La ragione barocca. Da Baudelaire a Benjamin 8876481508


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La ragione barocca. Da Baudelaire a Benjamin
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Christine Buci-Glucksmann

La ragione barocca Da Baudelaire a Benjamin

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! Ho impastato del fango e ne ho fatto dell'oro ... Glorificare il culto delle immagini (la mia grande, la mia unica, la mia primitiva passione). C. Baudelaire Niente mi disincanta,

il mondo mi ha affascinato. F. de Quevedo

Titolo originale: la raison baroque Copyright © 1984 by Editions Galilée, Paris Traduzione di Carlo Gazzelli Progetto grafico Luisa Conte Grafica Olga Bachschmidt Copyright © Costa & Nolan spa Via Peschiera 21 , Genova ISBN 88.7648.150.8

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Introduzione

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Immaginate una città dai molteplici accessi, labirinto, proliferazione di piazze, di crocevia, di passaggi, di dedali - una sorta di corpo multiforme del passato e della memoria. Una città barocca, insomma: Roma forse, o Vienna, o Città del Messico; e, in questa città, un /laneur, avido di novità, di cose insolite, di tutta una serie di giochi sul reale e l'irreale. In questo teatro, un simile viaggiatore, ormai senza patria né pace, incontra un venerabile vegliardo. "Chi sei?" gli domanda. "Sono il disinganno" (Yo soy el desengaiio) risponde i] vecchio. E si offre di fargli da guida in questa città-fantasma dai mille volti. Una grande strada, senza nome né fine, popolata da mille figure: la via dell'Ipocrisia. E 11, una donna bellissima, che lascia i cuori pieni di desiderio e di rimpianto, una donna dal volto di neve e di rose, avvolta nella sua aura e ornata di dolci apparenze: l'oggetto stesso dell'amore. E il signore del disinganno rivela: i denti della donna sono falsi, i capelli tinti, il volto truccato e, al di là di tutte quelle apparenze, la vecchiaia e la morte compiono la loro opera. In tutta la via, che è la via del potere e della bellezza, la realtà è rovesciata. Madama Moda e Madama Morte vi governano. Bisogna capovolgerla, aggirare tutte le barriere fra il reale e l'irreale, fra il noto e il supposto, fra il mondo e il teatro. Bisogna rimetterla in piedi: vederla dall'interno. Questa è la grande allegoria descritta in uno dei Sueiios di Quevedo: El mundo por de dentro. Questa potrebbe essere

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anche la città-allegoria, la donna-allegoria, prettamente baudelairiana, di cui parla questo libro dedicato alla Ragione barocca. Molti accessi, molti aspetti, molti livelli di scrittura'. Ma sempre la stessa scena e lo stesso viaggio: quello della modernità con i suoi paradossi e le sue ambivalenze. Un viaggio dedicato essenzialmente all'opera di Walter Benjamin, che ci conduce sempre altrove: nell'Ottocento di Baudelaire e di Salomé, fra le grandi culture della crisi - Musi!, Weininger, Klee - nella regione barocca che non ha mai smesso di ossessionare il nostro presente, quella di un Barthes è di un Lacan. Poiché la ragione barocca, con la sua teatralizzazione dell'esistente e la sua logica dell'ambivalenza, n~n è solo una ragione "altra" all'interno della modernità. E prima di tutto la Ragione dell'Altro, del suo eccedere, del suo uscire dai limiti. Grazie ad essa, non potremmo forse tentare di vedere il mondo "por de dentro" ' ?

Note 1 Una prima versione di Una archeologia della modemità. Angelus novus è stata pubblicata in "L'Ecrit du Temps", 2, 1982; Vienna: figure dell'alterità è apparso in "L'Ecrit du Temps", 5, 1984 con il ritolo Questions de judai'sme; L'utopia della femminilità fa parte del volume Benjamin et Paris, Paris, Editions du Cerf, 1984. Un certo numero di

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materiali relativi all'analisi dei rapporti Baudelaire-Benjamin sono stati inoltre illustrati per la prima volta nell'ambito di un seminario dal titolo: Archeologia della modemità: da Baudelaire a Benjamin tenutosi al Collège International de Philosophie nel periodo febbraio-giugno 1984. ' Lista delle abbreviazioni usate per le opere di Benjamin: G.S. : Gesammelte Schri/ten, Frankfurt/Main, Suhrkamp Verlag C.l: Correspondance, Paris, Aubier, Tomo I C.2: Correspondance, Paris, Aubier, Tomo II M. V. : Mythe et violence, Paris, Lettres Nouvelles P.R.: Poésie et Révolution, Paris, Lettres Nouvelles S. U.: Sens Vniq11e, Paris, Lettres Nouvelles B.B. : Essais stir Bertolt Brecht, Paris, Maspéro K.K.: "L'Herne", Kart Kra11s C.B.: Charles Baudelaire, Paris, Payot P. W.: Das Passagen-Werk, Frankfurt/Main , Suhrkamp Verlag [N.d.A.]. Salvo esplicita indicazione in contrario, tutti i passi di altri Autori citati da Christine Buci-Glucksmann sono stati da noi tradotti dalla loro versione francese; per comodità del lettore, abbiamo comunque indicato, tutte le volte che era possibile, la versione italiana dei testi da cui i passi erano tratti, sia che fosse, sia che non fosse stata da noi util.izzata [N.d.T.].

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Una archeologia della modernità Angelus Novus

L'attenta bontà dell'angelo mi tranquillizzò notevolmente e, confortato dall'acqua con cui egli aveva ripetutamente ragliato il mio vino, ritrovai infine la calma sufficiente per ascoltare il suo straordinario discorso. Non pretendo di riferire tutto ciò che egli mi disse: ma ciò che in sostanza ne rammento è che egli era il genio che presiedeva ai contrattempi che si verificano nell'umanità, e che la sua funzione era quella di provocare quei bizzarri incidenti che continuamente sorprendono gli scettici.

E.A. Poe, L'angelo delle stranezze Ma chi, se gridassi, mi udrebbe, dalle schiere degli angeli? E se anche un _Angelo a un tratto mi stringesse al suo cuore: la sua essenza più forte mi farebbe morire. Perché il bello non è che il treme11do al suo inizio... Gli angeli sono tutti tremendi (sch_reckfich ).

R.M. Rilke, Elegie duinesi, I, II C'è un quadro di Klee che s'intitola Angelus Novus. Vi si trova una angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L' a11gelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede 1111a sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le getta ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e radunare i vinti. Ma spira dal paradiso una tempesta che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle ( .. .]. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta. Paul Klee, Angelus Novus

W. Benjamin, Tesi di filosofia della storia

Premessa

Il fatto che l'immagine allegorica dell'Angelo - il suo quadro - delinei all'interno della modernità letteraria strane connessioni, che riguardano quel "qualcosa" di terribile, di spaventoso, di bizzarro, quel "contrattempo" fondamentale in virtù del quale l'umanità va "per caso" verso la propria distruzione (Poe), in virtù del quale la storia come tempesta del progresso si trasforma in "una sola catastrofe" (Benjamin) e la bellezza è cosl terribile da uccidere (Rilke): proprio questo potrebbe essere il motivo del confronto di testi appena proposto, in cui, come in un'eco, appare e riappare il "perturbante" di Freud. Un'eco tutto sommato un po' silenziosa. Poiché, se ben si rilegge l'articolo di Freud, non si può non restare colpiti da una singolare censura, un'asimmetria. Il perturbante, con tutta la sua ben nota ambivalenza di significati ("familiare-spaventoso", "rimosso, che però torna a mostrarsi"), pur se riconosciuto nei vari aspetti del suo rapporto costitutivo con la visione - col sosia, con la morte, con tutti quei processi di sdoppiamento dell'Io presenti e diffusi nella letteratura, nella telepatia, nell' animismo - non è mai intravisto se non dal punto di vista demonologico. Membra sparse, teste tagliate, occhi enucleati, sepolti vivi, bambole animate, tutti questi fantasmi e queste immaginazioni rimandano sempre, secondo Freud, a un'angoscia primitiva e originaria, alludono al ritorno a un luogo abissale, sconfinato e proibito, un luogo, propriamente parlando, vertiginoso: il sesso-grembo della madre.

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Certo, dal punto di vista del rapporto col padre e dell' angoscia di castrazione, il perturbante ha senz'altro a che fare con la violenza: ma non con una violenza "altra", più femminile che paterna, più androgina che fallica, più serafica che luciferina - la violenza dell'Angelo. A meno di non ipotizzare, come fa Lacan, "un altro lato", più femminile, del godimento, in cui l' "essere strano" e l' "essere angelo" verrebbero a coincidere: "Dal!'altro lato, si può forse attingere qualcosa che potrebbe dirci come ciò che finora non è che frattura, apertura, nel godimento si possa fare realtà? [. ..]. Si tratta di ciò che, cosa singolare, non può essere suggerito se non da intuizioni assai strane. 'Strano' (étrange) è una parola che si può scomporre in 'essere angelo' (etre

ange)" '. Questo "altro lato", questa bellezza che viene dal!' abisso, irraffigurabile (propriamente parlando) se non mediante !'"eccesso" della doppia metafora femminile e teologica, è quello che non ha mai cessato di ossessionare Benjamin. Il tema - e l'allegoria dell'Angelo - sarà la sua sigla personale, confermata dall'acquisto del famoso quadro di Klee Angelus Novus, e guiderà tutta la sua riflessione sulla filosofia dell'avanguardia e della modernità (Baudelaire, Kafka, Klee ...) in un mondo senza aura, volto alla generalizzazione della forma mercantile, alla riproducibilità illimitata delle opere d'arte - per ispirare infine le sue ultime Tesi di filosofia della storia del 1940. Sarà questa allegoria a determinare la circolazione della più segreta delle sue ossessioni: quella per cui, in Baudelaire, il linguaggio satanico collega la sessualità con gli archetipi femminili, l'elemento serafico, in certa misura androgino, con l'elemento feticistico. "L'impotenza è la base della via crucis della sessualità maschile. Indice storico di tale impotenza. Da questa impotenza deriva il suo attaccamento, come a un proprio feticcio, all'immagine serafica della donna"'. L'ossessione per cui nel grande testo sull'Angelo scritto a lbiza nel 1933 in una condizione di semi-delirio, Benjamin confesserà: "L'Angelo assomiglia a tutto ciò da cui sono stato costretto a separarmi: alle persone e alle cose specialmente"'.

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Quella, anche, più concettuale, per cui "l'Angelo della storia" fa melanconicamente sl che s'interrompa il continuum del tempo, la fede socialdemocratica nel progresso, a vantaggio di una istanza catastrofica e messianica che libera il futuro sepolto nel passato e lo costruisce col presente. Qui la riflessione culminerà in una nuova concezione del presente: lo Jetztzeit, il tempo della vera attualità, il capovolgimento politico ed epistemologico dello storicismo dei vincitori. Al tempo vuoto e lineare di una cumulatività legata alla successione degli avvenimenti, Benjamin contrapporrà la necessità di una rottura temporale - di una interruzione del tempo - svelata dagli immaginari della storia. Il tempo attuale rappresenta un tempo intensivo, qualitativo, quale è mostrato dagli "stati d'eccezione", dai momenti in cui "la cultura genera la barbarie", o in cui la memoria infinitamente repressa dei "senza nome" (Namenlosen) si riappropria infine di una storia dominata dallo storicismo dei potenti'. Ma al di là di ciò che qui si profila come un'antinomia interpretativa, in cui il Benjamin marxista, amico di Brecht e militante antifascista, continua a contrapporsi al Benjamin messianico e giudaista, la metafora dell'Angelo, il suo ripetuto, e sempre reinvestito, comparire sulla scena, radica la scrittura in una zona di frontiera, al di là e al di qua dell'umano, che senza dubbio avvicina Benjamin a Kafka quando il primo dice dell'altro: "L'interpretazione mistica legittima non deve essere concepita come un elemento della sua saggezza, ma come una interpretazione della sua follia" '. Del resto, lo stesso Benjamin confessa di aver fatta propria "la versione kafkiana dell'imperativo categorico: 'Agisci in maniera tale che gli angeli abbiano qualcosa da fare"' •. Quanto alla follia mistica, essa si accorda con la storia e le sue catastrofi, poiché Kafka, come Klce, vive "in un mondo complementare" e poiché "il mondo di Kafka, spesso così sereno e attraversato da angeli, è il complemento esatto della sua epoca, che si appresta a sopprimere intere masse di abitanti del pianeta. L'esperienza corrispondente a quella di Kafka come individuo privato potrebbe non essere ac-

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quisita dalle grandi masse se non all'ora della propria distruzione" ' . Giudizio, questo, premonitore, che, col massimo radicalismo critico, annuncia la presenza attiva, nella storia come nella modernità letteraria, di un principio distruttivo - una percezione della violenza continuamente repressa nel mondo asettico e codificato della società mercantile, delle grandi città e di quella tecnologia al servizio del potere che provoca l' "atrofia esperienziale" di cui si parla in Erfahrung und Armut (1933) . Questo rapporto con la radicalità della violenza - della violenza "altra", non solo di quella dei governanti - sarà sempre presente in ~enjamin, e determinerà il .suo passaggio da un anarchismo metafisico e nichilista, influenzato da Sorel, a un marxismo conflittuale, che si radicalizza intorno a una polarità paradossale: materialismo/messianismo, ateismo/teologia... La violenza, comunque, è dappertutto: "La tradizione degli oppressi ci insegna che lo 'stato d'eccezione' in cui viviamo è la regola. Dobbiamo dunque pervenire a una concezione della storia corrispondente a questo stato" •. Non c'è quindi da stupirsi se in pieno ventesimo secolo, in pieno "Occidente", è ancora possibile una cosa come il nazismo, una volta che si sia compreso, prendendo la storia "di contropelo", che una tale violenza, la storia dell'Occidente l'ha sempre lasciata vedere. Perciò, l'Angelo - l'étre ange e I' étrange - potrebbe rappresentare l'estremo rischio storico e psicologico nelle sue polarità ambivalenti: umano/inumano, effimero/eterno, angelo/diavolo, femminile/maschile, reale/irreale. Perciò quella "concezione della storia" sarebbe già, paradossalmente, iscritta nella letteratura, in quel!' elemento di shock che caratterizza la scrittura della modernità, distruggendo le certezze di un soggetto umanistico eccessivamente maschile. Perciò, infine, costellazione, qual esso è, di molteplici temporalità, l'Angelo potrebbe, allegoricamente, raffigurare quel punto d'incontro conflittuale fra la "familiarità" quotidiana e il mistero "perturbante" che aveva attirato l'attenzione di Freud e

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che, secondo Benjamin, definisce la dialettica. "Noi non penetriamo nel mistero se non nella misura in cui lo ritroviamo nella quotidianità, in virtù dell'ottica dialettica che riconosce il quotidiano come impenetrabile e l'impenetrabile come quotidiano" •. Quel " familiare" .c he Benjamin vedeva affiorare in Baudelaire ("Osservazione di Leiris, che la parola /amilier in Baudelaire è piena di mistero e d'inquietudine" 10) non può essere oggetto di una conoscenza diretta, totale e totalizzante. Frammentario e rimosso nella storia, dimorante in tutti quei territori indefiniti che travalicano ogni razionalità classica (l'infanzia, la cultura femminile, l'esperienza dei limiti e quella dei vinti), esso rientra nell'ambito di una verità interpretativa "che è la morte dell'intenzione". Ecco perché la filosofia, sia pure materialistica 11 , non può che compiere un vero e proprio esodo al di là di se stessa, un lavoro sui suoi confini e sui suoi "margini" che la costringe senza fine all'analisi critica di una realtà diventata, dopo Nietzsche, dopo Marx, enigmatica, geroglifica, non "razionale" . "Il modello della sua filosofia è il rebus", come dice bene Adorno. Perciò quella "concezione della storia" adeguata agli "stati W. Benjamin, Angelus Novus, cit., p. 136. • M. Blanchot, La communauté inavouable, Paris, Minuit, pp. 87 e 91. • P. W., p. 971.

