La scimmia allo specchio. Osservarsi per conoscere [1 ed.] 8842032395, 9788842032397

Difficilmente l'uomo può essere visto come un punto di arrivo; ma se è punto di partenza o di passaggio, lo è verso

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Italian Pages 190 Year 1988

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La scimmia allo specchio. Osservarsi per conoscere [1 ed.]
 8842032395, 9788842032397

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© 1988,

Gius. Laterza & Figli

Prima edizione 1988

M. L. Dalla Chiara

G. Toraldo di Francia

La scimmia allo specchio Osservarsi per conoscere Editori Laterza

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figl i Spa, Roma-Bari ,

Finito di stampare nel ma gg io 1988 nello stabilimento d'arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari

CL 20-3239-2

ISBN 88-420-3239-5

LA SCIMMIA ALLO S PECCH I O

1. LA S C IMM I A E LO S PEC C H I O

Un giorno, tanti mai anni fa, una scimmia andava errando e giocherellando lungo il greto di un torrente . A un certo punto si fermò , attratta da certi minerali che brillavano al sole . Ne raccolse qualcuno e si dette a esaminarlo con grande curiosità . In realtà non si trattava di una vera e propria scimmia, come quelle che conosciamo oggi . Era un essere molto più sveglio e intelligente e preferiva camminare su due zampe; inoltre sapeva servirsi dei ciottoli di varia forma che tro­ vava per battere, tagliare, perforare. Qualcuno sospetta che emettesse anche vari suoni gutturali differenziati, provvisti di un significato comprensibile ai suoi simili. Ma, tanto per intendersi e per semplificare, continueremo a parlare di quell'essere chiamandolo scimmia. Il nostro intento ora non è quello di fare una corretta classificazione zoologica. Ad un tratto la scimmia vide una larga lamina - pro­ babilmente di mica - di eccezionale bellezza e larghezza. La raccolse e la guardò con attenzione, tenendo il piano della lamina perpendicolare alla linea del suo sguardo. Quasi sobbalzò dalla sorpresa : aveva visto una scimmia. L'esperienza era per lei veramente nuova, dato che agli stagni non si era mai avvicinata, perché lì andavano ad abbeverarsi i leoni . Intendiamoci : non abbiamo detto che aveva visto « un'al­ tra scimmia » . Infatti non sapeva affatto di essere lei stessa una scimmia. Come avrebbe potuto? Conosceva benissimo 3

quegli esseri in mezzo ai quali era nata e con i quali - senza sapere il perché - si trovava a suo agio. Con qualcuno di essi aveva anche fatto all'amore . Ma per lei il mondo delle scimmie era solo esterno , era ambiente. Digrignò i denti - era il suo modo di abbozzare un sorriso amichevole - e la scimmia nello specchio digrignò i denti esattamente allo stesso tempo . Ripeté l'atto più volte e avvertì confusamente che qualcosa non era naturale . I m­ barazzata si grattò la testa con la mano libera e la scimmia lì davanti ripeté in perfetta sintonia . A furia di sperimen­ tare cominciò ad avvertire un'idea che le baluginava : c 'era una scimmia che eseguiva esattamente tutti gli atti che lei voleva. Per riferirsi ad essa nel suo pensiero le dette un nome speciale e la chiamò « io » . Naturalmente -le cose nella realtà non saranno andate proprio in quel modo, né così rapidamente. Con un inge­ ' nuo apologo abbiamo cercato di sintetizzare almeno qual­ che centinaio di migliaia di anni di evoluzione . Ma a volte anche i modelli ingenui e sempl ificatori possono aiutarci a capire certe cose. Anzi è probabile che qui si tratti soltanto di grado e che - dal punto di vista di un essere onni­ sciente - i nostri modelli della realtà siano destinati ad essere sempre piuttosto falsi e tendenziosi . Tuttavia rinun­ ciare ad essi vorrebbe dire rinunciare a pensare ; per cui è meglio tenerceli cari . È di certo molto difficile capire come si è formato filo ­ geneticamen te - cioè durante l'evoluzione della specie il concetto di io. Lo è soprattutto a causa del nostro spe­ ciale tipo di s vi luppo ontogenetico - cioè di sviluppo del­ l'individuo - che avviene in un ambiente culturale domi­ nato dal linguaggio già evoluto . Il bambino, imitando i grandi che parlano di lui , impara a dire « Pierino mangia la pappa » . Solo più tardi, stimolato dal fatto che Pierino è quell'essere specialissimo che esegue gli atti della sua volontà, comprende sempre meglio che quando Pierino parla di Pierino è opportuno che usi appunto un nome spe­ cialissimo come « io » . 4

