La soglia dell'invisibile. Percorsi del Macbeth: Shakespeare, Verdi, Welles
 8843032577, 9788843032570

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FRECCE I 13

I lettori che desiderano

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Fabio Vittorini

La soglia dell'invisibile Percorsi del Macbeth: Shakespeare, Verdi, Welles

Carocci editore

ristampa, aprile 2009 r a edizione, gennaio 2 oo5 © copyright 2005 by Carocci editore S.p.A., Roma 1

a

Finito di stampare nell'aprile 2009 per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione

I.

2.

9

L'insolenza della ragione Una vertigine organizzata La cosmetica dell'essere Macchine del terrore

20

Strumenti delle tenebre. Il Macbeth di William Shakespeare

27

15 r8

Reversibilità e desiderio Oracoli imperfetti Una geniale omeopatia L'inconscio svelato

3.

In un pensier profondo. Il Macbeth di Giuseppe Verdi Un soggetto fantastico Né poesia né musica Un filo rotto da tant'anni Indizi Delitti e occultamenti Un'ombra che cammini 7

57

L'occhio del destino. Il Macbeth di Orson Welles

107

La soglia dell'invisibile Ficcanasare per il mondo Una visione fatale L'occhio del destino Qualità della percezione

107

Riferimenti bibliografici

15 I

113 117

131 1 39

8

Introduzione

Il libro unico, che contiene il tutto, non potrebb'es­ sere altro che il testo sacro, la parola totale rivelata. Ma io non credo che la totalità sia contenibile nel linguaggio; il mio problema è ciò che resta fuori, il non-scritto, il non-scrivibile. Non mi rimane altra via che quella di scrivere tutti i libri, scrivere i libri di tutti gli autori possibili. I. Calvino

Una tragedia, un melodramma, un film: Macbeth. Tre autori: William Shakespeare, Giuseppe Verdi, Orson Welles. L'elenco dei testi e dei nomi potrebbe essere ampliato a dismisura: potremmo partire dalla cronaca storiografica (Holinshed) che fornisce le coordinate materiali all'intreccio del testo tragico (Shakespeare), per accostare poi le sue traduzioni più o meno letterali in altre lingue (Leoni, Rusconi, Hugo ecc.) e le sue riscritture più o meno capillari (Garrick, Ducis ecc.), fino ad arrivare ai coreodrammi (Le Picq, Clerico, Galeotti, Henry), ai melodrammi (Chélard, Verdi, Bloch) e ai film (Welles, Kurosawa, Visconti, Polanski) che si propongono come sue trasposizioni ad altri codici, alla grande quantità di composizioni musicali (Locke, Leve­ ridge, Zumsteeg ecc.) e figurative (Fiissli) ad esso esplicitamente ispi­ rate, per finire col tentativo velleitario di censire il numero dei testi in cui si sono più o meno silenziosamente depositati frammenti del suo contenuto o schegge della sue strutture formali. Quella che si profila sotto i nostri occhi è una vera e propria co­ stellazione di opere, linguaggi e codici, un estesissimo , un apparato proteiforme in cui testi germinano da altri testi, in cui ogni testo ospita, in forme più o meno riconoscibili, i testi della cultura precedente e quelli della cultura circostante, presentandosi come un , come un crocevia di >, è una dimensio­ ne che >. L'opera - il Macbeth di Shakespea­ re, di Verdi o di Welles - può essere definita in (si va dal formato del supporto - il libro, lo spartito, la pellicola - alle determinazioni socio-storiche che lo hanno prodotto), mentre il testo resta . In altre parole, , attraverso la significanza, che >, innescata sia dal concatenarsi compiuto di unità testuali al­ l'interno di una sola opera, sia dal concatenarsi aperto e sempre rin­ novato di unità testuali all'interno dell'intero intertesto (per cui ci sa­ ranno unità comunicanti da un estremo all'altro del nostro corpus); d) infine nelle strategie discorsive implicate dai diversi media: siamo così sollecitati a superare la seria e intransitiva che, con la sua 5, regola la lettura dei testi o 6, mediante una incondizionata e in grado di avviare un' del te­ sto che non pretenda di univoco e definitivo, ma piuttosto valuti 7: pluralità di sensi, di rapporti, di attraversamenti possibili. In questa prospettiva, che tende peraltro ad attenuare la separa­ zione dei generi e delle arti, le opere non appaiono più come sem­ plici o (cioè prodotti finiti, il cui destino sa­ rebbe chiuso una volta trasmessi), ma come > 9• Il no­ stro plurimo autore-lettore (Shakespeare, Verdi, Welles) allo stesso tempo codifica, decodifica e surcodifica, cioè scrive, legge e attraversa continuamente la frontiera tra scrittura e lettura, portando a compi­ mento 10, qualcosa II

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

che riunisce in sé i tratti dell'interpretazione, della citazione e della trasposizione. Così l'autore-lettore non solo decifra, ma , divenendo egli stesso la figura e il luogo di questo

I I•

Il testo, non più concepito come un finito, come un dietro il quale occorre , ma percepito come > 14. Una felicità che si rivelerebbe fittizia se il lettore del nostro (tri­ plice) testo, come la donna immaginata da Silas Flannery nel suo dia­ rio, non resistesse alla tentazione di pensare che quello che sta leg12

INTRODUZIONE

gendo è il libro e definitivo dell'autore (plurimo), quello che l'autore avrebbe voluto scrivere senza riuscirci, e che quel libro è là, sotto i suoi occhi, parola per parola, per una sorta di vantaggio con­ ferito al lettore dalla posterità rispetto a ognuna delle incarnazioni dell'autore. Una felicità che si dissiperebbe se l'autore, spiando il let­ tore da lontano, vedesse quel libro, il suo vero libro, nel fondo del cannocchiale del tempo, senza poter leggere quello che c'è scritto, senza sapere ciò che ha scritto quell'io che non è riuscito né riuscirà mai a essere, e finalmente convincendosi che sarebbe inutile mettersi alla scrivania, sforzarsi d'indovinare, di copiare quel libro vero letto dal lettore ( ). Una felicità che si inter­ romperebbe se, così come l'autore guarda il lettore mentre legge, il lettore puntasse un cannocchiale sull'autore mentre scrive e lo scru­ tasse con presuntuosa invadenza: Siedo alla scrivania con le spalle voltate alla finestra - direbbe lo scrittore ed ecco sento dietro di me un occhio che aspira il flusso delle frasi, conduce il racconto in direzioni che mi sfuggono. I lettori sono i miei vampiri. Sento una folla di lettori che sporgono lo sguardo sopra le mie spalle e s' appro­ priano delle parole man mano che si depositano sul foglio 15•

Una felicità che tuttavia riprenderebbe intatta nel momento in cui l'autore si convincesse di essere una formidabile >, mentre la poesia moderna rappresenta se stessa come l'> 1, adombrato attraverso la mescolanza ontolo­ gica di bene e male, bello e brutto, sublime e grottesco, introdotta dal cristianesimo. Perciò la , suggerisce Victor Hugo, dopo essersi chiesta , assume nei riguardi del reale un'attitudine oblativa e simpatetica: l'oggetto della rappresentazione deve essere auscultato, le asimmetrie e le contraddi-

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

zioni che ne caratterizzano l'essenza devono essere salvaguardate, le sue asperità non devono essere normalizzate, né le sue incongruenze rettificate. Il brutto si mescoli al bello, >. La vera forma deve essere , , deve essere >, offrendoci , mentre il brutto è > del tempo in cui è vissuto, la sua firma: il sedicesimo secolo è stato un tempo >: ogni differenza si mostra come , l'Al­ tro 13. Nell'arte tardocinquecen­ tesca > 3 9 . Shakespeare, come Hamlet, sa di persone (inconsape­ voli), che, assistendo alla rappresentazione di un dramma, sono tur­ bate dall'artificio in atto sulla scena così profondamente da confessare i loro (le loro incoscienze), ma sa anche che il grado di perfezione di quell'artificio non è necessariamente commisurato al­ l'immediatezza e al realismo della rappresentazione; sa che il delitto (l'inconscio) non ha lingua e si esprime attraverso altri organi assai prodigiosi e alla sollecitazione di quegli organi predispone spesso le strategie che animano i suoi drammi. Talvolta quegli stessi organi 21

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

apparati cui non è possibile dare un nome - e i loro linguaggi alogici (prelogici) divengono oggetto di rappresentazione, e la rappresenta­ zione, disertata ogni funzione referenziale certa e univoca, raggiunge i limiti dell'intelligibilità; l'opera svela la natura essenzialmente allusiva delle strutture formali in cui si risolvono quei linguaggi, le dichiara come secondo termine di un iterato paragone implicito, il cui primo termine, pur condizionandole fortemente con la sua presenza-assenza, resta confinato nella sfera del non detto (o del non dicibile); il testo mostra quello che può essere definito come un punto di fuga, il luo­ go dove convergono le direttrici del senso, un luogo >, permettendoci di 4 2 • Affinché queste macchine non per­ dano la loro preziosa funzionalità è però necessario che ad alimentar­ le siano sempre superstizioni con un , perché solo in questo modo si può evocare dagli in cui si nasconde > 44 . Perché, quando si introduce il so­ vrannaturale in un dramma, deve essere 45 . Nel tentativo di > 10, Shakespea­ re sembra mettere in scena nel Macbeth il principio stesso che regola quelle opposizioni e simmetrie, un archetipo, un luogo primordiale di dicibilità dell'essere: la Relazione di Antitesi, un meccanismo binario che, secondo la formula dell'ordine manierista (dividere per unire), ha allo stesso tempo valore retorico (strategia semantico-sintattica del discorso), gnoseologico (conoscenza prodotta dal discorso) e ontolo­ gico (l'essere in sé, prima di divenire oggetto di conoscenza). Un meccanismo insidioso, se la superficie del discorso tende a legare biu­ nivocamente ogni a una 1 1 , atte­ nuando nel soggetto la consapevolezza che quelle con cui ha a che fare non sono altro che 1 2, che qualsiasi principio di ordine nasconde una natura eristica ed è il risultato di una tregua nella 13 tra forze centripete e centrifughe che animano il discorso. Mettendo in scena quel principio, Shakespeare dissemina nel testo una serie di indizi, che, opportunamente ricombinati, portano alla luce una sorta di sotto-testo: nel passaggio dalla dimensione sovran­ naturale (primitiva, pre-razionale, pre-umana) a quella umana, il sen­ so della Relazione di Antitesi (della contigua Reversibilità dei valori e

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

dell'Amoralità che essa comporta) si oscura, schiacciato com'è sulle limitate capacità di previsione del soggetto: If it were done when 'tis done, then 'twere well lt were done quickly: if th'assassination Could trammel up the consequence, and catch With bis surcease success; tbat but this blow Might be tbe be-all and tbe end-ali here, But bere, upon this bank and shoal of time, We'd jump the life to come 14 , •







sui suoi t1mor1: We stili have judgment bere; that we but teach Bloody instructions, whicb, being taught, return To plague tb'inventor: this even-handed Justice Commends th'ingredience of our poison'd chalice To our own lips 5 1

e sulla sua ambizione tentennante: I bave no spur To prick tbe sides of my intent, but only Vaulting ambition, wbicb o'erleaps itself And falls on th'other 16 •

Ogni tentativo di evocare quel senso dai territori dell'interdetta e del­ l'indicibile per restituirlo alla coscienza porta con sé, come indispen­ sabile risarcimento, la follia e la morte. Macbeth e Lady Macbeth muoiono dopo avere tentato di prestarsi al rovesciamento dei valori che sembrava essere stato loro prescritto dal destino per bocca delle Streghe e che si è rivelato in ultimo frutto di un fatale equivoco. As­ sediati dal sospetto ( ) e dall'angoscia (), come contagiati da un irrefrenabile bisogno di esorcizzare i loro crimini ( 1 7 ) e da un muto impulso autodistruttivo, entrambi finiscono per cercare la morte: Lady forse addirittura si uccide (> 2 0 ) .