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L'utopia catastrofista La femminilità come allegoria della modernità

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Modernità e redistribuzione del femminile e del maschile Nell'opera di Baudelaire compare in tutte le sue dimensioni la redistribuzione simbolica dei rapporti tra femminile e maschile propria della modernità e della duplice scena archeologica di Benjamin come storico dell'Ottocento francese: la cronistoria sociale e l'estetica. Dal punto di vista sociologico, emerge il nuovo statuto delle donne delle grandi città, soggette alla relativa uniformizzazione dei sessi dovuta al lavoro e all'urbanizzazione. Questo violento inserimento della donna nel processo di produzione della merce distrugge le precedenti differenze, siano esse materiali (la destinazione in luoghi diversi) o simboliche. Le donne, diventate ormai, con la massificazione della società e del lavoro industriale, "articoli di massa", perdono contemporaneamente le loro qualità "naturali" (l'essenza della femminilità, il determinarsi della loro natura nella semplice riproduzione della vita) e la loro aura poetica - la Bellezza intesa come idealizzazione sublimatrice, quale quella che avvolgeva la Beatrice di Dante. Una tale dinamica sociale comporta ima ridefinizione obbligatoria dei contrassegni simbolici della femminilità e della mascolinità - tanto più imperativa, quanto più la prima parte del XIX secolo è caratterizzata dallo sviluppo storico dei primi movimenti femministi. Perciò, dal punto di vista estetico, si cominciano a delineare nuovi immaginari del

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corpo femminile - cioè corpi immaginari - già presenti nell'esperienza lirica di Baudelaire, poeta "femminilizzato'1 in preda alla propria androginia, immesso sul mercato a gui: sa ,di una pr?stituta '. E la spinta distruttiva dell'allegoria ne1 confronti delle apparenze della natura e dell'ordine sociale, lo sguardo saturnino su una storia in cui avanza l' alienazione e la perdita d'esperienza propria della modernità (spleen, malinconia, noia, vuoto) provocheranno la scissione dell'Io poetico baudelairiano, ormai in preda, come nell'ubriachezza, a una sorta di indebolimento dell'Io (Lockerung des lch) . Nella propria rabbia distruttiva, di fronte a questa impotenza, alla via crucis della sua solitudine, Baudelaire, vittima di tutte le ambivalenze (storica, psichica, poetica) anali,:zate. ~a B~njamin, scoprendo la propria "androginia", s ident1f1chera a volta a volta ora con la prostituta - imma?ine della modernità - ora con la lesbica - protesta eroica contro la modernità. Il nesso fra queste due dimensioni storiche ed estetiche è così stretto, che Benjamin non esiterà a scrivere: "Baudelaire rappresenta liricamente la figura della perversione sessuale che cerca il proprio oggetto per le strade" ' . La donna, come il poeta, diventa uno dei luoghi privilegiati di questa "corrispondenza mitologica" in cui si confrontano ormai "il mondo moderno della tecnica col mondo arcaico del simbolo" '. Un intreccio che vale esattamente a definire un tipo di modernità radicalmente diverso da quello delle "teorie del progresso", e che, quasi ·sempre, emerge dall'abisso di una crisi: nel barocco del Seicento, in Baudelaire, nello ]ugendstil, nelle culture della crisi viennese o tedesca del Novecento... La posizione adottata nei confronti del progresso, della "catastrofe" , giova dunque a distinguere due tipi di modernità. Vi è ~na modernità del progresso, nata dalla grande sintesi hegehana e successivamente iscritta nelle interpretazioni evoluzionistiche e storicistiche del marxismo: sue caratteristiche so°:o} tempo cumulativo e lineare, lo sviluppo "senza barbane della cultura e delle forze produttive, un'este-

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tica della "bella totalità" classica e romantica, una visione della storia a partire dal "soggetto", sia pure alienato, che le dà un senso. E c'è la modernità che Benjamin desume a partire dalla costellazione Baudelaire-Nietzsche-Blanqui, per la quale la distruzione dell'apparenza del tutto, del sistema, dell'unicità storicistica della storia, condiziona l'eterno ritorno di un dato inevitabile dell'utopia catastrofista: il riconoscimento della barbarie, della frammentazione, della distruzione come forza critica. Questo tipo di modernità, che io chiamerei "inattuale" nel senso nietzscheano del termine, si costituisce in antitesi alle concezioni "modernistiche" o storicistiche della modernità. Perciò essa non si basa sulla pienezza di un senso, di una storia unificata e perfettamente intelligibile, bensl su una perdita, un vuoto, una mancanza: un potere d'assenza nei confronti dell'immediatamente "attuale", che collega il significato con la morte. L'erosione dell'esperienza dello spleen, la perdita dell'aura, la svalutazione nichilista dei valori, tutte queste negatività non hegeliane introducono nella scrittura uno spazio vuoto, quello a cui accenna Benjamin a proposito di Baudelaire quando parla della "costruzione nella scrittura di un posto vuoto in cui vanno a inserirsi le sue poesie" '. Il fatto che quella perdita "d'amore" che instaura la melanconia si possa tradurre nel nuovo statuto della "femminilità" e nelle sue allegorie moderne, che essa si sia perfino incarnata, in tutta la sua violenza e la sua ambivalenza, nella figura della prostituta - da Biichner a Berg, senza dimenticare Baudelaire - la dice lunga sui fantasmi che la ossessionano. . Poiché la prostituta è proprio una di quelle monadi che si aprono al lavoro archeologico di ricostruzione della storia. Perciò l'interesse di Benjamin per i "senza nome" (Namenlosen ), per i bassifondi della storia e della lettera~ura, la sua costante volontà di "fissare l'immagine della storia nelle sue più umili cristallizzazioni", produrranno una costellazione di pensieri e d'immagini, un caos di metafore proprio intorno a questa figura della femminilità, a questa forma del Trauerspìel della modernità.

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Il "Trauerspiel" del corpo prostituito

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Lo sviluppo della prostituzione nelle grandi città come fenomeno di massa che dà origine a interventi legislativi, la massificazione visibile del corpo femminile, denunciano un mutamento storico della metà del XIX secolo di carattere assai più generale: la crisi dello sguardo, i nuovi rapporti fra visib.ile e invisibile, rappresentabile e irrappresentabile, con le pratiche e i discorsi da essi generati. Il corpo femminile è, più di ogni altra cosa, il supporto di quella "archeologia dello sguardo" di cui parlava Foucault, e che non è priva di legami con quella di Benjamin. Si tratta, in effetti, di una nuova messa in scena dei corpi, ormai non più riducibili alla loro visibilità geometrica e affetti da un coefficiente di oscurità e di mistero. Questa più "profonda" visibilità del corpo femminile è al centro di molte analisi di Benjamin sulla funzione del trucco, dell'artificio, della moda, sulla nuova "fauna femminile" dei Passages ' . Da un punto di vista immediato, nella prostituzione "la donna è diventata un articolo di massa", consumabile e acquistabile, e in quanto tale esposto per la strada e nei bordelli. Un simile "articolo" esprime i nuovi rapporti esistenti fra sesso e lavoro: nel momento stesso in cui "il lavoro diventa prostituzione" \ anche quello della prostituta può pretendere di "valere" come lavoro, di avere un prezzo. Fra la prostituta, che fa pagare i suoi tempi d'amore sempre più contabilizzati, sfruttati e resi fruttiferi, e l'economia mercantile, in cui ogni cosa ha il suo prezzo, c'è ben più di una superficiale analogia storica. Poiché se il lavoro salariato e la diffusione generale della merce segnano la decadenza della qualità, del valore d'uso, delle differenze, a vantaggio di una subordinazione generale allo scambio, alla sua universalità astratta, allo stesso modo la prostituzione sta a rappresentare la fine dell'aura e la decadenza (Verfall) dell'amore' . Ma in questo abbozzo di una "economia politica" del corpo prostituito, Benjamin opera una vera e propria penetrazione oltre le apparenze, che lo conduce molto al di là di

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una semplice analisi socio-economica della prostituzione. Nella prostituzione si mostra "il carattere rivoluzionario della tecnica": in essa, infatti, il corpo è reso seriale e intercambiabile come i corpi messi al lavoro nella fabbrica. Ma non si tratta solo di asservimento. Nel meccanismo stesso della prostituzione si manifesta "un sapere inconscio dell'uomo", che consente di praticare, "attraverso tutte le sfumature del pagamento", "le sfumature stesse", ora furtive, ora brutali, "del gioco d'amore (des Liebesspiel)"*. Ciò che, in senso stretto, si compra, non è tanto il piacere, quanto ciò che lo governa: "l'espressione della vergogna", "la fanatica volontà di piacere" nella sua forma più cinica. Nella prostituzione di massa - che non riguarda esclusivamente le prostitute - compaiono nuove figure antropologiche ed emozionali tipiche della modernità: Eros si unisce a Thanatos, il desiderio di piacere con la perversione, il linguaggio apparentemente cristiano - come quello di Baudelaire - con il linguaggio della merce. Ecco dunque uno dei fili di Arianna del nostro labirinto: il desiderio maschile mira a immobilizzare, a pietrificare il corpo femminile. Ossia, secondo la formulazione benjaminiana, "Nel corpo inanimato, e che pure si offre al piacere, l'allegoria si allea con la merce". Tutta la serie delle equivalenze immaginarie e simboliche che Benjamin istituirà intorno al "corpo prostituito" vanno intese alla luce di questa alleanza. Per esempio, l'equivalenza fra l'amore per le prostitute, forma di comunione mistica propria delle grandi città, e l'immedesimazione (Einfiihlung) con la merce. O la più significativa equivalenza fra i nuovi contrassegni del corpo femminile, le sue tracce, e la violenza distruttiva dell'allegoria, che fa della prostituta un'allegoria di secondo grado: l'allegoria dell"'allegoria della merce". Per questo il Trauerspiel del corpo prostituito si organizza secondo il duplice movimento proprio della violenza allegorica: sfiguramento e svalutazione della realtà in un primo tempo, e sua umanizzazione fantasmagorica poi. Sfiguramento-svalutazione: la donna, ormai, ha perduto la

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sua aura, il suo qui-e-ora religioso e cultuale, l'assoluta unicità, di quando il corpo femminile annunciava la bellezza celeste dell'amore. La Bellezza non vede più, non parla più. I suoi occhi, simili a specchi tersi e inespressivi, sono ormai chiusi a ogni credenza sublime e ideale. La bellezza si è pietrificata •. Scrive Baudelaire nella sua poesia La Bellezza : Sono bella, o mortali! come tm sogno di pietra e il mio seno, che a tutti fu tortura, fa nel poeta nascere un amore eterno e muto come la materia 10 •

Questo sogno di pietra, questo amore pietrificato, materializzato, muto, come l'immagine ossessiva di Benjamin che definisce l'allegoria "immagine di un'inquietudine pietrificata'"', o "paesaggio originario pietrificato"", rimandano al duplice movimento che colpisce l'oggetto d'amore nella modernità. Se, a partire dal Medioevo, non v'è oggetto d'amore se non irreale, riflesso nel fantasma, in ciò che Auerbach, in riferimento a Dante, chiama il figurale, la perdita dell'aura sarà allora una doppia perdita, leggibile e visibile nelle scenografie della femminilità. Da un lato, infatti, la perdita riguarda quella sublimazione dell'amore che collegava il Bello col Vero, facendo della figura femminile - come Beatrice nella Divina Commedia l'intermediaria dell'amore "celeste", dell'amore paradisiaco. La Bellezza degli "immortali" è ora divenuta il "sogno di pietra" dei mortali. Il poeta, sul corpo femminile, legge ora la precarietà, la mortalità, la propria "castrazione": la poesia baudelairiana è davvero, come l'ha efficacemente definita Benjamin, "una mimesi della morte". Di qui la separazione radicale, sempre possibile, fra erotismo e amore, rappresentata dalla prostituta. Ma, d'altra parte, quel "sogno di pietra" esprime anche una modificazione del desiderio: l'iscriversi, cioè, di un desiderio di morte del desiderio nell'ambito dell'esperienza lirica; paralisi perversa il cui punto d'arrivo è precisamente l'amore per le prostitute o l'impotenza maschile. Di qui la nuova polarità del desiderio instaurata da Baudelaire: godi-

