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Italian Pages 279 [288] Year 2000
La preistoria dell'italiano
La preistoria dell'italiano Atti della Tavola Rotonda di Linguistica Storica Universitä Ca' Foscari di Venezia Il-13giugnol998 a cum dijozsef Herman e Anna Mannetti con la coUaborazione di Luca Mondin
Max Niemeyer Verlag Tübingen 2000
La preparazione di questo libro si e awalsa di un contribute del Ministero per l'Universitä e la Ricerca Scientifica e Tecnologica, Italia.
Die Deutsche Bibliothek - CIP-Einheitsaufhahme La preistoria dell'italiano: atti della Tavola Rotonda di Linguistica Storica, Universitä Ca' Foscari di Venezia, 11-13 giugno 1998 / a cura di Jozsef Herman e Anna Marinetti con la collab. di Luca Mondin. - Tübingen : Niemeyer, 2000 ISBN 3-484-50383-1 © Max Niemeyer Verlag GmbH, Tübingen Das Werk einschließlich aller seiner Teile ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung des Verlages unzulässig und strafbar. Das gilt insbesondere für Vervielfältigungen, Übersetzungen, Mikroverfilmungen und die Einspeicherung und Verarbeitung in elektronischen Systemen. Printed in Germany. Gedruckt auf alterungsbeständigem Papier. Satz: Francesca Rohr Vio Druck: Weihert-Druck GmbH, Darmstadt Einband: Buchbinderei Geiger, Ammerbuch
Prefazione
Come annunciato in occasione della Tavola Rotonda di Linguistica Storica del 1996, una seconda Tavola Rotonda veneziana ha avuto luogo nel 1998, dall'l 1 al 13 giugno. Conformemente ai nostri auspici, e a quelli unanimi dei partecipanti, una serie di Tavole Rotonde sembra dunque essere stata inaugurata. E ben precise, ormai, e il filo conduttore ehe unisce le tematiche di questi incontri: si tratta, di volta in volta, di esaminare in comune l'uno o 1'altro aspetto dei grandi processi diacronici ehe conducono dal latino arcaico alle lingue romanze, ponendo costante attenzione anche agli ammaestramenti teorici ehe se ne possono trarre sul piano della linguistica generale. E con questo spirito ehe i partecipanti alia seconda Tavola Rotonda, di cui presentiamo qui gli Atti, si sono concentrati sul tema de Lapreistoria dell'italiano. II volume - ne siamo certi - si raccomanda da se, e non richiede da parte nostra alcuna parola introduttiva. Ci limitiamo percio al gradito dovere di ringraziare le persone e le istituzioni ehe hanno in vario modo consentito 1'organizzazione della Tavola Rotonda: il Magnifico Rettore dell'Universitä Ca' Foscari di Venezia, prof. Maurizio Rispoli, per il suo alto patrocinio e il suo concreto sostegno all'iniziativa; la Facoltä di Lettere e Filosofia; il Dipartimento di Scienze dell'Antichita e del Vicino Oriente, ehe ha contribuito a finanziare il convegno e ha fomito un prezioso supporto organizzativo; gli studenti, i collaborator! e i membri del personale tecnico e amministrativo dell'Universitä Ca' Foscari, ehe hanno assicurato un perfetto svolgimento dei lavori. II nostro maggior debito di gratitudine e, tuttavia, verso i partecipanti stessi ehe, assecondando il loro Interesse per le question! trattate, ma senza dubbio anche per amicizia verso gli organizzatori, hanno accettato di sottoporsi a un estenuante programma di lavoro, e hanno recato contributi di altissimo valore di cui il presente libro rende testimonianza. Inflne, un sincere ringraziamento alia casa editrice Niemeyer, ehe ha nuovamente consentito a ehe la stampa degli Atti awenisse nelle piü favorevoli condizioni.
J. H.
A. M.
Indice
II tema della Tavola Rotonda
1
Dal latino delle origini al latino d'ltalia Gualtiero Calboli
La latinizzazione dell 'Italia: alcune considerazioni
Robert Coleman
The Contribution to Vulgar Latin in Italy from Other Languages in the Peninsula; Some Case Studies
5 23
Marco Mancini
Fra latino dialettale e latino preromanzo: fratture e continuitä . 41
Anna Marinetti
La romanizzazione linguistica della Penisola
61
Hubert Petersmann
La latinizzazione dell'Italia meridionale e il Satyricon di Petronio
81
II latino sommerso
93
Aldo Prosdocimi
Dal latino d'ltalia all'Italia romanza Jozsef Herman
Differenze territorial! nel latino parlato dell'Italia tardo-imperiale: un contributo preliminare
123
Remarques statistiques ä propos des documents Italiens dans Vlnventaire systematique des premiers documents des langues romanes
137
Tra linguistica e fonti diplomatiche: quello ehe le carte dicono e non dicono
151
II sistema desinenziale del sostantivo neH'italo-romanzo preletterario. Ricostruzione parziale a partire dai dialetti moderni (il significato storico di plurali del tipo amid)
167
Storia di IPSE (con un'appendice di Marco Cuneo: Esiti di IPSUM nei dialetti liguri)
181
Alberto Varvaro
La preistoria delle parlate meridionali e siciliane
205
Roger Wright
Latino e Romanzo: Bonifazio e il Papa Gregorio II
219
Alberto Zamboni
L'emergere dell'italiano: per un bilancio aggiornato
231
Günter Holtus
Par Larson Martin Maiden
Lorenzo Renzi
Discussione finale
261
II tema della Tavola Rotonda
Jozsef Herman, in qualitä di Presidente: Magnifico Rettore, cari colleghi, can ospiti, a nome del Comitato organizzatore della seconda Tavola Rotonda di Linguistica Storica, ringrazio innanzitutto il nostro Rettore, Prof. Maurizio Rispoli, della sua allocuzione e del1'attiva simpatia con cui ha costantemente sostenuto la preparazione di questo convegno; ringrazio per i suoi auspici il Preside della Facoltä di Lettere e Filosofia, Prof. Stefano Gasparri, ehe come medievista si interessa anche professionalmente al periodo storico nel quale si sono svolti gli sviluppi linguistic! ehe esamineremo insieme. In apertura dei nostri lavori, vi devo, cari ospiti, qualche breve chiarimento preliminare e di carattere assai generale sulla scelta e la definizione del tema di questa Tavola Rotonda. C'e un evidente legame fra i soggetti trattati nella Tavola Rotonda del 1996 e quelli ehe oggi ci apprestiamo a discutere. A due anni di distanza e forse lecito affermare ehe certi insegnamenti di quel primo convegno, dedicate alia transizione dal latino alle lingue romanze, ci hanno logicamente condotti ai problemi ehe vi proponiamo per il secondo. Innanzitutto - come mostra gran parte degli articoli pubblicati negli Atti del convegno del 1996 nonche, con particolare chiarezza, la discussione generale ehe si svolse alia fine dei lavori - e emerso ehe lo studio della transizione linguistica fra latino e romanzo implica una ricchissima ed ardua problematica teorica e metodologica, ehe concerne per esempio lo svolgimento, il ritmo, le particolarita sociolinguistiche del cambio linguistico, e poi il ruolo della consapevolezza linguistica dei parlanti; e, ancora, la scelta e Putilizzazione critica delle fonti ehe ci permettono d'intrawedere i process! diacronici. Ma e anche chiaro, d'altra parte, ehe la straordinaria varietä, dello sviluppo linguistico, delle sue condizioni esterne, degli antecedent! etnici, demografici ecc. nelle diverse zone dell'area romanizzata, ci obbliga ad indagini approfondite sui singoli territori, alia ricerca di un modello le cui particolarita, evidenziate in studi di carattere concrete, possano contribute al chiarimento dei problemi teorici e metodologici general!. Nel contempo, questi studi ci daranno certamente una visione utile e - alia luce della problematica teorica - forse innovativa della storia linguistica nella regione assunta come modello. La scelta dell'italiano come oggetto di uno studio focalizzato e per cosi dire esemplare era una tappa naturale, ineludibile. Non solo perche siamo in Italia, a diretto e quotidiano contatto con i testimoni, con i monumenti linguistici, con fonti di ogni natura, e perche disponiamo, come punto di partenza, di un ormai ricchissimo filone di indagini; ma anche perche 1'italiano, grazie alia sua posizione specifica e centrale fra le lingue romanze e alle molteplicitä delle situazioni linguistiche nel quadro storico della Penisola, si presta ottimamente ad illustrare e a chiarire mold problemi basilari dello sviluppo latino-romanzo. Potremmo dire, adattando una celebre battuta americana relativa a ben altre questioni, ehe gli studi utili a comprendere 1'emergere dell'italiano sono per loro natura proficui alle indagini sulle origini latine di t u 11 e le lingue romanze. Rimane da chiarire un punto, per evitare fin dall'inizio disquisizioni terminologiche non necessariamente utili: si tratta del concetto di "preistoria", utilizzato per denotare l'indirizzo degli studi ehe saranno presentati in questi giorni.
2
tema delict Tavola Rotonda
Personalmente non ritengo ehe la "preistoria" di una lingua corrisponda a un concetto di alta precisione scientifica, utilizzabile in conformita con ineccepibili criteri logici; non credo neanche ehe un termine tecnico di questo tipo sia necessario o anche solo utile. Quando parlo di "preistoria", mi riferisco a una realtä multiforrae, differente secondo le lingue; e una parola comoda, ehe designa un insieme di fatti e di processi linguistici collocati entro certi limiti cronologici, non sempre puntuali, ma la cui esistenza corrisponde ad una realtä intuitivamente innegabile. Direi, fra parentesi, ehe con tutta evidenza non ha senso parlare di "preistoria" nel caso di lingue la cui stessa storia ci e sconosciuta, ehe ci sono note solo nel loro attuale uso orale. L'esistenza di una "preistoria" e dunque legata a certe condizioni storico-culturali, presuppone una storia documentata, sia indirettamente ehe direttamente, e la consapevolezza, da parte dei parlanti, di esprimersi in una lingua comune a loro e diversa da altre. Si puo proprio dire ehe la preistoria finisce con i primi documenti accertati e con i primi segni di una coscienza metalinguistica dei locutori nativi. Certamente piu difficile e stabilire dove ha inizio la preistoria di una lingua. Dire ehe la preistoria non comincia mai, o ehe inizia nella distante preistoria delPumanita stessa, equivale a enunciare una veritä facile e banale, inutilizzabile ai fini di una ricerca la cui base e necessariamente empirica. direi, senza 1'ambizione di dare a questa scelta una dignitä teorica, ehe per il linguista la preistoria di una lingua comincia nel periodo in cui si costituiscono le condizioni di base, esterne e interne, della sua formazione e del suo future emergere. Per il francese il provenzale, per esempio, la preistoria propriamente detta comincerebbe cosi con la conquista romana della Narbonensis, soprattutto delle "tres Galliae", e con 1'espansione graduale del latino in queste provincie; la "preistoria" delle lingue gallo-romanze durerebbe dunque, per usare un'espressione un po' semplicistica, da Cesare a Carlo Magno. Piü difficile trovare una delimitazione simile per 1'italiano, ma non sarebbe forse troppo falso considerare come inizio del periodo ehe esaminiamo la graduale estensione del latino nella Penisola - dunque un inizio protratto, mobile, diverse secondo le regioni e le popolazioni dell'antica Italia. A torto a ragione, e in base a una siffatta definizione ehe abbiamo formulato i nostri suggerimenti tematici. Ci sarebbero da fare altre considerazioni, non ultime alcune previsioni sul futuro di queste Tavole Rotonde, e sull'indirizzo della tradizione ehe - lo spero - stiamo inaugurando con questa seconda Tavola Rotonda di Linguistica Storica nell'Universitä Ca' Foscari di Venezia. Torneremo sull'argomento, forti anche degli ammaestramenti ehe saranno giä emersi dai nostri lavori, nella discussione di chiusura del convegno.
Dal latino delle origini al latino d'Italia
Gualtiero Calboli
La latinizzazione dell'Italia: alcune considerazioni
II temadell'espansione del latino nelle province italiche trova attenzione giä in Cicerone e, in un certo senso, egli ci da una informazione molto importante su uno dei centri e strumenti di difiüsione del latino: 1'attivita giudiziaria e forense. Dopo aver descritto in modo molto minuzioso I'attivita di L. Licinio Crasso, e aver parlato di alcuni altri oratori minori della sua eta, doe della fine del II sec. e delPinizio del I sec. a.C., Cicerone, nel Brutus (169) dedica la propria attenzione anche a oratori attivi apudsocios et Latinos, facendo il nome di Q. e D. Valerius Soranus, di C. Rusticelius Bononiensis, di T. Betutius Barrus Asculanus e L. Papirius Fregellanus. A richiesta di Bruto, Cicerone dichiara di considerare questi oratori esterni all'Urbe e gli oratori Romani alia pari, con Tunica differenza ehe agli estemi manca rurbanitas: (1)
Cic. Brut. 170 Turn Brutus: quid tu igitur, inquit, tribuis istis externis quasi oratoribus? Quid censes, inquam, nisi idem quod urbanis praeter unum, quod non est eorum urbanitate quadam quasi colorata oratio?
E poi Cicerone affronta il problema deiVurbanitas, tentandone una definizione e rilevando ehe in Gallia vengono usati anche verba quaedam non trita Romae: (2)
Cic. Brut. 171 Et Brutus: qui est, inquit, iste tandem urbanitatis color? Nescio, inquam; tanturn esse quendam scio. id tu, Brute, iam intelleges, cum in Galliam veneris; audies turn quidem etiam verba quaedam non trita Romae, sed haec mutari dediscique possunt; illud est maius, quod in vocibus nostrorum oratorum retinnit quiddam et resonat urbanius.
A parte Vurbanitas, ehe sembra un fatto prevalentemente di suono, e interessante il rilievo ehe in Gallia vengono usate parole non in uso a Roma. La domanda ehe ci poniamo subito e come faceva Cicerone a sapere questo. D'altra parte la sua notizia viene integrata con un altro nome di cittadino della colonia di Piacenza, situata nel territorio della Gallia con 1'aggiunta ehe questo personaggio aveva provocato ampi interventi di Lucilio del quale sono noti gl'interessi linguistici. La notizia conferma poi ehe Cicerone trovava soprattutto negli oratori quella mancanza di urbanitas di cui sta parlando:1 (3)
Cic. Brut. 171sg. Nee hoc in oratoribus modo, apparet sed etiam in ceteris. Ego memini T. Tincam Placentinum, hominem facetissumum, cumfamiliari nostro Q. Granio praecone dicacitate certare. Eon', inquit Brutus, de quo multa Lucilius? Isto ipso; sed Tincam non minus multa ridicule dicentem Granius obruebat nescio quo sapore vernaculo.
Alcuni di questi testi e questi problemi sono stati giä esaminati da Jean-Michel David in un intervento del 1983 al Colloquio su Les 'Bourgeoisies' municipales italiennes aux If et f siecle av. J.C. e ancora prima in uno studio, in parte ripreso nel suo ampio volume del 1992 su Le patronat judiciaire au dernier siecle de la republique romaine. Si tratta del settore delPoratoria,quindidiuntipodi lingua elevata, ma a contatto, almeno di ascolto, col popolo. 1
E pero curioso il fatto ehe ben pochi dei grandi letterati di Roma erano dell'Urbe. Erano nati fuori di Roma Livio Andronico, Nevio, Ennio, Plauto, Cecilio, Terenzio, Accio, Catullo, Virgilio, Orazio, Cicerone stesso, Sallustio, Livio, per considerare solo i phi significativi del periodo repubblicano.
6
Gualtiero Calboli
Questo e certamente uno dei punti ehe ha giocato un ruolo importante nella romanizzazione linguistica dell'Italia municipale. Cicerone ci fomisce alcuni gruppi di oratori italici, dei municipi e delle colonie italiche, dandone un qualche giudizio. Di alcuni di essi riusciamo ad avere informazioni non trascurabili per le nostre considerazioni. Nel passo di Cic. Brut. 167-170 viene dato un giudizio su alcuni personaggi: (4)
Cic. Brut. 167 C. Titius, qui meo indicia eo pervenisse videtur, quo potuit fere Latinos orator sine Graecis litteris et sine multo usu pervenire. huius orationes tantum argutiarum, tantum exemplorum, tantum urbanitatis habent, ut paene Attico stilo scriptae esse videantur; easdem argutias in tragoedias satis ille quidem acute, sedparum tragice transtulit.
La difficolta sollevata da Macrobio ehe, Sat. 3,16,14, definisce questo C. Titius vir aetatis Lucilianae viene risolta dal David (1992, 700) con la supposizione ehe Cicerone trovasse in Lucilio riferimenti a C. Titius. E possibile ehe questo sia tutto, ma io sarei incline a supporre ehe Cicerone conoscesse almeno in parte le sue orazioni (huius orationes tantum argutiarum, tantum exemplorum, tantum urbanitatis habent) e ehe non si fidi solo del giudizio di Lucilio (ehe pure viene citato in due passi assai vicini, Brut. 160 e 172). Come si puo supporre, a mio parere, ehe egli non si rifaccia solo al Liber Annalis di Attico, anche se il Liber costituisce certamente una delle fonti del Brutus, sia perche Cicerone trae palesemente alcune informazioni da questa opera (cf. Münzer 1905, 55; 67), sia per il carattere prosopografico e rievocativo delle'grandi famiglie ehe caratterizzava il Liber Annalis e il genere d'attivitä di Attico (cf. ancora Münzer 1905, 91-100), un genere a cui Cicerone era molto sensibile in un momento come quello del Brutus. Era infatti un momento in cui egli dava per morta la res publica e considerava rievocativo dello Stato il ricordo degli antichi magistrati e oratori (le due figure erano per lo piu interconnesse). Si veda a questo riguardo I'inizio del Brutus, §§ 5-9.2 Non dobbiamo pero pensare ehe tutto fosse noto, anche a homines novi attenti come Cicerone, della grande attivitä forense ehe fu dispiegata tra la fine del II sec. a.C. e I'inizio del I, attivita di cui Gruen e David ci hanno dato i riferimenti precisi, Gruen dei processi noti (1968), David delle persone e degli accusatori (1979, 145162; 1992, 281-366). E a questo punto ehe l'attenzione prosopografica di Attico diviene importante, perche egli aveva conoscenza di oratori e personaggi ehe la generazione di Bruto ormai ignorava e lo stesso Cicerone non sembra conoscesse molto bene. E il caso, ad es., di C. Rusius, personaggio ignoto a Bruto, ma non ad Attico, il quale fornisce le scarne informazioni prosopografiche, utili a collocare l'episodio narrato, ehe riguarda soprattutto Sisenna. C. Rusius era, sembra, un accusator vetus, probabilmente originario delPEtruria, se si considera la collocazione del nome, e attivo a Roma durante il periodo del predominio dei Mariani. Di lui abbiamo un riferimento nel Brutus di Cicerone, un riferimento in cui Rusius si oppone a Sisenna, non comprendendone, veramente o simulatamente, una neoformazione condotta per analogia:
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Per il concetto di res publica atnissa cf. Meyer 1966, 1-6; 7-23, e la lettera inviata da Ser. Sulpicio Rufo per consolare Cicerone della morte di Tullia. Ser. Sulpicio Rufo, per consolare 1'amico Cicerone, gli scrive ehe Tullia e vissuta, finche e vissuta la res publica e, quando la res p. e morta, e morta con essa: reminiscere [...] illam, quam diu ei opusfuerit vixisse, una cum re publica Juisse, [...] omnibus bonis prope perßinctam esse, cum res publica occideret, vita excessisse (Cic.fam. 4,5,5). In modo un po' paradossale si potrebbe quasi definire il Brutus come una laudatio funebris della res publica.
La latinizzazione dell 'Italia: alcune considerazioni (5)
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Cic. Brut. 259sg. Sisenna autem quasi emendator sermonis usitati cum esse vellet, ne a C. Rusio quidem accusatore deterreri potuit, quominus inusitatis verbis uteretur. Quidnam istuc est? inquit Brutus; aut quis est iste C. Rusius? Et ille: fuit accusator, inquit, vetus, quo accusante C. Hirtilium Sisenna defendens dixit quaedam eius 'sputatilica' esse crimina. Turn Rusius: «circumvenior, inquit, iudices, nisi subvenitis; Sisenna quid dicat nescio, metuo insidias. 'sputatilica', quid est hoc? 'sputa' quid sit scio, 'tilica' nescio»: maximi risus.
Nell'articolo ehe ho dedicate a questo personaggio3 io ho concluso mettendo in evidenza il distacco di C. Rusius da Cornelio Sisenna, coniatore di vocaboli secondo la teoria grammaticale dell'analogia, un distacco ehe corrispondeva a quello del latino dei dotti dal latino della gente comune. Infatti alia gente comune Rusius si appello per deridere Sisenna, e con successo (maximi risus). Oggi non avrei difficolt a riconoscere in Rusius, un vecchio oratore di origine etrusca, secondo quanto io ho supposto confortato dai dati epigrafici, anche un reale stupore di fronte alia coniazione di Sisenna. Quindi un uso di lingua normale e anche banale, e comunque ben lontano dallo sperimentalismo ricercato dei dotti. Fra l'altro l'etrusco era certamente ancora parlato, accanto al latino, in Etruria al tempo di C. Rusius (88-85). La notizia si associa bene con l'osservazione rivolta da Cicerone a Bruto (Brut. 171, nr. 2) ehe egli trover in Gallia termini inusitati e con la sua notizia a proposito di C. Titius ehe questo oratore extraurbano non possedeva cultura greca, mentre, invece, T. Accius di Pesaro conosceva persino Ermagora, il famoso retore di Temno ehe tanto aveva contribuito allo sviluppo della retorica - cosa ehe in un provinciale destava stupore. Ma con questo non possiamo dire ehe C. Rusius o C. Titius fossero degli arcaizzanti. Possiamo solo dire ehe erano lontani da quella cultura raffmata, ricca di apporti greci e colti ehe solo una elite si poteva permettere. E, a proposito dell'episodio di C. Rusius, c'e un altro particolare ehe non vorrei dimenticare. I due maggiori commentatori del Brutus, Wilhelm Kroll e Alan Edward Douglas hanno ricordato entrambi ehe sputatilica, coniato da Sisenna, e un tentative di rendere il greco κατάπτυστα, un vocabolo ehe ricorre in Anacreonte 157 Gentili, in Eschilo (CA. 632; EU. 68), in Euripide (Tr, 1024), nel comico Anassila (22,6), in Demostene (18,33) e altrove, e anche Lebek (1970, 59) ammette questa derivazione. A parte l'aceto italico di Rusio, c'e certamente in lui la distanza dalle lettere greche, come, per dichiarazione di Cicerone, nelle conoscenze di C. Titius. Bisogna aggiungere poi ehe Sisenna era un amante delle formazioni linguistiche strane come compare dal Funaioli, GRF, 128sg., e diceva mediterream invece di mediterranean, e patres familiarum invece di patres familias. E, fra l'altro, rilevante ehe l'episodio di Rusio e Sisenna venga, nel Brutus, dopo un importante intervento di Cicerone (per bocca di Attico) non solo a favore della Latinitas, ma anche contro noti letterati come Cecilio e Pacuvio, accusati di parlar male in latino. Vi e poi nello stesso passo una stigmatizzazione della rusticitas, importata a Roma dai multi inquinate loquentes e imitata da Cotta ehe parlava come i mietitori. Vediamo quindi questo lungo passo, fondamentale per il rapporto tra Latinitas e rusticitas al tempo di Cicerone: (6)
Cic. Brut. 258-259 Solum quidem, inquit ille [sc. Atticus], et quasi fundamentum oratoris vides, hcutionem emendatam et Latinam. cuius penes quos laus adhucfuit, non fuit rationis aut scientiae, sed quasi bonae consuetudinis. mitto C. Laelium P. Scipionem: aetatis illius istafuit laus tamquam innocentiae, sie Latine loquendi - nee omnium tarnen, nam illorum aequales Caecilium et Pacuvium male locutos videmus -, sed omnes tumfere, qui nee extra urbem hanc vixerant nee eos aliqua barbaries domestica infuscaverat, recte loquebantur. sed hanc certe rem deteriorem vetustas fecit et Romae et in Graecia. confluxerunt enim et Athenas et in hanc
Oltre al mio articolo del 1990 su questo C. Rusius, cf. David 1992,737.
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Gualtiero Calboli urbem multi inquinate loquentes ex diversis locis. quo magis expurgandus est sermo et adhibenda tamquam obntssa ratio, quae mutari non potest, nee utendum pravissuma consuetudinis regula. [...] Catulus erat ille quidem minime indoctus, ut a tepaulo est ante dictum, sed tarnen suavitas vocis et lenis appellatio litterarum bene loquendi famam confecerat. Cotta, qui se valde dilatandis litteris a similitudine Graecae locutionis abstraxerat sonabatque contrarium Catulo subagreste quiddam planeque subrusticum, alia quadam quasi inculta et silvestri via ad eandem laudem pervenerat. Sisenna eqs. (v. sopra nr. 5).
Vedremo piu avanti il caso di Cotta ehe e stato oggetto di studi recenti. Inoltre ehe stranezze linguistiche venissero usate e notate proprio nell'attivitä oratoria appare in un altro passo, di Gellio, ehe merita attenzione per il riferimento a Etrusco e Gallico come sinonimi di stranezza forestiera: (7)
Gell. 11,7,3-4 Romae nobis praesentibus vetus celebratusque homo in causis, sed repentina et quasi tumultuaria doctrina praeditus, cum apud praefectum urbi verbafaceret et dicere vellet inopi quendam miseroque victu vivere et furfureum panem esitare vinumque eructum etfetidum potare, 'hie' inquit 'eques Romanus apludam edit etflocces bibit'. Aspexerunt omnes, qui oderant, alius alium, pritno tristiores turbato et requirente voltu, quidnam illud utriusque verbi faret; post deinde, quasi nescio quid Tusce out Gallice dixisset, universi riserunt.
Gli abitanti della colonia di Piacenza erano sotto 1'attenzione linguistica dei raffinati letterati di Roma giä dal tempo di Lucilio. Abbiamo visto infatti sopra (nr. 3) ehe Cicerone ci presenta la figura di T. Tinea di Piacenza in gara col banditore Q. Granio ehe lo superava per il sapore vernacolo dell'eloquio.4 Ma quale era la situazione sociale degli abitanti delle colonie e dei municipial Un aspetto importante nei rapporti sociali alPinterno delle colonie romane e latine e dei municipia italici e stato messo in evidenza da Emilio Gabba in un intervento ancora del 1983: nella colonia latina di Aquileia si distinguevano tre classi di censo nella distribuzione dei lotti di terra assegnata: una classe alta ehe riceveva 140 iugeri, una media premiata con 100 iugeri e una bassa con 50. Da una parte c'e dunque attenzione a conservare nelle colonie una distinzione netta e precisa di censo. Dall'altra, esaminando foedera stretti da Roma con le comunitä alleate della Transpadana, a Padova, a Mantova, a Vicenza, foedera ehe, come ricorda Cicerone (Balb. 32), esistevano con Cenomani, Insubres, Helvetii e lapydes e con altre popolazioni della Gallia (Transpadana), vediamo ehe era fatto espresso divieto ai Romani di concedere la cittadinanza romana ad appartenenti alia comunitä alleata: (8)
Cic. Brut. 32 Etenim quaedam foedera exstant, ut Cenomanorum, Insubrium, Helvetiorum, lapydum, non nullorum item ex Gallia barbarorum, quorum infoederibus exceptum est ne quis eorum a nobis civis recipiatur.
La spiegazione convincente avanzata dal Gabba (1983, 43) per questo comportamento dei Romani e ehe essi non volessero turbare i rapporti sociali all'intemo di queste comunitä di 4
Cf. Ramage 1973, 59. Qui poi Cicerone riporta di seguito il famoso aneddoto su Teofrasto riconosciuto come straniero (hospes) da una vecchia venditrice ateniese. E interessante il fatto ehe entrambi gli aneddoti, quello su Teofrasto e quello su Tinea come cattivo parlante latino, sono riportati anche da Quintiliano, seppure in luoghi diversi: inst. 8,1,2 (Teofrasto), 1,5,12 (Tinea) nam duos in uno nomine faciebat barbarismos Tinea Piacentinus, si reprehendenti Hortensie credimus, «preculam» pro «pergula» dicens, et immutatione, cum c pro g uteretur, et transmutatione, cum r praeponeret antecedenti. La svalutaziorve dei Galli per la loro ignoranza, in questo caso del costume giuridico romano, si trova anche in Cic. Font. 27 An [...] non modo cum summis civitatis nostrae viris, sed cum infimo cive Romano quisquam amplissimus Galliae comparandus est? Seit Indutiomarus quid sit testimonium dicere?
La latinizzazione dell 'Italia: alcune considerazioni
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alleati, perche i Romani si appoggiavano alle classi alte di cui non volevano sconvolgere la posizione di predominio politico ed economico dando a qualcuno appartenente a tali classi dei diritti e privilegi ehe potevano innalzarlo sopra gli altri. Per quello ehe ci riguarda dal punto di vista linguistico, questo comportamento poteva avere solo un efFetto, confermato da molti altri aspetti: la stratificazione sociale in classi divise nettamente dal censo e l'esistenza di una elite dominante nel sistema romano e italico portava inevitabilmente a una differenziazione tra latino letterario e latino del volgo ehe si deve considerate una costante anche del latino presente nella romanizzazione dell'Italia. Uno sviluppo molto importante nella romanizzazione dell'Italia e rappresentato dalla diffusione dei municipia, studiata con particolare competenza dal Gabba. La creazione del sistema municipale inizio all'indomani della guerra sociale, dopo 89 a.C. e si concluse nell'etä di Augusto, subendo una fase di accelerazione a partire dal 49. Ne furono autori soprattutto Silla, Cesare e Augusto. Tale processo si sviluppo in rapporto alia concessione della cittadinanza romana e subi un incremento nel 49 in seguito alia estensione della cittadinanza romana anche alPItalia Transpadana. L'organizzazione in municipia fu necessaria per inserire nello stato romano le varie strutture politico-istituzionali italiche, raggruppando in diversi municipia le comunitä tribali primitive. Cosi, ad es., gli Insubri della Transpadana vennero divisi in sei municipi, i Peligni in due e i Marrucini in uno. Tali municipi furono attribuiti prima solo a otto delle tribü romane, poi a tutte le trentacinque. La creazione e fondazione di questi municipi diede origine a due importanti fenomeni - mette in evidenza il Gabba - l'urbanizzazione e il riassetto del territorio tramite la centuriazione5 e l'organizzazione o riorganizzazione dei catasti. Tramite i catasti vennero definiti nella loro consistenza patrimoniale le classi sociali dei municipi e si organizzo meglio lo sfruttamento deH'agricoltura italica. AI tema dei catasti il Gabba ha dedicato specifici e importanti lavori. II potere di Augusto si fondö in buona parte su questa organizzazione e sull'esercito ricostruito dagli stessi ceti italici. "Si spiega cosi - scrive Gabba (1991, 75sg.) - la nuova rilevanza dei censimenti ora affidati alle autoritä locali (si veda la tabula Heracleensis), mentre declinano ulteriormente le fünzioni e il significato dei censori a Roma. [...] La valorizzazione delle autonomie locali rappresentava per il principe, al di lä di un controllo esercitato dal centre ehe di fatto era quasi inesistente, il vero motivo di garanzia e di tranquillitä sociale e politica". In conseguenza di cio l'Italia romana si configuro non come un organismo unitario, ma piuttosto come un organismo disunite nella realtä, nonostante gli sforzi del regime imperiale per imporre il concetto unitario di iota Italia.6 Di fronte poi al problema del rapporto fra questa situazione e la successiva storia della penisola italiana, quindi a un possibile rapporto fra i municipia e i liberi Comuni dell'Alto Medioevo, il Gabba assume una posizione prudente, acuta e, a mio parere, seducente: "Senza riprendere qui l'antica controversia sulIOrigine dei liberi Comuni italiani del secolo XI, se risalenti all'etä romana come continuazione dei municipi [...] o di importazione germanica [...] e in ogni modo sicuro ehe la consapevolezza della storia individuale e autonoma delle singole cittä ha rappresentato una componente importante nella formazione della coscienza civica delle cittä italiane del Medioevo e del Rinascimento" (81). Ma la latinizzazione dell'Italia e lo sviluppo di una 5 6
Una figurazione della centuriazione romana nella zona di Bologna si puo vedere nell'opera divulgativa di Adani-Bentini 1994,135sg. Naturalmente non dobbiamo dimenticare ehe l'espressione tota Italia fu coniata nelPoccasione della guerra di Ottaviano contro Antonio e Cleopatra, cf. Syme 1939,276-293.
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Gualtiero Calboli
lingua dell'elite e di una lingua volgare in ehe rapporto sta con questa situazione? Lo sforzo del regime imperiale per organizzare scuole come compare da una lettera di Plinio (4,13) puö essere interpretato allo stesso modo della propaganda insistente sull'unitä dell'Italia, anche se poi Marco Aurelio trovava ad Anagni,7 quasi alle porte di Roma, consistent! residui di una cultura italica tenacemente conservativa delle sue antichitä. E non dimentichiamo neppure l'affezione alle antiquitates nel reatino Varrone. La distribuzione e organizzazione del territorio riguarda il problema della centuriazione, doe la distribuzione del territorio delle popolazioni vinte da Roma, prima nell'Italia CentroMeridionale, poi nella pianura Padana, secondo la tecnica della limitatio. Anche questo problema, di cui vedremo ora tutta rimportanza, e stato affrontato e chiarito dal Gabba. Constateremo subito ehe esso e il presupposto fondamentale per Studiare le modalitä di penetrazione del mondo romano e latino nella penisola e, in particolare, nella regione padana. La centuria denominava un appezzamento quadrato di terreno con lati di 20 actus, cioe di 710 metri, 1'uno, e comprendeva quindi una superficie di 200 iugeri. Questa misurazione del terreno doveva servire per 1'assegnazione di terra ai cittadini di una colonia anche per una assegnazione viritana, cioe distribuita viriiim a singoli assegnatari. Secondo una teoria tarda presente in Varrone (rust. 1,10,2) la centuria avrebbe contenuto 1'assegnazione di cento cittadini, avendo Romolo attribuito a ciascun cittadino di Roma due iugeri. Questi due iugera rappresentavano, secondo questa teoria, un'unita di piena proprietä, trasmissibile per ereditä, ehe quindi avrebbe avuto il nome di heredium: (9)
Varro rust. 1,10,2 Bina iugera quod a Romulo primum divisa dicebantur viritim, quae heredem sequerentur, heredium appellarunt. Haec postea centum centuria. Centuria est quadrata, in omnes quattuorpartes ut habeat latera longapedum MMCCCC.^
In realtä il Gabba ha giustamente rilevato ehe questa tradizione di una distribuzione romulea non e mai presente in testi storiografici, ma solo in testi gromatici e non sembra anteriore al 11 sec. a.C. "Essa [...] deve risultare dalla combinazione di ricostruzioni pseudostoriche con dei dati ricavati dalla tecnica agrimensoria, allora molto affmata, interpretata alia luce di quelle stesse invenzioni anacronistiche" (1985, 266). Anzi sembra ehe la distribuzione per centurie, fatta risalire dagli agrimensori a una disciplina Etrusca9 della limitatio, abbia nell'aspetto religiose una sua forza per garantire la validita dei confmi e la struttura economica e sociale esistente, ma sembra piü ehe una pratica della Roma arcaica, una applicazione di principi religiosi etruschi nella fase di colonizzazione sviluppatasi soprattutto quando, dopo la conquista dell'Italia centro-meridionale, ai Romani si apri 1'invasione della Gallia Cisalpina, una regione ben altrimenti fertile, poco popolata e spopolata dalle guerre romane. L'attivitä coloniaria in queste zone si realizzo con una distribuzione della terra ai coloni non piu col sistemaper strigas et per scamna secondo Yantiquus mos di cui parla Frontino (p. 1,4-16 Thulin),10 ma secondo la centuriazione ordinata e precisa, e valorizzando con opere di bonifica, di disboscamento, di canalizzazione e di viabilizzazione le condi7
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Cf. Aur. Pronto p. 60,13-24 v. d. H. Nullus angulus fait, ubi delubrum out fanum out templum non sit. Praeterea muJti libri lintei, quod ad sacra attinet. Deinde in porta, cum eximus, ibi scripturn erat bifariam sic: "Flamen sume samentum ". Rogavi aliquem ex popularibus quid illud verbum esset. Ait lingua Hernica pelliculam de hostia, quam in apicem suum flamen cum in urbem introeat inponit. Cf. anche Sic. Place, grom. p. 117,26 Th.; Pest. p. 47,1-2 Lindsay. Cf. Frontin, grom. p. 10,20-12,14 Thulin; Hyg. lim. grom., p. 131,8sgg. Thulin. Cf. Hinrichs 1974,23-48.
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zioni naturali del suolo come pendenze, fiumi, awallamenti. Irradiandosi dalla via Aemilia i Romani ordinarono con un preciso assetto tutta la Gallia Cisalpina, partendo dalla Cispadana e poi estendendosi, dopo il 43 a.C., anche alia Transpadana. Punto centrale di questa organizzazione fli la cittä-colonia. E possibile ehe anche in comunitä piü antiche si sia realizzato nel territorio romano questo assetto, ma e certamente dal III sec. a.C., dalla deduzione della colonia latina di Rimini (268 a.C.) nella Gallia Cisalpina, ehe esso ha trovato la sua applicazione. "E in questa nuova situazione e in questo nuovo ambiente - scrive il Gabba (1985, 276) -, favorita dalle condizioni geomorfologiche, ehe la tecnica agrimensoria si ando affmando e si realizzo quel tipo di centuriazione regolare e precisa ehe ha lasciato un'impronta di se indelebile sul paesaggio di larghe zone dell'Italia settentrionale. Supergiü a questa stessa etä deve anche risalire la teorizzazione, di impronta etrusca, del processo di centuriazione, ehe abbiamo considerato piü sopra". Ma questo ebbe una conseguenza anche per la lingua latina impiegata in questa parte d'Italia. Come sappiamo nel caso delle colonie latine, vigeva una rigida distribuzione dei lotti di terra assegnata secondo le classi censuarie (140 iugeri ai membri della classe alta, 100 a quelli della media e 50 a quelli della bassa). Quindi la classe dirigente era ben distinta dalle classi sottoposte. I suoi appartenenti abitavano nella cittä, mentre gli altri coloni venivano distribuiti sul territorio. Questa parte di coloni era a contatto con gli accolae gallici com'e testimoniato espressamente da Livio. E anche in questa prospettiva ehe dobbiamo riconsiderare la valutazione linguistica della urbanitas opposta alia rusticitas, a una rusticitas ehe era quindi maggiormente a contatto con i dialetti non romani parlati dagli abitanti originari della zona. Quanto alia data in cui fu realizzata dai Romani la centuriazione della Transpadana, il Gabba osserva ehe essa si deve essere sviluppata in tre tappe fondamentali: la concessione nell'89 a.C. del ius Latii e la conseguente trasformazione delle comunitä degli alleati in colonie latine, Pammissione nella cittadinanza romana nel 49 a.C., la fine del regime provinciale nel 42. Ma il programma di romanizzazione tramite la riorganizzazione del suolo conobbe una forte accelerazione a partire dal 49. Tuttavia verso il 43 questa riorganizzazione agrimensoria era appena iniziata, il territorio non era ancora stato debitamente organizzato e sistemato, e ciö spiega perche ai veterani delle guerre civili non siano state divise le terre della Transpadana, eccetto quelle dell'antica colonia latina di Cremona, con allargamenti a Mantova solo per motivi di vicinanza. Come invece ricorda Macrobio, Sät. 1,11,22, Asinio Pollione ricevette l'incarico di esigere denaro e armi dai Padovani, cioe da una di quelle colonie i cui terreni nella regione padana non venivano divisi tra i veterani (cf. anche Serv. auct. buc. 6,64). Evidentemente, perche la carente centuriazione di quelle terre non fomiva quei terreni nettamente divisi e attrezzati di cui c'era bisogno per dividerli tra i soldati. Che poi la nuova organizzazione e Pimmissione dei veterani abbia costituito un fattore di progresso e di civiltä e opinione del Gabba ehe appare seducente, ma ehe esiterei alquanto ad accogliere in mancanza di altri importanti chiarimenti. In un successive intervento (1989) il Gabba ha poi ulteriormente chiarito ehe la catastazione dell'Italia centrale e settentrionale riguardava solo in parte Vager publicus, e nell'Italia centro-meridionale tra la metä del III sec. a.C. e la metä del II si verifico uno iato riempito dall'occupatio privata dell'ager publicus ehe non richiedeva una catastazione. Nella Transpadana le grandi catastazioni sono postcesariane e sono collegate col processo di municipalizzazione, in cui l'assegnazione di ager publicus rappresentö solo una parte minima. Quindi "Municipalizzazione, urbanizzazione e catastazione sono aspetti decisivi ehe connotano l Organizzazione dell'Italia Augustea" (E. Gabba 1989, 570). Questa e dunque una operazione decisiva per l'organizza-
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zione socio-economica delPItalia Cisalpina, diciamo, per restringerci a date e luoghi precisi, tra il 268, data della deduzione della colonia latina di Ariminum, e 1'azione di Augusto. Detto questo, e perö necessario aggiungere una precisazione importante in tema di urbanizzazione, perche non sembri ehe 1'urbanizzazione di cui abbiamo parlato finora costituisca un fenomeno assimilabile a quella moderna. Una somiglianza con Pinurbamento nelle grandi cittä moderne del '700 e '800 si puo pensare solo per Roma, VUrbs, ehe per le sue dimensioni e per le fonti di vita costituite in gran parte dall'importazione di prodotti delle varie regioni dell'impero, assomiglia a una grande cittä moderna. Le cittä, in genere piccole, dell'Italia centrale e meridionale e ancora di piu dell'Italia settentrionale erano ancora strettamente legate alia campagna circostante, vivevano in simbiosi con essa. Anche la centuriazione della campagna era talvolta coincidente con 1'assetto urbano, ad es., nei blocchi compresi tra Caesena e Bononia e tra Parma e Fideniia e anche nel territorio di Forum Cornell, Claterna e Mutina, in modo ehe la struttura urbana e l'organizzazione territoriale presentano una unitä di aspetto." Lo stesso Gabba ha ben chiarito questo punto non trascurabile mettendo in evidenza il carattere di cittä agricole a partire dal tardo periodo repubblicano, cittä in cui gli abitanti della campagna si recavano per gli spettacoli nei teatri e negli anfiteatri, per rifomire i mercati delle derrate alimentari e acquistare i prodotti artigianali necessari (1994, 102). Inoltre le cittä erano circondate da mura, anzi lo sforzo di urbanizzazione del I sec. a.C. produsse proprio la costruzione di mura, le cui porte venivano chiuse - a quanto sembra-alla sera. Le campagne erano state battute da briganti nelle sollevazioni degli schiavi, saranno rese insicure nel tardo impero dalle migrazioni barbariche. A questo punto si pone la necessitä di fare delle distinzioni cronologiche, perche quando Plinio il Giovane, alia fine del I sec. d.C. e all'inizio del II andava a soggiornare nella sua villa Laurentina o nella sua villa in Toscana,12 evidentemente, non aveva da temere briganti servi barbari. La vita in villa non era impossibile. Lo stesso dicasi di Orazio alia fine del I sec. a.C., quando andava a vivere d'estate nella sua villa Sabina dove vivevano cinque famiglie. Ma, a parte tutto questo, c'e, a mio parere, un altro importante elemento ehe differenziava la cittä dalla campagna, un elemento ehe ha a ehe fare direttamente con la lingua, il fatto ehe le colonie e i municipia, cioe le cittä, erano sede di attivitä giurisprudenziale, ehe in esse si svolgevano dei processi, quindi era impiegata la lingua giuridica e dell'oratoria, mentre nulla di tutto questo aweniva nelle campagne. La situazione del De magia di Apuleio, sebbene a una distanza di circa due secoli, puo dare un'idea di questa differenza, in cui compare il rozzo contadino Emiliano, sporco e incolto (vir ultra Virgilianos opiliones et busequas rusticanus, agrestis quidem semper et barbarus, Apul. apol. 10,9), peggio di un 'cowboy', contrapposto al raffmato Apuleio. Ma proprio r\e\YApologia di Apuleio compare, accanto al disprezzo del filosofo per Emiliano, la diffidenza di Emiliano e dei suoi simili per la cultura e la raffinatezza. E una atteggiamento simile a quello del pubblico ehe ascoltava Sisenna e C. Rusius e ehe rispondeva, anche nella colta Atene, all'esigenza della dissimulatio artis,
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Cosi Corallini 1994, 132. Cf. Plin. epist. 2,17 (la villa Laurentina, su cui v. anche Sherwin-White 1966, 186-199); 5,6 (la villa di Tifernum, in Tuscis; su di essa Sherwin-White 1966, 321-330). E queste villae non erano isolate, anzi, per quanto riguarda la villa Laurentina, essa si trovava vicina ad altre ville, come scrive lo stesso Plinio, epist. 2,17,27 Litus ornant varietate gratissima nunc continua, mine intermissa tecta villarum, quae praestant multarum urbium faciem. Le ricerche del Lanciani hanno individuate a nord e a sud del Vicus Augustanus tracce di 25 ville (cf. Sherwin-White 1966,199).
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giä presente in Aristotele.13 Questo principio della dissimulatio artis era tanto radicato nella pratica retorica ehe lo stesso Apuleio nell''Apologia, doe lä dove mostra la propria raffinatezza contro la rozzezza del suoi awersari, in particolare di Emiliano, ne tiene conto e, quando parla della sua capacitä oratoria, della sua eloquenza, fa professione di modestia, dicendo abilmente: "se la vera eloquenza e 1'innocenza, allora io dichiaro ehe non saro inferiore ad alcuno per eloquenza": (10) Apul. apol. 5,9 sane quidem, si verum est quod Statium Caecilium in suis poematibus scripsisse dicunt, innocentiam eloquentiam esse, ego vero profiteer ista rations ac praefero me nemini omnium de eloquentia concessurum.
Comunque la dissimulatio artis era solo una maniera per non meutere neH'imbarazzo i giudici, dei quali si presupponeva una mediocre cultura e intelligenza. E questa presupposizione doveva corrispondere al livello medio dei giudici e degli ascoltatori. Voglio dire ehe non esisteva solo una stigmatizzazione deH'incultura e della rozzezza da parte delle persone colte (e questa, anche nel caso \ Apologia di Apuleio, prende il nome e la forma di rusticitas), ma esisteva anche la controaccusa di eccessiva raffmatezza, addirittura di 'magia'. Questa diffidenza degl'incolti di fronte ai colti, contribuiva naturalmente ad accentuare e stabilizzare il distacco tra i due livelli di cultura e di lingua. La citta era comunque sede di attivitä giurisprudenziale e oratoria, la campagna no. Allora dobbiamo cercare di approfondire quanto e possibile questo punto, ehe a me pare importante, della nostra questione. Ma, ancora prima dell'applicazione forense, doveva essere essenziale Paspetto legislative dei municipia e delle colonie. II diritto romano, come sappiamo, a partire dal II sec. a.C. comincio ad aprire spiragli sempre piü ampi nella conoscenza aperta a tutti di quella scienza del diritto ehe era stata appannaggio di alcune famiglie particolarmente esperte nel ius pontificale, come la famiglia degli Scevola. Nel libro di Richard Bauman (1983),14 noi troviamo i riferimenti precisi a queste famiglie di giuristi e 1'indicazione dell'attivitä di scrittura della scienza giurisprudenziale romana operata soprattutto da Q. Muzio Scevola e Ser. Sulpicio Rufo. Non entro nei particolari, pur important!, di questo sviluppo del diritto romano e mi limito a rimandare al mio articolo Aspetti prosopograflci della cultura giuridica tardo-repubblicana 1996 e alia bibliografia ivi citata. Per quanto riguarda la pratica del diritto nei municipia e nelle colonie segnalo un intervento ancora di Emilio Gabba (1994, 45-50) il quale ha messo in evidenza ehe nel I sec. a.C. si fissano le 'costituzioni' dei municipia e delle colonie ad opera di Silla, di Cesare e di Augusto. Anche il De legibus di Cicerone e stato messo in rapporto con il programma legislative di Cesare da Franco Casavola.15 La morte impedi a Cesare di portare a compimento il suo programma di raccolta organica della legislazione romana, ehe Gabba giustamente interpreta come una sorta di attivitä costituzionale: (11) Isid. orig. 5,1,5 Leges autem redigere in libris primus consul Pompeius instituere voluit, sed non perseveravit obtrectatorum metu. Deinde Caesar coepit facere, sed ante interfectus est (v. anche Suet. Caes. 44,2).16
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Sulla dissimulatio artis cf. Arist. Rh. Ill 1404b 18sgg., e Calboli Montefusco 1979, 462, con bibliografia. Cf. Bauman 1983,110-138 (Aelii Paeti), 225-423 (Mucii Scaevolae). Cf. Casavola 1985, 281sgg. Cf. Calboli 1994c, 69.
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Brunt (1971, 528), a sua volta, ha chiarito come aweniva 1'amministrazione della giustizia nei municipia, partendo dal passo di Festo dove si dice ehe la giustizia era amministrata nelle praefecturae: (12) Fest. 262 Lindsaypraefecturae eae appellabantur in Italia, in quibus et ins dicebatur, et nundinae agebantur; et erat earum quaedam ties) p(ublica), neque tarnen magistratus suos habebant.
Sembra quindi ehe in un certo numero di municipia, non certamente in tutti, i Romani, di fronte alle liti ehe saranno nate fra Romani e Italici, in seguito alia diffusione di cittadini romani nell'Italia, invece di celebrare a Roma i relativi processi abbiano preferito inviare nei singoli municipi praefecli del pretore. Questa almeno e la tesi di Brunt (1971, 532), il quale scrive (533): "One can thus understand why Rome should have sent outpraefecti iuri dicundo to municipia, though we need not suppose that all jurisdiction was removed to their courts; as in later days, municipal magistrates probably retained the right to decide certain types of case. But there seems to bee no reason why the machinery for local selfadministration, to which the municipes were presumably attached, should have been dismantled, especially at the moment when Rome was ready to reward their fidelity by raising them to full citizenship. After the Social war Rome remodelled the institutions of the newly enfranchised towns at least to the extent of creating uniformity in the titles of their magistrates; but local magistrates, chosen by their own peoples, there still were, who exercised important functions, including (on the better view) some jurisdiction". E quindi owio ehe non solo i municipi, ma municipi di una certa consistenza come cittä potevano assolvere alia funzione di esercitare la giustizia con leggi e magistrati romani, quindi con garanzia di sicura utilizzazione della lingua giuridica latina. Ma qual e il rapporto del latino giuridico, delle leggi, dei giureconsulti e degli operator! di giustizia, in genere, con il latino volgare o rusticus! II latino giuridico e, a mio parere, non meno del latino letterario, e forse ancora di piü, il vero oppositore del latino rusticus. Dico "ancora di piü", perche il latino giuridico delle leggi e dei responsa dei giuristi a cui si dovrebbe aggiungere il latino delPoratoria forense, per la vicinanza nella pratica giudiziaria,17 era certamente aperto a tutti i cittadini, mentre il latino letterario era, nella forma piu bassa, legato alia scuola e, nella forma piü alta, aperto ai soli uomini di cultura e letterati. Comunque il latino giuridico e almeno uno dei due grandi oppositori del latino rusticus. A questo punto ci troviamo di fronte la ipotesi di un famoso linguista come Einar Löfstedt, ipotesi ripresa da altri come Giovanni Pascucci,18 ehe il latino giuridico sia stato influenzato dal latino volgare. ho giä combattuto apertamente questa ipotesi, discutendo i singoli punti di dettaglio su cui 1'ipotesi del Löfstedt si fonda (Calboli 1994b). La mia conclusione e ehe in nessuno dei punti considerati da Löfstedt, Pascucci e altri si puö riconoscere latino volgare, ma tutt'al piu qualche caratteristica del latino parlato. La pubblicazione recente del Senatus Consultum de Cn.Pisone patre, gli studi di 17
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Numerosi sono i casi di giureconsulti ehe patrocinarono cause come Q. Muzio Scevola la famosa Causa Curiana, Ser. Sulpicio Rufo 1'accusa contro Murena. Del resto lo stesso Cicerone per bocca di Antonio definisce cosi il giureconsulto: Cic. de oral. 1,212 sin aulem quaereretur quisnam iuris consultus vere nominaretur, eum dicerem, qui legum et consuetudinis eius, qua privati in civitate uterentttr, et ad respondendum et ad agendum et ad cavendum peritus esset. Su questo cf. il commento di Leeman-Pinkster-Nelson, II, 135: "es sind die drei wichtigsten Aufgaben eines iuris consultus: l. das Erteilen von Rechtsgutachten (respondere) [...]; 2. das Aufstellen von Geschäftsformeln [...] (cavere); 3. die Tätigkeit als Sachwalter vor Gericht (agere)"; v. anche Bretone 1992, 160sg. Löfstedt 1911, 17; Pascucci 1968, 12; 17-22. Discussione in Calboli 1994b, 615-630.
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Maria Selig sulle caratteristiche del latino giuridico nell'uso dei pronomi e un esame comparative condotto da un mio allievo, Giovanni Battista Galdi,19 sui document! di latino giuridico e latino volgare del I e II sec. d.C. hanno apportato element! important! a conforto della mia tesi: il latino giuridico non e assolutamente latino volgare o, come meglio sarebbe dire, rusticus. Vediamo brevemente quali sono questi element!. Nell'uso dei pronomi dimostrativo-deittici il latino giuridico previlegia 1'uso di is, ea, id, mentre il latino volgare sviluppa soprattutto 1'impiego di ille e ipse da cui nasceranno i due articoli romanzi e, in particolare, 1'articolo ben piu esteso il, lo. Per la lingua delle leggi giä Maria Selig (1992, 34-40) ha dimostrato ehe a una frequenza di is del 62,64% come aggettivo e del 93,90% come sostantivo si oppone una frequenza di ille dello 0,25% come aggettivo e dello 0,46% come sostantivo. Questo nel periodo dal 200 a.C. al 17 d.C. A questa ricerca sulla lingua delle leggi, continuata anche nel periodo successive, io ho aggiunto una ricerca sulla lingua dei giureconsulti, Alfeno Varo e Giavoleno (1997, 112-114) con i seguenti risultati: Alfeno Varo, allievo di Ser. Sulpicio Rufo, fine del I sec. a.C.,20 is 41,7% (senza distinguere fra aggettivo e sostantivo), ille 2,99%; Giavoleno, nato prima del 60 d.C., legato consolare nella Germania Sup. nel 90, proconsole della provincia Africa e pontefice nel 106-7,21 is 35,93%, ille 1,25%. II Senatus Consultum de Cn.Pisone Patre, del 10 die. 20 d.C., pubblicato nel 1996, ha portato un'importante conferma sull'uso dei pronomi e la dimostrazione di un altro particolare della lingua giuridica: nelle 176 linee di questo testo il pronome is ricorre 74 volte (31,76%), mentre ille manca completamente (anche iste manca, mentre ipse non e rappresentato troppo male, perche ricorre 14 volte, 6%). Ma soprattutto questo testo, in quanto Senatus Consultum, e a tutti i titoli lingua giuridica ed e stato scritto di mano del questore di Tiberio, Aulo, e firmato, per cosi dire, dallo stesso imperatore, cf. 11.174sg. Ti. Caesar Aug(ustus) trib(unicia) potestate XXII manu mea scripsi: velle me h(oc) s(enatus) c(onsultum), quod etfactum HII idus Decem(bres) Cotta et Messalla cos. referente me scriptum manu Auli q(uaesloris) mei in tabellis XIIII, referri in tabulas pubicas. Questo documento mette in luce un'altra particolaritä dei testi giuridici, la grande frequenza delle proposizioni relative: nelle 176 righe del Pisonianum i pronomi e le frasi relative sono 88, una ogni due righe. Ma la stessa frequenza del pronome relativo (37,76%) si ritrova anche nel latino dei giuristi (non delle leggi, secondo le statistiche della Selig). Infatti in Alfeno Varo il relativo ricorre con una frequenza del 31,09%, in Giavoleno del 48,80%, in Florentine (prima metä del III sec. d.C.)22 del 33,87% (is il 31,69%, ille Pl,09%).23 Anche nel latino dei contratti, quindi lingua di tipo giuridico, delParchivio puteolano dei Sulpici e delle tavolette cerate pompeiane si riscontrano le stesse percentuali di forte presenza di is (44,91% nell'archivio dei Sulpici, 79,06% nelle tavolette cerate di Pompei) e del pronome relativo (38,13% nell'archivio dei Sulpici, 28,26% nelle tavolette di Pompei). Invece nelle lettere di Cl. Terenziano e Cl. Tiberiano il rapporto fra i pronomi is e ille e rovesciato: is il 6,34%, ille il 49,20%. II relativo qui e abbastanza frequente, ma meno: 20,63%. Nei document! di Vindolanda la situazione e intermedia: is 15,83%, ille 12,5%, e qui e ben frequente: 41,66%. Ora questi riferimenti statistic! non hanno un valore assoluta-
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Cf. Galdi 1998, IV sg.; 45-48; 72-74; 169-175. Sulla vita di Alfenus Varus cf. Bremer 1896-1901,1, 280-282. Sulla vita di lavolenus Priscus cf. Bremer, 1896-1901, II, 2, 394-396. Cf. Querzolil996,42. Traggo questi dati dalla tesi di laurea del mio allievo, Galdi 1998.
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mente probatorio, com'e ben noto, ma sono comunque indicativi di una tendenza. Una tendenza ehe differenzia in modo netto il latino giuridico dal latino volgare o, meglio, rusticus. A questo punto devo riprendere in considerazione un fatto lessicale, sul quäle avevo giä attirato l'attenzione alcuni anni or sono e ehe ora mi appare in una luce ben piü precisa e chiara. Nel mio abbozzo su Latino volgare e latino classico io ero arrivato a una conclusione ehe nasceva dal puro e semplice esame delle ricorrenze dei termini sermo vulgaris e sermo rusticus o, diciamo meglio, delle ricorrenze in cui sermo e collegato con vulgaris o con rusticus. La mia conclusione (36sg.), dopo aver considerate tutti i casi riportati nel Thesaurus della July Packard e, naturalmente, nel Thesaurus Linguae Latinae, era la seguente: "intendo solo tener presente una eventuale distinzione della loro lingua da parte dei parlanti romani, e tale distinzione esiste nel senso, piü o meno, ehe diamo ad essa noi stessi, ed e una distinzione tra latino letterario e ricercato, da un lato, e latino comune o uulgaris sermo, dall'altro, mentre il corrispondente di latino volgare come lingua rozza e scorretta sembra piuttosto ritrovarsi in sermo rusticus". Questa considerazione era basata sui fatti, sulle cinque ricorrenze di sermo vulgaris (Rhet. Her. 4,69; Cic. ac. 1,5; Suet. gramm. 24,4; PS. Quint. decl.\&,2; Hist. Aug. Sept. Sev. 15,1). In tutti i passi vulgaris ha il senso di 'comune', 'banale' (cf. Calboli 1994a, 35sg.) e risulta chiaramente dalla contrapposizione vulgaris ~ singularis ehe ricorre in Cicerone: (13) Cic. inv. 2,112 Beneficia ex sua vi, ex tempore, ex animo eius, qui fecit, ex casu considerantur, ex sua vi quaerentur hoc modo: magna an parva, facilia an difficilia, singularia sint an vulgaria, vera an falsa quadam exornatione honestentur. Naturalmente molti altri giä prima di me, seppure senza l'esame lessicale da me condotto sul Thesaurus della Packard, erano arrivati a mettere in evidenza l'importanza della rusticitas, cosi, ad es., Jules Marouzeau, il quäle scrive (1949, 10): "du fait que la vie provinciale est essentiellement rurale, et qu'en particulier les defauts les plus sensibles sont ceux qui se manifesten! dans les voisinage de Rome, au sein d'une population de campagnards, c'est le qualificatif de rusticus qui revient le plus souvent dans les commentaires". Dopo quanto abbiamo visto sopra sul processo di sviluppo dei municipia e di urbanizzazione, la rusticitas assume un carattere molto piü precise e fornisce una spiegazione persuasiva del perche sia proprio la rusticitas ehe nel latino classico corrisponde al nostro concetto di latino volgare. Questo, a sua volta, ci permette di partire da una posizione piü chiara, perche la dislocazione precisa nello spazio (la campagna) chiarisce giä in partenza alcuni caratteri specifici di questo latino. Non dobbiamo perö dimenticare, a prova della complessitä del rapporto tra lingua 'rustica' e lingua colta, la figura di Cotta, ricordato da Cic. Brut. 259 (v. sopra nr. 6). Giä Cicerone, come abbiamo visto, contrappone Cotta a Catulo, e certamente Cotta usava una lingua ehe aveva qualcosa di rustico (subagreste quiddam). D'altra parte L. Cotta non era solo ad usare una rustica vox et agrestis. Cicerone ci dice ehe ad alcuni questo modo di parlare piaceva, perche sembrava piü arcaico: (14) Cic. de oral. 3,42 est autem vitium, quod nonnulli de industria consectantur: rustica vox et agrestis quosdam delecfat, quo magis antiquitatem, si ita sonet, eorum sermo retinere videatur, ut tuus, Catule, sodalis L. Cotta. II problema del rusticismo di L. Cotta e degli altri nonnulli e quidam a cui allude Cicerone, dopo gli accenni piuftosto superficiali di Tronskij (1968, 164) e Devoto (1944, 149), e stato affrontato con impegno da Desmouliez e da Ramage e con un buon approfondimento dal
La latinizzazione dell 'Italia: alcune considerazioni
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Lebek. Ιο stesso vi ho dedicate alcune pagine della mia "Nota di Aggiomamento" alia versione italiana della Kunstprosa di Eduard Norden (Calboli 1986, 1111-1118). Cercher di darne qui l'essenziale, perche dalla trattazione attenta di questa questione si ricava l'idea importante ehe, almeno al tempo di Cicerone e poi di Quintiliano e, possiamo credere, anche oltre, questo problema linguistico toccava il nocciolo della contrapposizione urbanitas ~ rusticitas e si collegava col problema stilistico-letterario deH'Atticismo e deiVelocutio retorica. Perche la contrapposizione urbanitas ~ rusticitas affonda le sue radici nella cultura greca e in quella manifestazione in cui la cultura greca influenz potentemente la cultura latina, anche a livello popolare, ehe fu la commedia romana da Plauto a Terenzio. Che dunque nella rusticitas di L. Cotta, imitata talvolta da P. Sulpicio Rufo, ci fosse l'intenzione di essere arcaico e detto da Cicerone, il qu le aggiunge anche un particolare fonetico del latino di Cotta insieme all'idea ehe alia coppia erronea rusticitas-antiquitas deve essere sostituita la coppia giusta urbanitas-antiquitas: (15) Cic. de orat. 3,43-46 nostri minus student litteris quam Laiini; tarnen ex istis, quos nostis, urbanis, in quibus minimum est litterarum, nemo est quin litteratissimum togatorum omnium, Q. Valerium Soranum, lenitate vocis atque ipso oris pressu et sono facile vincat. [..,] equidem cum audio sacrum meam Laeliam [...] earn sic audio, ut Plautum mihi out Naevium videar audire [...]. quare Cotta noster, cuius tu ilia /α/α, Sulpici, nonnumquam imitaris, ut Iota litteram tollas et Eplenissimam dicas, non mihi oratores antiques, sedmessores videtur imitari. Varrone, rust. 1,2,14 e 1,48,2 presenta alcuni esempi di questa pronuncia dei rustici: veha per via, vella per villa, speca per spica (a proposito di quest'ultimo vocabolo, Varrone scrive ehe questa e la pronuncia dei rustici, ut acceperunt antiquitus, dichiara quindi ehe si tratta di una pronuncia arcaica, ma puo trattarsi di una opinione legata all'idea di Cotta e di altri ehe questa pronuncia fosse arcaica; quindi la dichiarazione di Varrone puo non valere nulla); esempi epigrafici in Sommer (19143, 63): OREGINEM CIL III 781 (201 d.C.), PEREGRENO V 1676, FELIUS XIV 1011. II Lebek (1970, 55) suppone ehe Cotta volesse reagire allo iotacismo del greco contemporaneo, ritornando a una pronuncia originaria latina, non influenzata ancora dallo iotacismo greco. Quindi Cotta sarebbe stato spinto da intenzioni puristiche. La stessa spinta avrebbe agito anche su Cicerone, urtato nel suo άττικισμός· dalla pronuncia di Cotta. Anche il Desmouliez accetta la soluzione αβΠ'άττικισμό?, identificandolo pero con Ι'έλληνισμό?. Questo, naturalmente, puo valere per la spiegazione di Cicerone, non perche Cotta volesse essere ο non essere atticista, perche al suo tempo (attorno al 91 in cui e ambientato il De oratore) sembra difficile parlare di Atticismo, una tendenza stilistica ehe sembra nata alia met del I sec. a.C.,24 quindi nota nel 55, data di composizione del De oratore, ma non prima, se non come criterio del canone degli oratori (cf. Calboli 1986, 1114). A meno ehe l'opinione del Dihle sulla data di origine dell'Atticismo a Roma (met del I sec. a.C.) non debba essere considerata una restrizione eccessiva, smentita da elementi come questo, ilfattocioe ehe gi nel 91 Cotta usasse Ράττικι,σμός'.25 Tutto cio anche se il criterio dell'atticismo addotto dallo stesso Cicerone (Brut. 167, v. sopra nr. 4, e 172), nel famoso episodio di Teofrasto riconosciuto ad Atene come "straniero" (hospes) da una vecchietta, sembra ben piu antico della met del I sec. a.C. Ma Quintiliano, inst. 7,1,2, aggiunge ehe Teofrasto fu riconosciuto come straniero, perche parlava un Attico 24 25
Cosi Dihle 1977, 167-173. Ιο stesso ho inclinato a vedere l'Atticismo gi in Grecia e ben prima della data del Dihle per la nascita dell'Atticismo romano (cf. Calboli 1986, 1061-1073).
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troppo perfetto, ed e interessante questa valutazione negativa dell'ipercorrettismo. Comunque quelle ehe a noi interessa e ehe un prodotto della rusticitas fosse considerate arcaismo, quindi Latino corretto, e ehe qualcuno trovasse un qualche valore in una pronuncia ehe era certamente rustica. Del resto lo stesso Cicerone in una lettera ad Attico (2,15,3) dichiara di preferire i rustici ai perurbani Sebasus e Arrius. Quindi la rusticitas poteva entrare in gara con Yurbanitas ed essere seguita persino per motivi puristici. E un fatto ehe toglie ben poco alia stigmatizzazione della rusticitas da parte di Cicerone e dei suoi contemporanei ed e comprensibile: c'e sempre qualcuno ehe vuole essere strano, ma questo awiene perche essere in un certo modo dimostra appunto stranezza. V urbanitas non e per un fenomeno cosi semplice e compatto come puo sembrare a prima vista. Seguendo Ramage (1960, 65sg.), si possono distinguere tre significati di urbanitas: (1) la vita in citt con le sue raffinatezze (ad es., Cic.fam. 7,17,1 in urbis urbanitatisque desiderio); (2) un modo e uno stile di vita raffinato (ad es., Cic. off. 1,104 duplex omnino est iocandi genus, unum inliberale, petulans, flagitiosum, obscenum, alterum elegans, urbanum, ingeniosum, facetum); (3) qualit del parlare dei cittadini di Roma e, prima ancora, di Atene (Cic. de or at. 3,43). II contrasto fra citt e campagna si ritroverebbe secondo Ramage (1963, 404) in particolare in Quintiliano, inst. 6,3,107. In realt pero gi in questo passo si coglie quel concetto di urbanitas come ideale complessivo di educazione ehe il Ramage (1963, 410) attribuisce appunto a Quintiliano ("urbanity is the whole aim of education"): (16) Quint, inst. 6,3,107 nam meo quidem iudicio ilia est urbanitas, in qua nihil absonum, nihil agreste, nihil inconditum, nihil peregrinum neque sensu neque verbis neque ore gestuve possit deprendi, ut non tarn sit in singulis dictis quam in toto colors dicendi, qualis apud Graecos άττικισμό? ille reddens Athenarum proprium saporem. Infine devo ricordare ehe l'ideale delVurbanitas contrapposta alia rusticitas e antico a Roma. Esso trova espressione nelle commedie di Plauto come Trin. 199-202; Via. 31-35, e soprattutto di Terenzio nelle figure di Menedemo del Heauton Timorumenos, di Demea degli Adelphoe, di Cremete atWEunuchus. E quindi una contrapposizione gi presente in Menandro com'e indicate dalla corrispondenza di Ter. Ad. 865sg. e Men. Ad. β' frg. 11: (17) a. b.
Ter. Ad. 865
ego ille agrestis saevos tristis parcus truculentus tenax uxorem duxi
Men. Ad!y frg. 11 (ρ. 19 Koerte-Thierfel.)
εγώ δ'αγροικο?, εργάτη?, σκυθρό?, πικρό?, φειδωλό?.26
Ε questo in un momento in cui Catone componeva il suo De agri cultura, il Senate incaricava di far tradurre, ad opera di D. Giulio Silano, il trattato di agricoltura di Magone (Plin. not. 18,22-23) e 1'Italia si stava trasformando in quel pomarium di cui parla Varrone (rust. 1,2,6) e nel "giardin deH'imperio", come dice Dante (Purg. 6,105). Questo ci invita alia cautela: la realt e sempre piu complessa di quanto noi pensiamo. In un momento in cui nel teatro di Terenzio si stigmatizza un personaggio come agrestis, lo State romano e seriamente interessato all'agricoltura produttiva indicata da Catone, l'ideale del bonus agricola bonusque colonus e in vigore, anche se solo come ideale del mos maiorumP Ma in realt la posizione di Catone era ben lontana da essere condivisa da tutti. Tuttavia questo ci deve 26 27
Cf. la bibliografia citata in Calboli 1986, 1116 n. 39. V. infatti Cato agr. 1,2 Et virum bonum quom laudabant (maiores nostri), ita laudabant, bonum agricolam bonumque colonum (cf. Calboli 1978,181-191).
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invitare alia prudenza sotto tutti i punti di vista, perche e difficile ehe la stigmatizzazione sociale della rusticitas da parte di alcuni, non si accompagnasse a una valutazione positiva da parte di altri. In conclusione abbiamo visto ehe dal I sec. a.C. fino al II d.C. l'opposizione non e fra latino corretto, purus, letterario e latino volgare, ma piuttosto fra urbanitas e rusticitas. La situazione politica e sociolinguistica giustifica perfettamente questa opposizione. Lo stame filato dall'indagine storica, linguistica e sociolinguistica e saldo e sicuro, ma ancora piuttosto grossolano. La contrapposizione fra lingua volgare (rusticitas) e lingua giuridica e una conseguenza della struttura messa in luce dall'indagine storico-sociologica. Dopo essere passata per le dita piü sottili e precise della filologia la visione assume aspetti piü complessi e piü ricchi, nei quali, accanto al prevalere per una valutazione negativa della rusticitas e positiva dell'urbanitas, non mancano tratti positivi per la stessa rusticitas, mentre rurbanitas, un po' nebulosa per Cicerone, assume il carattere della perfezione oratoria in Quintiliano. In sostanza pero, per quanto riguarda la romanizzazione dell'Italia, possiamo dire ehe il modello del rapporto fra l'Urbe e la sua campagna (rusticitas) e stato esportato anche nei municipia secondo un criterio di adattamento della nuova realtä di un grande Stato romano, di un Impero Romano, al modello della vecchia struttura sociale dell'Urbe. E un limite certamente dell'organizzazione dell'Impero Romano, ma e un limite ehe ha contribuito a sviluppare le singole autonomie cittadine nei municipia. La contrapposizione linguistica e stilistica urbanitas ~ rusticitas, ereditata da Roma, si diffonde nei municipia e rimane in costante contrapposizione tra lingua corretta e lingua scorretta, tuttavia secondo criteri e modalitä nuove. A loro volta, come abbiamo visto, i municipia, se non sono stati i padri dei liberi Comuni del Medio Evo, ne sono stati comunque una premessa fondamentale. Si potrebbe allora dire- anche se e un'affermazione ancora non ben precisata- ehe e stata la loro lingua, la lingua dei municipia, nella tensione, quando piü e quando meno sentita, fra lingua corretta e lingua scorretta, erede, a sua volta, delPantica contrapposizione urbanitas — rusticitas, fondata sull'organizzazione del territorio, non una generica lingua volgare, la madre vera delle lingue romanze, almeno in modo non troppo diverse da quello ehe lega gli antichi municipia ai Comuni medioevali.
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Robert Coleman The Contribution to Vulgar Latin in Italy from Other Languages in the Peninsula; Some Case Studies
1.1. The influence of one language upon another may be mediated in various ways. The first is by direct contact between the two, almost always through prolonged bilingualism, [A]. Brief contacts, for instance where one or both linguistic communities are migratory or nomadic, cannot easily lead to linguistic interaction. The only significant exception is in the lexicon, where brief contact with travellers or traders, bringing with them a new object or idea, is enough to introduce a new word to go with the import. Diffusion will still be necessary of course, but this is true of all innovation. 1.2. Stable political boundaries obviously provide conditions for sustained bilingual interaction, especially where the two languages are closely related, as Dutch and German, Catalan and Spanish. The Balkan Sprachbund1 that is invoked - sometimes extravagantly to explain common developments in South Slavic, Greek, Rumanian, Albanian and Turkish would be an example of interaction between adjacent languages that are related either distantly or not at all, though genetic substrate (see § 1.8.) may also be a factor here. The idea, once widely held, that the Italic languages owed their similarities to convergence within Italy would only be plausible at all if we assumed that the languages had diverged from a common ancestor more recent than Proto Indo European itself. The hypothesis would also depend upon prolonged contact between settled communities. However there seems insufficient time between the population movements that brought these languages into their historically attested locations and the earliest extant records of them, in which the assumed convergences are already clearly established. 1.3. The adstrate situation can remain characteristic of border dialects for centuries without affecting the larger linguistic communities. Diffusion can contribute to the defining characteristics of larger dialect areas or even, where there is no standardizing pressure from a culturally prestigious or politically powerful centre to resist the intrusion, to the characteristics of the whole language. 1.4. Linguistic substrate and superstate come about in at least two ways. A linguistic community may be invaded by military conquerors or by peaceful immigrants, speaking a different language. The resulting interaction may be comparable in many ways to the border situation we have just noted. Continued bilingualism will maintain interaction between the two: superstate [Bl], affecting the indigenous language, substrate [B2], the intruder. Such situations must have frequently occurred in the different regions of Italy and the Empire, where the interaction between Latin and Rhaetic, Venetic, Gaulish, Celtiberian, etc., clearly contributed to the development of Vulgar Latin dialects. When the immigrants form a majority in the population or an influential political or cultural elite, superstate can heavily affect and even eliminate the indigenous language. Sometimes the superstate influence is restricted. Norman French intrusion into English was virtually restricted to the lexicon, where it was important. See Solta 1980.
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1.5. The second possibility arises where a group of immigrants form an enclave within the host community, retaining their own language alongside the host language. Again both superstate and substrate effects can occur. If the social cohesiveness of the enclave is weakened, the immigrant language becomes increasingly affected by superstate pressure and eventually disappears, leaving at most a few residual substrate elements in the host language, [Cl]. Many of the distinctive characteristics of European languages spoken in former colonial territories across the world have emerged in this way. If on the other hand the cohesiveness of the immigrant language is maintained and moreover reinforced by the arrival of successive groups of speakers of the immigrant language, then superstate pressure can be resisted. Indeed the newcomers often acquire their knowledge of the host language from within the enclave and so preserve their teachers' imperfections, thus contributing to a substrate influence, [C2], which being localized may eventually emerge into a new dialect of the host language. This was clearly the situation resulting from the settlement of the various groups of Germanic invaders in North Italy and Western Europe. 1.6. All the substrate and superstate phenomena referred to in the preceding paragraphs depend upon direct bilingual contacts, which are either sustained or, if brief, leave their impact permenently on the recipient language. There is however another type of substrate that is independent of direct contact and may connect similar phenomena in languages that are not only quite unrelated but also widely separated in time and even space. 1.7. Half a century ago C. D. Darlington and L. F. Brosnahan2 began to investigate the correlations between the presence of certain sounds in a language and the blood groups of the populations in whose languages these occur. Their conclusions, which certainly looked promising, have not been followed up - or refuted. Now that many languages are much more fully documented and analysed, especially in their diatopic variations,3 and DNA sampling analysis provides much deeper insights into the genetic composition of a population and indeed of its precursors in the region, it is surely time to take up this line of research where Darlington and Brosnahan left off, modifying their conclusions when appropriate and extending the argument beyond phonetics and phonology. For if the genetic code really is as comprehensive a determinant of human behaviour as is being increasingly claimed, then its linguistic relevance could range much more widely to include the morphological patterns of nouns and verbs, the rules for complementation, word-formation and lexical semantics, in fact every level of language.4 1.8. A number of linguistic changes the aetiology of which has baffled scholars might thus be accounted for by genetic substrate [D], For instance we know that large areas of Italy north of the La Spezia-Rimini line and of France, Spain and Portugal were inhabited by Celtic populations before the Roman conquests, and that these populations were never displaced by emigration, surviving even Julius Caesar's systematic attempts at genocide. Leni2 3
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See Brosnahan 1961. The rich array of Italian dialectal variation surveyed and analysed by the contributors to Maiden and Parry 1997 discourages generalizations about modem Italian usage and offers further proof that dialectology creates havoc among the tidy laws of language change beloved of earlier scholars. Recent research on genetics and language has been addressed not to the detail of specific language changes of this sort but to broader questions, such as linguistic and cultural convergence, the construction of macrophyla and the origins of the language itself. See for instance Harald Hartmann's discussion of primary and secondary diffusion of Indo Europeans and their language in JIES 26, 1998, 391-419 and the literature cited there.
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tion of various kinds is a feature of the diachrony of the Celtic languages generally and of the Romance languages spoken in these areas, marking them off from Germanic and other IE languages spoken on the continent of Europe. The relative chronology of the relevant changes in these languages notoriously resists explanation in terms of linguistic adstrate, substrate or superstrate. If a common genetic element in the populations concerned can be established, this may well be the crucial factor. For unlike the linguistic strates genetic substrate does not depend upon interaction between languages but can transmit linguistic tendencies that lie dormant for generations before emerging into the diachrony of a language. It may also explain why certain changes are repeated at various stages in a language's history, while others occur only once. 1.9. Genetic substrate would be relevant to the much discussed Gorgia Toscana,5 if one believes that the undoubted spirantization of intervocalic stops in many dialects of Tuscany is connected with the Etruscan treatment of unvoiced stops in intervocalic and other positions; e.g. perprade beside perprafe(z), hafitre beside hapuri, prexu beside precu, but also dutna(f) beside tuina, acsneal beside pacsnial, xasri beside casri.6 There is no evidence that θ, φ, χ or even/represented anything but unvoiced aspirates at this period, and it is not until the second century A.D. that any general shift to spirant pronunciation of the Greek letters is attested. The latter shift certainly shows the phonetic plausibility of the shift [ph] > [φ] > [f] etc. However, no evidence for the spirants appears in Tuscan Latin, or in Italian before the fifteenth century, and it remains confined to intervocalic position. There are good grounds for scepticism, but based on the linguistic facts, not on the hypothesis of genetic substrate itself. 1.10. In the last three centuries B.C. Roman domination of the Italian peninsula was finally completed, though political unification was not finalized until Augustus. At the same time the divergence was already under way between the elite registers of Roman Latin, out of which came Classical Latin, and the subelite or vulgar registers, out of which in their various dialectal forms came ultimately the Romance languages. There were no longer any large population movements and the more stable demographic conditions enabled continuing bilingual interaction between Latin and the other languages in Italy, both Italic (Faliscan, Oscan, Umbrian, etc.) and non-Italic (Greek and what remained of Etruscan and in the North, Celtic, Ligurian, Venetic). Contact was at two distinct levels: through local administration which maintained elite standard Latin, and at a popular level, through the policy of placing Latin-speaking colonies among the non-Latin speaking populations in conquered territories. Conversely, again at the popular level, there was a growing influx into Rome of migrants who were either monoglot foreigners or speakers of rural dialects of Latin. All these different contexts of interaction provided abundant opportunities for the adstrate, substrate and superstrate phenomena comprising the categories Α-D set out in the preceding paragraphs.
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For cautiously sceptical accounts of the arguments on either side of the controversy see Giannelli 1983; Maiden 1995, 59-63, where the orginal complementary distribution of spirantization and vocalization among the dialects and the occasional co-occurrence of both in the same dialect are also discussed. For further data and discussion see Pfiffig 1969, 38-42. The precise diachronic and diatopic relationships between these paired forms has not yet been properly analysed and probably can never be now.
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2.1.1. The Latin vowel system around 150 B.C. consisted of the five vowels / e a o u +/length. The ten-phoneme system is reflected in Sardinian by a five-phoneme system, with length becoming, as in other Romance languages, a feature of accented position. It is not clear when the qualitative distinction which is alluded to by Servius (4,421,20 K), 'e' quando producitur uicinum est ad sonum i litterae, ut meta; quando autem correptum, uicinum est ad sonum diphthongi, ut 'equus', and Marius Victorinus (6,33,3 ), ' ut 'e', geminum vocis sonum pro condicione temporis promit, first began to appear. However, examples abound in the early Empire at Pompeii, e.g. e >< inßlix andprauessimus and ö > < üin flus and connus, and more rarely at Rome, e.g. cinacula and stependiorum, and so (for sum) and itu. The front vowel convergence is reflected in West Romance and Rumanian, the back-vowel convergence only in the former. The further convergence of e and , and u with and ü respectively in South Italy and Sicily has sometimes been attributed to Greek influence.7 The raising of Greek [e:] to [i:] is attested with growing frequency from the fourth century B.C. onwards, e.g. sumpherin for sumpherein, but that of [e:] first to [e:] and thence to [i:] not until the Empire. 2.1.2. Comparable but not identical convergences had already taken place in Umbrian and Oscan and, at least as far as back vowels are concerned, in Etruscan as well. Indeed the tendency to reduce the number of distinctions on the back axis reached its limit in Etruscan, where and u converged; cf. Pedros but Petrus, Pergomsna but Percumsna, Pomponius but Pumpus, cotonia but cutunial* Pliny is cited by Priscian (2,26,16 K) for the observation that ' aliquot Italae gentes non habebant sed loco eius ponebant V et maxime Umbri et Tusci... quae tarnen a iunioribus repudiata sunt quasi rustico more dicta (further evidence incidentally for connections between non-Latin languages and rustic dialects of Latin). 2.1.3. Both Umbrian and Oscan show patterns anticipating VL developments. The convergence of e and appears in Umbr. h a b e t u, habitu (< *habetod) and p i f e, p e f e, pirsi (< *qVid-i) v. T in p e r s n i m u, persnihimu (< persknimo) on the one hand and e in e r u, erom (< *esom) on the other; but convergence of and ö in p u r e, parse (< *qVod-i) n u m e n (ace.), name (< *nomen) v. u in s u p e r, superne (< *super).9 There are no certain instances of back vowel reflexes of ü; p i r (< *pür) and m a n i (< *manüd) indicate fronting followed by loss of rounding. The lower end of the back axis is also occupied by reflexes of a; e.g. m u t a, m u t u (< *moltad) beside f r a t r u m. Oscan shows a broadly similar pattern. Convergence of e and appears in i s, pis (< *q^is) and l i k i t u d, licitud (< *liketod) v. 7 in i m a d e n (< *lmäd-eri), scriftas (< *skriptäs) and ein e s t u d, estud (< *estod), but convergence of ö and ü also in e s t u d , estud, f u s t fust (< *fusef) and f r u k t a t i u f (< *früktäüöns), v. p u d, pod (< *q^od). 2.1.4. The extension of the convergence of Oscan ö and u to include ö partially anticipates VL developments in Sicily and South Italy. Nevertheless, the Oscan asymmetry between the back and front axes is not shared with the modern dialects and aligns Oscan rather with Rumanian, where however the division along the back axis is partially parallel to that of Sardinian with bipartition between reflexes of ö and of u. We can certainly discern a general tendency, with numerous precise parallels, over this whole area, beginning in Umbrian and Etruscan and, perhaps subsequently, in Oscan, whence by adstrate and substrate proc7 8 9
tipo con astrato sostrato greco (Belardi 1979, 31). Further examples and discussion in Pfiffig 1969,28-29. Italic texts are cited from Vetter 1953 and Poccetti 1979, without precise references, which can be got from the very detailed indices to these editions.
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esses it spread to Latin, eventually affecting every area of VL except Sardinian, where the corresponding situation results solely from the loss of length as a phonemic feature of the vowel system. A category A phenomenon primarily, but with the possibility of category D playing a role also. 2.2.1. The reduction of [ai] is well attested in ancient Italy. The monophthongization was complete in Etruscan, Umbrian and Etruscan before any trace of it appears in Latin. Etruscan texts indicate the diachrony ai > ei > e; e.g. pai unas > ρβίθηα,*ραίθκηαΐ > pe nei. It is not easy to distinguish dialectal and diachronic variations, and some texts show older and current spellings side by side, as on the Zagreb Mummy, ais and eis 'god', with sixteen examples of ai, eleven of e/.10 In the spelling ei the original onset vowel was presumably [e], while at the last stage e was [e:]. 2.2.2. The earliest Faliscan texts, from the seventh and sixth centuries, have ai in peparai, sociai etc. The latest texts have e, e.g. cesio, cesios, for earlier ceisio, caisio, as in Etruscan, and eflle(s) 'aediles'.11 Umbrian has only e from its earliest attestations, c. 300 B.C., t u t e < *teutai, prehabia < *prai-habead. A number of the central Italic languages12 show monophthongal reflexes, Sab.fedus, Volsc. cfeue,Mars. esos; cf. Marruc. aisos, Paelign. aisis, Osc. d e ί ν a ί , the first two of which indicate the boundary of resistance to monophthongization, which is consistently absent from all dialects of Oscan. The Oscan change of spelling from Alto Af (viz a/) merely reflects the introduction of the letter ? to distinguish /from i and seems not to have been adopted in all dialects. 2.2.3. The Latin change from ai to ae marks the first step towards monophthongization. It is first attested in the early second century: aedem beside aiquom (CIL I2 581). It is likely that this represents a vocalic lowering towards the glide releasing the diphthong, perhaps reflected in some second century spellings like Caeicilius and conquaeisiuei (CIL I2 633, 638), rather than an attempt to indicate a monophthongal [ae:]. The consistent representation of ae by Greek ai until well into the Empire does not necessarily contradict the second assumption. For ai and e, though first confused on Egyptian papyri of the third century B.C., were not frequently interchanged in South Italy and Sicily until the second century A.D. Moreover, most languages tend to be conservative in their transliterations. The fact that the Latin shift was to ae, not to ei, as in Faliscan and Etruscan (the relevant stage in Umbrian is not recoverable), indicates a different route to monophthongization. 2.2.4. The earliest instances of Latin e for ae appear, significantly, in rural inscriptions,13 cedre (Roman caedere) at Spoletium in Umbrian territory and pretor at Falerii. Clear evidence for its spread to urban Latin appears first at Pompeii, where it cannot be attributed to Oscan or Greek influence. Spellings like querite and aduaentu for quaerite and aduentu are frequent. Confusion with e seems confined to unaccented position, e.g. aegisse. Few examples are found at Rome or other substantial urban sites until well into the Empire, but of course the graffiti register of the language has not survived much outside Pompeii. 2.2.5. By the fourth and fifth centuries the monophthongal pronunciation was accepted in educated speech, as witness spellings like saeue and praemit for saeuae and premit in the earliest manuscripts of Vergil, and Servius's distinction between e and e cited in § 2.1.1., a 10
Pfiffig 1969, 35.
11
On the distinctive pattern of Faliscan monophthongization see Giacomelli 1978, 514. For analysis of this distinct but by no means homogeneous group see Coleman 1986. For the importance of distinguishing between Roman and non-Roman diachronies see Coleman 1987.
