, seguiva l’eliminazione delle macroscopiche impurità generalmente tramite filtrazione, ottenendo così il prodotto base da sottoporre all’azione del calore in appositi forni di distillazione, dove il mercurio passando dallo stato liquido a quello gassoso rilasciava una masserella, più o meno grande, del prezioso metallo che spesso necessitava di un’ulteriore affinazione.

Procedimento per via umida - amalgamazione

l’operazione preliminare ed indispensabile per questo procedimento è la costruzione di una vasta superficie piana lastricata e riutilizzabile (il patio), resa quanto più possibile impermeabile per impedire, o quantomeno limitare al massimo, la perdita di materiale per infiltrazione nel sottostante terreno. Una volta pronta grandi masse di minerale già cernito e lavato vi venivano ridotte a pulvirulenza mediante una sorta di mulini a macine trascinate (arrastos), operazione fatta generalmente con i muli a cui seguiva l’aggiunta di altri componenti (il crudo) come l’acqua, il mercurio in dosi massicce, il sale marino ed il cosiddetto Magistrale, cioè calcopirite arrostita e polverizzata per sfruttarne il contenuto in cloruro di rame e l’eventuale mercurio. Questa fase è seguita da un ripetuto ed intenso calpestio (repaso) sempre operato con i muli, per ottenere una buona miscelazione dei componenti formando poi dei grossi mucchi (tortas) e lasciandoli riposare per un mese ed oltre3, arrivando finalmente alla filtrazione fatta in sacchi di tela da vele che forniva la materia prima da sottoporre alla consueta fase finale del procedimento, la distillazione.

Il massiccio impiego di questa tecnica è legato allo sfruttamento selvaggio delle ricchissime miniere incontrate nel nuovo mondo delle Americhe dove intorno al 1557 Bartolomeo de Medina attua una variante per ottenere una maggiore produzione contemporanea e denominata Amalgamation por patio y crudo e così articolata:

Viene sfruttato il fenomeno della scomposizione/ assorbimento del minerale da parte di un reagente che nel nostro caso è il mercurio allo stato nativo, peraltro relativamente facile ad ottenersi dal suo naturale solfuro, il cinabro. Il procedimento era conosciuto fin dall’antichità mentre in epoca più recente era sfruttato in particolare nella tecnica di doratura dei manufatti bronzei2 quando con il progresso della chimica il mercurio venne sostituito con nuovi reagenti come gli iposolfiti di sodio, il calcio oppure il cianuro di potassio passando così alla cosiddetta lisciviazione. Ma torniamo alle origini riassumendone la sequenza operativa e le principali variazioni. Il minerale accuratamente cernito e lavato veniva frantumato fino a renderlo quanto più possibile pulvirulento per favorirne l’attacco/scomposizione, fase a cui seguiva la mescolanza con il mercurio e l’aggiunta anche di altri elementi più o meno empirici a seconda se dettati dalla reale esperienza o dalla pratica alchimistica. Dopo aver

Il nuovo sistema produttivo venne adottato (sembrerebbe intorno al 1560) anche da Hernandes De Velasco che lo introdusse nelle analoghe coltivazioni minerarie peruviane dove rimase in uso e pressoché inalterato fino al 1609, quando il religioso spagnolo Alvaro Alonso Barba, operante nel Cile, realizzò una variazione nella fase intermedia del procedimento conosciuto come metodo Del Cazo o Del Fondon (dal nome dei contenitori utilizzati

1 In linea generale ma visto con gli occhi di oggi è possibile stabilire che l’amalgamazione è applicabile sui minerali alogenati o di superficie mentre decisamente negativa per quelli contenenti arsenico e/o antimonio perché difficilmente attaccabili dal mercurio e questo può almeno in parte spiegare il fallimento del metodo quando venne utilizzato nelle miniere del Bottino; indipendentemente da quanto sopra la scelta del sistema fu anche non poco condizionata dalla possibilità o meno di avere disponibili in loco quantità adeguate di combustibile. 2 Il manufatto veniva accuratamente pulito e levigato tramite sabbia strofinata a più riprese ed intanto si preparavano le varie lamine d’oro necessarie a coprire l’intero profilo e già opportunamente sagomate per adattarsi una vicino all’altra, ultimate le operazioni il manufatto stesso veniva via via bagnato con mercurio adattandovi sopra le lamine corrispondenti tenendovele premute e così di seguito fino al completamento.

3 Stato di pulvirulenza, quantità di mercurio aggiunta, miscelazione e periodo di riposo erano gli elementi base che concorrevano alla maggiore o minore resa finale ed il tutto indipendentemente dalla vera e propria messe di vite umane stroncate dalla pressoché quotidiana convivenza con il nocivo mercurio stesso o con gli ancor più letali vapori sprigionantisi in fase di distillazione.

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) che durante la fase di raffreddamento crea una specie di crosta superficiale asportabile dove sono concentrati quasi tutto lo zinco, gran parte del piombo e la maggior parte dell’argento che attraverso la fusione forniscono il cosiddetto piombo arricchito.

cazos in America Latina e fondones in Messico). Questo era costituito in pratica da una amalgamazione a caldo dove il minerale già reso pulvirulento, veniva immesso in grosse caldaie rivestite internamente di rame e reso fluido con aggiunta di acqua, sale marino e mercurio cui seguiva il protratto riscaldamento con contemporaneo e costante rimescolio, attivando così la scomposizione del cloruro d’argento da parte del rame formando il bicloruro di rame, con la separazione dell’argento che si amalgamava con il mercurio, quindi pronto per il consueto filtraggio e la successiva fase finale. Il Barba inoltre descrive fedelmente anche tutti i vari procedimenti produttivi utilizzati nelle miniere americane nel suo, e già ricordato trattato, El arte de los metales edito a Madrid nel 1640. Prima di concludere è da segnalare l’abbandono di tutte queste metodologie e l’utilizzo della amalgamazione soltanto sporadicamente per il trattamento di argento nativo.

