La tecnica. Rischio del secolo
 9788814070754, 881407075X

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JACQUES ELLUL

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VALORI POLITICI - 7

Questo libro è fan1oso. È stato \In best-Jcl/er nell'edizione a1ne­ ricana di qualche anno fa. (;iunge 111 It..ilia con un certo rilardo, 111a 111 tcrnpo per una co1nprensione più n1atura e ade­ rente. Nel 1954,, quando l'opera apparve, le linee Jella civiltà tecnologica non si erano ancora definite proprio nel senso pre­ visto da Jacqucs Ellul: e il di­ stacco

  • >. Tale rap. . . ' porto non sussegue 111 cont1nu1ta col do,ninio stabilito sul rnon (Giedion). Questa totale separazione dal­ lo scopo reale e dal meccanismo da studiare, questa limitazione

    CARATTERlOLOGIA DELT4A TECNICA

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    al mezzo e questo rifiuto di prendere in esame l'efficacia, net­ tamente espressi dal Taylor, sono alla base dell'autonomia tee. n1ca. L'autonomia è la condizione stessa dello sviluppo tecnico, come mostra chiaramente lo studio del Bramstedt sulla polizia: quest'ultima, per essere efficace, deve essere indipendente. Deve essere un'organizzazione chiusa, autonoma, ped operare attra­ verso i mezzi più rapidi e più efficaci senza essere intralciata da considerazioni secondarie. E questa autonomia deve essere ugual­ mente assicurata riguardo alla legge: poco importa che l'azione sia legale se è efficace. Le regole alle quali obbedisce l'organizza­ zione tecnica non sono più le regole del giusto e dell'ingiusto ma e leggi > nel senso puramente tecnico. Per quel che concerne la poliz ia, lo stadio supremo è il momento nel quale il diritto le­ galizza questa indipendenza nei riguardi del diritto stesso e ri­ conosce il primato di queste leggi tecniche. Questa è l'opinione di uno degli specialisti tedeschi della polizia, Best. La tecnica è autonoma: questo fatto dovrà essere esami­ nato nelle diverse prospettive, secondo le potenze nei riguardi delle quali è autonoma. In primo 1uogo lo è nei riguardi dell'economia e della po­ litica. Abbiamo già visto come non sia attualmente l'evoluzione economica o politica che condiziona il progresso tecnico; ma co­ me questo progresso sia veramente indipendente dalle condizio­ ni sociali. È quindi 1'ordine inverso che deve invece essere se­ guito {e avremo l'occasione di sviluppare a lungo questo punto). La tecnica condiziona e provoca i cambiamenti sociali, politici, economici. È il si sviluppano in tutti i paesi senza alcun fondamento di dottrina economica: e questo d'altra parte ci permette di rassicu­ rarci. Si dice continuamente: . Consolazioni illusorie, queste, ma fondate sulla esatta constatazione che un « piano >> non è legato a una dottrina: im­ plica forse, sistema o non, una certa forma di economia caratte. rizzata. Una seconda osservazione ci porta a insistere sull'importanza delle « vie e mezzi> nell'istituzione del che non è solo una « consegna » o un orientamento generale. Vi sono due fon­ ti di energia nel piano: da un lato la scelta degli obiettivi, l'orien­ tamento da dare a un sistema economico nel suo insieme, e d'altro lato la previsione dei mezzi nel modo più concreto possi­ bile in rapporto al raggiungimento di tali obiettivi. C'è dunque una scelta economica e l'istituzione dei mezzi re­ lativi, questo è il piano. Ma questa scelta e questi mezzi sono elaborati nel modo più razionale possibile e tutto un insieme di tecniche di applicazione permette di sfuggire all'arbitrato. Per quanto concerne queste tecniche di formazione del piano rinvia­ mo alle opere, assai conosciute, dal Bettelheim. Dobbiamo tutta­ via segnalare l'enorme difficoltà nella quale si dibatte l'attuale planning: i prezzi e i salari. Finora è stato possibile agganciare il piano a prezzi e a salari « reali », cioè, se non stabiliti dal mer­ cato almeno in relazione (storica o spaziale) con i prezzi e i salari del mercato. Ma questo non può durare a lungo. Il tentativo del­ l'ultimo piano sovietico è stato precisamente quello di fissare prezzi e salari senza tener conto delle leggi del mercato, e in mo. do assolutamente astratto (ma non arbitrario) attraverso metodi . . econometnc1. Sembra, d'altra parte, dopo le diverse manipolazioni dei sala­ ri che sono state effettuate nel 1949 e la revoca di Vosnessnki che questo tentativo non sia riuscito. Bisogna però considerare che è la sola strada dove possa impegnarsi logicamente la piani­ ficazione, una strada che sembra possibile sgombrare con i nuo12.

    J.

    El.LUI.

    lìS

    LA TECNICA RISCHIO DF.L SECOLO

    vi progetti delle tecniche economiche. Tutto ciò far à cadere le obiezioni del Perroux per il quale il « piano> è privo di ogni e ra­ zionalità economica �. L'orientamento della progettazione si effettua secondo due principi costanti: l'efficenza e il bisogno sociale. In effetti il piano risponde alla costante ricerca dei mezzi mec­ canici, delle ricchezze naturali, delle forze disponibili: si tratta di organizzarle, di coordinarle, di sottometterle a norme precise, in modo che ogni strumento dia il suo maximum di rendimento. Tra le critiche mosse alla progettazione, abbiamo visto attacchi su tutti i fronti, da quello filosofico a quello economico ma mai (sal­ vo nei primi anni del sistema, 1953, per esempio, e questo prove­ niva nel tempo stesso dalle incertezze della pianificazione e dalla ignoranza di critici) si trovano critiche circa l'inefficacia del piano. Ci si è bene resi conto che il meccanismo è efficace, anche de­ traendo il bluff che finora accompagna queste esperienze} Quanto alla tecnica, il nostro solo giudizio è l'efficacia; la pianificazione sembra dunque giustificata sotto questo aspetto. Ma questo è solo uno dei criteri del piano. Il secondo è la soddisfazione dei bisogni sociali. Qui troviamo una difficoltà per l'apprezzamento di questi bi­ sogni. Quali sono in un certo preciso momento i bisogni sociali? Come stabilire un equilibrio tra i bisogni sociali e la produzione? Teoricamente sono questioni insolubili, teoricamente, però, e i mezzi proposti, tessere di razionamento, sondaggi di opinione, as­ sorbimento obbligatorio da parte degli acquirenti di ciò che è sta­ to prodotto, mostrano che la questione, posta come lo è di solito, è una questione astratta. Perchè quando si dice « Nel piano è il consumatore che deve comandare » si fa astrazione del fatto che il piano, fenomeno sociologico, risponde al bisogno sociale e non al bisogno individuale. Nel tempo stesso si pensa a un uomo astratto, una sorta di immagine permanente del l'uomo, e pure questo rende inoperante la questione proposta. In effetti, l'uomo sociale che progetta il piano è un uomo sempre più integrato nella nostra società, cioè i bisogni del quale sono sempre più collettivizzati, e questo non per una pressione diretta, ma a causa della pubblicità, della stan­ dardizzazion e dei prodotti, dell'uniformazione intellettuale, ecc. C'è qui un fatto ben conosciuto, ora che « alla standardizzazione della produzione corrisponde una standardizzazione del gusto

    TF.CNICA En F.CONOMIA

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    che dà il suo carattere collettivo alla vita sociale,; alla produ­ zione di massa, risponde spontaneamente un consumo di massa. Non c'è bisogno di costringere, l'adattamento del pubblico av­ viene di per sé, l'uomo medio si costituisce nel sistema più libe.. rale del mondo, perchè si offrono sul mercato i prodotti neces­ sari all'uomo medio. In effetti, il problema della conoscenza dei bisogni sociali è complesso solo se si separa la tecnica del piano da •tutte le altre che spontaneamente conducono gli uomini a sentire bisogni sociali conformi a certi dati. Al contrario, quando si rimette il piano nel suo quadro au­ tentico, ci si accorge che non c'è bisogno di costringere i bisogni sociali, che sono preparati in anticipo perchè con un adattamento più o meno difficile il piano possa rispondervi in modo pre­ ciso. Tutta l'evoluzione dei bisogni dell'uomo, nel loro sociologi­ smo, tende verso il piano. Non è quasi più necessario agire su questi bisogni: sono già quello che dovevano essere, a condizione di abbandonare gli aberranti al loro destino miserabile, ma que­ sto è il segno di tutta la tecnica. Quando si tratta della domina­ zione del mondo non si può più tenere conto del pastore kirghiso o del cacciatore bantù che non accettano le leggi della potenza. Il piano d'altronde non pretende di apportare una soluzione im­ mediata e quin.di di essere adatto a tutti i bisogni sociali. L'abbia­ mo già detto, c'è una scelta. Sce1ta che può rendere certuni disgra­ ziati ma non senza speranza, perchè il piano è inserito in una concezione dinamica dell'economia. L'equilibrio tra produzione e consumo, non è attuale ne statico. È sempre di là da venire. È in rinnovamento costante. La scelta effettuata in un certo mo­ mento si trova situata in una prospettiva generale che rende que­ sta scelta nel tempo stesso relativa e subordinata in relazione alla prevedibile ulteriore evoluzione. Perché b isogna tenere conto del­ l'avvenire della realizzazione e del meccanismo di uniformazione dei bisogni dei quali abbiamo già parlato, ciò che conduce le due linee ad avvicinarsi all'infinito. È un elemento della vita dialettica dell'economia che è il solo ammissibile oggi. Nel tempo stesso poi si effettua, attraverso la stessa realizza­ zione di un piano, un costante riadattamento dei mezzi e dei fini, il che assicura una coesione dell'insieme ancora più grande se non una maggior certezza di realizzazione.

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    Infine l'ultin1a osservazione i.mportante, ci sembra, concernen­ te il piano in se stesso, consiste nel sottolineare la necessità di utilizzare bene la n1ano d'opera. Sembra in un primo tempo, che il pieno impiego sia una necessità interna del piano e non piut­ tosto una circostanza n1omentanea. Il Bettelheim ha dimostrato che senza il pieno impiego non c'è una possibile soddisfazione della totalità dei bisogni sociali. In questo legame, d'altra parte, il salario cambia carattere e diviene una parte del prodotto so­ ciale. La pianificazione deve dunque prevedere e il pieno im­ piego e la ripartizione delle forze del lavoro secondo le esigenze del piano di produzione. Diviene perciò indispensabile estendere il piano a tutta la mano d'opera senza di che il meccanismo non può funzionare. E allora si pone la questione dello spazio, dei limiti, dei caratteri della pianificazione. Non si tratta di cedere all'entusiasmo puerile che fa cc,nsi­ derare il piano come una panacea, un rimedio polivalente come la penicillina in medicina. Bisogna invece vedere il piano in una prospettiva differente; quali che siano i rimedi, quali che siano le riforme oggi proposte per risolvere l'ingiustizia e l'incoerenza nell'economia moderna, tutto passa attraverso il piano. Non è che il piano in se stesso sia una soluzione, è piuttosto lo · strumento indispensabile di tutte le soluzioni. Anche se si parte da Wicksell o da Keynes, si ritrova l'urgenza del piano. Nelle proposizioni espresse dal Mumford per sganciare l'uomo dall'influenza tecnica si trova l'interessante progetto di un regio­ nalismo economico sul piano mondiale. Solo che questo regio­ nalismo non può poggiare in realtà che su un piano estrema­ mente completo e rigido della produzione e della ripartizione.

    Il pianismo e la libertà. - Tutti o quas i oggi sono convinti dell'efficacia di queste tecniche di intervento: norme e piano. E nella sfida che le nazioni fanno le une alle altre, e non solo le nazioni ma anche i sisten1i sociali e politici, e più ancora nella sfida che l'uomo lancia alla miseria, all,angoscia, alla fame, non si vede come si potrebbe evitare l'uso di questo mezzo. Nella complessità di fenomeni economici provenienti dalle tecniche, per­ ché non si dovrebbe usare questa lama tagliente e semplificatrice che risolve le contraddizioni, sistema le incoerenze, razionalizza le esuberanze della produzione e del consumo? Infine, dato che le tecniche della constatazione economica vanno a finire diretta-

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    mente, per avere il loro libero giuoco, in questa tecnica, - e non ·è questione di rinunciare alle giovani energie di questi calcoli - come non andare fino alla fine? Ma l'inquietudine viene a galla presso coloro che si preoc­ cupano della libertà dell'uomo, della democrazia. La pianificazione non è una potenza divoratrice? Si cerca di istituire tre limiti a questa potenza: il sistema di pianificazione elastico, il sistema di pianificazione limitato, la separazione dell'organo pianifica­ tore e dello Stato. È quello che si chiama generalmente conciliare le libertà e il socialismo, poiché non si può accettare la dimostra­ zione di Hayeck che il piano è nefasto (Route de la servitude). Gli economisti coscienziosi non possono rinunciare alle tecniche scoperte. Si cerca un termine medio (1 ). Un piano limitato? Ma (1) Ecco un con1pendio delle illusioni ideologiche concernenti la pianificazione e la libertà nel numero speciale dedicato a questa questione nel fournal Indott de Science Politique. Una decina di articoli tende a dimostrare che la pianificazione è indispensabile, ma che non attenta affatto alla libertà. Ciò che caratterizza questi articoli è un senso di irrealtà. Possiamo riassumere la posizione di questi autori nel modo seguente. In principio si esprime la speranza di salvare la libertà attraverso una pianificazione liberale e parziale. Nello stesso volume però altri autori affermano che un tale provvedimento è assurdo e inefficace: delle quali affermazioni, non ci curiamo. Troviamo poi delle formule che non vogliono dir nulla e non che hanno alcun contenuto: « La pianificazione deve avere per oggetto la realizzazione delle libertà», « Più la pianificazione sarà razionale, più grande sarà la libertà del popolo». Semplici affermazioni delle quali si cercherebbe invano a quali realtà corrispondono, o quale contenuto pos­ sono avere. Per altri, il tutto si riduce a sernplici sillogisn1i: « La pianificazione accresce la produzione. Quest'ultima permette di soddisfare più bisogni, e la soddisfazione dei bisogni è la condizione della libertà». Questo ragionamento è doppiamente viziato; in primo luogo perchè è lineare, e non tiene conto della complessità dei fatti, (per esempio, mettete un uomo in prigione: accordategli pure tutto ciò di cui ha bisogno: non è tuttavia libero) e poi perché passa da un giudizio economico (accresce la produzione) a un giudizio etico (la soddisfazione è la base della libertà) senza parlare del piano. L'ulti1no giudizio è, dal punto di vista spirituale o etico perfettan1ente discutibile. Dovren10 in seguito parlare a lungo di questa affennazione. Ma la grande illusione, la grane.le speranza per salvare la libertà è contenuta in questa teoria sbalorditiva secondo la quale l'opinione pub­ blica illuminata ha il . potere di orientare le decisioni dei pianificatori verso la soddisfazione dei suoi bisogni reali. Vi sarà allora una pianifica-

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    qui si pone il problema: dove è. il limite? Per alcuni si tratta di un piano puramente economico, rivolto alle industrie-chiave; ma è un secolo che si dibatte il problema delle industrie-chiave sen­ za riuscire a dire quali sono. Finchè queste categorie cambiano secondo il momento (vent'anni fa l'estrazione dell'uranio non era una industria-chiave) e l'interpretazione delle attività econo­ miche è sempre più complessa, diviene estremamente difficile dividere i fattori della produzione. Ogni parte del sistema si riunisce a tutte le altre parti direttamente o indirettamente at­ traverso ripercussioni finanziarie o di mano d'opera. �me deci­ dere quindi di un settore pianificato o di un settore non piani­ ficato? Quando si rileggono i testi pubblicati su questa questione solo dieci anni fa ci si accorge che sono assolutamente sorpas­ sati e resi caduchi dal progresso tecnico: ora, una pianificazione è per cinque anni. Se si cerca di limitare la pianificazione al set­ tore economico (lasciando la più grande libertà fuori da questo settore, nessun piano nel campo sociale, per esempio) come sarà? zione democratica, un collettivismo a base volontaria. Ci si mette qui, con tali ragionamenti, sul piano del sogno, e la buona fede di questi intellettuali fa seriamente pensare alla patologia. Si può davvero credere che se l'opinione pubblica desidera dei pastic­ cini si orienterà la pianificazione in questo senso sacrificando ogni altro uso della farina? Non si parla in effetti di scelta o di opzioni? Si può davvero credere che se l'opinione pubblica esige delle scarpe si soddisferà l'opinione pubblica costruendo trattori? Ma vial Si può dire piuttosto che l'opinione pubblica non sa veramente di che cosa ha bisogno... Ed è il tecnico che decide. Conosciamo il meccanismo: in principio i beni della produzione, poi i beni di consumo. E quando tutto sarà stato deciso dal tecnico, allora si consulterà l'opinione pubblica: « Volete delle stoffe di lana? Ma no! Tecnicamente occorre produrre cotone. Volete stoffe verdi? Impossibile: non c'è anilina. Ma potete decidere tra il rosso chiaro e il rosso cupo. Guardate tutta la libertà che avetel » In definitiva questi articoli cercano di battezzare libertà quel che non è altro che obbedienza alla. necessità tecnica: cercano di velare i contrasti e manifestano cecità e 1pocns1a. Uno solo di questi articoli è valido. Il Suda dichiara: e Tanto peggio! Noi sacrifichiamo la libertàl Ma sul piano dei valori, la dedizione al bene comune è un ideale più elevato della libertà >. Su questa base, anche se non si è d'accordo, si può almeno onestamente valutarsi. Incon­ triamo ancora lo stesso tentativo di giustificazione, più sostenuto in ge­ nerale ma non più convincente in: Tra la pianificazione e la libertà: specialisti olandesi, francesi, norvegesi, americani, studiano il problema, prendendo posizioni assai sfumate (Revue Écono,nique, marzo 1958).

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    Anche per un piano flessibile e limitato si pone necessaria­ mente la questione del finanziamento. Si è ben visto, nella di­ scussione per il finanziamento del nuovo lotto del piano Man­ net (settembre 1950) che il credito bancario, l'appello alle finan­ ze private non possono bastare. Bisogna rivolgersi alle finanze pubbliche, ma è un enorme peso per lo Stato stesso, che è così obbligato a impegnarsi nella pianificazione delle sue finanze in una nuova concezione finanziaria che è più o meno totalitaria, che assume il controllo di tutto il reddito nazionale e che rag­ giunge in realtà ogni membro della Nazione. Ugua11mente, per realizzare il piano occorre che l'utilizza­ zione della mano d'opera sia integrata nel piano. È ora questa una posizione riconosciuta e la ·Gran Bretagna non la nega col full employement. L'applicazione de] piano suppone inoltre un planning dell'abitazione e dell'orientamento professionale, ap­ prendistato, scuola. La necessità si afferma molto rapidamente come un piano di sicurezza sociale che è uno degli elementi psicologici e sociologici perchè il pieno impiego funzioni senza urtare gli uomini oltre misura. Questa concatenazione non è im­ maginaria o gratuita; c'è una necessità interna che lega questi elementi, e sarebbe follia volerla spezzare. Così, il piano, una volta adottato come metodo, ha per ten­ denza di estendersi sempre a nuovi settori. Volerlo limitare si­ gnifica situare il metodo in una situazione tale da non poter funzionare. Esattamente come se, avendo costruito una buona auto ci si rifiutasse di costruire le ruote necessarie alle esigenze della macchina: su una strada molto stretta, con delle rotaie, in terreno sabbioso, potrà rotolare, ma non darà mai i risultati per i quali è stata fatta. Ci sono così dei dati complementari che so­ no sempre più numerosi a mano a mano che la tecnica della pianificazione si perfeziona e che la società moderna di viene più complessa. E queste sovrapposizioni fanno sì che la pianificazio­ ne non possa essere teoricamente limitata; il piano genera se stesso, a meno che non si rinunci a questa tecnica. Così pure quando si pretende di adottare un piano elastico oppure senza lo Stato. Si tratta qui di un piano, i fattori del quale non sono obbligatori e che ci appare quindi come un sem­ plice consiglio, come un esempio di ciò che sarebbe augurabile realizzare.

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    Ma i produttori restano indipendenti, i consumatori possono scegliere e l'attitudine individuale prevale su quella sociale. Que­ sto piano flessibile è però sottoposto a revisioni costanti, a riag­ giustamenti continui che esigono il cedimento di ognuno. D'altr� parte si cerca di dare l'organizzazione del piano ad altri e non allo Stato; organismi più ristretti, come divisioni amministrative o organizzazioni economiche specializzate, oppure organismi più vasti, internazionali, per esempio; questo al fine di evitare le critiche di Hayeck sui danni del totalitarismo se lo Stato è pa­ drone del piano. Bisogna riconoscere che queste diverse proposizioni sono estre­ mamente deludenti. Il piano flessibile ha solo un difetto, come· prova l'esperienza, quello di non poter essere realizzato, ed è perfettamente comprensibile. Se il piano risponde al suo scopo, deve fissare dei punti da raggiungere, che, di solito per il solo giuoco dell'interesse e del lavoro medio, non raggiungerà. Deve. quindi spingere le forze della produzione il più possibile, deve gal­ vanizzare le energie e utilizzare i mezzi al massimo della loro e_fficacia. Che i pianificatori non arrivino sempre a questo punto, che vi siano errori di scambio e che non si agisca .con il mas­ simo di efficacia, non sono queste critiche al sistema, così come gli errori di calcolo non costituiscono una critica alle matema­ tiche. Nondimeno, l'orientamento del piano è quello detto e conseguentemente se si lascia l'uomo alla libertà della sua deci­ sione, egli non arriverà fino alla fine dello sforzo che gli viene chiesto, non fornirà questo sforzo senza il piano. Se si lascia l'industriale indipendente, cercherà altre combinazioni senza ar­ rivare agli obiettivi fissati. Il piano quindi, per essere realizzato deve essere munito anche di un apparato di sanzioni: appare come una legge economica veritiera, e di fatti la coercizione vi si attaglia. L'uomo non realizza spontaneamente ciò che è più efficace, come gli operai non obbediscono spontaneamente ai movimenti di Gilbreth. Ci si trova allora di fronte a questa alternativa. O jl piano è flessibile, ma allora non sarà realizzato, e l'esperienza lo prova; si raggiungono in Francia, gli obiettivi al 70 �� nono­ stante la propaganda fatta intorno al piano Monnet, o ancora al 37 % come per il piano flessibile della Bulgaria nel 1947 .. È da

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    notare ancora che il piano Monnet che doveva essere completato nel 1950, lo è stato in realtà nel 1953, in un tempo doppio di quello previsto. È assolutamente inutile effettuare il complesso lavoro che rappresenta l'effettuazione di un piano per arrivare a questi risultati. Se il piano deve essere realizzato deve essere completo di sanzioni e diviene così più rigido. Coloro che con­ tano sulla buona volontà dell'uomo danno prova di un ottimismo idealista delirante e dato che i secoli passati di storia non hanno potuto convincerli del contrario nonostante la loro evidenza, nulla sarà capace di cambiarli; ma sono così lontani dalla realtà che si possono considerare le loro opinioni come trascurabili. Il problema delle sanzioni collega pure il piano allo Stato. Quando si pretende di dividere i due organismi, quando si pensa che possano essere effettuati piani locali (e si dà, ben in­ teso, l'esempio della T.V.A.) si dimentica che questi piani locali devono essere garantiti dallo Stato, senza di che non sono nulla. E questo basta a reintegrare lo Stato in tutte le sue prerogative. Perché è evidente (non fu altrimenti né in Russia né in Ger­ mania) che non è lo Stato stesso che fa il piano: si tratta sem­ pre di un organismo specializzato, più o meno dipendente dallo Stato; per quanto concerne la T.V.A. lo stesso governo Roosevelt era all'origine dell'impresa, ed è il governo che ha fatto le ope­ razioni di espropriazione, che ha dato i mezzi e assicurato le . . sanz1on1. Come credere quindi all'indipendenza di questo piano? In realtà il legame esistente tra la pianificazione e lo Stato non è fortuito, ma è un legame organico. Il potere dello Stato occorre almeno per la revisione generale delle risorse e per la messa in opera di tutte le forze della nazione. Non bisogna confondere, e parlare di piano nel senso tecnico quando si indica il program­ ma di costruzione delle scuole o la segnaletica stradale: in que­ sti casi, possono essersene incaricati organismi locali. Ma que­ sto non è un piano (non più che il piano delle «dighe» in Olan­ da) perchè, in questo senso, il progetto di una casa da parte di un architetto dovrebbe entrare in questa categoria. Quanto al­ l'esempio delle decisioni internazionali, di cui ci si serve per n1ostrare il distacco tra il piano e lo Stato, non si tratta più di piani nel senso proprio, come per esempio gli accordi di Bretton­ Woods. E i progetti di pianificazione internazionale, per esem-

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    pio in Europa, sono progetti lri. realizzazione dei quali, noi lo vediamo chiaramente oggi, è legata all'esistenza di uno Stato eu. ropeo. Nella stessa misura dunque, nella quale questo Stato po­ trà costituirsi, potrà prendere corpo la pianificazione. Questo conferma la nostra tesi: solo uno Stato supernazionale potrà convincete e gli Stati nazionali e i trusts ad allinearsi in . una nuova econorma comune. I piani Da,ves e Young sono arrivati in sostanza a un falli.. mento, perché non c'era nessun mezzo di sanzione autentica e nessun potere politico per appoggiarli. E in senso inverso, ve­ diamo il piano Marshall, divenuto E.C.A. provocare insensibil­ mente la formazione di un sistema politico; il Patto Atlantico è correlativo al piano Marshall, e l'Europa comincia ad orga­ nizzarsi solo nella misura nella quale l'E�C.A. si rivela vana se· non si indirizza a un mondo politicamente ordinato. Gli americani hanno perfettamente compreso che non ave-· vano altra alternativa che la vana spesa del denaro E.C.A. o l'or­ ganizzazione politicamente unificata dell'Europa. Perchè l'unifi­ cazione o anche la stessa coordinazione economica non si con· cepisce come indipendente. L'intesa per arrivare a una reale pia­ nificazione è quasi impossibile. Siamo ancora nel campo delle condizioni necessarie per la realizzazione di una pianificazione. Che in una società ideale non sia più necessario un legame tra lo Stato e il piano, e che con l'uomo cosciente sparisca la san­ zione, possiamo anche ammetterlo, ma ci si permetta di non ere· dere a questi ideali, e di attenerci alla realtà. E in questa realtà constatiamo che le tecniche della conoscenza generano e neces-· sitano le tecniche d'azione, e che queste ultime suppongono certe · condizioni e certi sviluppi secondo una autentica legge che si potrebbe chiamare legge di estensione del piano. Ciò non vuol dire che comporti ·totalmente una società socia· lista perché non è necessario modificare la proprietà privata dei mezzi di produzione per pianificare l'economia; neppure vuol dire che comporti fatalmente uno Stato dittatoriale perché l'uso delle sanzioni e della propaganda si può sistemare anche in altre forme politiche che non siano la dittatura. Tutto questo vuol dire piuttosto che quando una tecnica invade un dato campo, ef­ fettua tutto il suo lavoro con una certa perfezione e che è inutile voler cambiare il corso di questo lavoro, o limitarlo.

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    III. Le grand,: speranze

    I sistemi di fronte alla tecnica. - Jean Marchal ha ragione di ridurre in tre gruppi le soluzioni preconizzate dal punto di vi­ sta economico nel mondo moderno e cioè: il corporativismo, la pianificazione, l'interventismo liberale. Ma ha torto quando scri­ ve, dopo aver constatato che il sistema del piano non è in fondo più razionale del sistema del mercato: « La scelta tra i due si­ stemi risente più di preferenze filosofiche che di considerazioni veramente scientifiche: né l'uno né l'altro di questi due sistemi può invocare una totale razionalità». Non sono preferenze filosofiche che mettono di fronte i due sistemi o inducono a scegliere. Quando io mi domando quale dei due sistemi debba logicamente prevalere sull'altro, non è a questa scelta « filosofica >> delle masse che mi riferisco. Ciò che porta non l'uomo a decidere in un certo senso, ma la storia a prendere una direzione, sono l'efficacia e la riuscita. La que­ stione che si pone allora, non per decidere personalmente in un senso o nell'altro, non per manifestare le proprie preferenze, ma per scoprire .ciò che sembra il più probabile, è questa: nel momento attuale qualè il sistema più efficace? Insistiamo su questo termine di momento attuale. Non si tratta quindi di spie­ gare che il capitalismo liberale è stato straordinariamente efficace un secolo fa: questo è vero, né cerchiamo di negarlo. Ma oggi? Se noi accettiamo l'idea che a circostanze politiche, sociali, eco­ nomiche differenti devono corrispondere differenti sistemi di azioni umane, possiamo sostenere che l'efficacia passata del capitalismo liberale sia un pegno dell'efficacia presente? Ricordiamo la sem­ plicissima osservazione del fatto che le pianificazioni russa e te­ desca sono state un successo dal punto di vista della efficacia: che d'altra parte di fronte a una sfida diretta come la guerra, gli Stati Uniti sono stati indotti ad adottare ugualmente un regime di pianificazione con tutti i riguardi e con tutte le precauzioni presupposte della puntigliosa sensibilità democratica anglosassone. Ma pochissimo tempo dopo la riconversione gli Stati Uniti sono di nuovo obbligati (1950) a rimettere a punto un program­ ma. E forse non solo un programma di armamenti che presenta vantaggi per il pieno impiego; ma anche un progran1ma vale­ vole per un insieme di paesi, ciò che era già implicito nel Punto IV Truman: programmi che presuppongono la pianificazione.