2 . STRU MENTI DELLE TENEBRE . IL A1A CBETH DI WILLIAM SHA KESPEARE

Banquo muore dopo avere indotto Macbeth ad affacciarsi sull'abisso della propria turpitudine: Thou hast it now, King, Cawdor, Glamis, all, As the Wei"rd Women promis'd; and, I fear, Thou play'dst most foully for't 2 1 •

Lasciato cadere una volta per tutte il lasciapassare della presunta in­ nocenza (/air), la visione della colpa rimossa riaffiora con violenza (most Joully), producendo timore e sospetto (/ear) . Come una morti­ fera testa di Medusa, il /oul appare di nuovo e porta con sé sventura e distruzione.

Oracoli imperfetti Tra tuoni e fulmini, alla loro seconda apparizione, le tre Streghe, in­ terrogate da Macbeth ( 2 2 ) , gli pre­ dicono il futuro: 1

WITCH

2 WITCH

3 WITCH

All hail, Macbeth ! hail to thee, thane of Glamis ! All hail, Macbeth, hail to thee, thane of Cawdor ! All hail, Macbeth, thou shalt be king hereafter ! 2 3

Di fronte al turbamento di Macbeth (), forte della sua noncuranza, anche Banquo chiede alle Streghe di parlare ( 2 4 ) : 1

WITCH

2 WITCH

3 WITCH

Lesser than Macbeth, and greater. Not so happy, yet much happier. Thou shalt get kings, though thou be none 2 5 •

La strategia retorica che dà forma alle predizioni è semplice: alter­ nando ordinatamente le loro voci, le tre Streghe compongono due apparati ternari (i classici trico/a), all'interno dei quali c'è corrispon­ denza sia nella successione lineare delle proposizioni ( ) sia nella successione delle parole che si corrispondono sin­ tatticamente all'interno delle proposizioni () 2 6 . Una sola differenza: le predizioni a Macbeth sono lineari anche nella strutturazione interna del senso, quelle a Banquo sono invece costrui­ te mediante delle antitesi. Paradossalmente, sarà proprio la profferta

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

lineare, con la sua apparente semplicità, a disporre la trappola più insidiosa per il suo destinatario/interprete. Le Streghe si sono appena dissolte nell'aria ed entrano in scena Rosse e Angus per annunciare a Macbeth, impavido e letale Thane di Glamis, che il re Duncan lo ha nominato Thane di Cawdor in ri­ compensa del valore e della fedeltà mostrati in guerra. Le parole del­ la Seconda Strega (la prima delle due profezie) non hanno dunque tardato a rivelarsi veritiere, cosicché Macbeth, nello stesso istante in cui è indotto a lasciare libero corso all'immaginazione e alla speranza ( 2 7 ) , sposta subito su Banquo il contenuto perturbante delle sensazioni che lo assalgono: Do you not hope your children shall be kings, When those that gave the thane of Cawdor to me Promised no less to them? 2 8

Già propostosi come colui che investiga in nome della verità ( 2 9 ) e che si interroga sgomento sulla sincerità del Diavolo ( 3 0 ) , Banquo risponde perplesso: That trusted home Might yet enkindle you unto the crown, Besides the thane of Cawdor. But 'tis strange: And oftentimes, to win us to our harm, The instruments of Darkness tel1 us truths, Win us with honest trifles, to betray's In deepest consequence 3 . 1

Ancora una volta Shakespeare convoca questo personaggio a proietta­ re sul testo un singolare riverbero di senso, enunciando quella che scopriremo essere la verità sottesa all'epilogo della tragedia. Si tratta dunque di un'anticipazione (il testo ospita un aggrovigliato sistema di rimandi, una rete che ora si infittisce ora si dirada di profezie, de­ crittazioni, aspettative e presentimenti), qualcosa di simile a un lun­ ghissimo ma appena percettibile balzo in avanti che ci proietta alla fine dell'azione e la svela, offrendoci un'interessante chiave di lettura. Tentiamo di assecondare fin dove è lecito questo suggerimento cifra­ to, lasciando che le parole del testo reagiscano senza forzature: a vol­ te confermeranno le nostre attese, a volte si faranno irrimediabilmen­ te opache, consentendoci di calcolare la tenuta e le eventuali debo­ lezze delle ipotesi frattanto avanzate. 32

2 . STRU MENTI DELLE TENEBRE . IL A1A CBETH DI WILLIAM SHA KESPEARE

Proprio mentre ci seducono con artifici innocenti e trucchi ap­ parentemente privi di malizia (honest tri/les), le forze dell'oscurità (instruments o/ Darkness) ci dicono il vero (truths) e ci tradiscono precipitandoci nella più grave e imprevedibile conseguenza (deepest consequence) di quelle inattese rivelazioni. La conoscenza della verità, dunque, possibile solo perché scrupolosamente celata dietro innocui movimenti di parole e immagini, ci disarma di fronte al destino, ci rende impotenti contro la nostra stessa rovina (harm) . Il simulacro dietro cui si perde la malferma immaginazione di Macbeth, la corona (crown), tanto più innocuo e insospettabile proprio in quanto correla­ to usuale e frusto del desiderio di potere eccitato (enkindle) dalle profezie, fa sì che egli, faccia a faccia con una schiera di creature si­ mili, quanto al contenuto delle loro enigmatiche allocuzioni, a oracoli imperfetti ( 3 2 ) e dotati di una singolare facoltà di intendimento ( 3 3 ) , mentre Banquo dubita della loro realtà e quindi della realtà dei loro discorsi ( 34 ) , dichiari a se stesso: Two truth are told, As happy prologues to the swelling act Of imperial theme. [ . . . ] This supernatural soliciting Cannot be ili; cannot be good: If ill, why hath it given me earnest of success, Commencing in a truth? I am Thane of Cawdor: If good, why do I yield to that suggestion Whose horrid image doth unfix my hair, And make my seated heart knock at my ribs, Against the use of nature? 3 5 Il principio che lega le proposizioni del discorso è di natura visibil­ mente paralogica. Due protasi di senso opposto (I/ ill. . . I/ good) sono saldate a due apodosi interrogative (why) di diverso contenuto; il nes­ so di causalità che regola i due periodi ipotetici appare incongruente: la sollecitazione sovrannaturale (supernatural soliciting) potrebbe esse­ re cattiva e, proprio in virtù della sua cattiveria, illudere Macbeth di un futuro successo annunciandogli una verità; potrebbe essere buona, senza riuscire comunque a impedire alla sua mente di generare imma­ gini orride (horrid image) . Il nesso di causa-effetto stabilito tra la se­ rie degli eventi esterni (la guerra, l'investitura da parte del re) e la serie degli eventi interni (il desiderio e l'ambizione) si rivela gratuito. Il pensiero è organizzato ancora una volta nelle forme del paralleli33

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

smo e dell'antitesi; costretto nella gabbia omologica e sillogistica del linguaggio manierista, alimentato e protetto dalla sua vertiginosa coe­ renza, il senso appare minacciato dalla duplicità e dalla reversibilità della struttura che lo genera. Se non desiderasse convincersi della letteralità e dunque della bontà di ciò che gli è stato annunciato come vero, se il codice so­ vrannaturale (prelogico, sovrumano) della duplicità e della reversibili­ tà (del senso, del destino) non gli imponesse il suo infido linguaggio territoriale, se quel linguaggio non si insinuasse nelle pieghe dei suoi discorsi dissimulando la propria irruenza e facendosi schermo dei si­ gnificati rassicuranti della lingua d'uso, si potrebbe dire che Macbeth, come il malvagio e cosciente fratello di Prospero, Antonio, delibera­ tamente ignori la verità e dia credito, a furia di raccontarsele, alle se­ duzioni menzognere del desiderio ( 3 6 ) , accogliendo e nutrendo l'ambizione ( > 3 7 ) . In realtà, come il virtuoso Gonzalo e il cru­ dele Alonso, Macbeth è vittima di un sortilegio primitivo e selvaggio ( ), di una potentissima arte () in grado di oscurare il sole di mezzogiorno, di far guerreggiare cielo e mare, di destare i morti dai loro sepolcri 3 8 ; la sua immaginazione inquieta ( 3 9 ) , persa in un luogo spaventoso () pieno di tormenti e prodigi, è preda della follia ( ) ge­ nerata in lui da qualche inezia incantata messa in opera per ingannar­ lo ( ). Non si tratta però del rac­ conto altrui di una strana storia ( 4 ) fatta di eventi non naturali ( 4 ) , ma delle strane immagi­ ni di morte che la sua stessa mente produce senza esserne spaventata ( 4 2 ) , degli atti contro natura che egli compie e che finiscono per turbare la sua coscienza (). Messi da parte i suoi ambiziosi e fuorvianti parasillogismi, il mo­ nologo di Macbeth mostra nelle ultime battute una nuova lucidità, riacquistata paradossalmente per effetto dell'orrore indotto dai pen­ sieri di morte: 0

1

Present fears Are less than horrible imaginings. My thought, whose murder yet is but fantasticai, Shake so my single state of man, 34

2 . STRU MENTI DELLE TENEBRE . IL A1A CBETH DI WILLIAM SHA KESPEARE

That function is smother'd in surmise, And nothing is, but what is not. [ ... ] If Chance will bave me King, why, Chance may crown me, Without my stir 4 3 .