Nel 1833 Pattinson scopre un nuovo procedimento dove la massa fusa viene fatta raffreddare entro apposite caldaie asportandone i cristalli di piombo quasi puro che si formano durante la solidificazione ed il risultato è, come nel metodo precedente, piombo arricchito fino quasi al 2,5%. A questo punto ed indipendentemente dal metodo utilizzato è possibile procedere alla vera e propria Coppellazione o Coppellatura. Il prodotto base viene immesso entro un forno a riverbero con il fondo (suola) sagomato a forma di scodella (la coppella), poi durante la fase di fusione la superficie del bagno viene fatta investire da una corrente di aria soffiata per aumentarne l’ossidazione ed ecco il formarsi di una massa nerastra formata dalle diverse impurità e che viene asportata con appositi attrezzi (cucchiaie). Segue la comparsa in ammassi scoriformi, di arsenico ed antimonio ugualmente asportati e solamente adesso ha inizio il cosiddetto periodo (o fase) del litargirio (ossido di piombo) che allo stato fuso ed inizialmente di colore verde viene fatto fuoriuscire da un apposita feritoria mobile praticata nel lato opposto all’entrata dell’aria e che viene abbassata man mano che si abbassa il livello del bagno metallico stesso fino a che il litargirio assume improvvisamente il proprio colore naturale giallo o rosso scomparendo gradatamente fino a formare degli anelli in superficie, quelli che gli addetti ai lavori indicano come “occhi dell’argento in fiore”. Ma il fenomeno è di breve durata poiché improvvisamente il metallo prezioso appare in tutta la sua lucentezza, il cosiddetto “lampo” che mettefine al procedimento.

Procedimento per via secca – Coppellazione (o Coppellatura) Con questo metodo vengono trattati i minerali argentiferi frammisti o contenenti piombo, tuttavia risulta assai costoso causa i vari ed indispensabili passaggi al calore che comportano grande consumo di combustibile. Il minerale già frantumato subiva un arrostimento preventivo finalizzato alla eliminazione della componente sulfurea passando poi alla vera e propria fusione in forni generalmente a manica, ottenendo una lega di piombo/ argento o un miscuglio (metallina) di solfuri di rame, ferro e piombo contenente argento che passano ad una seconda fase di arrostimento/fusione fornendo piombo e rame argentifero, cioè il cosiddetto piombo d’opera o slicco. Generalmente questo prodotto contiene poco o pochissimo argento ed a questa scarsità venne con il tempo ovviato immettendo nel bagno metallico circa il 2% di zinco

Fig. A3.1. Schema di forno a riverbero.

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Appendice 4 Cenni sull’evoluzione della legge mineraria durante il Regno d’Italia disegnatore, soltanto in caso di grandi estensioni è ammessa la scala 1:2000 per il solo piano generale corredato però da quelli di ogni singolo cantiere in scala 1:500 ed entro il mese di marzo di ogni anno ne dovrà esserne fornita una copia aggiornata con tutti i lavori svolti nell’anno precedente al Distretto Minerario di competenza.

Il passaggio da Granducato di Toscana, del quale abbiamo già visto le trasformazioni, al Regno d’Italia è pressoché indolore rimanendo vigente ed invariato il vecchio motuproprio di Pietro Leopoldo, salvo l’introduzione del Regio Corpo delle Miniere dipendente dal Ministero della Agricoltura – Industria – Commercio e la suddivisione della penisola in Distretti Minerari diretti da un ingegnere capo. Nel corso degli anni seguono modifiche e innovazioni, che illustro a grandi linee fino ad arrivare nel 1927 alla emanazione della Legge Mineraria Nazionale che cancella quanto ancora vigente in materia ereditato dall’assetto politico italiano ante unificazione e che fino al momento aveva se non precluso quantomeno fortemente ostacolato (come visto) iniziative.

Arriviamo così al 1927 quando il governo fascista affronta definitivamente la questione delle risorse minerarie in genere nel territorio italiano, stabilendo che le ricchezze del sottosuolo sono un bene di pubblica utilità e come tali beni inalienabili dello Stato il quale, unico interlocutore, può concederne permessi di ricerca e /o concessioni ed anche revocarli. Il proprietario del fondo non ha diritto ad una indennità per il solo fatto della loro esistenza ma verrà risarcito per eventuali danneggiamenti connessi alla escavazione; in caso poi un ricercatore effettui una scoperta ma non ne ottenga la concessione ha diritto ad un premio elargito e quantificato sempre dallo stato stesso.

Con la Legge 25 giugno 1865 n° 2359 viene affrontato il tema di esproprio per pubblica utilità ed in tale beneficio vengono fatte ricadere: “le opere necessarie per il deposito, trasporto, elaborazione dei materiali, per la produzione e trasmissione di energia e per la coltivazione conduzione dei giacimenti in genere nonché la sicurezza delle miniere, 30 marzo 1893 e con Legge n°184 viene rielaborato il Regolamento di Polizia per Cave - Miniere - Torbiere prevedendo che il gestore debba compilare in Municipio un elenco contenente proprie generalità e domicilio così come per tutte le persone addette alla dirigenza e/o sorveglianza con l’obbligo di comunicare al Sindaco eventuali variazioni entro dieci giorni dall’avvenimento. Ingegnere di Distretto, Assistenti o Delegati hanno diritto a visitare a loro discrezione cave,miniere e torbiere, il gestore è obbligato alla collaborazione ed in caso di rifiuto si ricorrerà alle locali autorità di polizia che non potranno rifiutarsi”.

Anche se ispirato alla politica autarchica, è innegabile l’aspetto positivo della uniformità per tutto il territorio che si concretizza con il Regio Decreto n°143 (27 luglio 1927 e pubblicato su G.U. del Regno n° 134 del 23 agosto 1927) composto da sei titoli principali suddivisi in capitoli per un totale di 65 articoli dove le varie sostanze sono suddivise in due categorie principali delle quali la prima categoria, o di miniera, è particolarmente indisponibile, necessita di apposita autorizzazione particolare e comprende tutti i minerali metallici e gli altri come miche, feldspati, amianto, talco, barite, fluorite, sostanze radioattive in genere, caolini e vari tipi di argille, sali minerali e pietre preziose, combustibili liquidi e gassosi, depositi endogeni, acque minerali e termali.

