La teoria analitica dei concetti giuridici
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UNIVERSITÀ

DI

CAGLIARI

PUBBLICAZIONI DELLA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA Serie l (G,uridica}

Volume 41

ANNA PINTORE

LA TEORIA ANALITICA DEl CONCETTI GIURIDICI

NAPOLI - CASA EDITRICE DOTT. EUGENIO JOVENE

-

1990

©

' DIRITTI D AUTORE RISERVATI

Copyright 1990 by Casa editrice ]avene

Stampato in Italia

Tipografia V Pipola

Napoli

Printed in Italy

Melito (NA) Cupa

S.

Antimo,

20

INDICE SOMMARIO I n traduzione

pag.

PARTE PRIMA CAPITOLO

PRIMO

HART: DALLA DEFEASIBILITY DEI CONCETTI ALLA STRUTTURA APERTA DEL DIRITTO l. Premessa 2. Enunciazioni ascrittive e defeasibility

2.1. La defeasibility dei concetti giuridici 2.2. Ascrittività e atti linguistici 2.3. Defeasibility e concetto di diritto .

3. Definition and Theory in Jurisprudence 3.1. Definizioni e «controparti fattuali delle parole» 3.2. Conclusioni di diritto . 4. Somiglianze di famiglia e struttura aperta del diritto

CAPITOLO

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9 10 12 16 18 24 26 30 43

SECONDO

EMPIRISMO E PRESCRITTIVISMO SEMIOTICO LA SEMIOTICA DEI CONCETTI GIURIDICI DI ALF ROSS l.

2. 3.

4. 5.

6.

Premessa Significato e refereme Concetti fattuali e concetti sistematici Riduzionismo normativistico e prescritrivismo Ross e la scienza giuridica tradizionale Realismo giuridico e limiti del diritto

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51

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64

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54 67

73

82

INDICE SOMMARIO

VI

CAPITOLO TERZO

QUALIFICAZIONE E PRESCRIZIONE: IL CONTRIBUTO DI SCARPELLI ALLA SEMANTICA DEI CONCETTI GIURIDICI l.

2.

3.

4. 5. 6.

Premessa 1.1. Quattro problemi . Concetti fattuali e concetti qualificatori 2.1. Giudizi di valore, norme, prescrizioni 2.2. Le « conclusioni di diritto » di H art e quelle di Scarpelli Concetti fattuali e concetti qualificatori nel diritto 3.1. I concetti qualificatori nel diritto . 3.2. I concetti fattuali nel diritto . 3.3. Due tesi serniotiche sui rapporti tra diritto e linguaggio ordinario Capacità conoscitiva dci concetti giuridici . Scarpelli vs. Ross «Nucleo solido » dei concetti e scienza giuridica

pag. )) )) ))

87 93 94 94

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100 100 105

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97

1(}9

116 120 130

PARTE SECONDA CAPITOLO

QUARTO

CONCETTI INTRINSECAMENTE APERTI: DWORKIN E IL DIRITTO COME INTEGRITA ))

l. Premessa 2. Il diritto come integrità 3. Il linguaggio e le norme 4. Concetti e concezioni . 5. Il sistema dei principi

))

>>

)) >)

143 149 156 162 172

CAPITOLO QUINTO

CONCETTI GIURIDICI, ISTITUZIONI, REGOLE COSTITUTIVE. LA TEORIA ISTITUZIONALE DI NEIL MACCORMICK l.

2. 3. 4. 5. 6. 7.

Premessa Istituzioni giuridiche L'antologia dei fatti istituzionali La semiotica delle istituzioni giuridiche Prescrittivo e costitutivo L'> di M acCormick .

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183 184 193 202 208 218 224

IND!CE

VII

SOMMARIO

CAPITOLO SESTO

SISTEMA, POTERE, SCRITTURA: LA TEORIA CRITICA DEL DIRITTO DI PETER GOODRICH l. Premessa 2. Sistema semiotico e sistema giuridico 3. Langue e parole del diritto . 4. La semiotica critica

5. Diritto, scrittura, concetti giuridici

pag. »

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229 231 241 255 260

PARTE TERZA CAPITOLO SETTIMO

I LIMITI DEL DIRITTO »

l.

Premessa

2.

Concetti giuridici tra fatti e norme

))

2.1. Irriducibilità dei concetti giuridici 2.2. Il prescrittivismo semiotico e giuridico .

))

3 . Il diritto come sistema semiotico 3 .l. Concetti gi uri dici e concetto di diritto 3.2. I limiti del diritto 3.2.1. La critica al sistema . 3.2 .2 . Concetti intrinsecamente aperti 3.2 .3. Diritto e linguaggio ordinario 3 .2 .4. I rimedi alla decodificazione 4. Conclusioni Riferimenti bibliografici Indice dei nomi

))

275 276 276 285 294 294 298 300 304 307 314 317

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319 329

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INTRODUZIONE Un'esigenza comune a molta parte della teoria giuridica con: temporanea è quella di distinguere tra ciò che è diritto e ciò che non è diritto, di porre dei « limiti del diritto » 1• Spesso si è ritenuto sufficiente, per soddisfare questa esi genza, compiere una scelta di campo tra positivismo giuridico e giusnaturalismo intesi come posizioni giusfilosofiche mutualmen­ te esclusive. Spesso inoltre si è reputato, almeno implicitamente, sufficiente per fissare confini al diritto indicare l'ordine di priorità logica fra i concetti giuridici e il diritto positivo. Cosl, il giuspo­ sitivismo è stato raffigurato come la posizione filosofica di coloro che ritengono che i concetti giuridici vengano dopo le norme e il diritto positivo; ii giusnaturalismo al contrario è stato raffigurato come la posizione filosofico giuridica difesa da chi ritiene che i concetti vengano prima delle norme e del diritto positivo (o al­ meno, non sempre vengano dopo). La ricostruzione polemica della lotta storica tra il giuspositi­ vismo e il giusnaturalismo riguardo al tema dei diritti soggettivi giuridici segue di solito proprio questa impostazione. I diritti sog­ gettivi, per il giuspositivista, vengono dopo il diritto positivo e le norme giuridiche; essi esistono (in un senso da precisare) solo se il diritto e le norme li conferiscono agli individui: tutto il resto è non-diritto, parte dei nostri desiderata morali o di altro genere

1 L'espressione «limiti del diritto» è di J. RAz, Legai Principles and the Limits of Law, in Ya/e Law ]ourna/, 1972, dedizione parziale in M. CoHEN (a cura di), I{o!'ald

Dworkin and Contemporary Jurisprudence, Rown:ian· & Allanheld, Totowa 1984, che la adopera, significativamente, por difendere la norma di riconoscimento ·hàrtiana dalle

critiche di Dworkin.

2

INTRODUZIONE

(nella pratica). Per il giusnaturalista, invece, i diritti soggett1v1 giuridici esistono (in un senso pur esso da precisare) anche prima che il diritto e le norme li riconoscano agli individui: « si tratta di sostenere l'idea che il diritto soggettivo, cioè la proprietà pri­ vata, sia, di fronte al diritto oggettivo, una categoria trascen­ dente, un'istituzione nella quale la formazione dell'ordinamento giuridico trovi un ostacolo insormontabile » 2• Per il giuspositi­ vista il concetto di diritto soggettivo e tutti gli altri concetti del diritto, potendo sempre essere ricondotti al diritto positivo ( in modi da precisare), non sono fonti (surrettizie) di diritto nuovo ( « se il diritto soggettivo viene ridotto all'oggettivo, viene assor­ bito dall'oggettivo, allora viene escluso ogni abuso ideologico » l Per il giusnaturalista i concetti giuridici sono al contrario un fat­ tore decisivo di apertura del diritto, perché da essi possono ram­ pallare (in modi da determinare) nuove regole e contenuti giu­. ridici. Questo modo di impostare il problema può essere opportu­ no per ragioni polemiche, e può inoltre rappresentare un'utile semplificazione a fìni didattici. Tuttavia, anche gli artefici di tale impostazione - primo fra tutti Kelsen ·- non ignorano che vi sono modi di " aprire " il diritto molto più sottili che non la tesi del giusnaturalismo radicale, che i diritti soggettivi vengano prima del diritto positivo. L'esigenza di porre limiti al diritto discende da altre più fondamentali esigenze etico-politiche e conoscitive: solo così sem­ bra infatti possibile escludere intrusioni valutative nella descri­ zione e salvaguardare la possibilità di un accostamento descrittivo al diritto: come si potrebbe mai descrivere il diritto com'è se non fosse possibile distinguerlo dal diritto come dovrebbe essere? La tesi dei limiti del diritto è dunque nient'altro che un aspetto 'del principio che impone di separare il diritto dalla morale, il diritto

l H: !CELSEN, Litt,eamenti di dottrina pura del diritto (1934), trad. it. di R. Treves, Einaudi, Torino 19523, p. 80. l H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pttra del diritto, cit., p. 85,

INTRODUZIONE

com'è dal diritto come deve essere: uno dei sensi principali in cui si parla di positivismo giuridico nella filosofia del diritto contem­ poranea. Il modo migliore di soddisfare l'esigenza di fissare i limiti del diritto è sembrato a molti teorici contemporanei del diritto quello di concepire il diritto come insieme di norme, insieme fi­ nito e individuabile in modo abbastanza univoco. La concezione della norma adoperata può mutare a seconda delle inclinazioni giusfilosofiche e degli specifici obbiettivi dell'indagine teorico giu­ ridica, ma ciò non sembra intaccare il consenso sulla tesi dei li­ miti del diritto. Questa tesi viene dunque di solito esaminata, per difender­ la o criticarla, nel capitolo dedicato alla norma fondamentale o di riconoscimento, dunque nel quadro dei massimi problemi della validità e della definizione del concetto di diritto, e chiama in causa pertanto direttamente i principali orientamenti :filoso:fìco giuridici contemporanei: positivismo giuridico, giusnaturalismo, realismo giuridico.

È tuttavia possibile esaminare questa tesi partendo da un tema assai meno fondamentale dal punto di vista :filoso:fìco giuri­ dico : il tema dei concetti giuridici. Esso appare infatti spesso il luogo privilegiato dal teorico per esprimere, sul terreno descrit­ tivo, le proprie convinzioni sui confini del diritto e per far valere, sul terreno prescrittivo, le proprie istanze di chiusura o di apertura del diritto. Partire dall'argomento dei concetti giuridici per esaminare l'idea dei limiti del diritto è a mio parere particolarmente oppor­ tuno, per due ordini di ragioni . In primo luogo, infatti, il tema dei concetti giuridici rende piuttosto evidente la natura problematica della tesi dei limiti del diritto, ma ha il vantaggio di non costringere a ricondurla e ridur­ la immediatamente a una scelta di campo filosofico giuridica . In secondo luogo, il tema dei concetti giuridici consente di affrontare la questione dei limiti del diritto sul terreno semiotico, come alternativa tra semiotiche giuridiche chiuse e aperte (che,

INTRODUZIONE

4

come si ved�à, non è sempre agevolmente riconducibile alla eone trapposizione tra -il giuspositivismo e

il giusnaturalismo), come

alternativa tra semiotiche che considerano il diritto e i vari diritti storici com.e ùn insieme di fenomeni semiotici (non necessaria­ mente solo linguistici) finito e. semiotiche che al contrario consi­ d�rano il diritto e i vari diritti storici come un insieme di feno­ meni serniotici privo di confini. l concetti giuridici sono entità strane dal punto di vista se­ miotico, non essendo affatto chiaro il loro ruolo specialmente se­ mantico e pragmatico nel linguaggio e discorsi giuridici, della leg­ ge e dei giuristi. Prima ancora che l'opportunità è dunque in que­ stione la possibilità

di una loro riduzione alle norme e al diritto, e

le. modalità di questa. Non è peraltro mia convinzione che il problema dei concetti giuridici sia un problema solo serniotico o esaustivamente affron­ tabile dal punto di vista semiotico. Ritengo al contrario che le idee semiotiche non abbiano mai un fondamento indipendente e dipendano invece da prese di posizione di altra natura, di carat­ tere metodologico, epistemologico, etico-politico o addirittura metafisica. Credo anzi che il presente lavoro possa contribuire a mostt;are ·quanto. sia .ffiusoria la. convinzione di potersi accostare ai concetti e al linguaggio giuridico s�nza aver compiuto, in un momento almeno logicamente precedente, alcuna scelta :filosofica. Nel presente lavoro· ho cercato di compiere a ritroso il per­ corso delle tesi semiotiche in materia di concetti giuridici alle idee filosofiche. più fondamentali sulla natura dei concetti e dei si­ gnificati, della conoscenza giuridica e dei valori. Il tema dei con­ cetti giuridici rappresenta il punto di confluenza di questo com­ plesso di idee fondamentali. Esso è pertanto

cruciale,

in un du­

plice senso. Da un làto; ésso è cruciale perché rappresenta il crocevia, il punto di confluenza e di snodo di tesi più fondamentali. . Dali 'altro lato, il te:ma dei concetti giuridici è cruciale nel senso in cui Popper,richiamaridosi a Bacone, parla di casì cruciali

.. INTRODUZIONE

5

per la scienza 4: è il luogo, uno deiluoghi principali; in cui le idee fondamentali -· descrittive e prescrittive .-. - sul dirittò devono affrontare il loro test, possono essere saggiate nella loro coerenza -·

interna; Occuparsi dei concetti del diritto è pertanto un modo· più circoscritto e interno di occuparsi del concetto di diritto: equi­ vale ad affrontare i medesimi problemi, accostandoli dall'angolo visuale di un loro punto di arrivo piuttosto che del loro punto di partenza. Nelle pagine che seguono ho affrontato il problema deLli­ miti del diritto esaminando le idee di alcuni teorici contempora­ nei del diritto che hanno fornito un contributo decisivo all'elabo­ razione di una teoria analitica dei concetti giuridici (Hart, Ro.ss e Scarpelli), o che hanno prospettato e delineato sviluppi " etero­ dossi " di questa (MacCormick), ovvero infine che hanno messo in discussione, in modo radicale, i suoi aspetti princip�li (Dworkin e Goodrich) cogliendo dunque, con la loro critica, i punti da\Tvero . fondamentali. Ho condotto questo esame. seguendo un ordine sia storico che concettuale (in questo caso felicemente coincidenti). Ho esa­ minato dapprima le idee di Hart: si deve infatti a Hart la elaborazione iniziale di una teoria analitica e riduzionistica dei concetti giuridici, teoria a cui hanno dato i maggiori contributi specialmente Scarpelli e Ross, esaminati di seguito. Mi sono poi occupata delle idee di Dworkin, la cui teoria giuridica rappresen­ ta il versante sistemico della critica alla posizione analitica. Ho preso poi in esame le idee di MacCormick, un teorico. che. si pone consapevolmente sulla strada di un ampliamento della concezio­ ne hartiana del diritto e alla ricerca di una sua possibile èoncilia­ zione con la teoria dworkiniana dei principi giuridici. Infine mi sono occupata di Goodrich, autore che muove una critica globale all'accostamento analitico ai concetti giuridici da un punto di vi-

4 V. K. R. PoPPER, Congetture e confutazioni (1969), trad. i t. di G. Pancnldi, Il Mulino, Bologna 1972, p. 193.

INTRODUZIONE

6

sta radicalmente antisistemico. Nell'ultimo capitolo ho cercato di trarre alcune conclusioni, in particolare sotto forma di chiarimen­ to della natura degli argomenti semiotid più diffusi e più signifi­ cativi a sostegno o a critica della tesi dei limiti del diritto . Ritengo che questo lavoro possa fornire anche un quadro rappresentativo degli orientamenti e delle tendenze prevalenti nel­ la teoria del diritto contemporanea.

A mio parere la teoria giuridica vive oggi uno dei momenti storicamente ricorrenti, non tanto di rivolta contro il formalismo, quanto di rivolta contro il metodo, che vuol dire alla fin dei conti contro il rigore :filosofico . Il dworkinismo e le teorie giuridiche " critiche " oggi diffusi per citare i due casi estremi discussi in questo libro - sono un chiaro esempio di questa tendenza . Fra le tante distinzioni travolte da questa ventata critica contro il meto­ -

do, vi è quella, adoperata dalla filosofia analitica in modo che alcuni giudicano pedantesco, tra il descrittivo e il prescrittivo. Tra i sensi in cui è possibile parlare di filosofia analitica, posso considerare questo lavoro un esercizio di analisi :filosofica, perché ho cercato di adoperarvi sistematicamente proprio la distinzione tra il pre­ scrittivo e il descrittivo, applicandola in primo luogo all'oggetto della mia indagine, ossia al problema dei limiti del diritto . Que­ sto è infatti un problema prescrittivo, nel senso che involge pri­ mariamente questioni di scelta etico-politica relative al diritto, ma ha importanti componenti cognitive e semiotiche, che proprio per questa ragione si tende a trascurare, e che io ho invece voluto sottolineare ed esaminare diffusamente . E la tesi dei limiti del diritto è essa stessa innanzi tutto una prescrizione, una idea di po­ litica del diritto e di politica nel diritto. Essa individua e coglie, nella cultura giuridica contemporanea, un aspetto a mio parere fortunatamente ancora vivo, benché oggi strenuamente critica­ to, del positivismo giuridico .

PARTE PRIMA

CAPITOLO PRIMO

HART: DALLA DEFEASIBILITY DEI CONCETTI ALLA STRUTTIJRA APERTA DEL DIRITTO l. Premessa. 2. Enunciazioni ascrJtttve e defeasibility. 2.1. La defeasibility dci concetti giuridici. - 2.2. Ascrittività e atti linguistici. - 2.3. Defeasibility e concetto di diritto. - 3. Definition and Theory in ]urispru­ dence. 3.1. Definizioni e «controparti fattuali delle parole». - 3.2. Con -

SoMMARJO:

-

dusioni di diritto.

l.

-

-

-

4. Somiglianze di famiglia e struttura aperia del diritto.

PREME S SA

Nelle pagine che seguono cercherò di ricostruire la semioti­ ca dei concetti giuridici di Hart, un autore assai difficile da valu­ tare da questo punto di vista, dato il carattere del tutto rapsodico delle sue prese di posizione semiotiche esplicite: queste si esau­ riscono infatti, in buona sostanza, in poche citazioni del filosofo del linguaggio J. L. Austin e di Wittgenstein. Mi occuperò in particolare di due saggi di Hart dedicati in modo specifico al tema dei concetti giuridici: The Ascription of Responsibility and Rights e Definition and Theory in ]urispru­

dence. Mi soffermerò però brevemente anche su alcuni aspetti dell'opera maggiore di· Hart, Il concetto di diritto. Mi occuperò anche di The Ascription of Responsibility and Rights, benché questo lavoro sia stato poi disconosciuto da Hart, oer due ragioni: in primo luogo perché esso rappresenta la tappa iniziale" deviante", ma estremamente significativa, di un cammi­ no verso una concezione che viene comunemente considerata chiu­ sa e giuspositivistica del diritto e dei concetti giuridici; in secon­ dò luogo perché l'idea centrale di questo lavoro (poi abbandonata

CAPITOLO PRIMO

10

da Hart) , del carattere defeasible dei concetti giuridici, è stata successivamente ripresa da un altro teorico giuspositivista e assai vicino ad Hart, Neil MacCormick, il quale ha ritenuto di poterla adoperare per avvicinare il giuspositivismo hartiano a posizioni filosofico-giuridiche ad esso apertamente ostili, come quella di Dworkin.

2.

-

ENUNCIAZIONI AS CRITTIVE E

Il primo lavoro di Hart,

and Rights,

«

DEFEA S IBILITY

»

The Ascription of Responsibility

è anche l'unico che egli abbia espressamente discono­

sciuto e ripudiato 1, al punto da non menzionarlo neppure nella raccolta Essays in Jurisprudence and Philosophy, la cui Introdu­ zione Hart peraltro dedica in gran parte proprio alla critica e alla rettifica di opinioni da lui sostenute in precedenza 2• Si può certamente condividere l'opinione di molti commen­ tatori di Hart, che questo ripudio sia indicativo di un mutamento nella semiotica e neJ.la teoria dei concetti giuridici hartiane, quali hanno in seguito trovato una definitiva sis temazione in Il con­ cetto di diritto. Si può aderire a questa opinione, salvo riesamina­ re questo e i successivi lavori di Hart rilevanti per il nostro tema, per capire esattamente i termini e la portata di tale mutamento: specialmente per capire se esso sia dipeso da un mutamento delle idee di Hart sui compiti della semiotica o invece sulla natura del diritto. Le idee centrali di Ascription possono essere riassunte sche­ maticamente nei seguenti punti: l) Le a:ffermazion i in cui si fa uso di concetti giuridici nonché del concetto di azione umana hanno carattere tipicamente ascrittivo e non descrittivo .

I Si veda H . L. A. HART, Responsabilità e pena .(1968), trad. it. di M. ]ori, Comunità, Milano 1981, p. 21. 2 V . H. L. A. HART, Essays in ]urisprudence and Philosophy, Clarendon Press, Ox ford 1983.

DEFEASIB!LITY E STRUTTURA

APERTA DEL D!R!T'IO

ll

2) Il significato dei concetti giuridici è defeasible, e per­ ciò non può essere ridotto alla indicazione di un insieme di con­ dizioni necessarie e sufficienti alla loro applicazione; perciò anche il diritto non è riducibile ad un insieme di concetti intesi in questo modo. 3 ) I concetti giuridici, in quanto defeasible, non possono essere definiti tramite definizioni per genere e differenza (e forse non possono essere affatto definiti : v. infra) . Hart, in questo suo primo lavoro, sostiene che l'uso princi­ pale dei concetti giuridici è quello fatto in giudizio dal giudice nell'emanazione della sentenza . In questa sede risultano partico­ larmente evidenti, a suo avviso, ambedue le caratteristiche della defeasibility e dell'ascrittività dei concetti giuridici. Per quanto riguarda la defeasibility dei concetti, essa con­ siste nella possibilità, sempre aperta, di ribaltare la pretesa che un concetto si applichi al caso in esame, adducendo la presenza di una circostanza eccettuante, che renderebbe appunto il concetto inadatto a qualificare giuridicamente la situazione data. Cosl, ad esempio, l'imputato di omicidio può ribaltare l'accusa, adducendo la presenza di una causa di giustificazione; cosl, ancora, il conve­ nuto in giudizio per l'esecuzione di un contratto può eccepire la invalidità del medesimo adducendo ad esempio un suo errore in buona fede. Hart si richiama ( in realtà ambiguamente, come vedremo) alle regole del diritto inglese sull'onere della prova, che normal­ mente grava sul convenuto, a sostegno di questa caratteristica se­ miotica dei concetti giuridici . L'inelirninabile defeasibility dei concetti giuridici equivale, positivamente, alla tesi per cui questi non hanno condizioni ne­ cessarie e sufficienti di applicazione, bensì condizioni necessarie e solo normalmente sufficienti, che possono essere indefinitamente ribaltate con l'addurre condizioni eccettuanti . Per Hart è dunque fallace la teoria semantica che identifica il significato di un con­ cetto giuridico con l'insieme delle condizioni necessarie e suffi­ cienti alla sua corretta applicazione. Di conseguenza è anche fal-

CAPITOLO �RIMO

12

lace, e vano, il tentativo di trovare un _ a definizione per tali con­ cetti:· questi sono indefinibili. - Per quanto riguarda l'ascrittività, Hart si richiama espressa­

performative utteran­ ce, per sostenere che le enunciazioni che fanno uso dei concetti giu­ mente a Austin e alla nozione �ustiniana di

ridici hanno carattere ascrittivo. Ciò non esclude che esse possa­ no venire adoperate anche in modo in tutto o in parte descrittivo, per trasmettere informazioni, ad esempio su situazioni di fatto qualificate giuridicamente. Tipicamente però i concetti giuridici (Hart non precisa se questa caratteristica sia comune a tutti i con­ cetti giuridici) e il concetto di azione umana hanno carattere ope­ rativo, e vengono adoperati in modo ascrittivo, ossia in enuncia­ zioni la cui pronuncia consente, non di descrivere, ma di compie­ re o concludere una tramaction: per esempio conferire, trasferire o riconoscere un diritto. Le parole adoperate in queste enuncia­ zioni, dice Hart, « derivano il loro significato da istituzioni sociali o giuridiche, come, per esempio, dall'istituto della propJ:ietà »3• Si noti per inciso che Hart evade alquanto dallo spirito della con­ cezione austiniana, perché attribuisce carattere operativo prima­ riamente ai singoli termini e non agli enunciati (o meglio alle loro enunciazioni) e fa dipendere dai termini e non dagli enunciati (o meglio enunciazioni) la funzione ascrittiva, 2.1.

La

defeasibility

dei çoncetti giuridici

Il problema principale che queste tesi di Hart sollevano, dal punto di vista di un'analisi semiotica dei concetti giuridici, con­ siste, com'è ovvio, nel chiarire che_ cosa sia la defeasibility. A quanto pare essa non coincide con l'indeterminatezza semantica, con la vaghezza dei concetti, che Hart distingue a mio parere piut-

3 H. L. A. 1-IART, L'ascriziom della responsabilità e dei diritti (1949), in H. L. A. · HART, Coiztrib11ti all'a11alisf del dir itto, trad. it. dr V. Frosini,- Giuffrè, Milano 1964, p. 23 (d'ora in avanti citato come Ascriptio11; le citazioni si riferiscono all'edizione ita· liana).

DEFEASIDIL!TY E STRUTTlJRA APERTA DEL DIRITTO

13

tosto rrettamente dalla defeasibility 4• Il caso dell'indeterminatez­ za si ha, ad esempio, quando· sia particolarmente incerta la ratio decidendi di un precedente: in tali casi -· in cui, dice Hart, il -

giudice ha

«

larga libertà di giudicare

»

-

una definizione non

elusiva del concetto deve sempre. comprendere la parola « ecce­ tera » 5• Nel caso della defeasibility l'applicabilità del concetto alla situazione data potrebbe invece essere del tutto chiara, e si ha piuttosto a che fare con una apertura indèfìnita delle sue con­ dizioni di applicazione: apertura nel senso che non sì può mai affermare con sicurezza che il concetto è applicabile a un caso giuridico ipotetico, perché nella realtà può sempre manifestarsi una condizione eccettuante che ribalta tale affermazione. Ciò può essere altrimenti espresso dicendo che una definizione dei concetti giuridici deve essere sempre completata dalla formula cautelativa « eccetto che » 6• Peraltro gli argomenti di Hart sulla defeasibility sono as­ sai oscuri; ciò è testimoniato fra l'altro dal carattere opposto del­ le letture che ne sono state fatte. Cosl, secondo Horovitz, la lista delle condizioni eccettuanti, benché eterogenea, ha carattere dr­ coscritto: sebbene Hart in nessun luogo lo ammetta espressamen­ te, la circostanza che egli classifichi le condizioni di defeasibility per categorie sarebbe chiaro indizio di ciò 7• MacCormick attri­ buisce invece a Hart l'opinione opposta, ossia l'idea che il cata­ logo delle condizioni eccettuanti sia indefinitamente aperto 8•

4

V. H. L. A. HART, Ascription, cit., p. 7 ss. V. H. L. A. HART, Ascription, ci t., p. 8. 6 V. H. L. A. HART, Ascription, cit., pp. 8 e 10. 7 V. J. HoROVITZ, Law and Logic, Springer, Wien- New York 1972, p. 150. Ma Hart parla (in Ascription, ci t., p. 11) di proprio per non pre­ giudicare la questione se il discorco interno hartiano sia o sia ricostruibile come mo­ dello di discorso (descrittivo ? ) delL� scienza giuridica. Sul punto v. M. ]oRI, Il metodo giuridico tra scienza e politica, Giuffrè, Milano 1976, § 4. 23 V. U. SCARPELLI, Contributo alla semantica del linguaggio normativa ( 1959 ), 2' ed., Giuffrè, Milano 198.5, p. 149 ss. V. anche, da ultimo, R. N. MoLES, Definition and Rule in Legal Thcory. A Reassessment of H. L. A. Hart and the Positivist Tradi­ tion, Blackwell, Oxford 1987, spec. p . 62, 187. Questo lavoro si impernia sull'idea che Hart avrebbe frainteso sistematicamente l'opera del giurista J. Austin, attribuendo ad essa il carattere di èlescrizione (falsa)· del diritto e non riconoscendone il carattere de­ finitorio. 24 V. A. W. B. SrMPSON, The Analysis of Legai Concepts, in Law Quarterly Re­ view, 1964, p. 543 ss., 553 ss.; P. M . S. HACKER, . Definition in Jurisprudence, in Philosophical Review, 1969, p. 345.

DEl'EASIBILITY E STRUl'TURA APERTA DEL DIRITTO

27

volta la sua ostilità sembrerebbe riguardasse solamente le defini­ zioni sinonimiche, e tra queste specialmente le definizioni per ge­ nere e differenza, per ragioni, che esamineremo fra poco, attinen­ ti alla natura peculiare del referente di taluni concetti giuridici . Altre volte sembrerebbe invece che Hart non voglia neppure im­ pegnarsi in una discussione sulla natura definitoria oppure non definitoria del metodo di elucidazione dei contesti che egli pro­ pone in alternativa alla definizione per genus et differentiam : in altri termini , pare di cogliere un atteggiamento elastico e liberale di Hart riguardo alla definizione di ' definizione ' 25 • Ma l'impres­ sione che Hart sia ostile alla operazione definitoria in quanto tale, intesa come indicazione del significato costante di un termine, non è completamente infondata : come si dirà appresso, sono infatti rinvenibili in Definition tracce dell'adesione di Hart a una semio­ tica che rifiuta completamente la possibilità di considerare il si­ gnificato delle parole come astrazione separata e che invece col­ lega e dissolve il significato nella infinita varietà degli usi lin­ �uistici. A mio parere è invece infondata l'altra critica mossa a Hart, di sopravvalutare il ruolo della definizione nell'analisi teorico giu­ ridica. Certo, Hart sottolinea il ruolo preponderante che una certa concezione della definizione ha avuto ( e continua ad avere ) nella teoria giuridica, ma lo tratta come un ruolo negativo, da criticare . E direi che i suoi strali critici si indirizzano verso due orienta­ menti filosofici opposti, che però convergono nel caricare sulla

25

1965,

In Il concetto di diritto ( 1961 ), trad . it. di M. A. Cattaneo, Einaudi, Torino

p.

21;

la critica di Hart parrebbe riguardare la ricerca di definizioni « concise '"

Hart qui afferma che « nessuna espressione, sufficientemente concisa per essere ricono· sciuta come una definizione « che cos'è il diritto? ».

>>

può rispondere in modo soddisfacente alla domanda

La questione se il metodo dell'elucidazione dei contesti proposto da Hart possa essere o meno considerato una tecnica definitoria non mi pare eli drammatica impor­ tanza. Ritengo comunque si possa considerare l'elucidazione dei contesti un tipo di de­ finizione contestuale. V., in questo senso, A. BELVEDERE, Aspetti ideologici delle defi· nizioni nel linguaggio del legislatore e dei giuristi, in A. BELVEDERE, M. JoRI, L. LAN TELlA, Definizioni giuridiche e ideologiche, Giuffrè, Milano p. 388 ss.

1979,

28

CAPITOLO PRIMO

definizione compiti che questa non dovrebbe avere. Il primo ob­ biettivo critico di Hart è la concezione della definizione come scoperta dell'essenza dei concetti . Si tratta di una critica che può venire facilmente sottovalutata, per il suo carattere oggi un po' old fashioned. Tuttavia occorre rendere giustizia a Hart ricono­ scendo che il carattere scontato di questa critica, almeno per i fi­ losofi del diritto analitici, certamente dipende in buona parte pro­ prio dal vigore con cui è stata formulata da Hart nel 1 953 . Il se­ condo obbietivo critico di Hart è l 'atteggiamento nominalista estremo, esemplificato da Glanville Williams, che porta a conce­ pire la definizione come strumento per risolvere ( solo ) stipulati­ vamente tutti i problemi concettuali . Hart critica l'atteggiamento dell'« analista impaziente » come Williams, che ritiene che tutti i problemi teorici e concettuali possano essere tradotti senza re­ sidui in problemi verbali , e pertanto dissolti con una stipulazione definitoria 26 • In conclusione, mi pare che Hart critichi il nominalismo estremo à la Williams, e l'essenzialismo, specialmente perché en· trambi sopravvalutano, sia pure in modo diverso, il ruolo della definizione. Dal canto suo, Hart non può essere invece ritenuto colpevole di attribuire decisiva importanza al momento definito­ rio nel discorso della teoria giuridica . Assai più significative, dal mio punto di vista, sono le ra­ gioni che conducono Hart a considerare non adatto ai concetti giuridici il tradizionale metodo di definizione per genere e diffe­ renza. Hart parla a questo proposito di una « grande anomalia del linguaggio giuridico », e afferma che espressioni come ' dirit­ to ' , ' persona giuridica ' , ' dovere ' « non hanno quella diretta e immediata connessione con controparti nel mondo fattuale posse­ duta dalla maggior parte delle espressioni ordinarie . . . Non c'è niente che semplicemente " corrisponda " a queste espressioni giuridiche

» TI.

26 L'espressione tra virgolette è di M. ]ORI, Saggi di metagittrisprudenza, cit., p . 266. TI H. L. A. HART, Defi.nition, cit., p. 7 c p. 5.