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    Pare insomma che non si possa sfuggire alla decisione dei fatti, oggi, e la decisione dei fatti, quali che siano i giudizi teo­ rici a questo riguardo, sembra orientarci verso la pianificazione. Ci si può chiedere se dopo aver attraversato lunghi periodi di pianificazione si potrà tornare indietro: è un altro problema. Ma ci dobbiamo porre la questione: perché i programmi fissi, rigidi, che in definitiva tendono al piano sono sempre più adot­ tati qualunque siano le dottrine e le intenzioni? La sola risposta è che il piano permette di fare più velocemente e più completa­ mente ciò che sembra auspicabile. In altre parole, che oggi la via tecnica non è necessariamente la migliore soluzione econo­ mica, ma la miglior soluzione tecnica: bisogna chiedere cosa può dare, e non altro. Così il Marchal ha ragione di dire che il piano non è più razionale: non è certo che vada a finire in maggiori eco­ nomie. Comprendiamo bene che per la scienza economica sia una questione preoccupante, questa, di sapere se un risultato è stato acquisito nel modo più economico possibile: ma questo è forse solo un punto di vista astratto, in tutti i casi secondario. Si ha lo stesso problema in una battaglia, tra un generale che rifiuta di sacrificare vite umane e colui che vuole la vittoria a qualunque prezzo, e sa­ crifica tutto. Disgraziatamente, tutte le esperienze hanno dimostra­ to, dopo il XVIII secolo che il primo dei due perderà ogni volta. Ed è pure lo stesso problema per il dumping. Per quanto ri­ guarda intensità, rapidità, coesione, la tecnica del piano si rivela superiore. Forse c'è maggior sperpero: ma non è assolutamente certo e non bisogna dimenticare che lo spreco era proprio una delle critiche più acerbe che si potevano fare al liberalismo. Forse lo stesso spreco potrà essere attenuato da un miglioramento della tecnica: nulla ci permette di dire il contrario. Si potrebbero riassumere tutte queste osservazioni dicèndo che in un caso esiste una tecnica, nell'altro caso no. Ma le cose non sono ancora così semplici; è normale confrontare tra loro le soluzioni possibili, e si oppone così il corporativismo alla piani­ ficazione. Prendiamo nota che l'opposizione e il confronto ri­ schiano di essere assolutamente artificiali e facciamo attenzione ai giudizi degli specialisti. È una questione di punti di vista. Ciascun sistema è composto da elementi diversi. Possiamo met­ tere questi elementi in prospettive differenti e questo ci porta a differenti giudizi. Lo specialista darà importanza a certi elementi specifici e considererà il sistema sia sotto il suo aspetto eterno

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    (nel .quale caso la dottrina del corporativismo non è evidente­ mente la stessa del pianismo) sia sotto l'aspetto della rea!jzza­ zione pratica nel dettaglio di queste realizzazioni, e in questo caso la struttura di una corporazione o ancora i sistemi di pro­ duzione corporativa non sono certo gli stessi che nella istituzione di un piano nei suoi dettagli concreti. Ma questi elementi del sistema, che sono importanti nella lo­ ro specificità, perdono la loro importanza se invece di isolare il sistema si cerca di reintegrarlo da una parte nell'insieme della società, dall'altra nel corso generale della storia. Gli elementi che assumono allora importanza, sono i fattori in relazione, è la rela­ zione che primeggia e non più la coesione interna. Questi sono i legami del sistema economico con lo Stato, con i mezzi tecnici, con le diverse classi, con la struttura nazionale che divengono caratteristici. E non legami teorici ma reali, tali quali risultano dalla necessità interna del regime. Ora, da questo punto di vista, corporativismo e pianismo si riavvicinano singolarmente nella misura nella quale si tratta in un caso o nell'altro di investire l'economia, di dirigerla secondo calcoli esatti, di integrarla in una società prometea che esclude il caso, di centralizzarla in schemi nazionali e statali (perché bisogna convenire che il corpo­ rativismo non ha altra possibilità oggi di riuscire che come si­ stema di Stato) di darle un aspetto di democrazia formale esclu­ dendo del tutto la democrazia reale, e di utilizzare tutte le pos­ sibili tecniche dell'uomo. È evidente la parentela dei due regimi, malgrado le differenze di struttura materiale. Lo scopo perseguito è lo stesso, i n1ezzi messi in opera sono gli stessi. Solo le forme cambiano. È assolutamente inutile con­ frontare queste forme, poiché il corso della storia deciderà qual è la migliore, la più adatta a questo fine comune. Per questo non ci sembra esatto dire che ci sono tre strade nel crocevia dell'eco­ nomia: ce ne sono due. E precisamente, in rapporto con il fatto maggiore della creazione delle tecniche economiche, c'è la strada che presuppone l'uso di queste tecniche e quella che vuole invece lasciare il posto alla natura. Non troviamo qui niente altro che ancora l'opposizione tra naturale e artificiale, quest'ultimo come espressione dell'arte: TÉX'J"I). Ecco la vera identità (più che ras­ somiglianza) tra corporativismo e pianificazione! L'uno adatto a una mentalità tradizionale, colta, borghese; l'altra a una men­ talità operaia, innovatrice e scientista, ma l'attitudine resta fon-

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    damentalmente la stessa, e, stiamo tranquilli, il risultato, per quanto riguarda la struttura reale della società e l'uomo, sarà lo stesso. Circa la scelta tra i due, prevarrà quel sistema che saprà meglio utilizzare le tecniche proposte dagli economisti. Non sembra dubbio, finora, che la pianificazione sia più adat­ ta per utilizzare le tecniche del corporativismo, perché il cor­ porativismo mescola tutto un insieme di considerazioni non tecniche, sentimentali, o dottrinarie per esempio, che la pianifi­ cazione lascia da parte. All'obiezione che l'intervento del politico nella pianificazione è massiccio ma non tecnico, io risponderei che si tratta sempli­ cemente di vedere quale politica è in gioco; infatti, come ve­ dremo, la politica tende a diventare tecnica proprio in quei paesi che hanno adottato la pianificazione. La considerazione del contrasto tra politica ed economia e del­ le relazioni tra loro ha circa vent'anni. Questo contrasto tende a divenire sempre meno reale, a mano a mano che le due forze trovano una comune misura, o meglio un comune denominatore che è la tecnica. E quando l'economia si sottomette al metodo tec­ nico nel tempo stesso dell'ambiente politico, allora il problema dell'interferenza di quest'ultimo sull'economia cessa di avere una importanza precisa, e acquista lo stesso senso delle influenze per­ sonali, degli interessi privati, o dei giudizi morali. D'altronde questo inquadramento non è ancora avvenuto in modo totale è questo il fattore che è stato la debolezza della Germania hitle­ riana - ma occorrono più di dieci anni per rendere docili que­ ste grandi macchine al ritmo puro e inumano delle tecniche. Così ci appare la somiglianza fondamentale del corporativi­ smo e della pianificazione, e restano due atteggiamenti faccia a faccia: due atteggiamenti che non vanno però presi nei loro aspetti estremi. Perchè una società pianificata non suppone che cia­ scun dettaglio sia integrato in un piano, né che il piano preveda i mezzi più umili. Così pure, il liberalismo non può essere con­ cepito nella sua integrità. Non si parla quasi più di altro che di "interventismo liberale». E si distinguono in questo interventi­ smo una politica di struttura (miglioramento della ripartizione ecc... ) e una politica di congiuntura (influenza sull'economia stes­ sa attraverso determinati mezzi, per esempio la moneta). Lo Stato non abbandona più l'economia ma il suo intervento è abbastanza

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    elastico per lasciare l'iniziativa agli imprenditori e la libertà (con­ trollata) al mercato. Questa tendenza è, in Francia quella degli spiriti migliori. Non solo per volontà di equilibrio e antica fiducia nell'in 1nedio ma anche per la preoccupazione dell'umano e dell'originale. Non vogliamo negare che questo sia auspicabile, e che questo ruolo di stratega attribuito allo Stato, lasciando la libertà tattica sia molto seducente. Ma cerchiamo qui il possibile. Un tale orienta­ mento economico soddisfa le condizioni tecniche? È realizzabile in profondità? Se si fa astrazione della realtà certamente si: ma se ci si rituffa in questa realtà si scorge ben presto che questo orientamento è il più difficile che ci sia. L'equilibrio da tro­ vare tra tecnica e libertà, Stato e impresa, è instabile, è senza sosta rimesso in questione, ed è sempre da riconquistare. Que­ sta tensione richiesta all'uomo ci sembra già sollevare una grave questione: è possibile ottenere dall'uomo questo sforzo per lo schema stesso della sua attività, e si può pensare che la sua attività in questo schema, in questo quadro, sarà intensa? In altre parole, questo equilibrio è la miglior condizione possibile per lo svil1:1ppo economico? L'energia impiegata per assicurare questa struttura non and�à perduta? D'altra parte bisogna. tener conto della natura umana. Bisogna tenerne conto ancora di più in un sistema come l'economia con­ trollata che nella pianificazione, precisamente perché questo si­ stema vuol dare uno spazio libero all'uomo. E occorre riconoscere che l'uomo, lac;ciato a se stesso, non sc�glie le vie più difficili né cerca le situazioni giuste, ma il cammino più facile. Parliamo del­ l'uo1no del XX secolo, prodotto dalle correnti di civilizzazione fondate sulla facilità, sulla ricchezza, sul confort. Quegli uomini medi che siamo, quegli imprenditori che cono­ sciamo non desiderano restare in equilibrio e ricreare senza sosta una che viene meno. . --- virtù In queste condizioni l'uomo trova che le cose vanno male: preferisce di gran lunga soluzioni semplici, senza dubbio sommarie e brutali, ma che gli assicurano delle strade semplici. Un tale orien­ tamento economico apparirà sempre come bastardo e poco soddi­ sfacente. E poiché vi sono mezzi di intervento diretto, l'uomo pre­ ferisce che li si utilizzi, a meno che il suo interesse personale non lo conduca a preferire la libertà delle grandi belve. D'altra parte i fattori che sostengono questo regime presenta-

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    no due condizioni necessarie alla sua realizzazione: una riforma dello Stato che dovrà sfuggire =1gli interessi privati e che sarà do­ tato di organismi competenti per questo intervento elastico e na­ scosto, e in secondo luogo una teor ia econo1nica precisa e com­ pleta, circa l'analisi delle concatenazioni economiche e dei mezzi di intervento. Queste due condizioni sono, in effetti, una sola: il primato del!a tecnica. Allora però ritroviamo i problemi già stu­ diati, e cioè la difficoltà di impedire alla tecnica di andare fino in fondo alle sue possibilità, la riunione delle tecniche economiche e politiche che si rinforzano scambievolmente, ecc. Possiamo cre­ dere che uno Stato divenuto realmente tecnico e del quale studie­ remo i caratteri nel capitolo seguente si soddisferà di queste mezze misure, di questo equilibrio e di questa elasticità? Vedremo che non può essere così. Conseguentemente, le condizioni stesse che si pongono per l'elaborazione di questa forma di economia, por­ tano in sé, dal punto di vista delle leggi della tecnica, la propria distruzione. Di qui una instabilità fondamentale che fa di que-­ sto tentativo non una soluzione ma uno stadio intermedio. Questa evoluzione è tanto più certa in quanto questo regime non corrisponda né alle tendenze generali della società né alla situa... zione storica. Non si vuole qui dire che dal punto di vista della scienza economica non sia valevole o fondato, ma che, inserito nel quadro della realtà perde la sua validità. Le tendenze generali della società moderna sono troppo cono­ sciute perché si insista suUe contraddizioni che presentano di fron... te a questo orientamento economico. Si può dire allora che que... sta soluzione che cerca di salvare il salvabile, è precisamente una strada di risanamento della collettività. Risponderemo solamente che il problema è essenzialmente spirituale e che un tale orienta.. mento presuppone una rivoluzione spirituale che è ben lontana dal­ l'essere iniziata: rinviamo al nostro studio Presence au monde moderne. D'altra parte la situazione storica è assolutamente sfavo... revole alla costituzione di questa « via media :t>: ritroviamo il pro­ blema della sfida che viene lanciata, non solo in guerra, ma anche in pace, ai popoli che ricercano questo orientamento. La semplice presenza dell'URSS agisce da catalizzatore e tra.. sforma la situazione interna dei paesi semi-liberali, che vi abbia ·o no relazioni economiche. In effetti noi abbiamo un sistema di pianificazione in concorrenza con altri sistemi; e, come dimostra· il Marchal, quando si è stabilito un contatto i paesi capitalisti, dal

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    punto di vista commerciale, per esempio) sono obbligati ad aUi.. nearsi sul sistema sovietico: in altre parole la tecnica del piano costringe i concorrenti all'imitazione. Questo effetto è stato messo particolarmente bene in evidenza dall'Haberler, che mostra come lo sviluppo del socialismo di Stato e del collettivismo si ripercuota sull'insieme dell'economia e arrivi a una nazionalizzazione generalizzata dell'attività economica e a monopoli di Stato del commercio estero. Un paese che si è impe.. gnato nella pianificazione della sua attività economica, stabilirà con.. trolli quantitativi del suo commercio estero per farlo quadrare nel piano nazionale generale. Si è in presenza dei contingentamenti e del controllo dei cambi che si ripercuotono necessariamente sul com­ mercio delle nazioni che sostengono un'attività libera. L'Haberler nota finemente che queste misure di commercio internazionale prese dalle nazioni libere per rispondere alle altre, finiscono a loro volta - se sono coordinate e pianificate - per arrivare a un grado considerevole di pianificazione economica interna. Perché i mo­ nopoli statali del commercio internazionale non possono arrivare a un commercio multilaterale non discriminatorio; e mostra in­ fine che non vi può essere accordo commerciale su una base libe­ rale tra nazioni pianificate e non pianificate. Come fare allora a mantenere i sottili meccanismi della poli­ tica di cangiuntura quando si intorbidano le fonti estere? Per tut­ te queste ragioni la pianificazione sembra la soluzione più proba­ bile che la tecnica economica impone e che la società moderna desidera, nella sua maggioranza, non solo di uomini, ma di potenze. Non si tratta di giudicare, ma di comprendere. ·--

    Progresso? - La tecnica, agendo nell'economia, ha risvegliato nel cuore dell'uomo immense speranze che non è certo il caso di ricusare. La macchina, con tutto ciò che causava e tutto quello che comportava di perfezionamento metteva a portata di mano ric­ chezze differenti ma altrettanto grandiose di quelle della tradizione. Non erano più cumuli d'oro e di pietre preziose che un privile­ giato poteva raggiungere, ma il comfort e i piaceri della vita per tutti. E se i palazzi cesellati, i cofani incrostati di coralli e di smalti, le sculture e gli ori, e i preziosi vasellami e le armi dalle impugnature di perle e di smeraldi erano de�tinati a sparire, in compenso ciascuno aveva sottomano vasellami e porcellane, una casa dove poteva scaldarsi, un nutrimento abbondante; e a poco 13.

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    à poco l'igiene e il comfort assicuravano all'uomo una conforma­ zione fisica e mentale che non aveva mai avuto. Ciascuno aveva abbondantemente di che vivere, e ancora di più apparivano bi­ sogni nuovi che non erano più rari piaceri di iniziati, ma la con­ dizione umana; e la possibilità di bere cose ghiacciate in estate o di avere un calore uguale dappertutto in inverno non erano più le costose fantasie di un principe. La miseria indietreggia, e nel tempo stesso anche la pena del­ l'uomo. Perchè la macchina prende il sopravvento e il tempo d�l lavoro resta certamente un tempo sacrificato, ma continua a diminuire e si giunge a non concepire più un limite. Passando all'estremo in modo folgorante, la fine del XIX se­ colo ha visto, a portata di mano, il momento nel quale tutto sarà a disposizione di tutti, e nel quale l'uomo, completamente sostitui­ to dalla macchina avrà per sé solo i piaceri e i giuochi. Ci sembra che occorra venire a più mi ti pretese. Le cose nella pratica non sono altrettanto semplici: noi non siamo ancora sottratti a que­ sta brutale fatalità che si accanisce sull'uomo e che respinge in un lontano avvenire ciò che era sembrato così vicino: due guerre, due casi che non intaccano affatto questa gloriosa avanzata, due ponti negativi della fatalità o due errori dell'uomo, ma non ri­ guardanti questa meravigliosa via di progresso che si immerge nel­ l'avvenire e lo illumina. Sono degli accidenti, ma la strada resta sempre aperta; e l'uomo 1950 conserva esattamente la stessa spe­ ranza di suo nonno. Senza dubbio, ha ripudiato ciò che c'era di ingenuo, in questa speranza; e c'è anche una certa diffidenza che fa sì che il Movimento dell'Abbondanza non conosca il successo folgorante che ci si sarebbe potuto attendere. Anche se non ne è consapevole l'uomo medio coltiva nella sua coscienza collettiva l'oscuro sentimento di essere stato ingannato su qutste questioni. Si è troppo intensamente creduto al Grande Risollevamento e all'Abbondanza, e non si vuole più cadere nell'illusione. Questa esperienza sussiste tuttavia, quando si tratta dei � Dc,mani felici,, del millennio hitleriano, o più bestialmente, borghesemente, del Progresso. Questa speranza e non altro: ma l'uomo del 1950 sa che questo Paradiso lo attenderà solo dopo la distruzione dei ne­ mici. Il sentimento di frustrazione per ciò che è possibile, a por­ tata di mano e poi bruscamente svanito, crea l'atrocità delle guerre attuali, quando si è localizzato il nemico che ci ha rubato il Pa-

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    radiso. Che sia l'ebreo o il fascista, il capitalista o il comunista, è lui solo l'ostacolo; bisogna abbatterlo e sul suo cadavere nasce­ rà il fiore squisito che la macchina promette a tutti. Si può pensare nel tempo stesso, che questa produttività di cui l'uomo è testimon io sia una delle ragioni d,�ll'esplosione dei miti che sono tipici del mondo moderno. Perché tutti i miti si riallac­ ciano, direttan1ente o indirettan1ente a quello del Paradiso. Gli psicologi e i sociologhi possono constatare l'apparizione di questi miti e si danno molte spiegazioni per questa reintroduzione nel mondo sacro; ma tutte lasciano insoddisfatti perché mancano della base materiale. Questa base materiale è in definitiva, l'enorme pro­ gresso tecnico al quale l'uomo assiste e che a sua volta restituisce all'uomo un mondo meraviglioso da cui era separato, un mondo incomprensibile (ma un mondo che lui stesso ha fatto), un mondo pieno di effettive promesse che lui sa bene che si realizzeranno: un mondo, infine, dove egli è virtualmente il padrone. Così l'uomo è allora preso da un delirio sacro, in presenza della traccia rutilante del missile supersonico dove è l'immagine di mi­ lioni di tonnellate di nutrimento per lui, e proietta questo delirio nel mito che gli è necessario, nel tempo stesso per seguire un con­ trollo e per spiegare, per orientare e giustificare la sua azione ... e la sua attuale servitù: mito di distruzione e mito d'azione tro­ vano così radici sotterranee in questo incontro tra l'uomo e le promesse tecniche, nel suo stupore. Ma se anche si lasciano questi pensieri dell'uomo medio e si ritorna sulla linea degli economisti si vede che questi ultimi non negano affatto questa esperienza: la situano altrove, le impon­ gono condizioni, modalità, ma il fondo resta lo stesso, e la tec­ nica è sempre il mezzo dell'abbondanza e del tempo libero. Ed è proprio così, e il Fourastié ha ragione di mettere la questione in cifre e mostrarci l'accorciamento del tempo di lavoro da un secolo a questa parte e l'enorme trasformazione del livello e del genere di vita: basta raffrontare il 1815 e il 1950. Tutto ciò non è forse più così semplice se si raffronta il 1250 con il 1950. Perché per il lavoro c'è non solo una questione di tempo n1a di intensità, e se si possono confrontare le quindici ore di lavoro di un n1ina­ tore del 1830 e le sette ore di lavoro del minatore del 1950, non c'è invece alcuna misura comune tra queste e le quindici ore di lavoro ài un artigiano medioevale. Sappiamo che il contadino in­ framezza la sua giornata di innumerevoli pause, sceglie il suo

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    ritmo: conversa e scherza voleratieri con ogni passante. È così esat­ tamente, come per il genere di vita, poiché quando tutto un po­ polo è orientato verso la ricerca della giustizia e della purezza, quando obbedisce nel suo intimo al primato sp irituale non prova sofferenza per ciò che gli manca materialmente: esattamente e in­ versamente come oggi la massa non soffre per quel che le manca spiritualmente. È una questione di giudizio e di civilizzazione. Non possiamo dunque assolutamente dire che c'è progresso dal 1250 al 1950 perché tenteremmo di confrontare dati non compa­ rabili; {X>tremmo ugualmente dire altrimenti che un aereo è un progresso rispetto a un ricordo. È meglio allora limitarsi a dire che c'è stato un progresso dopo ! 9avvento dell'era industriale che è nata dalla rottura e dalla distruzione dei vecchi ordinamenti non confrontabili agli attuali, e spariti. È arrivato per l'uomo di oggi, tale e quale è con le sue preoccupazioni materiali in prima linea, come il suo stomaco è al centro, il tempo delle grandi speranze. Che l'uomo sia il primo venuto o un grande economista, se le forme sono differenti, la speranza è la stessa. Ma, come dice l'In­ ghilterra « non si ha niente per niente e tanto meno una gr3nde cosa per sei pence ». Perché malgrado il tempo libero e l'abbon­ danza, anche supponendo che tempo libero e abbondanza arrivino come l'uomo li attende, c'è ancora una differenza tra loro e il Paradiso. Questa differenza riguarda la gratuità. E il vecchio sogno che fin dal principio tenta l'uomo, la vecchia leggenda medioevale dell'uomo che vende la sua anima per acquistare la borsa inesauri­ bile, la vecchia leggenda che riappare con una insistenza fastidiosa attraverso tutti i cambiamenti di civiltà, sta forse per realizzarsi, e non per un uomo, ma per tutti. Diciamo: forse f L'uomo mo­ derno non si pone mai il prezzo della sua potenza. È questa la questione che in sostanza dovremo porre: 1na non è ancora il momento, dato che il nostro studio non è ancora finito.

    Economia centralizzata. - Dopo quello che abbiamo detto pre­ cedentemente, possiamo tentare di individuare alcuni dei caratteri che la tecnica impone all'economia nel mondo moderno. E allora bisogna ricordare subito che non vi sono accomodamenti con la tecnica, che è rigida e va diritta allo scopo. O la si accetta o la si respinge: se la si accetta bisogna subire le sue leggi. Quali sono allora le conseguenze di queste leggi nel mondo eco­ nomico, riferendoci noi solo alle tecniche economiche?

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    Il primo tratto che possiamo vedere con evidenza, è il legame tra il meccanismo economico e lo Stato. Non in virtù delle dot­ trine socialiste né perché lo Stato ha una volontà di intervento, ma perché non può fare altrimenti in presenza dello sviluppo . tecnico. La tecnica suppone sempre un centralismo. Quando ci servia­ mo del gas o dell'elettricità, o del telefono, non è un apparecchio nudo e semplice a nostra disposizione, che entra in giuoco ma una organizzazione centralizzata. C'è una centrale elettrica o telefonica, che dà vita a tutta la rete e a ogni apparecchio individualmen­ te. La centrale tecnica è l'espressione normale di ogni applicazio­ ne. Questo suppone una coesistenza di queste centrali, un'organiz­ zazione tutta interamente centralizzata che ricopre tutte le attività dell'uomo. Il centralismo tecnico è una delle realtà maggiori del tempo nostro. Allora si pone la questione: possono tutti questi organismi centralizzati vivere indipendentement e gli uni dagli al­ tri? Può ciascuno di essi svilupparsi in modo autonomo e speci­ fico? Junger, che pone la questione ha ragione di notare che questo sistema non è gerarchico. Ciascun corpo tecnico è indipen­ dente dal vicino e non vi si subordina. Il danno è allora immen­ so dal punto di vista economico e politico. Occorre che ciascuno di questi corpi centralizzati sia messo al suo posto e collegato con gli altri. È una funzione di piano e solo lo Stato può supervisio­ nare l'insieme di questi organismi e coordinarli per una maggiore centralizzazione. L'idea di un decentramento, durante il progresso tecnico, è pu­ ra utopia. La tecnica esige, per il suo proprio centralismo, la cen­ tralizzazione economica e la centralizzazione politica abbinate: e parliamo qui solo della tecnica meccanica, senza raggiungere le ragioni e i motivi della tecnica politica. Lo Stato, organo di centralizzazione per natura, è quindi nel tempo stesso l'organo d'elezione del centralismo tecnico. Coloro che credono a una vo1ontà malefica degli uomini di Stato riguardo a questo centralismo, provano soltanto la loro ingenuità. Lo Stato si trova dunque spinto a realizzare il piano, e per ragioni tecniche. Abbiamo visto come, altrettanto bene la necessità della sanzio­ ne provocava un legame tra il piano e lo Stato. Ugualmente que­ sto rapporto può essere ancora esaminato sotto l'aspetto delle strut­ ture statali e amministrati ve che sostengono le tecniche del piano

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    e assicurano loro una libertà di azione e una certa stabilità. Occor­ re insistere su quest'ultimo tratto. Abbiamo già notato che le tecniche costitutive del piano tenta­ no di tenere conto più fedelmente possibile della realtà economi­ ca e della sua probabile evoluzione. Tuttavi a si è pure obbl igati a tenere qualche elemento stabile e fisso - come punto fermo per l'elaborazione del planning; non si può considerare ogni ele.. mento sotto l'aspetto di queste variazioni. Nu1la però permette di essere sicuri che gli e lementi saranno davvero fissi. La stessa difficoltà sorge quando è realmente in1possibile pre­ vedere l'evoluzione di un certo fattore della vita economica... Si esaminerà una situazione fittizia, oppure si avrà la tendenza a fissare arbitrariamente questo fattore. Questa difficoltà che si in­ contra per un piano di cinque anni, è ben peggiore per un piano di più lunga durata, quando si tratta di indirizzare la produzione verso un certo settore, con costruzioni che impegnano un avvenire lontano. Un ottimo esempio può essere offerto dai lavori prepara­ tori del piano di elettrificazione francese. Verso che cosa è op­ portuno orientarsi? Stabilimenti termici o impianti idro-elettrici? Per decidere, si ricerca tra altri fattori il prezzo di costo di cia­ scun sistema per una certa potenza elettrica. Ma dato che tali impianti sono creati per lungo tempo,. che periodo prendere? Quello della durata media di una vena d'ac­ qua, cioè cento anni; il calcolo si stabilirà dopo i tre anni seguenti: il costo di istituzione, la capitalizzazione delle spese di manuten­ zione per cento anni, e il costo o l'economia di carbone per cento anni. Il terzo dato può essere approssimativamente calcolato, ma il secondo? Dipende dal tasso di interesse, e non può essere preve­ dibile per una tale durata. Un altro fatto poi entra nella linea del calcolo: l'evoluzione monetaria. Come è possibile allora stabilire il piano? C'è un solo mezzo: chiedere la garanzia dello Stato, ottenere dal potere politico la promessa che per la realizzazione del piano il tasso di interesse dei prezzi consentiti non varierà. Infine si può notare incidentalmente, (e questo conferma la no­ stra tesi dell'unità del fenomeno tecnico) che il perfezionamento delle statistiche conduce lo Stato a intervenire necessariamente nel­ la tecnica economica: la pubblicazione delle statistiche, in effetti, può essere di grande utilità per i servizi di spionaggio di un even­ tuale nemico. Rice fornisce esempi di statistiche del commercio estero che hanno già orientato operazioni di sabotaggio. Lo Stato

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    deve quindi centralizzare tutte le statistiche, sia impegnando stret­ tamente quelle che interessano una certa categoria del commercio o dell'industria, sia facendo un silenzio completo su quelle che potrebbero interessare il nemico. Questa sorveglianza è attualmen­ te affidata, negli Stati Uniti all' (1951). D'altra parte occorre notare che l'opinione pubblica americana nori è soddisfatta per questo compromesso: sopporta male questo ge­ nere di «indecisioni» che impone la guerra fredda. Una forte corrente (ma non la maggioranza) chiede il blak-out totale sulle statistiche... come in URSS. Lo Stato sarebbe allora portato al controllo completo indiretto dell'attività economica, possedendo lui solo i segreti della situazione economica. Noi ci troviamo dunque in presenza di un legame che si sta­ bilisce tra lo Stato e l'economia, tale che il progresso tecnico nel­ l'economia non è possibile del tutto senza questo intervento dello Stato. Il che non vuol dire che tutta l'economia sia nelle sue mani; lasciamo il pensiero di uno Stato dittatoriale e distruttore. Pensia­ mo piuttosto soltanto al meccanismo freddo e impersonale che de­ tiene tutte le fonti -di energia nelle sue mani. Cos'è la produzione senza l'energia? Cos'è l'economia senza l'energia? E chi detiene l'energia non è in effetti colui che dirige l'economia? Tecnica­ mente l'energia non può essere nelle mani di nessun altro. Perfinò negli Stati Uniti, recenti dichiarazioni confermano questo fatto. D'altra parte bisogna riconoscere che se si vuol dare alle statistiche il loro pieno valore occorre coordinare gli effetti dei differenti organismi, evitare i doppi impieghi, pagare pure, poiché i centri di ricerche statistiche > e cambia l'obbligo dell'uomo. Accade nel mondo sociologico ed economico lo stesso fatto che il passaggio dalla morale al diritto conosce da molto tempo: e qui appariva ancora decisiva la sanzione. Qual'è la sanzione quando si viola la legge morale, quando ci si rifiuta di seguire una tendenza sociologica, quando non si obbedisce alla legge economica naturale? E qual'è la sanzione quando si rifiuta la legge statale e il piano? Non vedete la differenza? È che in realtà viene rimessa in questione tutta la libertà dell'uomo, la libertà che giuoca contro il caso o contro la pena di morte: ecco lo slittamento al ql_\ale la tecnica ci fa assistere oggi. IV. L'uomo economico

    Non drammatizziamo perché tutto il n1ovimento tecnico non ha affatto come scopo e conseguenza di spingere l'uomo alla pena di morte. È per fortuna più sottile. La pena di morte è solo un ripiego attestante una fase di transizione, un filo di pa­ glia nella tecnica. La trasformazione della legge naturale in legge tecnica si accompagna al modellamento dell'uomo, al suo adat­ tamento, alla sua coerenza nell'evoluzione. Al liberalismo econo1nico risponde l'individualismo sociale. Alla pianificazione rispon­ de l'uomo economico.

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    Sappiamo bene che l'uomo economico è proprio una crea­ zione del periodo liberale e dei primi dottrinari della economia: si tratta però di intendersi sul problema. Quando parliamo abi­ tualmente dell'uomo economico, parliamo di una nozione teorica. Presso i liberali, l'uon10 economico è una creazione astratta per la occorrenza dello studio, è una ipotesi di lavoro: si lasciano da parte certe caratteristiche dell'uomo, senza negare che esi-­ stano, per ridurre l'uomo stesso al suo aspetto economico di pro-­ duttore e di consumatore. Questo risponde d'altra parte a tutta un'antropologia, corrente al principio del XIX secolo e che si può qualificare come dicotomica. Questa concezione dell'uomo è poi cambiata, e gli studi recenti del Merigot sull'uomo economico hanno mostrato come nella dottrina e nella teoria economica at-­ tuale non si può più ammettere questa semplificazione abusiva, questa nozione astratta e troppo semplice dell'uon10. Ci si è ac-­ corti che l'uomo costituisce un tutto che si modifica quando si scompone, e nel tempo stesso si è constatato che i fenomeni eco­ nomici agiscono e reagiscono correlativamente alla totalità del­ l'uomo; non può, perciò, più bastare questa visione unilaterale del­ l'uomo. Ma restiamo sul terreno intellettuale, e l'evoluzione che nota il Merigot si trova nei libri di economia politica.. Vorrem­ mo notare qui un altro tipo di evoluzione, perché la tecnica e precisamente la tecnica economica non incontra l'uomo nei libri, ma nella carne. Ed è questo uno dei fatti che sembrano domi­ nare la nostra epoca: più la tecnica economica si sviluppa, e più fa entrare nella realtà la nozione astratta di uomo economico. Ciò che era solo una ipotesi di lavoro tende a incarnarsi. L'uo­ mo si modifica lentamente sotto l'impressione più pesante del­ l'ambiente economico, fino a divenire quell'uomo di una estrema sottigliezza che l'economista liberale faceva entrare nelle sue co­ struzioni. È questo passaggio che ci importa qui, dall'immagine teorica alla sua riproduzione carnale. Questo passaggio si effet­ tua in un'epoca nella quale l'economista si rende conto della reale consistenza dell'uomo, una consistenza che è disposto a perdere, se non l'ha già totalmente abbandonata. L'economista moderno tuttavia rischia di parlare ancora di un uomo astratto, sia del­ l'uomo concepito filos�ficamente, sia di una immagine storica e tradizionale: e non dell'uomo attuale che non osiamo ricono­ scere perché non vogliamo scoprirvi il nostro viso né incontrarvi la prefigurazione del nostro destino.