Arriviamo al 2 luglio 1896 e la Legge n° 302 amplia la possibilità di esproprio per pubblica utilità prevedendo anche che nel caso di coltivazioni limitrofe rette da gestori diversi, le operazioni necessarie alla sicurezza- e/o esercizio in comune possono essere fatte riunendosi in Consorzio Volontario che diverrà obbligatorio ed imposto coattivamente per legge in caso di divergenza fra le parti qualora a richiederlo sia la maggioranza degli interessati. Nel 1907 e con regio Decreto n°152 viene approvato il nuovo regolamento esecutivo delle Leggi di Polizia Mineraria già stabilite nel 1893 e che codifica tutto quanto preesistente imponendo, fra i tanti, l’obbligo del gestore ad eleggere il proprio domicilio nel Comune dove avvengono i lavori così come dovrà farlo il delegato rappresentante di una società.

Nella seconda categoria rientrano sabbie, ghiaie, materiali di costruzione e/o edilizia, marmi e rocce decorative o per coti e mole, torba, terre coloranti etc.... Vengono così distinte miniere e cave ed il tutto regolato da apposita normativa anche in materia penale arrivando infine alle norme transitorie dove si impone ai Comuni di Massa e Carrara (provincia già sede di Distretto Minerario) di emanare entro un anno dalla sua entrata in vigore norme e regolamenti per gli agri marmiferi, tutto quanto suddetto diviene competenza unica e diretta del Ministero per l’Economia Nazionale. Con Regio Decreto 18 dicembre 1927 n° 2117 diviene obbligatoria per i gestori o rappresentanti società, la presentazione dei dati statistici relativi alla produzione di miniere e cave mentre il Decreto Ministeriale 30 gennaio 1928 impone la denuncia dello stato dei lavori e dei

Particolare attenzione per piani e disegni dei profili di miniere e cave in sotterraneo che dovranno essere in scala 1:500 e controfirmati sia dal gestore o delegato che dal 215

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) per la produzione di energia elettrica specie a favore delle Regie Ferrovie alle quali è riservata l’intera produzione delle province di Grosseto – Livorno – Siena e Pisa con possibilità di allargamento coattivo anche in altre regioni.

risultati ottenuti da presentarsi ogni due mesi al Distretto Minerario di competenza ma intanto si va profilando la grande crisi economica del 1929 tantoché per fronteggiarla o quantomeno cercarne di limitare gli effetti, con Legge 29 giugno 1929 n° 1108 vengono emanati provvedimenti per agevolazioni nel credito alla industria mineraria in caso di acquisto macchinari, opere importanti e /o trasformazioni tali da rendere la miniera più funzionale con lo stanziamento di L. 5.000.000 annui a partire dall’esercizio 1929/1930.

Con Legge n°285 del 23 marzo 1940 (non estraneo il Rais carrarese Renato Ricci firmatario insieme a Mussolini e Di Rivel) vengono adottate agevolazioni fiscali a favore dell’industria e commercio dei marmi nelle province di Apuania (Massa) e Lucca da ritenersi operante dal 1 luglio 1938 al 31 dicembre 1943 poi ribadito con Regio Decreto 30 luglio con le norme di applicazione mentre le successive normative del 17 novembre 1941 non comportano sostanziali cambiamenti a tutto quanto già vigente. Arriviamo alla neonata Repubblica Italiana di cui traccio un brevissimo e sintetico excursus sulle principali innovazioni apportate.

Sempre nell’anno, il Regio Decreto n° 1932 del 10 ottobre, inserisce il calcare litografico fra le sostanze minerarie di prima categoria ma ormai e purtroppo stiamo arrivando ai venti di guerra che soffiano sempre più forti così come si intensifica il controllo del regime che si traduce nel Regio Decreto 1 novembre 1935 n° 2154 con il quale viene creato un apposito “Ufficio speciale per l’approvvigionamento minerali” diretto e gestito unicamente da personale sia del Ministero delle Corporazioni che Militare. Inoltre il 13 maggio 1936 viene emanato il Decreto Ministeriale n° 13 che conferisce agli Ingegneri Capo di Distretto la possibilità di rilasciare permessi di ricerca mineraria, tuttavia non potranno essere utilizzati senza apposito permesso ministeriale i minerali ferrosi eventualmente ritrovati. Dello stesso anno il Regio Decreto Legge n° 13 del 15 giugno contenente nuovi provvedimenti per ricerca e coltivazione di miniere e cave aumentando ancora il controllo con la imposizione di ”inviare al Distretto Minerario competente ed entro l’ultimo trimestre di ogni anno il programma dei lavori previsti per l’anno a venire pena la decadenza della concessione” .

Le condizioni per lo sfruttamento di miniere, cave e torbiere vengono riviste e stabilite con DPR n°128 del 9 aprile 1959 dove si prevedono anche norme per la sicurezza e salute dei lavoratori. Il tutto adesso è di competenza del Ministero dell’ Industria, Commercio ed Artigianato che opera tramite i 16 Distretti Minerari Italiani, mentre con tutte le nuove modifiche ed innovazioni arriviamo alla normativa generale, sempre comunque ispirata alla vecchia legge del 1927, introducendo vincoli in materia di tutela storico-ambiantale, paesaggistica, idrogeologica e da inquinamento ribadite sia con la Legge Merli che Galasso a completa salvaguardia del territorio-ambiente mentre si arriva al passaggio di competenza per scavi e/o trasformazioni commesse ad attività sia minerarie che lapidee demandata alle Regioni. Ultima in ordine di tempo la cosiddetta Legge V.I.A. (Valutazione Impatto Ambientale) emanata nel rispetto delle direttive CEE e successivamente recepita dalla Regione Toscana con propria legge n°79, 3 novembre 1998.

15 marzo 1937: il Regio Decreto n° 484 inserisce fra i minerali di prima categoria anche i silicati idrati di alluminio ed intanto si lavora freneticamente per la programmata Mostra Autarchica del Minerale Italiano tenutasi a Roma al Circo Massimo dal 18 novembre 1938 al 9 maggio 1939, anno 2○ delle sanzioni, come evidenziato dalla relativa guida corredata da una delle tante frasi ad effetto in voga “Mussolini ha sempre ragione“. Inaugurata dallo stesso duce e visitata dal re, da gerarchi e postulanti per la sua realizzazione si era avvalsa dei maggiori artisti italiani. L’ingresso era sormontato da un’aquila imperiale in argento alta 2 metri e la mostra si articolava in padiglioni tematici: 1) Minerali suddivisi in Pirite – Piombo – Zinco – Alluminio – Mercurio, marmi e graniti; 2) Armi 3) Colonie.