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passage that misled later scholarly reformers of Latin pronunciation into retaining the monophthongal pronunciation of ae. There is of course no trace of lat. ae in Romance. 2.2.6. It is clear that this monophthongization began in Umbrian, Etruscan or Faliscan. Although no doubt it spread southward from there, it is not clear whether this was through one of the contact processes (A-C) or the result of genetic substrate. It is likely to have established itself in Italian Vulgar Latin early enough to have been exported with colonists in the early Empire. 2.3.1. The au diphthong offers an interesting contrast to ai. In the first place it is the only diphthong to survive through Latin into Romance. Thus Rum. taur, S. Ital. tauru (Apul. tovuru), Prov. kauza (cf. OSard. casa) and Fr. chose, where the palatalization indicates earlier *kauza, and the diphthong reflected in Fr. louer, Ptg. louvar. The components of the au diphthong are maximally differentiated - the lowest front vowel and the highest back. The front position of /a/ is confirmed by the fact that the preclassical apophony of short vowels produced front vowels e.g. facere, conflcere, confectus). The prominence of the glide is guaranteed for Oscan by the consistent use of the spelling Ai (= [au]), not A V (= [au]), in contrast to AI, later Af, which does not distinguish vowel and glide. Hellenistic and later Greek has a parallel divergence: [ai] > [e]; cf. confusion of βαίι^ται with atyere, etc., but [au] > [av]; e.g. ραυδους for ράβδου? in Egypt, c. 160 B.C., reflected in modern Greek [petti a] for παιδιά, [ 'avrio] for αύριο and [aftokinito] for αυτοκίνητο. 2.3.2. Etruscan au is replaced by a and u, the distribution of which must be diatopically, not diachronically significant. Thus laucane > lacane beside lucani; lautni > latni and lutni. Th Umbr. rofu ace. pi.) > ruvf> rau > ru beside rafl. In the absence of even a relative chronology we can do little more than note the geographical proximity of the two languages that first show this monophthongization in Italy, and the contrast between these two unrelated languages and the two closely related ones, Umbrian with extensive monophthongization and Oscan with no trace of it at all. 2.3.3. Languages adjacent to Umbrian and Etruscan show monophthongal ο from au; e.g. Faliscan Pola and Sabine Latin plostru for plaustrum, which must reflect the local language. By contrast Paelignian among the central Italic languages adjacent to Oscan has both ai and au; e.g. aisis, aetatu (ace.), Plaulies, representing again the northern outpost against monophthongization. 2.3.4. Ο for au turns up in Latin first in the dialects which had Faliscan, Etruscan or Umbrian substrates, e.g. Plotus at Perugia. The doublets lotus and lautus, cotes and cautes, colis and caulis, coda and cauda]4 must represent rural v. urban usage, and this is confirmed much later by Festus's gloss (202 L) on orum oricla (explicitly censured in App. Prob.): rustici dicebant. The past tense is strange. If the contrast is with urbani, this would be compatible with the spread of the monophthongal pronunciation to urban speech, as in Festus's observation (21,38) that 'aulas' antiqui dicebant quas nunc dicimus Olios'. The alternative 14
See Priscian. 2,39,8f. and Servius georg. 2,3. For the hypercorrection oiplodere to plaudere see Diom. gramm. 1,382,26 f. K and for doubts about which was the original form Schol. Ter. HT 877.
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interpretation, that the contrast is with dicunt, would lead to the highly unlikely conclusion that the countrymen who once had pronounced orum had reverted to aurum. Such diphthongization of earlier long vowels is of course attested in modern Gallo-Romance dialects of Italian; e.g.fiour beside fiore < Lat. * flare, seira beside sera,15 and in the Bay of Naples dialects, e.g. saitd for seta (Pozzuoli) and raussa for rosso (Ischia).16 But this is very different from the reversal of a preceding change, viz. [au] > [9] > [au], which would have to be operating selectively on one diachronically defined subgroup of occurrences of the pivotal vowel in the progression. 2.3.5. The monophthongization had spread by the start of the Empire even into dialects of Latin where the local Italic language offered no support. Thus, in Oscan speaking areas, when au was still preserved, we find Clodi for Claudi at Capua, copo, coliclo and ollam at Pompeii. The last of these was even borrowed into Oscan, where ace. u l a m is attested. Pompeian opscultat is a hypercorrection of *oscultat, where ο < au in auscultat, ascultare, censured by Caper (7,108,6 K), was, like Agustus for Augustus, the product of anticipatory dissimilation. It is reflected in Rum. asculta, as well as It. ascoltare and OFr. ascouter. Latin-Oscan bilingualism in this region does not of course justify attributing opscultat to an Oscan origin, though this is not impossible (see § 4.3). 2.3.6. The conclusion from all this is that the change of OH to ο began, like that of ai to e, in the Umbrian-Etruscan-Faliscan area, spreading southward in the late Republican period but not penetrating into Latium or into the area from Samnium and Campania southward, where resistance came from the presence of Oscan and Oscanized Latin. The retention of the diphthong in parts of modern Friulian could well have originated in conservative pressures from adstrate, later substrate and superstate, languages nearby - Venetic, Celtic and Germanic - if one assumes that any pressure is needed to account for a lack of change. The relatively late monophthongization in Venetian is proved by the absence of intervocalic voicing inpoco, cosa ( avle, aule, 9urmcma > 9urmena(s) > Qurmna are more likely to be evidence for syncope following apophony than the result of syllabic spellings, though these are also a feature of Etruscan. 2.4.3. Vulgar Latin syncope is frequent in unstressed syllables. Hence domna, postum with loss of i,fridam with further reduction of the resulting cluster, and maldicens with loss of e, oclus with loss of u. Italian has reflexes of all these and also new examples like porre < ponere; cf. suspendre in Vulgar Latin. Examples of apophony in Italian seem to be rare, as in Old Tuscan diemante for diamante but the differing treatment of accented and unaccented vowels, often noted in diachronic studies, is merely another form of apophony. The continuity from Umbrian and Latin to modern Italian is thus unbroken. 2.5. Against standard Italian cercare 'to seek' the Latin form circare, attested in African circaui Ί traversed' (CIL VIII 1027), survives in Sardinian and South Italian. We might be content merely to place this item among the archaisms shared by these two areas of Romance. However, a contributory factor to the South Italian retention could well be the Oscan raising of e to / before r and especially r(V)k e.g. amiricatud (< *ad-merk t d), Tirentium (cf. Lat. Terentiorum), and the Latin dialect form stircus in Oscan Luceria. That the change may have been more extensive is suggested by Mirqurios, Mircurios at Praeneste, which also has in the indicative fefaked,™ corresponding to the Oscan subjunctive fefacid. There is no necessity to seek a cause for conservatism, but where a plausible one lies to hand, it seems perverse to ignore it. A straightforward if minor instance of substrate category B2.
3.1.1. It is well know that initial h was lost in all areas of Romance. In Iberia and Gaul it was restored under Germanic influence e.g. Fr. homme Sp. hombre beside It. uomo. Subsequently it was lost again in Spanish along with secondary h from g, as in hermano, hijo, and in French, except for h aspiree, which prevents elision in hache, hair, etc., and more generally in the pronunciation of certain dialects of North Normandy and Lorraine, both areas exposed to adstrate and substrate Germanic influences. 3.1.2. In ancient Italy Etruscan and Oscan19 preserved Λ, but it was in decline in Umbrian, e.g. e r e tu beside heritu 'he is to choose', anostatu beside anhostatu 'unarmed'. The situation in Latin is not entirely straightforward. Quintilian regarded aedos and ircos as a rare feature of the speech ofueteres (1,5,20) but h is rarely omitted in inscriptions of the republican period; e.g. hanc ostiam at Rome, e(redem) at Ostia, ec for haec at Pompeii (CIL I 1013; 1263; 2541; 2297).20 What is more remarkable is that Λ is rarely omitted in rural inscriptions of the period, when we recall Nigidius's statement (Gell. 13,6,3) that rus18 19
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For the likely authenticity of the Latin on the Praenestine/ii>«/a, see Coleman 1990,17-19. H e r u k i n a i Of Eryx' (Herculaneum) may be the result of assimilation to the preceding H e r e n t a t e i or to a popular etymological connection with its root heri- 'to wish'; cf. the spurious h acquired in Lat. umidus by false association with humus. Lat. Venerus Herudjnae) at Puteoli (CIL 12297) is by contrast more likely to be the result of confusion in the use of h-. The omission of intervocalic h became standard in some words at an early date; e.g. bitnus, debere, nemo, praebere; more recent examples like mi, nil,prendere, retained a less formal status.
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ticus fit sermo si adspires perperam. Varro in a corrupt passage (ling. 5,97) seems to be attributing ircus and edus to rustici, as Quintilian later did to ueteres. It is not clear whether Arrius, whose mispronunciations included both hinsidias and chommoda, was being pilloried by Catullus (poem 84) for rusticitas or, since the distinction between aspirated and unaspirated stops was very erratic in Vulgar Latin at all periods, for uulgaritas. Nor, bearing in mind that both aberrations were contrary to urbanitas, would the question have bothered Catullus greatly. 3.1.3. By the first century A.D., evidence for omission becomes widespread in urban Latin. At Pompeii already we find e.g. abet, ortu (ace.) beside hire, homnes, and from the second century onwards confusions occur all over the Empire. The early manuscripts of Vergil (fourth and fifth centuries) preserve h in all but a few instances; which is striking in view of the fact that even in elite versification h unlike French h aspiree had never prevented elision from the third century B.C. onwards. When the late grammarians discuss the question with regard to (h)aue, (h)umidus etc., it is often unclear whether they are concerned with spelling or pronunciation. Thus hostiae non ostiae (App. Prob.). Charisius, who cites contemporary etymologies, harena quod haerent, arena quod arent, then indicates his own concern unambiguously: gratius tarnen cum adspiratione sonat (1,103,21 K); but this is exceptional. Germanic influences, in Lombard Italy, Prankish Gaul and Visigoth Spain, may have reintroduced h, but whether it was much more than orthographic remains doubtful. 3.1.4. We must then envisage a phonetic change attested in Umbrian and Etruscan speech spreading slowly through Latin (including Oscan Latin). The loss of h can of course be independent: it occurred in certain dialects of Greek - Lesbian and East Ionic, where adstrate processes are probable, and Cyprian and Cretan, where they are impossible. (It is not a feature of Italian or Sicilian Greek.) But where geographical proximity and chronology combine, we can safely assign this to an adstrate/substrate mechanism of the A-C categories. 3.2.1. Palatalization21 is of course found in many languages. It was widespread in Italy22 before any sign of it appeared in Latin. In Etruscan we find vercena > vercna and versenas, turce > tiurke (cf.Osc. t i u r r i , u l t i m a m ) lardiu > larsiu > lasiu, ziomide reflecting Gk Diomedes and seianti > seianzi (a change paralleled in Anatolian and in the dialects of East Greek). Chronology and dialectal distribution can be established only very imprecisely, but the wide range of the phenomenon at a relatively early period cannot be doubted. 3.2.2. Umbrian e v e i e t u (< *ek-ueiget d) and m e s t r u (< *magistr d) show the reduction of palatalized voiced stop to palatal glide, as in Lat. maiior, Osc. m a i i u i. Unvoiced velars are palatalized before the palatal glide itself in f a 9 u , f a ? i u (cf. Lat.facio) and before front vowels in c e r s n a t u r , sesna23 (cf. Lat. cenati, cenam) and t a c e s, loses (cf. Lat. tacitus). All these anticipate changes that occurred centuries later in Latin. The central Italic group yields examples: Marsian martses (< *martieis gen. sg.), Paelignian Petiedu (< *Petiedia) Musesa (< *Mussedia). 3.2.3. Oscan is after Latin the most conservative language here. In ύ ί 11 i u f (< *oitions\ m e d i k k i a i and k u m b e n n i e i s the geminates are generally recognized as indicating 21 22 23
§§ 3.1.1.-3.2.11. explore the earlier history of developments analysed in Herman 1998, 14-16 and 11-12. See Meiser 1986, 197-217. The Umbrian letter D and its Latin equivalent έ indicate [tf] or [f\, with the possibility that the two are diachronically distinct.
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that the following i is in fact the palatal glide. For outright palatalization of the stops there is no evidence in Central or North Oscan.24 A z i e s from Campanian Suessula may be a dialectal variant of the more regular A t i s (Pompeii) and A t i e s (Introdacqua), from *Attios. But it could be Etruscan. In any event proper names are often untypical of the local phonology. 3.2.4. One dialect of Oscan does show clear evidence of palatalization. Its area is uncertain but it includes Banzi (ancient Bantia), Potenza and Rossano di Vaglio. The Lex Bantina (early first century B.C.) has Bansae < Bantiae, zicolom25 < *dieklom 'day' (contrast Umbr. ίίςβΐ), meddixud (nt. abl. 'in the magistracy'< *mede-dikiod) the earlier form of which, with i still for Γ occurs in the Abellan feminine doublet m e d i k k i a i (see § 3.2.3.). Distinctive of the Bantian dialect is the palatilization of the lateral fricative: allo < *ali (cf. Gk alle but Lat. alia)famelo (cf. Lat.familia), herest 'he will wish'< fieriest, attested in Umbrian. 3.2.5. It is most improbable that any population movements could have brought this southem dialect of Oscan into contact with the palatalizations of languages spoken in central Italy. Moreover the pattern of palatalization is different here: nothing comparable t o 9 e r s n a t u r , for instance.26 Words cited for the phenomenon in neighbouring Messapic, hazavaffi < hagavati(l), sehe alongside kelte, daranthoa < *geront-ua- etc., even if they were not problematic, would suggest a pattern of palatalization even more remote than that of Umbrian. Nor would it be helpful, where so much is uncertain, to invoke genetic substrate this time. 3.2.6. A very rough chronology of Latin palatalization can be worked out from spelling changes attested in datable inscriptions. Already at Pompeii the tall I, often shaped as J, was used not only to represent [i:] but also |j].27 Thus beside jdus we fmdjunjus, aetjanj,facjo, clear evidence for the change of iV tojV that would have been the preliminary stage to palatilization in Oscan (cf. § 3.2.2.), as are socciorum, Mettiocum (< Metiochum). The earliest datable examples of Italian Latin palatalizations known to me follow in §§ 3.2.7-10. 3.2.7. (a) tiV>tsiV: mundiciei: Rome, 36 A.D. (CIL VI 957A,41); Crescents[ia]n[us]: Ostia, 140 A.D. (CIL XIV 246,7,1); terciae: Rome, 179 A.D. (CIL XV 4376) and Goth. bairh Kawtsjon (or per cautionem; Naples, 551 A.D. (b) d|V28 > dziV: oze: Mauretania, late second century (CIL VIII 8424). Although the earliest examples in Italy are much later, it is clear that affricate reflexes of both (a) and (b) were accepted among educated Latin speakers by the fourth and fifth centuries. There is clear testimony from the grammarians, e.g. Papirianus (ap. Cassiod. 7,216,8 K): 'iusfitia' cum scribitur, tertia syllabasic sonat quasi constet ex tribus litteris 't' 'z' et Ί' cum habent duos, 't' et 'i'. Similar evidence comes from Pompeius (5,286,6 K) and, earlier, from Servius (4,445,8 K), who also observes in his commentary on Vergil's Georgics that in Media (2,126) 'di' sine sibiloproferenda est; Graecum enim nomen est et Mediaprouincia est, clearly assuming that media 'middle' was ['medza] or ['medzia]. The 'three letter' pro24 25
26 27 28
Once again dialectal distinctions in Oscan become relevant. The whole question of Oscan dialects will be treated in a subsequent paper. Z here may represent [dzj, or [z] as in ezum 'to be'. Greek zeta is also used ambivalently at Rossano di Vaglio: ΖωΡηι for Zouei (< *D(ou-; cf. Διω/ηια? = Diouias but αιζνιω (aisni ; cf. Latin aenea) and Εΐ£ι.δομ for eizidom; cf. Osc. e i s i d ύ in. For the independence of the 'Bantian' changes from those in Umbrian and in Paelignian, which seems closer typologically, see Coleman 1986,104. See V n nen 1957, 35-36. For the general Italic change of initial diV- > diV- > i V as in *Dieuei > Lat. loul, Osc. luvei, Umbr. l u v e see Meiser 1986, 159-160.
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nunciation of ti just noted is repeated by Isidore for di: 'z' pro 'd', sicut solent Itali dicere Ozie'pro 'hodie' (20,9,4). 3.2.8. (a) ciV > tsiV: Some of the earliest examples cited from Italy, such as circiensibus: Rome, 45 B.C. (CIL I 593,64); fecierunt: Ostia, first or second century A.D. (CIL XIV 849), admit of other explanations. The first two could be an attempt to represent the raising of [e:] (there can of course be no connexion with the subsequent diphthongization in Italian piede from *pede(ni). The third could be a misreading or miswriting of II (for e) as III (for ie or ei) in cursive script.29 3.2.9. (a) ke/iC > tse/iC: intcitamento for incitamenfo: Latium, 5th century A.D. (CIL XIV 2165). (b) ge/iC > dze/iC: [septuazinla for septuaginia: Lusitania, 566 A.D. (IHC 22)]. Forms like uinfi for uiginti: Pompeii, first century (CIL IV 1291) presumably represent the further reduction of [zi] to [ii] to [i], cf. trienta for triginta: Gall. Narb., Late Empire (CIL XII 5399). 3.2.10. iV > dziV: Magias for Maias: Campania, Late Empire (CIL X 4545); cozux for co(n)iu(n)x: Rome, Late Empire (7LCF4296). These examples presuppose the palatalization inge/i (§ 3.2.9(b)). The significance oflosimus for Zosimos at Pompeii (CIL IV 4599) is uncertain. It could be simply an attempt to reproduce the Greek letter zeta (on which see n. 24). 3.2.11. If the chronology of attestation in §§ 3.2.7.-10. does reflect roughly the diachrony of palatalization, then it is interesting that the changes reflected in It. cento, gente, faccia, Fr. cent, gens, face and Sp. ciento, yente (arch.), haz, which for most of us are the typical Romance palatalizations, would belong to relatively late stages in the process. In fact the diachronic scheme corresponds more closely to that of Umbrian then of the South Oscan dialect of the Banzi area. This does not necessarily mean that speakers of Umbrian or of Umbrian Latin had a formative effect on the phenomenon. For apart from non-palatalizing Sardinian the final results of palatalization - Italian affricates, French dental and palatal sibilants, Spanish interdental fricatives and palatal glide-cannot all be derived from a common starting point except in the immediate pre-palatalization stage. The process cannot then have advanced far in Vulgar Latin before the distinct dialects from which the Romance languages eventually developed had started their independent existence. There may then have been a genetic substrate driving the whole process, but with specific phonetic and phonological differences appearing in the various regions of the Empire. All four categories of influence expounded in §§ 1.1.-10. may well have contributed.
3.3.1. The loss of final consonants is a notable feature of Romance, but certainly not unique. All final stops were lost prehistorically in Greek, for instance. Final consonants are generally retained in Classical Latin. But there are a few exceptions. 3.3.2. -vd > - v in the third century B.C. and the d was never restored. By contrast -Vd > -Vt probably at a somewhat earlier date. Thus Gnaiuod on an early Scipio epitaph became successively Gnaio and before c. 160 B.C. Gnaeo. Umbrian had already lost -d in this sequence, but Oscan retained it to the end; e.g. t u t a but tou(ad -v. Latin examples in the third century or earlier are -os and its immediate reflex -us, and more rarely -es and -is, yielding -o and -e respectively. A majority of them came from rural Latin, but of course Roman material is very sparse in this period. Thus Cornelia (Rome) Fourio, mililare (Tusculum), aidile, moltatico (Lanuvium), Terentio (Firmum Picenum), Hinoleio (Cales), Lainio (Venusia), all from CIL I. However, while Cicero (oral. 161) characterizes the phenomenon as subrusticum in his own day, he reports that it was politius in the time of Ennius, citing the hexameter cadences omnibu(s) princeps and dignu(s) locoque. Its occurrence in Comedy reflects colloquial usage, though we should always bear in mind that Plautinus sermo was the Latin the Muses might have spoken (Quint. 10,1,99), and not Vulgar Latin. It is clear that sandhi was operative here: -s was omitted before a consonant, but without the compensatory lengthening attested internally in cömis for cosmis, pono for *posno, etc., while it was retained before a vowel; and it was from this sequence that -s was generally restored, possibly also with Greek orthography as a model. This restoration and the fact that the two Ennian cadences were no longer acceptable in classical versification indicate the classical phonology. However, already at Pompeii we find mulieribu, Phoebus cinaedu, magi proper ares etc. 3.3.4. Now a comparable change occurred in Umbrian, proceeding, unlike Latin so far as we can tell, by way of rhotacism; e.g. Atiersir < Atiedi(o)s, s e s t e < sistes. This accords with the frequent omission of final -r in passive verb forms, h e r t e and herter, e m a n t u and e m a n t u r , though paradigm analogy secured -r in a r f e r t u r beside dat. a r f e r t u r e etc. Oscan, as often, is more conservative, e.g. p a k i s v, general in Umbrian, e.g. nom. pi. p r i n u v a t u s >prinuatur> p r i n u v a t u , is not found in Oscan. However the dialect of Teanum Sidicinum in North Campania has u p s a t u h s e n t (cf. Lat. operati suni) beside the gen. sg. b e r i i e i s and Capua has p u i i e h sum (< *quoieis sum ) 'whose am I?' (where incidentally e for ei is also dialectal as in m i n i e s beside m i i n i e i s). The h here may indicate something like the Sanskrit visarjamya in certain sandhi conditions. Latin examples are again predominantly rural; e.g. matrona Pisaurese (Pisaurum in Umbrian territory), Coira or Coera (Hosta in Etruria), Herde (Praeneste). In the early Empire attestations come from Pompeii, e.g. ualea, Idu, Pompei, Decembre, and at later dates they are more widespread but sparse, e.g. ualeia, anno (Rome), mese (near Veii),filio meo (Beneventum). In fact -s was generally retained, as in Oscan, and survived into Iberian and Gallo-Roman, and sporadically into medieval Italian, e.g. piui ( -V is attested in the earliest Scipio epitaphs from the latter half of the third century B.C., e.g. omne Loucanam. At first there was probably a distribution: -VmttC but 30 31
With the instrumental suffix, not the diminutive -Io exemplified in Lat. sacellum (< *sakr-lom). Rohlfs 1949 § 308.
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-K#F-, the precise opposite of -Vs (cf. § 3.3.1.)· Quintilian was at pains to point out (9,4,40) that in multum ille and quantum erat 'm' parum exprimitur .... adeo ut paene culusdam nouae litterae sonum reddat; neque enim eximitur sed obscuratur et tantum in hoc aliqua inter duos uocales uelut nota est ne ipsae coeant. The description suggests something very like the Sanskrit anusvära.
3.3.7. Many instances of the omission are found at Pompeii, e.g. at porta deduces and abiat Venere Bompeiiana iratam. In Umbrian p u p l u and p u p l u m , t u t a and totam. But in Oscan m is generally written, as in h u r t um and toutam. At Pompeii however it is often omitted, as in via, t i u r r i; which indicates again a dialectal variation. It is thus impossible to attribute the Latin shift to any specific Oscan or Umbrian influence. No reflexes are attested anywhere in Romance, except e.g., Fr. rien., It. con. 3.3.8. -Vt > -V is a well known change in Italic. In every instance we may conjecture a midway stage of lenition of the consonant. This is directly attested in the change of protoItalic secondary verb forms in -*/ to -d and -*nt to -*nd to -*nn (> ns, as in Osc. putians, Umbr. dirsans, dirsas),32 and soon after of primary -*//' to -t, -*nti, to -nt). The opposition of -/ l-d was retained, e.g. in Oscan f a a m a t , d e d e d and subj. f a k i i a d and in the earliest Latin texts, with mitat andfeced; but Umbrian, as we have already seen, lost -d completely: t i 9 i t but d e d e, subj. f a 9 i a, and shows evidence for the further loss of -/, again presumably by way of lenition, in the presents h a b e , h e r e . 3.3.9. In Latin the rare -vd remained, e.g. aliud, quidquid (and ad, sed) but not in verbs, where it was replaced by -vt; e.g.feced>fecit. Moreover, whereas - v d > - v in nouns (§ 3.3.2.), verbs show - vd > - vt > -vt. Thus early Latin dicät, esset, posslt > - ät, -et, -Tt respectively. Lenition is already attested at Pompeii, e.g. diced, rogad, bringing a reversal of the earlier diachrony in secondary inflexions, e.g.pedicaud (< paedicauit, where -auit < -*aued). The same reversal appears in Pompeianfacian (< *faciand < faciani < *faciand) beside ualia, dedica, with loss of the final dental stop. Some of the early and not so early forms of Romance have traces of -Vt, which suggests that the general loss of-/ in Latin was relatively recent, long after the change appears in Umbrian. 3.3.10. In the Imperial period attestations became widespread though never frequent; e.g. bixi, debuerun (Rome),fecerun (Italy and Africa), uixserun, posuerum (Balkans), es (Gaul), canta, posuerun (Spain). The change -nt > nd> -n had long ago been anticipated in Oscan and Umbrian (§ 3.3.8.), so the possibility of adstrate or substrate influence on Latin seems very remote, the more so as the Italic forms would already have become -ns (or -s). In fact the relative lateness of this Latin development is reflected in the archaic spelling of e.g. Fr. chantent beside Sp. cantan, It. cantan-o. 3.3.11. -Vr > -V in Umbrian, e.g. s e s t e , s e s t e r and t u t a - p e , t u t a - p e r , but not in Oscan. It is very rare in Latin even in the Empire and the few examples, like frate (Salonae), are almost all from the East. Although -r has disappeared in Italian and Rumanian and also in modern Occitan, its survival generally in Western Romance corroborates the epigraphic testimony, that it survived in Vulgar Latin well into the imperial period This effectively removes the possibility that the Umbrian situation could have had any influence on Latin.
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The -s is presumably derived not from the nom. pi. of nouns - it is rare to find examples of such analogies across word classes - but from the admittedly unattested *-mos *-tes cognates of the Latin forms.
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Robert Coleman
3.4.1. Common to Oscan and Umbrian is the change of -mb - and -nd- to -mm- and -««-; e.g. Osc. u p s a n n a m ( < *opesandam) Umbr. pihaner (< *piandeis), u m e n (< *umberi). The treatment of -mp-, -nt- is very different; e.g. Osc. a r a g e t u d (< *argentod), Umbr. k u p i f i a beside k u m p i f i a t u . There are rare instances of this change in Latin. At Plautus Mil. 1407 the lexicographer Nonius reports dispennite where the MS tradition has dispendite. Plautus was of course an Umbrian, but it is as unlikely that he gratuitously introduced an Umbrian form here as that he was making an Umbrian pun, sosia/socius at Amph. 383-4. The speaker, old Periplectomenus, is addressing the slaves holding Pyrgopolynices, and Plautus gives him the dialect form to indicate that unlike himself (cf. 648) they are Apulians and therefore Oscan speakers. In which case we ought also to adopt the spelling distennite at the end of the same verse. 3.4.2. Another example tennitur33 has also disappeared from the MS tradition, at Ter. Phorm. 330,331. It is recovered from Donatus's commentary. The speaker is the parasite Phormio and non rete accipitri tennitur neque miluo looks very like a rustic proverb. Such isolated testimonies may be the survivers of a lot more colloquial or country dialect forms that have been erased from the MS tradition. A few more occur in the tradition of classical literary texts, e.g. the variation between grundlre and grunmre, grundltus and grunriitus (cf. Cic. Tusc. 5,116., Juv. 15,2), and such variants may have been widely current already in urban latin of the period. Epigraphic examples are rare: uerecunnus at Pompeii (CIL IV 1768) may be either an obscene pun or an attempt at an etymology, commurere from rural Latium (CIL XIV 850) looks like a genuine dialect form. 3.4.3. The reduction of these clusters is reflected in dialects of South Italy and even occasionally at Rome. Thus Neapolitan sennere, chiumms, Calabrian chiummu, Sicilian sinnire, gamma, Roman piommo, fronna (< VL descendere, plumbu(m), *gamba, *fronda for fronde(m)). This suggests either an influence from Oscan (less likely Umbrian) in bilingual interaction with dialects of Vulgar Latin (category Cl) or, if the Italian developments are relatively recent, genetic substrate (category D). Now there are instances of this change in West Romance, Cat Horn and anar, Sp. lomo and lamer, Gascon came and manor (< VL lumbu(m), *andare, lambere *gamba, mandare). These can hardly be due to the presence of Oscans or Umbrians or Latin speakers from these areas of Italy, unless we assume a remarkably wide phonological diffusion from their places of settlement. More likely these are independent developments. As with rhotacism or monophthongization there is no reason why we should not assume different causes for the same effect, if the context of the change itself is different. Each case must be judged on its merits.
4.1. It is impossible to assess comparable influences on the Latin lexicon. We do not possess a corpus of the size and formal distinctiveness of Greek to enable satisfactory links to be established.34 Sometimes an ancient authority35 indicates a loanword, as Sabine dirus (Servius), which has no direct Romance reflexes, and Sabine multa (Varro), attested as
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Both words are discussed in the context of other uses ofsermo rusticus by the comic poets in Petersmannl997,203f.,210f. Contrast the large number of Greek loans in South Italian dialects gathered by Rohlfs 1937, 1980 and in numerous publications of his between these dates. See Vetter 1953,362-378, from whose collection the examples cited are all taken.
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Osc. molto, Umbr. mutu but reflected in Romance only in the bureaucratic word munta in Engadine. Others again are betrayed by their unLatin phonology; e.g. bos, attested as Umbr. bum, Volsc. him (ace.). Similarly asimis, furca and probably lupus; if it reflects *luqXos (cf. Gk lukos) and not *lupos (cf. Goth, wulfs < *ulpos), all of which have romance reflexes. From It. pomice, Fr. ponce we can reconstruct Lat. *pomice(m) beside purnex (< *poi-). The vocalic variation suggests an origin in rural Latium, cf. coraueron (Praeneste) beside curauerunt, or in Umbrian, where pora 'where' < *poisa; cf. Osc.poizad. All except pomex and pora were absorbed into the Latin lexicon long before the classical period. 4.2. More difficult are examples like Osc. p u t i a d, p u t i a n s, subjunctives which look as if they belong to the verb from which Vulgar Latin potere is derived, replacing the irregular posse ( ht, quindi tt (scritto solitamente /)", il Pisani annota: un esito -tt- e molto probabile; ed esso sta alia base di quello italiano (detto, fatto da dictus,factus [sie]) ehe, come -tt- da -pt-, e "irradiato dall'Italia centrale" (Bartoli, Saggi di ling, spaziale, p. 84). [...] Abbiamo dunque un'isoglossa apparentemente non molto antica, ehe riunisce parte almeno deH'Umbria e del Lazio.26 Nel lavoro sull'Appendix Probi anche il Baehrens si mostra un convinto sostenitore dell'ipotesi 'continuista'. AI momento di commentare il passo dell·'Appendix ehe prescrive "auctor non autor, auctoritas non autoritas", dopo aver richiamato il parallelismo con quanto awiene in umbro e in osco ("im Umbrischen hat das h geringe Intensit t"), Baehrens scrive: "alt ist der Wandel auch im Lateinischen vgl. I2, 550: Vitoria, Sommer2 240. Vor allem scheint sich im Bauernlatein der Uebergang von -et- zu -(/)/- schon fr h vollzogen zu haben".27
23 24 25 26 27
Di questa opinione sembra essere anche Fanciullo 1998,190. II ricorso al termine tradizionale "indebolimento" nel caso della fonologia diacronica dell'italico e sostenuto con argomenti validi da Martinet 1968, 301-317. Cfr. Pisani 1978,62-63. Cfr. Pisani 1964,139. Cfr. Baehrens 1922, 85.
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Sulle posizioni del Pisani e del Baehrens e il Bonfante in un articolo comparso originariamente nella Festschrift Wartburg.2* Secondo Bonfante il trattamento italiano -it- da lat. -kt- e giä adombrato dalle grafie otogentos, autioni,fata (per facto), otaus, vitorius di area pompeiana ("la grafla delle consonant! geminate come semplici e frequentissima"). Dopo aver rivendicato la genuinita di casi dubbi come blatta, cotturnix, Bonfante conclude: il trapasso di -ct- in -//- (scritto spesso -/-) e antichissimo e forse di origine dialettale (Preneste); all'epoca di Plauto esisteva giä in Roma, almeno nel popolino nella lingua dimessa, per alcune parole soprattutto volgari (blatta); nel I secolo dell'era volgare era piü o meno comune a Roma, Pompei e in qua] ehe altro centro; ma non trionfo defmitivamente, estendendosi a tutta Italia peninsulare e alle tre grandi isole italiane, se non dopo la colonizzazione delta Dacia, provincia romananell07d.C.2!r Giä Seelmann, poi Stolz-Debrunner-Schmid, Grandgent, Battisti, Rohlfs, Sommer, Leumann30 sottolineavano la presunta precocitä delle testimonianze a proposito dell'assimilazione regressiva di antico -kt-. Se, tuttavia, Pisani e Bonfante affermano esplicitamente ehe le grafie con e sono allografi con un unico referente fonologico [tt], questi ultimi autori si limitano dal loro canto a dare per implicita 1'equivalenza documentaria dei due esiti, senza peraltro esprimersi sulle possibili ascendenze italiche deH'assimilazione e anzi, almeno nel caso del Leumann,31 escludendole recisamente. Sommer, poi, sostiene ehe vi fosse "inlautend in der Volkssprache ebenfalls Assimilation zu /(/)",32 allegando al solito sia casi come lattuca sia casi come autor, coutor. Su posizioni analoghe, infine, anche se esposte in modo cursorio, Lindsay-Nohl, Juret, Niedermann.33 Rispetto a tutte le opinioni sin qui ricordate il Väänänen34 esprime una posizione decisamente piü articolata. Dopo aver elencato gli esempi provenienti da Pompei nei quali compare una ove ci attenderemmo il gruppo , Väänänen sottolinea la sporadicitä di un simile esito, attribuito all'interferenza con 1'osco35 e quindi riportabile alia spirantizzazione della velare, esito ehe considera tuttavia del tutto distinto rispetto a quanto verificatosi in 28 29 30 31 32 33 34
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Cfr. Bonfante 1968, 533-569. Cfr. Bonfante 1968, 544; le medesime argomentazioni sono riprese in Bonfante 1983, 603-604 nonche Bonfante 1999, 35-37. Cfr. nell'ordine Seelmann 1885, 348; Stolz-Debrunner-Schmid 1993, 111; Grandgent 1914, 148; Battisti 1949,163-164; Rohlfs 1966, 365 nota. Cfr. Leumann 1977, 196-197. Cfr Sommer-Pfister 1977, 180. Cfr. rispettivamente Lindsay-Nohl 1897,102-103; Juret 1921,220-221;Niedermann 1985,143-144. Cfr. Väänänen 1966, 63-64; vedi anche Väänänen 1974, 133-134; Väänänen 1963, 69 ("ora, i tratti dialettali, vale a dire oschi oschizzanti, verosimili, si riducono a Pompei, a mio parere, a ben poco; tali saranno, caso mai la riduzione del nesso [kt] in t: FATA, OTOGENTOS, VITORIUS =/ , octögentös, Victörius"). Direttamente a Väänänen si rifa Eska 1987, 156. E interessante osservare come il Väänänen escluda una rafirontabilita tra il trattamento -kt- > -tproprio delle iscrizioni 'dialettali' di Pompei e lo sviluppo -kt- > -tt- ehe e caratteristico del area italoromanza centromeridionale e del sardo; questa sua posizione e fortemente contrastata dal Bonfante: "devo qui esprimere purtroppo il mio radicale dissenso da V. VÄÄNÄNEN il quäle nega ehe otogentos, autione, fata ecc. siano semplici grafie per ottogentos, auttione, fatta, ecc., come invece pensano e E.RICHTER, Beiträge zur Geschichte der Romanismen, I, Halle/S., 1934 ( = 82. Bein, zur ZRPh), pp. 70sgg. e A.LABHARDT, rec. di VÄÄNÄNEN, 'ZRPh', 61 (1941), p. 356. Si tratta secondo me a Pompei di una delle frequenti grafie e pronunce arcaiche di cui e facile dare prova" (Bonfante 1983,603 nota, vedi anche Bonfante 1999, 36 nota). L'esito -t- da -h- e attribuito con grande prudenza aH'influsso osco anche da Moltoni 1954,209.
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Marco Mancini
area italoromanza nei tipi notte e diritto. Piuttosto, argomenta lo studioso finlandese, occorre rilevare il parallelismo tra il comportamento dellOsco-umbro e quanto awenuto in vaste zone della Romania occidentale ove l'antico -kt- dovette sicuramente evolversi in - -. Infine Väänänen propone una spiegazione 'ad hoc' per i tipi autor, autoritas segnalati nell'/4/jpendix Probi, per i quali la documentazione e relativamente piü abbondante. A nostro giudizio occorre approfondire la proposta interpretativa del Väänänen ehe appare quella piü rispettosa dei fatti e della documentazione in nostro possesso, verificando se sia dawero possibile separare nettamente la fenomenologia documentata a Pompei (e in altri siti dell'Italia centro-meridionale), ove -kt- sembrerebbe essersi trasformato in -t-, e la fenomenologia rilevabile in area italoromanza, ove -kt- si e assimilate in -tt-. La stessa tesi 'sostratista', ossia la possibilita di assegnare aH'influsso Osco-umbro' - etichetta assai imprecisa, come vedremo - Passimilazione o la spirantizzazione di antico -kt- nel latino substandard merita di essere attentamente vagliata. Cominciamo con i dati pertinenti alle lingue italiche. Non vi e dubbio ehe in osco, in umbro e neue varietä sabelliche il nesso originario -kt- abbia subito un indebolimento della consonante implosiva ehe si e trasformata prima in fricativa velare e, successivamente, in fricativa laringale.36 Questo fenomeno rientra in un processo piü generale tipico delle varietä italiche per il quäle il margine sillabico (la coda) tende verso i gradi bassi della scala naturale dei processi di lenizione. Nella medesima direzione muovono gli sviluppi degli antichi nessi -ks- e -pf-, passati rispettivamente a -hs- e -ft-, i processi di monottongazione, l'indebolimento delle consonant! in posizione finale di parola. Per quel ehe concerne specificamente il gruppo -kt- il processo di indebolimento si puo facilmente riassumere nelle seguenti fasi: faseI:[Vkt]>[Vxt]; fase II: [Vxt]>[Vht]: si vedano casi come umbro a p - e h t r e (Tab. Eugub. IV 15, cfr. lat. extra); r e h t e (Tab. Eugub. V a 24, 29, cfr. lat. recte); u h t u r (Tab. Eugub. III 4, 7, 8, cfr. lat. auctor); u h t r e t i e (Tab. Eugub. V a 2, 15); f r e h t e f (Tab. Eugub. II a 26, cfr. forse lat.fricta aafrigo "friggo"); a h t i s - p e r (Tab. Eugub. III 24, 29, cfr. lat. ago, actum); A h t u (Tab. Eugub. II a 10, II); 3 ' t e h t e r i m (Tab. Eugub. IV 20, ma lettom in Tab. Eugub. VI a 13, 14 bis, cfr. lat. tego, tectum); oht (Ass. l secondo l'edizione Rocca 1996) da sciogliersi o h t r e t i e öd o h t u r u s ; u h t u r (Be. 3 secondo l'edizione Rocca); paleoosco a h t i c a ( s ) (Cristofani n. 13, da Castellammare di Stabia, cfr. umbro A h t o -);38 etrusco Uhtave (CIE 3357, 3358, 4154, 4272, 4320, tutti provenienti da Perugia); Uhtavial (CIE 3574, 3575 sempre da Pe36
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Si vedano in generale von Planta 1892, 350-355; Bück 1904, 89; Bottiglioni 1954, 77-78; Pisani 1964, 11; Meiser 1986, 92-93, 179. Nel caso del falisco non sembrano esservi prove dirimenti di uno sviluppo locale raffrontabile con quello proprio delle lingue italiche: l'unica attestazione sarebbe \\fita deH'iscrizione Ve 241 se equivale al lat.y?c/a, interpretazione, tuttavia, assai dubbia avanzata dalla Giacomelli (Giacomelli 1963, 43; Giacomelli 1978, 526), dal Peruzzi (Peruzzi 1964, 162-163: "e dunque piü verosimile ammettere un falisco [fikta] > [fitta] con Passimilazione -kt- > -tt- come in latino volgare, ma di epoca antica, v. prenestino uitoria Vetter 366c"), da Roberto Giacomelli (Giacomelli 1983, 207 ove si parla di "-&->-«- latino volg. e antico"; Giacomelli 1993, 61; Giacomelli 1994, 248) ma non condivisa dal Pisani (Pisani 19642, 348). Molto incertalalettura/efezof 'lectisunt' inun'altra epigrafe falisca (CIE 8391 = Ve 342a, 2) avanzata a suo tempo dal Peruzzi (Peruzzi 1967) e accolta dal Giacomelli (cfr. da ultimo Giacomelli 1994,248). Sulla pregnanza di questo teonimo nel quadro della religione tradizionale umbra vedi Prosdocimi 1989,485-486. Per questa epigrafe cfr. Cristofani 1993, 72 numero 13; Cristofani 1994, 380-381; la formula monomia e collocata al genitive, con aplografla di come in altri casi, cfr. Mancini 1984a, 32-33.
Fra latino dialetlale e latino preromanzo: fratture e continuitä
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rugia), Ußavi (TLE 696 da Carpegna, con ~ );39 osco sannita e h t r a d (Ve 1, Cippo Abellano), U h t a v i s (in Ve 4, Capua, e Ve 168, Vasto); l'abbreviazione U h t (in Po 36); fase : [Vht] > [V:t]: umbro p e t e n a t a "a forma di pettine" (Tab. Eugub. IV 4 cfr. lat. pecten "pettine"), s p e t u r i a e (Tab. Eugub. II a l, 3, cfr. lal.specio "osservo", spectio "esame delle viscere augurali"); S p e t u r e (Tab. Eugub. II a 5); etrusco utavu nell'iscrizione di Pech Maho (E.T. Na O.l);40 utavi (CIE 3576 da Perugia); utauni (CIE 297 da Siena); utaunei (CIE 197 da S. Quirico in Osenna, 248 da Asciano); peligno aficus (Ve 212). Come si puo vedere dalla documentazione allegata, la fase I non e direttamente testimoniata. La fase II accomuna il paleoumbro e l'osco presannita e sannita. La fase III e testimoniata in umbro e in peligno e, a parte il caso dell'umbro, compare in allografie marginali rispetto alia norma scrittoria encoria; non si potrebbe escludere ehe anche in area sannita, in varietä informali delFosco, il nesso fosse incorso nel medesimo esito [V:t] proprio dell'umbro, malgrado repigrafia ufficiale continuasse a notare . Ora, nel considerare la questione del possibile influsso del sostrato osco, prima ancora di reclamarne l'inutilita sulla base di comprovate tendenze fonologiche generali ('naturali'), come faceva il Pulgram,41 bisogna tener conto di un dato ehe evidentemente e sfuggito ai piü. L'interferenza linguistica e le conseguenti 'reazioni' del sostrato si producono lä ove, come ricorda il Weinreich, "l'esistenza o Passenza di sequenze analoghe nella lingua primaria possono rispettivamente eliminare o incoraggiare errori nella seconda lingua".42 E bene chiedersi allora, in via preliminare, se le condizioni invocate dal Weinreich sussistessero oppure no in area italica. E un fatto ehe in osco il gruppo -kt- secondario, prodottosi cioe per sincope di nuclei vocalici intermedi o presents in imprestiti dal latino, si e mantenuto, mentre in umbro si e verificata una palatizzazione dell'elemento implosivo con -kt- passato a -jt-. Si vedano casi come osco f a c t u d (in Ve 2), cfr. lat.facito, osco a c t u d (in Ve 2), cfr. lat. agito, accanto a umbro deitu (in Tab. Eugub. VI b 56, 63, 64 etc.), cfr. lat. dicito, umbro f e i tu (in Tab. Eugub. I a 4, 5, 7, 9 etc.), cfr. lat.facito, forma di cui e documentata anche la Variante piü recente con monottongazione,ye?K (in Tab. Eugub. VI a 22, 56, 57, 58 etc.). Quanto poi ai prestiti dal latino in area sannita e in area sabellica si possono citare casi di mantenimento del nesso -kt- molto significativi: v i k t u r r a i in Po 16, e il peligno victurei in Ve
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Nonostante i dubbi di Albore Livadie 1984, 74-75, si tratta di un genitivo femminile da confrontarsi con l'aficus dell'iscrizione peligna Ve 212, a sua volta derivato dal teonimo Ahto- sopra ricordato, vedi anche Jimenez Zamudio 1986,101. Su cui vedi Mancini 1990, 59-60 e, piü estesamente, Mancini 1996,227-228. Non e chiaro perche Cristofani 1991,287; Cristofani 1993, 836 consideri il nome Utavu di origine latina tanto da dover riconoscere ehe "l'unica difficoltä e costituita dalla mancanza, in un'etä cosi antica e quindi di prestito recente, di un segno ehe realizzi il nesso originario [seil, -kt- nel presunto archetipo latino Octavius] poi realizzato con spirante o aspirata" (Cristofani 1991, 287). La provenienza italica, umbra nella fattispecie, dell'antroponimo e ben chiara a de Simone 1970,192195. Non mi pare si possa dubitare dell'esempio tratto dall'epigrafe di Pech Maho, come pure fa Seidl 1994, 360 nota, onde awalorare una generate cancellazione di [x] solo in epoca tarda. Cfr. Pulgram 1978, 93; e interessante notare ehe Pulgram rifmta, in nome di un "universal trend", un possibile legame tra l'indebolimento di [k] nel nesso -kt- proprio dell'osco e dell'umbro e gli esiti romanzi in [jt], del tipo del franc, fait dafactu(m), senza far menzione degli esiti italoromanzi e sardi. Cfr. Weinreich 1974, 34-35.
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21743 (recta in Ve 7 non e del tutto pertinente, trattandosi di una posteriore latinizzazione dell'osco r e h t a s, nom. plur. femminile).44 Si puo naturalmente pensare ehe dietro le grafie italiche con < k t > ο il parlato presentasse realizzazioni divergent! rispetto alia norma (ad esempio [91] o [xt]), ma questa ipotesi resta tutta da dimostrare; in tutti i casi non esiste alcun motivo per supporre ehe un bilingue osco-latino dovesse presentare comportamenti 'fossilizzati' tali da giustificare una resa del tipo di quella documentata in area italoromanza (con -it-), per la quale abbiamo comunque escluso una provenienza italica, ο di quella attestata per il gruppo -kt- originario nell'osco e nelle variet sabelliche (rispettivamente [ht] o [V:t]). In conclusione una linea di connessione diretta tra fatti italici e fatti romanzi e insostenibile: viene a mancare, infatti, qualunque sostegno documentario ehe possa accennare a una precoce assimilazione del nesso [kt] in [tt] in area italica. La stessa premessa del Lausberg (vedi sopra) per cui sarebbero state le "abitudini linguistiche osco-umbre" a giustificare il fatto ehe "-K- del latino seguita da consonante veniva pronunciata come fricativa [laringale, bisognerebbe aggiungere, non velare come sembra pensare il Lausberg]" e vera solo in parte, nel senso ehe: a) descrive una situazione ehe era propria solo dell'osco standard, laddove umbro e variet sabelliche avevano gi ulteriormente semplificato il nesso in [V:t]; b) conceme esclusivamente il nesso -kt- primario, laddove quello secondario - anche nei prestiti - sembra essersi mantenuto, almeno nell'osco sannita e nelle variet pi affini. La seconda porzione delPargomento di Lausberg citato all'inizio di questo nostro contributo, contiene invece affermazioni palesemente inesatte. Lausberg, ricordiamolo, sostiene: le lingue romanze hanno parificato in diversi modi la duplicita di forme -χί- e -ft-. II risultato -ttper il gruppo -CT- del latino nell'italiano e nel sardo si puo interpretare con 1'ausilio del risultato della -X- del latino [in origine ks]. Poiche la -X- del latino diviene -ss- nel sardo e nell'italiano meridionale, in tali lingue entra in questione, come grado preliminare delFassimilazione, la fricativa velare [χ].45 Ariguardo Paolo Di Giovine, in un contribute dedicate al problema della resa di -kt- nei prestiti latini penetrati in albanese, ha giustamente osservato ehe "da un punto di vista fonetico generale sembra poco verisimile ehe una intensa [seil, -tt- nei tipi notte, fatto] derivi da un nesso con spirante, dove la spirante risulta proprio da una diminuzione della tensione articolatoria".46 Non solo, dunque, non esiste alcuna documentazione sicura di una resa in bocca osca di -kt- latino mediante fricativa velare + occlusiva, (si e constatato anzi ehe [kt] secondario in osco si manteneva, anche nei prestiti), ma la stessa presunta trafila -χί- > -tt- si configura in sostanza come un processo fonetico del tutto implausibile. Alia luce di quanto esposto sinora, per quel ehe concerne il trattamento di lat. -kt- in area italoromanza (e sarda), si puo tranquillamente concludere ehe l'assimilazione regressiva -kt- > -it- nei tipi ital. e sardo notte dal lat. nocte(m) non presenta alcun antecedente in area osco-sannita: nel componente fonologico dell'osco mancava qualunque regola assimilatoria di questo genere. 43
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Su questa voce si sono soffermati Lazzeroni 1976, 392-393; Poccetti 1982, 184-185; Poccetti 1993, 75-76; Jimenez Zamudio 1986, 101 defmisce la forma, in maniera non condivisibile, "claramente latina". Cfr. Mancini 1988, 222-224. Cfr. Lausberg 1976, 321-322. Cfr. Di Giovine 1982, 103.
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Come interpretare a questo punto i casi di sviluppo -kt- > -t- ben attestati nella documentazione epigrafica latina? L'evidenza dei fatti impone a questo punto di assegnare concretezza fonetica a queste scritture, come giä suggeriva il Väänänen, separandole nettamente da quanto e possibile riscontrare in epoca protoromanza tardo-latina. A nostro awiso non di notazioni difettive di assimilazioni del tipo [kt] > [tt] si tratta, ma di corrette trascrizioni di uno sviluppo substandard [kt] > [ht] > [t] con probabile allungamento della vocale precedente. A giudicare dal ricco materiale ricavabile dalle iscrizioni, specie pompeiane, sembra lecito insomma postulate 1'esistenza di una fenomenologia propria deirämbito dialettale latino, in qualche modo raccostabile a quella documentata in una parte delle varietä italiche (osco escluso). II latino dialettale del centro Italia presentava un'isoglossa simile a quella ehe accomunava 1'umbro e il peligno, con [Vkt] primario ehe si trasformava in [V:t]. Come per altre isoglosse 'rustiche' in epoca arcaica, anche questa potrebbe essersi creata neH'ambito dello Sprachbund italico cui il latino - urbano e non - partecipava a pieno titolo anteriormente alia disgregazione dell'entita etnico-politica degli Italici. Questo processo non ebbe continuazioni romanze e - insistiamo - viste lerisultanzeriportate sopra, non ebbe nulla a ehe vedere con il sostrato osco. Vediamo la documentazione a riguardo: essa e diretta (da fonti epigrafiche) e indiretta (da fonti letterarie). Secondo 1'opinione corrente la piii antica attestazione dell'isoglossa -kt- > -t- sarebbe costituita dal teonimo Vitoria contenuto in un'iscrizione apposta su uno specchio rinvenuto a Preneste (CIL I2 550 = Ve 366c): Cupido Venos Vitoria Rit. Si tratta certo di una documentazione eccezionale, vista la sua antichita: si potrebbe addirittura pensare, come infatti alcuni hanno fatto, ehe il focolaio del fenomeno assimilatorio fosse localizzato proprio a Preneste. La notevole antichita dell'epigrafe, ehe si colloca intorno al III secolo a.C., e la presenza in questo genere di instrumenta di errori ha fatto ritenere ad alcuni ehe la forma Vitoria fosse un semplice lapsus dell'incisore; e 1'opinione, ad esempio, del Wächter47 (e, dubitativamente, del Vetter ad /oc.).48 Credo tuttavia di aver mostrato, in uno studio dedicate al contatto linguistico fra etrusco e latino in area prenestina (in "Studi Etruschi"),49 ehe la scrizione Vitoria e da attribuire a un'interferenza occasionale tra fonologia etrusca e fonologia latina nell'idioletto dell'ignoto incisore dell'iscrizione sullo specchio. L'esempio di Vitoria, dunque, cosi arcaico ed isolate, va cassato dalla lista di possibili attestazioni epigrafiche dello sviluppo -kt- > -t-. Secondo Alfred Ernout la documentazione epigrafica prenestina attesterebbe un altro esempio precoce di sviluppo -kt- > -tt- (ehe per Ernout, come per Pisani, Bonfante etc., andrebbe identificato con -kt- > -t-):50 si tratterebbe del nomen al dativo Vetteiai presente nell'epigrafe CIL I2 342. L'interpretazione di Ernout e ripresa ora da Annalisa Franchi De Bellis ehe, nel suo recente volume sui cippi prenestini, annota: "il nomen [Vetteiai} presenta 1'assimilazione di -ct- (in -//-), gruppo ehe il latino mantiene a lungo, anche se la forma canonica e Vettius. Vetteius e Vettius col suffisso -eius. Vettius e tipicamente italico, diffuse in
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Cfr. Cfr. Cfr. Cfr.
Wächter 1987,146. Vetter 1953, 335. Mancini in stampa a. Emout 1905,48-49.
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tutta l'Italia centrale".51 Per entrambi il nomen sarebbe una semplice Variante di Vectius, piu aderente alia realtä del parlato dialettale. L'esame documentario, tuttavia, non conferma affatto una simile interpretazione dei dati ehe, anzi, deve essere completamente capovolta. In effetti la presunta forma 'standard' Vectius ricorre una sola volta in una epigrafe assai tarda proveniente da Pola (CIL V 247), mentre la Variante Vettius spesseggia a Roma, in area peligna, equa, e soprattutto in Etruria, come ben sapeva giä lo Schulze.52 Ora, proprio in ämbito etrusco e noto il gentilizio (maschile e femminile) veti, ampiamente documentato a Perugia e a Chiusi assieme al femminile vetia:53 non vi e dubbio ehe il lat. Vettius e un imprestito onomastico dall'etrusco veti e ehe la forma prenestina Vetteia trova un buon riscontro nel femminile etrusco vetia.54 Pertanto la forma originaria del gentilizio latino doveva suonare ['wettius] e non f'wektius]: la tarda testimonianza del Vectius in CIL V 247 deve essere interpretata come una normale scriptio inversa ehe denunzia l'awenuta assimilazione, normale per questa epoca, di -kt- in -tt- (si noti ehe CIL V 248, sempre da Pola, registra un Vettius) mentre il Vetteia prenestino di CIL I2 342 e la resa del gentilizio di provenienza etrusca vetia ehe ritorna ad esempio nell'iscrizione latina di epoca tardorepubblicana CIL I2 1279 (Vettia Q. l. Glucera). Un *Vecteia nel dialetto di Preneste non e mai esistito. Accantonate le precoci attestazioni prenestine, lo sviluppo fonologico -kt- > -t- ha buona documentazione epigrafica a partire dal I secolo a.C, ossia dall'epoca delle iscrizioni pompeiane, distribuendosi in different! regioni del territorio latinofono con un addensamento nell'Italia centrale: Otaus (CIL IV 4870, da Pompei); Otauia (CIL VIII 16151 da El Kef in Africa proconsulate); coator (CIL V 4504, 4505 entrambi da Brescia); Fruiuosa (CIL VI 26185 da Roma); Vitor (CIL VIII 18450 da Lambaesis in Africa proconsolare); autionum (CIL VI 9035a, da Roma); autoritate (CIL VI 31553 da Roma); authorem (CIL XII2058 da Vienne); autor (CIL VIII1423 da Thignica in Africa proconsolare); fata (CIL IV 1397 da Pompei); Resspetus (CIL V 1196 da Aquileia); Frutosa (CIL VIII 387 da Ammaedara in Africa proconsolare); Adautus (CIL VIII 4157 da Lambaesis in Africa proconsolare); Vitoria (CIL X 1921 da Pozzuoli); Vitori, Vitoria (CIL X 3119 da Pozzuoli); Adautus (in Audollent, Def. Tab. 232, 4); invito (CIL 5561 da Arras); teto (in Iliescu-Slusanski 1991, 30, dalla Tracia); Vitorius (in Väänänen 1966, 63, da Pompei); otogentos (in Väänänen 1966, 63, da Pompei); autione (in Väänänen 1966, 63, da Pompei); Vitoris (in Väänänen 1966,63, da Pompei). La fondatezza empirica delle scritture epigrafiche con un referente fonologico [t] da antico -kt- trova alcuni riscontri nel materiale presente in alcune fonti letterarie. Di estremo rilievo e in quest'ämbito il noto passo & Appendix Probi in cui si recita: "auctor non autor, auctoritas non autoritas". La considerazione di questa coppia di termini present! nell!'Appendix (ma anche, come si e visto, nella documentazione epigrafica) ha indotto alcuni studiosi a far rientrare le due parole nell'ämbito di una tipologia piü generale (Grandgent, Pisani, Baehrens, Bonioli, Bonfante)55 laddove altri ipotizzano uno sviluppo fonologico 'ad hoc' (Väänänen). Le opinioni 51 52 53 54 55
Cfr. Franchi De Bellis 1997, 216. Cfr. Schulze 1933, 101. Cfr. Schulze 1933, 101; Rix 1963,252; documentazione in ThLE 153b. Sulla difrusione del gentilizio etrusco veti e il suo accoglimento in area romana cfr. Kaimio 1975, 46,53,68,93,122,125,127. Vedi nell'ordine Grandgent 1914, 148; Pisani 1960, 178; Baehrens 1922, 85; Bonioli 1962, 120; Bonfante 1968, 542 nota.
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in merito dipendono al solito dal valore ehe si attribuisce alle scritture epigrafiche con a fronte dell'atteso . Coloro ehe interpretano queste ultime come scritture difettive per [tt] scorgono nella coppia autor, autoritas ulteriori attestazioni dello sviluppo -kt- > -tt-, salvo poi la difficolta di dar conto degli esiti successivi di tali forme in epoca romanza. Difatti - cosa ehe rende estremamente interessante l'esempio di lat. volgare autor e derivati - e ehe l'esito -t- ha avuto riflessi in epoca romanza: forme ehe risalgono con certezza ai tipi auiore(m), auloritate(m) sono infatti present! come cultismi in italiano, in francese, in ispagnolo. Per Leumann56 e, con argomenti diversi, per Giannini e Marotta57 i casi di autor e autoritas andrebbero ricondotti a una tipologia generale di alleggerimento delle sillabe chiuse (Leumann parla solamente di "einfaches t besonders nach langem Vokal"): la riduzione mirerebbe al consolidamento del tipo sillabico [VC,] a scapito sia di [V:Cj] sia di [VC,C2]/[VC|:]. Tuttavia gli esempi epigrafici citati sopra confermano ehe la riduzione del gruppo non dipende dal peso della struttura sillabica: vitoria in CIL X 1921 e da un [wik'to:ria] non *[wi:k'to:ria], la gfafiafala in CIL IV 1397 e da un ['fakta] non *['fa:kta], e cosi via. Questi esempi, peraltro, escludono a fortiori una connessione con i fatti prosodici la 'lex mamilla' per intenderci - visto ehe la consonante [t] non e quasi mai collocata in una sillaba pretonica.58 E, invece, 'ad hoc' la tesi di Väänänen: la semplificazione sarebbe dovuta a action de la diphtongue au - non monophtonguee en raison du caractere technique de ces termes - qui explique pourquoi le traitement t de et est limite au groupe aucf-; ä comparer la simplification de // apres diphtongue. Cette hypothese est d'ailleurs renforcee par le rapprochement populaire de autumnus avec augeo (Paul. Fest., p. 23) et le contrepel auctumnus.59
In effetti, gli stessi grammatici latini avevano consapevolezza del carattere 'pesante' della sillaba [awk] nel tipo auctor; quanto meno Prisciano, parlando della preferibilitä della forma paulus rispetto apaullus, annota: "aw diphthongus post se geminari consonantem prohiberet" (2,109,22 Keil). Tutto cio, in considerazione anche del forte stigma dialettale ehe sembra attribuibile allo sviluppo -kt- > -t-, indica come unica soluzione percorribile quella 'ad hoc' sostanzialmente giä avanzata dal Väänänen. E probabile ehe nel caso di auctor e auctoritas si siano conservate, per cosi dire, due tendenze distinte: la prima, tipicamente dialettale, ehe prevedeva la riduzione di [kt] a [t], la seconda, propria anche del latino standard parlato (codificata anche dai grammatici), ehe non consentiva la presenza di consonant! geminate dopo [aw]. Grazie a questa sovrapposizione di motivazioni diasistemiche la coppia autor e autoritas e penetrata nella latinita medioevale donde e stata successivamente ricuperata in epoca romanza. Si noti ehe la forma ipercorretta auctumnus per autumnus 'autunno' si spiega agevolmente all'interno di questo quadro, piuttosto ehe ricorrere a un'ipotetica pronunzia [awtt]60 (agli effetti di una pronunzia con [tt] non mi sembra decisiva la testimonianza di Paolo ex Festo 21,27-28 Lindsay, secondo cui autumnus e detto cosi "quod tune maxime augeantur hominum opes, coactis agrorum fructibus"). 56 57 58 59 60
Cfr. Leumann 1977, 196. Cfr. Giannini-Marotta 1989, 264 nota. Sulle condizioni strutturali della 'lex mamilla' cfr. Giannini-Marotta 1989,276-279. Cfr. Väänänen 1966, 64. Come suppone invece Benedetti 1995, 59-60, all'interno di una complessa teoria volta a individuare le motivazioni del mantenimento di occlusive sorde latine in vaste aree della Romania immediatamente successive ad [aw].
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Accanto alia testimonianza dell'Appendix Probi se ne annoverano poche altre ricavabili dalla tradizione letteraria. Si tratta di singole glosse o di variae lectiones proprie di talune famiglie di manoscritti. L'unico esempio degno di nota e la Variante coturnix per cocturnix su cui si e ampiamente soffermato il Bonfante.61 Concludiamo. Abbiamo cercato di comprovare la 'regressivitä' rispetto alia fase romanza dell'isoglossa ehe prevedeva la semplificazione del nesso [kt] in [t] semplice. Alia luce delle argomentazioni riportate si puo affermare ehe la variabile, pur rientrando nel repertorio del latino dialettale, pur avendo buona documentazione sul piano epigrafico, doveva tuttavia essere connotata in senso fortemente demotico e, di conseguenza, risultare eliminata nella varietä substandard donde prenderä forma il cosiddetto latino volgare preromanzo. E probabile ehe in una certa fase cronologica della storia del latino, quanto meno in area italica, coesistessero sincronicamente variabile 'normale' (kt), variabile 'substandard' (it) e variabile 'rustica' (t). II parziale sovrapporsi delle rispettive quote documentarie invita a pensarlo. Ciascuna di queste variabili identifica un 'addensamento', secondo la terminologia di Berruto,62 nel continuum latino, addensamento ehe corrisponde a una certa varietä del repertorio. La documentata 'regressivitä' della variabile rustica con [t] semplice non e priva di risvolti su un piano piu generale e non costituisce affatto un dato isolate, inserendosi all'interno di un fascio di altri 'contrassegni' sociolinguistici63 simili: si pensi alia nasalizzazione delle vocali dinnanzi a consonante occlusiva (il cui primo esempio si ritrova nel dedrof dell'epigrafe pesarese CIL I2 37S),64 ai piü volte evocati monottonghi 'rustici' di grado semichiuso allato di (ae) e (aw), aH'allungamento delle vocali dinnanzi a M anteconsonantico65 (ehe ha lasciato una traccia nell'ital.yorma con /o/ da un lat. ['fo:rma(m)], non ['forma(m)]. Si e detto: scarso rilievo nei confronti della formazione del latino popolare preromanzo di una caratteristica confmata nelle fasce basse del repertorio dei parlanti di epoca tardorepubblicana; 'regressivitä' (cioe mancata soprawivenza nelle lingue romanze) di questa, come di altre, isoglosse provincial! stigmatizzate dagli autori classici (basterebbe pensare alle monottongazioni rustiche biasimate da Lucilio, fr. 1130 Marx, e, forse, da Cicerone in de orat. 3,46, alPallungamento di vocale dinnanzi a /r/ anteconsonantico considerato 'barbarismo' da Plozio Sacerdote 6,451,5 Keil e da Pompeo 5,285,25-26 Keil); ebbene tutti questi sono element! ehe inducono a configurare la costruzione stessa del 'latino volgare' come qualcosa di profondamente diverse dal diasistema latino cosi come lo conosciamo anteriormente alia compiuta standardizzazione del I secolo a.C. La 'strozzatura', se ci si passa il termine, si e verificata in quel torno di tempo durante il quale si procedette alia selezione delle variant! normal! del latino ("expurgandus est sermo", scriveva Cicerone in un brano famoso, Brutus 258). Questa codificazione, questa "schizzinosita dei puristi" (Palmer),66 ehe rifuggiva tanto dalla "peregrina insolentia"
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Cfr. Bonfante 1968, 543-544. Per un esame analitico di questo e di altri casi tratti dalle variae lectiones dei manoscritti eft. Mancini in stampa c. Cfr. Berruto 1987, 29; Berruto 1995,157. Nell'accezione specifica di Labov 1973, 331-334 (ingl. markers). Su questa fenomenologia cfr. Mancini in stampa a. Cfr., per una prima documentazione, Seelmann 1885, 91-93; Leumann 1977, 114. Cfr. Palmer 1977, 213.
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quanto dalla "rustica asperitas" (cfr. Cicerone, de oral. 3,44),67 non pote non riflettersi, seppure con dosaggio differente, sui vari registri del latino parlato, ivi compresi quelli ehe avrebbero rappresentato il modello del parlato trasmesso alle provincie. E verisimile, dunque, ehe la diffusione progressiva del latino in tutte le fasce della popolazione romanizzata movesse da una varietä dotata pur sempre di un certo prestigio, non poi cosi distante, insomnia, dalla famosa "incorrupte loquendi observatio secundum Romanam linguam" teorizzata da Varrone (cfr. Diomede, 1,439,15 Keil), priva a sua volta di quelle isoglosse ehe gli stessi romanofoni awertivano come fortemente locali. La visione 'sociologica' di Herman in merito alia formazione della norma latina preromanza (il cosiddetto "modele central"), maturata dopo accurate analisi sul latino epigrafico, e, a nostro giudizio, quella ehe coglie lo stato dei fatti nel modo piü soddisfacente: il est en effet raisonnable de supposer que c'est ä la suite de son caractere de langue de prestige minoritaire dans les provinces que le latin, pendant des siecles, n'a pas developpe de variantes locales autonomes. [...] Par ailleurs, les locuteurs qui utilisent le latin pour s'entendre avec ceux dont le latin n'etait pas la langue matemelle avaient tout naturellement tendance, pour se faire comprendre, ä utiliser des structures standardisees et bien courantes; quant aux bilingues en contact avec le group e de prestige, il y a des chances qu'ils aient fait la plupart des cas des efforts pour s'adapter le mieux possible au modele linguistique standardise qui s'offrait ä eux grace aux locuteurs natifs du latin.68 Di qui quell'impressione complessiva di "souple unite" a proposito del latino volgare della quale parlava giä il Meillet,69 una nozione ehe, sfumata la rigiditä neogrammatica del concetto di "Vulgärlatein", e stata ripresa con favore dal Väänänen in alcuni suoi lavori,70 ed e stata ben chiarita dal Wüest in un intervento al I Colloquio su Latin vulgaire-latin tardif,1} in cui giustamente sottolineava la sostanziale continuitä nel tempo della trasmissione del latino ai non latinofoni. Alberto Varvaro ha reinterpretato la formazione del latino volgare in maniera simile a cio ehe sta awenendo oggi nel cosiddetto "italiano popolare": "grande variabilitä, presenza di deviazioni dalla norma identiche almeno analoghe in tutte le aree italiane, incidenza assai piit debole del previsto dei localismi di origine dialettale (ehe equivarrebbero al sostrato preromano)" .n La differenziazione romanza sarebbe insomma il prodotto di una "terza dialettalizzazione" verificatasi nel periodo compreso fra il VI e il VII secolo d.C., il cui epicentre corrisponderebbe al "Received Standard Imperial"73 diffusosi nei territori provincial! romani. Questa "terza dialettalizzazione" di cui parla Herman,74 per quel ehe concerne i caratteri antichi e idiosincratici - specie lessicali - propri delle diverse aree romanze, e anche il portato di singole stone locali, stone di un 'parlato-parlato' confinato nelle fasce diastratiche basse della popolazione imperiale. Da cio, tuttavia, non si puo ne si deve inferire un astratto paradigma di 'continuitä' fra situazione latina arcaica e situazione latina imperiale. 67 68 69 70 71 72 73 74
Si vedano in generale le osservazioni di Belardi 1965; Calboli 1992; Giacomelli 1993, 12-144; sulle scelte ciceroniane cfr. ora Santini 1999, 312-324. Cfr. Herman 1978,47-48. Cfr. Meillet 1976, 229. Cfr. ad esempio Väänänen 1963. Cfr. Wüest 1987. Cfr. Varvaro 1984,20 corsivo nostro. L'espressione come e noto e stata coniata da Löfstedt 1959, 48 con riferimento tuttavia al latino letterario scritto, non a quello parlato. Cfr. Herman 1996, 57.
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La diffiisione del latino di Roma rappresento una ristrutturazione completa del repertorio dei parlanti, e contribui a individuare un segmento storico-linguistico nuovo ehe finirä con lo sfociare nelle different! tradizioni romanze. Come insegna il case della variabile (kt) - ma discorsi analoghi si potrebbero fare per (o:) ed (e:) allato di (ae) ed (aw), per (V:C) allato di (VnC) per (V:rC) allato di (VrC) - la cartina di tornasole di questa ristrutturazione e costituita da quel fascio di 'contrassegni' linguistic! ehe, pur trovando accoglienza in varietä latine del parlato diafasicamente e diatopicamente marcate, dunque pienamente 'volgari', tuttavia non ebbero poi riscontro in epoca romanza. Gli element! diagnostic! per identificare queste isoglosse mi pare siano fondamentalmente quattro: 1) presenza documentaria, relativamente antica, ehe si addensa nella zona mediana della penisola italiana, ma ehe comunque si riscontra anche in altre aree geografiche del mondo latinofono; 2) 'regressivita' nei confronti degli esiti romanzi: le varietä romanze non documentano esiti comparabili; 3) fenomenologia comune ad altre varietä linguistiche contigue con quella latina, specie umbre e sabelliche; 4) eventuale presenza nel lessico latino-volgare e successivamente nelle lingue romanze di fossili ehe, per motivazioni diverse, sono penetrati anche nella norma scritta latina coesistendo sincronicamente con variant! maggioritarie. In definitiva i dati in nostro possesso invitano a riconsiderare, in una prospettiva certo diversa, i suggerimenti di chi, come August Fuchs (aspramente criticato dal Mohl75 in nome di un rigido bipolarismo 'latino italico'-'latino letterario'), collocava accanto al Vulgärlatein polidialettale un Volkslatein ehe sarebbe stato il frutto dell'espansione provinciale in Italia della varietä rustica del Latium veto.76 Una rappresentazione schematica e altamente semplificante dell'evoluzione del repertorio del latino parlato tardorepubblicano potrebbe a questo punto essere la seguente:
'Vulgärlatein' = sermo ntsticus: (o: ) (e:) (vC[+occl]) (V:t) (V: rC)
fase a
fase b
'Volkslatein' = sermo municipalis:
latino volgare preromanzo;
(aw) (ae) (VnC[+occl) (Vkt) (VrC)
( ) ( ) (VnC[+occl]) (Vtt) (VrC)
'klassisches Latein' = sermo urbanus: (aw) (ag) (VnC[+occl]) (Vkt) (VrC)
75
76
Si vedano rispettivamente Fuchs 1884 e Mohl 1899, 32-35.
Sul problema dell'unitarietä del latino volgare cfr. la discussione in Reichenkron 1965,58-76.
Fra latino dialettale e latino preromanzo: fratture e continuitä
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Credo ehe 1'intuizione di separate, almeno in area italica, un sermo urbanus (la varieta 'alta'), un sermo municipalis e un sermo rusticus (la varieta 'bassa') sia sostanzialmente giusta. E dal secondo segmento del repertorio, diffusosi poi nel resto dell'impero, ehe nascera il latino preromanzo, la "souple unite" di cui parlava Antoine Meillet.
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Anna Marinetti
La romanizzazione linguistica della Penisola
Con 1'intenzione di proporre un apporto alia discussione di questi giorni, nella prospettiva di chi si occupa di lingue dell'Italia antica ma con apertura alia romanistica, avevo inizialmente pensato a un settore e un momento delimitato della realtä italiana su cui testare le meccaniche di romanizzazione linguistica. Diverse ragioni mi hanno spinto a modificare il programma originario; mi sono percio attestata su un titolo di massima, 'La romanizzazione linguistica della Penisola', con il fine, ehe mi e sembrato consonante con lo spirito del nostro incontro, non certo di analizzare ne tentomeno esaurire un tema di tale portata, quanto almeno in votis - sollecitare una riflessione dialettica riguardo a momenti diversi ma analoghi, e comunque cruciali, della nostra storia linguistica, focalizzati su alcuni episodi, ma non limitati; anzi, posti in modo ehe il 'focus' risulti 1'esito delle premesse. Di conseguenza rispetto al titolo pongo subito i limiti ehe lo restringono drasticamente: ritengo di avere poco nulla di particolarmente originale o nuovo da dire; ritengo perö ehe anche il solo riprendere le fila della questione possa avere una sua utilitä. Per plurisecolare tradizione si attribuisce valore di veritä alia massima "rem tene, verba sequentur"; nella prospettiva pragmatica di una prioritä di Realien rispetto alle parole, e anche vero ehe, spesso, una volta acquisita la 'parola' (la definizione, 1'etichetta), ci si dimentica si tralascia di indagare il senso originario del suo riferimento alia 'res'; di qui il rischio di voler reificare a tutti i costi i contenuti sulla base di una etichetta, rischio giä troppo noto perche si debba richiamare ancora. Per questa ragione mi pare opportune invertire la sequenza, e partire non direttamente dai contenuti fattuali, ma dal senso della dicitura 'romanizzazione linguistica della Penisola'; ancora piü a monte, sarä naturalmente da interrogarsi sul senso e sul valore della presenza della tematica 'romanizzazione linguistica' nella prospettiva della preistoria dell'italiano ehe e il tema centrale della presente Tavola Rotonda.
Romanizzazione linguistica e preistoria dell'italiano
Prendo awio da quest'ultimo quesito: come entra la romanizzazione linguistica nel problema della preistoria dell'italiano. II nodo della questione non e nelle cose, ma nella loro concettualizzazione; nel caso specifico e nel concetto di 'preistoria dell'italiano', concetto ehe Herman ha inquadrato nella sua presentazione, e ehe ci serve da linea portante. II concetto di 'preistoria' ha da una parte una chiara connotazione di anteriorita rispetto ad uno stadio posteriore, implicitamente identificato come 'storia' (quale scorrere del tempo); dall'altra parte, in termini ugualmente generici, il concetto di 'preistoria' si applica a "cognizioni elaborate attorno a fatti a fenomeni relativi a fasi anteriori a qualsiasi documentazione diretta" (prendo qui la definizione del Devoto-Oli). Ma la natura della relazione tra preistoria e storia non e sempre univocamente posta: rispetto alia 'storia' di un fenomeno, la sua 'preistoria' puo assumere un peso e un significato diverse, a seconda deU'assenza
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Anna Marinetti
o presenza - tra preistoria e storia - di forme di continuitä, e in questo secondo caso - presenza di continuitä-dell'incidenza e della riconoscibilitä delle stesse forme di continuitä. Altrimenti detto, oltre la predetta (e per certi aspetti owia) successione cronologica, e da chiedersi se il concetto di preistoria presupponga come necessario il mantenimento di forme di continuitä, o se tale continuitä, giä implicitamente data per scontata, non sia invece del tutto fittizia. La continuitä tra latino e varietä neolatine e una realtä di fatto, anche se le modalitä di tale continuitä costituiscono appunto rinquirendum, e il senso stesso della scelta del termine 'preistoria' rispetto a 'fasi iniziali della storia' o diciture simili; in questo senso 1'awio alia romanizzazione e l"inizio della preistoria', o meglio, un modo storiografico di periodizzare la storia. Secondo questa dialettica tra continue e discontinue, la romanizzazione si innesta su una base di realtä linguistiche precedent!; di qui la domanda: in quale misura queste realtä linguistiche concorrono, tramite la romanizzazione, alia preistoria dell'italiano? Se si obietta ehe chi ricorre agli antecedent!, e agli antecedent! degli antecedent!, incorre nel paralogismo del regressus ad inßnitum, rispondo ehe, se si accetta l'idea ehe una lingua si forma, e si costruisce non solo per evoluzione monolineare, e non solo come risultato di divergenze, ma anche per convergenza da diverse basi di partenza, il richiamo alia realtä linguistica precedente alia romanizzazione mi sembra legittimo. Con cio ritomiamo alia premessa del nostro tema: in ehe senso la romanizzazione linguistica si rapporta alia preistoria delPitaliano? E la domanda, come la risposta, si innesta in una prospettiva piü articolata ehe non il semplice rapporto di 'prima e dopo', ove il 'prima' sono le varietä linguistiche locali dell'Italia antica, il 'durante' e la diffusione e la generalizzazione del latino, il 'dopo' e il formarsi e l'affermarsi dei volgari; rispetto a questi momenti la romanizzazione linguistica puo essere vista in termini diversi: (1) Prima possibilitä: la romanizzazione linguistica della Penisola si propone come un tramite di continuitä fattuale (= di fatti linguistici): equivale in questo senso ad uno stadio attraverso cui, anche se con forme del tutto particolari, il 'prima' si riversa in qualche misura (variabile: molto, poco, per nulla) nel 'dopo'; e questa evidentemente una concezione troppo lineare dell'evoluzione linguistica (e storica), monodimensionale, ipersemplificata, e nei fatti errata perche, all'insegna di una identitä territoriale e di popolamento, viene ad omologare, rispetto al fulcro del 'latino' (cosi genericamente identificato) le varietä del 'prima' e quelle del 'dopo' ehe, se sono in certa misura omologabili per il loro comune 'essere lingue', e quindi nei comportamenti generali, non lo sono affatto in relazione alia loro specifica natura (intesa come posizione genealogica, struttura, etc.). Dal nostro punto di vista sarebbe quindi inutile proseguire in questo senso, cercando nella romanizzazione la continuitä, se non fosse per il fatto ehe in qualche modo occorre anche fare i conti con la sostanziale continuitä della/delle comunitä dei parlanti, una continuitä ehe collega pur nei trapassi di situazioni storiche il 'prima', il 'durante' e il 'dopo'. Ed e questa la prospettiva attraverso cui passano - anche se nella loro forma piü grezza ingenua - le istanze poste all'insegna del 'sostrato', contro cui molto si e detto, ma ehe per alcuni aspetti non possono essere tout court respinte negate in blocco. (2) Seconda possibilitä: porre la romanizzazione come un fenomeno da considerare comunque perche possibile modello di uno stadio di 'crisi linguistica' del territorio italiano, un modello parallele anche se speculare-un 'aggregarsi' versus 'disgregarsi'- a quanto awiene nello stadio di 'crisi' costituito dalla transizione dal latino ai volgari. Si tratta doe di vedere se, semplificando all'eccesso, ed astraendo dalla natura delle lingue in gioco, si possano rintracciare nei trapassi dalla varietä aH'unitä (prima) e dall'unitä alia varietä
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(dopo) analoghi meccanismi processuali (secondo un possibile modello linguistico generale), o ancora se si possa rintracciare una continuitä di precondizioni o sollecitazioni dovute alia specificitä dell'area considerata, in questo caso l'Italia (secondo un possibile modello storico da applicare a fatti linguistici). Non e detto ehe sia valida ed esclusiva l'una o l'altra possibilitä; puö essere ehe si debbano selezionare istanze e dell'una e dell'altra, ma e comunque a mio awiso necessario un chiarimento su questo punto, per capire il senso della 'preistoria della preistoria'. Credo questo possa essere uno spunto per un momento di discussione.
Preistoria dell'italiano e Penisola Ancora una precisazione, forse owia, ma opportuna: 'preistoria dell'italiano' va intesa, credo, come una dizione evocativa, da intendere nel senso di 'premesse e formazione delle varietä linguistiche neolatine in territorio italiano'; precisazione probabilmente superflua, ma non del tutto inutile perche vi echeggia una questione cardine nella storia linguistica della nostra Penisola, e cioe il rapporto, conflittuale o dialettico, tra varietä e unitä. La lucida valutazione del principe di Metternich sull'Italia come espressione geografica ha forse urtato i nostri sentimenti patriottici; di contro, una prospettiva unitaria, storica e linguistica, all'insegna di Roma - corrispondente piü o meno all'assetto dell'Italia in epoca augusteae stata proposta come fondamento e quadro di partenza della storia italiana: resta il fatto ehe questa visione unitaria sembra aver condizionato anche in taluni ambiti scientific! l'approccio al problema. Non e qui forse opportuno porre la questione, ma e innegabile l'impressione di un'ereditä culturale per cui, per quanto riguarda Italia, l'unitä linguistica e un valore positive, mentre la varietä riflette uno stato deteriore: in questo, credo, siamo stati ben condizionati, fin daH'infanzia e dalla scuola, dall'abitudine a piü fattori: ad una storiografia di parte romana, teleologizzata alia celebrazione della conquista e dell'unificazione; ad una corrispondente ideologia del latino, veicolo della conquista stessa; ad una visione dell'Italia come 'una' (di sangue, di lingua etc.). Con questo non voglio certamente disconoscere la valenza (culturale, per quanto ci riguarda) delle fasi unitarie, ma semplicemente porre un cenno a richiamo, se mai ce ne fosse bisogno, del fatto ehe i momenti di varietä non sono in se deteriori rispetto all'unitä. Tutto questo discorso implica perö una conclusione a cui in qualche modo e inevitabile giungere, e ehe e pertinente al nostro tema, anche se la sua ampiezza e tale da sconsigliarne la menzione: se l'Italia ha la varietä come connaturata, se l'unificazione proprio di questo territorio, secondo questi confini, e conseguenza di fatti storici, e non dovuta a ragioni strutturali - con tutto quello ehe cio comporta - perche allora si parla di 'romanizzazione dell'Italia', o 'della Penisola' (come nel mio caso)? E cioe: ci sono ragioni per fermarsi - in una prospettiva linguistica, si badi - ai confini dell'Italia (geo-politica)? ossia: ci sono soluzioni di continuitä per cui, a parte l'owia assunzione di una realtä per noi nazionale, ha senso parlare di 'Italia' in relazione alia romanizzazione, identificandola nei termini attuali? Se consideriamo ad esempio le aree della Cisalpina, awertiamo le numerose ragioni di una situazione non paritetica rispetto alle culture centro-meridionali, di per se e nel rapporto con il referente centrale ehe e Roma. La delimitazione all'Italia secondo i termini attuali e allora
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il risultato di una scelta, ma non discende da ragioni di fatto. In un bei lavoro d'insieme dedicate agli Indeuropei - con la costrizione della sinteticita richiesta da un manuale - F.Villar, a differenza ehe per altre realtä storiche ed etniche inquadrate come Celti', Germani', etc., e obbligato a intitolare il capitolo ehe ci riguarda 'L'ltalia', perche-come egli stesso dichiara - e di complessitä tale da risultare irriducibile a qualsiasi altra anche generica formulazione.1 Andrebbe allora chiarito qual e il senso di distinguere una 'romanizzazione linguistica d'ltalia', cioe se la si vuole configurare per qualche carattere speciale in opposizione ad una 'romanizzazione linguistica di altre aree'; oppure se si tratta piü ehe altro di un concetto strumentale all'analisi, estrapolato a posteriori in un complesso di realtä analoghe, per coglierne ed eventualmente sottolinearne la complessitä delle situazioni e delle procedure, complessitä ehe solidarmente ha accompagnato tutta la storia linguisticadalle origini ad oggi - della Penisola.
Romanizzazione e latinizzazione Qualche altra parola va spesa a chiarimento del perche si parla di 'romanizzazione linguistica' piuttosto ehe di 'latinizzazione' simili, vale a dire per spiegare la scelta - forse non del tutto owia da una prospettiva linguistica - di privilegiare lessicalmente all'insegna della unificazione il referente politico (Roma) piuttosto ehe il riferimento alia lingua (latino; do per scontato ehe 'latino' sia inteso nella sua accezione piu completa e non, riduttivamente e arbitrariamente, come equivalente a 'lingua di Roma'). La ragione della scelta - almeno da parte mia - e appunto nella volontä di mettere 1'accento sul fatto storico e politico come motore primo del fenomeno linguistico della transizione dalle varietä locali al latino. La latinizzazione linguistica d'ltalia e conseguenza della romanizzazione politica; anche quando, nelle fasi iniziali della sua espansione, Roma diventa polo di attrazione culturale e linguistica ancor prima di insediarsi ufficialmente nel territorio (come e il caso del Veneto), la motivazione di questa attrazione e in prima istanza squisitamente politica (= economica, etc.). Anche questo aspetto puo sembrare owio scontato, ma va comunque tenuto presente anche nelle singole indagini su fatti di romanizzazione linguistica, perche le precondizioni del contatto, ancora prima le condizioni di volontä del contatto, sono primariamente politiche: questo incombere dell'aspetto politico pertanto determina i contorni del fenomeno nel suo complesso, dalle modalitä del contatto ai caratteri stessi della documentazione. Con questo non intendo rifiutare o discutere il termine 'latinizzazione': la latinizzazione (linguistica) c'e stata, e un fatto, ma c'e stata in quanto soprattutto conseguenza di romanizzazione (politica); anche se va riconosciuto ehe si e trattato di un portato fundamentale, epocale, ehe (con i limiti modesti della Romania perduta) e soprawissuto alle vicende politiche ehe 1'hanno provocato e, a differenza di queste, ancora soprawive.
Villar 1997.
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Complessit del fenomeno 'romanizzazione linguistica': la variet
In Italia la romanizzazione politica, e la conseguente romanizzazione linguistica, sono fenomeni di eccezionale complessit , dalle premesse allo svolgimento alia conclusione. E noto ehe l'Italia prima di Roma si presenta come una realta estremamente variata nella consistenza etnica, linguistica e culturale dei suoi abitanti: dal sud profondamente grecizzato alia presenza etrusca col suo peso culturale; dalle popolazioni italiche in costante oscillazione tra fasi di autonomia e momenti di federalismo, attratte da questi due poli - Petrusco e il greco - culturalmente forti, ma prowiste di proprie solide tradizioni; fino alle popolazioni del nord, ehe la tradizione antica ci tramanda sotto forma di una nebulosa di realta parabarbariche, con pochissima o nulla coscienza delle differenze: e celebre e citatissima l'osservazione di Polibio sui Veneti, ehe per costumi ed abitudini non si difFerenziano per nulla dai Celti, ma "usano un'altra lingua".2 La situazione di partenza, gi a 'insegna di una costitutiva variet della penisola italiana, conosce poi un'evoluzione per fasi progressive, una trasformazione non simultanea ma scalata secondo una progressione spaziale (irradiazione da im centra), e una progressione temporale lungo diversi secoli, con dinamiche storiche variate e complesse. Davanti a questa situazione, il questito apparentemente banale 'quando comincia la romanizzazione linguistica, e quando finisce?' si trasforma di fatto nell'impostazione dell'intero problema. Su questo non credo si sia in grado, per ora, di dare risposte ehe vadano oltre la genericit cronologica o la speculazione del tutto teorica.
Fonti Alia complessit storica multidimensionale del fenomeno romanizzazione si affianca, per quanto riguarda la possibilit di attingeme i riflessi linguistic!, la coscienza dei limiti delle fonti - problema generate di tutte le ricostruzioni storiche, ma nel nostro caso particolarmente costrittivo - nei due aspetti, quello qualitativo (natura delle fonti), e quello quantitativo (consistenza delle fonti). Data la disparit e la non omogeneit dei diversi tipi di dato, le diverse classi di fonti dirette o indirette - devono essere valutate separatamente; un certo tipo di tradizione letteraria (penso ad esempio agli ormai canonici riferimenti di rito, quali la notizia liviana (l 1,42) sui Cumani cui e concesso parlare latino in pubblico, o il cenno di Plinio (3,39) alia unificazione della lingua nella prospettiva di Roma imperiale) per la potenziale pesante incidenza dell'ideologia richiede un 'apparato' critico (in senso lato!) di solidissimo impianto storiografico; Pesplorazione nel campo dell'onomastica (antroponimia, toponomastica) ha ugualmente bisogno di un inquadramento specificamente indirizzato alia peculiarit del dato onomastico, per sua natura insieme partecipe e distinto dai caratteri della lingua. Ma neppure il lettore meno smaliziato pu ancora pensare ehe le stesse fonti dirette - intendendo con questo in sostanza i dati epigrafici - non vadano sottoposte al vaglio critico di un'analisi te2
2,17,5-6 ...προσαγορεύονται 6e OueveToi, τοϊ? μεν e9eai και τω κοσμώ βραχύ διαφέροντα? Κελτών, γλώττη δ' άλλοία χρώμενοι.