DEFEASIBILI1Y E STRUTTURA APERTA DEL DIRITTO

29

Certamente tali affermazioni si inquadrano nella cnt1ca di Hart alle inclinazioni essenzialiste dei giuristi; esse vanno lette come critiche della convinzione, tanto diffusa quanto illusoria, che i termini che esprimono concetti giuridici rappresentino, e quindi " stiano per ", realtà naturali o di altro genere, o addirit­ tura essenZe. Tuttavia queste affermazioni di Hart sottintendono parados­ salmente un criterio di distinzione tra concetti giuridici e concetti del linguaggio ordinario, nonché una concezione del linguaggio ordinario, fallaci e assai criticabil i : sottintendendo infatti l 'idea che le altre parole denotino sempre e aproblematicamente cose, quella concezione pittorica assai ingenua del linguaggio e del si­ gnificato stigmatizzata da Ryle come concezione « ' Fido '-fido » 2a _ Come ha detto benissimo Simpson, molti secoli di sforzo filosofi­ co sono stati dedicati proprio a mostrare che non c'è niente di diretto riguardo alla connessione tra parole e cose 29• Pertanto l 'opinione di Hart, che le parole, anche solo le parole del lin­ guaggio ordinario, possano avere una schiacciante e aproblema­ tica connessione con controparti fattuali, è certamente indicativa di una semiotica assai poco avvertita. Tanto più questa concezione appare strana in Hart, se si pensa all'influenza che egli ha sublto da Austin e da Wittgenstein, i filosofi più radicalmente critici della teoria pittorica del signifi­ cato 30• La menzione di questi due filosofi potrebbe però suggerire che l'argomento della « controparte fattuale delle parole » venis­ se adoperato da Hart in modo appunto austiniano o wittgenstei­ niano, ossia con l'intento di esplicitare la concezione del linguag­ gio e del significato incorporata nel linguaggio e pensiero ardi-

28 E

la· concezione per cui il significato della parola ' Fido '

è il cane fido. V . G .

The Theory o/ Meaning (1957), in F. ZADEF.H, E. D . KLEMKE, A. JACOBSDN (a cura di), Readings in Semantics, Universit y of Illinois Press, Urbana 1974. 29 V. A. W. B. SIMPSDN, The Analysis of Legai Concepts, cit., p. 554.

R YLE ,

30 Il Wittgenstein a cui alludo è naturalmente il " secondo " Wittgecstein: v. WITTGENSTEIN, Ricerche filosofiche ( 1953), trad. it. di R. Piovesan e M. Trin chero Einaudi, Torino 1983.

L.

,

30

CAPITOLO PRIMO .

nari . Ma neppure questo obbiettivo giustificherebbe l'idea che la peculiarità dei concetti giuridici consista nell'assenza di una loro controparte nel mondo dei fatti, che i concetti del linguaggio or­ dinario invece avrebbero. Invero, può ben darsi che il pensiero e il linguaggio ordinari incorporino una concezione pittorica del significato ; ma se questo è vero per il linguaggio ordinario, è vero a maggior ragione per il linguaggio giuridico : spesso le teorie giu­ ridiche tradizionali e le pratiche usuali dei giuristi presuppongo­ no e adoperano una concezione pittorica del significato. Hart è perfettamente consapevole di questa circostanza, come si desume dalle critiche che egli muove, proprio per questa ragione, alla tea­ na giuridica corrente. Certo, è possibile che Hart abbia voluto offrire un'immagi­ ne caricaturalmente pittorica delle espressioni del linguaggio or­ dinario per meglio sottolineare il carattere invece irriducibile ( a descrizioni di fatti ) dei concetti giuridici, e dunque per enfatiz­ zare l'errore degli essenzialisti e dei giusrealisti, che pretendono di sostituire alle espressioni designati concetti giuridici mere de­ scrizioni di fatti, processi e eventi, trascurando l'aspetto norma­ tiva di questi . Ma l'argomento della « controparte fattuale delle parole » , di cui i concetti giuridici sarebbero sprovvisti, rischia di oscurare proprio l'aspetto centrale della teoria di Hart, cioè l'idea che i concetti giuridici sono irriducibili in ragione della compo­ nente normativa del loro significato. L'irriducibilità dei concetti giuridici non dipende invece primariamente dalla mancanza di un referente, di una contropare fattuale, che in realtà Hart ammette vi possa essere, sia pure in modo assai complicato da determinare.

3 . 2 . Conclusioni di diritto Comunque sia, Hart adduce a sostegno della sua tesi, che i concetti giuridici sono irriducibili a concetti descrittivi e sono concetti sui generis, un argomento diverso e indipendente da quel­ lo dell'assenza di loro controparti fattuali . È l'argomento delle « conclusioni di diritto » .

DEFEA SIB!L!TY E

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31

Per Hart infatti, come si diceva sopra, gli enunciati che tipi­ camente fanno uso di concetti giuridici, come ad esempio « Tizio ha un diritto », rappresentano conclusioni di diritto. Tali enun­ ctati sono veri se sono stati correttamente inferiti dalla « norma giuridica rilevante ma non asserita e dai fatti del caso rilevanti ma non asseriti » 3t . Sullo sfondo di tali affermazioni sta la com­ plessa realtà sociologica di un ordinamento esistente ed operante. C'è da chiedersi, incidentalmente, in qual modo la mancanza di tale presupposto fattuale possa influire sullo status della con­ clusione : se nel senso di renderla irrimediabilmente falsa o addi­ rittura priva di senso. Il fatto che una conclusione di diritto, se­ condo Hart, possa essere vera o falsa, e che tra i presupposti della conclusione figuri l'esistenza sociale di un ordinamento, do­ vrebbe condurre a ritenere che l'assenza di questo presupposto la renda irrimediabilmente falsa 32 • D'altro canto, l'adesione di Hart alla teoria austiniana degli atti linguistici potrebbe invece con­ durre a concludere che la mancanza del presupposto fattuale del­ l'esistenza di un ordinamento giuridico determini il venir meno di una condizione di felicità dell'atto linguistico 33• Hart non chia­ risce questo punto neppure in Il concetto di diritto, in cui, come ho già ricordato, parla, non più di conclusioni di diritto, ma di affermazioni fatte dal punto di vista interno. Egli, in quest'ope­ ra, non si limita a dire che le affermazioni interne compiute sulla

31 H. L. A. HART, Definition, cit., p. 10. Tuttavia non è chiaro come la falsità di un'asserzione possa dipendere da una circos tanza di fatto la cui descrizione non fa parte del contenuto di significato della proposizione asserita, né è legata a questa da un nesso logico di implicazione. Viene in mente a questo proposito la nozione di implicazione pragmatica di Strawson. V. P. F. STRAWSON, Sul riferimento (1950), trad. it. di G. Usberti in A. BoNOMI (a cura di), La struttura logica del linguaggio, Bompiani, Milano 1978 . Il problema menzionato nel testo non è però solo semiotico, ma anche filosofico giuridico: è il problema di stabi· lire quale nesso sussista tra il riconoscimento dell'esistenza sociale di un ordinamento giuridico e la sua accettazione o anche solo descrizione. Su ciò v. U. ScARPELLI, Cos'è il positivismo giuridico, Comunità, Milano 1965, spec. p. 53 ss. 33 Si veda S. HERVEY, Semiotic Perspectives, Allen & Unwin, London 1982, cap. 4, spec . p. 96 ss., 101, il quale ritiene che nella teoria austiniana la distinzione tra verità/falsità e felicità/infelicità finisca per dissolversi 32

32

CAPITOLO PRIMO

base di un ordinamento non più esistente socialmente sarebbero ( salvo casi speciali ) inutili od oziose, ma dice anche che si trat­ terebbe di affermazioni insensate ( meaningless) : parrebbe dun­ que che Hart voglia con ciò alludere a un difetto semiotico più radicale che non la loro falsità o infelicità: appunto l'insensatez­ za, la mancanza di significato 34 • Le conclusioni di diritto non sono dunque asserzioni s u re­ gole o su fatti; esse non sono inoltre neppure previsioni circa ac­ cadimenti futuri. Secondo Hart, il loro significato va distinto da, e non può essere ridotto a: a ) le affermazioni sui fatti che ren­ dono vera la conclusione medesima, per esempio l'affermazione che Tizio e Caio hanno stipulato un accordo scritto e b ) l'asser­ zione circa le conseguenze giuridiche che derivano dalla verità delle suddette affermazioni, per esempio l'asserzione che Caio, in base all'accordo stipulato con Tizio , è tenuto a una certa presta­ zione 35• Una volta che lo si spogli di tutti questi elementi, di­ venta invero assai difficile comprendere quale sia per Hart il si­ �nificato specifico e costante della conclusione di diritto, e dun­ que del concetto che permette di trarre questa conclusione, ovve­ ro se questi abbiano realmente uno specifico e costante signi­ ficato. Nell'introduzione alla raccolta di saggi Essays in Jurispru­ dence and Philosophy, del l 9 8 3 , Hart formula alcune osservazio­ ni autocritiche a proposito delle tesi da lui sostenute in prece­ denza in Definition. Egli dice che, se avesse adoperato con mag­ giore perizia la distinzione tra ' significato ' e ' forza ' e in gene­ rale la teoria degli speech acts, non avrebbe affermato che le as-

34 V. H. L. A. HART, Il concetto di diritto, cit., p. 123 e p. 293. Del problema, che investe l'intera teoria del diritto di Hart, si sono occupati U. ScARPELU, Il positivismo giuridico, loc. ult. ci t., e M. ]oRI, Il metodo giuridico tra scienza e. politica, loc. ult. cit. 35 H. L. A. HART, Definition, cit., p. 2 1 . Come vedremo, invece, per un realista normativista come Ross le affermazioni che fanno uso dei concetti giuridici (sistema­ tici) incorporano nel loro significato un rimando al conseguenze normative: dire che Tizio ha un diritto di proprietà su una cosa per Ross equivale anche a dire che Tizio può compiere azione di rivendica ecc. V. infra, cap. 2, § 3.

.n

DEFEASIBILlTY E STRUTTURA APERTA DEL DIRITTO

serzioni sui diritti e doveri giuridici non sono descrittive, pur po­

tendo essere vere o false, e non avrebbe inoltre sostenuto che tali asserzioni sono sempre il risultato di inferenze formulate dai loro autori . Che si tratti di inferenze, dice ora Hart, fa parte . della

forza che l'enunciazione può szgnificato dell'enunciato.

avere in una data occasione, non del

Occorre dunque distinguere, secondo Hart 1 98 3 , tra

il

>. Sulla distinzione tra significato e forza, v. anche L. GIANFORMAGGIO, Significato e forza, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1967, e G. PARODI, Aspetti della metagiurisprudenza tarelliana, in Materiali per una storia della w/tura giuridica, 1987, p. 563 ss.

DEFEASIBILITY E STRUTTURA APERTA DEL DIRITTO

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decisivo. Una concezione, come si vede, assai in linea con la se­ miotica esplicita di Ascription of Responsibility and Rights. Così, Hart 1 9 53 può distinguere tra le conclusioni di diritto dei pri­ vati e quelle dei giudici, e tuttavia sostenere che si tratta di ( enun­ ciazioni di ) enunciati dello stesso tipo, dotati del medesimo sigm'ficato 40 . Di queste due versioni della distinzione austiniana tra signi­ ficato e forza, la prima è certamente assai poco austiniana 4 1 • Non sembra infatti che Austin costruisca la forza illocutoria come una funzione esclusiva dell'intenzione ( reale ? ) dell'emittente; bensì sembra piuttosto che egli definisca la forza illocutoria in termini di convenzioni linguistiche e sociali che regolano il compimento degli atti illocutori 42 • Nonostante i dubbi che tale nozione solle­ va, si può con una certa sicurezza affermare che per Austin l'in­ tenzione è istituzionalizzata anch'essa, è un elemento tipico che gioca un ruolo tipico nel compimento di tipici atti linguistici 43• Ma naturalmente non è qui in questione la fedeltà di Hart ad Austin, e neppure l'interpretazione più plausibile delle idee di Austin. Il punto da sottolineare è invece che l'adozione della ver­ sione " estremista " del concetto di forza illocutoria avrebbe ca4()

V. H. L. A. HART, Definition, cit., p. 10. Si può attribuire questa versione della speech acts theory a Grice. V. H. P . GRICE, Meaning (1957), in F . ZABEEH, E . D . KLEMKE, A . ]AcOBSON ( a cura di), Rea­ dings in Semantics, cit. È assai significativo dal mio punto di vista che un autore antinormativista come Peter Goodrich consideri l'influenza di questa versione della speech acts thwry come l'indizio di un'apertura al sociale della concezione del diritto di Hart, a suo dire esasperatamente sistematica. V. P. GooDRICH, Legai Discourse. Studies in Linguistics, Rhetoric and Legai Analysis, MacMillan, London 1987, p. 44 ss., spec. p . .53 s., p. 74 s. Delle critiche di Goodrich a Hart mi occuperò infra, cap. 6, § 2. 42 V. J. L. AusTIN, How to Do Things with Words (1962), a cura di J. O. Urmson e M. Sbisà, Oxford University Press, Oxford 1976, p. 109 ss.; Io., Philosophical Papers, Oxford University Press, Oxford 1970, p. 251 ss. 4J Sottolinea questo aspetto della concezione austiniana Searle. V. ]. R . SEARLE, Speech Acts, Cambridge Univ�rsity Press, London 1969; Io., Introduction, in J. R. SEARLE (a cura di), The Philosophy of Language, Oxford University Press, Oxford 1971, -spec. p. 8 ss. Certamente però negli scritti di Austin è presente una tensione tra la versione estrema e quella moderata. V. P. GooDRICH, Legai Discourse, cit., p. 51 ss. 41

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CAPITOLO PRIMO

rattere distruttivo della teoria hartiana delle conclusioni di diritto. Mi pare evidente infatti che legare l'identità e la natura dell'atto linguistico compiuto alle intenzioni di chi lo compie produce il risultato di far dipendere questa nozione da un elemento oscuro e al limite imperscrutabile 44 • Inoltre, anche ad accantonare le dif­ ficoltà di accertamento delle intenzioni, è indubbio che queste rappresentino un elemento indefinitamente mutevole, idiosincra­ tico : al limite ogni enunciazione ha dietro di sé una intenzione peculiare e irripetibile. Pertanto ogni intenzione finirebbe per identificare un distinto atto linguistico, ed il concetto di atto lin­ guistico e quello di istanza d'uso del linguaggio finirebbero per coincidere. Infatti l'introduzione di criteri per classificare le in­ tenzioni e quindi per distinguere tra tipi di atti linguistici stra­ volgerebbe lo spirito della teoria, non potendo questi criteri basarsi sulle intenzioni medesime. La semiotica si trasformereb­ be in uno studio degli stati mentali dei parlanti, ed avrebbe un ambito esteso ben oltre i fenomeni strettamente linguistici 45• Pertanto l 'adozione di questa variante della speech acts theo­ ry precluderebbe a Hart la possibilità di identificare la conclusio­ ne di diritto come atto linguistico peculiare e tipico, gli preclu­ derebbe addirittura di parlare di un uso tipico dei concetti iden­ tificato come tale . Certamente molti dei problemi che la nozione austiniana di forza suscita vengono superati dalla versione di Searle della teoria degli atti linguistici, e sembra assai probabile che sia questa la versione più vicina alle idee di Hart 1 95 3 46 •

44 S i vedano le cautele con cui l o stesso Grice circonda l a sua nozione d i inten­ zione illo cutoria. V. H. P. GRICE, Meaning, cit., spec. p. 509 ss. 45 Non può essere affrontato in questa sede il problema generale, se la teoria degli atti linguistici sia una semiotica adeguata all'analisi del linguaggio giuridico, che è per larga parte comunicazione linguistica impersonale. Per qualche considerazione in pro­ posito, v. R . GuASTINI, In tema di abrogazione, e M. ]ORI, Abrogazione, validità, atti linguistici, i n C. LuzzATI (a cura di), L'abrogazione delle leggi. Un dibattito analitico, Giuffirè, Milano 1987. In generale v., da ultimo, P. AMsELEK (a cura di), Théorie des actes de langage, éthiq11e et droit, P.U.F., Paris 1986. 46 L'accos tamento tra la semiotica di Il concetto di diritto e la speech acts theory

DEFEASIB!LITY

E

STRUTTURA APERTA DEL DIRITTO

37

Tuttavia, anche a voler assumere l'interpretazione " mode­ rata " dell'adesione hartiana alla speech acts theory, occorre do­ mandarsi se questa interpretazione " autentica " sia davvero la ricostruzione corretta delle idee espresse da Hart in Definition and Theory in Jurisprudence ; inoltre, indipendentemente da que­ stioni filologiche, occorre domandarsi se Hart 1 9 8 3 abbia comun­ que davvero ragione quando ricollega la nozione di conclusione di diritto a quella di atto linguistico, se questo sia un modo teoricamente accettabile di affrontare

il

problema del significato

dei concetti giuridici. Le critiche di Hart 1 9 8 3 a se stesso rappresentano un so­ stanziale accoglimento di osservazioni analoghe fatte da Hacker. Questi infatti critica l'idea di Hart, che gli enunciati che incorpo­ rano concetti giuridici servano a trarre conclusioni di diritto, ado­ perando l 'argomento che segue : trarre una conclusione di diritto costituisce un atto linguistico verdittivo (è evidente qui il richia­ mo a Austin) 47; il compimento di atti verdittivi è un uso possi­ bile, ma non necessario , degli enunciati che incorporano concetti giuridici : tali enunciati potrebbero essere infatti adoperati per compiere 1 più svariati atti linguistici, come ad esempio avanzare richieste o pretese, formulare ipotesi, ecc. 43 • Il fatto è che Hart prende in considerazione solo un certo tipo di contesto linguistico in cui i concetti giuridici vengono ado­ perati, considerandolo tipico ma in realtà conferendo ad esso un rilievo esclusivo . Si tratta di un contesto che ha a che fare con la applicazione di norme giuridiche a situazioni individualizzate: dunque è l'uso tipicamente giudiziario, o reiterativo di questo, dei concetti giuridici . E, come si diceva già sopra, quest'uso si

di Searle è naturalmente solo concettuale: ricordo che l'opera principale di Searle, Speech Acts, è del 1969. 47 V. J. L. AusTIN, How to do Thùtgs with Words, cit., p. 151, p. 153 ss. Gli atti linguistici verdittivi consistono nella pronuncia di un giudizio, non necessaria­ mente definitivo, tipicamente da parte di un arbitro, di un giudice o di una giuria. 48 V. P. M. S. HACKER, Definitiotl in ]11risprudence, cit., p. 346.

CAPITOLO PRIMO

38

sposa apparentemente assai bene con una sem10t1ca imperniata sulla nozione di atto linguistico ( anche se forse non con la sua versione estrema) . Hart invece trascura l'uso dei concetti giuri­ dici nei contesti di applicazione delle norme a situazioni tipiche, non individualizzate ( tipicamente l'uso dottrinale ) e l'uso dei concetti giuridici nelle altre fasi generali e astratte dell'ammini­ strazione giuridica. In breve, Hart dà esclusivo rilievo ai discorsi di applicazione giudiziaria del diritto , ed invece trascura comple­ tamente i discorsi generali del diritto e sul diritto, ai quali la no­ zione di atto linguistico, e ancor più quella di intenzione, difficil­ mente si addicono . In conclusione, l'interpretazione autentica fornita da Hart 1 9 8 3 , che riconduce la teoria delle conclusioni di diritto alla speech acts theory, è sostanzialmente corretta (se si accantonano i dubbi sulla nozione di forza illocutoria ) : Hart 1 9 53 in effetti ricollega il significato dei concetti giuridici al loro uso in atti di enunciazione ( giudiziari ) . Questa interpretazione, per quanto autentica, è tuttavia uni­ laterale e riduttiva, perché mette in ombra che già in Hart 1 953 sono presenti spunti e argomenti in direzione di una semiotica dei concetti giuridici non circoscritta ( per cos1 dire ) all'esame degli atti illocutori d'uso dei concetti e alla nozione di forza illocuto­ na; dunque una semiotica non interamente riconducibile alla teo­ ria degli atti linguistici. Anche questo punto è stato visto assai be­ ne da Hacker 49 • Questi infatti prosegue nella sua critica a Hart osservando che ciò che è davvero essenziale a concetti come di­ ritto ', c dovere ' , c obbligo ', ecc., non è un uso peculiare, bensl un peculiare significato : tutti questi concetti comportano, come parte del loro significato, un riferimento al concetto di regola : si tratta cioè di concetti normativi . Naturalmente Hart ha visto questo punto, già nella lezione inaugurale del 1 9 53 ; tuttavia, egli lo ha oscurato compiendo c

49

V. P. M. S. HACKER, Definition in ]urispmdence, cit., p. 347.

DEFEASIBIL!TY E STRUTTURA

APERTA DEL DIRITTO

39

l'operazione di legare le conclusioni di diritto a un uso peculiare ma settoriale dei concetti e, nel 1 9 8 3 , compiendo l'operazione di interpretare le conclusioni di diritto come forze di enuncia­ zioni e non come pare del significato costante degli enunciati . Quest'ultima notazione è molto importante, e richiede at­ tenzione. Ci si deve infatti domandare: è proprio vero che la conclu­ sione di diritto, ossia l'inferenza tratta da norme e da descrizioni di fatti, rappresenta la forza illocutoria di un atto linguistico; o invece è vero piuttosto che tale inferenza costituisce un ele­ mento di significato costante, comune a tutti gli usi dei concetti �iuri dici? La domanda può essere formulata anche in questi ter­ mini : è vero, come dice Hart 1 9 8 3 , che l'inferenza rappresenta solamente un uso, e i concetti servono semplicemente, se inseriti nei contesti linguistici appropriati, a trarre conclusioni di diritto; o invece è vero che gli enunciati che adoperano concetti giuridici incorporano nel loro significato un'inferenza che ha come premes­ se norme e fatti (o meglio, descrizioni di fatti), e quindi i concetti sono conclusioni di diritto? Se si accoglie la prima alternativa, ossia se si ritiene che le conclusioni di diritto siano solamente usi possibili, ci si espone al­ le obiezioni, poc'anzi ricordate, circa la varietà degli (altri) usi di cui i concetti giuridici sono suscettibili. Ci si espone altresì, però, ad un'obiezione assai più radicale e distruttiva. Infatti, se si so­ stiene che le conclusioni di diritto rappresentano solo un uso pos­ sibile dei concetti giuridici, si finisce per cancellare la stessa di­ stinzione tra il significato costante degli enunciati in cui compaio­ no i concetti e la forza variabile delle enunciazioni in cui questi vengono adoperati; si finisce per negare che vi sia un significato dei concetti giuridici costante e comune a tutti gli usi. Come abbiamo visto, Hart ritiene che gli enunciati che adoperano i concetti giuridici non descrivano né norme, né fatti, né con­ seguenze, normative o fattuali . Il significato dei concetti e degli enunciati che li adoperano si dissolverebbe pertanto nella infi­ nita varietà degli usi di cui questi sono suscettibili. Soprattutto

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non si comprenderebbe più su che cosa possa far perno la tesi hartiana dell'irriducibilità dei concetti giuridici, essendo venute meno, col ripudio di Ascription, le due tesi dell'ascrittività e della defeasibility sulle quali questa principalmente, benché in­ certamente, si appoggiava. La verità, che Hart non ha sottolineato a sufficienza, è che i concetti giuridici sono conclusioni di diritto, nel senso che fa parte del loro significato il raffronto tra una norma giuridica e un fatto, reale o ipotetico, l'applicazione di una norma a un fatto, l'inferenza che ha come premessa maggiore una nonna e come premessa minore la descrizione di un fatto. Questo punto è stato sottolineato con grande chiarezza da Scarpelli, anche se questi ha ritenuto in tal modo semplicemente di aderire alle tesi hartiane, trascurando l'oscillazione delle idee di Hart verso una teoria degli atti linguistici. Scarpelli riprende infatti la nozione hartiana di « conclusio­ di diritto », ritenendo che questa serva a illuminare le peculia­ rità di una categoria di concetti giuridici ( ma non solo giuridici ) : i concetti qualifìcatori, in quanto contrapposti ai concetti fattuali. I concetti quali.ficatori di Scarpelli sono quei concetti che si riferiscono a fatti qualificati in base a norme ( o valori ) 50 • Più pre­ cisamente, sono concetti qualliicatori i concetti il cui significato incorpora: a ) un riferimento a fatti extralinguistici; b ) un rinvio ne

a una norma presupposta; c ) un raffronto tra l'asserzione sul fatto e la norma; d ) una conclusione nel senso dell'adempimento o del­ la violazione della norma. Il punto c ) consiste nell'operazione lo­ gica con la quale si raffrontano le componenti descrittive ( frasti­ ci ) della norma e dell'asserzione, di cui d ) costituisce la conclusio­ ne logicamente necessitata 51 •

50 V. U. ScARPELLI, Contributo alla semantica del linguaggio normativa, cit., p. 140 ss. Per una trattazione più ampia di questo punto, v. infra, cap. 3, § 2.2. Jl .frastico e neustico sono due neologismi coniati da Bare. Il frastico è la parte dell'enunciato descrittivo o prescrittivo che si riferisce ai fatti; il neustico è la parte dell'enunciato che indica la sua funzione, descrittiva o prescrittiva. V. R. M. BARE,

DEFEAS!B!LITY E STRUTTURA APERTA DEL DIRITTO

41

Dunque per Scarpelli è il signifi�ato medesimo di u n concet­

to normativa che incorpora già la conclusione di diritto: quest'ul­ tima non è altro che quello che sopra ho indicato come elemento d ) del significato del concetto : si tratta perciò non di atto lingui­ stico, bensì della conclusione di un'operazione logica di raffronto tra la norma e l'asserzione, il cui richiamo fa parte del significato del concetto. Solo intendendola in questo modo si può coerente­ mente elevare la conclusione di diritto a caratteristica invariabile dei concetti qualifìcatori pur nel variare degli usi : trattandosi ap­ punto di caratteristica semantica e non di uso, di operazione logi­ ca incorporata nel significato del concetto e non di atto lingui­ stico.

In realtà certamente vari passi di Definition conducono a quest'ultima interpretazione delle conclusioni di diritto di Hart, all'idea che l'irriducibilità dei concetti giuridici dipenda dal loro significato normativa, e alla considerazione che questo sia un

aspetto costante dei concetti e degli enunciati che li adoperano , indipendentemente dall'uso e dai contesti istituzionali d'uso : tut­

ti gli argomenti hartiani di critica alla pretesa giusrealista di de­ finire i concetti giuridici in termini di fatti ( meri ) possono certo essere letti in questo modo.

Si potrebbe a questo punto ritenere che le oscillazioni di Hart sulla natura delle conclusioni di diritto dipendano dalla coe­ sistenza non pacifica, nel pensiero del filosofo di Oxford , di due semiotiche confliggenti: una semiotica vero-funzionale e una se­ miotica degli atti linguistici 32• Certamente in un senso quest'interpretazione delle incer­ tezze di Hart è fondata. Abbiamo infatti visto che la teoria degli atti linguistici ha grande influenza sulle idee hartiane di Definition and Theory in Jurisprudence. Tale influenza non dà luogo peraltro

Il linguaggio della morale ( 1952), tra.d. it. di M. Barioni e F. Palladini, Ubald.ini,

Roma 1968, p. 29 ss. n In questo senso v. G. P. BAKER, Defeasibility and Meaning, cit., p. 43 ,TACKSON, Semiotics and Lega/ Theory, cit., p . 152.

e

B. S.

42

CAPITOLO

PRIMO

a una coerente semiotica, e si traduce invece in una oscillazione tr>, e che « lo scienziato empirico del diritto non potrà presumibilmeme accontentarsi dell'impre­ ciso . . . riferimento all'effettività che è già . . . incorporato nel concetto ordinario d i diritto » (Io., I concetti di diritto nel pensiero giuridico positivo, ibidem, p . 294).

EMPIRISMO E PRESCRITT!VISMO SEM!OTICO

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ampliare enormemente l'area della giuridicità . Infatti Ross non è uno scettico estremo ( né coerente ) in materia di significato e di interpretazione . Il suo scetticismo riguarda la convinzione che gli argomenti interpretativi tradizionali abbiano carattere cogente e che dun­ que la raffigurazione dell'interpretazione giudiziaria come attività meccanica e dichiarativa di significati preesistenti sia una rap­ presentazione corretta del modo in cui la giurisprudenza effetti­ vamente opera. Secondo Ross questa raffigurazione va scartata, per il carattere non cogente dei tradizionali argomenti interpre­ tativi, e in ragione della struttura aperta del significato delle norme e dei concetti. Ross peraltro costruisce la sua teoria del­ l'interpretazione cercando di enucleare le regole, ai livelli sin­ tattico, semantico e pragmatico, di fatto seguite nell'interpreta­ zione giuridica, pur concludendo che queste regole non condu­ cono mai a risultati univoci. In particolare è da segnalare il suo tentativo di elaborare una pragmatica dell'interpretazione giuri­ dica, ossia di individuare le regole di buon senso specificamente giuridico che guidano nelle operazioni di attribuzione di signifi­ cato agli enunciati giuridici, e di determinare il grado di vin­ colo di tali regole . Una teoria dell'interpretazione giuridica sif­ fatta sottintende una visione del diritto come sistema semiotico relativamente autonomo e separato dal linguaggio e dai signifi­ cati ordinari 56 • Ross non è uno scettico estremo, e tuttavia realisticamente riconosce che i giudici svolgono una funzione creativa di nuovo diritto, più o meno intensamente a seconda del grado di vincolo ad essi imposto dalla ideologia delle fonti del diritto 57 •

56 Che Ross aderisca a una concezione solo moderatamente scettica del signifi­ cato delle norme giuridiche si ricava inoltre dalla teoria rossiana delle fonti del di· ritto, ed in particolare dalla distinzione che Ross traccia tra fonti oggettivate come lo legislazione, e fonti non oggettivate come la consuetudine e la ragione: distinzione, questa, che può essere intesa solamente come relativa al grado di vincolo semiotico che le varie fonti possono esercitare e che presuppone pertanto che abbia senso par· !are di vincolo setniotico. V. A. Ros s , Diritto e giustizia, c i t. spec. p. 73 ss. 57 L'ideologia delle fonti del diritto è per Ross l'ordinamento giuridico astratta· ,

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CAPITOLO SECONDO

Ross è inoltre certamente consapevole del fatto che spesso i discorsi dottrinali sono surrettizie prescrizioni indirizzate alle corti, prescrizioni tanto meno evidenti quanto più vengono pre­ sentate a guisa di descrizioni del diritto valido; prescrizioni tan­ to più influenti quando meglio si inseriscono nelle linee di svi­ luppo del diritto già seguite dalle corti . I ragionamenti essenzialistici compiuti usando dei concetti sistematici sono lo strumento per eccellenza di influenza dottri­ nale nascosta sul diritto vigente : le innovazioni giurisprudenziali e le proposte di innovazione da parte della dottrina vengono in tal caso presentate come esplicazioni del " vero " significato del con­ cetto o come deduzioni da questo. I concetti sistematici sono di fatto adoperati come fonti inesauribili di nuovi contenuti nor­ mativi. Ross è ben consapevole di tutto ciò: egli sa che la scienza giuridica tradizionale non si limita a descrivere il diritto vigente ; i suoi discorsi sono spesso ( consapevolmente o meno ) suggeri­ menti di politica del diritto alle corti ( la politica del diritto de sententia ferenda ) . Tali discorsi diventano parte del diritto quan­ do vengono incorporati nell'ideologia normativa che guida le cor­ ti. Certamente Ross non può negare, da realista qual è, che la cul­ tura giuridica sia parte del diritto valido . Una descrizione realistica del diritto dovrebbe perciò trat­ tare come diritto anche il prodotto delle operazioni di attribuzio­ ne ai concetti giuridici di significato eccedente le fonti giuridiche precostituite. In luogo della descrizione realistica che ci si aspetterebbe da Ross a questo punto, troviamo invece la sorprendente affermazio­ ne che gli usi dottrinali già corrispondono ai dettami della scien­ za giuridica empirica, e pertanto non sono creativi di diritto nuo­ vo . Si tratta dunque, ad avviso di Ross, di operazioni ìrrilevanti ai fini della descrizione del diritto valido .

mente considerato: è il sistema. normativa dinamico da cui il giudice si sente vinco­ lato. V. A. Ross, Diritto e giriStizia, loc. ult. cit.

EMPIRISMO E PRESCRITTIVISMO SEMIOT!CO

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Ross non riesce dunque a fondere in modo coerente il pro­ prio riduzionismo in tema di concetti giuridici col proprio reali­ smo giuridico. In primo luogo, infatti, egli non traduce il riduzio­ nismo in una critica realistica conseguente alla giurisprudenza tra­ dizionale. Egli finisce per dimenticare che il riduzionismo è una prescrizione metodologica che il teorico rivolge ai giuristi, e non una descrizione dei loro usi effettivi ; il suo slancio riduzionista lo conduce a concludere che la scienza giuridica tradizionale sod­ disfa già attualmente i desiderata riduzionistici del teorico e a tra­ scurare perciò come irrilevanti le operazioni effettive della scien­ za sui concetti : irrilevanti, intendo, nell'ambito della descrizione compiuta dalla scienza empirica del diritto. In secondo luogo, il riduzionismo finisce dunque almeno in parte per neutralizzare il realismo giuridico di Ross : ed infatti lo conduce ad espungere dalla descrizione del diritto le operazioni giurisprudenziali effettivamente compiute con l 'ausilio dei concetti giuridici sistematici . Ross estromette alla fin dei conti queste ope­ razioni dal diritto positivo e ( presumibilmente contro i suoi stes­ si intendimenti giusrealistici ) finisce per relegarle nell'ambito del­ la discrezionalità. Attribuendo un atteggiamento già riduzionista ai giuristi, Ross finisce infatti per collocare queste operazioni fuo­ ri dal concetto di diritto valido , nell'area del mero fatto extra­ giuridico. È una conclusione, questa, più in linea con il giuspositivismo " scheletrico " che non col giusrealismo; essa esprime una visione del diritto più attenta a separare il diritto dalla morale e dalla politica, la validità dal valore, che non a connettere il diritto e la realtà, la validità e l'effettività .