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    Vediamo già forn1ulare l'idea dell'uomo econon11co, come schema ridotto dell'attività economica, nella seconda metà del secolo XIX attraverso un dupl ice movimento: il primo che inse­ risce sempre più l'uomo nel quadro economico e il secondo che svaluta le altre attività, le altre tendenze dell'uomo. Così la riva­ lutazione di questa parte dell'uomo si effettua progressivamente mentre le altre si affievoliscono. È questa la prima tendenza che si afferma nel regno della borghesia trionfante. Non occorre, per spiegarla, richiamare a questo momento l'importanza fondamen­ tale assunta dal denaro; comunque sia, nella struttura economica e sociale, nel mondo degli affari o nella vita privata di ciascuno più nulla si fa senza denaro, e tutto si fa attraverso il denaro. Tutti i valori sono riportati al denaro, non nella teoria ma nella pratica corrente, nel tempo stesso che l'occupazione più impor­ tante dell'uomo sembra essere la necessità di guadagnare questo denaro. E questo simbolo diviene il simbolo della sottomissione dell'uomo all'economia, sottomissione tanto più grave in quanto . ' . . e 1ntenore e non esteriore. Per l'uomo politico il fatto della caccia costituiva pure sot­ tomissione all'economia, ma era un atto ben più virile e magico. La dominazione borghese del XIX secolo è una dominazione ra­ zionale, che esclude ogni energia, che non ricerca più un para.. EL SECOLO

    tecnicizzata quando gli ordini del centro impiegano per lo meno otto giorni per andare da Parigi a Marsiglia? Ogni larghezza lo­ cale è permessa da questi ritardi. Il metodo: non si sa come l'amministrazione deve agire atti­ vamente nei riguardi degli amministrati. Solo la costrizione è conosciuta, ma è empirica, come pure la scelta di colui sul quale esercitare questa costrizione non è fatta rigorosamente. Verso la fine del XIX secolo cominciano ad apparire regole di organizzazione e di azione amministrativa molto più tecniche. È il contenuto del diritto amministrativo. Il contenzioso, la funzio­ ne pubblica, le nozioni di centralizzazione, di decentralizzazione, di decentramento parziale cominciano ad assumere un aspetto preciso, un contorno più certo. Si tratta ancora solo di teoria, a partire dalla quale tuttavia appaiono i perfezionamenti tecnici n ecessari per le grandi masse amministrate. D'altra parte queste azioni offrono ancora una vasta possibilità di scelta. Non si sa con certezza quale è il metodo realmente più efficace, e questo perché la esperimentazione è assai limitata. Restiamo ancora nel campo teorico dove tutte le scelte e tutti gli argomenti sono possibili: non c'è ancora un sistema radical­ mente, indiscutibilmente migliore. Di conseguenza si può dire che alla vigilia del XX secolo non c'è ancora una tecnica ammi. . n1strauva. Infine lo Stato adempie una funzione politica (ed è proprio la sola che considerano la maggior parte dei cittadini). Funzione di direzione generale, nella quale si combinano tutte le altre, e che si rivolge all'esterno come all'interno del paese. Ma qui, occorre dirlo, siamo nell'infanzia. Non c'è alcuna tec­ nica di sorta, perché non si può certo chiamare la famosa diplo­ mazia segreta una tecnica. La politica è affidata alla fantasia di un ministro dell'Interno, di un'ambasciata, di una Camera di deputati, di un dittatore. Non si tratta ,che di fiuto, abilità, in­ teresse, routine: vi sono teorie politiche che non danno origine ad alcuna vera applicazione pratica, ma solo a cattive riprodu­ zioni, e circostanze nelle quali si adattano. Si ha un bel parlare sempre del Pnncipe di Machiavelli, in realtà nessuno fino al principio del XX secolo ne ha tirato le conseguenze tecniche. Ci troviamo dunque in una specie di caos originale dove l'uomo di genio surclassava continuamente i suoi avversari per­ ché questi non avevano una sufficiente tecnica per mantenere un

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    equilibrio. Bisognerà attendere Lenin per avere i primi elementi di una tecnica politi,ca: che però poggiava su altre tecniche delle quali Lenin non aveva 1a disposizione: tecniche della conoscenza delle masse e dei mezzi di azione sulle masse stesse, tecniche di coordinamento nel tempo e nello spazio, tecnica della strategia e tecnica su scala mondiale, ecc. Tutte cose che sono soltanto in procinto di elaborarsi. Si può dire che l'attività più importante dello Stato è rima­ sta assolutamente empirica fino al principio del XX secolo. Tutta­ via, lo Stato metteva al servizio di questa attività un certo nu­ mero di altre tecniche già conosciute. Questi mezzi dello Stato presentavano caratteri singolari: le ·tecniche erano tutte limi­ tate nei loro oggetti e nei loro mezzi. Si riferivano a questioni precise e non debordavano dal quadro di una certa azione parti­ colare: e inoltre erano coordinate le une alle altre. Certo, si può dire che erano sporadiche. N·ell'immenso campo dell'attività del­ lo Stato c'erano alcuni soli punti tecnicizzati che erano persisten­ ti ma che si trovavano in connessione gli uni con gli altri attra­ verso !,organismo comune dello Stato. Tecniche nuove.

    - Lo Stato si va incontrando con altri me­

    todi: dalla fine del secolo XVIII, progressivamente, con tutte le tecniche, poi con il fenomeno tecnico stesso. Questa cangiunzio­ ne tra la tecnica e lo Stato è il fenomeno più importante dal punto di vista politico, sociale, e umano della storia. È stupefa­ cente constatare che nessuno, che noi sappiamo, abbia sottolinea­ to questo fatto. Ed è pure sbalorditivo che ci si attenga ancora a studi di teo­ ria politica o dei partiti politici di importanza solo episodica e che si passi accanto senza osservarlo, al fatto che spiega, senza eccezioni, la totalità degli avvenimenti politici moderni, e che permette di scoprire la linea generale della nostra società molto più sicuramente di una ve tecniche che erano private e che sono diventate pubbliche. Ci si comincia ad accorgere, in effetti, che queste tecniche private sono incomparabilmente più efficaci, e abbiamo indicato poco fa qualche ragione. Ma fin­ ché restavano private, apparivano fuori dei quadri dello Stato: quando sono tra le sue mani, si pone necessariamente la do­ manda: perché non introdurre queste stesse tecniche nei quadri tradizionali? La tendenza delle tecniche di stato era verso una certa cristallizzazione. Ora le situazioni erano �ambiate. Sem­ brava allora necessario modificare i metodi che non erano più vere tecniche perché non erano più adattati alla situazione: e

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    sembrava possibile ottenere gli stessi risultati con mezzi più eco­ nomici e più rapidi. Ma le tecniche dei singoli, dei privati, non sembravano fatte per le stesse necessità. Era una questione di dimensioni. Come abbiamo visto, i metodi privati erano strettamente collegati al loro oggetto, e quest'ultimo era sulla misura dell'uomo e non poteva conseguentemente adattarsi ai bisogni molto più estesi dello Stato. Il che non sarà più vero quando gli affari dei singoli cominceranno ad assumere tali dimensioni che saranno paragonabili, e talvolta superiori a quelli dello Stato. È evidente che imprese come la Citroen e Bat'a hanno dimensioni tali che si possono paragonare le loro amministrazioni a quelle dello Stato. È evidente che un'impresa come la Standard Oil ha tali interessi internazionali che la sua politica internazionale è molto vicina a quella di uno Stato: e del resto, il Dipartimento di Stato è in stretta connessione con la Standard. Il Trust delle assicurazioni ha una potenza finanziaria che permette di fare un parallelo tra il suo sistema finanziario e quello di uno Stato. Ora sembra proprio che le leggi sociologiche e tecniche non sono differenti, se si tratta di imprese pubbliche o private, a par­ tire da una certa dimensione. Possiamo escludere dal quadro tecnico Stati come il Lussem­ burgo o la Repubblica di S. Marino (e ben pr1esto nazioni che non saranno più in grado di fare velocemente fronte alle esigen­ ze tecniche come il Belgio, l'Olanda, la Danimarca) ma siamo invece obbligati ad includervi le grandi imprese private. I prin­ cipi tecnici di queste ultime sono gli stessi di quelli che sono ne­ cessari allo Stato: gli stessi, ma in generale, lo Stato è in ritardo: e allora è chiamato a modificare e razionalizzare i suoi sistemi di amministrazione, di giustizia, di finanza sul modello delle grandi imprese commerciali o industriali. È per esempio, proprio quello che il Pasdermaidjan mette in luce nel suo volume sul governo delle grandi organizzazioni. Egli dimostra in partico­ lare che un'amministrazione civile o militare, di stato o indu­ striale, poggia sugli stessi dati di organizzazione tecnica; se si vuole che sia efficace. Non seguire questi principi vuol dire condannare questa amministrazione a essere sorpassata dalle im­ prese private. In questo senso la Francia è terribilmente re­ trograda. Poiché un secolo fa il nostro sistema amministrativo o finanziario è stato il migliore del mondo1 noi continuiamo a

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    conservarlo preziosamente nonostante che le tecniche assicurino risultati estremamente superiori. Anche le nostre amministrazio­ ni create da poco come la , l'ITR, fortemente organizzato, dal famoso nome > e che ha creato una propria organizzazione corporativa. Questo ITR comprende tutti i tec­ nici, e giuoca un ruolo tanto più grande in quanto la struttura economica del paese riposa ora in modo completo sull'attività di tecnici: il piano quinquennale suppone in effetti una armatura tecnica senza equivalenti altrove. Ora, ci sarebbe conflitto tra il P.C. e l'ITR che cercherebbe di soppiantare il P.C., perché que­ st'ultimo infastidisce lo sviluppo tecnico, provoca malcontento tra gli operai, e perché infine fa entrare nelle sue decisioni motivi che i tecnici non accettano. È possibile che ci sia un conflitto: certe indicazioni lo fanno pensare. E senza dubbio, da parte del P.C. il timore del sabo­ tatore non è solo un motivo di propaganda. Ma queste indica­ zioni non sono sufficienti, perché dobbiamo considerare un altro aspetto della questione prospettataci da Moltchanowsky: una ca­ tegoria di tecnici assai arretrata, molto burocratizzata, esitante nel servirsi dei metodi moderni. Preoccupati della realizzazione del piano, aumentano il numero degli operai o il numero delle ore di lavoro, incapaci di sviluppare il rendimento del lavoro per ignoranza. In effetti il mantenimento degli antichi metodi di lavoro paralizza i nuovi mezzi meccanici e diminuisce ancora il rendimento, vista l'importanza della mano d'opera impiegata per la manutenzione del materiale. Perciò chi deve prendere in mano e guidare l'adattamento dell'operaio alla macchina? Chi deve formare gli operai? Le sezioni locali del P.C. Possiamo quindi vedere come siano complessi gli elementi di questa opposizione e come sia difficile accettare senza riserve la immagine del tecnico arcangelo, in lotta contro il politicante megalomane e marcio.

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    In tutti i casi è probabile che ci sia nell'URSS - come già in Germania - contrasto fra le due categorie. Ma non biso­ gna contare su questo contrasto per provocare un cambio del regùne. Come ha perfettamente dimostrato il Wright Mills, sotto qualunque regime gli imprenditori sono sempre agenti esecutivi, e non possono mai, pubblicamente e istituzionalment e imporsi ai loro padroni. Con1e contropartita questi ultimi però diven­ gono totalmente impotenti senza il quadro complesso e segreta­ mente onnipotent e degli imprenditori. Per quanto detto, ci si presenta una questione: c'è un certo conflitto tra politicanti e tecnici in regime democratico, ma appa­ rentemente meno acuto. Come mai il conflitto è più accentuato sotto le dittature? Come mai, come contropartita i tecnici non prendono il sopravvento in democrazia opprimendo i politicanti che non hanno motivi seri di resistere? Questa seconda questione permette di eliminare l'idea che esisterebbe una ostilità di natura, inevitabile, tra politici e tecnici. Quanto alla prima questione ·viene spontanea una facile rispo­ sta: in una dittatura, il politico si fa sentire più pesantemente, è più imperativo e le sue decisioni sono quindi più mal sop­ portate dai tecnici. Ma allora come spiegare che ci siano questi regimi che portano al settimo cielo il valore e il ruolo del tec­ nico, che a lui sottomettono tutto, e che integrano tutto nel siste­ ma tecnico? Come spiegare che l'ITR assume importanza solo per il piano quinquennale, che è un prodotto del politico? Come spiegare d'altra parte il prodigioso sviluppo tecnico dell'URSS e della Germania nazista, precisamente sotto l'influenza dei po­ litici? Tutto l'orientamento di questi regimi è nel senso della tec­ nica. Perchè dunque i tecnici si lamentano? È che, in definitiva, non si tratta tanto di un conflitto tra politico e tecnici, quanto tra tecnici di differenti categorie. Nelle dittature l'uomo politico tenta (non si dice che riesce) di obbe­ dire a una tecnica politica. Nel sistema democratico, in sostanza, c'è solo una tecnica elettorale. Quindi l'uomo politico in regime democratico è totalmente inadeguato in rapporto ai diversi servizi tecnici: e quanto alle innumerevoli attività tecniche non sono in 1elazione diretta con l'uomo politico. Al contrario, nel regime dittatoriale il politicante

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    tende a divenire tecnico, e di fatto si scontra con altre tecniche: ritroviamo la legge stessa della progressione delle tecniche. Inoltre, questa nuova tecnica politica, ha la pretesa di occu­ parsi di tutte le tecniche, di effettuare una sorta di sintesi, ciò che in effetti è probabilmente destinata a fare. Ma questo non può andare bene di primo acchito, e non è facilmente accettato dai tecnici. Siamo in realtà in presenza di una crisi di adattamento. La tecnica politica è lontana dall'essere a punto, è solo ai suoi primi balbettamenti e già pretende di essere la scienza di sintesi, come la teologia nel M.E., come la filosofia nel XVIII secolo. Quando un ingegnere protesta contro la decisione di un certo uomo poli­ tico, ciò può essere a giusto titolo perché il politicante si è sba­ gliato, « non sa niente » come si dice sempre. Ma può anche darsi che l'ingegnere ignori i motivi tecnici di questa decisione dato che non ha gli elementi necessari per giudicare questa tec­ nica sul piano della sintesi. Crisi di adattamento: perciò il con­ flitto non si prolunga fino al rovesciamento del regime, ed è per questo pure che non esiste nei paesi democratici dove questo . . . tentativo e' appena cormnc1ato. Gli inglesi hanno avuto da molto tempo la preoccupazione di introdurre la tecnica nei lavori del governo, e di risolvere così i conflitti tra tecnici e politici. Fin dal secolo XVIII si sono preoccupati della tecnica della « fabbricazione delle leggi '>, nel XIX, con Arthur Seymonds e Belladen Ken, il loro scopo fu proprio la razionalizzazione e la sistemazione del lavoro legi­ slativo; la loro divisa era: « codificazione, consolidamento, epura­ zione�. La loro riforma tecnica arrivò in effetti alla creazione di uffici per la redazione tecnica dei progetti di legge, all'unifor­ mità del metodo, all'uso di note marginali, alla redazione di riassunti, di specchi, ecc. Questo sforzo è stato ripreso, in questi ultimi anni, in Gran Bretagna, proprio sul piano governativo. Per mantenersi di fronte ai tecnici, ed avere maggiore effi­ cenza i politici hanno intrapreso la riorganizzazione del go­ verno. Si è diviso il lavoro in modo sistematico, e si sono svi­ luppati gli « Standing committees � assai numerosi, ciascuno con una sua specialità rigorosa. Il loro coordinamento è assicurato dal e: Cabinet Office», organismo assai originale: consiste in un piccolo ufficio composto da funzionari molto qualificati sotto la direzione di un segretario permanente. La sua funzione consiste 17.

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    nel preparare i programmi di lavoro del Gabinetto e dei Co­ mitati, e nel tenere i processi verbali reali di tutte le sedute. Ora si constata che la sua importanza cresce senza sosta: la funzione tecnica che assume gli dà una specie di supremazia sull'insieme della politica. Nello stesso senso, ci si preoccupa, negli Stati Uniti, di sta­ bilire un vero e proprio statuto del tecnico politico di fronte al politicante. Si cerca di separare sempre di più l'organo di decisione che sarebbe la politica e l'organo di preparazione che sarebbe il tecnico. L'esperto deve fornire gli elementi di ap­ prezzamento in base ai quali si debba prendere una decisione. A questa divisione di funzioni risponde evidentemente una diffe­ renza delle responsabilità: l'esperto non è responsabile. Si cerca soprattutto di mantenere l'indipendenza del tecnico: quest'ulti­ mo, ci si dice, (cfr. B ryson) deve evitare di impegnarsi perso­ nalmente nelle lotte di influenze e nei conflitti personali dei membri delle amministrazioni, deve sfuggire alle pressioni, ecc. Quando ha terminato il suo compito egli indica ai politici le di­ verse soluzioni possibili e le loro probabili con�eguenze. Poi si nura .. Disgraziatamente gli americani, non considerano il problema inverso che diviene obiettivamente il più importante; quando l'esperto ha fatto bene il suo lavoro e ha messo in opera i mezzi necessari, non resta per lo più che una sola soluzione logica e ammissibile. Il politicante si troverà quindi obbligato a scegliere tra la soluzione del tecnico, sola ragionevole e altre che può sempre tentare a suo rischio e pericolo, ma che non sono ragionevoli. A questo punto egli impegna veramente la sua responsabi­ lità, perché ha forti probabilità di fallire se adotta soluzioni aber­ ·ranti. Da questo momento, infatti, la politica non ha più scelta, la decisione emerge di per sé dai lavori tecnici preparatori. In uno stadio più avanzato della tecnica, lo Jungk pretende che decisioni irrecusabili sono già prese da " cervelli elettronici > al servizio del NationaJ, Bureau of Standards, Eastern Automatic Composter, soprannominato l'oracolo di Washington. Sarebbe stata la macchina, per esempio, a decidere il richiamo del gene­ rale Mac Arthur, dopo aver messo in equazione tutte le varianti strategiche ed economiche del suo piano. Questo esempio che diamo con tutte le riserve, è confermato in via accessoria dal

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    25, sia riguardo ai capitalisti che diventavano so­ stenitori del Regime e si integravano nell'organismo finanziario del Terzo Reich. Ciò non toglie però che le decisioni politiche di Hitler, per­ sonalmente hanno spesso sconvolto le tecniche dello Stato. Parti­ colarmente conosciuto è il conflitto con il suo Stato Maggiore, ma c'è pure stato contrasto con la « Geheim Polizei » e con gli orga­ nismi del commercio estero. Hitler prendeva provvedimenti di­ sapprovati dai tecnici. Questi ultimi, dopo la caduta del nazismo, fanno d'altra parte risalire a queste decision i arbitrarie tutto il male e tutte le disgrazie. Quel che sembra esatto, in tutti i casi, è che la maggior parte delle decisioni sono state sfortunate, spe­ cie dal punto di vista militare. In ogni modo è certo clfe l'avvenire non assume la forma hitleriana di azione politica, ma quella staliniana. Grandi capi politici potranno ancora, forse, oltrepassare le tecniche, ma que­ sta eventualità appare sempre più precaria. Nel conflitto tra politico e tecnico, è molto più grave il fatto della corruzione. Gli ambienti politici sono generalmente corrotti. Sia che si tratti di regimi democratici (Francia, Stati Uniti) o di regimi autoritari (fascismo, franchismo, nazismo... non possiamo parlare dell'URSS) il fatto non è discutibile. La vertigine del potere e l'occasione della ricchezza corrompono assai presto i politicanti. Ora, nella misura nella quale lo Stato diviene sempre più tec­ nico, il contatto tra politicante e tecnico diviene via via più stretto. Se la tecnica tende a primeggiare sempre di più sulla politica, se le decisioni tecniche sembrano inattaccabili da un· Parlamento, La corruzione ha tuttavia un freno. Il tecnico è un uomo: a

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    contatto di uomini corrotti si può lasciare corrompere. Può de­ viare la sua tecnica, ritirare le decisioni per le quali occorreva una rigida applicazione e accordare questo favore, questo diritto, che falsano l'azione tecnica. Allora non sono più gli interessi generali (i soli ad essere oggetto della politica) che primeg­ giano sulla tecnica, ma interessi particolari, ben più efficaci per irretire l'azione. Abbiamo così la tecnica pura che rappresenta gli interessi generali, la vera politica, contro il politicante che rappresenta l'elemento corruttore per motivi particolari e dun­ que politicamente inesistenti. Solo questa azione del politicante ritarda veramente la tra­ sformazione dello Stato in un gigantesco apparato t·sclusit1a.1nen.te tecnico. Tuttavia il movimento si accentua e l'opinione pubblica si orienta in questo senso. L'opinione pubblica (che conta molto anche nei regimi autoritari) è quasi unanimemente in favore delle decisioni tecniche contro le decisioni politiche tacciate di parti­ gianeria o di idealismo. Uno dei rimproveri correnti è proprio che la politica impa­ stoia il giuoco normale delle tecniche. Queste sono generalmente considerate come eccellenti in se stesse, e ci si irrita di vedere per esempio, ritardare lo sviluppo dell'aviazione. In caso di con­ flitto tra politicante e tecnico, quest'ultimo ha l'opinione pub­ blica dalla sua parte. Un caso molto caratteristico è stato la que­ stione spagnola: evidentemente il fascismo spagnolo doveva es­ sere condannato come il fascismo italiano nel 1945. C'erano per questo ragioni politiche, sentimentali, dottrinali. Ma i tecnici mi­ litari dissero che sarebbe stato un disastro: i tecnici dell'economia pure. Stati Uniti e Gran Bretagna lasciarono vivere Franco. La Francia si coprì di ridicolo chiudendo la frontiera. L'opinione pubblica avrebbe dovuto essere favorevole a questa azione del governo francese, perché, soprattutto nel 1944 era vivamente anti­ fascista. Il primo movimento è stato per questa condanna: ma quando i tecnici ebbero dimostrato che questa iniziativa sarebbe stata nefasta dal punto di vista economico e finanziario (sul piano del commercio estero) l'opinione pubblica cominciò ad evolversi. Bruscamente vi fu la contrapposizione tra un atto ideologico, un bel gesto, molto francese, che non significava nulla e il giudizio dei tecnici che dimostrava la stupidità di una simile politica. L'opinione pubblica oscillò un certo tempo per tor­ nare, in capo a sei mesi circa, a fianco dei tecnici.

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    Si dirà che era una questione di interesse? L,immensa mag­ gioranza della Francia non vi aveva alcun interesse diretto. Tut­ tavia non bisogna dimenticare che l'adesione a una decisione tecnica è sempre un fatto di interesse. Quanto ai tecnici, perché giudicano così? Evidentemente perché utilizzano i loro stru­ menti e facendo ciò non devono mescolare motivi generali o sentimentali. In quanto tecnici ci possono dire che la chiusura della frontiera è disastrosa: in quanto uomin i possono, per mo­ tivi ideologici, approvarla. Ma non è poi certo che abbiano an­ cora questo giudizio di uomini: e questa è un'altra questione. Questa trasformazione dello Stato, questo predominio del tec­ nico, presenta due caratteri. In principio, il tecnico considera la nazione come la consi­ dererebbe un uomo politico: per lui la nazione è un affare da amministrare, perché il resto (a giusto titolo) riguarda l'origine privata della tecnica. I settori privato e pubblico sono qui mal delimitati. Tutto ciò che può conoscere il tecnico è l'applicazione dei suoi strumenti, che sia al servizio dello Stato o di altri enti poco importa. Lo Stato per lui non è espressione della volontà del popolo, né una creazione di Dio, né l'essenza dell'umanità né un mezzo per la lotta di classe: è un'impresa con dei servizi che devono funzionare bene. Una impresa che deve essere red­ ditizia, eh deve dare il suo massimo di efficacia e che ha come campo di azione la nazione stessa. L'influenza del tecnico sullo Stato non risiede soltanto nelle condizioni imposte dalle decisioni amministrative, o nello schema di una buona organizzazione, ma pure nei giudizi espressi dai tecnici sull'efficienza governativa e amministrativa. Abbiamo già parlato della trasformazione della contabilità pubblica, ma c'è un nuovo esempio, notevole, fornito dai Paesi Bassi. Si tratta di stimare l'efficienza dei servizi del governo in funzione del loro prezzo di costo. Ogni organizzazione, si dice, deve stabilire come principio una relazione valida tra gli uomini, i mezzi e i fini: questa relazione .è quella del rendimento. Il rendimento, che sembrava essere una nozione puramente econo­ mica, ha fatto la sua apparizione, in questi ultimi anni, nel quadro politico. Bisogna valutare il costo di ogni operazione am­ ministrativa e applicare la legge dal rendimento marginale. Nei Paesi Bassi si attribuiscono, a ciascun dipartimento, fond i in fun­ zione di un costo standard stabilito per il servizio. Attraverso

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    l'introduzione della contabilità a partita doppia di tipo moder­ no si ottiene una revisione costante delle attività a qualunque livello e si può stabilire la relazione tra le spese reali e 1e spese standard. Così la legge del tecnico trasforma la prospettiva am­ ministrativa: ogni amministrazione diviene l'oggetto che era di­ venuto l'operaio nelle mani di Taylor: da una parte la politica assegna lo scopo, dall'altra il tecnico stabilisce minuziosamente i mezzi. Abbiamo una dettagliata descrizione di questo orienta­ mento nel libro di Ardant. L'intera amministrazione è ormai una macchina che si cerca di rendere sempre più rigorosa. Si arriva così a questa situazio­ ne teorica ideale, o, per riprendere le parole del F eely e il mar­ gine di alea tra l'intenzione e la realizzazione, è quasi nullo. Ora, dice questo autore, più questo margine è debole, più il controllo dell'esecuzione appare possibile; e nel tempo stesso si eleva sempre più il coefficiente di prevedibilità. Questa situazione dà dunque il massimo di sicurezza in tutte le direzioni, ma quello che era presentato dal Feely come un ideale teorico diviene una pratica il solo prezzo della quale è di trasformare l'amministrazione in apparecchio, i ·funzionari in oggetti e la nazione in fondo di rotazione. La nazione diviene l'oggetto dello Stato tecnico: fornisce la materia a tutti i settori, da ogni punto di vista: uomini, denaro, economia, ecc. Lo Stato è una macchina destinata a sfruttare questo «fondo, della nazione. La relazione tra lo Stato e la nazione è allora del tutto differente da quella che poteva essere. La nazione non è più innanzitutto un'entità umana, geo­ grafica, storica: è una potenza economica che bisogna utilizzare, alla quale . bisogna dare un rendimento: massimo, dicevano i primi tecnici, ottimo, dicono i nuovi. Rendimento massimo: cioè che si estenua e si deprezza dopo poco tempo; rendimento ot­ timo: cioè che salvaguarda la sostanza e la vitalità (l'esempio tipo è la T.V.A.). Ma tutto questo non modifica affatto la considerazione che si può avere nei riguardi della nazione. Le risorse totali della nazione saranno quindi messe in opera quando le diverse tec­ niche, condizionate le une alle altre entreranno in azione. Il tecnico non può conoscere limiti quando ha cominciato: non può considerare né rispettare nulla nella nazione al di ;fuori della e natura delle cose>. Ecco uno dei fattori di coesione

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    sempre più stretti dello Stato-Nazione caratteristici del nostro tempo. Ciò che è vero sul piano nazionale lo è tanto più sul piano dell'organizzazione internazionale: di fronte all'insuccesso degli organismi politici di intesa internazionale, si è deciso di affidare le ricerche a tecnici, ritenendo che la considerazione dei settori da utilizzare sarebbe stata più propizia a un accordo di quella degli interessi nazionali. Perciò il 15 agosto 1949 si è tenuta a Lake Success una grande assemblea di cinquecentocinquanta scien­ ziati e tecnici per ricercare una migliore utilizzazione interna­ zionale delle risorse naturali. Ma è evidente che l'evoluzione su questo terreno è molto meno avanzata di quella all'interno delle nazioni e le reazioni dei politicanti sono molto più vive, come si è visto all'assemblea di Strasburgo (agosto 1949) contro i tecnici dell'OECE (Organizzazione Europea di Cooperazone Eco­ nomica), organo puramente tecnico. Gli Stati Uniti stimarono infatti che questa organizzazione non progredisse così veloce­ mente come avrebbe permesso la situazione tecnica. Assistiamo dunque, in questo momento, alla nascita sul terreno internazio­ nale, della stessa progressione dei tecnici che abbiamo visto sul piano nazionale. Il secondo carattere è la soppressione progressiva delle bar­ riere ideologiche e morali per il progresso tecnico. Le antiche tecniche dello Stato erano un composto di elementi puramente tecnici e di elementi morali (giustizia, moralità) da non trascu­ rare, sebbene non avessero di fatto il posto d'onore che si at­ tribuiva loro nei discorsi ufficiali. Le tecniche impiegate dai singoli sono abitualmente tecniche allo stato puro, non mescolate a elementi morali. Dovremo ve­ dere, più oltre, che questo non è un caso ma è attinente alla natura stessa della tecnica. Per ora constatiamo che sono dei singoli che hanno isolato la tecnica pura: e spesso queste tecniche incontrano sulla loro strada, come un ostacolo, le decisioni dello Stato. Lo Stato è in effetti incaricato non soltanto di fare rispettare l'ordine, ma anche di stabilire giuste relazioni: e imponeva li­ miti a questa tecnica pura di singoli individui. Così fin dall'ini­ zio lo Stato liberale vieta la fabbricazione libera dei veleni e degli esplosi vi. Più tardi dovrà lottare contro una certa orga­ nizzazione economica che andava a finire nell'ingiustizia, il trust

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    (vedere le leggi americane); o ancora stabilisce una legislazione del lavoro e limita l'abuso della tecnica economica contro gli . opera.t. Lo Stato è una barriera e un freno nel senso della giustizia; ma quando la tecnica diviene tecnica di Stato, quando i suoi strumenti passano nelle mani dello Stato, mantiene quest'ultimo la stessa saggezza? L'esperienza ci dimostra
  • e una minoranza di dirigenti sul piano tecnico. I ser­ venti operai per esempio sono (e il Friedmann che studia scien­ tificamente la questione, e senza partito preso lo mostra assai bene) assolutamente minimizzati dal punto di vista umano: ma­ novale specializzato, questo la tecnica fa dell'uomo nel suo in­ sieme. Il che vale non solo per le macchine, ma pure per l'or­ ganizzazione. Per esempio, la precisione dei meccanismi poli­ zieschi permettono di creare un buon poliziotto in qualche set­ timana: ma egli non conosce nulla delle tecniche nelle quali è inserito. Uomo senza sosta .«spostato», di mestiere in mestiere seguendo l'azione delle tecniche, senza mai avere un mestiere autentico: l'uomo . è declassato dalla tecnica sul piano profes­ sionale. Ed era questo che dava a lui la più grande parte della sua vita e della sua cultura: e una cultura generale, anche seria, sparisce presto in questa condizione. Bisogna ancora tenere conto della constatazione dell'influen­ za delle tecniche agricole che finiscono col rovinare certi terreni nello stesso tempo che le tecniche mediche favoriscono il super­ popolamento. Questa doppia ripercussione provoca la creazione di masse che taluni considerano inadatte alla democrazia perché non sono capaci di porre rimedio ai problemi che sorgono con la necessaria rapidità. Di fronte a questa folla c'è un'élite, molto ristretta, di uomini che sanno i segreti della loro tecnica (non di tutte). Questi uo­ mini sono vicini al governo. Lo Stato riposa sulla loro abilità e sulla loro conoscenza, e non più sul « cittadino medio>. L'uomo medio non può assolutamente penetrare nei loro 1er greti e nella loro organizzazione e non può nulla sullo Stato. 18.