Prima di chiudere, un esempio del caotico intrecciarsi ed accavallarsi di vecchie leggi minerarie nell’intera Italia unita fino al 1927. Nella provincia di Massa Carrara vi convivevano operative ben 5: 1. motuproprio granducale di Pietro Leopoldo 13 maggio 1788, Vigente nei territori di Fivizzano, Calice al Cornoviglio e nella frazione di Terrarossa in Comune di Licciana ed Albiano in quello di Aulla; 2. decreto parmense 21 giugno 1852, per l’intero territorio di Pontremoli; 3. legge napoleonica 9 agosto 1800, per tutto il comune di Fosdinovo; 4. legge del ducato di Lucca 3 maggio 1847, vigente nel territorio di Montignoso, Gallicano, Minucciamo e frazioni di Treppignano-Riana-Lupinaia in comune di Fosciandora; 5. legge mineraria italiana 20 novembre 1859 n. 3755, operativa per disposizione ministeriale 29 giugno 1860 in tutto il restante territorio provinciale.

Particolarmente curato era il padiglione delle armi dove si presentava la loro evoluzione dal gladio romano all’era fascista, in definitiva la mostra era un’esaltazione del genio italico che con l’autarchia aveva sconfitto le inique sanzioni ed aveva reso disponibili armi modernissime per la difesa/offesa, ultimo trionfo propangandistico del regime prima del vicino incontro/scontro con una ben diversa realtà. Di questo periodo è il Regio Decreto n°318 del 20 febbraio 1939 con cui viene rivista la normativa per lo sfruttamento dei gas naturali ora da impegnarsi quasi esclusivamente 216

Appendice 5 Amato Richard (1800-1883) Amato Richard figlio di Claudio Francesco, nasce nel 1800 a Samoens di Savoia. Non ho notizie degli studi e della prima giovinezza fino all’inizio di febbraio del 1833 quando insieme al fratello Giovanni Maria giunge a Valdicastello, poiché entrambi assunti quali tecnici direttivi o meglio Capi Maestri Meccanici, con stipendio di 80 Lire Toscane mensili ciascuno, dalla neonata Impresa Metallurgica dello spagnolo Cav. G. Naro Perres, il quale si proponeva la ricerca e lo sfruttamento dei filoni a galena argentifera (vd. Cap. 14 Miniere di Valdicastello).

Granduca di Toscana Leopoldo II in compagnia della figlia alla Terra di Pietrasanta” avvenuta il 12 marzo 18381, e proseguita anche nel giorno seguente quando la mattina si recava a Ruosina per visitare i pestatoi della Compagnia diretti dal Savoiardo Richard inventore di abilissimi congegni. Le sue innegabili competenze ed esperienze tecnologiche non si limitarono al settore minerario, tantochè a Seravezza, dove da tempo si era stabilito, fondò un’apposita scuola insegnando meccanica a quel gruppo di artigiani ed imprenditori marmiferi impegnati nel gravoso problema del rinnovo e dell’ammodernamento di un parco attrezzature divenuto ormai obsoleto e superato dai tempi, come ad esempio per la segagione dei blocchi di marmo e quindi non più in grado di fronteggiare l’agguerrita concorrenza economico produttiva degli operatori, sempre del settore, della vicina Carrara. Morì a Seravezza il 9 marzo 1883, ed è sepolto nella parte vecchia del locale cimitero.

Nonostante l’impegno profuso nel corso 1836 l’impresa fallisce interrompendo qualsiasi attività. Tuttavia nell’opposta vallata montana era operativa e dedita allo stesso tipo di sfruttamento minerario, la livornese Compagnia del Bottino ed Amato passa alle sue dipendenze, mentre resta ignota la scelta del fratello. Le sue capacità furono indubbiamente notevoli come evidenzia la relazione nell’A.S.C.P. in occasione della “Visita del

Cimitero di Seravezza – area sepolture monumentali Qui Dorme in pace Amato Richard fu Claudio Francesco Nato a Samoens di Savoia Abile meccanico cittadino onesto laborioso Non conobbe odio od invidia Per chicchessia Morì a Seravezza il 9 marzo 1883 In età di anni 83.

Fig. A5.1. Cimitero di Seravezza, lapide a muro di Amato Richard. 1 La cronaca riferisce che “l’attesa del Sovrano avvenne in giornata di grandissima pioggia e per contrastarla venne scoperta la miracolosa (e particolarmente venerata a Pietrasanta) immagine della Madonna del Sole” custodita nel locale Duomo.

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Appendice 6 Fréderic Blanchard (1829-1903)1 Fréderic nasce a Parigi il 24 febbraio 1829 da famiglia abbiente con radici belghe. Si laurea in ingegneria mineraria presso la prestigiosa École Supérieure des Mines de Paris ed entra così a far parte di una società belga con svariati interessi in campo minerario ed in seno alla quale probabilmente non estranea la stessa famiglia Blanchard. A 29 anni sposa la diciottenne Corinna Caire figlia di Antonio, console francese a Firenze, da cui ebbe tre figli: Ernesto, Federigo Enrico Erasmo e Giulio.

Fra le sue molteplici capacità anche l’archeologia mineraria tantochè nel 1875 riuscì a dimostrare che gli Etruschi estrassero lo stagno dalle miniere di Monte Valerio nei pressi di Massa Marittima, facendo così decadere o quantomeno ridimensionando molto la consolidata teoria di una sua importazione dalle mitiche isole atlantiche Cassiteridi, dal nome del minerale stannifero la cassiterite, al largo della Scozia. La scoperta nacque dall’osservazione del lavoro dei barrocciai addetti al carico e trasporto a cottimo della produzione ferrosa (in prevalenza limonite) che durante l’operazione ne scartavano alcuni pezzi apparentemente simili agli altri perché pesavano di più che una volta analizzati rivelarono la presenza del minerale stannifero (avente un peso specifico maggiore). Ed ecco spiegata la presenza di quegli antichi pozzi coltivati via via incontrati in miniera ed oggi inseriti nel locale parco archeo-minerario e genericamente indicati come “le 100 camerelle”.