Certamente Pierino non ha solo una volontà; ha anche molteplici sensazioni, soffre, gode. Ma proponiamo a titolo di ipotesi plausibile che prima Pierino cominci a rendersi conto di essere fatto esternamente come uno dei suoi simili e solo dopo - magari molto dopo - arrivi a supporre per analogia che anche gli altri provino al loro interno sensa­ zioni e sentimenti come li prova lui . Come è noto è diffici­ lissimo superare l 'egocentrismo del bambino (non superano bene il loro nemmeno gli adulti) e fargli accogliere l 'idea che esistano altri ego. Ma torniamo alla nostra scimmia . Doveva essere vera­ mente intelligente, perché a furia di provare capì una cosa di fondamentale importanza. Nello specchio non poteva mai vedere se stessa con in mano il minerale , come avrebbe visto direttamente un'altra scimmia in quell'atteggiamento . No, le parti del suo corpo molto vicine allo specchio man­ cavano di qualcosa. Le dita che reggevano lo specchio sul davanti coprivano lo specchio e non potevano avere imma­ gine ; le dita che stavano dietro non arrivava in nessun modo a vederle . Inoltre l'altra scimmia - quella riflessa nello specchio - non aveva una sua esi stenza fissa e indi­ pendente , ma si spostava qua e là a seconda di come lei girava lo specchio. Fu quella la prima volta che un essere pensante si rese conto - sia pure in modo confuso e rudimentale come poteva fare quella scimmia - del fatto che esaminare se stessi è un 'impresa quanto mai ardua . Qualunque stru­ mento usiamo per rispecchiarci, le parti di noi più vicine ad esso - quelle che lo manovrano - non sono rispec­ chiate o lo sono imperfettamente; non solo, ma l 'immagine complessiva di noi stessi dipende da come orientiamo lo strumento . Alcuni filosofi hanno supposto che il pensiero umano rispecchi la realtà del mondo . Altri invece hanno obiettato con ragioni tutt'altro che trascurabili che quella è un'idea abbastanza ingenua e che le cose non stanno proprio così . Ma supponiamo pure per un momento - e per non com5

plicare troppo - che si voglia accettare la concezione sem­ plicistica del rispecchiamento; notando fra l'altro che molti scienziati - consciamente o inconsciamente - la mettono alla base del loro lavoro . Ebbene quella concezione va deci­ samente in crisi quando l'uomo tenta di pensare se stesso . Quando esamino o penso un oggetto, io sono necessa­ riamente qualcosa di distinto dall'oggetto . Da una parte c'è l'io che possiede (anzi in un certo senso è) lo strumento d 'indagine e dall'altra c'è l'oggetto indagato. Può un mar­ tello picchiare se stesso, un animale mangiare se stesso? � impossibile . E può uno specchio rendere un'immagine di se stesso? Nei trattati di ottica geometrica si dice che l'im­ magine di uno specchio piano coincide con lo specchio stesso. Ma quell'enunciato geometrico è astratto e non aiuta affatto chi voglia guardare le cose osservandole nello spec­ chio . Da un oggetto esterno arrivano raggi che lo specchio riflette. Ma lo specchio non invia raggi verso se stesso. L 'osservatore potrà esaminare nell'immagine tutti gli oggetti , fuorché lo specchio . Ebbene l 'uomo è un assurdo vivente, proprio perché pensa se stesso, o almeno s'illude di pensare se stesso . Si dovrebbe forse dire che l 'immagine della mente umana coin­ cide con la mente stessa. Ma sarebbe un'astrazione vuota e ingannevole, come l'affermazione dell'ottica geometrica nel caso dello specchio . I n realtà l 'io pensante è una condizione che deve preesi­ stere affinch é l 'oggetto sia pensato . � stato osservato tante volte che il « cogito ergo sum » è un progetto vano e vel­ leitario, perché non fa altro che dedurre dall'insieme delle premesse una delle premesse medesime . Non per niente quel « cogito » è coniugato alla prima persona del presente indi­ cativo; presuppone ovviamente che ci sia una prima per­ sona. E la cosa balza fuori anche più chiara se la premessa viene epunciata in qualcuna delle lingue moderne : je pense, I think, ich denke. Come si fa a prendere per buona quella premessa, se je o I o ich non esistono? Kant fa dell'io l 'oggetto del senso interno . Ma il senso, 6