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mento perverso da un lato, godimento mistico dall'altro, se è vero che "dall'impotenza deriva sia l'attaccamento di Baudelaire all'immagine serafica della donna che il suo feticismo" ", come osserva Benjamin. Una polarità del desiderio circa la quale l'analisi di Benjamin coincide parzialmente con quella di Lacan: "Il corpo come significato ultimo è il cadavere o il fallo di pietra" ". Così pietrificata, la Bellezza non può fare altro che travestirsi, e Benjamin s'interessa in modo particolare agli artifici, ai travestimenti del corpo, alla moda, fino a farci vedere nel rituale del trucco delle prostitute un precorrimento degli spettacoli sexy del Novecento. Ma tutti questi travestimenti non riescono a dissimulare l'opera lunga della morte che invade Eros. L'invecchiamento ontologico del corpo (si vedano le Piccole vecchie baudelairiane), l'erotologia dello scheletro che in esso si rivela, bellezza "terribile e mostruosa": il perturbante freudiano trova qui la sua origine remota. "E ha l'incanto/di un nulla agghindato follemente" scrive Baudelaire; e ancora: "Bellezza, o mostro enorme, ingenuo, spaventoso!" ". In questa sua bellezza privata di ogni idealizzazione, denudata dallo sguardo dell'allegorista che distrugge le apparenze, in questa curiosa "ontologia" di un nulla femminile "follemente agghindato", il corpo della donna, spogliato della sua funzione materna, non è più desiderabile che nel suo giungere al limite, come corpo morto, corpo frammentario, corpo pietrificato. Come se la morte del corpo organico non si potesse rappresentare che al femminile, dopo che Baudelaire ha interiorizzato, soggettivizzato la morte, facendone il fuoco della percezione della realtà. Come osserva John E. Jackson nel suo bel libro La mort-Baudelaire, già in Biichner la finitudine dei corpi, la corruttibilità ontologica da cui sono caratterizzati, l'estetica del frammento che ne deriva, si concretizzeranno nella prostituzione. Come nell'amore di Danton per le prostitute, volto a cercare "di ricomporre a pezzo a pezzo la Venere Medici grazie alle sartine del Palais Royal. Egli lo chiama 'fa_re il mosaico': Dio sa a quale parte del corpo è arrivato. E triste vedere

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come la Natura faccia a pezzi la Bellezza, come Medea aveva fatto col fratello, e ne dissemini i framq>.enti nei corpi" 1• . I corpi prostituiti, dispersi, ridotti in frammenti, valgono da soli a rappresentare l'impulso distruttivo dell'allegoria: la perdita dell'aura, dei veli, dell'immortalità. Ma questa utopia distruttiva è anche critica; regressiva qual è, pure ha un aspetto progressivo: "Il dissolvimento (Ausstreibung) delle apparenze", la demistificazione di ogni realtà che tenda a presentarsi come un "ordine" , un "tutto", un "sistema" ". Da questo punto di vista, la modernità è un compito, una conquista ". E allora, paradossalmente, il corpo prostituito non è più soltanto framment9, rovina della natura, sfiguramento del "corpo sublime". E messo, invece, sulla scena, dentro e attraverso nuovi immaginari, che suscitano i mille eccitamenti della modernità: la moda, il gioco, la diacroajcità delle immagini, e tutte le nuove "fantasmagorie". E dunque nuovamente idealizzato e umanizzato: la prostituta è "il modo in cui la merce cerca di vedere se stessa. Nella prostituta la merce celebra la propria umanizzazione" ". La propria umanizzazione, ma anche qualcosa di più: la pienezza dell'allegoria. Cosl, nell'opera di Baudelaire, "la prostituta è la merce che realizza la pienezza della visione allegorica". In questo barocchismo del corpo femminile, l'allegoria si presenta dunque nella sua interpretazione moderna. Vorremmo, con il seguente enunciato, sottolinearne tutta la portata: solo lo statuto della femminilità come corpo al tempo stesso reale e fittizio permette di distinguere l'allegoria moderna dall'allegoria barocca.

Il corpo femminile come principio interpretativo dell' allegoria moderna .,

Come ogni altra allegoria in senso benjaminiano, e in contrasto con quanto affermato dalla critica romantica, l' alle-

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goria moderna annovera tutta una serie di caratteristiche in comune con l'allegoria barocca, questa origine (Ursprung) della modernità. Cioè, riassumendo: - nell'allegoria, come figura retorica e come interpretazione, la realtà è contemporaneamente distrutta e demistificata nella sua bella, ordinata, totalità. Nel suo intento distruttivo, l'allegoria denuda la realtà frammentandola, così che essa appaia sotto forma di rovine. In questo processo, la storia stessa si mostra nella sua rappresentazione. e nei suoi aspetti più saturnini; - questo processo genera la scrittura emozionale tipica del!' allegoria, una scrittura che si paralizza in quadri, che raffigura se stessa. Uno dei punti chiave dell'interpretazione benjaminiana dell'allegoria sta precisamente nel suo carattere ottico: l'allegoria ha a che fare con immagini, visioni, scene che collegano il visibile all'invisibile, la vita al sogno. La storia vi diventa visibile nelle sue ambivalenze fissate in quadri. L'allegoria, come la mistica, pratica dunque un linguaggio corporeo, e per questo "essa propone agli occhi dell'osservatore il volto ippocratico della storia come paesaggio pietrificato originario" (als erstarrte Urlandschaft) ,.; - proprio per il fatto che la storia vi appare nel suo versante " catastrofista" e immaginario (donde il modello di teatro reperibile in Calder6n, Shakespeare, Gryphius), nel1' allegoria, diversamente che nella tragedia, la percezione del tempo, ormai laicizzato, passa nel e attraverso il sentimento: Trauer - lutto, afflizione - e Spie!. Essa rimanda dunque a tipologie passionali e a tutta un'antropologia; - in questa scrittura, passionale e appassionata nel suo distacco, la figura retorica dominante, che mette in scena contraddizioni e situazioni estreme senza mai superarle, è l'ossimoro. Il "nulla" è "agghindato", il freddo, in essa, è bruciante, la chiarezza è oscura. Tutto ciò equivale a dire che l'allegoria è un' antidialettica o, per usare l'espressione di Benjamin, una dialettica immobilizzata, cioè congelata, fissata in immagini.

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Se questi sono i tratti principali del!' allegoria, la sua modernità, viceversa, è individuata da Benjamin in un punto preciso: il suo rapporto con la morte. "L'allegoria barocca vede solo l'esterno del cadavere, Baudelaire lo rappresenta dall'interno" ''. _Abbandonando il mondo esterno per quello interno, facendo della morte un'immagine endopsichica (per usare il termine freudiano), l'allegoria moderna si libera di un certo numero di limitazioni barocche, instaurandosi ormai sul fondamento di una duplice scomparsa. Scomparsa della salvezza come redenzione assente-presente del barocco: il tempo moderno, radicalmente laicizzato, è privo di trascendenza, privo di futuro, scandito com'è dal sempre nuovo-sempre identico. E scomparsa del cosmo-natura come totalità dei contrari, riserva metaforica "oggettiva" - una scomparsa che già si delinea nell'ironia romantica, particolarmente inJean Paul. E allora, quale corpo può "dar corpo" all'impulso distruttivo di un poeta, sempre più "femminilizzato", espulso dai grandi modelli della discendenza paterna e mimato dal proprio "abisso"? Precisamente il corpo femminile, che polarizza l'impulso sadico e perverso dello sguardo allegorico: "Per essa (I' allegoria), toccare le cose significa violarle, conoscerle vuol dire smascherarle". Da prendere alla lettera. Ragion per cui: in Baudelaire, la Barocke Detaillierung (a proposito del Beau Navire ") si compie sul corpo della donna; - il corpo femminile, e in special modo il corpo prostituito, serve da metafora agli opposti: desiderio-morte, animato-inanimato, vita-corruzione, scheletro... e costituisce la materializzazione di quella "inquietudine irrigidita" (Erstarrter Unruhe) che è la formula stessa dell'immagine baudelairiana della vita (Lebensbild), quella immagine "che non conosce sviluppo" "; - infine, questo stesso corpo reale-fittizio offre all'allegoria moderna la sua condizione d'esistenza: la visibilità, tutto ciò che ruota intorno al Bild. Perciò, come abbiamo visto, le rappresentazioni del corpo femminile sono metafore di quelle del corpo come merce. -

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Potremmo allungare l'elenco di questi processi immaginativi, fino a quello che senza dubbio è il più segreto e il più pregnante di essi: quello dell'abisso. Poiché !'"abisso" baudelairiano - cioè il gusto dell'abisso, e del nulla - così come le figure del Trauer moderno, lo spleen e la melanconia, vive di una metafora ininterrotta: quella del sesso femminile, abisso senza fondo che genera angoscia e impotenza, e nel quale la gravidanza è vissuta dal poeta come "concorrenza sleale". Qui, come osserva Benjamin in alcuni dei suoi più bei frammenti, "il senso dell'abisso dev' ess~re definito come significato. Esso è sempre allegorico" " . Tuttavia, se in Blanqui "l'abisso è stella", e si definisce nello spazio del mondo, trovando il proprio indice storico nelle scienze della natura, in Baudelaire l'abisso è "senza stelle". Non è nemmeno "l'esotismo della teologia, è secolarizzato, è l'abisso del sapere e del significato" ". Con un suggestivo parallelismo, Benjamin, interrogandosi sull'indice storico dell'abisso baudelairiano, lo accosta alla sua sorella gemella, la moda, e suggerisce che tale indice potrebbe essere "il carattere arbitrario dell'allegoria stessa" ,._ A nostra volta ipotizziamo qui che tale indice storico non sia privo di rimandi a quel mutamento dei rapporti fra femminile e maschile che compare, a metà del secolo, nell'opera di Baudelaire. Poiché la donna non è solo l' allegoria della modernità, ma è anche la protesta eroica contro questa stessa modernità nelle grandi utopie antropologiche della bisessualità e nelle sue due figure: la donna lesbica e l'androgino.

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Note ' Sull'androginia di Baudelaire, cfr. M. Butor, Histoire extraordinaire Paris, Gallimard, e L. Bersani, Barldelaire et Freud, Paris, Seui!. Bersani collega questa androginia alla perdita della virilità e alla "dislocazione" del soggetto baudelairiano. 2 P. W., p. 343. • lvi, p. 617. • C.B., p. 159. ' P. W., p . 617. • lvi, p. 439. 1 Ivi, p. 617. • W . Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo, cit., pp. 637 sgg., che tuttavia noi qui non seguiamo alla lettera [N.d.T.). • P. W., p. 411. 1• C. Baudelaire, Poesie e prose, cit., p. 41. 11 P. W., p. 414. 11 G.S., I, 1, p. 345. " W. Benjamin, Angelus Novus, cit., p. 132. " J. Lacan, La relation d'obiet, seminario inedito, cit. da M. DavidMénard in L'hystérique entre Freud et Lacan, Editions Universitaires. '' C. Baudelaire, Poesie e prose, cit., pp. 49 e 197. ''. J.E. Jackson, La mort-Baudelaire, Boudry, La Baconnière, p. 75. Il libro nel suo insieme verte su questa "interiorizzazione" della morte. " P. W., p. 411. " C.B., p. 217. " lvi, p. 228. ,. G.S., I, 1, p. 343. li Cfr. W . Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo, cit., p. 424. " P.W., p. 415. li W. Benjamin, Angelus Nov11s, cit., p. 137. " P. W., p. 347.

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Ibidem.

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lvi, p. 348.

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L'utopia antropologica, o le "eroine" della modernità

Sorella della prostituta, in quanto protesta anch'essa contro quella interiorità che domina nella scena familiare, contro la riduzione dell'amore alla gravidanza e alla famiglia, la figura della donna lesbica ne è peraltro l'esatto opposto: essa incarna infatti "una protesta contro la rivoluzione tecnologica" e un "archetipo eroico della modernità". Perciò que. sto amore puro, questa "sublimazione portata fin nel seno della donna" sarà per Baudelaire un ideale erotico e, più an: cora, una "figura-guida eroica" (heroischen Leitbilder) '. Il riferimento alla modernità è qui da intendere nel suo significato più pregnante. Certo, questa figura della donna lesbica si rifà al ricordo dell'amore saffico greco e intreccia in forma allegorica l'antico e il moderno. Ed è, certo, tale figura ben presente in tutta la letteratura del XIX secolo, dalla Fil/e aux yeux d'or di Balzac a Mademoiselle Maupin di Gautier o alla Fragoletta di Latouche. E non dobbiamo dimenticare tutte le sue raffigurazioni pittoriche citate da Benjamin, come quella di Delacroix (vista da Baudelaire all'Esposizione Universale del 1855) o quella di Courbet. Ma, secondo Benjamin, non è qui la sua vera origine, il suo Ursprung: piuttosto, essa va ricercata nella reiscrizione del mito dell'androgino all'interno delle prime grandi utopie sorte in concomitanza con l'industrializzazione, il sansimonismo in primo luogo, specialmente nella sua versione femminista, datane da Claire Demar, nonché nella storia delle sette nelle sue componenti mistico-romantiche, come ad

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esempio quella di Ganeau '. Come ogni altra "origine" intesa in senso benjaminiano, essa coniuga una preistoria con un dopostoria, collegandoli entrambi al posto che ha la questione antropologica nella modernità e in una strategia di allargamento dell'esperienza. A proposito della storia delle sette, rifacendosi ad alcuni passi del libro di Claire Demar, Ma loi d'avenir, Benjamin stesso parlerà di "materialismo antropologico" '. Benjamin procede quindi a una sorta di montaggio delle diverse forme di androginia: e questo potrebbe essere considerato il punto di partenza di quella archeologia antropologica che costituirà la base della critica dello storicismo e che fondamentalmente anticiperà la scoperta freudiana della bisessualità.

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L'androginia divina è quella di Ganeau, il famoso mago che

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sul suo giaciglio riceveva i giornalisti dell'epoca e che, in una sorta di eresia romantica, vedeva nella figura bisessuata di un Dio cristiano incarnatosi in Gesù Cristo e in Maria un'immagine della libertà futura. Criticando il simbolismo paterno e "fallocentrico" del cristianesimo, non si spingeva egli forse fino a creare una simbologia alternativa e bisessuale, il Mapah (madre-padre)? E, nel 1838, nella sua prima dichiarazione pubblica, egli annuncia l'inizio dell'era di Evadah, l'androgino creato quale mediatore dell'androginia divina. Benjamin riporta tutti questi dati ', assai attento a cogliere questa femminilizzazione della religione che non è priva di rapporti con quella della divinità nella Qabbalah e nelle varie correnti del messianesimo ebraico. Ganeau, nel suo delirio eretico-romantico, introduce una nuova valorizzazione della femminilità nella storia: la sua Maria, nell'ambito della bisessualizzazione del Dio cristiano, finirà con l'incarnare, "al femminile", la Libertà del 1789, vera sacerdotessa del mondo futuro, di una umanità liberata e riconciliata.