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    Il Friedmann ha sperato, per combattere la situazione del manovale specialista, nella creazione del socialismo che darebbe a questi manovali il gusto del lavoro e farebbe sentire gli effetti della fraternità socialista sapendo che ciascuno lavora per la col­ lettività. Ma questo rimedio psicologico - che tale è, non si può negare - non colma ugualmente il vuoto tra l'incapacità intel­ lettuale della folla dei manovali e la detenzione dei mezzi tec­ nici da parte di un'aristocrazia (che è tale, anche se è popolare). Questa scissione si manifesta in tutti i campi; per esempio, nel­ l'amministrazione, l'intervento di una tecnica di organizzazione e di meccanizzazione porta a creare e due classi estremamente. lontane l'una dall'altra�, la prima, numericamente meno impor­ tante comprende agenti qualificati che concepiscono, organizzano, dirigono, controllano: la seconda infinitamente più numerosa si compone di semplici esecutori (Mas)... >. Questi ultimi sono veri manovali, che non comprendono nulla delle tecniche complesse messe in opera dalla loro attività. Si può credere, in queste condizioni che il gioco normale della democrazia sia ammissibile per coloro che esercitano que­ sta impresa segreta (poiché non sono conosciuti dalla massa)? La tecnica forma una società aristocratica che suppone un governo aristocratico. La democrazia in questa società può essere solo ap­ parenza : e ne vediamo già le premesse con la propaganda. Quando si tratta di una propaganda di Stato, non è più que­ stione di democrazia. Ma vediamo la semplice propaganda nei paesi repubblicani. Si dice .innocentemente: poiché vi sono parecchi partiti e varie propagande, si controbilanciano. L'elettore è libero e sceglie real­ mente tra i candidati. Al contrario altri, non meno innocenti, d'altronde, pretendono di vedere le cose matematicamente: è la propaganda più tecnica (più abile e pressante insieme) che ri­ porta automaticamente il più grande numero di voti. Ma non è questo, secondo noi che falsa la democrazia: è invece l'accu­ mulo della propaganda, è lo spiegamento stesso dei mezzi tec­ nici di pressione. Non è affatto esatto che propagande avverse si. annullano. Può essere vero politicamente ma è falso psicolog1carnente. Il problema è in realtà quello dell'individuo assalito da pa­ recchie propagande, ugualmente abili, che agiscono sui suoi ner-

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    vi, ,e che ora, con i nuovi metodi sondano la parte incosciente della sua anima, la turbano: che impastano la sua intelligenza ed esasperano le sue reazioni. Egli vive in un clima di tensione e di sovreccitazione, come vediamo negli Stati Uniti. Egli non può più essere spettatore sorridente e scettico. f: « impegnato 1> ma involontariamente, avendo smesso di dominare i suoi pensie­ ri e i suoi atti. Le tecniche hanno appreso dagli organizzatori come forzare qualcuno a entrare nel gioco: questi viene spoglia­ to del suo giudizio, e se non è già in precedenza ben saldo, oscilla al caso, obbedendo non al suo giudizio ma alla legge dei grandi numeri. Attraverso l'uso intensivo della propaganda viene distrutta la facoltà di discernimento del cittadino. Ora, in un regime de­ mocratico tutto riposa su questa scelta giudiziosa, su questo giuoco di una volontà libera, ma pure, proprio in una democra­ zia si produce un accumulo di propagande. Quando c'è solo una propaganda di Stato questa condiziona direttamente gli indivi­ dui e potrà non essere intensiva, poiché non ha concorrenza: nel sistema inverso le propagande devono essere sempre più inten­ sive per dominare quelle del vicino, e se1npre più insidiose. Così la tecnica turba immediatamente l'azione della demo­ crazia, e conduce a una direzione dell'opinione pubblica, perché i mezzi dello Stato sono almeno generalmente più potenti di quelli dei partiti. Ora lo Stato è concretamente diretto da que� sta aristocrazia di tecnici. La sola presenza della tecnica pone dunque a questo punto un grave problema. Ma, per ogni sistema politico, si presenta un'altra questione: abbiamo visto che i cambiamenti delle macchine comportano scon­ volgimento nelle concezioni strategiche e tattiche. Si potevano fare grandi teorie sull'arte della guerra, dottrine strategiche, or­ ganizzare le armi secondo principi filosofici, e va bene: ma ci fu subito un fattore che sconvolse tutto ciò: la macchina.. Que­ st'ultima condiziona realmente la strategia attuale. Per aver com­ preso questo Hitler riporta i successi che sono noti. Il problema si pone in modo assai semplice: data questa tale macchina, come utilizzarla per il meglio? Quali disposizioni di approvvigiona­ mento, di collegamento, di coordinazione delle armi occorre pren­ dere? Quale piano ideare per far dare alla macchina il suo maximun? ecc. Così il carro armato, per esempio, condiziona la lotta del 1939-1943.

    ...1"".'6 ,

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    Lo stesso problema si pone ara per l'aereo e per la missilistica. Le concezioni strategiche non sono più le sole ad essere influen­ zate: le macchine da guerra impongono una scelta politica. Gli Stati Uniti hanno riconosciuto in un rapporto al Congresso (lu­ glio 1949) che non possono più pagarsi un armamento completo. Non possono più avere l'esercito con le migliaia di carri armati relativi, l'armata navale e dell'aria: non possono più perché il progresso tecnico va troppo in fretta e gli aerei del 1946 sono surclassati, e non si può i�definitamente costruire, a migliaia, macchine che non serviranno a nulla e si estingueranno per prescrizione. Bisogna scegliere. Così pure la Gran Bretagna ab­ bandona completamente la maggior parte dei suoi prototipi per dedicarsi alla costruzione di un'arma unica, giudicata decisiva. Questo è confermato dalla ripartizione nulitare che è stata ef­ fettuata tra l'Europa continentale, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti in seguito al Patto Atlantico. E ancora, si va pure oltre, si cominciano a cercare nuovi modi di finanziamento per sop­ portare il peso di una tecnica militare, anche così ripartita. Que­ sto ci ricorda l'interdipendenza delle tecniche, ma ci fa vedere pure in modo particolarmente chiaro l'influenza delJa tecnica sulle concezioni militari. Ragioniamo per analogia. Come l'apparecchio condiziona la strategia così l'organizzazione e le diverse tecniche condizionano ora la struttura dello Stato. Questa frase del Wiener non è una semplice boutade: . Era un modo molto sommario di descrivere il ruolo di questo Stato (le tecniche d'organizzazione non si erano ancora sviluppate nel 1920), co­ me noi lo vediamo disegnarsi oggi dietro la maschera vecchiotta delle repubbliche. Ma non è necessario per questo che la socie­ tà sia socialista: quello che ci sembra importante è che lo Stato come lo vedeva Lenin e lo Stato puramente tecnologico come lo annunciano oggi le organizzazioni, si confondono di fatto. Dire che è socialista è discutibile: non è discutibile dire che è tecnico (non è una teoria). In questo momento d'altra parte, questa sintesi delle tecniche può perfettamente portare a elimi­ nare lo Stato nel senso tradizionale. Il quadro nel quale la so­ cietà si trova inserita è completo anche senza lo Stato, tanto (I) Lasciamo da parte la e macchina per valutare la situazione mi­ litare e per determinare i migliori movimenti da fare>: macchina che non è una fantasia, poiché Wiener, Shannon, Morgenstein - rélite dei matematici americani - vi lavorano e ne parlano come di una e even­ tualità imminente >. ,Il Wiener ammette pure che ciò può condurre alla e macchina per valutare le situazioni politiche>. La macchina per gover­ nare farebbe dello Stato un animatore di giuochi che dovrebbe guidare la politica come una partita di scacchi? Se si realizza questa apocalittica eventualità, noi non sappiamo evidentemente le conseguenze che potreb­ bero derivarne per lo Stato: non parliamo dunque di questa ipotesi.

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    più che, contrariamente allo Stato classico che ha sempre di fronte a sé forze di altra natura, lo Stato tecnologico ha le sue dirette corrispondenze nella società stessa poiché quest'ultima è costruita sulla tecnica e nel cuore stesso degli uomini adoratori dell'efficienza, dlella velocità, dell'ordine... Tecnica e dottrine politiche.

    - Ma non è solo la struttura del­

    lo Stato ad essere modificata dalla tecnica, sono le stesse dottrine politiche. In principio, per le dottrine politiche vediamo lo stesso fat­ to che abbiamo visto per le strutture: o si sono adattate all'uso della tecnica o no. In generale si può notare che le nuove dottrine, quelle delle democrazie popolari (che sarebbe sciocco classificar e alla buona «staliniane ») si sono adattate. « Nessuna libertà per i ncm1c1 della libertà » oppure « Solo il lavoratore è cittadino > o ancora e Lo Stato garantisce la libertà; più lo Stato è forte e più la libertà sarà assicurata », ecco l'idea che guadagna terreno. Gli elementi della dottrina coincidono esattamente con lo sviluppo delle tecniche dello Stato: la dottrina traduce esattamente la situazione reale, è dunque vivente. Viene creduta da un grande numero di cittadini, tende ad applicarsi effettivamente ed ha un grande potere di contagio; al contrario le dottrine della demo­ crazia tradizionale - con le idee dei diritti dell'uomo, la conce4 zione astratta del cittadino, l'uguaglianza del voto, il conflitto tra potere e libertà - non sono assolutamente adattate alla realtà; per questo assistiamo all'invecchiamento rapido di queste dot4 trine, alla loro sclerosi, alla difficoltà sempre maggiore di di­ fenderle. L'opinione pubblica non vi crede più. Forse negli Sta­ ti Uniti si crede ancora a una libertà individuale, d'altronde teo­ rica? Ma l'insieme dei popoli democratici è più attaccato a una tradizione piuttosto che a una dottrina precisa. Quest'ultima è inadatta al progresso tecnico, ed è questa che si alza come una forza contrastante e come una potenza di conquista. Ci si può adoperare a redigere la carta dei diritti dell'uomo, questo non vuol dire nulla per l'uomo che è situato nel cuore delie tecniche. Si tratterà di vedere quale è la sua situazione di fronte alle tecniche e non di fronte a un potere che non esiste più: nessuno, tra il popolo, si può appassionare per queste dichia­ razioni; dopo averle dichiarate le si viola impunemente, sia che

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    si tratti dei singoli (atteggiamento dei datori di lavoro nel 1948 circa gli scioperi) o dello Stato stesso (la legge del 15 settembre 1948 sui crimini di guerra che è una violazione diretta delle dichiarazioni dei diritti). Le dottrine democratiche tradizionali sono sorpassate dalla tecnica. È normale. Una dottrina politica non è eterna: essendo cambiata la situazione deve cambiare anche la dottrina. Qua1 unque sia l'influenza della tecnica o altrimenti, }'·evoluzione è indispensabile. lvfa un fatto sembra nuovo: non si tratta solo di un cambia­ mento di dottrine, la dottrina politica è chiamata a giocare un ruolo differente. Nel XIX secolo, la dottrina politica è stata po­ tentemente ordinatrice e costitutiva. Ciò si accorda con tutto il movimento idealista e romantico e con la fede nel progresso. Si era convinti dell'onnipotenza delle idee e si era pronti a met­ tere in azione le dottrine che sembravano giuste. In effetti le ragioni dottrinali hanno avuto un ruolo di primo piano nella Rivoluzione del 1781, e Napoleone non riuscirà ad armonizzarsi per la sua mancanza di dottrina, che d'altra parte Napoleone III cercherà poi di colmare. Le repubbliche e anche le monarchie cercano di applicare la dottrina più giusta. A questo punto la dottrina politica (quale che sia il suo contenuto) stabilisce uno scopo da perseguire: presenta la forma di governo migliore fon­ data sulla ragione (più che sulla storia) e sulla filosofia. Si tratta allora di realizzare questo ideale. La dottrina si presenta perciò come criterio dell'azione, come giudice non di ciò che è bene o male, ma di ciò che è valevole in funzione di questa dottrina. Anche il pensiero di K. Marx è di questo tipo, scopo e criterio dell'azione. E chiaramente la dottrina domina la vita politica. Tutto ciò fu in quest'epoca non solo una speranza e una pre­ tesa, ma una realtà. Con il progresso tecnico inserito nello Sta­ to la situaz ione è radicalmente difierente. La dottrina è solo esplicativa e giustificatrice. Non presenta più lo scopo, perché lo scopo è rigorosamente delimitato dall'azione delle tecniche: e non è più criterio dell'azione perché tutto sta nel sapere se si utilizza correttamente la tecnica oppure no, e non è una teo­ ria politica che potrà dire questo. Infatti fin dal 1914 circa, la dottrina politica è così ordinata: lo Stato è costretto dall'azione delle sue proprie tecniche a mo-

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    àcllare la sua dottrina di governo sulle necessità tecniche. Que­ ste necessità comandano l'azione nello stesso tempo che le tec­ niche la permettono. Poi viene la teoria politica per spiegare questa azione sotto il suo aspetto pratico da una parte (senza tuttavia chiarire spesso il motivo puramente tecnico) e sotto il suo aspetto ideologico da un'altra parte. Infine interviene la dot­ trina per giustificare questa azione, e dimostrare che risponde pw"e a principi ideali e morali. L'uomo del nostro tempo ha un grande bisogno di giustifi­ cazione: occorre che abbia la convinzione che il suo governo è non solo efficace, ma giusto. Efficace, questo si fa; giusto, que­ sto si dice... La dottrina politica del nostro tempo è dunque una mac­ china per giustificare lo Stato e la sua azione. Di qui le rischiose acrobazie intellettuali alle quali vediamo dedicarsi tutti i gior· nalisti ufficiali e gli uomini di Stato. Si tratta talvolta di mettere d'accordo quella tale azione perfettamente ingiusta con i prin­ cipi democratici (per esempio: l'intervento inglese in Grecia nel 1944 in funzione degli accordi di Yalta e che ebbe per risultato di schiacciare il movimento popolare dell'ELAS e dell'EAM sot­ to il pretesto di organizzare una democrazia di tipo occidenta­ le) - o di creare una dottrina solidamente giuridica per giusti­ ficare un'azione puramente pragmatica, (il capolavoro del gene­ re, in questi ultimi anni, fu 1a teoria del giuridica­ mente assai ben costruita, ma l'applicazione della quale portava immancabilmente gli Stati Uniti all'occupazione di tutte le isole giapponesi, e interdiceva all'URSS l'occupazione di non importa quale colonia nemica: si vede troppo bene il senso di questa e teoria:,). Ben inteso, tutte le teorie sul crimine contro l'umani­ tà sono dello stesso ordine, e il genocidio era la giustificazione giuridica della necessità nella quale ci si trovava di condannare i vinti come criminali. I virtuosi del genere sono i comunisti: hanno totalmente disossato la dottrina marxista e l'hanno ridot· ta a un metodo. Non c'è quindi più alcuna contraddizione passi.. bile tra la dottrina e l'azione. Si agisce in virtù di questo me­ todo, e questo, che è nel tempo stesso dottrina, serve a giustifi­ care l'azione. Il solo problema è allora quello di sapere se si è effettivamen­ te agito applicando correttamente il metodo, e ciò diviene pura­ mente tecnico. Questa unificazione risolve ogni contraddizione

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    che sussiste, sotto forma di cattiva coscienza nei regimi demo­ cratici ordinari. Ora basta che sia assicurata la fedeltà al metodo, - e questa fedeltà appare, come per ogni tecnica, dai risultati - perché sia raggiunta nello stesso tempo la giustificazione. Certamente lo è solo agli occhi di quelli che credono gi à a questa dottrina, ma non per ciò si esce dal quadro generale. � un'il1 usione, in effetti, pensare che la dottrina politica possa giusti­ ficare l'azione in modo obbiettivo . In realtà l'av­ versario non è vittima della giustificazione sebbene possa accettarla perché egli stesso se ne serve. Questa trasformazione del ruolo della dottrina politica mo­ stra la perfetta vanità delle teorie politiche attuali. Quando si vedono dei teorici come Max Glass o Ropke presentare una nuova struttura del mondo che risolverebbe i problemi, un nuo­ vo regime politico che soddisferebbe tutte le esigenze, si resta confusi di fronte a tanta innocenza (nel senso etimologico). Essi suppongono sempre che la teoria abbia un potere di formazione, che le folle potranno muoversi per fare applicare queste istitu­ zioni, che la dottrina ideale potrà divenire uno scopo: quando tutte queste opinioni sono radicalmente sorpassate. Il ruolo delle dottrine è fissato con precisione dalla tecnica politica, e come nessuno saprebbe risalire la corrente né della sto­ ria né delle tecniche, così non c'è da supporre che le dottrine politiche possano cambiare il loro ruolo fra qualche anno. I teorici non possono quindi essere presi sul serio per le loro stesse pretese. Come prendere sul serio sul terreno politico qual­ cuno che non sa neppure viedere gli avvenimenti fondamentali? o meglio che considera com·e fondamentale ciò che il suo giornale gli indica? D'altra parte questa profonda trasformazione delle dottrine politiche non è forse così nuova. Ciò che era stato nuovo era la considerazione attribuita nel XVIII e XIX secolo alla dot­ trina. Prima, non si può negare che le teorie politiche abbiano già avuto questo ruolo di giustificazione. Così, i legisti di Fi­ lippo il Bello, armati di tutto l'apparato del diritto romano, uti­ lizzavano quest'ultimo per dare un'apparenza di legittimità agli atti del loro Re. Così pure Richelieu, e subito dopo le teorie della monarchia di diritto divino. In realtà (e di proposito non citiamo Machiavelli che non è stato applicato) questa situazione brutale alla quale noi assistiamo non ha altra causa che il ritorno

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    a una lunga tradizione. Il potere è quello che è ma non si può esercitare senza un'apparenza di giustizia. E la dottrina è incaricata di fornirla. Non è stato sempre così, ma oggi che il potere è tecnico, quest'ultimo ha solo l'utilità di questa costruzione intellettuale. Lo Stato totalitario.

    - Infine la tecnica conduce lo Stato a

    divenire totalitario, cioè ad assorbire tutta la vita. Abbiamo no­ tato che è così in seguito all'accumulo delle tecniche tra le ma­ ni dello Stato: che le tecniche si ricollegano le une alle altre nel tempo stesso che si generano scambievolmente, e che questo forma una rete che chiude tutta la nostira attività: e quando lo Stato prende un filo di questa rete, avoca progressivamente a se stesso ( « volens-nolens ») tutta la materia col metodo. Così, anche quando lo Stato è risolutamente liberale e democratico, non può fare altrimenti che divenire totalitario. Lo diviene, d'al­ tra parte, sia direttamente, sia, come negli Stati Uniti, per inter­ posta persona; ma il sistema arriva comunque, nonostante la sua diversità, allo stesso risultato. Non torneremo su questo fatto che pensiamo di aver sufficientemente sottolineato. Per un'altra via traversa la tecnica genera il totalitarismo; per il suo modo di aziollle. Prendiamo un esempio semplice, quello della guerra totale. C'è una teoria della guerra totale, e conse­ guentemente, in apparenza almeno, una volontà, una scelta. L'azio­ ne attuale delle tecniche fa che, necessariamente, una guerra è totale. L'uso di apparati (V2, Rockett, ecc.) la precisione dei quali è dell'ordine di 15 Km. di raggio per una distanza da 400 a 500 Km. !suppone che si inviino masse enormi di questi arnesi che per la grande maggioranza, colpiscono le popolazioni civili, data la loro imprecisione. Se è esatto che si può dare loro una grande precisione grazie alle « testate auto cercanti> contro gli aerei, questa precisione non agisce contro gli obbietti.. vi terrestri, chiusi in un insieme di fabbricati uguali che la « testata auto cercante� non può identificare. Una formazione di bombardieri è in effetti isolata nel cielo: l'apparecchio col­ pisce necessariamente un aereo militare. Non è così nella terra. Il caso ,è ancora più evidente con la bomba atomica che distrugge tutto in un raggio di dieci chilometri e quindi distrugge fatalmente, qualunque precauzione si possa prendere, una con­ siderevole massa di civili, di donne, di fabbricati neutri. Qui

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    non c'è bisogno di decidere se si fa la guerra totale: è totale anche se si desidera limitarla, perché è il mezzo totalitario. È così anche per le tecniche civili. Anche se si desidera limi­ tare gli effetti, non .si può più. La censura cinematografica limita i soggetti dei film, dà loro un tono conformista o un contenuto morale e non colpisce l'essenziale che è la modificazione psi­ chica dell'uomo attraverso la violenta impressione del film. La emozione, che è inevitabile, modifica il tono psicologico e tende a fare dell'uomo il componente di una folla. Questo è fuori della portata dei mezzi di rettifica, o più esattamente vi saranno nuovi mezzi di rettifica: la psicoanalisi, oppure la , che riduca il minimo delle visioni settimanali, ma queste mi­ sure sono poi un nuovo oltraggio al cuore dell'uomo e una limi­ tazione alla sua libertà. Potremmo riprendere ogni elemento tecnico dello Stato per mostrare che, spinto fino in fondo, conduce a questa forma di totalitarismo. Questo lavoro è stato fatto involontariamente dal Driencourt per la propaganda e dal Bramstedt per la polizia. Per quanto riguarda la propaganda, il Driencourt si sforza di mostrare che questa si può conciliare con la democrazia, ma incidentalmente ammette che il governo democratico è obbligato a integrarla nelle sue istituzioni per ragioni esteriori ai suoi principt Riconosce che la democrazia è obbligata a usare le stesse pratiche, la stessa violazione della coscienza, lo stesso sviluppo del conforrrusmo, ecc. Questo autore aveva dimostrato che la pro­ paganda in sé era totalitaria : e quando sostiene che la propa-­ ganda è democratica quando non è oggetto di monopolio, di­ mentica quanto aveva detto al principio del suo libro - che la propaganda tende sempre al monopolio. In realtà quando lo Stato usa una propaganda completa e tecnica, diviene fatal­ mente totalitario. Il Driencourt constata d'altra parte con sor­ presa che « il paese che si vanta di essere il più liberale, (Stati Uniti) è quello dove la tecnica di direzione del pensiero è per la sua perfezione più vicina alle pratiche totalitarie: dove tutto un popolo abituato a vivere in gruppo si rimette agli esperti per determinare la sua linea di condotta spirituale:.. Per ]a polizia si constata che quando diviene tecnica prende il primo posto nello Stato, di viene una istituzione primordiale e non supplementare, si afferma come « l'essenza dello Stato>: si presenta come un essere misterioso che sfugge alle leggi, riceve

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    una intera autonon1ia, « il nucleo irrazionale che sfugge a ogni definizione e a ogni limitazione della sovranità dello Stato> r,v. Hamel). Cioè, ·si tratta di una forza totalitaria che impegna lo Stato tutto intero. Così il semplice uso delle tecniche conduce alla struttura totalitaria dello Stato: noi l'avevamo già consta­ tato per quanto concerne l'economia. Bisogna allora porsi la questione del perché. Perché la tec­ nica è uno strumento di massa. Non si può pensare che per­ categorie, non vi può essere la tecnica del caso individuale, né alcuna parzialità. Certo non si nega in teoria che ogni indivi­ duo sia particolare: lo si accorda anche volentieri; ma per le regole dell'organizzazione, dell'azione, non si può tener conto di questa particolarità che deve restare accuratamente nascosta. Il singolo si confonde con l'interno che non ha più permesso di manifestarsi, perché se si manifesta bisognerà che prenda la via tecnica, per la quale, precisamente, non vi sono « particolari,>. Si farà dunque astrazione dell'individuale. Si cerca il « tratto )) comune a categorie di uomini e di feno­ meni, !Perché :senza questo tratto comune non vi sono più istati­ stiche, né leggi dei grandi numeri, né curve di Gauss, e quindi più nessuna poosibile organizzazione. Senza dubbio è una astrazione formale, per la comodità del ragionamento: ma questo > diviene terribilmente reale quando si sa ,che genera un mondo che rinchiude l'uomo da ogni parte senza lasciare via d'uscita - ciò che, si dice, era escluso per comodità. Non c'è più alcuna fo111na dove possa incar­ narsi il singolo poiché la forma è divenuta il campo della tec­ nica che pretende di impadronirsi dell'individuale come la psi­ cotecnica, cioè trasformare il qualitativo in quantitativo, perché non conosce che due possibili soluzioni: o questa trasformazione o annientamento del qualitativo. Ed è perciò, precisamente che è totalitaria e quando lo Stato diviene tecnico diviene anche sen­ z'altro totalitario. Ben inteso, quando noi parliamo di Stato totalitario, evochia­ mo clichè ed opinioni che sono ricordi e sentimenti. Non si tratta di uno Stato brutale e smiisurato che tortura e deforma, che travolge senza pietà chi si oppone a lui, di uno Stato che è preda delle milizie o dei partiti, dello Stato del1e prigioni e dell'arbitrario. Tutto questo è un carattere episodico-storico dello Stato totalitario e non è ciò che lo caratterizza. È, potremmo

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    dire il suo aspetto umano nella sua stessa inumanità perché le torture e gli eccessi sono un fatto di individui che hanno questa occasione per scatenare il loro spirito di potenza. Questo aspet­ to non ci interessa perché non è la vera figura dello Stato tota­ litario perfettamente tecnico. Non c'è nulla di inutile in questo Stato: non tortura perché è una sfera inutile di psichismo, e ciò consuma senza frutto forze ricuperabili, forse; non carestie sistematiche; bisogna mantenere una mano d'opera in buono stato; mai nulla di arbitrario, che è il contrario stesso della tec­ nica, dove tutto ha una rag,:one, e non ragione ultima, ma mec­ canica. L'assurdo appare solo a chi non conosce la tecnica, come se si dicesse a qualcuno che ignora tutto della T.SF. che è avvolto senza sosta da una musica che esiste ma che non eente. Lo Stato totalitario non ha neces.sariamente teorie totalitarie, non deve essere per forza così: al contrario le dottrine totalitarie sono piene di elementi aberranti che ingombrano (razza, san­ gue, proletariato) la purezza di linea dello Stato tecnico. Ma lo è solo perché utilizza questi mezzi. C'è del resto una grande dif­ ferenza tra le democrazie e gli Stati che si dicono totalitari. Tutti sono sulla stessa strada ma gli Stati dittatoriali hanno preso coscienza delle possibilità di uso della tecnica. Ciò che si può trarne, lo 5anno e lo vogliono. La grande regola è l'uso dei mezzi senza limitazione di sorta, mentre gli Stati democratici non hanno questa coscienza e si trovano inibiti nel loro sviluppo. La preoccupazione di una tradizione, di principi, di dichiara­ zioni e la facciata di una morale pubblica e privata sussistono nello Stato democratico. Si può dire che sussiste la preoccupazione dell'uomo? È chie­ dere troppo, perché lo Stato democratico si preoccupa tutt'al più di un tipo di uomo assai singolare: l'elettore. Tutto ciò è senza consistenza, senza realtà. Sono ormai sol­ tanto parole, e noi vediamo le democrazie passare oltre ogni volta che occorra. Tutto ciò non corris:ponde più a una esi­ stenza collettiva veramente costruita, ma a sopravvjvenze. Tut­ tavia, anche se poco importano questi discorsi, essi hanno an­ cora un gran peso nella vita democratica: in particolare, impe­ discono ai governi di lanciarsi senza un preciso 50stegno nella via della tecnica. Più che mai occorre una giustificazione: anche così resta una cattiva coscienza governativa che non si riesce a dissipare. In altre parole, non si fa il passo decisivo, il passo

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    che consiste nell'affermare apertamente che la sola necessità tec­ nica conta, e che comporta due operazioni: prendere coscienza (di ciò che lo Stato può fare utilizzando le tecniche) e trarne le conseguenze ( decidere che non vi è più alcuna ragione morale che impacci questa strada). Attualmente lo Stato democratico deve ricominciare, ogni volta che utilizza una tecnica, a giusti­ ficarsi, a dibattere sulla necessità, a rimettere tutto in questione. In definitiva lo Stato è obbligato a passare per questa strada, ma gli scrupoli lo arrestano, se non nell'uso di ciò che è possibile, per lo meno nell'impresa stessa. Occorre, per decidere lo Stato democratico, la minaccia di un pericolo: occorre che sia messo in concorrenza con lo Stato dittatoriale. A questo punto è una questione di vita o di morte. Tutta la superiorità dittatoriale deriva dal massimo impiego delle tecniche. Non c'è possibile scelta 1per la democrazia, o pe­ rire o usare le tecniche nello stesso modo del suo avversario. È evidente che prevarrà la seconda soluzione: tanto che le guerre fanno avanzare prodigiosamente le tecniche. Le democrazie pren­ dono la precauzione di affermare che questo uso ha luogo so­ lo a causa della guerra: ma quest'ultima non cessa più; pre­ parazione della guerra, guerra fredda, guerra calda, riparazioni di guerre, ecc... La durata è illimitata. E vediamo che la guerra fredda è produttrice di imitazione tecnica tanto quanto la guerra reale. Basta osservare l'evolu­ zione degli Stati Unit i dopo il 1945 per accorgersi che il totali­ tarismo e l'espansionismo delle tecniche autoritarie si manife­ stano assai rapidamente. D'altra parte, parallelamente, la strut­ tura interna degli Stati Uniti, cessa di essere puramente capi­ talista. Abbiamo opposto, fin qui lo Stato democratico, che non ha ancora compreso ciò che è il movimento tecnico, e ciò che può tare, e lo Stato dittatoriale, senza fare distinzione tra queste forme diverse. Notiamo incidentalmente che vi sono due grandi gruppi di dittatura: fascista e comunista. È la stessa? Una osser­ vazione superficiale e borghese dirà subito di sì fondandosi su fatti massivi e di attualità. Da ambedue le !)arti vi sono campi concentramento, una polizia smisurata, la tortura, le carte alimen­ tari, piani economici o di altro genere, plebisciti in luogo di elezioni, un partito (nazista o comunista) che domina lo Stato, un uomo che esercita i pieni poteri a vita, ecc... Tutto ciò rap·

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    presenta un insieme di foril"e identiche e per conseguenza i regimi sono simili. Ma gli intellettuali protesteranno contro questa assimilazione affrettata: a un livello più profondo vi sono dif­ ferenze reali. Nel comunismo c'è una volontà di liberazione dell'uomo in­ dubitabile, a dispetto dei metodi; c'è l'adesione autentica di mi­ lioni di poveri (e quindi un valore umano che non ha il fa­ scismo); c'è un reclutamento assolutamente diverso delle fazioni (da un lato il vero proletariato, dall'altro il « lunipen proleta­ riat »� cioè un sotto proletariato senza valore positivo). Il comu­ nismo ha l'onestà di non affermare falsi valori ,spirituali e di non patteggiare col capitalismo internazionale. Infine per i cri­ stiani, il fatto che il nazismo sia antisemita ha un senso tutto particolare che K. Barth ha sottolineato, e che non ha il comu­ nismo in sé, anche se di viene per un momento antisemita. In una analisi più remota noi ritroviamo una identità di regimi al di là di queste differenze: l'attitudine simile riguardo alle tecniche, che può sembrare assai sottile. Tuttavia è l'essenza stes­ sa di questo doppio movimento fascista e comunista. Ambedue nascono a causa delle tecniche e unicamente a causa loro. Il co­ munismo appare quando lo sviluppo delle tecniche mette in pericolo la società che ha permesso il loro fiorire, appare proprio per spiegare come il progresso 'tecnico fa nascere una società; poi oltrepassa le forme economiche e politiche e continuando il suo corso provoca il loro deperimento. Il marxismo rinchiude tutto ciò in una precisa dottrina: dà la chiave del mondo moderno nel tempo stesso che lega il suo destino a quello della tecnica. Si conoscono le teorie di Marx e la firase celebre di Lenin sul socialismo e l'elettricità. In realtà il marxismo è un epifenomeno dello sviluppo della tecnica, una fase soltanto di questa unione piena di isofferenza dell'uomo e della tecnica: . Dopo il 1947 assistiamo allo stesso fatto per quanto concerne la terra. Negli Stati Uniti si era applicato con brutalità il metodo della grande cultura. Gli umanisti si erano commossi per questa mancanza di rispetto per la natura, per questa violazione del­ l'humus sacro. I tecnici ,non se ne sono preoccupati fino al giorno in cui si è notato un affievolimento costante del rendimento. La tecnica poté constatare che vi ·sono nella terra elementi im­ ponderabili che non appartengono al settore dei fertilizzanti, ele­ menti che si consumano e si inaridiscono quando la terra è brutalizzata. Questa scoperta, fatta da Sir A. Howard in seguito a un minuzioso studio sull'agricoltura nelle Indie arrivò alla conciusione della superiorità delle concimazioni animali e vege­ tali su tutti i fertilizzanti chimici. Ma prima di tutto è essen­ ziale, nell'applicazione del procedimento indù, di non isterilire le riserve della terra. Finora non si è trovato il modo di sostituire artificialmente questi fattori. Si raccomanda maggior prudenza nell'uso dei fertilizzanti, moderazione nell'uso dei macchinari, in definitiva, più rispetto per la terra. E tutti gli appassionati della terra possono rallegrarsi. Rispetto della terra? Non proprio; preoccupazione del ren­ dimento. Ma si può dire: e che importa la causa se questo porta effettivamente al rispetto dell'uomo o della natura? Se l'eccesso delle tecniche ci conduce alla saggezza, sviluppiamo le tecniche. Se l'uomo deve proprio essere protetto dalla tecnica che lo com­ prende, possiamo essere sicuri che sarà molto maggiormente pro­ tetto così di quanto non lo fu da tutte le filosofie�. Questo sem­ bra un gioco di prestigio. Dato che se la tecnica oggi rispetta 22.