Il timore (/ears) per ciò che è presente e visibile non ha sull'animo lo stesso potere condizionante che ha l'orrore per ciò che può essere solo immaginato (imaginings) : il reale cede sotto il peso dell'eventua­ le, l'oggetto è oscurato dalle sue possibili riproduzioni. Il pensiero dell'omicidio, nient'altro che un'immagine attraverso cui si manifesta il desiderio (è il senso primario di fantastica!) , scuote il soggetto, ne minaccia l'unità e l'indivisibilità (single state), produce rappresenta­ zioni contrastanti che lo inducono a una moltiplicazione delle conget­ ture (surmise), reprimendo la sua facoltà di tradurre l'esercizio del1' intelletto in azione (/unction) . La realtà del materiale, dell'accaduto e del compiuto è integralmente rimpiazzata dalla realtà del pensato e del voluto; ciò che esiste cede a ciò che non esiste, a ciò che, per dirla con Prospero, è fatto della stessa imponderabile sostanza dei so­ gni ( ) , cosicché l'esistenza finisce per sembrare un'isola perduta nel mare dell'inconsapevolezza ( 44 ) . L'immaginazione esilia il senso di realtà attraverso seduzioni tanto più innocenti in quanto messe in salvo dalla volontà progettuale e dalla responsabilità etica: è il caso (Chance) a volere (will) e a premiare (crown), e di nuovo il logoro lasciapassare della corona consente all'eroe di allontanare da sé, nel momento stesso in cui li evoca, i suoi desideri. Reagendo alla nomina di Malcolm, figlio di Duncan, a Principe di Cumberland, Macbeth esclamerà di lì a poco in un ennesimo a parte : Stars, hide your fires ! Let not light see my black and deep desires; The eye wink at the band; yet let that be, Which the eye fears, when it is done, to see 45 .

Oscure e profonde ambizioni prima che tensioni manifeste della vo­ lontà, sogni di onnipotenza che condividono il lato più riposto e buio della mente con le paure: ecco ciò che irretisce l'attività di pensiero del protagonista. Gli epiteti del desiderio (black, deep) riproducono la stessa oscillazione semantica rilevata nella metafora di cui si è servito Banquo interrogandosi sulla veridicità delle Streghe (Darkness). L'in­ sidia dell'indicibile è tanto maggiore non solo perché esclude ogni 35

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

possibilità di conoscenza, ma soprattutto perché, stringendo tempora­ nee alleanze con insospettabili combinazioni di immagini, minaccia l'apparente inattaccabilità della ragione. Tra la luce della coscienza e la notte () dell'inconscio la stessa cortina di immagini sedu­ centi e spaventose del sortilegio () mediante il quale Prospe­ ro annebbia () la mente dei naufraghi con le esalazioni del­ l'ignoranza ( 4 6 ) . Ma l'intelligenza () di Macbeth non sarà soccorsa in tempo da una veniente marea () in grado di riempire e mondare l'orrenda e in­ fangata () spiaggia della ragione ( 4 7 ) . Chiediamoci ancora una volta con Banquo: . Se ora tentassimo di rispondere alla sua domanda servendo­ ci delle parole con le quali Hamlet, dopo l'arrivo della compagnia di attori, dà forma ai suoi dubbi sull'apparizione del fantasma del padre: The spirit that I bave seen May be the Devil and the Devil hath power T'assume a pleasing shape; yea, and perhaps Out of my weakness and my melancholy As he is very potent with such spirits Abuses me to damn me 4 , 8

dovremmo rilevare che il suo monologo, non diversamente dall'am­ monimento rivolto a Macbeth da Banquo dopo l'arrivo dei messi di Duncan ( The instruments o/ Darkness tell us truths) Win us with honest trifles) to betray )s In deepest consequence) , dando per certa l'in­ certezza prodotta dal sovrannaturale, si serve delle strategie retoriche del discorso epidittico, con la differenza che, nel passaggio dall'uno ali'altro, la quaestio 49 del discorso viene quasi impercettibilmente spostata dalle condizioni e dalle forme dell'inganno al suo contenuto. Hamlet dice che il Diavolo, assumendo sembianze allo stesso tempo seducenti e ingannatrici (pleasing shape) e approfittando della nostra debolezza e malinconia, si serve di noi e ci induce in errore (abuses) per dannarci (damn) ; Banquo dice che gli strumenti delle Tenebre, mentre ci dicono la verità, ci tradiscono con innocenti stratagemmi e ci dannano. Se la sequenza di eventi delle due storie interiori - storie di (pre)dizione e interdizione (una cosa viene mostrata e allo stesso tempo celata, spiegata e sottratta alla comprensione) culminanti in una inesorabile maledizione - è la stessa (uso di simulacri ingannevo­ li, abuso/tradimento, dannazione), mentre Hamlet costruisce attorno

2 . STRU MENTI DELLE TENEBRE . IL A1A CBETH DI WILLIAM SHA KESPEARE

agli eventi uno scenario che li determina (debolezza e malinconia), Banquo dice l'oggetto della dizione, associa al simulacro ciò di cui è segno: la verità. Un'altra possibile risposta alla domanda di Banquo, appena cela­ ta, all'interno di una breve funzione emotiva, da un lieve scarto sino­ nimico, viene pronunciata da Macbeth, verso la fine della tragedia, alla notizia della morte di Lady Macbeth e del bosco di Birnam in movimento: I pull in resolution and begin To doubt the equivocation of the fiend That lies like truth 5 0 •

Imbrigliata la risoluzione, egli comincia a dubitare che le parole del diavolo (> 5 7 ; le sue leggi sono quelle dell' 5 8 (ripiegamento della materia) e della continuità (coerenza e coesione della materia, assenza/rimozione del vuoto). Nella metafisica neoplatonica dell'anima, perfettamente speculare alla fisica della materia, il soggetto che esperisce la molteplicità de­ termina il passaggio dalla legge dell'inflessione a quella dell' : nell'ultimo e definitivo ripiegamento dell'universo manierista la coerenza e la coesione della materia che si dispiega sono convertite nel movimento di e dell'anima. L'unità per inflessione della materia è inclusa nell'unità dell'anima, che è allo stesso tempo il luogo di tutti i loghi e un luogo caratterizzato da uno stato di totale 59 : l'apertura dell'universo si compie nella chiusura dell'anima, perché l'anima esprime il mondo includen­ dolo, mentre il mondo esprime l'anima inflettendosi. L'anima è l'U­ no-monade che trasforma in atto la virtualità dell'unità, è una casa senza porte né finestre 60, è un interno assolutamente autonomo che ha come correlato un esterno indipendente. Tra dentro e fuori si vie­ ne a creare la stessa apparente scissione che c'è tra l'interno e la fac­ ciata delle chiese del primo Seicento (si pensi ad esempio alle romane San Carlo alle Quattro Fontane e Sant'Ivo alla Sapienza progettate da Borromini): l'autonomia dell'interno da ogni possibilità di correlazio­ ne con l'esterno fa sì che le porte e le finestre della facciata aprano o chiudano soltanto dal di fuori o verso il di fuori. In definitiva l'e­ sterno tende a esprimere solo se stesso, mentre l'interno ricade dalla sua parte 6 1 ed è rischiarato secondo le norme di un nuovo regime di luce che, come nella pittura manierista e barocca (si pensi ad esempio all' Ultima Cena 62 di Tintoretto, all'Adorazione dei pastori di El Gre­ co e alla Vocazione di San Matteo di Caravaggio), mette 6 3, relativizza il chiaro rinascimentale, sottolinea l'in­ separabilità del chiaro dallo scuro, della luce dal buio, del conoscibile dall'inconoscibile, cancella il contorno netto, generando un'inedita e sbalorditiva 6 4 . L'irruzione del sovrannaturale (e del principio di reversibilità che esso diffonde) sembra introdurre nell'universo di Macbeth un ambi­ guo gioco di specchi: lo divide in due senza che si possa stabilire quale metà sia reale e quale solo un riflesso, lo organizza in antitesi 39

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

senza che si possa discernere univocamente l'opposto dal duplicato, cosicché l'alterità si mostra sempre come un'identità pervertita o ma­ scherata, l'altro come uno stato paradossale dello stesso. La biparti­ zione investe allo stesso modo le leggi della natura e la libertà dell'a­ nima, il piegamento/dispiegamento della realtà e la chiusura inclusiva della monade, l'universo della materia e l'universo nell'universo della psiche. Un universo chiuso, quest'ultimo, che riflette in sé l'infinito universo fisico, un Uno dove lo specchio unisce/separa enigmatica­ mente due 6 5 simili a quelli definiti da Freud: da un lato la coscienza, 66 , dall'altro lato l'inconscio, oggetto 6 7 • Sul versante esterno della psiche un dispositivo di percezione povero e lacunoso, sul versante interno un'entità sconosciuta e rappresentabi­ le solo attraverso interpolazioni e approssimazioni, secondo una for­ mula del tipo: L'ineliminabile separazione dei due sistemi rende l'apparato psi­ chico una singolare 6 9, un congegno schi­ zomorfo in cui, come nella monade leibniziana, l'autonomia dell'in­ terno da ogni possibilità di correlazione con (o di rispecchiamento nel) l'esterno fa sì che l'esterno apra o chiuda soltanto dal di fuori o verso il di fuori, esprimendo solo se stesso, mentre l'interno, seppure metaforicamente adombrato dall'esterno, ricade dalla sua parte. Il testo shakespeareano, come l'edificio della psicoanalisi freudiana, fi­ nisce dunque per configurarsi come un 7 0 . Il Macbeth inscena una sorta di psicomachia, in cui i due contendenti, invece di delimitare un campo di battaglia su cui schierarsi aperta­ mente, dispiegare le proprie armi e mettere fine al conflitto con uno scontro diretto e risolutivo, restano confinati, come nello stallo di un'astuta e interminabile lotta di spie, in dimensioni spazio-temporali del tutto estranee, cosicché la tensione che li anima permane virtuale e inesplosa. Non si tratta, direbbe ancora Freud, tanto di un dramma psicolo­ gico, in cui un conflitto di

2 . STRU MENTI DELLE TENEBRE . IL A1A CBETH DI WILLIAM SHA KESPEARE

termina con l'estinzione di uno di essi, quanto di un , in cui è in atto uno scontro non sanabile tra una di energia psichica e una inconscia (o ) 7 1 , in cui, in altre parole, nella dialettica aperta tra interno ed esterno, tra scena privata e scena pubblica, viene rappresentato più o meno direttamen­ te qualcosa che ha la stessa struttura semiotica di una nevrosi. Se è vero che, > 75 , cioè imponendogli la sua lingua come 7 6 . La sceneggiatura dell'inconscio viene messa a punto mediante 77 , 78 ottenuti consultando un comparto preciso di quello schedario di possibilità: il repertorio or­ dinato del folklore, quello caotico della superstizione, la simbologia collaudata della religiosità pagana. La dialettica tra interno ed ester­ no, tra scena privata e scena pubblica intreccia una disputa serrata con la cornice sovrannaturale del testo, cosicché le saltuarie appari­ zioni delle Streghe e degli spiriti sembrano essere riassorbite dall'a­ zione terrena, sottratte all'originaria dimensione trascendente e lette­ ralmente fagocitate dalla metà dei segni che determinano (e sono de­ terminati da) quell'azione: i segni trasparenti e allo stesso tempo enigmatici dell'inconscio. Dopo il banchetto funestato dalle ripetute apparizioni del fanta-

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

sma di Banquo, Macbeth ammette che i prodigi di cui è stato testi­ mone hanno messo a nudo l'assassino che dimora nella sua anima: Augures, and understood relations, bave By magot-pies, and choughs, and rooks, brought forth The secret'st man of blood 79 •