1

Divenuto direttore delle famose miniere del Bottino si impegna per il loro sviluppo ma l’8 aprile 1867 muore Corinna rapita da improvviso morbo appena ventisettenne, come recita l’epigrafe tombale nel minuscolo cimitero di Cerreta Sant’Antonio2, dove ne ho ritrovato la sepoltura con a fianco quella del figlio Federigo Enrico Erasmo che, sempre nell’epigrafe morì alla fonderia del Bottino il 3 dicembre 1885 suo vigesimo sesto in conseguenza di una malattia che lo affliggeva da anni.

La scoperta fu oggetto di due circostanziate comunicazioni da parte dello stesso Blanchard a Quintino Sella che le lesse alla reale accademia dei Lincei nelle sedute 6 febbraio 1876 e 2 giugno 1878, venendo poi divulgate in riassunto nel Bollettino del Regio Comitato Geologico Italiano6 ma rimanendo comunque circoscritta a sola curisità geologica ignorandone il grande valore archeologico che verrà riconosciuto e rivalutato solamente dopo la nascita della etruscologia come disciplina. Il mineralogista Giovanni D’Achiardi parlandone nel suo articolo L’industia mineraria e metallurgica in Toscana al tempo degli Etruschi7 ricordando la scoperta scrive testualmente: “A cui va il merito a lungo ignorato che gli Etruschi estrassero lo stagno...”. Leggendo le comunicazioni a Quintino Sella ciò che mi ha colpito al di là dell’informativa archeomineraria è stato il presentare la scoperta nelle miniere da me dirette per conto della ditta Fratelli Hollwei di Londra e saperlo contemporaneamente direttore di quelle del Bottino, per altro non proprio vicine. Questo mi ha portato ad una ricerca mirata sull’uomo Blanchard ed il suo tempo che per il contesto temporale ha fornito risultati ben poco noti se non addirittura sconosciuti8. Situazione comune nell’intera Italia pre-unificazione fu la mancanza di ingegneri minerari nostrani e di scuole per la loro formazione professionale contrariamente a quanto avveniva in Francia, Germania, Inghilterra. Il problema venne avvertito anche nel Granducato di

Viene acquistata la grande villa di Ripa già facente parte dei beni del defunto imprenditore Emilio Simi3 con annesso podere agricolo coltivato4 dove c’era un patio molto grazioso con una fontana e piante di camelie mentre sul retro la casa del contadino e la stalla, come scrive nei suoi foglietti di quaderno, probabilmente una specie di diario, la piccola Sandra Massagli che troveremo ancora nel proseguo. Forte della propria disponibilità economica e ricco di contatti ad alto livello Fréderic è anche un attento osservatore dell’evoluzione del commercio dei marmi da poco scoperti in Alta Versilia (Arni - Monte Corchia) ed esportati in tutta Europa, tantochè nel 1873 propone al parlamentare toscano Ubaldino Peruzzi l’acquisto di trenta ettari di terreno sul monte Corchia con cave attive, strade privata etc., già facenti parte dei beni del leviglianese Emilio Simi per 160.000 lire trattabili anticipando anche il fatto che vicino sarebbe passata una strada, l’attuale via Provinciale per Arni Castelnuovo5. Notizie sulla famiglia e sulla loro villa a Ripa sono state rinvenute grazie alla grande fortuna di aver potuto consultare documenti privati della famiglia di origine svizzera Denot trasferitasi a Seravezza, ignoro comunque se tutta o in parte come pure la data esatta dell’evento che sembrerebbe risalire ai primi decenni dell’800, ed in seguito imparentatasi con quella Blanchard per matrimonio fra Jean Denot e Corinna Blanchard. 2 Paesino immediatamente al di sopra di Ruosina, dirimpetto alle miniere e dal quale se ne vede il panorama completo. 3 Nello stesso stile ed imponenza della villa La Versiliana nell’omonima pineta a Marina di Pietrasanta. 4 La ubicazione è oggi identificabile con le adiacenze dell’incrocio fra Via Provinciale per Seravezza e Strada per Strettoia, località (sempre ancora oggi), indicata dagli abitanti come Da Branscià storpiatura versiliese della lingua originale. 5 Notizie tratte da Federigi, F. 1981, cui rimando per una ben più esaustiva trattazione. 1

nn. 1-2 del 1876; nn. 9-10 del 1878. D’Aghiardi, G. 1927. L’industia mineraria e metallurgica in Toscana al tempo degli Etruschi, Studi Etruschi S1. 8 Vitali, S. 1996. Lo stato, la scienza, l’industria. La questione dell’istruzione mineraria in Toscana nella prima metà dell’Ottocento, in Piola Caselli F. e Piana Agostinetti P. L. (a cura di) La miniera, l’uomo e l’ambiente: 311-331. 6 7

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Tutti riposano nel gruppo tombale di famiglia del cimitero di Vallecchia. Negli ultimi anni del 1870 le miniere del Bottino entrano in crisi per il tracollo dei prezzi di piombo ed argento, tantochè nel 1880 vengono messe in liquidazione arrivando alla definitiva chiusura del 1883 pur rimanendo, specie i manufatti, nella disponibilità del direttore. Nel 1985 proprio alla fonderia muore, come anticipato, il figlio di primo matrimonio Federigo Enrico Erasmo11.

Toscana dove tuttavia si andava formando una elite di geologi e mineralogisti in seno all’Università di Pisa come ad esempio, citandone solamente alcuni, Paolo Savi, Leopoldo Pilla, Giuseppe Meneghini, Iginio Cocchi, Antonio D’Achiardi mentre invano vi furono iniziative per l’apertura di scuole minerarie a Massa Marittima, Pisa, Firenze. Il geologo Girolamo Guidoni arriva all’invio di una supplica allo stesso Granduca Leopoldo II per aprire una scuola gratuita di montanistica (leggi tecnica mineraria) a Pietrasanta.

Verso la fine del secolo si afferma lo sfruttamento della pirite per la produzione di acido solforico ed ecco Fréderic impegnato in questo settore pianificando intorno al 1893, la coltivazione di una grossa lente mineralizzata nel giacimento del Pollone presso Valdicastello compresa nei vecchi lavori della prima metà del secolo sottostanti i Pozzi Francese ed Alessandro. Nel frattempo era inoltre diventato ingegnere consulente per l’Italia della potente compagnia mineraria londinese Casa Hollwai con interessi anche nelle miniere del grossetano.