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stuale nel senso piü ampio. La citazione ehe segue e sufficientemente esplicita, e mi esime da ulterior! considerazioni: "Le epigrafi sono oggetti visti angolati dal fatto scrittorio, ma sono o possono essere molto altro, e pertanto vanno studiate nella loro integritä, secondo una corretta concezione dell'epigrafia; l'epigrafe a sua volta e di piü di quello ehe e comunemente inteso dall'epigrafia: e un testo di lingua fissato in im certo modo da cui vanno estrapolate tutte le potenzialita conoscitive, tra cui quelle linguistiche, ma anche - anzi piü le condizioni processuali ehe hanno portato alia esecuzione del testo... Nella normale comunicazione l'enunciato non e visto come filtro unico della comunicazione, perche, di fatto, la situazione enunciativa e nota al ricevente. Nel caso dell'epigrafe - come nel caso di altri testi ehe per loro natura o Ventura soprawivono alia situazione enunciativa - la situazione enunciativa non e data, o e data tramite trasparenze varie e preconoscenze varie, con diversa gradualitä; in alcuni casi e praticamente prossima a zero, specialmente per quello ehe concerne le ragioni specifiche e individue ehe hanno portato all'esecuzione del testo. ... Pertanto la ricostruzione del processo e la considerazione di significativitä linguistica, e il processo e l'obiettivo ehe dobbiamo porci. II tipo dei nostri testi e una certa tradizione ha invece privilegiato l'approccio statico: si considerano i prodotti, si identificano, si classificano, si selezionano, ma non si ricostruisce il quadro; o meglio, lo si restituisce malgrado il tipo di approccio ehe lo escluderebbe.3 Ritorniamo pertanto al fatto storico, anche se qui 'storico' non va inteso in senso politico ma nel senso piü ampio: ogni testo e un prodotto storico, ed e in questa storicitä ehe se ne deve valutare la significativitä. Rapportiamo il fatto generale al nostro obiettivo, ehe e individuare nei testi element! del cambio di lingua: abbiamo dietro ogni testo uno sfondo storico di base, e un fatto storico singolo ehe lo produce. Se possiamo analogizzare il cambio di lingua con il cambio storico, ci troviamo per i fatti linguistic! ehe qui ci interessano - neH'ambito del processo di romanizzazione - davanti a una dicotomia ehe e analoga a quella di 'struttura/awenimento' per i fatti storici (e chiedo scusa agli storici se uso in forma banalizzata categorie cosi cariche di valori). Come possiamo rintracciare una continuitä strutturale nei fatti storici, una permanenza di premesse e fenomeni secondo la logica detta della 'lunga durata' - e un cambio di lingua credo si possa considerare a buon diritto alia stregua di un cambio strutturale - cosi sappiamo ehe la logica delPawenimento, pur prodotto di fatti strutturali, e l'esatto contrario del continuum, dal momento ehe segnala il momento di crisi, Pawenimento in qualche modo rilevante; d'altro canto, e attraverso Pawenimento ehe il corso degli eventi ci risulta immediatamente percepibile; in fin dei conti, credo sia proprio nella dialettica fra strutture e awenimenti ehe procede il corso della storia. In questo senso possiamo paragonare il testo al singolo awenimento: e chiaro ehe nessuno piü si arresta ad una lettura ingenua e non mediata degli awenimenti storici avulsi dalla struttura; in parallele per quanto riguarda il valore da assegnare a un testo c'e il dovere di comparare il singolo fatto-testo con la struttura di base; qui spesso si pone un problema: dovremmo conoscere il quadro per inserirvi a proposito il singolo tassello; ma, dal momento ehe il quadro non e dato in precedenza, anzi e proprio Pesito della congiunzione dei singoli tasselli, e chiaro ehe la valutazione del singolo fatto-testo assume un peso assolutamente rilevante, tanto piü se, come e il caso della romanizzazione linguistica, la quantitä dei dati - o forse Paffioramento o ilriconoscimentodei dati - e del tutto limitata.
Prosdocimi 1989,11-91, spec. 74-76.
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Romanizzazione 'strutturale' e romanizzazione 'awenimentale' Prima di arrivare alia quantita dei dati, vorrei sottolineare un'ulteriore casistica all'interno della complessiva considerazione del testo epigrafico come riflesso di un evento singolo ed individuo. Consideriamo solitamente un testo epigrafico, pur nella sua individualita, come il risultato storico della convergenza di condizioni strutturali di base: e pertanto, sempre nella coscienza deH'individualita di produzione del singolo testo, dovremmo essere comunque autorizzati a 'leggere' i dati nell'ottica strutturale di cui si diceva, e ad operare quindi generalizzazioni, con estensione dei dati stessi a situazioni ehe si presuppongono analoghe. Ma proprio la peculiaritä della documentazione epigrafica, ehe sempre presuppone una volontä di memoria e di perpetuazione del contenuto, seleziona ancor piu la probabilitä ehe ci si trovi davanti ad un testo speciale, elaborate e fissato per una occasione speciale öd eccezionale. Seleziona cioe la probabilitä ehe quel testo rifletta non solo uno specifico awenimento, ma un awenimento speciale; ancora con terminologia mutuata dalla storia, ehe si tratti nel nostro caso di testimonianza di romanizzazione awenimentale, e non di romanizzazione strutturale. Mi limito a una elencazione cursoria di esempi di quanto intendo: - la presenza romana a Satricum attraverso la testimonianza dell'iscrizione del Publicola; - l'intervento delle legioni marse nelle operazioni militari gravitanti attorno alia battaglia del Sentino del 295 a.C., ricordate dall'iscrizione di Caso Cantovio; - la deduzione della colonia romana di Pesaro del 184 a.C., e il latino dei cippi attribuibile, secondo Peruzzi,4 alia presenza in questo momento di Sabini romanizzati; - gli episodi della guerra sociale, ehe vedono il contatto tra Veneti e Roma: le ghiande missili venetico-latine con la menzione degli Opitergini durante l'assedio di Ascoli, e l'iscrizione venetica rinvenuta neH'Aquilano (v. anche avanti). Tutti questi casi, e altri se ne potrebbero citare, comportano testi specific! per occasion! specifiche; se rivestono un'importante significativita storica, proprio perche connessi ad avvenimenti, richiedono anche una particolare valutazione della significativita del dato linguistico, e richiedono attenzione nel non estendere automaticamente ad una situazione generalizzata fenomeni di lingua dovuti a singole contingenze sociolinguistiche. E vero ehe possiamo avere, di contro, trenta iscrizioni funerarie venetico-latine di Este, in cui rirrilevanza awenimentale e assoluta; in ogni caso la volontä di memoria insita nel mezzo epigrafico puö - anche se non necessariamente deve - segnalare la presenza di circostanze eccezionali.
Entitä dei dati Arriviamo cosi a mettere in luce un punto dolente del problema 'romanizzazione linguistica', e cioe la relativa scarsitä dei dati epigrafici ehe ci trasmettono direttamente indizi o prove del processo di romanizzazione; vi e una scarsitä Oggettiva' dovuta alia casualitä del ritrovamento, ma ancora piü significativa di questa e la quantificazione ehe si ricava da una proporzione generale tra i document! con segni di romanizzazione rispetto ai documenti Peruzzi 1990.
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propriamente locali, nei diversi corpora; 1'attestazione del trapasso di lingua, considerata anche solo 1'amplitudine cronologica del processo, non e statisticamente proporzionale neppure alia lontana rispetto a quanto documenta da un lato la fase precedente, e dall'altro la fase in cui e giä awenuta la romanizzazione. La contrazione dei dati rispetto alia presumibile realtä dei fatti consegue all'ideologia in cui, coscientemente meno, e vissuto il cambio di lingua, e cio in relazione non alia comunicazione normale, ma alia fissazione di lingua in un testo. Nel momento della fissazione di un testo nello scritto, si presuppone sempre un certo livello di acculturazione, e uno stretto controllo del medium linguistico; e pertanto inevitabile, ed e normale meccanica sociolinguistica, una polarizzazione verso un modello di riferimento, dal momento ehe lo scritto riflette una norma, e ehe Paffiorare di quanto scarta dalla norma e 1'eccezione, non la regola. Si deve quindi ricordare, nelI'attribuire un peso ai dati a disposizione, ehe la documentazione non e prodotta in parallelo alia storia linguistica, non ne e un riflesso fedele, seppur parziale, ma - tutt'al piü - un riflesso mediate; in maniera altrettanto mediata, cioe inquadrando il testo nelle motivazioni singole di produzione, deve essere colto il senso dell'eventuale indizio di transizione. Nel tentative di saggiare a ehe punto sia 1'elaborazione di un quadro in cui collocare i fatti di romanizzazione linguistica, mi sono trovata davanti ad una situazione ehe, considerata con qualche superficialitä, non puo dirsi del tutto soddisfacente; a fronte di una amplissima bibliografia di carattere storico e politico sull'espansione di Roma in Italia, vi sono si numerosi interventi su specific! settori aspetti,5 ma mancano studi ehe affrontino a tutto campo il processo di sostituzione del latino rispetto alle realtä linguistiche locali; certamente il grado di sensibilitä al problema delle dimensioni sociolinguistiche e delle varietä interne del latino e delle altre lingue e ora incomparabile rispetto al passato ma - trarme alcuni casi di proposte programmatiche di intervento6- non mi sembra ehe sia stato ancora proposto un momento di sintesi o di bilancio del problema romanizzazione linguistica in un quadro sociolinguistico generate delPItalia antica. Forse cio non e awenuto perche operativamente impossibile, perche - come ricordavo sopra - le singole culture e i singoli percorsi sono different! tra loro, e di fatto una sintesi non puö ehe identificarsi con la valutazione posteriori del risultato del processo; resta il fatto ehe non si arriva a rintracciare unitariamente le modalitä del processo stesso della 'romanizzazione linguistica', troppo diverse da zona a zona perche troppo diverse sono le premesse, sia linguistiche ehe storiche, da cui i processi partono. Sulla diversitä delle premesse mi limito a porre, in forma assolutamente non sistematica, una serie di quesiti. Come si pone la relazione linguistica tra le varietä locali e il latino? cioe: qual e - se c'e - Pincidenza della distanza linguistica tra varietä locale e latino? la prossimitä linguistica e fattore positive, favorevole al cambio di lingua, perche in condizioni di prossimitä questo e sentito come un fatto non traumatico? o e fattore negative, perche facilitando la reciproca comprensione evita la necessitä di radicalizzare la diversitä con Paccettazione del cambio? La prossimitä della lingua puo avere una qualche incidenza nel processo, ehe pero e sostanzialmente determinate da scelte di natura extralinguistica, cioe da rapporti di natura politica: e il case emblematico della differenza tra la reazione del Veneto e la reazione delle aree italiche davanti al latino. 5
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Non e qui il caso di fornire bibliografie: cito tra tanti i lavori di Lejeune, Peruzzi, Campanile, Lazzeroni, Prosdocimi. Ad esempio quella di Prosdocimi 1976,139-221 per un'indagine sul plurilinguismo.
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Ancora: posto ehe la diversita, anche radicale, delle situazioni locali tra di loro impone di procedere per ciascuna area o ciascuna culture (quando non addirittura per ciascun testo) con considerazioni autonome, come dobbiamo configurarci Paltro termine di confronto, cioe il latino? quäle latino si pone come modello di riferimento nel cambio di lingua? Che parlando di 'latino' si tratti di un latino a piu dimension!, e non di un referente unitario, e ormai pacificamente acquisito: dalla banale osservazione ehe la cronologia stessa della romanizzazione richiede almeno la varietä diacronica del latino, fino aH'accertamento della dialettica tra varietä diastratiche/diatopiche del latino ehe intervengono volta per volta come protagoniste del contatto. Per quest'ultimo caso cito un'osservazione di Lazzeroni: "Che il latino abbia conosciuto delle differenze locali fin agli inizi della sua diffusione e noto. Ma queste sono state sempre considerate da un punto di vista romanzo, alia ricerca delle radici antiche delle diversita neolatine, da un punto di vista prelatino, alia ricerca delle soprawivenze latine (e, eventualmente, romanze) delle parlate sommerse. Qui il problema e diverse. Si tratta di verificare se l'espansione latina in etä repubblicana ha trascinato con se tratti non urbani; e se nella colonizzazione linguistica romana si riconoscano episodi di cui Roma non e stata la protagonista, non e stata la sola".7 L'esemplificazione di Lazzeroni e portata sul dativo in -a dei femminili, presente nel latino di Pesaro, dei negotiators di Delo e nel peligno: 1'epicentro della diffusione del tipo in -a e individuate in una varietä di latino non romano, localizzato nel Lazio centro-meridionale, correlato per opposizione al dativo in -ai ehe ha come epicentre di diffusione Roma. II riferimento a diversi sottosistemi sociolinguisticamente connotati all'interno di un sistema sovraordinato ehe definiamo 'latino' puo inoltre essere complicata dall'eventualitä di contatti successivi, in cui si privilegia un modello sottosistema di riferimento diverse da uno precedente: e il caso - di cui pariere piu avanti - della 'revisione' e rifacimento secondo un diverse modello di latino di un'iscrizione latina dal territorio dei Marsi. Infme, anche se di fatto premessa della complessitä linguistica del fenomeno romanizzazione, si pone la complessitä delle diverse vicende storiche, in cui e particolarmente significativa la capacitä di Roma di rapportarsi alle diverse realtä nel corso della sua espansione: "Roma non segui schemi rigidi, ma utilizzo con duttile senso della realtä strumenti giuridici diversi, optando di volta in volta per l'uno o l'altro a seconda delle different! situazioni contingent!... alle variegate realtä etniche, ai diversi caratteri politici, sociali, economici, culturali delle comunita con cui veniva a contatto. Un conto, in altre parole, e rapportarsi a Tusculum o a Gabi, affini per comune appartenenza al mondo latino, altro ancora con Caere Tarquinia, cittä etrusche di raffmata e persistente cultura, e pur tuttavia giä diverse dalle cittä magnogreche, Cuma Tarentum, e un cento e intervenire sui pagi e i vici delle montanare popolazioni dell'Italia centrale... altro ancora e individuare linee di intervento valide per i territori della Gallia Cisalpina, terra di barbari".8 Quale specimen della complessitä richiamo alcune situazioni esemplificative del diverse iter di romanizzazione linguistica nelle diverse aree d'ltalia. Mi piacerebbe poterne ricavare dei modelli, in qualche modo estendibili a paritä di precondizioni strutturali anche ad altre situazioni; ma per proporre modellizzazioni occorre riconoscere una generalitä nella specificitä, e mi pare ehe ciö sia assolutamente prematuro; quindi mi limito a descriverli come fe7 8
Lazzeroni 1991, 177. Poma 1994,125-129, spec. 125.
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nomenologia della diversa reazione - a livello di lingua - delle realt dell'Italia antica nel contatto con Roma.
II caso Marsi
Ho avuto occasione di trattare del latino tra i Marsi in una proposta di restituzione del1'iscrizione ILLRP 303;9 ho poi ripreso un punto ivi evidenziato a proposito della terza plurale del perfetto latino.10 Era mia intenzione riproporre qui il succo di quanto gi scritto, come sufficientemente significativo per il tema del nostro Convegno, qu le uno dei tipi da proporre come casi del processo di romanizzazione; nel riprendere il tema mi sono pero resa conto ehe la conclusione andava modificata: 1'occasione per un ripensamento e venuta da un Convegno - contemporaneo a questa Tavola Rotonda - sulla battaglia del Sentino,11 cui avrei dovuto partecipare con una comunicazione articolata in un gruppo di lavoro. Per vari motivi ho dovuto rinunciare alia mia sezione, ma oltre ad aver partecipato alia fase preparatoria ho potuto tenere conto di quanto vi comparir negli Atti, in particolare quanto di nuovo vi emerge relative alia piu importante iscrizione marsica, la lamina di Caso Cantovio (CIL I2 5), e lo sfondo culturale in cui questa va collocata.12 Riprendo gli estremi della questione di ILLRP 303. Si tratta di una tavoletta bronzea proveniente dall'area del Fucino; iscritta su entrambe le facce, e spezzata ad una estremit , e in prossimit del lato integro presenta un foro di affissione; riporto il testo secondo la mia lettura,13 mantenendo I'attribuzione Α-B delle facce data dai precedent! editori:
A IS.SEP.F.ET JISIVS.VET JRONT.VECI JVT.SEINO JFECRONT
B PETRO.SETM[ CESEIVS.VET.F.[ VECI ΡΕΤΓΝΙ.ΐ[ EDEDRE COSNf
Nel riconsiderare la questione ho cercato innanzitutto di precisare il rapporto tra le due facce: e escluso ehe si tratti di uno stesso testo ehe continue, come prova la grafia del tutto diversa, non solo nel ductus ma negli usi grafici: Bhae del tipo II, contro A ehe ha E; e escluso pure ehe i due testi siano coesistenti nell'uso, come dimostra il foro di affissione ehe viene a cadere su una lettera della faccia B; un semplice reimpiego del supporto con eliminazione del primo testo e incisione di una iscrizione indipendente da questo - teoricamente possibile - e reso molto improbabile per le coincidenze tra i due testi, ehe non sono casuali; non resta ehe 1'ipotesi di uno stesso testo inciso una prima volta, poi rifiutato in questa versione e ripetuto secondo una diversa versione sull'altra faccia. II testo rifiutato e quello indicato dagli editori 9
Marinetti 1984-1985, 65-89. Prosdocimi-Marinetti 1988,93-125. 1 ' La battaglia del Sentino. Scontro fra nazioni e incontro in una nazione (Camerino-Sassoferrato, 10-13 giugno 1998). 12 Prosdocimi-Del Tutto Palma-Rocca in stampa. 13 Sulla giustificazione della lettura nei punti in cui differisce dalle precedent! edizioni rimando a Marinetti 1984-1985.
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come B, dal momento ehe la faccia B e deturpata dal foro dell'afFissione progettata per consentire la lettura di A. La successione di incisione e dunque B (precedente) -> A (successivo); l'assenza di un foro di affissione per B (a meno ehe B non avesse altro modo di sistemazione, diverso dall'affissione) puö essere indizio di prossimitä cronologica tra le due incisioni, ossia: incisione di B, rifiuto quasi contemporaneo e incisione di A. Le solidarietä tra i due testi sono evidenti, come pure sono evident! le differenze, dalla grafia, alia veste fonetica (setm[~ sep-\ alia morfologia (ceseius -Jisius: -re ~-ront), alia compaginazione testuale. Giä a partire dal Froehner, alia cui collezione la lamina appartiene, e stata riconosciuta la sostanziale identitä dei due testi; gli editori successivi oscillano tra una maggiore cautela nel riconoscervi lo stesso testo (Lejeune, Degrassi), e l'accettazione dell'identitä (Letta, ehe offre anche un tentativo di restituzione).14 Ho proposto a mia volta una restituzione complessiva dei due testi (per la discussione analitica rinvio al lavoro cit. a nota 9; eventual! questioni di tipo storico-istituzionale ancora aperte non riguardano l'aspetto linguistico, ehe e quanto qui interessa):
B PETRO.SETM[I.F.ET (prenome) CESEIVS.VET.F.[FECRE? VECI.PETINI I[VSSV.SICVT/ISTVT SEiNO EDEDRE.COSNfSV (illius)
A (...) PETRONIV]S.SEP.F.ET (prenome complete?) CA]ISIVS.VET eris. f. (?) EDED]RONT.VECI PETINI.IVSSV.SICVT/IST]VT.SE[NO
CO(N)S(E)NSV. illius ]FECRONT Una acquisizione di un certo rilievo conseguente alia rilettura di ILLRP 303 e stato il riconoscimento di una forma di perfetto ededre; questa forma riporta ad atolere dell'iscrizione di Caso Cantovio (CILI2 5, cit.), secondo larevisione del testo ad opera di E.Peruzzi,15 e quindi all'accertamento di una finale -ere con vocale breve, base del sincopato -re di ededre. Cio ha dato occasione per una revisione della morfologia della terza persona plurale del perfetto latino, rappresentata nella nostra iscrizione da due forme alternative, rispettivamente -re (B) e -0ront (A), in relazione ad -erunt del latino 'classico' e in congiunzione con il latino -eront e con altra documentazione, tra cui, oltre il citato atolere, le forme steterai deH'iscrizione di Satricum, dedrot/dedro dei cippi pesaresi, ed altre ancora.16 Una conseguenza, di cui tratta A.Prosdocimi nella relazione a questo stesso Convegno, e il riporto delle forme romanze tipofecero a un latino -erunt e non al tipo classico -erunt. La duplice redazione di ILLRP 303 ha poi portato a considerazioni di carattere sociolinguistico sulle varieta di latino ivi attestate. Come detto, le iscrizioni delle due facce, rispetto allo stesso contenuto, divergono sotto molti aspetti, dalla grafia, alia fonetica, alia morfologia, probabilmente alia sintassi; abbiamo la testimonianza di due stili di latino, di due livelli sociolinguistici verosimilmente coesistenti comunque cronologicamente molto prossimi nell'a-rea in questione. Nel lavoro precedente rilevavo come il latino della faccia A present! tratti piü vicini al tipo 'urbano': Sep-, Caisius, [ededjront/fecront; a fronte di questi attribuivo ai corrispondenti di B Setm[, Ceseius, ededre (fecre?) una connotazione piu 'locale'; la ratio della reincisione andava quindi ricercata in una volontä di maggiore distacco dalla base linguistica locale, con un adeguamento ad un modello piü 'romano' e pertanto piü prestigioso.
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Lejeune 1952, 87-126 spec. 91sgg.; Degrassi 1957, nr. 303; Letta-D'Amato 1975, nr. 188. Per ulteriore bibliografia cfr. Marinetti 1984-1985. Peruzzi 1961,165-194. Cfr. il lavoro cit. a nota 10.
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Se questa conclusione appare accettabile nell'ottica del confronto tra le due varietä di ILLRP 303, non e stata tuttavia sufficientemente correlata con quanto emerge dal corpus delle iscrizioni marsiche; come ha dimostrato Peruzzi,17 la romanizzazione linguistica della Marsica e stata precoce e rapida, conclusa nel giro di due generazioni, approssimativamente dal 300 al 250 a.C.; secondo Peruzzi, 1'iscrizione di Caso Cantovio, ehe e la piu antica e riferibile al 300 circa, e giä pienamente latinizzata e non mostra specifiche forme locali, ne portano forme locali (tranne forse il dativo in -e) le iscrizioni successive, della prima metä del III secolo. La cronologia dell'iscrizione ILLRP 303 non ha precisi agganci, ma la prima versione (B) e certamente successiva aH'iscrizione di Caso Cantovio, ehe e da porre come la prima iscrizione latina per Marsi in fase di incipiente romanizzazione politica; e ragionevole ehe la romanizzazione linguistica della base segua al documento (Caso Cantovio) ehe ne segna Pinizio politico. Per quanto riguarda la faccia piu antica, B, i caratteri grafici, e la finale del nominative qui giä in -us (e non -os) dovrebbe riportare circa al 200 a.C., quasi un secolo piü tardi dell'iscrizione di Caso Cantovio, e pertanto in una situazione di romanizzazione giä da tempo assestata. Se e cosi, e forse da rivedere la connotazione 'locale' giä attribuita alia varietä del latino di B in opposizione a quella piü 'urbana' di A, ed e lecito pensare ehe B rifletta non un latino 'locale' e pertanto meno prestigioso di quello di A, ma un latino ehe costituiva un modello di prestigio a tutti gli effetti all'epoca della sua stesura, una varietä 'alta', come mostra il fatto stesso di essere usato per una iscrizione ufficiale. In rapporto alia riscrittura del testo, puo sembrare una contraddizione affermare ehe il latino di B fosse comunque una varietä di lingua alta: in quanto tale non si vede allora perche dovrebbe essere stato rifiutato, e sostituito; ma la questione si pone diversamente: e il testo (A) ehe sostituiva il primo (B) ehe lo rendeva prospetticamente 'basso' e 'dialettale' o, detto piü precisamente come successione (crono)logica, il testo della prima versione (B) veniva sostituito perche ormai (= nel momento dell'intervento di A) sentito 'basso' (o 'locale', o 'dialettale'); ormai ma non prima, quando era stato inciso; cio, come detto, e implicato dal fatto di essere stato inciso come iscrizione pubblica o da esporre al pubblico, ritenuta pubblicamente importante in misura tale da richiedere un rifacimento ex novo; per questa stessa logica, la lingua di quel testo, quando era stato inciso la prima volta, non era ne bassa ne dialettale; era una varietä alta, anche se non quella varietä alta ehe siamo abituati a ritenere 1'esclusivo modello di riferimento. In situazione di romanizzazione giä conclusa, come e per la Marsica di fine III secolo, il modello cui attingere per una varietä alta (testo B) non puo avere come origine ehe Roma o epicentri promananti da Roma, e non la base locale. La riscrittura (testo A) segue un altro modello, di grafia e di lingua, anch'esso, a maggior ragione, irradiato da Roma. La conclusione e ehe le due varietä qui testimoniate vanno proiettate all'interno del latino stesso, e non in una contrapposizione tra esterno ed interno, tra 'locale' = fuori del latino e 'urbano' o simili = dentro il latino. E a questo proposito richiamo, solo in forma di cenno, una analoga questione ehe riguarda il latino dei cosiddetti 'cippi pesaresi' (CIL I2, nrr. 368-381; addenda pp. 878-879), cui per le manifeste diversitä rispetto al latino di tradizione urbana (es. -ä < -äi, caduta di -s, forme verbali come dede, dedro/dedrot) e stata spesso attribuita la qualifica di 'dialettale'. Ancora Peruzzi18 ha rivendicato il carattere colto di questo latino; e non potrebbe essere diversamente, trattandosi della lingua ehe promana da un altissimo livello sociale (i Curii, i 17 18
Oltre al lavoro del 1961, cit. sopra, cfr. anche Peruzzi 1962,117-140. In numerosi lavori, a partire da 1966,15-40, fino a 1990.
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Livii), livello ehe costituisce la committenza delle dediche del luco; la questione della cronologia e della attribuzione delle dediche (al concüiabulum di III secolo precedente la colonia, o posteriormente alia deduzione della colonia di Pesaro del 184 a.C.),19 non influisce sul sicuro riconoscimento della base sociale: la stessa sabinitä richiamata da Peruzzi come originaria dei fondatori della colonia, viene dimensionata dal fatto ehe all'epoca della fondazione di Pesaro i Sabini avevano la cittadinanza romana da piü di un secolo, ed erano quindi pienamente latinizzati. Si puo pertanto afFermare ehe nel latino di Pesaro non abbiamo a ehe fare con una varietä 'dialettale' - e pertanto connotata come 'bassa' - ma con una varietä 'alta' di latino.
Bilinguismo in area sannita: l'iscrizione da Pietrabbondante Da Pietrabbondante, dall'area del tempio B del santuario osco-sannita, proviene una duplice iscrizione, in osco-sannita e in latino, pubblicata da A.La Regina nel 1976.20 Riporto (con ampie decurtazioni) la descrizione dell'editore: "Tegolone di terracotta, spezzato in piü parti ma complete, di cm. 94 66. (...) La tegola... fu utilizzata per incidervi a crudo due iscrizioni sul piano inferiore, mentre veniva riporta ad essiccare, in attesa di essere awiata alia cottura. I due testi, l'uno in latino e l'altro in osco, si contrappongono sui lati lunghi della tegola e delimitano una fascia sulla quäle sono impresse, a mano, le orme di due paia di calzari, incrociate tra loro. Le lettere sono incise neH'argilla ancora cruda, dopo la sua costipazione nello stampo. Per l'incisione e stato usato uno stilo, oppure un oggetto simile, forse lo stesso per ambedue i testi. (...) I due testi, incisi da persone diverse, si riferiscono ad una medesima occasione: l'impressione delle impronte sulla tegola. A)hn. sattiieis. detfri seganatted. plavtad
B) HERENNEIS. AMICA SIGNAVIT. QANDO PONEBAMVS. TEGILA
(...) I due testi sono costruiti simmetricamente, ed in parte si chiariscono a vicenda: ambedue iniziano con una forma onomastica al genitivo, pertinente alia stessa persona, un terzo al quäle i due soggetti sono legati da rapporto servile. (...) L'iscrizione si data necessariamente all'epoca in cui fu completata la copertura del tempio B, e quindi nel primo decennio del I sec. a.C.(cfr. Par. Pass 1975, p.löSsgg.), il ehe concorda con le caratteristiche generali del documento, e soprattutto con il suo bilinguismo, nell'ambito del quäle prevale, almeno a livello di rapporti privati, la parte osca. II testo latino mantiene peculiaritä grafiche di origine piü antica, soprawissute all'uso corrente. Cosi la forma antiquata delle a, della/? e della /, compare di solito in iscrizioni graffite, dipinte o comunque non eseguite da incisori di mestiere, anche in epoca piü recente". L'iscrizione e stata presentata con un ampio commento dell'editore A.La Regina (cit.); ha posto poi una serie di questioni, ehe sono state discusse in diverse occasioni: la definizione del nome detfri, con una prima proposta etimologica (errore per *defiri nome 19 20
La questione, ampiamente dibattuta, non ha qui rilevanza: rinvio per i termini della discussione alia rassegna di Franchi De Bellis 1990. La Regina 1976,286-289.
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d'agente al femminile < *dep(h)-, riferito alia lavorazione dell'argilla),21 caduta in seguito al ritrovamento di un'altra iscrizione osca con la forma abbreviata dit ehe conferma detfri come forma corretta,22 e il relativo inquadramento morfologico come femminile in -/;23 su plavtad in relazione all'umbro preheplotatu e alle forme romanze tipo it. piota24 e al latino plautus·25 come documentazione di una situazione di bilinguismo in clima di romanizzazione;26 ancora, in prospettiva 'romanza' per la forma tegila e per aspetto fonetico e valore sintattico di qando;21 etc. Non intendo discutere qui in maniera analitica di singoli problemi, quanto mettere in rilievo di questo testo 1'aspetto contestuale, esterno ed interno. Ho riportato verbatim parte della presentazione dell'editore, perche la citazione rende esplicito un dato importante: si tratta di un caso in cui un testo epigrafico non pubblico puo essere precisamente contestuato in tutte le sue coordinate di tipo sociolinguistico: spazio, tempo, livello sociale, persino situazione comunicativa: in questo senso e un documento prezioso come testimonianza ('awenimentale', per richiamare quanto detto sopra) di una situazione strutturale di contatto linguistico. L'iscrizione e stata talvolta, per brevit , definita 'bilingue': di fatto e concordemente rilevato ehe non si tratta di una bilingue, ma di una "bilingue partielle (avec Γ equivalence seganatted/signauit)" (Lejeune) ο meglio di due testi ehe sono costruiti "simmetricamente" e ehe si sviluppano "parallelamente" (La Regina), in forma "complementare" (Poccetti), accomunati dalla stessa struttura per quanto riguarda le forme onomastiche e dallo stesso verbo al perfetto, osco seganatted e latino signavit. Le due iscrizioni, contestuali in tutti i sensi, hanno un punto in comune nell'espressione del 'signare', ma per il resto si completano reciprocamente; una, 1'osca, indica il mezzo con cui si e 'segnato', plavtad, con la pianta del piede, Paltra, la latina, esplicita Poccasione dell'azione, qando ponebamus tegila. Possiamo rendere la presenza/assenza delle determinazioni dell'azione in forma graficamente pi evidente: testo osco 'soggetto' seganatted plavtad 0
<
>
testo latino 'soggetto' signavit 0 qando ponebamus tegila
La complementarita testuale fa si ehe risulti di fatto indifferente in qu le dei due testi si ponga ο si sarebbe potuta porre Puna ο Paltra specificazione; cio prova oltre ogni dubbio ehe si e in un contesto bilingue, con le conseguenze ehe se possono trarre, sia per i caratteri interni del testo, sia per i riflessi a livello di osservazioni sociolinguistiche. A questo riguardo pongo qui solo due considerazioni. La presenza in osco di plavta- ha riproposto la questione dell'origine delle forme romanze come italiano piota 'pianta del piede > piede' (REW 6589), ritenute italicismi per Pattestazione in lingue italiche (osco, umbro) di plauta a fronte di una marginalita, per taluni as-
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Lejeune 1976, 290-291. De Benedittis 1981,292-295; Prosdocimi 1981, 355-357. Prosdocimi 1991,517-643. Mura-Prosdocimi 1978,205-211. Franchi DeBellis 1992, 3-31. Poccetti 1988, 127-143; Campanile 1990,305-312. Prosdocimi, nella relazione a questo Convegno: cfr. qui pp.$-$.
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senza, nel latino, ehe ha forme semanticamente collegabili come plautus e semiplotiom2* ma non un plauta con il significato di 'pianta del piede'. Per la base di partenza giä Prosdocimi29 aveva sottolineato l'improbabilitä di un italicismo di derivazione diretta nelle lingue romanze, data 1'ampiezza delle stesse attestazioni romanze ehe vanno dalPitaliano arcaico al provenzale, al lionese etc., proponendo Palternativa tra un oschismo penetrato nel latino preromanzo ('latino volgare'), e una forma di latino non Standard plauta concorrente con il 'classico' pianta. La considerazione fatta sopra della complementarita dei due testi, con presenza nel testo osco vs assenza nel testo latino della designazione della 'pianta del piede', mi sembra portare un elemento in piü, ehe si aggiunge al dato delle continuazioni romanze, per presumere ehe la stessa forma plauta dovesse appartenere anche al latino, airintemo di una varietä diversa da quella di pianta; questo dato poträ aggiungersi agli altri elementi (qando, tegila) per qualificare questa varietä di latino, anche nella prospettiva degli esiti di fase romanza. Un'altra conseguenza del porre i due testi come complementari - con comprensione reciproca, e possibilitä di integrazione - e, come detto, la riprova del bilinguismo in atto, cio ehe questa iscrizione attesta come e piü di quanto non avrebbe mostrato il fatto di avere una bilingue vera e propria; la bilingue e si indice di contatto linguistico, ma in se non e assolutamente probante dell'effettivo bilinguismo del contesto ehe la produce. II nostro caso di accertato bilinguismo sarä da tenere presente, come tassello ulteriore nella documentazione e come caso emblematico delle premesse di quel complesso processo ehe porterä alia romanizzazione linguistica; tuttavia con una cautela, e non di poco conto. Richiamavo sopra la necessitä di comparare il singolo testo con la struttura di base, per qualificame la significativitä e il valore nel quadro generale, e questa iscrizione mi sembra un buon esempio della 'awenimentalitä' sempre connessa al documento; ora, ammessa la situazione di bilinguismo ehe ha prodotto questo testo, non siamo per nulla autorizzati ad estendere le conclusion! ad un contesto piü generale. Altrimenti detto: se a Pietrabbondante attorno al 100 a.C. troviamo il prodotto di una situazione di bilinguismo osco-latino, cio va imputato al contesto prossimo da cui promana (officina di produzione dei laterizi), e ehe per un caso fortunato ci e dato di rintracciare; ma cio non implica la diffüsione a Pietrabbondante del bilinguismo osco-latino, cosa ehe anzi, in quest'area interna del Sannio e ancor prima della guerra sociale, non e affatto owia (e cio vale anche se, seguendo La Regina, si attribuisce a Venafro invece ehe a Pietrabbondante la sede di produzione dei tegoloni); il documento e invece significative, e in questo senso va senz'altro utilizzato, in quanto indice della capillare penetrazione del latino attraverso percorsi multipli, e diversi da quello della 'conquista' ufficiale, storicamente noto ma per queste aree d'Italia giä nei fatti superato dalla realtä degli usi linguistici.
La Cisalpina: adeguamento e resistenza
L'Italia settentrionale transpadana (Gallia Cisalpina) presenta reazioni contrastanti all'avvento della romanizzazione, nell'aspetto storico inprimis e conseguentemente nei riflessi di 28 29
Cfr. Franchi De Bellis 1992. Prosdocimi 1979, 119-204, spec. 156-157.
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tipo linguistico. Con una formulazione ehe certo semplifica all'eccesso la complessitä dei fatti, si puo dire ehe la posizione assunta dai Celti ad ovest, e dai Veneti a est e del tutto antitetica, come conseguenza del tipo di rapporti politico-militari intrattenuti con Roma; all'atteggiamento di aggressione e conflitto delle tribu celtiche nei confront! di Roma, alia loro politica inizialmente di espansione fino all'Italia centrale, e successivamente di resistenza cruenta alia conquista romana della Cisalpina, si oppone la scelta dei Veneti, fedeli alleati di Roma fin dal III secolo a.C., e forse anche precedentemente, pronti all'aiuto militare esterno e disposti ad accogliere la presenza di Roma ai confini dei loro territori; nei riflessi culturali e linguistici, alia tenace resistenza portata dai Celti alia nuova realta si contrappone da parte dei Veneti un progressive adeguamento al modello romano. I due diversi modelli si colgono chiaramente dalla documentazione, anche se non si puo escludere - e cio fa parte dell'alea del ritrovamento epigrafico - ehe la natura della documentazione ehe ci e pervenuta esasperi questo contrasto di reazioni, estremizzando la resistenza da una parte e 1'adeguamento dall'altra. Nei Veneto30 la romanizzazione linguistica e stata osservata in particolare sulla scorta di un ampio stock di iscrizioni funerarie da Este, ehe vanno dal III al I secolo a.C.: qui 1'avverarsi della transizione si puo seguire nella graduale sostituzione - ai diversi livelli della lingua - degli element! locali con i corrispondenti latini. II cambiamento e facilmente individuabile nei caratteri esterni, dall'alfabeto alia struttura della formula onomastica, alle basi onomastiche; meno evidente e invece il mutamento di codice, vuoi per la limitata rappresentativita dei testi, in prevalenza costituiti da semplice onomastica, vuoi per la coincidenza, a volte notevole, dei tratti linguistici - fonetici, morfologici, lessicali - tra la lingua locale, il venetico, e il latino. Questa prossimitä tra venetico e latino - prossimitä strutturale e non conseguenza di contatti - ehe si riconosce sempre piü solida con il prosieguo dei ritrovamenti di testi venetici, e giä stata invocata31 quale possibile fattore positive nell'accoglimento da parte dei Veneti del latino, awertito forse non troppo lontano o non troppo estraneo rispetto alia base locale. II caso di Este e stato, com'e noto, magistralmente indagato da M.Lejeune32 soprattutto per 1'aspetto onomastico, e meriterebbe forse ulteriore approfondimento nell'aspetto piü propriamente istituzionale delle premesse e conseguenze del trapasso dell Onomastica; e comunque un chiaro segnale di volontä di integrazione, innanzitutto sociale, nei mondo romano. Pur senza la concentrazione documentale del caso atestino, anche dal resto del Veneto si coglie in maniera analoga la stessa logica di accoglimento, rilevata con macroscopica evidenza ad Este: nelle iscrizioni di fase di romanizzazione, siano esse gli ex voto del santuario di Lagole, le iscrizioni funerarie di Montebelluna, gli epitaffi di Altino,33 la progressione dalla cultura locale a quella di Roma si sviluppa senza conoscere traumi. Altra valenza, questa volta strettamente legata a precisi episodi storici, hanno altri document! ehe riguardano il rapporto tra Veneto e Roma; uno e il caso, ben noto, delle ghiande missili da Ascoli Piceno con la duplice iscrizione, in venetico e in latino, dell'etnico degli Opitergini: le ghiande si collocano nell'ambito dell'assedio di Ascoli dell'89 a.C., durante la guerra sociale. II secondo e Piscrizione venetica su un oggetto (arma?) da lancio, ritrova30 31 32 33
Per le iscrizioni venetiche in generate il rimando e all'edizione di Pellegrini-Prosdocimi 1967; Prosdocimi 1988; per un aggiomamento della situazione Marinetti 1998,49-99. Prosdocimi 1988, spec. 419-420. Lejeune 1978. Marinetti in stampa.
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to presso L'Aquila.34 L'iscrizione, in alfabeto e lingua venetica, mostra accanto a un nome sicuramente veneto anche forme onomastiche di tipo italico, e un precise riferimento nell'aggettivo marsko- a provenienza o riferimento all'ambito 'marso'; il contesto riporta anche in questo caso alle operazioni della guerra sociale, in cui i Veneti intervennero come alleati dei Romani. Si tratta di casi documentali ehe testimoniano i rapporti di alleanza, peraltro ben noti, tra i Veneti e Roma; premessa, come si e detto, all'accoglienza della romanizzazione a tutti i livelli della vita sociale, lingua compresa. Per quanto riguarda la Cisalpina occidentale (area celtica), manca, almeno a mia conoscenza, una indagine sistematica in prospettiva di romanizzazione, soprattutto nel raccordo tra quanto possono restituire in questa direzione le iscrizioni locali (celtiche: leponzie e 'galliche')35 e le iscrizioni latine, e pertanto i dati parziali di cui si dispone possono essere deformanti della realtä; tuttavia mi sembra ehe al momento vi siano conferme, anche dal punto di vista della lingua e della cultura, di quella resistenza a Roma ben testimoniata dalle vicende storiche. L'assenza di una documentazione ehe porti traccia della modalitä di transizione, del tipo di quella chiaramente percepibile nel Veneto, puo essere giä considerata significativa del diverse atteggiamento di quest'area; ma, oltre al dato negative, vi sono altri segnali a mio awiso ben chiari; e il caso dell'iscrizione di Briona:36 qui vi e la menzione di un personaggio con patronimico locale (Tanotalikno-), ma identificato come Kvitos lekatos 'Quintus legatus'; questo dato, ehe colloca a pieno clima di romanizzazione, contrasta con la tradizione locale mantenuta a tutti i livelli, dalla grafia, alia lingua, al formulario, alFonomastica degli altri personaggi: la romanitä e presente in forma non casuale (il fatto ehe un personaggio locale possa fregiarsi del titolo di 'legatus' ha un rilievo di tipo pubblico e istituzionale), ma non emerge in vesti di lingua. Altro caso sintomatico mi sembra rappresentato dall'iscrizione bilingue di Vercelli,37 ehe porta un testo duplicate, in grafia e lingua celtica da un parte, e latina dall'altra, relative alia definizione di confini: qui puo essere celtico lo sfondo ideologico-religioso, ma la presenza istituzionale, nella regolamentazione di questioni confinarie, e romana. In termini quasi paradossali, la bilingue, nello stesso tempo ehe manifesta una situazione di biculturalitä e connesso bilinguismo, sancisce anche la divisione dei due mondi; detto in altre parole: affiancare in una iscrizione pubblica celtico e latino puo significare ehe non si vuole o non ci si puo limitare a comunicare attraverso una delle due lingue/culture: non solamente con quella locale, a causa della presenza giä istituzionalizzata di Roma, e non solamente con quella di Roma, perche non vi e stata (ancora) un'assimilazione - reale o ideologica - adeguata. I due casi citati potrebbero sembrare insufficienti come indicativi della resistenza, e potrebbero forse anche essere letti in chiave diversa, se non ci fosse comunque - per quanto riguarda i Celti - un retroterra piü generalizzato ehe sembra tendere alia differenziazione dal modello dominante. Senza arrivare a casi piü lontani, come la produzione delle iscrizioni celtiberiche in un'Iberia ehe giä conosce la presenza romana, o l'uso dell'alfabeto greco della Gallia Narbonense, anche qui giä in presenza di Roma, si puo ricordare l'aspetto della monetazione cosiddetta 'leponzia':38 in questa monetazione, ehe di fatto si estende dalle foci del Rodano al Noricum, la questione e centrata sull'uso di una grafia ehe recupera 34 35 36 37 38
La Regina 1989,299-432 (spec.: / Veneti nella guerra sociale, 429-430). Su queste v. la recente rassegna di Solinas 1995, 311-408. Lejeune 1988, E-l; Solinas 1995, n. 140. Lejeune 1988, E-2; Solinas 1995, n. 141. Cfr. Marinetti-Prosdocimi 1994, 23-48.
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1'alfabeto leponzio come modo di autorappresentare la celticitä, in opposizione alle grafie di riferimento, pur disponibili, come sono il greco per le foci del Rodano, il venetico per il Noricum: insieme affermazione di autoidentitä e di opposizione all'esterno. Si tratta di fatti alfabetici, e non di lingua, ma ehe hanno un valore piü generale: sia perche 1'oggetto iscritto e di per se, come giä detto, prodotto di un livello non banale di acculturazione; sia perche 1'alfabeto e un aspetto rilevante nelle culture di queste aree, e l'adozione, l'uso e 1'abbandono di una grafia e una scelta indicativa nei confronti di modelli culturali (e non solo: anche politici, economic!, etc.). Se anche la Cisalpina celtica ha dovuto, per forza di cose, conoscere un processo di romanizzazione linguistica graduate, questo non viene rappresentato all'esterno; si deve pertanto presumere ehe sia stato subito, ma non voluto, in una forma analoga (e in dipendenza) a quanto e accaduto per la romanizzazione politica.
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Hubert Petersmann
La latinizzazione dell'Italia meridionale e il Satyricon di Petronio
Dando inizio alia trattazione del tema,1 vorrei sottolineare come, parlando di latinizzazione, sia necessario tenere sempre a mente il fatto ehe per i Romani la latinizzazione era in primo luogo un fenomeno di carattere sociolinguistico. Essa e da vedere come una conseguenza del processo di romanizzazione; in altre parole: si potrebbe dire ehe, considerata come acquisita la centrale importanza a livello politico conferita al processo di romanizzazione, quello della latinizzazione era visto come un fenomeno culturale cui pero, soprattutto durante il periodo repubblicano, era attribuito un ruolo di secondo piano. AI contrario dei Diadochi ellenistici, Roma non era tanto interessata alia diffusione della sua lingua e cultura, quanto piuttosto a quella del suo potere e del connesso ordinamento. La latinizzazione era pertanto considerata un prodotto 'accessorio' della politica imperiale romana, dal momento ehe per i Romani la lingua non costituiva un elemento di identificazione etnica, come invece aweniva presso i Greci. La lingua latina assolveva in primo luogo ad un compito pratico: in quanto lingua ufficiale deiramministrazione, dei funzionari, giuridica e militare, aveva la funzione - soprattutto nel tardo periodo imperiale - di creare un forte legame, ehe doveva tenere insieme la parte occidentale e quella Orientale dell'Impero, ed inoltre garantire anche nelle province pi sperdute un ordinamento statale unitario. Nel campo dell'ufFicialit e dunque indubitabile il ruolo di lingua dell'amministrazione e dell'esercito ehe il latino assunse a partire dal periodo arcaico sino a quello tardo.2 Ma anche nel periodo tardo deH'Impero si riteneva ehe questo legame unificatore, costituito dal latino, non dovesse essere imposto con la forza, ma al contrario - secondo le parole di Sant'Agostino, civ. 19,7,18s. -perpacem societatis;3 non si impediva inoltre in alcun modo l'uso delle lingue autoctone in ambito private, per non parlare del greco nella parte Orientale dell'Impero. In et augustea era del resto consuetudine mettere in scena farse popolari in lingua osca, da parte della popolazione sannitica; cio aweniva in quella parte del Lazio meridionale un tempo appartenente alia Campania, secondo quanto ci testimonia Strabone in 5,3,6 (= C 233): Τώνμένγάρ'Όσκων έκλβλοιπότων ή διάλεκτο? μένει παρά τοι?' Ρωμαίοι? ώστβ και ποιήματα σκηνοβατεΐσθαι κατά τινά αγώνα πάτριον καΐ μιμολογεισθαι.4 Testimonianza ancora pi chiara ci fornisce Suet. Aug. 43,1, dove l'autore ci riferisce ehe I'imperatore stesso faceva rappresentare opere teatrali in svariate parti della citt e su pi scene contemporaneamente, e questo in tutte le lingue possibili: cio sarebbe indice della presenza in Roma di quartieri, in cui viveva in gran parte popolazione di lingua non latina. 1 2
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Vorrei ringraziare una mia dottoranda, Cristina Corradetti (Roma), con l'aiuto della qu le mi e stato possibile esporre la mia trattazione in lingua italiana. Per il problema della romanizzazione e della latinizzazione dell''Imperium Romanum, cfr. Petersmann 1998, 87-101; ivi anche a proposito del ruolo delle lingue latina e greca nella parte Orientale dell'Impero romano. Cfr. Aug. civ. 19,7,18: At enim opera data est, ut imperiosa civitas non solum iugum, verum etiam linguam suam domitis gentibus per pacem societatis imponeret, per quam non deesset, immo et abundaret etiam interpretum copia. A tale proposito cfr. Petersmann 1989,139s. n. 8 con ulteriore bibliografia.
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Questa politica linguistics decisamente tollerante era tuttavia limitata all'ambito del privato. A livello pubblico il latino, come giä detto, dominava da sempre incontrastato come lingua della legge, del tribunale, deiramministrazione e dell'esercito. Questo ruolo di lingua ufficiale d'uso e di scambio, ehe 1'idioma latino veniva a rivestire, ebbe ben presto come conseguenza ehe molti degli alleati italici e svariate popolazioni delle province occidental! delFImpero si latinizzarono volontariamente. Basti pensare alia cittä di Cuma, la quale, nel 173 a.C., fece espressamente richiesta a Roma di poter utilizzare la lingua latina come lingua ufficiale, come ci tramanda Livio 40,42,13: Cumanis eo anno petentibus permissum, ut publice Laune loquerentur etpraeconibus Laune vendendi ius esset.5 Nonostante ehe Cuma fosse civitas sine sujfragio6 e praefectura1 giä a partire dal 338 a.C., e evidente come ciö non comportasse automaticamente il permesso di awalersi della lingua latina nella vita pubblica. Fu proprio in quei territori della parte occidental dell'Impero, nei quali la popolazione autoctona aveva vissuto per lungo tempo a stretto contatto con i coloni romani, stanziati nelle piü svariate regioni a garanzia del potere di Roma, ehe si giunse prima ehe altrove a comprendere 1'importanza della conoscenza della lingua latina non solo come fundamentale condizione per un'ascesa a livello politico e sociale, ma anche come garanzia di prosperitä a livello privato. II latino era del resto considerate in Occidente un importante veicolo di cultura, alia pari del greco in Oriente. Uninteressante testimonianza della coscienza di essere portatore di una precisa missione culturale da parte del cittadino romano ci viene fornita da Plinio not. 3,39. In questo passo si fa menzione dell'Italia come di omnium terrarum alumna eadem et par ens, numine deum electa, e viene inoltre attribuita alia lingua latina la citata funzione di portatrice di cultura: sparsa congregaret imperio ritusque molliret et tot populorum discordes ferasque linguas sermonis commercio conlraheret ad colloquia et humanitatem homini daret breviterque una cunctarum gentium in tot o orbe patriafieret? Da notare e il fatto ehe in questo passo Italia diviene sinonimo di Roma. Da cio si deduce ehe nel I sec. d.C. Roma e le popolazioni dell'Italia erano giä considerate come una unita a livello politico, culturale e linguistico. Giunti a questo punto, vorrei in primo luogo analizzare 1'espansione della lingua latina nei territori meridional! della penisola italica, per poi passare a trattare, nella seconda parte della mia conferenza, il Satyricon di Petronio, la piü ampia e preziosa testimonianza ehe possediamo di tale processo, analizzando 1'opera sotto un aspetto cui sino a questo momento non e stata a mio awiso prestata la dovuta attenzione. Sappiamo ehe Roma, giä a partire dal IV sec. a.C., estese la sua sfera di interessi al di la degli antichi confini del Lazio e, procedendo verso Sud, si impossessö di ampie parti della Campania.9 A garanzia del suo potere Roma stanziö colonie in tutte le principal! cittä. Pensiamo ad esempio a Capua, di origine etrusca, e alia greca Cuma: entrambe le cittä erano, a partire dagli anni venti del V sec., sotto la dominazione dei Sanniti, la cui lingua, secondo la testimonianza di Varrone ling. 7,28, era 1'osco. Nel corso della prima guerra sannitica, e precisamente nel 343 a.C., Capua divenne civitas sine suffragio romana, secondo quanto ci attesta Livio 7,31,4; lo stesso awenne di Cuma nel 338 a.C. La seconda guerra con i Sanniti 5 6 7 8 9
Cfr. su questo passaggio Oniga 1996, 573-580. Cfr. Liv. 8,14,11. Cfr. Fest. p. 262,9 L. Cfr. a questo riguardo Prosdocimi 1978, 1031-1088, soprattutto 1035. Cfr. Strab. 5,3,4 (=C 231).
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ha inizio a Napoli nel 32610 e al suo termine e da porsi la fondazione delle colonie di Interamna, Fregellae, Saticulae e Suessa, come anche l'inizio della costruzione della Via Appia. Segui poi la conquista di Apulia, Lucania e Bruzzio, alia quäle fu connessa non solo la fondazione di numerose colonie da parte romana, ma anche una massiccia schiavizzazione delle popolazioni autoctone, deportate poi in gran parte nella capitale. L'espansione della sfera di influenza romana non comportö tuttavia un immediato processo di latinizzazione; questo si produsse gradualmente, come dimostrato giä cento anni fa da Budinszky11 e, piu recentemente, fra gli altri, da Poccetti.12 Si puo cosi spiegare come il compositore di togate Titinio, un contemporaneo di Plauto, potesse burlarsi di suoi contemporanei ehe parlavano solo la lingua volsca e quella osca, e non padroneggiavano quella latina: frg. 104 R qui Osce et Volsce fabulantur, nam Laune nesciunt. Un'ultima volta la fiamma politica dei Sanniti di lingua osca pote divampare: fu durante la guerra sociale del 91-89, nell'ambito della quäle essi ebbero il ruolo di guida fra gli Italici. La loro capitale era la cittä peligna di Corfinium,13 ribattezzata Viteliu (Vitelliü), dunque Italia o Italica, dalle popolazioni ribellatesi a Roma.14 Molto istruttivo, a questo proposito, e il fatto ehe i Sanniti, al tempo delle guerre combattute con i Romani, avessero come lingua ufficiale tanto il latino quanto l'osco. II pericolo rappresentato dalla popolazione sannitica fu riconosciuto anche da Silla, il quäle lo scongiuro definitivamente nell'anno 82.15 Ciö non significa tuttavia ehe anche la lingua osca avesse terminate la sua esistenza. La migliore prova della soprawivenza dell'osco ancora alia fine del I sec. d.C. ci e fornita, oltre ehe dalle giä menzionate testimonianze letterarie, dalle iscrizioni osche ritrovate, per esempio, a Pompei. Non deve d'altra parte passare inosservata l'influenza ehe sull'osco esercito la lingua latina, influenza determinata dal processo di colonizzazione romana.16 Naturalmente fu soprattutto il latino parlato dei colonizzatori a risentire a sua volta del forte influsso esercitato dal sostrato autoctono delle lingue italiche, con le quali era venuto a contatto. Gli effetti di questo influsso sono evident! non tanto nei document! ufficiali latini, quanto piuttosto nella lingua parlata, e cio in ogni settore. E sufficiente, a questo proposito, fare riferimento alle iscrizioni di colorito dialettale (nr. 228) citate da Vetter, ed ai nr. 225 e 226 di Poccetti (esempi di 'latino dialettale').17 Questo latino dialettale- o sermo rusticus, come lo avrebbero definite i Romani - costitui senza dubbio, grazie aU'estrema mobilitä di commercianti, mercenari e schiavi, un fattore costitutivo nel processo di formazione del latino volgare di epoca imperiale e, per conseguenza, anche la base delle lingue romanze. Tralascio, in questa sede, di ricordare fenomeni linguistic! molto noti soprattutto nel campo della fonetica, della morfologia e del lessico, tanto piu ehe mi soffermero su alcuni aspetti linguistic! relativi alia lingua del Satyricon petroniano nella seconda parte del mio articolo. Al fine di comprendere appieno I'importanza linguistica di questo documento letterario, per quanto conceme il problema della latinizzazione dell'Italia meridionale, e tuttavia necessario premettere alcune osservazioni di carattere generale. 10 11 12 13 14 15 16 17
Liv. 8,25,2. Budinszky 1881. Poccetti 1993, 73-96. Cfr. Strab. 5,4,2 (= C 241) e Veil. 2,16,4. Cfr. Vetter 1953, nr. 200 G e Radke 1964,1305. Cfr. Plut. Sull. 30 e Strab. 5,4,1 (= C 240). Cfr. Campanile 1976, 109-120. Cfr. Poccetti 1979,171s.
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In primo luogo e da rilevare come neu'Italia meridionale, oltre agli Italici, popolazioni ehe parlavano l'osco o dialetti imparentati a quest'ultimo, vivevano anche Messapi, Siculi e, soprattutto, Greci. Per la problematica da me trattata il messapico e gli idiomi della Sicilia non rivestono un ruolo significative; molto importante e invece il ruolo del greco. Questa lingua godeva, accanto alle lingue italiche vere e proprie, di un ruolo di grande rilievo nel colorito panorama linguistico dell'Italia. E nota l'esistenza di una serie di important! fondazioni cittadine e di nomi di derivazione greca in Italia meridionale: l'intero territorio ricevette del resto la denominazione di Magna Graecia.1* Ma in realtä non si trattava di un territorio chiuso e compatto di colonizzazione greca.19 Grazie alia sua posizione dominante come lingua di cultura, fu naturale ehe il greco potesse conservarsi, rispetto alle altre lingue dell'Italia meridionale, sino in etä storica, quando i Romani avevano sottomesso questi territori e la maggior parte delle lingue autoctone era ormai scomparsa. Vorrei menzionare alcuni caratteristici luoghi, in cui cio e particolarmente ben visibile. La cittä di Canusium, fondazione dei Dauni, successivamente passata nell'area d'influenza greca, ancora molto tempo dopo la conquista romana coniava monete greche, e l'elemento greco della sua popolazione conservava la sua lingua ancora al tempo di Orazio, ehe definisce Canusium insat. l,10,27ss. come bilingue20 Una cittä greca di particolare importanza fu senz'altro Taranto ehe, secondo Cic.ßn. 1,7 e Strabone 6,253, conserve fino al loro tempo la lingua e la cultura greca e, dopo la sua conquista da parte di Roma nel 272 a.C., ebbe un ruolo fondamentale nel processo di ellenizzazione di Roma stessa. Non dobbiamo dimenticare ehe, successivamente alia conquista di Taranto e come conseguenza di tale conquista, giunse a Roma un foltissimo numero di prigionieri di guerra in qualitä di schiavi - fra i quali e da menzionare anche il poeta Livio Andronico - il cui greco di colorito dorico avrebbe lasciato indubbie tracce nella lingua volgare, come lasciano intravedere le citazioni greche nelle commedie di Plauto.21 A questo riguardo sono da menzionare in maniera tutta particolare i casi di Cuma, Pozzuoli e Napoli. Questi luoghi fiirono infatti proposti come teatro dell'azione della Cena Trimakhionis petroniana. II parere di Th. Mommsen,22 secondo cui la cittä della Cena Trimakhionis dovesse essere Cuma, non puö essere accettato, sulla base di Petron. 48,8 e 53,2, dove si parla di Cuma come di una localitä estera. Altri, come Smith,23 lasciano aperta la questione della localizzazione della cittä; Walsh24 pensa ad una pura invenzione da parte di Petronio. Quelle ehe si puo dire con certezza e ehe teatro dell'azione della Cena e una cittä in Campania, da localizzare non molto lontano da Capua e da Cuma. stesso, in un mio arti-
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Cfr. Porph. Hör. sät. 1,10,30. Cfr. a questo proposito, ad es., Paul. Fest. 31,25 L ed il passo di Porfirione citato alia n. 18. A tale riguardo cfr. anche il commento dello schol. Hör. sät. 1,10,30: Canusini more bilinguis: Aut quia Canusium oppidum constat ex Graecis et Italis ... Dicit autem bilinguem, quia et Graeci et Latini apud Canusium habitant et utuntur utroque sermone. Cfr. per ulteriore bibliografia Hofmann-Szantyr 1965, 759ss. Cfr. Mommsen 1878,106-121. Cfr. Smith 1975, XIX: "It is quite possible ... that Petronius did not attach much importance to the precise location of the Cena". Walsh 1970, 76.
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colo,25 come giä Beloch26 sulla base di una serie di punti in comune, e anche tenendo conto della provenienza Orientale di Trimalcione e dei suoi amid liberti, propendevo per Pozzuoli, la 'porta di ingresso' ellenistica dellOriente per l'Italia meridionale. Anche sulla base di alcune espressioni dei liberti, ancora oggi riscontrabili nel dialetto napoletano e sui quali avevano giä posto l'attenzione Wagner27 e Catalano,28 sembra indubbio ehe luogo della Cena possa essere unicamente la zona intorno a Napoli, oggi collegata anche a livello stradale con Pozzuoli. E del resto naturale domandarsi come mai, neH'ambito degli svariati tentativi di localizzazione della Cena, non sia stata proposta Napoli stessa. Abbiamo testimonianza da Strabone 5,246 e da varie iscrizioni ehe Napoli conservava la lingua e la costituzione greca ancora nel primo e medio periodo imperiale.29 In questo contesto ben si situerebbe la definizione di Graeca urbs in Petron. 81,3 per indicate il luogo dove si svolgeva la Cena. II carattere a tutti gli effetti greco della cittä di Napoli viene espressamente sottolineato da molti autori antichi.30 La Historia Augusta (Hadr. 19) ci tramanda ehe l'imperatore Adriano era ?, dunque 'sindaco' della cittä stessa. Napoli fu molto favorita in particolare da Augusto,31 dopo ehe giä nell'89 a.C. aveva ottenuto la cittadinanza romana,32 ed e probabile ehe ancora al principle dell'epoca imperiale la cittä fosse stata 'elevata' al rango giuridico di colonia:33 e in ogni caso interessante notare come per ben quattro volte, in discorsi di liberti, si faccia riferimento con orgoglio alia colonia romana, nella quäle Trimalcione viveva.34 E, del resto, il fatto ehe quest'ultimo rivestisse nella sua cittä magistrature romane non deve essere visto in contrasto con la Graeca urbs, dal momento ehe con il conferimento della cittadinanza romana a Napoli fecero il loro ingresso nella cittä, accanto alle greche, anche le magistrature romane: cfr. Cic.fam. 13,30,1, dove Cicerone dice del suo amico L. Manlio: una cum reliquis Neapolitanis civis Romanus factus decurioque Neapoli.15 A favore dell'identificazione con Napoli starebbe anche la presenza, nella cittä stessa, di numerose ed imponenti ville, con le quali sembrerebbe voler quasi gareggiare l'enorme, sfarzosa e 'labirintica' dimora di Trimalcione, e il fatto ehe anche Nerone aveva delle preferenze per quella cittä a causa della sua grecitä.36 Siamo inoltre ben informati sulla vivace vita culturale ehe caratterizzava Napoli (vi si conservava la tomba di Virgilio),37 motivo per cui Columella la denomina docta in 10,134. In seguito vi sarebbero vissute notevoli personalitä poetiche, come Stazio38e Silio Italico.39 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39
Petersmann 1995, 543s. Beloch 1890, 116; poi anche Nissen 1902, 740 e, piu recentemente, Sullivan 1968, 46; Radke 1972b, 1245 ed infine, sulle diverse opinioni, anche Gigante Lanzara 1992,175-198. Wagner 1933, 1-26. Catalano 1969,87-107. Ora particolarmente importante a tale proposito Leiwo 1994, con ulteriore ricca bibliografia. Cfr. ad es. Strab. 5,4,6 (= C 246), 6,1,1 (= C 253); Cic. Tusc. 1,86, Arch. 5,10; Tac. ann. 15,33 e Suet. Nero 20: a tale proposito Nissen 1902. Cfr.Plin. nat. 18,114. Cfr. Cic.fam. 13,30,1. La data esatta non e chiara. Cfr. Beloch 1890,40. Cfr. 44,13; 44,16; 57,9; 76,10. Per le magistrature greche e romane, cfr. Beloch 1890,45ss. Cfr. soprattutto il giä citato passo tacitiano ann. 15,32,2 Neapolim quasi Graecam urbem delegit. Cfr. Don. vita Verg. 36. Cfr. silv. 3,5,78;5,3,112. Cfr. Plin. epist. 3,7.
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L'esistenza in questa Graeca urbs di una scuola di retorica latina40 e di una pinacoteca,41 come anche la personalit del retore Agamennone e il poetastro Eumolpo nel Satyricon, potrebbero a loro volta costituire dei riferimenti alia docta Neapolis. Un ulteriore indizio in favore di Napoli come scenario della Cena petroniana potrebbe trovarsi anche in 58,6, dove Trimalcione invoca la dea Atena, del cui culto come vera a propria dea protettrice della citt siamo informati da una serie di reperti numismatici.42 Interessante nel passo menzionato e il fatto ehe Trimalcione utilizzi la forma Athana: Athana tibi irala sit, curabo, et , qui te primus 'deuro de 'fecit, mezzo con cui Petronio intendeva probabilmente mettere a nudo la mancanza di cultura del protagonista della Cena; a livello linguistico e da sottolineare come Trimalcione ed i suoi amici liberti si servissero di una dizione volgare latina, come anche di una koine volgare greca, al quale proposito basti citare 42,2frigori laecasin dico. Ritornando alia questione della forma dorica Athana, e da rilevare come questa non sia conciliabile ne con il carattere ionico-attico di Napoli, ne, del resto, con la koine greca, nella quale la forma usuale era Άθήι/η, Άθηναίη ο Αθηναία. Se dunque ci chiediamo per quale motivo Trimalcione abbia utilizzato la forma dorica, ci si presentano due possibili risposte: da un lato si potrebbe supporre ehe Petronio abbia voluto evidenziare 1'umile provenienza di Trimalcione e dei suoi amici liberti, appunto facendo loro utilizzare grecismi di coloritura dorica, tipici della lingua degli schiavi e volgare, ehe si erano infiltrati in Roma subito dopo la conquista di Taranto, e ehe caratterizzavano, come sopra dimostrato, gi la lingua degli schiavi in Plauto.43 In piu potrebbe esservi da parte di Petronio un tentative di differenziazione locale: nel caso di Napoli e infatti possibile ehe la forma dorica Athana rispecchi la pronuncia popolare, fortemente influenzata dall'osco. Sappiamo infatti da Strabone 5,246 ehe Greci e Sanniti un tempo vivevano insieme a Napoli ed una ulteriore conferma viene dalla coniazione di monete.44 Per quanto riguarda i grecismi di coloritura dorica present! nella lingua osca, e diffusa 1'opinione, ehe questi derivino da Taranto ο Metaponto e dai loro dintorni:45 ci e infatti giunta una iscrizione votiva in caratteri greci (Vetter 1953, nr. 192 A), nella quale e molto probabile ehe alia base della forma Ασανασ46 sia da sottintendere la forma dorica Athana. Un ulteriore fenomeno fonetico di origine tarantina e costituito dalla pronuncia del suffisso verbale -ι£ω come -ισσω, ehe Biville,47 facendo soprattutto riferimento al grammatico
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Cfr. Petron. sat. Iss. Cfr. ibid. 83,1. Cfr. Radke 1972a, 31 con ulteriore bibliografia. Sui grecismi nella lingua latina cfr. Hofrnann-Szantyr 1965 (n. 20), 759ss. Cfr. Vetter 1953, nr. 200 A 6 ed in generale sui Sanniti a Napoli Leiwo 1994, 18ss.; Nissen 1902, 748 e Radke 1972a. Cfr. a tale proposito Lazzeroni 1972, 1-24, soprattutto 23s. Per 1'occasionale influenza dorica su Napoli da parte di Taranto ο Metaponto cfr. in particolare anche Leiwo 1994, 19s. e Landi 1979, 51s. Si notino, in questo contesto, anche forme onomastiche come Dika in iscrizioni greche provenienti da Napoli: Leiwo 1994, 77ff. e Miranda 1990-1995, nr. 107, 108, 109 e 172. Riguardo la forma Atana nella Campania di lingua osca, cfr. anche Vetter 1953, nr. 158 cosi come Poccetti, 1979, nr. 244, ehe riporta anche il nome gentilizio Atanius, attestato in Campania. Particolarmente illustrativa a tale proposito e inoltre I'iscrizione dorica Miranda nr. 130 in dodici versi. Avremmo qui inoltre la testimonianza della pronuncia /s/ per /Θ/, come nell'osco dam(u)senma dal greco δαμοθοιιάα: cfr. a tale proposito Prosdocimi 1978, 1056ss. Biville 1990, 112ss., soprattutto 125.
La latinizzazione del] 'Italia meridionale e il Satyricon di Petronio
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imperiale Eraclide di Mileto,48 considera im fenomeno linguistico tipico di Taranto.49 II latino arcaico e ricco di prestiti quali Flaut, cyathisso (Men. 303, 305), malachisso (Bacch. 73), moechisso (Cos. 976), graecisso, atticisso, sicilicisso (Men. lls.). Di contro, nel tardo periodo imperiale, i prestiti greci in -ιζω saranno riprodotti attraverso le forme in -izo d -idio. I liberti petroniani, al contrario, hanno conservato la pronuncia antica di tali forme, ehe anche in Plauto erano utilizzate quasi esclusivamente da personaggi appartenenti ad un basso livello sociale: si veda Petronio 67,10 excatarisso e 62,14 exopinisso. In entrambi i casi si tratta, in Petronio, di uno degli arcaismi, frequenti del resto in tutta la cena petroniana, tipici della lingua della Mischwelt dell'Italia meridionale, ehe era cresciuto insieme nelle regioni della penisola.50 II Satyricon di Petronio riflette come nessun altro documento delPantichit classica proprio questo variegato e composito mondo del primo periodo imperiale, naturalmente anche dal punto di vista linguistico. Ed i discorsi dei liberti nella Cena costituiscono per noi oggi la pi chiara e completa rappresentazione di dialoghi di una certa lunghezza, tenuti da membri dello Strato pi basso della societ fra di loro e con esponenti di altre classi sociali. Le cosiddette parti volgari rappresentano cosi il pi prezioso documento del socioletto di una citt dell'Italia meridionale, di cultura greca, in procinto di latinizzarsi di sua iniziativa. E a questo proposito pi ehe comprensibile come, in un contesto del genere, si sia conservato, a livello di lingua, 'materiale' estraneo alia Romanit , ehe traspare addirittura anche a livello sintattico; vorrei a questo riguardo ricordare come Calboli51 abbia attirato la nostra attenzione su Petronio 71,10 faciatur, si tibi videtur, et triclinia, dove, come awiene nei docurnenti giuridici di Pozzuoli, accanto ad element! oschi, E da riscontrare anche un forte influsso greco, come nel caso di un soggetto al neutro plurale accompagnato da un verbo al singolare: cfr. Tab. II, p. 3 ed. Camodeca:52 ... cicerisfaris monocpi lends in sacis ducentis modium quator milia plus minus que ominia possita habeo penus me in horeis Bassianis puplicis Putolanorum que ob omini vipericulo meo est [[dico]]fateor. Actum Putolis.^ II Satyricon petroniano, i cui protagonist! portano tutti nomi greci e la cui lingua e riccamente intessuta di parole e frasi greche, ci offre in maniera unica la possibilit di osservare questo processo, ehe neppure le coeve iscrizioni riescono a riprodurre con pari vivacita. L'opera testimonia il tentative, fatto da molti appartenenti alia citt , di adattarsi alle tendenze assimilatrici latine. A questo proposito ci viene in aiuto anche la presenza di istituzioni ehe hanno il compito di forzare questo processo. Un chiaro esempio di ci e dato dall'insegnamento nella scuola di retorica, di cui si parla al principio dell'opera. Lo stimolo alia fondazione di scuole di questo tipo come centri privilegiati per la latinizzazione deriva sicuramente da una tendenza molto pratica: magistral ed appartenenti a citt ed istituzioni originariamente non-latine avevano, come gi detto, precocemente compreso la fondamentale importanza della conoscenza della lingua latina, per il raggiungimento di una prosperit 48 49 50
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Cfr. Bust. p. 1656,24. Λέγει 6e Ηρακλείδη? και δτι Ταραντίνων τα €\ς -ζω λήγοντα βαρύτονα ρήματα ... φραζόντων ev δυσΐ σίγμα, οίον «σαλπίζω σαλπίσσω», Λακτίζω λακτίσσω». Cosi Leo 1912, 459. Riguardo all'uso del greco in Petronio, cfr. Salonius 1927; precedentemente sempre Salonius 1926, 130ss., e, pi recentemente, molto complete soprattutto Gerschner 1995 ed ancora Gerschner 1997,145ss. Calboli 1999. Camodeca 1992. Ho stampato in tondo il grecismo, e spazieggiato il fenomeno osco.
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tanto a livello politico quanto economico. E dunque ben comprensibile come anche i piü piccoli centri cittadini avessero grande Interesse alia fondazione di scuole latine e come anche in un contesto come quello dell'Italia meridionale, in cui il greco aveva un indiscutibile ruolo di lingua di cultura, ci fosse il tentativo di raggiungere uno stato di bilinguismo. Cio si rendeva estremamente necessario soprattutto in quei luoghi nei quali si erano stanziati coloni romani, in gran parte appartenenti agli strati piü bassi della popolazione: ed e la loro linguae la lorodizione eheritroviamo sullabocca di Trimalcione e dei suoi amici liberti. II confronto con antiche iscrizioni della Campania, con i graffiti di Pompei ed Ercolano, cittä entrambe molto vicine geograficamente allo scenario della Cena, od ancora con document! linguistic! recentemente scoperti, provenienti da Murecine, presso Pozzuoli, dimostrano come la lingua utilizzata dagli incolti personaggi del Satyricon sia una koine latina di colorito volgare. Tipico di ogni varieta linguistica di questo genere e il fatto ehe in essa element! di natura diastratica, diatopica e diacronica si fondono insieme in unitä. Sulla base delle condizioni politiche e comunque indubitabile ehe, fino al periodo tardo dell'Impero Romano, la capitale costituisse il costante punto di riferimento linguistico, e questo non solo per quanto concerne la lingua letteraria, ma anche nell'ambito della lingua parlata, 'esportata' dai colonizzatori nelle nuove fondazioni. Roma era 1'indiscusso centro di diramazione, dal quäle in definitiva si attuava ogni azione colonizzatrice. Non deve dunque sorprendere il fatto ehe, nonostante la Cena si situi in una zona dell'Italia meridionale caratterizzata dalla presenza di parti della popolazione di origine greca ed osca, nella lingua dei liberti, ehe rispecchia quella della cittä di Roma, portata con se dai colonizzatori, siano da riscontrare dei rusticismi propriamente latini. E inoltre da rilevare come Petronio faccia pronunciare dai suoi incolti personaggi una serie di parole latine con il dittongo au monottongato, proprio per distinguerli dai parlanti la lingua urbana. Mi riferisco a parole come copo, coda, pronunciate di contro dal narratore Encolpio caupo, cauda.54 La monottongazione di aw in e tuttavia un fenomeno tipico solo di alcuni dialetti italic! e del latino rustico, non perö dell'osco. Come giä detto, un diretto influsso del contemporaneo idioma osco e riscontrabile solo parzialmente nella lingua volgare petroniana. Cio dipende sicuramente dal fatto ehe la cittä, teatro d'azione della Cena, e in gran parte greca. Un influsso del sostrato osco e tutt'al piü osservabile a livello lessicale. Una sicura testimonianza di ciö e fornita da Perron. 44,5, dove un liberto afferma: memini Saflnium. La affricata/al posto della labiale b, usuale in latino, in Sabinium, e il risultato dello sviluppo fonetico osco del *bh intervocalico: si confronti la forma osca Saßnim, ehe corrisponde al lat. Samnium derivato da *Sabhniom.i5 Contrariamente alia mia opinione originaria, sono oggi dell'awiso ehe nel contesto petroniano si faccia riferimento ad un Sannita residente da lungo tempo piuttosto ehe immigrate. Influsso fonetico osco e forse presente in 57,1 nella forma berbex, normalizzata in vervex da una manus secunda del codice Traguriense della Cena. Dal momento pero ehe le lingue romanze conoscono la forma dialettale berbex,56 nota del resto anche da alcune glosse, bisogna porsi la domanda se questa forma dialettale non si sia infiltrata nella lingua volgare della cittä di Roma giä prima della colonizzazione del luogo dove si svolge la Cena petroniana, per poi venire 'esportata' dai coloni nella nuova terra colonizzata da Roma. 54 55 56
Cfr. a questo riguardo, fra Paltro Boyce 1991,40s. Cfr. a questo proposito Rix 1957, 127-143. Cfr. Meyer-Liibke, nr. 9270.
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Per quanto concerne il rispetto delle quantit vocaliche, e tuttavia da osservare come soprattutto il latino parlato dai colonizzatori dell'Italia meridionale abbia conosciuto un decisivo influsso da parte della popolazione osca autoctona, influsso ehe sarebbe poi stato rilevante anche per le successive lingue romanze. Se Cicerone oral. 173 e de or at. 3,196 negava a\\&plebs romana del suo tempo la conoscenza della giusta applicazione delle claxisole, riconoscendole tuttavia la sensibilit per le quantit nella pronuncia, tutto cio stava ormai scomparendo gi da tempo fra i parlanti latino dell'Italia centrale e meridionale: sotto 1'influsso dell'osco e dei dialetti ad esso vicini si ebbe in queste parti della penisola italica gi ben presto il passaggio da un sistema fonetico quantitative ad uno qualitative, passaggio dovuto al mancato rispetto della differenza fra sillabe brevi e sillabe lunghe. Di questo fenomeno vi sono molteplici esempi in iscrizioni osche: basti pensare a forme quali Hkitud (Vetter 1957, nr. l B, 10) = lat. licetod, oppure ancora al nr. 183 della raccolta di Vetter, proveniente dal territorio dei Lucani, a lettere greche pehe = pie; ancora, ad una iscrizione di Rossaro di Vaglio, in provincia di Potenza, (nr. 175 Poccetti), dove leggiamo Πωμπονι? al posto di Πομπών!.? = Pomponius; si confronti ancora la scrittura Ζω^ηι proveniente da Paestum in Poccetti nr. 169, ed ancora il nr. 167, dove si trovano le scritture Λω^κι? e Διο^ηι?. Di pronunce scorrette nell'ambito della lingua latina si fa burla gi nel II sec. a.C. il satirico Lucilio, originario di una cittadina campana, al punto da coniare a questo proposito il 'terminus technicus' os corruptum e da esprimere anche graficamente la quantit errata, scrivendo ore corupto al posto del corretto corrupio (1242s. M). Esempi di tali 'errori' quantitativ! dovevano essere del resto piuttosto frequenti nell'Italia meridionale, come dimostrano anche iscrizioni in versi di Pompei,57 per esempio CIL IV 5092: Amoris ignes si sentires, mulio, magi properares ut videres Venerem. diligo (puerum, coir.:) iuvenem venustum. r ago, punge, iamus.
bibisti. iamus. prende lora et excute.
Pompeios defer, ubi dulcis est amor. meuses.** Alia mancata osservazione delle quantit corrette si riferisce probabihnente in Petron. 68,4s. Posservazione del narratore Encolpio sulla terribile esecuzione, ad opera di uno schiavo di Trimalcione, di un verso tratto da\VEneide virgiliana (5,1).59 Di contro Encolpio, ehe biasima grandemente tale pronuncia, si distacca decisamente, con la sua dizione, dalla lingua di Trimalcione e dei suoi amici liberti. Se il linguaggio di questi ultimi costituisce un socioletto ehe rispecchia un substandard parlato e ehe si caratterizza, come ogni lingua volgare, per una serie tanto di neologismi quanto di arcaismi, il narratore Encolpio, e con lui i suoi amici pi colti, si pone, dal punto di vista linguistico, su di un piano nettamente superiore. Sulla base di cio la loro lingua fu definita, a partire da B cheier, come 'urbana': si tratta di una lingua colloquiale, caratterizzata da svariate sfuma57
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Cfr. a tale proposito, con ulteriori esempi, V n nen 1981,45; Hofmann-Szantyr 1965,56 e Solta 1974, 50s.; ivi anche per quanto riguarda gli inizi del passaggio dal sistema quantitative) classic», a quello qualitative, tipico del latino volgare, sotto influsso osco. Si noti in questa poesia la scansione Venerem ed ubi. Influsso da parte dell'osco e da rilevare anche in iamus al posto di eamus: a questo riguardo Buck (= Prokosch 1905), 25 § 31. Su questo argomento, per maggiore completezza, cfr. Petersmann 1995,536s.
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ture linguistiche, determinate soprattutto a livello diafasico. Uno dei suoi segni distintivi e il raassiccio uso di grecismi lessicali, in gran parte da attribuire alia lingua letteraria, con i quali il narratore gioca. Ma mentre la parlata dei liberti, tramite un colorito locale utilizzato sicuramente di proposito ed immediatamente riconoscibile dai linguisticamente ben preparati lettori di Petronio, voleva dare un'indicazione geografica sul luogo della scena, il narratore Encolpio non proveniva dal canto suo dalla cittä in cui si svolge la Cena. Cio e ben evidente da Satyricon 81,3, dove egli cosi si lamenta: Effugi iudicium, harenae imposui.... ui... exul, in deversorio Graecae urbis iacerem desertus? Encolpio stesso, come anche il suo amico Ascilto, era giunto da fuori nella cittä della Cena di Trimalcione, al fine di dedicarsi allo studio della retorica latina. La contraddizione volutamente comica in questo passo consiste nel fatto ehe Encolpio, nonostante il suo nome greco, si serva, in misura ancora superiore a quanto facciano i liberti, della lingua latina e si senta, come del resto i liberti stessi, a tal punto latino, da esprimersi in maniera piuttosto sprezzante nei riguardi della menzionata Graeca urbs. E dunque anche Encolpio, anche se su di un piano linguistico totalmente diverse, costituisce, come Trimalcione ed i suoi compagni, originari dell'Oriente60 ma giä molto presto giunti in Italia, un esempio del processo di latinizzazione dell 'Italia meridionale nel I sec. d.C. Va da se ehe la lingua di Encolpio rappresenta un socioletto totalmente differente rispetto a quello dei liberti. Non saremo molto lontani dal vero nel ritenere ehe il suo modo di parlare, come anche quello del suo amico Ascilto, del poeta Eumolpo e di alcuni altri personaggi ehe compaiono nel Satyricon, rappresenti una varietä della dizione alta, tipica degli ambienti culturalmente piü elevati dell'Italia meridionale, ehe si sforzavano in ogni modo di attenersi alle norme stilistiche dell'elite culturale romana. In questo contesto anche il cosiddetto sermo urbanus in Petronio61 si dimostra un preziosissimo riflesso letterario del processo di latinizzazione, precisamente degli strati intellettuali dell'Italia meridionale, nella maniera in cui si era attuato, al principio del periodo imperiale come anche negli strati sociali piü bassi, in seno ^Imperium Romanum, e questo, per ribadire le parole di Sant'Agostino, civ. 19,7,18, per pacem societatis.
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Sull'origine Orientale e l'influenza sulla lingua dei liberti, cfr. soprattutto Bauer 1983, 17-23 ed ancora Hadad 1929,378-385 e Petersmann 1994, 538s. öl Cfr. in generate su tale varietä linguistica in Petronio Petersmann 1977,23-28.
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Aldo Prosdocimi II latino sommerso
0. Latino 'sommerso'
latino e basta?
Ho pensato di ricorrere all'etichetta 'latino sommerso' una decina di anni fa;1 non mi sono preoccupato piü ehe tanto se 1'etichetta fosse gia stata usata, perche" intendevo darle un contenuto ehe, nel mio iter, si era maturate a partire dalla metä degli anni '70; in quel periodo avevo puntato 1'attenzione sui processi di romanizzazione in relazione alia varieta intrinseca del latino per cui, applicata alia 'lazialita' del latino, avevo usato 1'etichetta 'latini' per designare le varieta del latino diverse dal latino di Roma (questo anche per rendere quello ehe in certa terminologia tedescofona oppone Latinisch e Lateinisch). Di concerto ho vieppiü focalizzato il latino come 'farsi' fino ad arrivare alia romanizzazione vista come fase della indeuropeizzazione: ma di questo, esposto in piü sedi,2 trattero altrove con lo spazio e la riflessione ehe il tema esige, perche il latino e il 'farsi-del-latino'. Tutto nella lingua e 'farsi', e non solo per chi segua il principio deU'energeia di Humboldt, specialmente nella accentuazione di Coseriu. Ma la lingua e anche ergon ehe si riproduce e genera erga ehe sono testualitä e testi desunti quali modelli da testi-erga ehe si riproducono con una logica diversa e dialettica rispetto aU'energeia; nella dialettica il punto cruciale e il rapporto ehe prevale tra il modello riproduttivo desunto dagli erga e Venergeia insita nella lingua. In una concezione di una lingua-come-farsi questo e sempre vero perche* in atto e fisiologico; in una lingua come il latino la dialettica ha assunto caratteristiche per cui la lingua-come-farsi, in quello ehe chiamero - e pour cause -il 'latino-senza-aggettivi', e divenuta patologica perche si ha una 'lingua-come-fatta', e come tale autoriproducentesi con restrizioni ehe non sono quello della normalita dialettica evolutiva e ehe hanno GIÄ NEL NASCERE i tratti strutturali per cui poi si parla di 'lingua morta'. Dopo 1'accenno al generale, ritorno alia sezione ehe ci pertiene: entro il quadro del 'latino-come-farsi' ho vieppiü realizzato ehe la terminologia ehe pone degli 'iati' nella evoluzione, e questi in una concezione lineare, risponde solo in parte alia realta e molto alia costruzione concettuale di questa realta, dalPantichita ad oggi. La concezione lineare nell'evolvere e fondata su una concezione unitarista3 della lingua in so, radicata oltre tutte le dottrine ehe predichino la varieta, e pratichino dicano di operare sulla lingua secondo la varieta. E una immanenza ehe va studiata nelle sue motivazioni perche potrebbe essere il modo di essere della lingua in rapporto alia socialitä, dove con 'socialitä' non intendo una socialitä metastorica ma tipi di socialitä da individuare; e un tema di onto- e filogenesi ehe lascio da parte per una constatazione: il modello lineare nell'evoluzione quale conseguenza 1 2 3
Prosdocimi 1991, 517-643; 1993a, 2419-2432. Da ultimo Prosdocimi 1995. Sulla non linearita e, prima, sulla non unitarieta ho trattato piü volte e operate di conseguenza; per tutti rimando a Prosdocimi 1978a, 84-98; 1978b, 335-371; 1995. Questa relazione puo esserne considerata una esemplificazione.