    J.

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    l'uomo ciò avviene per il nor1nale sviluppo tecnico, e perché è in causa l'interesse della tecnica. Il che non può darci alcuna cer­ tezza: potremmo avere una certezza se la tecnica subordinasse per necessità e per cause profonde e permanenti la sua potenza all'interesse dell'uomo. Senza di che, il rovesciamento della situa­ zione è sempre possibile. Domani potrà nuovamente essere inte­ resse della tecnica sfruttare l'uomo all'estremo, mutilarlo, sop­ primerlo: e non abbiamo oggi alcuna garanzia che questa strada non venga presa. Al contrario, vi sono intorno a noi più sintomi ·di un accresciuto disprezzo per l'uomo che segni di rispetto: e la tecnica mescola insieme gli uni e gli altri perché segue il suo autonomo sviluppo. questi motivi ci sembra impossibile parlare di un umane.simoPertecnico. .

    Il. Somman·o ragz.·onato Sottolineiamo subito un carattere essenzìale: si tratta sempre in tutto ciò che studieremo, di tecnica. Si è considerato molto a lungo che la condotta degli uomini aveva qualcosa dell'arte, e si può certo dire che la psicoanalisi freudiana è pure un'arte. Questa azione fatta di tatto, di cono­ scenza intuitiva quanto ragionata, di contatto personale, questa spontanea invenzione di mezzi di azione sul cuore e sull'intel­ ligenza, questa partecipazione totale di colui che prende parte all'azione; tutto questo caratterizza l'arte. I grandi capi come i grandi pedagoghi . o come i grandi agitatori sono degli artisti. Ma questo non può soddisfare il nostro tempo. Se è vero che dob­ biamo rispondere a una questione pòsta dalle tecniche ci arrive­ remo solo con mezzi tecnici: l'arte non basta più. Occorre in effetti che i mezzi d'azione sull'uomo rispondano ai seguenti criteri: 1° gener"alità - Tutti gli uomini devono essere raggiunti per­ ché tutti sono interessati. Non si tratta più di svolgere un'azione individuale, né in vista di un preciso scopo che una volta rag­ giunto non giustifica :più l'azione psicologica: bisogna agire su tutti e in tutti i campi; Z' obbietti-vità - Questa azione, essendo provocata dalla so­ cietà stessa, non può essere legata all'azione passeggera di un

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    qualsiasi individuo: bisogna distaccare il mezzo dall'uomo in mo­ do da renderlo comunque applicabile, e questo suppone precisa­ mente il passaggio dall'arte alla tecnica; 3° persistenza - Così come la sfida lanciata all'uomo concerne tutta la sua vita, così questa azione psichica deve esercitarsi senza lacune dal principio alla fine della sua esistenza. Non possiamo più rimetterci al singolo intervento, nella vita degli uomini, di un tale grand'uomo e neppure accettare i colpi di testa: occorre un'azione perseverante e uniforme. Si può ap­ pena parlare di scienza, perché il passaggio all'applicazione pra­ ,tica si effettua velocemente, e si tratta di trovare il mezzo più ·efficace, in modo tale, che si è obbligati a qualificare tecnico tutto questo insieme, nonostante le nobili preoccupazioni di coloro che confidano nelle « scienze» · dell'uomo. Quando Tchakhotine dice: « La comprensione dei meccanismi del comportamento com­ porta la possibilità di manovrarli a volontà...», descrive esatta­ mente, parlando di propaganda, i caratteri abituali di queste tecniche .. Tre fatti, d'altra parte, palesano questa realtà. Il primo è _l'atteggiamento corrente degli uomini che utiliz­ zano queste tecniche: scelgono, tra i dati scientifici quelli che sembrano utilizzabili e adottano una sorta di condiscendenza altezzosa per ciò che .non è utilizzabile. Così nella psicologia o nella psicoanalisi gli orientatori psicologi professionali o i pro­ pagandisti fanno una scelta caratterizzata. Ugualmente nella psicologia pratica, quella delle « pubbliche relazioni », quella di Dalle Carnegie o di Munson, regna una certa diffidenza nei ri­ guardi della psicologia teorica o astratta. E ben inteso si procede a semplificazioni indispensabili per tale applicazione. « Il mec­ canismo cli lavoro di formazione del morale non è più semplice né meno tecnico di quello di un problema di meccanica. Esi­ gono l'uno e l'altro la concezione predsa dell'obbiettivo da rag­ giungere, l'elaborazione di un piano di esecuzione metodica, la conoscenza di tutti gli agenti chiamati a collaborare, un agente principale incaricato di dirigere e controllare le operazioni, uno studio approfondito dei metodi», scrive il Munson. E aggiunge questa « ammirevole parte di imprevisione � che ogni tecnico de­ ve prevedere: « Senza che si possa indicare in precedenza il rimedio che converrà a un dato caso, si sa almeno che questo potrà rientrare in un certo tipo al' quale sono applicabili certi

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    principi generali�. Si tratta dw1que di tutto un programma delle diverse forme di « persuasione intenzionale:, ·con il rigore e la flessibilità delle tecniche. Un secondo fatto che manifesta questo passaggio alla tecnica è l'intervento delle matematiche: biometria, psicometria, socio­ metria, cibernetica, sono divenute elementi indispensabili della strada che bisogna percorrere per arrivare alla creazione delle tecniche. In effetti è illusorio considerare che si possa costruire un vero sistema di azione partendo da leggi non misurabili e da constatazioni che non si possono esprimere in cifre. Ed è eviden­ tement e questa difficoltà che ha incontrato l'elaborazione delle tecniche psicologiche. Quando si ce;ca di fare della propaganda una vera tecnica, la si fonda su una scienza esatta, la biologia, e su altre scienze esatte: il sondaggio di opinione pubblica, la statistica. Ma un progresso maggiore si compie quando la strut­ tura stessa delle scienze dell'uomo è penetrata dalla esattezza delle matematiche. I metodi metrici sono i soli capaci di analizzare e prevedere per avere una previsione cl!icace. È impressionante constatare che questi metodi metrici, applicati a quadri politici differenti, da tecnici differenti, arrivano agli stessi risultati: qui pure ve­ diamo un carattere; delle tecniche. Ecco perchè la notazione del Maucorps ci sembra proprio suggestiva. Parlando della sociome­ tria americana, sottolinea: : cioè queste relazioni umane non devono fondarsi su alcuna determi­ nazione extra tecnica: poco importa l'ambiente anteriore, le pre­ ferenze, le tendenze: la tecnica supplisce a tutto. E si ha ragion secondo i bisogni di mano d'opera del piano e in relazione con tutta l'educazione del fanciullo. Si subordina l'O.P. alla tecnica del piano: dati i bisogni eco­ nomici indicati dal piano, occorre tale quantità di minatori, pre­ vista nei cinque anni: l'O.P. ricerca tra i giovani di 12-13 anni quelli che sono adattabili alla funzione di minatori, e si comincia subito un doppio lavoro di educazione generale centrato nel me­ stiere, e di adattamento psichico, meccanico, psicologico, al me­ stiere in questione. C.Osì il piano ha esattamente la mano d'opera necessaria, e gli individui sono, in effetti, bene adattati al me­ stiere stesso perché, presi assai giovani, sono interamente formati in una direzione precisa. Ancora qui ,conseguentemente, l'impresa è destinata ad assicurare la felicità dell'uomo attraverso l'adatta­ mento: l'uomo sarà felice perché non ci sarà alcuno spostamento tra lui e il suo mestiere. Questo orientamento sovietico si rivela identico ad alcune recenti tendenze americane: il dr. Mead in un rapporto all'Unesco sull'insegnamento tecnico \e l'orientamento professionale, serive: « Dovendo l'insegnamento corrispondere ai bisogni non presenti ma futuri della società, è necessario prevede­ re costantemente e più possibile in precedenza, l'evoluzione delle strutture professionali». Che cosa vuol dire adattare in prece­ denza se non che bisogna formare, educare l'uomo in funzione del prevedibile progresso tecnico? Ugualmente nelle analisi del Mayo o nel rapporto del Lynton all'Unesco si .trovano esattamente espresse le condizioni di sopravvivenza delle comunità nel mondo tecnico, e si nota che si tratta in tutti i casi di ·un rigoroso adat­ tamento dell'uomo, che arriva fino alla « riproduzione dei modi d'azione e delle forme di organizzazione spontanea>. Non si può essere più precisi nell'istruzione tecnica! D'altra parte non bisogna credere che questo O.P. restringa le possibilità dell'uomo: al contrario, allarga il campo degli adat­ tamenti del fanciullo, e attraverso questi orientamenti « sorge­ ranno nuove abitudini acquisite, grazie alle quali l'uomo parte­ ciperà alla continuità dello sforzo sociale ... S'inquadrano i bisogni della specie in un sistema di abitudini nuove trasmesse dall'am­ biente economico... l'adattamento non sarà dunque più naturale, ma acquisito al prezzo di sforzi brevi o prolungati secondo il grado di complessità del compito> (Naville).

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    Ci si assicura che in questa relazione l'O.P. permetterà � la ·sod­ disfazione elementare di un bisogno razionalizzato'>. Del che siamo convinti, l'uomo così educato sarà soddisfatto. Ma vorremmo sol­ tanto constatare che è per un gioco di prestigio che si pretende di mettere l'O.P. al servizio dell'uomo. Bisogna far intervenire tutto un enorme apparato di pregiudizi per sostenere questa argo­ mentazione. Questi presupposti sono i seguenti: dal momento che l'uomo si trova in un sistema socialista, i suoi complessi spariscono; dal momento che una istituzione è integrata in un sistema socialista cambia di carattere; dal momento che si sod­ disfano i bisogni dell'uomo, questo ultimo è felice; dal mo­ mento che l'armonia sociale è stabilita, ogni uomo integrato in questa armonia realizza la sua vocazione di uomo; dal mo­ mento che sfugge al capitalismo è libero. Ecco l'arsenale di for­ mule indimostrabili, di pregiudizi che bisogna accettare per arri­ vare a credere che l'O.P. sia al servizio dell'uomo. Tutto ciò serve soltanto a rifiutare di vedere la realtà in faccia, se consideriamo i fatti. Che sono chiari: l'O.P. è inutilizzabile separato dalle altre tecniche. Ma rimesso in questo necessario contesto, diviene semplicemente un mezzo per subordinare l'uomo ai bisogni della tecnica economica. Anche quando si attribuisce all'O.P. il ruolo di rivelazione delle attitudini, come fa il Mas per il personale meccanografico, c'è tuttavia una parte conside­ revole di « ad - attitudine � come dice il Naville, ed è in funzione di questa che si fa la selezione. Anche qui siamo di fronte a un meccanismo di adattamento, un meccanismo che toglie all'uomo libertà e responsabilità, che lo fa divenire un oggetto e lo pone esattamente nel posto dove sarà più desiderabile agli occhi di un'altra tecnica, nel posto dove sarà più efficace. Possiamo ugualmente constatare che avviene una specie di in­ contro tra la nuova scuola e l'O�P. Ma quest'ultimo non esiste ancora in Francia: non è obbligatorio, dà indicazioni e niente altro. Nondimeno il numero di fanciulli consigliati, è passato da 60.000 nel 1944 a 250.000 nel 1950. E si può calcolare che nel 75 % dei casi, i genitori hanno seguito i consigli dell' « orientatore >. Questa cifra aumenta lentamente (dal 73 �lo nel 1944 al 79 % nel 1950, e il numero di « orientati , resta press'a poco lo stesso dopo un anno di esperienza e dopo tre anni. Si può dunque dire che il 75 % dei genitori è d'accordo. Quanto alla persistenza può

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    significare due cose: o che l'orientatore non si è sbagliato, oppure che una volta che ci si è imbarcati in un mestiere è cosa fatta, non c'è praticamente modo di tornare indietro e lo si desidera raramente. Per apprezzare correttamente queste cifre, è bene avvi­ cinarle: nel 1944 il 73 % su 60.000 hanno seguito questi consigli, nel 1950 78 % su 250.000. C'è dunque una proporzione notevole: e il fatto che l'O.P. non sia obbligatoria non significa gran cosa. Che vuol dire questo grosso argomento degli orientatori per mostrare che, nonostante tutto, si lascia la libertà? Cosa è questa tecnica che lascia la libertà nella misura nella quale non si appli­ ca? Bisogna riconoscere che è una rivalsa sbalorditiva: disgrazia­ tamento la storia ci insegna che non può essere di lunga durata. Abbiamo già studiato perché: quando la tecnica sarà messa a punto, si applicherà. Bisognerebbe pure fare l'analisi del metodo stesso. Perché i tests attualmente usati non sono estremamente pericolosi, ma nella misura nella quale si tratta di mettere totalmente l'individuo in schede (per il suo bene evidentemente) è poco probabile che ci si attenga ai tests psicologici ordinari; si cercherà di andare molto più lontano, per fare una investigazione sistematica delle tendenze affettive, per tentare di esplorare la natura istintiva, ciò che il fanciullo ha di maggiormente costitutivo nel suo essere psichico e morale. Già alcuni tests come i T.A.T. ( « thematic apperception test ») sono orientati in questo senso, e allora il ser­ vizio di 0.P. diviene una manomissione totalitaria per .tutti i fanciulli. Pensiamo che non si possa evitare, perché è nella logica del sistema. Tuttavia non insistiamo oltre perché tutto ciò è an­ cora da fare. Propaganda. - Vediamo ora un nuovo gruppo o meglio cir­

    cuito di tecniche dell'uomo, più complesse delle precedenti, per­ ché mette in opera tecniche di natura differente secondo un pro­ cesso di ripartizione da una parte, e di sintesi dall'altra. Non abbiamo un nome per qualificarle, perché il termine « propagan­ da'> (1) che ci si avvicina di più (è ancora troppo limitato in quan­ to suppone una azione dello Stato (mentre devono essere �tu(1) Daremo qui solo le indicazioni indispensabili. Rinviamo al nostro Corso . pubblicato sulla propaganda.

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    diati nello stesso tempo fatti privati) e una azione di massa, di opinione, mentre si ,tratta pure di un'azione individualizzata. La prima cosa da considerare è la congiunzione tra due cate­ gorie di tecniche molto differenti, che danno vita a questo nuovo sistema di tecniche dell'uomo. La prima categoria è tutto un in­ sieme di ,tecniche meccaniche - principalmente stampa, radio, cinema, - che permettono di entrare in comunicazione diretta con un grandissimo numero di individui, e che permettono d'al­ tra parte di indirizzarsi individualmente a ciascuno nell'ambiente di una grande massa e che possiedono uno straordinario potere di persuasione e di pressione intellettuale o psichica. La seconda categoria è un insieme di tecniche psicologiche e pure psicoana­ litiche che permettono di conoscere abbastanza esattamente gli impulsi del cuore umano e di agirvi sopra con grande certezza. Un certo numero di mezzi sono stati messi a punto in modo tale che riescono quasi a colpo sicuro: si sa che quella tale immagine produrrà quasi infallibilmente tale riflesso. Questi due settori sono ora uniti in un insieme inseparabile. Perché si è fatto questo? Come? L'ha voluto l'uomo? Forse. Evidentemente, se la stampa fosse stata consacrata unicamente al romanzo di appendice, se la radio avesse trasmesso solo mu­ sica, non sarebbe stato necessario fare intervenire mezzi psico­ analitici. E non è ancora tutto: che può esservi di più innocente che le « comic trips >? Tuttavia se ne è potuto rigorosamente di­ mostrare l'influenza profonda sulla psicologia dei lettori e l'utilità del punto di vista psicologico. Ugualmente, che c'è di più inno­ cente di un film-operetta americano? Sappiamo però bene il pe­ so economico che questo rappresenta. Sia come sia, e ammettendo che radio e giornali siano stat i dedicati solo alla distrazione, si pone un problema: in nome di che si sarebbe dovuto o potuto limitare queste tecniche? Dal mo­ mento che potevano applicarsi ad altri campi (per esempio poli­ tico) vi si sono applicate. Questo è avvenuto del tutto innocente­ mente, senza che si sia avuta coscienza dell'utilità, per lo meno in principio. Ma non appena questi mezzi tecnici entrano nel campo politico, allora è evidente che non devono servire solo a informare, ma a convincere. Non c'è informazione che sia pura­ mente obbiettiva. Quando si dice che è colpa dell'uomo se hl tecnica non rimane obbiettiva, si formula l'idea brillante che r colpa dell'uomo essere uomo. A partire dal momento in cui que-

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    sti strumenti devono servire, bisogna che servano il meglio pos­ sibile, e allora occorre fare appello alle altre tecniche di cono scenza dell'uomo. Troppo spesso si accusa lo Stato totalitario di aver operato questa congiunzione, ed è questa l'opinione del Monnerot. In realtà l'iniziatore ne è il capitalismo privato: è il fenomeno della pubblicità che, assai prima della propaganda ha introdotto la nozione di efficacia in questo campo. Le condizioni erano in effetti le migliori: occorreva convincere un grande nu­ mero di uomini (dunque, considerare il tipo di uomo medio) a fare un gesto semplice (acquistare un oggetto), e d'altra parte occorreva convincere con argomenti limitati, su testi brevi, sparsi tra centinaia di altri. Queste condizioni della pubblicità erano molto più favorevoli per la congiunzione dei mezzi meccanici e dei mezzi psicologici che le condizioni della politica, dove si cer­ cava, al principio del XX secolo di convincere soprattutto delle «élite», dove occorreva ricercare una adesione a una dottrina, a certe idee, dove era grande la molteplicità degli argomenti (di qui il discorso politico) e le propagande erano relativamente più numerose (quattro o cinque grandi tendenze). Tutto ciò inci­ tava a una certa pigrizia poiché si trattava di fare nascere una convinzione intellettuale, mentre nella pubblicità èommerciale, si tratta va di ,provocare un riflesso. Le grandi imprese commerciali si sono allora servite dei merzzi più efficaci che poteva fornire la tecnica psicologica, e hanno adat­ tato quest'ultima all'uso dei grandi mezzi meccanici: già nel 1910 era un fatto acquisito. Poi, durante la guerra del 1914 si utilizzerà una propaganda politica ancora piuttosto maldestra, as­ sai spesso inefficace, poiché non rispetta le leggi psicologiche e si fonda sulla «frottola». Diverrà scientifica con la rivoluzione rus­ sa fin dal 1917 e poi con l'Hitlerismo. Attualmente tutti gli Stati utilizzano questo sistema creato dalla congiunzione dei due e com­ plessi , tecnici. Quali sono le principali direzioni di questa utilizzazione? Si utilizza in primo luogo, in grande, il sistema del riflesso condi­ zionato: la tecnica di misura e di provocazione dei riflessi, è a punto. Abbiamo già visto come si opera la riduzione della dottri­ na politica al programma, del programma allo slogan, dello slogan al disegno che diviene allora una immagine che provoca un ri­ flesso. La creazione dei riflessi condizionati è sistematicamente per-

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    seguita, sia col mezzo di una educazione molto ferma, come nel nazismo e nel comunismo, sia appoggiandosi a riflessi spontanei già esistenti (per esempio il riAesso erotico in ciò che concerne la propaganda d i guerra negli Stati Uniti). Il meccanismo del lavoro degli Stati totalitari è stato sufficientemente studiato dal Tchakhotine; si è molto meno insistito sulla propaganda negli Stati Uniti. Si trattava di fare partecipare gli uomini alla guerra, e di im­ porre loro l'idea della guerra al punto di creare dei riflessi. In effetti, gli uomini degli Stati Uniti, molto bene protetti dai due oceani, non si «sentivano� in guerra, la guerra non era affatto presente per loro. Bisognava renderla presente. Ben inteso, que­ sta presenza, questa integrazione dell'uomo nella guerra possono essere stabilite solo da una enorme pressione dei manifesti e della propaganda intera sull'uomo; occorre usare la tecnica ossessiva. L'uomo non deve essere liberato in nessun momento da questa propaganda, non deve restare solo con se stesso. Nella strada, ma­ nifesti, altoparlanti, cerimonie, comizi politici. Nel lavoro: volan­ tini, prospetti, mobilitazione delle imprese. A casa: stampa e ra­ dio. Tutto converge verso lo stesso punto, tutto esercita la me­ desima azione sull'individuo. I mezzi impiegati divengono tal­ mente enormi che non ci se ne accorge più. Quest'ultimo fatto è moho importante: occorre che la propa­ ganda divenga così naturale come l'aria o il nutrimento: deve procedere il meno possibile con urti, ma piuttosto con inibizioni. L'uomo può allora onestamente dichiarare che non vi è propa­ ganda, perché è completamente assorbito. Ha aderito così bene che non realizza pi:ù (nel senso proprio) la propaganda; è en­ trata dentro di lui, ed egli stesso è un oggetto di propaganda. La quale poi, non deve condurre alla scelta e alla decisione vo­ lontaria, ma piuttosto al mito. La ripetizione indefinita degli stessi legami, degli stessi concatenamenti, delle stesse immagini, dei medesimi rumori basta per questo assorbimento. Inoltre si utilizzano altri fattori interni dell'uomo, per esempio, il rancore o l'odio. Si procede a vere e proprie «fissazioni � di odio su questo o quell'avversario, e si ha allora l'enorme assurdità di uno svolgimento automatico: qui, in sostanza, il meccanismo non è ossessivo, è quello della suggestione. Quando si utilizzano i ran­ cori, basta mettere l'individuo sulla strada e dargli una sorta di e maniera di servirsene � molto semplice: in seguito si assiste

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    a una ricomposizione della personalità intorno a questo punto fisso nella misura nella quale i rancori sono vigorosi. Così si designa l'avversario come autore di tutti i mali, di tutte le sofferenze; tale l'ebreo nel sistema nazista, tale il bor­ ghese nel sistema comunista. A partire dal momento in cui que.. sta suggestione è lanciata, i rancori trovano il loro impiego; e le truppe che hanno conosciuto questa suggestione vanno molto più lontano degli ordini dati, perché obbediscono a un nuovo istinto che le fa precipitare sull'oggetto del loro rancore come il cane sul gatto. Per questo, tra l'altro, non si trovano mai i cri­ minali: i massacri di ebrei sono stati ordinati raramente dalle autorità, perché bastava manipolare abbastanza bene i rancori per far nascere questi massacri ipso facto. Infine, tra gli altri esempi (e non sono che gli esempi più importanti): si utilizza la volontà di autogiustificazione latente presso tutti gli individui e che corrisponde al bisogno di un capro espiatorio. Ma gli individui in generale hanno difficoltà a sco­ prire un capro espiatorio personale. La propaganda offrirà loro un capro espiatorio collettivo, sul quale ciascuno di loro potrà ripo rtare tutto il male e si sentirà per ciò stesso giustificato e purificato. Questo, d'altra parte è sottolineato dal fatto che nei paesi do­ ve si utilizza questa forma di influenza, la criminalità diminuisce. È non è la minore gloria dei regimi totalitari (comunista o fa. scista, è lo stesso) dove la moralità progredisce: in sostanza non bisogna più crearsi un nemico che si finisce con l'uccidere. Vi è un nemico pronto, designato dalla propaganda, che è lecito ster­ minare (è evidente che uccidere un borghese non è un crimi­ ne), ma d'altra parte la presentazione di questo capro espiatorio ha come conseguenza che il conflitto. non è più situato sul piano sociale o poli.tico. È sul piano del bene e del male. Nella misura nella quale la propaganda utilizza il capro espiatorio contribui­ sce a riportare il male sull'avversario (fatto molto differente que­ sto, dell'utilizzazione del rancore dove ravversario è cattJa della disgrazia; qui invece l'avversario è l'incarnazione del male): quc .. sta incarnazione suppone dunque che non vi sono « ragioni> ra­ gionevoli di odiare il tale o il tal'altro. L'odio è fondato solo sul meccanismo psicoanalitico. E questo spiega la sbalorditiva affer­ mazione di Hitler: « Occorre suggerire al popolo che i nemici più differenti appartengono alla stessa categoria. Occorre sempre

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    mettere nello stesso mucchio la pluralità dei più vari avversari, perché sembri alla massa dei nostri aderenti che la lotta è con­ dotta contro un solo nemico. Questo fortifica la sua fede nel pro­ prio diritto e aumenta l'esasperazione contro coloro che aggre­ discono � (Mein Kampf). Tutto ciò sarebbe irrazionale se si fosse in presenza di una lot­ ta da uomo ad uomo, con motivi personali di conAitto, ma dato che si tratta di una operazione di ,propaganda invece, l'allontana­ mento della realtà, la confusione dei n1otivi, l'identificazione dei contrari, i riflessi cangianti delle multiformi accuse servono gran­ demente l'operazione di inAuenza psicoanalitica. A questo punto tutto ciò che si avverte più o meno confusamente come male in se stesso, si trasferisce sull'altro. È un vero fenomeno di transfert psicoanalitico nell'azione di propaganda. Invece di essere lo psicoanalista che trasferisce il sen­ timento di colpevolezza sul soggetto c'è una macchina che con­ vince. La tecnica d'altronde crea una separazione tra « quelli che sono assolutamente buoni> giustificati collettivamente, rappresen­ tante il bene politico e sociale e storico e coloro che « sono asso­ Iutamente cattivi>, dove non si trova alcun valore e alcuna qua­ lità. Questo fenomeno era stato appena tratteggiato prima della guerra del 1914 sul piano nazionale (la guerra del Diritto e della Civiltà) ma non aveva raggiunto la potenza necessaria per opera­ re il transfert collettivo. Oggi, ci siamo. D'altra parte, non si trat­ ta di una ripartizione nazionale, ma sociale o politica che forma la linea di separazione tra il bene e il male: non è più una con­ vinzione ragionata, ma una operazione collettiva di autogiustifi­ cazione praticata sul piano individuale. Così appare subito un nuovo aspetto di questa influenza della tecnica sulla morale: poi avviene la penetrazione dei mezzi col­ lettivi nella coscienza individuale, che sotto questo impulso ma con un movimento proprio si inquadra nella corrente collettiva desiderata. Infine si manovra pure, ma a un livello minore, il complesso di Edipo e il sentimento nei riguardi del «Padre>, ma questo ultimo dato è ancora incerto. � tuttavia verosimile che negli anni prossimi saranno messe a punto tecniche efficaci su queste forze. Queste manipolazioni hanno luogo esattamente in tutti i re­ gimi, in tutte le direzioni; noi viviamo in un universo totalmen-

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    te sovversivo dal punto di vista psicologico. E per ciò stesso, non ce ne rendiamo conto; non è l'esperienza che può rivelarlo per­ ché allora si dovrebbe supporre che siamo fuori della corrente, ciò che è impossibile. Soltanto, possiamo accorgercene per il privi}e... gio di essere in un paese dove la propaganda è ancora notevol­ mente maldestra (la Francia), e d'altra parte anche per la cono­ scenza dei lavori dei tecnici della psicoanalisi sociale, come l'Isti­ tuto di Psicologia Applicata di Berlino (prima del 1938) o gli innumerevoli istituti e comitati americani (1). Ben inteso, i tecnici che cercano la sola efficacia approvano in pieno questa utilizzazione di grandi motivi psicoanalitici. Possiamo chiederci quali conseguenze comportano queste ma­ nipolazioni? Non si può ancora discernerle completamente dato che è troppo poco tempo che questi meccanismi sono in movi­ mento perché se ne vedano le autentiche conseguenze. È anche vero che quando queste conseguenze saranno apparse, noi non le riconosceremo più, perché saremo noi stessi talmente assorbiti, talmente indifferenziati e manipolati che non potremo più ogget­ tivare questa conoscenza e non avremo più nessuna idea di ciò che poteva essere l'uomo prima. Tuttavia certi effetti ci appaiono già chiaramente determinati: in primo luogo la soppressione dello spi­ rito critico per la creazione delle passioni collettive: il fenomeno ben conosciuto della « suggestione reciproca :P fa di questa passio­ ne collettiva una potenza assai differente dalle passioni indivi­ duali. Si sa che la passione individuale già tocca lo spirito critico, ma quest'ultimo resta ancora suscettibile di esercitarsi: si può stabilire una specie di equilibrio tra passione e spirito critico. Al contrario, nella passione collettiva creata dalla tecnica (e della quale, talvolta perfino la tecnica è oggetto) vi è esclusione dello spirito critico, che resta sempre specifico dell'organizzazione in­ dividuale, dell'individuo, come dice il Monnerot: « Non c'è spirito critico collettivo» quando la passione provocata dalla tecnica si ingigantisce per il fatto che la tecnica è dappertutto, ed agisce ugualmente su tutto. Questa soppressione dello spirito critico, que(1) Per esempio: e The Committee of Humane Development >, Chi­ cago, « The Office of Public Opinion Research », Princeton, e The Heller Committee �, California, « American Psychiatric Association >, e Military Mobilisation Committee �, ecc.