L'androginia utopica e femminista: il suo contenuto antropologico. Ma da Ganeau, insieme con i molti altri citati da

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Benjamin (I' abate Constant, Swedenborg, l'ispiratore di Baudelaire ...) siamo poi indotti a ritornare al di qua, al vero luogo dell'androginia moderna : al sansimonismo e al femminismo di Claire Demar. Il sansimonismo, nella interpretazione datane dall'Enfantin, in quanto religione fusionale, propone esattamente "una nuova forma di commistione fra umano e divino" ' . L'utopia architettonica del Tempio come androgino realizzato, l'asserita necessità di fare dell'elemento androgino la base stessa del culto (funzione del Padre e della Madr\!), tutto ciò collega il sansimonismo ai suoi due grandi corr~lati moderni: l'industrializzazione da un lato, e il femminismo dall'altro. Perciò proprio Claire Demar, sansimonista e femminist~, attrae in modo particolare l'attenzione di Benjamin: "E più facile cogliere il contenuto antropologico dell'utopia sansimoniana nel percorso intellettuale di Claire Demar, che non in quell'architettura che non fu mai costruita" •. Il contenuto antropologico del femminismo come movimento di emancipazione femminile si può facilmente cogliere nel Manifesto di Claire Demar, che Benjamin cita a più riprese, Ma loi d'avenir. La donna deve guadagnarsi da sola l'esistenza e la propria posizione sociale; riabilitazione del corpo, liberazione dell'amore dalla costrizione del matrimonio, affrancamento· della donna dalla "maternità di sangue", critica dello sfruttamento patriarcale e sociale: tutti questi elementi sono ricordati da Benjamin ' . Un siffatto, liberatorio, contenuto antropologico non dà solamente conto dell'emergere della figura moderna della donna lesbica a partire dall'utopia e dal femminismo; ma illumina da vicino quel famoso "materialismo antropologico" che, secondo Benjamin, con la sua critica del patriarcato, la sua rivendicazione di rapporti più liberi, più ricchi, ma anche più misteriosi, fra i sessi, provocherà l'odio della borghesia reazionaria della fine dell'Ottocento. La lettura, oggi, di questo capitolo dei "Passages" di Parigi è assolutamente stupefacente, tanto lontano arrivano le intuizioni storiche e teoriche di Benjamin. Qui si trova la grandiosa utopia

antropologica della modernità, in cui la bisessualità androgina si congiunge con la critica della "dittatura del simbolo" religioso e monoteistico e con quella delle istituzioni di massa del capitalismo: il matrimonio, la prostituzione... Cosl da Claire Demar a Fourier, citando il libro di Firmin Maillard La légende de la /emme emancipée, ricordando la serie grafica de Les Vésuviennes di Beaumont per sfociare infine nella nuova protesta contro la tecnica, rappresentata dalle donne-fiore dello Jugendstil, Benjamin non cessa di costruire quella rete di costellazioni storiche in cui passato e presente vengono a scontrarsi. Perché? Perché questa "passione" per l' androginia più di venticinque anni dopo le prime grandi inquietudini della giovinezza? Ogni individuo non è forse composto di un elemento maschile e di uno femminile? Che sappiamo noi di una esperienza della cultura

femminile? .

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La prima risposta che può essere formulata è evidentemente di carattere storico: l' androginia e il femminismo - malgrado la misoginia di Baudelaire - sono le vere origini di quella figura di Saffo moderna che incarna la protesta contro la modernità industrialista, contro la sottomissione femminile alla riproduzione dei corpi e delle immagini. Questo tipo di femminilità è portatore di un nuovo eroismo, simile a quello di Baudelaire e di Nietzsche. Un eroismo reale per Benjamin, che, dal canto suo, scorge bene la duplicità, l'ambivalenza di Baudelaire: poiché se Baudelaire iscrive l'immagine della donna lesbica nella modernità, e quindi la afferma come immagine, egli la nega di fatto nella realtà sociale, riservandole lo stesso ostracismo sociale a cui sottopone tutte le donne emancipate, a cominciare da George Sand•. Tuttavia, pur essendo pertinente, questa risposta non va al fondo del problema, che a me sembra riguardare il concetto benjaminiano di "antropologia" e, quindi, di esperienza. In effetti, nel Dramma barocco tedesco, Benjamin scorge nelle rappresentazioni del Tempo, del Trauer, delle passioni del Potere, una vera e propria antropologia drammatica . Anzi, il riconoscimento di tale antropologia rende possibile la

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critica dello storicismo e la distinzione del barocco dal tragico: "Un fondamento della realtà drammaturgica quale quello offerto dalla tipologia e dall'antropologia dei drammi barocchi è la condizione preliminare per liberarsi dalle inibizioni di uno storicismo che liquida il proprio oggetto" ' . In altre parole, la messa in scena di immagini e di immaginari presuppone un vero e proprio gioco passionale sul tempo, il desiderio, la morte - l'afflizione e il lutto - che, liberi ormai dal destino greco, sono consegnati alla loro storicità rappresentativa. Non è forse qui, in questi territori preda della passione fino alla follia, che l' "ascia della ragione" deve penetrare, come in una foresta o in un labirinto? Qui, doye si trova anche l'esperienza, la femminilità sepolta? E come se la femminilità, in quanto generatrice d'immagini e di immaginario, colpisse innanzi tutto lo statuto della scrittura e dell'esperienza, o addirittura della prassi storica, in virtù del suo potenziale di alterità e di trasgressione.

Note

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• P. W., p. 400. l fvi, pp. 970-977. • lvi, p. 974. • Ivi, p. 971. ' Ivi, p. 981. • C.B., p. 101. , P. W. , p. 974. • C.B., p. 136 e P. W., p. 400. • G.S., I, I, p. 278.

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L'utopia. trasgressiva: frontiere "immaginali" della scrittura e della storia

A differenza di quella perdita d'esperienza propria della modernità, al suo vuoto costituzionale e alle sue fantasmagorie mercantili, ma altresì ali' opposto di quel ritorno ali'esperienza vissuta (Erlebnis), sempre prigioniera del continuo fluire del tempo, di cui parlano Dilthey o Bergson, l'esperienza come Erfahrung nasce sempre da una frattura del tempo, della sua continuità storicistica, vuota e omogenea. Con una "interruzione", con un "taglio" nel tempo sempre ha inizio un tempo intensivo, qualitativo, il tempo della discesa in se stessi, verso un regno delle "somiglianze" (Proust) o delle "corrispondenze" (Baudelaire), o addirittura verso un "mondo complementare" (Kafka, Klee). In questo senso, ogni esperienza ha "una essenza linguistica": l'unicità, l'unità del "soggetto" vi si spezza per effetto dello shock e della involontarietà del caso e del tempo. Eppure, abbastanza paradossalmente, il momento della maggiore felicità, quello della famosa "illuminazione profana" in cui il mistero e il quotidiano uniscono le loro nature, non è tanto d'ordine simbolico e linguistico, quanto dell'ordine dell'immaginario: fa tutt'uno con le immagini, con tutto ciò che appartiene alla sfera del Bi!d. Come se sempre ci volesse un'immagine perché l'immemorialità del passato si scontrasse col "tempo attuale" - con lo Jetztzeit e perché a fronte del dissolversi dell'aura e della lontananza cultuale della modernità come mondo disincantato, possa venirsi a creare un'aura affatto diversa, irriducibile, in sé,

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all' "aura" mercantile delle "fantasmagorie" del moderno, ma anche al contenuto di certi enunciati "brechtiani" di Benjamin secondo cui la scomparsa dell'aura potrebbe dar luogo, positivamente, a una "politicizzazione dell'arte"'. In effetti, sia le "corrispondenze" di Baudelaire, che il "tempo ritrovato" di Proust danno vita a un'esperienza assolutamente "inattuale" della modernità. Il vissuto diventa ricordo, memoria non storica, preistorica addirittura: "Le correspondances sono le date del ricordo. Non sono date storiche, ma date della preistoria" ' . Come se solo il ricordo, la reliquia interiorizzata, potesse costituire l'allegoria della modernità, l'ultima utopia del melanconico. Ma il ricordo involontario che nasce dallo shock, cosl come la costellazione storica di presente e passato da cui si è "folgorati" non si mostrano se non per immagini, in figure. Figure che sono arcaiche da un lato, e non arcaiche, storiche, autentiche dall'altro, secondo le caratteristiche attribuite da Benjamin all'immagine dialettica' . Perciò, in un autore attento come Benjamin alle qualità del simbolico e del "leggibile", l'onnipresenza delle metafore dello sguardo, del volto, della facies, la trama infinita di tutto ciò che ha a che fare col Bi!d, nonché la sua propria passione per il teatro in generale e il teatro barocco in particolare, non mancano di illuminare alcuni dei nessi più riposti tra femminilità e modernità: in una parola, l'inconscio della visione. Prima di tutto, l'onnipotenza dello sguardo. "Il volto della modernità ci folgora con un'occhiata immemoriale. Tale, per i Greci, era lo sguardo della Medusa'". Uno sguardo che folgora e pietrifica, uno sguardo meduseo, poiché dispiega gli ambigui poteri di quella femminilità sessuale e materna di cui parla Freud nel Perturbante. Tuttavia, se "sotto lo sguardo della melanconia l'oggetto diventa allegorico", esiste al contrario un altro sguardo, che vede davvero e che evoca l'aura. Così, nel Trauerspiel, Benjamin osserva che la pittura barocca ci costringe ad "alzare gli occhi" in virtù dello schema, del diagramma barocco che spoglia i corpi di ogni idealizzazione, li deforma e apre uno spazio

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vuoto all'apparizione luminosa (Dio o gli Angeli) '. Ora, Benjamin definisce l'aura in base a questo stesso moto dello sguardo verso un irrappresentabile rappresentato: "Percepire l'aura di una ç_osa signifièa conferirle il potere di fare alzare gli occhi" •. E il potere contrario a quello di un altro sguardo, non dei meno importanti, lo sguardo dell' Angelo di Klee, dell'Angelo della Storia che, col volto girato verso il passato e con "gli occhi spalancati", contempla la tempesta del progresso. In questo sguardo angelico s'intrecciano rapporti assolutamente inediti tra umano e inumano, effimero ed eterno, storia e messianesimo, maschile e femminile. Angelo interprete di quanto vi è di non umano nel1'uomo e nella storia, egli viola ogni frontiera. Poiché, come abbiamo visto, si tratta proprio di un Angelo androgino' , derivato dalla tradizione ebraica della Qabbalah, nella quale Dio viene ad essere femminilizzato, bisessualizzato e come teatralizzato•. Contrariamente alle interpretazioni ortodosse del giudaismo, questo Dio che "non è" (Aiin), questo nulla di Dio, non esiste se non in virtù del proprio desiderio scopico: "Dio ha desiderato vedere Dio". Concepito sul modello delle "potenze" e delle "emanazioni", questo "vedere" divino rimanda infine, nel caso della decima potenza, alla sua presenza femminile nella Shekhinah (figlia, sposa e madre di Dio...). E da qui procede l'angelo che "apparirà" a Benjamin nella sua sconvolgente esperienza del 1933, registrata nel testo così estesamente commentato da Scholem: Agesilaus Santander. Come scrive Benjamin, lui, melanconico "venuto al mondo sotto Saturno", scorgerà dietro la figura maschile del quadro, la sua figura femminile, per la strada più lunga e più fatale. Questa femminilità desessualizzata, dalla Medusa, all' Angelo androgino, compare qui come un "eccesso", come un moto di abbattimento delle frontiere, come una cancellazione dei limiti fra il rappresentabile e l'irrappresentabile. Figura dell'alterità, essa genera distacco e attrazione, inserendosi nel cuore stesso della scrittura allegorica e dell'interpretazione datane da Benjamin. Scrittura emozionale, l'allegoria è attraversata da un'antinomia, dalla coesistenza

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di due elementi contraddittori: la tradizione e l'espressione (Ausdruck). E se la tradizione rimanda ai codici, alla retorica, a una fredda tecnica di distanziamento dell'oggetto, viceversa la "forma espressiva" (Ausdrucks Form) si traduce in "piogge d'immagini", in eccessi metaforici, in violazioni dei confini della realtà. In essa, "ciò che è scritto tende all'immagine" (zum Bilde). C'è dunque come un abisso permanente fra l'essere figurato (Bildlichen Sein) e il significato (Bedeutung), che spezza il movimento dialettico e lo fissa in un'immagine ambigua, polisemica, staccata come un frammento dal tutto: "Nel campo dell'intuizione allegorica, l'immagine è frammento, rovina" •. In ciò, la scrittura allegorica è scrittura del figurale e distruzione di ogni figuratività stricto sensu. Poiché, come dice Gilles Deleuze nella sua analisi della linea spezzata di Michelangelo, "il realismo della deformazione distrugge l'idealismo della trasfigurazione" '0 • Cose e forme si de-cosificano e si de-formalizzano in un movimento di linee spezzate, in una teatralità. In altri termini, più freudianamente, possiamo dire che la teatralità allegorica e barocca unisce in sé quella fredda e distaccata della perversione, che idealizza la pulsione mediante scenari e feticci (parti al posto del tutto), e quella bruciante, in eccesso, dell'isteria, che evoca il godimento in prossimità della visione e dello spettacolo. Un freddo ardente, un gelido ardore: questa potrebbe essere la formula del "desiderio" baudelairiano, che separa l'eros dall'amore, pagando cosl il suo prezzo alla scomparsa dell'aura. Ma questa struttura di teatralizzazione della realtà e di rappresentazione per via di figure del desiderio è cosl pregnante, che Benjamin, lasciandosi indurre a un parallelismo sociologico tanto suggestivo quanto discutibile, giunge fino a ritrovare "procedimenti barocchi" nei movimenti stessi del capitale, quale ad esempio sarebbe la "monumentalizzazione del particolare" riscontrabile in un lavoro salariato frazionato, diviso, decomposto, senza veli 11 • Proprio come lo spleen baudelairiano rappresenta "il seppellimento del soggetto trascendentale della coscienza storica" 12, la grande metafora barocca del teschio sarebbe a sua volta "il prodot-