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del modello lineare nella sincronia non e un modello esplicativo adeguato; ove lo si assuma, si devono costruire spiegazioni ad hoc del tipo degli epicicli del sistema tolemaico: tutto, con nominalism! e/o artifici, puo tornare = essere fatto tornare; ma forse vale la pena di rivedere la validita del modello di cui gli artifici e/o nominalismi sono le conseguenze. Anche nella prospettiva ehe la concettualizzazione della 'cosa' faparte della 'cosa' nel suo essere e nel suo evolvere, restava e resta sempre una compartimentazione delle etichette quasi nomina consequentia rerum. In particolare, nel proporre riproporre I'etichetta 'latino sommerso' perpetuavo, senza rendermene conto, una vulgata per cui c'e UN solo latino senza qualificazioni, e qualsiasi altra cosa ehe non rientri in QUEL latino e un'anomalia, o, quali manifestazioni singole, e un errore, e un ALTRO latino: definiro QUEL latino 'latino-senzaaggettivi'. Come conseguenza fattuale il primo e illustre prodotto concettuale e il 'latino volgare' e poi altri 'latini', tra cui il 'latino dei cristiani' e simili; ma il latino volgare, anche per gli asterischi dei Gröber poi documentati, ha assunto una configurazione di realtä (appresso), illustre come si e detto perche alle origini delle lingue romanze. Non e questa realtä, meglio una sua realtä, ehe si mette in discussione, owiamente, quanto una sua posizione rispetto al latino-senza-aggettivi, cioe si contesta il 'latino-senza-aggettivi', specialmente nel come e concettualizzato, praticato, colonizzato. In altre parole, mi appariva sempre piü chiaro ehe e il 'latino-senza-aggettivi' ehe va qualificato nella sua realtä storica. Non si liquida la questione dicendo ehe, comunque sia awenuto, tra ideologizzazione antica e ideologizzazione moderna, il 'latino-senza-aggettivi' e \mfacturn ehe va accettato: va accettato certamente, ma va riqualificato in rapporto a facia quali il 'latino volgare'; di conseguenza, inteso nel modo predetto, qualificare significa riqualißcare, cioe specificare mediante qualificazioni e/o predicati espliciti e adeguati il latino-senza-aggettivi, e, insieme e correlatamente, rivedere il senso ehe assumono qualifiche come 'volgare' 'dei cristiani' 'sommerso', etc. La questione torna al suo nucleo, il senso o polisenso o il poliuso del termine 'realtä' in generale e, qui per il latino sommerso, tra realtä con reconstructum, realtä con postulazione di esistenza di una determinata fenomenologia, la posizione reciproca delle due 'realtä'. Anche per questo la questione sulla 'realtä' del latino volgare - tra realtä-realtä e realtäricostruita - meriterebbe di essere ripresa negli aspetti storiografici e teorici proprio a partire dal clima neogrammatico dei primi anni '80, dove realtä, fattualitä, esistenza storica, potenzialitä di esistenza, documentazione di realizzazione storica, etc. non erano spesso distinte; tale clima ha propaggini al 1960 in un attardato quale M.Leumann (1960, Isgg.); istruttiva al proposito come registrazione di incongruenze la 'cronaca' di Tagliavini.4 Da quello ehe si intrawede dai brevi accenni alia querelle sulla 'realtä' del latino volgare rispetto alia normalitä del latino 'volgare', e evidente ehe vi sono alia base vizi di categorizzazione e, correlatamente, 1'esigenza di dare un corretto senso storico a un corretto operare - per quanto un operare corretto fosse consentito da errori concettuali pregressi, teorici e quindi anche metodologici. Secondo una corretta categorizzazione titoli, temi, contenuti quali 'latino arcaico e latino volgare' (il mio stesso 'latino sommerso': avanti) non avrebbero dovuto esistere avrebbero dovuto essere inquadrati in modo diverse; qualifiche di latino 'dialettale e/o preromanzo' date a varieta di latino come quello dei cippi pesaresi non avrebbero avuto ragioni di nascere e ma avrebbero dovuto essere inquadrate PRIMA e DOPO aver risposto alia domanda : 'quale latino?', 'quali varietä 'alte' di latino?'. A monte ancora diciture di 'latino dialettale' 'latino rustico', di fatto date come qualifiche metastoriche, Tagliavini 1969', 209sgg., spec. 219-220.
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avrebbero dovuto come minimo venire storicizzate: 'dialettale' o 'rustico' rispetto a ehe cosa? quando? etc. La questione definitoria di 'dialettalitä' rispetto a una 'lingua' di riferimento non e propria del latino ma e generale: basti pensare al senso dei dialetti italiani rispetto all'italiano, il ehe ha portato a una dizione importante, quanto sottovalutata, di G.B.Pellegrini (1975) come 'dialetti d'ltalia'. Una concezione estrema ma coerente della pertinenza della storicitä culturale e/o politico-culturale e non strettamente genetica della defmizione di 'dialetto' e dovuta ad E.Coseriu;5 la dottrina sul dialetto evidenzia il carattere relativo nella definizione di dialettalitä, per cui va prima identificato il polo mediante cui una realtä linguistica e dialetto, e la rigorositä dell'identificazione nei termini definitori deve essere adeguata alia delicatezza e/o complessita della questione. Una tematica correlata alia 'dialettalitä' tra metastoricitä e storicitä e una costante dei manuali; ove preesista una varietä precedentemente conosciuta, le lingue 'figlie', nel caso la lingua romanza, non derivano direttamente dalla lingua 'madre', nel caso il latino (senza aggettivi): i dialetti medioindiani non derivano dal sanscrito; i dialetti neoiranici non derivano dall'avestico, etc.: questo perche le varietä continuano la lingua nella sua totalitä e non la lingua letteraria e/o di coine, di natura alta, per sua natura 'esemplare' e, in quanto tale, normativa, con selezioni, marginalizzazioni, esclusioni; ma questa e una dimensione o sezione di una lingua storica, in sincronia e in diacronia: una lingua storica, cioe la totalitä dell'essere di una lingua, continue nelle varietä intrinseche NON ad esclusione della lingua letteraria ma CON la lingua letteraria nelle modalitä di continuitä ehe pertengono alia lingua nella sua sue varietä letterarie; nel caso del latino, la lingua letteraria continua iuxta propria principia ed e latino esattamente come le varietä ehe evolvono in modo diverse e ehe sono la premessa alle varietä romanze. Si tratta di fatti noti ma da ridefinire come quadro: dizioni quali 'bilinguismo inconscio' di Devoto (1953), la categoria di 'parole semidotte', il modo di intendere la lingua sotto la scripta di Sabatini,6 ed altro di simile, presuppongono una lingua ehe e varietä in modo particolare, in quanto c'e varietä sincronica ehe fissa una varietä diacronica con una trasformazione dello status reciproco, quasi - per usare una metafora - la coesistenza dialettica di madre e figlia. Per latino-'madre' e latino-'figlia/o/i' il rapporto di coesistenza dinamica - a priori valido e/o normale per fasi precedent! e per altre realta linguistiche nell'essere storico - viene messo in risalto per una fase tardiva (cronologicamente anche se non logicamente) e la questione si propone come evidenza fattuale proprio perche si e in un momento di crisi di identitä delle varietä entro un unico contenitore come lingua unica unitaria; ma la questione non va posta dove ci sono ragioni per essere messa in risalto ma si pone PRIMA dove ci sono ragioni dirette, cioe documentalmente dirette: e il caso del nostro 'latino sommerso' ehe, propriamente, non e latino 'sommerso' a latere del latino ('-senza-aggettivi'), ma 'e = entro = nel' latino e basta, cosi come il latino volgare 'e = entro = nel' latino e basta; cosi come il latino-senza aggettivi non esaurisce il latino come lingua storica, con la conseguenza di collocare 'fuori' e qualificare come 'altro' sezioni del latino ehe sono state espulse emarginate dai propri canoni - e spesso si confonde questa selezione con 1'assenza documentale in auctores su cui e basata la selezione stessa: e una evidente circolaritä anche se in parte autorizzata dalla ideologia degli auctores 5 6
Per la notorietä del personaggio mi esimo dalle citazioni anche se non e sempre rintracciabile il luogo specifico, tra edito, pubblico in conferenze e seminari, inedito. In van lavori, a partire dagli anni '60.
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'esemplari'. Diviene cosi una implicazione interna ehe quello ehe non rientra nel latinosenza aggettivi, cioe il latino esemplato dagli auctores, e latino da collocare storicamente pariteticamente aü'altro; anzi e l'altro 'esemplare' ehe deve essere spiegato, storicizzato nella sua esemplarita, non con una posizione invertita - anche questa errata, perche la storicita del latino-senza-aggettivi e unfactum - ma con una complementaritä dove non ci devono essere giudizi di valore, ma una ricerca delle causalitä; in altre parole, dove il 'prima' e il 'dopo' non sia secondo una prospettiva a posteriori, ma secondo quella del farsi storico per cui dovrebbe prevalere il 'durante' mentre il 'dopo' dovrebbe essere relegato ai giudizi di valore. In questa prospettiva l'obiettivo finale di una partenza prospettivizzata come la nostra consiste nel riproporre un modo di intendere il latino e basta; per questo ho, da tempo, una progettualitä ehe spero di portare a termine almeno come schizzo o profilo: per ora sono apparsi cenni o spunti, sparsi non solo come sedi e occasionalitä ma anche e piü come intrinsecita; qualcosa si e maturato come quadro di insieme, in una sintesi di una decina d'anni fa tuttora inedita (ma a quanto vedo circolante tramite alcune copie dattiloscritte). Come tutto, e speciahnente per quanto mi riguarda, molto e giä cambiato (e sono certo ehe cambierä in iiinere); credo di aver chiarificato alcuni tratti portanti solo di recente e particolarmente in occasione di questo convegno e di un altro contemporaneo,7 apparentemente diversissimo per area, cronologia e indirizzo, per me invece collegato e causa prossima di riflessioni ehe portavano a trovare matrici o filiere di varietä letterarie alte ma alternative a quella poi egemone tra IV-III a.C. Lo sviluppo della relazione ha portato ad identificare nel ± 295 a.C. un punto capitale per il latino in Roma e in dimensione italica, dalla romanizzazione politico-ideologica 'dall'alto' dei Marsi conseguente alia battaglia del Sentino e riflessa nell'iscrizione di Caso Cantovio rivisitata8 e confermata, contro la vulgata e nella linea di Peruzzi (1961), come 'romana'. Anche questo e nella linea di rivendicare la qualitä del latino, anche quando veste forme diverse da quelle poi canonizzate; puo essere esasperante, ma e una cura d'urto necessaria per riportare ad una prospettiva non dico accettabile ma in cui si possa, almeno, ragionare mediante uso di ragione propria e non di scuola o di dottrina ricevuta. Mi sono dilungato per porre i limiti precisi di quanto nel Convegno ho detto nei termini di tempo consentiti, e ehe qui amplio per quantitä: si tratta di una scelta di esempi per cui si puo anche porre l'etichetta di 'latino sommerso' ma ehe, oltre questa e altre etichette (sulla cui fallacia e decettivitä ho detto piü volte), mostrano continuitä nel tempo, nello spazio, nella realtä socioculturale oltre il tetto cronologico e/o qualitative per cui si parla di 'latino volgare' o simili. Per ragioni pratiche ho dovuto rinunciare alia quantitä ed alia analiticita di quanto propongo; nel Convegno ho cercato di owiare con degli handouts 'propedeutici' ehe qui nonposso riproporre ma solo richiamare; in particolare, il lungo saggio del 1991 Tra romanzo e indeuropeo. IIlatino sommerso9 e richiamato con un indice tematico, mentre quello su 'andare'10 del 1993 e riassunto da una seconda versione (1998), radicalmente modificata. Una sezione particolare ehe andrebbe discussa in generale e in particolare caso per caso e la documentazione ehe, in vario grado, si appoggia all'italico; mi rendo conto ehe la sem7 8 9 10
La battaglia del Sentino. Scontrofra nazioni e incontro in una nazione (Camerino-Sassoferrato, 10-13 giugno 1998). Prosdocimi-Del Tutto Palma-Rocca in stampa. Prosdocimi 1991, 517-643. Prosdocimi 1993a, 2419-2432.
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plice proposta, anche evidente, e insufficiente perche non pone il come, il dove, il quando entro il latino ma solo il ehe; e cio e limitativo perche ho incentrato tutto il mio modo di porre la questione sul dove, come, quando. Non c'e spazio per 1'aspetto teorico della questione e mi limito al caso posto al § 5; cio rientra nel programma di attenermi in questo intervento ad una selezione di res e di riservare ad altra sede il quadro teorico e le conclusioni; alcuni cenni spunti generali affioreranno anche qui, ma sono dovuti al corso del colloquio e/o alia necessitä di dare significato alle res ehe, di per se, in quanto 'cosa' SONO e non significano e, se sono PATTE significare, non possono comunicare come fossero significazione intrinseca e primaria i loro potenziali contenuti di conoscenza.
1. Tra romanzo e indeuropeo: il latino sommerso (1991)
Malgrado sia stato steso in fretta, e decurtato in alcune parti, per entrare nella miscellanea in onore di G.B.Pellegrini, e malgrado - per un disguido correlato - non sia stato corretto in bozze (da cui errori ehe ne compromettono la comprensione), considero quel mio articolo del 1991 ancora valido come nucleo fondatore; non posso qui riprenderlo con ampiezza: ne riassumo alcune sezioni ehe portano lo spirito informatore, un indice di alcuni argomenti e uno schema. Y.Malkiel (1985) ha identificato in latino una allomorfia -al-ia sulle continuazioni romanze. Nel primo paragrafo sotto I'etichetta 'latino volgare' e identificato uno spazio/tempo corrispondente al 'latino sommerso', ehe lo stesso Malkiel (cit., nota 3, p. 146) fa rimontare a K.Sittl (1882). Malkiel nella conclusione (pp. 162-163) identifica una 'antichita indeuropea': "Les materiaux que nous venons de deployer - et cette recolte modeste laisse la porte grande ouverte ä un regain abondante (...) - ont confirme notre soup9on que au-ia, place ä cote" de au-us, est loin de consumer une exception ou de representer une forme isolee. II s'agit, au contraire, d'un schema, qu'on entrevoit plus clairement quand un temoignage philologique (comme dans le cas de neptia et ceruid) appuie la reconstruction. Un romaniste ne peut pas formellement assumer de responsabilile pour I 'interpretation des fails du latin qui ont trait a I'edifice de l'indo-europeen [corsivo mio]. Tout de meme est-il permis de constater qu'un element -/- marquant le sexe feminin (par exemple, dans certains noms d'agent) figure depuis longtemps dans la literature des comparatistes portant sur l'analyse de plusieurs langues de I'Antiquite. Pour ne pas sortir du cadre du latin, on a cru avoir rencontre les traces de cet element -i-, issu de -yal-yä (et, en derniere instance, de *jeHj-yH^ dans les formations en -ix, -tr-ix et en -i-na (...) et il ne manque pas de paralleles dans les langues apparentees, y compris le Sanscrit (...). II va sans dire que nos tatonnements gagneraient en importance si une equipe de travailleurs qui se debrouillent dans ce terrain limitrophe pouvait leur assigner une place concrete dans l'edifice de langues beaucoup plus anciennes que le 'latin vulgaire'." Malkiel ha colto nel segno e condivido pienamente 1'idea di un escavo ben addietro il latino volgare: e lo spazio ehe io definisco come latino sommerso. Malkiel mi trova altrettanto consenziente per il collegamento di -ia con sscr. -7 e per i rapporti con -a; nello stesso tempo trattavo questo stesso tema da tutt'altra angolazione e, in parte, per altri ambiti (appresso). La limitazione della "responsabilite du romaniste" non mi trova invece consen-
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ziente, non solo per una modestia esibita (ma ehe era aliena dal carattere di Malkiel), raa per una ragione intrinseca ehe non puö essere mascherata dalla compartimentazione disciplinare e/o dalla distribuzione delle competenze; queste sono necessitä pratiche - in parte risolvibili con una interazione multidisciplinare - ma non certo teoriche, specialmente ove, come nel nostro caso, creano una deformazione prospettica arrivando a sdoppiare l'oggetto. Se non sono la causa centrale, contribuiscono a perpetuare la prospettiva del TETTO ehe separa il 'latino' dal 'romanzo', o, in una migliore formulazione, il latino volto al passato rispetto al latino volto al futuro; viene accentuata cosi una frattura ehe esiste, ma non nel dove, modo e grado in cui e posta; di qui, per solidarieta, vengono ulteriormente ridimensionati se non annullati i motivi di discontinuitä, ehe esistono in misura ben maggiore e ehe devono trovare una sistemazione concettuale adeguata alia complessitä della realtä, non al suo affiorare documentario e/o selezionato da certa ideologia, antica e moderna. II richiamo di Malkiel ai femminili in -T- dell'indiano antico per i femminili latini in -Cia riporta a prospettive di spiegazione 'laringalista', ove l'ipotesi laringale e l'unico medium per raccordare -T- e -ia; Pallomorfia -CaICia non si spiega solo in termini fonetici, cioe col ricorso ut sie alle laringali ehe invece spiegano le allomorfie di cui tratteremo, ma si spiega con una cooccorrenza morfologica nella formazione del 'femminile' indeuropeo quäle categoria con espressione formale, dove i morfemi, a loro volta, potevano avere provenienze diverse. A proposito della morfologia per i temi in -a nella iscrizione gallica del Larzac credo di aver mostrato11 ehe l'allomorfia -al-ia affonda le radici nella formazione stessa ('creazione') del femminile indeuropeo come categoria, il ehe vuol dire in un passato remotissimo; credo pure di aver mostrato come le varie lingue indeuropee abbiano risolto in modo diverse le potenzialitä delPallomorfia: dalla fissazione a certi lessemi e non ad altri, dalla emarginazione öd eliminazione dell'una in favore dell'altra fino all'inserimento nello stesso paradigma di -a e -/ /- come e appunto il caso del celtico. Il latino 'ufficiale' appartiene al tipo della emarginazione o della eliminazione dell'una, -ia, öd alia sua fissazione lessicale senza allomorfia -al-ia; di contro, il latino 'sommerso' mostra un inaspettato awicinarsi dell'altro tipo, o almeno una insospettata conservazione delPallomorfia -al-ia, specialmente nella formazione dei verbi con allomorfia -arel-iare, cosi da pensare ad una funzionalizzazione in questo senso. II latino ha un fenomeno correlate tra funzionalizzazione ed emarginazione della coppia -ial-1, esito morfonologico di un unico morfema: non e un caso di morfonologia 'dall'indeuropeo al latino' ma ha almeno un riflesso romanzo (il tipo nepüalneptalneptis), per cui rientra nel nostro tema: di cio alia fine di questo paragrafo, in quanto richiede un inquadramento non esauribile con i semplici rimandi. Ritorno alle coppie (o terne) quali cervus : cervia; pullus : pullia', canis : cania : canicula (1991 § 1.3.1); ne ho tratto nuove prospettive etimologiche (1991 § 1.3.2) 'Veneto /«gialluja 'troia': latino "lupiallupaT'. A proposito di questo, sviluppo altrove la questione morfonologica ehe distingue *luppia da *lupia come *lup-ja vs lu- . § 1.3.3: -al-ia nominale come fondamento deH'allomorfia dei verbi -are-licare; alcuni esempi: *curtia, curtusl-ius ed *excurtiare, curtare, curtiare; acutiare : *acutare; trulla : trullia e veneto antico trugliare, it. intrugliare. II § 1.3.4 'fiiga : (popli)fugia \fitgax e non *fugiax : -Cal-Cia e le basi verbau -Caret-Ciare1 costituisce, con il paragrafo successive (1.4, subito appresso) un passaggio alle ulteriori implicazioni morfonologiche ehe io pongo in chiave laringale, ma ehe restano valide, anche se con minore esplicativitä, secondo una morfonologia non larin11
Prosdocimi 1989a, 190-206.
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gale. Ε il caso dei verbi romanzi tipo italiano -icare, -igare, -egare; secondo l'ipotesi ehe ho posto (1991) e ehe sintetizzo qui nello schema n. 1, la loro origine deriva da allomorfie ehe hanno la stessa cronologia (di partenza) dell'allomorfia -al-ia di cui sono (state) variant! morfonologiche. La questione ha piu facce, tra cui: una fonetica per quanto concerne 1'origine di allomorfi in -k-; un'altra, morfologica, per quanto concerne la funzionalizzazione degli allomorfi; un'altra, sociolinguistica, per quanto concerne il livello linguistico in cui i morfi erano vitali; un'altra, globale, consiste nel quando e nel dove sono nate queste variet morfologiche. II quando e il dove sono gli stessi di -al-ia: quando nelFindeuropeo si e formato il 'femminile' con apertura ad assumere ο no il morfo -s, con riflessi fonetici su *H2 (laringale ancora in atto), e con eventual! esiti morfologici; se e cosi, la data e antichissima, certamente anteriore al latino documentale, quindi e un caso esemplare di latino sommerso. Per illustrare quanto ho affermato e necessario un lungo giro, ehe ho distribuito in lavori editi e inediti,12 cui rimando, e ehe qui non posso riprendere se non nei titoli dei paragrafi, e, nel caso, con alcune brevi illustrazioni: (1991) § 2 'Femminili in -CeH2 (-CH2) e -CjeH2 (-CjH2y·. si ripropone in chiave laringalista la genesi della allomorfia -Cal-Cja con, in pi , la premessa al tipo -Cil-Cilj nella morfonologia -CjH2 >-CiH>-Ci e anche -Ci . § 3 t-H2 di derivative + -s>-ks: premessa per i nominativi in -Vk-': -a : -ex nel tipo -CoCa : -CoCex; -CoCek- e -CoCa, -ek-: -a primario (umbro furfa- e lat. forfek-; lat. vorta-: vortex; forme in -ek-: pandex, hirpexldentexlhibex, porta :portex : porticus, pollex, etc.); le forme in -ax; § 4 'Morfemi nominali geneticamente apparentati e i loro derivati verbau': cervia : cervix, gallus : gallina, scurra : scurrilis, servus : servio (umbro) sen- (an)seria-: servare etc.; a questo e connesso (§ 7.2) 'Latino cornix, cornisca, umbro curnac-, italiano cornacchia e collegati'. § 5. 'Ritorno al romanzo: lat. -icare, -igare, -Ciarel-Cire' (latino fitga '.fugare '.fugere e romanzo *fugire; latino fodere, (arcaico)fodire,fodare,fodicare). Un corollario. neptis, neptia *nepta: tra latino-indeuropeo e latino-romano. Secondo la comparazione, lat. neptis e dato come tema in -7- morfologizzato in -Γ-;13 il corrispondente e il sscr. napfi-h appartenente alia vrJtl-Flexion quindi con -7- < *-j(V)H-; 1'antichita della forma non e solo nella comparazione ma nella apofonia in atto: nept- vs nepot- ehe produce nepotia per riformazione; la forma nepta e attestata in CIL X 7648 e neptia in CIL XIII 8401, 11747, ed e data da Leumann14 come una rideterminazione della sessualit femminile tramite la morfologia -a. Una allomorfia -al-ia e una unita originaria di -ial-ϊ pone una prospettiva del tutto diversa. Premessa. L'aspetto di -7 e -ia come morfemi differenziati morfonologicamente hi latino e stato misconosciuto ο non accettato ο male inquadrato per pi ragioni, tra queste primarie: -7 e stato morfemicizzato come genitive (possessive) dei temi in -o-; -7- di femminile e rappresentato dal morfema -Ik-; il femminile 'normale' e -α e non -ia. Ci sarebbero libri da scrivere sulla storia della questione (specialmente per -7 di genitive), ma sarebbe storiografia di psicologia piuttosto ehe di linguistica, e questo va almeno evidenziato come condizionante nella non accettazione ο derivazione di alcune evidenze: mi attengo al rninirno. -7Jtrispetto al femminile sscr. in -7 presuppone un -7- di femminile + -k-, e cio indipendentemente dalla genesi di questo -k-, se morfologico puro ο morfologizzato da morfonologia (post)laringale, come pare evidente ma non e rilevante, come non e rilevante - anche se 12 13 14
Oltre al citato lavoro del 1991, Prosdocimi 1987, 483-505; 1989b, 137-174; 1990, 32-66; 1992, 93-160; 1993,117-184. Leumann, 19775,283-343. Ibid. 19775, 284.
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Aldo Prosdocimi
DERIVATORI IE protoflessionale Senza mozione
elo
-je/o 1+ -H2
+ -s
-eH2
-05, -jos
IE con mozione
[Questione di femminile singolare = neutro plurale]
tipo celtico
tipo IE -» latino predocumentale
-äl-jäl- nello stesso paradigma
-eft
-eft*
l
4,
-j(e)H3
-j(e)Hrs
*-t
4-jä(*-jal), -tk-s
l
-ex, -ak-s -ids
-a >-ä
l
tipo greco
tipo indiano
-äl-jä
(-a) -i
latino documentale
verbo denom.
-a- (-i/ja-)
-ek-s
-äk-s
*
-ika-
-aka-
[nutrire, -ikaneptis]
-ik-s
[-i femminile in etrusco come prestito]
Esiti italo-romanzi in verbi e sostantivi
-a-
-ia-
sost. -a
-ika-
-äka-
-Jkä-
-ia
figura l
DERIVATORI FUNZIONALIZZATI PER LO PIÜ AL FEMMINILE
IE arcaico IE meno arcaico
-eHJ-j(e)H2
-eH-s -äJ-jäl-'i
-äl-\lja tipo latino
tipo celtico -ik-s, -ek-s -ikfigura 2
-iH-s
(-ja) romano non centrale
-ä romano centrale
-al-jä (> -al-ja) tipo greco
-al-i
- genitivo tipo nutri-re ~ nutrt-ks
\-i in etrusco]
tipo indiano
latino sommerso
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evidente, salvo per quelli ehe non vogliono vedere - la morfologia del femminile celtico ehe, tradizionalmente, fa di - /jä un solo paradigma (lascio da parte la nuova giunzione, -a/-7). Non e rilevante perche -/0 di femminile e dimostrabile all'interno del latino: nutrix ha come denominative nutrire, il ehe presuppone *nutri; etrusco Uni 'luno' e prestito da un latino iuni, e non iunix, e non iunia (ehe e il femminile di iunius), e non - owiamente /«« «-;15 si potrebbere aggiungere un osco detfri,16 ma non c'e bisogno, come a rigore non c'e bisogno di nutrire di etr. Uni < lat. *ium, perche e sufficiente neptis in quanto presuppone un *nepfi come e dato per scontato e come e per necessitä interna. -7 di *«ep/irimanda a data antichissima, e si e fissato nel lessema non come morfema; la trasformazione in -is puo essere spiegata in piü modi, potenziahnente concorrenti e/o complementari: per esempio un *nepfi ehe passa a *nepff per la logica per cui -ä>-ä, e ehe e ricaratterizzato con -s secondo gli aggettivi femminili in -Ts della terza declinazione; oppure direttamente -7#ormai fuori categoria e stato metaplasmato direttamente in -Ts. La questione morfonologica e complessa a monte tra il tipo parti-s, menti-s ehe da pars e mens contro nepffs, in cui - - permane (segno di secondarieta?), e il caso dei participi femminili tipo^ferens ehe dovrebbero essere da *ferenfi-s in cui si ha 1'esito di -ffs. Resta ehe neptis presuppone *nepfi, mentre la normalita doveva essere neptia o, con morfologia alternativa, nepta, il tutto a una cronologia molto alta; resta ehe neptia e nepta sono alia base delle continuazioni romanze (REW 5892, 5843); neptis puö esserlo nell'istrioto nieto (REW5&93), ma non e rilevante rispetto al quadro ehe si presenta. II femminile di *ne-pot(-i)- e stato formato in modo tale ehe coesistono *nepfi, neptia, nepta; *nepfi via neptis e stata la forma egemone in una certa varieta di latino, mentre neptia e nepta sono continuate in un'altra varieta e non hanno Pasterisco solo per la casualitä di un paio di attestazioni epigrafiche: nella lingua il 'sommerso' neptia, nepta erano la normalita, il 'classico' neptis e Panomalia.
2. II upofecero Fr.Bader17 aveva attirato 1'attenzione sui perfetti plautini in -erunt e sulle forme di latino 'dialettale' in -0ront< -Yroni. Al seguito Marinetti e Prosdocimi18 hanno mostrato la maggiore ampiezza del fenomeno di -(^)r- nella 3* plurale del perfetto; sulle forme in cui -(P)r- non e seguita da -ont ma da altra morfologia piü antica, come -e in dedre (latino della Marsica e dell'Umbria) e, tramite questo, in atolere (latino della Marsica) e, verisimilmente, in steterai del latino di Satricum - diverse dalle altre varieta note ma per sua natura non 15 16 17
18
Prosdocimi 1995, 32sgg. Prosdocimi 1991, 623sgg. 1967, 87-105. In questo paragrafo e nei successivi la quantitä delle vocali e centrale e, pertanto, sarä segnalata la dove e rilevante all'argomentare; non sara invece segnalata dove non e rilevante all'argomentare come, per esempio, 'mfec- ehe nessuno contesta, ma lo sara in *sep- o *heb- ehe e oggetto del discorso. Nelle forme romanze, specialmente italiane, il timbro non e segnalato, o perche" non e rilevante - e questo e importante - perche oggetto del contendere, ma non escusso particolarmente in questa sede: e il caso di italiano ebbi ~ ebbi. Prosdocimi-Marinetti 1988,93-125; Marinetti-Prosdocimi 1997, 565-603, spec. 595sgg.
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'dialettale', anzi assolutamente 'romano' e 'alto' (v. appresso) - si e mostrato ehe -eront verisimilmente non e da *-is-ont con -is->-er- fonetico come nella vulgata, ma da -er- + -ont- per rideterminazione morfologica antica o antichissima; ma non e la genesi di -eront ehe e pertinente, quanto la sua antichitä, e la latinitä optima iure di -er- con -e- primario. Di conseguenza si e rovesciata la prospettiva corrente, per cui nel latino non e da giustificare -er- ma -er-, certamente nel tipo -erunt, ragionevolmente anche nel tipi -ere, ehe nella vulgata giustifica la lunga di -erunt tramite una lunga ehe e data come preesistente ma ehe non e giustificata in se" nella sua specifica morfonologia. -ere o -er e giustificabile: la Bader (1967 cit.) spiega -e- per comparazione ma, ammessane la validitä, non spiega la morfonologia; in Marinetti-Prosdocimi (cfr. nota precedente) _si sono poste due possibilitä esplicative: o *-er.s>-er#secondo l'equipollenza -*Yrs = -Vr del tipo gr. - , , secondo una componente laringale (convenzionalmente ///) nel costituirsi della morfologia di perfetto. Ma non e la spiegazione di -e- in -er- ehe interessa qui, quanto il suo uso per spiegare -erunt, ehe e un ennesimo esempio di pseudo-spiegazione quäle Variante di una regressio ad infinitum, e cioe chiudendo la regressio ad un anello dato ma non spiegato: -er(e) appunto. Quanto importa ai nostri fini e perö -erunt, la sua antichitä e, in questo, la sua primarietä rispetto ad -erunt; per la Bader e una antichitä 'indeuropea' giä per -erunt; per noi e certa I'antichitä 'indeuropea' di -er- e la primarietä di -erunt rispetto ad -erunt entro il latino o, con altra formulazione, entro i filoni indeuropei ehe sono andati a costituire il latino;19 in una varietä del latino, da collocare nello spazio, tempo, societä, livello fatico, POI letterariamente egemone ed esemplare si affermerä -erunt, con marginalizzazione o apparente eliminazione delle forme concorrenti. AI proposito non si e ancora al livello di proporre una spiegazione per dimostrare una tesi, ma si e a un livello logicamente precedente, quäle la razionalizzazione di una fenomenologia, il tentative di mettere ordine, partendo da -erunt ehe e vincente nel 'latino-senza-aggettivi', ma ehe non esiste o e marginale in tutto il resto del latino, dalle varietä antiche alle continuazioni romanze ehe, mediante il tipo fecero e non * fecero richiedono, senza spiegazioni ad hoc, fecerunt. Si deve partire da un fatto: tutta la fenomenologia ereditaria e anomala, a partire da -erunt come innovazione non occasionale ma impostasi come egemone; quäle innovazione rientra nella logica delle innovazioni nell'evoluzione della lingua, ma non rientra la sua posizione nella logica evolutiva: le continuazioni romanze dovrebbero avere *fecero, con eventual! margini di fecerunt tipo fecero, mentre e vero l'inverso. II tipo fecero neue lingue romanze puo essere (e cosi e stato) liquidato con una motivazione 'romanza-secondaria' cioe un awenimento posteriore alia (presunta) panromanitä di -erunt - o puo essere giustificato con una motivazione 'romanza-primaria' e cioe col rivedere il rapporto tra fecerunt e fecerunt entro il latino, non con la prospettiva dal basso ('romanzo-secondaria'), bensi con prospettiva dall"alto' ehe parte da quando fecerunt entra come innovazione e non come 'errore' su fecerunt e, poi, sul 'come', 'dove' (e 'perche') si impone su fecerunt. II punto piü importante e il 'dove', perche se il tipo romanzo/e'cero ne e continuazione, il 'dove' e la chiave di volta della spiegazione per il 'come'. Se fecerunt e latino normale, e fecerunt e un residue del passato marginalizzato öd eliminate, Penormitä della sproporzione tra il 'dove' di -erunt e di -erunt nel 'latino-senza-aggettivi' - anche oltre la logica di un certo modo di pensare il latino - sembra dare diritto ad una spiegazione 'romanza-secondaria', ed e quello 19
Prosdocimi 1995.
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ehe e stato fatto; ritengo ehe di fronte all'evidenza di un -erunt nei termini in cui si e posto e in una concezione del latino quale abbiamo delineato sopra ci siano gia gli estremi per privilegiare, se non esclusivizzare, a priori la spiegazione 'romanza-primaria', e doe confecero ehe coiAinaa fecerunt malgrado le difficolta del 'come' e del 'dove'. Quanto ho esposto ha un peso, per certi aspetti evidenza, anche se il tipofecero fosse isolate e senza riscontri, ma la coppia fecero/fecerunt non e affatto isolata, non solo alPinterno del casi di latino sommerso ehe esporro, ma all'interno dello stesso paradigma verbale del perfetto: anche qui si tratta di rivedere il latino nella sua fenomenologia e varietä, e non nella sua vulgata unitarista e selezionata del 'latino-senza-aggettivi'. Anche al seguito della revisione dell'iscrizione ILLRP 303 nel piü ampio quadro delle varietä di latino tra IV e III secolo a.C. (v. avanti), ritengo ehe la questione tra -eront ed -eront sia stata posta in modo deformante, tra -er- antica ed -er- romanza con -er- come intermezzo e non come varietä generalizzata, dominante solo a un certo livello di lingua; su questo torno dopo un breve excursus su un'altra fenomenologia del perfetto romanzo ehe non deriva dalla Variante egemone del latino 'classico': il tipo amosti in se e in solidarieta con il tipo amarono. A.Burger (1926).aveva mostrato ehe la flessione arcaica di noui era del tipo seguente: noui nösti nöuit nomus nöstis norunt Sostanzialmente senza conseguenza fmo all'articolo della Bader (1967 cit.), il tema e stato ripreso per il perfetto di amare da Marinetti e Prosdocimi;20 se il centro e la spiegazione di -u- del perfetto e di -s di amassolim analizzato come ama-s-s-olim = ama-u(i)-s-o/im, uno dei risultati - forse troppo poco evidenziati - e il congiungimento di amasti con nosti e di amarunt con nörunt. La 'grammatica' parla di -asti, -ärunt vs -äuisfi, -auerunt come forme 'contratte' simili, ma con implicazione di seriorita; tutto mostra invece ehe amasti e amarunt sono forme primarie e precedent! dirette di it. amasti e amaro(no). La questione -auetil ~ -ä- potrebbe essere riportata ad altre forme romanze di continuazioni di piuccheperfetto sintetico, ma per i nostri fini e sufficiente: amasti/'amarunt ha la stessa configurazione di fecerunt ed e antica come nosti/nörunt. Non mi dilungo qui su -a- di presente rispetto ad -a#, -au(i), -as- di perfetto perche se ne e trattato nei luoghi citati: mi sembra ehe la solidarieta di amasti e amarunt posta nella corretta prospective confermi la latinita 'romanzaprimaria' di fecerunt rispetto a fecerunt. Arrive alia rivisitazione dell'iscrizione ILLRP 303, dalla Marsica.21 E una lamina opistografa, lacunosa su uno dei lati; le due facce portano lo stesso contenuto, ma trasposto secondo due diverse varietä di grafia e di lingua: il primo testo (faccia B, secondo la successione - errata - data nella prima edizione) e stato riscritto (faccia A) secondo un modello di grafia e di lingua diverso dal precedente. Del senso del rifacimento ha trattato in questo Convegno A.Marinetti, e pertanto vi rimando; qui mi appunto su un dato a suo tempo sotto20 21
Marinetti-Prosdocimi 1993, 297-328 e 1997. Marinetti 1984-1985, 65-89; cfr. anche la relazione della stessa Marinetti negli Atti di questo Convegno, 41-59.
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valutato, e cioe la riscrittura delle forme di 3' plurale di perfetto -0re (documentata in B: ededre) come -0ront (A: Jront; fecroni) e non come -eront, cioe -eront. II presupposto di una riscrittura secondo un nuovo modello egemone, a priori irradiante da Roma, sembra una contraddizione; ma poiche le contraddizioni non possono essere nelle cose, bensi nella loro interpretazione e/o ideologizzazione, sarä da rivedere il senso di una scrittura con intenzionalitä puristiche ehe importa -0ront e non -eront (-eront per esclusione). Questa considerazione sarebbe sufficiente se limitata al nostro caso, dove la volontä di reincisione secondo un modello e l'evidenza, cosi come un nuovo modello ehe fa reiscrivere implica per evidenza il prestigio ehe perö non e il modello -eront. Si deve aggiungere non come qualcosa in piü, ma come costitutivo il latino 'pesarese' ehe ha il tipo -0ro(n)t; e anche questo, come ha evidenziato Peruzzi,22 e una varietä 'alta'; meglio: DEVE essere una varietä 'alta' perche come detto, ed e owio, tutto quello ehe e scritto in determinate situazioni socioculturali e per defmizione varietä 'alta', ahneno nelle intenzioni. Possono essere varietä volutamente alternative rispetto ad altre varietä alte, ma questo non le qualifica come 'basse', anzi e il contrario: come alternative e VOLUTE rispetto a varietä 'alte' e negate, sono volute e imposte come 'alte' a pari livello; piü ancora: ammesso ehe fossero varietä 'basse', il riportarle nel fatto scrittorio in contrapposizione a varietä 'alte' ne fa eo ipso varietä 'alte'. Questa meccanica puö apparire speculativa, ma non lo e se vi entra l'ideologia, e puo essere una occorrenzachenonfastoriaseeapplicataaunsingolo caso, limitato nello spazio, nel tempo e nelle condizioni socioculturali limitate e velleitarie. Ma la fenomenologia ehe si presenta non e cosi ne per individualitä spaziale ne per velleitarismo correlate ne per premesse culturali: si ha tutta una costellazione areale, Roma compresa, ehe nega -eront in favore di -(V)ront. Una duplice implicazione: se il modello viene da Roma, ma non e il modello ehe sarä POI di Roma quäle egemone, esemplare ed esclusivo - nel caso minimo - -(e)ront vs -eront, non vi era ancora un modello esemplare ed esclusivo e, quel ehe piü importa, un modello di prestigio, se non addirittura esemplare, portava -(e)ront e non -eront, e questo ha la forza della implicazione logica: -0re non sarebbe stato rifatto in -0ront se -0ront non fosse stato un modello di prestigio paritetico o superiore a -eront. II riferimento d'obbligo e l'iscrizione (per piü ragioni) princeps della Marsica romanizzata, la cosiddetta iscrizione di Caso Cantovio (= Vetter 228), secondo la sua qualificazione di testo del ± 295 a.C., pienamente latino come aveva giä visto Peruzzi,23 e di livello alto come sottolineo io, verosimilmente un latino della lingua della cultura di Appio Claudio;24 ma qui non e necessaria questa ulteriore identificazione: e sufficiente ehe fosse un latino 'alto' per defmizione. Peruzzi ha riconosciuto la lettura atolere e non atolero; tale lettura e ora confermata oltre ogni dubbio, malgrado lo status della documentazione in assenza dell'originale. In ILLRP 303 Marinetti (1984-1985, cit.) aveva riconosciuto una 3' plurale ededre, dove -0re e evidentemente la controparte di -ere di atolere con sincope, allora con -er-. [E impossibile dire di quanto ILLRP 303 B sia successiva all'iscrizione di Caso Cantovio; teoricamente puo essere quasi contemporanea: quello ehe e certo e la successione Caso Cantovio —> ILLRP 303 B entro la romanizzazione almeno a livello pubblico e ufficiale. In un quadro siffatto la variazione -ere [-ere] vs -0re puö non essere esclusivamente cronologica ma puo rappresentare una realizzazione coesistente di -ere. Questo aspetto puo essere 22 23 24
In piü lavori; da ultimo Peruzzi 1990b. 1961,165-194; 1962,117-140. Cfr. Prosdocimi nella relazione al Convegno La battaglia del Sentino, cit. sopra.
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importante per il passato di -ere, ma non e rilevante per il nostro discorso ehe si accorda sia con una allomorfia -ere/-0re, sia con una sequenzialitä in loco -ere>-0re.] L'identificazione di -0re come 3" plurale e stata contestuale al riconoscimento ehe -0re della prima iscrizione di ILLRP 303 (=B) era stata rinnovata e riscritta da un modello (divenuto) di prestigio e/o egemone, con -0ront e non come -eront: questo e un dato capitale se congiunto con -0ro(n)t del latino pesarese. Per ora e da collocare un passaggio necessario: -e finale di -ere (Caso Cantovio) puo avere piü matrici: -e, -e, dittonghi in -/, cfr. socie < *socioi, martses per -ais proprio nell'iscrizione di Caso Cantovio. II presupposto di -Vr/0r- tende ad escludere -edi -(er)e del latino arcaizzante ma classico; si aggiunga ehe la e lunga di -e(re) non e pacifica, per cui quando si ha una grafia -ere non detto ehe si abbia 1'esito di -erile e non di -erai con -ai > -e, salvo il caso ehe sia un - > -e secondo il tipo dulci > dulce; ma un -ai >-e>-e nel latino di Roma e impensabile alle cronologie di cui si tratta, mentre nella Marsica e ragionevole un -ai > -e (> ?) e un -e- alFinterno. Per eliminazione ed evidenza -e nella finale di atolere e ededre va riportato ad una forma attestata, steterAl dell'iscrizione di Satricum; -erai di Satricum si pone probabilisticamente come precedente di -ere/-0re del latino della prima fase di latinizzazione dei Marsi, quindi con -e > •0 ed -ai > -e. Riprendo un aspetto ehe per me ha evidenza di un fatto, come ho piü volte richiamato,25 e cioe ehe la lingua alia base dell'iscrizione di Satricum, pur essendo molto di versa da quel10 ehe sarä il latino 'alto' della Roma di II-I a.C., deve essere stato una varietä di Roma, e una varietä 'alta': la dedica dei suodales di Public Valerio il Publicola, il 'piu romano dei Romani', su una base di donario, in una grafia e quadratura accuratissima, non poteva essere altrimenti: steterai e quindi del latino di Roma di VI-V a.C., in una varietä 'alta'. Lascio da parte dederi di una dedica di HI a.C. giä tirata in campo per lo shock dell'impatto iniziale di steterai di Satricum; confesso ehe riconsiderando la questione Satricum mi ha stupito ehe le forme in -0re tirate in campo ad altro proposito non siano entrate nella discussione, ma non e questo il punto, bensi ehe non ne sono state tratte le conseguenze per 11 latino successive a Roma e, al seguito, fino alle varietä romanze. A Roma: era dottrina consolidata ehe -erunt era secondario da -eront da *-isont per rotacismo per incrocio con -ere; come anticipate - ma sulla fallacita di tali pseudointerpretazioni non si insisterä mai abbastanza - non si spiegava da dove venisse quella -ere, ma per certa logica falsamente esplicativa era sufficiente per spiegare la -e- di -erunt. Anche al seguito di Bader (1967 cit.), Marinetti e Prosdocimi (1988 cit.) hanno cercato di spiegare sia -er- sia -er- senza ricorso ad -Tsonl rotacizzato. Ritornero sul tema altrove; per i nostri fini qui e sufficiente portare a conseguenza dalla dottrina tradizionale di -erunt come da -isont>-eruni + -er(e); la conseguenza e una domanda, tanto semplice quanto priva di risposta: ehe fine aveva fatto -eronfi Era stato eliminato per restare sepolto in qualche passo metrico di Plauto? E se era stato sepolto, -erunt presupposto dal tipofecero delle lingue romanze e rinato o e stato rifatto dal nulla? E stato fatto rivivere da una sacca conservative? E owio ehe quest'ultima e una domanda retorica ehe riporta alia prima: fecerunt, quale ne fosse la genesi, non solo era esistito ma continuava ad esistere ben vivo oltre la 'superficie' tipo -erunt; non e lo strato sociolinguistico di -erunt ehe va rivisto, ma la motivazione sociolinguistica ehe ha imposto -erunt. E cio e ben evidenziato da una configurazione cronologica e spaziale. A questo punto si ritoma a 'Roma faori Roma' a partire da ILLRP 303. 25
Prosdocimi 1984,183-230; 1994, 365-377.
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Graficizzo semplificando: Pesaro
arger. II fenomeno fonetico e trattato in modo insoddisfacente da Leumann,35 ma non e questo ehe interessa qui, quanto la qualificazione degli esempi "apurßnem Fuciner Bronze (§ 5 Anm.2; marsisch-lateinisch) und apor Paul. Fest., apur Mar.Victorin, gramm. 6,9,17; fur ad klassisch-lat. nur arbiter (W) zu adi und baetere (umbr. arputrati 'arbitratu') und arcessere (W), wohl aus *ar-facessere; dazu altlat. arvorsu Lex Luc.usw., arfuise SCBacch. und anderes, arger 'agger' zeigt wohl Übertragung des ar vor g."36 Sommer-Pfister (1977) aggiunge "ARVORSARIO [CIL I2] 583, 20 (123/2 v.Chr.), aber ADVORSARIUM25. Nach Priscian II 35, 2ff. u.a. arvenas, arflnes usw. = advenas, affines (Seelman 311, Lindsay 328f.)" (p. 195) e, con rimando ulteriore al 6170 (p. 219), apur per apud in CIL I2, 5 (iscrizione latina dei Marsi); qui e citato "apur alt.n. Mart. Viet. 6,9,17, apor Paul. Fest. 24". L'aleggiare della 'dialettalitä', se non deü'influsso esterno - e spesso si lasciano confuse le cose - ha impedito di vedere un fatto essenziale: la qualitä della documentazione per arda (= per) ad e la qualitä della cosa arger/agger. La documentazione di ar-. Nel Senatusconsultum de Bacchanalibus (CIL I2 581) ricorre piü volte: "...neve inter ibei virei pious duobus, mulieribus plous tribus arftiise velent;....sei ques esent, quei arvorsum ead fecisent quam suprad scriptum est....", etc.; per quanto copia del documento promanante da Roma, si tratta di un atto ufficiale inciso su bronzo per essere esposto: la lingua deve essere adeguata, cioe di livello 'alto'. 35 36
1977', 152.
Leumann 19773,128.
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"arferia aqua, quae inferis libatur dicta a ferendo; sive vas vini quod sacri adhibebatur": cosi Paolo Diacono compendia Festo (qui perduto), a sua volta epitomatore di Verrio Flacco, il grande antiquario augusteo. E ragionevole pensare ehe il lemma originale contenesse si collegasse a quanto e compendiato in "inferia sacrificia, quae dis Manibus inferebant" (99L) e "inferium vinum id, quod in sacrificando infra labrum paterae ponebatur" (100L). E certo ehe Verrio Flacco aveva come fönte i libri pontificali, quindi la massima espressione culturale della 'letteratura' non 'laica' di Roma: ar- per ad- e latino, e di varieta 'alta'. Su questo fondamento saranno da qualificare, a conferma incrociata: arcesso (e su questo non occorre dilungarsi: v. il nuovo OLD s.v.); arvena e arventor come tecnicismi giuridici - e a Roma il ius e insieme religioso e civile sotto molti aspetti - potrebbero appartenere alia stessa varieta di arferia. "arvocitat saepe advocat" (Paolo F. 25L) ha rutta 1'aria di appartenere allo stesso filone di lingua giuridica, in quanto rientra nel 'vocare' con cui iniziano le XII Tavole e nella ripetitivitä del 'vocare'; di concerto vocare e tecnico nel diritto civile-religioso, come mostrano, per esempio, le tabulae censoriae e i Commentarii consulares in Varrone, /./. 6,86sgg. Lascio da parte arbiter ehe entrerebbe a pieno titolo in ad- >ar- di una varieta di latino legata al ius, perche vi e una etimologia37 ehe, se pur non del tutto convincente, associata a - - e non -i- di bit-, lo pone in epoche. apor di Paolo non e inquadrabile come arferia perche non si conosce il contesto in cui si trova in Verrio Flacco; apur {finem) dell'iscrizione latina dei Marsi non e invece da ascrivere a varieta marsica 'dialettale', ma a varieta di latino dell'epoca, perche - come aveva visto Peruzzi e come credo, assieme a Loretta Del Tutto Palma, di avere dimostrato38 - il latino dell'iscrizione vuole connotarsi come una varieta di latino 'alto', quindi, come mininio, apur finem vi compare come una varieta di latino 'alto', comunque non 'dialettale'. agger come 'cosa'. II termine e applicato ad ogni realtä ehe abbia a ehe fare con un 'terrapieno, rialzo del terreno' simili; ma un uso tecnico e di livello 'alto', perche e cio ehe delimita e difende un aggregato preurbano e protourbano (oppidum) e urbano (urbs) come si evince da Varrone e Livio: Varrone /./. 5,141 "Oppida quod opere muniebant, moenia; quo moenitius esse quod exaggerabant, aggeres dicti, et qui aggerem contineret, moerus"; 5,143 "Oppida condebant in Latio Etrusco ritu multi, id s o ss, 1
' II fenomeno e stato esaminato spesso e da molti. Per una bibliografia essenziale ed una analisi comprensiva, vd. B.Löfstedt 1961, 149-159, e anche Herman 1971 = 1990, 130-138; eccellente riassnnto in TekavCic 1972. 142-151. Non riorendero qui la discussione sullOrigine e la spiegazione della fluttuazione: nell'epoca ehe qui esaminiamo, si tratta certamente, per via di evoluzioni fonetiche convergent!, di una perdita dellOpposizione fonologica fra b e M consonantico (in origine [w]).
Jozsef Herman
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awicinano la regione al tipo 'sardo'. I cambi vocalici sono in grande maggioranza 'preromanzi'; in un caso su due sono 'promossi' da fattori morfologici (-iTper -it, ANNVS per annos). Nel consonantismo, e il gruppo B ~ K ehe si presenta col peso relative piü grande (un quarto degli esempi consonantici); troviamo inoltre - il ehe corrisponde al tipo sardo - un gruppo fornito da X > S(S) come in ICI1,55 PAS TIBI 4,54 VIA TRIS, e con forme ibride come ICI 4,16 VISIT & 4,34 BIXIT. TABELLA 5 Regio Augustea III (Bruttium) 80-
grafie con incidenza fonetica (N = 100 %): 53 grafie senza incidenza fonetica: 13
70-
grafieAE~E: 29 62%
605040-
38% 32%
30-
28%
20cambi vocalici 'preromanzi'
10-
fluttuazione B ~ V cambi vocalici
cambi consonantici
Dopo il quadro meno caratterizzato della Campania (v. sotto), abbiamo nel Bruttium (Tabella 5) di nuovo un caso 'estremo', sfortunatamente illustrato da un numero alquanto limitato di grafie. Le grandi linee sono tuttavia chiare. Su 53 grafie di carattere fonetico, 33 (62 %) sono consonantiche, dominano le grafie B ~ Fe quelle di tipo X> S; troviamo esempi in serie del tipo corrente bissit, ma anche casi di una tipologia piü rara, come ICI 5,11 [preJSVITER 5,28 VENE (= bene); una pietra come ICI 3,24 presenta contemporaneamente VISIT e la grafia inversa FIDELIX. C. Casi intermedi: Regio X(Venetia e Istria), Regio I (Latium, Campania) Abbiamo lasciato finora senza menzione la Regio X, ehe sembra occupare una posizione speciale, e ehe si valuta molto bene grazie alia chiara e completa descrizione fomita da Zamboni (1965-1968). Curiosamente, questa regione ci presenta una mobilitä su tutti i punti, con un vocalismo in trasformazione attiva, sia per le palatali ehe per le velari, ma anche con un carattere innovative nel consonantismo, compresa la fluttuazione B ~ V. E come se questa regione avesse adottato tutte le tenderize di cambiamento, dal Nord ma anche dal Sud di tipo 'sardo'. E da notare ehe questa mobilitä equilibrata e una delle caratteristiche del 'profilo' particolare delle iscrizioni cristiane di Roma. Si ha Pimpressione - e questo vale anche, forse, per la Regio X- ehe si tratti di un centre da intendersi non come punto di origine delle tenderize di cambiamento delle regioni extra-urbane, ma come un punto d'attrazione, unificatore, ehe raccoglie, riunisce le diverse tendenze unilateral! delle varie regioni.
Differenze territorial! net latino parlato dell 'Italia tardo-imperiale
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La regione I, centralissima, composta in parte dai suburbi di Roma, e presente nel nostro materiale con un numero molto modesto di epigrafi: lacuna ehe andrä colmata in ricerche ulteriori. Le grafie rilevate, nel l.oro stato attuale, riflettono uno stato d'equilibrio, poco caratterizzato in confronto con Roma con la regione X.
II. Grafie statisticamente non valutabili II metodo adoperato ha concentrate la nostra attenzione su differenze importanti, rese cosi visibilissime; pero, anche fra i cambi attestati da esempi isolati, ce ne sono alcuni degni d'attenzione. E da notare ehe nella Regio VII, dunque in Etruria, si trova qualche esempio di assimilazione nei gruppi Occlusiva + consonante', come ICI 4,36 SETEMBRES, e anche 1,71 SETTEMBRIS.™ Nel Bruttium (Regio 777) abbiamo 7C7 5,54 INDITIONE. Nei nostri dati provenienti dalle regioni IX et XI non ci sono esempi di tale assimilazione.13 Si noti ehe questi esempi, anche se scarsi, si incontrano nelle regioni ehe presentano con una relativa frequenza 1'assimilazione [ks] > [s], dunque X scritto S(S). Si potrebbe ipotizzare, nel Centro e nel Sud, una zona con una tendenza all'assimilazione delle occlusive preconsonantiche; rimasta intatta nel Nord, [k] in questa posizione avrebbe conosciuto, piü tardi, la palatalizzazione con gli effetti ben noti. Sfortunatamente nel suo stato attuale la nostra documentazione non ci da nessun chiaro orientamento sulla questione, assai importante e discussa, delle consonant! finali. Auspichiamo di poter tornare sul problema in uno studio successive.
Conclusion! 1. Ci siamo chiesti - ed era questo il problema da cui partiva la presente indagine - se fosse possibile accertare, servendoci di dati empirici sicuri, Pesistenza di differenze (di differenze, evidentemente, strutturali e non semplicemente onomastiche o lessicali dettate da realta locali) fra 1'uso latino parlato delle diverse regioni delPItalia tardoimperiale e delle isole vicine. La prima conclusione - ;inche nei termini piü cauti - ehe consentono i dati esaminati e una risposta affermativa: si, differenze sistematiche nel parlato delle diverse regioni esistevano, ed e possibile provarlo. 2. II metodo adoperato ci ha condotto a utilizzare solo dati statisticamentte valutabili, nonche abbastanza numerosi e strutturati per essere sottposti al controllo della 'statistica doppia', effettuato per eliminare 1'influsso di eventuali fattori culturali (vd. sopra, p. 126). Ab-
12 13
Cf. anche 3,17 VTOBRES nella Regio IV, qui peraltro non considerata. Orban (1973, 116-122) ha gia identificato la zona del Centra come territorio caratterizzato dal processo x>ss, e con propensione all'assimilazione dei gruppi del tipo to. Tuttavia, non disponendo di materiale meridionale, non ha intravisto ehe si trattava anche di una caratteristica del Sud e della Sardegna.
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biamo presentato cosi unicamente dati fonetici, ricorrendo a categorie fonologiche molto ample, trascurando necessariamente altri aspetti strutturali della lingua. Tenendo conto di queste limitazioni, siamo altresi in grado di affermare ehe, nel periodo in esame, 1'Italia delle regioni, vorrei dire 1'Italia rurale, era tagliata in due da certe isoglosse fonetiche: (i) una parte del Nord-Ovest, caratterizzata da uno sviluppo 'preromanzo' precoce ed attivo nel sistema dei fonemi vocalici, e da una certa mobilitä nell'elemento vocalico dei morfofonemi, ma con una situazione essenzialmente stazionaria nel consonantismo, ivi compresa una cospicua lentezza nell'assimilazione interna dei gruppi consonantici: il processo di formazione del vocalismo di tipo romanzo era giä awiato, allorche lo sviluppo verso le particolarita consonantiche dei nituri dialetti settentrionali, almeno al livello del nostro materiale, non sembra ancora annunciarsi; (ii) una parte centro-meridionale, potremmo dire - con un certo eccesso - 'sarda', i cui tratti si manifestano giä, in modo contenuto, neU'Etruria, e ehe e chiaramente presente nell'estremo Sud della Penisola, con disturbi marcati e un raggruppamento fonologico poco chiaro per le consonant! labiali sonore, soprattutto iniziali, e una tendenza all'assimilazione intema dei gruppi consonantici Occlusiva + consonante' particolarmente manifesta nello sviluppo > ss. Questa dicotomia 'rurale' si unisce in un sistema misto in grandi centri, come Roma e i territori vicini, e anche in zone di passaggio attive come il Veneto. 3. Infine, una terza conclusione, ehe non puo essere ehe vaga su questo punto, riposerebbe sulla constatazione ehe le isoglosse in parola non sono esclusivamente interne all'Italia. La mobilitä 'romanza' del vocalismo, 1'assenza della fluttuazione B ~ K, sono caratteristiche anche delle iscrizioni della Gallia, mentre un vocalismo molto conservatore a fronte di fluttuazioni consonantiche, specialmente nelle labiali, si ritrova in Africa. Ma con cio la nostra terza conclusione tocca problemi notissimi, di cui non trattiamo in questa sede.
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Günter Holtus Remarques statistiques ä propos des documents Italiens dans rinventaire systematique des premiers documents des langues romanes
l. Introduction Comme sujet de cette seconde table ronde ä propos de la linguistique historique, les organisateurs ont propose la prehistoir« de la langue italienne. Le premier des deux points principaux traite l'extension et l'adoption du latin dans la Peninsule italienne, le deuxieme point principal conceme le latin ou le protoroman en Italie, des debuts de l'Empire jusqu'ä Papparition des premiers monuments ecrits de l'italien. Quant ä ces sujets, des contributions importantes ont ete publiees durant les annees precedentes, p. ex. l'article fondamental de Joseph Herman (1988) sur la situation linguistique en Italie au VIe siecle, oü l'auteur met l'accent sur la situation bilingue latin-gothique et le rapport entre Pecrit et le parier, entre signe graphique et prononciation et oü il discute la forme graphique appropriee pour representer la langue parlde, utilisee ä cette epoque (cf. aussi Helmut Lüdtke 1964 a propos de la relation entre proces-verbal et lecture ä haute voix et son importance pour la genese des langues romanes ecrites); Herman a raison en appelant le sentiment de Phomogeniete territoriale du latin une illusion. Dans son article public dans le second volume du LRL (1996), le meme auteur traite les varietes du latin vues par les locuteurs de la langue latine. En plus, il faut citer, dans le meme volume du LRL, 1'article 97 d'Arnulf Stefenelli (1996), qui discute les theses concernant la formation et la fragmentation des langues romanes, Particle 98 de Robert de Dardel (1996a) traitant le roman commun et le protoroman (cf. aussi la synthese de"taillee du meme auteur, Ä la recherche du protoroman, 1996b), ainsi que Particle 100 sur les tendances de relatinisation de Wolfgang Raible qui souligne que le latin ecrit de la tradition merovingienne est plus proche du roman que du latin classique. Une vue d'ensemble informative sur la prehistoire des langues romanes est presentee dans le chapitre La cultura occidentale dal tramonto dell'impero romano alia fine dell'eta merovingia (secoli V-VIII) dans le volume Le origini delle ktterature medieval] romanze de Maria Luisa Meneghetti, apparu recemment dans la serie "Storia delle letterature medievali romanze". Les explications suivantes traiteront un sujet qui a dejä ete aborde dans quelques-uns des articles du volume Le passage 'ecrit des langues romanes, publie en 1993 par Maria Selig, Barbara Frank et Jörg Hartmann. Pour Peter Koch (1993), les resultats de PUnite de Recherches Interdisciplinaires de PUniversite de Fribourg en Brisgau, qui a pour objet une analyse des transitions et des tensions entre Poral et Pecrit, servent de base pour une typologie conceptionnelle et mediale des plus anciens documents/monuments des langues romanes. Koch se pose la question pourquoi certains documents ont apparu pour la premiere fois justement ä certains endroits. II s'agit done de savoir jusqu'ä quel point la repartition geographique et typologique des premiers documents des langues romanes peut etre interpretee comme resultat des circonstances historico-culrurelles. L'attention est attiree particulierement sur la situation en Italie et svir les premiers monuments ecrits de l'italien.
138
Günter Holtus
2. La structure et la conception de YInventaire systematique des premiers documents des langues romanes Le premier volume de YInventaire de Barbara Frank et Jörg Hartmann (1997) expose en detail la structure et les buts de cette oeuvre de documentation fundamentale pour la philologie romane. II faut surtout mettre accent sur les cinq points suivants: - L'Inventaire vise ä permettre une analyse de la naissance des cultures ecrites en langue vulgaire. Les facteurs pragmatiques apparaissant au moment du passage ä 1'ecrit ne peuvent pas etre le sujet de l'analyse parce qu'ils n'ont presque pas etc etudies. Par contre, il s'agit "d'essayer de repondre aux questions suivantes: Quels sont les groupes sociaux qui ont participe a la production et a la diffusion de ces documents? Dans quelles traditions de textes (latines ou autres) s'inserent les premiers documents romans? La repartition des traditions de textes vemaculaires laisse-t-elle entrevoir une succession caracteristique des domaines dans lesquels la langue vulgaire fait son entree?" (Frank-Hartmann 1997, 9). L'etablissement d'une classification par traditions de textes ou genres a pour but de "reconstituer les situations communicatives dans lesquelles les textes ont etc utilises, regroupant alors sous une meme etiquette tous les textes qui etaient destines au meme type de situation communicative" (ib., 61). II s'agit de replacer les documents dans des situations communicatives concretes (cf. aussi ib., 66). - La presentation des traditions de textes figurant dans YInventaire comprend neuf groupes (avec plusieurs sous-groupes): 1. Enonces metalinguistiques, explicatifs et commemoratifs 1.1. Inscriptions 1.2. litres d'images 1.3. Sceaux 1.4. Closes
1.5. Glossaires 1.6. Essais de plume et autres petits textes 2. Litterature de caractere religieux 2.1. Traductions et paraphrases de la Bible 2.1.1. Traductions de la Bible en prose 2.1.2. Traductions de la Bible en vers 2.2. Traductions de textes liturgiques 2.2.1. Traductions de textes liturgiques en prose 2.2.2. Traductions de textes liturgiques en vers 2.3. Paraliturgie 2.3.1. Sequences, drames liturgiques, etc. 2.3.2. Petits genres religieux 2.3.3. Liturgie cathare 2.4. Legendes hagiographiques 2.5. Sermons 2.6. Textes clericaux a usage pratique 2.6.1. Regies monastiques 2.6.2. Textes relatifs a la vie quotidienne des moines 2.6.3. Formules de confession 3. Litterature instructive et scientifique 3.1. Collections du savoir de base 3.1.1. Computs et listes des jours perilleux 3.1.2. Bestiaires et lapidaires
Remarques statistiques apropos des documents Italiens 3.1.3. Collections de proverbes 3.2. Theologie, morale et philosophic 3.2.1. Commentaires de textes religieux
3.2.2. Traites moraux, seraions en vers 3.3. Sciences pratiques 4. Poesie profane 4.1. Chansons de geste 4.2. Romans en vers 4.3. Romans en prose 4.4. Petits genres narratifs 4.5. Poesie lyrique 4.6. Poesie bourgeoise 5. Historiographie 5.1. Chroniques rimees 5.2. Historiographie en prose 6. Legislation 6.1. Lois et coutumes 6.2. Chartes-loi 7. Charles 7.1. Chartes fran9aises 7.1.1. Chartes fran9aises d'outre-mer 7.1.2. Charte anglo-nomiinde 7.1.3. Chartes normandes
7.1.4. Chartes de lOuest de la France 7.1.5. Chartes de l'!le-de-France 7.1.6. Chartes picardes 7.1.7. Chartes wallonnes 7.1.8. Chartes lorraines 7.1.9. Chartes champenoises 7.1.10. Chartes bourguignonnes 7.2. Chartes occitanes 7.2.1. Region du Centre I: Limousin, Quercy, Gevaudan 7.2.2. Region du Centre II: Albigeois 7.2.3. Region du Centre ΙΠ: Rouergue 7.2.4. Region du Sud-Est: Provence, Valentinois 7.2.5. Region du Sud: Pays d'Uzes, Nimois, Lodevois, Narbonnais, Toulousain 7.2.6. Region du Sud-Ouest: Comminges 7.3. Chartes italiennes 7.4. Chartes sardes 7.4.1. Charte gallurienne 7.4.2. Chartes logoudoriennes
7.4.3. Chartes arboreennes 7.4.4. Chartes campidaniennes 7.5. Chartes catalanes 7.6. Chartes espagnoles 7.6.1. Chartes navarraises 7.6.2. Chartes de la Castille septentrionale 7.6.3. Chartes leonaises 7.6.4. Chartes asturiennes 7.6.5. Chartes de la Castille meridionale 7.6.6. Chartes des rois espagnols 7.7. Chartes portugaises 7.7.1. Charte galicienne 7.7.2. Chartes portugaises 8. Lettres
139
140
Günter Holtus
9. Documents administratifs 9.1. Cartulaires 9.2. Tarifs 9.3. Releves 9.4. Notices. - Dans la Galloromania septentrionale, les documents latins entremeles de bribes romanes, c'est-ä-dire rediges en latin farci de vulgarismes, sont tres rares; cependant, vers 1200, on peut apercevoir une nette rupture: "Jusqu'en 1200 environ, toutes les chartes y sont clairement redigees en latin; ä partir de ce moment-lä apparaissent progressivement des chartes tout aussi indubitablement redigees en langue romane. On peut alors se poser la question si un changement aussi abrupt de la langue diplomatique est reellement concevable ou si apparition des premieres chartes en langue romane au Nord de la Loire n'a pas du etre precedee necessairement par une phase intermediate caracterisee par la presence de documents contamines par des elements vulgaires de plus en plus nombreux" (ib., 18), contrairement, par exemple, au Midi de la France: "Ce n'est done pas ä deux evolutions identiques, de part et d'autre de la Loire, dont 1'une a legue des temoignages nombreux et l'autre pour ainsi dire aucun, que nous avons affaire ici, mais bei et bien ä deux evolutions foncierement differentes. La meme constatation vaut pour l'Italie du Nord et du Centre ou une conscience linguistique relativement bien developpee n'a guere laisse de place qu'ä une demi-douzaine de documents en latin farci" (ib., 19). II parait preferable, aux auteurs de V Inventaire, "de moins conjecturer sur une eventuelle oralite sous-jacente et de se tenir davantage au röle pragmatique que jouent les passages en question dans la communication ecrite qui s'etablit ä travers la redaction de l'acte authentique - et c'est la precisement le type de recherches que nous aimerions promouvoir par le biais du present inventaire de documents ecrits medievaux" (ib., 20). - Puis, les auteurs offrent un aper?u des differentes configurations de contrastes linguistiques entre des parties de texte rencontrees dans les premiers documents des langues romanes avec, en tout, huit configurations differentes (ib., 21). - Quant ä Paspect chronologique de VInventaire, les auteurs soulignent que, du point de vue de 1'evolution linguistique, le tournant decisif semble se situer vers le debut de la seconde moitie du VIIIC siecle: "Cette limite virtuelle precede toutefois de plusieurs decennies les premiers documents effectivement conserves des langues romanes, qui marquent pour ainsi dire la limite anterieure reelle de notre Inventaire" (ib., 23). D'autres details peuvent etre trouves dans la description systematique du premier volume de Vlnventaire. Les donnees de Vlnventaire presentent une premiere base pour une etude de la repartition des premiers documents entre les differentes langues romanes et leurs regions d'implantation ainsi que leur apparition dans les differentes traditions de textes. Ci-apres, nous offrons un premier choix de dates qui aura besoin d'une future interpretation plus detaillee.
3. La repartition des documents de Vlnventaire entre les langues romanes
L7«ve«taj>ecomprend2548 documents qui ont etc rediges jusqu'ä Tan 1250 et dont ilexiste
141
Remarques statistiques apropos des documents Italiens
un manuscrit transmis jusqu'ä cette annee (ä l'exception de l'occitan: "Des 1200, la tradition des chartes privees ecrites en langue d'oc est bien etablie, et il n'y a, dans les decennies qui suivent, aucune evolution importante ni en ce qui concerne le caractere des chartes, ni en ce qui concerne les formules utilisees pour les differentes parties des chartes. Nous avons done decide de retenir seulement une centaine de chartes occitanes parce que 1'excellente edition effectuee par Clovis Brunei permet par ailleurs un acces facile ä ces documents": ib., 42; cf. ib., 104: limite chronologique 1170). Ces documents se repartissent entre neuf langues romanes et regions linguistiques. De cette epoque, il n'existe aucun document transmis du roumain ou du dalmate. Le tableau et le diagramme suivants illustrent cette repartition (en position horizontale, les neuf traditions de textes sont nomm£es; les documents avec deux ou trois langues romanes sont indiques apres le premier chiffre principal; ceux-ci peuvent mener ä ce que les resultats de P analyse, exprimee en pourcentages, se montent ä un total de plus de cent pour cent; dans les tableaux et diagrammes, on a utilise les abreviations suivantes: F = fran9ais, FP = francoproven9al, = occitan, I = Italien, S = sarde, C = Catalan, E = espagnol, P = portugais, RR = rheto-roman). Tableau n° 1: La totalite des documents jusqu'ä 125Q et leurs langues
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
F
50
149+1+1
79
103+1
29
43
734
10
38
FP
1
0
0
2+1
0
0
T
0
1
21+1
14+4+1
4
6
0
2
160
0
I
20
6+0+1
5
4
0
0
9
2
s
0
0
0
0
0
0
36
C
3+1
0+3
0
0
0
1
E
4
4
4
1
1
P
0
0
0
0
RR
2
1
0
0
nombre % absolu 1185+2+ 46,62 % 1 4+1
0,20 %
18+1 225+6+1
9,11%
32
78+0+1
3,10 %
0
4
40
1,57%
70
1
3
78+4
3,22 %
12
807
2
39+1
874+1
34,34 %
0
0
3
0
0
3
0,12 %
0
0
0
0
0
3
0,12 %
Les documents fran9ais represented presque la moitie du corpus. Pour espagnol, le nombre remonte a environ un tiers, pour l'occitan presqu'ä un dixieme. La part catalane est aussi petite que la part italienne. Vient ensuite la part du sarde devant les parts pareilles et presqu'insignifiantes du portugais et du rheto-roman sur lesquelles meme le francoproven9al empörte.
142
Günter Holtus
4. Les plus anciens documents dans les traditions de textes Dans le tableau suivant, les dix documents les plus anciens de chaque tradition de texte (avec sous-groupes) ont ete classifies par rapport ä leur langue. Vu le grand nombre de documents du groupe n° 7 (chartes), on a pris en consideration les 150 chartes les plus anciennes. Tableau n° 2: Les plus anciens documents dans les traditions de textes 1. I F I I 1.1. I I I I F F F F F F 1.2. F O O O F F 0 1.3. F F F E E I F 1.4. I I R I I I 1.5. F I F I R I F C 1.6.
C F O F F I
O O F F F
O F F F F
o
2.
2.1.1. 2.1.2. 2.2.1. 2.2.2. 2.3.1. 2.3.2. 2.3.3. 2.4. 2.5. 2.6.1. 2.6.2. 2.6.3.
0 F F 0 F F 0 O F F F I
F F F F F F F R F F 0
F F F F F F F 0 I F F
F F F . F F F 0 F F -
F F F 0 F F F F F -
F F F 0 F F F/O/I F E -
F F F 0 F F C/O O F -
F F F F F F . -
F F I F F F . . -
F F F F F I . . -
3.1.1. 3.1.2. 3.1.3. 3.2.1. 3.2.2.
F F F F F
F F F F 0
F F F F F
F F F E
F F F F
F F F F
F F F F
F F F F
I F F I
3.3.
F F F F F O
4.1. 4.2. 4.3. 4.4. 4.5. 4.6.
F FP O F F I
F F F F I I
F F F E F I
F F F F F -
FP/O F F F F -
F F F F F -
F F F F F -
F F F . F -
F F F . F -
F F F . 0 -
5.1. 5.2.
F F
F F
F F
F E
F F
F F
F F
F F
F F/O
F F
6.1. 6.2.
F F
C E
O E
F F
F E
F E
F F
F F
F F
F F
3.
4.
5.
6.
7.
[1-10]
I
I
I
I
O
O
C
O
C
143
Remarques statistiques apropos des documents Italiens
s s s ο s s ο ο
C
0 0
C 0 0
E 0 0
0
C 0
C
Ο Ο S 0
[11-20] [21-30] [31-40] [41-50] [51-60] [61-70] [71-80] [81-90] [91-100] [101-110] [111-120] [121-130] [131-140] [141-150]
s s ο s
ο ο ο
0 0
ο ο
Ε 0 Ο Ο
ο 0 ο
ο ο
ο s ο C s o o o s o
ο
s o s o s o o o o
0 0 0
0 0
0 0
o o
o o s C o o o o o 0 o o
0
0
F I F F
O E E I
s
0 0 C
o o
o o o
C
C C
o s o o o o 0 s 0 o o 0
C C
o o o o o o 0 s C I 0 0
C
o o o s o o o 0 C 0 C 0
o
8. 9. I 0 E O
9.1. 9.2. 9.3. 9.4.
S E E 0
S I I
s
s
o
F E O
I I
o
F O I E
O F I E
0 F E I
Le resume de ces resultats aboutit la repartition suivante pour chaque langue (pour les chiflres complementaires voir en haut). Tableau n° 3: La repartition des plus anciens documents entre les differentes langues romanes dans chaque tradition de texte nombre 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. % absolu
41/FP 1+1 18+1
F
27
68+0+1
49
O
9
11+1+1
2
2+1
I
17
3+0+1
2
S
0
0
C
2
E
RR
14
0
6
7
231+2+1
47,63 %
0+1
1
103
0
10
138+3+1
28,45 %
4
0
0
5
1
10
42+0+1
8,66 %
0
0
0
0
21
0
4
25
5,15 %
0+1
0
0
0
1
19
1
0
23+1
4,74 %
2
1
1
1
1
4
2
2
9
23
4,74 %
2
1
0
0
0
0
0
0
0
3
0,62 %
Une fois de plus, la part fran9aise occupe la premiere place, suivie par les documents des regions occitane et italienne. Les resultats pour le sarde, le catalan et l'espagnol sont peu pres identiques, tandis qu'il n'existe que trois documents rheto-romans et aucun document portugais appartenant ce groupe. Ce qui est frappant, c'est que, vu les chartes (groupe n° 7),
144
Günter Holtus
il n'y a aucune charte fran9aise parmi les 150 documents les plus anciens (la charte la plus ancienne date de la fin du XIIe siecle, les prochaines de 1203 et 1205); c'est egalement ä la fin du XIIe siecle que le premier document portugais d'une charte apparait (en galicien, 1230). De plus, il est frappant de voir qu'en ne considerant que le document le plus ancien de chaque tradition de texte (entout, il s'agit de 40 groupes), l'italien et l'occitan sont identiques, alors que le fran9ais occupe presque la moitie de tous les documents les plus anciens dans les traditions de textes: F = 21, FP = l, O = 8,1 = 8, S = 0, C = 0, E = 2, P = 0, RR = 0.
5. Les documents Italiens dans les traditions de textes Comme explique dans le troisieme chapitre, la part italienne de tous les documents monte ä 3,10 % (78+1 documents de 2548 en tout). Ces documents Italiens se repartissent entre les differentes traditions de textes de la maniere suivante (dans chaque sous-groupe, on nomme la totalite des documents, le nombre absolu et relatif des documents Italiens, avec leur chiffre utilise dans YInventaire et leur classement regional [abreviations d'apres le LEI], et, finalement, la repartition totale dans chaque groupe entre les langues romanes, leur nombre absolu et relatif, en pourcentages). Tableau n° 4: La part des documents Italiens dans les traditions de textes 1. 1.1. 23, dont it. 8 = 34,78 % (1001, rom.; 1002, piem.; 1003, rom.; 1004, piem.; 1006, pis.; 1007, pis.; 1019, sen./aret.; 1020,tosc.or.) 1.2. 9, dont it. l = 11,11 % (1024, cal. sett.) 1.3. 17, dont it. 0 = 0 % 1.4. 28, dont it. 2 = 7,14 % (1052, merid; 1077, centr.) 1.5. 13, dont it. 5 = 38,46 % (1078, lomb.; 1079, it.; 1082, it.; 1083, it.; 1084, it.) 1.6. 12, dont it. 4 = 33,33 % (1091, ver./friul.; 1093, amiat.; 1096, pist.; 1098, rom.) en tout 102, dont it. 20 = 19,61 %
F
50
49,02 %
FP
1
0,98 %
0
21+1
21,57%
I
20
19,61 %
C
3+1
3,92 %
E
4
3,92 %
RR
2
1,96%
2. 2.1. 2.1.1 2.1.2.
31, dont it. 0 = 0% 12, dont it. 0 = 0 %
2.2.1. 2.2.2.
7, dont it. 0 = 0 % 3, dont it. 0 = 0 %
2.2.
Remarques statistiques a propos des documents Italiens 2.3.
2.3.1. 2.3.2. 2.3.3.
21, dont it. 2 = 9,52 % (2062, cass.; 2072, ver.) 18, dontit. 0 = 0 % 1, dont it. 0 = 0%
2.4.
41, dont it. 1 = 2,08 % (2114, march.)
2.5.
28, dont it. 2 = 7,14 % (2139, piem.; 2143, pad.)
2.6.
2.6.1. 2.6.2. 2.6.3.
7, dont it. 1 = 14,29 % (2164, tosc.occ.) 7, dont it. 0 = 0 % 3, dont it. 1 = 33,33 % (2176, centr.)
en tout 179, dont it. 7 = 3,91 %
F
149+1+1
84,36 %
Ο
14+4+1
10,61 %
I
6+0+1
3,91 %
C
0+3
1,68%
Ε
4
2,23 %
RR
1
0,56 %
3. 3.1.
3.1.1. 3.1.2. 3.1.3.
10, dont it. 1 = 10,00 % (3010, tosc.) 11, dont it. 0 = 0% 4, dont it. 0 = 0 %
3.2.1. 3.2.2.
22, dont it. 0 = 0 % 28, dont it. 1 = 3,57 % (3057, cass.)
3.2.
3.3.
17, dont it. 3 = 17,65 % (3087, laz.; 3089, viterb.; 3092, ven.)
en tout 92, dont it. 5 = 5,43 %
F
79
85,87 %
Ο
4
4,35 %
I
5
5,43 %
Ε
4
4,35 %
4. 4.1. 4.2. 4.3. 4.4. 4.5. 4.6.
45, dont it. 0 = 0 % 39, dont it. 0 = 0 % 12, dont it. 0 = 0 % 7, dont it. 0 = 0 % 11, dont it. 1 = 9,09 % (4105, romagn.) 3, dont it. 3 = 100 % (4115, march.; 4116, volt.; 4117, tosc.)
en tout 117, dont it. 4 = 3,42 %
145
146
Günter Holtus F
103+1
88,89 %
FP
2+1
2,56 %
O
6
5,13 %
I
4
2,56 %
E
1
0,85 %
5.
5.1. 5.2.
15,dontit. 0 = 0 % 15, dont it. 0 = 0 %
en tout 30, dont it. 0 = 0 % F
29
96,67 %
E
1
3,33 %
6.
6.1. 6.2.
11, dont it. 0 = 0% 47, dont it. 0 = 0 %
en tout 58, dont it. 0 = 0 % F
43
74,14%
O
2
3,45 %
C
1
1,72%
E
12
20,69 %
7.
7.1. 7. .1. 7. .2. 7. .3. 7. .4. 7. .5. 7. .6. 7.1.7. 7.1.8. 7.1.9.
15 1 3 33 14 270 29 222 107
7.1.10. 45 F734 = 40,35 %
7.2. 7.2.1. 7.2.2. 7.2.3. 7.2.4. 7.2.5. 7.2.6.
19 21 96 4 18 2
0160 = 8,80%
Remarques statistiqms apropos des documents Italiens
147
7.3. I 9 = 0,49 % (73.001, camp.; 73.002, camp.; 73.003, camp.; 73.004, camp.; 73.005, tosc.; 73.006, march.; 73.007, march./asc.pic.; 73.008, pis./corso; 73.009, pis./corso)
7.4. 7.4.1. I 7.4.2. 11 7.4.3. 4 7.4.4. 20 S 36 = 1,98%
7.5. C 70 = 3,85 %
7.6. 117 7.6.1. 7.6.2. 243 263 7.6.3. 13 7.6.4 86 7.6.5. 7.6.6. 85 E 807 = 44,37 %
7.7 7.7.1. 7.7.2. 2 P 3 = 0,16% en tout 1819, dont it. 9 = 0,49 %
C'est-a-dire que la tradition de texte n° 7 comprend 71,39 % de tous les documents, dont la part italienne remonte ä 0,35 %. 8. 15, dont it. 2 (8005, tosc./pis.; 8014, tosc./sangim.) en tout 15, dont it. 2 = 13,33 %
F
10
66,67 %
I
2
13,33%
C
1
6,67%
E
2
13,33%
9. 9.1. 9.2. 9.3.
9.4.
16, dont it. 1 = 6,25 % (9001, march.) 42, dont it. 6 = 14,29 % (9019, laz.; 9020, tosc.; 9023, pist; 9030, fol.; 9035, aret.; 9058, tosc.) 62, dont it. 21 = 33,87 % (9061, pis.; 9062, lig.; 9064, sen.; 9067, abr.; 9069, ver.; 9074, fior.; 9077, sen.; 9081, sen.; 9082, sen.; 9083, sen.; 9085, sen.; 9088, sen.; 9089, sen.; 9090, tosc.; 9091, sangim.; 9092, sangim.; 9093, sangim.; 9094, sangim.; 9097, pist; 9101, sen.; 9117, sen.) 16, dont it. 4 = 25 % (9128, tosc.; 9130, sangim.; 9135, sangim.; 9136, sangim.)
en tout 136, dont it. 32 = 23,53 %
148
Günter Holtus
F
38
27,94 %
FP
1
0,74 %
O
18+1
13,97 %
I
32
23,53 %
S
4
2,94 %
C
3
2,21 %
E
39+1
29,41 %
II en resulte la repartition suivante des documents Italiens dans la region linguistique italienne (ordre et abreviations d'apres les principes du LEI). Tableau n° 5: La repartition regionale des documents dans la region linguistique italienne lig. (1), piem. (2), verc. (1), lomb. (1), romagn. (1), ven. (1), pad. ( 1), ver. (2+1), sett. friul. (0+1) lose. (7), tosc.or. (1), fior. (1), tosc.occ. (1), pist. (3), pis. (4+2), volt. (1), sangim. tosc. (8), corso (0+2), tosc.merid. (1), vit. (1), amiat. (1), sen. (10+1), aret. (1+1) march. (4+1), fol. (1), laz. (2), rom. (3), asc.pic. (0+1), abr. (1), cass. (2), camp. centro-merid. (4), cal.sett. (1) d'autres classements generaux: it. (4), centr. (2), merid. (1), en tout it. (4), sett. (11), tosc. (42), centr. (2), centro-merid. (19), merid. (1).
6. Conclusion II va de soi que les donnees quantitatives, presentees dans cet expose, ne permettent que quelques conclusions restreintes qui sont ä completer par des analyses detaillees et plus particulieres. Pourtant, il en resulte quelques eclaircissements dont Pimportance pour les futures recherches doit etre esquissee brievement. - Plus que la moitie des documents de VInventaire, dates avant 1250, est issue de la Galloromania (dont presque 47 % du Nord, 9 % du Sud de la France). L'espagnol a egalement une representation assez forte tandis que, quant ä l'aspect quantitatif, Pitalien, etonnamment, ne joue qu'un röle marginal (il est meme depasse par le Catalan). En ce qui concerne les documents transmis jusqu'ä cette date, le sarde, le portugais et le rheto-roman ne jouent presqu'aucun role. - L'apparition du premier document dans chacune des langues differentes de la Romania s'etend sur une periode de plus de 400 ans (le roumain et le dalmate ne sont pas pris en consideration). Cela veut dire que, dans les regions linguistiques de la Romania, de differentes circonstances historico-culturelles sont responsables pour le remplacement du latin par les langues romanes. Au debut de 1'evolution, il y avait les trois 'grandes' langues, 1'italien, le fran9ais et l'espagnol, suivis par Poccitan, le Catalan et le sarde, et ce n'est qu'ä la fin (dans le cadre des documents de Ylnventaire, rodiges jusqu'ä 1250) que 1'on trouve le rheto-roman et le portugais (le galicien inclus). - Vue la tres grande part quantitative des documents de la Galloromania, il n'est pas eton-
Remarques statistiques a propos des documents Italiens
149
nant que les documents fran9ais et occitans aient egalement la primaute parmi les dix (quant aux chartes: parmi les 150) documents les plus anciens (presque 3/4 des documents dans ce groupe). Par centre, il est etonnant que la part italienne soit assez grande (occupant presque 9 % des documents). Tandis que le nombre de documents (environ 5 %) du sarde et du Catalan correspond ä leur part quantitative totale, Pespagnol est clairement reste en arriere: bien que les documents espagnols reviennent ä un tiers de tous les documents, les plus anciens documents espagnols ne comprennent que 4,7 % des documents appartenant ä ce groupe. D'autres recherches plus detaillees devraient approfondir la question de savoir pourquoi, dans les differentes traditions de textes de Vlnventaire, on retrouve des repartitions si differentes, par exemple la forte position de Pitalien dans le groupe n° l, de l'occitan dans le groupe n° 2, de l'espagnol dans le groupe n° 6, le manque du fran9ais dans le groupe n° 7 des 150 documents les plus anciens et le nombre relativement grand des documents occitans, Italiens et espagnols dans le groupe n° 9. Ici, on voit done que les langues romanes occupent des positions bien differentes dans les differentes traditions de textes dont les causes sont encore ä elucider. -Les documents apparaissant jusqu'ä 1250 dans la region linguistique italienne se concentrent clairement sur la Toscane (42 de 79 documents) et ici surtout sur Sienne (10+1 documents). Ä peu pres un quart des documents vient de la region du Centre-Meridional, et ici surtout des Marques, de la Campanie et de Rome. Le Nord est peu represente et on n'y trouve pas de priorites quant ä une region (ä un certain degre peut-etre le Piemont ou Verone). Pour 1'Italie, on ne trouve done pas d'indices montrant que le remplacement du latin par la langue vernaculaire se soit propage, quant ä l'aspect quantitatif, ä partir des zones peripheriques; ceci pourrait etre le cas, du point de vue chronologique, seulement pour quelques-uns des documents les plus anciens. - La part des documents Italiens dans les differentes traditions de textes est egalement frappante. Le plus grand nombre se trouve dans les groupes n° 9 (23,5 %) et n° 1 (19,6 %); vu le petit nombre absolu dans le groupe n° 8, le nombre relatif de Pitalien (13,3 %) ne compte guere. Dans les groupes 2, 3 et 4, la part italienne varie entre 3 % et 5 %. Quant au groupe n° 7, la part italienne est ä negliger (0,5 %) et dans les traditions de textes n° 5 et n° 6, Pitalien n'apparait pas. Ici aussi, il faut se demander quelles causes et quelles explications pourraient etre mentionnees pour cette repartition si differente. La meme question se pose pour les autres langues romanes, par exemple en ce qui concerne la grande part du fran9ais dans les groupes n° 2, 3, 4, 5 et 6 avec plus de 75 % et, par centre, la petite part dans le groupe n° 9 et, en comparaison avec le nombre absolu, la part appropriee dans les groupes n° 1, 7 et 8; de nettes variations apparaissent aussi dans les parts de l'occitan, de Pitalien et de l'espagnol. Sans conteste, le merite de Vlnventaire est de presenter une premiere base pour Panalyse de P apparition et de la repartition des documents les plus anciens rediges en une des langues vernaculaires de la Romania; en ce qui concerne les causes responsables pour le remplacement du latin dans les differentes regions linguistiques, il est ä souhaiter que, partant de cette base, des recherches plus detaillees soient effectuees. De cette fa9on, il serait possible d'eclaircir les rapports qui existent entre la prehistoire d'une langue romane et la premiere apparition d'elements vernaculaires dans des textes latins ou bien Papparition de premiers textes rediges entierement dans une langue romane.