CAPITOLO TERZO

QUALIFICAZIONE E PRESCRIZIONE: IL CONTRIBUTO DI SCARPELLI ALLA SEMANTICA DEI CONCETTI GIURIDICI .

-

SoMMARIO: l. Premessa . 1 . 1 . Quattro problemi. 2 . Concerti fattuali e concetti qualificacori. - 2.1 . Giudizi di valore, norme, prescrizioni. 2.2. Le « con­ -

clusioni di diritto » di Hart c quelle di Scarpelli. - 3. Concetti fattuali e concetti qualificatori nel diritto. - 3 . 1 . I concetti qualificatori nel diritto. 3.2. I conce tti fattuali nel diritto. - 3.3. Due tesi semiotiche sui rapporti tra diritto e linguaggio ordinario. - 4. Capacità conoscitiva dei concetti giu­ ridici. - 5. Scarpelli vs. Ross. - 6. ; inoltre « la mancanza di precisione e di rigore del linguaggio non formalizzato rappresenta . . . nell'uso normativa, almeno in molti :asi, un vantaggio, perché lascia nell'applicazione delle norme una certa elasticità e consente un adattamento dell'applicazione alle particolarità dei singoli casi e ai valori che vi giocano » (U. SCARPELLI, Contributo, ci t., p. 1 1 7 e 1 1 8).

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CAPITOLO TERZO

co andranno a finire tutti i termini indicanti i concetti fattuali e la parte designativa dei concetti qualificatori. Nel neustico andrà a finire la parte normativa dei concetti qualificatori, parte, questa, in ultima analisi riducibile al concetto di ' dovere '. Perché si pos­ sa far ciò deve essere possibile eliminare dal testo delle norme i concetti qualificatori, in cui si trovano combinati elementi desi­ gnativi ed elementi prescrittivi di significato, e distribuire oppor­ tunamente tra il frastico e il neustico questi due elementi, ossia la norma richiamata, l'asserzione, e l'operazione logica di combi­ nazione tra la norma e l'asserzione . Questa traduzione nel lin­ guaggio giuridico artificiale non sarà completa se nel testo delle norme che hanno rimpiazzato il concetto figureranno altri con­ cetti qualificatori, che dunque occorrerà eliminare a loro volta nel modo sopra indicato. A traduzione compiuta avremo ottenuto un complesso di norme di comportamento, condizionate ( « se x, allora y deve/deve non/può/ z » 29) o incondizionate « x deve/ deve non/può/ z » , in cui x, y e z sono sempre concetti fattuali. L'obiettivo di questa traduzione è, come dicevo, fare del diritto

29

Per Scarpelli le modalità del divieto e del permesso sono riducibili alla mo­

dalità dell'obbligo a quasi tutti gli eff e tti; egli ritiene che sia possibile descrivere un

diritto positivo adoperando l'uno o l'altro concetto indifferentemente, a meno che non si debba parlare degli scopi di una norma o di un istituto: infatti, solo il con­ cetto di permesso, a differenza dal concetto di obbligo, consentirebbe a suo avviso un discorso sugli scopi o funzioni delle norme giuridiche. V. ScARPELLI, Contributo alla semantica del /ùrgtLaggio normativa, cit., p. 2 1 1 ss. Questa tesi non mi convince. Se si ritiene che le due ricostruzioni siano logicamente equivalenti, non vedo infatti come si possa sostenere che gli scopi o funzioni delle norme possano risultare solo da una ricostruzione del diritto in termini di norme permissive, piuttosto che di norme ob­ bliganti. Sembra più plausibile la posizione di Hart, il quale sostiene che i due tipi di ricostruzione del diritto mettono in luce funzioni differenti, ma perché ritiene che le norme permissive (di potere) e le norme obbliganti siano reciprocamente irridu­ cibili, e che pertanto la �ricostruzione di un diritto in termini di permessi non possa mai equivalere a quella in termini di obblighi. V. infra, cap. 7, nota 20 . . In quest'uso della terminologia funzionalistica fatto da Scarpelli fa capolino una prima debole presa di distanza dalla tesi teorico-giuridica favorevole alla riduzione di tutte le norme giuridiche a norme obbliganti (v. infra, cap. 7, nota 17); specialmente fa capolino l'idea che i concetti posseggano un nucleo solido funzionale irriducibile e che l'aspe tto · funzionale o teleologico debba essere parte integrante della descrizione normativa di un diritto (v. infra, in questo capitolo, § 6).

QUALIFICAZIONE E PRESCRIZIONE

103

un fenomeno controllabile, ossia metterei in grado di accertare se una norma sia stata adempiuta o violata (e, prima ancora, a quali condizioni si possa dire adempiuta o violata) 30• La strategia di Scarpelli ha dunque i seguenti presupposti : riduzione del diritto a norma, riduzione delle norme giuridiche a norme di condotta, controllo delle norme tramite il controllo dei comportamenti da esse prescritti. Coerentemente con tale strate­ gia, Scarpelli individua anche nel diritto concetti qualificatori e procede ad indicare i modi della loro eliminazione dal linguaggio delle norme . Pertanto la categoria dei concetti qualificatori ha anche una importanza e un uso peculiarmente giuridici . Quando parla di " qualificazione giuridica " , Scarpelli si ri­ ferisce dunque all'operazione giuridica di qualificazione di una condotta umana in base a una modalità giuridica, alla tavola hoh­ feldiana delle modalità giuridiche. E siccome egli ritiene che tutte le norme giuridiche siano alla fin fine riducibili a norme di con­ dotta che impongono doveri, egli conclude che tutte le qualifica­ zioni giuridiche siano appunto qualificazioni deontiche in termi­ ni di dovere. In breve, dire che il diritto qualifica, per Scarpelli equivale in ultima analisi a dire che esso prescrive compor­ tamenti 31 • In altri termini, quando Scarpelli afferma che tra le condizio­ ni d'uso di un concetto quali:ficatore c'è una norma, e che i con­ cetti qualificatori comportano conclusioni normative, intende ciò in senso circoscritto e pregnante, nel senso che i suoi concetti qua­ lificatori implicano conclusioni normative in termini di regole di condotta : per esempio, dire che qualcuno è proprietario, equivale per Scarpelli a dire che costui può, deve, deve non, tenere un

30 V. U. ScARPELLI, Contributo, cit., spec. p. 1 0 8 . 3 1 Nella r�cente voce enciclopedica Diritto, in Gli strumenti del sapere co�tlem­ poraneo, l" vol., Le discipline, UTET, Torino 1985, p. 573, Scarpelli parla di una fun­ zione principale direttivu e di una funzione derivata qualificativa delle norme giuri­ diche e caratterizza quest'ultima come la funzione di permettere un giudizio sul com­ portamento in base alla corrispondenza o non corrispondenza u una norma. V. infra, cap. 7, § 2.2.

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CAPITOLO TERZO

certo o certi comportamenti, o che altre persone devono, possono, ecc., tenere certi altri comportamenti. Ora, a ben guardare, tutti i concetti giuridici che Scarpelli considera qualificatori sono, o concetti che qualificano direttamen­ te la condotta ( ' obbligatorio ' , ' vietato ' ecc . ) , ovvero concetti che implicano qualificazioni di condotta ( conseguenze normative in termini di doveri ) . È appena il caso di precisare che la possi­ bilità di ricavare da un pende certo da una sua dalla circostanza, messa zioni d'uso v'è appunto

concetto prescrizioni di condotta non di­ intrinseca e misteriosa normatività, bensì in luce da Scarpelli, che tra le sue condi­ una norma che rimanda a tali conseguen­

ze ( ossia ad altre norme ) . In questo ordine di idee, ad esempio, l'elucidazione o defi­ nizione del termine ' contratto ' non risulta completa se si richia­ ma solamente la norma che stabilisce che certi comportamenti della realtà sono giuridicamente contratti, e che tali comporta­ menti sono atti leciti, ecc. 32• Occorre invece richiamare anche le norme sugli " effetti " dei contratti, cioè le norme che fissano i poteri e gli obblighi dei contraenti, e quelle che qualificano even­ tuali futuri accadimenti ( p . es. la norma sulla rescissione per le­ sione ) o comportamenti ( p . es. le norme sull'inadempimento ) dei contraenti e / o di terzi. In definitiva, sono dunque le conseguenze normative in ter­ mini di doveri di condotta che fanno di un concetto un concetto (veramente) normativa, qualificatore in senso scarpelliano . Apparirà peraltro chiaro che intendere in tal modo la spe­ cificità dei concetti qualificatori giuridici equivale in sostanza a condividere le tesi di Ross, ossia a riconoscere, con Ross, che la caratteristica preminente di tali concetti è la loro natura sistema-

32 Qui e altrove, nel testo, adopero ' contratto ' come sinonimo di ' accordo ' . Per altri sensi d i ' contratto ', v . P. ScHLESINGER, Complessità del procedimento di formazione del consenso ed unità del negozio contrattuale, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1964. V. anche A. BELVEDERE, Il problema delle defini­ xioni nel Codice Civile, cit., p. 139 ss ., spec. nota 82.

QUALIFICAZIONE E PRES CRIZIONE

1 05

tica, di ponti fra ( pezzi di ) norme giuridiche, di collegamento con le norme giuridiche ultimative ( regole sulla sanzione per Ross, prescrizioni di condotta per Scarpelli ) . Tra le idee di Scarpelli e le idee di Ross, su questo punto, non v'è dunque, mi pare, alcuna differenza di rilievo 33. 3.2. I

concetti fattuali nel diritto

Il contributo maggiore di Scarpelli alla semiotica analitica dei concetti giuridici consiste pertanto nella chiara determinazio­ ne del collegamento semantico tra i concetti e le norme e, nel di­ ritto, tra il signilicato e le prescrizioni di condotta. Se alla semiotica di Scarpelli può essere mossa una critica, questa concerne semmai i concetti fattuali, categoria che nel di­ ritto desta, a mio avviso, dubbi e perplessità. Ci si deve infatti domandare se, e in quale senso, si possa parlare di concetti puramente fattuali nel diritto. Innanzi tutto va richiamata ancora l'affermazione di Scar­ pelli, già citata, secondo la quale i concetti fattuali « appartengo­ no alla parte frastica delle norme » 34. Scarpelli non dice invece, e a ragione, che i concetti qualificatori appartengono alla parte neu­ strca delle norme. A ragione, perché egli ha chiarito che il neusti­ co delle norme è rappresentato da un concetto sprovvisto di de­ signazione, il concetto di ' dovere ' . A parte ' dovere ', gli altri concetti qualificatori di Scarpelli comprendono invece sia elemen­ ti designativi sia elementi prescrittivi di significato 35; tali elementi vanno opportunamente distribuiti tra il frastico e il neustico del­ le norme in un linguaggio giuridico artificiale, nei modi che ho riportato sopra . Dunque nel linguaggio giuridico ' perfetto ' non 33 V. anche

Scarpelli

.

infra, §

5, per un esame più dettagliato della polemica tra Ross

c

34 V. U. ScARPELLI, Contributo, cit., p. 123. JS Ad esempio il concetto di ' negozio giuridico ' designa un comportamento urna· no (una dichiarazione di volontà, secondo un'opinione diffusa), ma un comportamen· to qualificato, perché dotato di significato precettivo. V. U. ScARPELLI, Contributo, cit., p. 159·160. V. anche la nora 32.

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CAPITOLO TERZO

comparirebbero più concetti qualificatori, ma solo concetti me­ ramente designativi ( rappresentati d:1i termini del frastico ) e il concetto di ' dovere ' ( neustico ) . Solo a traduzione avvenuta nel linguaggio giuridico perfetto l'affermazione di Scarpelli, che i con­ cetti fattuali sono i concetti del frastico, potrebbe essere intesa e condivisa pienamente ( almeno da chi accetti la teoria del signifi­ cato elaborata da Scarpelli ) . Ci accorgiamo dunque subito che nel diritto la distinzione tra concetti proposta da Scarpelli ha oggetti diversi : infatti la sua analisi dei concetti qualificatori vette sul linguaggio giuridico " naturale " ; viceversa la sua analisi dei concetti fattuali (e la nozione medesima di ' concetto fattuale ') presuppone un lin­ guaggio giuridico " artificiale " perfetto . Di concetti fattuali in senso scarpelliano sembra dunque sen­ sato parlare solo relativamente a un linguaggio giuridico manipo­ lato . Invece ScarpeUi analizza. la semantica dei concetti " fattuali " di un linguaggio artificiale , ma adduce come esempi i concetti del linguaggio giuridico naturale ( gli esempi di Scarpelli sono ' nasci­ ta ' , ' fiume ', ' corpo ' ecc. ) . Ciò conduce Scarpelli a concludere che nel linguaggio dei diritti storici vi possano essere concetti de­ signati puri fatti . senza qualificazioni . Procedendo in questo modo, Scarpelli trascura però un altro senso in cui si può parlare di " qualificazione " nel diritto, un senso in base al quale si potrebbe sostenere, paradossalmente, che tutti i concetti giuridici siano qualificatori, che non vi siano affatto concetti fattuali nel diritto . Si può parlare infatti di qualificazione giuridica non solo nel senso usato da Scarpelli, come prescrizione di comportamento , giudizio derivante dal raffronto tra una norma e una condotta, ma anche come qualificazione di senso, determinazione esplicita o im­ plicita del significato intenzionale delle parole da parte delle norme giuridiche che ne fanno uso . In quest'ultimo senso si dice, ad esempio, che il diritto qua­ lifica un certo atto come omicidio, o come contratto . Ci si riferi­ sce in tal modo all'operazione con cui il diritto attribuisce a un

QliALIFIC,\ZIONE E

PRESCRIZIONE

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certo fenomeno, o meglio, al termine che lo designa, un senso - un « significato oggettivo », nel lessico di Kelsen - e perciò contemporaneamente lo definisce. In questo senso si dice che il diritto ascrive qualificazioni, che è un sistema di qualificazioni, le quali possono o meno coincidere con quelle di altri sistemi se­ miotici. Questa caratteristica del diritto appare tanto più evidente quanto più le qualificazioni giuridiche si discostano da quelle mo­ rali e sociali diffuse o vertono su oggetti a loro volta qualificati giuridicamente e perciò percepiti come artificiali. Questo è uno dei sensi in cui si parla di costitutività del diritto e delle norme giuridiche. Quando Scarpelli svolge il suo discorso sui concetti giuridi­ ci, intende " concetti qualificatori " - è bene rammentarlo an­ cora - nel senso pregnante di concetti che incorporano nel loro significato un rimando a norme di condotta. Egli però trascura alquanto l 'altro senso di qualificazione appena indicato; questo emerge dal modo in cui presenta e definisce la categoria dei con­ cetti fattuali nel diritto, nel linguaggio dei diritti storici. Ciò suggerisce, a mio parere, che nei diritti storici vi siano concetti - appunto i �i - i! cui significato non è affatto determil231Q. dalle_...o.g rme giuridiche� � solo dalle regole linmi­ s �del linguaggio ordinario (v . infra, § 3 . 3 . ) . È invece ben possibile sostenere che un concetto, per quanto fattuale possa essere nel linguaggio ordinario, una volta adopera­ to in una norma giuridica, si trasformi inevitabilmente in un con­ cetto " qualificatore ", nel senso di concetto il cui significato può essere compiutamente descritto solo facendo riferimento alla nor­ ma che ne fa uso. È ben possibile che le norme giuridiche mani­ polino il significato anche dei termini fattuali del linguaggio or­ dinario che impiegano : l'esempio più chiaro è dato dai termini definiti da definizioni legislative, ma non solo da essi. In altre pa­ role, l'inserimento di un termine nel discorso giuridico della leg­ ge e dclra dottrina ne muta, secondo alcuni addirittura inevitabil­ mente lo .status semiotico, e in articolare semantico, e rende co­ munque necessano, per a detèrminazione del suo significato, il

CAPITOLO TERZO

108

riferimento a norme giuridiche 36• Sostenere che questa manipola­ zione non abbia mai luogo equivale a postulare, senza però dimo­ strarla, la tesi che vi sia una necessaria coincidenza tra i signifi­ cati giuridici dei termini " fattuali " e i loro significati ordinari . A meglio vedere, abbiamo insomma sul tappeto due coppie di concetti, e non una sola: abbiamo da un lato l'opposizione tra concetti del linguaggio ordinario e concetti giuridici e, dall'altro lato, l'opposizione scarpelliana tra concetti fattuali e concetti qua­ lificatori . Queste due coppie, è evidente, non si sovrappongono né coincidono : ad esempio, è chiaro che un concetto può appartene­ re al linguaggio ordinario ed essere contemporaneamente quali­ ficatore ( pensiamo a c buono ', ' giusto ', ecc. ) . Si sarebbe ten­ tati di fare un passo ulteriore, e sostenere altresl che un concet­ to possa essere contemporaneamente giuridico e fattuale, se non fosse per ambiguità dell'aggettivo ' qualifìcatore ' . Come si è det­ to , questo potrebbe infatti significare « previsto da norme », op­ pure « che implica norme » ( il senso adoperato da Scarpelli ) . Se si dovesse intendere qualificatore ' come equivalente a « previ­ sto da norme », è evidente che tutti i concetti giuridici sarebbero per definizione concetti qualificatori, è evidente che l'espressione « concetti giuridici fattuali » sarebbe una contraditio in adiecto . c

È ovvio che queste difficoltà possono essere in parte supe­ rate con una stipulazione definitoria. Sarebbè dunque opportuno non parlare affatto di concetti giuridici fattuali, e limitarsi invece a parlare di concetti giuridici senza ulteriori specificazioni. Sareb­ be inoltre opportuno, per dissipare le ambiguità connesse all'ag­ gettivo " qualificatore ", chiamare n armativi i concetti qualifica­ tori di Scarpelli : questa terminologia rende in modo più traspa­ rente la normatività semantica di questi concetti. Inoltre, in que· sto modo, non si pregiudica l'indagine sul problema se anche i con­ cetti giuridici

sans phrase,

non normativi secondo la terminologia

36 V., in questo senso, A. W. B. SrMPSON, The Analyris o/ Legai Concepts, cit., p. 545 ss.

QUALIFICAZIONE

E

PRESCRIZIONE

109

appena proposta, possano avere a che fare con le qualifìcazioni giuridiche, in altri sensi 37• Ma il problema non è solo terminologico : residua infatti an­ che una questione sostanziale, relativa ai rapporti tra il linguag­ gio giuridico e il linguaggio ordinario, su cui ora mi soffermerò. 3 . 3 . Due tesi semiotiche sui rapporti tra diritto e linguaggio or­

dinario Le tesi di Scarpelli sollevano dunque il seguente problema: ci si chiede se qualunque concetto giuridico ossia concètto ado­ perato nei discorsi dei diritti storici - possa mai essere consi­ derato un concetto puramente fattuale, e se questo equivalga a negare che siano rilevanti, per la determinazione del suo signi­ ficato, Ie disposizioni giuridiche che lo prevedono, e alla fin fine l 'intero sistema semiotico giuridico. L'unico modo di dare una risposta negativa a tale problema consiste nell'aderire ad una tesi semiotico-giuridica assai forte, e assai controversa : la tesi per cui, laddove le norme giuridiche non determinino espressamente il significato dei termini che usano, si debba far ricorso a tal fine al linguaggio ordinario. Tale tesi è assai forte, dato che pretende di essere una tesi generale sul linguaggio giuridico, e prescinde dunque dalle pecu­ liarità contingenti dei vari diritti storici. Tale tesi è inoltre as­ sai controversa, sia come tesi descrittiva, sia anche qualora la si interpreti come prescrizione rivolta ai giuristi. Come tesi descrittiva, è controversa perché pretende di ritro­ vare in ogni diritto una ( meta ) regola implicita ( quando non ve ne sia già una esplicita ) di rinvio ai signifìcati ordinari 38• Si ri-

37 V. anche A. BELVEDERE, Aspetti ideologici delle definizioni 11el linguaggio del legislatore

e

dei giuristi, in A. BELVEDERE, M.

diche e ideologie, cit., p. 397 s .

]o RI

,

L. LANTELLA, Definizioni giuri,

38 I n questo modo, come metarcgola esplicita, s i potrebbe interpretare e d è stato in effetti inteso il rimando al " significa to proprio delle parole " contenuto nell'arti· colo 12 delle Disposizioni Preliminari al Codice Civile italiano. V. L. Mossrnr, Il si-

llO

CAPITOLO

TERZO

cordi a questo proposito che vi sono teorici del diritto, come ad esempio Lazzaro, che propongono invece - presupponendo dun­ que che non sia già implicita - l'introduzione di una regola sif­ fatta nei diritti positivi come il nostro, al fine di circoscrivere la immancabile indeterminatezza semantica del linguaggio giuri­ dico 39• Ma anche come prescrizione, la tesi in esame è notoriamen­ te controversa, a causa del carattere controverso dei valori etico­ politici che a questo punto entrano in gioco ( chiarezza e compren­ sibilità del messaggio giuridico, certezza del diritto, assunzione ta­ cita di valori incorporati nel linguaggio ordinario ) , e dei mezzi ntenuti maggiormente idonei a realizzarli. Le opinioni di Lazza­ ro appena menzionate sono a questo proposito particolarmente si­ gnificative. Lazzaro infatti ribalta audacemente l'argomento tra­ dizionale in base al quale una maggiore precisione dei significati giuridici può essere realizzata mediante ridefìnizioni o comunque stìpulazioni artificiali di significato : egli invece sostiene che nel diritto un rinvio ai significati ordinari, nei casi di incertezza, sia raccomandabile perché ha spesso l'effetto di ridurre l'indetermina­ tezza dei concetti 40• Se dunque Scarpelli parla davvero di concetti giuridici fat­ tuali intendendo concetti che nel diritto non richiedono, per la determinazione del loro significato, un rinvio di nessun tipo a re­ gole ( giuridiche ) , si deve concludere che egli accetta questa tesi " forte " sui rapporti tra diritto e linguaggio ordinario. E sicco­ me per Scarpelli il fenomeno della significazione è un fenomeno retto da regole, si dovrebbe concludere che a suo avviso vi siano concetti giuridici il cui significato è governato dalle sole regole lmguistiche del linguaggio ordinario e non ( anche ) da regole giu­ ridiche. gnificato proprio

delle parole e l'intenzione del legislatore, in Rivista di diritto ci­ vile, 1972. 39 V. G . LAZZARO , Diritto e linguaggio comune, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1981, p. 168 ss. 40 V. G. LAZZARO, Diritto e linguaggio comtme, cit., p. 176 s.

QUALIFICAZIONE E PRESCRIZIONE

111

In realtà è assai dubbio che Scarpelli accolga tale tesi. Scarpelli considera il linguaggio giuridico come un « linguag­ gio aperto che . . . [ sta ] . . . col linguaggio comune, e quindi attraverso il linguaggio comune con i vari linguaggi specialistici in una continuità senza soluzione » 41 • Linguaggio giuridico, dun­ que, come linguaggio solo parzialmente tecnicizzato, che trae dal linguaggio comune la sintassi, il lessico, e gran parte dei concetti ( quelli non tecnici, o non tecnicizzati) . Da questa citazione di Scarpelli parrebbe far capolino la sua adesione alle tesi forte innanzi menzionata circa i rapporti tra lin­ guaggio giuridico e linguaggio ordinario. Ma in realtà neppure ta­ le citazione è risolutiva, per tre ordini di ragioni. Infatti, in primo luogo, ho l'impressione che Scarpelli, così come molti dei teorici che adoperano la formula stringata del lin­ guaggio giuridico come « linguaggio parzialmente tecnicizzato » , voglia alludere più ai termini che non ai concetti giuridici, si rife­ risca, in altre parole, per usare la distinzione di Saussure, al si­ gnifiant più che al signifié, al lessico piuttosto che alla semantica . Intesa in questo modo la tesi è certamente assai condivisibile. In secondo luogo mi pare che Scarpelli, quando fornisce que­ sta raffigurazione del linguaggio giuridico, come linguaggio senza soluzione di continuità rispetto al linguaggio ordinario, non di­ stingua due cose, che invece in questo caso andrebbero tenute di­ stinte: la Jinf!!a naturale, cioè il sistema delle regole morfologi­ che, fonetiche, sintattiche e lessicali di una comunità linguistica e il li.lJguqJ.gio ordi_nari.Q, ossia l'uso prevalente di queste regole in una data comunità . L'argomento è complesso e verrà ripreso anche in seguito . Si può per ora rilevare che l'identificazione, qua­ si sempre implicita, del linguaggio ordinario con la lingua natu­ rale, è assai diffusa, benché possa dar luogo a fraintendimenti. Mentre infatti non suscita soverchie discussioni dire che il diritto adopera la lingua (o meglio , una lingua) naturale, è invece assai

4 1 V. U. ScARPELLI, Contributo, cit., p. 1 1 7.

CAPITOLO TERZO

1 12

controverso stabilire quali siano i rapporti tra il linguaggio giuri­ dico e il linguaggio ordinario; la determinazione di tali rapporti andrebbe compiuta analizzando i prestiti semiotici necessari o pos­ sibili tra questi due sistemi semiotici, e tenendo distinti i livelli sintattico, semantico e pragmatico di analisi di questi scambi 42 • Non distinguere tra lingua naturale e linguaggio ordinario può sortire l'uno o l'altro dei seguenti effetti, ambedue indeside­ rabili: può condurre infatti ad esprimere una tesi ovvia - il di­ ritto adopera la lingua naturale - attribuendo però ad essa una formulazione controversa; viceversa può condurre ad avanzare una tesi controversa - il linguaggio giuridico è necessariamente aperto al linguaggio ordinario - rivestendola di una formulazio­ ne ingannevolmente ovvia e indiscutibile. Ritornando a Scarpelli, certamente egli ha in mente i rap­ porti con la lingua naturale quando sostiene che il linguaggio giu­ ridico non è ( ed è opportuno che non sia ) un linguaggio forma­ lizzato. Non è chiaro invece se per determinare positivamente le caratteristiche (sintattiche ? , semantiche? , pragmatiche ? ) del lin­ guaggio giuridico egli si richiami al linguaggio ordinario . È cer­ to però che, in varie parti del suo libro, quando parla di uso ordi­ nario, di termini o concetti giuridici, egli non intenda riferirsi al­ l'uso ordinario sans phrase, bensl all'uso diffuso tra gli specialisti, • 1 gtunstl 43 . •





In terzo luogo, e questo potrebbe sembrare l'argomento de­ cisivo, occorre ricordare che Scarpelli è un teorico del diritto nor­ mativista e giuspositivista . Egli concepisce il diritto come un or­ dinamento di norme, ordinamento caratterizzato da una certa qual finitezza e separatezza, non solo rispetto alla morale, ma anche

42 V., sulla distinzione tra lingua naturale e linguaggio ordinario, G. RYLE, Ordinary Language (1953), e G. RYLE, ]. N. FINDLAY, Use, Usage and Meaning in F. ZABEEH, E. D. KLEMKE, A. ]ACOBSON (a cura di), Readings in Semantics, ci t. V. infra, cap. 7, § 3 .2.3. 3 Questo è l'argomento su cui si imperniano alcune delle critiche di Scarpelli 4 alla teoria dei concetti giuridici di Ross, il quale sarebbe colpevole di travisare l'uso ordinario (dei giuristi). Sul punto ritornerò infra nel testo. ,

113

QUALIFICAZIONE E PRESCRIZIONE

rispetto al linguaggio ordinario ( qualunque cosa esso sia IVI incluse le credenze morali che esso incorpora ) . Il giuspositivismo tradotto in termini semiotici dovrebbe essere caratterizzato dal così detto « principio di incorporazione », ossia dal principio in base al quale qualsiasi apporto semiotico ad un diritto, e perciò anche l'apporto semiotico rappresentato dal linguaggio e dai si­ gnificati ordinari, può essere ammesso solo se il diritto medesimo lo preveda 44• La regola della " continuità senza soluzione " ri­ spetto al linguaggio ordinario potrebbe essere considerata giuridica solo se il diritto ( i vari diritti positivi ) la preveda espressamen­ te : essa dunque, per il giuspositivista, andrebbe accertata caso per caso, e non già semplicemente postulata come esistente. Per il teo­ rico giuspositivista c'è un senso in cui tutti i concetti giuridici de­ vono essere considerati qualificatori o, per meglio dire, nessun concetto giuridico può essere considerato puramente fattuale : ed è Il senso in base al quale il diritto determina interamente il signi­ ficato dei concetti che adopera (ma è davvero possibile questo? v. infra, cap. 7, § 3 . 2 . 3 ) . M a i n realtà neppure l'opzione giuspositivista di Scarpelli è risolutiva, dato che non è accolto da Scarpelli il principio della finitezza e separatezza dell'ordine giuridico , che del suo giuspo­ sitivismo sembrerebbe essere una caratteristica centrale . Infatti Scarpelli oscilla tra l'accettazione di questo principio, che egli pre­ senta apertamente e dichiaratamente come un principio etico-po­ litico, e la formulazione di idee, sull'apertura indefinita del lin­ guaggio e dei concetti giuridici, che non paiono del tutto compa­ tibili col principio dell'incorporazione . Queste idee acquisteran­ no importanza sempre maggiore nella evoluzione successiva del pensiero di Scarpelli, fino a condurlo a un completo, e sotto que­ sto profilo coerente , ripudio del principio di incorporazione in teoria del diritto 45 • -

44 Sul « prmcipiO di incorporazione » v. B. S. ]ACKSON, Semiolics and Lega/ Theory, cit., p. 124 ss. V. infra, cap. 7, § 3.2.3 . 45 V. U. ScARPELLI, Dalla legge al codice, dal codice ai principi, in Rivista di Filosofia, 1987. V. infra, § 5, in questo capitolo, e cap. 7, § 3 .2.4.

114

Ct.PITOLO TERZO

Per ora possiamo concludere su questo argomento col dire che Scarpelli, riguardo al problema dei rapporti tra diritto e lin­ guaggio ordinario, oscilla tra le seguenti due tesi: da un lato la tesi " forte ", in base alla quale il significato di tutti i termini non peculiarmente tecnico-giuridici andrebbe ricavato dal linguaggio ordinario; ogni diritto comprenderebbe dunque la prescrizione im­ plicita del rimando al linguaggio ordinario, salvo non preveda espressamente il contrario; dall'altro lato la tesi giuspositivistica della finitezza ed autodeterminazione semiotica dell'ordine giuri­ dico : ogni diritto sarebbe governato da un « principio di incorpo­ razione » in base al quale i rimandi ai significati ordinari (o a qualsiasi altro rapporto semiotico extrasistemico) andrebbero pre­ visti, cioè autorizzati o prescritti, in modo espresso (salva la discrezionalità interpretativa) . Per concludere (provvisoriamente) su questo punto resta­ no da fare due precisazioni. La prima precisazione riguarda le due tesi semiotiche circa i rapporti tra diritto e linguaggio ordinario, di cui ho parlato poc'anzi : ossia la tesi forte che sostiene l'apertura indefinita del diritto al linguaggio ordinario, e la tesi (giuspositivistica? ) che sostiene la finitezza ed autodeterminazione semiotica del diritto. Apparirà chiaro che l'una tesi non è il complemento dell'altra: accettare la prima comporta ovviamente il rigetto della seconda, ma il rifiuto della tesi della finitezza non costringe certo logica­ mente ad accogliere la prima tesi. In particolare, nell'analisi dei concetti giuridici , negare che il significato dei termini ado­ perati dal diritto vada ricavato, salva eccezione espressa, dal linguàggio ordinario, e quindi respingere la tesi temiotica ' forte ', non equivale certamente ad accogliere la tesi giuspositivistica della finitezza dell'ordine giuridico . Dietro il rifiuto della neces­ saria dipendenza del diritto dal linguaggio ordinario potrebbero nascondersi idee di ordine diverso, e certamente anche idee non qualifìcabili come giusposìtivistiche : ad esempio il rifiuto to­ tale di una considerazione sistemica ed astraente del diritto. Que­ sto rifiuto caratterizza alcune versioni estreme del realismo giu-

QUALIFICAZIONE E PRES CRIZIONE

1 15

ridico e della giurisprudenza sociologica, che negano radicalmente la legittimità di uno studio astratto e sistemico del diritto, e so­ stengono per questa ragione il carattere illusorio di una conside­ razione del diritto come sistema finito 4 6 • Tornerò su queste due tesi semiotiche, soprattutto per com­ prendere se esse vengano presentate e intese come prescrizioni o invece come descrizioni semiotiche, e per individuare gli argo­ menti, descrittivi o prescrittivi, addotti a loro sostegno. La seconda precisazione riguarda i nessi concettuali tra le nozioni di apertura/ chiusura degli ordinamenti giuridici, loro completezza/incompletezza, loro rimando necessario/ eventuale al linguaggio ordinario . Dovrebbe già in principio essere evidente che tra i membri di queste tre coppie di concetti non esiste un le­ game necessario . In particolare non esiste un legame necessario tra : esclusione del rinvio al linguaggio ordinario, chiusura, e com­ pletezza di un diritto. Infatti è noto che un sistema può indiffe­ rentemente venir chiuso tramite una regola di rinvio ( ad esempio, di rinvio ai significati ordinari ) , ovvero tramite una regola che escluda ogni rinvio . Il problema, come si vede, è in parte termi­ nologico, in parte concettuale : occorrerebbe innanzi tutto metter­ si d'accordo sul modo di intendere le nozioni di ' apertura ' , ' chiu­ sura ', ' completezza ' e ' incompletezza ' , e successivamente ana­ lizzare e distinguere le varie tecniche attraverso le quali tali risul­ tati possono essere ottenuti ( o comunque perseguiti ) 47

46 V. P. GoooRICH, Legai Discourse, citato, il quale cnuca m modo radicale le concezioni sistemiche del diritto e del linguaggio elaborate rispettivamente dal gius­ positivismo e dallo strutturalismo. Gli argomenti di Goodrich saranno esaminati in seguito (v. in/ra, cap. 6). Alla posizione di Goodrich va accostata quella di Tarello ; questi, come è noto, motiva l'illegittimità di uno studio astraente, normativa e siste­ mico del diritto con la considerazione che il significato dei termini giuridici è il frutto d[ manipolaz[oni, non soggette a regole (e non dipendenti dai significati ordinari), da parte della cultura giuridica. 47 Si veda sul punto il classico lavoro di A. G. CoNTE, Saggio sulla completezza degli ordinamenti normativi, Giappichelli, Torino 1962. V. anche, sulle norme di chiusura, le osservazioni di M. Jorrr, Definizioni giuridiche e livelli del discorso, in A. BELVEDERE, M. JoRI, L. LAl'ITELLA, Definizioni giuridiche e ideologie, cit . ; Io. , Il fomralismo giuridico, Giuffrè, Milano 1980, appendice 3 .