Tutto fallì, vuoi per la mancanza di insegnanti a Massa Marittima che per l’elevato costo di apertura continuativa a Pisa e Firenze ritenuto sproporzionato rispetto ai benefici ottenibili, mentre per Pietrasanta decisiva fu l’opposizione del regio consultore delle miniere Teodoro Haupt. Stesso insuccesso e sempre legato ai costi gestionali ebbero queste iniziative nel regno di Sardegna, dove la scuola di Montierse in Savoia ebbe breve vita preferendo, in entrambi gli stati, inviare prescelti meritevoli alla frequenza di istituzioni estere sostenendone le spese. I primi piemontesi a fare quest’esperienza furono Quintino Sella e Felice Giordano presso l’ École des Mines di Parigi a cui seguirono altri, tantochè al momento dell’unificazione d’Italia gli ingegneri minerari sabaudi erano 14, dei quali 10 provenienti da Parigi e 4 da scuole tedesche9, mentre nel Granducato di Toscana il primo fu Angelo Vegni.

Il 15 febbraio 1903 a 74 anni muore a Ripa: Fréderic Blanchard ingénieur des mines, chevalier de la Légion d’Honneur et des S. S. Maurice et Lazare come riportato sia nel manifesto funebre fatto affiggere completamente redatto in lingua francese, che nell’epigrafe tombale12. Giulia sopravviverà fino al 24/6/194113 assumendo la conduzione della villa ed degli annessi oltre all’amministrazione di un notevole patrimonio gestito con estrema oculatezza e parsimonia fino quasi alla morte, che avviene in periodo di grandi eventi bellici, tantochè a breve distanza le truppe tedesche in ritirata per attestarsi sulla Linea Gotica che aveva i propri capisadi sulle alture di Ripa, tagliarono parte delle piante di olivo che circondavano villa e casa del contadino per fare spazio ai loro mezzi. Poi, sempre dal diario di Sandra, quando

In questo contesto e non trascurando il fatto che la maggior parte delle miniere italiane era gestita da società estere, francesi ed inglesi in particolare con propri ingegneri alla direzione, è quantomai possibile un doppio incarico a Federique Blanchard fra le altre cose divenuto ingegnere minerario fiduciario per l’Italia di casa Hollwai, ed inducendo a pensare ad una compartecipazione inglese nella gestione delle miniere del Bottino come verosimilmente sembra evidenziare lo stesso F. Blanchard con gli invii di campioni da analizzare sempre al laboratorio chimico londinese della stessa.

11 Federigo aveva seguito le orme paterne diventando anch’egli ingegnere minerario e quasi certamente suo collaboratore alle miniere dove in effetti muore lontano dalla casa paterna, un fratello divenne invece commissario di bordo di una nave francese che effettuava la rotta Francia – Antille ed è proprio quest’ultimo (ignoto quale dei due rimasti) che durante una visita al padre, a Ripa, porterà in dono una piantina di “rucaria?” che messa a dimora proprio davanti all’ingresso della villa crescerà fino al 1944 quando le truppe tedesche rasero tutto al suolo e ciò che sopravvisse è il moncone di tronco visibile in primo piano nelle foto (sempre dai ricorsi di Sandra); sconosciuta la sorte del terzo fratello. 12 Mi sono sempre chiesto la motivazione del manifesto funebre in lingua francese, mentre l’analogo per la sorella Emilia e le epigrafi tombali della prima moglie Corinna e il figlio Federigo siano invece in italiano non trovando che possibili ipotesi: il rispetto e /o la volontà del defunto. O forse per il pieno calarsi nel nuovo stato sociale post-matrimonio della vedova Giulia? Ma ripeto sono solo supposizioni. 13 Durante le mie ricerche nel cimitero di Cerreta Sant’Antonio ebbi la fortuna di incontrarvi una anziana signora accompagnata dalla figlia la quale visto quanto andavo facendo -trascrivendo le epigrafi dopo la pulizia delle lapidi e la posa di qualche fiore di campo raccolto nei dintorni- mi disse di essere stata giovanissima domestica in casa “Branscià” ancora vivente Giulia descrivendomela come una donna dal carattere duro ed estremamente economa con la servitù ma molto precisa (posso confermare la seconda parte avendo visionato le sue pressoché giornaliere annotazioni entrate-uscite – dare – avere come un vero libro mastro) e tutto questo offre forse una chiave di lettura alle tombe di Corinna e Federigo nel piccolo cimitero lontano dai nuovi legami un probabile taglio netto con tutto quanto antecedente il secondo matrimonio.

Nella villa a Ripa viene raggiunto dalla sorella Emilia, adesso vedova Dumond, che vi rimarrà fino alla morte (Parigi 23/11/1814 – Ripa 3/11/1896) ma ecco che quantomeno nel 1881 a 52 anni, Fréderic sposa in seconde nozze la trentunenne seravezzina Giulia Raffaelli figlia del notaio Luigi, e dall’unione nascono tre nuovi figli: Corinna (1882-1966) poi maritata con Jean Denot, Louise (18831960) per matrimonio francese divenuta poi contessa Adrienne de Selle du Real ed Emilio (1888-1970)10 (5) che sposerà la lucchese Fannì Massagli.

Idem: 322. Sempre dalla piccola Sandra veniamo a conoscenza che Emilio non frequentò scuole pubbliche ricevendo la istruzione di base direttamente in casa ed in lingua francese che da sempre rimaneva quella ufficiale di famiglia, proseguendo gli studi in collegio a Siena frequentando poi un biennio di ingegneria presso l’università di Pisa; contrariamente a quanto fatto dalla sorella optò per la cittadinanza italiana anzi partecipando alla guerra 1915/1918 come tenente del Genio trasferendosi poi a Zurigo dove coseguirà la laurea in ingegneria (ignoro quale specializzazione) sostenendo tutti gli esami in lingua tedesca. 9

10

220

Fréderic Blanchard (1829-1903) 1944 infine tutto venne minato, così come l’intero paese di Ripa, e fatto saltare riducendo ad un grande cumulo di macerie.

vennero nella villa e salirono al primo piano scopersero le foto degli antenati francesi e belgi, gli spararono negli occhi e distrussero anche la raccolta di minerali che non avevano mai lasciato la casa per la loro preziosità. Nel

Fig. A6.1. Necrologio di Fréderic Blanchard (documentazione privata dell’autore).

