La città di Argo: mito, storia, tradizioni poetiche: atti del Convegno internazionale, Urbino, 13-15 giugno 2002 8884760321, 9788884760326, 888476033X

Dopo il convegno dedicato alla città di Tebe, i cui Atti sono stati pubblicati in questa stessa collana, il volume che q

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La città di Argo: mito, storia, tradizioni poetiche: atti del Convegno internazionale, Urbino, 13-15 giugno 2002
 8884760321, 9788884760326, 888476033X

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LA CITTÀ DI ARGO Mito, storia, tradizioni poetiche ‘Atti del Convegno internazionale (Urbino, 13-15 giugno 2002) À cura di PAOLA ANGELI BERNARDINI

ROMA EDIZIONI

DELL'ATENEO

MMIV

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QUADERNI URBINATI DI CULTURA CLASSICA Atti di Convegni

Collana diretta da Bruno Gentili e Roberto Pretagostini 8.

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO ISTITUTO DI FILOLOGIA CLASSICA CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA CULTURA GRECA ANTICA

Redazione di MARIA

COLANTONIO

Questo volume é stato pubblicato con il contributo dell'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", del Centro Internazionale di Studi sulla Cultura Greca Antica e del Dottorato di Ricerca in Letteratura e Filologia Greca - Urbino

LA CITTÀ DI ARGO Mito, storia, tradizioni poetiche Atti del Convegno Internazionale (Urbino, 13-15 giugno 2002) A cura di PaoLA ANGELI BERNARDINI

MP ROMA

EDIZIONI

DELL'ATENEO MMIV

Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l'adattamento, anche parziale O per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta delle Edizioni dell’Ateneo®, Roma, un marchio della Accademia Editoriale®, Pisa - Roma. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. *

Proprietà riservata - All rights reserved

© Copyright 2004 by Edizioni dell'Ateneo*, Roma, un marchio della Accademia Editoriale®, Pisa - Roma www.libraweb.net

Stampato in Italia - Printed in Italy ISBN 88-8476-033-x (brossura) ISBN 88-8476-032-1 (rilegato)

SOMMARIO

9

13

PAOLA ANGELI BERNARDINI Premessa Bruno GENTILI

Saluto del Direttore del Centro Internazionale di Studi sulla Cultura Greca Antica

Mito, genealogie 19

MARCEL PIÉRART (Université de Fribourg)

Deux voisins: Argos et Epidaure (mythes, société, histoire) 35

CarLo BRILLANTE (Università di Siena)

Genealogie argive: dall’asty phoronikon alla città di Perseus Epica arcaica 59 ETTORE Cincano (Università di Venezia)

Tradizioni epiche intorno ad Argo da Omero al VI sec. a.C. 79 ORETTA OLIVIERI (Università di Urbino)

Analogie e rovesciamenti tra i Sette e gli Epigoni Lirica corale

95

Maria CANNATA FERA (Università di Messina)

Poesia e statuaria: gli eroi argivi di Pindaro e di Antifane 107 Giovan BATTISTA D’ALessio (Università di Messina)

Argo e l'Argolide nei canti cultuali di Pindaro 127 PaoLA ANGELI BERNARDINI (Università di Urbino)

La città e i suoi miti nella lirica corale: l'Argolide e Bacchilide Teatro

149 Guipo AvEzzU (Università di Verona) Mappe di Argo, nella tragedia

163 CARMINE CATENACCI (Università di Chieti)

Realtà e immaginario negli scudi dei Sette contro Tebe di Eschilo 177 VANIA VITALI (Università di Urbino)

Esempi tragici di buon governo e mal governo ad Argo: Pelasgo ed Euristeo a confronto 189 GIOVANNI CERRI (Istituto Universitario Orientale di Napoli) Argo e il dibattito costituzionale nelle Supplici di Euripide Poesia ellenistica

201

Luici LeHnus (Università Statale di Milano)

Argo, Argolide e storiografia locale in Callimaco 211

Bruna M. PALUMBO STRACCA (Università di Roma “La Sapienza”)

Argo e Argivi negli epigrammi greci Storia e storiografia 229 CLAUDE CALAME (Università di Losanna)

Le funzioni di un racconto genealogico: Acusilao di Argo e la nascita della storiografia 245

EMILIO SUÁREZ DE LA TORRE (Universidad de Valladolid)

Los oráculos sobre Argos 263 Domenico Musti (Università di Roma “La Sapienza”) Argo, il “nuovo che avanza”

279 PiEgTRO VANNICELLI (Università di Urbino)

Eraclidi e Perseidi: aspetti del conflitto tra Sparta e Argo nel V sec. a.C. 295 Marco Donari (Università di Urbino)

Pausania, le Pretidi e la triarchia argiva 321

Indice dei nomi

335 Indice dei passi discussi

PREMESSA

Come spesso accade quando si affronta un nuovo progetto di ricerca con entusiasmo e con una notevole dose di presunzione sulla sua validità, la strada da compiere sembra si difficile ma, tutto sommato, percorribile: con questo spirito é stato organizzato il primo Convegno Internazionale (Urbino 7-9 luglio 1997) sul tema Presenza e funzione della città di Tebe nella cultura greca. Gli Atti, che hanno visto la luce nel 2000 in questa stessa collana, hanno dimostrato che l'idea di concentrare l'attenzione su una polis antica di grande rilevanza sotto il profilo storico-culturale poteva essere buona. I dubbi, le perplessità, i problemi aumentano quando su quel progetto si insiste. Lo si vuole perfezionare e collaudare allargando l'orizzonte della ricerca anche ad altre città che hanno condiviso con Tebe il destino di essere centri di potere politico, religioso, economico e culturale nel mondo ellenico. Città che hanno goduto, se non di pari rilievo, sicuramente di pari fama: nella presente occasione Argo e in futuro, mi auguro, Corinto.