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    sta incapacità, per l'uomo, di discernere il vero dal falso, l'indivi­ duale dal collettivo, l'uomo dal nemico, l'azione dal discorso, la realtà dalla statistica, ecc. è certamente uno dei prodotti più evi­ denti di questa potenza tecnica: l'intelligenza umana non può resistere alla manipolazione del subcosciente. D'altra parte nello stesso tempo che assistiamo alla soppres­ sione di questo spirito critico, assistiamo pure alla creazione di una buona coscienza sociale. La tecnica dà una giustificazione a ciascuno. Ciascuno « rice­ ve> la convinzione di essere giusto, buono e nella verità. Questa convinzione è tanto più forte in quanto è divisa collettivamente, e ciascuno incontra questa buona coscienza tra i suoi compagni di lavoro, i suoi vicini, e si sente fortificato in questa implicita comunione nella radio. Nei paesi dove si utilizza questa tecni­ ca si constata sia una diminuzione dei crimini, sia una diminu­ zione deUe nevrosi. Pensiamo che occorra proprio prestare fede alle statistiche naziste e a quelle degli Stati Uniti, durante la guerra, perché il fatto si spiega assai bene. Ma, inversamente, dal momento in cui la propaganda o la tecnica cessa di distribuire questa buona coscienza sociale, brutalmente l'individuo cessa di essere giustificato, e ricade allora assai più in basso; di qui la straordinaria moltiplicazione delle nevrosi negli Stati Uniti dopo il 1945 (non parliamo della situazione dei tedeschi che potrebbe giustificarsi diversamente, anche se siamo convinti che l'arresto brutale della propaganda nazista ha avuto un ruolo determinan­ te per l'aumento delle nevrosi). Questo è il problema, e ben conosciamo lo sviluppo dei trat­ tamenti psicoanalitici in questi ultimi anni negli Stati Uniti. In­ fatti c'è ora una ripresa sul piano individuale di ciò che ha ab­ bandonato la tecnica collettiva. Quando è stata creata la buona coscienza collettiva, l'individuo non può assolutamente farne a meno, proprio come di uno stupefacente. E quando ci si _accorgerà che lo sviluppo della psicoanalisi individuale è più costoso, me­ no efficace (perché non « integra l'individuo») più difficile, non vi è dubbio che anche senza altri motivi, gli Stati lTniti torneran­ no al sistema della tecnica collettiva. Inoltre, coincidendo in questi punti, questa propaganda crea un nuovo e sacro >: cioè, come lo definisce precisamente il Monnerot, e quando tutta una categoria di avvenimenti, di esseri, di idee,

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    sfugge alla cnuca, si costituisc� un campo sacro di fronte a un campo profano )). In effetti, per l'influenza profonda di questi meccanismi, si crea una zona tabù nel cuore di ogni individuo. Ma questa sfera è creata artificialmente nei confronti dei tabù delle società pri­ mitive. Non possiamo più discutere certe questioni, non possia­ mo più giudicare né apprezzare: entrano nel gioco tutte le serie di riflessi costruiti dalle tecniche. Insomma, i tre fatti indicati (soppressione dello spirito critico, formazione della buona coscienza sociale, creazione di una zona « sacra ») sono facce di uno stesso fenomeno, che è la prima con­ seguenza, la più evidente di questa applicazione delle tecniche psicoanalitiche di massa. Certamente ciò conferma il movimento della creazione delle masse, così spesso analizzato dai sociologhi del nostro tempo. È inutile insistere ancora, ma vogliamo solo notare che que­ sto fatto aggiunge alle masse una caratterizzazione nuova: le masse ricevono, proprio da quel fenomeno che abbiamo visto, una coesione interna che non hanno di per sé. Si costituisce allora uno in­ tegra lo spettatore nell'orbita del film. Occorrono una potenza spi­ rituale e una educazione psicologica poco comune per sfuggire a questa pressione. L'uomo che va al cinema ci va per sfuggire se stesso e quindi per accettare questa pressione. La ricerca, gli si offre, si prostituisce al sentimento e all'immagine. Vi trova l'oblio e nel tempo stesso la libertà, quella libertà che non ha conosciuto in tutta la giornata di lavoro, né a casa sua, eccola di­ stesa sullo schermo come il miele su una tartina. Ciò che non vivrà mai lo vive su questo schermo: la sua libertà è là. E senza dubbio fu questa la grande scappatoia nei tempi di carestia e di persecuzione, la fuga nel sogno e nella speranza. Ma non c'è più la speranza e il sogno non è più l'atto individuale di chi pre­ ferisce questa fuga, e rifiuta di vedere la realtà, ma il fenome­ no collettivo di un milione di uomini che vanno a farsi dare una fetta di vita, di libertà, di immortalità. Uscito da se stesso come una lumaca dal suo guscio l'uomo è solo un pò di materia molto plastica, modellata dal ritmo delle immagini. E qui sta l'enorme differenza: la speranza è un riflettore nel futuro: « Tutto ciò cam­ bierà I » Il sogno è fuggito nel passato. ·Con il cinema il futuro non è più in causa perché ciò che dovrebbe cambiare è già cam­ biato sulla pellicola. E l'evasione non avviene più all'interno, ma nel gioco esterno, obbiettivo e amaro dei fantasmi luminosi. E

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    quando esce si ritrova pieno della possibilità vissuta nell'ombra, ha ricevuto la sua dose di vita interiore: le sue questioni sono ora trasposte, si tratta delle questioni che il film gli ha posto. Non è più nulla della sua vita, ma della vita degli eroi: ed ha la felic e impressione che queste questioni (che occupano tutto il cam­ po della sua coscienza) siano insieme sufficienti per cacciare quel­ le che erano angoscianti, e irreali per non essere angosciato. La funzione del cinema si esplica unicamente con questa vo­ lontà: come il ritmo del lavoro o l'autorità dello Stato suppongo­ no l'adesione del cuore, e quindi la propaganda, così la condi­ zione creata all'uomo dalla tecnica ·suppone questa evasione spe­ ciale che la tecnica appunto offre: meravigliosa organizzazione che prevede il contraveleno là dove dà il veleno. E l'uomo svuotato dei suoi interessi personali da una precisa macchina, ritrova se stesso. Di cosa parlare? L'uomo ha sempre parlato di una cosa precisa: le sue noie, i suoi fastidi. Non della paura, dell'angoscia e neppure della disperazione e della passio­ ne: questo è respinto nel profondo. Ma i suoi fastidi: la grandi­ ne che cade sulla vigna e la peronospera, la macchina che non è a punto e la prostata che va male. La tecnica ripara, crea un mon­ do che va bene. E poi, anche se le noie persistono, non si ha più coraggio di parlare e si va verso ciò che colma i silenzi: la radio. Rifugio prodigiosamente utile per una vita familiare impossibile. Il Laloup e il Nelis danno prova di un curioso ottimismo quan­ do considerano che la radio e la 1"V permettono una riunifica­ zione della famiglia. Certo la distrazione facilita la riunione fa­ miliare. I ragazzi non escono più la sera, a causa della 1-v. C'è la presenza materiale di tutti i membri della famiglia, ma sono tutti rivolti all'apparecchio e si ignorano scambievolmente. Non ci si comprende più? Non c'è più nulla da dire? Non ci si sop­ porta più? La radio rende le cose facili, ristabilisce le relazioni, evita di prendere sul serio le discordie. Non è più necessario ur­ tarsi, non è più necessario prendere coscienza che le relazioni fa. miliari sono cattive, non occorre più prendere decisioni: si può coabitare assai a lungo senza incontrarsi nel vuoto sonoro della radio. Qui pure si tratta di un mezzo di fuga, curioso mezzo col quale l'uomo si nasconde alla considerazione degli altri in­ vece di nascondersi a se stesso: nuova maschera che l'uomo si impone ma che, purtroppo, non ha le virtù dell'antica maschera demoniaca o divina.

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    Uno dei migliori studi sulla questione, quello del Veillé, ri­ corda che l'orecchio è )a grande « spaccatura'> dell'uomo, quella attraverso la quale l'uomo percepisce « il silenzio degli spazi infi­ niti >, il punto del possibile grande turbamento: l'orecchio, contra­ riamente all'occhio è evocatore di mistero e di abbandono, ed è il centro dell'angoscia. E la radio colma il vuoto di questa spacca­ tura. Protegge l'uomo contro il silenzio, il mistero... distrae. Quel­ li che preparano i programmi, lo sanno, ed elaborano i loro pro­ grammi in funzione di questa evasione. Non come sembrano credere certuni per commercializzazione o per machiavellismo, ma perché sono essi stessi solidali con questa condizione dell'uo­ mo e con la sua ricerca di protezione contro l'angoscia. Occorre dunque che la radio proceda a una rottura tra il «quotidiano:,, l'attualità sociale e poi il sogno, l'oppio che è incaricata di spar­ gere: deve essere una di quelle « distrazioni liberatrici ", deve liberare l'individuo dagli obblighi obiettivi. È un servizio pub­ blico di conforto morale incaricato di compensare così i drammi di famiglia come le prostrazioni sociali e la noia di vivere. Ed è pure un compenso alla inumanità del1a città: in un ambiente dove l'uomo non può avere alcun vero contatto, la radio gli deve fornire una apparenza di veri.tà, una apparenza di conoscenza, una apparenza di compagnia che bastino a rasserenarlo e a ras­ sicurarlo. Ma allora ha ragione il Veillé di porre la questione: la radio « non può forse insensibilmente abituare coloro che dà l'il­ lusione di unire all'astrazione delle sole immagini auditive, e peg­ gio ancora, condizionarli all'assenza di interlocutori? > Purtrop­ po, la risposta ci sembra chiara. Non c'è uno strumento di isolamento paragonabile alla radio. La radio, e più ancora la televisione rinchiudono l'uomo in un universo sonoro dove è solo: già prima non sapeva bene cosa fosse un «prossimo» ed ora la separazione tra gli uomini si ac­ centua. L'uomo prende l'abitudine di ascoltare la macchina e di parlare alla macchina (telefono, dittafono). Non c'è più contat­ to vis a vis, non ci sono più interlocutori, non vi è più dialogo. Ascoltando e formulando un perpetuo monologo, sfuggendo in­ sieme all'angoscia del silenzio e al fastidio del prossimo, l'uomo si rifugia nel girone delle .tecniche, che lo chiude totalmente e lo rassicura anche attraverso tutte le mistificazioni. Qui siamo ancora in uno stadio nel quale la tecnica risponde al bisogno dell'uomo che vi ve nella civiltà tecnica, ma dove l'uo-

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    mo è ancora libero di usare questi mezzi o no. « Se tu vuoi sfuggire, ecco la porta >> gli dice la tecnica: non è ancora uno strumento fatto pet· fuggire. Però cominciano ad apparire la pre­ sa di coscienza e lo stato di bisogno nel quale si trova l'uomo moderno, di non voler vedere la situazione che la tecnica gli ha preparato; e la ricerca dei mezzi per rispondervi coscientemen­ te. Pensiamo alla straordinaria riuscita dei campi Butlin. Butlin ha pensato che in questo mondo troppo ristretto e troppo sper­ sonalizzante, le . Implicitamente il Veillé tende a veder­ vi uno dei buoni effetti del socialismo. Ma in realtà questo di­ pende da una parte dal fatto che gli svedesi sono i più « inte­ grati> di tutti gli uomini, i più adattati, quelli che hanno alie­ nato al massimo la loro persona nell'organizzazione al punto che non vedono più il divorzio tra la loro persona e la tecnica, e non

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    hanno più bisogno dei paradisi artificiali. Quanto ai Russi la propaganda ha sapientemente sostituito la distrazione, la ha fa­ gocitata, e siccome è la propaganda più perfezionata del mondo, l'uomo che la subisce, ignora l'angoscia. Non bisognerebbe di­ menticare che la stessa cosa accadeva nella Germania hitleriana. Lo sp01·t. - C'è infine un ultimo campo nel quale l'uomo

    può distrarsi e folleggiare, ed anche qui la tecnica ha prodigio­ samente colmato i vuoti: lo sport. Lo sport è condizionato dall'organizzazione della grande cit­ tà e la sua invenzione non si concepisce al di fuori: lo sport in campagna ne è solo una pallida imitazione e non ne ha i veri caratteri. Il vocabolario sportivo è inglese, e si introduce quan­ do le nazioni europee accettano l'influenza dell'industrializzazio­ ne inglese, e quando il centro industriale passa negli Stati Uni­ ti è la forma sportiva americana che tende a dominare. L'URSS si dà allo sport quando si industrializza; il solo paese dell'Euro­ pa centrale che aveva una organizzazione sportiva era il solo in­ dustrializzato, la Cecoslovacchia. Lo sport è legato all'industria in quanto è in primo luogo una reazione alla vita industriale: difatti, i migliori sportivi escono dagli ambienti operai: i contadini, che possono essere più vigo­ rosi sono meno buoni atleti. Ciò deriva dal fatto che il lavoro alla macchina sviluppa una certa muscolatura, precisamente quel­ la che occorre per lo sport, molto differente della muscolatura contadina: e inoltre, questo lavoro sviluppa la rapidità, la preci­ sione dei gesti e dei riflessi. Inoltre lo sport è legato al mondo tecnico in quanto è pure tecnica. È nota la grande differenza che è stata fatta tra gli atleti greci e gli atleti romani. Per i primi l'esercizio corporale era un gioco che tendeva a sviluppare armoniosamente e libera­ mente le forme e le potenze corporali, per i secondi si trattava di una tecnica per avere più efficacia e vincere. Attualmente do­ mina la seconda concezione. Si sa pure bene la differenza tra un pescatore, un marina io, un nuotatore, un ciclista e coloro che pra­ ticano la pesca, lo yachting, il nuoto e il ciclismo come sport: ab­ biamo qui tecnici (Junger). Questa meccanizzazione dei gesti corrisponde d'altra parte alla meccanizzazione degli ap­ parecchi sportivi: cronometro, apparecchi di precisione per le mi-

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    sure, macchine di partenza, ecc. Ed in questa esatta misura del tempo, in questa rigorosa formazione dei gesti, nel principio del record, noi ritroviamo nello sport uno degli elementi - importan­ ti della vita industriale. Anche l'uomo in questo campo diventa una specie di mac­ china, e la sua attività controllata dagli apparecchi, diventa tecni­ ca. La civiltà tecnica trova d'altra parte il suo tornaconto in que­ sta meccanizzazione. Attraverso la disciplina 5portiva l'uomo non solo gioca e si distende e dimentica le costrizioni ma pure si adatta senza saperlo, e si prepara a nuove costrizioni. Qui pure noi assistiamo allo stesso processo di sparizione del gioco e del­ la gioia, del contatto con l'aria e l'acqua, dell'improvvisazione e della spontaneità: tutto ciò si cancella per obbedire a regole pre­ cise, all'efficacia, ai tempi record, e l'impeto fa di quest'uomo un apparecchio efficace, che j gnora ogni altra cosa che non sia la gioia dura di vincere e di scoprire il suo corpo. Ma la cosa più importante non è la formazione di qualche specialista, è il fatto che questa mentalità si estende alle grandi masse. Si assiste a una reazione vigorosa contro la passività del­ lo spettatore sportivo e questo in effetti è molto bene, ma si ar­ riva a integrare sempre di più degli innocenti in questa tecnica insidiosa. È inutile parlare dello spirito totalitario che prepara l'eserci­ zio dello sport. Si dice sempre che si tratta di uno spirito di équipe. È per lo meno notevole osservare che lo sport generaliz­ zato si sviluppa prima nel paese più conformista, gli Stati Uni­ ti; dopo che si era sviluppato d'ufficio per l'azione dei governi dei paesi dittatoriali fascisti, nazisti, comunisti, al punto di diven­ tare uno degli elementi costitutivi indispensabili di questi regi­ mi. Lo sport è un fatto di massificazione e nel tempo stesso di disciplina, e a questo doppio titolo coincide con una civiltà to­ talitaria e tecnica. In ogni caso, lo sport è un nuovo campo del­ lo spirito tecnico: i meccanismi entrano nella vita più personale dell'uomo e trasformano il suo corpo e il suo movimento in fun­ zione della tecnica, e non più in funzione di uno scopo esterno qualunque sia, armonia, gioia o dottrina spirituale. Nello sport pertanto non vi è più nulla di gratuito: occorre che «serva� e che « si misuri �. Lo sport così diviene esa.ttamente il seguito del lavoro mecca­ nizzato, e assicura il cambio quando l'uomo lascia il suo lavoro,

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    1n modo che quest'uomo non sia indipendente dalle tecniche in ness�n ?1o�ento. Egli ritrova nello sport lo stesso spirito, gli stessi crlten, la stessa morale, gli stessi gesti, gli stessi obbietti­ vi - tutte le leggi e le abitudini della tecnica - che aveva ap­ pena lasciato uscendo dall'officina o dall'ufficio. Medicina. - Ed eccoci arrivati alla forma d'intervento prin­ cipale: la medicina e la chirurgia. Saremo brevissimi su queste forme tecniche, in primo luogo perché sono assai lontane dalla nostra « specialrtà >> e poi perché i problemi relativi sono insieme troppo conosciuti e troppo incerti. Di che genere sono queste tecniche? Ricordiamo, in seguito a un rapporto pubblicato dalla rivista Espn"t che « grazie alla co­ noscenza delle correlazioni psicofisiologiche si può pretendere di modificare l'energetismo interiore»; con regimi alimentari ap­ propriati (vitamine), con la soppressione di certe secrezioni ghian­ dolari (castrazione per reazioni antisociali e aggressive) con l'inie­ zione o l'innesto di ormoni (aumento dell'energia, della virilità, o della femminilità, o dell'istinto materno), con medicamenti sin­ tetici lungamente prolungati (trasformazione dell'umore), con l'in­ terruzione delle vie di comunicazione intercerebrali (modificazio­ ne dell'affettività e della sensibilità). A tutto cìò bisogna aggiun­ gere la topectomia e la talamotomia, che sono due interventi di­ retti sul cervello e comportano un « abbassamento del livello psichico ,. Bisogna ancora citare tutto l'insieme delle « droghe di poli­ zia » come sono stati soprannominati i tossici che provocano la narcosi. D'altro canto, questi sieri della verità che non la rive­ lano affatto, ma hanno una cattiva fama, non sono ancora usciti dal campo della medicina. In primo luogo bisogna insistere ancora su questo fatto: vi sono assai poche ipotesi sicure che il penthotal sia stato impie­ gato diversamente che per motivi medici. E se si parla dei cele­ bri processi con auto-accusa, nell'URSS o nei paesi satelliti, biso­ gna farlo con tutte le riserve perché nulla prova che si sia in presenza di una azione di questo tipo. Ci sono anche dei mo­ tivi tecnici per credere il contrario. Non si può in tutti i casi fondare nulla di positivo su questa ipotesi, e pure constatiamo che queste tecniche presentate dalla stampa provocano reazioni spet­ tacolari di pubblico, inchieste, processi risonanti. Ma ne è causa

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    principale una indignazione morale, una paura sconvolta dal­ l'anticomunismo, e l'oggetto si rivela a mano a mano più dif.. ficile da delineare scientificamente. Che si possa modificare così effettivamente l'essere umano su qvesto non c'è dubbio, ma non si sa ancora con certezza in che senso lo si modifica, né quello che ci si può esattamente aspet­ tare da questi interventi. D'altra parte secondo la nostra prospet­ tiva queste tecniche hanno un'importanza molto secondaria. Si tratta certamente di un'intervento importante perché si colpisce materialmente l'uomo, lo si modifica psicologicamente e questa modificazione può andare assai lontano. Che dal punto di vista morale in effetti questo sia molto grave, certo, ma dopo tutto la questione non è neppure differente da quella della pena di morte. In effetti nel problema specifico che abbiamo di fronte che co­ sa ci si può attendere dalla applicazione di queste ,tecniche? E in primo luogo con quale altro sistema tecnico entrano in relazione? Unicamente con lo Stato. È proprio così che tutti l'intendono: questi mezzi cominciano a diventare pericolosi quando lo Stato se ne serve e quest'ultimo se ne servirà per una decisione arbi­ traria. Abbiamo già visto che quando l'uomo decide da sè di uni­ re partcchie tecniche queste costruzioni sono raramente solide; il tessuto tecnico del nostro mondo si è intrecciato naturalmente, e non per una decisione umana arbitraria, ed è questo che gli dà una solidità. Inoltre il campo d'applicazione di queste tecniche è necessariamente assai limitato: questa applicazione non sarà de­ cisa che per quelle persone espressamente designate dallo Stato co1ne nemici o indesiderabili. Che si cerchi di costringere gli uo­ mini liberi, o di eliminare i vecchi, che si cerchi di ottenere delle rivelazioni e dichiarazioni sensazionali durante un proces­ so, tutto questo può in effetti seguire un disegno dello Stato, ma in modo limitato. Perchè in fine lo Stato non avrà nessun inte­ resse a generalizzare questi mezzi che sembrano degradare il genere umano; al contrario ha bisogno di esseri umani interi e vigorosi in piena forma morale e intellettuale e fisica per esse­ re meglio servito. Ciò che invece necessita allo Stato è il modo di integrare totalmente gli esseri nella loro interezza. Ora que­ sti mezzi noi stiamo per averli. Lo Stato tecnico non deteriora il suo materiale: sarà dunque soltanto nei riguardi di un mate­ riale già inutilizzabile, sia perché refrattario, sia perché debilitato che lo Stato potrà essere indotto ad utilizzare uno di questi mez-

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    zi. E anche se il fatto in sé 110n è certamente trascurabile noi siamo obbligati a constatare che lo Stato possiede molti altri mez­ zi per arrivare alla stessa soluzione. Poiché dispone già, necessa­ riamente, nei riguardi dell� persone che abbiamo detto, dei carn. pi di concentramento e della pena di morte; non si vede perciò perché dovrebbe cercare (salvo per eccezione quando -si tratta di una dimostrazione di propaganda) sistemi più complicati, e non vediamo neppure perché ci si dovrebbe indignare di quello che in fondo è un male minore. Inoltre quest i interventi hanno un altro difetto dal punto di vista dello Stato: non possono essere generalizzati e possono es· sere decisi solo per casi limitati. Occorre una decisione partico­ lare dello Stato, non è una tecnica che funziona da sola con la regolarità autonoma della polizia, per esempio; occorre pure in­ dirizzarsi a casi appunto limitati perché bisogna lasciare il gros­ so pubblico nell'ignoranza. Quest'ultimo è ben lontano dall'es· sere disposto ad accettare tali interventi; ma è pronto invece a commuoversi per questi fatti. Il rischio di una reazione popo­ lare (anche momentanea) è troppo grande per un vantaggio tec­ nico conseguito dallo Stato. Pertanto occorre tenere segrete que­ s te operazioni, e pure questo suppone un'applicazione limitata. Per tutte le ragioni dette non ci sembra di essere in presenza di un fattore importante per quanto riguarda ,tecniche umane. Senza dubbio si può immaginare il momento nel quale la chi­ rurgia modificherà la struttura del cervello e ricostruirà una per­ sonalità positiva attraverso questi mezzi. Ma tutto ciò è ancora di là da venire, e pensiamo che vi siano poche possibilità di ap· plicazione pratica al di fuori del campo della medicina. In effetti questo progresso chirurgico potrà effettuarsi solo in un avvenire relativamente lontano. Ora se �i tiene conto della straordinaria rapidità dello sviluppo della psicosociologia e della psicoanalisi sociale, ambedue applicat e collettivamente, ci si ren­ de conto che i principali risultati che uno Stato totalitario po­ trebbe ottenere da una modificazione chirurgica saranno già rag­ giunti attraverso queste azioni immateriali. L'azione chirurgica potrebbe avere solo un'effetto di consolidamento, ma allora ci s1 può chiedere se EL SECOLO

    senti nel pensiero del ,tecnico che questo grande esser e astratto dal quale e per il quale si trova giustificato. Il tecnico non ha un'ideologia e neppure una filosofia o un sistema; conosce dei metodi che applica con soddisfazione per­ ché rispondono a risultati immediati; egli prevede i risultati che ricerca, e non sono appunto dei fini ma dei risultati. E oltre que­ sto si effettua un gran salto nell'ignoto e in questo ignoto si trova la spiegazione di tutto, la risposta a tutte le obiezioni: il mito dell'Uomo. D'altra parte il tecnico non vi crede affatto o assai poco. Non ha neppure il tempo per approfondire queste cose, c'è una convinzione pronta e comoda, c'è una risposta che va sempre bene quando si parla della tecnica. ·Certamente non si tratta di una giustificazione cosciente. A chi servirebbe? Il tecnico non si sentirebbe affatto colpevole, le sue buone intenzioni sono talmente evidenti, e ·i risultati eccel­ lenti della sua tecnica sono talmente indiscutibili! No, il tecni­ co non ha bisogno di essere giustificato ma se il minimo dub­ bio penetrasse in 1ui la risposta sarebbe chìara ed enorme nel tempo stesso: non c'è più niente .da dire poiché quest'uomo per il quale lavora il tecnico siete pure voi. Questo Uomo? L'Uma­ nità, la Specie, il Proletariato, la Razza, l'Uomo eterno, l'Uomo creatura, tutti i sistemi ritornano in definitiva a questa astrazione. E trascurando tutti i sistemi, anche quando si applica una fraseo­ logia differente (comunista o liberale) è sempre in ultima analisi a questo riferimento che si riporta il tecnico. E d'altra parte non ha una sufficiente esigenza intellettuale per chiedersi in primo 1 uogo che cosa significhi questo e poi che rapporto esista tra questo Uomo e la tecnica. A che servirebbe d'altra parte? Qui si tratta proprio di una sovrastruttura nel senso marxista. È una secrezione naturale del progresso tecnico e nulla di più. Così noi ci troviamo da un lato di front-e a diverse :tecniche che esercitandosi ciascuna su qualche parte cfell'uomo non attac­ cano mai a fondo e non mettono mai in pericolo il suo essere stesso; e da un altro lato di fronte a un mito dell'Uomo che più o meno deifica l'uomo stesso ma che in tutti i casi afferma solennemente che la tecnica è sottomessa all'uomo. Che cosa si può volere di più?

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    Veramente un fatto sfugge ai tecnici. È il fenomeno della convergenza: si è potuto definire (Monnerot) il totalitarismo po­ litico come una convergenza tra più storie naz.ionali e più siste­ mi politici. Qui pure assistiamo a questa convergenza sull'uomo di parecchie tecniche, non solo, ma sistemi o complessi di tec­ niche. Questa convergenza crea il totalitarismo dell'operazione. È questo che fa si che, in definitiva non c'è più una parte del­ l'uomo indenne; libera, indipendente dalla tecnica. Questa con­ vergenza è come quella dei proiettori, ciascuno con una sua to­ nalità, una sua intensità, una sua direzione specifica, ciascuno dei quali non pretende di rischiarare da solo ma adempie a una sua funzione particolare: l'effetto reale non può essere valutato dal punto di vista di ogni proiettore, ma dal punto di vista del­ l'oggetto illuminato. Cosl le tecniche: numerose tecniche conver­ gono verso l'uomo. Ogni tecnico può pensare in buona fede di lasciare intatto l'uomo. Ma non è l'opinione che conta, perché il problema non « è quello de1la sua tecnica, ma quello della con­ vergenza. Non è sul filo della sua tecnica che si può decidere se l'uomo resta o non resta intatto. È solo a livello dell'uomo stesso che questo può decidersi: cioè nel punto della convergenza dei sistemi ». Per questo siamo stati obbligati a fare, in precedenza, una sorta di censimento dei diversi complessi tecnici messi in . azione dall'uomo. Prima però due note ancora. È proprio certo che questa con­ vergenza non è assolutamente volontaria. Nessun tecnico fa da direttore d'orchestra in questo fenomeno così spontaneo. Si tratta di uno stadio normale di evoluzione della tecnica sempre che gli operatori siano coscienti o almeno consenzienti. Certi intellettua­ li hanno il senso di questa convergenza e pensano, con molto ottimismo, che il movimento tecnico si indirizza in definitiva a questo tutto dell'uomo. È vero che alcuni tecnici ricercano a tentoni la congiunzione di parecchie tecniche dell'uomo in un solo fascio; ne sono dei buoni esempi la cibernetica e la medi­ cina psicosomatica. In queste due noi possian10 trovare una con­ ferma di questo fenomeno di convergenza: ci mostrano che noi siamo in questo tempo, proprio nel momento in cui il fenomeno tende a divenire cosciente. L'uomo cerca di prendere e di uti­ lizzare quello che esiste già; ma l'operazione è difficile a causa della specializzazione, e i tecnici incontrano considerevoli ostaco­ li da sormon,tare prima di comporre esattamente i pezzi di que.