150
Günter Holtus
Ouvrages cites Dardel, Robert de (1996a), Gemeinromanisch - Protoromanisch/Roman commun - proto-roman, in Holtus-Metzeltin-Schmitt 1996, 90-100. — (1996b), A la recherche du protoroman, Tübingen, Niemeyer. Frank, Barbara-Hartmann, Jörg (edd.) (avec la collaboration de Heike Kürschner) (1997), Inventaire systematique des premiers documents des langues romanes, Tübingen, Narr. Herman, Joseph (1988), La situation linguistique en Italie au Vf siede, RLiR 52, 55-67. — (1996), Varietäten des Lateins/Les varietes du latin, in Holtus-Metzeltin-Schmitt 1996,44-61. Holtus, Günter-Metzeltin, Michael-Schmitt, Christian (edd.) (1996), Lexikon der Romanistischen Linguistik (LRL), II. l: Latein und Romanisch. Historisch-vergleichende Grammatik der romanischen Sprachen/Le latin et le roman. Grammaire historico-comparative des langues romanes, Tübingen, Niemeyer. Koch, Peter (1993), Pour une typologie conceptionnelle et mediale des plus anciens documents/monuments des langues romanes, in Selig-Frank-Hartmann 1993,39-81. Lüdtke, Helmut (1964), Die Entstehung romanischer Schriftsprachen, VRom 23, 3-21. Meneghetti, Maria Luisa (1997), Le origini delle letterature medieval! romanze, Roma-Bari, Laterza. Pfister, Max (l979-), LEI. Lessico etimologico italiano, Wiesbaden, Reichert. Raible, Wolfgang (1996), Relatinisierungstendenzen/Tendances de relatinisation, in HoltusMetzeltin-Schmitt 1996, 120-134. Selig, Maria-Frank, Barbara-Hartmann, Jörg (edd.) (1993), Le passage ä l'ecrit des langues romanes, Tübingen, Narr. Stefenelli, Arnulf (1996), Thesen zur Entstehung und Ausgliederung der romanischen Sprachen/Formation et fragmentation des langues romanes, in Holtus-Metzeltin-Schmitt 1996, 73-90.
Par Larson Tra linguistica e fonti diplomatiche: quello ehe le carte dicono e non dicono
1. II presente contribute si trova, del tutto preterintenzionalmente, a costituire un secondo intervento nella discussione sull'uso della documentazione aperta da Alberto Varvaro nel primo volume di quests serie. Come il Varvaro, io desidero semplicemente attirare 1'attenzione dei lettori su una tipologia di fonti d'informazione linguistica e fare un po' di Quellenkritik. Che le fonti diplomatiche costituiscano un ricco serbatoio d'infiormazioni linguistiche per 1'epoca di transizione tra antichita latina e medioevo volgare e un fatto ampiamente riconosciuto. Eppure gli studiosi del latino tardo hanno spesso preferito occuparsi in primo luogo di composizioni di altro genere, come trattazioni agiografiche cronachistiche, manuali tecnici, compilazioni giuridiche, ecc. E in fondo non si puo dare loro torto, giacche i documenti o, per usare il termine corrente, le carte, porgono una serie di problemi ehe riducono la loro utilita dal punto di vista del linguista. E vero ehe le carte, a differenza dalla maggior parte dei manoscritti letterari, sono per lo piü ben collocabili cronologicamente e geograficamente, ma il possibile valore di spontaneita di certi tratti linguistic! ehe vi si riscontrano viene diminuito da un fatto ehe non si puo mai ribadire abbastanza: si tratta di testi giuridici i cui estensori adoperavano una lingua di tradizione giuridica, conservativa, e fin dalle origini estremamente formularizzata. E allora bisogna astenersi dall'usare le carte come fonti linguistiche? No di certo: ma e necessario procedere conjuicio. Nei paragrafi ehe seguono vorrei esporre un paio di esempi di uso giudizioso (a mio awiso, naturalmente) delle fonti diplomatiche. II punto di partenza sono i due volumi del Codice diplomatico longobardo di Luigi Schiaparelli; per i testi del mezzo secolo successivo alia caduta del regno longobardo (774-825) mi sono servito delle edizioni disponibili, rivedendo ovunque fosse necessario i document! sugli original! o su fotografie.1 2. II CDL e stato oggetto di collazione e analisi in buon numero di studi: qui si possono menzionare Funcke 1938, Politzer-Politzer 1953 e Tekavcic 1975, per i quali costituisce 1'oggetto diretto della ricerca; assai importanti sono anche le osservazioni dedicatevi in Löfstedt 1961. Lo studio dei coniugi Politzer ha avuto una certa risonanza, riscuotendo numerosi consensi (cfr. Löfstedt 1961, 19 nota 1, Avalle 19833, 43), ma anche qualche critica, rivolta soprattutto alia schematicitä inerente al metodo di ricerca (Löfstedt 1961,19, e 1983, 475-476). Mentre Löfstedt e Tekavcic non si pronunciano sul possibile grado di aderenza al volgare del latino documentario del CDL, i Politzer, pur non spingendosi a identificare la lingua dei document! con il registro orale dell'epoca, suppongono tuttavia "a definite conLo spoglio ehe costituisce la base di questo articolo fu effettuato circa un decennio fa, e ci sono poi ritomato a piü riprese: il recente completamento delle Chartae Latinae Antiquiores ha permesso un ulteriore controllo di tutti i document! scritti entro anno 800. I risultati complessivi sono esposti in Larson 1988, la mia tesi di laurea, ehe, pur restando inedita, e stata tenuta presente da qualche studioso (cfr. Maraschio 1993, 149-154).
152
Par Larson
nection" tra i due registri linguistici (Politzer-Politzer 1953, I).2 Tale presa di posizione ha le sue naturali conseguenze: le forme vengono contate senza distinguere fra parti palesemente di formulario - dove element! peculiari del latino classico si possono ritrovare immutati al volgare3 - e parti relative a fatti contemporanei alia stesura dei documenti: senza distinguere, cioe, fra forme e costrutti sicuramente letterari ed element! soprawissuti anche nelle lingue romanze. II materiale raccolto viene sottoposto a un'analisi di tipo quantitative, calcolando gli esempi dei vari fenomeni definiti 'volgari' insieme a quelli ehe rispettano la norma classica, e si stabiliscono le percentuali di scarti dalla norma classica nei diversi gruppi di documenti. Purtroppo, pero, 1'analisi linguistica quantitativa dei testi e uno strumento pericoloso: usato in modo improprio da risultati del tutto inaffidabili, sebbene il calcolo precise e i grafici statistic! diano una rassicurante impressione di rigore scientifico.4 Per trovare una via di uscita da questo impasse e necessario tener conto di un noto lavoro di Francesco Sabatini (1965), dove viene sottolineata l'assoluta necessitä, per il linguista ehe affronta i document! altomedievali, di fare distinzione tra le parti di formulario - protocollo e escatocollo, datazione, ecc. -, e le parti piü libere del dispositive. In tali parti 'libere' - specificazioni dei confini di terreni (venduti, donati permutati); elenchi di prodotti del suolo (ehe i coloni devono pagare al padrone); inventari di beni, ecc. - affiora un registro di lingua alquanto differente dall'usuale latino documentario. La spiegazione di ciö e assai semplice: il notaio, stendendo quelle parti dei documenti, non poteva appoggiarsi ai soliti repertori formulari, ma "doveva imbastirle personalmente, anzi il piü delle volte, praticamente sotto dettatura degli interessati" (Sabatini 1965, 975). Nell'articolo appena citato viene esaminata una serie di brani, 'liste nominali', contenuti in una ventina di testi, documenti e formulari dei secoli VI-XI, provenienti dall'Italia, dalla Gallia e dalla penisola iberica. I dati emersi dall'analisi di tali brani concordano perfettamente tra di loro: in tutte le liste esaminate, le denominazioni degli oggetti compaiono "in una forma unica (singolare plurale) valida per tutte le funzioni sintattiche" -1 decl. sing, -a I plur. -as; II -o/-os (n. pi. -a); III -e/-es (Sabatini 1965, 978-979, ripreso da Zamboni 1998a, 113-114 e 1998b, 667; cfr. anche Petrucci 1994, 13-14) -, mentre nelle restanti parti dei documenti la grammatica e stata rispettata fin dove la competenza degli scribi lo permetteva. Lo studio del Sabatini e incentrato sui fatti morfologici, ma si puo aggiungere ehe anche certi fenomeni gra-
2
3
4
"Whether the language of the documents is the spoken language or merely reflects it, will have no bearing on the significance of our findings. For even if the deviations from Classical Latin found in the language merely indicate a spoken language apart from that of the documents, the relative frequency of those deviations can still be considered as representative of the spoken language itself (ibid.). Per i documenti della Francia e sufficiente un rimando a Vielliard 1927, IX-X e Herman 1992, 176-177. Secondo uno studio piü recente degli stessi document! analizzati dalla Vielliard (Falkowski 1971), il fatto ehe il latino merovingico contenga element! volgari starebbe invece a dimostrare tout court il suo carattere di "lebendige, dem Wandel unterworfene Sprache": gli elementi retorici antichi contenutivi dimostrerebbero a loro volta il valore dei documenti merovingici come testimoni della continuitä culturale (Falkowski 1971, 120; cfr. Calboli 1984, 65). Se e difficile condividere tali opinioni, pare addirittura impossibile trasferirle alia situazione italiana (cfr. Zamboni 1998b, 622-623). Cfr., a mo' di esempio, Carlton 1973,217 sgg., e il relative giudizio in Löfstedt 1983,475. La mia intenzione non e certo negare la bontä dei presupposti teorici di Politzer-Politzer 1953 (ben esposti in Politzer 1951): le critiche riguardano l'applicazione a tappeto di tali criteri a un corpus come il COL.
Tra linguistica efonti diplomatiche: quello ehe le carte dicono e non dicono
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fici compaiono con una distribuzione analoga, con maggior frequenza e coerenza nelle 'parti libere' dei documenti: e lo stesso vale decisamente anche per il lessico.5 Alia categoria testuale delle l i s t e n o m i n a l i, alle quali il Sabatini (1965,976) affianca l e d e s c r i z i o n i di t e r r e n i , talvolta conriferimenti a t o p o n i m i ο con indicazioni di distanze (e, si puo aggiungere, misure di capacit e peso) misurate secondo 1'uso locale, ecc., andrebbe aggiunta un'ulteriore categoria, ehe almeno fino a pochi anni fa non aveva ricevuto la meritata attenzione da parte dei linguist!: le n o t e d o r s a l i, gli attergati dei documenti. Gia Luigi Schiaparelli - uno dei primi a occuparsi di tali note - distinse nettamente tra le "note o notizie dorsali ehe danno un brevissimo regesto del documento" e quelle "ehe hanno o possono avere avuto rapporto colla stesura di esso" (Schiaparelli 1972 [1934], 318). L'interesse dello Schiaparelli e degli Studiosi di epoca successiva e rivolto quasi esclusivamente alle note del secondo tipo: agli attergati p r e c e d e n t ! la stesura dei documenti relativi e definiti, secondo i diversi usi locali, dicta, notae, rogationes, ecc. (vedi Schiaparelli 1972 [1934], 322 sgg., Cencetti 1960, 17-24); delle note del primo tipo, s u c c e s s i ve alia stesura dei documenti, lo Schiaparelli conclude (1972 [1934], 318-319): "Queste brevi note, col titolo o sommario del documento, rispondono ad uno scopo pratico d archivistico [...]. Non hanno alcun valore giuridico, ne alcuna relazione colla fattura del documento". Ai linguisti, invece, interessano soprattutto le due circostanze deprecate dal diplomatista, cioe lo scopo pratico e la mancanza di valore giuridico. Nelle carte longobarde, la maggior parte delle note dorsali del primo tipo, ehe possiamo definire 'note-regesto' (naturahnente considero soltanto le note coeve ai documenti stessi, ancora non molto frequenti nel sec. VIII) sembrano appartenere al medesimo registro linguistico del testo delle carte stesse. Ma nell'ultimo quarto del sec. VIII e soprattutto nella prima met del DC si comincia a distinguere qualche discordanza, in quanto si profilano decisamente due registri diversi, uno del testo e uno della nota. Elencando i principal! tratti linguistic! di tali note, vediamo innanzitutto il sistema casuale ridotto praticamente a un caso obliquo generale, eccezion fatta per qualche genitivo.6 Osserviamo alcune note (insieme agli esempi di registro 'basso' cito, 5 6
Cfr. Sabatini 1968, 329-331, dove vengono ampliate e riaffermate le conclusion! dell'articolo precedente. Molti dei quali meriterebbero una trattazione a parte: nelle carte del CDL compaiono infatti con notevole frequenza genitivi in -/ di nomi della ΠΙ decl., maschili e femminili: aurifici (3 ess. in carte tose.), cruci/croci (8 ess. in carte tose.), duci/doci (4 ess. in carte tose.), regi (3 dell'Italia del Nord, 4 ess. tose.); autori, donatori, uenditori e altri nomina agentis simili (3 ess. del Nord, varie decine in carte tose.); cautioni, donationi e altri nomi in nasale (un es. del Nord, numerosi ess. tose.). AfRancando a tali forme non i nominativi classici crux, uenditor, donatio, bensi cruce (-o-), venditore, donations, ecc. - restando cioe all'interne dell'appena riportato sistema di desinenze tracciato in Sabatini 1965, 987 -, si nota subito l'analogia con la formazione del genitivo nella Π decl.: dato Nom. servo -> Gen. servi, non dovrebbe in fondo sorprendere Nom. duce -> Gen. duci, tanto pi ehe nn dal sec. IV d. C. e ben attestata Γ analoga estensione metaplastica alia ΠΙ decl. della desinenza genitivale -orum (Zamboni 1998a, 112). Inoltre - ma si tratta certo di un argomento di minor peso - l'identit formale tra il Gen. sing, e il Nom. plur. della I e della Π decl. (case, servi) trova appoggio nei plurali in -i della IH decl. (senza entrare nella discussione sull'origine di tale desinenza, per cui cfr. da ultimo Maiden 1996), gia ampiamente attestati nelle carte del CDL sia al maschile ehe al femminile: boui, ordini, parenti, pedi, pisci, uendituri [= uenditores]; ni, parti, sepi, uiti (Larson 1988,162-163). Viene il sospetto ehe questo genitivo 'notarile' in -i sia il tentative di rafforzare una categoria grammaticale morente, eliminandone il precedente polimorfismo: non mi pare ehe basti a spiegare il fenomeno la ben attestata confusione formale e funzionale tra genitivo e dativo (per cui cfr. L fstedt 1961, 133-134; Herman 1998, 17; Zamboni 1998a, 108-
154
Par Larson
quando esistono, esempi coevi di stile piü sorvegliato):7 *Liuelli* da Rachulo et Agiprando g(ermanis) (Lucca 802, MemLu, p. 177) *Liuello da Alp(er)to cl(erico) de curie de Tucciano (Lucca 809, ivi, p. 219) *Liuello da Dulciolo et Gumprando de Casale Maiore (Lucca 816, ivi, p. 247) *Liuello lohanni pr(esbiteri) (Lucca 824, ivi, p. 277)
Cartula(m) libellariae de C[or]b[u]l[o] de Tuf...Jano (Lucca 774, ChLA 1061) Cartula(m) livellariae da Tanip(er)to et Teutp(er)to (Val di Comia 777, ChLA 723)
Dote de eccl(esi)a lacobi diac(oni) (Lucca 790, ChLA 1127) Dote defilio Atripaldi de Carfaniana (Vitoio di Garfagnana 795, ChLA 1148) Dote da Toto filio Aripaldi de loco Viturio (stesso luogo, 798, ChLA 1163) *Dote de eccl(esia) S(an)c(t)i Cassiani de Turinghfo] (Lucca 813, MemLu, p. 235)
Cartul(a) dotalium de S(an)c(t)o Petro de loco Murrano (Lucca 800, ChLA 1179)
*Viganiu da Atripaldo (Lucca 823, MemLu, p. 272)
*Cartula uiganationis da Octiperto (Lucca 807, MemLu, p. 203)
*Adfeduciato da Magno da Orticaria (Lucca 819, MemLu, p. 254) Cartula da Gunderisci et Uffulo de affeduciato in Alahis nel testo di un doc. pisano del 768-774 (CDLII 442.13: vedi infra)
Cartula infltuciationis nel testo di un doc. bergamasco del 785 (ChLA 869.4 e 9)
L'apparenza 'volgare' dei brani della prima colonna non dipende solo dall'assenza di desinenze casuali, dalla grafia e dalla presenza massiccia della preposizione da, ma anche dal fatto ehe essi (tranne 1'ultiino es. di affeduciato) in realtä designano il documento con il nome dell' a t t o g i u r i d i c o sottostante, mentre quelli della seconda colonna si riferiscono direttamente al documento stesso.9 Anche cosi, pero, non si sminuisce il valore dei quattro nominativi livello, dote, viganiu e affeduciato,10 ehe saranno certo appartenuti al lessico diplomatistico - se cosi si puo dire - dei secc. VIII-IX.
1 s 9
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109). Per alcuni casidi probabili genitivi italoromanzi erumeni in-; dellaIlldecl. rimando a Maiden 1996,168-170 (ehe preferisce una spiegazione fonetica -is > *-es > *-ej > -i). I passi preceduti da un astetisco sono - a quanto mi risulta - inediti: le indicazioni di pagina si riferiscono al testo delle carte. Viene emessa una carta per ciascun fratello. Cfr.p.es.IudicatumCelsicl(erici)(L\uxa. 789, ChLA 1128), OffersiodaA{l}dip(er)tipr(es)b(iter)i de Villa (Pescia 797, ChLA 1158) vs Cartul(a) iudicati de Uualcari de Mariano (793, ChLA 769), Cartula offersionis a Gherimundo pr(es)b(iter)o (Lucca 895, ChLA 1145). Per iudicatum = notitia iudicati, vedi Fiorelli 1960, 7. Viganium (e questa la grafia prevalente), nelle carte soprattutto lucchesi, alterna spesso con cambium e commutatio, di cui sara sinonimo (Larson 1988,261-263; cfr. DuCange s.v. viganeum); nei testi lucchesi due e trecenteschi s'incontrano le forme volgari deganio, dicanio e diganio (Paradisi 1989, 166). Per affeduciato cfr. il passo uendere nee donare neque adfeduciare (terr. di Fucecchio 772, CDL 359.17-8) e le espressioni in qffiduciato posui e in afiduciato dedi (Pisa 776, ChLA 810.6 e 9): per 1'origine dell'espressione cfr. Amelotti-Costamagna 1975, 12-13 e 101-102. In un'iscrizio-ne di Pozzuoli (CIL X 2244) si stabilisce sanzioni contro is qui boluerit bei bendere bei donare belfeduciare un certo terreno. Un documento ravennate del 540 contiene la serie donatas, cessas... nee alicui qffiduciatas (Tjäder 1982,68).
Tra linguislica efonti diplomatiche: quelle ehe le carte dicono e non dicono
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Le note-regesto anterior! al 774 sono in tutto solo una quindicina, ma il loro numero potrebbe essere notevolmente accresciuto. L'ultimo documento compreso nel CDL (n° 295 = ChLA 808), un breve11 scritto a Pisa presumibilmente tra gli anni 768 e 774 e infatti costituito da un elenco di document! notarili consegnati da un certo Teuspert a una monaca di nome Ghittia e alle sue figlie Aliperga e Uuillerada. II documento non ha un testo vero e proprio, tranne una introduzione o 'indicazione di contenuto' ehe occupa le prime righe: Breue de moniminas quam reddidet Teuspert Ghittie Dei ancille et adfilie eius Aliperghe et Uuillerade, id est, inter monimina et breui, octuaginta et octo.12 Segue il lungo elenco di tali monimina (ehe occupa ben quattro pagine nell'edizione Schiaparelli), e per dare un'idea del modo in cui i documenti vengono citati riporto qui le prime righe dell'elenco (CDL II 440.5-441.6; i numeri tra parentesi quadre sono miei): [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9]
Cartula quern Guntelmi et Arnitrudafecerat in Alahis de mundio accepto. Cartula uenditioni da Ropp(er)t et Genip(er)t in Alahis. Cartula da Munifrid et Gunp(er)t uenditioni in Alahis. Cartula da Altifridi et Audifridi uenditioni in Alahis. Cartula quern b(one) m(emorie) Alateu arcidiacon(us) fecerat de res sua in ecl(esia) sua S(an)c(t)i Petri et S(an)c(t)e Cristine. Cartula uenditioni da Tachip(er)t in Alahis. Breue disponsatione quern Guntelmi fice in Asconda sponsa sua. Cartula da Auteramu uenditioni in Alahis. Cartula da Roppald et Gentiulo uenditioni in Alahis.
Facendo eccezione per le entrate piu articolate [1], [5] e [7], e evidente la somiglianza con le note-regesto citate poco fa, ed e identico il registro di lingua incontrato: anzi, il breve pisano e ancora piü omogeneo nella morfologia.13 Vi si trovano, con pochissime eccezioni, tutti i nomi al 'caso unico' (sing. I -a, II -o, III -e; plur. I -e/-as II, III -/', neutri in -ay) il genitive della III decl. esce per per lo in -/;14 la preposizione i/o15 compare addirittura una cinquantina di volte e si hanno infine due perfetti di verbi in -e < -IT, 1'appena citato fice e un confirmaue (443.17).16 Questo documento ha dato del filo da torcere agli studiosi, ed e palese il disagio di Politzer-Politzer 1953, ehe preferiscono calcolare a parte le occorrenze dei vari fenomeni reperitivi, per non sbilanciare i risultati dello spoglio complessivo del CDL.11 lo penso ehe 1
' Come vedremo non e certo un caso ehe si tratti di un breve, un documento per lo piu meramente probatorio, piuttosto ehe di un carta, un documento dispositive: sulle "scritture memorative atipiche, amorfe e informali" dalle quali si cristallizzerä il breve o notitia o memoratorium altomedievale, cfr. Nicolaj 1996, 174-176 (ehe fa riferimento anche al documento qui discusso). 12 CDL 440.1-4. Nel brano citato si possono notare i nominativi breve (sing.), -i (plur.), il plurale monimina femminilizzato in moniminas, il dativo Ghittie Dei ancille seguito da adfilie eius e infine inter copulativo (Löfstedt 1970,119-129). 13 Dopo 1'elenco di documenti segue (p. 444.10-19) una breve lista di oggetti di valore - purtroppo molto lacunosa a causa dei guasti alia parte inferiore della pergamena - assai interessante per il lessico e per i fatti morfologici: tale lista e tra i testi esaminati dal Sabatini (1965, 984), ehe pero non commenta il testo del breve stesso. 14 Vedi sopra, nota 6. 15 Ben attestata fin dalle prime carte del CDL: cfr. Tekavcic 1975,234 (Larson 1988, 202-211). 16 Interessante il confronto con un documento analogo di epoca precedente, il papiro ravennate Tjäder 47-48 della prima metä del sec. VI (Tjader 1982, 190-192), dove la grammatica appare ancora a un livello accettabile. 17 Politzer-Politzer 1953, 3: "document No. 295 [...] contains simply a list of documents. Since it is not a connected text, the morphological count of endings is completely unbalanced, and because
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CDL 295 sia stato compilato trascrivendo, con qualche precisazione (come il piu volte ripetuto in Alahis, riferito al destinatario delle carte), le note-regesto delle carte elencate, ehe sono quasi un centinaio: gli element! grafici e morfologici ehe vi si contengono mi paiono di un'importanza estrema. Le informazioni linguistiche fornite dalle note dorsali e dai brani a esse assimilabili meritano la stessa attenzione di quelle present! nelle altre 'sedi di licenza' indicati da Sabatini: ma cio non significa ehe vi affiori tale e qu le il registro orale dell'epoca.18 Lasciano infatti perplessi eccessi di entusiasmo come quello di chi, riscontrando nelle scritture tergali un livello di lingua differente dall'usuale latino notarile, eleva issofatto a 'volgare' questo livel10 stilistico, ipotizzando poi addirittura due sottolivelli di tale lingua.19 Con maggior cautela Armando Petrucci parla, davanti a una nota-regesto pisana,20 di "un essenziale regesto del testo in lingua volgareggiante", ribadendo come si tratti non del prodotto di uno scrittore di bassa cultura (come mostra il confronto con altre carte di mano dello stesso notaio), bensi "dell'uso consapevole di un doppio registro linguistico, apertamente volgareggiante nella parte cui veniva attribuito valore distintivo e ehe doveva essere di immediata e necessaria leggibilit per i destinatari-possessori" (Petrucci-Romeo 1992, 117-118). 3. Nella grafia delle carte, fin da quelle piu antiche, e notevole la forte presenza di scrizioni ehe paiono riflettere il vocalismo volgare a sette gradi di apertura: forme come ancella, confermare, decto, menare 'condurre animali' (CDL II 305.5), pero 'albero di pere' (CDL I 150.9), prometto, selva, trenta e corre, dopla, fondata, Orso antrop., Rotta topon. ( , < u > = /e/, /o/. Che, per quanto riguarda la vocale tonica, il toponimo Anna vada letto come arena, cira come cera, oliuito e Quercito come oliveto e querceto, ehe la vocale tonica di herides e ticta (plur.) sia la stessa di eredi e tetlo; ehe a Munte, nus, persuna, uenditure (e tutti gli altri nomina agentium in -ture) comspondano monte, noi, persona e venditore sembra dawero al di sopra di ogni dubbio. Ma se non fosse cosi? Proviamo per un attimo a seguire p. es. il Carlton (1973, 3844)22 - il quale, pur definendo la grafia < i > per < e > = lat. cl. /e:/ uno "spelling change", sembra nonostante ciö supporre un'efFettiva chiusura di lat. class, /e:/ in til- e PAmbrosini (1985, 99-100), il quale, davanti ai non pochi toponimi uscenti in < ise > o < isi > ehe si riscontrano nei documenti dei secc. VIII-X della Lucchesia, parla di "esempi ulteriori di casuali /' in luogo di e ehe [...] appaiono in voci garfagnine, versiliesi e lunigianesi come 'postazioni avanzate' di influssi settentrionali sul toscano occidentale". Salta agli occhi la scarsa economicita di tali ipotesi. La diffusione dei grafemi in questione, il loro comparire in grande concentrazione nelle 'sedi di licenza' menzionate (e in particolare in formule del tipo ubi dicitur X), in concomitanza con gli esiti toscani medievali e moderni, ehe hanno sempre Id e /o/, ci fanno anzi capire come le grafie 'merovingiche' siano, appunto, delle grafie consapevoli per Id e /o/ chiuse, secondo una prassi ehe soprawivrä almeno marginalmente fino a tutto il sec. XII.23 Infatti, mentre nei documenti i nomi di cittä formano etnici con i suffissi -ensis e -anus (Lucanus e Lucensis, Lunensis, Pisanus e Pisensis, Pistoriensis, Senensis), i microtoponimi hanno un aspetto ben diverse: uui uocitator Casisi (739, CDL I 213.7) at Murianise (757,1 304.3), terra Filictise (757, CDL II 6.4), ad Lunise (772, II 359.7), terra Siterianise, terra Siferianise (779, ChLA 1071.24, 25), Isola Cerbarise (780, ChLA 1072.23), in loco Sarzano ... in Volle Sarzanise (793, ChLA 1136.16, 21), ubi uocitatur ad Casalise (799, ChLA 1171.25), ecc.24 Anche il suffisso -etum offre un quadro simile: nei documenti lucchesi si trovano, accanto a numerose attestazioni di oliuetum e castanetum con < e > (trentasette, di cui quattro toponimi), anche una decina di casi con < i >. Nei toponimi di questo tipo, come Carpinitula (CDL II 311.11), Isclito (II 49.8), Quercito (II 157.9), Salicitas (I 226.4), ecc., prevalgono massicciamente le grafie con < i >.25 A confortare la convinzione ehe l'uso di < i > = Id - e di conseguenza anche < u > = lot - vada considerate come una scelta deliberate per rendere un'opposizione fonologica non prevista dalla grafia latina viene in aiuto, nei documenti, una serie di voci verbau: non sarä un caso ehe nei ben attestato convine 'convenne' si abbia sia -e < -IT ma sia diversa dal modello classico anche la vocale tonica. Lo stesso vale per altri perfetti forti, comeßce o 22
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Cfr. Carlton 1973, 225 nota 23: "As a general principle, an overwhelming shift in one direction (e.g., accented long /e/, lot, vs short I'll, /u/) would seem to indicate a phonemic change, even though the exact phonetic outcome is not necessarily predicted". Cfr. Larson 1995, xn. La casistica complete in Larson 1988,212-214. Larson 1988,219-221. Sarä bene precisare ehe t u 11 e queste grafie in < ise > e < ito > corrispondono - nei casi in cui e stato possibile l'identificazione - a nomi di luogo esistenti con Id tonica.
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fleet 'fece', vine, vinet 'venne' e sidde 'sedette' (anche possidde 'possedette'), ehe andranno letti con Id tonica, \istofece, venne e 1'antico sedde 'sedette'.26 Infatti i dialetti non metafonetici dell'Italia centrale presentano sempre e soltanto /e/ in fece e venne, a differenza dei t/vint francesi e hizo/vino castigliani. L fstedt 1961, 25-27 preferisce considerare i casi italiani alia stregua di quelli francesi e spagnoli e pensare ehe anche in Italia grafie del tipo flcit corrispondano a una pronuncia /i/:27 un argomento per questa conclusione, oltre all'alta frequenza di fleet ecc., sarebbe la forma φικετ in due papiri ravennati scritti intorno all' anno 600: [σιγ]νου σακτι κροια? cpiKeTdimanodiuncerto Μαρίνο? βσιγνουμ σανκτε κρουκε? (pixer di mano di \avvT\stIohannis, un mercante di origine sira (Tj der 1955, 324 e 350). Ma le sottoscrizioni latine in caratteri greci non seguono affatto una formula ortografica fissa: anche all'interno degli stessi testi si oscilla tra le trascrizioni ehe cercano di esprimere i fonemi del latino e le pure traslitterazioni, con sostituizione meccanica a una stringa di lettere latine di un'altra di lettere greche.28 II φικετ greco-ravennate mi sembra una semplice traslitterazione del fleet latino, e la mia convinzione e corroborata dal fatto ehe dove Marino usa < ι > per < e > - (piicer, ^κλισια, πριμικιριου?, e ριλικτα [= relecta] prevalgono neue sottoscrizioni degli altri testimoni le grafie con < i >: fleet, -it (2 ess.), primicirius (4 ess.)29 relicta, -urn (4 ess.); lo stesso vale per ρελικτα (anche se non per della sottoscrizione del mercante siro. 4. Tra i principal! fenomeni del passaggio dal latino al volgare si colloca la lenizione delle occlusive sorde intervocaliche. Percorrendo i documenti del secolo VIII - ehe si trovano a essere, dopo il codice Sangallense delPEditto di Rotari, le testimonianze originali sicure pi antiche di questo fenomeno in Italia (cfr. L fstedt 1961, 136-137, Varvaro 1998, 69) -le carte dell'Italia settentrionale contengono fin dalle prime testimonianze numerosi casi di occlusiva sonora per sorda, in termini sia dotti ehe popolari. Anziehe < c > , < p > e < t > troviamo < g >, < b > / < u > e < d >, sia in posizione intervocalica ehe tra vocale ed < r >, < 1 >: dogomentum, doblus, lurigario [< lorica] (Milano 725, CDL 1 127.4, 15, 24); predegationem, hedernam [= aeternam], hocsegro [= obsecro], consegrationem (Novara 729, 1 148.9, 11, 149.2); dubla (Vianino [Fidenza] 735, 1 174.26^°); rogadus et pedidus, fenidum, poduaerimus [= potue20 27
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La presenza di tracce di un perfetto forte di sedere nei documenti lucchesi dei secc. VHI-IX fu gi additata da Salvioni 1904-1905,416-417 e Pellegrini 1970,46-47. L fstedt 1961, 25: "Ich halte es [...] f r wahrscheinlich, dass die Schreibung ficit (ficerat etc.) in sp tlat. Texten aus Gallien eine Lautung toder wenigstens eine besonders geschlossene Aussprache des e widerspiegelt [...]. Es scheint mir von vornherein wenig ansprechend,/?«'/ in den Texten aus Italien anders zu beurteilen als in denen aus Gallien". Siamo ben lungi da trascrizioni coerenti come quella del manuale di conversazione latino-grecocopto riprodotto in Kr mer 1998, 30-31: nei papiri ravennati, anche se < c> continua a essere resa ovunque con , ed possono trovarsi trascritte sia come < ι > ed ehe come < ei > e < αϊ > senza ehe sia possibile Stabilire una regola sottostante ehe valga anche per un solo testo. Per il doppio valore fonetico di < c > in latino e particolarmente interessante una vendita ravennate del 591 (Pap. Tj der 37), dove il vir honestus Pacifico sembra adoperare < κει > regolarmente per < ci > con valore di aflricata palatale (e anche dentale!), scrivendo Πακειφικο? per Pacificus, ουνκβιαρουμ per unciarum, Ρουστικειαυα per Rusticiana e Keirave e πρεκαω per Tzittane (antrop.) epretio (cfr. la frequente grafia precio), ma anche Γενεκιαν[ι], βενδετρικαι e φεικαερουμ per Geneciani, vendetricem efecerunt (Tj der 1982,124; cfr. Lazard 1993, 397). Variante difiusa anche in altre zone e testi: cfr. Ferro 1998,179. La forma dubla si legge anche in altre tre carte rogate nello stesso luogo negli anni 737 e 740 (CDL 1190.12, 203.10, 233.9) e in una scritta a Varsi (Piacenza) nel 758 (CDL Π 13.15), sempre
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rimtis], [fijrmidatem, rogadus (Campione [Como] 735 1176.5, 9, 14, 18, 177.6); extimado, finidas (terr. di Bergamo 740, 1218.12, 16); prados, sauere [= *saperet 'sapesse'], precibimus (presso Campione? 721-44 [cop. sincrona], 1237.19, 238.7, 9); udiliiatibus, prado, capide, dubJo, legidime (Trevano [Como] 748,1274.4, 275.2, 3, 4, 8, 11, \2);f[i]nido, mesuaradas [= mensuratas], nido, poduaeremus, dublis, reddeduri, Vidale, meliurada, terredurio, nebodes, probrifa], nodario, rogidus (terr. di Asti 734-755,1 357.5, 358.10, 16, 359.2, 3, 5,10,11, 16, 20)
Mi sembra superfluo continuare citando gli esempi fino al 774: in Italia del Nord la lenizione delle occlusive sorde e senz'altro un fatto compiuto. Tra gli esempi riportati mancano, e vero, casidi per tra vocali, mauna donazione di Ceneda (oggi Vittorio Veneto) del 762 formscepegunia (CDLII123.5) e nel 771 trovo quattro occorrenze di uigo in un breve lombardo (II 332.6,333.10,13,14):nellecartedegliannisuccessivisenetrovanoaltri esempi.31 Casi di < g, b, d > per < c, p, t > si hanno anche in Toscana, nelle carte deH'area lucchese (ma non, si badi, in quelle pisane, senesi e amiatine): segreta (CDL 144.7); eglesia (1124.12, Π 11.3 e 6, Π 299.22); genetrige (1172.9); dubla (I 182.21, Π 229.11); consagrauit (Π 188.9); memedipsum (1192.5, -o 1219.9); lugretor [= lucretur] (1192.6); negudianti (1234.6, 330.14); sagrosancto (1289.24); sagramentum (Π 159.27, 29, 30); sagrationem (Π 168.8); sigritario (Π 338.25); osidilia (Π 417.8).
Tuttavia ne genetrige ne negudianti fanno testo, in quanto < g > e < d > non vi rappresentano consonant! occlusive.32 Neanche 1'interessante osidilia < "USITILIA (da UTE[N]SILIA) trova confront! toscani, ma rimanda a forme settentrionali come il piacentino osdei (REW 9101): sembrerebbe trattarsi di una forma importata daU'Emilia.33 Per i casi di < gr > per < cr > rimando al paragrafo seguente. Molti esempi di occlusive sonore anziehe sorde si trovano in un famoso Breve de inquisitione senese rogato nel 715 (CDL, n° 19 [vol. I, pp. 61-77], Avalle 19833, 6-7), in cui s'incontrano forme come Aredinus (anziehe Arfrjetinus), dedigare, madodinus (= mattutinos), oradorius, probe, tedolus (= titulus): inoltre compaiono numerosi esempi di consecrare (-sacr-), sacrare e sacramentum con < g r > anziehe (Aebischer 1961, 247-248, Avalle 19803, 71-72). Una notitia iudicati del 716, rogata a Pieve a Nievole (CDL, n° 21) presenta le forme eglesia (ae-), degreuimus, iudegati, sagramentus (Aebischer 1961, 251). Tuttavia questi due document!, nonostante Γ eta vetusta, non si possono considerare testimoni fededegni dell'awenuta lenizione delle occlusive sorde intervocaliche in Toscana (alle forme con -gr- torneremo pi avanti): il breve del 715 ci e tramandato da una copia del sec. Di-X, la notitia del 716 addirittura in una copia seicentesca. Infine bisogna ammettere ehe la distribuzione dei grafemi irregolari nel Breve de inquisitione non corrisponde a nulla ehe si conosca da nessuna parte della Toscana, in nessun'epoca conosciuta (madodinosl): pare assai pi probabile ehe i due document! siano stati vergati da scribi di origine non toscana.
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in carte dove non si trovano altri casi di sonora per sorda: ma si noti ehe sia dublum ehe treblum occorrono gia nei codici delle leggi longobarde (L fstedt 1961, 137). Non ho qui incluso qui gli esempi, piuttosto numerosi, di grafie ipercorrette di sorda per sonora come haerites o heretes per haeredes,petis perpedis, rocatus per rogatus, ecc. II lat. negations e continuato dal pisano antico negozante (ni-, -ss-), per cui cfr. Larson 1995,438439:1'antica occlusiva /t/ seguita da semivocale in iato vi era da tempo passata ad affiicata. Nelle carte lucchesi trovo inoltre sei casi della forma usitilia (CDL 1220.8, Π 139.19, 253.15, 309.16, 313.16, 344.27), i quali insieme al toscano e romanesco antichi stigli 'amesi' (Castellani 1980, Π11) mostrano come la forma sonorizzata osidilia-la quale, come vedremo, ricorre anche a Piacenza - vada considerata una grafia settentrionaleggiante occasionale.
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Tomando al Nord, notiamo come le carte della zona piacentina sembrano del tutto immuni al fenomeno della lenizione. II fatto potrebbe destare sospetti - se vi sono dei casi in Toscana, perche non se ne trova neanche un caso emiliano? -, ma i Politzer (1953, 13) si awalgono di questo argumentum e silentio per avanzare dubbi sull'esistenza della frontiera linguistica 'La Spezia-Rimini' (o 'Carrara-Senigallia' 'Magra-Rubicone' ehe dir si voglia) nel secolo VIII, concludendo: "if there was indeed any line of dialectization in the Eight Century, it seems much more reasonable to suppose that it was the Po River" (conclusione ribadita senzaargomentinuovi in Politzer 1955 e 1961 eaccettatainAvalle 19803,76-77,80-81). Ma anche con a disposizione i soli dati forniti dal CDL si vede la debolezza di tale ipotesi: le carte piacentine presentano infatti piü di una differenza rispetto a quelle delle altri parti d'ltalia. Sono, innanzitutto, le sole a conservare tracce dawero notevoli dell'antico formulario romano nella formula della emptio-mancipatio (Schiaparelli 1972 [1933], 224sgg., Nicolaj 1996, 164-165) e questo, anche se non significa automaticamente ehe i notai disponessero di un vero e proprio formulario a volume,34 fa pero supporre ehe a Piacenza i notai si attenessero alia tradizione piü di quanto non awenisse in altri centri scrittori. Questa supposizione viene ulteriormente confortata dal fatto ehe Piacenza sia anche una delle tre cittä - le altre due sono Pavia e Monza - per le quali e attestata la soprawivenza in epoca longobarda avanzata dell'ufficio delVexceptor civilatis, titolo ehe dimostra un attaccamento notevole alia tradizione curiale (Schiaparelli 1972 [1932], 187; AmelottiCostamagna 1975, 158-159, Nicolaj 1996, 165). Delle carte dov'e menzionato Vexceptor, anche quella pavese (CDL n° 48, copia della metä del sec. VIII di un originale del 730), con elementi di formulario romano-ravennate (Schiaparelli 1972 [1933], 237-238; Nicolaj 1996, 166), differisce su un punto importante dalle altre carte rogate a nord del Po: non reca nessun esempio di occlusiva sonora per sorda. I Politzer (1953,13) trovano esauriente spiegazione di quest'ultimo fatto nella copiatura del documento da parte di un notaio lucchese, ma non e da escludere ehe le sonore mancassero giä nell Originale. II copista e infatti un personaggio ben noto, Osprando, della cui mano abbiamo piü carte ehe di qualsiasi altro scriba del sec. VIII; scrittore molto corretto per i tempi, egli non sembra tendere a 'correggere' i testi altrui, come si puö vedere confrontando i suoi document! original! ai due di altre mani da lui copiati, precisando quantum in autenticum inueni, nee plus addedi, nee menime scripsi (CDL 1161.2-3 e 211.2). Preferisco spiegare Passenza di sonorizzazione nelle carte piacentine come un fatto di fedeltä alia tradizione scritta e non come una prova ehe l'isoglossa per la lenizione consonantica nel secolo VIII seguisse il fiume Po. Le carte piacentine del primo dominio franco, poi, dimostrano 1'infondatezza della teoria politzeriana e bastano da sole a dissipare i dubbi; basta considerare l'alta densitä di forme sonorizzate nei sette documenti degli anni dell'ultimo quarto del secolo (784-799): obera (2 volte), odiliias, cabra> cespide, -i (2 volte), osidilias, conquistada, tradida (ChLA 828); peditorio (2 volte), monedario (2 volte), rogadus, Felegario topon. [< FILICARIUM] (ChLA 829); dublo (ChLA 830); dobla, rogadus (ChLA 831); hauidatur [= habitator], terridurio (ChLA 832); Vidale , -i (5 volte), Vidaliani, vigo (3 volte), podei [=putei], cugnado, constitudo, redada 'ridata', doblum (2 volte), dado (Galetti 1978, 38-39); Bennado [= Benenatus] (2 volte), cannonigo (ChLA 833). 34
Schiaparelli 1972 [1933], 243: "Gli scrittori delle carte piacentine di compravendita non ebbero sott'occhio come modello documenti del II secolo [...] ma devono aver riprodotto in gran parte un documento preesistente, il quale via via, dal V secolo almeno, aveva apportato alcune modificazioni al piü antico formulario romano".
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Anche se non si puo aprioristicamente escludere ehe la sonorizzazione possa essersi difiiisa piü tardi nell'Emilia settentrionale ehe nel resto dell'Italia padana - ma nessun motive geolinguistico storico induce a crederlo -, verso la fine del sec. VIII la lenizione delle sorde intervocaliche era sicuramente fenomeno ben radicato nel territorio piacentino. L'unica alternativa a questa conclusione sarebbe immaginare ehe Parrivo dei Franchi abbia determinato un tale cataclisma da far bruscamente cambiare lingua, in pochi anni, ai Piacentini: e questa non sembra dawero un'ipotesi sostenibile! 5. Ma la sonorizzazione delle occlusive sorde non awiene solo in posizione intervocalica, bensi anche quando lOcclusiva in questione e seguita da una liquida. I romanisti non hanno mai distinto il passaggio -c- > -g- da quello -cr- > -gr-:35 operare questa distinzione permette invece di vedere ehe si tratta di due sviluppi ben diversi (Castellani 1988, 147-149). Infatti le forme con -gr- da -CR- sono attestate fin dalle carte toscane piü antiche e trovano regolarmente confronto nella lingua volgare medievale e moderna: sagrato, sagra e Pantico toscano sagramento, (sara-) 'giuramento' sono indubbiamente piu popolari di sacro e sacramenio, ehe appartengono a un ambito dove il latino scritturale ha sempre fatto sentire il proprio peso. Agro e senz'altro piü popolare di acre, com'e mostrato anche dalla toponomastica, dove il tipo agrifoglio e attestato fin dal sec. X (Castellani 1988,149; Larson 1995, 22), e il toscano antico preferisce decisamente lagrima a lacrima, magro a macro, segreto a secreto. Logorare < LUCRARE, infine, non ha concorrenti toscani con la sorda.36 Ce n'e abbastanza perche si possa affermare, con Castellani (1988, 148), ehe -gr- "in Toscana e Pesito normale di -CR- latino preceduto da vocale". Si possono aggiungere alle forme con -gr- intervocalica quelle dove la sonorizzazione e awenuta all'inizio di parola: grosso, grata, graticcio, graticola, gridare, grotta, gruogo 'croco' ecc. (germanismi come graffa, gremire, greppia, gruccia mostrano ehe il processo deve essere restate attivo fino almeno a tutto il sec. VI). Nei nomi propri derivanti da composti con ? questo e attestato fin da epoca molto antica: cfr. i genitivi Grisantis, S(an)c(t)i Grisanti a Roma, in autentiche di reliquie degli anni 590-604 (Tjäder 1982, 216). Niente di simile a tutto questo si verifica negli altri nessi consonantici seguito da r. Le forme con < gr > tra vocali non solo non si fermano all'Appennino, ma raggiungono addirittura il Meridione. Nelle carte salemitane del sec. EX si trovano non pochi esempi di sagramentum e sagrum (ChLA, vol. L, docc. 6, 8,10, 11, 15, 30; vol. LI, doc. 4) e una carta molisana del 819 ha sagrosanctu altare (Gallo 1929,168); il vuoto tra il Sannio e la Toscana e, se non colmato, almeno reso meno compatto dall'esistenza di un'iscrizione antica, forse della zona di Tivoli (CIL XIV 3571), con il testo Erchul \ sagrum?1 6. Per arrivare a scorgere qualche traccia della lingua parlata nei document! altomedievali non abbiamo, e vero, altra via ehe quella di passare in rassegna tutti gli scarti dalla norma latina (Politzer 1961, 209; Lazard 1993, 391): ma bisogna guardarsi bene dal pensare ehe 35 36
37
Sintomatico il giudizio lapidario di Jensen 1998, 530: "The -cr- cluster presents few problems". Rohlfs 1966, 260 attribuisce lagrima, magro, agro, agresto, agrifoglio, sagrare, sagramento, sagrestano, segreto, segretario a "influssi galloitaliani". Per la diffüsione di lagrima, magro, ecc. in toscano antico, il TLIO fomisce schiacciante evidenza per la 'popolarita' delle forme con < g >, ehe compaiono in ogni genere di testo: sono anzi lacrima e macro a venire usate come forme poetiche, latineggianti (come mostra p. es. l'uso ehe ne fa Dante in rima). La prima parola, probabilmente incomplete in fine, varrä Herculi.
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Par Larson
tutto cio ehe si discosta dal latino classico debba necessariamente riflettere la lingua volgare dell'epoca. Nel linguaggio documentario, accanto a volgarismi occasional! e forme cristallizzate di varia origine, si trovano anche dei volgarismi giä entrati nel formulario usuale, ehe quindi riflettono non la lingua viva del momento di stesura dei document!, ma una sua fase anteriore. Per fare un esempio, davanti a un passive analitico come in Tarfarum sit consumptus in una carta pistoiese del 767 (CDL 11211.19: cfr. Zamboni 1997, 47) bisogna precisare ehe si tratta della tradizionale sanzione negativa 'sia bruciato nell'Inferno [colui ehe oserä violare le disposizioni stabilite nella carta]' (cfr. Pratesi 1979, 76). E gli esempi si possono moltiplicare. Se non si puo non mettere in relazione la frequente omissione delle consonant! finali delle voci verbali con la situazione italiana, dove tutte le parole escono in vocale, esistono pero dei supposti volgarismi ehe non possono assolutamente servire per la conta. Innumerevoli carte medievali iniziano, dopo il protocollo, con una notificazione in forma soggettiva: Manifestos sum ego... Non di rado, pero, la pergamena reca una sequenza < manifestusum >, ehe all'editore scrupoloso tocca scindere manifestu sum: calcolare questo caso tra le -s finali cadute sarebbe owiamente un errore. Lo stesso discorso vale per 1'espressione, frequente nella completio delle carte, post traditam complevi (cfr. Pratesi 1979, 55), dove spesso la lettera finale della preposizione e tutt'uno con quella iniziale di traditam (cfr. Schiaparelli 1972 [1933], 248 sgg.). Questi e altri casi simili invitano a non considerare mai la parola isolata, ma a vederla sempre nel suo contesto, nella sua catena scritta. Un altro caso di notificazione soggettiva assai comune e la formula dichiarativa Constat me. Nelle carte longobarde conto una decina di casi di questa formula in cui la forma verbale compare senza -/: consta me (nos).3i Qui non e possibile ricorrere alia spiegazione dell'aplografia, e simili: ma, benche si tratti di uno scarto manifesto dalla norma classica, la forma non si puö considerare volgare. Giä ce lo fa sospettare la conservazione di -«-: lat. constare e continuato da it. costare, fr. coüter, ecc. (REW 2170), con un significato ben diverse, fin dalle piii antiche testimonianze volgari, da quello attribuibile al constare delle carte altomedievali. La prova definitiva, poi, risulta da un manoscritto di Einsiedeln scritto intorno al 800 e parzialmente palinsesto, dove su alcune pagine sono leggibili parte della scrittura originale, forse dell'inizio del sec. VIII (ChLA 4). L'editore, Albert Bruckner, definisce tale scriptio inferior un "fragment of charter" e la attribuisce a "a Northern Italian or earlier Rhaetian charter hand". Leggiamo insieme le prime righe: f Consta me tale homo habita [re tat dri tale ei.. s[ ..'..' uel'.bh i[ Non conosco nessun documento altomedievale ehe cominci con una costruzione del genere (ehe sembrerebbe un'Ael mal riuscita), e desta forti sospetti anche la duplice comparsa del indefinito tale. Pur riconoscendo ehe il codice andrebbe per lo meno riesaminato, ritengo probabile ehe si debba leggere piuttosto Consta me TALE HOMO, habita[tore] ... tat dri.... TALE...., ecc., e ehe ei troviamo di fronte non a un frammento di carta, ma a qualcosa di ben piu importante: una carta-modello, un frammento di formulario con 'caselle vuote' per i 38
CDL: 198.3 (Lucca 720, cop. s. Vm-IX), 1150.12 (Pisa 730), 1153.4 e 154.20 (Pisa 730), 163.5 (terr. di Viterbo 765), 363.4 e 366.4 (Roselle 772), 374.2 (Patemo [Val di Comia] 772); 411.2 (Bergamo 773); ChLA: 753.3 ('Foro' 774-5), 756.3 (Cosona 777), 760.3 ('Rofinanu' 787), 764.5 (Acquaviva 791), 768.6 (Montepulciano 793).
Tra linguistica efonti diplomatiche: quello ehe le carte dicono e nan dicono
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nomi da inserire.39 Come si puo evincere da uno spoglio dei document! del CDL potrebbe trattarsi di una charta venditionis: i confront! migliori sono cinque carte della Toscana nordoccidentale a partire da una vendita di Luni del 736, ehe apre con le parole CONSTAT ME Lupo u(irum) h(onestum) uinditorem filio q(uon)d(am) Audoald, ABITATURE castello Uffi... (CDII182.5-6).40 L'esistenza di appositi formulari scritti in epoca longobarda e stata fmo a ora negata in mancanza di prove (Schiaparelli 1972 [1933], 217-221; Amelotti-Costamagna 1975, 215217; Pratesi 1979, 88), ma il nostro frustulo corrisponde esattamente a quello ehe ci si aspetterebbe: il testo e infatti trascritto con omissione delle precedent! formule del protocollo, e senza indicazione di nomi di persone (Schiaparelli 1972 [1933], 218-219). Infine - per tomare all'argomento iniziale di questo paragrafo - apre con una forma ehe non e ne quella del latino classico, ne quella della lingua volgare. 7. Avendo trattato - seppur di sfüggita -, nelle pagine ehe precedono, argomenti riguardanti il vocalismo, il consonantismo e la morfologia della lingua dei document! longobardi, mi viene ora del tutto naturale, visti i risultati delle indagini, di concludere parafrasando un'affermazione di Jozsef Herman (riferita ad una situazione assimilabile anche se non identica a quella italiana): il latino 'longobardo' non si puo defmire una lingua, in quanto si tratta di un sistema grafico esposto alia pressione - inconsapevole da parte dei parlanti - di una lingua ehe esso rispecchia solo parzialmente.4I
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Par Larson
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Martin Maiden II sistema desinenziale del sostantivo nell'italo-romanzo preletterario. Ricostruzione parziale a partire dai dialetti modern! (il significato storico di plurali del tipo amici)
Questo studio sostiene la tesi - sostenuta, seppure sotto forme leggermente diverse, da studiosi come Lausberg 1976, § 597; 643, e Tekavcic 1980, § 358 - secondo la quäle nell'italoromanzo preletterario sarebbe esistita una distinzione desinenziale tra un caso retto e uno o piü casi obliqui. A differenza di Studiosi come De Dardel e Gaeng 1992 e De Dardel e Wüest 1993,' ritengo ehe questo sistema casuale fosse del sud quanto del centro e del nord; ma se esso si riscontrava ancora nell'antico francese e nell'antico occitanico, i testi scritti di qua delle Alpi purtroppo non ne danno nessuna testimonianza diretta, e ci vediamo costretti a ricostruire, in base ad alcune rare quanto preziose spie nei testi dialettali medievali e nelle parlate odieme, un primitive assetto morfologico simile a quello del francese antico. Mi occupero nella fattispecie della storia delPalternanza palatale nei plurali maschili del tipo amico amici, piü problematica di quanto generalmente non si riconosca, ma ehe sembra trovare una spiegazione coerente se la inseriamo nei quadro di un primitivo sistema casuale in cui, perlomeno al plurale, un nominativo in -/ si distingueva ancora in epoca romanza da un obliquo allOrigine in -OS. 1. Sistema bicasuale galloromanzo Latino
Sg-
Pl.
Sg-
Pl.
sg.
Pl.
Nom.
PORTA
MURUS
MURI
CANIS
CANES
Acc.
PORTAM
PORTAE (PORTAS) PORTAS
MURUM
MUROS
CANEM
CANES
*'Proto-galloromanzo' Sg. Nom. [porta] Obl. [porta]
PL [portas] [portas]
Sg. [muros] [muro]
Sg. [kanes] [kane]
Pl.
Antico francese Sg. Nom. porte Obl. porte
Pl. portes portes
Sg. murs mur
Sg. chiens chien
Pl. chien(s) chiens
[kanes] [kanes]
In uno Studio del 1978 sui plurali friulani Benincä e Vanelli sono riuscite a ricostruire per l'antico friulano un sistema casuale col plurale simile a quello riportato nella tabella l per il 'proto-galloromanzo'. Infatti coesistono plurali friulani di sostantivi ed aggettivi della seconda declinazione con -s mentre altri - un sottoinsieme del lessico caratterizzato dalla pre-
1
Non intendo qui entrare nei meriti della vexata quaestio se alcune varieta romanze abbiano conosciuto una fase 'acasuale' prima di conformarsi ad un modello piü colto e pluricasuale (si vedano De Dardel-Gaeng 1992; De Dardel-Wüest 1993; ma anche Seidl 1995).
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Martin Maiden
senza di una consonante apicale al singolare - hanno una consonante finale palatalizzata indicante la presenza primitiva della desinenza -/ del nominative plurale (2): 2. Vestigia di forme rette e oblique nel friulano di Clauzetto (Benincä e Vanelli 1978) Sg. [fouk] [plomp] [prat] [armar] ecc.
Pl. [fouks] [plomps] [prats] [armars]
Sg. [an] [na:s] [kest] [kaval] ecc.
Pl. [aji] [na:g] [kesc] [kavai]
In un recente studio Cadorini 1996 ha proposto inoltre ehe la presenza nelle varietä friulane delle forme dell'articolo maschile singolare el e lo e plurale / QJU risalirebbe a due forme casuali distinte, la cui fünzione casuale originaria sarebbe ancora individuabile in testi del Trecento. Con la perdita delle funzioni sintattiche dei casi, alle forme varianti sarebbe stata assegnata una nuova distinzione funzionale dipendente da fattori di fonetica sintattica. La presenza di vestigia di un sistema casuale nei plurali friulani certo non ci autorizza a ricostruire le stesse condizioni per 1'intero dominio italoromanzo (e inutile d'altronde sottolineare ehe questo e un dominio la cui unita e piü geografica ehe linguistica). Si sä ehe in generale i sostantivi ed aggettivi italoromanzi sembrano risalire a protoforme identificabili con 1'accusativo, ma sono sempre riconoscibili alcuni 'superstiti' del nominativo nei continuatori dei lessemi 'imparisillabi' della terza declinazione (cfr. Lausberg 1976, § 628-638). E, come nel francese (ancetre, peintre, maire ecc.), si tratta spesso di lessemi ad orientamento 'ergativo', riferentisi a persone e dal ruolo semantico caratteristicamente agentivo 'ergativo', particolarmente atti ad essere usati con la forma morfologica del soggetto. Non va dimenticato nemmeno ehe queste parole vengono spesso usate come vocativi, e quindi con la forma del caso retto. Ma se per il francese sappiamo di sicuro ehe ancetre ecc. sono relitti di un sistema casuale esistente in periodo letterario, per italoromanzo la soprawivenza di forme nominativali non garantisce di per se ehe i relativi dialetti abbiano conosciuto nella loro storia recente due o piü casi. Per Pitaloromanzo assumerä quindi una particolare importanza la coesistenza nello stesso dialetto o comunque nella stessa zona geografica di varianti con morfologia 'nominativale' e Obliqua', come probabile indizio di un sistema casuale vigente sempre in epoca romanza.2 Indicherei come un esempio molto cospicuo di tale coesistenza la carta 259 delPAIS, specialmente per alcune parti del Veneto, e per alcuni dialetti alpini,3 dove da un paese aH'altro si puö passare dal tipo sarto a sartore, e viceversa; e si sä ehe nell'antico veneziano un nominativo suore si opponeva a seror obliquo e plurale (cfr. Zamboni 1998, 135). In due punti delle Marche e del Lazio (558 e 632) coesistono [sarto] e [sartore] (sebbene non si possa escludere defmitivamente ehe [sarto] sia un prestito dal toscano); si confrontino inoltre, nelle Marche, i punti 577 (con [sarto]) e 578 (con [sartore]) e, in Puglia, il punto 718 con [sarta] di contro a 728, 738, 739, 748 col tipo [sartors]. Nei dialetti centromeridionali il tipo moglie (AIS 73) e di alcune parti deU'Emilia-Romagna nonche delle Marche, delPUmbria, della Toscana, del Lazio e deH'Abruzzo. Ma si badi ehe nell'antico toscano e tuttora nel corso, nel toscano nord-occidentalee all'Elba (Rohlfs 1968,8) si usa il tipo non nominativo mugliere, moghiera, mogliera, tipico anche del nord (accanto ad 2 3
Per il friulano si veda anche Cadorini 1996,476-479. Si confrontino particolarmente i punti 367, 374, 372, 376, 371, 346, 337, 348; nel Canton Ticino, 50 e 51; nella Valle d'Ossola 128,117, 116,115.
U sistema desinenziale del sostantivo nell'italo-romanzo preletterario
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altri lessemi con lo stesso senso) e di tutta la rimanente Italia meridionale. II fatto ehe si conservino nell'Italia meridionale forme di origine nominativa come prevete e curätolo da PRESBYTER e CURATOR possono essere anch'essi preziosi indizi di un sistema in cui il nominativo si distingueva ancora da altri casi obliqui, ma e soprattutto interessante il caso di HOMO. Per altre possibili tracce di forme nominative nel dominio italoromanzo, si veda anche Zamboni 1 998, 139. Richiederebbe una piü ampia documentazione la sempre interessantissima asserzione del Rohlfs 1959, 437, a proposito del salentino: "la forma ömmine e usata preferibilmente come complemento oggetto, mentre ömu puö essere caso retto e caso obliquo, dunque, jou su omu vs chiamu n 'ömmine". E si noti ehe nei dialetti abruzzesi (Giammarco 1968-1979) esiste ancora [oma] dal nominativo, di contro a [ommana] dai casi non nominativi: [oms] ha conservato una funzione strettamente soggettivale in quanto e diventato pronome soggetto indefinite, mentre [omrnana] ha il senso di 'uomo' (oggi oggetto quanto soggetto). II parallelismo col francese on e komme non ha bisogno di essere sottolineato, ma non mi risulta ehe il significato di questi fatti per l 'Italia meridionale sia stata messo fmora in evidenza. 3. HOMO vs HOMINE(M) in abruzzese (Giammarco 1968) Chieti [n ommana] 'un uomo'
[ma n oma da raddjona] 'mi si da ragione'
Teramo [n cwnmana] 'un uomo'
[oma d0tf s] 'si dice' 'dicono'
ecc.
Se riscontriamo rare tracce di forme nominative nei singolari 'imparisillabi', al plurale, secondo una teoria sottoscritta da alcuni Studiosi (p. es. Schurr 1942; Rohlfs 1966; 1968; cfr. Maiden 1996), la desinenza del plurale femminile [-e] (per esempio mporte) costituirebbe una diretta continuazione del nominativo latino -AE. E una ipotesi poco attendibile, giacche Y-e plurale deH'italoromanzo moderno e riconducibile ad una desinenza -AS, ehe nel latino popolare sin dall'etä enniana poteva essere tanto del nominativo quanto dell'accusativo; si sä ehe il nominativo plurale in [-as] e molto diffuse nelle iscrizioni (cfr. Gaeng 1977, 46-51) ed e alia base del nominativo plurale dell'antico francese del tipo portes. E evidente ehe [-e] non puö continuare -AE latino, in quanto esso si sarebbe trasformato regolarmente in [-e], il quäle avrebbe dovuto provocare la palatalizzazione di consonant! velari precedent! ed essere successivamente soggetto, in molti dialetti settentrionali 'galloromanzi', alia caduta totale delle vocali medie e chiuse. Ma in tutte le varietä italoromanze e pressoche ignota l'attesa palatalizzazione davanti ad [-e] del plurale, mentre in molti dialetti delPItalia settentrionale in cui ci si aspetterebbe perdita dell'[-e] si e curiosamente mantenuta la vocale (su questo si veda particolarmente Zömer 1995). Questi fatti (da me interpreted piü dettagliatamente in Maiden 1996) appoggiano l'ipotesi di uno sviluppo esclusivamente fonetico per cui una desinenza [-äs] si sarebbe trasformata in un dittongo [*-ai], il quäle si sarebbe mantenuto come tale fino a dopo la palatalizzazione davanti alle vocali anteriori e la soppressione delle vocali atone medie e chiuse. Eppure sussistono alcuni casi - rarissimi e non tutti di facile interpretazione - di possibili vestigia di un'antica desinenza proveniente dall'-AE nominativo (cfr. Salvioni 1903). Si tratta di lessemi in cui il
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plurale puo essere considerate la forma non marcata rispetto al singolare, e in cui appare una consonante palatalizzata tanto al singolare quanto al plurale, effetto apparente di un'estensione analogica ehe avrebbe avuto come punto di partenza un antico plurale con velare palatalizzata davanti ad [-e]. Cosi il singolare guancia (cfr. ganga nell'Italia meridionale) < germanico WANGO, si dovrebbe ad un plurale primitivo guance, mentre baccia baccie 'vacca' (nel Codex Cavensis, sebbene De Bartholomaeis si dichiari scettico sul valore fonetico di questa grafia), il bergamasco [ruza ruze] < ERUCA, Panconitano [brantfa] 'ramo' e [fro/Ja] 'foglia', apparentemente rifatti sui plurali [brantfa] e [fru/j"9] (cfr. il settentrionale [froska]), nonche il settentrionale [leverti/a] 'luppolo', forse da "LUPERTICA,4 sembrano tutti rifatti su un plurale palatalizzato. Quanto detto per il plurale femminile in [-e] varrä mutatis mutandis anche per l'[-i] plurale della terza declinazione come in cani e voci. E non solo possibile ma - come credo di aver dimostrato in Maiden 1996 - anche molto probabile ehe si tratti di un -/ esito puramente fonetico deH'antica desinenza [-es] (tanto del nominativo quanto dell'accusative), in cui l'-s finale si sarebbe dapprima aperta in -/, per poi confondersi con la vocale precedente ([-es] > *-ei > -i). Comunque sia - e non nego la possibile influenza di altri cambiamenti morfologici tendenti verso lo stesso esito, come la creazione di plurali in -IS - ripeto ehe i plurali della terza declinazione sono del tutto ambigui per quanto riguarda una possibile conservazione del nominativo. 4. Probabile origine fonetica (cfr. Maiden 1996; Zömer 1995) delle desinenze -e ed -i dei plurali di prima e di terza declinazione. Impossibile decidere se si tratti di forme nominative o oblique: PORTAS > [*portai] > porte UOCES > [*voÖ"ei] > voci Eppure l'-z plurale maschile della seconda declinazione pare conservare un'autentica desinenza nominativa. Va detto subito ehe sembra poco verosimile uno sviluppo fonetico per cui da un accusative NASOS si sarebbe giunti a nasi. E se il modello della terza declinazione puo aver esercitato, come credo, una certa influenza sul trionfo di -/ come desinenza del plurale anche alia seconda declinazione, tale analogia non basta di per se a rendere ragione della presenza dell' -/', perche esistevano e esistono tuttora qua e lä nelle varietä italoromanze (cfr. Rohlfs 1968, 34s.) lessemi della quarta declinazione il cui plurale sembra proseguire l'accusativo in -US, ed e diventato identico al singolare (onde forme risalenti a *mamt - manu, *flku -ßku, *aku - aku in moltissüne varietä), senza intervento analogico da parte dell' -/ della terza declinazione. Tutto sommato, l'-/ sembra essere 'a casa sua' nella seconda declinazione e quindi rappresentare una continuazione della desinenza nominativa. Se l'-z del plurale della seconda declinazione esiste ab antique, si presenta un problema non trascurabile per quanto riguarda lo sviluppo fonetico di tali plurali. L'italo-romanzo, alia pari della maggior parte delle varietä romanze, ha partecipato, a partire probabilmente dal quarto secolo (si veda per esempio Tekavcic 1980,1 § 148-150; Väänänen 1974,118s.), alia palatalizzazione delle velari davanti a vocale anteriore. Ci si aspetterebbe, quindi, una generale e sistematica palatalizzazione di [k] e [g] del radicale davanti alia desinenza plurale. Ma la realtä linguistica, quäle ci appare dai dialetti moderni e da quanto sappiamo di
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Sul valore di alcuni apparent! esempi di palatalizzazione dei femminili plurali nei testi bassomedioevali, si veda Maiden 1996 — studio in cui, pero, credo ora di aver respinto troppo sbrigativamente la possibile soprawivenza di tracce di un'antica palatalizzazione dei plurali femminili.
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quelli medievali, ci si rivela ben diversa. Vale a dire ehe in tutte le varietä della terraferma italiana e siciliane la palatalizzazione attesa e presente al plurale solo in casi eccezionali. Se guardiamo da vicino i dati dialettali5 balzano agli occhi due fatti di primaria importanza. E cioe ehe i plurali con alternanza palatale sono tutti sostantivi, e ehe essi si suddividono in due classi ben definite (si vedano anche Salvioni 1900; Goidanich 1940, 146s.; Tuttle 1995): parole ehe si riferiscono ad esseri umani e parole il cui il plurale puo considerarsi non-marcato rispetto al singolare. Prendiamo in considerazione innanzitutto l'italiano, ehe rispecchia molto bene le condizioni dei dialetti con questa differenza ehe l'italiano ha casi di alternanza palatale ehe forse si potrebbe attribuire all'influenza della pronuncia dotta del latino. Sono pressoche inesistenti gli aggettivi italiani ehe si possano definire 'popolari' e in cui appaia Palternanza palatale, tale alternanza limitandosi oggi ad un sottoinsieme di lessemi generalmente dotti caratterizzato dal suffisso atono -ico (scientific!, comici, ecc., ma carichi non 'dotto'); non esiste nessun aggettivo col plurale -gi (tranne lo strano belgi, forma sicuramente dotta ma ehe non corrisponde nemmeno al latino belgae). Per quanto riguarda i sostantivi col plurale -gi, l'italiano ha solo asparago - asparagi (parola per niente 'dotta', ma piü comunemente usata al plurale ehe non al singolare), Magi (termine religiose e forse 'dotto', di contro a maghi = stregoni) e una serie di forme col suffisso -logo significante 'studioso di...', ehe ha il plurale facoltativo in -logi (biologi biologhi, ma sempre dialoghf).6 A questi si aggiungano chirurgi I chirurghi e antropofagi I antropofaghi. I plurali in -ci dei sostantivi si limitano, di nuovo, a parole dotte col suffisso atono -ico (o a volte -aco)'. matematici, farmaci (o farmachi), ma sempre valichi, solletichi, ecc., forme non dotte. Rimangono tre lessemi decisamente popolari: amico - amid, nemico - nemici (riferentisi a persone),/)orco -porci (animali di solito riscontrati in gruppi). Nei seguenti elenchi raggruppo i principal! casi di alternanza palatale neH'italoromanzo:
Parole riferentisi a persone amico e nemico: (AIS 733/4) pochissime le regioni (tranne rEmilia-Romagna) in cui questi lessemi non dimostrino palatalizzazione al plurale. Cosi S. Stino di Livenza [amigo amisi], Sinalunga [amiko arnijl], Nemi [amiku amiji], Saracena [amika amitfa], Giarratana [amiku amitfi], e cosi via per tutta 1'Italia. bifolco: Teramo [bsfolaks] - [bafolatfa]; Parma, Piacenza [bjols], Valtellina [bol{T] da un antico plurale palatalizzato; (anche bifolci presso Petrarca, ma in rima). Si veda anche Salvioni 1900,55.
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Le seguenti osservazioni si basano sugli studi di Salvioni 1884, 1900, 1903, 1904-1905, Goidanich 1940, e sulla ricchissima esemplificazione presentata da Tuttle 1995, nonche sui materiali dell'AIS. Lo spazio a disposizione non consentirebbe di elencare la ricchissima serie di descrizioni morfologiche di dialetti italoromanzi moderni di cui ho fatto uno spoglio. Salvo indicazione contraria, tutte queste fonti confermano appieno il quadro ehe qui disegnero. Magi e biologi ecc. saranno 'dotti', ma s'inseriscono anche nell'elenco delle parole indicanti persone. E possibile ehe anche la distribuzione della palatalizzazione nei lessemi dotti rispecchi la norma esistente nei linguaggio volgare, per cui il plurale palatale e caratteristico di parole indicanti esseri umani. Che la palatalizzazione nelle parole dotte si limiti ai maschili viene interpretato anche da Salvioni 1900, 547 come un efFetto della morfologia del sistema popolare.
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chierico: chierci (usato da Dante ßiori rima),1 Goidanich 1940 ritrova solo il tipo chierici nei testi medievali. chirurgo: tose, chirurgo - chirurgi l chirurghi; cerusici vs cerusichi nei testi medievali (Goidanich 1940). cuoco: cuoci, usato da Dante efiiori rima (cfr. Maiden 1996). greco: tose, greco - gred; grego - gresi (nelle forme medievali dei dialetti settentrionali lombardi e veneti). laico: Goidanich riscontra 36 laid vs l laidich nei testi medievali. Macigni (cognome < Macingi} affiance a Macinghi (si vedano anche Salvioni 1903, 607s.; Goidanich 1940, 192). medico: Goidanich 1940 trova solo medici nei testi medievali; nella stragrande maggioranza dei dialetti (cfr. AIS 705) in cui e usato questo lessema, si ha palatalizzazione al plurale. monaco: monaco - monad; Goidanich riscontra 202 monad vs 3 monachi nei testi trequattrocenteschi; tipo diffuse anche nei sud, a volte con estensione della palatale nei singolare: Ripalimosani [mongtfa - mwonatfa]. sindaco: tose, sindaco - sindad; bergamasco sindes 'sacristano'.
Parole non marcate al plurale con alternanza palatale (o con palatale estesasi al singolare)8 asparago: tose, [asparago] - [asparadji] (anche sg. [[a]sparadjo]), e cosi in quasi tutti i dialetti. baco: (AIS 1160) Marche/Umbria: [bako] [batfi] o [batfu] [batfi]. bruco: (AIS 464) [brugo] [brudji] (Campori), ma anche [bruJO] [bruji], in diverse localita della Toscana. ginesfra: piac. [bryj] (forse con riferimento ai singoli fiori?). ßco: lomb./is (cfr. Contini 1950); anche Lazio [prufitfu] < CAPRIFICUS. fungo: (AIS 621) Camaiore, Campori [furjgo] - [fundji]; Vemole [furjgu] [fundji], Arabba [fonk] [fontf], Selva in Gardena [forjk] [funff]; in molte altre localita, e in quasi tutta l'Italia meridionale, la palatale si e estesa al singolare: Germasino [fundj] [fundj], Civello [funtf] [funtf], Trevi [fujio] [fupi], Montecarotto [fungo] o [fundjo] [fundji], Capestrano [iujia] [funi], ecc. becco: bid in Bonvesin (Salvioni 1900, 548; Goidanich 1940, 177). fiocco: bergamasco sg. [flos], giunco: abruzzese [jun^a] con forme simili nei Lazio e nei napoletano; milanese sonsg. lombrico: Lucca [ombriJO]; a. lomb. lombris (ma cfr. Turtle 1995, 394 n. 12). luogo: a. lomb. logo - lost; Val Camonica [10s] 'tenuta' (cfr. Salvioni 1904-1905). luppolo: lomb. lovertis, ecc. (si veda Salvioni 1900, 555-558). oco: (maschio dell'oca) aret. [oJO] (cfr. Salvioni 1903, 608). 7 8
II plurale palatalizzato e comune nella Commedia, ma solo in rima. Sul significato di questo fatto, si veda Maiden 1996. Si veda anche Tuttle 1995 per ulteriori esempi di questo tipo. Non mi occupero qui del meccanismo per cui, sporadicamente, in Piemonte, Lombardia ed Emilia, nonche in Abruzzo e in Puglia, la palatale del plurale si sarebbe introdotta successivamente anche nei singolare ([amis], [amitfa], ecc.). Si tratterebbe, secondo Tuttle, di im effetto analogico (coadiuvato dalla neutralizzazione nelle relative zone delle vocali atone finali) esercitato dal tipo giudice - giudici.
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porco: a. lomb porco - porzi; tosc. ['porko] ['portfi], Treia ['porko] ['portfi], S. Elpidio a Mare [porku] ['purtTi], Grottammare ['porks] ['purtfX], e cos! via in tutta 1'Italia meridionale (AIS 1088). II plurale palatale presente quasi dappertutto. solco: Belluno [solCr], friul. [soltt]. spago: Subiaco [/paku]/ [Jpatfu] - [Jpatfi], Castro dei Volsci [Jpatfa] - [JpEtfa] (usato principalmente al plurale col senso di 'stringhe delle scarpe')· stinco: Castelmadama (Lazio) [stintfu]; abruzzese [/tindja]; forme simili in Puglia, Mouse, Basilicata (cfr. Turtle 1995, 391). vinco: agordino. [ventf], vinci (usato da Dante, ma solo in rima), L'Aquila [vintfi] (cfr. Turtle 1995, 391). II caso difongo colpisce per la frequenza con cui, in tutte le regioni, appare la palatale anche al singolare. Perche" proprio questa parola, tra tutte quelle con plurale non marcato, presenterebbe cosi costantemente, e con dißusione quasi panitaliana al di fuori della Toscana, la consonante palatale non solo al plurale ma molto spesso estesa al singolare? Sorge il sospetto ehe la palatalizzazione non risalga esclusivamente ad un *[fongi] primitivo. Innanzitutto, esistono dialetti (della Lucania Orientale e meridionale e della zona di Tarantocfr. Rohlfs 1966, 361) in cui il tipo [funjiu] si puo spiegare dal fatto ehe [rjg], indipendentemente dal contesto fonetico, diventa regolarmente [nji]. Ma nella sostituzione di [pji] a [rjg] sara da vedersi forse anche un riflesso delle note oscillazioni neH'italoromanzo tra [sperjgo] e 1'analogico [spejyio] (almeno nel centro-sud), [tenjo] e 1'analogico [terjgo] (cfr. Rohlfs 1968, 259). Su questo si veda anche Turtle 1995, 394 n.l 1, il quale cita altri fenomeni di vacillazione tra [pji] e [ng], come punga per pugna in Dante, spunga per spugna nel Dittamondo. Generalmente si ritiene (p. es., Goidanich 1940, Turtle 1995) ehe l'assenza della palatale al plurale sia 1'effetto di un banale 'livellamento analogico' per cui un'alternanza una volta generate sarebbe stata sostituita a favore di un rapporto 'biunivoco' tra forma e significato. Risponderei innanzitutto - anche se questa non sarä 1'occasione per approfondire il discorso - ehe nella morfologia storica si ricorre troppo spesso al livellamento analogico come spiegazione 'a tutto fare'. La storia morfologica delle lingue romanze insegna pero ehe non esiste nessuna tendenza generate verso la biunivocitä, e ehe il rapporto tra forma e significato puö diventare sia piü complesso ehe piü trasparente (su questo si veda Maiden 1997).9 Non sono quindi d'accordo con Turtle 1995, il quale in uno studio d'altronde affascinante sull'lntroduzione della consonante palatale al singolare, fa appello ad una supposta optimalization del rapporto fra forma e significato, ma non puö passare sotto silenzio10 numerosi casi di creazione analogica di alternanze palatali e metafoniche (p. es. Turtle 1995, 394 n.l 1; 402 n.35; 403). Si consideri anche la sorte della alternanza palatale nel verbo italoromanzo dove non solo essa si mantiene generalmente intatta ma si e estesa a verbi originalmente invarianti comefoggire (Maiden 1992). A mio modo di vedere, 1'apparente 'livel-
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Per una impressionante serie di livellamenti cui si oppongono altrettante creazioni analogiche, cfr. Byck-Graur 1933. E difatti Turtle 1995, 409 fa ripiego in via speculativa su "a socio-stylistic resistance to change underway". Ma allora ci si chiede come mai, nei relativi dialetti, non si sia avuta la stessa resistenza anche per quanto riguarda forme come [amis]. Tutto sommato, si ha l'impressione ehe per i parlanti sia del tutto indifferente ehe un lessema sia invariante o no.
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lamento analogico' ha di solito una spiegazione lontana dalla Ottimizzazione', e cioe il semplice non apprendimento dell'alternanza (probabilmente condizionato dalla frequenza). Come io ho proposto altrove (Maiden 1996; 1997), semmai e importante non la trasparenza semiotica ma la prevedibilitä sistemica, la possibilitä di collegare in modo quanto meno ambiguo le alternanze morfofonologiche a condizioni fonologiche o morfologiche per quanto siano arbitrarie. E si badi ehe Palternanza palatale sarebbe stata altamente prevedibile perche dipendente da condizioni fonologiche (essa si realizzava unicamente davanti a vocali anteriori), e morfologiche (essa si realizzava unicamente, per quanto riguardava il sostantivo e l'aggettivo, al plurale), presenti costantemente lungo tutta la storia dei dialetti. Ma e soprattutto significativo ehe in tutto il dominio italoromanzo - la cui secolare frammentazione ha notevolmente favorito la soprawivenza, fosse solo in rare varietä marginali, di assetti morfologici antichi - non esista il minimo indizio di una palatalizzazione una volta sistematica al plurale: non ci sono, nemmeno nelle regioni piü sperdute, sistemi morfologici caratterizzati da palatalizzazione regolare o tendenzialmente regolare al plurale.1' Inoltre, parla molto a sfavore dell'ipotesi di un livellamento analogico il fatto ehe la metafonesi, alternanza vocalica anch'essa fatta scattare dall' -/' del plurale,12 si sia conservata quanto mai intatta nei dialetti della penisola centrale e meridionale, nonche nelle varietä settentrionali alpine, venete e romagnole (cfr. Maiden 1991), mentre in questi stessi dialetti Palternanza consonantica si sarebbe limitata a solo poche parole. Si considerino a mo' d'esempio i dialetti romagnoli in cui e rimasta saldissima Palternanzametafonica, mentre quellapalatale e assente (5). 5. Presenza dell'alternanza metafonetica ed assenza di quella palatale nel plurale romagnolo [mes] - [mis] [amik] - [amik]
[fort] - [fürt] [p^k] - [purk]
ecc. ecc.
Sta il fatto ehe amico e il suo antonimo nemico fanno spicco in quanto il loro plurale manifesta la consonante palatale su quasi tutta la penisola italiana. Sono due parole appartenenti al lessico comune, intimo, quotidiano e quanto mai 'popolare'. Sorprenderä quindi ehe si sia potuto pensare ad influenze dorte (la pronuncia medievale del latino AMICI come [amitfi]) per rendere ragione della palatale al plurale, ma secondo Goidanich 1940, 178-180 si tratterebbe di uno sviluppo almeno in parte 'dotto'. La palatale e, si, di origine popolare, ma se in quasi tutta l'Italia essa si e sottratta ad una supposta tendenza altrettanto 'popolare' a rimodellare il plurale sul singolare, cio si dovrebbe ad influenze latineggianti sorte in ambiente 11
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Mi si osserverä ehe se l'area geografica deH'italoromanzo non offre nessun vestigio convincente di una palatalizzazione una volta generate, esso si presenta invece in modo evidente se spostiamo lo sguardo verso il rumeno, dove la desinenza -i (come pure -e) induce sempre la palatalizzazione: larg - largi, lung - lungi, särac - säraci, mic - mici, ecc. Purtroppo, il rumeno e sotto questo aspetto una fönte del tutto inattendibile per quanto riguarda la ricostruzione dell'assetto morfofonologico primitivo, in quanto questa lingua sembra aver conosciuto lungo tutta la sua storia una spiccata propensione per palatalizzazione, la quäle ha interessato quasi tutte le consonant! (cfr. Rosetti 1986,116s.), persino i [kw] e [gw] originali ehe in altre varietä romanze non subiscono la palatalizzazione (cfr. SANGUEN > sauge; QUAERIT > cere). E persino concepibile ehe il protorumeno non partecipasse mai alia palatalizzazione 'romanza' (cfr. Tagliavini 1969, 367s.). La metafonesi crea un'altemanza tra singolare e plurale in tutti i dialetti metafonizzanti nei lessemi di terza declinazione. Ma anche -u provocava la metafonesi, e se accettiamo Pipotesi ehe anche da -OS si sarebbe avuto -u (*-os > *-oi > -u, come *-es > *-ei > -i), la metafonesi sarebbe stata presente nei lessemi di seconda declinazione tanto davanti alia desinenza nominativa -i, quanto davanti alia desinenza continuatrice di -OS.
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urbano toscano e in mezzo ad una classe superiore ehe, a differenza della mentalita contadina, tendeva ad avere molti amici, e nemici. Se il plurale con palatale si trova diffusissimo in Italia, dice Goidanich, esso sarebbe un effetto di irradiazione linguistica mediata dai centri importanti. Ora, ehe ci sia una differenza di mentalita tra classe colta e ceto contadino tale da costituire una inversione di marcatezza tra singolare e plurale di amico e nemico mi pare francamente assurdo, come e parso poco convincente a Tuttle e ad altri prima di lui (cfr. Tuttle 1995, 396; Meyer-Lübke 1890, 192; 1894, 66, 71). Per di piü, la distribuzione geografica del plurale palatalizzato di amico e nemico (lo stesso dicasi di medico) quale ce la rivela 1'AIS13 non corrisponde afFatto a quanto previsto da Goidanich, giacche la palatale appare ben radicata anche nelle zone piu remote dell'Italia meridionale (per esempio in Calabria, Basilicata e Salento), mentre si da il caso ehe intorno a grandi centri come Bologna e Roma esso manchi. E se 'nemici' e (semi)dotto, perche non si ha anche inemici inimici fonologicamente piü 'dotti'?14 In quanto al tipo bifolci, non solo il lessema appartiene alia sfera semantica rustica, ma la forma fonologica ne garantisce l'autentica 'popolaritä', dato ehe la forma classica e BUBULCI. Se medici appartiene indubbiamente ad una sfera sotto certi aspetti 'dotta', sarebbe un grosso errore supporre ehe il concetto ehe esprime sia 'dotto'. Anzi, il medico (di solito un singolo individuo, per cui si puo escludere ehe esso abbia un plurale non marcato) e le sue funzioni dovevano essere noti in campagna quanto in cittä. II fatto ehe l'alternanza palatale appaia costantemente in quasi tutta 1'Italia meridonale e in gran parte del nord (AIS 70S),15 e il fatto ehe la parola subisca altri cambiamenti fonetici per niente 'dotti', come la metafonesi, fanno pensare ad uno sviluppo del tutto autoctono: p. es. Grottamare [medaka mideca], Formicola [mjeoska mjeoatfa], Vernole [mjediku mjeditfi] Catenanuova [mjeöiku mjeoitfi]. Valgono gli stessi ragionamenti per le forme medievali come chierci, cherci, cerusici, tutti assai diversi fonologicamente dalla presunta fönte latina. E molto piü difficile dire se greci sia popolare no. Mi parrebbe ardito affermare, con Goidanich 1940,183, ehe "I volghi di terraferma in Italia non conoscevano Greci. In Toscana Greci, un collettivo, e 13
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Stando all'AIS (carta 733) il tipo amici e generate in pressoche tutto il sud (esso mancherebbe solo a Monte di Procida), e molto diffuse nel centra e nel nord, con 1'eccezione di tutta I'EmiliaRomagna (nonostante la presenza di Bologna - cittä 'dotta' per eccellenza), di talune localita del Veneto occidentale (310, 330, 352, 360, 364, 393), della zona di Mantova (288, 286, 289), della costa ligure (199,190), e della Toscana sudorientale (545 551 571 581 582 590). II plurale palatale manca anche in alcune localita laziali ed abruzzesi del corridoio Roma-Ancona (615 632 652 643 616), tra cui Roma stessa. Per nemico (AIS 734) 1'AIS da meno informazioni sui plurali, ma rivela comunque uno stretto parallelismo con amico. Per Goidanich 1940, 179 il fatto ehe in Bonvesin si abbia inimisi appoggerebbe la tesi di un'origine 'dotta'. Ma la forma e, appunto, eccezionale. Che nei dialetti settentrionali si conservi la vocale protonica non e poi un indizio di origine dotta, come vorrebbe Goidanich, giacche sarebbe inammissibile il risultante *[nm] iniziale. Gran parte del nord dice non 'medico' ma 'dottore' Nelle zone dove si usa il primo lessema la palatalizzazione manca generalmente nei dialetti liguri, in alcune localita del Veneto (398 367 375 352 333 323 375), sporadicamente in una zona (compreso Roma stessa) ehe dal Lazio meridionale si estende attraverso FUmbria e la Toscana meridionale fin nelle Marche settentrionali (520, 535, 542 553 529 536 547 546 556 550 567 571 575 574, 603 581 588 576 616 584 582 612 615 618 625 630 633 637 652 654 645 658 662). L'alternanza sarebbe, a giudicare dall'AIS, pressappoco onnipresente (seppure a volte facoltativa) nel sud, tranne ehe in talune rare localita della Puglia, della Basilicata e della Campania (717 721 720 732 ), e in Sicilia al punto 836 (dialetto galloromanzo).
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percio certo un latinismo," e ehe dove si ha per esempio gresi negli antichi dialetti altoitaliani si tratta di una "dialettizzazione di forme letterarie". Ma dovremo lasciare aperta la questione, notando solamente ehe se di latinismo si tratta, va sottolineato come esso abbia interessato un sostantivo indicante persone. Si noti anche, con Goidanich 1940, 184, ehe mentre moltissimi sostantivi ed aggettivi ehe oggi hanno -ci potevano uscire prima del ottocento tanto in -chi quanto in -ci, gia nel Duecento appaiono con notevole maggioranza i plurali in -ci nei casi riferentisi a persone: chierici cattolici media sempre con la palatale; monad canonici eretici laid ecclesiatid cerusid tutti con il plurale palatale in netta maggioranza. Solo ehe per Goidanich 1940, 185, "esse voci designano classi od ordini di persone, quindi sono al plurale nomi collettivi". Puo darsi ehe i monad costituiscano 'gruppi', ma all'idea (proposta anche da Salvioni) ehe i medici siano concepiti comunemente come un gruppo risponde cosi, e giustamente, Turtle 1995, 393: "But to suggest that doctors are most often conceived of as a class [...] was stretching credulity". Ancora: se la palatalizzazione e un effetto di una pronuncia latineggiante, come mai non si hanno femminili plurali come *amice, visto ehe nel latino medievale AMICE (= AMlCvE) si pronunciava famine] (cfr. Tekavcic 1980, II, 55)? Aggiungerei ehe non conosco nessun altro esempio16 di influenza morfologica del latino sul volgare parlato. Per esempio, i plurali neutri latini in -A non sembrano aver esercitato nessuna influenza sulla serie dei plurali italoromanzi in [-a]: tempora e corpora dell'antico toscano andarono persi, nonostante concordassero perfettamente con TEMPORA, CORPORA; eppure dita soprawive tranquillamente accanto a diti, a dispetto della forma latina DIGITI, maschile.17 Come spiegare, allora, 1'incidenza di una palatalizzazione ehe per quanto sporadica sembra essere di origine autenticamente popolare? La situazione dei dialetti moderni e medievali, con palatalizzazione diftusissima ma paradossaknente limitata a pochi lessemi, e del tutto comprensibile se ipotizziamo, un po' sulla scia di quanto hanno fatto Benincä e Vanelli18 per il friulano preletterario, un assetto morfologico esistente in tutto il dominio italoromanzo (a giudicare dalla distribuzione geografica del tipo amico - amid) in cui un caso nominativo in -/ e quindi palatalizzato si opponeva a un caso (o forse a piü di un caso) obliquo caratterizzato dalla desinenza [-oj] e quindi non palatalizzato. In via speculative, si puo pensare ad uno sviluppo per cui la desinenza dell'accusativo -OS awebbe dato [-oj], poi [-u]. Col crollo della distinzione sintattica tra i casi i parlanti si sarebbero trovati davanti a due variant! del radicale senza distinzione funzionale. Ceteris paribus, prevalse la forma non palatalizzata appoggiata dal singolare, dove la palatalizzazione non appariva mai. Ma esistono due tipi di eccezioni: nei sostantivi in cui il plurale e non marcato rispetto al singolare, rinfluenza del singolare sarebbe stata assai minore cosi ehe poteva prevalere sia la 16 17
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Una possibile eccezione e dio col plurale latineggiante dei. Ma questo plurale avra una spiegazione culturale e lessicale particolare (v. Maiden 1998, 115). Non va trascurata la massiccia sovraestensione dei plurali in -ora nota non solo nei testi medievali in lingua latina (cfr. Aebischer 1934) ma anche nei dialetti italiani meridionali nonche, e soprattutto, nel rumeno -uri. Se tale sovraestensione nella lingua scritta potrebbe, forse, ascriversi ad ipercorrettismo, difficilmente la sua presenza generalizzata nel sud andrebbe attribuita a modelli latineggianti, mentre per i fatti rumeni e senz'altro da escludersi 1'influenza dotta del latino. Ma ci sarebbe da chiedersi, in linea speculativa, se il generalizzarsi di -ora, desinenza plurale ehe non distingue naturalmente tra caso retto e caso obliquo, non si debba ad una certa conrusione tra forme rette ed oblique nei maschili della seconda declinazione. Ma nel friulano (a differenza per esempio del badiotto e del marebbano) non si conservano tracce della palatalizzazione delle velari al plurale. Si veda Beninca e Vanelli (1978,247 nl).