A questo punto ci si scontra con una problematica diversa, perché non si tratta piü di una ricerca di carattere monografico, circoscritta ad un solo fenomeno di cui si vogliono indagare gli aspetti unici ed irrepetibili. Estendendo il progetto ad altri centri urbani, si finisce con l'interrogarsi sull'essenza e sulla natura stessa della città-stato. È possibile individuare delle costanti nella configurazione di poleis che hanno goduto di una propria identità culturale prima e al di fuori del predominio ateniese e fissare dei criteri validi per l'approccio a tutte e ad ognuna di esse? La problematica che si apre si rivela complessa e insidiosa. Credo che l'esperienza dello storico danese Mogens Herman Hansen sia in questo senso emblematica. Fondatore del Copenhagen Polis Centre (CPC) ed editore, fin dal

1992, degli atti di celebri "working symposia" sulla tematica "City-State Cultures in World History”, egli continua a occuparsi indefessamente dello statuto della città antica. Il recente volume Polis and Politics. Studies in Ancient Greek History (Copenhagen 2000) in suo onore, al quale ha collaborato anche M. Piérart (edd. P. Flensted-Jensen,

Th. H. Nielsen, L. Rubinstein), dà la misura del fervore che l'argomento suscita. Perché, allora, interrogarsi ancora sulla città e scegliere di approfondire non solo gli aspetti storici e istituzionali, politici, militari e sociali che la riguardano e non solo i modelli di politeia di cui è stata fautrice, ma anche l'immagine che di essa hanno restituito la poesia, la storiografia, la produzione oracolare, il teatro, le arti figurative? Un'immagine che é rimasta salda nel corso dei secoli e che ha rappresentato dei valori e/o dei disvalori. In sintesi si può rispondere che, a differenza di quanto accade nel mondo contemporaneo, in cui la rilevanza culturale sembra di poco conto nella valutazione complessiva di una città, la collocazione che una polis aveva nell'immaginario degli antichi —

10

Premessa

basti pensare per l'appunto a Tebe o ad Argo - era per lo più generata dalla produzione letteraria e artistica che l' aveva vista protagonista e che aveva celebrato le sue origini, i suoi miti, le sue genealogie. I poeti, i mitografi, gli architetti, gli scultori, accanto naturalmente agli artefici veri e propri della storia, hanno conferito alla città un carattere e un volto che ne hanno fissato nel tempo l'aspetto essenziale e peculiare.

C'é poi un altro elemento che spiega e giustifica l'attenzione da noi dedicata alle vicende culturali di quelle poleis del passato che hanno lasciato una traccia significativa e durevole. Se per pura curiosità si procede ad uno spoglio, anche grossolano, degli argomenti trattati nei vari saggi sulla città greca, ci si accorge che lo spazio dedicato alle tradizioni poetico-artistiche urbane non è molto. Per lo più l’aspetto che interessa è quello esegetico delle fonti locali, cioè l’analisi del testimonium e il suo apporto alla ricostruzione storica. Qualche eccezione, dovuta alla penna di avveduti curatori come M. Vetta in La civiltà dei Greci. Forme, luoghi, contesti, Roma 2001, non basta. Di norma è prestata scarsa considerazione al coinvolgimento cittadino presupposto da una performance poetica o drammatica che ha luogo nella città e viene sottovalutato il potere della poesia come strumento politico e propagandistico. Eppure la poesia era il prodotto di una comunità che rifletteva sul proprio passato, che fissava in versi la rappresentazione della città e in questo modo ne consegnava - al pari delle statue, delle grandi costruzioni, delle riforme sociopolitiche e giuridiche - la memoria ai posteri. Per Argo debbo dire che in questo senso raccolgo l'eredità di M. Piérart che, nel volume da lui curato Polydipsion Argos. Argos de la fin des palais mycéniens à la constitution

de l'État classique, ha ospitato contributi sulle tradizioni epiche più antiche, dal ‘Catalogo delle navi' all'epopea dei Sette e degli Epigoni. Nella presente raccolta, che contiene i testi delle relazioni tenute durante il secondo Convegno Internazionale di Urbino (1315 giugno 2002), l'indagine viene estesa anche alla lirica corale, al teatro, alla poesia ellenistica e alla storiografia; una pluralità di voci e di generi letterari che, in rapporto ad una sola città, è stata raramente utilizzata al fine di ricostruirne l’identità. In quest'ottica abbiamo pensato, M. Piérart ed io, che, cogliendo lo spunto dalla celebrazione del centenario degli scavi francesi ad Argo (iniziati nel 1902 ad opera di Wilhelm Vollgraff), poteva essere un buon punto di partenza dividere l’incontro su questo antico centro peloponnesiaco in due momenti: l'uno con un indirizzo più mitologico e storico-letterario, l'altro con un indirizzo pià archeologico, topografico ed urbanistico. A tal proposito desidero precisare che il secondo Colloquio si é tenuto in Grecia ed è stato organizzato dall'École française d'Athénes in collaborazione con l'Eforato delle Antichità Preistoriche e Classiche di Nauplia, nei giorni 25-28 settembre 2003. Nell' incontro, che ha avuto un carattere squisitamente archeologico, è stata presentata la scoperta, avvenuta nell'autunno 2000 ad opera di Alkisti Papadimitriou, sovrintendente del Museo di Argo, di alcuni lotti di diverse decine di lamelle di bronzo contenenti dei conti pubblici della città di Argo nel V e IV sec. a. C. Il materiale era depositato in due casse di pietra, sigillate con lastre spesse e pesanti, all'interno di un santuario situato verso l'uscita della città, in direzione di Corinto. Al Colloquio ateniese Alkisti Papadimitriou e Charalambos Kritzas hanno presentato due comunicazioni rispettivamente intitolate (qui in trad. it.): ‘Le nuove tavolette di bronzo inscritte di Argo. Analisi

dei risultati degli scavi del terreno Smirneo, strada di Corinto’ e “Le nuove tavolette di bronzo inscritte di Argo. Una prima presentazione”.

Premessa

11

Come mi fa osservare M. Piérart, questi testi, una volta restaurati e del tutto decifrati, faranno di Argo una delle città meglio conosciute sotto il profilo dell'amministrazione finanziaria. Il rilievo e il peso di questa componente

della vita cittadina non hanno

bisogno di essere illustrati, né necessita di spiegazione la complementarietà di questi risultati con quelli cui pervengono le relazioni raccolte in questi Atti. Si tratta di aspetti che, combinati, gettano una luce più vivida su Argo e consentono di rivisitarne in parte la storia. PaoLA ANGELI BERNARDINI