interno o esterno, presuppone qualcuno che sente e che rap­ presenta l'unità dell'appercezione, come vuole Kant stesso . Meglio sembra che si vada con « l'io pone se stesso » di Fichte . Ma, una volta che l 'io si è posto, è proprio vero che si è trasformato in un oggetto esterno, in un non-io che l'io può pensare ? O non avviene piuttosto che l'io afferra e pone quella parte di se stesso che si lascia afferrare e porre (l'io empirico) , abbandonando nella profondità del mistero l'io più autentico e inafferrabile (l'io assoluto) ? Se fosse così, ricadremmo, sia pure in modo più evoluto, nella apo­ ria della scimmia che si guarda allo specchio. Non pos­ siamo scambiare per noi stessi quello che è solo una parte - e forse non quella decisiva - di noi stessi . Un buon artificio consiste nel distinguere fra essere ed esistere (o fra Sein e Da-sein) . Allora l'io, che è un'essenza necessaria e non oggettuabile, porrebbe - o creerebbe, come diceva Gioberti - l 'io come esistenza contingente e definita dal suo essere nel mondo . Si potrebbe forse dire : « lo (essenza) penso, dunque io (esistenza) sono » . Ma il guaio è che, proprio mentre compie questa operazione, l'io pensa se stesso anche come essenza . L'aporia cacciata dalla porta rientra dalla finestra. Se siamo entrati in questo brevissimo excursus filosofico non è certo per tentare un sintetico trattatello di ontologia (ciò che sarebbe abbastanza grottesco) . È solo per ricor­ dare mediante qualche riferimento al pensiero degli ultimi secoli in quale fantastico imbroglio la scimmia si sia cac­ ciata quando ha cominciato ad esaminare se stessa. I suoi mezzi , che erano abbastanza adeguati quando si trattava di pensare e manipolare le cose del mondo, si sono rivelati impotenti, probabilmente sbagliati , dinanzi al formidabile problema dell'io. L'aver preso in mano lo specchio ha segnato una tappa fatale dell'evoluzione . Forse la vera essenza e il vero destino dell'uomo con­ sistono proprio in questo: nell'essere capace di ragionare e di capire una gran parte del mondo, ma insieme di non poter mai dare un senso compiuto alla sua ricerca, perché 7

il punto di chiusura, il punto di appoggio di tutto sarebbe il capire se stesso. E questo gli è precluso 11 « conosci te stesso » inciso sul frontone del tempio di Apollo a Delfo non è solo l 'esortazione a compiere un esame introspettivo, ma anche e soprattutto l'avvertimento che quello è il limite invalicabile di tutte le nostre costruzioni, Eppure l 'essere umano non può fare a meno di pensare se stesso . È per questo che l'essere umano rappresenta un �ssurdo vivente, un essere condannato ad aggirarsi perpe­ tuamente in un labirinto, cercando un'uscita che non ha i mezzi per trovare . Ma la sua non è solo una favola narrata da un idiota, come vorrebbe Shakespeare . Perché mentre procede affan­ nosamente lungo i meandri del labirinto , l'uomo è capace di vedere tante cose affascinanti , di compiere analisi cor­ rette, di scorgere non poche verità, di eseguire splendide costruzioni . E soprattutto è riuscito in un'impresa impor­ .tantissima: ha capito di essere in un labirinto . La favola dell'uomo è illuminata d all'intelligenza e vale la pena di essere narrata. In questo libro abbiamo proprio l'ardire di tentare almeno di leggere alcune pagine salienti della favola : quelle che maggiormente sono legate alla co­ scienza che t 'uomo ha di se stesso come oggetto nel mondo, che esamina il mondo. Ne emergono problemi affascinanti di linguaggio, di logica, di scienza naturale, di etica ; alcuni studiati accanitamente da secoli, altri apparsi modernamente e appena scalfiti . Non abbiamo naturalmente la presunzione di risolvere quei problemi e tanto meno di risolverli definitivamente. Molto più vicini ,al successo crediamo di arrivare quando ci sforziamo di mostrare - anche andando contro a tradi­ zioni secolari - che cosa i problemi stessi non sono e non possono essere . Anche questo, se siamo nel giusto, non è un· contributo disprezzabile . I l rigoglioso sviluppo della scienza moderna h a fatto sÌ che ormai pochi sono i campi che si possono affrontare seriamente con conoscenze generiche o con linguaggio inap.

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propriato. Molto spesso per riuscire a capire a fondo biso­ gna essere in possesso di un bagaglio tecnico non indiffe­ rente, addirittura da specialisti. Ora in gran parte questo è un dato di fatto innegabile, col quale dobbiamo fare i conti . M� non è detto che per qualche verso non dipenda anche da cause eliminabili e da un certo tipo di sociologia della scienza oggi dominante. In ogni caso non ci sembra impresa vana quella di coloro che cercano con tutti i mezzi di portare alla coscienza di un pubblico vasto tutte quelle cose d'importanza fondamentale che una persona intelli­ gente può e deve capire . Può sembrare un paradosso : molto spesso è facile parlare con linguaggio difficile (o magari con formule) , mentre è difficile parlare con linguaggio facile . Ebbene, noi non abbiamo voluto sfuggire a questo tipo di difficoltà, a volte veramente ardua. Abbiamo preferito dire poche cose in modo chiaro, piuttosto che molte cose in modo oscuro. Notiamo infine che l 'idea di far nascere il concetto di io da una contemplazione allo specchio non pretende di essere assolutamente nuova ed è stata usata da altri autori (cfr. per es. lo stade du miroir di J. Lacan). Ma per noi è solo una metafora per introdurre i problemi a cui quel concetto dà luogo .