Vittima consapevole della paura del novizio ( ), che ge­ nera strani autoinganni ( 80 ) , poco prima di coricarsi egli decide di conoscere il peggio coi mezzi peggiori ( 8 1 ) e di consultare nuovamente le Streghe: 82 , le sorelle fatali, le so­ relle sovrannaturali, le strane sorelle, in una locuzione che fa entrare in cortocircuito la religiosità mitologica (le Parche), la superstizione popolare (le Streghe) e il trattamento omeopatico del rimosso (l'in­ conscio, il perturbante). Il giorno seguente, al momento dell'incontro, le saluta: How now, you secret, black, and midnight hags ! What is't you do? 8 3

servendosi di parole simili a quelle con cui, dopo averle incontrate per la prima volta, ha evocato i suoi desideri più riposti (my black and deep desires) . L'invarianza di black (aggettivo che più avanti inve­ stirà per bocca di Malcolm lo stesso protagonista: 8 4 ) pone l'accento sull'affinità semantica ai limiti della sinoni­ mia che lega secret (al superlativo nel precedente autoritratto di Mac­ beth) e deep . La risposta delle Streghe a quel saluto: A deed without a name 8 5

riprende, rendendole enigmatiche, le ultime parole che Macbeth ha pronunciato la sera precedente congedandosi da Lady Macbeth: we are yet but young in deed 86 •

L'atto deve restare senza nome, perché, se fosse nominato, perturbe­ rebbe irrimediabilmente l'esistenza psichica di colui che lo ha com­ piuto, uccidendo il sonno innocente e ristoratore: 42

2 . STRU MENTI DELLE TENEBRE . IL A1A CBETH DI WILLIAM SHA KESPEARE

Methought, I heard a voice cry: , the innocent Sleep; Sleep that knits up the ravell' d sleave of care, The death of each day's life, sore labour's bath, Balm of hurt minds, great Nature's second course, Chief nourisher in life's feast 8 7 e generando follia: These deeds must not be thought after these ways: so, it will make us mad 8 8 • Così, alla moglie che lo esorta a non perdersi nei suoi pensieri ( 8 9 ) , Macbeth risponde che prefe­ rirebbe perdere coscienza di sé piuttosto che prendere coscienza di quanto ha commesso: To know my deed, 'twere best not know myself 9 0 . Abbiamo scorso ancora una volta rapidamente il testo della tragedia e abbiamo rilevato la presenza, nelle sue pieghe, di una piccola costel­ lazione di parole (per lo più aggettivi) che trasmigra da un personag­ gio ali'altro, di una rete di rimandi forse non del tutto fortuiti. Seb­ bene non sia possibile ricostruire compiutamente il progetto autoriale che tiene insieme tutti questi indizi, possiamo ipotizzare l'esistenza di un'isotopia frammentata (una serie di elementi che si strutturano allo stesso livello di senso) che giustifichi almeno parzialmente un tentati­ vo di lettura complessiva. L'idea, accreditata peraltro da una lunga tradizione critica, è che le Streghe sembrano 9 I . Questo spiegherebbe il dop­ pio trasferimento dell'aggettivo black dal sostantivo astratto desires al dispregiativo hags al nome proprio Macbeth : l'invarianza del predica­ to nei tre sintagmi successivi (AB, AC, AD) induce a ipotizzare un qualche tipo di relazione, forse un certo grado di intercambiabilità, fra i tre diversi nomi (B, C, D). Che cosa lega i desideri, le Streghe e Macbeth? Proviamo a tratta­ re queste tre entità come frammenti superstiti di un'unica microstoria e tentiamo di ricostruirla, formulando un' 9 2 rin­ venuti. Il soggetto cosciente (to know) - l'Io (Macbeth) - intuisce di 43

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

condividere lo spazio unico e indivisibile della psiche (my single state o/ man) con un groviglio di profonde (deep) e oscure (black) pulsioni (desires) , ma questa intuizione, non essendo capace di produrre una distinta rappresentazione logica del proprio oggetto ad uso della co­ scienza, imbocca una via laterale e più agevole: cela il proprio oggetto dietro un altro oggetto, strutturalmente simile (secret, black) , ma in apparenza diverso, facilmente intelligibile e di aspetto meno imbaraz­ zante, che quindi assume la funzione di simbolo (hags) . Le Streghe sono dunque la struttura superficiale che svela (come segno) e allo stesso tempo nasconde (come cosa) la struttura profon­ da dell'inconscio 93 . Tra cosa e segno appare chiara la stessa scissione che c'è tra il dentro e il fuori della monade, tra l'interno e la facciata della chiesa seicentesca, in un'inquietante coestensività dello svela­ mento e del velamento dell'essere, poiché la cosa rappresentata sem­ bra non esistere al di fuori delle sue rappresentazioni. Il sovrannatu­ rale innesca nel protagonista il conflitto tra coscienza e inconscio e allo stesso tempo fornisce un'immagine sensibile di quest'ultimo, del­ le sue leggi e dei suoi contenuti: un'immagine non immediatamente identificabile, una raffigurazione spostata, omeopatica, una proiezione irriconoscibile, che consente a Shakespeare di >, tutto accresce 1 08 •

Note 1 . Nel suo The Bocke of Plaies and Notes therof per Formans /or Common Po/li­ cie, Simon Forman , ricordando una performance del Macbeth andata in scena il 1 0 aprile 1 6 1 0 al Glebe Theatre, parla delle Streghe come «3 women feiries or Nim­ phes» (in Shakespeare, 1 988, p. xv) . 2 . Macbeth (1,1, 1 1 ) . 3 . I vi (1,1,4) : «quando la battaglia sarà perduta e vinta». 4. Cfr. Knights ( 1 946) , p. 1 8 , in cui si parla di «reversal of values». 5 . Macbeth (1,III,3 8) : «non ho mai visto un giorno così brutto e così bello». 6. Ivi (1,111,5 1 -5 2 ) : «Perché, buon signore, trasali e sembri temere cose che hanno un suono così dolce?». 7. Se nel primo caso fair[f. . . l==foul[f. . . ] , qui invece fair[fea*l==fear[fia*] . 8. La radice della parola /ear, *GA- , indicava originariamente 'pericolo, tranello' e solo più tardi, con uno spostamento semantico dalla causa all'effetto, ha assunto il significato di 'timore, paura'. 9. L'antitesi fairlfoul conta un gran numero di presenze in tutto il corpus dram­ matico shakespeareano. Citiamo i passi più rilevanti: 1 . Much Ado about Nothing (1v,1, 1 04) : «But fare thee well, most foul, most fair ! Farewell ! »; 2 . Love }s Labour}s Lost (1v,1,23 ) : «A giving hand, though foul, shall bave fair praise»; (v,11,340) : «'Fair' in 'all hail' is foul, as I conceive»; 3 . Timon o/ Athens (1v,111,2 8) : «Thus much of this [gold] will make black white, foul fair, Wrong right»; 4. Cymbeline (1,v1,38) : «can we not Partition make with pectacles so precious 'Twixt fair and foul?»; 5 . King fohn (1v,1,3 8) : «ls it not fair writ? - Too fairly, Hubert, for so foul effect»; 6. The Tempest (1,11, 143 ) : «With colours fairer painted their foul ends»; 7 . King Henry VI, Part III (1v,v11 , 1 4) : «By fair or foul means we must enter in»; 8. Richard III (1v,1v, 1 2 1 ) : «Think that thy babes were fairer than they were, And he that slew them fouler than he is»; 9. King Henry IV} Part II (1v,1v, 1 04) : «But write her fair words still in foulest letters». L'antonimia di fair e /oul assume di volta in volta sfumature semantiche diverse; la frequenza delle sue occorrenze ci assicura che si tratta di un "luogo comune " della scrittura shakespeareana: più che uno stilema, una forma assunta dal linguaggio in risposta a diverse esigenze di pensiero (consce o inconsce) . L'antitesi è sempre accom­ pagnata (sottolineata o dissimulata) da un'intensificazione dell'apparato fonico. 1 0. James ( 1 984) , II, p. 1277. 1 1 . Valesio ( 1 986) , p. 43. 1 2 . I vi, p. 44. r 3 . I vi, p. 4 5 . 1 4. Macbeth (1,vr1, 1 -7) : «Se una volta fatto fosse fatto, sarebbe bene che fosse fatto subito. Se l'assassinio potesse ingabbiare ogni conseguenza e avere successo con la sua [di Duncan] morte, cosicché questo solo colpo potesse essere tutto e la fine di tutto, qui, soltanto qui, su questo banco sabbioso del tempo, rischieremmo la vita futura».

2.

STRUMENTI DELLE TENEBRE . IL

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DI WILLIAM SHAKESPEARE

1 5 . Ivi (1,v11,8- 1 2 ) : «Qui ancora dobbiamo subire un giudizio; cosicché non fac­ ciamo che dare sanguinosi insegnamenti, che, una volta appresi, si ritorcono a colpire il maestro: questa Giustizia equanime offre alle nostre labbra il contenuto del nostro calice awelenato». 1 6. Ivi (1,v11,25 -2 8) : «Io non ho altro sprone da cacciare nei fianchi al mio pro­ posito, se non l'ambizione che volteggiando eccede nel balzo e cade dall'altra parte». 1 7. I vi ( v ,1,6 8-70) : «Si sono levati orribili sussurri. Atti contro natura generano turbamenti contro natura: le menti infette deporranno i loro segreti sui loro sordi guanciali». 1 8. Ivi (v,1x,3 5 -37) : «diabolica Regina, che, si pensa, si è tolta la vita con le pro­ prie violente mani». 1 9. I vi ( v, v ,4 3 ) . 20. Ivi (v,v,49-5 2 ) : «Comincio ad essere stanco del sole e desidero che la compa­ gine del mondo ora sia distrutta. [ . . .] Soffia, vento ! Vieni, rovina ! Almeno moriremo con l'armatura indosso». 2 1 . Ivi (111,1, 1 -3 ) : «Ora lo sei: Re, Cawdor, Glamis, tutto, come le Fatali Donne hanno promesso; e temo che per questo tu abbia agito assai turpemente». 2 2 . Ivi (1,111,47) : «Parlate, se potete: che cosa siete?». 2 3 . Ivi (I, 111,48- 5 o) : «I STREGA Salute, Macbeth ! Salute a te, Signore di Glamis ! 11 STREGA Salute, Macbeth ! Salute a te, Signore di Cawdor ! 111 STREGA Salute, Macbeth, che sarai re un giorno ! ». 24. Ivi (1,111,60) : «Ora parlate a me, che non chiedo né temo i vostri favori o il vostro odio». 25 . Ivi (1,111,65 -67) : «I STREGA Inferiore a Macbeth, e di lui più grande. II STREGA Non così felice, eppure molto più felice. III STREGA Sarai padre di re, senza essere re». 2 6. Lau sberg ( 1 969) , pp. 1 84-7 . 27. Macbeth (1,ni, 1 1 6- 1 1 7 ) : «Glamis e Thane di Cawdor: il più deve ancora ve. n1re». 2 8. Ivi (1,111, 1 1 8 - 1 2 0) : «Non speri che i tuoi figli saranno re, se chi mi ha dato il titolo di Cawdor ha promesso loro non meno?>>. 29. Ivi (1,111,5 2 ) . 3 0. Ivi (1,111, 1 07) . 3 1 . Ivi (1,111, 1 20- 1 26) : «Tutto questo, se ci credi pienamente, potrebbe infiam­ marti a volere anche la corona, oltre al titolo di Cawdor. Eppure è strano: e spesso, per spingerci verso la nostra rovina, gli strumenti delle Tenebre ci dicono delle verità, ci seducono con inezie innocenti per precipitarci a tradimento nella più estrema delle conseguenze». 3 2 . I vi (1,111,70) . 3 3 . I vi (1,111,76) . 34. Ivi (1,111,79-80) : «La terra ha le sue bolle, come l'acqua, e costoro erano come bolle». 35 . Ivi (1,n1 , 1 27- r 3 7) : «Due verità sono state dette, quasi felice prologo all'atto grandioso che ha per tema l'impero. [ . . . ] Questa sollecitazione soprannaturale non può essere cattiva, non può essere buona. Se fosse cattiva, perché mi avrebbe dato un pegno di successo cominciando con una verità? Sono signore di Cawdor. Se fosse buona, perché cedo alla suggestione la cui orrida immagine fa rizzare i miei capelli e battere il mio saldo cuore contro il costato in modo innaturale?».