221

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana) Cimitero di Vallecchia – sepolture antiche/area monumentale Ci–Gìt Frederic Blanchard Ingénieur de mines Chevalier de la Légion d’Honneur et des SS. Maurice et Lazare né à Paris le 24 Fevrier 1829 décédé à Ripa le 15 Fevrier 1903

Fig. A6.2. Cimitero di Vallecchia, gruppo tombale Blanchard – Denot.

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Fréderic Blanchard (1829-1903) Cimitero di Cerreta Sant’Antonio A terra ed immediatamente prima della cappella, lapidi tombali di: Corinna Caire ( a sinistra ), Federigo Enrico Erasmo ( a destra )

Federigo Enrico Erasmo del Cav. Federigo Blanchard morì alla fonderia del Bottino il 3 dicembre 1885 suo vigesimo sesto

Corinna di Antonio Caire Moglie del Cav. Federigo Blanchard Rapita da improvviso morbo Il 8 aprile 1867 Appena ventisettenne Il marito inconsolabile Ed i tre figlioletti Ernesto Federigo e Giulio Questa memoria posero

-----------------Nella lunga malattia la sua travagliata giovinezza apprese con profitto agli studi di Ingegnere per le miniere le doti della mente e del cuore e l’indole sua soavissima lo resero caro alla famiglia che inconsolabile lo compose quì accanto alla madre

RJP

------------------

Fig. A.6.3 Cimitero Cerrata Sant’Antonio, iscrizioni tombali di Corinna e Federigo Blanchard.

223

Appendice 7 Note sulle zone mineralizzate nel territorio del Capitanato di Pietrasanta di Padre Bonaventura Paci (1600) e Giacomo Mill (1700) Di seguito sono riportate le note come lasciateci dal religioso livornese Padre Bonaventura Paci alla fine del 1600 e dal colonnello inglese, al servizio dei Medici, Giacomo Mill a circa metà del 1700.

3. Cava del cinabro di Levigliani. 4. Cava del mercurio idem. 5. Cava del rame di Puntato. 6. Cava del ferro di Taverone. 7. Cava di Marchesita detta Le Verghe. 8. Cava del cristallo di monte In corniola. 9. Cava con ambra detta Scirone.

Nota del Padre Bonaventura Paci14  1) A Palatina in più luoghi in diversi monti.  2) A Stazzema in più luoghi in abbondanza, ve ne sono di due qualità, e nel suddetto luogo si trova anche la calamita.  3) Al Computo.  4) All’Armena.  5) A Desiata per segno.  6) Al Forno e salita per segno.  7) Al Chiappino in un luogo.  8) All’Orso in un luogo.  9) All’Ombrione. 10) Alle Mulina in più luoghi. 11) Al Boscore in più luoghi 12) A Sant’Anna in più luoghi 13) A Monte Ornato in più luoghi 14) Al Corsinello in più luoghi. 15) Al Grifo nuovo in più luoghi. 16) A Monte Arsiccio ed in abbondanza. 17) Al Pansutero in più luoghi ed in abbondanza. 18) Al Palazzo della Nuova Verzaglia in più luoghi ed in abbondanza. 19) A Betigna molti filoni in luogo detto Arno, per nome Valchedunia, con segni d’oro, argento e piombo. 20) A Santa Maria Maddalena in Arni sotto la strada che conduce a Massa vi è una minera di rame. 21) Sopra l’Argentiera in luogo detto Bottino, una miniera di argento che partecipa piombo. 22) A Valdicastello, riscontro al palazzo della nuova Verzaglia vi è una miniera di argento in tarso con ametista e grisolita. 23) Nell’istesso luogo sotto il mulino detto... forse una miniera d’argento. 24) In Pancola una miniera di tarso che vi è stato lavorato. 25) A Levigliani una miniera di cinabro e mercurio in più luoghi. 26) Alle Mulina una miniera di vetriolo. Nota di Giacomo Mill15 1. Cava del piombo a Levigliani. 2. Cava dello stagno detta Bandita. La trascrizione non segue l’ordine originale per comodità di trascrizione. Almeno apparentemente sembrerebbe venire descritta la zona di Levigliani/Alpe di Terrinca e per la prima ed unica volta in tutte le mie ricerche viene citato lo Stagno. 14 15

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233

Tavole

Tav. 1. Miniera di Ripa: planimetria del giacimento di Ripa (1:1000).

235

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 2. Miniera Cinabrifera di Ripa: pianta (1:500).

236

237 Tavole

Tav. 3. Miniera di Levigliani: planimetria del giacimento di Levigliani (1:1000).

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 4. Miniera di Farnocchia: planimetria della zona di concessione mineraria detta “Farnocchia” sita nel Comune di Stazzema (1:10000).

238

Tavole

Tav. 5. Miniera di Farnocchia: planimetria generale (1:2000).

239

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 6. Miniera di Farnocchia: planimetria 405 (1:500).

240

241 Tavole

Tav. 7. Miniera di Val di Radice -Calcaferro-Farnocchia: miniera di pirite in Val di Radice, Comune di Stazzema, planimetria generale, Ditta Fratelli Pocai di Stazzema, (1:500).

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 8. Complesso delle Miniere del Bottino: S. Anna, Monte Arsiccio, Valdicastello (1:2500)

242

Tavole

243

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 9. Miniera del Bottino: Altimetria: Sviluppo dei lavori lungo il filone (1:500)

244

Tavole

245

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 10. Miniera del Bottino - Gallena e Rocca: Planimetria. Miniere dell’Argentiera S.C.E.L.; Tav. IV (1:25000)

246

247 Tavole

Tav. 11. Miniera del Bottino: Planimetria S.C.E.L. Miniere dell’Argentiera; Tav. VIII (1:500).

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 12. Miniera del Bottino: Pianta, Miniere dell’Argentiera; (1:1000).

248

Tavole

Tav. 13. Miniera del Bottino: Galleria Due Canali, prospetto; Società Miniere dell’Argentiera, copia Direz. 66.