SALUTO DEL DIRETTORE DEL CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA CULTURA GRECA ANTICA BRuNO

GENTILI

Nell'esprimere il mio più cordiale benvenuto a tutti voi, sono lieto di dare inizio ai lavori del nostro nuovo seminario di studi nell'ambito dell'attività di ricerca promossa dall'Istituto di Filologia Classica dell'Università di Urbino e dal Centro Internazionale di Studi sulla Cultura Greca Antica. Perché un colloquio su Argo, la sitibonda città di Argo, come recita il proemio della Tebaide: “Cantami, o dea, la sitibonda Argo da dove i signori...”? Un verso che in questi giorni evoca sinistramente altri sitibondi luoghi di Sicilia e altri signori..., non certo i sette condottieri contro Tebe. Dopo gli atti del convegno di Friburgo del 1987 curati da Marcel Piérart nel volume Polydipsion Argos che tratta la storia della città dalla fine dei palazzi micenei alla costituzione dello Stato classico e dopo gli ultimi saggi di Walter Burkert' su Argo tra tradizione micenea, dorica e omerica e di Giovanni Casadio* sulla storia del culto di Dioniso nell'Argolide, si è avvertito che c’è spazio per un ulteriore approfondimento sulla presenza di Argo non solo nella tradizione storica, ma anche in quella mitica e poetica. Indubbiamente Argo presenta un interesse particolare tra le poleis greche. Oltre che essere uno dei centri dell'eredità micenea e uno dei tre regni dorici degli Eraclidi nel Peloponneso, essa ha un ruolo di rilievo nella tradizione poetica dell'età arcaica e classica dall'epica alla lirica e al teatro. Una città che ha esercitato la sua funzione culturale soprattutto come centro d'irradiazione con la sua genealogia mitica, le gesta dei suoi eroi, i culti religiosi, i riti e le fondazioni di città. Queste le glorie di Argo che Pindaro, oltre che nel ditirambo per gli Argivi (per il quale rimando al commento di Salvatore Lavecchia nella sua recente edizione dei ditirambi), celebra nella prima triade della decima Nemea: Danao e le sue cinquanta figlie; le celebri vicende di Perseo che decapitó la Gorgone; Epafo, figlio di Zeus e di Io, che colonizzó l'Egitto; Ipermestra che, sola tra le cinquanta Danaidi, tenendo nel fodero il ferro, risparmiò il marito Linceo; Diomede reso immortale da Atena; l'indovino Anfiarao, nube di guerra, che la terra di Tebe folgorata da Zeus accolse nel suo grembo; e le donne dalle belle chiome, antico vanto di Argo tra le quali primeggiano Danae e Alcmena amate da Zeus; gli eroi Talao, Linceo, Anfitrione che il padre degli eroi predilesse e infine l'intrepido seme di Zeus, Eracle, che nell'Olimpo ha come sposa Ebe, la più bella fra le dee, premio imperituro alle sue fatiche. La decima Nemea fu composta per un valente atleta di Argo, Teeo, più volte vincito! W. BurkerT, ‘La cité d'Argos entre la tradition mycénienne, dorienne et homérique', in V. PIRENNEDELFORGE (éd.), Les Panthéon des origines à la Périégèse de Pausanias (Kernos Suppl. 8), Liège 1998, pp. 47-59. * G. Casanio, Storia del culto di Dioniso in Argolide, Roma 1994. 3 Pindari dithyramborum fragmenta, ed. S. LaveccHiA, Pisa-Roma 2000.

14

Bruno Gentili

re nella lotta, la cui ascendenza materna contava numerosi successi agonali e il cui avo, Pamfae, aveva un tempo ospitato i Dioscuri; di qui la transizione allo splendido racconto del mito dei Tindaridi, gemelli nati sotto segni diversi, Polluce figlio di Zeus destinato all'immortalità, Castore figlio di Tindaro destinato alla comune vita dei mortali. Ma il vincolo indissolubile di amore che lega i gemelli non permette all’uno di vivere senza l'altro. Quando Castore muore per mano degli Afaretidi, l'immortale Polluce rinuncia a una parte della sua natura divina, perché é meglio vivere con Castore nel mondo dei defunti che da solo nell'etere. Zeus esaudisce la preghiera del figlio concedendo a entrambi di vivere alternativamente sotto la duplice spoglia dell'immortale e del mortale, tra vita e morte, tra luce e tenebre. Altro vanto di Argo nella tradizione antica, anche poetica, è l'invenzione delle armi, come leggiamo nell'iporchema di Pindaro a lerone (fr. 106, 5 Maehler), in particolare lo scudo che dal racconto di Pausania (2, 25, 7) e Apollodoro (2, 2, 2) sarebbe stato usato

perla prima volta nello scontro tra i due gemelli Acrisio e Preto, figli di Abante, il primo re di Argo, il secondo che diviene re di Tirinto.

Ma quali sono le glorie locali, per cosi dire, nella letteratura e nell'arte? Se tralasciamo Policleto, vissuto nella seconda metà del V secolo a.C., restano due sole personalità

nella prosa e nella poesia della prima metà del V secolo a.C.: Acusilao e Telesilla. Il primo fu autore di Genealogie mitiche in tre libri, che iniziavano con una cosmogonia e una teogonia fino alla caduta di Troia e ai nostoi, naturalmente con particolare attenzione e vanto alla genealogia argiva sino al punto di affermare che Foroneo, figlio del diofiume argivo Inaco, fu il primo uomo e, come narra Pausania (2, 15, 5), il primo a riunire in comunità gli uomini. Lo stesso Foroneo fu giudice nella contesa tra Era e Posidone per il possesso del Peloponneso. Egli decise in favore di Era, la dea più celebrata ad Argo, e Posidone adirato prosciugò le acque dell'Inaco rendendo Argo sitibonda. Di non minore rilievo è la poetessa-guerriera Telesilla, con buona pace di alcuni che l'hanno obliterata nelle loro storie della letteratura greca. In Pausania (2, 20, 8) e Plutarco

(Mor. 245c-f) si racconta che, dopo la rovinosa sconfitta di Sepeia (494 a.C.) nella quale gli Argivi furono trucidati dagli Spartani guidati da Cleomene, Telesilla armò le donne e, quando gli Spartani attaccarono la città, le Argive si opposero vigorosamente e i nemici si ritirarono ritenendo odioso uccidere le donne se avessero vinto, una beffa se avessero perduto. Proprio Pausania ricorda una stele che raffigurava Telesilla nell’atto di porre sul capo l'elmo dopo avere gettato i suoi volumi di poesia a terra. Questi atti di eroismo, ben documentati dalle fonti, “forse con abbellimenti della tradizione storica tarda”, come osserva con ragione Musti”, non sono leggendari o falsi storici, come ritengono alcuni studiosi.