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

3 6. The Tempest (1,11,99- 1 02 ) : «come uno che, a furia di raccontare una bugia, ha reso la sua memoria una tale peccatrice contro la verità, da arrivare a credere alla bugia». 3 7. Ivi ( v, I, 7 5 -7 6) . 3 8. Ivi (v,1,4 1 -5 0) . 3 9. I vi ( v ,1, 5 9) . 4 o. I vi ( v, 1, 1 o 8 - 1 1 9) . 4 1 . I vi ( v ,1, 2 3 o) . 42 . Macbeth (1,111,96-97 ) : «Non temi nulla di ciò che tu stesso hai creato, strane immagini di morte». 43 . Ivi (1,111, 1 37- 1 45 ) : «Le paure reali sono vinte da fantasie orribili. Il mio pen­ siero, in cui l'omicidio è ancora soltanto immaginario, scuote a tal punto la mia indi­ visibile natura di uomo che l'intelletto è soffocato dalle congetture, e nulla esiste se non ciò che non esiste. [ . . . ] Se la sorte mi vuole re, ebbene la sorte può incoronarmi senza che io mi muova». 44. The Tempest (1v,1, 1 5 6- 1 5 8) . 45 . Macbeth (1,1v,5 0-5 3 ) : «Stelle, celate i vostri fuochi ! Non lasciate che la luce veda i miei oscuri e profondi desideri; l'occhio finga di non vedere la mano; ma la­ sciate che accada ciò che l'occhio teme, una volta compiuto, di vedere». 46. The Tempest (v,1,64-68) . 47 . I vi ( v ,1,79- 82 ) . 48. Hamlet (11,11,603 -607) : «Lo spirito che ho visto potrebbe essere il Diavolo, e il Diavolo ha il potere di assumere forme ingannatrici; e forse proprio a causa della mia debolezza e della mia malinconia - poiché egli ha molto potere su tali disposizio­ ni d'animo - mi inganna per dannarmi». 49. Lausberg ( 1 969) , pp. 20- 1 . 5 0. Macbeth (v,v,42 -44) . 5 1 . Ivi (1v,1,92 -94) : «Macbeth non sarà mai vinto finché il grande bosco di Bir­ nam non venga ali' alta collina di Dunsinane contro di lui». 5 2 . Dal lat. equivocus, composto di aequus 'uguale' e del tema di vacare 'chiamare'. 5 3. Sono questi i sensi della parola «Devii» ( dal verbo greco diaballein 'gettare [balle in J attraverso [dia] , calunniare') . 54. lvi (1v,1,79-8 1 ) : «Sii sanguinario, audace, risoluto, e fatti scherno della po­ tenza degli uomini, perché nessun nato da donna potrà nuocere a Macbeth». 5 5 . Ivi (v,v, 1 9 -2 2 ) : «Non si dia più credito a questi demoni ingannatori che ci raggirano coi doppi sensi, colmandoci le orecchie di parole di promessa per poi in­ frangerle davanti alle nostre speranze». 56. Deleuze ( 1 990 ) , p. 35. 5 7. I vi, p. 5 . 5 8 . I vi, p. 2 2 . 5 9 . I vi, P · 3 3 · 60. Leibniz ( 1 967-68) , I, pp. 2 83 -4. 6 1 . Cfr. Rousset ( 1 983 ) , pp. 1 68-7 1 . 62 . Ne esistono due, entrambe veneziane: quella di S. Marcuola del 1 5 47 e quella di S. Giorgio Maggiore del 1 5 93 . 63 . Leibniz ( 1 967-68) , 11, p . 75 0 . 64. Deleuze ( 1 990) , p. 46. 65. Freud ( 1 966) , p. 490. 66. I vi, p. 140. 6 7. I vi, p. 5 5 7 . 6 8 . Freud ( 1 979 6 ) , pp. 62 3 -4. 52

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69. 7 o. 71. 72. 73 . 74.

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Lavagetto ( 1 985 ) , p. 1 1 7. I vi, p. 1 1 9 . Freud ( 1 99 1 a) , p. 39. I vi, p. 40. J akobson ( 1 972) , pp. 24 -5. Bachtin ( 1 997) , pp. 84-5. 75 . J akobson ( 1 972) , p. 25. 76. Lotman ( 1 972 ) , p. 3 3 . 77. Freud ( 1 99 1b) , p. 5 9 . 7 8 . Freud ( 1 97 6) , p. 2 7 3 . 7 9 . Macbeth (IIl,IV, 1 2 3 - 1 25 ) : «Auguri e ben intesi raccostamenti per mezzo di piche, gracchi e corvi, hanno scoperto il più celato uomo di sangue». 80. Ivi (1I1,1v, 1 4 1 - 1 42 ) . 8 1 . Ivi (I11,1v, 1 3 3 - 1 34) . 82 . Ivi (III,lV, 1 3 2 ) . Wei'rd Sisters è l'appellativo comune delle Parche (o Norne) . 83 . lvi (1v,1,48-49) : «E allora, segrete, nere streghe di mezzanotte ! Che cosa fate?». Cfr. anche ivi (111,11,4 1 ) : «black Hecate»; (111,11,5 3 ) : «Night 's blacks agents»; (1v ,1,48) : «Blacks spirits» ( versi probabilmente non shakespeareani) . 84. Ivi (Iv ,111,5 3 ) . 85. lvi (Iv,1,49) : «Un'opera senza nome». 86. Ivi (111,1v, 143 ) : «Siamo ancora novizi nell'impresa». Se realmente la scena 111,v è apocrifa e la scena 1n,v1 si trovava originariamente dopo la scena 1v,1 (cfr. Shake­ speare, 1 98 8 , pp. xxx ss. ) , il richiamo tra le parole di Macbeth a Lady Macbeth e la risposta delle Streghe sarebbe più evidente e plausibile: la prima parola con cui le Streghe rispondono a Macbeth sarebbe l'ultima parola pronunciata da Macbeth prima di uscire di scena. 87. lvi (11 ,11,34-3 9) : «Mi è sembrato di sentire una voce gridare: " Non dormire più ! Macbeth uccide il Sonno ! " , il Sonno innocente; il Sonno che lavora il filaticcio arruffato dell'ansia, la morte della vita di ogni giorno, il bagno ristoratore del trava­ glio, il balsamo delle menti ferite, la seconda portata nella mensa della grande Natura, il principale nutrimento nel banchetto della vita». 88. lvi (11,11,32 - 3 3 ) : «Queste azioni non devono essere pensate in questo modo: così diventeremo pazzi». E Lady Macbeth a parlare. 89. Ivi (11,11,70-7 1 ) : «Non essere così miseramente perduto nei tuoi pensieri». 90. Ivi (11,11,72 ) : > 2 4 - nei termini dell'ambizione e del desiderio di potere: una for­ za che si scontra con altre forze drammatiche più deboli sotto il pro­ filo della caratterizzazione individuale (l'antagonista di Macbeth e Lady Macbeth non è certo il pallido Macduff), eppure - lo vedre­ mo - schiaccianti e risolutive nella predisposizione dello scioglimento del dramma. La messa a punto del libretto del Macbeth, così come appare dalla lettura della corrispondenza tra Verdi e Piave, risulta complicata da una lunga serie di incomprensioni, insoddisfazioni, frustranti battute d'arresto e repentine soluzioni. Verdi si mostra scrupoloso ed esigen­ tissimo. Dopo avere inviato a Piave, all'inizio di settembre del r 846, un primo "schizzo" dell'opera accompagnato da una lunga serie di note e istruzioni, gli lascia tutto il tempo di versificare i primi due atti e quando, alla fine di ottobre, il librettista mette mano al terzo atto, i timori di Verdi circa la sua inadeguatezza si fanno sempre più grandi: Mi parli già del terzo atto? Ed il secondo è finito? Perché non lo mandi? ... Fai troppo presto e prevedo dei guai ! Basta ! Come si può in sì poco tempo un atto di quella sublimità come il 2 ° atto del Macbet? 2 5 60

3 . IN UN PENSIER PROFON DO . IL A1A CBE TH DI GIUSEPPE VERDI

Ali'inizio di dicembre, non ancora soddisfatto, Verdi stesso riscrive le prime scene del secondo atto 2 6 ; vuole inoltre che i cori delle streghe del terzo atto siano rifatti 2 7 ; quanto al quarto atto, ne invia una det­ tagliata sceneggiatura a Piave 2 8 , lasciandogli solo il compito di aggiu­ starne i versi. La corrispondenza si interrompe per tutto il mese suc­ cessivo; Verdi riprende in mano la penna solo il 2 r gennaio r 847 per mettere una volta per tutte Piave di fronte alle sue inadempienze: Oh certamente tu non hai nissun torto salvo quello d'avermi trascurato in modo incredibile questi due ultimi atti. Pazienza ! S. Andrea ha aiutato te e me; e me più ancora perché se devo parlarti francamente, io non avrei potu­ to metterli in musica, e tu vedi in quale imbarazzo mi sarei trovato. Ora tutto è accomodato cambiando però quasi tutto 2 9 •

Scontento del lavoro del librettista, Verdi ha chiesto aiuto ali'amico Andrea Maffei, che egli reputa un poeta colto e raffinato e che certa­ mente ha avuto una parte importante nella sua stessa decisione di met­ tere in musica la tragedia shakespeareana 3 0 • L'intervento di Maffei sul lavoro di Piave non deve però essere ritenuto così capillare e dra­ stico come lascia intendere la lettera appena citata, se dieci anni più tardi, in una lettera a Tito Ricordi, lo stesso Verdi, tornando a parla­ re del singolare ménage à trois venutosi a creare con i due poeti, darà alla vicenda proporzioni ben diverse: Son or dieci anni mi venne in capo di fare il Macbet: ne feci io stesso la selva, anzi più della selva feci distesamente il dramma in prosa con la di­ stribuzione di atti, scene, pezzi etc. etc... poi lo diedi a Piave da verseggiare. Come io trovai a ridire su questa verseggiatura, pregai Maffei, col consenso dello stesso Piave, di ripassare quei versi, e di rifarmi di peso il Coro delle streghe Atto III, ed il Sonnambulismo. Ebbene, [ ... ] quantunque il libretto non portasse il nome di poeta, ma creduto di Piave, il citato Coro ed il Son­ nambulismo furono i più maltrattati, e messi anche in ridicolo ! ! 3 1