116

4.

CAPITOLO TERZO

-

CAPACITÀ CONO S CITIVA DEI CONCETTI GIURIDICI

Scarpelli, quando sottolinea che l 'uso dei concetti giuridi­ ci possa trasmettere conoscenza, vuole dar conto dell'idea intui­ tiva per cui parlare di diritto è anche parlare di fatti reali. Egli ri­ tiene dunque che i concetti che qualificano fatti attuali possano svolgere una funzione conoscitiva diretta, nel senso che, se si co­ nosce la conclusione normativa che il concetto consente di rica­ vare e se si conosce una delle due premesse, la fattuale o la nor­ mativa, è possibile risalire all'altra premessa, la quale ci può por­ tare una conoscenza nuova 48 • I concetti che qualificano fatti even­ tuali, come ' proprietà ' , svolgerebbero invece, secondo Scarpelli, una funzione conoscitiva solo indiretta : « quando mi si dice che Giuseppe pone in essere un negozio giuridico, io apprendo che egli tiene un certo comportamento, un comportamento con signi­ ficato precettivo ; quando mi si dice che Giuseppe è titolare di un diritto soggettivo, io non apprendo alcunché intorno ai suoi effet­ tivi comportamenti » 49• Tale ultimo concetto può esplicare tut­ tavia una funzione conoscitiva indiretta, nel senso che il suo uso ci informa del fatto che si è verificata una delle fattispecie alle quali il diritto ricollega l'acquisto di un diritto soggettivo . I concetti " misti ", come quello di persona, che designano con­ temporaneamente fatti attuali e eventuali, esplicano una fun­ zione conoscitiva diretta relativamente al fatto che attualmente designano , una funzione conoscitiva indiretta quanto ai fatti eventuali su . L a conoscenza d i cui parla Scarpelli sembra consistere dun­ que nella possibilità di risalire alla premessa ignota a partire dal­ la conclusione e dalla premessa note. Tuttavia, a meglio vedere, questa conoscenza è meramente analitica : essa si ricava infatti ti­ percorrendo au rebours un ragionamento deduttivo .

46 V. U. SCARPELLI, Contributo, cit., p. 146 s. 49 V. U. ScARPELLI, Contrib11to, cit., p. 179. sa V. U. ScARPELLI, Contributo, cit., p. 202.

QUALIFICAZIONE

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PRESCRIZIONE

117

Ma, in primo luogo, una volta che noi conosciamo la con­ clusione e una delle premesse, conosciamo già anche l'altra pre­ messa, essendo il contenuto di questa necessariamente compreso nella conclusione (sempre che la deduzione sia corretta) . I n secondo luogo, in un certo senso invece noi non siamo in grado di risalire ad alcuna premessa : infatti, com'è noto, una con­ clusione può essere deduttivamente ricavata da infinite premes­ se 51 . Così, ad esempio, se si conosce la premessa minore « Sacra­ te è un uomo », la conclusione « Socrate è mortale » può essere ncavata dalla premessa maggiore « tutti gli uomini sono morta­ li » , oppure « tutti gli uomini e i gatti sono mortali », oppure « tutti gli uomini sono mortali e tutti i gatti sono dormiglioni » , oppure da « piove e non piove » e via dicendo : infatti qualsiasi conclusione può essere ricavata in modo stringente da una pre­ messa costituita dalla congiunzione di una proposizione identica alla conclusione con un'altra qualsivoglia proposizione, oppure anche da una premessa contraddittoria. Un discorso analogo può esser fatto per il caso in cui sia nota la conclusione e la premessa ignota sia la premessa minore fattuale. Pertanto ripercorrere a ritroso un ragionamento deduttivo ci fornisce addirittura troppe conoscenze, e dunque in realtà nes­ suna. C'è tuttavia un altro senso in cui sembra che Scarpelli parli di funzione conoscitiva esplicata dai concetti giuridici : talora sem­ brerebbe infatti che gli ritenesse possibile ricavare, dalla conclu­ sione normativa che il concetto serve a ricavare, informazioni, non già su entità di linguaggio, bensì su accadimenti fattuali. In altre parole, Scarpelli potrebbe voler dire che dall'uso di un concetto qualificatore è possibile ricavare conoscenze su fatti. Questo è quanto emerge da un esempio dello stesso Scarpelli: un generale asserisce che il soldato Tizio si è comportato bene in bat-

Sl V. I. CoPI,

Introduzione alla logica (1961), trad. it. di

Bologna 1964, p. 339, 341.

M. Soringa, Il Mulino,

1 18

CAPITOLO TERZO

taglia; noi siamo a conoscenza della premessa normativa della as­ serzione, ossia dei criteri di « bontà soldatesca » adoperati dal generale, il quale può ad esempio considerare buon soldato il sol­ dato che obbedisca agli ordini, non fugga di fronte al nemico, ecc.; pertanto è possibile ricavare, dalla conclusione normativa del ge­ nerale « Tizio si è comportato bene », l'informazione che il sol­ dato Tizio si è di fatto comportato in un certo modo, ad esempio ha obbedito agli ordini, non è fuggito, ecc., e dunque acquisire nuove conoscenze sulla realtà. A me pare che, se è davvero questa l'idea di Scarpelli, ess8 vada criticata di fallacia naturalistica alla rovescia, nel senso che nasconde la pretesa, ingiustificata logicamente, di ricavare fatti da norme, e che sia comunque insostenibile. Infatti l'affermazione del generale, che il soldato Tizio si è comportato bene, ci informa solamente del fatto che il generale asserisce che il soldato Tizio si è comportato in qualche modo, che egli dice di ritenere che il soldato abbia tenuto una qualche condotta ( approvata dal gene­ rale ) , e dò anche se noi sappiamo che secondo il generale com­ portarsi bene in battaglia equivale a compiere certe azioni, ad esempio non fuggire, ecc. Infatti il generale potrebbe ben essersi sbagliato sul conto di Tizio, oppure potrebbe aver mentito per proteggerlo, o per fare bella figura, e via dicendo . La conoscenza dell'effettivo comportamento del soldato noi la ricaviamo dall'asserzione che ci informa su questa (e che non è affatto implicitata dalla conclusione normativa) o da un'infe­ renza induttiva, e non deduttiva, che noi compiamo : la conclu­ sione normativa ci trasmette conoscenza solo se conosciamo già i criteri di buon comportamento del soldato adoperati dal generale e se sappiamo inoltre che questi vengono adoperati costantemen­ te e coerentemente, e che il generale è a conoscenza dei fatti del caso. Torna utile a questo proposito richiamare la distinzione che Hare traccia tra il significato (meaning) e i criteri (criteria) dei concetti morali. Hare, come è· noto, distingue tra un significato laudativo costante ( meaning ) e le variabili caratteristiche ( crite-

QUALIFICAZIONE E PRESCRIZIONE

119

ria ) degli oggetti a cui ci riferiamo quando adoperiamo un concet­ to morale. Inoltre, secondo Hare, l ' uso dei concetti morali, ad esempio del concetto di ' buono ' , ci informa soltanto del fatto che chi lo adopera valuta positivamente gli oggetti a cui lo rife­ risce, non ci informa invece affatto dei criteri di bontà, che noi dobbiamo conoscere indipendentemente, e che potremmo anche i�norare completamente 52• Allo stesso modo, nel diritto, non è l'affermazione che Tizio è proprietario, in sé considerata, ad informard che Tizio ha usu· capito, o ereditato, eccetera, bensl l'inferenza induttiva che noi c0mpiamo : se Tizio è davvero proprietario, lo è solo se ha eredi­ tato, o usucapito ecc . , ed è probabile che uno di questi eventi si sia davvero verificato; ciò dipende dalla circostanza che il parlan­ te sia davvero a conoscenza del diritto e dei fatti del caso, e dalla circòstanza che il diritto positivo in questione sia effettivo, cioè che le conseguenze normative siano effettivamente ricollegate a questi accadimenti fattuali ( ad esempio, che davvero si punisca­ no i ladri e si condanni al risarcimento dei danni ) . Si capisce allora perché anche i teorici realisti più scettici sulla semiotica delle prescrizioni, come Olivecrona, pur conside­ rando i concetti normativi giuridici come totalmente sprovvisti di significato e di capacità designativa, ammettano che il loro uso sia in grado di convogliare conoscenza. Questa capacità conoscitiva infatti non dipende dalle caratteristiche semiotiche dei concetti gmridici, ma dalle caratteristiche sociologiche dei diritti positivi, ossia dal fatto che si tratta di diritti effettivi, socialmente prati­ cati : le regolarità sociologiche e psicologiche trovano espressione in regolarità verbali, e da queste ultime è possibile inferire ( indut­ tivamente ) le prime. La conoscenza è dunque possibile a condizione che il diritto nel caso specifico sia effettivo, ossia le sue norme rilevanti siano

52 V. R. M. HARE, Il linguaggio della morale, cit., p. 109. Si veda un commento di queste idee di Hare in E. LECALDANO, Le aualisi del linguaggio morale, Edizioni dell'Ateneo, Roma 1970, spec. p. 236 ss.

1 20

CAPITOLO TERZO

effettivamente seguite e correttamente applicate . Questa è appun­ to la conclusione di Olivecrona, il quale ritiene che gli enunciati che fanno uso dei concetti giuridici, se correttamente adoperati, possano trasmettere cohoscenza su fatti. Olivecrona giunge a que­ sta conclusione, pur ritenendo che il mondo normativa sia del tutto illusorio e che le norme siano entità semiotiche fittizie, per­ ché si riferisce alla radicata abitudine a ricollegare l'uso dei con­ cetti normativi giuridici all'accadimento di certi fatti, abitudine che si fonda su effettive regolarità sociologiche 51•

5.

-

ScARPELLI v s . Ro s s

È giunto il momento di esaminate nei dettagli la discussione tra Scarpelli e Ross sui concetti giuridici. La semiotica del primo Ross, pur con le sue oscillazioni, non è troppo distante da quella di Scarpelli. Eppure i due polemizza­ no in tema di referente e di significato dei concetti giuridici 54• L a prima divergenza tra Scarpelli e Ross riguarda i concetti come ' punibile ' , che Ross, come abbiamo visto, considera ridu­ cibili ad asserzioni di probabilità circa il futuro comportamento delle corti . Scarpelli rimprovera a Ross di compiere su questo punto un errore di fatto, di andare cioè contro l'uso del concetto di ' punibile ', che usualmente è adoperato come concetto quali­ ficatore e non fattuale. Nell'uso comune infatti ' punibile ' si-

SJ K. 0LIVECRONA, Linguaggio giuridico e realtà (1962), trad. it. di E. Pattaro, in U. ScARPELLI ( a cura di), Diritto e analisi del linguaggio, cit., p. 279 s . Per Olivecrona gli enunciati giuridici che fanno uso di concetti normativi hanno però principalmente una funzione direttiva, che è anch'essa, come la funzione conosci­ tiva, interamente analizzabile in termini di meccanismi psicologici di influenza e condizionamento dei comportamenti. 54 La dis cu ssi one tra Ross e S c arpelli ha avuto luogo al Colloquio internazionale di logica di Lovanio del 1958. Le relazioni di Ross e di Scarpelli, originariamente pubblicate in Logique et Analyse, 1958, sono tradotte in italiano in U. ScARPELLI (a cura di), Diritto e analisi del linguaggio, cit.: v. A. Ross, La definizione nel lin­ guaggio giuridico, cit., spec. p. 200, 204 s . ; U. ScARPElLI, La definizione nel diritto. V. anche U. ScARPEI.LI, Contributo, cit., p. 151 ss.

QUALIFICAZIONE

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cht ; deve essere punito in base ad una norma valida » , che d i fatto probabilmente sarà punito » . A mio parere i rilievi di Scarpelli sull'uso corrente di questo concetto sono corretti e condivisibili, almeno se riferiti agli usi dei giuristi, non invece se riferiti ai privati cittadini : si può infatti du­ bitare che i privati adottino massicciamente il punto di vista inter­ no riguardo alle norme, e non considerino invece le norme solo come elementi su cui fondare previsioni ·sulla futura condotta dei giudici 55• Tuttavia, l' " errore " di Ross in proposito non può es­ sere certo considerato un errore di fatto, è semmai un errore teo­ rico ( come lo stesso Scarpelli rileva ) . Il filosofo danese non si preoccupa infatti certamente di restare fedele all'uso linguistico e1rrente ; egli vuole piuttosto fornire una analisi del concetto di ' punibile ' teoricamente corretta, anche se eventualmente conflig­ gente con l'uso comune : e teoricamente corretta per Ross signi­ fica coerente con una teoria giuridica realistica e predittiva. Ross certo non ignora che un atto, per essere detto giuridicamente pu­ nibile, debba essere qualificato come tale da una norma giuridica: solo, egli ritiene che sia necessario , per la scienza giuridica empi­ rico-predittiva, compiere un'altra para&asi del concetto e tradur­ re la qualificazione normativa in un giudizio di probabilità. La seconda divergenza tra Ross e Scarpelli concerne il signi­ ficato e la definizione dei concetti giuridici sistematici. gnifìca e non

«

«

I dissensi tra questi due teorici su tali concetti riguardano innanzi tutto, come si è detto, la possibilità di identificare il si­ gnificato con il referente empirico delle espressioni che li designa­ no. Ma un'altra divergenza riguarda pure la possibilità di reperire o meno controparti fattuali per taluni concetti giuridici, come ' proprietà ' . Questi, secondo Ross, non designano alcunché, e sono perciò meaningless. Invece, per Scarpelli, concetti come ' proprietà ' appartengono alla categoria dei concetti qualifìcato­ ri, ossia sono concetti che designano fatti ( che possono essere so·

55 V. H. L. A. HART, Il conce/lo di diritto, cit., p. 135 ss.

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CAPITOLO TERZO

lo eventuali, come appunto il caso di ' proprietà ' ) e contempo­ raneamente li qualifìcano in base a norme giuridiche. Così Scar­ pelli afferma, criticando Ross: �< se dico ' Marco ha la proprietà di quel cavallo ' , nella espressione il concetto di proprietà aggiun­ ge ai riferimenti semantici di ' Marco ' e di ' cavallo ' nuovi rife­ rimenti semantici; l'uso del concetto di proprietà pone l'espres­ sione in riferimento a oggetti extralinguistici, con i quali non è in riferimento per effetto dell'uso degli altri concetti. Per il fatto che vi figura il concetto di proprietà l'espressione ha riferimenti a comportamenti di Marco relativi al cavallo, e a comportamenti di altri soggetti relativi a comportamenti di Marco relativi al cavallo , che non sono comportati dagli altri concetti in essa adoperati » 56 • Ma anche per Ross i giudizi in cui si fa uso dell'espressione

tu-tù o proprietà sono dotati di riferimento empirico, benché la parola tu-tu o ' proprietà ', in sé considerata, sia sprovvista di ri­ ferimento. Tali giudizi si riferiscono infatti : l ) allo stato di cose della condizione ( Tizio ha usucapito, ereditato, ecc. ) e 2 ) allo s tato di cose che si deve verifìcare, e che probabilmente si verifi­ cnerà, come conseguenza della condizione . È la combinazione tra questi due stati di cose che costituisce il riferimento semantico delle espressioni in cui si fa uso di tu-tu o di ' proprietà ' . « È solo l a frase " N .N . è tù- tu " alla quale, presa nella sua in te­ rezza, si può attribuire riferimento semantico _ Ma in un riferi­ mento semantico di tal fatta non è possibile distinguere una certa realtà o qualità che possa essere ascritta ad N . N . , e che . cornspon da a11a paro l a " tu-tu , » 07 . Ross inoltre fa capire chiaramente che un enunciato come « Tizio è proprietario » fa riferimento alla realtà, ma ha un signi­ ficato che non si esaurisce in tale riferimento, giacché include an­ che una asserzione metalinguistica su norme. Tale enunciato si nferisce in effetti contemporaneamente a certi fatti e alla circo­ stanza giuridica che tali fatti comportano specifiche conseguenze �

56



U. ScARPELLI, Contributo, cit., p . 157.

;7 A. Ross, Tu-tu, ci t., p . 169.

QUALIFICAZIONE E PRESCRIZIONE

123

giuridiche: « L'affermazione che A è proprietario di un certo og­ getto si riferisce non soltanto alla circostanza puramente fattuale che A ba comperato l'oggetto, oppure lo ha ereditato, oppure lo ha usucapito e cosl via; ma anche alla circostanza giuridica che, secondo il diritto vigente, questi avvenimenti comportano speci­ fiche conseguenze giuridiche, onde si dice che " danno origine alla proprietà » 58 • Si tratta dunque di affermazioni perfettamente significanti, perché dotate di riferimento fattuale; tuttavia il loro significato non si esaurisce in tale riferimento, ma comporta an­ che una asserzione relativa a norme giuridiche : norme ( in realtà frammenti di norme ) che ricollegano ai fatti, il cui verificarsi ren­ de appropriato l 'uso del concetto, certe qualificazioni normative, e norme (anch'esse frammentarie) che ricollegano alla presenza di tali qualificazioni certe conseguenze giuridiche. Non c'è nien­ te in tali affermazioni di Ross che possa confliggere con le idee di Scarpelli sui concetti qualifìcatori come concetti che designano fatti e contemporaneamente li qualificano . "

Il problema relativo a questo tipo di concetti non è dunque se gli enunciati in cui essi vengono adoperati facciano o meno ri� ferimento ai fatti, perché su questo punto sia Ross che Scarpelli ri J spando affermativamente; il p roblema è piuttosto se ci siano dei fatti ai quali faccia riferimento l 'espressione ' proprietà ' di per sé considerata . Per Scarpelli questi fatti ci sono : non si tratta di fatti attuali ( si può infatti essere proprietari senza che accada al­ cunché nel mondo ) bensì della possibilità di fatti, qualificati in un certo modo . Tali concetti, dice Scarpelli, designano disposizioni normative, ossia designano situazioni tali che, se si verifica un certo fatto ( per esempio un danneggiamento del bene nel caso della proprietà ) , questo verrà qualificato in un certo modo dal ' diritto ( nell'esempio , verrà qualificato come illecito ) 59 • 56 A. Ros s , Diritto e giustizia, cit., p. 164. E ancora: « L'affermazione che una persona ha " contratto matrimonio " include una asserzione relativa al diritto valido, cioè che l'evento relativo è produttivo di matrimonio " e che esso implica un certo complesso di conseguenze giuridiche » (ibidem, p. 163 s . ) . 59 U . SCARPELLI, Contributo, cit . , p. 181 . "

CAPITOLO 'fERZO

124

Temo però che la ricerca di una controparte fattuale per questo tipo di concetti sia un'impresa destinata all'insuccesso : mfatti, a meglio vedere, una « disposizione normativa » non è un fatto ( anche solo eventuale ) al quale possa applicarsi una qualifi­ cazione giuridica ; una « disposizione normativa >> è piuttosto la possibilità giuridica e non fattuale di applicare una certa qualifi­ cazione normativa ad un comportamento, qualora questo si ve­ rifichi. Prendiamo ancora ad esempio il concetto di proprietà. Che tale concetto non designi alcun fatto ( sia pure una possibilità di fatto ) , appare evidente non appena si cerchi di formularne, se­ guendo le indicazioni di Scarpelli, la definizione . Ne risulterà

qualcosa

del genere: « se si dà una norma che prevede, ad esem­ io, l 'usucapione, e se accadono i fatti corrispondenti ( una certa

p

condotta di Tizio , il decorso del tempo), allora ne deriva come conseguenza che costui può liberamente godere e disporre della cosa, ecc . , e il concetto di proprietà può essere usato ». Vediamo che l 'unico fatto a cui la definizione fa riferimento è il modo di acquisto della proprietà, che, però, per Scarpelli, non rientra tra le condizioni d'uso del concetto, e che comunque non ha alcuna chance come candidato al ruolo di designato del concetto 60• «

Scarpelli dice il concetto di ' proprietà ' può essere impiegato se taluno si trova riguardo a una cosa in situazione tale che, se

gode della cosa, il suo comportamento è lecito, se dà norma al comportamento altrui riguardo alla cosa, la norma è vincolante » ecc. 61• Il fatto che rappresenterebbe il designato di ' proprietà è indicato da Scarpelli con l a formula generica di « situazione » , '

ma questa appare i n realtà chiaramente normativa, trattandosi di una situazione di applicabilità giuridica di qualifiche normative. La « situazione ì> in questione non è una situazione di fatto, non è neppure un fatto, ma è una situazione normativamente qualifi-

60

179.

Si veda infatti la confutazione di questa idea in A. Ross, Tu-tu, cit., p. 170,

6t V. ScARPELLI, Contributo, cit., p. 155.

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PRESCRIZIONE

125

cata, o meglio è la possibilità giuridica di qualificazione di fatti (in termini deontici) . Essa è per l'appunto il diritto soggettivo , o meglio la sua titolarità in capo a un soggetto . Commentando queste idee di Scarpelli, Belvedere giunge perciò alla seguente conclusione, che a me pare da condividere: è più corretto dire che termini come « proprietà » esprimono la qualifìcazione di fatti determinati (eventuali) . « In tal modo si sottolineerebbero le differenze rispetto a termini come ' negozio giuridico ' [ che designano fatti attuali e li qualificano ] e le so­ miglianze rispetto ai termini indicanti le figure della qualificazio­ ne normativa » come ' permesso ', ' obbligatorio ' ecc., che, in­ vece, non designano alcun fatto, ma solo esprimono la qualifìca­ zrone normativa di fatti non determinati 62 • In definitiva, tutti i concetti normativi analizzati da Scar­ pelli esprimono qualifiche giuridiche ( deontiche ) ; taluni . di que­ sti concetti designano anche fatti ( attuali ; ed è ur{ proble� Te; lativo a1 vari 1ntti pos1tlv1 sta 1re quali concetti appartengano a tale categoria. Altri concetti non designano invece alcun fatto. Certamente le di�zioni normative non sono dei fatti. In conclusione, troviamo nel discorso di Scarpelli sul refe­ rente dei concetti normativi come ' proprietà ' una certa ambi­ guità: Scarpelli ritiene che la parola ' proprietà ' sia dotata di referente, ma allorché identifica questo con una « disposizione normativa » certamente si preclude la possibilità di parlare di un referente in termini di fatti " bruti " , non qualificati normati­ vamente. Se si vuole continuare a parlare in questo caso di referente si dovrà infatti ammettere che si tratta di un referente in senso non compatibile con l'empirismo, di un referente peculiarmente « giu­ ridico » , di un fatto istituzionale del genere di quelli di cui parla, '

62 A. BELVEDERE, Arpetti ideologici delle definizioni nel linguaggio del legirla-

lorc e dei giurirti, in A. BELVEDERE, M. JoRr, L. LANTELLA, Definizioni giuridiche e ideologie, cit., p. 396. V. anche A. BELVEDERE, Il linguaggio del codice civile: alcune orrervazioni,

in Rivirta critica del diritto privato, 1985, p. 270 s .

126

CAPITOLO TERZO

come vedremo, MacCormick, di un « oggetto » appartenente a una speciale realtà giuridica 63 • Certo, nel pensiero giuridico positivo è presente ed è stata spesso segnalata la tendenza a moltiplicare le sfere o i livelli di realtà. I giuristi positivi, non avendo forti preoccupazioni empi­ ristiche, sono assai proclivi a parlare di fatti peculiarmente giu­ ridici e ad intendere il diritto come produttivo di una sfera di realtà a sé stante. Si può pertanto congetturare che Scarpelli, quando parla di referente di concetti come proprietà, intenda pagare un tributo più al pensiero giuridico positivo che non all'empirismo . Le differenti opinioni di Scarpelli e di Ross in tema di refe­ rente di concetti giuridici come proprietà ' dipendono, in defi­ nitiva, dalla minore propensione di Ross e maggiore propensione di Scarpelli a rispecchiare il pensiero giuridico positivo. Esse non dipendono invece, come è stato sostenuto, da ragioni epistemolo­ giche, ossia dalla circostanza che Scarpelli aderisca, contrariamen­ te a Ross, a una versione maggiormente liberale e aperta dell'em­ pirismo , versione che gli consentirebbe un uso maggiormente di­ sinvolto delle nozioni di fatto ' e di realtà ' 6� . Quindi le divergenze tra Ross e Scarpelli non sono un enne­ simo ( cattivo ) esempio di polemica tra teorici che si trovano alla fin dei conti interamente d'accordo : divergenze vi sono ; esse però c

c

c

63 Sulle teorie del referente " giuridico " v. B. S. JAcKSON, Semiotics and Legai Theory, ci t., p. 46 ss. 64 t la lettura che Villa fornisce dei dissensi tra Scarpelli e Ross: v. V. VILLA, Teorie della scienza giuridica e teorie delle scienze naturali, cit., p. 1 1 1 ss., spec. p. 115 : « Le osservazioni critiche che Scarpelli muove a Ross sono indubbiamente condividibili; del resto esse non fanno che riproporre, in sede di rnetodologia giuridi­ ca, i rilievi che, dal punto di vista della metodologia delle scienze naturali, Hempel rivolge nei confronti dei sostenitori del principio di verificazione >>. Secondo Villa an­ che la tesi fondamentale di Scarpelli, per cui i concetti qualificatori non sono com­ pletamente riducibili a descrizioni di fatti, discenderebbe dalla sua adesione a una versione liberalizzata dell'empirismo, che pone criteri di empiricità più deboli e si ispira a un riduzionismo più moderato. Non posso condividere questa conclusione. Infatti, come ho cercato di dimostrare nelle pagine precedenti, la tesi scarpelliana dell�irriducibilità dei concetti quali.ficatori dipende esclusivamente dalla coosidera­ z[onc che essi abbiano una componente semantica normativa, irriducibile a descrizione.

QUALIFICAZIONE E PRES CRIZIONE

127

non si collocano, come sembrerebbe, sul terreno epistemologico o semiotico, bensì sul terreno filosofico giuridico . Ciò risulta anche dall'altro motivo di dissenso tra Ross e Scarpelli in tema di concetti giuridici sistematici, che riguarda la ampiezza del materiale normativa al quale il concetto rimanda, e che deve essere pertanto incorporato nella sua de6n:izione. Per Ross la definizione dei concetti sistematici deve includere tutte le condizioni e tutte le conseguenze giuridiche tra le quali questi concetti fanno da ponte, per Scarpelli essa invece deve limitarsi ad indicare un nucleo centrale di significato. Gli argomenti di Scarpelli a favore di questa conclusione so­ no, in sintesi, i seguenti: concetti come diritto soggettivo e pro­ prietà servono in effetti a esprimere la connessione tra una plura­ lità di fatti giuridici e una pluralità di conseguenze giuridiche. Tuttavia, egli aggiunge, nell'uso comune la definizione del concet­ to di proprietà non incorpora tutte le fattispecie e tutte le con­ seguenze che il concetto serve a collegare : in particolare la defini­ zione corrente di ' proprietà ', contrariamente a quel che ritiene Ross, non include un rimando alle fattispecie, ossia ai modi di acquisto della proprietà. Perciò, se si vuole restare fedeli al­ l'uso, occorre indicare le fattispecie acquisitive alla proprietà tramite proposizioni che adoperano il concetto e non invece includere queste fattispecie nella sua definizione . Insomma, per Scarpelli, la definizione corrente del concetto di proprietà fa riferimento a un nucleo normativa costante e relativamente in­ dipendente dalle condizioni a cui il diritto ricollega l'acquisto della proprietà. Ad avviso di Scarpelli i giuristi usano il concetto di proprietà proprio in tal modo . Quest'uso è inoltre raccomandabile perché reca con sé notevoli vantaggi espositivi : estromettere dalla defi­ nizione del concetto di proprietà i modi d'acquisto consente in­ fatti di evitare un mutamento della definizione di ' proprietà ', qualora intervengano modificazioni normative concernenti i modi d'acquisto della proprietà ( o le conseguenze della proprietà non incluse nella definizione del concetto ) . Supponiamo ad esempio

128

CAPITOLO TERZO

che il parlamento italiano decida che la successione per causa di morte non sia più un modo di acquisto della proprietà, oppure che il jus aedificandi non rientri più tra i poteri del proprietario : in ambedue i casi non sarà affatto necessario sostituire il " vec­ chio " concetto di proprietà con uno nuovo, perché questi muta­ menti non avranno intaccato il " nucleo solido ", il significato costante del concetto . Trascuriamo per ora il richiamo all'uso comune dei giuristi, sul quale poggiano gli argomenti di Scarpelli ( ne parlerò appres­ so, nel § 6) 65 • Queste idee di Scarpelli non possono essere con­ divise da Ross perché per Ross i concetti sistematici non hanno alcun elemento di significato essenziale e costante, che possa re­ sistere ai mutamenti delle norme tra le quali essi fanno da pon­ te, caratteristica che pertanto debba sempre essere inclus a nella definizione del concetto. Il concetto sistematico, per Ross, si esau­ nsce nel nesso tra fattispecie e conseguenze; il mutamento delle une e/ o delle altre determina per necessità logica ( definitoria ) un mutamento del concetto medesimo. Gli argomenti di Scarpelli paiono comunque indicare un grave limite dell'analisi rossiana dei concetti sistematici. Parrebbe infatti impossibile, a seguire le idee di Ross, adoperare questi con­ cetti in un'analisi dinamica del diritto, in una descrizione del di­ ritto come sistema di norme non momentaneo bensì dinamico e storico 66• Se infatti i concetti sistematici non sono altro che eti­ chette che servono ad indicare in forma abbreviata il collegamen­ to tra insiemi di norme, è scorretto per ragioni teoriche adopera­ re i medesimi concetti per descrivere differenti sistemi normativi momentanei : infatti due sistemi momentanei differenti non po­ trebbero avere, per definizione, concetti comuni.

65 V. anche supra, cap. 2, § 5. 66 La distinzione tra sistemi normativi momentanei e non-momentanei è di ]. RAz, Il concetto di sistema giuridico (1970), trad. it. di P. Comanducci, Il Mulino, Bologna 1977, § 8. V. anche C. E. ALCHOURRON, E. BuLYGIN, Normative Systems, Springer, Wien-New York 1977.

QUALIF!CAZIONF. E PRESCRIZIONE

129

La teoria dei concetti giuridici di Ross porta certamente a questa conclusione, che rappresenta uno sviluppo necessario del suo carattere riduzionista. Per Ross la descrizione del diritto elaborata dalla scienza giuridica deve essere infatti una descrizione di sistemi momenta­ nei, dunque necessariamente sincronica 67• Naturalmente, questa di Ross è una prescrizione rivolta al giurista, e ritengo sia una prescrizione dettata anche dal timore che l'uso dei concetti siste­ matici come strumenti per seguire l'evoluzione di un diritto pos­ sa servire a mascherare operazioni illecite e ideologiche: ad esem­ pio l'operazione di inferire dall'identità di un termine adoperato in differenti sistemi giuridici momentanei l'identità del concetto, ossia dei contenuti normativi a cui questo termine rimanda . Per Ross l'indagine diacronica sui sistemi giuridici compete piuttosto alla sociologia del diritto e alla storia del diritto. Spet­ terà a tali discipline tra l'altro accertare se l'uso di uno stesso ter­ mine in diritti (sistemi giuridici momentanei) diversi possa appun­ to servire ad indicare concetti differenti, ossia insiemi normativi differenti, e scoprire le operazioni creative (di nuovo diritto) e ideologiche che si nascondono dietro la identità della terminolo­ gia giuridica . Il più grave problema che la teoria del diritto deve affrontare a questo proposito è stabilire se si tratti di operazioni casuali, orientate unicamente dagli obbiettivi pratici di politica del diritto di volta in volta perseguiti, ovvero di operazioni guidate da regole metodologiche. Certamente si tratta di operazioni nascoste e in quanto tali ideologiche: i giuristi di solito non amano confes­ sare di innovare rispetto al diritto esistente. La conclusione di

67 V. A. Ross, Diritto e giustizia, cit., p. 22: « La scienza del diritto in senso stretto si occupa di un certo sistema giuridico in una certa società, per esempio del diritto dell'Illinois vigente in questo momento . . . Il momento presentè . . . si distin· gue da tutti gli altri in quo.nto è quel punto del tempo al quale è pervenuto il corso della realtà e sta per entrare nel futuro. Il diritto è colto in questa progressione. Una esposizione del diritto valido limitata a una certa data è una istantanea che ha fissato una sezione verticale di questa corrente ». V. anche J. W. HARRIS, Law and Legai Science. An lnquiry into the Concepls Legai Rule and Legai System, Clarendon Press, Oxford 1979, p. 49 s .

130

CAPITOLO

TERZO

Ross è , lo si è detto a suo tempo, che queste operazioni dei giu­ risti sui concetti ricadono al di fuori del diritto e non sono comun­ que descrivibili come guidate da un metodo. Scarpelli, al contra­ rio, si mostra assai più caritatevole verso il pensiero giuridico tra­ dizionale e incline a trattare queste operazioni dei giuristi come metodo dignitoso, come si vedrà nel prossimo paragrafo. 6.