E Telesilla, come leggiamo ancora in Pausania, “era famosa tra le donne per varie ragioni, ma soprattutto era onorata per la sua poesia”. Di lei certo si conservano soltanto due versi di un inno ad Artemide e qualche parola isolata, ma si può attribuire a lei

con Paul Maas’, nonostante alcuni pareri discordi, un inno alla Madre degli dei, iscritto su una lapide del III secolo d.C. proveniente dal tempio di Asclepio a Epidauro, che *D. Musn, Storia greca, Roma-Bari 1990", p. 246. * Da ultimo M. Pizzocaro, ‘L'inno di Epidauro alla Madre degli dei”, in L'inno tra ritualee letteratura nel mondo antico. Atti di un colloquio, AION 13, 1991, pp. 233-251 e G. RicciarDE111, ‘L'inno di Epidauro alla Madre degli dei”, Riv. cult. class. mediev. 40, 1998, pp. 275-280.

Saluto del direttore del centro intemazionale

15

narra come la Madre degli dei andava errando tra monti e valli rivendicando da Zeus la parte a lei spettante del cielo, della terra e del mare. Si tratta di un carme di 26 versi composto in telesillei kata stichon, cioé gliconei acefali cosi chiamati proprio dal nome della poetessa che ne aveva fatto largo uso. Dunque una poesia, quella di Telesilla, molto legata al culto, che si lascia in un certo modo comparare con quella di Corinna. È singolare che il passo di Pausania su Telesilla abbia colpito, come già è stato notato, l'immaginazione di Giacomo Leopardi che nello Zibaldone definisce Telesilla “famosa poetessa d' Argo, e guerriera, e salvatrice della sua patria”, sino al punto di attribuire il nome di Telesilla alla protagonista di un omonimo dramma pastorale rimasto incompiuto. Vi ringrazio con l'augurio di buon lavoro.

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ARGOLIDE

GOLFO SARONICO

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Da Pausania, Guida della Grecia II, a cura di D. Musti e M. Torelli, Milano 1986.



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MITO, GENEALOGIE

DEUX VOISINS: ARGOS ET ÉPIDAURE (MYTHES, SOCIÉTÉ, HISTOIRE)* MARCEL

PIÉRART

Le titre de mon exposé ne doit pas vous induire en erreur. Argos est au centre de mes recherches, comme il est au centre de ce colloque, et c'est avant tout à cette cité que j'accorde mon attention. L'historiographie antique a insisté avant tout sur la lutte permanente d'Argos contre sa grande voisine Sparte. Pausanias, par exemple, résume assez justement cette vision des choses de la maniére suivante!: Une fois que les Lacédémoniens eurent commencé à faire la guerre aux Argiens, il n'y eut aucun répit jusqu'à ce que Philippe, fils d'Amyntas, les forcàt chacun à se maintenir dans les frontiéres établies pour eux à l'origine. Durant l'époque précédente, les Lacédémoniens, lorsqu'ils n'étaient pas occupés à quelque action hors du Péloponnése, s'efforcaient sans cesse de leur enlever un morceau de territoire. Inversement, lorsque les Lacédémo-

niens étaient occupés à une guerre au-delà de leurs frontiéres, alors, ce sont les Argiens qui cherchaient à les attaquer.

L'arbre finit par cacher la forét. Les Argiens avaient d'autres voisins. Ceux-ci occupaient des territoires dont le mythe leur disait qu'ils avaient été autrefois les maîtres: Corinthe, Sicyone, Phlionte, Ornéai et Cléonai au nord, Épidaure et les cités de l'Akté, à l'est. L'alliance de 420 est conclue par Athènes, d'une part, Argos, Élis et Mantinée de

l'autre, ὑπὲρ σφῶν αὐτῶν καὶ τῶν ξυμμάχων ὧν ἄρχουσιν ἑκάτεροι". Dans le cas d'Argos, seules Cléonai et Ornéai entraient dans cette catégorie et se trouvaient dans son camp à la bataille de Mantinée? . Les autres étaient dans celui de Sparte“. Pourtant, la guerre ou les querelles de frontiére n'empéchérent pas des influences de toutes sortes. Entre voisins hostiles, on se parle parfois, on s'épie, on s'imite aussi. Ce sont quelques unes de ces interactions que je voudrais mettre en avant aujourd'hui. La docu-

mentation épigraphique est assez riche pour permettre de tirer quelques conclusions sur les rapports que les cités ont entretenus. Mythes Épidauros, qui donna son nom à la terre d'Épidaure, était un fils de Pélops d’après * Cet article doit beaucoup aux remarques que m'ont faites D. Musti et d'autres participants de ce

colloque. Isabelle Tassignon a bien voulu relire mon manuscrit.

! Paus. 2, 20, 1.

? Thuc. 5, 47, 1. ? Thuc. 5, 67, 2; 72, 4; 74, 3. * En 377, Sicyone, Phlionte et les cités de l'Akté forment ensemble l'une des dix divisions de la ligue

péloponnésienne: Diod. Sic. 15, 31, 2.

20

Marcel Piérart

les Éléens. Mais les Argiens, qui s'appuyaient sur les Grandes Éhées en faisaient un fils du

héros Argos. Quant aux gens d'Épidaure, ils le disaient fils d'Apollon*. Du temps de Pausanias, on montrait, sur la route d'Épidaure, un héróon consacré à Hyrnéthó, frappé d'interdits religieux. D’après les gens d'Épidaure, la fille que Téménos avait donnée en mariage à son neveu Déiphontés y avait été ensevelie aprés son assassinat par ses frères. Les querelles fratricides entre les héritiers de l'Héraclide avaient conduit à la sécession des Argiens de la cóte*. Les habitants d' Argos avaient montré le tombeau d'Hyrnéthó à Pausanias dans leur propre ville: “Je ne crois pas les Argiens, écrit-il; que les croient ceux qui n'admettent pas la version des gens d'Epidaure””. Hyrnéthó était à Argos l'éponyme de la quatriéme tribu*. Les mythes exprimaient la conscience des uns et des autres d'appartenir à la méme race, mais les uns et les autres vivaient cette parenté sur un mode inamical. C'est le développement du sanctuaire d'Asclépios et son ouverture aux pélerins venus de l'étranger qui donna à la cité d'Épidaure sa vraie dimension internationale. À partir de la deuxième moitié du V* s., l'Asclépieion d'Épidaure cessa d'être un sanctuaire local fréquenté incidemment par des particuliers? . À l'est, le sommet du mont Kynortion, qui surplombe le théátre, était consacré à Apollon Maléatas. Dans l'antiquité, son sanctuaire passait déjà pour trés ancien”. Le mont Kynortion fut indiscutablement le lieu d'un culte à ciel ouvert à l'áge du bronze, mais, en dépit d'analogies certaines, la continuité de ce dernier avec le culte d'Apollon Maléatas n'est pas démontrée. Dès 640 av. J.-C., il fit l'objet d'aménagements qui se poursuivirent durant l'époque impériale' . En fait, l'essor du sanctuaire de la vallée n'entacha jamais la piété qu'on éprouvait pour Maléatas. De nombreuses inscriptions associaient étroitement Apollon à son fils: ainsi, par exemple, les stéles des guérisons portent l'intitulé: ἰάματα τοῦ ᾿Απόλλωνος

xal τοῦ

᾿Ασκλαπιοῦ"2.