Tornando sulla storia del Macbeth e ridisegnandola, Verdi ridistribui­ sce le diverse responsabilità nelle fasi successive della sua elaborazio­ ne e finalmente risarcisce Piave dei biasimi ingiustamente subiti a causa del libretto. Il compositore non si è limitato, come di consueto, a stendere la dell'opera, cioè un rapido abbozzo della trama, ma ha lavorato distesamente fino a scrivere in prosa l'intero dramma, tracciando i limiti fra i diversi atti, suddividendo ogni atto in scene, calcolando entro ogni scena le proporzioni tra l'estensione delle se­ zioni statiche e quella delle sezioni dinamiche, amministrando capil61

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

larmente la distribuzione e l'organizzazione logica di tutta la materia drammatica. Al librettista è rimasta la , cioè la disposi­ zione verbale della materia logica del dramma entro le strutture me­ trico-ritmiche stabilite per i diversi numeri e per il tessuto connettivo incaricato di tenerli insieme. La prolissità e la trascuratezza dei versi di Piave hanno indotto Verdi a chiedere l'intervento di Maffei, che, tutto il libretto, ha poi riscritto integralmente soltanto due scene (il coro delle streghe in 1,1 e la scena del sonnambulismo in IV ,IV) . Proprio queste due scene, paradossalmente, sono risultate le più maltrattate dalla critica 3 2 • Completata la revisione del testo e pa­ rallelamente l'orchestrazione dei vari numeri, l'opera viene sottoposta al controllo della censura fiorentina e, ricevuta l'approvazione il 24 febbraio 1 847, viene messa in scena il 1 4 marzo, riscuotendo un gran­ dissimo successo di pubblico. Il libretto, sostanzialmente fedele al testo shakespeareano, ne ri­ produce quasi per intero la trama, tralasciando alcuni personaggi e alcune scene, in ossequio al solito, in questo caso tutt'altro che ovvio, criterio di brevità: gli oltre trenta personaggi della tragedia (più i gruppi di comparse) sono ridotti nell'opera a quindici, soltanto otto dei quali, se si eccettuano i cori, cantano (sono stati eliminati Do­ nalbain, Lennox, Ross, Menteith, Angus, Caithness, Seyton, Lady Macduff, Siward, i figli di questi ultimi e altri); le Streghe non sono più tre, ma tante ripartite in tre cori (idealmente di elemen­ ti) 33 ; gli originari cinque atti sono stati ridotti a quattro (il primo atto del libretto ha un'estensione doppia rispetto agli altri tre e con­ densa i primi due atti della tragedia). Qualità indispensabile in un apparato melodrammatico che non voglia opprimere lo spettatore per eccesso di durata o complessità, la sintesi è allo stesso tempo una condizione che Verdi si impone di rispettare affinché ogni parola del libretto possa essere - secondo una nota della sua pragmaticissima estetica - una : cioè sia in grado di promuovere, as­ secondare o chiarire il procedere dell'azione, di scolpire, rendere net­ ta ed evidente una situazione, di svelare e rendere memorabile un ca­ rattere 34 • Dotate a seconda dei casi di un alto contenuto d'azione o di un forte valore indiziario, le parole sceniche sono sempre necessa­ rie, indispensabili le une alle altre, ognuna coimplicata con la succes­ siva nella catena logica del dramma o stretta ad altre in un paradigma di tratti che, mentre la motiva, trascende l'azione. Parole spesso re­ frattarie a una o a un accompagnamento mu­ sicale facilmente seducente, irriverenti verso la tradizione operistica, parole che presuppongono nel poeta e nel compositore, quando la

3 . IN UN PENSIER PROFON DO . IL .i\1A CBETH DI GIUSEPPE VERDI

chiarezza e la coerenza dell'azione lo esigano, 35 : parole, infine, destinate a sospingere il melodramma serio ottocentesco, e non solo quello sha­ kespeareano, verso una nuova fase della sua storia.

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Libretto del Macbeth ( 1 847 ) : frontespizio e "nota" dei cantanti.

L'opera si apre in mezzo a un bosco, tra tuoni e lampi, mentre i tre crocchi delle sono intenti a intrecciarsi in una vorticosa (r,r). Per queste prime strofe Verdi ha chiesto a Pia­ ve di , sperimentando metri strani e ca­ ratteristici (il risultato è una lunga sequenza di ottonari ) e facendo attenzione alla 3 6 , che devono essere e 37 : Bosco. Tre Crocchi di Streghe appariscono l}un dopo ! )altro fra lampi e tuoni. 1. Che faceste? Dite su ! Ho sgozzato un verro. 11.

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

I. III.

I. II. III.

E tu?

M'è frullata nel pensier La mogliera d'un nocchier: Al dimòn la mi cacciò .. . Ma lo sposo che salpò Col suo legno affogherò. Un rovaio ti darò . . . I marosi io leverò . . . Per le secche lo trarrò 3 8 •

A Macbeth e Banco frattanto sopraggiunti le , salutandoli, rivelano il futuro: Macbeth, già sire di Glamis, sarà sire di Caudor e re di Scozia (terzina di doppi quinari), Banco sarà (terzina di endecasillabi). Subito dopo alcuni messaggeri del re annunciano a Macbeth che è stato appena eletto sire di Caudor; Macbeth e Banco esprimono il loro sgomento ( 1,111 : duettino in sestine di doppi quinari). Tornano le Streghe e si danno appuntamento nello stesso luogo allo scroscio di nuovi fulmini per parlare ancora con Macbeth (r ,Iv: distici di doppi quinari). Le prime tre scene del libretto riproducono la scena I,III della tragedia, la quar­ ta recupera alcuni elementi della scena 1,1, preannunciando e renden­ do più plausibile l'incontro di Macbeth con le Streghe all'inizio del terzo atto; le scene 1,11 e I,IV dell'originale sono state cassate. Un cambio di scena ci introduce nell'atrio del castello di Mac­ beth, dove Lady Macbeth è intenta a leggere la lettera con la quale il marito l'ha messa a parte degli ultimi eventi (le scene 1 ,V-VII riprodu­ cono sinteticamente la scena I,V della tragedia). Diversamente dal tono dimesso del recitativo e del duettino che accompagnano l'ingres­ so in scena di Macbeth, a Lady Macbeth è riservato un numero am­ pio e suggestivo, costruito sul modello tradizionale della cavatina e allo stesso tempo caratterizzato da alcuni tratti singolari: la lettera (), sulla quale 39, deve essere semplicemente letta, recitata 40 ; pochi versi di (endecasillabi e settenari: > 1 05 , con la particolarità che l'imitazione delle voci è qui confina­ ta nelle singole frasi, minutamente incastrate l'una nell'altra e sem­ pre più incalzanti, col procedere del numero, fino alla trascinante conclusione:

3. IN UN PENSIER PROFON DO . IL A1A CBE TH DI GIUSEPPE VERDI LADY MAC . LADY MAC . LADY MAC . LADY MAC . LADY MAC . LADY MAC . LADY MAC . LADY A 2

(entrando) Alfin ! Che fate?

Vi trovo

Ancora Le streghe interrogai. .. E disser? r o 9 , dal punto di vista musicale l'uso, nella scrittura dell'allegro brioso e ottimistico dell'Inno, delle stesse componenti vo­ cali impiegate nel terremoto sonoro del finale primo sembra tentare di colmare l'abisso di tristezza che quello apre nello spazio dell'opera e che nella prima versione non trovava alcuna possibilità di riscatto. Il passaggio dagli ottonari in Fa minore del 1 847 ai settenari in La maggiore del 1 865 sembra inoltre promosso dal desiderio, divenuto consapevole forse solo all'altezza della seconda edizione dell'opera, di disporre con coerenza e chiarezza la definitiva saturazione di alcu­ ne isotopie attivate lungo il testo: la sconfitta di Macbeth e la libera­ zione della Scozia sembrano trovare la loro espressione più compiuta attraverso l'impiego simultaneo dei significanti (il metro, la tonalità) che Verdi ha costantemente mobilitato, nel corso dell'opera, per la86

3 . IN UN PENSIER PROFON DO . IL A1A CBE TH DI GIUSEPPE VERDI

sciarle presagire e indicarle come necessario punto di approdo della vicenda.

Indizi Il linguaggio musicale è 1 10 fondata su quella che J akobson, correlando alla dimensione della contiguità (sintagma) quella della similarità (paradigma), definisce una 1 1 1 • Il fenomeno dell'iterazio­ ne è così esteso da condizionare sistematicamente sia le micro che le macrostrutture musicali: si ripetono accordi, intervalli, frasi, tona­ lità, impianti ritmici, intere melodie ecc. 1 12 In definitiva 1 13 : il tempo è la di­ mensione fisica in cui si producono, si strutturano e mantengono la loro ragion d'essere le ricorrenze; la memoria, funzione del tempo, è l'indispensabile strumento di qualsiasi fruizione o analisi delle ri­ correnze stesse. A voler spingere fino in fondo l'analogia col linguaggio verbale, occorrerebbe : tra il linguaggio parla­ to utilitario e la musica c'è pressappoco la stessa differenza 1 14 • Se appare contestabile il 1 15 , è però vero che quando la musica viene integrata a un apparato mimetico, drammatico (melo­ dramma) o narrativo (cinema), finisce per acquistare delle di secondo grado, assumendo essa stessa una fun­ zione più o meno organicamente mimetica, sebbene refrattaria a qualsiasi definizione univoca. Diviene su cui si fonda la rappresentazione, 1 16 o drammatico, agendo >, o magari suggerirne altri allo spettatore, 1 17 come ritiene più opportuno. La musica può dunque assumere una funzione indiziaria. Gli in­ dizi musicali, come quelli verbali, sono unità funzionali minime del testo che, rinviando a un significato (>, in cui la costanza della tonalità minore, le , l', le acciaccature, l' (alle parole l'accento principale viene spostato dal primo al terzo tempo della battuta) evocano un e, , ricrea­ no almeno 120 ; b) ironico, quando un elemento del libretto. Si pensi all'entrata solenne del Re Duncan nel castello di Macbeth in I,IX, accompagnata da una 12 1, una marcia in 6/8 di 122, che si conclude con un motivo di quattro note ricavato dal materiale tematico del pezzo. Durante la notte Dun­ can viene ucciso da Macbeth. In 111 ,11 Macbeth, ormai Re di Scozia, sopraffatto dall'emozione nel vedere apparire gli otto Re e lo spettro di Banco evocati dalle Streghe, perde i sensi. Con le parole del coro successivo (), le Streghe danzanti desiderano riani­ mare e confortare Macbeth, ma >), entrambi caratterizzati dagli stessi , dai , dalle sequenze ascendenti e discendenti vertiginose del celebre > 1 27; /) topico, quando fa riferimento a una formula musicale consolida­ ta dalla tradizione. Si pensi ad esempio alla , di cui Noske ha ricostruito la storia dail'Amadis (1 6 84) di Lully fino al Falsta/f ( 1 8 9 3) di Verdi. Si tratta di una se­ quenza di tre, quattro o cinque note alla stessa altezza, l'ultima del­ le quali, la più lunga, è accentata; una formula per lo più ritmica (un anapesto, un peone o un doppio giambo risolto) che ha funzio­ ne e che