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to di _un processo ~torico". Perciò la perdita dell'aura - il s~o smtom~ fe~m!nile -. rimanda in primo luogo alla perdita delle illusioni storiche: "L'assenza di illusioni e la scomparsa dell'aura sono fenomeni identici"". Cosl, nel suo testo sul surrealismo, Benjamin sottolinea i rapporti esistenti fra pessimismo teorico di fronte alla storia e necessità della rifondazione di una concezione della politica "materialistica" proprio perché a stretto contatto con l'immaginario: "Organizzare il pessimismo... vuol dire semplicemente escludere dalla politica la metafora morale e ~coprir~,. nello spazio della condotta politica, lo spazio delle 1mffi:ag1ru al cento per cento" ''. Lo spazi6 delle immagini o, più esattamente, lo spazio immaginale assoluto (Hundertprozentigen Bildraums), è quello che si attinge nell'ebbrezza, nella scrittura, nel luogo intermedio fra sensibilità e concetto, che cancella le frontiere costituite. Ma donde deriva questo potere di trasgressione dell'immaginale nel!'Er/ahrung? ~i fatto questa iscrizione trasgressiva di uno spazio immaginale assoluto all'interno della politica rimanda alla diagnosi che Benjamin fa circa la modernità e le sue conseg~enz7 ~ul pi~no yoliti~o_. In un frammento dei "Passages" dt Partgt, Ben1amm avv1cma la perdita dell'aura alla pietrifica!~one_ dell'immaginazione: "La perdita dell'aura e la pietrificazione della rappresentazione immaginaria (Verkiimmerung der Phantasievorstetlung) di una natura migliore sono la stessa identica cosa" " . Tale pietrificazione è sia sessuale che politica e rimanda a quello stesso parallelismo fra sessualità e classe operaia rappresentato dalla grande immagin~ del l_abiri?to: "Questa pietrificazione deriva dalla posizione d1fens1va della classe operaia nella lotta di classe. Per questo motivo la perdita dell'aura e quella della potenza (Potenz) sessuale sono la stessa identica cosa" " . C?~e ~trategia ,1el ris~egli?, e ~er co~trastare questa pietrif1caz1one dell 1mmagmar10 sociale e inconscio, Benjamin co~trap,1;o~e ad essa le capacità di trasgressione e di "rivoluzione d1 quel mondo che consentirebbe di trasformare le azioni politiche dando loro un potenziale d'energia, di

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intensità messianica in un mondo ormai privo di aura e destinato alla "illuminazione profana". Senza dimenticare mai che l'immaginario, in quanto visualizzazione dell'inconscio, è fondamentalmente ambivalente: distruttivo e costruttivo. Dal punto di vista distruttivo, la pietrificazione - quella dell'inquietudine irrigidita dell'allegoria - è una "cosa storica". Non contiene forse le tracce di tutte le "violenze del mondo antico e di quello cristiano, bloccate nel loro conflitto, pietrificate" "? Per quanto riguarda l'anticipazione del futuro, Benjamin la assegna all'arte, ma a?che a una certa, logica delle immagini presente ad esempio nella moda: "E noto come l'arte sia spesso capace dicogliere, ad esempio in immagini (in Bildern), la realtà percepibile con un anticipo di anni[. ..). Tuttavia la moda, in virtù del fiuto incomparabile della collettività femminile per ciò che si prepara nel futuro, è in contatto molto più costante e preciso con le cose a venire" " . Perciò, la moda è "un segnale segreto delle cose future". Chi saprà decifrarlo? II potere femminile ·sulle immagini, la messa in scena del corpo femminile negli immaginari dell'allegoria o della protesta contro la modernità, la riscoperta della bisessualità della scrittura, l'esperienza antropologica radicale connessa con le utopie e con le trasgressioni delle distinzioni normative tra maschile e femminile... Questi nuovi territori, estranei alla ragione storicista, alla ragione del "progresso", queste "forme storiche originarie" riconquistate dalle "immagini dialettiche" che instaurano un collegamento fra ciò che è stato e il tempo attuale, ci mostrano bene quale sia il "filo d'Arianna" nel labirinto. Ed esso, "lo spazio immaginale assoluto", si rivela come uno spazio antropologico, che dischiude l'esperienza di un tempo al di fuori della storia storiografica e della linearità del senso. L' "utopia" della femminilità, nel suo "eccesso" interpretativo, può raffigurare questo intreccio di tempi, d'immagini e di corpi interno all'illuminazione profana. Questo Benjamin lo "sapeva" in virtù di un sapere inconscio, il sapere del labirinto, lo stesso sapere che guida la sua ricostruzione archeologica di alcuni immaginari della modernità e delle

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sue allegorie femminili. Risuona allora in essa l'eco di un' altra voce, di un'altra inattualità irragionevole ed eroica, che egli amava, quella di Nietzsche che parla per bocca di Dioniso: Sii ragionevole Arianna, tu hai piccole orecchie, tu hai piccole orecchie, fa' che vi entri un discorso sensato. Non bisogna prima odiarsi, per amarsi? Sono il tuo labirinto.

Note Soprattutto nell'Opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, il che ha portato a una lettura unilaterale di Benjamin. ' W. Benjamin, Angelus Novus, cit., p. 1 l8 . • P.W. ' Ivi, p. 72 . ' W. Bcnjamin, Il dramma barocco tedesco, cit., p. 92. • C.B., p. 200. 1

Cfr. la prima parte del libro. ' Su questa fcmminilizzazione della divinità, cfr. G. Scholem, La Kabbale et sa symbolique, cit., pp. 124 sgg. • G.S., I, l, p. 352. 1 • Sul concetto di figurale, dr. J.F. Lyotard, Discours-figures, cit., nonché G. Deleuze, Fra11cis Bacon, logique de la scnsatio11, Paris, Editions de la Différence. 11 />. \11/., p. 462. 11 Concetto espresso, in tut t' altra prospettiva, da F. Masini, Dialettica dell'ebbrezza, in \11/alter Beniamin. Tempo, storia, linguaggio, a cura di L. Belloi e L. Lotti, Roma, Editori Riuniti, I983. " Cfr. P. \11/. ,. M. V. , p. 312. " P. W. , p. 457. 7

Ma Arianna ormai sa di essere irragionevole e non vuole più udire discorsi sensati. In fondo al labirinto, c'è allora una domanda del tutto diversa: che cosa vuole la donna?

1• 11

,.

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Ibidem. lvi, p. 483. W. Bcnjamin, Parigi capitale del XIX secolo, cit. , p. 106.

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Appendice Vienna: figure dell'alterità Femminilità ed ebraicità

Vi è soltanto paura del non essere, del nulla; si ha paura del male, della follia, dell'oblio, della discontinuità, della donna, del sosia... O. Weininger, Delle cose ultime '

Il fatto che la discontinuità appaia qui sotto la forma del!' alterità più radicale e più pericolosa - la donna - che generi quella paura senza limiti nata da un odio di sé in cui follia, sosia e nulla coniugano i loro poteri malefici, designa immediatamente la femminilità come uno spazio di proiezioni e di fantasmi, un corpus mitico e allegorico in cui verranno a collocarsi altre differenze negate, fra cui la diffe. renza ebraica. E tale in effetti essa fu per Weininger, che proprio nella "donna" e nell"'ebreo", nelle loro affinità e nelle loro differenze, vide incarnato lo spirito stesso della modernità: "In ogni suo aspetto, lo spirito della modernità è ebreo. La sessualità vi è celebrata come il valore supremo. Il nostro tempo è non solo il _più ebraico ma anche il più femminile di tutti i tempi" ' . E, si potrebbe dire, il tempo dei "senza nome", degli "uomini senza qualità": poiché la donna, scrive ancora Weininger, "fondamentalmente non ha nome". È una Namenlose, come la Kundry di Parsifal o la Lulu di Wedekind, portatrice solo di soprannomi e di nomignoli ', modellati sul desiderio degli uomini: Eva, Nelli, Mignon... Senza nome, esclusa dal simbolismo, la donna è dunque "priva di essenza", "priva di identità", "senz'anima", "non concettuale" e "alogica": è un nonsoggetto, in preda all'onnipotenza della sessualità, un nonsoggetto "amorale" e "antisociale", schiavo della libido del male e che "ignora lo Stato" . Simile a questa è però anche l'immagine dell'essere ebreo

che Weininger non costruisce sulla base di un antisemitismo biologico e sociologico, bens} all'interno di un progetto filosofico che mira a delineare non la natura degli "ebrei reali", ma "l'idea platonica cieli'ebraicità". Una "ebraicità" interamente permeata di femminilità: "Chiunque abbia contemporaneamente riflettuto sia sulla donna che sugli ebrei, avrà potuto constatare, non senza stupore, quanto l'ebreo sia compenetrato di quella femminilità che si è visto essere la negazione di tutte le qualità maschili" . Giudicati in base a una vera e propria "ontologia della mascolinità", che mira a restaurare i valori idealistici e neo-kantiani e a contrapporre alla "volontà di potenza" nietzscheana la "volontà di valore", gli ebrei, come le donne, sono il rovescio negativo della virilità che permea di sé la filosofia occidentale. Come le donne, gli ebrei non sentono il bisogno della proprietà nel vero senso della parola, cioè come proprietà fondiaria, in cui "proprietà" significa "terra" . Come le donne, "essi non dimostrano alcuna comprensione di cosa sia lo Stato". Di qui la loro propensione all'anarchia e al comunismo ... Come le donne, essi sono privi di "personalità", di "dignità", di "anima" (che è prerogativa eminentemente cristiana), addirittura della stessa "immortalità" (sic). Per questo, più che anti-morali, sono a-morali, e la loro vita si svolge nell'ambito della riproduzione della specie, nella famiglia, non da individui liberi, non come "Ego". Questa logica dell'esclusione rimanda peraltro proprio al luogo da cui ha origine l'intero discorso di Weininger, al suo "odio di sé" da ebreo convertito, alla sua angoscia di fronte alla femminilizzazione della sessualità - tutti elementi che ne fanno un discorso "delirante" sulla sessualità. Originariamente coinvolta nella fusione e nella indifferenziazione dei corpi, la femminilità, incapace di separazione e di individuazione, non è altro che sessualità e procreazione: "La donna è solo sessuale". Nella donna la sessualità è diffusa nel corpo intero, cosl che ogni contatto, in qualsiasi punto del suo corpo, le procura una emozione sessuale ... " . Felice natura perverso-polimorfa, col suo narcisismo

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fusionale, fissata al corpo a corpo di una sessualizzazione precoce diffusa, eppure dominata dal desiderio di accoppiamento e dall'identificazione dell'uomo col fallo, questa femminilità, nella sua follia del corpo, è fatta ad immagine dell'essere ebreo, e viceversa. Poiché "gli uomini dominati dal desiderio di accoppiamento sono degli ebrei che non sanno di esserlo e questo è in definitiva il punto di convergenza più sorprendente che si possa trovare fra la femminilità e l'essere ebreo". "Più lascivi degli ariani" (sic), gli ebrei "sono i migliori sensali di matrimoni del mondo", spinti come sono dal loro "bisogno organico di accoppiamento". E la metafora è qui da intendere in senso letterale: se ogni accoppiamento sessuale tende a cancellare, nel rapporto, i confini dei corpi e delle personalità individuali, "l'ebreo è, per eccellenza, colui che cancella i confini", l'immagine stessa dell'erranza e della non-cittadinanza' . Alla differenza aristocratica, al pathos della distanza, l'ebreo contrappone dunque, secondo Weininger, una falsa differenza, una falsa alterità, priva di distanziamento. Egli viola e cancella le frontiere: quelle degli Stati, quelle dei sessi, quelle delle religioni, quelle delle categorie del pensiero che una filosofia dei valori vorrebbe invece mantenere e consolidare. Perciò, in q~esta confusione dei limiti, Weininger scorge un intero orizzonte di ambiguità e ambivalenza: "I contenuti della psiche ebraica sono tutti in un certo senso ambigui o molteplici: questa ambiguità, questa duplicità, questa molteplicità l'ebreo non giunge mai a superarla". L'intero senso del testo weiningeriano potrebbe dunque essere capovolto. Poiché, se la teoria antisemita si fonda sulla constatazione di una flagrante ineguaglianza, di una differenza "negativa" fra l'ebreo e gli altri, cambiando punto di vista può emergere tutt'altro statuto di questa stessa differenza: una differenza "positiva", pericolosa, trasgressiva, non rispettosa delle divisioni fra i soggetti e le varie forme del sapere. Una differenza che, in Weininger, suscita una paura cosl arcaica da indurlo a identificare il coito col delitto. Come dire che a occuparsi dei temi del-

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l'ebraismo e delJa femminilità, ci si trova di fronte a degli estremi da "interpretare" nel senso freudiano del termine. Poiché il parallelismo fra "la donna" e "l'ebreo", con la diffusione simultanea di un antifemminismo filosofico derivato da Schopenhauer e di un antisemitismo differenziato, ma molto presente nella Vienna fin de siècle ', è un vero e proprio luogo comune della seconda metà dell'Ottocento e degli inizi del Novecento. Sullo statuto del corpo, questo oggetto di odio-amore in tutta la storia dell'Occidente, vengono a incontrarsi entrambe le "storie" di cui parla Adorno: la storia "manifesta", quella del progresso e della razionalizzazione, e la storia latente, quella "del destino degli istinti e delle passioni umane represse e snaturate dalla civiltà" •. Niente di strano dunque se il nazionalsocialismo, che rivelò "il rapporto esistente fra storia manifesta e lato oscuro della storia'', lo fece ricorrendo a queste due immagini di un'alterità negata e perseguitata. Secondo Mein Kampf l'emancipazione femminile è "una invenzione ebraica", e "con i mezzi della democrazia sessuale, l'ebreo ci porta via le nostre donne". Raffigurando, a volta a volta, la sozzura, la promiscuità, I' "impurità" e il mito di una pericolosa sovrapotenza sessuale, l' "ebreo" e la "donna" (in quanto "altro" e in quanto "donna emancipata") sono assolutamente estranei all'"ordine maschile" (der Miinnerbund) dello Stato e alla sua logica di morte. Facendo riferimento all'ordine dei Cavalieri teutonici, a quello dei Templari e a quello dei Gesuiti, Rosenberg, da buon ideologo nazista, scriverà nel Mito del XX secolo: " Ogni modello statuale, razziale, sociale o ecclesiale si fonda quasi esclusivamente su un ordine maschile e sulla sua disciplina" ' . Ma, a dire il vero, questo parallelismo fra femminilità ed ebraismo non si riscontra solamente a destra. In positivo, e in termini affatto diversi, lo si ritrova anche a sinistra. A nome delle donne, all'inizio del secolo cosl scrive Mina Cauer: "Le donne, le classi lavoratrici, gli ebrei sono gli oppressi del nostro secolo" (Berlino 1908). Lucida affermazione, che apre la strada a una critica dell'oppressione e