Argos aussi honorait Asclépios comme la plupart des cités du monde grec. Pausanias connaissait trois sanctuaires en son honneur. L'un, dont nous ne savons rien, se

trouvait sur la route qui le conduisit de l'Aphrodision à l'agora" . Nous connaissons un peu mieux les deux autres. Le long de la rue qui conduisait à la porte de Némée (d'aprés ma reconstitution de l'itinéraire argien de Pausanias), se trouvaient un temple de Dionysos, la maison d'Adraste, un sanctuaire d'Amphiaraos, la tombe d'Ériphylé, un téménos d'Asclépios et un sanctuaire de Baton'*. La plupart de ces monuments se réfèrent à l'épopée des Sept contre Thèbes. Un décret honorifique datant de 113 av. J.-C. trouvé à Argos, voté par les technites dionysiaques en l'honneur de l'Argien Zénon, fils

* Apollod. 2, 1, 2; Hes. fr. 246 M.-W. (Paus. 2, 26, 2).

5 Paus. 2, 28, 5-7.

7 Paus. 2, 23, 3.

* Sur la question de la date à laquelle cette tribu fut créée, cfr. ci-dessous, n. 60. ? Cfr. A. Bunronp, The Greek Temple Builders at Epidauros, Liverpool 1969, pp. 15-18.

10 Paus, 2, 27, 7.

Y Cfr. V. LAMBRINOUDAKIS, ‘Staatskult und Geschichte der Stadt Epidauros', APXAIOTNOQXIA

1980, pp. 39-63. 17 IG IV? 1, 121.

1,

13 Paus. 2, 21, 1. 14 Paus. 2, 23, 1-2. Cfr. M. PiéRart, “L'itinéraire de Pausanias à Argos’, in A. PARIENTE - G. TOUCHAIS,

Argos et l'Argolide, topographie ct urbanisme, Paris 1998, pp. 337-356, sp. 349-350.

Deux voisins: Argos et Épidaure

21

d'Hekatodóros, mentionne à trois reprises un téménos où se réunissait la branche argienne de l'association" . Dans sa réédition de l'inscription, W. Vollgraff faisait le commentaire suivant'*: Tépevog illud, de quo hic [i. e. vs. 16] et vs. 25 sq. et 41 sq. sermo est, ex inscriptione Delphica anni 112a. C. n. fanum Aesculapii fuisse scimus" [...] saeculo secundo ab artificibus Bacchiis occupatum fuisse puto quod a Pausania merum tépevog fuisse dicitur et quod Liberi templo vicinum erat.

On ignore où a été trouvé le décret pour Zénon. Mais, dans un sondage situé parodos Gounari 127, dans un terrain jouxtant celui où fut trouvée une maison romaine aux

pavements décorés de riches mosaïques, connue sous le nom de villa du fauconnier'* , le Service archéologique grec a mis au jour une inscription de plus de 150 lignes relative aux Technites dionysiaques de l'Isthme et de Némée, datée des années 146-144 avantJ.Chr." . Elle était remployée dans une construction tardive, mais vu ses dimensions, on peut penser que cette stéle ne venait pas de trés loin. Ce n'était pas la premiére trouvaille relative au culte d'Asclépios dans ces parages: en 1953, non loin de là, avait été découvert un petit ex-voto représentant Hypnos avec une dédicace à Asclépios” . Ses éditeurs,J. Marcadé et E. Raftopoulou, pensaient qu'elle pouvait présenter un certain intérêt pour la localisation de l'Asclépieion d'Argos mentionné par Pausanias?! quand, descendant de l'Aphrodision, il se dirige vers l'Agora" . Elle fournirait plutót, à mon sens, un indice supplémentaire en faveur de la localisation du téménos d'Asclépios où se réunissaient les Technites dionysiaques.

Il y avait encore un troisième sanctuaire dédié à Asclépios, τὸ ὃ ᾿ἐπιφανέστατον ᾿Αργείοις τῶν ᾿Ασκληπιείων selon Pausanias? . La statue de culte représentant le dieu assis était due au ciseau de Xénophilos et Straton, des sculpteurs actifs dans le Péloponnése nord-oriental vers 100 avant J.-C." . Il devait se trouver dans les parages du gymnase moderne et remontait au moins au V* s. Nous le savons par une dédicace malheureusement inédite présentée par Ch. Pitéros au colloque Topographie et Urbanisme de 1990.

La rivalité entre Argos et Épidaure autour du culte d'Asclépios s'exprime, elle, parle recours à des mythes divergents, ou du moins par des variations subtiles à leur propos. Selon la légende admise à Épidaure, Coronis, la fille de Phlégyas, enceinte d'Apol? IG IV, 558 (cfr. B. Le GUEN, Les associations de technites dionysiaques à l'époque hellénistique 1, Nancy 2001, 36,1. 16, 22 [rest.], 25-26, 41-42).

16 W. VoLLGRAFF, Mnemosyne 49, 1921, p. 116. " FD III 2, 70 (SIG? 704 1). Cfr. B. Le Guen, op. cit. I, p. 109 n? 12 C col. IV 5:èv "Apyec [μὲν ἐν x jx ᾿Ασκληπιείωι.

1974.

18 G. AkERSTROM-HOUGEN, The Calendar and Hunting Mosaics of the Villa of the Falconer in Argos, Lund ' Cfr. Ch. Krrrzas, Arch. Delt. 28, 1973, Chron. p.126 ; cfr. Bull. corr. hell 102, 1978, p. 664, SEG XXI, 307.

20jJ. Marcapé - E. RAFTOPOULOU, Bull. corr. hell. 87, 1963, pp. 85-89 n° 76 (SEG XXII, 268).