-

«

N UCLEO . S O LIDO

» DEI CONCETTI E S CIENZA GIURIDICA

Scarpelli ritiene che quello della scienza giuridica tradizio­ nale non sia un discorso scientifico, ed anzi giunge a considerare tale discorso come moralmente e politicamente compromesso verso il prescrittivo, perché presuppone l 'accettazione del, ed è funzionale al, diritto descritto . Egli tuttavia non ricava da tale conclusione un giudizio negativo e proposte di riforma della giurisprudenza, ma ritiene invece che questo discorso sia da valutare positivamente, sia pure a certe condizioni 66 • La metagiurisprudenza di Scarpelli non è peraltro una meta­ giurisprudenza descrittiva, bensì è al contrario intensamente pre­ scrittiva : . parafrasando Bobbio, si potrebbe dire che Scarpelli pre­ scrive alla giurisprudenza di prescrivere, come già attualmente fa, ma nel rispetto · di certe condizioni 69• Entrando in maggiori det­ tagli, si può dire che Scarpelli assegna alla metagiurisprudenza e all'intera teoria del diritto un ruolo completamente strumentale nspetto alla scienza giuridica, ossia attribuisce alla teoria il com­ pito di rendere espliciti i presupposti del discorso della scienza l principalmente il presupposto rappresentato dalla definizione del concetto di diritto ) e di apprestare gli strumenti per renderne ra­ zionali e controllabili i passaggi 70• 66 Per le idee di Scarpelli in tema di scienza giuridica si veda specialmente Cos:è il . positwismo giuridico, cit. 69 V. N. BoBBIO, Essere e dover essere nella scienza giuridica, in Rivista inter­ nazio nale di filosofia del diritto, 1969. ;o V., da ultimo, ScARPELLI, La teoria generale del dirilio: prospettive per un trattato, in U.· ScARPELLI (a cma di), La teoria generale del dil'itto. Problemi e len· denze attuali, cit.

QUALIFICI\ZIONE

E .

PRESCRIZIONE

131

La teoria del diritto, così come Scarpelli la concepisce, è per­ tanto compromessa nei confronti della scienza giuridica, e tutta­ via · Io è in modo misurato, oltre · che espressamente dichiarato, perché l'obbiettivo di rendere la giurisprudenza un discorso rigo­ roso, ed esplicito nei suoi passaggi, fa sl che Scarpelli non esprima una incondizionata approvazione del modo in cui essa è effettiva­ mente praticata, bensì proponga ùn modello ideale di scienza giu­ ridica (che rappresenta una ricostruzione della " scienza " effet­ tivamente · praticata) e dunque mantenga un distacco critico ver­ so il discorso dogmatico . La teoria del diritto di Scarpelli non può dunque certamente essere intesa come una legìttimazione dello statu qua giurispru­ denziale. Tuttavia, a mio parere, Scarpelli concede alla scienza giu­ ridica tradizionale molto più di quanto sembrerebbe disposto a fare e, nonostante le critiche di principio che ad essa muove, ne asseconda in sostanza alcune inclinazioni che un empirismo più ri­ stretto definirebbe essènzialistiche e · ideologiche, ·· e ques to è no­ tevole, data la diutù.rna battaglia di Scarpelli cont ro l'essenziali­ smo . Queste " concessioni " di Scarpelli alla scienza giuridica so­ no uri indizio della circostanza che la concezione scarpelliana del diritto è semioticamente più ampia · di quanto il suo dichiarato gmspositivismo farebbe presumere. Vedremo fra poco che le ten­ denze · di Scarpelli verso una concezione ampia del diritto sono dapprima quasi del tutto" implicite e circoscritte, ma diventano, nei più recenti lavori del teorico italiano , esplicite e generali. Il tema su cui questa visione più ampia della giuridicità risulta mag­ giormente · evidente è proprio quello della definizione dei concetti giuridici qualificatori ( sistematici ) . Si diceva nel paragrafo precedente che Scarpelli critica l'idea di Ross, in base alla quale la definizione dei concetti come ' pro­ prietà ' debba indicare la relazione sistemàtica tra tutti i fatti giu­ ridici e tutte le conseguenze giuridiche che il diritto connette ai primi . Per Scarpelli, invece, concetti come proprietà sono co­ munemente adoperati per designare non tutte, ma solo alcune tra le fattispecie e alcune tra le conseguenze normative che il diritto

1.32

CAPITOLO TERZO

ricollega alle fattispecie, e le restanti fattispecie e conseguenze vanno invece indicate tramit� proposizioni che fanno uso del con­ cetto. Ciò consentirebbe tra l'altro di poter continuare ad adope­ rare ques�o genere di concetti anche quando siano intervenuti mu­ tamenti normativi riguardo : alle fattispecie, senza doverne cam­ biare la definizione . _ Si potrebbe credere che il dissenso in proposito tra i due teo­ rici coinvolga una questione strettamente tecnica e di meta oppor­ tunità: apparentemente infatti si tratta solo di decidere, in base a un qualche criterio, se inserire nella definizione di questo tipo di concetti tutti i fatti condizionanti e tutte le conseguenze condi­ zionate che questi servono · a collegare, come ritiene Ross, o, al contrario, solamente alcuni tra essi, come apina Scarpelli. . In realtà l'aternativa è della massima rilevanza filosofica, come risulta dagli argomenti addotti da Scarpelli in difesa della pro­ pria posizione. Infatti Scarpelli, escludendo che la definizione, ad esempio del concetto di proprietà, debba incorporare un riferimento a tutte le norme e a tutti i fatti che comunque hanno una relazione con questo concetto, viene a concepire la proprietà come un concetto dotato di un cuore semantico innattaccabile e stabile, di un nu­ cleo solido di significato. Questo modo di procedere sembra agevolare alquanto il la­ voro di esposizione del diritto positivo compiuto dai giuristi, spe­ cialmente nella sua dimensione diacronica . Osserva infatti Scar­ pelli: « supponiamo che, evolvendosi il diritto, ci sia un cambia­ mento nei fatti, ai quali il diritto ricollega la situazione in cui ta­ luno ha riguardo a una cosa libertà di godere e disporre e potere di agire in rivendicazione e in negatoria [ questo è appunto secon­ do Scarpelli il nucleo solido del concetto di proprietà ] ; nessu­ no dirà che il cambiamento concerne le condizioni di impiego del concetto di proprietà » 71 •

71

U. SCARPELLI, Contributo, cit., p. 1.55.

QUALIFICAZIONE E PRESCRIZIONE

133

Dunque Scarpelli ritiene che la sua interpretazione dei con­ cetti sistematici sia da preferire perché è quella in uso presso i giuristi positivi, e perché inoltre renderebbe possibile un resocon­ to dei mutamenti intervenuti nelle norme collegate tramite questi concetti, senza dover rinunciare al loro ausilio come strumenti espositivi e magari doverli sostituire con altri, ed anzi, al contra­ rio, avvalendosi proprio di questi concetti per dar conto dei mu­ tamenti intervenuti nel diritto positivo. Come si vedrà, vi sono dei punti di contatto tra queste os­ servazioni di Scarpelli e la concezione « istituzionale » dei con­ cetti giuridici di Neil MacCormick : anche MacCormick presenta infatti la sua concezione come una esplicitazione delle pratiche concettuali eHettivamente in uso presso i giuristi, pratiche che egli ritiene specialmente adeguate alla descrizione della dinamica dei diritti positivi 72 • Queste idee di Scarpelli sollevano due questioni. In primo luogo vi è la questione della possibilità e opportunità di concepire i concetti giuridici come dotati di un nucleo semantico inattacca­ bile da mutamenti normativi non radicali ( in quale misura? ) . In secondo luogo, vi è la questione del rilievo da attribuire alle abi­ tudini concettuali e alle pratiche diffuse tra i giuristi. Ovviamente le due questioni, benché distinte, possono intrecciarsi: se la pra­ tica giurisprudenziale è giudicata buona per ragioni teoriche indi­ pendenti, non si vede infatti perché non si debba assecondarla . AHrontiamo subito il secondo problema 71: ci dobbiamo dun­ que domandare se per Scarpelli l'uso dei giuristi sia in sé buono e dunque da seguire, se l'argomento della conformità all'uso dei giuristi sia per Scarpelli autosufficiente e di per sé cogente . I n generale s i può osservare che l'atteggiamento - analitico di Sc.arpelli è caratterizzato da una presunzione a favore degÌi usi linguistici diffusi. Scarpelli, come è noto, è un tenace fautore delle

72 V. infra, cap. 4, 73

v.

S 3.

anche il mio Da Ross a MacCormick. Recenti sviluppi nella teoria analitica dei concetti giuridici, cit., p. 278 s & .

Su cui

134

CAPITOLO TERZO .

analisi imperniate . sulla tecnica della . definizione esplicativa o ti­ definizione, ed è irivece in genere ostile a uri uso generalizzato ( e " eccessiv o ). della definizione stipulativa come strumento di chiari­ ficazione concettuale . La ridefinizione non trascura mai completa­ mente gli usi effettivi, e soddisfa pertanto il valore della chiarez­ za, che è assicurato dalla continuità con le tradizioni lessicali 74 • Giova peraltro precisare che il favore di Scarpelli è sempre verso l 'uso specialistico ( dei filosofi; dei giuristi ) , . e non verso l'uso ordinario ( Scarpelli .non è un austiniano ) . Questo moderato · conservatorismo linguistico è una costante dt tutta l'opera di Scarpelli : pensiamo alle sue analisi dei concetti di -libertà, di ragione, di responsabilità, in filosofia del diritto al­ l'analisi medesima del concetto di diritto 75� Un esempio assai si­ f(nifìcativo di questo atteggiamento di Scarpelli riguarda l'uso del concetto di norma giuridica. Scarpelli infatti, pur aderendo nella sostaqza alle teorie riduzioniste della norma giuridica, che riduco­ no le norme giuridiche a un unico modello, le critica perché pre­ tendono · di violentare gli usi del concetto di ' norma ' diffusi tra i giuristi: Lasciamo, egli dice, che i giuristi continuino a chiamar

norme anche quelle che al teorico avveduto appaiono come fram­ menti di prescrizioni complete: ciò non può recar danno, perché i giuristi ben sanno che tali " norme " vanno congiunte ad altri pezzi & disposizioni giuridiche per ottenere la prescrizione di con­ dotta completa 76 •

· 74 B vero che b ridefinizione è una specie d i definizione stipulativa (ambedue le definizioni: sono presentate come prescrizioni di .:usi linguistici), ma Scarpelli, per raccol11andarla . a preferenza qella stipulativa, ne evidenzia specialment� l'aspetto per · · cui essa non 'si discosta · (completamente) dall'uso. i 75 'v., ad esempio, U: ScARPELL!," Il problema della definizione e il concetto d diril{o, .Istituto .Editoriale Cisalpino, Milano 1955; In., La dimensione. normativa del­ ' la libertà, in L'etica senza verità, Il Mulino, Bologna 1982; In., Etica, linguaggio c ragione, ivi; In., Riflessioni sulla responsabilità politica. Responsabilità, libertà, visio· ne dell'uomo, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1981. 76 V. SCARPELLI, voce Norma, in Gli strumenti del sapere contemporaneo, .vol. zo, I co11cetti, UTET, Torino 1985, p. 575. Peraltro in questo scritto- Scarpelli critièa le teori�;: riduzionistiche della · norma -giuridh;a di Kelsen e di Ross. V. illfra, cap. 7, note 17 e 23.

QUALIFICAZIONE E PRESCRIZIONE

135

L'esempio mostra con chiarezza che le abitudini linguistiche diffuse - e specialmente le abitudini dei giuristi -.- riscuotono la approvazione di Scarpelli solo quando è certo che non possano ar­ recare danno alcuno e siano anzi vantaggiose dal punto di vista teorico . Dunque l'adesione agli usi, il " conformismo " ridefinito­ rio di Scarpelli, non sono incondizionati, ma subordinati alla cor­ rettezza delle operazioni concettuali soggiacenti agli usi medesimi. Da tale ultima considerazione emerge in modo nitido l'at­ teggiamento di Scarpelli riguardo al discorso giurisprudenziale . Questo è infatti un discorso da approvare solo se rispetta certe condizioni : un primo gruppo di condizioni è relativo al diritto che la scienza giuridica descrive, che deve ispirarsi ad alcu�i fondac mentali principi costitutivi interni 77 • Un secondo gruppo di condi­ zioni è relativo all'atteggiamento medesimo della scienza giuridi­ c a : tale discorso è ad avviso di Scarpelli da approvare fintantoché sia neutrale riproduzione, sin dove è possibile, del contenuto del diritto e, ove ciò non sia possibile ( perché il diritto non è chiaro o non c'è ) , fintantoché non diventi ideologhi, .ossia non masche­ ri, travestendole da descrizioni, le scelte politiche ulteriori : ulte­ riori, naturalmente, rispetto alla scelta di descrivere il diritto po­

sztivo. Quanto ai concetti giuridici, il grande difetto della scienza giuridica, sul quale Scarpelli ritorna più e più volte nel corso del­ la sua opera di studioso, è l'essenzialismo . L'ostilità di Scarpelli a1l'essenzialismo non dipende però principalmente, come ad esem­ pio nel caso di Ross, dalla considerazione che si tratti di convin­ zione scientificamente errata alla luce di un'epistemologia empi­ rista, che pure è quella che Scarpelli accoglie. Non occorre infatti che un discorso corrisponda completamente ai dettami della scien­ za empirica per essere approvato da Scarpelli : ho già sottolineato questo punto quando ho fatto cenno alle posizioni di Scarpelli in

77

Scarpelli parla di principi democratici

gi11ridico, cit., p. 149

s.

e

costituzionali. V. Co.s 'è il positivismo

136

CAPITOLO TERZO

tema di " scienza " giuridica tradizionale. Ritengo invece che l'essenzialismo in questo caso sia disapprovato da Scarpelli per i suoi esiti ideologici, perché funzionale a operazioni prescrittive mascherate, in una parola perché funzionale alla infedeltà al diritto positivo . Tuttavia il normativista e giuspositivista Scarpelli sostiene che i concetti giuridici normativi vadano definiti in modo da co­ glierne un nucleo centrale di significato, inattaccabile ( ma in qua­ le misura ? ) dai mutamenti del diritto positivo : questa concezio­ ne può essere sospettata di essenzialismo e solleva problemi di compatibilità con il giuspositivismo ( cosl come lo abbiamo defi­ nito sopra ) . Per

un

giuspositivista infatti potrà essere incerto il

modo corretto in cui costruire e adoperare le definizioni dei con­ cetti qualificatori; egli però non può venir meno alla convinzione che il significato dei concetti del diritto dipenda interamente dal­ le norme positive: e le norme, l'intero sistema giuridico, sono sog­ gette a mutamenti. E la scienza giuridica, se non vuole trasfor­ marsi in ideologia, deve riprodurre neutralmente i contenuti del diritto positivo, e dunque riprodurne i mutamenti (in modi da determinare ) . Sospetto che l'idea che i concetti giuridici siano dotati di un nucleo costante e relativamente immutabile di significato possa trovare spazio nella concezione teorica di Scarpelli solo a patto che egli rinunci a uno dei due presupposti prescrittivi fondamen­ tali su cui essa si regge. Il primo presupposto è l'idea che il diritto sia un sistema fi­ nito di norme provvisto di confini che lo rendono riconoscibile e descrivibile come tale. Il secondo presupposto è la convinzione che la scienza giu­ ridica possa e debba descrivere neutralmente il diritto positivo . Se cadesse quest'ultimo presupposto, ossia se Scarpelli rite­ nesse che la scienza giuridica non possa mai fornire una descri­ zione neutrale del diritto, verrebbe meno ogni distinzione tra l a posizione scarpelliana e quella dello scettico giusrealista . L'idea

QUALIFICAZIONE E PRESCRIZIONE

137

dell'hard core semiotico dei concetti trova pertanto spazio nella teoria di Scarpelli solo a patto di modificare il primo presuppo­ sto ed ampliare lo spazio semiotico del diritto, ossia di sostenere che le operazioni giurisprudenziali · di elaborazione del nucleo solido dei concetti non sono completamente arbitrarie e nasco­ stamente creative : esse rappresenterebbero una lettura più aper­ ta del diritto, una lettura di contenuti giuridici extranormativi non coglibili da una scienza giuridica " scheletrica " dedita alla descrizione delle sole norme . Dunque non è che Scarpelli attenui le sue pretese di rigore verso la scienza giuridica ; egli attenua piuttosto l'esigenza di trac­ ciare in modo rigoroso i confini del diritto. Segnali in questa direzione potevano già essere colti nell'at­ teggiamento che era possibile leggere nello Scarpelli del 1 959 cir­ ca i rapporti tra linguaggio giuridico e linguaggio ordinario, nella possibile adesione di Scarpelli alla tesi della apertura necessaria del diritto ai significati ordinari. Segnali più chiari, e una conferma a posteriori di questa mia interpretazione, si possono cogliere in alcuni recenti lavori di Scarpelli . In uno scritto del 1 9 8 3 egli muove infatti una critica al pu­ rismo dogmatico, reo di voler bandire dal discorso della scienza i concetti giuridici teleologici o misti ( normativi e teleologici insie­ me ) e di ammettere come unica operazione concettuale legittima quella imperniata su concetti puramente normativi, descrittivi di norme e delle loro articolazioni e strutture 78 . Significativamente il principale argomento scarpelliano in favore dell'ammissibilità dei concetti teleologici o misti è quello dell'unità degli istituti nel tempo : molte strutture normative possono essere conEgurate in maniera unitaria perché assolvono a una funzione unitaria e persi-

78 Non sono peraltro esplicitati da Scarpelli i concetti di interesse e di scopo su cui egli impernia questo discorso: v, U. SCARPELLI, La teoria generale del diritto: prospetti11e per un tr111tato, cit., p. 332 ss., spec. p. 338 ss.

138

CAPITOLO TERZO

stente nel tempo; così i vari diritti soggettivi conferiti dai diritti storici possono essere considerati tutti istanze dell'unico concetto " diritto soggettivo " solo a condizione di conferire rilevanza alla loro comune funzione di tutela degli interessi individuali . Il se­ condo argomento di Scarpelli contro il purismo dogmatico è quel­ lo della continuità tra dogmatica e pratica : solo elaborando con­ cetti che chiamino in causa le funzioni o gli scopi delle norme il giurista può apprestare strumenti utili all'interpretazione, appli­ cazione e estensione delle norme. L'idea del nucleo semantico solido e quella della descrizione del diritto tramite concetti funzionali sono dunque strettamente legate tra di loro, sono due facce della stessa medaglia : il nucleo di contenuto costante dei concetti può essere appunto identificato tramite l'unitaria funzione, che rimane costante pur nel mutare dei diritti positivi . Non stupisce pertanto che in un recente intervento Scarpelli dichiari ( non senza qualche sottotono ironico ? ) di aver abbando­ nato il giuspositivismo e manifesti simpatia per una concezione del diritto come sistema normativa intriso di principi di origine giudiziaria, principi dichiarati autorevolmente da una corte supre­ ma 79 • Questa conversione teorica di Scarpelli è improvvisa solo per quanto riguarda le dichiarazioni espresse : essa è stata prepara­ ta, come si è visto, da idee assai risalenti. Anzi, va sottolineato che gli spunti in direzione dell'apertura semiotica del diritto, pre­ senti in Contributo alla semantica del linguaggio normativa, con­ ducevano semmai a prefigurare una concezione favorevole a un di­ ritto giurisprudenziale diffuso . Abbiamo invece ora da parte di Scarpelli una adesione espressa a una concezione del diritto in un certo senso più rigorosa, in cui il privilegio della lettura del dirit­ to nascosto nelle pieghe della società, sotto forma di principi, e della sua dichiarazione autorevole , è invece affidato a una ristretta

79 V. U. ScARPELLI, Dalla legge al codice, dal codice ai principi, citato. V . anche U. ScARPELLT, Un modello di ragione giuridica: il diritto naturale razionale, in C. FA· RALLI, E . PATTARO (n cura di), Reason in Law, vol. 1°, Giulfrè, Milano 1987 .

QUALIFICAZIONE

E

PRESCRIZIONE

1)9

casta di « ummm dotti e gra vi » , appunto una corte suprema 80 Riprenderemo nelle conclusioni il discorso su questa recen­ te fase del pensiero di Scarpelli .

ao L'espressione tra virgolette, di Sir Edward Coke, è citata da U. ScARPELLl , Dalla legge al codice, dal codice ai principi, cit., p. 12.

PARTE SECONDA

CAPITOLO QUARTO

CONCETTI INTRINSECAMENTE APERTI : DWORKIN E IL DIRITTO COME INTEGRITÀ SoMMARIO:

l . Premessa.

norme.

l.

-

-

-

4. Concetti

2. Il diritto come integrità. 3 . Il linguaggio e k e concezioni - 5. Il sistema dei principi. . .

-

PREME S S A

Le teorie del diritto di Hart, Ross e Scarpelli, d i cui mi sono occupata finora, hanno un importante nucleo di caratteri­ stiche comuni. Il primo tratto comune è rappresentato dal me­ todo adoperato, che è quello analitico linguistico, sia pure in versioni differenti (empirismo nel caso di Ross e Scarpelli, fi­ losofia del linguaggio ordinario nel caso di Hart) . Il secondo tratto comune a questi tre teorici è la preoccupazione, che pos­ siamo chiamare giuspositivistica, di individuare sul terreno de­ scrittivo e di fissare sul terreno prescrittivo i confini del diritto. In tema di concetti giuridici, l 'atteggiamento analitico e quello giuspositivistico si combinano dando luogo all'idea che i con­ cetti giuridici siano artifici linguistici da analizzare in termini semiotici, nei loro rapporti di significato con le norme giuri­ diche e col diritto positivo. Questo nucleo comune di idee viene sviluppato, come abbiamo visto, in direzioni parzialmente di­ verse dai tre teorici, anche, ma non soltanto, a causa del diverso grado ·di approfondimento dei problemi semiotici ad esse colle­ gati (solo Scarpelli elabora la sua teoria dei concetti giuridici nel quadro di una completa semiotica del linguaggio normativa) .

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CAPITOLO QUARTO

Questo nucleo comune ha reso pos sibile un esame affiancato delle teorie dei concetti giuridici di Hart, Ross e Scarpelli, ha reso possibile leggere queste teorie come momenti di un ideale (e non solo ideale) dibattito, come risposte non sempre con­ vergenti a problemi per larga parte condivisi . Mi occuperò , nei prossimi capitoli, delle idee di altri tre teorici del diritto, MacCormick, Dworkin e Goodrich. La concezione di MacCormick si colloca in un posto rela­ tivamente a parte rispetto alle concezioni di Hart, Ross e Scar­ pelli. Infatti, in primo luogo , nella teoria del filosofo scozzese i problemi semiotici e linguistici non hanno la stessa centralità notata in Hart, Ross e Scarpelli. In secondo luogo, sul terreno filosofico giuridico la concezione istituzionale del diritto di Mac­ Gormick può idealmente collocarsi in una zona di confine tra il giuspositivismo e concezioni apertamente critiche di questo. MacCormick tenta di percorrere una terza via teorica tra il giuspositivismo e la teoria dworkiniana, e conduce questa ope­ razione sul terreno (apparentemente) della metagiurisprudenza descrittiva, cercando di ricostruire le regole che guidano i giu­ risti nell'ampliamento del diritto tramite al ricorso ai principi . Dworkin e Goodrich si muovono invece all'esterno d i una impostazione analitica e giuspositivistica, e la contestano espli­ citamente (è il caso di Goodrich) o comunque ne rifiutano im­ plicitamente le caratteristiche fondamentali (com'è il caso di Dworkin) . Pertanto, l'impresa di ricostruire ed esplicitare le idee semiotico giuridiche di questi teorici in tema di concetti del diritto è assai più ardua, perché si tratta di applicare i prin­ cipi e le distinzioni . della filosofia analitica a teorie che nel mi­ gliore dei casi contestano apertamente tali principi e distinzioni, nel peggiore dei casi addirittura li ignorano sistematicamente. Questa difficoltà risulta particolarmente evidente quando ci si accosta a un pensatore come Dworkin . Infatti è impossibile trovare nell'opera di Dworkin UIJ.a semiotica o teoria del lin­ guaggio giuridico esplicita, o anche solamente una qualche at-

CONCETT! J�TRINSECAMENTE APERTI

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tenzione per i problemi linguistici . Dworkin è al contrario si­ stematicamente ostile all'analisi del linguaggio . Leggendo gli scritti del filosofo americano, capita tuttavia di frequente di imbattersi in raffinate distinzioni che parreb­ bero esercizi di analisi linguistica : l'analisi, ad esempio, dei differenti usi del concetto di discrezionalità giudiziaria 1 , dei diversi sensi di ' uguaglianza ' z, la distinzione tra concetti e concezioni su cui mi soffermerò più oltre. Anzi, in generale, gli argomenti di Dworkin procedono caratteristicamente attra­ verso una rete di distinzioni (generalmente a due o a tre ter­ mini) 3 • Il carattere non analitico - se non in senso debolissimo di tali distinzioni e analisi risulta però evidente non appena ci si chiede (domanda tipicamente analitica) se esse abbiano una portata descrittiva o prescrittiva, se si tratti cioè di descrizioni di usi linguistici diffusi, ovvero di prescrizioni e definizioni sti­ pulative indifferenti agli usi. In particolare, il carattere non ana­ litico delle distinzioni dworkiniane appare evidente qualora ci si interroghi sulla loro influenza, come prescrizioni o descrizioni linguistiche, sulle tesi sostanziali di Dwork.in. La mia impres­ sione è che interpretarle in questo modo analitico, come pre­ scrizioni o descrizioni di usi linguistici, travisi il ruolo che esse giocano negli argomenti di Dwork.in, alla cui teoria la distin­ zione tra prescrittivo e descrittivo è certamente estranea. In generale si può affermare pertanto con sicurezza che la chiarificazione delle parole è nella sostanza un lavoro estraneo

l V. R. DwoRKIN, Taking Rights Seriously, Duckworth, London 19782, p. 3 1 s•. (la traduzione delle citazioni di Dworkin che seguono è mia);

2 V. R. DwmtKIN, Liberalism, in S . HAMPSHIRE (a cura di), Public and Private Morality, Cambridge University Press, Cambridge 1978, p. 125. 3 V. R. DwORKIN, Law's Empire, The Belknap Press of Ha:rvard Univcrsity Press, Cambridge (Mass.) 1986, p. es. a p. 16 (due sensi di statute); p. 40 (due tipi di disaccordo sulle parole) ; p. 78 ss. (due tipi principali di scetticismo). V. in gene· rale gli argomenti elencati in Law's Empire sotto la voce distinctions dell'indice

analitico.

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CAPITOLO QUARTO

all'impresa filosofica di Dworkin. Vedremo che ciò ha una giu­ stificazione metafisica assai pregnante nella concezione dwor­ kiniana. Quando parlo di ostilità di Dworkin all'analisi del linguag­ gio, non intendo dunque semplicemente alludere a un generico disinteresse del filosofo americano per gli aspetti semiotici del diritto e per i fenomeni linguistici connessi al diritto ; intendo invece piuttosto sottolineare il suo sistematico rifiuto dei prin­ cipi che sottostanno all'accostamento analitico linguistico, e spe­ cialmente del principio, poc'anzi menzionato, della grande divi­ sione tra il prescrittivo e il descrittivo, nonché delle altre distin­ zioni fondamentali per l'atteggiamento analitico : la distinzione tra analitico e sintetico, tra contesto di motivazione e di giusti­ ficazione, tra livelli del linguaggio e del discorso 4• Che Dworkin non solo non faccia proprie , ma neppure prenda sul serio tali distinzioni e tali principi, risulterà credo evidente nelle pagine che seguono. Nonostante quanto ho appena detto sul carattere antianali­ tico dell'approccio dworkiniano, è tuttavia ben possibile e utile ricostruire la semiotica implicita nell'opera di Dworkin, e un lavoro di questo genere, in una prospettiva diversa dalla mia, è già stato compiuto 5• Si tratta in altre parole di tradurre in termini semiotici la teoria dei concetti giuridici e del diritto che emerge dai lavori di Dworkin. Non paia questa una applicazione for­ zata ad un oggetto di categorie che ad esso non convengono. Al contrario, questo lavoro mi pare utile per fissare, per quanto è

4 V. M. ]ORI, Filosofia del diritto, in M. ]Oit!, A . PINTORE, Manuale di teoria generale del diritto, cit., spec. p. 87. lvi si sostiene che l'attenzione degli analisti per il linguaggio è il risultato piuttosto che la ragione dell'importanza accordata ad alcuni principi e distinzioni fondamentali: principalmente la distinzione tra de· scritrivo e prescrittivo; tra analitico e sintetico; tra contesto di giustificazione e contesto di motivazione ; tra livelli del linguaggio e del discorso. V. anche M. ]ORI, Semiotica e teoria del diritto, cit., passim. 5 Da B. S . ]ACKSON, Semiotics and J"egal Theory, cit., cap. 9 .

CONCETTI INTRINSECAMENTE APERTI

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possibile, le altrimenti inafferrabili posizioni di Dwotkin e ren­ derle comparabili con le semiotiche del diritto esaminate in pre­ cedenza, nonché per stabilire quanto di dworkiniano sia pene­ trato nella cultura giuridica contemporanea, anche analitica. Un tale lavoro è dunque indispensabile per valutare una concezione che si presenta come la nuova e migliore teoria del diritto, in grado di incorporare e dar conto anche delle posizioni avversa­ rie, anche di quelle analitiche . Inoltre è certamente vero che Dworkin non si occupa af­ fatto, e pour cause, alla luce di quanto ho detto poc'anzi, della semantica e semiotica dei concetti normativi giuridici, ma la sua concezione in proposito può essere ricostruita andando ad esaminare le osservazioni che egli formula in tema di principi giuridici, e del concetto a suo avviso fondamentale per la teoria sia giuridica che politica, il concetto di diritto soggettivo 6 • La letteratura su Dworkin, oramai vasta, ne ha scanda­ gliato il pensiero in tutte le sue molteplici articolazioni. Per­ tanto le osservazioni che seguono non pretendono di costituire un reassessment sistematico della teoria dworkiniana ( impresa alla quale occorrerebbe dedicare un intero volume) . Intendo invece fare alcune osservazioni selettive, imperniate principalmente sui seguenti interrogativi : qual'� la teoria dworkiniana dei con­ cetti, dei significati, e del linguaggio giuridici ? Qual'è la con­ cezione dworkiniana del sistema giuridico? Tra i due maggiori lavori di Dworkin, Taking Rights Se­ riously e Law's Empire, c'è una solida continuità sostanziale di idee. Tra questi esiste però anche una importante differenza di impostazione . Infatti in Taking Rights Seriously Dworkin o:ffriva al lettore una concezione del diritto costruita intorno alla discussione di argomenti teorico giuridici relativamente cir­ coscritti : specialmente la distinzione tra norme, principi e po­ licies e la distinzione tra easy e hard cases; in Law's Empire egli

6 V. R. DwDRK!N, Taking RightJ SeriouJly, cit. , cap. 6

(JuJtice

and

RightJ).

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CAPITOLO QUARTO

ci presenta mvece una teoria giuridica onnicomprensiva, una concezione globale e sistemàtica del diritto, elaborata e difesa tramite il confronto con le principali, e altrettanto comprensive, concezioni rivali : è la concezione del diritto come integrità. Il diritto come integrità di Dworkin incorpora, ma come una parte in un tutto, anche le antiche distinzioni tra norme, principi e policies, e tra easy e hard cases. Certo Dworkin non rinnega ora il modo in cui in passato aveva tracciato tali distin­ zioni; si coglie tuttavia nel suo ultimo lavoro una certa qual minore enfasi in proposito 7 • La nuova impostazione offre comunque al critico i l van­ taggio di poter identificare con maggiore facilità le basi del suo dissenso con Dworkin, ciò che l'impostazione di Taking Rights Seriously non sempre rendeva possibile o agevole. Ed infatti, com'è noto, la discussione su Taking Rights Seriously si è concentrata preferibilmente sulla distinzione tra norme e principi (e policies) , trascurando spesso alquanto di esaminare i presupposti su cui questa poggiava. Ciò ha condotto al paradossale risultato che molti teorici del diritto ritenessero possibile, e non a torto, incorporare in modo abbastanza age­ vole la distinzione di Dworkin in quadri teorici differenti o ad­ dirittura inconciliabili con quello dworkiniano 8 • Mi trovo pertanto d'accordo con chi sottolinea invece l'in­ compatibilità della concezione di Dworkin con il " paradigma " giuspositivistico 9 • Se quello di Dworkin sia però davvero un

7 Mi p a re assai meno enfatizzata, in Law's Empire, sp ecialmente la distinzione tra norme e principi e, come dirò, quella tra easy e hard cases. 8 V. in questo senso anche il mio Norme e principi. Una critica a Dw01·kin,

Giuffrè, Milano 1982.

9 Cosl M. BARDERIS, Il diritto come comportamento. Lezioni di filosofia del diritto, Giappichelli, Torino 1988, spec. p . 254 s. Ad avviso di Barberis l'opera di Dworkin non è stata intesa in rutta la sua portata innovativa e ha prod otto invece, specialmente in Italia, il modesto risultato di riproporrc la vecchia ternatica dei principi generali del diritto. V. anche B. S. ]ACKSON, Semiotics and Legai Theory, ci t., . . p. 7 .

CONCETTI INTRINSECAMENTE APERTI

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paradigma nuovo, e soprattutto attraente , è questione alla quale cercherò di dare una risposta nelle pagine che seguono . 2.