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forma palatalizzata ehe quella non palatalizzata (cfr.fiingo e pored); nei sostantivi riferentisi a persone, il nominativo poteva avere il valore di forma non marcata non solo perche essi tipicamente funzionano come soggetto della frase ma anche perche hanno funzione di vocativi - la rivalita tra forma obliqua e forma nominativa tendeva quindi a risolversi a favore di quest'ultima. Se in alcune varietä come il toscano soprawive porci con palatalizzazione (come in gran parte dell'Italia) di contra zfunghi con velare, nonostante tutti e due siano plurali non marcati, forse entra in gioco anche il fatto ehe porco si differenzia dz fungo in quanto il primo ha come 'amico' il tratto [+animato] - e non andrebbe forse trascurato ehe porci puo essere usato come improperio appunto a proposito di persone. 6. Ipotesi di sistema casuale nei plurali di seconda declinazione Norn. Obi.
[*fotfi] [*foko[j]] Prevale la forma obliqua, perche essa corrisponde al singolare, 'non marcato', in -k
[*portfi] [*amitfi] [*parko[j]] [*amiko[j]] Puo prevalere sia la forma Prevale la forma nominatinominativa ehe quella obli- va, perche essa e 'non marqua; I'influenza del singola- cata' rispetto allObliquo. re non entra in gioco perche il singolare e 'marcato' rispetto al plurale.
Al di fuori dei lessemi imparisillabici della terza declinazione, pero, e molto difficile trovare tracce di nominativi singolari. Da CANis > [*kanes] > [*kanei] ci si aspetterebbe nn singolare nominativo [*kani], forma sfavorita forse dalla collisione col plurale. Si noti ehe Castellani 1956, 65 fa derivare un nome proprio, Giovanni, dal nominativo IOHANNES. Per quanto riguarda i nominativi del tipo FOCUS, se accettiamo ehe -AS da -e e ehe -ES da -/, sarä da aspettarsi ehe -OS dia -«. Ma allora il risultato *[foku] sarebbe diventato identico all'accusativo *[foku] da < FOCUM). Sul problematico sviluppo di -US nell'italoromanzo si veda pero Leonard 1978, 74-78. Nonostante le difficoltä ehe incontriamo per la ricostruzione di una desinenza nominativa al singolare, la soprawivenza deH'alternanza palatale in amico amid, come m porco porci ha tutte le apparenze di risalire ad un sistema casuale del tipo attestato nelle varietä romanze settentrionali, e la cui esistenza e tutt'altro ehe improbabile se teniamo conto di quelle preziose tracce anche meridional! di un assetto morfologico in cui un caso retto rimaneva distinto da un caso obliquo.19
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Preparando il testo originale di questa comunicazione non avevo potuto tenere conto di Herman 1997, ehe esprime scetticismo sulla possibile soprawivenza di una distinzione tra nominativo e accusativo nei dominio italoromanzo. Che ci sia stata una tempestiva confusione dei casi mi sembra indubbio, soprattutto in base a quelle ehe scrive lo studioso ungherese. Eppure i miei dati sembrano parlare a favore di una soprawivenza, fosse solo transitoria e parziale, di un sistema 'alia francese'.
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Lorenzo Renzi Storia di IPSE ipse dico! 1. La discendenza romanza di IPSE Negli ultimi anni molti studi sono stati dedicati alia continuazione romanza di IPSE. L'interesse si e concentrate quasi esclusivamente sulla sua nuova funzione di articolo e sulla sua concorrenza per questo aspetto con ILLE (Tekavcic 1980, parr. 432-433). In questa prospettiva hanno lavorato, tra gli altri, con diversi e interessant! risultati, Harris 1980, Nocentini 1990, Selig 1992 e Vincent 1998. Quanto a noi, come avevamo giä fatto per IPSE (Renzi 1997), abbiamo pensato di riprendere questo tema ampliandolo all'intera gamma di continuazioni romanze di ILLE: di studiarne cioe la "fissione". IPSE articolo, dunque, ma anche e, soprattutto, IPSE pronome di III persona. L'ambito di questo lavoro, come suggerito dal tema del nostro Convegno di Venezia, e I'ltalia, ma cominciamo con un rapido inquadramento nell'intero dominio romanzo. Ecco i dati essenziali relativi alia continuazione del lat. IPSE (forme semplici e suoi derivati: composti, ecc.) in romanzo. Distinguiamo per chiarezza tra: l.Pronomi; 2. Aggettivi; 3. Nomi; 4. Composti. 1. Con valore di pronome di III persona (concorrente con le continuazioni di ILLUM): it. esso, oggetto del nostro studio. It. centro-merid. masch. sing, issu, pi. issi (con metafonesi), femm. essa, esse; sardo isse issu, issos, femm. issa, issas (pi. obi. issoro) (Ascoli 1901; REW4541; Väänänen 1982, § 272; Lausberg 1962, §§ 716-717). 2. Agg.: fr. a. es nell'espressione en es le pas, le jor, l'eure "subito" (Rheinfelder 1967, § 387); prov. eis, cat eix (ÄEJF4541). Come vedremo, it. esso agg. e sempre cultismo. Con valore di dimostrativo, aggettivo e pronome, cat. eix, sp. ese, pg. esse, in certe varieta piemontesi e liguri (Rohlfs 1968, 206; per il Monferrato, Ascoli 1901, 309-311; per Torino, Aly-Belfadel 1933; per Cairo Montenotte, Parry 1991; per il ligure occid. vedi VAppendice di Marco Cuneo). Con questo valore si hanno in genere composti con IPSE o piü spesso con ISTE (v. avanti, IV). 3. Nome: rum. ins "persona". 4. Composti: ISTUM IPSUM > it. stesso; MET-IPSIMUM > it. medesimo, fr. a. meesme (> sp. mismd) mod. meme, MET-IPSUM > prov. mezeis, cat. mateix (REW 5551; Väänänen 1982 § 279). Qui va considerate per me anche l'awerbio it. sett, antico con esso, seguito da lui, lei ecc. dove IPSUM rinforza CUM, forma ehe incontreremo piü avanti e ehe si trova ancora per es. nelFAriosto, Orlando fiirioso, XXX, 77: e ehe con esso lei s'era par-
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tito...} (cfr. Ascoli 1901, 315; Rohlfs §496). It. merid.: sie. calabr. chissu, camp, chisss, abr. quissu, ecc.; cat. aqueix, sp. aquese, pg. aquesse < ECCUM/ACCUM + IPSE/IPSUM (Rohlfs 1968, § 493; REW4541). Le forme abr. nap. calabr., sie. sso, ssa sono riduzioni dal precedente (Rohlfs 1968, § 494). Rum. dänsul < DE (o ID)+IPSU+(ILL)LU (Niculescu e Roceric 1999, 144 con bibliografia). Tose. a. desso < ID IPSUM. Rum. insumi, -fi lett. "stesso-mi, stesso-ti", cioe: "io stesso, tu stesso". Composti invariabili: AD IPSUM (TEMPUS) > it. adesso (area settentr. e centrale, v. Tagliavini 1964 § 68; l'etimologia e incerta a causa della e aperta, Rohlfs 1969, § 929), fr. a. prov. a. ades "subito". REW 2558 < DE(N)SUS.2
2. Esso in Italia, oggi La forma italiana esso merita qualche commento., Cominciamo dal presente. Esso sembra avere concluso il suo ciclo vitale in italiano: se nella lingua scritta continua a essere impiegato, in quella parlata, anche formale, e quasi del tutto scomparso: nel Lessico difrequenza dell 'italiano parlato, benche sia stato scelto improwidamente come lemma per tutto il pronome di III persona, esso ha occorrenze vicinissime a zero: ci sono 4 casi di essi, l di esse, nessuno di esso e essa (De Mauro e altri 1993, 249). Questo risultato e l'approdo di una lunga storia. Come vedremo, in Italia esso ha subito la concorrenza di egli (da ILLE): le due forme avevano originariamente delle localizzazioni in gran parte diverse sul territorio, e ancora oggi e cosi. Tuttavia nel corso della formazione della lingua letteraria italiana, i due tipi concorrenti, quello derivato da ILLE rappresentato da egli e dall'obliquo lui, e quello derivato da IPSE (esso), si sono sovrapposti e hanno formato paradigmi comuni, contraddistinti ruttavia da sovrabbondanza e instabilitä. II risultato e ehe oggi nella lingua Standard la partita e stata vinta dalle forme oblique lui, lei, loro a spese sia della continuazione del nominative egli, originariamente sia singolare ehe plurale, sia di esso (vedi Renzi 1998). Come aggettivo (cioe modificatore di un nome, elemento adnominale), it. esso nel tipo di essa arte, essa misura, e un cultismo presente sporadicamente in italiano antico, e anche successivamente, fino a oggi, in singoli autori. L'esempio piü recente nel G.D.L.I. (s.v., 2) e di Bacchelli (in un contesto ehe favorisce il pastiche medievale). Ma si possono trovare anche esempi piü recenti: uno l'ho trovato nella traduzione italiana di Proust di Mario Bonfantini: "E in quanto al 'drappo', di cui Bloch avrebbe certo creduto ehe si dovesse usare solo ai funerali, a causa dei cordoni di esso drappo di cui si parla nei resoconti di certe esequie" (/Guermantes, Torino, Einaudi, 1949; Oscar Mondadori 1970, p. 559). ' Bisognerebbe approfondire come IPSUM arrivi a "rinforzare" CUM, il ehe presuppone una sua completa desemantizzazione. Non mi sembra accettabile l'idea dell'Ascoli (1901, 315) per cui esso avrebbe rinforzato originariamente il pronome o nome seguente, e poi per rianalisi, come si direbbe oggi, sia passato ad agglutinarsi all'elemento ehe segue. II fatto che&rconon si accordi concio ehe segue non va certo a favore di questa ipotesi, come pretendeva Ascoli. V. anche avanti § 5.2. 2 Issa < EPSA (HORA) "adesso" due volte in Dante: Inf. XXffl, 7; Purg. XXIV, 55 (ma non in XXVn, 21, come si trova in edizioni superate). In Purg. XXIV la parola e in bocca a Bonagiunta da Lucca, ma non deve essere lucchese, perche mancano riscontri e perche non si giustificherebbe la »- invece di e- (non la spiega Parodi 1957, 161 e 291). Rohlfs (1969, § 929) lo da per italiano sett., dati alcuni riscontri con dialetti lombardi - ma anche qui andrebbe giustificata la /-.
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Qual e la situazione di esso pronome nel dominio dialettale? Partiamo dalla situazione moderna, servendoci dell's/5 (per il sing.: vol. I, carta 65, per il pi. vol. VII, 1253 e VIII, 1660). II tipo "esso" e assente dal Settentrione (con poche eccezioni in Piemonte e Liguria dove il valore e perö di dimostrativo; ma vedi YAppendice di Marco Cuneo) e dalla Toscana. Nell'area centro-meridionale e presente al singolare in una zona abbastanza vasta ehe sull'Adriatico ha il suo punto piü settentrionale a Sant'Elpidio a Mare (Ascoli), mentre a Ovest e presente nel Lazio meridionale e a Napoli e dintorni (al pi. c'e "loro") (cfr. ora Radtke 1997, 85). Queste due estremitä sono congiunte da una zona compatta interna ehe comprende la gran parte delle Marche meridionali, 1'Umbria, il Lazio (senza Roma), 1'Abruzzo e la parte settentrionale delle Puglie (provincia di Foggia e Lucera nel barese) e della Campania (province di Caserta, Benevento, Avellino e Salerno). Puglia meridionale, Basilicata, Calabria e Sicilia sono escluse. Questo per il singolare. Piü ridotta 1'area in cui c'e "essi" anche al plurale: a Est si ferma a Nord del Gargano e a Ovest non sembra raggiungere il Tirreno, mentre la zona interna, molto meno consistente, si limita all'Umbria, il Lazio, il Mouse e a una striscia campana settentrionale (Caserta). Come si vede a Sud "esso" subisce la concorrenza di ILLE nella forma di loro e, scendendo piü a Sud, nel salentino, nel calabrese meridionale e in siciliano, di illi, ifäi, fino alia vittoria completa di quest'ultimo tipo con la coppia simmetrica itfäu: itjtfi (cfr. Rohlfs 1968, § 437). In sardo accanto al tipo IPSE (issu: issos) ehe prevale largamente e ehe sarä quelle originario, appare in qualche punto anche ILLE (/V it. stesso, e MET-IPSUM, IPSIMUS > "medesimo" (Ernout-Thomas 1964, § 216 e Väänänen 1982, § 279). Si vede ehe la nuova formazione awiene con la stessa tecnica dell'aggregazione di element! ehe e servita per esempio a formare un nuovo dimostrativo come it. quello < ECCUM ILLUM, una volta ehe ILLUM e passato a prendere funzione di articolo e di pronome: it. lo (Renzi 1997). Dalle carte medievali latine ehe ho sfogliato (dirö subito quali) ISTE IPSUM mi e risultato difficile da documentare. MET IPSUM si trova invece giä facilmente per es. in un testo latino di area italiana centro-meridionale del VI sec. com'e la Regula magistri. MET e il suffisso di egomet diventato prefisso di IPSE seguente, come in egomet ipse biasimato da Donato (Väänänen 1982 § 279). E attestato no3
Se questa descrizione del fatti e giusta, allora si vede ehe la grammaticalizzazione e uno schema troppo rigido per la descrizione passe-partout del cambiamento diacronico: non tutti i cambiamenti consistono in una perdita di tratti, in un impoverimento semantico, in un aumento di frequenza. La grammaticalizzazione sarebbe solo un caso particolare di un insieme piu vasto di fenomeni ehe possono colpire determinate forme in diacronia. Resta da vedere se si riesce almeno a limitare la fenomenologia di cio ehe puo succedere con i tratti in diacronia.
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ve volte nella Regula magistri, tre volte con il pronome di I pi. nosmetipsos, nobismetipsis, il resto con se (semetipsos). Ma in genere nelle carte medievali lo stesso IPSE continua a essere usato anche per il significato di "stesso", venendo cost a cumulare i due significati, quello classico e quello volgare. Possiamo adesso provare a congiungere in qualche modo i due punti fissati, e chiederci: - ehe cosapossiamo spiare della continuazione di IPSE nelperiodo tardo latino? - come appare il panorama al manifestarsi delle prime scritture in volgare nella penisola? In latino classico, e anche in latino medievale, IPSE s pronome e aggettivo. Ma dal momento in cui interroghiamo le carte medievali con gli occhi del romanista dobbiamo tenere separate le nostre schede. Se in certe occorrenze abbiamo ragione di credere ehe dietro al latino ci sia il romanzo, allora IPSE pronome nasconderä esso, IPSE aggettivo dovrebbe invece essere un articolo definito. Nel primo caso si tratterä di vedere se IPSE sia veramente "esso", e non un mero latinismo. Nel secondo caso, si tratterä eventualmente di confermare Pesistenza di queU'articolo definito derivato da IPSE sostenuta in un celebre intervento del 1948 da Paul Aebischer, secondo il quale 1'articolo so, sa era diffuse un tempo anche nell'Italia centro-meridionale, oltrepassando cosi di molto i ristretti confini attuali (Catalogna, Guascogna, Sardegna). Non mancano dubbi, tuttavia, su questa tesi. Nelle stesse aree, e alle volte nelle stesse carte, in cui si registra ipse con possibile valore di articolo, appaiono, notate dallo stesso Aebischer, le prime documentazioni italiane delle forme lo, la, forme ridotte da ille. Per es. dalle Carte di Chiaravalle di Fiastra (7, a. 1060, copia della II metä del sec. XII, Camerino, p. 22, r. 2): ides do adque concede tibi beata Sancta Maria et tibi Gisoni archipresbitero medietate de ipsa mea portione de ipsa curte de Colaltu, sive cu terns, vineis, casi, silvis, salectis, olivetis, cannetis, pratis, aquis, aquimoliss et co decursibus aquarum et cum ipsa medietate de ipsa mea portione de ipso castellu qui dicitur Collaltu, cum introitu esoitu suo et cum ome artificum et cum omnia pertinentia, quantu a ipsa mea portione medietate pertenea vel pertinere debent; qui es per fini de omnia ipsa res: a primo latere fine fluvio Clenti, et a secundo latere fine va qui pergi de sanctu Beneditu et veniente a lu masaciu et veniente in Fiastra, et a tertio latere fine Lentoca, et a quarto latere fine [vi]a qui pergi de la Lentoca et veniente a Sanctu Patemianu et veniente a lu cavatitiuElperini... [cioe do e concedo a te beata santa Maria e a te Gisone arcivescovo la meta della mia porzione della corte di C., con le terre, le vigne, le case, i boschi, i salici, gli oliveti, i canneti, i prati, le acque, i mulini e con le acque correnti e con la meta della mia parte del castello detto C., con il suo ingresso e uscita ... e con ogni manufatto e con tutti gli annessi, quanto alia mia porzione la metä appartiene debba appartenere; tutto il bene confina: dal primo lato ha come confine il flume Chienti, e dal secondo lato ha per confine la via ehe va da San Benedetto e viene all'abitato e viene a Fiastra, e dal terzo lato ha per confine L., e dal quarto lato ha per confine la via ehe va dalla L. e viene a San P. e viene al di E....
Si vede ehe ipse accompagna delle denominazioni comuni (non sempre giä nominate), lu, la invece piuttosto dei nomi propri (forse anche nel caso di masaciu'?). Aebischer parla a proposito di ipse come di articoloide, un concetto ehe l'autore non chiarisce abbastanza, ma ehe deve valere comunque come una prima fase deH'articolo. Non si puo comunque escludere, anche dalPesempio della Liguria occidentale (vedi Appendice), ehe in questa fase coesistessero due tipi di articolo definito, da ILLE e da IPSE.
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Di una forma ridotta sä < IPS A ci sarebbe un solo es., ma incerto, dato da De Bartolomaeis (1902-05,17 nota 1; (Codex Caietanus a. 964, II p. 123, 9): ".. .et est ipsa suprascripta terra super safestara", dove safestar a sarebbe sä Festara (un nomefestara peraltro non e noto). Ricordiamo infine ehe la presenza dell'articolo derivato da IPSE nel Mezzogiorno d'Italia sarebbe limitata oggi alle sole localitä dell'Abruzzo di Pescasseroli (sä, sä da IPSUM, IPSA), Scanne zu, pl. zi (cioe [dz:]) contro il femm. la (e oggi al masch. c'ejii), e Villalago. Ma almeno le forme di Scanne sembrano derivare in realta da ILLE con palatalizzazione della -LL- e successivi passaggi fino a Itsl e Isl (vedi Rohlfs 1966, § 234 e 1968, § 420).4 Anche questa presenza resta quindi incerta. Una nuova indagine su carte medievali poträ fornirci nuovi element! su questo problema?
4. Latino tardo e latino "circa romanium" Per la nostra ricerca abbiamo scelto un testo latino volgare e alcuni testi basso medievali dalla datazione e dalla localizzazione sicura. II testo latino volgare varra come testimone dell'evoluzione del latino dopo la caduta delFImpero, gli altri come documentazione di un latino ormai solo scritto, ehe e non altro ehe una "mascheratura" (Avalle 1965,199) del volgare romanzo. II primo testo e la Regula magistri, scritta in area laziale-campana nel VI secolo, e edita da un manoscritto (Parigi N.N. lat. 12205) della stessa provenienza geografica della fine dello stesso secolo. E ricco di volgarismi. L'edizione, di Adalbert de Vogüe, e prowista di studio linguistico e di un ottimo glossario ehe ha facilitato grandemente il nostro lavoro. I documenti medievali sono costituiti da: I) atti giuridici longobardi dalla fine del VII alia fine delPVIII secolo di area italiana settentrionale e toscana (Schiaparelli 1929).5 II) atti giuridici di area italiana centro-meridionale, e precisamente: due complessi di area adriatica e tre di area tirrenica. Delle raccolte di area adriatica, una e marchigiana: le carte dell'Abbazia di Chiaravalle di Fiastra (nella nuova edizione di Spoleto 1997, di cui sono present! ora il vol. I a cura di Attilio De Luca [1997] e il III, ehe sostituiscono in parte la precedente edizione di Ancona), e uno pugliese: quello degli atti del Monastero di Conversano (Bari) (Morea 1892), dall'815 in poi. I documenti di area tirrenica sono tutti campani. 4
5
La forma zu, su e oggi dimenticata a Scanno, sostituita daju (da lu < (IL)LUM). In alcune raccolte recenti di proverbi e di altra letteratura orale, si vede ehe l'editore, uno studioso locale, ha difficolta nell'interpretazione della vecchia forma, come si vede dalle traduzioni, condotte caso per caso. Per es.: zu muntäune m 'ha lassata "il montone mi ha lasciata", ma dendre a ssu core "dentro al vostro cuore", tocca 'ssu moniere... Siejje sopra a ss 'area "tocca quel paiolo... sali su quell'arca" (Marco Notarmuzi, Eustachio e Tecanera owero Le tradizioni popolari di Scanno, Scanno, Deltatipografica, 1993, pp. 25,146, 164). I testi longobardi italiani settentrionali e quelli toscani presentano la stessa fisionomia linguistica (in particolare lenizione delle dentali e velari intervocaliche). Si oppongono, insieme, alia fisionomia, altrettanto netta, delCentro-Sud,caratterizzatadalbetacismo. Senetrovano alcuni esempi anche nei passi ehe citiamo nel testo: balle per volle, flubio perßuvio, ballone per vallone, e, al contrario, carvonara per carbonara; bocatur per vocatur, binea per vinea, e tivi per tibi (Cava dei Tirreni).
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II primo e quello di Cava dei Tirreni (Codex diplomatics Cavensis, 1972-93), con testi dal 792 in poi, con aggiunta di dati dal Codex Caietanus della citta e del circondario di Gaeta (dal 787 in poi) contenuti nello studio di de Bartolomaeis 1902-1905. Abbiamo inoltre tenuto conto dei risultati della interessante tesi di laurea di Biagio Forino (1985-1986) condotti sulla prima parte del codice diplomatico verginiano (edito da Placido Mario Tropeano dal 1977 in poi, 10 voll.) dall'anno 947 al 1045, dell'area di Benevento e zone finitime. La scelta di questo corpus si spiega col desiderio di cercare: — se i cambiamenti ehe portano dal latino airitaliano siano preannunciati in un'opera, come la Regula magistri, ehe si colloca press'a poco nel periodo in cui si suppone ehe awenga il passaggio tra il latino e il romanzo.6 E se si, come; — se i document! latini settentrionali e toscani da un lato e quelli centro-meridionali dall'altro, rivelino qualcosa della diversa situazione delle due diverse aree geografiche, cioe in sostanza dell'esistenza di "esso" nell'area centro-meridioniale e della sua assenza in quella settentrionale.
4.1.IPSEaggettivo L'uso di IPSE aggettivo e frequente intutte le carte del Nord, della Toscana e del Centro-Sud. Si tratta solo di un uso colto oppure si puo pensare a una spia di un antico articolo derivato da IPSE? II suo valore nelle carte e ancora qualche volta quello classico ("proprio, precisamente"), ma e molto piü spesso quello in cui, come abbiamo visto, IPSE sostituisce il cl. IDEM. E in gran parte im u s a n a f o r i c o . Per uso anaforico intendiamo il segnale della ripresa di un sintagma precedente. Quest'uso e gia presente in modo massiccio nella Regula magistri. Vedi 1'esempio seguente, in cui sia il sintagma "triuium cordis" sia quello "duae uiae" sono modificati da IPSE nelle menzioni successive: Regula magistri, Pr. ...8 dicta mea... in triuium cordis tuij perveniant ... 10 et duas obseruantiae praeceptorum ante te iam ingredere uiaSjj. 11 Et dum quaerimus ad Deum ire, stemus in ipso triuio cordis nostrij et consideremus ipsasjj duas quas ante nos scientiae conspicimus uias. "le mie parole... arrivino neH'incrocio del tuo cuore... ed entra nelle due vie dell'osservanza dei precetti ehe stanno davanti a te. E mentre cerchiamo di andare a Dio, fermiamoci in quell'incrocio del nostro cuore e consideriamo le due vie della conoscenza ehe vediamo davanti a noi".
Questo tipo di ripresa attraverso ipse, giä studiato per es. nella Peregrinatio Egeriae (Renzi 1976; Väänänen 1987, cap. IV; cfr. Zamboni 1996 ehe riferisce anche di altri lavori), e frequente in tutta la Regula.
4.2. Carte italiane settentrionali e toscane Nel passo seguente, dopo la prima menzione, il luogo (casale Mene) e 1 Oratorio (oraculum) sono ripresi con ipse: 6
II latino della Regula magistri dei mss. piü antichi riflette la lingua di Roma o dei dintomi (Mohrmann 1995).
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Siena, Convenzione tra il Vescovo di Siena e quelle di Arezzo (a. 650, copia dell'XI sec. da Schiaparellil929,4,pp. 8-11): 11,1: pro oraculoj qui est positus in casale nomine Menejj (...) 5 Item protulit Maurus episcopus, eo quod homines qui abitant in Sexta oraculumj de desertis restaurauissent, et ex ipsojoraculo (...) patrocinia sanctorum exinde a plebe in alia ecclesia posuissent (...) 13 Stetit *** ut accedant pariter ad ipsum; jj locum uel oraculum, et requirant a senioribus cui ex ipsis ipse, oraculum debet pertinere, aut ante in cuius fuit potestate, et nunc ipse earn consecret et possideat " per l'oratorio ehe e posto nel gruppo di case di nome M. ... II vescovo Mauro dichiarö ehe la gente ehe abita a Sesta [di Montalcino] aveva restaurato dalla rovina l'oratorio... e avevano portato dallo stesso oratorio le reliquie dei santi fuori dalla pieve in un'altra chiesa.. .Stabili ehe abbiano tutti e due accesso allOratorio e chiedano agli abati a chi di loro debba appartenere, o in potere di chi era prima, e ehe adesso sia la stessa persona a consacrarla e ad averla in proprietä."
4.3. Carte centro-meridionali Cava dei Tirreni a. 799, Codex Cavensis, n. III, 3: ideo que ego foscolo fiulius quondam tauri vinumdedi tivi alerissi scarioni terra binea mea in locum qui bocatur lanioj abentes fine de uno latum finejj cattiuni, de alio latum finejj forti ed alfani, et de amba dua capita cuniuntum est ad fine tua qui supra: alia pettia in ipsuj locum abentes fine de duas parti fine suprascripti cattiunijj et de uno capite finejj forti ed alfani, de alterum capite coniuntum est ad fine tua; alia pettia de terra in ipsu; locum abentes fine de duas parti finejj bia, et de uno latum finejj cattiuni et de alio capu finejj waldu domnicum. in ipse tres clause infra ipsejj nominate fini... "poiche io F. figlio del fu T. vendetti a te A. S. la mia terra messa a vigneto in local it ä detta L. avente confine da un lato il confine di C., dall'altro lato il confine di F. e A., e ai due capi e congiunto ai tuoi confini di cui sopra; un altro pezzo nella stessa localitä avente confine dalla due parti i confini del detto C. e da un capo il confine di F. e A., dall'altro capo e congiunto ai tuoi confini; un altro pezzo di terra nella stessa localitä avente confine dalle due parti il confine della via, e da un lato il confine di C. e dell'altro capo come confine il bosco signorile: in questi tre campi [cintati] tra i detti confini..."
dove la localitä Lanio, indicata con j in pedice, e ripresa due volte da ipsu locum, mentre il terzo ipse (aggettivo, dato in corsivo) riprende i tre appezzamenti sopra descritti. (L'aggettivo suprascripius, usato per ripetere i confini del primo appezzamento, ha la stessa fannone di ipse). Secondo il calcolo di Forino 1985-1986, nelle carte del codice verginiano le occorrenze dell'uso aggettivale di ipse sono il 93% di quelle complessive (857 contro 56), e la situazione non sarä troppo diversa negli altri casi. Questo dato, pur molto generale, ci invita a considerare con la massima prudenza l'ipotesi ehe le carte possano prefigurare qui, come altrove, la situazione romanza. IPSE pronome, minoritario nelle carte, e necessariamente allOrigine di issu ehe si e imposto nel Meridione d'ltalia. Senza voler negare preventivamente I'esistenza di un articolo definito derivato da IPSE aggettivo, non e pensabile ehe tutta 1'abbondanza della documentazione, non limitata del resto a questo caso, si affievolisca nel piccolissimo rivolo deH'articolo derivato da IPSE ehe rappresenta oggi la continuazione italiana meridionale di IPSE aggettivo. Non si deve immaginare 1'uso linguistico delle carte come un quadro troppo realistico della lingua viva.
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4.4. Un imprevisto: IPSE non anaforico L'uso anaforico di ipse e di gran lunga prevalente. Nello stesso tipo di document!, tuttavia, ipse interviene qualche volta giä nella prima menzione, in posizione quindi incompatibile con 1'anafora, senza avere tuttavia il senso di ipse classico. Questo awiene sia in testi toscani e settentrionali ehe centro-meridionali. Vediamo un caso per il primo gruppo, Breve de inquisitione (Arezzo, 715, copia dell'XI sec., in Schiaparellil929, 19,p.81): 81,4: quidem et missus excellentissimo domno Liutprando regis, nomine Gunteram, qui per ipsius Tagipert gastaldius Senensis et per ipsos presbiteros et per aremannos ueritatem cognoui "il messo deH'eccellentissimo signore L. re, di nome G., ehe per esso T. gastaldo di Siena e per essi preti e militari seppe la verita"
dove ne Tagiperto, ne i preti ne i militari erano stati nominati precedentemente.7 In Schiaparelli 1929, 16 (p. 5,12), Lucca (713 714) troviamo: "ad ipsa s(an)c(t)a uertute", dove ipsa modifica un astratto, il ehe farebbe pensare, se non altro per esclusione, a un uso come articolo. Casi di questo genere sono molto frequenti anche nelle carte centro-meridionali. Per es. a. 952, Cava dei Tirreni (Cavensis CLXXXII): 236,4: ...per hec finis: a partibus orientis fine sancti cesari et fine capuaque, sicut fine nostra discemit; a partibus meridie fine pede de ipso monte falerzu, sicut balle discernit, et descendente in ipso flubio di cetara, et prevaricante in ipso flubio et coniungente in ballone maiore, et per ipso ballone saliente in ipso toru de inbrici, et ricto exiente in ipso flubi de carvonara... "per questi confini: a Oriente il confine di San Cesare e il confine di Capua, come il nostro confine stabilisce, a mezzogiomo, il confine le pendici del ricordato monte Falerzo, come stabilisce la valle (?) e scendendo al fiume Cetara, e finendo nello stesso fiume e congiungendosi con il vallone maggiore, e salendo per quel vallonenella collina di Inbrici (?), efinendo diritto nel fiume di Carbonara...".
Dei molti ipse ehe costellano questo pezzo, la gran parte sono anaforici, ma i due ehe abbiamo segnato in corsivo (il fiume di Cetara e la collina di Inbrici (?)) non hanno antecedente. Aebischer (1948) aveva giä presentato alcuni esempi di questo tipo in carte italiane centromeridionali, e ne aveva ricavato ehe qui ipse doveva aver statute di articolo.8 Ma ora il fatto ehe ipse non anaforico compaia anche nelle carte della Toscana e del Nord, dove non si puo assolutamente pensare a un articolo da IPSE, rende incerta la conclusione di Aebischer.9 Come spiegare allora quest'uso? Affaccio questa ipotesi. Se ipse come elemento anaforico poteva valere per il pronome italiano "lo, la", ecc., puo essere successo ehe anche nel suo uso aggettivale sia stato usato per "lo", un "lo" articolo, e non pronome, questa volta.
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Ipsius e un caso obliquo (corretto da mano piu tarda in ipsum); e cosi cognoui e stato corretto da mano piü tarda in cognouit. Cfr. anche Forino 1985-1986, 50ss. lo stesso mi ero servito dello stesso criterio, cioe ehe un uso non-anaforico (ne cataforico) di ipse Ule fosse la prova della formazione deH'articoIo (Renzi 1976, 35-37), seguito in questo da Durante 1981,43-44.
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4.5. IPSE pronome Abbiamo giä trovato nel paragrafo precedente qualche esempio di ipse pronome anaforico, come nell'esempio in corsivo di Siena 650: cui ex ipsis (cioe dei due vescovi nominati, di Arezzo e di Siena). Quest'uso e documentato nelle carte di tutte le aree italiane (per il Meridione, vedi Forino 1985-1986, 39). II problema e se quest'uso puo rivelare, mostrando quasi in filigrana, Tit. esso. Puo, ma non deve. A differenza del lat. med. ipse, it. esso non e piü necessariamente anaforico, ma puo anche essere deittico (cfr. matrice nel § 3).
4.6. La forma epso in Toscana e al Nord e isso a Sud Nei document! ehe abbiamo considerate compare almeno due volte la forma epso. I document! ehe contengono questa forma sono uno di Lucca del 12 maggio 700 (in copia dell'VIII-EX sec.; Schiaparelli 1929, 12, p. 31,13): in epso loco profeciscere "andare nel detto luogo" 1'altro di Treviso, del 725-26 (Schiaparelli 1929, 37, p. 129,19): set ab ac diae epso ariale abeas "ma da questo giomo avrai il detto terreno (incolto)"10 Queste forme potrebbero riprodurre nella vocale iniziale la forma italiana esso. Non senza qualche meraviglia, perö, visto ehe esso, come giä sappiamo e come vedremo meglio, non e ne una forma toscana ne tantomeno puo essere una forma settentrionale (almeno non del Nord-Est). In realta nelle grafie longobarde, come in quelle merovingiche in Francia e leonesi in Spagna, tutta una serie di cambiamenti romanzi colpiscono non solo le parole trasmesse al romanzo, ma anche quelle ehe non sono continuate nel romanzo, e tra questi cambiamenti ci sono quelli del vocalismo (Menendez Pidal 1950, 454-457; Avalle 1965, 185-197). II fatto, ehe non ha mancato di stupire gli studiosi, e connesso certamente al fatto ehe questo era latino letto e dettato, soggetto quindi, benche non parlato, alia spinta dell'oralitä (Lüdtke 1964). Non abbiamo trovato, nel nostro limitato lavoro di spoglio, forme uguali nel Centro-Sud. Ma esistono, e sono state segnalate da Aebischer 1948, forme del tipo ise, issa, eissa.u A voler considerare queste forme come romanze, la /- presente in tutte le forme si potrebbe spiegare in certe aree con il vocalismo della zona Lausberg, ehe un tempo doveva essere piu estesa; oppure, ma solo al masch., la /- potrebbe dipendere dall'effetto della metafonesi (ehe doveva essere giä presente almeno dal X secolo, come ha stabilito de Bartholomaeis 19021904 per le carte di Gaeta). Ma le forme segnalate sono tutte femminili, singolari o plurali. 10
La grafia epso corrisponde al sistema del latino longobardo. Non e esclusa nemmeno in italiano: la si trova, anche se una sola volta, in un autore toscano occidentale, Ugo Panziera (a. 1330, Trattati 13,68): epso Salvatore "lo stesso Salvatore". '' La forma eissa appare una sola volta. La sua spiegazione potrebbe tuttavia essere attraente: lo scriba potrebbe avere cominciato a scrivere la forma volgare essa, ma si e poi corretto, e senza eliminare la e, ha scritto eissa. Notiamo ehe nelle carte mediolatine la grafia ipse e molto piü comune di isse, e ehe le forme innovative si raggruppano particolarmente in alcuni documenti.
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E probabile allora ehe issa, isse siano delle parole per metä latine e per metä romanze: la isarebbe latina e il gruppo -ss- presenterebbe 1'assimilazione romanza. Negli atti di Chiaravalle di Fiastra, giä spogliati da Aebischer, dove abbiamo isse molina "quei mulini" (6, p. 18, r. 23: e un pi. femminile secondo lo schema del neutro romanzo, con il singolare maschile e il plurale femminile), issa res (bis, 28, a. 1124, Osimo, p. 69 rr. 9 e 19) e eissa superexscripta mea res (r. 21), isso loco (r. 25), e di nuovo issa superexscripta res (r. 25), abbiamo comunemente donnus per domnus, dominus ses per sex (passim), summissa per submissa, e poi scrissi per scripsi, Benedtii per Benedicti, ecc. ecc., e grafie inverse come promicto (40, a. 1140, p. 87, r. 11 e 46, a. 1141, p. 99, r. 8) accanto ad assimilazioni come supsepimus, 40, p. 87, r. 10. La sequenza isa rex (41, a. 1140 1150, p. 89, r. 9) per ipsa res e eloquente! I nessi consonantici latini in genere non si pronunciavano e nella scrittura potevano essere ridotti, restaurati dove non c'erano.12
5. Italiano antico
S.l.IPSEaggettivale Interroghiamo adesso 1'italiano antico. Abbiamo a disposizione questa volta, oltre alle sempre utili Concordanze di Alinei, gli impareggiabili strumenti elettronici messi a disposizione dall'"Opera del Vocabolario italiano" del C.N.R.: il Corpus del "Tesoro della lingua italiana delle Origini" (TLIO) contenente tutti i testi italiani dalle origini fino all'anno 1375 (e, in qualche caso, oltre), ora in Italnet, e Gatto per i soli testi fiorentini fino all'anno 1300. Comincero col notare ehe anche nei testi italiani antichi, da Firenze alia Sicilia, "esso" appare spesso come aggettivo, in una funzione ehe non e presente in nessuna varieta dell'italiano moderne e ehe anche nei testi antichi rappresenta certamente un uso colto, ripreso dal latino. Cosicche un esso fiorentino un issu, ipsu siciliani usati come aggettivi non possono essere nient'altro ehe un ipse latino, anche se resa con fonetica volgare, cosa ehe non ci meraviglierä dato ehe avevamo giä avuto le prove nei latino medievale dell'identificazione dei due. Non c'e nessun indizio di articolo derivato da IPSE. NelPambito fiorentino un autore ehe fa un largo uso di esso aggettivale e Brunetto Latini. Ecco alcuni esempi dalla Rettorica (c. 1260-61): 39,5; 73: 5: essa arte', 69, 4: essa misura; essa prima parte; 83, 23: esse parti; 118, 9: essa questione; 128,22 essaparola; 150, 9: essa diffinizione; 186, 8: esse cose.
In tutti questi casi esso rappresenta ipse anaforico (seconda menzione), cioe il valore tardoantico e medievale ehe IPSE aveva ereditato da ILLE. Per es.: Brunetto, Reft. 150,9: 12
Questa situazione non e specifica delle carte di Chiaravalle, ma e generate per tutte le carte: nei Codex Cavensis, per es., abbiamo la riduzione dei nessi consonantici in IV (anno 801), 6; VII (818), 5; Vin (819), 3, 4 ecc. coniuntu(m) per coniunctum; IV (801), 6, 10; V (803), 6, VI, 8 ecc. (h)emtori, emtores per emptori, emptores e grafie inverse come V (801), 6 repromicto e sim. piü spesso di (822), 16 promittemus e CLXXXIV (954), 23 plux per plus. Per la lingua dei document! longobardi, B. Löfstedtl961.
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"Questa e la dififinizione del dittare, e percio conviene intendere ciascuna parola d'essa diffinizione"; id. 69,4: "questa misura si sforzavano di cogliere i maestri di geometria misurando la terra, e per essa misura ritraeano quella del sole". In combinazione con medesimo e questo, ancora in Brunetto, Rett.: 83,23: esse medesime; nel Libro degli ordinamenti della Compagnia di santa Maria del Carmine (a. 1280, in Schiaffini 1954): par. 37 questi essi; ibid. 69,17: questi esse (sic), con valore di "precisamente questi" (segue elenco). Piü raramente invece, esso sembra avere il valore del latino classico: 157,15 "Ella avea morto il mio padre". Dice il savio: "Sanza te figliuolo convenia ch'essa madre fosse uccisa..."
dove essa madre "perfino la madre, anche la madre" (e cosi 189,10). Si impone, lo ripetiamo, l'idea ehe il nesso tra l'it. esso e il lat. IPSE dovesse apparire chiaro. E una conclusione alia quäle eravamo giä arrivati a proposito delle forme del tipo epso e isso nelle carte mediolatine. Questa identificazione di esso con ipse e importante anche per quello ehe segue, cioe per l'uso pronominale di esso. Diversamente ehe per l'uso aggettivale, quello pronominale di esso e popolare, ma, come vedremo, solo in alcuni casi, in altri continua a riflettere il lat. IPSE.13
5.2. IPSE e esso pronome nelle prime scritture italiane Nel periodo ehe va dalla metä del Duecento alia metä del Trecento circa, la presenza di esso pronome e molto differente da area a area d'Italia. Nel S e t t e n t r i o n e e assente. Penso alia Lombardia, aü'Emilia e alia Romagna, al Veneto. Esso non appare nemmeno in Piemonte e in Liguria, aree per le quali la documentazione due-trecentesca e piü scarsa.14 Ci sono rare eccezioni. Nella grande area veneta, riccamente documentata, esso (essa, esi/isi) appare in 4 casi, sempre come pronome, nelle carte veneziane edite in Stussi 1965 (v. Lessico, s.v.). Forse agisce qui la tradizione colta, notarile. Le date alte (tra il 1299 e il 1318) sconsigliano di pensare a un toscanismo. Nella Santa Caterina Veronese ci sono 14 occorrenze di esso, ma rappresentano tutte il tipo avverbiale sett, con esso (ehe io scriverei conesso): cum esso vu, cun esso lui, ecc. Anche il Tristano Veneto ha sempre esso in combinazione con con ma non awerbiale: si tratterä di una specie di formula, sicuramente non di uso vivo. Ci sono dunque pochissime eccezioni. Questo non vuol dire ehe dobbiamo escludere del tutto la presenza di continuazioni pronominali di IPSE in aree limitate. Come abbiamo ricordato derivazioni da IPSE sono presenti in Liguria e in Piemonte. Che questi casi non abbiano lasciato tracce nei testi letterari non deve meravigliare troppo perche, a parte la possibility ehe nuova documentazione venga in appoggio, i testi letterari sono in genere concentrati in pochi centri, in genere urbani, e 13
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Un altro uso colto sarä quello rappresentato da esso pronome oggetto al posto del clitico l o, frequente per es. nei document! senesi: e possa essa vendare e rilenere (Testamente di Memmo di Viviano di Guglielmo, 1289, p. 49; e portare essa appo i giudici...(Statute dell'universita e arte della lana, p. 190). Mi servo dei dati del TLIO interrogati per Italnet.
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non possono rappresentare tutta la varieta subdialettale di un'area. Nonostante queste considerazioni, possiamo tener fermo ehe la grandissima parte del Nord non possedeva un pronome derivato da IPSE. Cosi confermiamo l'idea ehe la presenza nei documenti latini di ipse, e perfino di un epso a Treviso (vedi sopra, § 4.5), doveva essere solo colta e non possa rivelare un sostrato nel volgare locale. Le continuazioni di IPSE compaiono invece in grande quantitä nei testi c e n t r e m e r i d i o n a l i . Dati gli effetti della metafonesi (influenza di -U -I atone sulle vocali precedenti, nel nostro caso su -e chiusa risultato di latina) ehe, come abbiamo giä ricordato, era diffusa nella gran parte del Centro-Sud giä in tempi preletterari, le forme ehe ci aspettiamo sono: sing. m. isso f. essa
pi. issi esse
Questo in effetti e il sistema ehe troviamo in napoletano e nella Campania (Scritta amalfitana del 1288, Regimen Sanitalis del XIII sec., Lettera del Boccaccio del 1339, Statulo del Disciplinati di Maddaloni, Libro de la destruclione de Troya del XIV sec.), contenuti nel TLIO, dove abbiamo: sing. m. ipso (174), isso (3), esso (1), ipse (1) f. essa (16), epsa (15), ipsa (2) pi. m. ipsi (30), issi (2) f. epse (7), esse (3), ipse (2)
i numeri tra parentesi indicano le occorrenze nei testi campani. L'uso aggettivale, questa volta, e rarissimo. L'influenza latina e visibile nel nesso consonantico -ps- per -s:, e eccezionalmente anche sulla vocale iniziale (i quattro casi di ipsa, ipse al femm. s. e pi.), ma e solo grafica. II solo caso di esso m. sing, sarä un toscanismo. Ipse masch. sing, e latino. In altre regioni centro-meridionali questo sistema appare perturbato in misura maggiore ehe in napoletano. La perturbazione awiene a causa del latino, ehe restaura la /- al posto di e- (lat. ipse), e a causa del toscano (o forse anche, come vedremo, di Roma), con 1'effetto contrario (esso). L'influenza toscana si eserciterä probabilmente soprattutto attraverso 1'opera dei copisti - in attesa di diventare vera e propria influenza linguistica dovuta al prestigio della varieta fiorentina.15 Ecco alcuni dati: Jacopone da Todi ha isso (2 occorrenze), issi (2 occorrenze), essa, ma anche esso, ehe sarä toscanismo del copista. A rigore si potrebbe dubitare anche della popolaritädelle altre forme con -/', visto ehe ci sono due casi di ipse aggettivale, sicuramente colto.16 Questa analisi poträ essere giudicata eccessivamente prudenziale, ma e conferrnata dai dati della Leggenda del Transite della Madonna (abruzzese, inizio del Trecento) dove abbiamo isso (2 occorrenze), ipso (1), issi (2), ma anche issa (1) dove ci aspetteremmo essa. Questo issa deve essere latinismo altrettanto quanto lo e per il nesso consonantico -ps- ipso. Se passiamo da singoli autori ai dati disponibili per le intere regioni, i dati complessivi per
15 16
Nell'area piu meridionale, per la quale ci manca quasi del tutto una documentazione, poteva vigere il vocalismo della cosiddetta area Lausberg, con;'- in tutte le forme. Ignazio Baldelli (1959, 149) neU'esaminare ipsu, ipsa aggettivo nell' Ystoria dell'Exuliet cassinese (o forse piuttosto abruzzese) incerto tra il latinismo e Farticolo delle aree remote dell'alta Valle del Sangro (sulla cui derivazione da IPSUMRohlfssolleva con ragione dei dubbi, come abbiamo visto).
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le Marche e PAbruzzo sono piuttosto scarsi, ma le forme masch. sing, isso, ipso e le altre forme (matafonetiche o no, a seconda dei casi) sono largamente attestate. In queste due regioni, come in tutta area centro-meridionale per cui abbiamo dati, c'e da notare la coesistenza delle derivazioni di IPSE con quelle di ILLE. II secondo tipo e numericamente prevalente, anche se non di molto, sul primo. Questo fatto si ripete per tutte le aree per cui abbiamo dati. Non si notano diversitä sintattiche o semantiche. E siccome anche nei derivati da ILLE e presente Palternanza metafonetica, anche queste forme sono da ritenere senz'altro indigene. Per es. Napoli, per cui abbiamo giä visto i dati da IPSE, aveva anche: sing. m. i//o(204),e//o(l) f. ella (49), illa (3) pl. m.;7/i(52) f. eile (5)
lui e presente due volte come obliquo ("per lui"). Conclusione: nella gran parte dell'area centro-meridionale coesistevano le forme pronominali da IPSE e da ILLE e avevano la stessa funzione. A quanto pare nel corso del tempo e awenuta una selezione, ora a favore di un tipo ora deH'altro, ma dei doppioni sono restati. Diversamente stanno le cose nella R o m a medievale (Due-Trecento) dove si realizzano due condizioni molto speciali: 1) assenza di metafonesi 2) presenza esclusiva della derivazione di IPSO: ello < ILLUM non e documentato. A Roma il paradigma della III pers. e dunque: esso, essa, essi, esse, lo stesso ehe si troverä in toscano (nelle condizioni ehe vedremo) e in italiano. E non sarä un caso. Questo e il sistema ehe si trova documentato nei document! due e trecenteschi di Roma (le Storie de Troia e de Roma nei due manoscritti Laurenziano e di Amburgo, la Cronica romand). Secondo le indicazioni di questi documenti, Roma ha solo esso (400 occorrenze nel TLIO ) e non isso ne ipso, essa, essi, esse. II punto 1) merita un breve commento. L'esclusione di Roma antica (oltre ehe moderna) dall'area metafonetica e stata dimostrata con argomenti ehe ei sembrano validi da Gerhard Ernst (1970, 53-58) contro l'opinione di Clemente Merlo (1929) ehe aveva tenuto il campo fino ad allora. Effettivamente i casi di innalzamento di e e o chiuse non mancano nei testi romani antichi, ma, come ha notato Ernst, non si trovano in posizione esclusivamente metafonetica (abbiamo per es. pusi ma anche puse). Lasciando da parte il problema dell'origine di queste forme, ehe non e pertinente qui, notiamo ehe sono comunque rarissime le occorrenze di isso, come pure di quisso: Roma medievale ha esso e quesso. Le occorrenze rilevate dal TLIO non comprendono nessuna forma in i-. Diversa e la situazione gia alle porte di Roma, dove la metafonesi era presente nel Medioevo e lo e ancora oggi. Solo un'area piü settentrionale e occidentale, individuata da Ernst, riproduce le condizioni di Roma: comprende oggi Nepi, Sant'Oreste, Ronciglione e Cerveteri (punti e dati dellM/S), e corrisponde ai documenti tre- e quattrocenteschi di Civitavecchia, Tarquinia, Viterbo e Orvieto (Ernst 1970, 57). Altrimenti anche il Lazio e metafonetico come il resto dell'Italia centro-meridionale. Quanto al punto 2), le forme ello, elli ecc. non sono mai presenti, se non in poche occorrenze (tre!) nelle Storie de Troia e de Roma del ms. Riccardiano, piü tardo del Laurenziano e dell'Amburghese, e in cui e stata notata una componente toscana.
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II panorama si completa al Sud estremo con il s i c i l i a n o. Qui la e chiusa (esito di I e di E latine) si fonde con / esito di T e di E. Come sappiamo, non esiste oggi in Sicilia nessuna continuazione di IPSE. Ma i testi siciliani del Trecento ne pullulano: PAccursio messinese ha 1086 occorrenze del solo issu maschile. E cosi altri testi messinesi, palermitani, siracusani. Le grafie sono sia issu ehe ipsu (e cosi per le altre forme). Gli usi aggettivali, evidentemente colti, affiancano abbondantemente quelli pronominali. Si puo pensare ehe il siciliano possedesse la continuazione di IPSE, oggi perduta. Ma si puo anche pensare - e propenderemmo per questa seconda soluzione - ehe issu, ipsu in siciliano antico fossero un mero latinismo. Abbiamo tenuto per ultimo, perche piü importante e piü delicato, il caso del t o s c a n o. II toscano, e in particolare il fiorentino, sono particolarmente ben rappresentati in document! due- e trecenteschi. II loro Interesse diacronico e poi del tutto speciale in quanto il toscano, e in particolare il fiorentino, forniscono la base dell'italiano moderno. Ricordiamo ehe non c'e nessun riscontro di esso nelle parlate toscane moderne, e ehe questo fatto ci consiglia un'estrema prudenza nell'interpretazione dei dati antichi. In tutta la Toscana predominano le continuazioni di ILLE: elli, poi egli (soggetto, generalmente personale), ello; ella; pi. elli (egli), eile (le forme eglino e elleno, analogiche sulle desinenze verbali, sono piü tarde, trecentesche); lui, lei, loro per 1'oggetto e 1'obliquo (v. Tottimo quadro di Ambrosini 1978). Ci sono tuttavia numerose occorrenze delle continuazioni di IPSE. II loro numero deve essere pero valutato in relazione all'estrema abbondanza dei document!. Le forme previste ehe occorrono hanno sempre -e iniziale (esso, essi, essa, esse), il ehe sembra coerente con il fatto ehe i dialetti toscani sono contraddistinti dall'assenza di metafonesi. Grazie alia singolare coerenza dei copisti, poi, sono rare la presenza di i- (ipse), sia la resa di -ss- con -ps-\ come si sa, i copisti toscani, e in particolare fiorentini, hanno esercitato una decisa opzione a favore della resa fonologica e non del ricorso all'etimologia (Alinei 1984, 217). Accanto al caso del latinismo sintattico, come quello di esso aggettivale giä mostrato in Brunetto, abbiamo solo rari casi, come quello di isse masch. sing. (!) due volte nel Tristano riccardiano (fiorentino ma, come dall'esame del Parodi, con spie linguistiche toscane meridionali) e una volta in Guittone. Dante, nella Divina Commedia, ha una volta isso in rima (con abisso, Par. VII, v. 92). Come vedremo, 1'area toscana meridionale (Siena, Arezzo) non si distingue da quella di Firenze, il ehe smentisce la possibile ipotesi ehe esso penetri in Toscana per via popolare dalle aree vicine. A Pisa la presenza di esso e a prima vista abbastanza copiosa, ma il paragone con elli e ello e eloquente: 303 casi della forma esso contro 2347! Ma ben piü ehe ai numeri bisogna fare artenzione agli usi di esso: spesso aggettivale, o in combinazione con con (con esso, come nel Settentrione). Soprattutto fino all'anno 1300 gli esempi di esso pronominale vero e proprio, cioe con lo stesso valore di elli, ello, mancano quasi del tutto. Lo stesso vale per Siena: uso aggettivale (essa summa, essa contrada, essa terra, Testamente di Memmo ecc. 1289, pp. 48, 49), ripresa anaforica (et qualunque e dei portatori o dei vecturali detti... debbia riduciare esso (=lui stesso, lot. ipse) nel medesimo di ehe elli lo portasse, a la bottiga di ccolui cui fasse el lavorio..., Statulo... della lana, 1298, p. 174; si noti elli in posizione non marcata), pronome oggetto (cfr. nota 13). Ma in quest'esempio senese elli e esso alterano con lo stesso valore nella stessa riga: Item, statuimo ehe nuena
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persona del Comune di Montagutolo ne de la corte ... essare chiamato ad alcuno officio ch 'elli avesse avuto, ne esso debbia avere piii da chi a VJ mesi. (Statuto di Montagnolo, 1280-97, in Staiuti senesi ecc. a cura di F. L. Polidori, 1863, p. 45). Pochissimi gli esempi a Pistoia e a Lucca. Veniamo a Firenze. Anche qui 1'abbondanza puo illudere. Fino al 1295 ci sono 85 occorrenze di esso, ma su ben 98 document!! poco piü di un'occorrenza a documento. In realtä, poi, esso e prerogativa di Brunetto Latini (giureconsulto), ehe lo usa piu spesso come aggettivale ehe come pronome. In Dante c'e quasi solo nel nesso con esso (con esso lei), probabilmente un settentrionalismo, qualche caso aggettivale, qualche caso predicative. II Tristano riccardiano ha una folia di con esso, e solo questo caso. In tutti questi casi di uso veramente pronominale di esso non si puo parlare. Cosicche dobbiamo considerare un'eccezione i due casi nella Disciplina Clericalis edita da Schiaffini: E quando il vide raffigurollo: esso gliparea e esso non liparea (77,18); disse k'essopur volea par tire... (78,22). Simile e la posizione di Arezzo. Qui accanto all'uso aggettivale, e frequente quello di esso pronome retto da preposizione e riferito unicamente ad inanimato (per es. in esso, ad esso, ecc. per es. nella rubrica: De la latitudine del zodiaco e de la declinazione de U cerchi deferenti in esso, Ristoro, Composizione del mondo, 1282, p. 20). Queste restrizioni (esso preceduto da preposizione e inanimato) meriterebbero di essere ulteriormente indagate, soprattutto la seconda, visto ehe si e impiantata stabilmente nell'italiano colto e ha costituito una norma, non molto rispettata a dire la verita, delPitaliano scolastico. L'espansione dell'uso di esso nell'inanimato e stata certamente conseguente alia scomparsa progressiva dal toscano della forma indigena ello (elli, egli essendo riservato all'animato).17 In conclusione, gli usi di esso in Toscana non sembrano mai popolari. Si pone quindi l'interrogativo fondamentale: se esso non e indigene a Firenze e in Toscana, da dove puo essere venuto? Abbiamo ora tutti gli element! per rispondere. La sua origine e colta, e deve esser riportata a due fattori. II primo e il latino medievale da cui viene ripreso, soprattutto nelle scritture giuridiche, 1'uso di esso aggettivale. Ma la forma esso priva di variazioni metafonetiche e l'uso pronominale di esso, ehe si awicina progressivamente in toscano a quella dell'Italia centro-merdionale, da dove verrä? In un solo punto d'ltalia ritroviamo le condizioni necessarie a postulare questo prestito: a Roma. Di qui alia Toscana I'infiltrazione non puo essere stata popolare, visto ehe le forme non si sono imposte nei dialetti. Esso deve far parte invece di quella serie di prestiti colti ehe il Toscano ha accolto, seppur in maniera limitata, sia da Nord ehe da Sud. Per la sua forma e per il suo uso predominante esso deve essere quindi in toscano, e poi in italiano, un prestito da Roma, un romanismo. Per secoli, nell'architettura della lingua colta esso ha avuto una sua collocazione: quella di pronome di HI persona inanimato, per cui la continuazione di ILLE, perduto l'antico ello, presentava una lacuna. Ma il prestito non deve essere mai passato dall'uso colto a quello veramente popolare, e questo puo spiegare forse la sua decadenza ehe ha portato alia sua scomparsa attuale dalla lingua viva e alia sua eclissi anche nella lingua parlata colta.
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La forma ello e ben rappresentata nel corpus del TLIO (in fiorentino 165 occorrenze contro 103 di esso). Si noti ehe anche elli poteva essere usato qualche volta con senso inanimato.
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6. Concludendo...
II panorama dell'italiano antico, come si vede, e complesso, ma le grandi linee mi sembrano ben visibili. II pronome di III persona esso, come oggi, era assente dalla gran parte del Nord e dalla Toscana. Era presente, come oggi, in parte del Centro-Sud, dove conviveva spesso con illo. Da Roma, attraverso il toscano scritto, viene all'italiano la forma non-metafonetica esso in tutto il suo paradigma: esso, essa, essi, esse. E una forma colta il cui successo e stato limitato, e ehe e oggi, come abbiamo detto, in forte decadenza. Non essendo esso indigene in Toscana, Roma, unica area non-metafonetica del CentroSud d'ltalia, offre il punto di partenza di esso, di cui non si troverebbe altrimenti Porigine. Nella gran parte dell'Italia centro-meridionale c'e stata concorrenza tra i morfemi ehe provenivano da ILLE e le forme centro-meridionali del tipo IPSE. Se nella Roma modema le forme derivate da ILLE devono essere ritenute come un effetto della toscanizzazione avvenuta dal XV secolo in poi, a Napoli e in altre zone del Centro-Sud forme come lui < ILLUI e loro < ILLORUM non devono essere considerate troppo frettolosamente come influenze toscane "italiane". Oggi il Centro-Sud ha in genere operate una scelta tra le continuazioni di IPSE e quelle di ILLE, ma esistono anche paradigmi misti come quello, appunto, di Napoli. Quanto a IPSE articolo ci sembra ehe non ci siano prove sufficient! per postularne 1'esistenza. E necessaria certo un'interpretazione alternativa di quei casi di IPSE aggettivale "articoloide" nelle carte latine medievali, di quei casi cioe in cui il referente e introdotto per la prima volta. Aebischer ci aveva visto un inizio di articolo. E articolo sarä, come abbiamo giä suggerito: l'articolo nel volgare sottostante avrä potuto benissimo essere derivato da ILLE, ma le regole del latino longobardo, ehe funzionava iuxta sua principia, possono aver suggerito di usare anche in quei caso il tanto amato IPSE.
7. Appendice. Marco Cuneo: Esiti di IPSUM nei dialetti liguri* Nei dialetti liguri occidental! esistono esiti di IPSUM con valore di pronome deittico, ehe talvolta tende a scadere a semplice articolo. Si hanno in sostanza due aree di IPSUM, ehe non sono ehe propaggini di una piü vasta area piemontese. Una comprende gran parte dell'Oltregiogo centrale e occidentale, grossomodo da Serravalle Scrivia ad Ormea (valli Scrivia, Stura e Orba, Bormida, Tanaro), si estende oltre lo spartiacque nei dialetti dell'entroterra savonese e tocca il mare ad Arenzano. Abbiamo attestazioni per i dialetti di Serravalle, Novi Ligure, Gavi, Ovada, Rossiglione, Campoligure, Masone, Tiglieto, Urbe, Sassello, Pontinvrea, Mioglia, Dego, Cairo Montenotte, Carcare, Altare, Bormida, Osiglia, Nella discussione seguita a questa relazione durante il Convegno veneziano, il dott. Marco Cuneo ha fatto delle interessant! osservazioni riguardanti la continuazione di IPSE in ligure. Dato I'interesse del suo intervento, gli ho chiesto, con 1'accordo dei curatori di questi Atti, di svilupparlo in un breve contributo, ehe appare qui in Appendice.
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Calizzano, Bardineto, Pianissolo di Rocavignale, Garessio, Ormea, Stella, Montagna di Quiliano, Arenzano. L'altra comprende con qualche lacuna la Liguria intemelia (ad occidente di Taggia). Abbiamo attestazioni per Badalucco, Vallecrosia, Dolceacqua, Airole, Apricale, Pigna, Triora.1
Pronomi continuatori di IPSUM In tutte le localitä esiste un pronome aggettivo con radice /s/ e la flessione della prima classe (Vwsu, -i, -a, -e), con valore di deittico non marcato. Vediamo esempi di Arenzano: arva sä 'portal 'apri questa porta!'; se 'ftdje da d$ur na: d ay koe:, de lungu kuy sä siga reta y buka! 'queste ragazze del giorno d'oggi, sempre con quella sigaretta in bocca!'; a luy, pi$ su pa'pe: e maydimaw kuy su 'faks 'allora, prendi questa carta e mandamela con questo fax'; 'fame supja: je/, pa:rlimege 'ti 'fammi questo (il?) piacere, parlamici tu'; e metite si spe 'dzeti, se nu ti ge vedi 'bei]! 'e mettiti questi (gli?) occhiali, se non ci vedi bene!'; Tcirjada s erbu! 'scendi daqueü'albero!'; su ze:u u ßfa'paw 'tyte e rame de si 'erbwi 'questo gelo ha spaccato tutte le foglie di quegli alberi'; si pes lavej e:ay 'tyti 'morti da: 'fame 'questi pescatori erano tutti morti di fame'; - 'fyßte su na:zu, k u te "ku:e - ma g o su: ehe su may 'dilu da Icolu - e a1u:a 'te:, pidjite su may 'dilu de pa'pe: '- soffiati quel naso, ehe ti cola - ma ho solo questo fazzoletto da collo - e allora to', prenditi questo fazzoletto di carta'. Esempi del tutto analoghi si potrebbero portare per area intemelia. Si noterä ehe su spesso corrisponde piü ehe a 'questo' o a 'quello', a 'codesto', ehe implica vicinanza all'interlocutore (p.e. in "kirja da 's erbu!). Ma cio dipende semplicemente dal fatto ehe il grado di lontananza non e marcato. Dalla non marcatezza di su dipende probabilmente la sua frequenza veramente abnorme (specialmente in alcune localitä, come Arenzano, ma anche Sassello o Rossiglione), se conftontata con quella dei dimostrativi italiani. NelPOltregiogo, dove le vocali atone cadono, si ha per il maschile singolare la forma /s/, p.e. a Carcare: kum u peiza s sak! 'come pesa questo saccoP (vs sä 'tfa:ve 1 ra 'tu:a 'questa chiave e (la) tua), se ko-.se "kießi see jient 'queste cose qui non ne so nulla', goti 'questi bicchieri'). A Masone: 'ti:ra 'dzy 's ramu 'tira giü quel ramo', 's erbu 'quest'albero', ni 'ste: ßsi'ge s 'kay 'non stuzzicare quel cane'. Ad inizio di fräse e dopo consonante si ha di regola inserzione di una vocale di appoggio: es Hbr "ki en 1 cerj 'ku-.ra l'dzy:le 'questo libro (qui) non l'ho ancora letto (-lo)', u j tant 'tsykaru int es ka'fe 'c'e tanto zucchero in questo caffe' (Carcare); atjt is 'bojku 'in quel bosco', is giriy 'du a 1 'tytu may 'd^a: dar kamre 'questo (il?) comodino e tutto mangiato dalle tarme' (Masone). A Novi Ligure abbiamo una vocale i ehe tende ad estendersi al femminile: is 'dqjnte 'questo dente', 'kme ke ti voe fo: pjarj 'to: s 'tfo:du 'come vuoi fare a piantare quel chiodo?', int isa karjtra 'in questo cassetto', o 'fatu 'tyta sä stro: 'ho fatto tutta quella strada!'. Si ha is anche a Serravalle (is pre:ve 'questo/quel prete') e a Tiglieto, dove tende ad estendersi a tutti i contesti (i's omu u rjra:vu 'quest'uomo e buono'). In qualche localitä si ha la forma sincopata /s/ anche per il plurale maschile e femminile. A Sassello: s kajieti 'questi cagnolini'; es ka vali
I materiali dialettali citati sono in genere frutto di inchieste proprie. Per varie localitä dell'Oltregiogo (Osiglia, Bardineto, Bormida) ci si e awalsi delle inchieste compiute una ventina d'anni fa da Hugo Plomteux. Si ringrazia Fiorenzo Toso per i ricchi materiali arenzanesi ehe ci ha cortesemente fomito.
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'quei cavalli' (AIS 829, P. 177). A Campoligure: d'is 'fu:re 1i e y see kusa 'femne 'di quei fiori(f.)nonsocosafarmene, s "ko.-se fani: 'see 'queste cosenon le so'. Ad Ovada il pronome /s/ puo fare anche da interrogative neutro: η te saj mayhi sa ma 'ditfu to muje: 'non sai nemmeno cosa mi ha detto tua moglie', s it 'vcej de tfy? 'cosa vuoi di pi ?' II grado di lontananza puo essere espresso da un awerbio deittico posposto al sostantivo: su gatu 'kwi/li/la 'questo gatto (qui), quei gatto (li, la); se "ko:se kwi a n i: see Pontinvrea 'queste cose (qui) non le so', de se 'fu:re Ίΐ α η 'tsce "ko:sa fernem Pontinvrea 'di quei fiori (li) non so cosa farmene'; sa ka "kia "re 'grayde Rossiglione 'questa casa (qui) e grande' (ALI), s omu ία Rossiglione 'quell'uomo'; s 'du:ls 'tsi 'questo dolce (qui)' Pianissolo, s om li al ε er me: Om Pianissolo 'quell'uomo (li) e mio marito'. A Serravalle 1'awerbio puo essere preceduto dal complementatore he: dame s libru ke Tii/la 'dammi questo/quel libro'. In una parte delle localit IPSUM e continuato anche da un pronome sostantivo tonico con valore di deittico non marcato (di solito pero e usato per oggetti vicini). Abbiamo 'isu ad Ovada (is 1 ej moduper wajie i mi Ijupi 'questo (codesto?) e il modo per guadagnare i milioni', isa Ί e:ra na by:ra di versa 'questa (codesta?) era una piena diversa', Rossiglione (« 7 ε buy 'isu a ri 'tfa: 'e capace quello ad arrampicarsi', KM u Ί ε n a je: 'quello (codesto?) e un sorbo di monte'), Campoligure, Masone, Tiglieto, Urbe, Novi, Gavi, Serravalle. Questa forma non sembra usata nell'Oltregiogo occidentale, ma ricompare come 'asu ad Ormea (Sch del 1903). Si ha poi esu a Pigna: 'esi i 'suy i sej e ese i suy e su:e 'quelli sono i suoi e quelle sono le sue'; iy de 'esi 'uno di questi'. In varie localit e in uso un pronome sostantivo formato dall'atono su (o es) seguito da un awerbio deittico ('qui, li, la'). Per esempio, a Carcare: s hu 1er mod d vif Ice: u lym 'questo (qui) e il modo di accendere il lume', β 5t; yt er ti'ret suy i mej, e se to suy e meje 'questi (qui) nel cassette sono i miei e queste (qui) sono le mie'; β li suy i soj e se Ίΐ suy er su:e 'quelli (li) sono i suoi e quelle (li) sono le sue', ία Ία α Ί era 'tu:a 'quella (la) e la tua'; / vostri kra vdti sun β l 'i vostri capretti sono quelli la'. A Calizzano: a vcej t sa to e non (sa la 'voglio di questa (qui) e non di quella (l )' (AIS VIII 1519-20, P. 184); ρεκ r 'ke 't oj pia su lei e noy su la? 'perche hai preso questo (qui) e non quello (l )? (AIS VIII 1587-8). Ad Apricale: si ku'si eyte a "kanlera i 'suy i mei e se ku'si e suy e mi:e 'questi (qui) nel cassetto...; si la i suy i scej e se la e su: e su:e; u 'to u Ί esu li 'il tuo e quello (li). Forme analoghe a Cairo, Pontinvrea, Sassello, Bormida, Osiglia, Pianissolo, Calizzano, Montagna di Quiliano, Badalucco, Pigna, Vallecrosia, Dolceacqua, Airole. Talvolta tra su e 1'awerbio si trova il complementatore ke: s ke li Ί ε bey inan 'dja: Rossiglione 'quello li e ben sistemato', mi:ra n po: sa ke Icwi Tiglieto 'guarda un po' questa roba', is ke *ki/la Serravalle 'questo/quello'. Similmente a Novi, Gavi, Altare. E attestato sporadicamente nei dialetti intemeli un pronome neutro so, con valore deittico e anaforico: e so Ttum e u 'dej? Pigna 'e questo come lo dite?'. Anche a Briga: 1 ε so ku'si? 'e questo qui?' (Massajoli 1996, 37-38). E un composto IPSUM + HOC da confrontare col pi comune lo (ILLUM + HOC).
IPSUM articolo Abbiamo gia notato come il valore deittico del pronome atono continuatore di IPSUM tenda spesso a indebolirsi. In pi di una localit si giunge ad usi ehe invadono il campo dell'articolo determinativo. Vediamo esempi di Arenzano: su 'ma: 1 ε brytu 'il mare e
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agitato', Icwarjde ve:pansiami.-ji? 'quando vengono gli amici?'; 'durjka, Ice: 'di: ku 's irjbeli'naw zy pe sa ska:a. 1 arj pur'taw a s us'pja: e su me:gu, k u 1 e:a y me: getu zwe:nu, u te ge 'fa: sa gagba ge me'temu u 'd^esu, u 'restu, by'za: 'fa: I opera 'sjurj 'dunque, vuol dire ehe (= insomma) e ruzzolato giü per la scala. L'hanno portato all'ospedale e il medico, ehe era un medicuzzo giovane, gli fa: 'la (questa?) gamba ci mettiamo il gesso, il resto, bisogna fare l'operazione'; nw a: s : a ka 'tfa:, sa 'pasta 'non la buttare, la pasta'; se te 'fa 'ma: si 'cedy vani daw me:gu 'se ti fanno male gli occhi va' dal medico'; g ce: sa 'tfa:ve pe ar'vi: -'ti:a ' : sa 'tfa:ve - sa 'tfa:ve, 'mi nu ge sa 'tfa:ve '- ci vuole la chiave per aprire - tira fuori la (questa?) chiave - la chiave, io non ce 1'ho, la chiave'. Simile la situazione a Sassello: s kwadru 41 quadro', 'fa rj gejbu at] 't esa my raja 'fa' un buco nel muro' (AIS 858, P.177), es ca re:ji 'le sedie' (AIS 897), 'titsa s foe:! 'attizza il fuoco!' (AIS 923), zmur 'te: sa 'fama 'spegnere la fiamma' (AIS 921); ar myßfa sapu l&jka 'mescola la polenta!' (AIS 1002-3); mi:ra ke t ay verß es virj 'guarda di non versare il vino' (AIS 1346), ar myßfa s 'karte! 'mischia le carte!' (IV 744-745). Esempi analoghi si potrebbero portare per Stella, Rossiglione, Masone. IPSUM come articolo non sopraffa mai ILLUM. E pero difficile dire in ehe consista la differenza semantica tra i due articoli, ammesso ehe esista. Di fatto si nota ehe IPSUM marca sia la determinatezza anaforica e cataforica ehe quella derivante da conoscenze comuni, referenza unica (su ma:). E probabilmente esclusa la determinatezza di classe (?si gati de ncete sun 'tyti nejgri). IPSUM e sicuramente escluso dalle frasi idiomatiche (*fa: sa pele) e con sostantivi dal referente generico ('fa:l(*s~)pera'sjuq). Inoltre i nomi di battesimo, nei dialetti in cui richiedono 1'articolo, hanno sempre ILLUM. IPSUM e possibile, ma con tutt'altro significato (su 'd^o-.ze 'questo Giuseppe'). E probabile ehe un fattore ehe favorisce la scelta di IPSUM sia la presenza effettiva e visibile dell'oggetto, ehe implica un residue di deitticita, come si vede specialmente negli esempi di Sassello. Non sembra possano esservi dubbi ehe tutte le forme fmora citate sono esiti di IPSUM. Potrebbe forse sorgere il dubbio ehe le forme atone siano composti con ECCE, ma in questo caso van dialetti avrebbero un'iniziale ts. Stabilito ehe si parte da IPSUM, rimane da spiegare come mai i dialetti dell'Oltregiogo abbiano concordemente la forma tonka 'isu e non esu, come i dialetti intemeli e come ci si aspetterebbe. Peraltro abbiamo la stessa scena per gli esiti di ISTUM: 'istu nell'Oltregiogo, 'estu nell'area intemelia. Esiti di ISTUM e ILLUM Gli esiti di IPSUM sono sempre compresenti con gli esiti di ISTUM e ILLUM. ISTUM ha dato origine all'atono stu, pronome aggettivo deittico di vicinanza ('questo'): stu 'kan. In varie localita esiste anche il corrispondente tonico, usato soprattutto come neutro: 'istu Serravalle, Novi ('istu a I 'fasu 'questo lo faccio'), Gavi, Sassello, Ovada, 'ißu Rossiglione ('ißu u 'di.-ja 'questo dice', pia rj po: 'ißu 'prendi un po' questo'), Tiglieto, Urbe, 'astu Ormea (Schädel 1903, 117), 'estu Pigna (u 'tej u 'estu 'il tuo e questo'; 'este i 'sun e 'furte k'i me pjaJ3e de 'tß 'queste sono le torte ehe mi piacciono di piü'), Apricale, Triora. E praticamente onnipresente, ma forse non sempre autoctono, un continuatore del composto ECCUM-ISTUM, pronome aggettivo e sostantivo, deittico di vicinanza. ILLUM e continuato dalle forme dell'articolo (maschile singolare u al di qua del Giogo, er/u al di la del Giogo) e del pronome personale clitico di 3" persona (u/a "kanta, i/e
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Solo nella Liguria occidentale esiste un continuatore tonico elu, -i, -a, -e con valore di pronome personale di 3' persona ('lui, lei, loro')· In gran parte della regione il ruolo di pronome personale tonico e assunto per il singolare dall'esito di *ILLAEI (lej/le: per entrambi i generi) e per il plurale dall'esito di ILLORUM (1u:, spessissimo ampliato con ALTER!: lu'ja:tri/e). Solo sui confini della Toscana soprawive per il maschile singolare un continuatore di ILLUI (1u). ECCUM-ILLUM da origine al pronome deittico di lontananza. In van dialetti dell'Oltregiogo Orientale un esito di ECCUM-ILLUM fa da pronome personale di 3* persona. Pronome personale e deittico qui convivono in due forme foneticamente distinte: Sassello "kslu. "kg, "ke:ra, "ke^rje Ckelu u 'diiyz; aytra "kej 'tra di loro', fce.raa mi ka'mi:na; ks:rje i varj) vs "kwdu, Icwej, Tcwe.'ra, lkwe:rje/'kweje (u sa Jewel k u 'fa, kwel bay, kwq 'ajti, "kwe-.ra ka '011:30, yrjna de 5twe:r/e); a Carcare Tgdu, "kjej, 'kila, 'kile vs kulu (laile 'fu:re), a Pianissolo di Roccavignale Tfjal, Iqej, 'kila, 'kile ('kjal u taja er 'fe:r 'lui taglia il ferro', hla αϊ ε 'dzu:na 'lei e giovane') vs "kul (er 'pre:y nie 'senpre Icul 'il prezzo e sempre quello'). A Pontinvrea il pronome personale di 3" sing, e da ECCUM-ILLUM, quello di 3* pi. da ILLORUM: "keuy la 'vi 'lui non 1'ha visto', tera a va vi:a 'lei va via' ma 1u: i soy ay leu: 'fermi; 1u: i soy d er 'fr.e 'grayde. Ad Altare il pronome personale e un esito di ECCE-ILLUM: sjal 'lui', sila 'lei', 'sjaj 'loro' m., site 'loro' f. (vs "kul 'quello'). Nei dialetti intemeli e in ormeasco e frequentemente attestato un pronome deittico e anaforico 1o (ILLUM -i- HOC): 'dajme Ίο Airole 'datemi quella cosa' (AIS III 1589, P. 190), e y suy vi'jry:apel Ίο Ormea 'non sono venuta per cio'. E molto frequente 1'uso di lo ke come interrogativo: lo ke ti aj? Pigna 'cos'hai?', // nu 'saj mayku h k u 'ma 'di:tu Apricale 'non sai nemmeno cosa mi ha detto', e ns 'see 'tfy h fo 'di:te Ormea 'non so pi cosa dirti'. II grado di lontananza e talora specificate con un awerbio: e lo 1i kum u 'di? Apricale 'e questo come lo dite?'.
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Alberto Varvaro La preistoria delle parlate meridional! e siciliane
Per la preistoria delle parlate meridional! e siciliane, piü ehe per altri temi di questo nostro convegno, siamo nella delicata situazione di doverci affidare ad argomentazioni in larga misura congetturali, per Pinsanabile difetto della documentazione diretta di area meridionale e siciliana nel periodo tra la tarda antichitä e l'apparizione di una prima documentazione scritta nelle parlate romanze. Aggiungo subito ehe, fatta eccezione per le notissime formule capuane, in quest'area la documentazione romanza e sensibilmente piü tarda di quanto non awenga altrove. Se sfogliamo il recente Inventaire systematique des premiers documents des langues romanes (Frank-Hartmann 1997), il risultato si conferma magrissimo: dopo i quattro placiti del 960963 (n° 73.001, 73.002, 73.003, 73.004, rispettivamente da Capua, Sessa e Teano [due volte]), abbiamo soltanto le glosse salentine pubblicate su Medioevo romanzo da Luisa Cuomo (n° 1052), poi un solo testo sicuramente del sec. XII, l'inventario fondano (n° 9019), tre testi collocabili tra XII e XIII secolo (i due pianti cassinesi [n° 2062] ed il ritmo della stessa provenienza [n° 3057], l'inventario abruzzese di S. Lorenzo in S. Colomba [n° 9067]), un paio di testi del sec. XIII: gli scongiuri aquinati (n° 3087) e le glosse a Sedulio, di origine cassinese (n° 1077). Resta inoltre una singola glossa in caratteri greci (n° 1024), mentre va esclusa la porta del duomo di Monreale (n° 1007), in quanto fusa a Pisa. Si sarä notato ehe si tratta, con la sola eccezione delle glosse ebraiche, di testi della fascia settentrionale della nostra area: di gran parte della Campania e degli attuali Molise e Puglia, nonche per intero di Basilicata, Calabria e Sicilia non ci resta niente. Se qualcuno pensasse ehe di questa povertä possiamo ritenerci compensati grazie alle composizioni dei poeti siciliani della corte di Federico II, sarä opportuno ricordare ehe la tradizione manoscritta antica non e ne siciliana ne meridionale (un isolato e limitatissimo testimone contemporaneo friulano [cfr. Brunetti 1999] e poi testimoni toscani della fine del sec. XII o ancor piü tardi), ehe e piü ehe verosimile ehe i testimoni antichi adattino la lingua dei testi ehe copiavano, come accade in tutta la Romania, ehe una limitata documentazione 'siciliana' e assai piü tarda (cfr. Casapullo 1995), ehe comunque per i poeti si tratta di una lingua altamente stilizzata e, per definizione, non localizzabüe. Ha certo ragione Dante (De vulg. el., I, XVID, 4) a considerare la Magna Curia come una sorta di astratta sede della ragione e della maesta, non certo un punto linguistico nel senso della geografia linguistica modema. Questo misero risultato non deve pero nasconderci l a complessita del quadro. Se infatti ci si chiede cosa sia stato verosimilmente scritto nella nostra area e nei nostri secoli, la risposta cambia radicalmente: dal pochissimo passiamo al molteplice. Noi dobbiamo infatti tenere conto di almeno quattro (se non cinque: cfr. piü sotto) diverse tradizioni linguistiche, ehe si esprimono in altrettanti alfabeti: latino, greco, ebraico e arabo. La nostra regione non e stata certo monolingue, e forse non erano monolingui neanche molti dei suoi abitanti: il repertorio sociale era certamente complesso, ma e verosimile ehe lo fossero spesso anche quelli individual!. La distribuzione nel tempo e nello spazio dei rispettivi usi parlati e scritti e quanto mai significativa per la cosiddetta storia linguistica esterna della regione, un aspetto ehe qui, come vedremo, gioca forse un ruolo ancor piü rilevante ehe in altre aree.
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Non c'e alcun dubbio ehe una g r e c i t ä scritta e parlata sia stata perfettamente viva in tutto il periodo ehe ei interessa, e ehe essa fosse nel Mezzogiorno ed in Sicilia legata a concrete realta sia demografiche (la costante presenza di genti di lingua madre greca, sia ehe si trattasse di individui ehe da molte generazioni si consideravano indigeni sia ehe si trattasse di immigrati recenti da altre regioni piü orientali), ehe politiche (alcune zone sono appartenute all'impero di Costantinopoli piü o meno ininterrottamente fino alia conquista normanna, e cio ha comportato ima continua presenza e circolazione di amministratori, di militari, di mercanti), ehe religiöse (sono esistite, in alcuni casi senza interruzione dall'antichitä, istituzioni ecclesiastiche sia secolari ehe regolari ed eremitiche di rito greco), ehe letterarie (si sono prodotte in greco opere nuove, sono state copiate e leite opere sia vecchie ehe nuove). Insomnia, una parte della nostra area deve aver posto a tutti gli effetti in una storia linguistica greca (per una prima informazione cfr. Varvaro 1981, 60ss.). La presenza costante del greco, per quanto fondata su di un radicamento antichissimo e cosi forte da obbligarci a considerarlo senz'altro come la lingua del paese, subisce perö nel tempo forti oscillazioni tanto nella sua estensione quanto nei rapporti di prestigio con altre lingue. Puo sembrare facile tracciare i limiti dell'espansione massima del greco, ehe e arrivata ad includere Napoli, una parte forse del Cilento e certo della Basilicata, alcune zone della Terra di Bari, il Salento, parti estese della Calabria, soprattutto meridionale, e larga parte della Sicilia Orientale. Con la stessa approssimazione possiamo determinare abbastanza bene 1'area di espansione minima, lo zoccolo duro ed irriducibile, del greco in zone consistenti del Salento, della Calabria meridionale e della Sicilia nord-orientale. Qui il greco non e venuto mai meno fino al Quattrocento, ed in parte (nelle province di Lecce e Reggio Calabria) fino ad oggi. Se dire queste cose, nella loro genericita, abbastanza facile, rutt'altra difficolta comporterebbe voler disegnare una serie di carte ehe, ad esempio a distanza di un secolo 1'una dal1'altra, descrivessero successive tagli sincronici di questa traiettoria storica e soprattutto ne dessero una interpretazione propriamente linguistica, il ehe vuol dire autonoma rispetto ai condizionamenti delle dipendenze politiche, amministrative ed ecclesiastiche delle singole localita. Quest'awertenza e essenziale per almeno due ragioni. Risulta indiscutibile, in termini generali, ehe in alcune regioni ehe l'impero bizantino ha posseduto anche con continuitä secolare, come ad es. la Sicilia occidentale e parte della Puglia centro-settentrionale, il greco e stato tutt'al piü lingua delPamministrazione, ma non lingua materna di gruppi stabili di parlanti, il ehe vuol dire ehe la successione delle carte politiche non ci consentirebbe di dedurre automaticamente la contemporanea distribuzione degli usi linguistic! reali. In secondo luogo, nulla ci permette di dire ehe la convivenza tra greco e latino, nelle nostre regioni e nei nostri secoli, vada concepita come il giustapporsi di aree compatte ed estese, se non addirittura come lo spostarsi di una frontiera linguistica continua ehe circostanze esteme hanno fatto muovere avanti indietro. Molto piu verosimile, ed in alcuni casi evidente e forse dimostrabile, e ehe le due popolazioni siano vissute frammischiate non solo nei maggiori centri, come Napoli, ma perfino all'interno di localita medie e piccole e ehe le stesse masserie sparse nella campagna (dove esistevano) potevano essere abitate qua da grecofoni e la da latinofoni. Se e cosi, una carta linguistica sincronica aderente alia realta dovrebbe presentare in genere un mosaico assai fine, ma anche zone e punti a doppia colorazione. Ma una carta di questo tipo non siamo in grado di tracciarla nemmeno per un qualsiasi momento storico assai piü tardo, almeno fino al 1400.