?! Cfr. Paus. 2, 21,1, mentionné ci-dessus. 2 J. Marcapé - E. RAFTOPOULOU, art. cit. (n. 20), p. 89.

2 Paus. 2, 23, 4. 2 Cfr. J. MarcaDt, Recueil de signatures de sculpteurs grecs 1, Paris 1953, pp. 110-111.

Marcel Piérart

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lon, aurait mis le héros au monde sur le mont Tithion, qui domine le sanctuaire en

direction d'Épidaure” . Sur la route de Sicyone à Phlionte, à Titané, était un sanctuaire d'Asclépios. Il passait pour avoir été fondé par Alexanor, fils de Machaon et petit-fils d'Asclépios”. “A l'origine, nous dit Pausanias du principal sanctuaire argien, il fut fondé par Sphyros, un fils de Machaon, frére de cet Alexanor que les gens de Sicyone hono-

rent à Titané"? . Dans la campagne de Thyréatide, à Eua, un héros guérisseur local, Polémocratés, passait aussi pour fils de Machaon” . Les fils d'Asclépios Machaon et Podaleiros sont, on le sait, des héros médecins de l'Hiade? . Le premier avait un culte en Laconie, à Gérénia* . A Messène, tous deux avaient

leur portrait dans le temple de Messéné" . Les Argiens sont-ils allés jusqu'à défendre les prétentions des Messéniens, qui faisaient d' Arsinoé, fille de Leucippos, et non de Coronis, la mére d'Asclépios? Cette version pouvait se réclamer d'Hésiode. Pausanias la balaya cependant d'un revers de la main sur la foi d'un oracle rendu à l'Arcadien Apollopha-

nés: "L'oracle, dit-il, démontre qu'Asclépios n'est pas le fils d’Arsinoé, mais qu'Hésiode ou un de ses interpolateurs a forgé ces vers pour plaire aux Messéniens""? . Rien ne permet d'affirmer que les Argiens sont allés jusque là: à Titané, dont les mythes sont proches de leur systéme de légende, des rites étaient accomplis autour d'une statue de Coronis”.

Quoi qu'il en soit, en propageant un mythe de méme structure que celui de Titané, les Argiens évitaient de se référer trop explicitement au sanctuaire d'Épidaure. Société

La renommée internationale que connaissaient leurs voisins gráce au dieu guéris-

seur ne pouvait cependant pas laisser les Argiens indifférents. L'accueil des pèlerins et le programme de construction du sanctuaire dés le second quart du IV* s. a conduit Épidaure à multiplier les liens avec les autres cités. Les comptes font état d'envois nombreux de hérauts vers d'autres cités voisines, mais aussi de villes plus éloignées, comme Tégée, Athénes et Thébes, dont les ressortissants collaboraient à la construction?* . Les

Argiens n'étaient pas à la traine. Le savoir-faire acquis au siécle précédent dans les travaux de l'Héraion et dans le centre de la cité ne s'était pas perdu. Des entrepreneurs

argiens apparaissent souvent dans les comptes de Delphes et d'Épidaure” . On retrouve l'un d'eux, Nikostratos, dans une inscription d'Argos, à propos d'un différend qui l'op-

posa au prêtre de Pallas devant la cour des Quatre-vingts" . Elle nous apprend que le ?5 Paus. 2, 26, 3-5.

26 paus. 2, 11, 5-7.

? Paus. 2, 23, 4; sur le rapport entre ce nom et les subdivisions de la population, cfr. ci-dessous, n. 37.

28 paus. 2, 38, 6. A Pharai de Messénie, deux autres héros guérisseurs, Nicomachos et Gorgasos, passaient pour des fils de Machaon: Paus. 4, 30, 3.

29 Hom. Il. 2, 732; 11, 833. 30 paus. 3, 26, 9; 4, 3, 2, 9.

31 aus. 4, 31, 12.

32 Paus. 2, 26, 7 (Hes. fr. 50 M.-W.).

33 Paus. 2, 11, 7.

34 Cfr. IG IV? 1, 102, 103.

35 Les Argiens sont particulièrement nombreux à Épidaure. Kleostratos, Nikostratos et Chremón ont

travaillé dans les deux sanctuaires: cfr. IG IV? 1, index ss. vv. et CID II. ind. ss vv. 36 Inv. E 67, cfr. SEG XXXIII, 286.

Deux voisins: Argos et Épidaure

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personnage appartenait à la subdivision Sphyréis, — un nom qu'il faut sürement rapprocher de celui de la phratrie des Sphyréidai" et peut-étre de celui du héros Sphyros, fondateur mythique, on l'a vu, du plus important des Asclépieia d'Argos" . L'intensité des échanges entre les cités est attesté aussi par les proxénes que les deux cités s'échangeaient? . Des concours attiraient des athlètes étrangers à Épidaure dès l'époque archaique. Peu avant le milieu du IV* s., les inscriptions attestent l'envoi de théores et l'appointement de théarodoques dans les cités. Paula Perlman a démontré que l'on avait cherché ainsi à rehausser l'éclat des concours en l'honneur d'Asclépios. Les premiéres listes datent de 360-359 av. J.-C. Cet honneur pouvait, sans que cela soit

obligatoire, étre accordé conjointement à celui de proxéne. ment des listes de théarodoques* et des décrets individuels‘' décrets accordant ces honneurs à des citoyens étrangers" . détail des procédures? . L'un des plus anciens personnages Argien, Drymos, vers 350“ :

On a retrouvé non seule, mais encore des listes de Elles nous éclairent sur le honorés de la sorte est un

ἔδοξε τᾶι πόλι vá τῶν ᾿Επιδαυρίων Δρῦμον ᾿Επικράτεος ᾿Αργεῖον ϑεαροδόκον εἶμεν τοῦ ᾿Ασκλαπίου καὶ πρόξενον τῶν ᾿Επιδαυρίων αὐτὸν καὶ ἐκγόνους ..