-

IL DIRITTO COME INTEGRITÀ

In Law)s Empire Dworkin distingue due tipi di disaccor­ do sul diritto: il disaccordo empirico e quello teoretico. Il pri­ mo sarebbe un disaccordo sui fatti storici del diritto, e potrebbe essere appianato con indagini di tipo fattuale; il secondo è in­ vece un disaccordo sull'individuazione dei fondamenti mede­ 0 simi del diritto 1 • Dworkin critica inoltre - ma è una critica non nuova l'idea per cui i disaccordi teoretici celerebbero in realtà diver­ genze di politica del diritto . Egli chiama questa idea la plain-fact view. In base alla plain-fact view, il diritto è semplicemente un fatto storico da accertare: dunque esistono solo disaccordi em­ pirici; i disaccordi teoretici sono in realtà divergenze masche­ rate su politiche del diritto . Sul modo in cui qualificare i disaccordi giuridici, e dunque sulle condizioni di verità delle proposizioni giuridiche, si con­ frontano le diverse concezioni del diritto. Dworldn contrappone due principali gruppi di teorie : le teorie " semantiche " e le teorie " interpretative " . Egli denomina teorie " semantiche " quelle concezioni che ritengono che i problemi e i disaccordi giuridici possano essere risolti semplicemente guardando agli usi storici della parola ' diritto ' : questa è per Dworkin la plain-fact view di cui ho parlato prima, argomentata ora sJ l terreno semantico, degli usi della parola diritto 1 1 . Secondo questa teoria, ad esempio, per stabilire quanti libri vi siano nella mia biblioteca è sufficiente

lO V. R. DWDRKIN, Law's Empire, cit., p. 3 s s . , spi:c. p. 5. 1 1 V . R. DwoRKIN, Law's Empire, cit., p. 3 1 .

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CAPITOLO

QUARTO

accertare il significato usuale della parola ' libro ' (ma presumi­ bilmente anche il significato di ' numero ' e di ' addizione ' ) , indi procedere alla conta dei libri . Sui casi d i penombra (un am­ pio pamphlet è un libro ? ) la determinazione del significato non potrà che essere frutto di decisione arbitraria . Allo stesso modo sarebbe inevitabile procedere, ad avviso dei teorici " semantici " , riguardo a l concetto d i diritto . Secondo Dworkin, la teoria semantica che sostiene tipica­ mente l a plain-fact view riguardo ai disaccordi sul diritto è il positivismo giuridico . Ad avviso di Dworkin , il giuspositivista ritiene sufficiente appurare l 'uso della parola ' diritto ', e guar­ dare ai fatti storici; tutte le controversie residue sono a suo pa­ rere di politica del diritto ( allo stesso modo che le decisioni sulla natura libresca dei pamphlets) e possono essere risolte solo tra­ mite decisioni. Al giuspositivista resta solo da decidere se ren­ dersi complice dell'ipocrisia e dell'inganno che caratterizzereb­ bero a suo avviso la pratica giuridica corrente, che nasconde gli spazi di libertà decisionale, ovvero smascherare pubblicamente la natura creativa delle decisioni giuridiche sui casi controversi (con conseguenze presumibilmente catastrofiche sulle istituzioni giuridiche) . In Taking Rights Seriously Dworkin, come è noto, criti­ cava il giuspositivismo, specie hartiano , per la sua visione an­ gusta, scheletrica del diritto . Nella versione fornita da Dwor­ kin, il giuspositivismo si impernierebbe infatti sul criterio del pedigree, che consente di trattare come giuridici tutti e solo gli standards prodotti in conformità ai criteri fissati da una norma di riconoscimento. In Law's Empire Dworkin ad­ duce un nuovo argomento critico contro il giuspositivismo : questo è ora da rigettare anche in quanto teoria errata dal pun­ to di vista metodologico, perché difende una inaccettabile plain­ /act view delle controversie giuridiche teoretiche . Anche riguardo a questa raffigurazione delle teorie seman­ tiche (e del giuspositivismo che ne sarebbe l 'alfiere) offerta da

CONCETTl INTRINSECAMENTE

APERTI

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Dworkin, si può ripetere la critica infinite volte mossa al filosofo americano, di costituirsi un avversario di comodo, o di riesumare un avversario ormai da tempo defunto ( l'estremo convenzionali­ smo à la Williams) 12 . Prova ne sia il fatto che Dworkin stesso, quando delinea l'atteggiamento filosofico giuridico che si oppone a quello " semantico " , ossia l 'atteggiamento " interpretativo ' ' (di cui parlerò appresso ) , menziona l a teoria wittgensteiniana (dell'ultimo Wittgenstein) delle somiglianze di famiglia fra con­ cetti, e ricorda la notissima metafora wittgensteiniana della fune , per la quale l'identità di un concetto non è data da un suo nucleo fisso di significato, bensì dalla compresenza di molteplici elementi, nessuno dei quali è però necessario, cosi come l'iden­ tità di una fune non esige che ogni fibra che la compone la attra­ versi dall'inizio alla fine 13 • Lungi dall 'essere incompatibile con l'atteggiamento " semantico ", questa teoria dei concetti è al contrario estremamente influente sui " semanticisti ", almeno su quelli che si ispirano alla filosofia del linguaggio ordinario, come Hart. Comunque sia, come si diceva, Dworkin contrappone alla attitudine semantica l'attitudine " interpretativa ", che non ri­ duce le controversie giuridiche a dispute meramente verbali , e che adotta un punto di vista interno rispetto alle istituzioni giuridiche . Egli cita come esempi di questo accostamento allo studio della società i filosofi ermeneutici continentali (Dilthey , Gadamer, Habermas ) ; sorprendentemente invece Dworkin tra-

12 v_ R. GAVISON, Comment a DwoRKIN, Legai Theory and the Problem o/ Sense, in R. GAVISON (a cura di), Issues in Contemporary Legai Philosophy, Clarendon Press, Oxford 1987, p. 23 . V. G. WILLIAMS, La contro versia a proposito della pa­ rola « diritto » (1945), trad. it. in U. ScARPELLI ( a cura di), Diritto e analisi del linguaggio, cit. Sull'atteggiamento dell'« analista impaziente >> come Williams, v. M. }ORI, Introduzione e I co1:cetti di diritto nel pensiero giuridico positivo, in Saggi di metagiurisprudenza, cit., p . 22 ss. 13 V. R. DwoRKIN, Law's Empire, cit., p. 69 s. Riguardo all'influenza su Hart dell� teoria delle « somiglianze di farruglia ''• v. le mie osservazioni, supra, cap. l, § 4.

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CAPITOLO QUARTO

scura di menzionare il filone ermeneutico della .filosofia anglosas­ sone, da Winch a Hart 14 • L'attitudine interpretativa è per Dworkin compromessa va­ lutativamente con l'istituzione sociale di cui si occupa, dato che cerca di fornirne l'interpretazione migliore possibile. Inoltre, per Dworkin, questa non è solo una pretesa della teoria: la migliore interpretazione esiste davvero, anche se non c'è modo di giusti­ ficarla in modo stringente . Le diverse concezioni interpretative forniscono differenti risposte alle questioni sollevate dal concetto di diritto {che è per Dworkin, evidentemente, altro dal significato della parola ' di­ ritto ' ) . Emerge a questo punto la distinzione tra concetto e concezioni, su cui mi soffermerò ampiamente in seguito (v. infra, § 4). Il concetto d i diritto è dunque ciò a cui s i accede prima di aver interpretato le istituzioni giuridiche, ed è comune alle varie concezioni. Secondo · Dworkin esso consiste nell'idea per cui il diritto ha a che fare con la coercizione. Tale idea pone tre problemi principali, a cui le varie concezioni tentano di ri­ spondere; questi sono : il problema della giustificazione della coercizione, della natura di tale giustificazione e dei criteri di giustificazione delle decisioni giuridiche sull'uso della coazione 15. Dworkin distingue tre concezioni interpretative principali del diritto, che rispondono diversamente ai tre quesiti sopra indicati: si tratta del convenzionalismo, dello strumentalismo e del diritto come integrità. Il convenzionalismo è la teoria giuri­ dica che giustifica solo le decisioni sull'uso della forza assunte in conformità alle convenzioni giuridiche vigenti. Il pragmatismo giustifica solo le decisioni che ottimizzano il benessere della so­ cietà ; il diritto come integrità infine giustifica le decisioni giuri-

14 V. R. DwoRKIN, Law's Empire, cit. , cap. 2 e note 2, 12, 14; 15. Dworkin tratia invece. Hart come un esponente dell'accostamento « semantico » al diritto. 15 R. DwoRKIN, Law's Empire, cit., p. 94.

CONCETTI INTRINSECAMENTE APERTI

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diche congruenti con un sis tema di principi che esprima le idee morali radicate nella comunità giuridica, indipendentemente dal fatto che esse siano strettamente coerenti con le convenzioni giuridiche vigenti, o strumentalmente funzionali al benessere della società. Adoperando una distinzione ben nota in filosofia della pena ( distinzione che peraltro Dworkin non usa ) , si potrebbe dire che il convenzionalismo è una teoria giuridica che guarda indietro, al passato, mentre il pragmatismo è una teoria giuridica che guarda avanti, al futuro, per giustificare le decisioni giuridiche 1 6 • Dato che, oltre a queste due possibilità, non pare ce ne possa essere una terza, sembrerebbe non esservi spazio in questo quadro per law as integrity. Ed infatti vediamo che Dworkin presenta in realtà il diritto come integrità, senza dirlo, come una teoria che non si colloca sullo stesso piano del pragmatismo e del conven­ zionalismo : il diritto come integrità è una sorta di teoria inter­ pretativa di secondo livello che, a differenza dalle due prece­ denti, non dice quali decisioni si possono giustificare nella sostanza, ma fornisce piuttosto ai giudici un metodo (interpre­ tativo) 17 • Può essere utile presentare le complicate distinzioni e suddistinzioni di Dworkin di cui ho finora parlato sotto forma 18 di schema, nel modo indicato nella pagina accanto •

16 V. H. L. A. HART, Responsabilità e pena, cit., p. 186 ss. 17 R. DwoRKIN, Law's Empire, cit., p. 226. 18 Qu es to schema è il frutto di una mia ricosbruzione delle idee di Dworkin: non sono infatti di Dworkin - è bene ripeterlo - le distinzioni fra teorie in· tcrpretative e teorie metainterpretative e fra teorie che guardano avanti e teorie che guardano indietro. Dworkin inoltre non dà un nome alle teorie che rigettano

la plain-fact view.

TEORIE INTERPRETATNE

l

NONPLAIN P'A.Cl'-'VIIIF

che gumùano avanti o:ragmati8mo

TEORIE METAINTERPRETATNE diritto come integrità

PRATICI

DISACCORDI SUL DIRITTO

-

-

1

che guardano indletro convenmnelismo

l

positl.vismo giuridico

TEDRIE SEM!NTICHE

-- l

PUINFACI'.VIEfV

--

TEORIE NON SEMANTICHE

l

-l

TEORETICI l '

CONCETTI

INTRINSECAMENTE

APERTI

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La differenza principale fra le concezioni interpretative del diritto esaminate da Dworkin riguarda il problema dell 'esistenza e del fondamento dei diritti soggettivi giuridici . Il pragmatismo è la concezione più scettica su questo punto, perché sostiene che non esistono affatto diritti giuridici : esistono solo le deci­ sioni migliori per la comunità. Il convenzionalismo è meno scet­ tico, perché sostiene che i diritti esistono, ma li ricollega sola­ mente alle convenzioni giuridiche preesistenti. Law as integrity ritiene invece che i diritti giuridici discendano dai principi che forniscono la migliore interpretazione della pratica giuridica presa nella sua interezza 19 • L'integrità non coincide con la stretta coerenza con le precedenti decisioni, e riguarda solo i principi, non le policies 20; essa consiste in una visione unitaria e com­ prensiva della giustizia, ed è questa visione che dà vita ai diritti 2I . giuridici Il diritto come integrità conduce, ad avviso di Dworkin, a una concezione in cui giurisprudenza e filosofia si integrano in un continuum. Questa concezione porta infatti a vedere gli argo­ menti giurisprudenziali come intrisi di filosofia, e gli argomenti filosofici come elaborazioni a partire dal metodo giudiziario effet­ tivamente operante 11. Ciò solleva il quesito se alla fin dei conti law as integrity non sia (o voglia essere) in realtà un mero rispec­ chiamento di ciò che i giudici già fanno ( almeno nell'opinione di Dworkin) , o, addirittura, un rispecchiamento delle dottrine politico-giuridiche liberali della giurisprudenza nord-americana : molti commentatori di Dworkin sono giunti a questa conclu-

19 V. R . DwoRKIN, Law's Empire, cit., p . 152. 20 In Law's Empire Dworkin parla di integrità per indicare ciò che in Taking Rightr Seriously denominava consistenza (articulate consistency) o gravitational force dei principi: qualcosa di diverso dnlla mera nssenza di contraddizioni. Sul punto v. in/ra, in questo capitolo, § 5 . 21 V . R. DwoRKIN, Law's Empire, cit., p . 134. 22 V. R . DwoR!aN, Law's Empire, cit., p. 90.

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CAPITOLO QUARTO

sione 23 • Sorge il sospetto che questa concezione integrale, iden­ tificando lo studio del diritto con la descrizione " compren­ dente " della giurisprudenza, non lasci in realtà spazio alcuno a un accostamento descrittivo al diritto , che non sia quello pura• 24 mente stanco . È stato sottolineato a questo proposito che la teoria dwor­ kiniana del diritto come integrità è animata da un forte pregiu­ dizio conservatore 25• Infatti essa esige che qualsiasi decisione giuridica anche di dettaglio sia sorretta da una . teoria giustifica­ tiva globale, la migliore. Ed allora il giudice dissenziente, che disapprovi la best theory of law, è costretto a scegliere tra queste due possibilità: o mentire (contrabbandando le proprie scelte personali come applicazioni della teoria giustificativa) oppure dimettersi. Una terza possibili tà non gli è data : Dworkin non ritiene possibile, contrariamente a Kelsen, che un anarchico possa fare il professore di diritto, che si possa cioè descrivere il diritto in modo neutrale, senza dovervi necessariamente pre­ 26• stare adesione morale 3.

-

lL LINGUAGGIO E LE NORME

Le parole della legge possono essere affatto chiare, ma non esauriscono il diritto: esse anzi sono scarsamente rilevanti al diritto n_ Come cercherò di dimostrare nelle pagine seguenti, questo è il nocciolo della semiotica di Dworkin .

23 V. in questo senso, da ultimo, P. CoMANDUCCI, Su Dworkin., ln P. CoMAN­ DUCCI, R. GuASTINI (a cura di), L'analisi del ragionamento giuridico. Materiali ad uso degli studenti, vol. I I , Giappichelli, Torino 1989, p. 395 ss. 24 V. sul punto, da ultimo, R. GAVISON, Comment a Dworkin, cit., p. 26 ss. 25 V. C. SAMPFORD, The Disorder of Law. A Critiq11e of Lega[ Theory, Basi! Blackwell, Oxford 1989, p. 92. U. V. H. KEI.SEN, La dottrina pura del diritto (1960), trad. i t. di. M. G. Losana, Einaudi, Torino 1966, p. 248. n V. R . DwoRKIN, Lega! Theory and. the Problem of Sense, cit., p. 16: qui Dworkin mette assai bene in evidenza che il diritto è assai più che le mere parole

CONCETTI INTRINSECAMENTE APERTI

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Ho sottolineato in precedenza che le problematiche anali­ tiche e linguistiche sono completamente estranee al pensiero di Dworkin . Dworkin non ha, ad esempio, una teoria dell'inter­ pretazione nel senso analitico (e continentale) della parola, ossia una teoria della vaghezza e ambiguità del linguaggio in cui sono formulati, o formulabili , gli standards giuridici. Questa circo­ stanza non dipende peraltro da un mero disinteresse per questa problematica linguistica, disinteresse che pure emerge dai suoi scritti za, bensì da una tesi semiotica anti-analitica assai forte: la tesi per cui la formulazione (o formulabilità) linguistica di re­ gole, ossia di significati normativi finiti e conchiusi, di norme cut and dried, come direbbe MacCormick, è cosa vana e irrile­ vante al diritto e al metodo giuridico (dworkiniano) 29• Vediamo in qual modo Dworkin manifesta questo suo quasi totale disinteresse per il linguaggio del diritto . Quando delinea il modo in cui il suo giudice ideale, Her­ cules, esercita l'attitudine " interpretativa " sul diritto statuta­ rio, Dworkin ammette naturalmente che la formulazione delle norme possa essere oscura, a cagione della vaghezza, ambiguità o particolare astrattezza dei termini adoperati 30• Tuttavia egli soggiunge che l'oscurità del testo non è affatto un prodotto di questi difetti linguistici. Così, egli dice, noi ad esempio non consideriamo affatto oscura la legge dello Stato di New York in materia di testamenti, perché questa non chiarisce se gli indi­ vidui con gli occhi azzurri abbiano o meno la capacità di eredi-

della legge (anche se queste parole sono chiarissime). Ma nel testo voglio sostenere che per D w orkin le parole della legge sono ancor meno che una componente parziale del diritto. 211 V., ad es., in Taking Rights Seriously, cit., p. 56, il modo m cui viene svalutata l'importanza dell'aspetto verbale delle regole (sociali) e della norma di riconoscimento hartiana. 29 V. N. MAcCORMICK, H. L. A. Hart, cit., p. 4 1 . 30 V. R. DwoRKIN, Law's Empire, p. 350 ss., spec. 351 s. Dworkin innroduce in Taking Rights Seriously, p. 105 ss . la figura di Hercules. Questi è un giudice di « specializzazione, conoscenza, pazienza e acume sovrumani », · a cui è assegnato il compito di costruire la migliore teoria del diritto.

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tare, ed anz1 non ci poniamo affatto un problema del genere. Noi consideriamo invece questa legge oscura riguardo al pro­ blema se coloro che siano stati condannati per l'omicidio di un testatore possano da lui ereditare . E tuttavia, dal punto di vista del linguaggio della legge, i due casi si trovano esattamente sullo stesso piano . Il fatto che consideriamo la legge oscura solo ri­ guardo al secondo e non al primo caso dipende dalla seguente circostanza: da qualche parte, nel diritto, vi è la possibilità di trovare un principio che nega che gli omicidi possano ereditare 11 • Dworkin pertanto conclude affermando che l'oscurità della legge è una sua caratteristica rilevabile a seguito dell'interpre­ tazione, e non rappresenta invece il presupposto e il motivo che renda necessaria l'interpretazione : non esiste una nozione indi­ pendente e preconfezionata di chiarezza ed oscurità del linguag­ gio, e pertanto non vi è ragione di tracciare una distinzione tra leggi chiare e leggi non chiare 32 • « Noi non qualifichiamo come oscura una legge a meno che non pensiamo vi siano argomenti dignitosi a favore di due interpretazioni confliggenti della stessa » 33 • Questa osservazione di Dworkin coglie un punto di grande importanza e mai sufficientemente sottolineato dalle teorie del linguaggio e dell'interpretazione giuridica . Il punto è che l'inter­ pretazione, e dunque anche l'interpretazione giuridica, non parte mai da zero, e presuppone invece sempre una rete di regole pragmatiche, regole di buon senso generico e di buon senso giuridico : prima fra queste la regola che ci porta a ritenere che l'enunciato giuridico da interpretare sia dotato di senso 34 •

3 1 Peraltro anche nel caso degli individ u i con gli occhi azzurri m i pare si possa sostenere che entri in gioco un principio: il principio costiruzionale del diritto nordamericano che vieta arbitrarie discriminazioni. 32 V. R. DworucrN, Law's Empire, cit., p. 353 . 33 R. DwonKIN, Law's Empire, cit., p. 352 (corsi vo mio). 34 Il punto è sottolineato con grande chiarezza da A. Ross, Diritto e giustizia, cit., p. 137 ss. V. anche M. ]ORI, Interpretazione, in M . ]ORI, A. PINTORE, Mam1ale di teoria generale del diritto, cit., p. 178 ss.

CONCET1'I INTRINSECAMENTE APERTI

159

Queste regole pragmatiche però, come è noto, sono assai poco risolutive e circoscrivono in modo molto limitato l 'entità dei conflitti di interpretazione . Ma non è questa l'idea di Dworkin : l'idea di Dworkin può essere espressa (con terminologia però a lui estranea) dicendo che l'interpretazione di un testo, a suo avviso, non presuppone solo regole pragmatiche : essa presuppone l'intero sistema dei principi giuridici, è compiuta a partire dall'intero contenuto se­ mantico del diritto, che deve poter riassorbire il caso al suo interno; l'interprete deve pertanto costruire il significato del testo più adeguato al sistema, un sistema che Dworkin presup­ pone come già dato, già interpretato (impresa erculea, come riconosce lo stesso Dworkin) . A Dworkin si può concedere che certamente il risultato cui si perviene a seguito dell'interpretazione può entrare in con­ flitto, ed anzi spesso di fatto confligge con l'interpretazione prima facie armata solo di buon senso; ma gli si può obbiettare che il contenuto semantico di un diritto è il risultato, non certo invece il presupposto, dell'attività interpretativa. Insomma, l'in­ terprete non parte mai da zero, ma neppure parte da tutto, da un sistema di contenuti giuridici già bello e pronto ad accogliere l'interpretazione più adeguata al caso in esame. Dworkin ribalta pertanto il rapporto che sussiste tra il singolo enunciato da inter­ pretare e il contenuto già interpretato del diritto 35• Proprio per questa ragione ho affermato in precedenza che

35 Parlare di risultato dell'interpretazione richiama alla mente la distinzione, elaborata da Giovanni Tarello nel quadro di un estremo scetticismo serniotico, tra interpretazione-attività e in terpretazione-risultato, due momenti a suo avviso com­ pletamente irrelati dell'interpretazione giuridica. V. G. TARELLO, L'interpretazione della legge, Giuffrè , Milano 1980, p. 39 ss. Distinguere tra diverse fasi dell'attività interpretativa non equivale però a sostenere che il momento conclusivo di essa sia del tutto irrelato rispetto al momento iniziale, né costringe al contrario a sostenere, con Dworkin, che esso sia interamente predeterrninato già da ll 'inizio . La dottrina interpretativa di Dworkin può essere considerata una variante del formalismo interpretativo.

160

CAPITOLO QUAR'fO

la principale e pm evidente caratteristica della semiotica anti­ analitica di Dworkin è la svalutazione dell'aspetto linguistico del diritto. Ma la mia critica è che questa svalutazione di Dworkin è ben più radicale. A mio parere Dworkin infatti teorizza una svalutazione non solo del linguaggio, ma anche dei significati portati dal linguaggio delle norme (intese in senso dworkiniano : come standards dotati di pedigree e contrapposti ai principi) : per Dworkin non è infatti rilevante ciò che le norme eHettiva­ mente dicono (per quanto dicono) ; bensì quel che si può far dire loro alla luce del sistema dworkiniano dei principi. È importante notare che questo " scetticismo sulle norme " di Dworkin non ha nulla in comune con lo scetticismo lingui­ stico caratteristico ad esempio dei realisti giuridici, per i quali i significati giuridici sono sempre creazioni dell'interprete 36• Il giusrealismo ha di solito infatti come suoi presupposti il sogget­ tivismo e il relativismo etico, e specialmente, per quel che inte­ ressa ora, il nominalismo concettuale. L'idea del giusrealista estremo è che l'incertezza del linguaggio e l'incertezza dei signi­ ficati veicolati dal linguaggio siano tutt'uno . Insomma, per il giusrealista, dire che sono incerti i significati giuridici, il diritto, e dire che è incerto il linguaggio del diritto, è esprimere la stessa idea con parole diverse. Invece per Dworkin i significati giuridici, i concetti, vi sono e sono certi (anche se può essere difficile stabilire dove trovarli) . Essi però non vanno cercati principalmente nelle nor­ me " giuspositivistiche ", anche in quelle più facilmente identi­ ficabili perché formulate linguisticamente o addirittura dotate di forma scritta. Le norme, per Dworkin, sono al più meri indizz

36 E tuttavia vi è chi ritiene che lo scettlosmo del giusrealista possa cambi· narsi agevolmente con questo « scetticismo sulle regole » di Dworkin . Questa mi pare l'idea di fondo di M. BARDERIS , Il diritto come comportamento, cit., lezioni 23 e 24. Nello stesso ordine di idee, mi pare, P. CHIASSONI, Dworkin's Skeptical

Jurisprtidence: Paradoxical Remarks, in Annali della facoltà di Gi11risprudenZ11 di Genova, 1989.

CONCETTI

o

sintomi

INTRINSECAMENTE APERTI

161

del diritto , di u n più vasto sistema d i diritti che

è

certo, anche se non può mai essere espresso in modo definitivo e compiuto 37• Il significato della singola porzione di diritto, pro­ dotta attraverso atti umani, formulata o formulabile, può essere indefinitamente riletto alla luce del sistema dei principi dwor­ kiniano, anche quando esso è stato fissato in forma linguistica. La svalutazione di Dworkin non investe dunque tanto il criterio formale (" giuspositivistico ") del

pedigree,

bensl anche

e specialmente il contenuto degli enunciati normativi giuridici, sempre rileggibile e rivedibile alla luce del diritto come integrità. Si legga ora questo passo di Dworkin, che è anche una critica all'accostamento " semantico " al diritto : « I filosofi del diritto non possono produrre utili teorie semantiche del diritto. Essi non possono indicare le regole basilari comuni che i giuristi seguono per appiccicare etichette giuridiche ai fatti, giacché non

vi sono regole siffatte » 38 • Questa affermazione non va intesa, come potrebbe parere, come una critica alla giurisprudenza mec­ canica (di cui peraltro le moderne teorie " semantiche " d.iflìcil­ mente potrebbero essere considerate colpevoli), che pretende che l'applicazione delle regole ai fatti sia appunto un mero " appic­ cicare etichette " ; essa è piuttosto l'esemplificazione più vivida della semiotica indefinitamente aperta di Dworkin, che consape­ volmente nega la rilevanza delle regole cut and dried, esprimibili in termini linguistici finiti, sia al livello dell'oggetto (diritto) che al livello del metodo giuridico che lo produce . Questo peraltro non significa che la battaglia di Dworkin sia contro il (ogni) metodo, che Dworkin non intenda procurare

37 Cosl, benissimo, dice Jackson. V. B. S. ]ACKSON, Semiotics and Legai Theory, cit., p. 223. Su questo punto si coglie, secondo me, una difFerenza fondamentale tra Dworkin e un teorico come MacCormick, che pure cerca di elaborare una concezione del diritto ampia, in cui possano trovar spazio · anche i principi di cui Dworkin rivendica la giuridicità. V. infra, cap. 5. 39 R. DwoRKIN, Legai Theory and the Problem of Sense, T it., p . 1 4 ; V. R . DwoR­ KIN, Law's Empire, cit., p. 90.

CAPITOLO QUARTO

162

un metodo ai giunstl (e/o non ne ravvisi uno già operante) , e che voglia addirittura concedere loro cambiali in bianco . La cri­ tica di Dworkin al paradigma giuspositivistico non va confusa con altre apparentemente analoghe, ma in realtà distruttive del metodo e del sistema, come quella di Goodrich, che verrà esa­ minata più oltre, benché i due tipi di argomenti possano presen­ tare simile veste esteriore. Come si dirà, il metodo proposto (o trovato? ) da Dworkin invero esiste, ed è un metodo che si presenta come assai impe­ gnativo per i giuristi . Questi infatti, privati del puntello delle parole della legge, chiare o oscure che siano, devono però ap­ poggiare ogni loro singola decisione sulla migliore teoria del diritto, " migliore " non nella costruzione formale ma nella con­ gruenza dei contenuti . Il metodo della teoria dworkiniana conduce ad identificare un oggetto (il diritto) niente affatto circoscrivibile, delimitabile, esprimibile in termini finiti. Questa circostanza può condurre, a ragione, a negare che il dworkiniano diritto come integrità possa essere considerato metodo e contemporaneamente privo di re­ gole, e quindi a rifiutare alle proposte di Dworkin il titolo ono­ rifico di " metodo " : questa singolare combinazione è infatti un indizio della totale non cogenza del metodo proposto (o tro­ vato ? ) da Dworkin 39• 4.

-

CoNcETTI E coNCEZIONI

Dworkin, sia in Taking Rights Seriously che in Law's Empire, adopera la distinzione tra concetto e concezioni 40• In Taking Rights Seriously egli introduce questa distin-

39 Sul concetto di metodo Il

e

sul metodo giuridico

metodo giuridico, ora in L'etica senza verità, cit.

v.

specialmente U. SCARPELLI,

40 V. R. DwoRKIN, Taking Rights Seriously, cit. pp. DwoRKIN, Law's Empire, ci t., p p . 7 0 s s . , 9 0 ss., 9 2 ss.

134

ss.,

136,

147; R .

163

CONCETTI INTRINSECAMENTE APERTI

zione nel corso di una difesa dell'attivismo giudiziario nell'inter­ pretazione delle clausole costituzionali (della costituzione nord­ amerbmà) come l ' equal protection e il due process of law 41 • Dworkin afferma che il concetto esprime un contenuto morale non controverso , mentre le concezioni sono le precisazioni, in­ trise di preferenze soggettive, di questo contenuto . Le clausole costituzionali vanno a suo avviso intese come esprimenti con­ cetti, non concezioni, e perciò è un errore considerarle vaghe . « Le clausole sono vaghe solo se noi le trattiamo come tentativi approssimativi o incompleti o schematici di avanzare particolari concezioni . Se invece le consideriamo come richiami a concetti morali esse non possono essere rese più precise rendendole più dettagliate » 42• In

Law's Empire

Dworkin precisa che la sua distinzione

tra concetto e concezioni non coincide con quella tra il signifi­ cato di una parola e la sua estensione, e presenta la distinzione come una differenza tra due livelli di astrazione ai quali una pratica può essere interpretata

43•

Il concetto esprime dunque le

idee non controverse adoperate in tutte le interpretazioni; nelle concezioni le controversie latenti nel concetto astratto risultano identificate ed esplicitate . Quanto al

concetto

di diritto, questo è pertanto l'idea mi­

nima e incontroversa del diritto, talché non si possono

nizione

per defi­

presentare le dispute tra i giuristi come dispute concet­

tuali; esso non coincide però con il significato ordinario della parola ' diritto ' , come piacerebbe al " semanticista " . Il con­ cetto di diritto è piuttosto il prodotto di una interpretazione

prima facie

(precomprensione ? ) delle

nostre

istituzioni giuridi­

che; dunque non è neppure un'astrazione che si collochi al di

4 1 V. R. DwoRKIN, Taking Rights Seriously, cit., cap. 5 (Constitutionol Cases). Dworkin chiama > dei concetti giutidici di MacConnick, v. infra, cap. 5. · 46 V. N. MAcCoRMrCK, Challenging Sociological Definitions, in British Journat o/ Law and Society, 1977, p. 93 s . 47 La citazione è di G . MAHER, Analytical Philosophy and Austin's Philosophy: ol

166

CAPITOLO QUARTO

Ma, a meglio vedere, MacCormick ci presenta in realtà una distinzione non a due bensì a tre termini. Egli distingue infatti (senza dirlo chiaramente) : l . il concetto astratto di cui si occupa la teoria del -diritto ; 2 . le concezioni giuridiche (meno) astratte, ma normativamente pure, di cui si occupa la scienza giuridica; e 3 . le concezioni giuridiche non normativamente pure di cui si occupano la storia e la sociologia giuridica

4 8•

Passiamo ora ad esaminare brevemente l'uso della distin­ zione tra concetto e concezioni fatto da Hart, e ripreso da Rawls , a proposito del concetto di giustizia 49 • Per Hart il concetto di giustizia rappresenta l'elemento « uniforme e costante » (è il principio di uguaglianza) delle varie

Law, in Archiv fiir Recht und Sozialpbilosophie, 1978, p. 410 ss. Secondo Maher, Austin travalicherebbe questa ripartizione di compiti occupandosi talora di specifiche concezioni. 411 Naturalmente anche questo schema più complicato solleva almeno due gravi (e vecchie) questioni, per tacere del problema dei rapporti tra scienza e sociologia del diritto, che pure emerge ma che può essere qui appena menzionato. La prima questione è quella classica della natura e del grado di generalità della teoria generale del diri tto: se si tratti di generalità a priori o a posterzorr, costruita per via induttiva ovvero deduttiva. Insomma: come si costruiscano i concetti della teoria generale del diritto, e quale grado dì generalità essi abbiano in rapporto ai vari diritti positivi storici. La seconda questione riguarda specificamente la posizione dell'analista del lin­ guaggio ordinario, come MacCorrnick e Hart, che cerca di comprendere una pratica sociale adottando un punto di vista interno, e che si precluderebbe pertanto - per definizione - la strada dell'indagine sui concetti (astrazioni estranee alla pratica). Questa è perlomeno l'opinione dì G . MAHER, Analytical Philosophy and Austin's Philosophy of Law, cit., p. 412 s. A dire il vero questa conclusione di Maher non mi pare inevitabile, a meno di non interpretare il punto dì vista interno in modo relativìsta estremo: ossia, a meno di non ritenere che il teorico possa far uso esclu­ sivamente dei medesimi concetti (o meglio, concezioni) adoperati dai partecipanti alla pratica sociale analizzata, e quindi per definizione peculiari alla pratica me­ desima. Ma anche il relativìsta estremo può forse senza contraddizione ammettere la possibilità di una qualche comparazione interculturale e di un qualche lavoro di astrazione, V. P. WINCH, Il concetto di scienza sociale e le sue relazioni con la filosofia (1958), trad. it. di M. Mondadori e M. Terni, Il Saggiatore; Milano 1972. 49 J. RAWLS, A Theory of ]ustice, Oxford University P-ress, Oxford 1973, p ' ss . Si noti che però la terminologia e i « fenomeni parti­ colari diffusi e discreti )) della realtà 56 • Alcune d i queste coppie opposizionali non sono mutuai­ mente esclusive e possono al contrario coesistere e sovrapporsi. Per esempio la distinzione di Hare tra significato e criteri mi pare possa essere adoperata per riformulare la distinzione di Hart tra il concetto comune di giustizia e le diverse concezioni della giustizia. Forse la medesima considerazione si può ripetere a proposito della distinzione di MacCormick. Inoltre la distin­ zione di Peirce tra type e token può certamente rendere un aspetto della distinzione di MacCormick: la distinzione tra il concetto " in quanto tale " e i singoli fenomeni della realtà che

SJ V. R. CARNAP, Meaning and Necessity (1947), trad. it. di A. Pa5quinelli, La Nuova Italia, Firenze 1976, p. 33 ss. Come si è visto, questa distinzione semiotica viene scartata da Dworkin. 54 V., per qualche ulteriore riferimento a questa distinzione, supra, cap. 3 , § § 2 . 1 . e § 4. 5 C. S . PEIRCE, Serniotica ( 193 1), trad. it. (dai Collected Papers di Peirce) di 5 M. A. Bonfantini, L. Grassi e R. Grazia, Einaudi, Torino 1980, p. 230. 56 M. WEBER, Il metodo delle scienze storico-sociali (1922), trad. it. di Pietro Rossi, Mondadori,. Milano 1980, p. 108 ss.