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Sebbene fisicamente assenti, poiché non ancora entrate in scena, le Streghe, con un sottile stratagemma che assegna a questo primo tema funzione di indizio allo stesso tempo fisiognomico e concettua­ le, sono evocate attraverso una musica che tornerà a contraddistin­ guerle in seguito: Il procedimento è rafforzato dall'affiorare di un secondo tema, un , che inizia in / e finisce in //, per trombe, tromboni, fa­ gotti e cimbasso (note prolungate e sforzate) seguiti da flauto, otta­ vino, oboe e clarinetto (note dimezzate e staccate), un tema che ri­ troveremo in 111 ,11, qualche istante prima che le Streghe evochino le apparizioni che prediranno il futuro di Macbeth: 1

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3 . IN UN PENSIER PROFON DO . IL A1A CBE TH DI GIUSEPPE VERDI

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Su questa prima coppia di temi il preludio innesta poi delle citazioni­ anticipazioni di quella che, a detta dello stesso Verdi, > I I delle forme riflette l'incon­ scio, non solo la presenza costante del fonema gutturale ( [k] ) sembra garantire alla teoria onomastica del mito una sorta di continuità pre­ semantica e pre-narrativa ([k]urtz, [k] ellar, [k] ane, [k] indler 1 2, Ma[k] beth, Ar [k]adin, [k] uinlan, [k]lay), ma il grafema che corri­ sponde nella maggior parte dei casi a quel fonema (K), sembra addi­ rittura configurarsi come (>, per­ ché io sono un attore per grandi personaggi. Lo sapete, nel vecchio teatro francese classico c'erano sempre attori che impersonavano i Re e attori che' non li impersonavano: io sono uno di quelli che fanno la parte dei Re. E necessario, a causa della mia personalità. Perciò, naturalmente, recito sempre ruoli di capi, di persone che hanno un rilievo' straordinario: devo sempre essere bigger than lz/e, più grande della natura. E un difetto della mia natura. Non si deve credere che ci sia qualcosa di ambiguo nelle mie interpretazioni. La mia personalità ne è responsabile, non le mie intenzioni. Perché è gravoso per un artista, un creatore, essere anche attore: rischia di essere frainteso. Perché tra ciò che dico e ciò che voi udite, c'è la mia personalità, e gran parte del mistero, della confusione, dell'interesse, di tutto ciò che si può tro­ vare nel personaggio che recito, viene dalla mia personalità e non da ciò che dico 2 2 • III

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

Mentre Welles ammette che la fisionomia e il dei suoi per­ sonaggi hanno a che fare più con la sua che con gli apparati testuali di cui essi sono parte (non le parole dello script, ma la singolare dell'interprete, una natura , crea attorno al personaggio l'aura di , e che lo impone come un grande personaggio e lo rende indimenticabile), il mito personale che anima il suo cinema dichiara la sua natura di palinsesto: quella struttura ripetuta e ossessiva, quella grandezza tanto desiderata quanto fatale (nel senso di inevitabile e distruttiva) non è che la sceneggiatura incessantemente variata di un modello che trova la sua rappresentazione più nitida (sebbene retro­ spettiva) nel Macbeth di Shakespeare. Ancora una volta: . La formula, che si pone come soglia verso una dimensione dove il limite tra ogni cate­ goria e il suo contrario si assottiglia fino a scomparire, avvia una vi­ cenda di presunta e amorale reversibilità dell'essere, per concluderla con la lapidaria constatazione della sua reale, moralmente implicata, irreversibilità. Tutte le declinazioni del mito riproducono quel cer­ chio mortifero descritto dai dibattimenti tra visioni della realtà (e del1'arte) contraddittorie: da un lato una concezione nietzscheana, cioè amorale e vitalistica, dell'esistenza ( ), dall'altro un principio di solida moralità estetica ( 2 3 ) , da un lato l'umanesimo col suo amore per la libertà e l'apertura, dall'altro il puritanesimo con la sua tenden­ za valutativa e conclusiva 2 4 • In questa spirale già tracciata, forzando la linearità dell'ordine na­ turale ad aprirsi all'atopicità del sovrumano, l'uomo mitico di Welles - lasciamocelo suggerire dal Marlow di Conrad - finisce per chiamar­ si fuori da quell'ordine e, dopo avere scorto, col terrore allo stesso tempo eccitante e vertiginoso, sessuale e suicida, di chi desidera , il vuoto disumano del non-essere, oltrepassa la >, né l'effetto mo­ ralizzante che potrebbe avere la loro rappresentazione, ma il dell'eroe che agisce, >) : Io cerco sempre la sintesi: è un lavoro che mi appassiona, perché devo essere sincero verso ciò che sono, e non sono altro che uno sperimentatore. [ . . . ] Non mi interesso alle opere d'arte, lo sapete, alla posterità, alla fama, ma solo al piacere della sperimentazione: è il solo dominio in cui mi senta one­ sto e sincero. [ . . . ] Sono profondamente cinico verso il mio lavoro e verso la maggior parte delle opere che vedo nel mondo, ma non sono cinico verso l'atto di lavorare su un materiale. [ . . . ] Non vado in estasi davanti all'arte, vado in estasi davanti alla funzione umana, cioè davanti a tutto ciò che si fa con le mani, coi sensi ecc. Il lavoro, una volta terminato, non ha ai miei occhi l'importanza che ha per la maggior parte degli esteti: è l'atto che mi interessa, non il risultato, e non sono preso dal risultato che quando emana l'odore del sudore umano, o un pensiero 44 .

Il prologo del Macbeth è il risultato di un ardito lavoro di lettura e di sintesi rispetto al testo tragico e di un'incessante sperimentazione ri­ spetto al linguaggio cinematografico. Le battute dello script, anzitut­ to, sono un collage dei versi shakespeareani, ritagliati, spostati, ridi­ stribuiti e reincastrati, ma lasciati tutti perfettamente (si direbbe filo­ logicamente) integri. Incastonate tra i titoli di testa del film (FIGG . 3 e r o) e sospese prima dell'inizio dell'azione, le inquadrature del prolo­ go, selezione e combinazione calcolatissima di immagini e suoni, come la formula intonata dalle streghe all'inizio della tragedia di Sha­ kespeare (e tralasciata da Welles) e come il preludio strumentale del1' opera di Verdi, forniscono (ma la strategia anticipatoria potrà essere identificata, come al solito, solo al termine della visione) le coordinate entro cui si disporranno i segni e il senso dell'intero film e mettono in campo una serie di elementi (filmici e profilmici) che saranno alla base di una fittissima rete di rimandi. La prima inquadratura (FIG . 4) , la soglia tra il fuori e il dentro, tra il prima e il dopo, tra il non essere e l'essere, sembra rappresenta­ re il vuoto, il vacuum deserto di parole e di significati che preesiste a ogni simulazione di realtà: uno spazio che, come il pugnale dell' allu1 17

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

cinazione di Macbeth in 11,1, è immagine di qualcosa che non c'è an­ cora (>), da un'impresa che tenterà di riempire quella forma di carne e sangue (> si adatta docilmente alle 6 9 del set (che si propone come equivalente legislativo del palcoscenico): ogni volta che un personaggio parla avanza verso la macchina da pre­ sa (il proscenio), mentre gli altri vengono dislocati dietro di lui in posizioni (a semicerchio sullo sfondo o lungo le diagonali del set) che evocano geometrie da tableau, tutte accomunate da una meticolosa 12 7

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

composizione in profondità (su tre piani: un personaggio in primissi­ mo piano, qualcuno a media distanza, la croce sullo sfondo). Le battute dello script riducono e alterano l'ordine delle battute del testo shakespeareano: il vecchio Ross, che nella tragedia soprag­ giungeva oltre la metà della scena, qui è presente fin dall'inizio e in­ tona versi in origine destinati a Malcolm e Macduff, poi, nel momen­ to in cui Shakespeare lo fa apparire e gli fornisce delle battute, Wel­ les risolve di convogliarle su Holy Father, confermando quest'ultimo nella sua sinistra funzione di annunciatore e depositario del senso delle cose passate (racconta a Macduff la sciagura che si è abbattuta sui suoi familiari) e allo stesso tempo di profeta e regista delle cose future (sollecita Macduff alla vendetta contro Macbeth e ciò che egli incarna). La sequenza termina con una passerella ordinata di tutti e quattro i personaggi che recitano la loro battuta di congedo: Macduff si rafferma nell'intenzione di uccidere Macbeth (), mentre gli altri, dividendosi i versi conclusivi in origine di Malcolm, interagiscono con lui sul piano umano (Malcom: , ), militare (Ross: ) e religioso (Holy Father: ) 7 0 , in una geometria tutta espressionistica delle funzioni e delle relazioni attoriali, che le riduce visibilmente ad , incentrandole non sul 7 1 . Tralasciata la parte iniziale della scena shakespeareana, in cui Malcolm metteva alla prova la rettitudine di Macduff prima di confidargli i suoi piani di guerra, Welles rimuove anche il doppio autoritratto che il perso­ naggio compilava con estrema perizia retorica, una prima volta pro­ ponendo come termine di riferimento il terribile Macbeth ( 7 2 ) , del quale egli si dichiarava peggiore, una seconda volta ricusando ogni virtù per proporsi come campione universale del vizio: the king-becoming graces, As Justice, Verity, Temp'rance, Stableness, Bounty, Perseverance, Mercy, Lowliness, Devotion, Patience, Courage, Fortitude, I bave no relish of them; but abound In the division of each severa! crime, Acting it many ways. Nay, had I power, I should Pour the sweet milk of concord into Hell, Uproar the universal peace, confound All unity on earth 7 3 . 12 8