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dell'esclusione che sarà ripresa da molte altre penne. Quella di Simone de Beauvoir nel Secondo Sesso, per esempio, o quella di Adorno: " Le donne e gli ebrei recano su di sé iJ marchio di una millenaria esclusione dal potere". Ed è come se, a questo punto, il discorso critico sull'esclusione e l'oppressione pervenisse a fondere in una sola minoranzamaggioranza esistenziale tutte le immagini dell'alterità negata e distrutta. Ma perché, e in che cosa, si possono paragonare fra loro l'alterità ebraica e l'alterità femminile? Se Sesso e carattere, che affascinò Kraus e Musil, è al tempo stesso una "anti-utopia" (Ernst Bloch), e un "laboratorio della modernità" , sia pure di una "modernità reazionaria" secondo J. Le Rider, non è forse proprio perché in esso le immagini della femminilità e dell'essere ebreo sono avvolte da una irriducibile ambiguità, desumibile dall'intero progetto filosofico di Weininger e dalla sua "posizione del soggetto"? Ambiguità, e perfino ambivalenza, che verte sempre sull'idea della "legge" - del "confine", del "limite" - e che non era sfuggita al terribile acume di Freud: "In lui (Weininger) il nesso fra la 'donna' e !"ebreo' è istituito dal complesso di castrazione" . Ma che Sesso e carattere verta sullo statuto del "limite", del "confine", della "differenza", è cosa che deriva dal progetto filosofico stesso di Weininger: rispondere alle sfide della "cultura della crisi" della grande Vienna e soprattutto in modo particolare alla sfida niec_zscheana relativa alla critica dei valori - al nichilismo. E difficile infatti immaginare che cosa Nietzsche abbia potuto rappresentare per un'intera generazione. Nelle sue memorie, Die Welt vom Gestern, Stefan Zweig confessa: "Sotto i banchi di scuola, noi leggevamo Nietzsche e Strindberg" •. Quanto a Musil, che vedrà sempre in Nietzsche l'uomo delle nuove innumerevoli possibilità, nel suo Diario scrive: "Destin;: avere avuto Nietzsche fra le mani per la prima volta a diciott'anni'". Weininger non sfuggì neanche lui a questo destino, e tentò di dargli una risposta. Perciò, a proposito dell'uomo, scrive: " Ciò che di più profondo vi è in lui, ciò che, in ultima analisi, lo distingue dall'animale, a

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mio parere non è la volontà di potenza, ma la volontà di va-

lore". "Volontà di valore", dunque, contro " volontà di potenza". A Ni'etzsche, e all' empirio-criticismo di Mach, che criticava al tempo stesso il "soggetto" - ormai svuotato di ogni sostanza e di ogni qualità - e l' "oggetto" - ridotto ormai a un insieme di fatti - Weininger contrapporrà il suo "ritorno a Kant" attraverso il neo-kantismo del tempo e la mediazione del platonismo. Un ritorno che punta a un obiettivo teoricamente nevralgico ed esistenzialmente vitale: l'Io, l'identità. Contro la "finzione del soggetto" di Nietzsche, contro le critiche di Mach ("L'io non può essere salvato"), contro il dramma di Peer Gynt, di cui, in Delle cose ultime, egli farà l'archetipo della soggettivizzazione dell'Io, Weininger cerca di ricostruire una logica e un'etica dell'identità, una variante della metafisica dell'Io centrata su una ontologia della virilità. Fra l'Essere e il Nulla c'è una differenza ontologicamente fondata sull'ineguaglianza dei sessi: "Le donne sono prive di essenza e di esistenza, non sono, sono Nulla. Si è uomini o donne nella misura in . cui si è o non si è". Si legga: se le donne sono, gli uomini non sono più. Ora, il fatto che un simile progetto sia assolutamente contraddittorio, in conseguenza delle caratteristiche stesse della "cultura della crisi" viennese, spiega gran parte delle ambivalenze di Weininger. Poiché quella-stessa crisi dei valori, così presente nei romanzi di Musi! e di Broch, si rivela la crisi di un'intera filosofia e di un'intera epistemologia derivate dall'Aufklifrung. Modellate come erano sull'idea di progresso, di fatto esse si fondavano su una serie di divisioni dicotomiche relative alle "differenze": la differenza fra soggetto ed oggetto, fra il "sapere" convalidato dal positivismo e !"'illusione", criticata come "non vera", fra il rappresentabile e l'affiorare di un irrappresentabile, fra il maschile e il femminile. Il crollo di queste divisioni fa nascere una zona di ambiguità, di ambivalenza irriducibile alle logiche e alle etiche stabilite - una zona che costituirà la base archeologica della scoperta freudiana. Ma, come sempre si

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riscontra nella cultura occidentale - dal dionisiaco al barocco, alle utopie dell'Ottocento - l'ambiguità è alleata della femminilità. Ciò significa che la differenza fra i sessi non può più essere iscritta nel paradigma universalistico del "genere umano" sostenuto dall'Illuminismo, che ha sempre negato l'esistenza di uno "specifico femminile" : ma che anzi la sua stessa iscrizione nell'ambito di una "natura" biologicamente definita costituisce un problema. Il risultato è una femminilizzazione della cultura, dei suoi valori e dei suoi immaginari, che mina dall'interno identità e filiazioni maschili costituite, e che fa saltare le loro certezze virili. Di qui la paura di cui parla Weininger, l'angoscia dell'assenza di un centro e di un punto di riferimento, la pluralizzazione degli affetti, che sfocia nell'incomunicabilità. Perciò tutta la precedente cultura, malgrado o a causa di una morale sociale repressiva, sarà costretta a confrontarsi con quella che Simmel chiamerà "la cultura femminile" (Die weibliche Kultur), da lui contrapposta a quella dell'oggetto e dell'oggettivazione. Se Weininger ha avuto molto a che fare, fino al suo suicidio, con questo travaglio dei limiti, con la vertigine d' angoscia e di sensi di colpa che esso crea in un soggetto "maschile" problematico, non è forse perché lo statuto del limite fa sì che s'incontrino, in uno stesso punto oscuro, ebraicità e femminilità? Poiché distruttore di limiti come l' "ebreo" e la "donna", nonché creatore di nuovi limiti, Weininger senza dubbio lo fu, nel modo più contraddittorio e più radicale che esista. Investito dalla femminilizzazione della cultura, Weininger continuamente ripete che femminilità e mascolinità sono tipi ideali, non realtà empiriche. Perciò, contro i discorsi biologizzanti del tempo (ad esempio quello di Moebius), Weininger afferma "l'impossibilità di dare un taglio netto che distingua il femminile dal maschile" . Anzi, ogni essere umano è bisessuato: "Non ci sono uomo e donna, ma maschile e femminile". Perciò "tutti gli individui sono al tempo stesso eterosessuali ed omosessuali". L'affermazione di

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questa bisessualità strutturale si collega con quella vera e propria rivoluzione antropologica che agita tutta la cultura della crisi e che, in Francia come a Vienna, si cristallizzerà nel ritorno del mito dell'androgino. A volta a volta desessualizzato o ipersessualizzato, esso fungerà da matrice mitica a tutto l'immaginario "decadente" francese fin de siècle derivato da Baudelaire (Odilon Redon, Gustave Moreau, J.K. Huysmans ...). Ma lo si ritrova anche nel grande "mito moderno" di Musi!, nell'utopia incestuosa dell"'altro stato" che unisce Agathe a Ulrich al modo di Iside e Osiride. Nel linguaggio del mito o in quello del concetto, la bisessualità, la cui idea continuerà a travagliare tutta la storia dell'Ottocento, va di pari passo con una femminilizzazione della cultura che de-costruisce identità e ruoli acquisiti, rimette alcune forze in gioco, libera inconscio, esprimendosi ad esempio in quelle "forme intermedie di sessualità" di cui parla Weininger e, naturalmente, nell'omosessualità. Ed ecco perché quel distruttore "ebraico" dei limiti che fu Weininger attacca con una ferocia che affascinerà Karl Kraus la morale civilizzata, quella sorta di ortopedia che unifica e ingessa le "forme sessuali intermedie" provocando così la "doppiezza isterica" della donna. Di qualsiasi tipo siano stati i rapporti di Weininger con Fliess e con Freud (e la relativa polemica sui plagi che ne segul), bisogna pure riconoscere che noi abbiamo qui una concezione del!' ambivalenza e della bisessualità che pone in essere un principio femminile attivo, per non dire trasgressivo. E, d'altra parte, Weininger non cessa di riaffermare, nel suo modo insieme aggressivo e ontologico, la differenza tra i sessi, spinta fino ali' eccesso di un odio mortale per l'alterità della sessualità e del desiderio femminile. Che cosa dunque ne resta, se non quella minima diversità, quella lieve dissimetria da cui non si allontanerà nemmeno Freud e che renderà la psicanalisi "malata di bisessualità", secondo l' espressione di Wladimir Granoff 10? È quella minima differenza qualitativa che Weininger enuncia con assoluta chiarezza. Certo, tutti gli individui sono bi-

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sessuati, ma, se "l'uomo può diventare donna", la donna, per converso, "non può diventare uomo", se non mascolinizzandosi in una sorta di femminismo psichico livellatore che, in lui, provoca disgusto. Non esiste dunque una vera androginia psichica, e la bisessualità rimane "concettualmente composita": poiché, proprio là dove l'alterità si fa forte,_ pericolosa e_ trasgressiva, suscita da parte dell'uomo la resistenza maggiore. E, come molti altri, Weininger fugge: _la donna ;arà pure sessualment~ onnipotente, ma ontologicamente e nulla, è un Nulla. E vero d'altra parte che il Nulla è anch'esso temibile, in quel suo continuo oscillare fra il nulla dell'essere e l'eros di un godimento di tipo "mistico" e pur sempre femminile. Alla differenza sessuale da lui intravista, Weininger risponderà con il sogno tedesco della Natur-Natur che W. Granoff ha analizzato in Freud. La donna nel suo continuo corpo a corpo dovrà ignorare il limite, la separazione, poiché essa non è altro eh~ ~~~r~ - ~~rimenti, che sia cortigiana e puttana! La femmm1hta e qui il luogo oscuro in cui contraddizioni e differenze scompaiono in una sorta di fusione antecedente ad ogni immagine della castrazione. Attraverso il Peer Gynt di Ibsen, Weininger ritrova il suo problema e il suo ideale: la ~aspirata identificazione di Solvejg con Aase, della donna innamorata con la madre, in un'unica redentrice immagine femminile. Poiché "la madre è la r;dice perma'. nente della specie, il rizoma perenne, il fondamento da cui l'uomo si stacca come individuo". Il rizoma, questo fusto sotterraneo, questo tubero o bulbo, questo principio permanente di eterogeneità e di connessione analizzato da Gilles ~~l;uze ~ Félix ~uatt~i 11 , è_l'~ntigenealo,gia, la moltephc1ta proliferante m cm qualsiasi punto puo entrare in contatto con qualsiasi altro. L'essenza della femminilità ~eining~riana è rizomatica: è un fondamento (Grund) che e un abisso (Abgrund), un nulla d'angoscia e di prossimità. Da qu~sto_ r_izoma vitale l'uomo tenta di staccarsi per ~s.~ere u~, md1".1duo - · la dnna, no. ~'uomo, compreso l ebreo - s1a pure ossessionato dall idea dell'accoppia mento, femminilizzato.

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Poiché su questo punto di resistenza e di accecamento si spezza definitivamente il parallelismo fra la femminilità e l'essere ebreo, e si ricostituisce, fragile, quasi invisibile, un confine. L'ebreo, se giunge a vincere in se stesso la propria ebraicità, può diventare "un ebreo cristiano" (come Gesù) ed "essere giudicato da un ariano come un individuo" (sic). Dunque, malgrado la sua ebraicità, l'ebreo non si è del tutto separato da un elemento spirituale, sia pure di genere inferiore, del quale invece la donna è totalmente priva. Se la femminilità e l'essere ebreo si assomigliano in un masochismo che è comune ad entrambi ("Non credono in se stessi"), differiscono tuttavia dal punto di vista delle loro credenze: la donna "crede nell'altra donna e nei figli" l'ebreo irreligioso "non crede a niente", è "frivolo e canzona~ore". Un elemento simbolico finisce dunque col separare la femminilità dall'ebraicità, un elemento sul quale Weininger, citando Bachofen e la paternità "simbolica", concorda stranamente col Freud di Totem e tabu e dell' Uomo Mosè e la religione monoteistica. Il passaggio dal "matriarcato", dominato dalla sensibilità, dalla natura, dall'azione di un principio femminile e materno, al piatriarcato, alla legge, al monoteismo che "smaterializza Dio", non è forse una conquista della spiritualità "? Ma su questa frontiera simbolica, che è quella della castrazione, Weininger e Freud divergono. Weininger indugia indefinitamente, poiché questa frontiera, per lui, è pericolosa e distruttiva, è oggetto di un odio e di un senso di colpa mortali. Freud, dal canto suo più "ebreo" che "cristiano", vi ritrova (per usare un~ espressione spinoziana) la potenza del pensiero, e quindi l'abolizione di ogni divieto che pesava sulla conoscenza della sessualità. Anche se la donna, col suo desiderio, continuerà ad essere "pericolosa", per il fatto stesso che essa significa continuamente all'uomo la sua castrazione: significazione su cui precisamente si fonda ogni reale alterità.