CONCETTI INTRINSECAMENTE APERTJ

169

ne costituiscono le istanze. Infine, probabilmente, la distinzione di MacCormick può inoltre convivere e sovrapporsi con quella di Weber tra tipo ideale e realtà 57 • S i tratta ora di stabilire quale collocazione possa trovare in queste partizioni la distinzione tra concetti e concezioni così come Dworkin la delinea. Sono forse possibili due interpretazioni della distinzione dworkiniana 58. In base alla prima interpretazione, Dworkin fa­ rebbe propria la accezione hartiana di ' ' concetto ' ' , intendendo questo come il contenuto minimo non controverso comune alle varie concezioni. In base alla seconda interpretazione, il con­ cetto sarebbe invece un « principio basilare » , e le concezioni le istanze di tale principio ; dunque una distinzione tra il type e i suoi tokens, più vicina a un aspetto della distinzione di MacCor­ mick. Anche in questo caso sul pensiero di Dworkin si possono svolgere osservazioni solo congetturali . Nonostante l'incertezza, è possibile cogliere w1a differenza fondamentale tra il modo in cui questa distinzione viene adope­ rata da Dworkin e il modo in cui viene impostata da MacCor­ mick e Hart (nonché dagli altri filosofi che ho menzionato poc'anzi) . Nelle distinzioni analitiche che ho preso in esame, infatti, il concetto è sempre : o incompleto (Hart, Hare) , o formale (MacCormick) o astratto (MacCormick, Peirce, Weber : infatti il type esiste solo attraverso i suoi tokens; il tipo ideale è un artificio euristico) . Insomma, tra i due termini dell'opposizione quello manchevole (per così dire) è sempre il primo : il concetto, comunque lo si concepisca, è sempre elaborato in funzione delle concezioni o, quantomeno, non è mai autosufficiente .

S7 V. anche E. di 1968, § 2 .

RoBILANT, Modelli nella filosofia del diritto,

Comunità, Milano

5 8 In questo senso, v . R . GAvrsoN, Comment a Dworkin, cit., p . 24. V . anche P. CHLASSONI, L'antiscetticismo panglossiano di Ronald Dworkin, in Materiali per •ma storia della cultura giuridica, 1987, p. 230 ss .

170

CAPITOLO QUARTO

Inoltre il concetto, sia esso il frutto di una costruzione a tavolino del teorico o invece di una ricostruzione di usi effettivi, è sempre concepito non come un veicolo di conoscenza (nuova), bensì come w1o strumento (euristico, interpretativo, classificatorio) utile a sistemare una conoscenza attinta con altri mezzi. Invece questo rapporto di sussidiarietà del concetto rispetto alle concezioni viene da Dworkin ribaltato . Infatti Dworkin dice che il concetto è astratto, mentre le concezioni sono meno astrat­ te, ma dice anche che il concetto è incontroverso , mentre le con­ cezioni sono controverse, che il concetto è oggettivo, mentre le concezioni sono soggettive, che il concetto è preciso, mentre le concezioni sono (o meglio, possono essere) vaghe 59 • Da tutto ciò si ricava l'impressione che per Dworkin i con­ cetti siano qualcosa che appartiene al mondo della conoscenza, mentre le concezioni appartengono al mondo della volontà . In altre parole, si ha h sensazione di muoversi in un universo in cui i concetti, da qualche parte (fuori dalla caverna platonica? ) esistono già, prima delle concezioni, in tutta la loro nitidezza e obbiettività, mentre le concezioni ne costituiscono le approssi­ mazioni fenomenicl�e, ne:essariamente imperfette, vaghe, sog­ gettive e arbitrarie. Solo ;m giudice dotato di capacità erculee può compiere al mtglio quest'opera di approssimazione . Ma per Dworkin il luogo in cui risiedono i concetti non è un mondo a parte, bensì è la storia delle nostre istituzioni giuridiche, è la comunità �ociale organicamente interpretata. Sembra dunque che per Dworkin i concetti " ci siano " già. Essi non sono comun�1ue il frutto di tm 'induzione astraente dal contenuto comune alle varie concezioni " fenomeniche " o il risultato di una chiarificazione di usi linguistici diffusi, o uno schema astratto forgiato per interpretare la realtà. I concetti sono invece per Dworkin idee morali esistenti in qualche parte 59 In R. DwoRKIN, Takirtg Rights Seriously, cit., p. 103, si legge che i concetti non sono incompleti, come un libro a cui manchi l'ul tima pagina, ma astratti.

CONCEl'T! INTRINS ECAMENTE APERTI

171

del mondo (un mondo composto dunque anche di fatti morali) e l'intervento umano consiste nel rifinirli in modo più o meno fedele tramite le concezioni ro . Quella di Dworkin pare dunque una concezione che am­ mette una conoscenza morale, alla quale si può accedere tramite i concetti. Le concezioni rappresentano invece lo spazio di libertà che Dworkin riconosce al mondo della volontà, uno spazio invero assai esiguo e circoscritto . Infatti, per Dworkin, anche se non è possibile dimostrare la verità del diritto come integrità, si può (si deve) tuttavia preferirla come concezione migliore di tutte le altre . Il pluralismo dworkiniano in tema di concezioni è temperato dalla considerazione che vi possa essere la conce­ zione migliore, il più corretto rispecchiamento ed elaborazione del concetto. Nel diritto, Dworkin applica la distinzione tra concetti e concezioni principalmente ai diritti soggettivi . Il

concetto di

diritto soggettivo in generale (e di ciascun diritto soggettivo) preesiste agli atti dì volontà umana che creano il diritto ( ogget­ tivo) ; le concezioni rappresentano le esplicazioni, trovertibili , del concetto . È per questa ragione che Dworkin, non creano nessun contenuto normativa do riconoscono nuovi diritti soggettivi : il concetto di in(de)finite esplicazioni .

sempre con­ i giudici, per

nuovo quan­ è suscettibile

Devo ammettere che le considerazioni che precedono non hanno precisi appigli testuali negli scritti di Dworkin, assai reti­ cente a rendere esplicito il fondamento filosofico delle proprie tesi . Quel che è certo è che Dworkin non può esimersi, come presume di poter fare, dall 'agganciare la sua concezione a una

liJ

Perciò, come nota Gavison, Dworkin estromette

le

discussioni dall'area con

cettuale. V. R. GAVISON, Comment a Dworkin, cit., p. 24 ss. Dworkin parla di fatti morali, non-hard facts, in No Right Answer?, in P. M. S . HACKER e ]. RA2 ( a cura d i ) , Law, Morality and Society. Essays in Honour of H. L. A. Harl, cit.,

p. 76 ss.

CAPITOLO QUARTO

172

metafisica (intesa come discorso sui presupposti) e a un'anto­ logia dei fatti morali e dei diritti naturali

61 •

Ciononostante questa metafisica affiora :

dalla distinzione

fondamentale tra concetti e concezioni, dalla identificazione del­ l'approccio semiotico al diritto con il nominalismo estremo , dalla svalutazione del linguaggio come unico veicolo di trasmissione dei significati . Vi è insomma, da parte di Dworkin , un rifiuto tacito e distratto di tre fondamentali scoperte (o principi) della filosofia analitica contemporanea, giuridica e non : la scoperta che attra­ verso la ragione non possiamo ricavare conoscenza alcuna; che non esiste una conoscenza di fatti morali; che possiamo pene­ trare nei fenomeni solo attraverso

il

linguaggio.

In conclusione, non è eccessivo considerare la teoria dwor­ kiniana come una rottura del paradigma giuspositivistico ; sarei ancora più radicale nel sostenere che la teoria dworkiniana mette addirittura in discussione, implicitamente, i principi che per gli analisti rappresentano i fondamenti medesimi del pensiero con­ temporaneo . Non pare tuttavia che il modello teorico dworkiniano (per quel che la reticenza di Dworkin ne lascia intravvedere) sia un modello nuovo, e sia soprattutto preferibile a quello giusposi­ tivistico . 5.

-

JL SIS TEMA DEI PRINCIPI

La teoria del diritto di Dworkin è stata definita in modo icastico come una concezione « violentemente sistemica » 62; ad essa pare assai appropriata la metafora del diritto come tela senza cuciture ( seamless

61

web ) .

La metafora, adoperata da Dwor-

Cosl anche R. SHINER, The Metaphisics of Taking Rights Seriously, in Phi­

losophia, 1983-84, p. 228. �l V. B . S . ]ACKSON, Semiotics and Legai Theory, cit., p. 223.

173

CONCETTI INTRINSECAMENTE APERTI

kin medesimo 63, rappresenta efficacemente le concezioni che trat­ tano il diritto come un sistema intriso di valori oggettivi 64• Occorre però stabilire quali siano le caratteristiche del si­ stema dworkiniano, e quali siano i nessi tra gli elementi che lo compongono cosa vi sia

nel

65 .

Detto con parole diverse, occorre stabilire che

diritto per Dworkin e come lo si possa ricavare .

I l quesito su quali siano gli elementi del diritto conduce al tema dworkiniano dei diritti e dei principi, il quesito sul modo in cui ricavare questi elementi conduce al tema della congruenza o integrità. Come già dicevo all'inizio di questo capitolo , l a concezione dworkiniana viene

ampia

sovente

etichettata

come

concezione

più

di quella giuspositivistica corrente , perlomeno rispetto

all'immagine che Dworkin stesso fornisce del giuspositivismo, e che può essere senza dubbio considerata una semplificazione det­ tata da ragioni polemiche e critiche 66• La concezione dworkiniana sarebbe più ampia, dato che introduce nel sistema, accanto agli standards giuridici giusposi­ tivisticamente ammessi (le norme) altri standards dallo status giuridico assai dubbio nell'ottica del giuspositivista: appunto i principi. Concezione più ampia, di conseguenza, perché fornisce, o pretende di fornire, non solo un criterio per la decisione dei casi facili, ma anche criteri (sempre risolutivi: la giusta risposta) per la decisione dei casi difficili, criteri che ad avviso del giuspo­ sitivista sono ricavati invece dal non giuridico mediante la di­ screzionalità.

63 V . R . DWORKIN, Taking Rights Seriowly, cit., p. 1 1 6 ; I n . , N o Right Answer ', cit., p. 84. 64 V. ad es. H. L. A. HA itT , Diritto, morale e libertà (1963), trad. it. di G. Ga·

vazzi, Bonanno, Acireale 1968, p. 69 (a proposito delle idee di Lord P. Devlin). 65 Tale problema è stato da ultimo analizzato in modo vivido da C. SAMPFORD, The Disorder of Law, cit., p. 75 ss. Il libro di Sampford è un'opera intensamente antisisterriica, in cui la nozione di sistema adoperata dalle maggiori concezioni con· temporanee del ' diritto è fatta oggetto anche di una critica interna, spesso lucidissimà. 66 V. il mio Norme e principi, cit p. 13 ss. .,

174

CAPITOLO QUARTO

Ora, questa interpretazione di Dworkin , elaborata a partire da categorie e problemi continentali e analitici, è per un verso certamente fondata e da condividere : certamente il filosofo giuspositivista legalista guarda con sospetto ai principi (impli­ citi) e tende a considerare questi come standards di giuridicità alquanto incerta (meno sospettosi al riguardo parrebbero i giu­ risti positivi) 67 • Inoltre il giuspositivista è incline a guardare con sospetto ad ogni tentativo di annullare la distinzione tra appli­ cazione e creazione del diritto (benché, come è noto, le opinioni sul punto in cui tracciare il confine varino assai ) . Certamente l a metafora della concezione " scheletrica " del diritto s i addice al giuspositivista. Tuttavia l'applicazione a Dworkin di queste categorie con­ tinentali e analitiche potrebbe dar luogo a fraintendimenti ed equivoci, se non venisse integrata da opportune precisazioni . Cosl, ad esempio , i dworkiniani

hard cases

sono stati intesi in

modo appunto continentale ed analitico, come casi di difficile e incerta interpretazione, in cui entrano in gioco la vaghezza, l'ambiguità, e l 'insufficienza del linguaggio giuridico . Ma per Dworkin non è così, o almeno, non

è solo

così:

la sua categoria degli hard cases è ben più ampia e non coincide con la categoria " analitica " dei casi che sollevano problemi di interpretazione. Innanzi tutto, per Dworkin, non sono affatto

hard i

casi di lacuna, dato che, come è noto, a suo avviso i diritti

sono necessariamente sempre completi; i principi giuridici han­ no a suo avviso un contenuto di significato capace di espansione, e rendono così possibile trovare sempre una risposta - anzi, la giusta risposta - per ogni caso giuridico . In secondo luogo, soprattutto, per Dworkin si possono avere casi difficili anche quando una norma adeguata al caso vi sia e il suo significato sia

67 Per un inventario dei different,i oggetti che i giuristi continen tali sono soliti chiamare « principi giu·ridici », v. R. GuAsTINI, Sui principi di diritto , in Diritto e Società, 1986.

CONCETTI INTRINSECAMENTE APERTI

175

del tutto chiaro 68 • La difficoltà del caso è data piuttosto dalla presenza nel diritto di valori e quindi di principi confliggenti, valori e principi che è necessario comporre . Del resto Dworkin, nel suo lavoro sul diritto come inte­ grità, giunge ad affermare che « la distinzione tra casi facili e difficili non è né così chiara né così importante come il critico sostiene >> 69• Dworkin rigetta ora questa distinzione consideran­ dola inutile e quali.fìca l ' alternativa tra creazione e applicazione del diritto come una « falsa dicotomia » 70• La teoria di Dworkin infatti non si offre sul mercato filosofico giuridico contemporaneo come teoria valevole solo per i casi difficili, e non va perciò accolta o rigettata apprezzandola solo su questo terreno . In realtà essa pretende di fornire una risposta globale, un metodo vale­ vole per tutti i casi, facili o difficili che siano : il diritto come integrità, Dworkin ci dice, è una concezione globale del diritto 71 • L'esempio degli hard cases mostra dunque che l'interpre­ tazione della concezione di Dworkin, come più ampia di quella giuspositivistica, rischia di essere fuorviante, perché può dare l'impressione che l'operazione @osofico-giuridica di Dworkin si esaurisca in una mera integrazione, in un mero accrescimento del sistema nel quadro di una concezione del diritto sostanzial­ mente invariata 71 • I n realtà, ciò che muta radicalmente nella teoria d i Dwor­ kin, rispetto al giuspositivismo, è la concezione medesima del sistema giuridico, dei suoi elementi e dei nessi tra questi. Esa-

68 Come è ad esempio il caso Riggs v. Palmer discusso da Dwork.in, Taking Rights Seriously, p. 23 ss. V. mpra, al § 3, la discussione sull'oscurità del linguaggio

delle leggi.

lfl V. R. DwoRKIN, Law's Empire, cit., p. 266. 70 V. R . DwoRKIN, Law's Empire, cit., p. 228. 71 V. R. DwoRKIN, Law's Empire, cit., p. 354. 72 Giustamente M. JoRI, I concetti di diritto nel pensiero giuridico positivo, in Saggi di metagiurisprudenza, cit . , p. 288, osserva che la questione della giuridicità

dei principi si situa nelle �ree « morbide », ossia incerte e controverse, del concetto di diritto. Ma il punto è che Dwork.in stravolge questn stessa distinzione tra aree mÒrbide ed aree solide di un concetto.

176

CAPITOLO QUARTO

minerò i due problemi separatamente, occupandomi in primo luogo degli elementi del sistema dworkiniano . L'argomento è già stato affrontato in precedenza (supra , § 3 ) ; pertanto sarà sufficiente un breve rinvio . Se dunque si adotta l'angolo visuale del giuspositivismo scheletrico, si può avere la tentazione di sostenere che i principi siano standards giuridici che vivono in una sorta di limbo semi­ giuridico, in attesa di essere " giuridilicati " tramite le singole decisioni giudiziarie. In realtà, invece, nella concezione di Dwor­ kin, sono i principi l'elemento dominante del sistema, e quel che non è invece affatto chiaro, nell'ottica di questa concezione, è proprio lo statuto giuridico delle leggi e delle decisioni giudi­ ziarie, in generale delle norme di provata validità giuspositi­ vistica. Questi standards, infatti, « possono essere visti come ele­ menti del sistema, connessi ad esso attraverso i principi che fungono da loro giustificazione . Alternativamente, essi possono essere visti come un substrato " preinterpretativo " non giuri­ dico che il sistema giuridico dei principi giustifica, come parte dell'ambiente con cui il sistema giuridico interagisce, ma non 73 " come parte del sistema med esimo » . . Come risulta dalle osservazioni che ho fatto nelle pagine precedenti, propendo senz'altro per quest'ultima interpretazio­ ne: mi sembrano decisivi in questo senso e la svalutazione, operata da Dworkin, del contenuto di signilicato degli standards giuridici positivi, e il modo sistemico in cui Dworkin intende l'interpretazione dei testi giuridici (v. supra, § 3 ) . Pertanto i l sistema dworkiniano del diritto è un sistema di principi e diritti , ed è un sistema indefinitamente espandibile, nella direzione di altri principi e diritti, non di contingenti stra­ tegie politiche, né di caduche intenzioni dei legislatori storici 74• 73 Cosl C . SAMPFORD, The Disorder of Law, cit., p. 79. 74 Si veda, i n Law's Empire, cit., p. 3 13 ss., la critica di Dworkin - oggi pe· raltro condivisa da tutti - alla speaker's meaning theory, ossia all'idea che il signi-

CONCETTI INTRINSECAMENTE APERTI

177

Passando ora ad esaminare il problema dei nessi tra gli elementi del sistema giuridico dworkiniano, può essere utile partire da una osservazione di Charles Sampford, il cui lavoro è stato già più volte citato nelle pagine precedenti. Questi con­ trappone due concezioni del diritto come sistema : diritto come sistema basato sulla fonte (source-base d) , e diritto come sistema di contenuti 75 ; egli considera esempio paradigmatico della prima la concezione kelseniana-hartiana del diritto , della seconda la concezione giusnaturalistica e quella dworkiniana 76• Sampford coglie con molta acutezza le peculiarità del nesso giustificativo che tiene insieme gli elementi del sistema " conte­ nutistico " dworkiniano n . Questo è un nesso " dialettico " ossia contemporaneamente operante verso l'alto (principio) e

ficato degli enunciati giuridici vada ricostruito appurando l'effettivo stato mentale del legislatore storico.

75 V. C. SAMPFORD, Tbe Disorder of Law, cit., p. 16. Sampford individua un terzo filone di concezioni del diritto sistemiche, che si impernia sulla nozione di sistema funzionale, ma che raccoglie concezioni assai e terogenee (dallo strutturai­ funzionalismo di T. Parsons, al marxismo, alle teorie del processo, ai Critica! Legai Studies). 76 Non condivido del tutto il modo in cui Sampford t-raccia la sua distinzione tra le due concezioni del sistema giuridico. Infatti mi pare che la teoria contempo­ ranea del diritto abbia ampiamente mostrato che la contrapposizione tra validità (formale) e contenuto è fall ac e , e non riesce a dar conto neppure della concezione kelseniana del diritto. La validità di una norma, intesa come sua appartenenza al sistema, può ben essere fatta dipendere dal contenuto prescrittivo della norma me­ desima: una norma può essere riconosciuta come valida perché provvista di un certo contenuto oppure per circostanze estranee al suo contenuto, o per ambedue le cose insieme. Sistemi normativi « statici >> e > possono convivere nel· l'ambito di un medesimo diritto, e certamente convivono nella concezione del diritto di Kelsen e in quella di Hart. Ma per Sampford non è possibile che più sistemi, dello stesso tipo o di tipo diverso, coesistano in un medesimo diritto (diritto evi­ dentemente identificato e definito altrimenti che con il ricorso al concetto di sistema). V. M. }oRI, Il formalismo giuridico, Giuffrè, Milano 1980, § 2 e p. 29 55. Contrapporre in tal modo le due concezioni del sistema giuridico equivale per­ tanto ad accreditare come fedele raffigurazione del giuspositivismo l'immagine distorta che Dworkin ne fornisce: come concezione che ricollegherebbe la validità delle norme esclusivamente alla loro origine, e ridurrebbe pertanto la giuridicità a un test di pedigree.

L'argomento verrà ripreso infra, cap. 6. C. SAMPFORD, The Disorder of Law, cit., p. 8 1 .

n

1 78

CAPITOLO QUARTO

verso il basso ( decisione) : le decisioni preesistenti devono infatti essere giustificate risalendo induttivamente al principio; il prin­ cipio deve poter giustificare la nuova decisione 78 . Questo nesso è logicamente debole perché non è un nesso logico deduttivo di implicitazione, ma è contenutisticamente assai forte, giacché il principio deve poter giustificare una e una sola decisione tra le molte possibili (e se non riesce a farlo, non giustifica affatto) . Il principio giustificante deve poi integrarsi in una concezione politico-morale s tratificata ed organica (la best theory of law) che nel suo complesso deve soddisfare due requisiti: la fitness e l'integrity; deve cioè essere una concezione adeguata alle pra­ tiche giuridiche correnti e dev'essere inoltre dotata di interna congruenza. È importante sottolineare che la congruenza, che lega tra loro gli elementi del sistema dworkiniano, è una caratteristica del sistema diversa dalla coerenza logica, ossia dall'assenza di contraddizioni 79• Per Dworkin infatti non è incoerente accogliere due principi confliggenti dato che - a suo avviso - tra questi non c'è contraddizione logica 80• L'integrità non sottostà dunque ai vincoli della tradizionale logica a due valori. Questa affermazione di Dworkin è davvero singolare : non si vede perché anche due principi, come due norme, non pos­ sano contraddirsi. Naturalmente, per poter formulare questo giudizio, è necessario che il contenuto di significato dei due principi sia sufficientemente determinato e non del tutto vago, come sovente accade. Inoltre, quando si sostiene che due prin­ cipi giuridici si contraddicono, non si vuole affatto escludere che

78 È evidente l'influenza su Dworkin del metodo che Rawls chiama, dell'« equi­ librio riflessivo »: v. J. RAWLS, A Theory of ]ustice, cit., p . ll8 ss. 79 Comanducci giustamente rileva che la congruenza, a differenza dalla coerenza, non è una caratteristica all-or-nothing, ma di grado, circostanza che rende questo concetto assai scivoloso. V. P. COMANDUCCI, Osservazioni in margine, in P. Co­ MANDUCCI e R. GuASTINI (a cura di), L'analisi del ragionamento giuridico. Mate­ riali ad uso degli studenti, vol. I , Giappichelli, Torino 1987, p. 275. so V. R. DWORKIN, Law's Empire, cit., p. 269.

CONCETTI !NTRINSECAMEN1'E APERTI

179

ambedue possano appartenere contemporaneamente al medesi­ mo sistema 81 • Né la presenza contemporanea di due principi contraddittori rende necessariamente il sistema antinomico : l'antinomia può essere infatti evitata attribuendo ai due principi due diversi àmbiti di applicazione, sistemandoli in ordine gerar­ chico o in base al principio di specialità. Non è necessario ora indagare sul problema se il criterio di specialità o gerarchico, o gli altri ipotizzabili criteri di composizione dei conflitti tra prin­ cipi, vadano intesi come principi di secondo livello anch'essi appartenenti al sistema, ovvero come regole (esterne) di forma­ zione del sistema. Tutto ciò non toglie che tra due principi possano esservi, e sovente vi siano, contraddizioni. Sostenere il contrario, come fa Dworkin, equivale ad escludere la possibilità di un controllo logico del sistema, a !asciarci dunque senza cri­ teri " forti " di controllo, a lasciare soprattutto nella totale indeterminatezza i modi attraverso i quali il pensiero giuridico positivo giunge a comporre principi tra loro contraddittori, a elaborare (o trovare? ) i meta-criteri di composizione dei principi e quindi di costruzione del sistema. Questa possibilità di con­ trollo logico ha riflessi etico politici evidenti, perché fornisce un criterio per accertare la coerenza del legislatore, la misura e i limiti in cui un diritto si ispira a valori univoci. Questa singolare tesi di Dworkin forse non dipende tanto da una meditata analisi della logica dei principi. Forse essa di­ pende piuttosto dalla fiducia sconfinata che il filosofo americano ripone nella possibilità di ricavare dalla società e dalle istituzioni

81 Qu esta è l'opinione di MacCormick. Il punto discusso nel testo segna u n' altra importante differenza tra le idee di Dworkin e quelle del teorico giuspositivista che gli è forse più vicino : infatti MacCormick parla di congruenza in senso dworkiniano (coberence), ma anche di co erenza (consistency), nel senso di mancanza di contrad­ dizioni tra principi, e inoltre ritiene che questi due criteri di accogl imen to dei principi in un diritto siano in perenne ten sione . V. N. MAcCoRMICK, Legai Reasoning and Legai Tbeory, Clarendon Press, Oxford 1979, § 7; In., La coerenza nella giu­ stificazione giuridica, trad. it. di P. Comanducci, in P. COMANDUCCI, R. GUASTINI (a cura di), L'analisi del ragionamento giuridico, vol . I, cit. V. infra, cap . 5, § 7 .

180

CAPITOLO QUARTO

giuridiche un corpo organico di valori

82•

La debolezza di questa

assunzione antropologica di Dworkin è stata più volte segnalata dai critici

113 •

Ci piaccia o n o il metodo dworkiniano, esso produce una teoria del diritto il cui maggior pregio, dal punto di vista del­ l ' autore, consiste nella indefinita espandibilità, nella suscettibi­ lità di ampliamenti e incrementi: « Il diritto non si riduce a un catalogo di norme e principi

» 84 •

Dice Dworkin che la congruenza o integrità, che regge l 'intero sistema, non è un principio conservatore : al contrario, esso « stimola il giudice ad essere lungimirante e immaginativo nella sua ricerca della coerenza »

85

coi principi fondamentali.

Non c 'è nulla di male nel fatto che le decisioni prese su questa base possano giungere inaspettate, possano essere impreviste: la " sorpresa ", quella che è altrimenti nota come (in) certezza del diritto, non è sempre un disvalore per il diritto come integrità. Questa indefinita espandibilità del sistema di un siste­ ma, è bene sottolinearlo ancora, che non teme contraddizioni -

dà luogo a un ribaltamento del rapporto tra diritto e concetti giuridici, così come delineato dalle dottrine giuspositivistiche e analitiche. O meglio, essa conduce a rivedere radicalmente gli stessi termini del rapporto : all'interno della concezione di Dwor­ kin infatti non fa più senso discutere se i concetti giuridici siano un prodotto del diritto positivo, ovvero se siano ciò che

82

Una fiducia che è stata argutamente chiamata panglossiana: v. P. CHIASSONI,

L'antiscetticismo panglossiatlo di Rana/d Dworkin, cit. 83 V., per tutti, F. · VroLA, Autorità e ordine del diritto, Giappichelli, Torino l984, p. 167 ss.; P. CHIASSONI, L'antiscetticismo panglossiano di Ronald Dworkin, cit.; A. PrNTORE, Norme e principi, cit. Osserva SAMPFORD, The Disorder of Law, cit., p. 93, che, « come molte teorie del diritto che mescolano consapevolmente fatto valore, quella di Dworkin fornisce un debole fondamento per la critica del diritto perché i valori del critico sono già stati incorporati al suo interno e dunque il di­ ritto è visto. in miglior luce di quanto accadrebbe altrimenti ». 1!4 R . DwoRKIN, Law's Empire, cit., p. 413. as R. DwoRKIN, Law's Empire, cit., p. 220. e

CONCETTI !NTIUNSECAMENTE APERTI

181

produce il diritto positivo, e quale sia il modo corretto di defi­ nirne il significato in rapporto alle norme giuridiche .positive. I termini stessi del rapporto vengono dunque radicalmente modificati . Così, nella concezione di Dworkin, si può - asserire senza tema di contraddizione, sia che i diritti sono w1 prodotto del diritto positivo, sia che, offrendo tutela a un diritto mai rico­ nosciuto prima, il giudice non crea, ma semplicemente riconosce una pretesa (una concezione) già esistente, perché già inclusa nei principi del sistema (ossia nel concetto del diritto oggettivo) , anche se mai esplicitata o scoperta in precedenza. A tali conclusioni sui diritti Dworkin perviene attraverso una sottile rete di distinzioni, come quella tra diritti che stanno sullo sfondo (background) e diritti istituzionali, tra diritti astratti e diritti concreti, tra diritti assoluti e diritti relativi �6• Il concetto del diritto soggettivo troneggia indiscusso (proprio in quanto concetto, non concezione) in cima al sistema giustifi­ cativo, o metodo dworkiniano. Il rapporto dialettico (altri direb­ bero circolo vizioso) tra istituzioni giuridiche, teoria giuridico­ morale del diritto come integrità , decisioni giudiziarie, dà vita a concezioni fenomeniche di questo concetto, concezioni delle quali ben si può dire al contempo che ri-creano e solo rispec­ chiano il concetto . Come ho già sottolineato più volte, nella concezione di Dworkin non v'è posto alcuno per la distinzione tra descrittivo e prescrittivo, tra creazione e meta ricognizione del diritto 87• Vi è forte la tentazione di concludere questa ricostruzione della serniotica giuridica di Dworkin, e cercare di recuperarla in qualche modo al mondo delle distinzioni analitiche, col dire che essa pretende di trattare il diritto esattamente come lo strut­ turalismo tratta la langue, ossia come sistema capace di generare

86 V. spec. il cap. 4 di Taking Rightr Seriously (Hard Cases) . 87 V. R. GAVISON, Camment a Dworkin, ci t., p. 25 ss . ; A. PrNTORE, Norme e principi, p. 67 ss.

182

CAPITOLO

QUARTO

infiniti discorsi : lr1w as integrity fornirebbe la chiave per pro­ durre infiniti discorsi giuridici " grammaticali ", senza dire al­ cunché sul loro contenuto ; ci darebbe le istruzioni sul come dire, ma non sul cosa dire (giuridicamente) . Ma, in realtà, noi concepiamo il diritto come un linguaggio che prescrive non solo come parlare correttamente (nel diritto) , ma anche che cosa dire : proprio per questa ragione non è illu­ sorio o temerario credere di poter porre limiti al diritto, di poter prescrivere quali limiti di contenuto un diritto possa o debba avere 88• Quanto a Dworkin, si può concludere osservando che, riguardo al come dire giuridicamente, non mi pare che egli for­ nisca alcun criterio accettabile o almeno intellegibile; quanto al cosa dire, forse un criterio viene offerto (il rinvio alle dottrine politico-giuridico liberali della giurisprudenza nordamericana) , ma dichiararlo apertamente indebolirebbe alquanto il carattere erculeo del diritto come integrità.

58 Sul problema del d�ritto come langue mi soffermerò a lungo nel cap. 6, quando commenterò le critiche di Peter Goodrich al giuspositivismo.

CAPITOLO QUINTO

CONCETTI GIURIDICI , ISTITUZIONI , REGOLE COSTITUTIVE. LA TEORIA ISTITUZIONALE DI NEIL MacCORMICK SOMMARIO: l. Premessa.

2. Istituzioni giuridiche. - 3. L'antologia dei fatti isti­ tuzionali. - 4. La semiotica delle istituzioni giuridiche. - 5. Prescrittivo e costitutivo. - 6. L'« eccedenza deontologica » dei concetti giuridici. 7. La « terza via » di MacCormick .

l.