Tav. 14. Miniera del Bottino: fabbricati dei Due Canali, prospetto e pianta (1:100), cabina elettrica prospetto e pianta (1:50).

249

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 15. Miniera del Bottino: Laveria, prospetto. Miniere dell’Argentiera, 24 luglio 1920 (1:50).

250

Tavole

Tav. 16. Miniera del Bottino: Cantiere della Rocca e affioramento di Conca Denari, Tav.5 (1:1000).

251

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 17. Miniera del Bottino: Laveria, sez. trasversale misti. Dis. N. 6390. Cagliari dicembre 1920 (1:50)

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Tavole

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 18. Miniera del Bottino: S.C.E.L. Cantiere della Rocca “sezione” (1:500).

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Tavole

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

256

257 Tavole

Tav. 19. Miniera del Bottino: Cantiere della Rocca e Ribasso Breviglieri, Tav.6 (1:500).

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 20. Miniera del Bottino: Cantiere della Rocca, particolari. Ribasso Brevigleiri Tav. 9 (1:500).

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Tavole

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 21. Miniera di Valdicastello: planimetria della zona di concessione mineraria detta “di Valdicastello” sita nei comuni di Pietrasanta-Stazzema-Camaiore (1:10000).

260

Tavole

Tav. 22. Valdicastello teleferica: teleferica Canale del Ferraio, confini del polverificio, N. 524 (1:500).

261

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

262 Tav. 23. Valdicastello teleferica: Canale del Ferraio, stazione di carico e decauville d’accesso, A526, (1:500).

Tavole

Tav. 24. Valdicastello: Ponte del Ferraio e attraverso il polverificio di Valdicastello (1:20; 1:50).

263

Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

264 Tav. 25. Miniere di Valdicastello: planimetria di un’acquedotto e di una funicolare per l’esercizio del solfato di barite in Valdicastello, Comune di Pietrasanta (1:2500).

Tavole

Tav. 26. Miniere di Valdicastello: Cantiere Gallena, pianta e sezione (1:500).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 27. Miniere di Valdicastello: Società Italiana Esplodenti “La Versilia” L. Bresciani & C. Polverificio di Valdicastello, Comune di Pietrasanta, Sezione catastale G. (1:1250).

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Tavole

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 28. Miniere di Valdicastello: piano della concessione di pirite, piombo e barite denominata “Valdicastello”, concessionaria Soc. An. Miniere dell’Argentiera (1:2500).

268

Tavole

Tav. 29. Miniere di Valdicastello: piano della concessione di ferro pirite e rame denominata “Monte Arsiccio”, concessionaria Soc. An. Miniere dell’Argentiera (1:2500).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 30. Miniere di Monte Arsiccio: planimetria generale dei terreni, Comune di Stazzema Sezione E. (1:2500).

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Tavole

Tav. 31. Miniere di Monte Arsiccio: planimetria della zona mineraria (1:5000).

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 32. Miniere di Monte Arsiccio: S.A. E.D.E.M. miniera di Monte Arsiccio; profilo longitudinale, Ing. Zabelli (1:500).

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Tavole

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 32. Continued.

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Tavole

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Le miniere delle Alpi Apuane (Toscana)

Tav. 33. Buca della Vena: S.I.M.A. spa Società ind. Mineraria Apuana Miniera di Buca della Vena, planimetria (1:500).

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Tavole

Tav. 34. Buca della Vena: planimetria dei livelli minerari (1:500).

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BAR IN TERNATIONA L SE RIE S 3034 ‘This book fills an important gap in the knowledge of the mining history of the Apuan Alps.’ Professor Paolo Orlandi, Università di Pisa

Il volume è uno studio della storia e archeologia mineraria delle Alpi Apuane meridionali (Toscana) dalla preistoria all’epoca moderna. La ricerca è iniziata negli anni ‘70 quando l’autore ha avuto occasione di esplorare di persona molte delle miniere di questo territorio, oggi chiuse ed in rovina, incontrando i direttori e le ultime maestranze di quelle ancora attive. La raccolta delle loro testimonianze e delle informazioni relative alle miniere ha permesso che questo patrimonio intangibile non andasse perduto. La minuziosa ricostruzione storica è stata possibile grazie alla ricerca archivistica dei decenni successivi, che, combinata con i risultati delle intense attività archeologiche condotte in quegli anni dal Prof. Bruno Antonucci e dal Gruppo Speleologico ed Archeologico Versiliese (GSAV), ha contribuito a delineare il panorama dell’attività estrattiva sul territorio apuano meridionale fin dall’antichità, evidenziando come le risorse minerarie abbiano da sempre avuto un ruolo centrale nello sviluppo culturale della regione. This volume is a study of the history and archaeology of mines and mining in Northern Tuscany (Alpi Apuane) from prehistory to modern times. The result is a full panorama of the mining activity in the southern Apuan Alps since antiquity, documenting how the mineral resources have always played a central role in the cultural development of the region. Marco Baldi è uno studioso indipendente di archeologia mineraria delle Alpi Apuane meridionali a cui ha dedicato 40 anni di studi e ricerche diventando il maggior esperto di storia mineraria locale. Per la sua generosa collaborazione con le istituzioni scientifiche a lui sono stati dedicati due nuovi minerali: la marcobaldiite e la arsenmarcobaldiite. Marco Baldi is an independent scholar who has devoted 40 years of study and research to the archaeology of mines and minerals in the Apuan Alps and is a leading expert on the subject. In recognition of his fruitful collaboration with scientific institutions two new minerals have been named after him: marcobaldiite and arsenmarcobaldiite. Deborah Giannessi è un’archeologa. Ha collaborato in molteplici scavi e ricerche nel territorio apuo-versiliese all’interno delle attività del Museo Archeologico Versiliese Bruno Antonucci di cui Marco Baldi è socio fondatore. Ha partecipato a missioni archeologiche all’estero in Siria, Oman ed Iraq. È autrice di numerosi studi scientifici. Deborah Giannessi is an archaeologist who has participated in many excavations and projects in the region of Versilia organised by the Museo Archeologico Versiliese Bruno Antonucci, of which Marco Baldi is a co-founder. She has also been a member of archaeological projects abroad, in Syria, Oman, and in Iraq. She is the author of numerous scientific studies.

Printed in England