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Va poi considerate un fattore determinante per le conseguenze ehe derivano dalla mescolanza linguistica: il prestigio reciproco delle variant! in contatto. Esso e ancor piü difficile da valutare in quanto abbiamo a ehe fare con un periodo di sette-otto secoli e con una situazione ehe varia sensibilmente. Sülle grandi linee penso ehe tutti possano accettare l'ipotesi ehe in partenza il rapporto di prestigio tra latino e greco fosse piü o meno equilibrate, a seconda dei gruppi sociali e dei domini di discorso, forse con una leggera prevalenza, in qualche zona, del greco ed in altre del latino. Nell'alto medioevo, con la scomparsa dell'Impero romano d'occidente e la vigenza del potere di Costantinopoli, in gran parte delle nostre zone il rapporto deve perö essersi spostato a vantaggio del greco, ehe vi sarä rimasta lingua unica della cultura e della chiesa. Molto piü tardi il decline del greco e segnato irreversibihnente soltanto dalla conquista normanna, ma non e certo immediate; ne la caduta di prestigio assoluto e relative e stata dovunque contemporanea: in Sicilia essa era awenuta giä assai prima ehe nella penisola, ma a vantaggio dell'arabo e non del latino, e qui la conquista normanna pote forse sembrare per qualche decennio addirittura la premessa ad una possibilissima restaurazione del greco. Se l'ipotesi complessiva ehe abbiamo enunciate coglie nel vero (e fatte salve tutte le opportune riserve sulle valutazioni dei singoli individui e dei gruppi, ehe ci sono owiamente inattingibili), il rapporto di prestigio, per lo piü vantaggioso, avrebbe dovuto preservare il greco da interferenze non piü ehe marginali del latino (e poi del romanzo). Si sä infatti ehe, quäle ehe sia la durata e l'ampiezza del contatto, e difficile ehe l'interferenza passi dalla varieta di minore prestigio a quella considerata piü 'alta'. Vediamo se e possibile trovare conferma di questa ipotesi. La documentazione scritta del greco in Italia meridionale ed in Sicilia e cospicua, ma essa non risulta sistematicamente raccolta ne studiata ai nostri fini. Si tratta di categoric diverse di testi: opere letterarie nuove (soprattutto religiöse), manoscritti qui esemplati ma contenenti testi di altra origine, carte documentarie, iscrizioni. Con le riserve del caso, direi ehe per secoli non sia awertibile, e ehe comunque non e stata mai segnalata, l'incidenza in essi di influenze di altre lingue, e men ehe meno del latino (o romanzo). Mi incoraggia a dirlo il fatto ehe, a riprova, nei testi di epoca normanna, invece, i prestiti dal galloromanzo appaiono subito, come ha documentato bene Caracausi (1984, 77; la documentazione e ora in Caracausi 1990): il ehe mi sembra proprio un segnale di quella awenuta inversione del rapporto di prestigio ehe ipotizzavo or ora. Lo studio dell'italo-greco di epoca moderna mette in luce un gran numero di interferenze tra latino e neolatino, da una parte, e greco, dall'altra; ma si tratta o di fenomeni ehe possono essere riportati all'etä imperiale o di fenomeni chiaramente moderni. Ci interessa molto, come e naturale, l'uso dell'alfabeto greco per mettere per scritto testi romanzi. Come si sä, il processo di apprendimento di una scrittura e indipendente (e posteriore) da quelle di apprendimento della lingua madre; chi, avanti negli anni, impara a scrivere una lingua di cultura diverse da quella ehe ha usato nella fanciullezza (e ehe magari usa ancora) non si prenderä la pena di imparare ancora un altro alfabeto per scrivere anche questa sua altra (e meno prestigiosa) lingua. Se poi la lingua di minor prestigio non ha, in loco, tradizioni di scrittura, l'uso del primo alfabeto e ancora piü owio. Orbene, noi abbiamo qualche teste romanzo scritto in alfabeto greco, anche se si tratta di testi non particolarmente antichi (VInventaire ha giustificatamente eliminate, come piü tarda copia, la carta rossanese del 1104 e 1122: cfr. Frank-Hartmann 1997,1, 37). L'uso di un alfabeto non latino e tradizionalmente considerate un vantaggio per noi Studiosi modemi, ma e un'illusione
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ehe si possa vedere in questi testi una sorta di trascrizione fonetica. Tutti gli alfabeti, ed in tutti i casi, ricorrono a convenzioni tradizionali. Bisogna poi valutare caso per caso l'apporto di questi testi alle nostre conoscenze linguistiche: Tunica glossa in caratteri greci ammessa da Inventaire, n° 1024, quella del sec. XII e di non identificabile origine locale in cui leggiamo: Xeovroj \eovve il ehe, a dire il vero, ei dice solo ehe la -w dell'articolo e conservata come tale (per non dire della conservazione di /-, ehe e confermata in tutta l'area fino a molto piü tardi), ehe la finale dovrebbe suonare -e, senza chiusura siciliana (ma anche senza centralizzazione?), ehe la -ö- tonica e sentita come [u] (con la stessa resa grafica dell'esito di -Ü) ma questa vocale alta non innalza la [ ] ehe la precede; si nota infine la mancata resa del genitivo. Non si poträ dire ehe abbiamo appreso molto, anche perche non siamo in grado di localizzare la varietä linguistica ne di indicare con argomenti esterni dove la glossa possa essere stata scritta (il codice, oggi vaticano, viene dal monastero dello Studios di Costantinopoli). In una parte della nostra area, quella settentrionale e soprattutto la sua fascia centrale appenninica, va considerate poi l'elemento l o n g o b a r d o , ehe vi si radica ancor meglio ehe nel centro-nord. Certo, anche in questo caso la durevole sussistenza politica e statuale va distinta dalla permanenza della lingua germanica. La robustezza deH'incidenza onomastica (cfr. Morlicchio 1985), toponomastica (cfr. almeno Sabatini 1963) e giuridica non puo portarci senz'altro a dedurne forza e durevolezza del longobardo, ehe si spense rapidamente e si sarä scritto poco o nulla (cfr. Albano Leoni 1983). Veniamo adesso alle comunitä ebraiche, ehe sono state numerose e diffuse in modo piuttosto capillare, con un addensamento maggiore in Puglia, attorno ad Oria (cfr. Abulafia 1996,9). L'uso liturgico e letterario dell'ebraico ha dato luogo alia composizione di opere anche importanti ed alia copiatura di manoscritti ehe a volte ci sono pervenuti, ma a questo livello non pare ehe si possa parlare di interferenze con altre lingue. A differenza dei Greci, perö, gli Ebrei adottavano di solito la lingua del paese, sieche ce ne saranno stati di grecofoni e di latinofoni (e poi di romanzofoni); e poiche essi per scrivere usavano in ogni caso l'alfabeto ehe avevano appreso in sinagoga, ne consegue ehe le loro glosse esplicative sono pur sempre in caratteri ebraici, ma qui in romanzo locale come in Francia erano in francese antico. La documentazione e importante, soprattutto per il lessico, perche le caratteristiche dell'alfabeto ebraico danno luogo ad una trascrizione assai problematica di molti suoni latini e la tipica secchezza della glossa lascia poco campo alia morfologia ed ancor meno alia sintassi. Ma in ogni caso non va dimenticato ehe le glosse provengono da un paio di centri di studi biblici ed obbediscono ad una tradizione assai vincolante: insomma non possono ambire ad essere, neanche loro, un documento schietto del tempo e del luogo in cui vengono scritte. Quanto all'arabo, la sua diffusione e certo una conseguenza della conquista, ehe ha inizio con la Sicilia neu'827 e sarä a stento fermata nella penisola piü di un secolo dopo; l'incidenza e pero profonda perche, dopo la prima fase ed in tutti i luoghi in cui il possesso fu sentito come stabile, l'arabo (o sue varieta) si diffuse ben al di la deiramministrazione. Vennero infatti in Sicilia popolazioni arabe, arabizzate e herbere, forse anche nel ricordo dello stretto rapporto ehe aveva legato in tempi piü antichi, almeno dall'epoca cartaginese, l'isola a quella ehe ora era diventata 'Ifriqiya; e si realizzö in parte almeno Pislamizzazione di masse indigene, ehe assieme alia religione adottarono in qualche modo la lingua del Co-
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rano. Ne dobbiamo dimenticare il commercio, ehe per qualche tempo anche nel Mediterraneo occidentale e centrale fu dominato dalle marinerie dei paesi islamici e ehe nelle piazze cristiane dominava anche grazie a tecniche sofisticate. Insomma, l'arabo si radicö bene in Sicilia in meno di un paio di secoli e vi fu senza dubbio lingua di prestigio alto, e quindi poco permeabile ad interferenze. Quali ehe saranno le sue posteriori influenze come sostrato di gruppi romanzi, l'arabo esporta terminologia mentre precede ad assorbire masse di alloglotti finche dura il suo predominio politico e religioso; la parabola si inverte in epoca normanna, ma il riassorbimento linguistico sarä lentissimo fino a quando (con Federico II) non si ricorrerä alia forza per estirpare la popolazione musulmana. Allora l'arabo rimarrä come lingua di gruppi ebraici e quindi scomparirä solo con la loro espulsione alia fine del sec. XV; a Pantelleria 1'uso dell'arabo non terminera prima del sec. XVI, lasciando innumerevoli relitti (cfr. Tropea 1988), mentre a Malta la romanizzazione non si realizzerä mai, fino ad oggi. Abbiamo fatto riferimento piü di una volta a i N o r m a n n i , e conviene parlame un momento, anche se essi arrivano tardi sulla nostra scena. Che la loro conquista abbia modificato molte situazioni ed invertito molte evoluzioni della storia linguistica meridionale e siciliana e cosa indubbia; resta da stabilire se essa abbia inciso anche sui caratteri interni delle varieta romanze, ehe e cosa diversa e piü delicata. A me pare ehe sul piano lessicale 1'inci-denza sia sensibile, e ne deduce anche una presenza demograficamente piü consistente di quanto ammettano molti storici (cfr. Varvaro 1980), ma sarei molto piü cauto fuori del lessico. Dopo aver passati in rassegna i comprimari, ci tocca parlare di quello ehe, per noi romanisti, e il protagonista della nostra storia, il l a t i n o . La prima cosa da dire e ehe sul latino meridionale e siciliano del tardo periodo imperiale (assumiamo questo punto di partenza convenzionale) abbiamo informazioni molto scarse. Per chi ricorda ehe la massima concentrazione (nel tempo e nello spazio) di documentazione relativa al latino parlato si ha, oltre ehe a Roma, proprio nella nostra area, a Pompei, e ehe il latino delle iscrizioni volgari pompeiane ha finito involontariamente con il ricoprire,yaHte de mieux, il ruolo di rappresentante di tutto il parlato della prima eta imperiale, sembrerä paradossale ehe piü tardi il silenzio awolga sia la Campania ehe le altre regioni. Oseremmo lamentare cinicamente ehe non ci sia stata piü tardi un'altra catastrofe come quella del 79 d.C. Non e ehe manchino iscrizioni dei secoli posteriori; ma esse aspettano ancora la nuova edizione di Solin del Corpus inscriptionum latinarum e soprattutto uno studio linguistico adeguato. Ne abbiamo ragione di credere ehe nelle nostre regioni regnassero 1'analfabetismo e rincultura, se e vero ehe la recensione di Livio alia quale risale il nostro archetipo fu fatta alia fine deH'impero nei pressi di Enna, forse proprio nella villa di Piazza Armerina ehe e diventata famosa per i suoi mosaici; ne 1'istituzione del Vivarium da parte di Cassiodoro deve essere stata come un'isola in un mare di oscurantismo. Awertiamo peraltro un rapporto culturale, artistico e religioso tra Africa e Sicilia, soprattutto occidentale; ma non potremmo estenderlo al latino parlato e poco sappiamo, del resto, delle evoluzioni del latino africano verso il romanzo. L'uso letterario del latino in eta alto-medievale nella nostra area e ridotto ma non assente, anche a Napoli dove si conosceva e scriveva anche il greco, come risulta non solo da testi letterari ma anche dalle iscrizioni pubblicate dal Silvagni 1943. A Napoli si verifica del resto uno dei piü rilevanti casi di versione dal greco in latino, quella del romanzo di Alessandro ad opera dell'arciprete Leone, dalla quale derivano le fortunate redazioni della cosiddetta Historia de preliis. Negli ambienti longobardi (Benevento e Salerno) c'e una produzione latina, come c'e nei monasteri benedettini, a cominciare da Montecassino (cfr.
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Brunhölzl 1992, 382ss.). Alcuni di questi testi, ad es. il Chronicon salernilanum, sono stati analizzati bene dal punto di vista linguistico (mi riferisco naturalmente a Westerbergh 1956): ma ho Pimpressione ehe essi vadano letti come testimoni piuttosto di una vitalita, magari rustica, della lingua scritta ehe di un suo progressive cedere al parlato. Faccio un solo esempio: la vitalita di IPSE in funzione di articoloide (per non dire senz'altro di articolo) farebbe sospettare ehe anche m queste regioni, come altrove, avessimo un articolo su, sa; invece non soltanto ne manca ogni traccia, ma perfino la toponomastica piü arcaica documenta solo lu, la. II problema torna a porsi con le serie archivistiche, ehe hanno inizio a Cassino nel 747, a Gaeta nel 787, a Cava dei Tirreni nel 792, a Barletta nell'879, a Napoli nel 907, a Bari nel 939 e poi via via in altri centri. II latino di questi documenti e molto lontano dalla norma antica, ehe intanto Carlomagno aveva riproposto nel nuovo impero; ma non mi pare chiaro, come e sembrato ad altri, ehe la deriva dell'uso scritto rispetto alia norma sia guidata da una qualche evidente vicinanza al parlato. Le formule di Capua, Sessa e Teano sono un lampo di luce nel buio, ma in un'area ristretta ed in un contesto altamente (appunto) formulistico; esse ci confermano pero ehe il latino degli atti e delle iscrizioni e veramente altra cosa dal parlato e non un suo travestimento superficiale. Con i Normanni, con le loro cancellerie, con gli insediamenti religiosi ehe essi restaurano fondano, le serie documentarie si moltiplicano ed infittiscono. Basti dire ehe il solo codice diplomatico normanno di Aversa conta centinaia di documenti e non e completo. Ma tutto e in latino, se non in greco. Mancano affatto graffiti, appunti, scritti privati ed occasional!. Non sottovaluto affatto un'altra fonte, la piu ricca ma anche la piu problematica, le p a r l a t e r o m a n z e quali sono documentate dalla fine del medioevo (molto tardi, in paragone alle sorelle di altre regioni) e soprattutto in etä moderna. Tutti sappiamo quanto sia pericoloso trarre dalla lingua di un'epoca deduzioni per quella di un'altra epoca sensibilmente anteriore. Nulla garantisce ehe la storia linguistica abbia uno sviluppo lineare, ed il nostro e un caso dei meno tranquillizzanti, perche le regioni di cui ci occupiamo non hanno goduto di una continuitä e stabilitä demografica e d'insediamento analoga a quella di altri paesi romanzi. Sarebbe impossibile anche solo riassumere qui le vicende storiche ehe hanno senza dubbio inciso sulla continuitä linguistica. Posso solo limitarmi ad accenni generalissimi, ehe integrano quanto giä detto e ehe non escludono singoli casi in controtendenza. La decadenza delle cittä in etä tardo-antica e fenomeno sensibilissimo nella penisola, meno in Sicilia. Ambedue le aree conoscevano da tempo una grande diffusione del latifondo, ma andrebbe accertato se si trattava di un latifondo disabitato no. Le coste sono state man mano abbandonate, come conseguenza (o causa?) della diffusione della malaria, ed e venuta meno la navigazione di cabotaggio. Le guerre gotiche sono state combattute con accanimento in parte delle nostre regioni e vi hanno certo causato danni non compensati da alcun successive recupero. Quäle ehe sia stato 1'effetto diretto della conquista longobarda, ehe ha certo portato qui anche nuclei alloglotti, essa ha soprattutto avuto come conseguenza la trasformazione, per secoli, di una fascia di territorio dal Tirreno all'Adriatico in zona d'attrito, spesso militare, con il potere bizantino, una frontiera in cui si sono scontrati Longobardi, Bizantini, Arabi, Franchi. La finale conquista normanna ha comportato una risistemazione generale del potere politico e religioso, della proprietä delle terre (con la feudalizzazione), degli ambiti di esperienza di vita. La guerra del Vespro, dopo il 1282, ha devastate per decenni la Calabria ed altre aree vicine.
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In varie e ripetute occasion] il meridione medievale, come la Sicilia, attira ondate di immigrazione, dall'oriente bizantino, dall'Africa musulmana, dai Balcani slavi e albanesi, dal settentrione d'Italia: segno anche dell'esistenza di sensibili e rinnovati deficit demografici e causa, poi, di ulteriori mescolanze etniche e linguistiche. Se in alcune aree galloromanze e stato possibile constatare la permanenza dei confini delle tribü galliche, continuate dalle civitates romane, poi dai vescovati cristiani e piü tardi con riflessi sulla distribuzione dello spazio dialettale, la situazione ehe abbiamo appena riassunto rende inverosimile ehe in Italia meridionale si possano indicare continuitä linguistiche comparabili. Eppure ciö e stato fatto senza troppo riflettere, addirittura per fenomeni ehe dagli studiosi sono stati attribuiti al s o s t r a t o , fenomeni quindi ehe, per definizione, risalirebbero ad un passato necessariamente molto alto, precedente alia romanizzazione. AI sostrato osco sono state assegnate infatti le assimilazioni di -MB- e -ND- (gamma, quannu) ed a un piü remoto e nebuloso sostrato mediterraneo le cacuminalizzazioni (beddu, quattru). Che verosimiglianza c'e ehe in un paese ehe ha subito gli sconvolgimenti storici e demografici cui ho accennato si registrino invece continuitä fonetiche cosi prolungate? Assai bassa, direi. Ed in effetti e risultato poi ehe Passimilazione, sia pure se causata da sostrato osco nel suo focolaio originale, ha una cronologia ed una dinamica di espansione tardo-medievale (cfr. Varvaro 1979) e ehe la cacuminalizzazione si puo addirittura documentare solo ancora piü tardi (cfr. Caracausi 1986,121-144). Conviene forse awertire ehe nel criticare cosi le spiegazioni di fenomeni fonetici in ragione del sostrato non intendo per nulla mettere in discussione l'esistenza di relitti lessicali di sostrato, ehe hanno una storia del tutto diversa, legata alia soprawivenza di oggetti o procedimenti o concetti ehe possono essere passati benissimo da un gruppo sociale all'altro e da una lingua all'altra. Vedremo subito ehe il lessico meridionale ha tracce evidenti di terminologie prelatine o di una latinitä provinciale. La mia riserva di fondo e sulla probabilitä ehe le abitudini fonetiche vengano conservate altrettanto efficacemente, ed e una riserva ehe sarei pronto a ritirare immediatamente se venissero fornite convincenti prove in contrario. Posso toccare appena dei problemi ehe pone la situazione d e l s i s t e m a v o c a l i c o neue nostre regioni. Non e certo trascurabile il fatto ehe proprio qui si riscontri, in un ambito spaziale relativamente ridotto, una varietä di soluzioni ehe non ha confronto nelle altre aree della Romania, nelle quali troviamo una sostanziale omogeneitä linguistica su spazi molto ampi. Qui il sistema panromanzo, quello siciliano, quello balcanico, quelle sardo, si ritrovano l'uno accanto all'altro. Credo ehe si sia avuta spesso l'impressione, o magari la sensazione inconscia, ehe questa nostra zona possa essere considerata, almeno per questo rispetto, una sorta di soprawivenza della Romania arcaica: un laboratorio nel quäle sia possibile osservare, come in via sperimentale, alternative ehe in epoca tardo-antica saranno state present! anche altrove, e ehe perö altrove sono state poi eliminate. Ma, di nuovo, come potrebbe essersi verificato un tale miracolo di stabilita piü ehe millenaria in paesi cosi travagliati? L'idea ehe ci facciamo in sede di storia linguistica rischia di essere la semplice proiezione, piü o meno inconsapevole, di un giudizio di valore ehe ha origine nelle sensazioni e nei racconti dei viaggiatori del grand tour settecentesco i quali, dopo essersi awenturati in questi paesi dimenticati da Dio, avevano l'impressione di risalire indietro nel tempo fino ad una situazione sociale e culturale arcaica. Ricordiamo tutti ehe, ancora negli anni '30 e '40 del nostro secolo, appariva pacifico ehe Cristo si fosse fermato ad Eboli. ho il sospetto, invece, per continuare la stessa metafora, ehe Cristo a suo tempo sia andato ben oltre Eboli, ma poi, assai piü tardi, se ne sia tornato via. Che cioe l'arretra-
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tezza di queste zone sia il risultato di un processo di sviluppo e non la mancanza di esso, sia il prodotto di una dinamica storica e non dell'assenza di dinamica. In sede di storia linguistica avanzare un sospetto del genere ha conseguenze rilevanti. Rimanendo a l v o c a l i s m o , l a documentazione scritta medievale (per insufFiciente ed inadeguata ehe sia) riflette molto (troppo) imperfettamente la situazione moderna. Dopo la conquista normanna, la Sicilia ci appare meno coerentemente e compattamente siciliana di quanto ci attenderemmo: ci sono tracce, sia pure modeste, di alternative diverse rispetto al sistema a tre gradi e cinque fonemi ehe chiamiamo appunto siciliano. Ma come stupirsene in un isola del cui romanzo indigene non sappiamo praticamente nulla e ehe aveva un forte tasso di coesistenza, prima, e di cambio di lingua, poi, dal greco bizantino (con un sistema a tre gradi e cinque fonemi) e dall'arabo (con un sistema a due gradi e tre fonemi) al romanzo e cospicue immigrazioni dal settentrione d'Italia e dalla Toscana, dove il sistema possedeva sette vocali? Questa situazione mi sembra rafforzare l'ipotesi di Franco Fanciullo (1984) secondo cui il sistema 'siciliano', lungi dall'essere originario e dal risalire dunque alia tarda antichitä, sarebbe il risultato tardivo del contatto con il greco bizantino e, aggiungerei , di complessi processi di conguaglio tra indigeni ed immigrati. Quanto alia penisola, non siamo in grado, almeno fino ad oggi, di dire nulla di sicuro, ma la documentazione sembra attestare una diffusione di vocali 'siciliane' ben al di lä dell'isoglossa moderna. Puo darsi benissimo ehe si tratti di tradizioni scrittorie condizionate dalle cancellerie (ma le cancellerie usavano il siciliano?), ma puo anche darsi ehe si riflettano incertezze (e quindi alternative) ehe erano diffuse. Insinuerei il sospetto, se non altro per sollecitare una verifica ed una smentita, ehe la complessa situazione moderna possa essere appunto relativamente recente, un prowisorio equilibrio tra varietä in conflitto. Ho gia segnalato in passato un caso ehe puo certamente avere spiegazioni alternative, ma ehe mi sembra meriti approfondimento. Come e noto, il latino forma con il suffisso -ETU le denominazioni di gruppi compatti di alberi dello stesso tipo. Orbene, nell'Italia meridionale delPalto e pieno medioevo non mancano le forme ehe rendono le rispettive basi latine con •itu. Offro per il momento pochi esempi, in attesa di uno spoglio sistematico (gli esempi calabresi sono tutti dalla parte settentrionale della regione, quella a vocalismo non siciliano; bisogna tener comunque presente Rohlfs 1966-1969, § 1135; esempi toscani in Larson 1995, passim): 822 insititum Am l, 277 (e insetetum 'piantagione di alberi innestati' Nocera? 882, APA 35,1982, 651); 1179 presse Mannarinum: «terra que dicitur de Querdto» (Pratesi 1958, 76); 1213 per S. Angelo de Frigilo: «ubi dicitur Frassinitum» (Pratesi 1958,252); 1217? S. Severina: «per viam de Rusito ... usque ad planum Rusiti» (Pratesi 1958, 262; pochi anni dopo «usque ad scalam Ruseti», ib. 332); 1230 Mesoraca?: «in loco Frassinitunm (Pratesi 1958, 367); 1230 Beicastro: «ab occidente est suberitum comitis Riccardi Falluca» (Pratesi 1958, 365; nello stesso documento spesso olivetum); 1238-1239 per S. Angelo de Frigilo, ma le terre sono presso Cutro: «ab occidente terras et cercilo filii quondam Roberti de Arsafi» (Pratesi 1958, 397); «ab occidente terre et cercitum filii quondam Roberti de Arsafi» (ib. 398); 1240 per S. Angelo de Frigilo: «iuxta vineam Leoti de Rubito» (Pratesi 1958,403). Ripeto ehe le spiegazioni possono essere molte, dal cambio di suffisso alia metafonia (altro problema da Studiare a fondo storicamente), ma non escluderei a priori unachiusuradi E in /. M o r f o l o g i a . E appena il caso di ricordare i fenomeni della moderna area Lausberg e
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la loro importanza per la storia della formazione della Romania. Ed e appena il caso di ricordare ehe giä alcuni anni fa G. B. Pellegrini ha ritrovato qualche traccia di -S conservata in alcuni toponimi di origine latina cristallizzati nella Sicilia araba (Pellegrini 1972, 453488, e 1978, 386), tracce cui ho potuto aggiungere un altro esempio (Varvaro 1981, 119). In tutti i casi si trattaowiamente di conservazione di -s in plurali di sostantivi, mentre neu'area Lausberg la conservazione riguarda alcune desinenze verbau, ma una considerazione congiunta dei due fenomeni di conservazione impone di ritenere ehe la storia fonetica e morfologica delle regioni meridionali sia stata piü complessa di quanto potrebbe sembrare oggi. Ce lo conferma un altro fenomeno di conservazione, la soprawivenza di EST. Oggi esti 'e' copre in Sicilia due aree marginali, il trapanese e il messinese (cfr. Ruffino 1984, 178 e carta 27), ehe si oppongono ad una compatta area di e, ie, eni, ieni. Ma nel medioevo este, -i e molto piü diffuse in Sicilia, da Giacomo da Lentini a Rinaldo d'Aquino, a Stefano Protonotaro, a Cielo d'Alcamo (v. 3), fmo ai testi in prosa del sec. XIV, giä dal 1320 (cfr. Varvaro 1995, § 6,3,4). II tipo 'este' si documenta nel medioevo sporadicamente in molte zone, anche centro-settentrionali (molto limitate le informazioni di Rohlfs 1966-1969, § 540), ma le attestazioni meridionali sembrano meno compatte di quelle siciliane (cfr. per la Calabria sett. Librandi 1995,196, § 6,4.; per il Salento Distilo 1995, 224, § 5,2.; per la Campania De Blasi 1995, 183, § 4,3,4.; pare ehe la Lucania resti senza documentazione, a giudicare da Perrone Capano 1995, 207, § 7,16). Si ha dunque l'impressione di una vasta area in cui la fase conservativa e in regressione a velocitä differente, con la Sicilia come zona di resistenza massima. Cio non vuol dire ehe la morfologia verbale nella nostra regione non conosca in altri casi aspetti fortemente evolutivi. Non solo vengono da qui le attestazioni piü antiche di andare (cfr. Amaldi 1970, 56, dall'822 a Cava; per Amalfi cfr. Filangieri di Candida 1917, gloss.; poi da av. 1294, B. Latini: DELI l, 53), ma e qui ehe si documenta assai anticamente l'infinito analogico essere, attestato, ben prima ehe nella formula di confessione umbra (10371089: cfr. DELI 2, 401), grazie al congiuntivo imperfetto essere t giä almeno nel 971 a Terlizzi («aberemus munimen aut testimonia quomodo in ipsa medietate de loco Balene ... esseret nobis exinde pertinentes et medietatem eorum et communiter illam aberet cum ipse genitor noster»: Carabellese 1899, 4.21) e nel 1028 a Bari («ut similiter et illa binea esseret in potestate de ipsa sancta ecclesia»: Nitto De Rossi-Nitti di Vito 1897,15). L e s s i c o . In alcuni casi credo sia possibile ed utile tracciare una carta approssimativa delle aree lessicali alto medievali. La documentazione archivistica, con tutti i suoi difetti, ci permette di disporre di una documentazione abbastanza ricca e fitta (sia pure mai senza chiazze bianche) di termini relativi alle forme del terreno, alia flora e agli oggetti d'uso contenuti nelle abitazioni. Faccio l'esempio del tipo 'tuoro', designazione certamente antica di un tipo di altura (cfr. Aebischer 1930). La distribuzione moderna dei toponimi di questa origine (cfr. Aebischer 1930 e PAtlante del T.C.I.) va dalla provincia di Caserta, in specie la parte settentrionale (Presenzano [Tuoro Sant 'Angela], Tora [qui anche Tuororusso], Marzano Appio, Roccamonfina [anche Tuorofimaro e Torano], Sessa Aurunca, Teano, Piedimonte Matese, Funari pr. Ponte Latone, Caserta), a Campobasso (Toro), ai margini del Sannio (Tuoro Scigliato a Sant'Agata dei Goti), a Capri (Tuoro piccolo e Tuoro dell'Arutä), ad Avellino (Roccabascerana e Monte Toro ad Altavilla Irpina), a qualche localitä vesuviana (Saviano [Tuoro]), ad un'area salemitana di Torello (Sarno, Castel S. Giorgio, Mercato S. Severino, Ravello, Montecorvino Pugliano, Montecorvino Rovella). C'e poi Torelli (Torelli di Mercogliano [Avellino]), Torella (Torella dei Lombardi [Avellino] e Torella del Sannio
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[Campobasso]). La maggior parte di questi toponimi ha la forma Tuoro (c'e anche presso Foggia una masseria Tuori), ehe discende dunque da una parola con , ma altri hanno Toro, ehe puo anche essere TAURU. Indecidibile la base di Tora, Torano (a Cetraro), Torone (anche Torrone), Torello, Toritto (Bitetto). Per quanto non vada dimenticato Tuoro sul Trasimeno (Perugia), non c'e dubbio ehe la voce abbia avuto fortuna soprattutto nella nostra area. Gi P. Aebischer 1930 ha studiato le forme documentate nelle carte antiche, ma e oggi possibile integrare i suoi spogli: 774-787 ? «collibus, vallibus, toribus, riaginibus» (CodDiplLong 375, 17; cfr. Amaldi 1970, 284: 'locus editus et cacuminatus'); 857 Dragonea tont 'colle, rialzo del terreno' (RPh 35,1982, 651; da Galante 1980,161); 871 «terra mea ... in locum ubi dicitur iovis: abentes fines ... de aliam partem fine tauri ... et de super fine ipsius tauri...» (CodDiplCav I,92; Aebischer); 939 Amalfi: «casalem quantum avemus in loro de Cinte» (Filangieri di Candida 1917, 7; nel gloss.: 'ciglione di monte'; Amaldi 1970,285: 'locus editus et cacuminatus'); 952 «per ipso ballone saliente in ipso tont de Inbrici» (CodDiplCav 1,236; Aebischer); ? «de ipsum monte sancti Pantaleoni ubi dicitur turella» (CodDiplCav Π, 15); 976 Cava?: «ab alio latere a parte de Salerno fini medium ipsum torum» (CodDiplCav Π, 101, 22; Arnaldi 1970,285; Aebischer); 980 «a pars orientis sicut discemit toru ... ab ipso toru rectum descendente» (CodDiplCav Π, 155; Aebischer); 983 Cava?: «a parte orientis sicut discemit inclitum torum» (CodDiplCav E, 185, 13); 987 «quomodo toru de Gattuli discemit» (CodDiplCav II, 243; Aebischer); 987 «av ipsum torum aqua versantem usque in flumen» (CodDiplAm II, 247: 'ripido displuvio'; Aebischer); 988 «a finem de ipsum torum aqua versantem usque in flumen» (CodDiplAm II, 252; Aebischer); 990 «susu per pedem de ipso toro, hoc est in ipso piano ubi ipsa vinea facta est» (CodDiplCav Π, 283; Aebischer); 991 «per ipso ballone saliente in toru de Imbrici» (CodDiplCav Π, 322; Aebischer); 992 «coniungente in unum turellu et ab inde saliente in plescora» (CodDiplCav Π, 323; Aebischer); 995 «descendit per fine de medio ipso toru de Falerzu ... coniungit in toru de Mandrelle ... coniungit in toru de Calcara» (CodDiplCav ΙΠ, 27; Aebischer); ? «tradidistis ... nobis ipsum montem vestrum vacuum et plenum, quern habetis in toru de Hircli positum» (Mem. Am. 164,15; Amaldi 1970,286); ? «alia pecia de terra ibique, q. est toru supra ipse Calda» (Hist. Abb. Cos. 311, 12; ib. 20 «et toru offeruimus»; cfr. Amaldi 1970,286); 1023 Nocera: «subtus locum Barbatianum, ubi ad Toru dicitur» (CodDiplVerg 1,108); 1038 Lauro: «ubi ad ipsu Toru Sancti Potiti dicitur,.. que [est] castanietu ad ipsu Toru Sancti Potiti... [casta]nietu, ubi at Toru Sancti Potiti dicitur» (CodDiplVerg 1,160); 1066 Cava?: «forum» (CodDiplCav IX, 41,18); 1067 Cava?: «torum» (CodDiplCav IX, 92,18); 1068 Cava?: vtorellum, turellum» (CodDiplCav IX, 184,29; 185,16); 1073 Cava?: «/two» (CodDiplCav X, 64, 36); 1077 Avellino: «de ipso toru Maurello» (CodDiplVerg 1,298); 1080 Ascoli Satriano: «subtus ecclesia vo[ca]bulum Sancti Quirici ad ipso Toro... in iamdicto loco ad ipso Toro... in ipso Toro liceat te ponere palmento et pila» (CodDiplVerg I, 304); 1133 Atrani: «asupra namque ponitur fini torum aqua versante» (Filangieri di Candida 1917,235); 1137 «ponitur fini torum aqua versante» (CodDiplAm 1,241; Aebischer); 1138 «in Pelagiano ... loco nominate at ipsa Turins» (CodDiplAm 1,244; Aebischer); 1165 Gragnano: «a supra finis torum aqua versante» (Filangieri di Candida 1917, 313; Aebischer); 1166 Lettere: «fini media ipsa turina» (Filangieri di Candida 1917, 318; Aebischer);
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1178 «Johanne filio quondam Ursi da la Turina de civitate Scala» (CodDiplAm I, 376; cfr. I, 387; Aebischer); 1181 «a supra namque ponitur finis torum aqua versante» (CodDiplAm I, 392; Aebischer); 1189 Ravello: «a supra ponitur fines torum aqua versante» (Filangieri di Candida 1917, 434; Aebischer).
Ci sono inoltre i toponimi Toru rotundu, tra Cava e Nocera, nel 928 e 1016; «locum qui dicitur Torum» a Mitiliano presso Cava nel 949; «in Rabelli at Torum ... in predicto loco Torum» a Ravello nel 1018; un «Palumbus de Toro» ad Amalfi nel 1123, un «Petri de Toro» ad Atrani nel 1142 (Aebischer 1930, 204). Fuori di questa zona Aebischer 1930, 206, non trovava ehe «terram quam habui in coüibus Tore» a S. Matteo di Castello (Montecassino) nel 1152, «vineas in Tora» nel 1242 per la regione di Montecassino, «terra in Toro» nella stessa regione nel sec. XIII, «loco ubi dicitur Toru» sempre nel 1266. A Farfa nel 1100 c'e «in pede montis Acutiani, et in ecclesia sancti lohannis quo nominatur Torellus». La conclusione dello studioso svizzero era ehe, a parte i nomi di luogo, in Italia "les documents anciens fönt voir qu'aux alentours de Salerne en tout cas, le mot a fait partie du lexique ordinaire jusqu'aux environs de an mille ä peu pres, si meme il n'a pas subsiste jusqu'ä aujourd'hui, ainsi que le laisse croire le tworo du pied du Vesuve, soit d'Ottaiano" (Aebischer 1930, 207). L'ultimo riferimento al P. 722 di AIS III, 422 'monticello', ehe pare Tunica attestazione moderna del nome comune, ehe manca in tutti i lessici dialettali. A noi non interessa qui la discussione suH'etimo di questo tipo, per cui cfr. in ultimo Coromines, DECat VIII, 935-945; quel ehe ci interessa e la possibilita di definire un'area lessicale altomedievale, ehe poi si e ridotta quasi a nulla. Molto significative sono le osservazioni areali ehe divengono possibili. L'area di 'tuoro' si distingue nettamente da quella di 'pesco', molto piü limitata e piu appenninica. Nulla dice peraltro ehe i due termini fossero sinonimi esatti, ma e comunque significativo ehe si tratta di aree non coincidenti. II tipo 'tuoro' e un esempio di parola verosimilmente prelatina, ehe e rimasta vivissima, per parecchi secoli, neue parlate di alcune aree meridionali. Non sarebbe difficile dare esempi di una altrettanto tenace latinitä provinciale: basterebbe Studiare tipi come INTERSICUS, LANEUS, RECANSUS, VETERANU, o numerosi altri. Ma rimando ad altro momento la relativa documentazione (cfr. intanto Varvaro 1997). Mi rendo conto di quanto sia approssimativo ed indeterminate il quadro ehe riesco a dare. Ma Papprossimazione e Pindeterminatezza risultano si, in buona parte, dalla mia incapacita di fare di meglio, ma per un'altra parte sono esse stesse il riflesso di una situazione ehe, a mio parere, non puo essere descritta in termini semplici ed in formule univoche.
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Nonostante I'apparente contraddizione data dalla prioritä riconosciuta alia crisi nella comunicazione orizzontale (tra le varie component! geolinguistiche dello spazio latino) rispetto a quella verticale (sull'asse diacronico), ehe almeno a livello metalinguistico imporrebbe il rovesciamento dell'ordine prospettato. Giä Norberg (1958) aveva comunque considerate decisive la svolta verificatasi nellOrientamento politico-culturale alia fine del sec. VI e visto nel periodo fra 600 e 800 un'epoca di transizione, non piu latina e non ancora romanza per cosi dire: Sabatini 1996, 240, 262-263; Zamboni 1998b, 619-622,629. Dove il metaplasmo pare infatti agevolato dall' impossibilitä di distinguere S ed O dopo la caduta di -m (contrariamenteaquanto awiene in tutti gli altri nomina agentis). II corrispondente francese (come tnostra gia at illo scanciono nella parodia della Lex Salica) e costruito invece col formante -one.
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*cabaddus Norn ~ *cabaddu Obi, pi. cabaddos < caballös nellaquäle appunto *cabaddus avrebbe attratto corpus (si ricordi ehe il sardo, a differenza del protoromanzo centrale, tiene distinti con /o/ ed /u/ gli esiti di lat. lot e /ü/). II confronto di alcuni modelli flessivi d'area italoromanza da un lato e iberoromanza (e sarda) dall'altro consente in effetti d'osservare vere e proprie c l a s s i di rimorfologizzazione ossia una ristrutturazione non accidentale della flessione in base a principi semantici riguardanti la distribuzione di animate ~ inanimato (neutro), numero e funzione dei casi. Spagnolo e sardo (come 1'italiano) collocano appunto nella classe degli inanimati i neutri latini del tipo corpus (cuerpo, tiempo) attraendovi anche forme di paradigmi diversi, per es. sp. polvo, port, po e sa. campid. cinus ehe vengono trattati rispettivamente come * p u l v u s -ore e * c i n u s -ore n e non secondo l'appartenenza classica agli animati, (pulvis e cinis sono maschilü). Tendono ad essere collocati in questa classe t u 11 i gli inanimati ehe in latino si mostrano con un'uscita in -MS al Nom singolare (ossia quelli dei temi in /ö/ e /ü/) come campus, cibus, rivus, metus ecc.: prova ne siano derivati come lo sp. medroso (< *medoroso, normalmente spiegato come analogico sapavoroso, temeroso) e soprattutto l'appartenenza di questi nomi alia nota forma storica di plurale a m b i g e n o (ossia femminile contro il singolare maschile) in - ör a tanto ben documentata nell'italiano centromeridionale (campora, focora, rivora, tettora)14 e nel rumeno (cimpuri,focuri,praturi, dove -uri e probabilmente la generalizzazione di una forma di Obl)15 ma estranea sia al sardo ehe allo spagnolo. Gli esempi di questo fenomeno, certamente popolare, sono p r e c o c i (e non a caso in testi non canonici): armora, pl. di armus 'cubito' nella Mulomedicina di Chirone (sec. IV), cibora (Antimo, prima metä del sec. VI), vellora neiritinerarium Antonini Placentini (560-70 d.C.) e ancora nelle Casae litterarum (un trattatello gromatico di provenienza italiana con archetipo al sec. VI) rivora (accanto a r/v/). Ora, i due domini ehe non adottano questo schema sono caratterizzati (qui ancora a differenza di italiano e rumeno) dalla conservazione di -s finale in funzione soprattutto morfologica, cfr. sa. corpus - corpos, sp. cuerpo ~ cuerpos (ma in antico ancora con -s\ pechos 'petto', da cui l'attuale singolare rianalizzato pecho): un fatto arealmente distintivo responsabile insomma dell'affermazione del plurale sigmatico contro quello in /i/ e quindi dello schema tiempo(s) ~ tiempos con l'esclusione dellOriginaria allomorfia in -or-. Se quest'indizio f o r t e di ristrutturazione delle classi nominali si definisce tra i secc. IV e VI possiamo rinviare a quest'altezza anche il connotato morfofonologicamente importante e speculare della debolezza di -s finale nella Romania italiana e in quella balcanica, dove lo schema proposto sopra sarä articolato come temp-o ~ pl. *temp-i l tempor-a > *temp-ora producendo it. tempo, rum. timp(u), pl. -ora mentre dall'altro versante *temp-os ~ pl. *temp-ora produce soltanto relitti lessicalizzati (come il basco denbora, it. pecora).16 A suo tempo Herman (1988, 65-66) aveva osservato ehe le differenze territoriali esistenti nel latino parlato del sec. VI tra provincia e provincia e anche all'interne di queste non toccavano Punitä fondamentale della lingua e soprattutto la coscienza di essa: 13
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Documentato anche nei Versus veronesi della fine del sec. VIII, 83 per huius cinus flama claret de bonis operibus: Pighi 1963,44. Nel documento da Tito (Potenza) dell'823 citato da Sabatini (1996, 109-110) compare esattamente il plurale pecora. Sottolinea la vitalitä del modello il fatto ehe ad esso vadano assoggettati anche i p r e s t i t i, cfr. rum. drum 'viaggio' (< gr. ?) ~ drumuri, it. ant. burgora, waldora ecc. (di base germanica). Su questo schema di reanalysis inteso come fonomorfogenesi cfr. Lazzeroni 1998.
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l ' u n i c o testimonio di varietä, Isidore di Siviglia (Etym. EX,l,6), allude oltretutto esclusivamente a varietä c r o n o l o g i c h e pur essendo ben conscio delle caratteristiche locali del latino o meglio dei latini di Spagna. Proprio la Spagna visigotica ha tuttavia rivelato negli Ultimi decenni un centinaio di document! di carattere locale e private (inventari, quietanze, atti di vendita) graffiti su placchette di lavagna e databili tra la seconda meta del sec. VI e la fine del VII (con qualche estensione all'VIII) e recentemente esaminati da Herman (1995) nell'ottica della differenziazione territoriale del latino. In materia fonetica questi testi restituiscono un quadro fondamentalmente c o n s e r v a t i v e (a differenza dei document! merovingi, per esempio, e a somiglianza semmai dell'Italia centrale): vi fa spicco peraltro il caso di -s finale, ehe risulta omesso caduto un certo numero di volte, quasi sempre in un contesto morfologico di nominative singolare (Mariu, Paulu, Valeria ecc.). In un ambito storico-linguistico dove /s/ finale e conservato questo fatto appare significative e si spiega ferse in contrappunto alle testimonialize del plurale in cui, secondo una distribuzione conservative, i morfemi di maschile -/ e -os sembrano altemare (cfr. nel n. 53, del sec. VI-VII, novellas, trimos ~ vitelli, anniculi) a differenza del femminile ehe esibisce unicamente -as (ecuas maiores ecc.). Herman attribuisce insomma il fenomeno ad una perdita di opposizione funzionale tra Nom e Ace negli originari temi in /o/ e ritrova precise concordanze con le condizioni succitate dell'Italia centrale (CDL) e anche dell'Africa, a giudicare almeno dai dati delle Tablettes Albertini (document! privati dell'etä vandala risalenti alia fine del sec. V cioe anteriori ai nostri) e ancor piü indietro delle deßxiones locali (Herman 1987). Diversamente dalla Gallia, ehe tende a mantenere netta la distinzione tra Nom e Ace (Obi), la Spagna del sec. VII sembra quindi awiata con 1'Italia verso un sistema s e n z a distinzioni casuali: sintomatica in questo contesto e proprio la sorte di /s/ finale ehe in Gallia diventa 1'asse portante della distinzione mentre in Spagna si riduce ad un ruolo morfologicamente sussidiario finendo per marcare di fatto il n u m e r o . Confrontando queste conclusion! con i dati della ricostruzione interna si vengono a confermare le cronologie proposte in precedenza sulla crisi di /s/ finale in Italia tra il IV e il V secolo e il suo successive manifestarsi in area ispanica, dove infatti la mancata affermazione dei plurali in -ora rinvia questo fenomeno agli inizi del sec. VII e di conseguenza colloca nello spazio tra il VI e 1'VIII secolo I'inizio di v e r e differenziazioni d i a l e t t a l i nellaRomania. 3. L'interpretazione migliore dei dati linguistic! appare allo state delle cose quella proposta in chiave d i a l e t t o l o g i c a da Lüdtke (1988) e fondata sulla critica della concezione epistemologica di riferimento ehe risale aMeyer-Lübke e si articola nella 1) d i c r o n i a dicotomia cronologica (± 600 d.C.) istituita tra latino e romanzo; 2) proiezione l i n e a r e del latino parlato d'etä repubblicana e imperiale nei volgari neolatini secondo un principle artificioso di continuitä; 3) nozione di latino v o l g a r e intesa ad accordare fatti storici, come la provenienza del neolatino dal latino vernacolare e la diglossia d'etä imperiale, con la costruzione linguistica di un protoromanzo concepito come ascendente comune di tutte le varietä neolatine: un modello dinamico dunque ehe non pretende di risalire ad un protosistema uniforme ed e orientate invece verso la ricostruzione di un insieme di strati sistematici di livello cronologico spaziale, prendendo come base empirica d'esemplificazione il sistema delle vocali toniche e quello delle atone finali (dove il sardo e il lucano-calabrese mostrano consistent! tratti di conservazione) fine al genere, con la distinzione tra maschile e neutro ilium ~ illud ed i suoi rifiessi nella Romania. In merito alia suddivisione di quest'ultima, Lüdtke accantona la tradizionale partizione wartburghiana tra Oriente ed Oc-
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cidente, propendendo invece per un'articolazione originaria in tr e settori ossia sardo, balcanico (romanzo sud-orientale) e romanzo continentale: uno schema evidentemente non estraneo a motivazioni di carattere geolinguistico, visto ehe oppone un grosso centro a delle periferie, e in se non nuovo (cfr. Reichenkron 1965) ma comunque innovative per la stratificazione ehe gli viene imposta e ehe combina con le filiere tradizionali di derivazione una serie di fatti normalmente poco integrati nel modello ricostruttivo come appunto i fenomeni di sandhi, i processi metafonetici e le ipotesi specifiche dello stesso Lüdtke sul vocalismo finale, in particolare sulle caratteristiche di lunghezza e nasalizzazione determinate dalla caduta di -m (vinum > *vinu). 3.1. In ogni caso, correlare le varie entitä neolatine stabilite nell'800 dalla nascente filologia all'entitä basica del latino ha da sempre comportato un'implicazione tipologico-classificatoria (magari amplificata dai modelli prevalent! di ramificazione lineare) intesa a graduare questa riduzione tramite anelli di congiunzione raggruppamenti intermedi. Un punto d'arrivo consolidate di quest'atteggiamento e dato, su base fonologica, dalla b i p a r t i z i o n e in senso Est Ovest dello spazio neolatino definita da Wartburg (1950) ehe assume a discriminante gli esiti o meglio la fonologizzazione degli esiti delle consonant! sorde intervocaliche (intersonantiche per la precisione), distinguendo percio una parte O c c i d e n t a 1 e (formata da Ibero-e Galloromania con 1'Italia settentrionale in senso lato) ed una O r i e n t a l e (data dall'italoromanzo centromeridionale col sardo e dal balcanoromanzorumeno-col dalmatico), e ehe per quanto riguarda specificamente 1'Italia ne spezza in d u e parti il dominio geografico lungo la nota linea La Spezia-Rimini (o secondo le precisazioni ulteriori Massa Carrara-Senigallia: cfr. la carta di Pellegrini 1977): ne sono esempi elementari it. (toscano!) sapere, sapone ~ it. sett. save(r), sa(v)on, fr. savoir, savon; rum. cugeta ~ sp. cuidar < c git are', \t.faoco ~ it. sett, (ven.) fogo, sp.foego ecc. Dal canto ho giä proposto (1987, 129 e altrove) lOpportunita di aggiornare questo schema riformulando gli esiti consonantici secondo i criteri v a r i a z i o n i s t i c i introdotti da Weinrich (1969) e Lausberg (1971), con cio ottenendo una distinzione piu puntuale tra tante e tanto diverse varieta affollate in due soli ambiti molto generali: precisamente una q u ad r i p a r t i z i o n e tra A) Galloromania (catalano incluso) e Italoromania settentrionale (col ladino o 'retoromanzo'): subarea ehe sonorizza le sorde intersonantiche, rifonologizza (ossia restituisce in t u 11 i i contesti) la posizione iniziale e degemina senza (o quasi) residui fenomeni di variazione; B) Iberoromania: subarea ehe sonorizza / rifonologizza e degemina tuttavia c o n residui fenomeni di variazione (ehe colpiscono specialmente le sonore); C) Italoromania centromeridionale, col sardo: subarea ehe n o n sonorizza fonologicamente ma soltanto in termini (sistematici) di variazione (sä. tempus 'tempo' ~ sos tempos 'i tempi' ~ su Sempus 'il tempo') e n o n degemina; infine D) Balcanoromania, col daknatico: subarea ehe n o n sonorizza ma al tempo stesso d e g e m i n a : mm. cugeta, cap < cap u t ma gutä, vacä. In questo schema e fundamentale Popposizione tra aree senza piu variazione reale ed aree tuttora contraddistinte da questo fenomeno, benche tra l'uno e l'altro stadio appaiano livelli intermedi ehe configurano una sorta di continuum se cosi si puo dire sfalsato. Tra l'altro, questa proposta non definisce tassonomie parallele a quelle delle altre classificazioni e sembra utile in ogni caso come termine di confronto, dato ehe il balcanico di Lüdtke (1988) coincide in sostanza con D, il sardo ricopre una parte (magari limitata) di C e il romanzo continentale si riconosce fondamentalmente nell'insieme -B (dove, per inciso, sotto A si nota un tratto caratterizzante dell'italiano settentrionale o cisalpino a suo tempo posto in evidenza dal Monteverdi (1952) come una delle articolazioni a u t o n o m e del
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cosiddetto italoromanzo). Importa tuttavia sottolineare come con questa si rompa la sostanziale limitazione fonologica delle classificazioni tradizionali introducendo un parallelismo organico tra fatti di quel genere e fatti di livello morfosintattico, la cui combinazione sembra rendere un quadro non semplicemente elencativo delle varieta neolatine e della loro aggregazione organica intorno a q u a t t r o capisaldi storici (Iberia, Gallia e Cisalpina, Italia, Balcania).17 3.2. Un quadro relativamente diverse rende invece la distinzione sottolineata da Lausberg (1971, § 163) tra gli esiti vocalici in sillaba aperta tonica e quelli in sillaba chiusa, distinzione di grande rilievo tipologico e classificatorio ehe coincide ancora (non in toto ma largamente) con la partizione tra Romania settentrionale e meridionale (e piü in lä con quella a quattro blocchi). Si tratta, per la precisione, di due parti distinte in un corpo c e n t r a l e ein una p e r i f e r i a, il primo forte di galloromanzo, cisalpino e ladino e la seconda articolata sulle a l i (ibero-e balcanoromanzo ma s e n z a il dalmatico ehe, coerentemente con la sua collocazione storico-geografica, sta piuttosto col Centro: Zamboni 1995, 59). Anche il modello prescelto da Lüdtke non se ne discosta granche, nonostante la sua articolazione in tre parti ehe tuttavia coincide per lo piü con una polarizzazione tra balcanico (marginale) e romanzo continentale mantenendo isolata ed autonoma la Sardegna. Per quanto riguarda invece gl'indici morfosintattici, si deve alia riflessione dell'ultimo periodo un'accentuazione della prospettiva tipologica ehe finisce infatti per delineare un'opposizione fondamentale tra Romania settentrionale e meridionale (in larga misura coincidente con quella periferica), in sostanza una vera e propria polarizzazione Nord ~ Sud del dominio neolatino. Alia disposizione areale del tratto fonologico strutturale esaminato in precedenza (ossia la rifonologizzazione consonantica - distinzione tra gli esiti iniziali e quelli interni contro un regime di variazione) si accompagna infatti quella di altri e significativi tratti a livello morfologico, per esempio Popposizione tra plurale sigmatico e plurale iotizzato, e soprattutto quella di numerosi altri morfosintattici un cui rapido elenco (sempre nella sequenza Nord - Sud) comprende 1) il parametro del Soggetto obbligatorio ~ Soggetto nullo; 2) la marcatura di S (ossia la presenza storica di una declinazione bicasuale) contro la marcatura differenziale di O (accusative preposizionale) e la correlata presenza del p a r t i t i v o contro il suo progressive declinare; 3) la distinzione funzionale degli Aux essere l avere (rispettivamente con i verbi inaccusativi e inergativi o grosso modo intransitivi e transitivi) contro la sua progressiva neutralizzazione e i connessi accordo ~ non accordo del Participio Passato (PP), debolezza ~ vitalitä del perfetto semplice. Sulle contrapposizioni generali ha
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In proiezione storica (ossia in una prospettiva ehe tenga conto non soltanto dei dati diretti delle lingue romanze viventi ma anche di quelli inferibili dalla base latina e quindi anche dalla Romania submersa o perduta) vale la pena di citare l'interessante raflfronto di una ricerca sugli inizi latini della palatalizzazione (in base a dati volgari epigrafici; Galli 1994-95,118-119 e tabella; 132-134) ehe arriva pure ad una quadripartizione spaziale pressoche coincidente con quella appena proposta, individuando una zona marcatamente conservatrice nelle Tres Galliae, una piü moderatamente tale nella Narbonensis e in Hispania, una ancora in via di sviluppo nelle province del Sud-Est europeo (ossia nella Balcania) e infine un'area innovatrice (sempre beninteso dal punto di vista del cosiddetto 'intacco') in Africa, Roma e Italia. Dunque, due p o l i opposti (Gallia e Africa) un territorio marginale dai tratti alterni e due Italic (una propriamente meridionale e l'altra centrosettentrionale) collegate tramite la fascia narbonense (in accordo con i dati storici!) con l'Iberia: in definitiva, d u e raggruppamenti, uno a Nord-Ovest (conservatore) e I'altro a Sud-Est (innovatore), secondo un criterio piü aderente ai criteri ripartitivi attuali.
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richiamato 1'attenzione soprattutto Ineichen (1985) mentre su quelle appena illustrate il riferimento d'obbligo e alle analisi di La Fauci (1988, 1991, 1997) all'interno di un'ipotesi diacronica generate di un deperimento del tipo latino Nominative / Accusative - Attivo / Medio e dell'emergere di fenomeni di stampo Attivo / Inattivo (se non proprio Ergativo / Assolutivo). Di fatto, 1'insieme di tutti questi criteri d'analisi converge neH'attribuire un carattere di netta scissione al dominio geografico italiano, ehe in van gradi oppone dunque un Settentrione (cisalpino) a un Centro-Sud (isole comprese), e induce a ritrovame le primizie nei testimonia tardoantichi ed altomedioevali. 4. Sulla situazione linguistica dell'Italia dopo la fine dell'Impero e sui secoli della 'svolta'18 si possono passare in rassegna varie posizioni. Herman (1988), in un saggio dedicate alia situazione linguistica dell'Italia nel sec. VI, riflette soprattutto sulle condizioni di bilinguismo e di rapporto parlato ~ scritto proprie dell'area. II bilinguismo romano-germanico, secondo varie testimonianze storiche, sembra infatti ben radicato in epoca gotica, sia pure in modo a s i m m e t r i c o dato ehe sono i Goti ad aprirsi largamente al latino mentre al contrario 1'elemento romano ignora totalmente, salvo poche eccezioni, il gotico. Tutt'altra condizione, e assai meno stabile, e invece quella ehe s'instaura dopo il 568 col dominio longobardo, a lungo in atteggiamento di contrasto nei confronti della latinita e solo lentamente capace di aprirsi (verso la fine del sec. VII) ad un processo d'integrazione. Da questo punto di vista dunque la fine del sec. VI e 1'inizio del VII delineano un quadro politico-sociale piuttosto critico i cui caratteri d'instabilitä hanno verosimilmente accelerate o comunque favorite processi di deriva linguistica, se cosi si puo dire accentuando 1'incipiente carattere 'italiano' del volgare. Tuttavia, i testimoni storici del rapporto lingua scritta e ufficiale ~ lingua parlata non mostrano ancora tratti specific! di divaricazione o di distinzione. In altre parole, ci si chiede se sia possibile a quest'epoca una condizione stabile e riconosciuta di d i g l o s s i a ossia la percezione di (almeno) d u e livelli espressivi. Una risposta affermativa dai testimonia disponibili e problematica, dato ehe le condizioni della comunicazione verticale appaiono ancora (relativamente) unitarie.19 In sostanza, malgrado i rivolgimenti politici, sociali e culturali, il sec. VI e testimone piuttosto di una latinitä i n t a 11 a, magari soprattutto a livello di percezione e d'ideologia, e non d'una diversitä territoriale ehe tocchi 1'uso linguistico corrente e Pintercomprensione tra regione e regione addirittura tra provincia e provincia della Romania: intercomprensione ehe in realta, col progredire della crisi della comunicazione orizzontale, poteva gia essere problematica. Ancora in tema di testimonia concernenti il sec. VI Banniard20 ritiene di poter individuare argomenti positivi in favo18 19
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Bonfantel968,29en. 59. Posto ehe la gente cotnune fosse in grado di seguire e di comprendere i testi sacri e liturgici e la predicazione (1'unica forma d'acculturazione organizzata di fatto consentitale), sia pure attraverso determinate pratiche ed accorgimenti riguardanti il livello linguistico dei testi letti ad alta voce e soprattutto la loro realizzazione fonetica certamente incline a semplificazioni e ad adattamenti anche radicali in direzione della norma dell'uso parlato. II verso normale e infatti quello scritto -> orale (ossia dal testo alia lettura) mentre 1'inverso e raro e limitato per la gente comune alia sottoscrizione di pochi strumenti giuridici, Herman 1988, 64. Anche nei due tipi di transcodifica legati al Vorlesen e al Protokoll individuati da Lüdtke 1964 si ha dunque una specifica asimmetria (Herman 1988, 63) in virtu della quale ogni testo scritto secondo moduli non scolastici o rituali finisce per costituire una sostanziale r i v o l u z i o n e ortografica. Qui anche Sabatini 1996, 222ss. e I'ampia discussione in Wright 1982,45-103. 1992,105-179, dove per esempio I'analisi della figura e degli atteggiamenti pastorali e linguistici
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re della trasparenza linguistica del latino in Italia verso il 600: in altri termini la residua accessibilit alia lingua scritta (dunque una competenza almeno p a s s i v a) da parte degli /'/litterati per il tramite della lettura ad alta voce e l'esistenza (almeno a Roma ma verosimilmente anche altrove) di vn'elite laica coltivata capace di partecipare ad una meditazione religiosa di livello non infimo (in sostanza di un pubblico intermedio tra i clerici e gl'illetterati), adombrando su questa base un vero e proprio s t a t u t e della lingua parlata popolare fondato su una sorta di c o m p r o m e s s o ancora possibile nell'Italia longobarda ehe entra nel sec. VII; compromesso ehe, a dire il vero, alcuni esempi di lingua corrente tratti dai Dialoghi21 mostrano ormai largamente ispirato ad una n o r m a assai poco debitrice, di l dal travestimento ortografico, ad un latino canonico. Non molto di pi si ricava da accenni al parlato o addirittura al vernacolo romano del sec. VI in recenti contributi di Herman (1990) e Kramer (1998). II primo recupera dal capitolo del Liber pontificate dedicate a Vigilio (papa dai 537 al 555) 1'episodio della sua partenza da Roma per Costantinopoli (awenuta il 22 novembre del 545) accompagnata da una manifestazione di popolo e da violent! improper!: "famis tua tecum! mortalitas tua tecum! malefecisti cum Romanis, male invenias ubi vadis!" dove, sia pure in un contesto essenzialmente di 'parlato',22 lo stesso Herman (1990, 151, 155) riconosce nell'uso di mortalitas in luogo di mors o *mortis un eufemismo attinto in sostanza dalla lingua scritta, ehe personalmente annetterei all'influenza di modelli specific! dello stile (semi)formale ecclesiastico, per esempio il documentatissimo di Gregorio Magno (f604) consente di cogliere, entro un tono in genere sensibilmente distinto da quello classico, tratti accentuatamente correnti, per esempio nelle scelte lessicali come falcastrum, flascones, massa (ep. 1,42) 'tenuta', merula, vanga. Da sottolineare soprattutto massa, ehe solo in Italia sviluppa il senso speciale di 'patrimonio fondiario, tenuta': tra i papiri ravennati analizzati da Carlton (1965, 73-76) il termine appare nei nn. 1 (445-446, riferito a massae in Sicilia), 2 (565570), 10-11 (Siracusa, 489), 13 (553) e 17 (Roma, inizio sec. VII); le prime attestazioni in questo senso datano comunque dal sec. IV, in Simmaco (384-385) e Ammiano Marcellino (390), seguiti pi tardi dalle Novellae di Antemio (438-468) e dalla Donaiio Tiburtina (471); villa, casale (Gloss.); ancora al sec. IV rinvia 1'attestazione epigrafica di CIL XIV 3482,5: inpraediis suis massae Mandelanae. Ne sono infme ben noti gli echi toponomastici soprattutto nelPItalia Settentrionale e in Toscana: Massa, Massa Marittima, Massalombarda, Massafiscaglia ecc.; Thes.LL. VIII/1, 429-431; REW 5396; £»£72383; Pellegrini 1990, 190,244,318. 21 Ne cito qualche passo dallo stesso Banniard 1992, 179 n. 292: 1,2,3 ego opus caballi non habeo; 2,18 vide, fili, de illoflascone quern abscondistis, iam non bibas, sed inclina eum caute, et invents quid intus habet', 2,25 currite, currite, quia draco iste me devorare vult\ 2,32 reddefilium meum mortuus est; veni, resuscita earn .... ecce corpus eius ad ianuam monasterii iacet; 3,20 veni, diabole, discalcia me! 22 La collocazione letterale del testo e tra le "citations de l'usage parle" (Herman 1990, 147), altrimenti dette "temoignages informels enregistres" (Oesterreicher 1995, 191): tratti evident! in direzione di una latinitas iuxta rusticitatem ο latinitas iuxta plebeiam urbanitaiem sono male facere cum, ubi = quo e vadere 'andare', ehe qui appare gi nella distribuzione neolatina, per es. d'it. andare ~ vado, vai ecc. Un quadro pi ο meno analogo si coglie dai testi romani proposti dal Kramer, pure lontani dai livelli stilistici di Gregorio Magno e desunti dalle version! latine degli αποφθέγματα yepovTuv ο verba seniorum, esempi degli eremiti o padri del deserto: casi tutti di vocabolario semplice (composto in genere di element! trasmessi alle lingue romanze), di sintassi altrettanto semplice e lineare (paratassi, ordine delle parole sostanzialmente gi neolatino), morfologia (e ortografia!) peraltro ancora nettamente conformi alia tradizione scolastica; eventualmente caratterizzati da tratti pragmatici di oralit e 'popolarita* nell'organizzazione del discorso (ripetizioni lessicali, riprese del tipo dicit, ait', introduzione di awersative - marcatori fatici - al, autem, vero; introduzioni di dipendenti con una sorta di complementatore universale quia, cfr. it. pop. ehe).
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ricorso epistolare a l l ' a s t r a t t o fraternitas tua (vestrd) come formula d'allocuzione tra dignitari di pari grado. Gli elementi popolareggianti di questo breve testo n o n si staccano insomma da uno sfondo di riferimento scritto o formale e, se i n s e depongono a favore d'un meccanismo di corrispondenza tra scritto e parlato ancor soddisfacente (in ultima analisi d'una perdurante unita del latino), non sembrano tuttavia sufficient! a rappresentare la reale situazione linguistica dell'epoca. Niente testi volgari quindi ne document! dai quali si possa inferire con certezza la realta di un'intercomprensione generale per o g n i Romano (e non solo tale) del sec. VI, anche il piü illetterato. D'altra parte l'accento posto su c a p i r e significa ehe questo secolo denuncia una fatale restrizione della competenza p a s s i v a, fatto ehe indirettamente evoca condizioni ancor piü precarie per quella a 11 i v a cioe per la capacita di parlare ad un certo livello. 4.1. Assai piü nette ed anticipatrici appaiono a questo riguardo assunzioni come quella di Sanga (1995, 83; Sanga-Baggio 1995, 248, 255): "L'italiano nasce nel VI sec., con le invasionibarbariche,malasuafase p r o t o s t o r i c a [spaziatomio] siprotrae fino aliametä del VII perche per un secolo, fino all'Editto di Rotari (643), i Longobardi restano sostanzialmente estranei alia cultura scritta (Petrucci-Romeo 1992, 35-36)", ehe si affida anche all'autorita di Terracini, convergendo in ogni caso con Herman e Norberg (1958) sulle difficoltä dell'evoluzione nel primo periodo longobardo, e soprattutto di Durante (1981, 75, 90-92): "II sec. VI non costituisce soltanto il punto d'arrivo delle grandi trasformazioni grammaticali [di tono latino volgare, inserto mio], e anche il periodo in cui si accentuano, merce il mutato regime socioeconomico [...], quei processi di frammentazione linguistica minuta, da paese a paese,23 ehe rimarranno operanti fino all'etä moderna. E questo anche il periodo in cui cominciano ad affiorare strutture chiaramente italianeggianti [...], e pertanto il sec. VI e il piü idoneo a simboleggiare una sorta di cerniera tra gli sviluppi latini e italiani entro il quadro di una storia unitaria": il tutto nella prospettiva, opposta stavolta a quella di Herman, ehe "a partire almeno dal sec. VI la distinzione e una realta di fatto ehe si traduce c o n s a p e v o l m e n t e [spaziato mio] nell'uso linguistico differenziato".24 A dimostrazione ulteriore della prevalenza di questo polo si possono citare posizioni distinte ma non divergent! come quelle di Schiaffini (1959, 709-712) e soprattutto di Norberg (1958, 495) ehe propendono per il sec. VII, indubbiamente centrale nel nostro processo.25 Proprio Norberg (1958) ne sottolinea infatti gli aspetti storici generali (consolidamento dei regni romano-barbarici e conversione al Cristianesimo di consistent! settori di essi, contrapposizione a Bisanzio, distacco di vari pezzi della 'Romania perduta') e quelli linguistic} (tra i quali emerge la formazione della particolare latinitä merovingica). Bizantini e Longobardi si dividono il potere politico, gli uni controllando le fasce costiere e la parte meridionale della penisola (un ambiente ehe sembra visibilmente attardato), gli altri proponendo invece una 23 24 25
E il tema della frantumazione della Romania o della costituzione del romanzo delle pievi e delle parrocchie caro a Devoto (1953 e 1974). Qui ancora d'accordo con le categorie di Devoto (1953) ehe invece di diglossia parla d'un "bilinguismo inconscio" superato poi da una "bilinguitä consapevole". Certo, il livello di consapevolezza dev'essere ancora relativo, soprattutto per quanto riguarda la coscienza identificativa tra lingua e cultura da una parte e popolo ('nazione') e spazio geograficoistituzionale ('stato') dall'altra, come implica il rilievo di Sestan (1958, 676-677) al caso emblematico di Paolo Vamefrido (detto poi Diacono, t799), longobardo per discendenza, romanico per lingua e religione, longobardo-romano per sentimento, ehe per quest'ultimo verso puo dirsi dunque ante litteram italiano.
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latinita come quella dell'editto di Rotari (643), evidentemente ristretta ed intessuta di germanismi ed elementi volgari, ma accogliendo d'altra parte il forte influsso scolastico dell'immigrazione monastica irlandese promossa da San Colombano (612).26 E comunque ai diffusi volgarismi dei testi ehe il Norberg (1958, 490ss.) annette un'importanza fondamentale per giudicare la condizione generale dell'Italia, citando sparsamente un essere abetis 'sarete' da un'iscrizione funeraria di Roma (ILCV 3865) e la neoformazione pronominale itipsa (it. dessa) nello stesso ambiente (ILCV 4400: inizio sec. VI) da un lato, dall'altro le vere e proprie g l o s s e ehe contrappuntano il testo di Rotari (ehe sostituiscono cioe parole correnti a termini ormai scolastici: novercam suam id est matrinia [...] privignam quod est ßliastra ecc.) o ancora piü avanti ricordando da Fredegario (613-658) quella ehe si considera tradizionahnente la prima attestazione di futuro sintetico (daras 'darai'). Dunque, rigettando il parere corrente soprattutto nella scuola americana ehe in Francia e in Italia si parlasse nei secoli VII e VIII un latino non troppo difforme da quello ehe si trova mediamente nei testi e attribuendo questa falsa prospettiva ad un'insufficiente percezione del carattere conservatore della lingua scritta, il Norberg non esita ad attribuire al sec. VII una s c i s s i on e ormai compiuta tra lingua scritta e lingua parlata e un'accelerazione dello sviluppo di quest'ultima, tanto da affermare esplicitamente (1958, 495): "C'est des le VIIe siecle que commence la langue italienne" ossia ehe il clima di decomposizione linguistica offerto dai testi tradisce una rapida evoluzione del parlato verso una sorta di protoitaliano,27 non senza tuttavia limitazioni e ripensamenti (se non contraddizioni) tali, in conclusione (1958, 503), da riconoscere nonostante tutto il perdurare della tradizione latina ehe in Italia ne fa non una lingua senz'altro morta ma la forma scritta della lingua di tutti i giomi. A contrappunto di tutto ciö, si osservi invece come Sanga (1995; Sanga-Baggio 1995) abbia voluto interpretare la sua esplicita assunzione di nascita deü'italiano nei sec. VI con precisi correlati storici ed anche ideologici, stante la lunga durata della protostoria italiana (complice l'altrettanto lunga estraniazione dalla cultura scritta del fattore unificante longobardo).28 Da questo punto di vista l'originalita o comunque la fisionomia dell'italiano ha un prezzo, ehe e la distinzione tra il latino v o l g a r e (deriva popolare del latino classico e preistoria dei dialetti italiani) e il latino b a r b a r i c o , nuova forma letteraria assunta dal latino (scritto e parlato) in eta appunto barbarica: tendendo ad una simbiosi assai stretta con questo "il primo tipo d'italiano, il volgare italico dell'etä longobarda e franca, ha un carattere arcaizzante [...], il ehe gli consente di estendersi su tutta l'Italia longobarda, dal nord al meridione, con un notevole grado di u n i t a r i e t ä [spaziato mio], in un periodo ehe e valutabile tra il sec. VI e , forse il XIII" (Sanga 1995, 85; Sanga-Baggio 1995, 255). Esiste dunque un 26
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Per quanto riguarda lo sviluppo in Italia della lingua (scritta!) nei sec. VD, dopo la robusta e originale latinita di Gregorio Magno - alia quäle la lingua di personal ita contemporanee come quella di Venanzio Fortunate contrappone un modello certo elegante e raffinato ma piü scolastico - deve passare un buon secolo e mezzo prima ehe appaia una nuova, vera figura letteraria nella persona di Paolo Diacono. Anche la Petracco Sicardi (1981,205) sottolinea la brusca caduta della produzione letteraria nei sec. Vn, a parte l'opera di Giona da Susa. Non a caso insomma alia poverta culturale e letteraria corrisponde un'esilita o timidezza di manifestazioni volgareggianti. A cui si contrappone la latinita sempre piu artificiosa dell'epoca, fino ai primi indizi di riforma agli esordi del sec. VIII (qui dunque prima di Carlo Magno). Tra gli esempi di 'protoitaliano' addotti da Sanga (1995, 248) non collocherei il notissimo torna, torna (o retorna) narrato da Teofilo Simocatta (610-644) o torna, torna frater (fratre) in Teofane (sec. IX), ehe fu causa d'una rotta deH'armata bizantina (586). Sul latino come lingua di quell 'esercito e su queste specifiche formule di comando cfr. Mihäescu 1969.
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volgare letterario italiano, o meglio esistono vari volgari ehe hanno alia base una latinitä barbarica documentata specialmente nelle scritture di carattere burocratico (giuridico e cancelleresco), una forma altomedioevale ehe, come il latino merovingico in Gallia, non solo e lontana tanto dal latino classico ehe da quello volgare (Terracini 1954-1956) ma si pone precisamente tra il primo e i registri intermedi elaborati all'interno del latino in etä precarolingia e stilisticamente percepiti come 'rustici' (cfr. latino circa romanqum, rustica romana lingua, Sabatini 1968; Avalle 1965): Sanga 1995, 84. La documentazione giuridica altomedioevale mostra in Italia caratteristiche ben determinate ed original!, tali da non poterla confondere con le tradizioni scrittorie esterne. Resta da valutare fino a ehe punto questo si debba, come aveva giä ben ipotizzato Norberg, ad una serie di condizioni politico-sociali e culturali legate al modo e all'evoluzione del dominate longobardo o non s'identifichi piü a fondo, anche per quanto riguarda i volgari parlati, con condizioni antiche di relativa unitä o, sempre per dirla con Terracini (1956, 130-134), di relativa s o l i d a r i e t ä sul cui sfondo i volgari stessi si sviluppano (Sanga-Baggio 1995, 255). Si puo infatti discutere sull'idea ehe, sempre secondo Terracini,29 PItalia costituisca in etä altomedioevale un'area conservativa e tuttavia non priva di una certa vitalitä, come mostrano i non rari casi di comune evoluzione morfosintattica e lessicale ehe interessano tutta la Penisola. Lascia perö meno convinti ehe in quest'epoca l'antico confine Magra-Rubicone30 separasse nettamente Italia settentrionale da quella centrale esclusivamente per ragioni fonologiche (come la caduta delle vocali finali, la lenizione delle sorde intervocaliche, lo scempiamento delle geminate, la conservazione di /s/ finale). Secondo Terracini, "gran parte di queste particolaritä fonetiche sono comuni al gallo-romano e appartengono a una corrente abbastanza antica ehe dalla Gallia scende neu'Italia settentrionale, ed anzi qualche serie in numero abbastanza notevole di esemplari scende verso il centro dell'Italia. [...] Quindi, per quanto fonologicamente esistesse un confine al Rubicone, le singole innovazioni fonetiche, esattamente come le lessicali e sintattiche, si movevano ancora per quasi tutta l'Italia, piü chiara la corrente settentrionale, piü debole, ma innegabile quella ehe ancora moveva dal centro della penisola. I volgari d'Italia si sviluppano, quindi, su uno sfondo di relativa solidarietä" (Terracini 1956, 112-134). Rovesciando dunque la procedura corrente (dalle differenze locali alia ricomposizione sovraregionale), si raccoglie in Sanga-Baggio (1995, 255-258; Sanga 1995, 84-85, 88, 89-90) una serie di caratteri linguistic! del volgare italico ehe e in parte conservative ma in parte innovative rispetto al latino volgare del sec. VI, naturalmente intendendo 'innovativo' come specifico dell'etä longobarda31 e strettamente collegato alia latinitä barbarica 29
30 31
1956, 17; 115-116: "L'unita linguistica italiana poggia sull'antica unitä de) regno d'Italia, formatasi in etä imperiale, con lo spostamento del confine dell'Italia dalla linea Magra-Rubicone alle Alpi; confine ribadito dalle invasion! barbariche ehe hanno accentuate anche un altro antico confine, quello tra la Romania latino-germanica e quella greco-latina", citato in Sanga-Baggio 1995,255. Base del noto confine linguistico storico correntemente inteso come 'linea La Spezia-Rimini'. Sono innovativ» per es. i tratti 2 (eliminazione della distinzione tra -o, -u finali nel Nord e in Toscana, con maggiori resistenze al Sud, e conseguente riduzione a t r e timbri del vocalismo finale -e, -i, -o); 3 (mancanza di metafonia (?), anche in conseguenza di 2, tranne casi sporadici (?) al Sud); 13 (moderata diffusione della lenizione delle occlusive sorde intervocaliche, d'origine galloromanza, comepodere, cavezza; Devoto 1953,25-26); 18-19 (formazione del plurale sia in /s/ ehe in /i/, piü diffuso nell'area centromeridionale) in quanto specific! dell'eta longobarda e strettamente legati alia latinitä barbarica; sono giudicati invece conservativi, tra gli altri, 17 (riduzione della flessione nominale al caso unico) e 17a (flessione bicasuale al Nord) perche si ricollegano al fondo comune latino volgare d'Italia. Tuttavia e proprio eliminazione delle distinzioni nel vocalismo
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ehe, sempre secondo Terracini, considerata in genere un fenomeno di decadenza e d'incultura va invece rivalutata come momento di costruzione autonoma d'una tradizione linguistica originale. 4.2. Uno scrutinio minimale dei testi d'epoca, in particolare di quelli non letterari, offre nella seconda met del sec. VI, tra la fine della dominazione gotica e Pinizio di quella longobarda, le importanti documentazioni dei papiri ravennati poste pi volte in evidenza da Sabatini (1963-1964, 1965a e b, 1968, 1978, ora tutti in Sabatini 1996). II primo documento (edito da Tj der 1955, 344-352; 458-464) e un atto di donazione papiraceo databile tra il 590 e il 602 tra i cui testi compare tale Giovanni di nazione sira, ehe si sottoscrive in caratteri g r e c i pur se in lingua latina: Ιανντ\ζ, σουρο? ναγουζατρο, ricomparendo tuttavia anche in grafia latina (scolasticamente pi corretta!) nella notitia testium finale: lohannis ...., negotiator Synis. Leggiamo dunque (Tekavcic, 1980, § 464ss.) un naguzatro significativamente 'scritto come si pronuncia' nella soscrizione greca dove il modello grafico diretto non soccorre ma immediatamente dopo riportato correttamente in quella latina dove evidentemente (come mostra il tono generale del documento) la norma scolastica regge ancora bene. Proprio la spia greca ci conferma il pieno dispiegamento dei volgarismi attesi e ormai c a n o n i c i nella lingua parlata: /tj/ > /ts/ e - t o r > -atro (fatto salvo per il tratto di lenizione -tr- > -dr- di certo gi diffuse all'epoca), fomendoci soprattutto una precisa, anzi la p r i m a eco di n o m i n a t i v o storicamente conservata nelle variet neolatine dell'Italia settentrionale, dove infatti - tor tipico dei nomina agentis e variamente rispecchiato dal ven. -a(d)ro (avogadro 'awocato'), lomb., emil. -oder, piem. -aire (mangiaire) ecc. (Rohlfs 1968, § 344); una forma presumibilmente opposta ad un Acc ( d Obl) *negozator(e), -dor(e) neH'ambito di una flessione (almeno) bicasuale. Sempre Sabatini (1965a) propone una serie omogenea di testi (inventari, liste nominali ecc.) d'area panromanza (Balcania esclusa owiamente) il pi antico dei quali e ancora di provenienza ravennate (Tj der 1955, 240-242; 433-436): si tratta di una chartula securitatis rogata su papiro, datata 17 luglio 564 e contenente un breve de diversas species ehe recita tra l'altro: "[...] cocliares numero septem, scotella una, fibula de brodle et de ustibandilos ('panni da gamba', gennanismo), formulas duodecim, stragula polimita duo valentes solido uno tremisse uno, scamnile acopicto valente solido uno, plicton vetere siliquas quattuor aureas, [...], orciolo aereo uno, lucerna cum catenula unixa aerea una, ferrofracto libras duodecim, butte de cito valente tremisse uno, butte minore" ecc. Pi ehe i volgarismi fonetici e le peculiarit lessicali contano qui le caratteristiche morfosintattiche, ehe si riassumono fondamentalmente in un punto: i nomi degli oggetti elencati si presentano in forma un i c a (singolare o plurale), valida per t u t t e le funzioni sintattiche, secondo la distribuzione: I decl. sing, -a (scolella)~pLas (formulas); II sing, -o (orciolo) ~ pl. m. -os (usubandilos), ntr. -a (stragula); III sing, -e (butte, tremisse) ~ pl. m., f. -es (cocliares). In sostanza, dei veri e propri casi obliqui g e n e r a l i, come mostrano tra l'altro gli a c c o r d i (scamnile acopicto valente solido uno; plicton vetere) ele r e g g e n z e (fibula de bracile et de usubandilos; cum manicas curias), frutto di tendenze emerse in testi e contesti costituiti da costrutti ellittici o puramente nominali e privilegiati per la promozione dell'Acc ( d Obl) percepito come caso proprio degli o g g e t t i di fronte ai quali la persona si pone come s o g g e 11 o (semanticamente un
finale (2) ehe consente d accentua (soprattutto nel Centro-Sud, pi conservative del Nord in questo tratto) il declino della flessione bicasuale (17 e 17a).
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a g e n t i v o). Da questo, in particolare, Sabatini (1965a, 982) induce di uno schema di p l u r a l e fondato sulle continuazioni nominativali dell'italiano, qui in particolare dell'italiano settentrionale (area di pertinenza del nostro documento, in condizioni peraltro non molto diverse da quelle del galloromanzo): I decl. -as (S, Obl); II m. -/ (S), -os (Obl); ntr. -a (S, Obl); III m., f. -es ~ *-/' (S), -es (Obl).32 Attestazioni del genere coinvolgono livelli ehe vanno oltre le differenze esclusivamente o quasi fonetiche invocate da Terracini ed alludono ad un'Italia divisa (in modo atteso!) nei suoi volgari incipienti, se non nelle forme latine sovraregionali. Se ne ha una riprova in un altro documento consimile (assai piü tardo tuttavia), un atto di donazione lucano dell'823 ehe Durante (1981, 94) cita da Sabatini (1968, 329; 1996, 107-108, 116, 118): auru et argentu, [...] de auro cum albe ('perle') seu cercelli ('anellini') [...], feblatorio ('affibbiatoio') [...], rame, aurecalco, panni, jumente, caballi domiti, bobi, bacce, pecora, capre, porci: qui lo schema del plurale e regolarmente m. -i (cercelli, panni, cabal(l)i, bobi (\\porci), f. -e (albe, jumente, bacce, capre), non senza un atteso collettivo ('neutro') in -(or)a, pecoral Tratti di tal fatta connotano ampiamente anche un documento contermine (da Cava dei Tirreni) di un quarto di secolo anteriore, la Carta rotese (798), dove si leggono infatti passi, pedi, dui ma anche fini (accanto aßne: Avalle 1965, 27-28; Sabatini 1996, 97 n. 43). Anche le scriptae dunque, pur tenendo conto della loro disparitä cronologica, mostrano almeno d u e Italie giä definite il ehe impone di considerare criticamente la relativa solidarietä d'evoluzione invocata in precedenza, anche alia luce di osservazioni come quella di Durante (1981, 81) su un paese all'epoca spaccato in quattro tronconi, due longobardi e due bizantini, e privo di centri commerciali di portata superregionale. 5. Pur senza potergli attribuire dei testi volgari nel senso condiviso del termine, il secolo VIII va considerate l'epoca di r e a l e emersione, sotto svariate forme ed indizi, dell'italiano. La definizione del volgare o dei volgari italici non puo essere infatti ulteriormente protratta oltre quest'altezza cronologica, a palese correzione di quelle assunzioni ehe ritardano la nascita del volgare al IX secolo o senz'altro al X con la presenza testuale dei Placiti e d'altri indizi specifici su una pratica ufficiale diversa dal latino curiale. Preliminarmente i fatti e s t e r n i e comparativi: nonostante il preteso divario di un secolo ehe separa la Galloromania e l'Italia nelle prime testimonianze volgari, la vigilia della loro apparizione si presenta con notevole s i n c r o n i a in entrambi i domini ehe nella seconda metä del sec. VIII (intomo al 770-780) rivelano d u e document! classici di un latino ~ neolatino di tono parodistico öd occasionale ed evidente prodotto di un ambiente culturale di c h i e r i c i. In Italia dunque il dibattutissimo Indovinello Veronese, in Francia la Parodia della Lex Salica, nient'altro ehe un neolatino travestito ortograficamente e morfologicamente da latino: la contemporaneitä esibita dal v e n t a g l i o di queste ed altre scriptae non puo intendersi evidentemente come una banalitä cronologica ma e spia di una raggiunta maturita del volgare e di condizioni ormai propizie alia sua manifestazione autonoma.33 Tra i soli 32
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A conforto di questo quadro si puo aggiungere un riscontro di poco posteriore da Gregorio Magno (epist. 2,3,8) ehe Gerola (1949-1950,226) colloca infatti nell'emergere delle forme di Nom in -äs: vac c äs autem, quae iam aetate steriles sunt, vel b oves m äs cul i, qui omnino esse inutiles videntur, vendi debent. Ma si pensi ancora alle Glosse di Reichenau (fine sec. VIII), meno important! forse solo perche prive di tenore discorsivo, alle Landes Regiae di Soissons (783-787 ca.: tu lo(s) iuvaf), alia cantilena di S. Farone, vescovo di Meaux (annessa alia Vita, redatta nell'869 senza dubbio in base ad
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testi raccolti da Avalle (1965) bastano del resto a giustificare l'esistenza di forme volgari italiane definite (e diverse) il Breve de inquisitione (Siena, 715, noto tuttavia da una copia di parecchio posteriore)34 e la sunnorainata carta rotese (798). L'insieme dei tre Ultimi citati (quattro se ci aggiungiamo ΥIndovinelld) adombra gi un'articolazione Nord ~ Centro ~ Sud ehe si rifa direttamente alle partizioni proposte da Sanga (1995) entro il volgare italico (d'et longobarda e franca) poi scisso in (almeno) un volgare beneventano (o koine longobardo-benedettina), un volgare toscano e una lingua lombarda.35 Ai dati del sec. VIII e in particolare alle documentazioni toscane (ben leggibili nei testi del CDL) si riferisce tra gli altri Migliorini (1952-1953, 18-22, 36-39), riprendendo alcuni tratti del Breve de inquisitione, di altre carte private, delle leges di Liutprando (713-735), delle Compositiones Lucenses (sec. VIII) e concludendo testualmente ehe non c'e sforzo dialertico ehe possa spingerci ad ammettere ehe in Italia nei secoli VII e VIII si parlasse cosi: il dettato di questi testi dev'es-sere dunque inteso come una vera e propria miscela dovuta al sovrapporsi nella mente dell'estensore di d u e norme, quella scritta e quella parlata.36 Quest'ultima emerge comunque in modo trasparente soprattutto da una serie di tratti m o r f o l o g i c i : plurali in
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una precedente versione merovingica), ehe e un altro esempio di latinizzazione di testi volgari (nei testo ehe la riporta si allude infatti esplicitamente a un carmen publicum iuxta ntsticitatem, rustico carmine: cfr. ora Braccini 1996). Tra i testi circa romanqum merita una revisione articolata il noto Ritmo di S. Zenone (anch'esso della seconda met del sec. ΥΠΙ: Avalle 1965, 10-17; Pighi 1963, 23-32) con i suoi trasparenti volgarismi (ΙΠ piscans in Adise; VTI girans giravero 'andro continuamente in giro'). Giravero, in particolare, e future anteriore in funzione di future semplice ed alteraativa (minoritaria) delle continuazioni di questo tempo, comunque vitale in area iberica, nei rumeno antico, nell'estinto dalmatico di Veglia (kant(u)ora < cant vero) e nell'italiano antico: cfr. diro, udiro, amero, respondero, temero in Onesto Bolognese, Geri Giannini, Bondico da Lucca (rimatori del sec. ΧΙΠ) e lo stesso siciliano priro (con spostamento analogico dell'accento): Rohlfs 1968, §§592, 602. Cfr. per es. nelle leggi di Liutprando (§ 138) ego tibi facere habeo 'far ' bonitatem quam volueris 'vorrai'j/m ipsum dominum tuum [....]; nam si eum nonferiveris 'ferirai', ego teferire habeo 'feriro' (dove si osservi la consecutio ehe regola le varianti). Con le sue polimorfle e i suoi volgarismi, Avalle 1965, 1-6: Aretine ecclesie ma ab Aredino episcopo; infantulo [ ], qui nee vespero sapit nee madodinos facere, nee missa cantare; videte, si potit; sunt anni quinquaginta et supra que de trans Pado hie me conlocavi ecc. A parte il problema della lingua siciliana: Sanga 1995, 86, 93-95. Mi sembra importante sottolineare qui il parallele scrittorio desumibile da Sabatini (1996, 238-239) ehe sottolinea la tradizione dell'unica, grande corrente di scrittura tramandatasi ininterrottamente dall'antichita al medioevo, quella usuale (una sorta di capitale libraria fortemente semplificata e con tendenza a divenire minuscola). Canonizzata verso il sec. V per l'uso librario e assunta poi come minuscola corsiva documentaria, essa si distingue appunto nei vari tipi 'nazionali', merovingico, visigotico e beneventano (o cassinese o longobardo), preludi a loro volta della Carolina ma con notevoli resistenze e persistenze periferiche, per es. proprio riguardo alia beneventana della qu le si hanno echi fino al sec. ΧΙΙ-ΧΙΠ ed oltre, se diamo il dovuto risalto alia lettera berbentana d l'Anonimo romano (intomo alia meta del sec. XIV): Zamboni 1992, 149 n. 38; LEI V, 1159. Ancora Sabatini (1996, 262 n. 95) ricorda la notizia degli Annales Stadenses (l 173) riguardante l'arcivescovo Cristiano di Magonza, cancelliere di Federico Barbarossa e conoscitore di molte lingue (oltre a quelle classiche, la romana o provenzale, la gallica o francese, la brabantina e in particolare Yapulica e la lombardica), commentando ehe l'uso scritto deve aver contribuito a questo coagulo embrionale di due lingue, una nei Nord e l'altra nei Sud dell'Italia. Cito sparsamente episcopus de Sena, presbitero de Sancto Vito, tedoltts 'titolus', istavilis, parentorum; venit inquirere causa ista, non te posso contendere, tibi dico quia diocias ist s; dal "libello" di Astunda (Lucca, 804) media porco valente dinari sex, et tres pani et duo casii mediogrii [ ] et duofilafica sieche bone, et inter cici,farro et linticle; dalle Compositiones Lucenses infine hatte, battis, capita non battuta, mattiola, unum cata unum petalum, scalda, bersa ecc.