2. LA SCIMMIA PARLA

La scimmia si era evoluta ed era divenuta uomo in tutto e per tutto . Molte cose erano cambiate nella sua struttura fisica e mentale ed è inutile elencarle . Ma forse la più im­ portante di tutte era stata l'acquisizione di un vero e pro­ prio linguaggio. I n che consiste il linguaggio? L'idea generale è molto semplice. Un essere vivente al fine di agire a proprio van­ taggio ha bisogno assoluto di sapere come stanno le cose attorno a sé o anche lontano da sé. Proprio per questo è provvisto di un apparato di organi di senso; guardando, ascoltando, toccando, annusando, assaggiando raccoglie informazioni sul mondo esterno e si rende conto della situazione. Ma nella vita associata può essere di grande importanza che di quella situazione siano edotti anche altri che, per qualche ragione, non hanno modo di sperimentarla diretta­ mente. C'è un metodo molto semplice, che è quello seguito dal cane quando vuole che il padrone si renda conto di un qualche fatto che si è verificato altrove . Con un suggestivo comportamento induce il padrone a seguirlo e lo guida sul posto, in modo che possa vedere da sé. Questo metodo si chiama ostensivo. I l linguaggio umano invece serve a ricostruire la situa­ zione dinanzi agli occhi dell'interlocutore; ma tp fa simbo­ licamente. Per una convenzione - che è difficile dire come precisamente si è stabilita, ma che viene via via appresa 10

da tutti i membri di un gruppo - viene fissato che una data sequenza di suoni rappresenti un dato stato di cose. Chi parla e vuole indicare quello stato di cose emette quella sequenza di suoni; l 'ascoltatore, che conosce la convenzione, ne risulta quindi informato. Non sempre si riflette sul fatto che questo processo è possibile solo grazie a una fortunata circostanza che si ve­ rifica nel mondo reale. Apparentemente gli stati di cose dif­ ferenti che si possono dare nella natura sono in numero infinito. Ma come si potrebbe produrre e memorizzare un numero infinito di sequenze diverse di suoni ? Ora si dà il caso che il nostro mondo non è fatto total­ mente a caso e che per descriverne un pezzo limitato non è necessario desumere e trasmettere un'infinità d'informa­ zioni . Non c'è bisogno di raccogliere informazioni punto per punto. Infatti è possibile dividere la scena che abbiamo ùavanti in oggetti di dimensioni finite, a ciascuno dei quali viene dato un nome. (Per come questo venga fatto e den­ lro quali limiti sia possibile rimandiamo a Le cose e i loro nomi, 1986 * ) . Anche le azioni ricevono ciascuna un loro nome (verbi) , anche le modalità (avverbi) e così via. Ci accontenteremo di questi pochi cenni, dato che qui non è necessario addentrarsi nella struttura del linguaggio e negli in tricati problemi a cui essa dà luogo . Diamo per stabilito che ad ogni stato di cose si possa far corrispondere una sequenza di suoni che vengono intesi dall'ascoltatore. Ma qui sorge una difficoltà che non esisteva nel caso della pura ostensione, come quella del cane che guida il padrone . È ovvio che la convenzione simbolica non implica affatto un legame necessario fra le varie emissioni di suoni c gli stati di cose. Può sussistere un dato stato di cose, senza che nessuno pronunci la sequenza di suoni corrispondente; e per converso può darsi che uno pronunci quella sequenza senza che lo stato di cose sussista . * Per i dati bibliografici completi cfr. la Bibliografia in fondo al volume. (N.d.R.)

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Abbiamo detto che questo è ovvio. Ma ricordiamo che non lo è -stato per secoli; e del resto perfino oggi qualcuno non se ne rende bene conto. In molta parte della magia si suppone che pronunciare certe parole abbia la conseguenza di provocare un dato stato di cose . Ma forse perfino quando uno esclama « cretino ! » ' e l'interlocutore si offende c'è una oscura. reminiscenza di quella supposizione ingenua . Ad ogni modo il pensiero più evoluto si è accorto da gran tempo (Aristotele) che gli enunciati significanti si pos­ sono dividere in due categorie : quelli per i quali lo stato di cose corrispondente nella convenzione sussiste e quelli per i quali non sussiste. I primi si chiamano veri e i secondi falsi 1. :B curioso che per l'asserzione di un enunciato falso - e solo per essa - è stato coniato uno speciale verb o : men tire. Ad esso poi - dato che le convenzioni vanno rispettate (