4 . L'OC C HIO DEL DESTINO . IL MA CBETH DI ORSON WELLES

22

Una comparazione peggiorativa e una palinodia seguita da un'iper­ bole; un termine superato e un termine negato fino ali' eccesso; due ritratti opposti (il tiranno e il buon re) e un rovesciamento finale di categorie ( concordia all'Inferno vs caos sulla Terra) . Il testo shake­ speareano predispone, solo in parte dilazionandole, delle antitesi nettissime; Welles, consapevole di essersene appropriato altrove e di averle già forzate alla completa esplicitazione, si limita a tenere saldo il timone del suo veicolo procedendo linearmente, intensificando la composizione dell'immagine in profondità e inducendo i suoi perso­ naggi a interagire coi simboli in scena, i poli delle " sue " antitesi, la croce della concordia e la forcella del caos . Così, nel momento della massima disperazione per la morte dei figli, maledicendo Macbeth ( 74 ) , Macduff si appoggia a uno dei rami della pianta biforcuta; il dolore lo acceca e lo fa allontanare momentaneamente da chi lo esorta a essere uomo, in una composizione dello spazio in cui egli è al centro (insieme alla forcella) , equidistante sulla stessa diagonale da Holy Father e dalla croce ( FIG . 2 2 ) . Su quella stessa diagonale del dubbio e del senso di colpa ( 75 ) , dell'esitazione e della minaccia di perdizione, Macduff si ritroverà poco dopo, questa volta disposto a una delle sue estremi­ tà, in opposizione alla croce e in simmetria rispetto alla forcella (il quadro mette in linea la croce, la forcella, Holy Father e Macduff FIG. 2 3 ) . Se, adattando la tragedia shakespeareana alla narrazione per immagini, uno di quei più modesti scrittori di racconti evocati una volta da Freud 7 6 avrebbe con ogni probabilità imposto agli at­ tori movimenti più semplici, segmentando l'azione mediante una se­ rie di stacchi e ricostruendola attraverso un montaggio , Welles, , dispone la cinepresa sul palcoscenico, ren­ dendola > 82 , Welles si tiene lontano dallo scenografismo che affligge gran parte della cine­ matografia shakespeareana, impegnata a illustrare i testi dissimulando la sua indulgenza decorativa dietro presunte intenzioni mimetiche, mediante un'operazione solo apparentemente paradossale 8 3 . Prima tenta di restituire all' shakespeareano il posto usurpatogli nella tradizione otto-novecentesca dal e dal > 8 5 , risolve di spezzare l'incantesimo smascherando la finzione della messa • 1n scena. Non solo i personaggi, con , sembrano muoversi > 88 nel tentativo di armonizzare i fondamenti salvifici della misteriosofia ellenistica e della religiosità orientale con il Cristianesi­ mo nascente: un mondo lontano dall'anima divina, periferico e de­ gradato rispetto al centro (pleroma) che è diretta emanazione di quel­ la, un mondo collassato, scisso, che ha la stessa caotica inconsistenza della materia (hyle), un puro simulacro, una discontinuità dell'essere, un'assenza 89• Lo smascheramento compiaciuto della finzione perfora la coesione strutturale del testo, interrompe la catena delle sinapsi su cui si pro­ paga e si costruisce il senso, introduce un vuoto incolmabile, uno scollegamento tra significante e significato che scompagina irreversi­ bilmente la macchina referenziale. Il risultato è una > 96 • Un senso eccessivo soprattutto rispetto al racconto, indifferente alla storia narrata e ai suoi significati, vuoto di informazioni proprie, un senso che si pone al di fuori della successio1 33

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

ne degli eventi, costituendo una pausa, instaurando un ritmo nuovo, che ne fanno un momento antireferenziale e antinarrativo: il , è destinato a fondare una segmentazione del testo filmico , una segmentazione sfondata, 97 . Un senso che si sottrae al carattere restitutivo o espressivo dell'immagine, che opera al di fuori di ogni finalità, di ogni economia (non rende né capitalizza nulla), che investe in ultima istanza dei significanti senza significati, cioè delle 98 , che non dice altro se non che l'immagine è co­ struita su prelievi, giustapposizioni, devianze, e allo stesso tempo su linee, contorni, colori, luci. Un senso che in Welles si lega sempre a dettagli che attirano l'occhio dell'osservatore per la loro capacità di resistenza e per la loro intransitività, cosicché la rappresentazione è doppiamente messa in crisi: da un lato è > 100 • Un racconto per immagini, scrive lo stesso Welles, può dirsi un film solo quando 10 1 : tutto ciò che in un film è , cioè allo stesso tempo vitale e vivido, animato e trascinante, visionario e verosimile, , non di vedere 1 1 6 ) ( FIG . 3 r : Lady in alto, Macbeth in basso); infine, dopo avere riportato i pugnali nella stanza di Duncan, atterrita dalla vista delle sue mani insanguinate, Lady rimbrotta un'ultima volta Mac­ beth ( 1 1 7 ) ( FIG . 3 2 : la profondità di campo fa collassare la pro­ spettiva e Lady è allo stesso tempo in alto nello spazio fisico della scena e in basso nello spazio simbolico dell'inquadratura). L'azione viene dunque costruita , facendoci assistere alla loro I I B fino al momento in cui l'intera scena, fino ad allora preser­ vata da ogni e da ogni manipolazione e così ca­ ricata 1 1 9 , I 20 • Un occhio, infine, che istiga alla reversibilità del soggetto e del1' oggetto, dell'oggetto e della sua rappresentazione, del bene e del male, della vita e della morte: perciò si serve ripetutamente, attri­ buendo loro un massimo di consistenza cinematografica attraverso l'uso di soggettive impossibili, dello sguardo dei defunti (il Thane di Cawdor decapitato - FIG . 3 3 -, Seyton impiccato), delle creature sovrannaturali (le Streghe dopo il banchetto), delle allucinazioni (il pugnale - FIG . 3 4) e degli spettri (Banquo durante il banchetto FIG . 35 ) , cosicché non solo i fantasmi della mente (il trapassato, il presunto e il desiderato) vengono sostanziati convertendosi da og­ getti in soggetti di visioni, ma i viventi (ad esempio i convitati del banchetto - FIG . 3 6), privati della capacità di vedere e della possibi­ lità di essere visti, vengono derealizzati, fantasmatizzati, dissolti. Un occhio la cui anima sensibile e naturalistica è contaminata alla radi­ ce, come nelle tele di Tintoretto, con un > : in quei momenti e il lirismo è alla simulazione della 123 • Passando senza sosta dalla vita esteriore , egli parla a nome della , senza però che si possa 124 • In quella singolare specie di vita tutte le anime, pure o scellerate, appaiono simili, il bene e il male indiffe­ renti. Il crimine di Macbeth e Lady Macbeth viene ridotto a una sor­ ta di pretesto: lo dimentichiamo in quanto tale e non vediamo altro che la vita che esso, > 126 , perché i personaggi sembrano non parlare che per : come > 12 8 • Mentre si sta preparando a combattere contro i soldati di Mac­ duff, Macbeth sente un grido di donna che lo fa trasalire e, quando Seyton gli annuncia che la regina è morta, prorompe in un'amara considerazione: She should have died hereafter: There would have been a time far such a word. To-morrow, and to-morrow, and to-morrow, Creeps in this petty pace from day to day, To the last syllable of recorded time; And all our yesterdays bave lighted fools The way to dusty death. Out, out, brief candle ! Life's but a walking shadow; a poor player, That struts and frets bis hour upon the stage, And then is heard no more: it is a tale Told by an idiot, full of sound and fury, Signifying nothing r 2 9 .

Sillabe di ricordanza, la morte polverosa, una sparuta candela, un'ombra errante, un povero attore inghiottito dal silenzio, una favo­ la rumorosa, furibonda e insensata: sono tutte immagini che Shake­ speare mette in bocca al suo personaggio imponendogli per qualche istante una visione lancinante. Come se un idolo venisse temporanea­ mente svelato. Come se la facoltà limitata della parola fosse soccorsa, nello spazio brevissimo ma abissale aperto tra un evento e l'altro, da una qualità superiore della percezione, da un' 13 0 che anticipa (e differisce) la coscienza. Non solo Macbeth parla, ma vede; non solo immagina, ma crea ciò che le immagini esprimono. E lo fa con la forza irrazionale e primitiva del­ l'inconscio. Ecco perché in questo stesso frangente Welles impedisce al suo Macbeth di parlare (l'intero monologo è reso in voce off) e lo costringe a vedere: ce lo mostra inquadrato a mezza figura e, mentre un breve zoom in avanti lo fa entrare in primo piano, la voce off recita i primi due versi; una dissolvenza incrociata lascia apparire una nebbia avanzante ripresa per tutta la durata del monologo in slow motion (con un taglio e un movimento dell'immagine simili a quelli della prima immagine del prologo e a quelli usati poco prima per mostrare la foresta di Birnam che procede verso il castello - FIG . 3 7); dopo l'ultimo verso una dissolvenza incrociata speculare alla prima ci restituisce il volto di Macbeth in un primissimo piano ingombrato dal particolare degli occhi aperti e intenti a vedere/immaginare ( FIG . 3 8) ;

4 . L'OC C HIO DEL DESTINO . IL MA CBETH DI ORSON WELLES

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lo stato di 1 3 1 , finisce quando la voce di Seyton annuncia quello che Macbeth non solo sa di avere già visto (la minaccia che avanza), ma che ora, in quanto soggetto della visione appena mostrata, così come al termine della se­ quenza del banchetto era stato soggetto della soggettiva sonora che aveva usato in negativo quell'immagine per rafforzare le sue certezze, ha la coscienza di avere interamente creato. Sotto la superficie del discorso necessario ali'azione il soffio multi­ forme e il brulichio ininterrotto di quelle immagini sembrano declina­ re un linguaggio altro, risalente, lasciamocelo suggerire un'ultima vol­ ta da Freud, a stadi del nostro sviluppo intellettuale da tempo supe­ rati, al , alla 1 3 2 , forse a condizioni che sono esistite prima dello sviluppo del nostro e che hanno un carattere fortemente regressivo, poi­ ché non solo traducono i nostri pensieri in una forma primitiva di espressione, ma risvegliano 1 33 • Un linguaggio in cui spesso - si pensi ancora alla formula iniziale delle Streghe shakespeareane, ma anche al delirio notturno di Lady Macbeth 1 34 - 1 35 , in cui ogni elemento che sia in grado di avere un contrario può significare 1 3 6, creando, mediante inattese inversioni, un vero e proprio 1 37 . Un mondo in cui il bello e il brutto, il giusto e l'ingiusto, il decoroso e l'osceno, il verosimile e il fantastico, il referenziale e il fittizio si me­ scolano; in cui il passaggio dall'uno all'altro si fa impercettibile, tal­ volta l'uno è l'altro, l'altro l'uno. Un universo che, lo abbiamo visto, appare regolato dalla legge neoplatonica della coincidenza degli op­ posti, per cui i mondi altri (la colpa rispetto all'innocenza, la follia rispetto alla lucidità, il sogno rispetto alla veglia, l'inconscio rispetto

LA SOGLIA DELL'INVISIBILE

alla coscienza, il sovrannaturale rispetto al naturale) sono tutti rovesci dello stesso, e dunque identici. Un ingegnoso sistema di antitesi che svela il paradosso di ogni immaginazione barocca (quella di Shake­ speare, quella di Verdi e quella di Welles), in cui si sovrappongono la coscienza lancinante dell'alterità e l'impulso a neutralizzarla nell'im­ magine di un'identità pervertita o mascherata, e in cui quella coscien­ za abnorme, minacciosa quanto più intermittente, si risolve in un'in­ credibile, orgasmica, a volte disumana