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-a I -ora(s), formazioni in -one (Gudoloni, Gaidoni),371'evidenza dell'articolo determinativo (illu ortu ad illuficu subtus casa mea: Chiusi, 774; no qui dicitur la Cercle: Lucca, 779) e di quello indeterminativo (presbiterum suum posuit unum infantulo: Siena, 715; infra ipsa terrula est uno pero: Pisa, 730; de uno latere corre via publica, ibid.), la forma d'infinito essere (Lucca, 822),38 forme di passato composto (a quo (empöre ex quo auditum habetis: S. Genesio, 715; si negkctum non habuisset: Liutprando, 733; con a c c o r d o si quis Langobardorum habet comparatas terras in Liburia, 780; lumina oculorum amissa habeo, Agnello Rav.), e di passive analitico (in Tartarum sit consumptus: Pistoia, 767), element! specific! come da ecc. Un'analisi del genere e stata riproposta in termini piu sistematici da Tekavcic (1975), aggiomando un vecchio studio di Funcke (1938) sui document! del CDL e soprattutto rimettendo a punto alcune necessarie premesse di teoria e di metodo sulla valutazione di questa tipologia documentale. Punti essenziali da sottolineare sono il carattere c o m p o s i t o del basso latino ehe ne fa una lingua non organica (dove un testo n o n e infatti il riflesso scritto di una norma o r a l e , ufficialmente non accolta) e il fatto ehe la riforma carolingia (sec. EX), ehe com'e noto prevale non innovando direttamente bensi reagendo ad uno stato di decomposizione della norma scritta, e in realtä per ragioni politicoculturali preceduta nel sec. VIII in modo silenzioso e senza proclami da modelli italiani e irlandesi. Una lunga e dettagliata lista di tratti, fonetici, morfosintattici e lessicali, da un'idea piü ehe sufficiente della costituzione di una base linguistica alia quäle sarebbe difficile attribuire un nome diverse da quello di italiano (Tekavcic 1975, 237): cfr. da esempi sparsi petzo, petztziolo (Lucca, 740), natzonem (Milano, 725); ienitore (Piacenza, 721); casi di sonorizzazione; forme di plurale in /i/, neputi (Lucca, 739) e /s/, nebodes (Asti, 754-755) e di caso generalizzato (de prato, ad heredes I nebodes meos): 1'obliquo e ormai prevalente, in loco qui vocitator Limite (Lucca, 739), qui uno capu tenente est in via publica, ibid.; ille I ipse in funzione di articolo; passato composto: quern [...] messe seminata habeo (Lucca, 738), causas [...] finidas avemus (Bergamo, 740); futuro; forme analitiche e altre particolari come potit (Siena, 715), possant (Lucca, 738); participi in - ü t u : vinduta (Lucca, 734), decernutum (Brescia, 761); da; fatti di lessico: tantum et alt er (urn) tantum (742), excurret (765), scalda, bersa (Camp. Lucenses), barbane meus (Lucca, 761). Come mostrano gli esempi, soprattutto in comparazione interna, non 1'italiano semplicemente ma anche la sua varieta c e n t r a l e (edi riflesso le altre) esiste giä t u 11 o un secolo avanti il graffito di Commodilla, cosa ehe rafforza la tesi di Avalle circa i diversi registri coesistenti nel periodo della transizione e raffermazione di Norberg ehe nel sec. VII si spengono gli Ultimi ricordi dell'educazione laica deH'antichitä, dato ehe a distanza di meno di un secolo la lingua ehe traspare dai document! non e p i u latina. Se dunque l'italiano si s c r i v e dal 960 in poi,39 come idioma parlato esso esisteva giä almeno due se non tre secoli prima e la sua 'nascita' vaquindi spostata in via di principle al sec. VII-VIII (Tekavcic 1975,238). 37
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Lo sviluppo del tipo morfologico -o, -önis nel latino tardo risponde probabilmente ad un criterio di distinzione tra S (Nom) e O (Acc öd Obl). Ne ricordo esempi significativi (ehe interessant) infatti esseri umani e nomi propri!) nelle epigrafi tarde e cristiane della XRegio (da Aquileia e Grado): nutriciones, socerioni, Covoldeoni (dativo del diffuso nome Quodvultdeus), Pap(p)ario (Zamboni 1967-1968, 147) e relitti dialettali come nel valtellinese di Grosio son Gal < Gall o (nella vicina Bormio invece Galon < Gallone, ted. svizz. Sankt Gallen) ma son Gurguion 'San Gorgonio' (Antonioli-Bracchi 1995). Ampiamente anticipato in un'iscrizione romana del sec. VII, essere abetis, forma di future. Come convenzionalmente ripete Tekavcic (1975,238), ehe pure conosce il graffito di Commodilla dato ehe ne cita (227) "il famoso esempio ILLE SECRITA".
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5. l. Qui di seguito uno schema riassuntivo dello stato del neonato italiano del sec. VIII (ricavato dai document! del CDL e da altri coevi ma anche da quelli dei secc. VI-VII citati in precedenza). 5.1.1. F o n e t i c a (Tekavcic 1975, 220-223): appaiono pressoche canonici fenomeni giä ben attestati altrove come rapertura delle vocali brevi latine, l'assibilazione e la palatalizzazione, la lenizione (e tratti di fortizione, specialmente di /b, w/ o betacismo). Da notare i casi di lenizione intersonantica, ehe riguardano non solo testi settentrionali, come atteso, ma anche toscani: quelli piü antichi sono dogomentum e lurigario (Milano, 725), seguiti da prodomartiris, sida, Vicomercado (Agrate, 745) e terredurio, nebodes, probria, nodarius, rogidus, tradida (Asti, 754-755) ai quali aggiungo da testi veronesi della prima meta del sec. VIII Vidalianus, Vergondus (cioe Verecundus, 712-744) e presbederedo40 ossia presbyteratu, e della seconda metä Dimidrianus (Pighi 1963, 15-16, 18; Bondardo 1982, 390, 392; Sabatini 1996, 97 n. 43); giä in Toscana tuttavia sagravit, madodinos (Siena, 715), aeglesias, eglesia (Pieve a Nievole, 716). 5.1.2. M o r f o s i n t a s s i : - nella formazione del p l u r a l e (Tekavcic 1975, 225-228): si conferma la distribuzione prevalente di /i/ per il maschile ed /e/ per il femminile, cfr. tauri, iuvenci (Siena, 730), neputi,fratri (Lucca, 739),filii (Lucca, 757), germani (Massa Marittima, 746), ordini (Lucca, 762) e ancora conditori (Tuscania, 736),41 dove vengono attratti elementi originari della terza declinazione latina, anche femminili: fini (Lucca, 757 del resto gia notato nella carta rotese),42 parti (Massa Marittima, 746), accanto a cartule, ipse case (Lucca, 754), conscribte (Lucca, 748), posite (Lucca, 761).43 Anche sulla scorta di significative opposizioni quali sett, nebodes (peraltro in sintagma preposizionale con ad: Asti, 754-755) e tosc. neputi (Lucca, 739) si rafforza la ricostruzione del sistema generale proposta da Sabatini (1965a e 1965b) ehe giä dai document! del VI secolo oppone un'Italia centromeridionale con m. -/, f. -e (e -/ per i component! originari della terza latina), -a neutro (collettivo) ad un'Italia settentrionale con -os, -as, -es, neutro -a, a partire dal sec. X attratti nel sistema di -i, -e I -i con valore di casi unici;44 40
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Notevole anche per la resa con e di /a/ tonico. L'isolatezza del caso non permette di capire se si tratta di una devianza occasionale, di un fatto in qualche modo analogico o del vero e proprio fenomeno fonologico largamente impiantato nell'Italia cisalpina (Rohlfs 1966, § 19) alia quale va ragionevolmente attribuito in fase arcaica il territorio Veronese, ehe tuttavia non sembra dame riscontri del genere: Pellegrini 1976,447-448. Segnalato da Sabatini 1996,172 n. 74. ACapua(960)infatti^r*B//e^«/. I non pochi casi di plurale f. in -as ricalcano modelli di Ace latino e noti fenomeni di scambio Nom~ Ace (si vedano i contest! sintattici!): ecclesias istas vel diocias istas (Siena, 714), compunctas.... germanas (Verona, 745), duos cartulas .... fuirunt conscriptas (Lucca, 754), res ipsas adpretiatas sunt (Pavia, 759), dicebat.... quod aeglesias Sancti Andree (Pieve a Nievole, 716) e anche al m. bonus germanus (!) qui.... sunt procreates (Lucca, 759). I plurali in -ora mostrano invece 1'ampliamento analogico (non reale!) in -s d'area tipicamente settentrionale, ehe non possiede infatti in via primaria questa morfologia nonostante il lomb. ant. stercora, tempore e forme cristallizzate come moden. logher 'fondo, podere' (rifatto da un pi. *logora), romagn. egur 'spillo' ( e non e registrato nei testi letterari locali,73 anche se non si puo dire col Bondardo (1982, 395) ehe gl'imperfetti betacistici pareba, araba, teneba, seminaba restino "problematicamente isolati" date le attestazioni di b > v in civorius, -um (iscrizione di San Giorgio), scrivere (CDL 172, 290) e soprattutto le false restituzioni come nubalibus (CDL 83) e octabo (CDL 290). Di fatto, questi elementi insieme con le altre concordanze cronologiche ed areali collocano la nostra tormentata prova di penna in una cornice linguistica reale e non fittizia di scuola si ma non di norma latina e piuttosto in una tipologia (non ufficiale) di circa romanqum. Si sä d'altronde ehe lo scoglio esegetico maggiore e posto nell'mc/pi/ da se pareba, scoglio ehe ha persino indotto taluni a proporne (indebitamente) in sua vece una lettura parebase soprattutto allo scopo d'evitare le strettoie della legge di Tobler e Mussafia nel caso di un'interpretazione volgare 'si spingeva(no)' o 'si preparava(no)'. Mi pare arduo tuttavia giustificare in termini di maggior pertinenza volgare (a livello di lessico s'intende), il metaplasmo pareba < par ab a t contro araba e seminaba dato ehe l'unico motive invocabile mi sembra semmai quello di una rima col sottostante teneba™ insomma un chiaro fatto di parallelismo pareba - teneba ~ araba - seminaba. La novitä piü forte degli ultimi anni si deve a Serenella Baggio (1992, 1995) e sta nell'intendere senz'altro se come il si < sie cosiddetto di ripresa, di presentazione e paraipotattico proprio della sintassi italiana delle origini (Baggio 1995, 4344 e n. 11) e non solo di quella, se com'e noto esso contrassegna gia regolarmente i Serments (842). Donde (Sanga 1992) 'ecco appariva il bue - boves Nom sing. - (ehe) arava il
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Nella flessione, Bondardo (1982, 399) nota ancora l'opposizione nei r e l a t i v i tra Nom qui, que e Acc (Obl) quem, cfr. Versus 6 octo (seil, turres) sunt excelse, qui eminent omnibus, a cui aggiungo 53 que (gwi!) ad Syriam veniendo usque in Italiam, contro Versum (de nativitate Domini) 4-5 vox audita est... l quem Gabriel adnuntiat ecc. Dallo stesso (1982, 403-404 e nn. 32, 33) rivaluterei "l'unicita del metaplasmo scan non altrimenti attestato di fronte al noto scario, -nes" neiriscrizione del ciborio di San Giorgio in Valpolicella (712-44), ehe puo essere infatti forma di Nom sulla stessa base del singolare (italiano e dialetti ritengono di fatto sgherro, DEI 3375, 3482; REW 7980). Anche i casi di declinazione per cosi dire latino-germanica nei NNPP -a, -ana, cfr. Furcolla l Forcolana (CDL 172), Felicita l Felicitana (CDV9\, Caprino Veronese, 810) e -o, -öne, cfr. Ursus l Ursoni, Orsone (CDL 290) rientrano nell'aspetto generate della bicasualitä, cfr. n. 37. Bondardo 1982, 393; cfr. infatti dai Versus 81 (ehe ripete i due aggettivi dell'Indovinello) modo albus modo niger. Cosi ora Castellani Pollidori (1997, 164 n. 32; 165 n. 34; 174; 175), dalla quäle emerge chiaramente l'idea d'una struttura in rima giä avanzata da Di Virgilio (1984) e implicita nella proposta d'inversione di De Bartholomaeis ehe renderebbe una strafe tetrastica originaria a doppia rima baciata, dove la particolare morfologia di pareba e appunto funzionale al ritmo e in ogni caso e difeso "il piccolo artificio" dell'idiotismo rustico proposto da Monteverdi. Anche il metro a strafe tetrastica e riproposto dalla stessa (1997, 159 n. 16), ehe aderisce all'opinione di Mariotti (1981) contro il giudizio corrente ehe si tratti di esametri barbari (cosi Pighi 1963, 49), per la precisione "ritmici caudati, del tutto simili a quelli usati in Italia durante l'eta longobarda in canti ed enimmi latini", Castellani 1980, 17 (e su questa linea altri come Cassata e Roncaglia).
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bianco campo ecc.' con le ulteriori induzioni ehe qui non afironto. Osservo piuttosto ehe, nella prospettiva d'un testo volgare, non e necessario invocare specifiche soprawivenze oltre la soglia del sec. VIII o di lunga durata (per dirla con Banniard), come la non rara conservazione dell'ordine lineare OV alia quale allude proprio Sanga.75 Lo stesso Banniard (1992, 500 n. 16), sottolineando il ricorso del dativo sintetico nei Serments (ehe copre un caso regime indiretto: meonfradre Karle in damno sit; sonfradre Karlo jurat), osserva ehe questi dativi sono a n t e p o s t i (comegli accusativi, casi regime diretti) ai verbi dacui dipendono e ritiene ehe ciö conferisca al testo uno svolgimento sintagmatico ehe richiama 1'enunciato latino. Si tratta propriamente tuttavia di collocazioni in frase s u b o r d i n a t a : cfr. oltre ai passi citati in quant Deus savir etpodir me dunat, ; sicum omper dreit son fradra salvor dist, ino quid il mialtre si faze t, come conferma anche la Sequenza di sant'Eulalia, cfr. voldrent la faire diaule servir (4), qu'ette Deo raneiet (6): nelle p r i n c i p a l i invece il verbo tende ad occupare regolarmente il s e c o n d o posto, secondo la regola diffusa in fase romanza antica, lasciando il primo a S o ad altri complementi o elementi d'introduzione, come si sp. almorzar, pon.almocar ecc.; REW 182 (* adm or d i um), 5691 (morsus).
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Discussione finale*
Herman (in qualita di Presidente) - Circa il tema del dibattito, permettetemi di dire molto rapidamente cio ehe da parte mia proporrei come punto di partenza owero come quadro della discussione. La mia idea sarebbe di trattare due argomenti, uno lungo e uno breve. II piü lungo, e piü dettagliato, dovrebbe puntare alia sostanza di questa Tavola Rotonda; piü precisamente, penso ehe potremmo concentrarci sul problema della specificita della storia linguistica d'ltalia nell'arco cronologico da noi considerate; sulla specificita, voglio dire, rispetto al resto della Romania ed eventualmente anche in un piu vasto ambito di comparazione. Quali sono gli aspetti generali di questa specificita? A questo proposito voglio aprire una parentesi di carattere personale. Tutti voi sapete ehe l'italiano e la storia dell'italiano non sono stati fra gli oggetti privilegiati del mio lavoro di ricerca (per Italia non ho mai osato andare oltre il VI sec.), sieche potrei non essere propriamente degno di esprimere un parere circa la specificita dello sviluppo del pre-italiano; ma forse proprio questa amichevole distanza mi permette di vedere le cose in prospettiva. Ebbene, per quanto riguarda il primo periodo - diciamo dagli inizi fmo al momento in cui il latino e diventato (con 1'owia eccezione del greco) la lingua comune degli abitanti della penisola, cioe piü o meno il II sec. d.C. -, la natura esteriore di questa specificita si coglie assai facilmente tramite la comparazione con altre regioni e con altri territori deH'impero. Quando un territorio extra-italico iu conquistato e romanizzato (parliamo della Gallia, dell'Hispania, dell'Africa, ecc.), una volta romanizzato in corso di romanizzazione non provoco una retroazione linguistica sul latino d'ltalia; la Gallia venne conquistata, nel corso di due tre secoli il latino divenne progressivamente la lingua della Gallia, conobbe una propria evoluzione ecc., ma niente piü. In Italia invece, dopo la conquista e la romanizzazione, anzi, giä durante la romanizzazione, comincio una sorta di andirivieni linguistico fra Roma e i territori conquistati. Quando Cicerone critica garbatamente la parlata della gente della Gallia transpadana, difende il latino da abitudini ehe potrebbero influire su di esso: il latino urbano - il latino letterario si difende e, per cosi dire, difende la propria purezza contro provincialismi ehe, certo, sono considerati anche degli arcaismi, ma ehe soprattutto sono sentiti come provincialismi. DunII seguente testo si basa sulla trascrizione della registrazione magnetica della Discussione finale. Come giä per gli Atti della prima Tavola Rotonda, anche in questo caso non sarebbe stato possibile, ne tanto meno necessario, fomire una riproduzione integrale di quanto pronunciato a viva voce; in particolare sono stati tralasciati, con apprezzabile economia di spazio, i numerosi passaggi non strettamente attinenti alia sostanza del dibattito (interiezioni, interruzioni, ripetizioni, formule di scusa e di cortesia, battute amichevoli, ecc.); con cio purtroppo - ne siamo consapevoli - si e perduto qualcosa dell'atmosfera vivace e cordiale, a tratti appassionata, del confronto. D'altro canto tutti gli interventi sono stati improwisati, giacche nessuno dei partecipanti si presentava alia sessione finale con un testo giä approntato, e 1'intera discussione si e svolta sotto 1'incalzare del tempo; si aggiunga ehe la qualita della registrazione, eseguita con Timperfetta competenza tecnica degli organizzatori, lasciava troppo spesso a desiderare. Di qui, al momento della redazione scritta, la necessitä di ristrutturare alcune frasi, e di espungere i passaggi incomprensibili o poco chiari, senza peraltro compromettere la coerenza del discorso. Augurandoci di non aver tradito in alcun modo il pensiero dei partecipanti, e di essere stati generalmente rispettosi delle loro formulazioni e dello stile personale di ciascuno, ci teniamo a sottolineare ehe si tratta pur sempre di testi 'arrangiati', ehe i relatori non hanno riveduto in bozze, ne altrimenti corretto o approvato prima della stampa. [Nota dei curatori}
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que c'e, fra Roma e le regioni romanizzate d'Italia, un doppio iter ehe non esiste per le altre province, e cio ha profonde conseguenze (ne hanno parlato Marinetti, Mancini e altri) e determina una relazione estremamente complessa fra Roma e le regioni italiche: se da una parte Roma era il punto di partenza di sviluppi linguistici, dall'altra era anche il punto di raccolta e di concentrazione di sviluppi locali di altre regioni; vorrei proporre, da francesista, un parallelismo assai evidente: questa difesa della lingua, della nuova lingua letteraria, contro arcaismi e provincialismi, contro tutto ciö ehe insomma non rientra nell'uso della collettivita di base, e un fatto ben noto; ciö ehe Cicerone dice a proposito delVurbanitas, allorche la definisce la lingua naturale della comunitä romana, e esattamente quel ehe si dirä all'inizio del Seicento, allorche si trattera di creare la lingua letteraria classica francese: Malherbe condannerä tutto cio ehe e arcaico e provinciate, e propugnerä una lingua ehe sia comune al popolo di Parigi. In sostanza, per questo primo periodo, io direi ehe la specificita delPItalia nella fase di romanizzazione consiste appunto in questa prossimitä, ehe fa si ehe Roma e le zone d'Italia di nuova latinizzazione formino insieme un territorio linguistico con interazioni interne, il ehe non si verifica per gli altri territori. Forse e una semplificazione, ma io credo ehe sia giä qualcosa. Per il secondo periodo - diciamo dal II sec. d.C. alia caduta dell'impero e forse fino al VI sec. - il problema sarä piuttosto la struttura territoriale e sociologica di questo latino d'Italia. Ho giä detto ehe provo un qualche di senso di colpa quando si parla di "latino volgare". Di fatto, il concetto stesso di "latino volgare" implica un pericolo di semplificazione a oltranza, sieche hanno ragione Mancini e altri colleghi allorche parlano di latino di municipio, di latino rurale, di latino delle regioni di transizione, nonche naturalmente di latino delle regioni osche, di latino delle regioni celtiche, ecc.: c'e una complessita ehe segue almeno due tre diversi parametri sociologici ed etnici, e ehe costituisce una particolarita dell'Italia. Non so chi, forse Varvaro, ha detto oggi ehe c'e, nel territorio relativamente piccolo dell'Italia, una complessita linguistica ehe differisce profondamente dalla monolingue vastitä gallica, la quäle, pur contenendo owiamente regioni, diversitä, ecc., non e complessa nella stessa misura in cui Io e questa piccola penisola (e non solo il sud, benche 1'Italia meridionale centro-meridionale sia forse di una complessita molto maggiore ancora del nord e del nord-ovest). Terzo periodo: I'emergere dell'italiano. Credo ehe qui la specificita non sia della cosa in se ma della ricerca, e ehe stia piü ehe altro nella complessita della natura linguistica e filologica delle fonti. La credibilitä e la non-credibilitä, l'utilizzabilitä e la non-utilizzabilitä di fonti di cui non sempre vediamo il legame con la lingua d'uso - e poi con quale lingua d'uso? la lingua di chi e di dove? -, questo catalogo e questa critica delle fonti potrebbero costituire il nocciolo del problema, perche tutto dipende da cio: anche le decisioni ehe si possono prendere in relazione alia cronologia, dipendono un poco dalla valutazione delle fonti con cui si lavora. In defmitiva, per quanto riguarda il primo argomento, credo ehe il problema della specificita ci potrebbe offrire numerosi spunti di discussione; sul piano - per cosi dire - deontologico, esso avrebbe anche un qualche valore programmatico, permettendoci di individuare in certa misura i vuoti della ricerca, le lacune ancora da colmare. Quanto al secondo argomento, quello breve, da trattare alia fine, potrebbe essere una rapida discussione sul tema della prossima Tavola Rotonda. A voi la parola. Marinetti - Partirei dallo spunto della specificita intesa nell'aspetto "andata e ritorno", di rapporti cioe tra aree e strati latinizzati nei confronti di Roma, e percio in relazione a quello ehe Herman ha definite una sorta di "difesa" della lingua, "difesa" del latino. Io mi chiedo e il quesito va posto in prima istanza ai filologi, perche" e da parte loro, credo, ehe vada data
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una prima risposta sul valore dell'afFermazione di Cicerone - senza entrare quindi nel merito delle fonti, tuttavia io mi chiedo come si configuri questa "minaccia" alia lingua, ehe in quanto tale deve prefigurare una corrispondente "difesa". Perche se storicamente ci interroghiamo sul medium sociale della latinizzazione, vediamo ehe le classi ehe per prime accolgono la latinizzazione sono, come tutti sappiamo, quelle piü alte, le classi imprenditoriali, non diciamo le aristocrazie, ma certo le classi piu elevate delle diverse aree locali ehe, per ragioni di diversa natura (non ultime quelle economiche) si rivolgono a Roma e ne accettano la supremazia, con quello ehe cio comporta a partire dal piano linguistico. Io non riesco a vedere in questo una "minaccia" ehe possa ritorcersi contro la fonte di attrazione, certo non dal punto di vista sociale, perche le classi elevate sono quelle ehe appunto accolgono e accettano questa latinizzazione, mentre quelle meno elevate non attuano un inurbamento di tale livello da costituire una minaccia. Si, Roma ha dei periodi di crisi in cui viene urbanizzata e percio si riempie di un proletariate in qualche modo 'minaccioso', ma esso non proviene da zone ehe possano minacciare Punitä, il senso di un certo latino. Allora mi chiedo se, piuttosto ehe di natura areale diatopica, cioe legata ad aree latinizzate d'Italia ehe possano mettersi in contrasto con Yurbanitas, questa minaccia non sia piuttosto di natura interna, non si ricolleghi cioe al ribollire di varietä interne a Roma all'area prossima ad essa. Ritorniamo quindi, tutto sommato, al problema della definizione terminologica: ehe cosa si intenda con "opposizione" al latino urbano, e da ehe cosa questo sia "minacciato". In primo luogo percio occorrerebbe forse ricollocare la notizia e la posizione di Cicerone, e quanto vi ruota attorno, entro una relazione interno/esterno, cioe aH'intemo e all'esterno di Roma. Io la "minaccia" daU'esterno riesco a sentirla poco, almeno in questi termini. Calboli - Cicerone e uno dei Romani ehe in questo periodo si interrogano sulla funzione del latino; un altro e Cesare, ehe ha scritto il De analogia; un altro e Varrone, ehe ha scritto i venticinque libri del De lingua latino, e altri ancora ve ne sono. II problema ehe ci dobbiamo porre e perche vi sia un tale interesse per la lingua latina in questo periodo, tra la fine del II e 1'inizio del I sec. a.C. La risposta e ehe c'e un forte interesse per aspetti teorici anche della grammatica, perche si verificano dei fatti oggettivi (ad esempio, Parrivo a Roma della biblioteca di Aristotele e un evento di un certo peso culrurale sulla societa romana), perche si sviluppa, soprattutto a livello oratorio, una letteratura piü cospicua ehe in passato. Cicerone scrive il Brutus anche per rispondere agli attacchi polemici degli atticisti, il ehe significa ehe esiste un purismo, di cui egli deve dare una giustificazione. Ci sono molte altre ragioni, ma tutte secondo me alquanto lontane dal problema dell'italiano del passaggio dal latino all'italiano. Esse possono servire tutt'al piü a farci vedere come nel I sec. si codifichi un insieme di regole, anche grammatical!, ehe poi costituiranno un bagaglio per il future. Secondo me il problema delVurbanitas, della contrapposizione urbanitaslrusticitas, ci porta su un altro terreno, ed e quello dell'interesse per le citta come luoghi di cultura: non solo della citta di Roma, ma delle altre citta ehe si sono nel frattempo costituite; quelle citta ehe spesso non avevano neanche le mura, non esistevano come entitä, ma, come ho detto nella mia relazione, erano il luogo dove si svolgeva Pattivitä forense. Quindi la giurisprudenza, e percio la lingua del diritto, hanno il loro luogo di esercizio nelle citta. E a mio parere la lingua del diritto e un potente veicolo di latinizzazione, e di latinizzazione di una certa correttezza, se vogliamo (anche se poi dobbiamo intenderci sul termine generico di correttezza; ed e comunque una cosa ehe si estende nel tempo, perche il periodo classico del diritto romano e il III sec. d.C., ehe consegna al tardoantico tutto quell'insieme di esperienze giuridiche ehe costituiranno il Corpus Juris, Pinsieme della produzione del Digesto, delle Novellae ecc.),
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un veicolo ehe fornisce una lingua importante per il latino: forse, insieme al latino letterario, ma piu potentemente del latino letterario, una lingua ehe si differenzia dalla lingua volgare rustica, come la vogliamo chiamare. Studiare la lingua giuridica e un problema ehe dovrebbe interessare non solo la lingua latina ma anche questo passaggio storico-linguistico, ehe e poi il nodo centrale del nostro tema. Cos'e, com'e fatta la lingua giuridica, in cosa consiste? Naturalmente ci sono le leggi; ma il Digesto e fatto delle sententiae, e cosa sono le sententiael sono da un lato quello ehe sono le nostre sententiae dei tribunal}, e dall'altro quello ehe fanno i nostri giuristi (sapete ehe anche i giuristi piü giovani ogni tanto scrivono una sentenza), ed e proprio questa Pattivitä precipua dei grandi giuristi romani: essi forniscono giudizi su problemi particolari, e li forniscono con una determinata lingua, comprensibile, ma di registro naturalmente elevato, perche non sia un latino fuori della citta, perche e nella citta ehe si svolge Pattivita giudiziaria e giuridica. Questo e per me un nodo centrale. Larson - Si stava parlando di "mhiaccia" al latino, ma Cicerone dice veramente ehe il latino e minacciato? A me sembra ehe dica semplicemente ehe uno stile di recente formazione, uno strumento recentemente afFmato, cioe la lingua la prosa oratoria, non debba essere contaminate; non mi sembra ehe veda una minaccia alia lingua in se, visto quanto diversamente la usa, quanto dimostra di avere gusti eclettici, anche solo a guardare i suoi gusti poetici. Percio, piü ehe minaccia al latino, ehe non fa mai minacciato, e minaccia ad uno stile. Certo, si puo dire ehe nihil est in grammatica quod prius non fuerit in stilo, ma Cicerone non pretende mai ehe la lingua latina debba essere quella dell'oratoria pubblica; mi sembra ehe e di questo latino alto ehe si parli, ma Cicerone, in fondo, cosa dice ehe e minacciato? tutt'al piü Poratoria in tribunale. Calboli - Dice ehe Cecilio e Pacuvio male loculos, non sapevano parlare bene in latino; dice ehe in Roma erano arrivati multi inquinate loquentes, e condanna Cotta ehe imita i messores, i mietitori; perche c'e anche un ritorno della rusticitas ehe entra n&lYurbanitas. Non e forse una minaccia vera e propria, pero qualcosa c'e, e quando si dice ehe c'e una minaccia sul latino, questo discorso si fonda sui testi. Herman credo ehe questo problema della minaccia ci stia fuorviando un poco. Non si tratta veramente di questo, bensi di comprendere come Roma, divenuta centra - oggi diremmo "capitale", ma sarebbe un po' anacronistico - dell'Italia, in duecento trecento anni abbia romanizzato, abbia latinizzato la penisola, sieche, a partire dal centra urbano ehe aveva la sua lingua, ehe era anche un segno di romanitä (e una questione d'onore, dice Cicerone, per un cittadino di Roma e un dovere parlare bene latino), ecco, alia fine tutti parlano latino. II problema dell'identitä, ehe Quintiliano poi risolverä dicendo ehe tutta l'Italia e romana, si pone senz'altro; ma noi siamo, credo (e qui ricordo anche la relazione della Marinetti), di fronte a processi linguistic! reali. Un po' brutalmente, la questione puo porsi in questi termini: se per miracolo Roma fosse rimasta una grande citta con la sua lingua e niente piü, l'italiano sarebbe diventato quello ehe e? credo ehe la risposta sia no: 1'italiano e diventato italiano perche Roma ha conquistato e romanizzato la penisola, e il divenire dell'italiano non fu un fatto di Roma, ma della penisola. Per questo, credo, le interazioni linguistiche fra Roma e la penisola sono, in un certo senso, al centre del problema. Marinetti - Solo una precisazione: non era questo il senso di quello ehe volevo dire; io non ho mai detto ehe se Roma fosse rimasta una citta com'era inizialmente, l'italiano forse sarebbe diverse: questo mi sembra owio, non ci sarebbe neppure italiano su cui discutere. II senso era un altro, cioe era in una prospettiva storica di polo politico, di polo centrale, ehe coagula una certa lingua: se questo polo fosse perdurato anche politicamente, owiamente le
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vicende avrebbero proceduto in modo analoge, ci sarebbe stato un maggior collante rispetto alle diversitä. Molto ci ha parlato il prof. Calboli anche dei modi, o dei moduli, di colonizzazione storica del territorio, ma dobbiamo ricordare ehe non c'e stato un processo di latinizzazione a diffusione graduate nei territori. La colonizzazione romana procedeva a macchia di leopardo, con avamposti ehe colonizzavano il territorio. non sono una storica e non intendo sostituirmi agli storici, tuttavia occorre forse ehe ricordiamo ehe il meccanismo di diffusione del latino fu in qualche modo precondizionato da questa meccanica dell'espansione, quindi non solo da un'imposizione in qualche modo politica e diretta, ma anche arealmente policentrica, con una coincidenza di policentrismo assieme ad un inevitabile centralismo, perche il modello era sempre uno. Herman - D'accordo, si, ma tu sei d'accordo ehe e questo policentrismo ehe ha prodotto Pitaliano, non solo Roma? Marinetti - Vorrei ribadire quanto giä detto nella mia relazione: io non vorrei neanche sentir parlare di italiano in quanto italiano, io vorrei ehe qui decidessimo ehe noi usiamo "italiano"nel senso di varieta linguistiche present! sul suolo dell'Italia, perche per me il concetto d'italiano denota propriamente solo la Variante alta, standard, o toscana ehe dir si voglia. Quindi proporrei ehe mantenessimo "italiano", come ho detto, un po' come una dizione evocativa; diversamente, non riesco a identificare un italiano come fatto unitario, se non forse per vedere quali sono le specificitä della nostra penisola rispetto ad altre aree romanizzate. Varvaro - Vorrei sostenere una posizione eterodossa rispetto a quello ehe si e detto, per ragioni di taglio professionale ma anche, diciamo, per ragioni ideologiche. Io mi trovo un po' m imbarazzo in questa discussione, e ritomerei al titolo del convegno e alle osservazioni ehe sono state fatte proprio aH'inizio da Herman e Marinetti sulla possibilita di parlare e sui contenuti da dare a una formulazione come "preistoria dell'italiano". Sono sostanzialmente d'accordo sulle osservazioni ehe Marinetti faceva or ora sulla pericolositä del tennine "italiano", almeno per certi versi; ma tornerei per un momento alia pericolositä del termine "preistoria", ehe del resto era giä stata segnalata dalla Marinetti quando ha ricordato nella sua relazione due tratti pertinenti del concetto di preistoria: di essere prima di qualche altra cosa, di riferirsi a qualcosa ehe viene prima di un'altra cosa, e quindi, cosa ancora piu rilevante, di riferirsi ad una fase non documentata. Qui invece abbiamo la singolarita ehe la preistoria dell'italiano e la storia del latino; cioe, volendo trattare della preistoria dell'itaiano, ci appropriamo di quella ehe e la storia di un'altra lingua. Qualcuno mi dirä ehe non e un'altra lingua, ma e la stessa. Qui andiamo ad un'opzione ideologica ehe io metto sul tappeto, pienamente cosciente del fatto ehe altri la risolverebbero in un altro modo. Forse vi ricorderete ehe in tutta la prima parte del Novecento e stato caldissimo nel paese in questione il problema ehe veniva formulato Que es Espanal Questo problema era spesso analogo al nostro, perche era normale, anche nei libri di scuola (ma non solo), far cominciare la letteratura spagnola con gli autori latini di Spagna. Come forse ricorderete pure ehe l'edizione originale della Storia letteraria d'Italia di Vallardi cominciava con la letteratura latina - poi la cosa cambio con il volume delle Origini, ma originariamente c'era il volume di Letteratura latina. Citavo la Spagna, perche il cambiamento radicale in Spagna si e avuto attorno agli anni Cinquanta con i lavori di Americo Castro e con la tesi da lui argomentata, a cui aderisco a parte singoli errori, ehe in epoca antica non esisteva la Spagna, ehe il problema di ehe cos'e la Spagna non avrebbe senso alcuno se fosse posto per Traiano: Traiano non era spagnolo come Cesare non era italiano. In questa cornice per me la preistoria dell'italiano ha un senso un po' diverso. Le discussion] sul testo di Cicerone per me vanno
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benissimo nella storia del latino, ma hanno scarso senso nella preistoria deiritaliano. Esiste no una preistoria dell'italiano da un punto di vista come quello ehe qui sto difendendo? In certo senso si, ma non e la storia del latino, non e tutta la storia del latino. Userei 1'immagine delle partenze lanciate, doe non da fermo. La storia linguistica non comincia mai da fermo, ma con partenze lanciate, quindi quello ehe e successo prima e importante, naturalmente. C'e poi un secondo aspetto, per cui la nascita di una lingua, nei limiti in cui questa formulazione puo avere un senso, awiene ad un livello meno esplicito e meno evidente di quello della precedente lingua in quanto forma scritta, documentata. Sulla base di questi due punti, io mi domanderei se parlare di preistoria dell'italiano implichi no 1'inclusione di una parte dei temi ehe sono stati trattati. Forse vi ricorderete ehe Gillieron criticava sarcasticamente le etimologie neogrammaticali dicendo ehe erano come quella critica letteraria, del tipo biografico allora trionfante in Spagna, ehe diceva ehe Balzac sulle ginocchia della balia vestiva un pagliaccetto a righe rosse e bianche e poi scrisse La comedie humaine. Noi parliamo di Cicerone, poi a un certo punto troviamo YIndovinello Veronese: abbiamo fatto un salto mortale no? ho 1'impressione di si. Herman - Io vorrei sostenere ehe il salto mortale non c'e, perche la preistoria dell'italiano e la storia del latino non sono Io stesso concetto, ma coincidono in parte. La storia del latino naturalmente implica certi aspetti del latino letterario, ad esempio tardo, ehe non hanno molto a ehe fare con la preistoria dell'italiano o di qualunque lingua romanza; come d'altra parte ci sono cose come i contatti linguistic! con i Goti e i Longobardi ehe fanno parte della preistoria dell'italiano e non fanno necessariamente parte della storia del latino. Io credo pero ehe si tratti essenzialmente della stessa storia vista da punti di vista diversi. Noi vorremmo vedere quello ehe e accaduto al piccolo Balzac sulle ginocchia di sua madre, come sia divenuto capace di scrivere La comedie humaine: c'e una storia, insomma, ehe vorremmo vedere. Petersmann - Ich glaube, Frau Kollegin (Marinetti), daß, was Sie gesagt haben, stimmt meiner Meinung nach sehr einleuchtend. Wir müssen von Rom als Sprachzentrum ausgehen. Das Problem der Autochthonie der Sprache beginnt dann in diesem Augenblick, also zumindest für mich, wenn Rom als politisches Zentrum verschwindet. Eine zentrale Frage ist hier für mich noch immer die: wann ist das also geschehen? Wann verliert Rom seine linguistische Kraft? Zu dem Augenblick, als es aufhört ein politisches Zentrum zu sein? Wir müssen uns auch fragen, wie ist es mit der griechischen koine gewesen. Hier sind die Dinge eher sehr ähnlich und doch nicht ähnlich. Das wäre für mich einmal eine ganz wichtige zentrale Frage für die Ausbildung des Italienischen auch. Wann beginnt, also wann kann man von anderen Städten oder anderen Zentren sprechen, die politisch und vor allem kulturell so stark werden, dass sie Rom den Rang streitig machten? Wir wissen am Ausgang der Antiken, seit diokletianischer Zeit, verliert ja Rom immer mehr an Bedeutung, hat also Rom dann zu gleicher Zeit auch diese kulturelle Bedeutung verloren. Das war für mich eine zentrale Frage auch der Ausbildung der Autochthonen oder der Nachfolgeidiome des Lateinischen, also Spanisch, Italienisch usw. Wann hört diese enge Verbingung zu Rom auf, und können so die einzelne Länder ihre eigenen Wege gehen? Dann hätte ich eine Frage an Sie alle im Zusammenhang mit meinem Referat, eine Frage die mir im Grunde genommen nur immer schleierhaft ist. Ich kann sie nicht beantworten, aber vielleicht sind hier viele Experte, die das viel besserer können. Und zwar, ich frage mich oft: Griechisch ist, wie wir heute von Ihrem (Varvaro) so schönem Vortrag gehört haben, in Sizilien und Unteritalien so lange gesprochen worden und so stark institutionalisiert: warum verschwindet dann das Grie-
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chische so schnell, und wenn man eben bedenkt, zum Unterschied von Frankreich? dort traut sich also das Gallische weitaus st rker und l nger gehalten. Ich frage mich immer was waren die wirklichen Faktoren, die erwirkten dass das Griechische in Campanien, das Griechische in Sizilien, in Unteritalien so radical verschwunden ist. Das ist eigentlich was mich in dem Zusammenhang am besondersten interessiert. Calboli - Una risposta a Varvaro secondo me e questa: innanzitutto io non avevo parlato solo di Cicerone, ma di un secolo in cui si fissa il latino, lo si fissa nella scuola, perche e allora ehe nasce una scuola dove i ragazzi vanno a imparare il latino e poi portano con se quest'esperienza. Naturalmente questo awiene nelle citt , e prima di tutto a Roma. Tuttavia il latino nei quattro secoli dopo Cristo e cambiato molto meno di quanto sia cambiato nei primi quattro secoli prima di Cristo, perche nei I sec. a.C. la grammatica, Cicerone, Cesare, Varrone, ecc., hanno fissato il latino con la scuola, con quest'istituzione. L'importanza per un discorso ehe riguardi anche 1'italiano e legata a questa fissazione del latino nelPambito di Roma. Poi c'e I'espansione del latino ruori di Roma, e qui Marinetti ha fatto un'osservazione ehe e in parte giusta e in parte sbagliata: ha detto ehe si e esteso a macchia di leopardo. Questo e vero e non e vero; dal punto di vista geografico non e esattamente cosi, perche sappiamo ehe nell'Italia centrale e meridionale il latino si e esteso in un certo modo, a partire da certe date, dalle date delle conquiste romane. Nell'Italia settentrionale si e esteso dall'89 - fine della guerra sociale - in modo massiccio... Marinetti- lo parlavo di colonizzazione, di modi della colonizzazione: sono del III sec. le colonie della Cisalpina. Calboli - Si, Rimini nei 250, poi Piacenza. Proprio Larson ha fatto un'osservazione interessantissima su Piacenza, ehe ci deve rendere attenti a un altro particolare. Noi parliamo delle citt , di urbanitas e rusticitas, ma ci sono le strade, essenziali in un ambiente ehe non ha la televisione, ehe non ha altri strumenti di comunicazione. E per le strade ehe passa la diffusione, e Piacenza e importante, e diventa aU'improvviso franca, quasi in modo strano, come ha mostrato Lei, no? Larson - Veramente lo negavo. Calboli - A un certo punto a Piacenza si trovano aU'lmprowiso testimonianze franche, e vero? Larson - No, io dicevo soltanto ehe o si concluderebbe ehe da quel punto in poi Piacenza sarebbe diventata franca, il ehe mi sembrava improbabile, oppure si conclude ehe quelle forme c'erano gi . Calboli - Io intendo invece ehe da quel momento e diventata franca, perche di li passera la via francigena, fondamentale per le comunicazioni con la Francia. Comunque il problema delle strade rimane, perche senza le strade non c'e via di comunicazione tra questi municipia, ehe sono collegati dalle strade. Qui c'e anche una risposta alia domanda giustamente posta da Petersmann: perche il greco? Perche i Romani nella loro espansione del latino non hanno cercato di distruggere le altre lingue, le hanno accettate, in particolare il greco, ehe aveva una fortissima autorita, con tutta la letteratura greca, gli stessi Romani amavano scrivere in greco. Marco Aurelio ha scritto in greco, e Cesare sembra ehe sia morto con parole greche sulle labbra: Καΐ συ, τέκνοις quindi il greco era difeso, ma difeso da due elementi, la propria autorita letteraria e il fatto ehe i Romani non volevano distruggere la lingua dei luogni dove andavano. La gente doveva parlare in latino nei tribunali e nell'esercito. Poi naturalmente da cosa nasce cosa. Quindi non credo ehe i Romani avessero molta paura di perdere la propria autorita linguistica e volessero difendersi, ma in certi punti sono stati assoluta-
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mente autoritari: nei tribunal! c'era il latino, nell'esercito c'era il latino, per entrare nelle legioni bisognava sapere il latino in modo almeno scolastico, se no si rimaneva soldati ausiliari, con la paga del 70% di meno rispetto ai legionari. Holtus - Solo una piccola osservazione da un non-latinista. Sono grato al collega Varvaro per quello ehe ha detto sul titolo della nostra Tavola Rotonda, perche anch'io mi sono chiesto ehe cosa significa veramente la preistoria dell'italiano. Implica certamente ehe a partire da un certo momento da un certo periodo comincia la storia dell'italiano, ma sappiamo tutti ehe c'e stata un'epoca di diglossia nella Romania, cioe 1'uso differente per la scrittura e, rispettivamente, per l'oralita. La specificitä dell'Italia rimane per me nel fatto ehe non abbiamo, come per esempio per la Gallo-Romania, un evento storico-culturale come la riforma carolingia, il Concilio di Tours ecc., ehe e per me una netta marcatura per parlare della preistoria di una lingua e 1'inizio della storia del francese, per esempio. Che cosa significa per quello ehe facciamo noi? Ho letto stamattina un articolo dell'amico Sabbatini, Linee di storia linguistica d'Italia, ma anche questo non mi soddisfa pienamente: "storia linguistica d'ltalia"; quanto a noi, in questa Tavola Rotonda di Linguistica Storica, mi chiedo di cosa facciamo la linguistica storica: dell'italiano, del latino, della transizione dal latino alle lingue romanze, ecc.? anche questo non mi pare giustificato. Personalmente, io preferirei parlare dei van usi linguistic! nella Penisola, delle varietä linguistiche usate nella penisola. La difFerenza fra, per esempio, storia del latino e storia dell'italiano, per me e un fatto delle nostre discipline, ma come realtä linguistica nella penisola questa differenza non sembra cosi valida. Herman - In questa penisola la gente parlö sempre, e in un certo periodo parlo una lingua ehe noi chiamiamo latino, ehe era una realtä enormemente complessa (oggi e di moda parlare di latin global, ehe aveva varietä sociolinguistiche ' -questo, d/a-quello, come si usa dire), e le parti di questo insieme complesso avevano un'interazione costante. Secondo me Calboli non ha ragione quando dice ehe il latino e cambiato pochissimo fra il I e il IV sec.: il latino ha continuato a cambiare, e quando le porte si aprono e, col Cristianesimo, tutti cominciano a fare iscrizioni, appare una lingua ehe nei secoli precedent! traspariva appena. Dunque c'era questa complessitä, questo "latino globale", e a un dato momento certi strati, certe varietä di questo latino globale hanno preso dei lineament! e una struttura ehe si awicinavano ad una realtä diversa; ora, io sono pienamente consapevole del fatto ehe 1'italiano di per se non esiste, ma quando questo insieme latino cambia e diventa qualcos'alro (un insieme di usi ehe alia fin fine hanno qualcosa in comune, come sapeva giä un certo Dante), la storia del latino globale e la formazione di questo qualcos'altro coincidono in gran parte, ehe Io vogliamo no. Ppssiamo chiamarla storia degli usi della Penisola; il fatto e ehe la storia interna, la storia del latino, e legata alia storia esterna, cioe alia storia linguistica della Penisola. Sono due cose, evidentemente, e non siamo stati sempre chiari nel definire di quale delle due parlavamo, ma e certo ehe c'e un processo linguistico - la storia dell'italiano, la formazione dell'italiano, la nascita dell'italiano ehe dir si voglia - e c'e una realtä linguistica esterna ehe e la storia linguistica di questa penisola. Prosdocimi - Io ho Pimpressione ehe ci sia una confusione tra cose e discipline sulle cose: questo e il punto fondamentale. Perche noi parliamo delle stesse cose, diciamo forse anche le stesse cose sulle cose, ma non Io diciamo dallo stesso punto di vista. Faccio tre esempi. Quando, su modello di Gabba, Calboli ha parlato di cittä, con il fatto del rapporto citta/canipagna, ha preso un modello storico. Io da un altro punto di vista avrei pensato: romanzo, rimportanza della diocesi come continuatrice della cittä. Secondo esempio: quando
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parliamo di diritto parliamo di Cicerone, ma non ho sentito parlare della lingua degli editti, anche municipal!: anche questa e una forma di diritto, quelle ehe andava applicato nelle citt , ['edictum pretorio, ehe non era certo la lingua di Cicerone. Altro punto: quando Calboli parla della scuola, pensa alia scuola di Cicerone (ehe peraltro non ha mai fatto scuola), perche la vede attraverso Quintiliano. Ιο, se vedo le scuole, le vedo piuttosto in Appio Claudio - ehe non ha fatto scuola ma ha creato secondo me un certo latino -, e nel collegium scribarum, ehe ha preparato cio ehe arriva a Cicerone, e doe il latino standardizzato: nel quale effettivamente le cose sono cambiate perche la scuola le ha fatte cambiare, con quelle ehe noi conosciamo come riforme ortografiche, ma ehe non lo sono. Calboli - Come fai a confondere un collegium con una scuola? Prosdocimi - Te lo spiego. Prima di tutto Carvilio Ruga, liberto delPomonimo console del 295, nel 260 circa fonda una scuola, e guarda caso gli si attribuiscono un paio di cose ehe altri assegnano ad Appio Claudio. E certo Appio Claudio non faceva il grammateus, e tuttavia gli effetti del suo operare erano, per contenuto, effetti di scuola: di scuola, non da scuola, ehe e cosa diversa. Quando tu parli delle strade, owiamente tu parli delle strade radiali, di cui la prima e la Via Appia... Calboli - Le strade consolari? Prosdocimi - Si, quelle: tanto e vero ehe se si parla di latino e si parla di irradiazione del latino e del problema di come il latino si sia espanso, si parla delle strade consolari dopo una certa epoca e non dopo 1'epoca della creazione delle colonie, perche le colonie sono creazione tipica a macchia di leopardo. II Veneto finisce di essere latinizzato nell'89, perche basta leggere le iscrizioni; pero prima si fa la colonia di Aquileia, ehe e una colonia di tipo politico e militare: tanto ehe ei vollere dieci anni di discussioni in senate, per decidere se si dovesse fare ο no la colonia di Aquileia, per comprimere i Galli ehe, da parte loro, non comprimevano affatto. Quando Bartoli ha fatto le sue norme, differentissime da quelle di Gillie"ron, gli ha fatto notare ehe faceva le norme basate sul sistema radiale da Roma delle strade consolari, e quando ha applicato quelle sue pseudo-norme - ehe poi siano 'pseudo' ο no e un altro discorso - ad altre realt , gli si e detto ehe non erano applicabili. Con questo non volevo dire ehe noi parliamo di cose diverse, ma ehe corriamo un serio pericolo disciplinare se, invece di trovare il meglio da ciascuno di noi, troviamo il peggio per polemizzare. Quando per esempio Varvaro ha detto come cominciava la preistoria delle lingue della collezione Vallardi, il corrispettivo della collezione Vallardi di una certa storia d'ltalia cominciava con la preistoria di Brizio e poi con la preistoria ehe e stata di Patroni. Del resto Toynbee attribuiva al 212 a.C. il decadimento del sud d'ltalia, non so se a ragione o torto, probabilmente e soprawalutato, pero devo dire ehe questo va tenuto in conto, nel senso ehe noi dobbiamo vedere di trovare delle ragioni, non di fare un aspetto di "ludismo", ma di vedere ehe cosa dicono gli altri. lo, per esempio, ho fatto una piccola critica alia comunicazione di Wright, dalla quale pero ho imparato una cosa formidabile ehe non conoscevo, cioe un plausibile scenario di come poteva essere un colloquio plurilingue o monolingue o di varieta linguistiche in un certo momento. Quando Calboli ha detto sputatilica, lui ha preso la parte destra -lilica, io la parte sinistra: perche sputa- vuol dire ehe c'era gi il tipo cosiddetto imperativale delFitaliano "mangia-fuoco", molto importante per varie ragioni. Maintenant, j'arrive a la premiere communication, celle de M. Coleman. II a parle de ce dont j'aurais parle moi-meme volontiers, du contact linguistique, de l'etat de bilinguisme. La premiere chose que je retiendrais ici concerne la question de savoir comment les interconnexions dialectales des langues italiques pouvaient anticiper sur le latin dit vulgaire, etre
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dans un sens la meme chose que le latin vulgaire. II y a des exemples devant nous, par example cette glose de Servius d'apres Paulus, je crois, mais qui remonte naturellement ä Verrius Flaccus, mort ä peu pres en 14 de notre ere; celui-ci fait un jeu de mots sur cervi et servi, ce qui veut dire que dejä ä ce moment une personne de la qualite de Verrius Flaccus, qui etait un sorte de ministre de l'instruction ou de la culture sous Auguste, pronon9ait quelque chose devant palatale qui permettait de confondre 'cerfs' et 'esclaves'. Une inscription de 295 a.C. presente la forme Martses, qui est dejä peut-etre une anticipation de l'affrication de -t- dans -tio. II convient done de reflechir sur ce que Ton nous a propose, et peut-etre de revoir ce que, sur certaines choses, nous pensions avant. Coleman - Thank you. I would like to say something about the earlier discussion. Listening, first of all, before I pick up professor Prosdocimi's last remarks, listening to the earlier discussion, I seemed to be hearing, underneath the lively and good human rhetoric, the agenda for Tables Rondes for the next decade. A large number of topics did not seem to me to be mutually exclusive, some of them I think will not be appropriate for us as a group, for instance the Greek-Latin relationship in this period. We know that there were many Greeks, settled in Italy, including Rome itself. Without reading Juvenal, we have plenty of evidence of that, and they must have brought with them the characteristic features of the bilingual in their new community; this would be mediated at the sub-literary level, some of them would be literate, but the people that they associated with would not necessarily be so. And this particular influence is not very easy to establish at this time, because there is still a lot of work to be done on sub-literary Greek in the Hellenistic period. The documents have been edited, but not very many of then, there is still a lot more to come, they are very localized, generally from Oxyrhynchos and Egypt, not a lot from other parts, but they would be enough to be going on with. It will be possible, I think, perhaps in the next few years, to establish much more clearly than we have been able to do, what kind of influences this immigrant population would have exercised remembering that they were going on for centuries: they were coming in during the period of the monarchy five centuries before Cicero, Cesar and Varro, and we are going on to come in as Juvenal told us for a long time, so what influenced they exercised there and in the south of Italy where after all they have been established a long before the Romans arrived, what influence they exerted would be reinforced by successive waves of immigration. Now quite separate from this is the kind of influence that operated at educated level. Many of the people who came in as immigrants were not very interested in the final points of Platonic philosophy or of Pindaric usage or of Demosthenes'; at the level of the educated people of your Cicero, your Cesar, your Varro, these things would be studied, these texts would be studied and the influence, which was very considerable, and has been very well documented, would be in the literary language. The lexicon of learned pursuits of rhetoric, of grammar, of philosophy, of medecine and so on, all of these were influenced by Greek methods. We know also that the development of the periodic structures in Latin was very much influenced by Greek rhetoric and by the models of Isocrates and Demosthenes; we can see that not only by looking at the speeches of Cicero, but seeing what he says in his rhetorical treatises about. So there are two layers of influence coming into Rome from Greece; now of course they are not absolutely separated from each other: there were some people who had a little bit of education and that read a few classical texts, and of course there were some people among the learned fraternity coming in from Greece who were familiar with the Greek popular koine. These two, I think, can be kept separate, and should be studied much more seriously than they are. Cicero, Ce-
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sar and Varro, the great triumvirate which Prof. Calboli mentioned in several occasions: if we look at their writings, we are looking at three very different sorts of Latin, three different genres of the language by themselves. You will remember that Cicero says famously about the commentaries of Giulio Cesar: the piece was suitable material for someone to turn into history. Historia for Cicero was a much more rhetorical exercise than could be attributed to the Commentarii, which is after all what Cesar called his works, the handbooks of the De bello Galileo and De bello Civili. Varro's work on the other hand was not literary at all: these were text books and were written in the plain style, not in vulgar Latin, not in colloquial Latin, but the plain style, the unrhetorical style. So these were three different sorts of Latin, which are recognized by latinists generally. What is interesting is that when these three men met, as they did (they were friendly with each other - whether they all met as a triumvirate is another matter, but the three men met), what they of course were speaking was the lingua franca of the educated men, in the style that Cicero himself uses in his letters. It would be, if you like, cultured within the conversation, but it would be the spoken language of the educated persons. In a conference of this sort we are concerned with language change: all of us are interested in language change which links Latin automatically to Italian. In linguistic change, God is on the side of the big battalions; the linguistic change comes from a pressure of numbers. So the grammarians like Varro and Priscian and Donatus conceive what they like as to what Latin should be, how it should be spoken, how it should be written, but the language would go on in spite of them. And this is a situation which I think we can find in any language, it is not peculiar to Latin. There is a gulf between the vulgar language of the illiterate and what I might call the high language of the educated and the literary people. With that in mind, we could write the history of the language purely from the point of view of educated Latin: from, let us say, Ennius, Cato, through to wherever you like. It would not be a very exciting history except for certain periods, but it would have a history: there are changes (we could note the changes, in the system of complementation for example, the introduction of new words into the language, the modifications in the case usage and so on). But if we write a history of Latin through to Romance then this is exciting, a lot of things are going on: these are quite separate from each other but now and again they come into contact. The people, the illiterate masses who spoke vulgar Latin, or whatever you want to call it, came into contact with the higher style when they went to church and they heard the words of the liturgy, they heard the sermons, they sang the hymns that were written by rhetoricians like Ambrose and St. Augustine. When they had legal business to do, and like the ancient Romans they were doing legal business a lot during their lives, they came into contact with the language of Roman law, which again is a separate genre of its own, and so on. In my prospect I call to mind something that is very early from the point of view of our studies and that is a group of contracts, which were found along the bay of Naples in excavation about twenty years ago and have been published and studied more recently. These are contracts made by a man called Novius Eunus. His cognomen suggests he might be in Greek in origin. The text was written in two versions and we have both of them. We have the version that is his the autograph of Eunus and we also have the second version which is written by his scriba. The scriba would be a man of lower social class than Novius Eunus, but he was clearly an educated man, perhaps a slave or freedman, and this is an immaculate classical Latin. As to Novius Eunus, his Latin is full of misspellings, of vulgarisms and it looks much more like the Latin that you and I are familiar with, from the walls of Pompei. It is the language of semi-literate person. So already there we have got an interesting example
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of the two layers of Latin but the ways in which they will interact because when a Roman citizen, however humble, came in contact with the law, then certain provisions had to be fulfilled. These two separate strands extended all over the roman empire and so there are possibilities (I mentioned religion, I mentioned law) in which they would come together and interact. Many of the changes that took place in later Latin, in literary Latin, can be a sign of the influence of the spoken language. Umbrian is much of the sort of front runner in palatalization in Italy. The palatalizations which didn't take place until a much later date in Latin are already complete in Umbrian. We can see palatalization in a band of languages across central Italy is again taking place before it takes place in Latin itself. But it comes into Latin and it would, I think, be a very bold person who would denie that this is due to interaction, i.e. the spread of palatalization into Latin and from Latin into the rest of the Empire. The Oscan situation is a different question, but I think we can say that it maybe independent of the Umbrian, but not necessarily independent of other evidence. Varvaro - Chiedo scusa al prof. Petersmann se non rispondero alle sue domande, in parte perche sono d'accordo con quello ehe e stato giä detto, in parte perche, ad esempio, un esame della situazione delle lingue celtiche porterebbe a discorsi molto ampi. Vorrei tomare invece al punto ehe avevo sollevato (Balzac insomma, ehe ha scandalizzato). II problema dal mio punto di vista e questo: c'e una via di mezzo fra la storia delle parlate della penisola italiana, con qualche isola di contorno, da una parte (formulazione debole quanto mai), e la formulazione forte di una storia linguistica ehe cominci dal lapis niger e finisca con... uno scrittore contemporaneo a vostra scelta. Cioe - e ritorno dunque al problema della Spagna, delle individualitä, ecc. - il fatto e ehe nella storia ci sono continuitä ma anche discontinuitä (un punto qui sollevato a mio parere con grande ragione da Marco Mancini). Tutto cio ehe riguarda la storia del latino e senza dubbio importante per tutto cio ehe in epoca successiva sono le continuitä. Ma se le lingue romanze esistono, e perche c'e stata una discontinuitä; una qualche discontinuitä, un fenomeno di discontinuitä complessa, ehe puo non significare catastrofiche modificazioni. Dopotutto penso ehe la mattina del 15 luglio i Frances! si svegliarono convinti di essere piü o meno nella stessa situazione della mattina del 14 luglio. In realta qualcosa era cambiato, c'era stata una discontinuitä, anche se immediatamente non si vedeva. Si racconta ehe la sera della presa del Palazzo d'Inverno i teatri di Pietroburgo funzionarono regolarmente come se niente fosse successo; poi si accorsero ehe qualche guaio c'era stato. Ora, quello ehe mi ha garantito una paga come professore di filologia romanza e la discontituitä; senno lo stipendio lo darebbero solo al prof. Calboli! Al di la degli scherzi, il punto e ehe a me pare ehe la preistoria dell'italiano sia sostanzialmente il racconto delle discontinuitä: nel quale racconto le continuitä sono lo sfondo. II punto essenziale e ehe ci sono state delle catastrofi, e ehe la ragion d'essere delle lingue romanze e la catastrofe senza la quale non ci sarebbero lingue romanze. Certo catastrofe non va inteso in senso cosi tragico. Per esempio il francese e cambiato nella storia; tutti pensano ehe il francese antico non sia il francese moderne, ehe sia un'altra cosa: li non si tratta di una catastrofe nel senso tragico della parola, ma di un cambiamento, di una discontinuitä: c'e una discontinuitä. Zamboni - lo volevo fare in prima battuta un'osservazione su quanto ha detto poco fa Prosdocimi, poi aggiungero altre osservazioni. A proposito di sputatilica e della divisione ehe questo episodic ci propone, tra una parte riconoscibile, sputa-, e un'altra, -tilica, oggetto misterioso su cui si crea Tattesa e la tecnica della battuta. Quando Aldo Prosdocimi dice di riconoscere molta importanza a questa divisione, perche rivelatrice di una coscienza linguistica strutturale, in cui si individua una modalitä, una potenzialitä strutturale, morfologi-
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ca - qualcosa piü ehe morfologica - ehe in qualche modo prelude alia formazione del tipo "mangiafuoco" - ebbene, questa e un'affermazione abbastanza ottimista. Non voglio dire ehe sia sbagliata, puö essere giusta; e ottimista perche, proiettata su quel livello cronologico, stride in modo sensibile col fatto ehe il tipo "mangiafuoco" in questione e uno di quelli ehe piü riluttano ad emergere nelle prime documentazioni, nei primi testimoni romanzi. E veramente una caratteristica ehe si nota molto tardi e con grande difficolta, e ci sono delle ragioni strutturali per questo. A ben guardare i testimoni latini, neolatini, ecc. di origine, ci si puo trovare un po' di tutto; in maniera chiara meno chiara, organica o disorganica, ma ci si puo trovare un po' di tutto. Questa, ehe e una delle caratterizzazioni piü forti del tipo generate romanzo, in sostanza non si trova, si trova in maniera molto difficile, molto rara e molto tardi. Quindi ci si potrebbe domandare com'e possibile conciliare la presenza di una coscienza, ehe senz'altro e possibile anche proiettata all'epoca relative all'episodio ehe ce la tramanda, con la realtä documentaria. Ma non possiamo ora fare la filosofia e la tecnica del modello "mangiafuoco", ehe propone comunque una struttura radicahnente speculare a quella ehe e la base strutturale di un tipo linguistico come quello del latino classico. Semplicemente, questo mi da lo spunto per fare una serie di considerazioni sui problemi ehe sono stati sollevati, all'esordio della discussione, soprattutto da Calboli, e sui comment! ehe ne sono seguiti. Problema della diffusione del latino: io sono convinto (e qui sono con Calboli su molti degli aspetti ehe ha sottolineato) ehe non si sottolinei mai a sufficienza il carattere intrinseco di questo latino, della sua forza di diffusione e d'impianto. Essa dovuta al fatto di essere la lingua non soltanto del giure, del diritto, ma di tutti gli aspetti ehe ruotano intorno ad esso, cioe la lingua deU'amministrazione, la lingua tecnico-commerciale, la lingua dell'oratoria. Durante ha ben sottolineato, nel capitolo introduttivo al suo libro Dal latino all'haliano moderno, come la sostanza del latino sia questa: e una lingua adattissima a questi aspetti, fondata su questi aspetti, strettamente, strutturalmente collegata a quello ehe poi e I'impianto politico, amministrativo e culturale dell'impero. In questa prospettiva e una lingua di diffusione e di impianto universali. Senza contare il fatto ehe owiamente e una lingua anche adattissima per determinate strutture di carattere letterario; non per tutte, certamente per alcune portanti, ehe poi sono quelle ehe si prestano particolarmente anche a essere "travasate" nella scuola, comunque in una tradizione di carattere scolastico. D'altra parte, nessuno dei manuali ehe si occupano della storia dell'Italia comunque della storia degli ambienti romanzi owero del dominio neolatino, puo sottrarsi ad un punto di partenza fondamentale: ehe se il mondo della latinizzazione e un mondo di sostrati (questo e stato detto chiaramente in questi giorni), un mondo di sostrati assai complessi e dato in particolare dall'Italia. II capitolo finale della raccolta di Sabbatini si apre con questo discorso su quella ventina (poco piü, poco meno) di etnie ehe costituiscono la base storica dell'Italia pre-latina, e percio la base di latinizzazione dell'Italia, e in prospettiva anche la base dell'evoluzione neolatina. Sara una caso se PItalia costituisce - 1'Italia come entita geografica ancor piü ehe politica - una Romania in miniatura? un territorio, cioe, in cui sono present! tipi romanzi strutturalmente diversi, e in maniera decisamente opposta e contrastante rispetto alle altre aree neolatine sia della Romania conservata ehe di quella perduta o sommersa? Le quali, certo pur mostrando importanti differenziazioni al loro interno, sono sicuramente meno differenziate dell'Italia. Questo ci costringe, come si sa, a parlare di almeno due entita italiane, ehe poi in realtä con i loro sottotipi formano un'articolazione assai piü complessa. La storia susseguente del latino "senza aggettivi", come giustamente dice Prosdocimi, la storia della sua evoluzione, e la storia di queste realtä locali ehe nessuna fönte direttamente,
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organicamente ci trasmette. Le ricerche ehe tradizionalmente sono state fatte su document! indiziabili di localismo, sono tutte piuttosto deludenti: ci sono solo certe possibilitä, come quelle illustrate nelle metodologie proposte da Herman, ehe riescono in qualche modo a rendere visibili degli spunti di novita, ehe altrimenti non si scorgerebbero. Ma la storia del latino e la dialettica tra questa differenziazione, questa varietä di zone, e la continuita del latino di scuola, del latino ufficiale, fondato da una tradizione ehe, in quanto tale, non puo essere soltanto patrimonio ristretto ed esclusivo di determinate classi ehe hanno accesso alia scrittura e a determinati mezzi espressivi, ma ehe necessariamente si riverbera nella vita di una societä ehe sicuramente e una societä complessa, e non primitiva. sono molto scettico su queste contrapposizioni tra latino urbano e latino rustico, credo ehe appartengono ad un altro ordine di problemi. Non credo ehe possiamo pensare al latino cosiddetto "volgare" come a un latino fuori delle cittä; io credo ehe il latino volgare sia il latino ehe si parla tutti i giorni, quindi in primis sia una manifestazione di latino urbano, ne vedrei altre possibilitä. Nella Roma imperiale, in una struttura sociale la cui complessita, a ben vedere, non e poi tanto lontana da quella di una civilta moderna, cui siamo abituati noi (fatto salvo naturalmente un certo livello tecnologico, ehe allora non c'era): in una societä cosi complessa, dico, non e pensabile ehe determinati livelli di lingua e di cultura restassero appannaggio esclusivo di determinate classi. Quella romana non e una societä di caste, per quanto se ne sa. Qui si innesta anche un altro problema, ehe e stato molto dibattuto nel corso di tutta la discussione storica suH'evoluzione del latino, ma ehe in questa Tavola Rotonda e rimasto piuttosto ai margini, in sordina: e cioe la diffusione sociale di determinati modelli linguistic! e i problemi della comunicazione legati a important! fatti di tipo culturale e in primis all'espansione del Cristianesimo. Qui non concordo molto con certe impostazioni (come quella di Banniard, ehe fu ben illustrata nella prima Tavola Rotonda di due anni fa), ehe tendono a vedere fino a data molto bassa, nell'ambiente del Tardo Impero, la presenza di un sostanziale continuum, ehe ha al livello piü alto la lingua di tradizione scolastica e al livello piü basso la lingua d'uso di tutti i giorni, relativamente alia classe al luogo, senza ehe tra questi due estremi vi sia una netta tranche di coscienza e sostanzialmente di interruzione del circuito comunicativo. Secondo me le cose sono un po' piü rigide, un po' piü "forti". L'analisi dei testimonia ci documenta in effetti ehe i grandi cambiamenti tipologici sono awenuti entro un certo periodo, si sono fissati e si sono diffusi entro un certo periodo cronologico, e ehe ad un certo punto noi non possiamo piu (sia pure alPinterno di un continuum, perche determinati livelli di lingua non sono ufficializzati), non possiamo piu pensare di trovarci di fronte ad un continuum organico. Non ci troviamo di fronte ad una realtä come, ad esempio, 1'italiano standard e il toscano come vernacolo: ci troviamo di fronte ad una realtä molto piü complessa. Anche nell'ex-Unione Sovietica (faccio un esempio ancora una volta abbastanza banale), nella repubblica delPUzbekistan, il continuum va dall'uzbeko parlato in qualche angolo della steppa, fino al russo; questo pero non significa ehe ci troviamo di fronte a un continuum di carattere piü meno monolingue. Pero trovo ehe Banniard abbia centrato molte volte i problemi di natura linguistica quando, in mancanza di document! diretti ed organici su quella ehe e la sostanza dei tratti ehe cambiano, si rivolge ai testimonia per capire quali siano i problemi della comunicazione, ehe in quest'epoca sono legati in maniera prepotente e prominente a determinati fatti sociali e cultural!, nei quali la diffusione del Cristianesimo entra in modo forte. Facciamo ancora un passo in avanti (e qui riprendo certe osservazioni fatte da Varvaro nel suo primo intervento): quand'e ehe noi possiamo cominciare a parlare con cognizione di causa di italiano, francese, spagnolo, ecc., cioe di entitä
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neolatine differenziate? La differenziazione di entitä neolatine non e solo un fatto linguistico, come tutti sanno, ma e un fatto culturale, un fatto di percezione di una realta, in cui la lingua e I'identificazione in una lingua giuocano un ruolo primario, anche se non esclusivo. Per questo e importante 1'eta della svolta e della catastrofe, 1'eta in cui la compagine imperiale viene distrutta e al suo posto si sostituisce una serie di compagini locali, i regni romano-barbarici, ehe, nella continuita culturale della lingua e delle tradizioni ehe la lingua si tira dietro, instaurano certamente delle societa e delle strutture nuove. Non a caso le entitä ehe escono da questo processo spesso portano i nomi di queste strutture ehe le hanno determinate. La Francia si chiama cosi dai Franchi, ma non sarebbe concepibile parlare di Spagna nel senso moderno ehe diamo a questo termine senza passare attraverso la definizione politico-culturale dei Visigoti; non sarebbe possibile parlare di Italia senza la definizione politico-culturale ehe hanno dato, non tanto i Goti, il cui dominio troppo poco e durato, quanto, come e noto, i Longobardi. Richiamo da questo punto di vista una affermazione dello storico medioevista Sestan, ehe diceva: "chi si puo definire italiano, qual e il prototipo dell'italiano?" e faceva un nome tipico, Paolo Diacono: di ascendenza longobarda, di acculturazione romana e cristiana, romano e longobardo per sentimento. Ora, sappiamo chi e Paolo Diacono, il momento storico in cui vive, gli important! awenimenti culturali di cui e partecipe e via dicendo... Ultima osservazione per quanto riguarda il discorso sulle strade, proposto da Calboli. L'impianto stradale romano e appunto un impianto radiale, ma nel corso della storia di Roma e dello spazio neolatino noi vediamo ehe su questo impianto si instaurano dei movimenti particolari. All'origine e un impianto ehe da Roma consente di andare fuori, ehe espande il centro, ehe permette da Roma il controllo di uno spazio enorme: controllo politico, espansione culturale, commerciale, ecc. In epoca tarda, una volta ehe quests unitä si e rotta, curiosamente questo rapporto si inverte: e in buona parte (ma non solo) su questo impianto originario ehe si innesta il sistema delle strade francigene, ehe non sono piü un mezzo per andar da Roma a fuori, ma per andare a Roma da fuori; perche Roma e diventata il centro della cristianita, e a Roma si va per ragioni particolari; e il sistema delle strade romee non e 1'unico, esclusivo e portante, in questa struttura tardo-imperiale, altomedievale, ma c'e anche 1'altro grande sistema ehe e accentrato intorno al Camino de Santiago (lasciamo fuori adesso la Terra Santa, ehe ci complicherebbe troppo il discorso). E dimostrato ed e dimostrabile ehe le strade francigene sono un potente mezzo di diffusione di modelli linguistic!. La storia dell'Italia settentrionale, ehe giä comunque si e definita per conto suo, in base a determinate premesse di sostrato e di latinizzazione, riceve attraverso questo sistema precise spinte. A suo tempo credo di aver mo-strato come, ad esempio, alcuni tipi lessicali, come il tipo -amp-, il tipo "lampone", ehe non e franco, ma per cosi dire lotaringio, arriva in Italia, arriva fino alia Toscana, seguendo esattamente impianto di queste strade. credo ehe attraverso queste strade sia arrivata anche la prima ondata di gallicismi non registrata nei normali repertori: certe cose caratteristiche, il tipo berbice con la /, per esempio, contro berbece, ehe sarebbe indigene dell'Italia, ecc. Tutta questa serie di osservazioni, della cui desultorietä mi scuso, per dire ehe e questa continua dialettica di movimenti ehe dobbiamo tener presente, se vogliamo operare in termini aderenti a quella ehe e la realta storica. Calboli - All'amico Varvaro dico ehe e la continuita ehe giustifica le intemizioni e sono le interruzioni ehe giustificano la continuita. Poi, alcuni chiarimenti. stesso ho parlato della colonia di Aquileia, ho ben detto ehe e uno dei momenti di modello dell'attivita coloniale romana. Le colonie sono state dedotte e ri-dedotte, perche molte volte sono state spo-
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polate. parlavo non tanto della deduzione delle colonie, quanto della centuriazione, della costituzione dei catasti, della struttura citta-campagna, soprattutto dell'Italia settentrionale, ehe si e sviluppata dopo 89. Questo non tanto per mettere in evidenza la contrapposizione urbanitaslrusticitas (ehe non ho inventato io, ma e nei testi), quanto per capire come poteva funzionare questo sistema in cui queste piccole citta erano pero collegate con la campagna, e la rusticitas entrava in citta continuamente. Poi so anch'io ehe ad un certo punto intervengono le diocesi e altre forme di aggregazione estremamente importanti; pero la base dei municipia, la base di questa rete di strade e un elemento fondamentale per la romanizzazione e di conseguenza per questa diffusione di un latino ehe e pero sempre dialettico con la sua campagna, dove la citta e dialettica con la campagna. Quelle ehe dice Herman e verissimo: il latino cambia nel tempo, non si puo dire ehe c'e un periodo d'arresto; ma io intendevo dire ehe con la scuola vera e propria, quella ehe nasce nel I sec. a.C., perche prima non ci sono scuole, ci sono schiavi, esperti di lingua greca e latina e di grammatica e di retorica, ehe insegnano ai ragazzi nobili. Le scuole simili al nostro tipo scolastico nascono in quella data e sono sviluppate soprattutto daH'impero. A un certo punto le scuole pubbliche muoiono, con le conseguenze ehe voi romanisti mi insegnate, mentre sembra ehe le scuole ecclesiastiche siano rimaste piü a lungo... Per la questione di sputatilica, intendevo solo ricordare questo episodic ehe e una dimostrazione delle polemiche grammaticali di quel tempo - Sisenna e un analogista -, di come le polemiche portassero ad agire sulla lingua, e quale fosse la reazione del pubblico a quelle costruzioni linguistiche. Certo abbiamo un esempio, dovremmo averne ben di piü, ma come ho ammirato i colleghi romanisti ehe si tengono legati giustamente ai loro cartulari, alle loro attestazioni ben precise, concedete a noi filologi classici di attaccarci a quelle poche testimonianze ehe abbiamo e di rimanere saldamente ancorati ad esse, perche altrimenti tutto diventa invenzione e tutto diventa ipotesi. Certo so anch'io ehe dietro questo aspetto particolarmente documentario ci deve essere anche 1'invenzione, ci deve essere anche la fantasia, ehe abbiamo, ma questa fantasia dobbiamo tenerla imbrigliata, perche se c'e solo fantasia senza i testi e senza i dati, possono succedere le cose piü belle, ma allora e uno spettacolo, non e piü una ricerca, a mio parere. D'altra parte chi rimane solo attaccato ai testi senza la fantasia, costruisce una ragnatela, in cui ci sono tanti punti ma non c'e nessun legame. Renzi - Solo qualche osservazione. Quando Varvaro parla di "discontinuitä" nel movimento dal latino alle lingue romanze, credo di essere perfettamente d'accordo con la sostanza del discorso, ma il termine non mi sembra forse il piu adeguato. In fondo c'e solo un movimento, lento accelerato a seconda delle condizioni socio-politiche circostanti, ehe possono andare dai momenti trionfali di Roma fmo alle crisi piü catastrofiche. In sostanza, e sempre la lingua ehe muta ed e in movimento, ora piuttosto conservata, ora invece abbandonata a un movimento. Prima dicevamo con Petersmann ehe il latino non e morto, si e continuato certo attraverso cambiamenti accelerati enormemente dalla crisi. Io il termine "discontinuitä" Io userei per la storia della resa scritta: li si c'e dicontinuitä, e questo e stato uno degli argomenti fondamentali del congresso. A proposito di esso, il termine "preistoria", al contrario di quanto e stato detto, mi e sembrato assolutamente precise, ha suggerito molto bene il soggetto ehe dovevamo trattare, e Herman poi Io ha chiosato magnificamente, riassumendo e dicendo ehe preistoria e ciö ehe precede da un lato, e dall'altro cio ehe puo venire testimoniato solo in modo indiretto e non attraverso testimonianze dirette. Qui, in sede di consuntivo, mi pare ehe predominino i fatti, predomina la tematica di quella ehe si chiama linguistica esterna, mentre nel congresso ci sono state diverse relazioni dedi-
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cate a temi di linguistica interna. E vero ehe in linea di principio queste cose dovrebbero poi convergere, ma noi siamo molto lontani dal raggiungere questo obiettivo. Certo, e in particolare per quanto riguarda la linguistica intema, questo periodo della "preistoria", dovendosi interrogare fonti delle lingue romanze ehe non sono dirette ma pur sempre latine, ha bisogno di tecniche speciali. Qui ci sono state interessant! relazioni dedicate a questo genere di problem!. E a proposito del contrasto tra 1'Italia, piccola Romania, e le altre aree romanze: anch'io ho scritto spesso ehe 1'Italia e una piccola Romania dove noi siamo abituati a trovare un po' di tutto, e non finiscono mai le novitä. E capitato anche a me stamattina, parlando di ipse, di scoprire ehe c'e un'altra area italiana, quella della Liguria, attraverso 1'intervento di un giovane studioso, ehe potrebbe avere Particolo derivato da ipse; chiunque lavori con materiale dialettale italiano e sempre esposto a questo genere di sorprese. Quindi non voglio contestare l'enorme varietä interna alle varietä, ai dialetti italiani, ma vorrei ricordare ehe la varietä era molto grande anche in Francia, dove certo si e ridotta enormemente giä a partire dal Medioevo, ma non in modo tale da impedirci di dividerla in tre grandi aree, con le loro sotto-varieta. Per quel ehe riguarda la penisola iberica, proprio gli awenimenti degli ultimi anni ci mostrano la possibilitä di avere altre lingue ufficiali e letterarie in Spagna, dove tutta la varietä meridionale e stata poi sacrificata come ben si sa dalla Reconquista. Tutto lo spazio romanzo occidentale e contraddistinto da una grande varietä. II ehe non awiene solo nell'area romanza Orientale: il rumeno e straordinariamente uniforme; perfino considerando i dialetti separati, il rumeno e straordinariamente simile al cosiddetto daco-rumeno. Tocchera forse spiegare perche il rumeno e cosi uniforme, anziehe spiegare perche le lingue romanze occidentali sono cosi varie? Certo, il primato della varietä rimane con ogni probabilitä all'Italia, e possiamo dime una ragione, anche se non la ragione: sono mancate forze centripete paragonabili a quelle ehe hanno agito nelle altre grandi aree romanze occidentali. Herman - Quando dico ehe la varietä e piü grande in Italia, forse sarebbe piü chiaro se dicessimo ehe la distanza linguistica fra le varietä e piü grande in Italia, fra varietä diverse abbastanza vicine geograficamente le transizioni sono piü dure, per cosi dire... Maiden - lo vorrei fare solo una piccola osservazione stimolata in parte da quello ehe ha detto Coleman, in parte dal discorso di Varvaro sulle discontinuita tra latino, romanzo e italiano. Non bisogna soprawalutare le possibili continuita strutturali tra latino e lingue italiche da una parte e varietä italo-romanze daH'altra. Coleman ha parlato della presenza giä nei dialetti italici di una spiccata tendenza verso la palatalizzazione, ehe, se ho capito bene, starebbe alia base delle palatalizzazioni romanze. lo non vedo nessun motive necessario per collegare la palatalizzazione romanza con quella italica, anche se sarei dispostissimo a riconoscere ehe questa continuita e piü ehe possibile. Non dobbiamo dimenticare ehe in determinate varietä romanze come il sardo precipuamente e in parte nel dalmatico, nonche forse, secondo un'ipotesi del Tagliavini, anche nel rumeno primitive, la palatalizzazione delle velari non c'e mai stata. Coleman mi risponderä giustamente ehe cio si puo spiegare in termini storici, ma non dobbiamo perdere di vista ehe la palatalizzazione davanti a vocale anteriore e un fatto fonetico naturalissimo, ehe si riscontra nella storia delle lingue piü svariate, e quindi io posso riassumere molto telegraficamente quello ehe voglio dire: sorniglianze strutturali tra epoche diverse non significano necessariamente continuita, soprattutto se tali sorniglianze rispecchiano cambiamenti linguistic! comuni e naturalissimi. Herman - Io posso essere d'accordo, pero se non c'e continuita diretta, allora c'e una certa simultaneita di sviluppi. Per esempio la monottongazione di au. C'e una monottonga-
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zione italica, dialettale di aw, ed e evidente per diverse ragioni ehe le monottongazione romanza di au e diversa, e cominciata piü tardi, e solo parziale, ecc. Probabilmente non c'e continuity fra i due, pero la seconda monottongazione di au e cominciata in un ambiente ancora latino, per cui siamo nella curiosa situazione ehe ci siano state due monottongazioni di au in latino. Ancora un'osservazione. Voi siete tutti di lingua indoeuropea, io no, e per voi e naturale ehe /k/ si palatalizzi davanti a una vocale palatale. Noi, parlanti una lingua ugrofinnica, grazie, viviamo molto bene con /k/ davanti a vocali palatali da alcune migliaia di anni. Dunque in questo caso la naturalezza e un po' dubbia. Maiden - Ma scommetto ehe una certa palatalizzazione allofonica c'e. Herman - Si, allofonica, pero con un allofono si vive molto bene, no? Wright - Unlike everybody else here, I'm not a specialist in the history of Italian, as you probably know I'm a specialist in the history of Spanish, but from outside the reference to the specißcita of Italian is a considerable important problem for the Romance languages formed outside Italy, recently formed from a mixture of dialects, a mixture of people from different places in the Italian peninsula. What happens? What seems to happen when you get people with mutually intelligible but different dialects becoming emigrants, colonists, living somewhere else, is the creation of a simpler kind of language what is sometimes called "inter-dialect". And this is why the dialect situation in Italy is very much more complicated than the dialect situation in any other part of the Romance world. There has been a process of simplification, and the process of simplification led by the end of the Roman Empire, I feel, to convergence rather than divergence, and the effects of substratum which must have been very important for the first one hundred, two hundred years after the roman conquest progressively lost its importance; this is most obvious in the Iberian peninsula, where most of the Pre-Roman languages have disappeared, by the end of the Roman Empire. We have learnt as romanists every time not to be surprised that the languages change, that is a natural thing to happen for language change. But I think we should still be very surprised at the fact that there are now so many Romance languages, different languages: why are they not all the same? And the reason why the languages are not all the same but different from each other continues, I think, to be slightly mysterious. But Holtus referred earlier to the events in France, the Carolingian reforms, the Strasburg Oaths and so on, which I think from a linguistic point of view could be described as catastrophics: not necessarily in the English sense of the word "catastrophic", but they had bad consequences, including splitting of the various languages, the decision to write different Romance forms in different ways, in different places. But I think this can only be really understood if we know a great deal about the history, the politics, because they aren't really linguistic facts at all. The normal thing when you have a language developing over time, over a large period, is the development of the dialect continuum, the creation of dialect diversity, but not the splitting up into different languages. Some people can travel over the dialect continuum get used to their neighbouring dialects; but to have languages with clear frontiers, bundles of isoglosses, with different written standards and so on, these are the results of political events, which came later than anything we have actually discussed here, political events of 9th-13th centuries, which led to the establishment of different ways of writing in different places, which in term led to the idea that these were different languages. And the same sort of thing that Prof. Renzi referred to just now is happening in modern Spain, where there are now different ways of writing in different autonomias in Spain which twenty years ago had to be quite happy for everybody to write in the same way; it's not that the language has changed, it's that the politics have
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changed. So I think the divergence into separate Romance languages is a political event more than every other and dialectal divergence, variation, variability, stylistic, geographic and other variabilities, are the normal linguistic events, I think, unless people lost touch with each other. And they have to remain language-internal as in effect it happens in English: there is an enormous variation over the English speaking world, but nobody yet, I think, seriously regards American English, Australian English and so on as being separate languages, this is still language-internal. Petersmann - Da gewisse Bedenken, bezüglich des Titels aufgekommen sind, La preistoria dell'italiano, so kann ich sagen, dass ich mit dem, was Renzi gesagt hat, voll und ganz übereinstimme. Es gibt eigentlich keinen besseren Titel, den ich mir hätte vorstellen können. Wenn man vom Erwarten des Deutschen aus betrachtet, hätten wir zwei Möglichkeiten: Frühgeschichte und Vorgeschichte. Und was wir hier gemacht haben ist natürlich Vorgeschichte und nicht Frühgeschichte und damit ist dieser Titel wirklich der Arbeit von uns allen gerecht geworden. Herman (In qualitä di Presidente) - Permettetemi di riassumere in quattro minuti: Potrei fare una boutade e dire ehe, cercando la specificitä dell'italiano, abbiamo capito ehe non sappiamo dove finisce la storia del latino e dove comincia quella dell'italiano; e forse giusto in questo ehe si trova la specificitä dell'italiano, ma sarebbe per Pappunto una boutade. Direi semplicemente ehe, nella mia visione (naturalmente questo e un riassunto parziale e soggettivo), si tratta di un processo diacronico nel quäle la gente di una cittä e poi di altre cittä, e intere regioni rurali di questa penisola sono passate dal latino parlato ad altri usi ehe strutturalmente non erano piü il latino. Che lo vogliamo o meno, questo e un fatto storico, ehe puo essere esaminato da diversi punti di vista - dal punto di vista della filologia classica, della storia esterna, delle condizioni metalinguistiche e di quelle dell'uso -, ma rimane, oggettivamente un processo ehe, seppur in modo molto complesso, e un processo unico. Non siamo piü nell'epoca in cui il veramente grande Walter von Wartburg ha potuto scrivere Die Ausgliederung der romanischen Sprachräume su un processo di seicento anni, senza far riferimento a testi o esempi direttamente latini. Un grande libro, storicamente molto importante, ma adesso abbiamo una visione nuova, e non siamo neppure nell'epoca in cui si poteva parlare della storia del latino dimenticando la varieta ehe usava il 90% dei parlanti latino. E poiche le cose stanno cosi, forse e dubbio come si debba chiamare questo campo di studi, ehe non e una disciplina ma, come ha detto Petersmann, uno sforzo interdisciplinare, ehe si concentra pero su un processo unico, in cui i sottoprocessi si condizionano. lo credo ehe tutto questo l'abbiamo detto, in ultima analisi, in modo piü o meno diretto, collaborando su questa realtä su diversi toni e con diversi metodi.