Dès la mainmise d'Argos sur les concours de Némée, dans le dernier quart du IV* 5., des influences d'Épidaure sont perceptibles dans l'organisation des concours. Au VT s., c'est Cléonai qui présidait les Concours Néméens. Dans le dernier tiers du IV* s., la petite cité fut absorbée par Argos qui assura par la suite la présidence des Concours Néméens. Ceux-ci, dans un premier temps, continuérent d'étre organisés dans le sanctuaire de Némée. Plus tard, ils furent transférés à Argos méme et organisés conjointe' ment avec les concours en l'honneur d'Héra* . Nous ne savons pas quand les concours organisés à l'Héraion en l'honneur de la déesse protectrice d'Argos furent instaurés, ni quel était leur mythe de fondation“ . Je me demande si la légende de Cléobis et Biton, morts dans l'enceinte du sanctuaire durant leur sommeil pendant la nuit qui suivit leur exploit, n'a pas été l'aition du concours" , Des épreuves hippiques existaient déjà à l'époque archaique* et il est raisonna-

Y Cfr. M. Piérart, ‘Phratries et 'kómai' d'Argos', Bull. corr. hell. 107, 1983, p. 272. 38 Cfr. supra, n. 27.

P Par ex., le décret d'Argos pour Kleandros d'Épidaure: W. VoLLGRAFF, Mnemosyne 43, 1915, pp. 374376 F (P. PERLMAN, City and Sanctuary in Ancient Greece. The Theorodokia in the Peloponnese, Góttingen 2000,

p. 213, A 7); Décret d'Epidaure pour Drymos, ci-dessous n. 44.

* p. PERLMAN, Theorodokia, pp. 180-184, E 1-2. 2! p. PERLMAN, Theorodokia, pp. 196-204, E 7-17. 4 p. PERLMAN, Theorodokia, pp. 184-194, E 3-6. % Cfr. P. PERLMAN, Theorodokia, pp. 81-95.

"^ p. PERLMAN, Theorodokia, p. 200, E 12 (SEG XXVI, 445). 55 Cfr. M. PiénanT - J.-P. THALMANN, "Nouvelles inscriptions argiennes', Bull. corr. hell. Suppl. 5, 1980, pp. 261-269; S. G. MiLLER, Nemea, Berkeley et al. 1984; P. PERLMAN, Theorodokia, pp. 131-155.

^5 Cfr. P. AMANDRY, ‘Sur les concours argiens', Bull. corr. hell. Suppl. 5, 1980, pp. 211-253.

4 Hdt. 1, 31 (dont dépendent presque toutes les sources ultérieures); Paus. 2, 20, 3 (cfr. 2,19, 5); Pollux 7, 61. Cfr. PE. Arias, s.v. ‘Biton et Kleobis', LIMC III, 1986, 1, 119-120 et 2, 95-96.

* Cfr. l'épigramme d'Hysematas (SEG XI, 305, XXXIII, 294), datée de 525-500? par L. JEFFERY, The

Local Scripts of Archaic Greece, Oxford 19907, p. 169 n° 21.

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Marcel Piérart

ble d'admettre l'existence d'un concours contemporain du deuxiéme programme architectural du sanctuaire, qui date du VI° s.?. Dès l'instauration de la démocratie et l'unification de la plaine, Argos a tenté de donner un certain lustre à ce concours. Des ustensiles de bronze reçus en prix παρ᾿ πέρας ᾿Αργείας entre 470-460 et 420 ont été retrouvés en divers endroits du monde grec? . Les concours en l'honneur d'Héra prirent, à l'époque classique, le nom d'Hecatomboia. Ils furent comme les Néméa, transférés à Argos au début de l'époque hellénistique. Les concours conjoints prirent alors le nom d’ ‘Hpaia καὶ Népea”. L'usage de conférer le titre de théorodoque aux proxènes de la ville, d'abord pratiqué par Epidaure, fut imité par Argos. Je pense que ce fut dans un tout premier temps pour la seule théarodoquie d'Héra" , puis plus tard, pour les deux concours. Les décrets de la haute époque hellénistique contiennent la formule" : πρόξενον ἦμεν xai edepyétav τᾶς πόλιος τῶν ᾿Αργείων καὶ ϑεαροδόκον τοῦ Διὸς τοῦ Νεμέαι

καὶ τᾶς Ἥρας

τᾶς

᾿Αργείας.

Il est probable qu'en dépit des hostilités, les cités n'ont jamais cessé d'être à l'écoute l'une de l'autre. Le recueil d'Aristote contenait une Constitution d'Épidaure, mais les fragments conservés ne concernent que son passé mythique? . D’après les Aetia Graeca, la cité formait une oligarchie de 180 citoyens détenant le politeuma, parmi lesquels étaient choisis des bouleutai appelés ἄρτυνοι. Le reste de la paysannerie non servile était surnommée xovirtodec” . Le renseignement n'est pas daté, mais il ne peut avoir trait à une époque trés récente.

Au V' s. des magistrats sont connus à Argos sous le nom d' ἀρτῦναι᾽". À vrai dire, ils ne sont connus que par le traité de 420 reproduit par Thucydide” . Il serait sans doute bon de rappeler que les manuscrits de Thucydide portent ai apriva, qui suppose un féminin ἀρτύνα au lieu du masculin ἀρτύνας qui est communément supposé”. Αἱ ἀρτῦναι pourrait être le pendant rigoureux de ai ἔνδημοι dpyat chargées, par le méme traité, de préter serment à Athénes. Préteraient serment le conseil, les Quatre* Sur l'histoire des concours, cfr. P. AMANDRY, art. cit. (n. 46).

50 Cfr. SEG XI, 330 (XXX, 52: 430-420 ?), 355 (XXX, 366: 460-450), XXX, 367 (440), 648 (430-420), 1456

(470 P} 450).

?! Sur le nom des concours argjens, cfr. P. ANGEL: BERNARDINI, 'Hekatombaia o Heraia di Argo”, Stadion 2, 1976, pp. 213-217; P. AMANDRY, art. cit. (n. 46), et ‘Le bouclier d'Argos', Bull. corr. hell. 107, 1983, pp. 627-

634; L. Moretti, ‘Dagli Heraia all'Aspis di Argo’, Miscellanea gr. rom. 16, 1991, pp. 179-189.

52 Cfr. le décret publié par W. VOLLGRAFF, Mnemosyne 43, 1915, pp. 379-380 K (SEG XXXIII, 277; P.

PERLMAN, Theorodokia, pp. 219-220, A 13), où seule est mentionnée la théorodoquie d'Héra.

5 Cfr. P. PERLMAN, Theorodokia, pp. 208-228, A 2-28.

5% Arist. fr. 498,1 et 2 G.

5 plut. Aitia Graeca 1 (Mor. 291E). *5 Pour toutes les questions d'histoire constitutionnelle le point de départ obligé demeure M. WonRLE, Untersuchungen zur Verfassungsgeschichte von Argos im 5. Jahrhundert vor Christus, Stuttgart 1964, complété par M. PiérarT, ‘Argos. Une autre démocratie’, in P. FLENSTED-JENSEN - Th. H. NiELSEN - L. RUBINSTEIN (edd.), Polis and Politics. Studies in Ancient History presented to Mogens Hansen, Copenhagen 2000, pp. 297314.