Frontiere, assenza di frontie_re ... Questo gioco sottile non designa forse un luogo (una legge) in cui pensatori di lingua tedesca e di origine ebraica hanno riflettuto sul loro rappor-

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to con la donna, con la femminilità? Confine positivamente varcato da alcuni, che correranno il rischio del "diventare donna" e troveranno negli immaginari della femminilità una verità della finzione - come Arthur Schnitzler nella sua "fuga nelle tenebre". Confine intravisto e negato, fra attrazione verso la madre e paura della castrazione, da altri, come Weininger o Hofmannsthal. Confine sempre meglio delineato, reso fecondo, fondatore di un nuovo sapere, di un nuovo - nero - continente, come in Freud. In questo gioco delle frontiere, Vienna fu davvero la "città delle quattro psicologie", "caduta dal cielo insieme col suo teatro dell'Opera", di cui parla Musil ". Un mito moderno allo stato puro. E se è vero che ogni mito s'iscrive da qualche parte nel romanzo vero o fantasticato di un soggetto, dobbiamo aggiungere qui che una affermazione del desiderio femmi nile può andare a incontrare, sia pure in virtù di identificazioni immaginarie, un'altra, dolorosa, vicenda: quella di una "ebraicità" su cui l'arcaico e il moderno, il documento di cultura e la barbarie dei tempi hanno definitivamente impresso il volto saturnino della nostra storia. Una storia che è sempre stata assolutamente intollerante di ogni ambiguità, di ogni vera alterità, qualunque essa sia, e che, di conseguenza, è, e rimane, intollerabile.

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Note • Cfr. O. Weininger, Delle cose ultime, Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1992, p. 220. , O. Weininger, Sexe et Caractère, Lausanne, L'Age d' Homme. Tutte le successive citazioni di Weininger sono tratte da quest'opera (trad. it., da noi non utilizzata, Sesso e carattere, a cura di F. Rella, Milano, Feltrinelli, 1978 [N.d.T.]). Su Weininger, rimandiamo allo studio di J. Le Rider, Le cas Otto Weininger, Racines de l'anti/éminisme et de l'antisémitisme, Paris, P.U.F. , 1982. Per ciò che concerne il nostro lavoro, questo studio fa parte di u.na ricerca più ampia: C11lture de la crise et mythes du /éminin, letta durante il simposio sul tema Les femmes et les fascismes en Europe organizzato dalla W.I.F. a Salisburgo nel dicembre 1983. ' li termine francese prénom, che indica il nome "di battesimo", ben si presta qui a rendere il pensiero della Buci-Glucksmann, quasi che il "pre-nome" delle donne, che non hanno un "nome" (in quanto indicativo della discendenza patrilineare), stesse a significare il loro restare " al di qua" (essendone stato loro precluso l'accesso) della cultura e della società, in quanto creazioni maschili [N.d.T.]. • Cfr. nel suo complesso il cap. XIII di Sesso e carattere. Il problema dei rapporti fra femminilità ed ebraicità richiederebbe uno studio che oltrepasserebbe di molto i limiti di questo scritto. Ho avuto comunque occasione di occuparmene nell'ambito della mia analisi dell'opera di Walter Benjamin; e mi pa!e sia uno degli assi portanti del lavoro di E . Enriquez, De la borde à l'Etat, Essai de Psychanalyse du lien socia/, Paris, Gallimard (specialmente il capitolo IV, dedicato all'analisi dell'antisemitismo nazista), al quale rimando il lettore. ' Sulla crisi dell'egemonia liberale a Vienna e l'aumento dell'antisemitismo, si possono leggere L. Poliakov, Storia dell'antisemitismo, Firenze, La Nuova Italia, 1975 e soprattutto il libro di C.E. Schorske, Finde-siècle Vienna, New York, AUred A. Knopf, 1980. (Cfr. in particolare il terzo capitolo). Ricordiamo soltanto che, a quell'epoca, Vienna fu la sola capitale europea ad aver portato al governo della città una lista apertamente antisemita. • Th.W. Adorno e M. Horkheimer, La dialectique de la Raison, Paris, Gallimard, pp. 250 sgg. (trad. it. da noi non utilizzata, Dialettica dell'Illumi11ismo, Torino, Einaudi, 1980 [N.d .T.]). ' Su tutti questi punti, d r. R. Thalmann, Ètre /emme sous le III ' Reich Paris, R. Laffont. s S. Zweig, Die \Y/elt vom Gestern. • R. Musi!, Joumal, Paris, Seuil, tomo I, p. 43 (trad. it., da noi non utilizzata, Diari, a cura di A. Frisé, Torino, Einaudi, 1980 [N.d.T.]). " W . Granoff, La pensée et le féminin, Paris, Minuit, 1976.

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II

G. Deleuze e F. Guattari, Rizoma, Parma, Pratiche, 19782 • 12 S. Freud, Totem e tabu in Opere, Torino, Boringhieri, 1980, VII e L'uomo Mosè e la religione monoteistica in Opere, cit., XI. u R. Musil, op. cit., tomo II, pp. 364 e 365. Le "quattro psicologie" sono certamen_te quelle di Buhler, Adler, Weininger e Freud.

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La ragione barocca

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Un'estetica dell'alterità

Gustave Moreau, L'Apparizione, Museo del Louvte

"Per lo Stato, la donna è la notte o, più esattamente, il sonno; l'uomo, invece, è la veglia. La donna non fa apparentemente nulla, è sempre uguale, un ritorno alla natura guaritrice. In lei, la generazione futura sogna se stessa. Perché la civiltà non è diventata femminile? Nonostante Elena? Nonostante Dioniso?"' . Così, attraverso Nietzsche, nel momento storico in cui si dissolvono le grandi certezze delle moderne filosofie del progresso - Ragione, Soggetto, Tempo lineare, Scienza di una realtà sempre più chiara - bruscamente riappare qualcosa di natura labirintica. Una domanda, un'ossessione che già delinea quasi come il dolore di un'assenza, di una incomunicabilità. Perché la civiltà non è diventata femminile? Strano quesito a dire il vero, destinato a una ripetizione immemoriale. Come in ogni altra cultura della crisi, anche oggi, dopo anni di cultura permissiva e di femminilizzazione dei valori, si ripropone, con la stessa importanza radicale, il problema della distinzione, fatta ormai norma ma sempre oscillante e contestata, tra il "maschile" e il "femminile". Una distinzione biologica, sociale, culturale, iscritta nei costumi, nel diritto, nelle leggi. Ma distinzione, anche, più invisibile ed insidiosa, fantasmatica, incerta, sottoposta ad una elaborazione inconscia e intrecciata agli immaginari, alle utopie antropologiche circa un "terzo sesso", un' androginia costituzionale. Qui davvero, come scrive Nietzsche, la donna è "la notte", "il nulla" ... Qui si esten-

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de uno spazio di proiezioni e di allegorie in cui si trovano insieme congiunti le seduzioni di Elena, i malefici poteri di un'alterità pericolosa e l'androginia proteiforme di Dioniso. Ma questa notte è una notte di desideri e godimenti potenziali la notte di un abisso rivelatore, una notte barocca. Mis;ica forse. Poiché, in essa, ne va del nulla, di quel nulla irrappr;sentabile che da sempre ossessiona la filosofia occidentale come suo Altro "orientale", suo limite, sua differenza. E su questa scena, sempre, si è fatta appari~e la fe~minilità. Da Weininger, naturalmente, che non esita a scnvere: "Fondamentalmente, la donna non ha nome"'. Ma anche da altri, molto più mitici e lontani: come nel racconto di Esiodo, dove la prima donna è già senza nome. Priva di nome, di identità, di essere, esclusa dal simbolismo, non ha essenza né esistenza. "Non intera" dirà pure Lacan. In questo non essere della soggettività, del desiderio e del linguaggio, la do~ma è d~nqu~ des~ii:iata a r~stare_nell' ai:nbito di una teologia negativa, m cui il nulla 1rraff1gurabile e razionalmente impensabile lasci senza lingua e senza voce, in un vuoto colmato solo da un godimento di tipo fusionale? Sarà la parola-assenza, la parola-lacuna che, come Lol. V. Stein, può a volta a volta incantarci o condannarci all~ "malattia mortale", alla moltiplicazione ingannevole dei nomi modellati sul desiderio dell'Altro? Ma collegando troppo la femminil~tà al nulla - sia q~e~? del caos originario della natura, sia q~ello della passivu_a desiderante - si finisce col confinarla m quella sfera ambigua e nevralgica che è, appunto, il _nu~a nel!a !radizion~ o~cidentale: che, da questo punto di vista, s1 rivela assai diversa da certe correnti della filosofia orientale (il taoismo cinese, ad esempio), in cui il vuoto e il nulla sono elementi dinamici e attivi. Accolto come principio fondamentale, suscettibile di rappresentazioni concrete (come ad esempio la valle), questo vuoto-nulla vale a loc~i~z,are e a c~nce~tra=e in sé "il punto nodale delle potenz1al1ta e del divenire, m cui il pieno e il vuoto, l'altro e l'i1ei:itico, coincidono'~ '. Il corpo immenso di questo vuoto simile a quello lucreziano, che la pittura cinese tenta sempre di riprodurre come

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un corpo colorato ("il vuoto non è un nie1:1te'. il ~uoto è i! colore"), il pensiero occidentale, nelle prmc1pali correnti della sua tradizione non giungerà ad accettarlo se non contrapponendogli pri~a un Essere et~r,no o creato.re, ~oi la riflessività del concetto come altenta contradd1ttona, produttrice di un senso totalizzante. Di qui lo strano capovolgimento di senso subit~ d,alle fig~~e del nulla. Il nulla non è nulla: non ha propneta, quahta, identità. Il nulla dato che non è rappresentabile e non è ' . . pensabile, anche se condizio~~ ogni pensier~~ 1:1on s1 man~festerà che nelle sue forme p1u mediate o piu mtellettuah: come ironia, dubbio, negatività al servizio di un dominio. Ma da un altro punto di vista, il nulla è tutto. Con una sor;a di conversione dapprima eretico-mistica, poi barocca, questo "nulla dell'essere" si ribalta in un'i~finità di ~odimento estatico in una sovrabbondanza proliferante d1 forme. Si pensi aili squarci folti d' an~eli dell~ g_randi I?itture barocche del Seicento: l'aura degh angeli c1 costrmge a guardare, ad alzare gli occhi, a desiderare l'impossi~ile siamo presi nella spirale di un desiderio ascendente già condannato alla rappresentazione delle apparenze mondane. Erotismo del nulla, dunque. Oppure si veda quel merav!glioso testo di Dionigi l'Areopagita, che costituirà la matr~ce di tutte le teologie negative d'Oriente e d'Occidente, il punto di partenza della ''favola _misti~a' '', i-:er us~re, l' e~pres: sione di Michel de Certeau. Dio, po1che e al di la d1 ogm proprietà e di ogni specificità, di ogni essenza e di ogni conoscenza, poiché è la "Sovraessenza" e la Diff~renza assoluta, Dio non è, Dio è Nulla. Ed è attraverso 11 Nulla, attraverso la mistica dell'alterità e lo spogliarsi di tutto nella più luminosa tenebra del silenzio, c~e si raggiung~ l'. a?1:'re, il chimerico punto di fusione del godimento della d1v1ru~a._ Ma lasciando la femminilità troppo a lungo avvolta nel giochi e nelle reti del nulla si scava quella lunga e permanente assenza che farà poi constatare: "La civiltà non è diventata femminile ... ". Così, oscillando continuamente fra quel nulla che è nulla e quel nulla che è gioia, fra il nulla che non è rappresentabile poiché sfugge ad ogni forma (il nulla che

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è informe, caos, mancanza, materia, matrice) e il nulla che è " la parte femminile di Dio" (Lacan), il nulla del supergodimento assegnato per l'eternità alle donne a partire da Tiresia, la femminilità non è mai pervenuta ad iscriversi nei soli paradigmi egualitari del Soggetto. Senza identità né simbolismo proprio, la femminilità non si identifica allora con quella follia del corpo in cui, fin dalle origini, le facoltà di Elena si coniugano con quelle di Dioniso, prima di attingere il corpo a corpo travolgente della poesia del Cinquecento o il teatro della deregulation barocca delle apparenze, riscoperta da Baudelaire e da Benjamin? Sfidando la resistenza morale e intellettuale di più di due millenni di metafisica nichilistica, Nietzsche colloca l' elisione simbolica della femminilità sotto il duplice segno di Dioniso e di Elena. Due violatori di frontiere e di linguaggi di fronte a uno stato-polis che si afferma in quanto sistema di valori condivisi. E già, fin dall'inizio, la femminilità si schiera dalla parte del "bel male" che ignora lo Stato, di cui parla Esiodo. Dioniso questo perverso-polimorfo, questo dio del vino, dell'estasi, del teatro, del gioco e del dolore; colui che, nella storia della polis greca (per rifarci alle analisi di Marce! Détienne '), simboleggia già un "antisistema" - ossia il luogo in cui si concentrano tutte le metamorfosi, tutti i passaggi di frontiera: delle frontiere fra il bestiale e l'umano, fra la coscienza e l'inconscio, fra il maschile e il femminile, fra la polis e ciò che resta ai suoi margini, estraneo, misterioso. Selvaggio cacciatore, divoratore di carni crude, il suo cannibalismo non chiama forse le donne fuori dai loro focolari, da quegli spazi maritali privati in cui sono rinchiuse? E nella foresta selvaggia, che si contrappone alla polis della civiltà, non incontra egli forse Pentesilea, la regina delle Amazzoni, la vergine carnivora, tutta desiderio fino al divoramento e alla follia? Ritenuto a lungo un dio straniero, e comunque allogeno, "orientale", non è anche il dio-donna dell'orgastico mutamento di sesso, e il dio-bambino di una vita che rinasce e che gioca al gioco dello specchio? Fra Dioniso ed Elena, prima immagine mitica dell'eterno