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    sto e puzzle>. Si tratta di congiungere e non di unire: congiun­ zione che è stata già fatta sull'uomo. Sono solamente le dpera... zioni tecniche che non corrispondono esattamente le une alle altre: e ci si potrà arrivare soltanto attraverso una nuova tec­ nica di organizzazione. Quando i « giunti 1> saranno stabiliti, le tecniche dell'uomo si svilupperanno straordinariamente presto e appariranno possibilità di azione ancora sconosciute, possibilità che oggi si possono solo indovinare in modo inesatto nella pe­ nombra dei regimi totalitari. L'ultima nota riguarda i giudizi che saremmo tentati di fare. In questa materia occorre evitare di giudicare presto e in modo sommario; occorre evitare di perdere la testa, di vedere l'uomo diviso in pezzi o a brandelli; occorre rifiutarsi di riferirsi al vocabolario mistico. Noi sappiamo malamente che cosa è l'uomo e non serve a nulla proclamare il suo carattere sacro né una sua parte inalienabile e puramente personale, né il suo valore su­ premo. Ci possono essere qui delle realtà che noi intravediamo ma che ci sfuggono non appena vi mettiamo la mano sopra, non appena vogliamo precisare che cosa è e dove si trova questo valore. C'è veramente? Certamente, quando noi vediamo l'uomo assalito da ogni par.. te dal meccanismo, siamo tentati di dire di sì, ma quando poi analizziamo in modo concreto la situaziòne non scopriamo più neppure se un valore è in causa. Occorre un altro sistema di referenze, una concezione prestabilita e non scientifica dell'uomo; ma allora non dobbiamo poi meravigliarci delle reazioni diver­ genti quando si parla dello choc delle tecniche sull'uomo. E in senso inverso, d'altra parte non si può dire che questo sia senza importanza. :È falso dichiarare: « Che cosa è dunque che aggredi­ sce l'uomo? 1>, ed enumerare analiticamente le componenti psichi­ che determinate attraverso i mezzi più recenti per dimostrare che dopotutto nulla è in pericolo. Non sappiamo mai se nell'uomo non ci sia qualche altra cosa, tale che le nostre analisi e i nostri apparecchi non possano rivelarla; siamo anzi certi del contrario, perfino i materialisti. Ora da questo centro, da quest'asse invisi­ bile ma indispensabile al moto della ruota, immobile mentre la ruota gira, dipende tutto il resto. Noi non possiamo dunque dichiarare: « La tecnica può pren· dere tutto nell'uomo, ed è senza importanza visto che non può

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    toccare questo centro inafferrabile�- Questo dualismo è impos­ sibile. Perché necessariamente questo centro non è astratto ma incarnato, e se la qualità dell'uomo dipende da questo centro noi non abbiamo più il diritto di dire che essendo modificata que­ sta qualità, venendo triturato l'essere fisico e psichico dell'uomo, l'essenziale sia salvo. Vi sono ,pure tutte le possibilità perché quel­ lo che si chiama « la Persona'> sia gravemente compromessa in questa avventura. Ed è pure una cattiva scappatoia dire: « Dopo tutto, ciò che noi possiamo sapere dell'uomo è già il risultato di tante influenze, sono tante correnti sociali e tante abitudini col­ lettive che «fanno� l'uomo; perché inquietarsi per l'influenza della tecnica? �. Noi pensiamo che vi siano ancora molti difensori dell'idea di uomo in sé, la natura del quale sarebbe indipendente dall'am­ biente. Ma vi è un mondo intero tra questa constatazione e l'in­ differenza mostrata dagli adulatori della tecnica, e basterà ricor­ dare due cose: intanto non ·è una ragione quella che l'uomo è sottomesso ad una certa influenza pèr sottometterlo anche ad un'altra influenza; inoltre c'è differenza tra l'influenza sponta­ nea poco coercitiva di un gruppo sociale individualista e la in­ fluenza calcolata precisa ed efficace delle tecniche. Abbiamo già incontrato tutto questo a varie riprese. Ma non appena si entra in questi campi si è preda dei pregiudizi, siano essi religiosi o scientifici, e portano sempre a un insieme di dichiarazioni ter­ ribilmente banali e superficiali. Noi cercheremo di evitare questi giudizi (favorevoli o sfavo­ revoli) e queste constatazioni giornalistiche che tutti conoscono... D'altra parte il nostro scopo non è tanto quello di cercare le modificazioni operate sull'uomo quanto le tr�cce del suo accer­ chiamento più o meno completo da parte delle tecniche. Infine non dimentichiamo che questi elementi che formano le tecniche dell'uomo sono sempre legati ad altre tecniche. Oc­ corre allora stare attenti a non isolarli mai. Quando si dichiara con troppa facilità che le tecniche del­ l'uomo devono compensare gli inconvenienti delle altre tecniche si separano arbitrariamente i due campi. Le tecniche dell'uomo dipendono strettamente dalle tecniche economiche, politiche, mec­ caniche: e ne dipendono non solo per la loro origine e--per la loro possibilità, ma ben di più per la necessità della loro applicazione. L'economia e la meccanica formano un quadro, un

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    settore al quale appartengono rigorosamente le tecniche dell'uo­ mo. Sopprimendo questi luoghi comuni si rendono facile l'ana­ lisi di queste tecniche e rassicuranti le conclusioni che ne deri­ vano: ma anche completamente inesatte. Le tecniche dell'uomo esistono nella misura nel1a quale l'uo­ mo è sottomesso alle condizioni dell'ambiente economico e nella misura nella quale l'ambiente meccanico permette di esercitare su di lui mezzi scoperti. Trascurare tutto questo vuol dire en­ trare nel sogno, e ammetterlo significa accorgersi che queste tecniche dell'uomo sono condizionate nella realtà (non nell'astra­ zione filosofica dove la libertà è sempre possibile) dall'economia, dalla politica e dalla meccanica. Le tecniche dell'uomo non possono dominare in nessun momento perché non esistono se non in rapporto alle altre: non sono mai allo stato puro e oc­ corre allora interpretare i loro mezzi, le loro tendenze, i loro ri­ sultati in rapporto alle altre. Se le tecniche dell'uomo determi­ nano un conflitto con le altre tecniche vengono facilmente bat­ tute perché non hanno più sostanza. Nella misura per esempio nella quale le tecniche dell'uomo andrebbero incontro alle neces­ sità della produttività economica rovinerebbero ciò che permette la loro applicazione. Perché senza questa produttività ad _oltran­ za, come troverebbero gli uomini il denaro e il tempo necessa­ rio all'applicazione delle tecniche dell'uomo? Queste tecniche sono quindi obbligate ad entrare in azione secondo il loro turno e le conclusioni rassicuranti sembreranno allora assai meno certe. La questione precisa sarà allora la seguente: noi possiamo percepire certi echi delle tecniche nell'uomo. Come ci permetto­ no questi echi di misurare il grado di accerchiamento dell'uomo da parte delle tecniche? L'uomo-macchina. - Si sviluppa quindi una conoscenza del­

    l'uomo sempre più completa. Si può credere e ammettere che vi sia effettivamente una liberazione dell'uomo? Ciò che l'uomo faceva spontaneamente è ora analizzato sotto tutti i suoi aspetti. L'oggetto, il modo, la durata, la quantità, il risultato, tutto, in tutte le azioni e in tutti i sentimenti dell'uomo è contabilizzato, schematizzato e razionalizzato. Abbiamo la creazione di un tipo che è veramente il solo normale. e La tecnica mi fornirà le nor-

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    me della mia vita per quanto concerne il lavoro, la nutrizione, l'abitazione, l'educazione etc ...» (A. Sargent). Ben inteso non c'è nessun obbligo per l'uomo di conformarsi attualmente a questo tipo. Lo può anche disprezzare ma si tro­ verà in una posizione inferiore in rapporto a lui in tutte le cir­ costanze nelle quali saranno a confronto. Le tecniche avranno allora il risultato press'a poco obbligatorio di condizionare il comportamento dell'uomo soprattutto nella famosa « Coppia Uo­ mo-Macchina» che sembra essere la formula dell'avvenire. In questo accoppiamento dell'uomo e della macchina c'è veramen­ te la composizione di un essere nuovo: perché si insiste sempre sulla tendenza attuale dell'adattamento della macchina all'uomo. È un grande progresso senza dubbio 1na che ha una contropar­ tita: suppone l'adattamento perfetto di questo uomo a questa mac­ china. L'uomo è attualmente già modificato: ed è a questo uomo già adattato che si cerca di adattare l'apparecchio e la cosa divie­ ne sempre più facile. Tanto più che se le tecniche dell'uomo vanno in questo senso il fenomeno si produce pure spontanea­ mente e il fatto ben conosciuto della fissazione degli operai nel loro lavoro è a questo riguardo molto significativo. Quando l'operaio comincia a lavorare alla «catena:, prova frequentemente un malessere. L'uomo . Certamente egli dirige rà effettivamente la mac­ china ma al prezzo della sua propria individualità. Si obbietta l'adattabilità indefinita dell'uo1no. L'uomo si è già adattato a tante situazioni, a condizioni diverse ed opposte e le ha superate senza perdere la sua vita personale; perché non dovreb.. be pure adattarsi a questo ambiente tecnico senza perdersi? Qué-

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    st'adattamento produrrebbe un tipo d'uomo nuovo, ma perchè sa­ rebbe condannabile? A questa teoria spesso ripetuta negli anni scorsi si può rispondere in primo luogo che la famosa adattabi­ lità dell'uomo ·è senza dubbio esatta, ma che produce dei risul­ ta ti assai differenti. Un abitante della Terra del Fuoco può riu­ scire ad adattarsi alla vita del Capo I-lorn, ma non si può dire che sia un tipo d'uomo molto desiderabile. È la stessa cosa per i lenoni della via De Lappe: siamo convinti dell'adattabilità del­ l'uomo ma molto meno della bontà dei risultati per quanto con­ cerne gli uomini concreti. E abbiamo la debolezza di interessarci più agli uomni piuttosto che a quest'Uomo che non esiste, che è solo un'immagine e una astrazione. Fare intervenire l'Uomo in questo dibattito .è una scappatoia che permette tutte le operazioni e tutte le astrazioni: e anche di essere tranquillizzati. Perché infine in rapporto a quest'Uomo paludato di tutte le virtù e di tutte le potenze, compresa la per­ manenza attraverso le mutazioni, compresa la coscienza eterna (che si è d'altra parte così abili di rifiutare ai piccoli uomini) cambiano i termini della questione. Noi facciamo la stessa operazione per quanto concerne l'uni­ verso-campo di concentramento, dove ci troviamo. Non è l'adattabilità dell'Uomo, ma degli uomini che importa. Non è nell'anima eterna della specie che noi troveremo una risposta ma nella persistenza della nostra, forse non eterna. Ora, la no­ stra adattabilità personaie è limitata. Vi sono delle circostanze nelle quali l'uomo non può vivere. Per esempio, anche senza tor­ ture supplementari, il campo di concentramento. \1 i sono delle circostanze nelle quali l'uomo può sussistere ma perdendo tutto quello che fa di lui un uomo. Basta pensare a certe tribù terri.. bilmentle vicine agli animali, e per certi aspetti inferiori agli animali. Basta pensare al seviziatore nazista. Basta pensare al­ l'avvilimento che colpisce l'uomo ordinario quando si trova nelle file dell'esercito in guerra. Allora ci si può chiedere che cosa sarà quest'adattamento del­ l'uomo nella coppia " uomo-macchina �, coppia armoniosa ma di­ ventata indissolubile perché. l'adattabilità di un uomo non è in­ definita. I psicotecnici hanno già riconosciuto che quest'adatta­ mento non è possibile per tutti gli uomini. Così in un mondo completamente tecnico vi sono certe categorie di uomini che non troveranno posto in nessun luogo, e che occorrerà dappertutto co-

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    munque adattare. Quelli che sono adattabili saranno adattati in un modo tale che non potranno più esplicare nessuna azione. È in effetti il rigore di questo adattamento, di questo raggrup­ pamento, che permetterà all'uomo di non soffrire e che assicu­ rerà anche la sua efficacia tecnica. Fino a qui l'adattamento era stato il prodotto di una intera­ zione materiale, con tutto quello che comporta di rilasciamento, di possibilità di , egli ci dà la chiave di questa azione psicologica: il rendimento è migliore quando l'uomo agisce per adesione piuttosto che per costrizione. Si tratta allora di ottenere questa adesione artificialmente, di agire sul più profondo dell'uomo poiché quest'ultimo spontaneamente non da­ rebbe questa adesione. Ciò che si cerca precisamente di ottenere è che con una decisione apparentemente spontanea l'uomo dia la sua adesione al sistema. Tutti coloro che reclamano perché si dia all'uomo un ideale. o una fede che gli permetta di vivere, so­ no, con la loro buona volontà, i peggiori artigiani dell'impresa tecnica. L'ideale da fornire sarà fornito con mezzi tecnici, per fare sopportare all'uomo la situazione intollerabile creatasi nella civiltà tecnica. Non si dica che questo atteggiamento è contra­ rio a quello degli umanisti: c'è una profonda compenetrazione delle due tendenze, ed è artificiale dissociarle. L'azione nell'ambiente tecnico deve essere non solo esattamente corrispondente a questo ambiente, ma anche collettiva; deve ap­ partenere all'ordine del riflesso condizionato. Occorre in effetti che alla necessità tecnica risponda un perfetto rigore umano e siccome l'ambiente tecnico concerne tutti non è un uomo o qualcuno che devono essere educati ma la totalità, e il riflesso de­ ve essere collettivo. « In tempo di pace l'educazione del morale mira a creare nelle truppe questo stato di n·cettività mentale che le renda sensibili a ogni eccitazione psicologica quando verrà la guerra>. Ciò che è esatto per questa ricettività collettiva nell'esercito lo è pure per tutti gli altri gruppi umani interessati nell'azione tecni­ ca, e specialmente per le masse operaie. Questa preparazione sup­ pone la collettività perché le masse sono più suggestionabili, e la suggestione è, come abbiamo visto, uno dei fattori più importanti di questo insieme di mezzi. Nel tempo stesso, la massa è intolle­ rante: tutto vero, tutto falso. Il che è bene per le categorie della

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    morale imposte dalla tecnica; ma è possibile solo se la massa è una­ nime e non si lasciano formare delle controcorrenti. La condizione cli efficacia psicologica è in primo luogo la in­ tegrazione in un gruppo, ,e in secondo luogo l'unanimità del grup.. po. Questo non vuol dire che a un livello più elevato non vi pos� sa essere una certa diversità: si tratta di un determinato gruppo (partito, officina, esercito) che deve svolgere una certa funzione tecnica. I mezzi psicologici mireranno a neutralizzare o elinù­ nare le correnti di dissociazione, e anche gli individui aberran­ ti, e nel tempo stesso si cercherà di rinforzare la massificazione per «immunizzare'> il terreno dai germi di rottura. E quando le tecniche psicologiche sono così arrivate a creare l'unità in ac.. cordo con le tecniche materiali, allora il blocco umano è davvero irrazionalmente solido. IV. L'integrazione totale Fino a pochi anni fa si era obbligati a considerare due parti nell'uomo di fronte al mondo tecnico. Una certa parte della sua esistenza era abbandonata al «mostro>, sottomessa a regole im­ periose ed esteriori, ma una altra wna gli era riservata: la sua vita interiore e la sua vita familiare o la sua vita psichica. L'uer mo soffriva di questa lacerazione, ma si riservava una parte di libertà e di personalità. Quando questa parte era troppo grande si parlava di un complesso di inadattamento sociale. E questa scissione non corrispondeva alla vecchia divisione del sociale e dell'individuale. Perché c'era un sociale non tecnico, e un indivi­ duale sottomesso alla tecnica (il modo di lavorare, per esempio): tutte le divisioni interne dell'uomo attuale si rifanno a questa « summa divisio > di ciò che nell'uomo era oggetto di tecnica e di ciò che restava indipendentemente. Naturalmente questa situazione continua ancora: la quasi to­ talità degli uomini nel mondo vive questa separazione e questa lacerazione. L'uomo privato con i suoi attaccamenti al passato, sen­ timentali e intellettuali, soffre per il rigore tecnico. Sono rari co­ loro che hanno rinunciato alla loro vita interiore o alla loro vi­ ta privata per lanciarsi nella vita tecnic a senza rimorsi e senza strascichi: forse qualcuno nell'URSS e negli Stati Uniti. Ma il e gioioso robot> non è ancora nato. Ora questa tensione, questo

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    laceramento sono, l'abbiamo già detto e ripetuto, sempre più dif­ ficili da sopportare. Questa dualità dell'uomo appare sempre più nefasta agli psicologi, ai sociologhi, ai pedagoghi e agli psico­ tecnici. Ed ecco che noi vogliamo rifare l'unità dell'uomo: rifare l'uo­ mo ... un uomo rifatto, in tutti i sensi della parola. Che cosa oc­ corre per questo? Riunire le parti separate dall'avanzata tecni­ ca: ma il mezzo? Può essere di una sola specie, può trattarsi so­ lo di mezzi tecnici: tutte le scienze dell'uomo offrono mezzi tecn1c1. Che ct è da dire se non che si tratta di circondare, ora, ciò che nella persona ancora sfugge? Occorre prenderlo, soffocarlo, rein­ tegrarlo in questo ordine che ingrandisce senza posa. Ciò che era della vita privata deve essere liquidato da tecniche invisibili ma implacabili perché nate dalla persuasione individuale. Ciò che costituiva la vita spirituale subisce lo stesso assalto. Le distrazioni, l'amicizia, l'arte, tutto procede nello stesso senso e pertanto l'unità dell'uomo è di nuovo possibile e grazie a que­ sta unificazione non c'è più da temere inadattamento sociale, o complessi, o sofferenze. L'uomo è unificato, come, sotto la sti­ ratura a vapore il pantalone ritrova la sua forma. Non c'è più altra strada che questo raggruppamento dell'uo­ mo, che sia interamente sottomesso alla potenza tecnica, che sia oggetto delle tecniche in tutti i suoi pensieri e in tutte le sue azioni. Gli uomini di buona volontà che si preoccupano di ritro­ vare l'unità della persona non hanno assolutamente voluto que­ sto: ma il loro errore è di non averlo notato: e lo psicologo co­ scienzioso che rivolge la sua attenzione all'uomo che soffre non vede due soluzioni. Perché veramente la tecnica impone la sua soluzione. Voi arrivate all'unità dell'uomo, certamente si, ma solo integrandolo totalmente nella corrente che aveva in un primo tempo provocato la sua esplosione. Questa esplosione, e forse questa nevrosi sono ancora il segno che tutto non è finito nel processo di assorbimento dell'uomo: ma rifare l'unità significa terminare questo processo, significa spingere l'uomo nella cor­ rente che lo porta senza più nulla che cambia e che rischi di far variare il corso: corpo morto, d'ora in poi, preda dei marosi e delle ondate propagate senza tregua dall'ardore dei tecnici.

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    Anestesia tecnica. - Ciò che sembra più strano in tutto que­ sto processo è questa specie di r1torno costante e complesso che fa sì che l'applicazione di una tecnica destinata a liberare l'uo­ mo dalla macchina lo sottometta più rudemente ancora all'ap­ parecchio stesso. Abbiamo un uomo situato davanti alla macchina, sottomesso ai capricci della macchina; deve seguire il suo ritmo, respirare i suoi acidi, vedere i suoi lampi, fare attenzione per due, sopporta­ re la fatica e la noia. Poi arriva il cronometrista che rettifica e au­ tomatizza i gesti, economizza le forze e trasforma l'attenzione in riflesso. Ma lo psicologo contraddice: che si vede, all'esecuzione pubblica da parte del carnefi­ ce, succede un terrore diffuso. Non si vede quasi più la polizia, ma regna nell'ombra, e le esecuzioni, si sa che vengono eseguite negli scantinati di cemento di grandi caseggiati misteriosi. Ma a uno stadio più avanzato il terrore si dissipa. La polizia è -presente solo per proteggere i buoni cittadini, e non pesa più in alcun modo: non vi sono più razzie, né mistero. La polizia è divenuta scientifica, ciascun cittadino è esattamente schedato: la polizia può raggiungerlo in ciascuno istante, dove vuole. E sic­ come si può fare questo, per ciò stesso in gran parte non occorre farlo. Non vi è alcuna possibilità per nessuno di evadere, cli spa­ rire, non se ne ha neppure voglia. Cosa fuggire? Non è una piccola scheda segnaletica di qualche millimetro di altezza che è così terribile I Noi qui scorgiamo esattamente il processo delle tecniche di umanizzazione. Consistono principalmente nel rendere meno gra­ vi e quasi impercettibili gli inconvenienti delle altre. Occorre a questo scopo perfezionarle in modo tale che da un lato non la­ scino più alcun margine di errore e di iniziativa, e d'altra parte tolgano al soggetto il gusto e il desiderio di fuggire. Si -potrà dire ancora che lo scopo è quello di togliere ogni margine di errore e di iniziativa: ed è proprio così. In una macchina, un ingranaggio grippa, un tubo non è esattamente centrato, una biella scalda troppo: è questo che fa sentire che la macchina esiste, è qui che si sente l'inconveniente. Ci vuole allora un'al­ tra tecnica, di grassaggio per esempio, che renda impossibile

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    l'attrito: « si direbbe che il motore non esiste�. Questa frase tan­ te volte udita in un buon motoscafo rappresenta l'ideale di ogni tecnica: per questo occorre arrivare al sommo della perfezione tecnica. E trattandosi della coppia « uomo-macchina� ciò che grippa è lo choc tra l'uomo e l'organizzazione. È l'iniziativa in­ dividuale che non risponde alla previsione meccanica, è l'errore della macchina che si vede troppo, è l'errore dell'utente che uti­ lizza al di tuori delle regole previste l'organismo automatico. Si tratta allora di perfezionare la tecnica e di sottomettere l'uomo a un'altra tecnica tale che non risenta più i grippaggi della prece­ dente e non debba più avere contatto diretto con la macchina stes­ sa. Già molte macchine dotate di una certa autonomia, dotate di memoria e di capacità di anticipo mostrano bene la possibilità di una tecnica autocomandata, senza interferenze esterne (Latil). Si dirà che è immaginazione, che non si arriverà mai a questo sta­ dio. Certo, la perfezione non è di questo mondo, ma sarà suffi­ ciente anche una buona approssimazione. Negarlo a priori si­ gnifica assumere l'atteggiamento di chi alzava le spalle di fronte al più pesante dell'aria, e vuol dire pure negare la possibilità stessa di persistenza della civiltà tecnica. Per la quale appunto non vi sono altre vie di uscita; o arriverà alla creazione di que­ sta coppia secondo questa strada o si avvierà a un crollo brutale. Secondo questa strada? Tutto è qui. Non vi sono altre vie pos­ sibili per questa realizzazione? Siamo .convinti di sì, ma bisogna constatare che di queste altre vie, gli scienziati e i tecnici non vo­ gliono sentire parlare. E per restare aderenti alla realtà e non a ciò che potrebbe essere in astratto, siamo costretti a notare che si obbedisce alla regola: « A difficoltà tecnica, rimedio tecnico>. Ora tutte queste difficolt à provocate dall'incontro tra la tecnica e l'uomo sono difficoltà di ordine tecnico, e di conseguenza si applicheranno rimedi tecnici. Si diffida di ogni altra soluzione come nota perfettamente il Sargent che esprime una opinione comune: « L'umanità si trova ancora prigioniera di una menta­ lità metafisica e dogmatica, nel mentre la scienza sperimentale (la tecnica) potrebbe certamente permetterle di trovare la soluzione dei principali problemi. Siamo ancora infossati a metà nella sco­ lastica mentre solo la biologia ci può salvare ... I dogmatismi han­ no dimostrato la loro malformazione... È dunque ormai indispen­ sabile rifiutare le seduzioni dei sistemi basati su interpretazioni, e rivolgersi piuttosto verso la realtà che passiamo conoscere, che

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    ci appartiene. Le scienze della vita uniscono i mezzi di cono­ scenza e di azione in ciò che hanno di necessariamente comple­ mentare. Tutte le dottrine che si ispiravano a concezioni astratte hanno ormai rivelata la loro incapacità fondamentale a organiz­ zare il mondo degli uomini: la biocrazia, cioè l'organizzazione secondo le leggi fondamentali della vita rappresenta la nostra sola possibilità di salvezza in un momento della nostra evolu­ zione nel quale le metafisiche e altri sistemi residui di civiltà arcaiche avvelenano ancora la vita degli uomini .,_ La cosa è dunque chiara: ciò che è catastrofico nella nostra situazione è la sopravvivenza delle filosofie, delle dottrine po­ litiche, delle religioni. Non avremmo mai creduto che potessero avere tanto potere: quanto alla tecnica, è perfettamente innocen­ te per tanti turbamenti. Malgrado queste esagerazioni, il testo è chiaro: non vi ·è altra risposta possibile, non c'è altra via di spe­ ranza che il miglioramento delle tecniche umane. Ogni altro mezzo è inefficace e inadatto. Questo atteggiamento è proprio quello della maggioranza dei tecnici, ed abbiamo visto quale avvenire ci riserva. Integrazione degli istinti e dello «spirituale>. - Entriamo qui

    nel punto più misterioso della civiltà tecnica. Non si tratta più direttamente di una tecnica dell'uomo, ma delle conseguenze. Come non arrivare a prendere sul serio il nostro mondo af­ fermando la straordinaria potenza di reazione dell'uomo? Non vediamo forse che dappertutto in questo mondo che diciamo chiu­ so si afferma la libertà dell'uomo? Vi sono parole magiche che fanno esplodere « i rigori decretati contro l'uomo >. Appaiono forme letterarie o musicali, la pittura astratta, il surrealismo, il jazz, e forme etiche (l'erotismo) e forme politiche (l'impegno) che manifestano in questo mondo tecnico la supremazia dell'uo­ mo, la sua decisione, e in definitiva la sua libertà. Che questi fenomeni siano in diretta relazione con la tecnici­ tà della nostra epoca nessuno potrebbe negarlo, ma tutta la que­ stione è nella loro interpretazione. Esistono certo nell'uomo potenze psichiche che hanno una for­ za ancora sconosciuta. L'uomo è capace di passioni sconvolgenti e impetuose. Non sembra che si siano raggiunte quelle sorgenti vitali che si possono chiamare sessualità, spiritualità. Ma ogni volta che dal più profondo dell'uon10 esce una manifestazione di

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    queste potenze, urta nel guscio di ferro che ci stringe da ogni parte. E ancora di più, la tecnica attacca l'uomo, lo colpisce pro­ fondamente nelle sue sorgenti vitali, lo ferisce nel suo stesso in­ timo: abbiamo visto che l'obbiettivo di alcune di queste tecniche dell'uomo è proprio quello di spogliare l'uomo della sua intimità. C'è allora fatalmente una reazione dell'uomo contro questa aggressione e quando H. Mille-r lanciò il suo grido di rivolta contro il mondo moderno, è chiaro che l'erotismo sul quale si ap­ poggia è un appello agli impulsi più primitivi contro la nostra civiltà. Così quando i neri d'America erano schiavi, « New Or­ leans � è stata lo sfogo della disperazione, la liberazione delle catene. Soltanto, dobbiamo rifiutare l'idealismo e poiché il jazz è oggi certamente una delle forme più avanzate di questi appelli umani, dobbiamo riferirci precisamente al momento nel quale il jazz era ancora nel suo limbo. I neri schiavi, senza speranza di liberazione, il lavoro, la ca­ tena, le punizioni, l'odio, le rivolte soffocate. L'imperatore nero di San Domingo è solo un terrore di sogno. Che cosa resta? Si scopre il canto, che risponde d'altra parte alla fede, il canto che esprime insieme lo sconforto del tempo presente e la speranza della liberazione in Cristo, il canto che fa sprofondare nel de­ lirio, ed è una liberazione come per altri l'alcool: l'incoscienza alla quale ci conduce il canto è una risposta alla condizione umana come per altri l'oppio. E ci sembra proprio esatto, altrettanto esatta che la nota di Marx riguardante la religione del XIX secolo, che il jazz è per i Neri d'America un modo di dimenticare per un certo periodo la loro situazione, un modo di sopportarla, di accettare la schiavitù, un affievolimento della loro collera e della loro angoscia, una fuga dalla responsabilità, uno schema alzato tra la realtà e l'uomo. Il risultato del jazz è stata la creazione di una forma d'arte ma anche la caduta, per i Neri di ogni possi­ bilità di liberazione. Perché non sono i Neri che si sono liberati: il jazz li rinchiudeva sempre più nella loro schiavitù dalla quale traevano una dilettazione morosa. Ora è assolutamente significa­ tivo che la musica degli schiavi sia divenuta la musica degli uo­ mini di tutto il mondo. È vero che le potenze istintive sembrano nel nostrò tempo più scatenate che mai: un debordamento della sessualità, una



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    passione della natura, montagna e mare, una follia dell'azione, sociale e politica: non vi sono stati molti periodi nella storia nei quali queste forze hanno agito con tanta evidenza e sono state affermate con tanta autorità. E pure qui, non è questione di negare quello che ci può essere di valevole. È bene che gli uomini della città vadano in campagna, è bene che un erotismo ben distinto distrugga una morale tradizionale e sclerotica, è be­ ne che la poesia si esprima di nuovo altamente grazie al sur­ realismo: solo bisogna constatare che queste diverse attività che pure esprimono le più profonde passioni dell'uomo sono perfet­ tamente innocue. Non fanno n1ale a nessuno, non minacciano nul­ la, non rimettono nulla in questione. Béhemoth può dormire tra due guanciali, non saranno l'erotismo di H. Miller né il sur­ .realismo di A. Breton che gli impediranno di dirigere l'uomo. Per poco che si analizzino questi movimenti ci si con vince subito che si tratta di un puro verbali�mo, di un puro formali­ smo. Perché il famoso atto surrealista puro, nessuno l'ha com­ piuto, e circa la sedicente rivoluzione etica operata dal Miller, i romanzi neri, Boris Vian e qualche altro, occorre perlomeno non dimenticare che si traduce, nei riguardi dell'uomo normale, in un incoraggiamento a frequentare i bordelli; operazione che non è stata considerata molto rivoluzionaria, né affermazione di libertà. D'altronde, attaccare la morale borghese in un momento nel quale crolla un po' dappertutto è alquanto inoffensivo, e se si parla come di persecuzioni dei sequestri e dei processi intentaci agli autori «neri'> vorremmo anche parlare dei benefici che pro­ vengono agli stessi autori da questi piccoli scandali. Non pcssia­ mo credere al valore rivoluzionario di un atto che rende denaro. Ed è pure qui che «l'impegno, politico è viziato. Si incon­ tra esclusivamente in due forme: entrare a occhi chiusi, testa bas sa, bocca cucita in un partito, e tutti i partiti tendono a di­ ventare monolitici. Non sappiamo che il cadavere di cui si tra­ sporta il feretro, anche se l'auto delle Pompe funebri corra a 90 km. orari, manifesti una particolare attività né una qualunque libertà. Oppure per gli intellettuali e per i dirigenti si tratta di tro­ vare l'operazione politica più favorevole, che permetta di guada­ gnare insieme l'adesione della folla e denaro. Anche qui non 4

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    riusciamo a capire come un vincitore della lotteria nazionale . possa passare per martire. In un altro campo riconosciamo che la passione della natura porta diritto - quando non è un borghese che va a caccia � a integrarsi in un branco di montoni che va a campeggiare in ordine nei luoghi indicati: sopratutto nessuna iniziativa Q ec­ centricità (se non quelle di buon tono e comuni: per le ragazze mostrare il sedere, per i ragazzi suonare l'armonica). Si assiste insomma alla messa in moto delle più grandi for­ ze della natura umana per arrivare ad avere un po' di distra­ zione. Si può far suonare il grosso campanone, che una volta chiamava alle armi, per far distrarre i turisti stranieri. Non si tratta per noi di fare una analisi completa di queste forze sociali (1). Basta mettersi di fronte a questa prodigiosa oppo­ sizione, tra le pretese di un A. Breton, per esempio, le potenze smosse, e la spaventosa mediocrità dei risultati che non sono neppure negativi, che sono meno che negativi. Questo per numerose ragioni. Vogliamo soltanto ricordare qui che tutti questi movimenti si inseriscono in una civiltà tecnica. Abb:amo qui un esempio di quanto dicevamo nel capitolo II, che la tecnica comprende ora la civiltà: tentativi di cultura, di li­ bertà, di poesia, sono semplicemente inseriti in questo classifi­ catore gigantesco, in questo schedario vivente che stabilisce la tecnica. Si impone allora una questione precisa: in che la tecni­ ca trasforma questi tentativi dell'uomo, dell'uomo preso come una mosca sotto un bicchiere capovolto, che resta sconvolto contro le pareti di vetro tentando di uscire dalla gabbia che si è co­ struito da solo, ma riuscendo tutt'al più ad incollare le ali alla trasparenza che crede libertà e perdendo per il suo stesso tenta­ tivo, la sua ultima possibilità e giustificazione? Una prima azione della tecnica su questi movimenti proviene dal monopolio dell'azione. Non vi è più alcuna forma di azione se non attraverso l'inter­ mediario della tecnica. È la grande legge che si incontra al pri.. mo passo fatto fuori della propria casa. L'espressione di un pen.. siero, di una volontà non può più effettuarsi in altro modo che (1) Abbiamo studiato a fondo questi diversi problemi in una serie di articoli in e Conformismo del nostro tempo>, in Réforme (1949).