-

PREME S S A

MacCormick può essere considerato un buon erede del metodo hartiano . Anch'egli infatti, come Hart, si propone, non di riformare la giurisprudenza, ma di indicare le buone ragioni filosofiche che sottos tanno alle effettive pratiche giurispruden­ ziali e le rendono utili e opportune così come esse sono. Anche MacCormick si proclama, come Hart, giuspositivista e normativista. Egli tenta tuttavia l'operazione di conciliare il giuspositivismo à la Hart con la teoria dei principi giuridici di Dworkin ; egli presenta dunque la propria concezione del diritto come una " terza via " teorica, che dovrebbe poter soddisfare le esigenze del teorico preoccupato di fissare confini certi al diritto, e contempor �neamente quelle del teorico che rifugge qa una visione " scheletrica " della giuridicità e propugna una let­ tura più ampia e aperta del diritto . MacCormick giunge a tali conclusioni teoriche proprio nel-

184

CAPITOLO QUINTO

l 'ambito di un discorso imperniato sull'argomento dei concetti giuridici 1 • I concetti giuridici di cui egli parla sono i concetti sistematici adoperati dalla legge e dai giuristi teorici e pratici nell'esposizione e applicazione del diritto: sono quelli che nella tradizione continentale vengono di solito denominati " istituti giuridici ". MacCormick non attribuisce una assoluta centralità all'analisi delle operazioni giudiziarie sui concetti, come invece fa Hart. Il suo obbiettivo dichiarato è l'elaborazione di una teoria giuridica

il

più possibile collegata e complementare alla

dogmatica giuridica 2• In questa direzione, egli sottolinea forte­ mente la centralità dell'argomento dei concetti giuridici per la teoria giuridica, la circostanza che esso rappresenta il crocevia in cui confluiscono tutti i problemi centrali della teoria e della filosofia del diritto : in specie i problemi della struttura della norma e dell'ordinamento giuridico . Assai opportunamente MacCormick sottolinea il collega­ mento che esiste tra il problema giurisprudenziale dell'elabora­ zione ed uso dei concetti e questi problemi centrali della filosofia del diritto . La mia tesi

è

che egli non rende però chiara la natura

di tale collegamento e non indica in modo soddisfacente i pre­ supposti filosofici del suo discorso sui concetti giuridici : la teoria giuridica, nel modo in cui MacCormick la configura, parrebbe doversi limitare a registrare le pratiche dei giuristi, sul presupposto che esse meritino (sempre? ) approvazione .

2.

-

Is TITUZIONI GIURIDICHE

Anche per MacCormick, come per Hart e per gli altri teorici analitici del diritto di cui mi sono occupata finora, i

l V. N. MACCoRMICK, Law as Imtituti01zal Fact (1974), ora, con lievi modifi­ che, in N. MAcCoRMICK, O. WEINBERGER, An Institutional Tbeory o/ Law. New Approaches to Lega! Positivism, Reidel, Dordrecht 1986, p. 49 ss. (la traduzione delle citazioni di MacCormick è mia). 2 N. M AcCoRM ICK, O. WEINBERGER, Introduction, in An. Institutional Theory Q/ Law, cit., p. 2 1 .

CONCETTI GIURIDICI, I STITUZIONI, l!EGOLE

185

concetti giuridici fondamentali sono irriducibili. Irriducibilità significa in primo luogo irriducibilità a fatti (almeno a fatti " bruti ", come si chiarirà appresso), perché per la determina­ zione del loro significato è necessario fare riferimento alle norme giuridiche, in secondo luogo in questo caso significa però anche irriducibilità a norme : si vedrà, infatti , che il significato dei con­ cetti giuridici, per MacCormick, non è mai circoscritto né mai riconducibile interamente alle norme giuridiche valide in un dato momento . MacCormick si occupa di concetti giuridici astrattamente intesi, e non dei concetti giuridici in quanto incorporati nella realtà sociale, come fa Hart ( tale caratteristica, nella teoria hartia­ na, è nascosta sotto l'esistenza delle norme in un diritto effettivo ) . Egli chiama i concetti giuridici sistematici " istituzioni giuridi­ che ", e ritiene che la loro elucidazione comporti la necessità di distinguere tre piani di esistenza e tre livelli di analisi. Il primo livello è quello del contenuto delle norme giuri­ diche : si dirà allora che il concetto o istituzione " contratto " esiste in un certo diritto positivo quando esistono in tale diritto norme giuridiche sui contratti : tali norme sono appunto norme costitutive del concetto. Come si vedrà appresso, MacCormick adopera in maniera assai liberale i concetti di esistenza e di fatto. Egli si richiama alla teoria delle regole costitutive di Searle, ma critica l 'identificazione che Searle compie tra le istituzioni e le regole che le costituiscono, e ritiene invece opportuno conside� rare l'istituzione " in quanto tale " in modo separato dalle nor­ me che la creano 3 • Il tipo di esistenza di cui è dotata l'istitu­ zione " in quanto tale è peraltro assai evanescente, è parago­ nabile a quella di un'idea platonica, e tuttavia è un'esistenza che ha una dimensione temporale, ha un inizio e una fine 4 • "

N . MAcCoR..'-IICK, Laws as Institutional Fact, cit., p . 5 1 . MAcCoRMICK, Law as Institutional Fact, cit., pp. 55 e 75 . Nella Intro· duction a An Institutional Theory of Law, cit., p. 1 1 , MacCorrnick precisa (con Weinberger) di non aver voluto abbracciare alcuna forma di idealismo platonico. 3

4 N.

186

C A P I T O L O QUINTO

Ci si può subito domandare (ma l' argomento sarà ripreso più oltre) se il rasoio di Ockham non debba applicarsi a questa distinzione tra istituzioni " in quanto tali " e norme che le creano . Infatti, non sarebbe forse il caso di dire che tutto ciò che esiste (in un senso di esistenza da precisare) sono da un lato le norme, e dunque le qualificazioni normative astratte delle azioni e dei fatti, dall'altro le azioni e i fatti normativamente qualificati che si siano verificati effettivamente ? La concettua­ lizzazione di un'entità intermedia tra fatti e norme fa certo parte delle abitudini dei giuristi, e questa circostanza rappresenta per MacCormick, come vedremo, un argomento assai forte (se non l'argomento decisivo) in suo favore ; per molti giusteorici ana­ litici questa è i'1vece, come si è detto più volte, un'abitudine censurabile perché sospetta di metafisica essenzialista. Ci si può inolt�·e chiedere se le norme che creano un'istitu­ zione giuridica (si tratta, come si vedrà, di un complesso di nor­ me di diverso tipo) siano identificabili in base a criteri indipen­ denti, ovvero possar::o essere identificate solo con riferimento al­ l'istituzione che creano . Io sospetto che, con grave rischio di cir­ colarità nei propri Hgomenti, MacCormick non disponga di cri­ teri di individuazio•1e indipendenti . Se le istituzioni giuridiche vengono intese com� ent�tà antologiche, prodotte (in senso da precisare) dalle norme , non si comprende infatti come possano servire ad individume le norme da cui vengono create. Se si interpretano invece le istituzioni come entità semiotiche, esse coincidono con le norme stesse (o meglio con un aspetto di queste) e rimane aperto il problema di individuare le norme medesime, ossia di identificare il micro-sistema di norme che stanno in relazione con quella certa istituzione. Quei teorici del diritto, come Kelsen e Ross, che identificano le norme giuri­ diche con le direttive di condotta rivolte alle corti, e che ven­ gono per questa circostanza criticati da MacCormick, sono me­ glio attrezzati di MacCormick ad affrontare e risolvere questo problema : costoro infatti dispongono di un criterio indipen-

CONCETTI GIURIDICI, I STITUZIONI,

REGOLE

187

dente di individuazione delle norme, ossia del criterio del tipo (o contenuto) del comportamento umano prescritto 5 • Tornando a MacCormick, vediamo che il secondo livello di esistenza delle istituzioni giuridiche che egli individua è rap­ presentato dalle singole istanze di istituzioni, ad esempio i sin­ goli contratti, che sono identificabili nella loro individualità in quanto istanze dell'istituzione come puro concetto . Questi sono fatti (benché istituzionali) , che possono venire ad esistenza al­ lorquando siano soddisfatte le due seguenti condizioni : l ) esi­ stano in un certo diritto le norme che creano il concetto in que­ stione; 2) si siano verificati nella realtà gli atti o fatti ai quali le norme ricollegano la nascita dell 'istituzione in questione. Un problema che sarà affrontato in seguito è se un'istanza di istituzione, per poter essere identificata come tale, debba in tutto e per tutto conformarsi al modello astrattamente previsto dalle norme . Visto che le norme che costituiscono il concetto come entità astratta sono appunto costitutive, parrebbe che il verificarsi nella realtà di accadimenti non conformi a quelli previsti astrattamente dalla norma non sia in grado di dar vita ad una istanza del concetto medesimo, per definizione. Anche di questo problema, relativo al modo in cui sis temare concet­ tualmente e giuridicamente i tokens devianti " dal type costi­ tuito da una regola, si parlerà più avanti . Infine il terzo livello di esistenza dei concetti giuridici è quello sociologico, delle istituzioni sociali , concettualmente di­ stinte ma sociologicamente connesse alle istituzioni giuridiche: parlamenti, corti, polizia . Anche queste sono per MacCormick istituzioni, ma in senso sociologico e non filosofico. Ciò forse va inteso nel senso che, ad avviso di MacCormick, per indivi"

5 Parla di « problema di individuazione », ossia del problema di « quali siano esattamente i principi sottostanti alla divisione dottrinale del diritto >> in disposizioni di legge distinte, J. RAZ, Il concetto di sistema gi11ridico, cit . , p. 1 15 ss. (la citazione è ricavata dalla p. 1 17).

188

CAPITOLO

QUINTO

duare e descrivere le istituzioni in questione non è necessario, oppure non è sufficiente, far uso dei medesimi concetti creati dalle norme giuridiche . In apparenza sembrerebbe di avere a che fare con una con­ cezione assai in linea con la dottrina pura kelseniana. Lo stesso MacCormick dichiara di sentirsi più vicino a Kelsen che non a Olivecrona, e osserva che la sua concezione del diritto come fatto istituzionale si ispira ad una visione normativa, e non certo a una visione sociologica e fattuale del diritto 6 • Anche nella teoria kelseniana si po trebbe infatti reperire una distinzione, analoga a quella teorìzzata da MacCormick, fra tre livelli di esistenza dei concetti giuridici. Il primo livello dì esistenza sarebbe allora quello normativamente puro: le norme giuridiche per Kelsen conferiscono significato oggettivo alle azio­ ni umane . Il secondo livello di esistenza sarebbe quello della venuta ad esistenza dei fatti che ricadono sotto le qualificazioni normative giuridiche. Il terzo livello sarebbe infine quello so­ ciologico, fattuale, causale, di pertinenza della sociologia del diritto. In realtà questa interpretazione di MacCormick come teo­ rico kelseniano " puro " non è possibile, per due ragioni prin­ cipali. In primo luogo, infatti, vedremo che per MacCormick il diritto come istituzione in senso filosofico non è mai separabile dal diritto come istituzione in senso sociologico. Il livello astrat­ tamente normativa di esistenza dei concetti giuridici, e il livello della realizzazione delle singole istanze dei concetti medesimi, non sono mai completamente scindibili dal livello fattuale di esi­ stenza delle istituzioni giuridiche; insomma, la realtà sociologica

6 V. N. MAcCoRMICK, On Analytical Jurisprudence, in N. MAcCoRMICK, O. WEINBERGER, An Institutional Theory of Law, cit., p . 97. V . B . S . ]ACKSON, Semiotics a11d Lega[ Theory, cit., p. 177; A. PINTORE, Da Ross a MacCormick. Recenti svi­ luppi nella teoria analitica dei con.cetti giuridici, cit., p. 287. .

CONCETTI GIURIDICI,

ISTITUZIONI,

REGOLE

189

è per MacCormick parte integrante del mondo normativa giu­ ridico . In secondo luogo, occorre osservare che MacCormick, co­ me molti giusteorici normativisti postkelseniani, è alla ricerca di una via media tra il kelsenismo puro e il giusrealismo estre­ mo . MacCormick non crede nell'esistenza di uno speciale mon­ do del dover essere, ma neppure ritiene che il diritto possa es­ sere ridotto a un mero fatto sociale, a un fatto di psicologia e di comportamento. Questa sua .posizione mediana gli suggerisce però , stranamente, di ampliare il mondo dell'essere, il novero dei fatti ad esso appartenenti, quasi che l'unica alternativa alla riduzione realistica del diritto a fatti fisici e psicologici, e alla credenza kelseniana in uno speciale mondo normativa, fosse quella di aggiungere fatti di tipo speciale al mondo . Da quest'ultimo punto si ricava una differenza ulteriore tra la concezione di MacCormick e la dottrina pura di Kelsen. Infatti, a Kelsen si può certo rimproverare di aver ipostatizzato il mondo giuridico, ma non di esser stato artefice di ipostasi di carattere (per così dire) più specifico . Rammentiamo anzi la diuturna critica kelseniana ai giuristi che reifìcano e ipostatiz­ zano i diritti soggettivi e le persone giuridiche, disconoscendo che tutto ciò che esiste nel mondo del dover essere sono solo le norme. Ritornando a MacCormick, abbiamo dunque visto che le sue istituzioni " in quanto tali ", le istituzioni come concetti astratti, dipendono dall'esistenza di norme che le creano. Que­ ste norme sono raggruppabili in tre categorie. Abbiamo cosl in primo luogo le norme istitutive (institu­ tive rules), che fissano le condizioni alle quali le varie istanze dei concetti possono venire ad esistenza. Abbiamo in secondo luogo le norme derivative (consequen­ tial rules) , che disciplinano le conseguenze normative della ve­ nuta ad esistenza di una istanza del concetto. Dice MacCormick che le conseguenze giuridiche che il diritto ricollega alla venuta ad esistenza delle singole istanze del concetto dovranno essere

CAPITOLO QUINTO

190

abbastanza complesse (e di solito lo sono assai); in caso contra­ rio non varrebbe la pena di compiere l'operazione di trattare il concetto come un oggetto, dotato di un nome e di una esistenza temporale 7 • Abbiamo infine le norme terminative (terminative rules) , che disciplinano le condizioni alle quali ogni istanza di istituzione giuridica cessa di esistere 8• Questi tre tipi di norme, nel loro insieme, formano un ordinamento autosufficiente, la cui con­ siderazione unitaria dipende dunque dal fatto che le norme che lo compongono fanno tutte riferimento al medesimo concetto­ istituzione. Ma per MacCormick questi tre gruppi di norme, istitutive, derivative e terminative, che fissano le condizioni di validità di un'istituzione giuridica, non stabiliscono affatto condizioni ne­ cessarie e sufficienti, ma solo condizioni > 45 •

Il discorso va inteso come un evento empmco, atto discreto e sempre unico, sul quale, certo, influiscono regole lin­

oratione

guistiche molto generali, ma solo nel senso di fissare i requisiti minimi attraverso i quali la comunicazione (intelligibilità) è pos­ sibile 46 • Non esiste dunque una cosa come un sistema linguistico

unitario; non esiste pertanto una potenzialità di significato ma solo significati concreti di concreti discorsi.

È il metodo retorico che consente di cogliere l'aspetto co­ municativo, e non solo quello sistemico, del linguaggio e del diritto : « [ gli argomenti retorici ] sono di profondo significato come indicatori di intenzione argomentativa e di effetto argo­ mentativo »

47•

La retorica è una forma di lettura dei testi e dei

testi giuridici come atti di comunicazione, discorsi tesi a influen­ zare persuadere e indurre all'azione. La forza del metodo retorico è vista nella sua critica al razionalismo : infatti esso rifiuta la verità assoluta e non pro­ pone nessun criterio di verità 46• Il nocciolo di questo metodo sta nel consentirci di valutare gli argomenti e gli usi del lin­ guaggio « non in base all'autoasserito grado di determinatezza

45 V . P. GooDRICH, Legai Discourse, cit., p. 134. La citazione tra virgolette è di Benveniste. V . E. BENVENJSTE, Problemi di linguistica generale ( 1966), trad. it. di M. V . G iulia ni , Il Saggia to re, J'v1ilano 1971, p. 155. 46 V. P. GoODRICH, Legai Discourse, cit., p . 137. 47 V. P . GoODRICH, Legai Discourse, cit., p . · 91. Goodrich contrappone il me­ todo retorico all'esegesi (v. ivi, p . 3) c opportull possa essere arricchito da un tertium quid: la conoscenza eidografica, ba· sata sul riconoscimento di fenomeni come tokens di uno stesso type. V. A. G. CoNTE, Fenomeni di fenomeni, cit., p. 191 ss. Ma è questo davvero un terzo genere di co· noscenza, o non piuttosto un aspetto della conoscenza sia generaliz?-ante che indivi· dualizzante? 1 2 II problema dei rapporti tra sistemi semiotici viene affrontato da Eco come un problema di dipendenza del piano dell'espressione di un codice da un altro codice semiotico, nel quadro di una concezione che interpreta queste relazioni se­ miotiche come infinite, prive di aggancio ultimo con una realtà extrasemiotica (è la teoria .della semiosi ill imitata). V. U. Eco, Trattato ·di semiotica generale, Bom· piani, Milano 1975, p. 82 ss. Eco si richiama su questo punto a Hjelinslev: v. L. HJELMSLEV, I fondamenti della teoria del linguaggio (1943), trad: it. di G. C. Lepschy, Einaudi, Torino 1968, p. 122 ss.

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derate autosufficienti nelle loro attribuzioni di senso ai fatti? Questo è un aspetto centrale del problema della chiusura semio­ tica del diritto _ Impostare tale problema in termini di stratifìca­ zioni di regole semiotiche consente di indagare sui prestiti semio­ tici che il diritto di fatto, o per necessità, o per opportunità riceve, o può ricevere, da altri sistemi semiotici, e in particolare dal linguaggio ordinario (su questo problema si dirà qualcosa di più infra, § 3 .2 .3 .) . 2 .2 . Il prescrittivismo semiotico e giuridico Si è visto che l'analisi dei concetti giuridici compiuta da MacCormick coinvolge il concetto di regola costitutiva. Il pro­ blema della costitutìvità fa capolino anche in una concezione empiristica come quella di Scarpelli; Scarpelli trascura però al­ quanto il problema - centrale nelle riflessioni sulle regole costi­ tutive - della qualificazione giuridica intesa come senso attri­ buito dalle norme ai fatti, significato e definizione giuridica anche implicita, e ineliminabile anche per i concetti che egli chiama fattuali. Abbiamo visto che l'abbozzo di concezione della costituti­ vità di MacCormick è tutto svolto all'interno al diritto. Il teorico scozzese introduce infatti il concetto di regola costitutiva per affrontare e risolvere problemi tipicamente teorico giuridici e metagiurisprudenziali, in particolare per fornire una esplicazione e giustificazione delle pratiche giurisprudenziali correnti (si sot­ tolineava ancora, poc'anzi, lo scarso interesse di MacCormick per i problemi epistemologici e semiotici) 13 • Il concetto di regola costitutiva serve a MacCormick, a mio parere, principalmente

13 Come si è accennato sopra, cap. 5, § 2, MacCormick ha particolarmente a cuore i problemi c.d. di individuazione delle norme giuridiche, e la distinzione tra norme che conferiscono poteri e nonne che attribuiscono doveri.

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per dare dignità semiotica alla convinzione ( poco dignitosa ) dei giuristi, che i concetti giuridici siano entità dotate di una loro propria esistenza, sia pure solo in un universo giuridico . Come si è detto, infatti, MacCormick, proponendosi di fornire una esplicazione razionale delle abitudini " essenzialisti­ che " ( ma anche delle pratiche di sistemazione ed esposizione del materiale giuridico) diffu se tra i giuristi, considera centrale a tal fine la nozione di istituzione giuridica, intesa come concetto normativa astratto creato da norme, che serve da punto di con­ fluenza e di collegamento reciproco tra un complesso di norme giuridiche. Le idee di MacCormick sulle istituzioni giuridiche suscitano alcune perplessità. Oltre alla questione, che ho poc'anzi men­ zionato, dello statuto semiotico e/ o antologico dei fatti istitu­ zionali a cui le istituzioni giuridiche possono dar vita, va segna­ lato specialmente il problema della natura prescrittiva o descrit­ tiva dello stesso discorso metodico di MacCormick. Mi pare comunque evidente che l'atteggiamento del teorico scozzese sia sostanzialmente compromesso nei confronti delle pratiche crea­ tive dei giuristi, che egli non presenta in questa veste, bensì come pratiche ricognitive di principi giuridici già esistenti al di sotto delle norme positive . Questo atteggiamento non mi sembra peraltro uno sviluppo logicamente necessario della sua teoria delle istituzioni giuridiche. Nonostante queste critiche, la teoria di MacCormick pre­ senta degli aspetti positivi, una volta che la si depuri dai suoi elementi epistemologicamente controversi e la si reinterpreti in senso prescrittivistico. È indubbio infatti che la concezione istituzionale di MacCor­ mick sia dotata di un forte potere di suggestione: essa sembra illuminare davvero il modo in cui i giuristi procedono nella tra­ dizionale opera di sistemazione del materiale giuridico intorno a concetti, in termini di collegamenti tra fattispecie e conseguenze giuridiche . Quantomeno essa illumina le pratiche di sistemazione

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del diritto intorno ai " grandi concetti " della dogmatica giuridica e conferisce ad esse un senso e una interna coerenza 14 • Inoltre, questa concezione non sembra neppure necessaria­ mente incompatibile con l'empirismo e con il prescrittivismo semiotico giuridico, ed anzi si può ritenere che si possa combinare agevolmente con essi. Infatti la costitutività di cui parla MacCormick non costrin­ ge a sostenere che le norme siano produttive di effetti reali (fatti nuovi? ) ; essa può ben essere intesa come costitutività di senso , di types normativi e non di fatti. Ancora, l'idea che le norme giuridiche creino concetti non si pone inevitabilmente in conflitto con la convinzione che le norme giuridiche vadano intese come prescrizioni di condotta, con l'esigenza di trovare al di sotto della struttura e sistemazione " superficiale " dei diritti positivi una regolamentazione norma­ tiva semioticamente completa di condotte umane. Il gruppo delle regole istitutive, derivative e terminative, dal cui collegamento scaturisce l 'istituzione giuridica, costituisce un mieto-sistema normativa che è utile elaborare e considerare in temporaneo iso­ lamento, perché soddisfa esigenze di sistemazione dottrinale del diritto . Ma secondo il prescrittivismo anche le istituzioni giuri­ diche di cui parla MacCormick (o, per meglio dire, le regole che le costituiscono) possono e devono essere ricondotte a prescri­ zioni di condotta. Questa esigenza prescrittivistica, di ricondurre tutto il ma­ teriale normativa giuridico a regole di condotta, conduce a prefì-

14 Si osservava sopra, cap. 5, § 3, che invece la teoria delle istituzioni giu­ ridiche eli MacCormick non si preoccupa di dar conto di nuovi e meno ortodossi criteri di sistemazione del materiale giuridico, non imperniati intorno al collega­ mento tra fattispecie e conseguenze giuridiche, ma basati su nessi di tipo diverso: ad esempio sulla identità del bene giuridico a cui le norme facciano riferimento, o sull'identità dell'ambito di applicazione, ad esempio geografico o personale, delle norme. Su queste sis temazioni concettuali del diritto pobranno influire intensa­ mente, in futuro, gli sviluppi delle tecniche di raccolta dei dati giuridici (informa­ tion retrieval). V. anche infra, in questo paragrafo.

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gurare un modello di norma semioticamente compiuta, e conduce pertanto a tagliare e ricucite il materiale giuridico in modo da ricavarne significati prescrittivi compiu ti, ossia regole di con­ dotta . L'idea è dunque che il materiale normativa che non esprima (almeno) una prescrizione di condotta sia incompiuto, parte del diritto non autonoma, che è necessario collegare ad altri pezzi dell'ordinamento giuridico . Alla luce di questo modello di norma, le norme costitutive di cui parla MacCormick non possono perciò essere considerate " vere " norme giuridiche, cioè norme complete e compiute dal punto di vista semiotico . L 'interpretazione costitutivistica del diritto e dei concetti giuridici risulta pertanto subordinata all'in­ terpretazione prescrittivistica, nel senso che rappresenta solo un passaggio nella esplicazione prescrittivistica del diritto come re­ gola di condotta: un passaggio certo assai importante, perché consente di mettere a fuoco e analizzare i problemi del " senso " normativa giuridico . Naturalmente, il modello di norma suggerito dal prescrit­ tivismo semiotico è, come ogni altro, il risultato di una scelta; non è certo ricognizione di oggetti, le norme, che si offrano come tali, nella loro individualità, all'indagine teorica 15• Tale scelta, che si colloca in un momento logicamente precedente all'inda­ gine teorico giuridica, va naturalmente giustificata. Di alcune buone ragioni in favore della scelta prescrittivi­ stica dirò più avanti 16• Per intanto occorre subito osservare che questa conclusione, di ricondurre tutto il materiale semiotico giuridico a norme di condotta, potrebbe richiamare alla mente l'atteggiamento riduzionistico alla Kelsen e alla Ross, che è assai

1 5 Sostiene una tesi del genere, cioè che per identificare le norme giuridiche non sia necessario disporre di criteri teorici di individuazione A. M. HoNORÈ, Rea! Laws, in P. M. S. HAcKER e J. RAz (a cura di), Law, Morality and Society. Essay> i11 Honour of H. L. A. Hart. cit., p. 79 ss. Si veda la critica a Honoré di J. RAZ, The Concept of a Legai System, Clarendon Press, Oxford 19802, p. 216 ss. 16 V. anche supra, cap. 2, § 4 .

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criticato 17 • Ora, invece, il mio discorso non richiede necessaria­ mente che si debba aderire al riduzionismo kelseniano e rossiano, ossia all'idea che le vere norme giuridiche siano solo le norme sulla sanzione . Esistono varietà anche di riduzionismo normati­ vistico, benché questa circostanza non sempre venga riconosciuta . Si possono infatti distinguere almeno tre versioni, di de­ crescente radicalità, della- tesi gius:filosofica che identifica le nor­ me giuridiche con le prescrizioni di condotta . La prima è appunto la versione kelseniana e rossiana : il diritto è un insieme di norme sanzionatorie. La seconda è la versione di Bentham e Thon: il diritto è un insieme di norme che istituiscono obblighi. La terza versione è quella di Hart, Bobbio, Scarpelli : il diritto è un in­ sieme di norme che regolano la condotta umana. A mio parere non è necessario accogliere la prima tesi, che presenta inconvenienti teorici troppo noti per essere qui anche solo menzionati 18 • Forse non è neppure necessario accogliere la seconda, e giungere alla conclusione che tutte le norme giuri­ diche vadano ricondotte al modello della norma obbligante, benché vi siano buone ragioni a favore di questa tesi. Infatti, la presentazione del materiale giuridico come un complesso di norme che rendono obbligatori comportamenti umani, rende possibile alla teoria del diritto esplicare un compito importante di preparazione alla critica etico-politica del diritto e alle inda­ gini sociologico-giuridiche . Solo se il diritto viene inteso come un complesso di norme obbliganti è infatti possibile la critica dei pubblici funzionari per la violazione delle norme (nello stato di diritto) ; e solo a tale condizione è possibile controllare l'effet-

17 V., da ultimo, U. ScARPELLI, Norma, in Gli strumenti del sapere contem­ poraneo, cit., § 2. Scarpelli afferma che la -riduzione di tutte le norme a norme

obbliganti sottintende una visione del diritto come dipartimento della morale, mentre la riduzione ·delle norme giuridiche a norme sanzionatorie esprime una visione del diritto come strumento di controllo sociale tramite la coercizione. 18 V . G. GAVAZZI, Norme primarie e norme secondarie, Giappichelli, Torino 1967, passim ; Id., L'onere. Tra la libertà e l'obbligo, Giappichelli, Torino 1970, cap. III.

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tività sociale del diritto : infatti, si può parlare di effettività del diritto, comunque poi si precisi questo controverso concetto, solo quando sia possibile istituire una relazione di corrispon­ denza o non corrispondenza tra certe regolarità fattuali di com­ portamento e un modello di comportamento astrattamente pre­ visto come obbligatorio 19 _ A mio parere è opportuno comunque accogliere almeno la terza versione del riduzionismo normativistico, e perciò identi­ ficare le norme giuridiche con le norme di condotta (non neces­ sariamente tutte obbliganti o tutte riducibili a norme obbli­ ganti) 20 _ Il prescrittivismo a mio avviso esige dunque che s'intenda ' norma giuridica ' come sinonimo di ' prescrizione di condot­ ta ' . Questa potrebbe forse suonare come una definizione essen-

1 9 Cosl J. W . HARRIS , Law and Legai Science, cit., p. 95 ss. :ro l'. noto che la tesi della riduzione delle norme giuridiche a norme obbliganti

viene criticata da Hart in base all'argomento che sia opportuno considerare come norme autonome le norme che conferiscono poteri, perché esse esplicano una funzion� sociale del tutto differente dalle norme che impongono doveri. Come si è già accen­ nato (supra, cap. 5 nota 19), MacCormick giustamente considera molto debole questo argomento di Han, e contrappone al criterio funzionale hartiano un criterio di distin­ zione tra norme di potere e norme di dovere imperniato sulla nozione di funzione normativa (sui dubbi che questa nozione solleva, v. supra, cap. 5, § 4). Sul problema della distinzione tra tipi di norme in base alla loro differente funzione, sociale o normativa, ha svolto considerazioni assai acute e, a mio parere, condivisibili, }. W . HARRIS (Law and Legai Scie11ce, cit., p . 9 8 ss.). Questi non solo sottolinea i l falli­ mento dei tentativi compiuti per appaiare tipi di norme a tipi di funzioni, sociali o normative che siano, ma sostiene più radicalmente l'inopportunità di ogni tentativo del genere. A suo avviso è inopportuno che la teoria del dkitto suddivida il mate­ riale giuridico in base alla differente presunta funzione esplicata; è invece opportuno che il modello teorico-generale di norma giuridica non incorpori affatto considerazioni funzionali, specialmente per non pregiudicare le indagini della sociologia del diritto sulle funzioni (sociali) del di.ritto: queste dovrebbero basarsi su concetti di funzione autonomamente elaborati in base alle esigenze delle indagini empiriche, e non presi a prestito dalla teoria generale del diritto. Per una nozione di funzione del diritto strumentale alla sociologia empirica del diritto, v. V. FERRARI, Funzioni del diritto, Laterza, Bari 19892. Ritengo comunque che gli argomenti svolti nel testo, a favore del modello pre­ scrittivista di norma giuridica, possano in gran parte valere anche per il modello " debole ", hartiano e pluralista di nonna giuridica.

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zialistica del diritto. A mio avviso si possono addurre a favore della scelta prescrittivistica vari argomenti . Innanzi tutto la con­ siderazione, certo non conclusiva ma importante, che il prescrit­ tivismo è un'idea presente e operante nel pensiero giuridico po­ sitivo . Esso è un elemento centrale della definizione ordinaria del concetto di diritto, nonché un elemento costantemente pre­ sente nelle diverse definizioni del diritto elaborate dai filosofi. Inoltre la semiotica prescrittivistica consente di cogliere e isolare il momento conoscitivo che precede logicamente l'applicazione del diritto e la decisione pratica di conformarsi alle norme giu­ ridiche, cioè il momento della individuazione della condotta astrattamente prevista dal diritto . Infatti, solo se è possibile sapere quale condotta il diri_!!Q esige da noi.- è possibile decider� 'se prestarvi o meno obbedienza; solo se è possibile sapere quale '2ondotta e nch1esta giuridicamente, è possibile stabilire a priori quando il diritto possa essere osservato o violato , ed è possibile formulare a posteriori un giudizio sull'effettiva osservanza o vio­ lazione . Il prescrittivismo appresta a tali fini un principio pragma­ tico di controllabilità del diritto 21• Come si diceva poc'anzi, questa possibilità di controllo è estremamente significativa, spe­ cie quando la condotta di cui si tratta non è quella del privato cittadino, bensì quella del funzionario, nello stato di diritto governato dalle leggi. La semiotica prescrittivista mostra che questo giudizio e questo controllo sono possibili tramite un raf­ fronto tra il frastico della norma " completa " , che descrive un modello astratto di comportamento, e il frastico dell'enunciato che descrive un comportamento umano reale o ipotetico. Insom­ ma, il principio di individuazione delle norme proposto dal pre­ scrittivismo appare quello meglio adeguato a sistemare la ma­ teria giuridica a fini pratici, cioè al fine di adoperare il diritto co­ me criterio di valutazione delle azioni proprie o altrui e di de­ cisione d'azione.

21

V. sopra, cap. 2, S 4 .

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Si è evitato finora di parlare di frammenti di norme . Dopo' tutto, infatti, è opportuno abbandonare questa terminologia kel­ seniana del frammento, infelice perché porta con sé delle conno­ tazioni negative, e ambigua perché non rende chiaro quale sia il genere di incompletezza che caratterizza i frammenti di norma, e quale sia . pertanto il genere di completezza richiesto per le norme complete 22• Si può inoltre accogliere il suggerimento di chi consiglia di adoperare il termine c norma ' in modo elastico, per. non allontanarsi troppo dagli usi linguistici, che per la ve­ rità non appaiono per niente univoci, dei giuristi positivi, e dun­ .que di non aver ritegno a parlare di norme anche a proposito di significati giuridici solo incompleti e parziali 23 • È probabile del resto che le operazioni dei giuristi positivi, al di là degli usi che . costoro fanno del termine c norma ', siano ricostruibili · pro_­ prio come operazioni di collegamento di parti di un diritto con­ siderate incomplete, e siano finalizzate ad ottenere la norma com­ pleta di condotta : operazione, questa, imprescindibile per il controllo della condotta, in astratto o nel caso concreto 24• Abbandoniamo dunque la terminologia del " frammento di norma ", e parliamo piuttosto di autonomia delle norme jn senso semiotico . Peraltro, dire che le regole costitutive non sono se-

22 Per un inventario delle diverse cose che Kelsen nel tempo ha considerato norme frammentarie o non autonome, V. G. GAVAZZI, Norme primarie e norme se­ condarie, cit., cap. III e IV. 23 V. U . ScARPELLI, Norma, in Gli strumenti del sapere contemporaneo, cit., p. 571 ss. Dice Scarpelli: > e la volotà del lestatore, 1989, in 8', pp. XII-176.

Le pubblicazioni dal n. l al n. 4 sono edite dalla CEDAM - Casa editrice Dott. Antonio Milani e quelle dal n. 5 al n. 26 dal Dott. A. Giuffrè Editore.

Finito di stampare

nella Tipografia V. Pipola - Melito nel

mese

di

gennaio 1990

(NA)