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femminino, unico è lo spazio del gioco. Elena rapita da Paride (simbolo della bellezza e dell'apparenza, della menzogna e del "far mostra di sé") è senza dubbio l'incarnazione di quella "potenza artistica", quel "dissidio" a causa del quale si schiuderà Io spazio del conflitto che contrapporrà gli uni agli altri uomini e città. Poiché Elena è anche quella "tirannia del Logos" celebrata dalla sofistica di Gorgia nel suo Elogio di Elena. Una volta congiunto alla passione, diventato incantesimo, magia, droga ed elisir d'amore, il discorso è distolto dalle sue vere funzioni: la comunicazione, il consenso etico nella città, la filosofia. Non è altro che temibile forza di persuasione - Peitho - e non quell'intreccio di ragione e potere, quella logica della proposizione cognitiva e identitaria (X è A) da cui è filosoficamente retta la comunità politica. Sconfitta, infine, di Elena: ma innocenza, anche, di Elena, se è vero che l'amore nasce dallavista dell'Altro e del suo corpo: "Se quindi lo sguardo di Elena, alla vista del corpo di Alessandro, le ha procurato piacere ed ha acceso nel suo animo il desiderio e lo slancio d'amore, che cosa v'è, in ciò, di sorprendente?" '. Se la civiltà, nonostante Elena e Dioniso, il teatro e la sofistica, non è diventata femminile, è dunque perché il linguaggio come consensus basato sul dialogo comincia con un duplice assassinio, una doppia soppressione di alterità: assassinio del corpo molteplice di Dioniso, nessuna forma del quale è fissabile, identificabile, intelligibile, e assassinio del corpo-sesso di Elena come luogo del p6lemos, della guerra. Il mutar forma o la pienezza desiderante e averidica di unaforma corporea aderente a se stessa fino nel suo apparire: tutt'altra cosa dunque, in entrambi i casi, della contrapposizione dualistica di matéria e forma secondo cui, da Platone ad Aristotele, fu effettuata la distinzione fra femminile e maschile. Ed è perciò che il proliferare di forme non fissabili, che generano logiche diverse da quelle dell'identità, la deformazione permanente di una realtà intaccata dal vuoto, tornano come una sorta di rimosso del modo occidentale di concepire le forme; ed influenzano gli stessi arcani della mo-

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de~nità,. nelle sue allegorie della femminilità. Leggete la Olwe d1 Du Bellay, che è del 1550: il parallelismo fra l'uo;11?-dio e la donna divinizzata suggerisce già un impercettibile spostamento dalla Divinità alla deità pagana e alla sua aura. E che dire dell'Urano delle poesie scientifiche di Jacques Peletier? Reincarnazione della Beatrice dantesca Urano conosce tutti i segreti della scienza del cielo e dei fe'. nome~i. ~tm?s~erici. In tutta la p~esia del Cinquecento la femmm1htà e d luogo del sapere, 11 luogo magico in cui si operano tutte le metamorfosi: come "ces longs et divers changes" che Ronsard attribuisce a Venere, o il corpo divenuto rosa, il corpo f!oreale che è Marie, tanto celebrata e cosl presto perduta. E come se i corpi degli amanti si facessero "vegetali" o "minerali", ricollegandosi al grande ciclo della Natura. Certo il barocco poetico o teatrale della Controriforma abbandonerà la cosmologia pagana del Rinascimento. Ma i corpi, sottoposti a martirì o sublimazioni infinite vi saranno sempre in eccesso, fino ai limiti di quell'este;ica allucinatoria che Octavio Paz scorge nei poemi di Quevedo•. Una simile teatralizzazione dell'esistente fa pensare a una v:ra e ~rop~ia "ermeneutica del desiderio", per usare I' espress~one d1_ M1chel Foucault, in cui i corpi, nella loro scenografia pulsionale, sono soggetti a un pensiero energetico che no~ si lascia ancora r~~chiudere nel solo modello rappresentativo. Questa capacita figurale delle messe in scena dell'alterità (della divinità, della femminilità, della morte) rende visibile l'invisibile, fa sl che tutti i regni della natura e del soprannaturale siano simboleggiati in un gioco infinito di "corrispondenze" nel senso baudelairiano del termine· gioco che si offre all'interpretazione in quella figura di r;torica e di stilistica in cui si effettua l'accostamento dei contrarf: l'ossimoro. Qui, la poesia del "paradosso mistico" analizzata da Jean Rousset ' , col suo continuo sfavillio di "luce inaccessibile", "nebbia luminosa", "chiarezza oscura" "orrore af~a~cinante" e _cosl vi,a, attinge quella che si po'. trebbe def1mre una estetica dell alterità e del paradosso amoroso, tipica del barocco. Un'alterità che crea una disconti-

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nui~à nei confronti di ogni alterità di tipo cognitivo o dialettico (Platone, Hegel) e perfino etico (Kant, Lévinas), ricollegandosi se mai in ciò al sublime kantiano come "forma informale", presentazione di un qualcosa d'incommensurabile, di eterogeneo: dell'Altro •. Poiché, se ogni conoscenza procede per identificazione (Adorno) o per assimilazione (Lévinas), essa non può che operare una neutralizzazione dell'Altro in quanto altro, a vantaggio dell'identico dell'ontologia tradizionale. E se ogni vera identità non sorge se non sul fondamento di un elemento non sintetico, non suscettibile di annessione, che destabilizza l'io dell'identità, se è "effrazione" o "meraviglia", forse essa si manifesta su un'altra scena che non que~a dell'etica e della salvezza della Legge. II rapporto erotico come logica paralogica, come "paradosso" amoroso forse allora è quel fondamento senza fondamento propri~ de~l':st:tica "modern_a" del barocco. Di qui l'accoglienza priv1leg1ata che esso nserva all'alterità dell'alterità, a quella "qualità de~~ ?~f!erenza" che, ~econdo Lévinas, è propria della femmmihta . Occorre pero precisare che questa femminilità non è quella del pudore, del mistero o della maternità: ma è una femminilità colta nel surplus materialistico dei corpi, in una esasperazione che lacera le apparenze e le sottopone a quel potere di deformazione e di trasfigurazione di cui parla Gilles Deleuze a proposito di Bacon. In quel "germe di tranquillo ateismo" riscontrabile nel barocco del Seicento, la figura è già inserita nella sfera del!' accidentalità, della mutevolezza, della precarietà della mortalità. ' Alla realtà "piena" che governa e governerà una certa idea "progressista" della modernità (la pienezza della "grande forma" classica, la pienezza di un senso della storia adeguato alla realtà, la pienezza della verità come sistema e del s?ggett~ ~o~e c~ntro e_ identità), il barocco contrappone fm dall 1mz10 un autentica concezione "postmoderna" della realtà. L'instabilità delle forme in movimento rivela la struttura sdoppiata e sdoppiabile di ogni realtà: Engaiio e Desengaiio, illusione di un incantesimo e mondo disincanta-

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to, per richiamare la grande metafora della città-donna con cui si è aperto questo libro. Quella "interpenetrazione delle forme nell'ambito di insiemi dinamicamente unificati e animati da un movimento dialettico" in cui Jean Rousset, nelle sue ormai classiche ricerche, vedeva l'essenza stessa del barocco '0, allude a un intreccio sorprendente (nel senso della meraviglia, dell' audacia formale, della agudeza alla Gracian) fra Eros e pensiero, fra allegoria e intelligenza inattuale della storia. Se, nel barocco, la storia diventa una rappresentazione (cfr. Benja•min), la rappresentazione è a sua volta soggetta alla drammatizzazione del sensibile e alla teatralizzazione del visibile, in un moto costante di arretramento verso un centro assente, verso quel centro decentrato che Pascal, pensatore eminentemente barocco, aveva collocato nel cuore del suo paradigma scientifico e religioso. In questo mondo senza centro, senza luogo né punto fisso di riferimento, "il centro è dappertutto e la circonferenza non è da nessuna parte", per dirla con Miche! Serres 11 • Diventa dunque impossibile definire il finito e le apparenze in relazione a un riferimento identitario, a un'essenza, a una sostanza: e di qui viene quel retrocedere all'infinito verso un punto che sfugge, verso l'Alterità pura che si può cogliere solo per immagini. Quel retrocedere verso Eros: poiché il teatro seducente e ingannevole dei corpi induce - per captazione o rapimento, estasi divina o umana un'immagine attiva e dinamica dell'eros. E quel retrocedere, inoltre, verso la storia o della storia: non totalizzabile, non padroneggiabile, la storia si svolge e s'invola su uno sfondo di guerre e di poteri·assoluti. E appare allora come una catastrofe, che il grande disordine del mondo o la grande catastrofe cosmica della fine del mondo cara ai poeti barocchi soli valgono a metaforizzare. In questo duplice retrocedere "postmoderno" della realtà, le grandi figure fondatrici della modernità - il soggetto, la stabilità delle rappresentazioni, l'idea di un centro e di una totalità - sono minate dall'interno da una logica del correre agli estremi, del paradosso, della neutralizzazione

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non dialettica dei contrari che compaiono nella scrittura degli ossimori. Nel momento stesso in cui s'instaura la scienza "classica", molto critica, da Galileo a Cartesio e allo stesso Pascal, nei confronti dei poteri della metafora, la poesia e il teatro effettuano la rivendicazione di una metaforicità universale. Quando, in piena epoca classica, si accende la famosa "querelle della metafora", il mondo come rappresentazione organizzata da una ratio, e il mondo come geroglifico, per un certo tempo, coesistono. I rapporti fra l'immagine e la ratio si definiscono allora in termini estremamente rivelatori dell'archeologia della modernità. Da un lato vi sono coloro - da Du Perron a Cartesio e a Mersenne - che attaccano la metafora in nome della scienza nuova: la metafora è "una similitudine abbreviata", bisogna dunque che sia breve, quando è tropp'1 insistita diventa un difetto e si trasforma in un enigma ". Dall'altro lato vi sono quelli, o piuttosto quella, Mademoiselle de Gournay, figliastra di Montaigne, che difende le risorse poetiche e anche epistemologiche della metafora contro i moralisti del linguaggio. E rivendica la discordanza, l' "eccesso" nel bello: la metafora è "l'arte di scorgere una concordanza nei contrari" ". Come sappiamo, il dibattito sarà storicamente risolto in un modo che comporterà il deperimento della metafora e, soprattutto, la scissione fra linguaggio scientifico e linguaggio poetico, connessa del resto con il crollo dell'antico cosmo delle affinità e con quello dei suoi fondamenti ontologici. Ma l'episteme classica non sarà perciò definitivamente unificata. La stessa epoca produrrà il paradigma rappresentativo, l'ordine, e una teoria delle ·allegorie, degli emblemi, una teatralità generalizzata instauratrice di metaforicità. Si tratta di un paradosso non irrilevante, che le interpretazioni della modernità in termini di "immagine del mondo" connessa con la comparsa di un soggetto rappresentativo portatore della "scienza come progetto" (Heidegger), o la sua interpretazione in termini di "episteme", contribuiscono indirettamente a chiarire. Scriveva Foucault in Le parole e le cose: "All'inizio del Seicento, nel periodo a torto o a

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ragione chiamato barocco, il pensiero cessa di muoversi nell'elemento della somiglianza". Il barocco stesso s'iscriverà nella struttura della rappresentazione che ritroviamo nelle Meninas di Velazquez: là dove il visibile rimanda al suo rovescio, a un invisibile che, quindi, è insieme presente e assente. Ma se il pensiero abbandona il paradigma analogico a vantaggio dell'ordine dei segni e della rappresentazione, è forse necessario aggiungere che a fare ciò è il pensiero scientifico, la nuova ratio filosofica, le nuove forme del sapere. Non tutto il pensiero: la poesia, il topos del mondo come teatro, impongono dal canto loro le logiche analogiche dell'ambivalenza e del rovesciamento. Il poeta, ai confini dello spazio scientifico e rappresentativo, assumerà in proprio "la ·funzione allegorica": "Al di là della sfera dei segni, egli dovrà ritrovare quella delle 'corrispondenze'". Lo stesso Cartesio iscriverà il disinganno barocco (" La vita è sogno") all'interno della ratio classica, anche se se ne serve, nel dubbio, per sciogliere gli antichi legami fra le "affinità" e la realtà. C'è dunque, per usare la bella espressione di Hans Blumenberg ", una sorta di semantica metaforica, che influisce sullo stesso contesto rappresentativo, affiancando all' archeologia dei concetti scientifici quella delle costellazioni o configurazioni figurali, siano esse teologiche o già secolarizzate. Se ogni rappresentazione si basa ormai su un rapporto di identità e di differenza, c'è una differenza "altra", la differenza dell'Altro. Da questo punto di vista, si potrebbe dire del barocco ciò che Louis Marin scriveva a proposito di Pascal: "Pascal conserva nella sua integrità il modello rappresentativo da lui utilizzato metaforicamente fuori dell'ambito suo proprio. Pascal introduce la rappresentazione nel gioco infinito delle differenze" ". Ecco perché, diversamente da ogni ontologia sostanzialista (ad esempio quella di Cartesio), Pascal potrà accogliere nella sua filosofia un concetto del niente (cioè del vuoto sul piano scientifico e del nulla sul piano metafisico e teologico) e un concetto di differenza radicale, coniugati entrambi nello statuto del figurale, della figura: "Figura comporta as-

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senza e presenza, piacere e dispiacere. Cifra a doppio senso. Una chiarezza di cui si dice che _il senso è nasco: sto" ". La "figura" pascaliana è quanto a questo assai prossima a quella " apoteosi barocca" che è costit~ita secondo Benjamin dalla dialettica immobilizzata degli estremi, la dialettica ferma, irrigidita in "immagine dialettica": La logica dell'ambivalenza senza superamento ad opera ~h una qualunque sintesi s'iscrive nella lingua stessa_de~a differenza dell'Altro. Lingua evidentemente teologica m Pascal, p;iché in lui il nome dell'Altro innomina~il~ sarà _il Nome di Dio, vero "grado zero del nome proprio (Louis Marin), scarto infinito, differenza massimale _ch,e decostruisce la metafisica della presenza, delle propr1eta, del!' appropriazione identitaria, addirittura del soggetto stesso. Poiché il soggetto pascaliano è già "scisso", votato _a~1'Altro con tutti i suoi simulacri e i suoi abissi insondabili. Non può rappresentarsi se stesso riflettendosi in un punto fisso, in un Centro: è "differenza senza soggetto" nel senso di Derrida. Ma il fatto che questo figurale rechi piacere e dispiacere, quanto all'alterità che vi si nasconde, sp!ega com~ mai, ~el sovraincarnato universo barocco, la passione quasi materialistica dei corpi oscilli sempre fra un teatro macabro e c~udele dominato dalle i mmagini del cadavere e del teschio, e u; teatro mistico ed estatico - amoroso - in cui l'eros sublime e sublimato si fa puro lirismo. Eros e Thanatos, estetica dell'alterità e ontologia della precarietà si dispiegano in allegorie, fra cui quella della femminilità onnipotente e quella del suo incerto dop~io bisessuato