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    prendendo a prestito dalla tecnica i suoi modi di espressione. Non c'è più un'espressione originale, indipe ndente, tutto si ritrova nel­ la stessa strada. Le operazioni più semplici sono ora inserite in un organismo tecnico. Scriviamo un libro rivoluzionario? Ma en­ tra pure nel circuito dell'organizzazione tecnica dell'edizione. Che dire? O si tratta della tecnica capitalista e allora il libro sarà edito se è capace di procurare guadagno e denaro all'editore, cioè se può trovare un pubblico: dunque se non attacca i veri tabù del pubblico al quale è destinato. La casa editrice borghese non stamperà Tulipe né Lenin, la casa editrice rivoluzionaria non stamperà Paul Bourget, e nessuno stamperà il libro che attacca la religione del nostro tempo, le potenze sociali dominanti. D'al­ tra parte il libro deve entrare in certi quadri tracciati dagli edi­ tori e ogni libro che non ha questi requisiti nel soggetto e nel­ la presentazione, ha ben poche possibilità di « passare ». E c'è inoltre lo stadio più elementare dell'organizzazione! Un passo ancora e incontriamo il sistema ben conosciuto del « re-write 2>. Oppure si tratta di edizioni di Stato: e in questo caso non si parla proprio di letteratura rivoluzionaria. È spiacevole ma bi­ sogna ripetere che la potenza dei mezzi tecnici messi in opera per diffondere il pensiero conduce necessariamente a evitare questo pensiero. È proprio questa la situazione della radio: non ha altra scelta, o capitalismo privato o statalismo. Non possiamo essere d'accordo né con coloro che affermano che il capitalismo privato è libertà per la radio (qui la dimostrazione del V eillé è con vin­ cente) né con coloro che considerano lo statalismo una umaniz­ zazione. Abbiamo la prova in tutti i campi che si tratta di un'altra schiavitù tecnica e niente altro. D'altra parte possiamo scrivere di tutto, trattare di tutto, tanto di pornografia che di dichiarazioni infiammate, di nuove dottri­ ne economiche o di pensieri politici inattesi; ma perché si ri­ metta effettivamente in questione l'ordine sociale universale che si va costituendo in tutti i paesi del mondo e al quale aderis�ono di cuore il 99 % dei nostri contemporanei, tutto ciò non ha alcuna possibilità di passare nel canale delle tecniche di diffu. sione. Come nota esattamente il Crozier: « l'intellettuale ha una vita difficile perché vive solo per la comunicazione ed è stato espropriato dei mezzi senza i quali non può comunicare:,. L'in­ tellettua]e è solo un e portavoce 2> sottomesso alle esigenze delle diverse tecniche. Ed è questa, per il Wiencr la causa della pro27. J.

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    gressiva sterilizzazione della vita intellettuale nel mondo moder­ no. I metodi attuali di comunicazione escludono ogni produzione intellettuale, dice il Wiener, salvo quelle che sono convenzionali e senza un vero valore. Questa legge si impone dappertutto. Così la tecnica influenza profondamente lo slancio dell'amore per la natura. È evidente che l'uomo delle città che fugge la sua sorte in un accampamento volontario sfugge per un momento alle tecniche. Ma se questo uomo si mal ti plica? Se diviene folla, se inonda le campagne, se dà fuoco ai pini? Se ne profitta per commettere crimini? Se turba il riposo dei villeggianti stabili e paganti? Se si istalla sul­ le proprietà private e sulle riserve di caccia? A questo punto è in gioco l'interesse pubblico, a questo momento interviene la tee. nica. Interviene come ogni volta che concerne molti uomini nella nostra civiltà. (Inversamente, ha creato una tale civiltà che là dove non non vi sono molti uomini, non c'è nulla). C'è la tecni­ ca poliziesca, la tecnica amministrativa. Il campeggiatore ha uno statuto, associazioni obbligatorie, luoghi per i campi non meno obbligatori, una carta di membro e di identità, e l'atto libero di decisione individuale diviene una complessa operazione am­ ministrativa e poliziesca. E quando si chiede a un uomo di im­ pegnarsi in una azione politica pure qui c'è un meccanismo che sembra scatenarsi. Perché non vi è più azione politica che at­ traverso quantità, attraverso le masse. Ogni e impegno> suppone che si entri in una collettività. Solo una collettività può essere abbastanza ricca per avere i mezzi oggi necessari per e fare la politica'>. Solo una collettività si può fare intendere in un mondo dove la tecnica ha dato la supremazia a ciò che e si conta> su ciò che « si pensa », e in ciò che si conta, il più grande è meglio del più piccolo. Ma questa massa potrebbe essere inorga­ nica? In questo caso sappiamo bene che mancherà di efficacia: occorre al contrario che sia organizzata il meglio possibile. Oc­ corre l'unità, la disciplina, l'elasticità tattica ... Tutto ciò è tipico della tecnica di organizzazione e conduce alla formazione dei partiti monolitici che dovranno necessariamente imporsi agli altri: ancora qui è la tecnica che sovrappone la sua legge all'impulso generoso che può agitare il cuore dell'uomo per la giustizia. Questi brevi esempi - scelti tra i più diversi possibili - mo­ strano abbastanza chiaramente che ogni tentativo dell'uomo deve scegliere oggi, per esprimersi, i mezzi tecnici: non si può più fare

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    .altrimenti. Ma questi ultimi procedono anche « ipso facto > a una sorta di censura sul tentativo stes.-;o. In primo luogo è evi­ dente che la tecnica opera un filtraggio tra ciò che è suscettibile di esprimersi con mezzi tecnici e ciò che non lo è. Il tentativo resterà tipico del campo individuale, cioè, per il nostro mondo, senza importanza. In seguito la combinazione delle diverse tec­ niche comporta un conformismo e modella il fondo stesso del­ l'impresa per adattarlo al tempo. Non è vero che ciò che si espri­ me attraverso le tecniche possa essere non conformista. Sarà non soltanto riportato a una comune misura da una comune espres­ sione, ma inoltre, sul fondo del problema della società moderna reso senza importanza e senza conseguenze, edulcorato, evirato. Il gioco degli interdetti tecnici di fronte alla pretese anarcoidi di qualcuno aderiva spontaneamente ai desideri del dott. Goebbels quando formulava questa grande legge dei tempi moderni: e Po­ tete fare il vostro saluto liberamente, come meglio credete.:i a con­ dizione che questo non cambi nulla nell'ordine sociale>. Tutti i tecnici sono d'accordo su questo postulato> essendo in­ teso che l'ordine sociale che varia superficialmente dalla demo­ crazia al comunismo, al fascismo è nella sua essenza lo stesso. Questi tentativi dell'uomo, sono separati dalla loro conseguenza dall'uso dei mezzi che è divenuto impossibile trascurare. Ora - è un fatto da constatare - gli in1pulsi e i fenomeni estatici grandeggiano ai nostri giorni nelle società più tecniche. È piuttosto infantile credere che il fascismo o il comunismo ab­ biano creato all'improvviso una mistica, che l'abbiano imposta al popolo, che abbiano messo su una specie di pallone gonfiato e abbiano « sedotto » o « illuso l) tutti. È troppo comodo, da un al­ tro lato considerare le condizioni psicologiche e dire che l'anima russa e l'anima tedesca vi erano predisposte. Perché dopo tutto vi sembrano predisposte anche l'anima italiana e quella iugosla­ va, e pure quella cinese. Da una parte il mito suppone un fondamento psicologico e il popolo vi aderisce perché risponde a qualcosa di vero: d'altra parte poi questo qualcosa di vero non è certamente specifico poi­ ché noi vediamo aderirvi popoli assai diversi: non è una pre­ disposizione naturale ma una condizione particolare di questo tempo e comune alla maggior parte degli uomini di questo tempo. Da un lato non è una creazione arbitraria dei regimi dittato-

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    riali che sprofonda con loro e non ha altro fondamento che la volontà folle di qualche potente, e dall'altro lato non è un movi­ mento dell'anima popolare, perché questo presupporrebbe un pro­ fondo intervento, un rimescolamento, una presa di possesso ec­ cedenti le spontaneità mistiche. Per molto tempo si è creduto che la tecnica avrebbe dato una società armoniosa, equilibrata, felice e senza problemi, una so­ cietà che potrebbe addormentarsi dolcemente, producendo e con­ sumando, con tranquille ideologie con1merciali. Il modello della tranquillità borghese sembrava rispondere esattamente alle preoc­ cupazioni tecniche, e il , che una grossa battaglia si svolgesse tra la Macchina e l'Economia da un lato e l'Ideale, la Religione, l'Arte e la Cultura dall'altro. Questo modo di considerare le cose infinitamente semplicista è oltrepassato. La mistica è sottoposta al mondo tecnico e lo serve. Così la tecnica opera molto più profondamente portando al­ l'integrazione nella società le potenze anarchiche e antisociali de�­ l'uomo. Queste potenze ricevono la loro autorità dai mezzi tec­ nici impiegati, vengono così diffuse; ciò che avrebbe raggiunto solo qualche amico si diffonde sul mondo intero. Questi mezzi tecnic i sono tanto importanti che permettono pure audaci novità nell'espressione. Pensiamo alla straordinaria novità dell'arte nel cinema: e non dimentichiamo che questo fatto comporta l'inse­ rimento del pensiero, pur rivoluzionario che sia, nel quadro so­ ciale, in una corrente necessariamente sociologica. Questo pensiero, questo impulso dell'uomo sono riportati a limi ti precisi, sono oggetti di contratti, di benefici, di propa­ gande ... Finché l'enormità dell'Apparato tecnico è in gioco non si può fare altro che ricercarne benefici, in denaro nel mondo capitalista, in potenza ed autorità nel mondo comunista. Comunque sia, il mezzo tecnico permette all'uomo di espri­ mere le sue reazioni in un modo tale che mai aveva potuto pri­ ma: potrà esprimere anche le sue critiche verso questa società, anche · il suo odio, potrà proporre le più folli idee. La grande legge, qui, è che occorre di tutto per fare un mondo, e per fare il mondo tecnico occorre anche la rivolta. Non ci si dica che esageriamo! Questo fatto è coscientemente organizzato, per esempio in URSS con il Krokodil, organo uf­ ficiale di critica politica e amministrativa. Occorre permettere al­ la critica di esprimersi, perché rifiutarla è molto più catastrofico: farla esprimere, a condizione che non comporti alcuna seria con­ seguenza; le si permette di esprimersi appunto perché non ab­ bia alcuna seria conseguenza. Questa, la tecnica lo assicura. Da un lato, certamente, le più violente esplosioni sono ora inqua­ drate nell'apparato e d'altra parte la tecnica permette di soddi­ sfare press'a poco i bisogni dell'ascoltatore. Non bisogna poi pe�­ sare che il lettore entri nella scia dell'autore. J. P. Sartre si la-

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    mcntava di avere dei lettori ma non un pubblico. Ricercava per questo motivi assai complicati (d·altronde in parte veri) ma non vedeva (o rifiutava di vedere) che le condizioni tecniche del­ l'edizione pesano necessariamente su questa situazione. Non è questa solo la condizione di Sartre: c'è già una lunga tradizione. La tecnica, che trasforma la cultura in lusso, mette a disposi­ zione del lettore tanti mezzi di cultura che in effetti nessuno so­ pravanza gli altri, e per chi li usa si tratta comunque di un abba­ gliamento: Sartre partecipa per 1 decimillesimo alle pubblicazio­ ni francesi e raggiunge ventimila lettori, e va bene. Ma è diffici­ le in queste condizioni creare una comunità: e non pensiamo poi che le « caves » di Saint Germain siano il pubblico che so­ gna Sartre. La tecnica costituisce uno schermo tra il creatore e l'ascoltato­ re. Non c'è più quindi una rivolta umana che sia direttamente trasmessa, comunicata, vi sono dei suoni che escono dalla scatola magica e se ne vanno, delle pellicole che bruciano, e fogli stam­ pati tra tonnellate di fogli stampati. Non farete mai di un farfallo­ ne un rivoluzionario. Questa separazione prova in un altro modo ciò che abbiamo già constatato: l'assenza di efficacia spirituale delle migliori idee, in seguito alla loro inserzione nel mezzo tecnico, ciò che le ren­ de materialmente efficaci. Sarebbe a dire che tutto ciò non ha importanza per il pubblico? Sì, certamente, una grandissima im­ portanza, ma non proprio quella che avrebbe voluto l'autore. Quan­ do Miller scrive, quando pone il suo petardo erotico a.I centro della società; come una bomba al plastico, va incontro a un let­ tore la vita sessuale del quale è angariata da questa società, sin­ golarmente messa in disordine dall'organizzazione del mestiere, dall'alloggio, dalle condizioni politiche, ecc. Questo scompiglio reca una sete e forse un sentimento di rivolta. Il lettore trova questa ri­ volta espressa dal Miller sbalorditivamente be-ne, potentemente: nello stesso tempo l'elemento pornografico sbriglia l'immagina­ zione e l'ascoltatore si trova immerso in una specie di delirio erotico che soddisfa il suo bisogno compresso dalla società. In realtà, lungi dallo spingere alla rivolta, il libro di Miller soddisfa quello che avrebbe potuto diventare una rivolta: lo calma, esat­ tamente come l'atto sessuale calma il desiderio, esattamente come il jazz calmava per i Neri il loro aspro desiderio di libertà. Ecco perché il jazz è divenuto la nostra musica. Musica di folli? No,

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    musica dell'uomo che si soddisfa dell'illusoria libertà provocata dai suoni, mentre catene di ferro lo stringono da ogni parte. Stesso .Lneccanismo per quanto riguarda il giornale sovietico Krokodil: il lettore che vede il suo malcontento, la sua rivolta espressi (meglio di quanto non saprebbe fare lui stesso) sulla carta s�ampata, si soddisfa di questa espressione, si soddisfa di questa _ r1 volta ufficiale e smette di criticare... fino alla prossima volta: . ma c1 sara' un nuovo numero del Krokodil. E grazie alla tecnica questo rimedio non è localizzato, non è la storia uomo, ma tutti gli uomini del mondo sono . . di qualche . ' raggiunti e cosi trattati. La tecnica diffonde la rivolta di qualcuno e placa così la sete di milioni di uomini. È esattamente lo stesso per ciascuno dei movimenti creati fin da cinquanta anni perché gli impulsi più elementari dell'uomo sono angariati. Possiamo dire che questi movimenti - surrealismo, alberghi della gioventù, partiti politici rivoluzionari, movimenti anarchici ecc. - hanno fallito? Per quanto concerne il loro singolo scopo, certo che hanno fallito! Non hanno ricreato le condizioni di libertà né cli giustizia, non hanno permesso all'uomo medio di ritrovare una via sessuale o intellettuale autentica: ma sono perfettamente riusciti da un altro punto di vista. Il mezzo tecnico è così importante, così difficile da ottenere e da maneggiare che è più facile averlo quando si è un gruppo, un'associazione, un movimento. Questi movimenti hanno per­ messo a certe persone che di per sé non avrebbero potuto, di uti­ lizzare la potenza tecnica. Autori che non sarebbero stati mai editi hanno potuto pubblicare perché erano surrealisti, come oggi gli esistenzialisti. Ma nel tempo stesso la tecnica integrava questi movimenti, com e abbiamo visto. Ora questi movimenti prendevano vita in una vera contestazione , in un impulso rivo­ luzionario autentico, in un quadro di sentimenti umani apprez­ zabili e feriti. Attraverso il loro intermediario questi impulsi e questi sentimenti si sono integrati nel mondo tecnico. Si può dunque dire che questi movimenti adempiano a un'au­ tentica funzione sociologica in questa società. Sono esattamente quello che ci vuole per soddisfare Io sviluppo tecnico che tende ad assorbire tutto come abbiamo visto. C'erano certe tendenze profonde dell'uomo che sembravano sfuggire a questa influenza. I movimenti dei quali abbiamo parlato (e l'esistenzialismo ne è

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    oggi un eccellente esempio) hanno come funzione quella di dare un posto esatto a questi impulsi dell'uomo nella civiltà tecnica: non divengono fattori della tecnica ma cessano di essere pericoli e ostacoli, sono circoscritti. L'erotismo, che sia quello di Sade rinnovato o di piccole riviste pornografiche è una necessità per un ambiente tecnico, ed è messo a posto, in modo da non infa­ stid�re nessuna delle strutture di questo mondo. Questi impulsi che salgono dal fondo del cuore dell'uomo, imprevedibili nella loro complessità e nelle loro conseguenze so­ ciali, non sono più d'ora in poi contro questo mondo, sono den­ tro. Non si tratta più di un fattore di dialettica, di ostilità, o di una potenza rivoluzionaria, ma di una parte integrante di que­ sto mondo. ,Così questi movimenti cosiddetti e sedicenti rivolu­ zionari, ma assorbiti dalla tecnica che utilizzano, si limitano a evitare quelle forze che angariate, condensate, rischiavano di fare esplodere questo mondo: hanno dunque una funzione sociolo­ gica molto ben definita anche se involontaria. È evidente che tutta questa operazione si effettua senza che lo si voglia né lo si desideri. Nessuno ha calcolato q nesto. A. Breton e H. Miller sono innocenti nei riguardi della funzione sociologica che assumono. Tutto ciò che si può rimproverare loro è una tremenda mancanza di lucidità circa il loro posto in . ' qucsta socteta. Ma nessuno è machiavellico, nessuno tira i fili di questa pa­ rodia. La si incontra naturalmente tra le tecniche dell'uomo e i movimenti sociali che esprimono desideri. Si potrebbe fare la stessa analisi per i movimenti pacifisti e il sentimento ddla pace, o per il movimento comunista e il sentimento della giu­ stizia. Tutti vanno nella stessa carreggiata, tutti adempiono alla stessa funzione, tanto meglio quanto più sono autentici e veri. Più esprimono veramente la rivolta più autentica dell'uomo e più riescono a strappare a questa potenza il suo valore aggres­ sivo per situarla meglio all'interno della civiltà tecnica. Per que­ sto non abbiamo parlato di religioni, perché queste ultime non esprimono più alcuna rivolta degli uomini, ed è molto tempo che sono ·integrate nelle loro forme intellettuali e sociologiche. CosÌ si completa l'edificio di questa civiltà, che non è affatto un universo « concentrazionario », perché non vi è più nulla di atroce, più nulla di demenziale, - tutto è nichel e vetro, tutto è ordine -, e i detriti delle passioni e degli uomini sono L-

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    accuratamente decomposti. Noi non abbiamo più nulla da per­ dere e nulla da guadagnare: i nostri più profondi impulsi, i no­ stri più segreti battiti del cuore, le nostre più intime passioni sono conosciute, pubblicate, analizzate, utilizzate. Vi si risJX>n­ de, si mette a nostra disposizione esattamente ciò che pensavamo, e il supremo lusso di questa civiltà della necessità è quello di accordare . il « superfluo > di una rivolta sterile e di un sorriso consenziente. Conclusione

    Così si costituisce un mondo unitario e totale. È perfettamen­ te inutile pretendere sia di ostacolare questa evoluzione, sia di prenderla in mano ed orientarla. Gli uomini si rendono conto confusamente, di trovarsi in un universo nuovo ed insolito. E infatti, è proprio un ambiente nuovo per l'uomo. È un sistema elaborato come un intermediario tra la natura e l'uomo, ma que­ sto intermediario si è talmente sviluppato che l'uomo ha perso ogni contatto con il quadro naturale, ed ha relazioni solo con questo mediatore fatto di materia organizzata e partecipe insie­ me del mondo dei vizi e del mondo della materia bruta. Chiu­ so nella sua opera artificiale l'uomo non ha alcuna porta per uscire: e non può forare le pareti per ritrovare il suo antico am­ biente al quale era adattato fin da migliaia di secoli. Ora questo nuovo ambiente è perfettamente specifico, e obbe­ disce a leggi che non sono quelle della materia vivente né del­ l'inanimato. L'uomo ancora non conosce queste leggi, ma ciò che già appare con schiacciante evidenza è che all'antica necessi­ tà naturale che ora è vinta, si è sostituita una nuova necessità. È facile vantarsi di sfuggire a ciò che l'uomo ha sempre con­ siderato come necessità. Ma questa vittoria è ottenuta a prezzo di una sottomissione più grande ancora, a una necessità più ri­ gida, la necessità artificiale che domina le nostre vite. Nella città non c'è più giorno né notte, caldo o freddo, ma c'è il " tre-otto >, il lavoro notturno, la densità demografica, l'as­ senza della finalità del lavoro, la schiavitù della stampa e del cinema. Tutti sono costretti da mezzi esterni a un fine esterno: l'oggetto da realizzare, il movimento da compiere. Più si svi­ luppa l'apparato che ci permette di sfuggire. alla necessità natu-

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    raie e più ci costringe a necessità artificiali: così la vittoria del­ l'uomo sulla fame. Ora, la necessit à artificiale, se è evidentemente meno minacciosa non è però meno rigorosa, implacabile e irri­ ducibile della necessità naturale. In questo insieme non appare nes�uno spiraglio, ma al contrario, il tutto si affina e si moltipli­ ca senza sosta nello stesso senso. Quando i comunist i pretendono di inserire lo sviluppo in un quadro storico che conduce automa­ ticamente alla libertà attraverso la dialettica, quando gli umani­ sti come Bergson o i cattolici come Mon nier pretendono che l'uomo deve riprendere in mano questo « mezzo» con un sup­ plemento di anima, essi danno prova insieme ed egualmente, di ignoranza nei riguardi del fenomeno e di idealismo impeni­ tente, disgraziatamente senza rapporto né con la verità né con la realtà. Ma a fianco di queste parate verbali noi assistiamo a uno sforzo per padroneggiare questo sviluppo. Questo sforzo è quel­ lo dei tecnici. Ben inteso, essi pongono ancora qui il principio che abbiamo già incontrato: « a problema tecnico, soluzione tec­ nica>. Ed è in effetti con nuove tecniche che si sforzano di agire. Ne possiamo vedere oggi di due specie. In primo luogo se si considera che la tecnica costituisce il nuovo ambiente nel quale l'uomo deve vivere, viene forse da chiedersi se non potrebbe creare strumenti intermediari, come di fronte all'ambiente naturale l'uomo ha creato dei mediatori (la tecnica). Si constata sempre di più che l'uomo non può essere total­ mente adattato. « È impossibile creare l'uomo stratosferico e spa­ ziale a partire dalla materia prima esistente; strumenti e appa­ recchi annessi devono supplire alla sua insufficienza> (Jungk). Così si sviluppa tutta una serie di tecniche annesse, che servono come schermo protettore e pure come mezzo d'azione all'uomo nello stesso ambiente tecnico. Il più bell'esempio è certamente l'in­ sieme delle « macchine pensanti> che appartengono veramente a un'altra categoria delle tecniche fin qui applicate. « Qui appare nella macchina la nozione di finalità che si è talvolta assimilata presso gli esseri viventi a qualche intelligenza inerente alla spe­ cie, infusa nella vita stessa: è la finalità artificialmente data alla macchina che regola la macchina, l'effetto esigente di uno dei suoi fattori che fa sì che si moderi o si rinforzi perché l'effet­ to sia stabile... Non si può evitare lo sbalordimento quando si

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    approfondisce questo automatismo. Tutte le cause di errore sono corrette, senza che l'uomo abbia bisogno di analizzarle e neppure di conoscerle, senza supporle neanche. :È l'errore stesso che cor­ regge l'errore. È perché si allontana dalla strada indicata che il pilota automatico trova modo di rimediare a questo scarto... Per la macchina come per gli animali l'errore è fecondo: condiziona la retta via > (LatiD. Ecco un esempio sorprendente. Ma questo insieme di mezzi che permette all'uomo cli padroneggiare ciò che prima era « in­ sieme di mezzi> e che è divenuto ambiente, che permette all'uo­ mo stesso di ritrovarsi, di non essere oltrepassato né stritolato, è in qualche modo una tecnica a un secondo livello. È ammire­ vole ma non è niente di altro. In secondo luogo si comincia a capire che i fini di questo sforzo tecnico che erano già evidenti un secolo e mezzo fa, si dileguano progressivamente. O l'umanità dimentica perché tutto questo lavoro; oppure i fini sono respinti, confinati nell'astrazio­ ne, non hanno più alcuna realtà, come se fossero divenuti impli­ citi, come se fosse chiaro che ogni progresso tecnico ci avvicina a questi fini. Oppure questi fini sono proiettati in un avvenire imprevedibile (perché ogni passo che facciamo mostra un allon­ tanamento maggiore dello scopo), a una data inesprimibile del fu­ turo, come la società comunista. Tutto accade come se i fini spa­ rissero in seguito all'ampiezza dei mezzi stessi dei quali dispo. n1amo. Ma comprendendo che la proliferazione dei mezzi faceva spa­ rire i fini, l'uomo si è preoccupato di riscoprire un fine, uno sco­ po. E alcuni ottimisti di buona volontà hanno preteso di risco­ prire un umanesimo al quale il movimento tecnico sarebbe subor­ dinato attraverso vie spiritualiste o comuniste: poco importa per­ ché in un caso come nell'altro non si tratta che di un « votum pium '> che non ha alcuna possibilità di influenzare il progresso. Più noi avanziamo, più si scopre lo scopo delle tecniche. Anche ciò che è potuto apparire un istante solo come obbiettivo imme­ diato - elevazione del tenore di vita, igiene, comfort - non sem­ bra più così sicuro. Perché l'uomo costretto senza tregua a un nuovo adattamento, si sente poco assai a suo agio. E in molti casi, una tecnica superiore obbliga l'uomo a sacrificare il suo comfort e la sua igiene allo spirito di potenza che detiene gli

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    strumenti capaci infine di soddisfarlo. Pensiamo, come estremo esempio, a quegli scienziati isolati, internati a Los Alamos, esi­ liati nel deserto a causa del pericolo delle loro esperienze; e a quei piloti che vivono nel A. Colin, 1951. MoRoT, The Creati've lmpulse in lndustry, New York, 1918. MossÉ, Le Keynisme deuant le socialisme, Revue socialiste, 1950. - Domaine et Nature de la connaissance économique, Revue de Science économique, Liège, 1949. MouNIER, Mani/este du personnalisme, Esprit, 1936. - La Petite Peur du XX0 siècle, Édit. du Seuil, 1941. MuMFoRD, Technique et Civilisation, Éd. du Seuil, 1950.

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    440

    LA TECNICA RISCHIO D'EL SRCOU>

    più syiluppate che nelle città. Faremo tuttavia tre osservazioni: prima di tutto questo è solo una possibilità e non un movimento necessario. D'altra parte si tratta di sapere se in definitiva, questa distribuzione della popolazione attraverso centri economici non porterà a un urbanesimo delle campagne. Infine, il tutto è sottoposto a una potente organizzazione pia.. nificata: e dunque, in sostanza, si ha la centralizzazione del potere.

    .. 7

    I.--' ( p ', � '·-' .�···' (' ··-

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    242782

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    INDICE Introduzione

    III

    pag, 1

    Avvertenza

    I TECNICHE CAPITOLO

    I. Situazioni

    Macchine e tecniche Scienza e tecnica Organizzazione e tecnica . Definizioni . Operazione tecnica e fcnomen0 tecnico II. Svolgimento







    Tecnica primitiva Grecia • Roma Cristianesimo e tecnica XVI Secolo • La rivoluzione industriale .

    3 3 7 11 14 20 24 24 29 31 34 40 44

    II CARATTERIOLOGIA DELLA TECNICA CAPITOLO

    I. LA tecnica nella civiltà Tecniche tradizionali e civiltà I caratteri nuovi • II. Caratteri della tecnica moderna Automatismo della scelta tecnica Autoaccrescimento Unicità (o indivisibilità) Impulso delle tecniche ·universalismo tecnico . Autonomia della tecnica

    68 68 82 84 84 90 98 114 119 134

    442

    INDICE

    CAPITOLO III TECNICA ED ECONOMIA I.

    The hest and thc ,vo,·se



    .

    Influenza della tecnica sull'economia Conseguenze economiche • •

    pag,

    • •



    • •



    • •

    • •









    • • •

    • • •





    • • • •





    II. La strada segreta Le tecniche economiche di constatazione Le tecniche economiche di azione • Il pianismo e la libertà III.

    Le grandi speranze • • I sistemi di fronte alla tecnica Progresso? • Economia centralizzata Economia autoritaria Economia antidemocratica























    • •

    • • •



    • •











    IV. L 1uomo economico

    • •



    152 152 156

    161 165 174 180 187 187 193 196 202



    210





    219













    • •

    • •

    CAPITOLO IV LA TECNICA E LO STATO I.

    Incontri

    Tecniche Tecniche Tecniche Reazione

    antiche • nuove private e tecniche pubbliche dello Stato di fronte alle tecniche

    II. Ripercussioni sullo Stato

    • • •



    • Evoluzione • • • L'organismo tecnico Il conflitto dei politici e dei tecnici Tecnica e Costituzione • Tecnica e dottrine politiche Lo Stato totalitario

    III.



    . .





    • • • •

    • •

    • • • •

    • • •





    • • •



    • •









    Summum ius: sumn2a 1n1ur,a

    • IV. Ripercussioni sulla tecnica • • • • • • • • • La tecnica senza freno • Funzione dello Stato nello sviluppo delle tecniche moderne • . . Le istituzioni al serv1z10 della tecnica • • • • • •

    .

    229 229 233 238 242 247 247 252 254 267 279 283 290 299 299 304 309

    443

    INDICE CAPITOLO

    V

    LE TECNICHE DELL'UOMO

    I.

    pag,

    317 317 322 326 330 333

    Necessità

    La tensione umana Modificazione ,dell'ambiente e dello spazio Modificazione del tempo e del movimento La massificazione della società Le tecniche dell'uomo

    II.

    338 342 347 356 360 373 380 382

    Sommario ragionato

    Tecnica della scuola Tecnica del lavoro L'orientamento professionale Propaganda Divertimenti Lo sport Medicina

    III.

    Echi

    .

    385 385 392 396 400 403

    Le tecniche, gli uomini e l'Uomo L'uomo-macchina • • Dissociazione dell'uomo Trionfo dell'inconscio L'uomo di massa

    IV. L'integrazione totale .



    Anestesia tecnica Integrazione degli istinti e dello e spirituale� Conclusione

    Bibliografia





    408 410 413 426 431

    :) , .1��r . ' ,. Qu:1li Jt, rcs1101lSabilit� ()u.11i le in1c·o�1ùtc:? ' ' 11 discorso di Eltul è una ri�posta ancora tutt.l da n1c-.lìtar('.

    J .\CQt'liS Ft.L l"L l Hordc�,ux. 1()12) insegna nclLt Facoh;Ì di diritto e di s(icnze politiche di Bordeaux. Profc�..;orc in(aricato pri1na della gucrr;t a Str.1sbu rgo e a � fontpellirr. fu esonerato daH'inGirico d.d governo di \"i­ chy. Prese parte attiY�ttncntc al n10,·i1ncnto di resistenza. Nel 1944 di,-cnnc vi(c sinda(o d'i Bordeaux e segretario n:gion�de del �[ovin1c:nto di liberazione nazionale. r\hbandonò la vita politica nel 19-li per dcdi(�tr�ì cotnplcta1ncntc agi i studi. Pro­ test.llHC, fa parte tkl Sindacato nazion�dc e del Consiglio na­ zionale dt' lla C h icsa ri fonn a ta di Francia. ()pere pri ncipaH: Le Fo11d,·1nenl Tht�olagique dtt Droit ( l 946); Pr/:s1.•11cc .(lft ,nont!e ,no· dcrne ( 1948); Le livre de /ona.< (1952); L'l-/on11ne r:t l'A4rgent ( 1953); .La Technique ou l't:njr.•u du sic\·lt: (19.54); 1-li.}·toire de,\ instit utions (3 vol., 1916); Pro­ pagand,·s ( 1962); Fau:,se présenct· au 111011de n1nder11e ( 1963); L' //. ltt�,ion politique ( 1965). La n1é­ ta n1orp'1ose d u bourgeoi.f ( 1967 J.

    VALORI POLITICI COLLANA DIRETTA DA RODOLFO DE MATTE! Se c'è un'epoca caratterizzata