57 Thuc. 5, 47, 9.

3% Cfr. A.W. Gomme - A. ANDREWES - K. J. Dover, A Historical Commentary on Thucydides IV, Oxford,

1970, p. 59 (où l'on opte pour le masculin). Le féminin est retenu par H. BENGTSON, Die Staatsvertráge des Altertums II, München 1962’, p. 127.

Deux voisins: Argos et Épidaure

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vingts et les magistrats. Quelle que soit la cité en cause — on hésite entre Argos méme et les Tirynthiens d'Haliai — les συναρτύοντες d'IG IV 554 pourraient être l'ensemble des magistrats en charge à l'époque où siégeait le conseil visé par le texte? . Il est intéressant que les mots ἀρτῦναωᾶἄρτυνοι ne se trouvent, dans l'état actuel de nos connaissances, qu'à Argos et à Épidaure. D'autres points communs existent entre les institutions d'Argos et Épidaure, dans le systéme de subdivision de la population. La réforme démocratique avait mis en place à Argos un systéme de quatre tribus comprenant chacune douze subdivisions, probablement des phatrai ou phratries* . Dès le milieu du V* s., le citoyen argien est normalement désigné par son nom et sa phratrie, et non plus par son nom et son phylétique, comme c'était le cas auparavant‘. Peu aprés Chéronée, un troisiéme élément apparait dans le nom des citoyens : il s'agit de la mention, au nominatif, d'un lieu de résidence (par exemple Asina, Elaión, Hysea Anó, Koila, Lyrkeion, Mykana, Zarax)? . Il est probable qu'à côté de l'organisation personnelle de la population, qui demeure inchangée, a été introduite une subdivision de la population fondée sur une base territoriale. Une inscription datant du III° s. avant J.-C. prévoit l'enregistrement d'un nouveau citoyen, Alexandros de Sicyone, sur les stéles érigées dans le sanctuaire d'Apollon Lykeios où sont inscrits les noms des autres citoyens dans la tribu (phylé), la phratrie (phatra) et la pentékostys de son choix? : ἀϊν]γράψαι ἐνς τὰνς στάλανς τὰνς ἐν τῶι ἱερῶι τοῦ ᾿Απόλλωνος

| τοῦ Λυκείου,

T και τοὶ ἄλλοι πολῖται γεγραβάνται, ἐ[ν)ς φυϊλὰν καὶ φάτραν καὶ πεντηκοστύν, ἄν κα αὐτὸς προαιρῆται.

L'hypothése qui vient le plus "phatronyme" dans l'élément qui patronymique avec un suffixe en serait l'élément qui vient s'ajouter

naturellement à l'esprit consiste à reconnaitre un se présente, dés le V* s., sous la forme d'un adjectif -idas, ou comme un ethnique en -eus. La pentekostys dans le dernier tiers du IV* s.* . Or un trait caractéris-

5 Cfr. H. van EFFENTERRE - F. Ruzé, Nomima I, Rome 1994, n? 107, pp. 380-384. $9 Cfr. Ch. Kryrzas, “Aspects de la vie politique et économique d'Argos au V* siècle avant J.-C.', in M. PIERART (éd.), Polydipsion Argos, Athènes-Fribourg-Paris 1992, pp. 231-240. (Cfr. SEG XLI, 282, 284, 288,

291). Nous ignorons quand une quatrième tribu, celle des Hymathioi s'ajouta aux trois tribus doriennes traditionnelles. Elle apparait pour la première fois dans une dédicace des ἰαρομνάμονες de l'Héraion qu'on date maintenant de 460-450 avant J.-C. (IG IV 517 [SEG XI, 303]; cfr. L. JEFFERY, op. cit. [n. 48], p. 170 n? 32). Comme il y avait déjà quatre hiéromnémons à l'Héraion vers 480-475 (O. WaLTER, Ósterr. Jahr.

Archdol. 1911, Beiblatt, p. 141; cfr. L. JEFFERY, op. cit. (n. 48], p. 169 n° 21), nous ne pouvons exclure l'hypothèse que la tribu des Hymathioi existait avant la réforme démocratique. Mais il est certain que les cadres anciens furent remaniés lors de la réforme démocratique. Nous connaissons maintenant tous les noms des subdivisions de la tribu des Hymathioi au V* s.: on y trouve notamment des Δαιφοντέες (Daiphontès était le mari d'Hyrnéthó) et des Τημενίδαι (Témenos était son père), qui tiennent leur nom de héros de

la légende du retour des Héraclides. * Une trace du changement est perceptible dans le traité entre Cnossos et Tylissos placé sous l'égide d'Argos (R. Meiccs - D. Lewis, Gr. Hist. Inscr. 42 [vers 450]); dans le texte proprement dit, le président du

conseil est désigné par son phylétique (1. 44), alors que dans l'amendement, il l'est par son 'phatronyme* (l. 45).

9 Cf. M. PiénanT, art. cit. (n. 37), pp. 269-275; ‘À propos des subdivisions de la population argienne”,

Bull. corr. hell. 109, 1985, pp. 345-356; ‘Deux notes sur l'histoire de Mycènes', in Serta Leodiensia Secunda, Liège 1992 pp. 377-387.

$ L. Moretti, ISE I, Florence 1967, 41, 10-12 (SEG XXX, 359). ** Cfr. M. PiéRART, art. cit. (n. 56), pp. 298-300, avec la bibliographie sur la question.

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tique du nouvel usage est que le nouvel élément apparait toujours comme un substantif féminin au nominatif, qui est simplement apposé au nom du personnage. Par exemple: Θίων Ποιμωνίς, Μενέδαμος ' Aotva, Θιόκριτος Κολουρίς, Νικόδαμος Σκληpts, etc. . Dans un premier temps, le nom de la phratrie tendit méme à disparaître,

sauf dans le nom du président et du secrétaire. Par la suite, cependant, on voit réapparaître le “phatronyme”. Vers le milieu du III° s., l'identité complète du citoyen comprenait quatre éléments : le nom, le nom du père au génitif, le “phatronyme” et la pentekostys. Par exemple“ : ᾿Ορϑαγόρας Πυϑίλα Κλεοδαΐδας Στιχέλειον.

Les raisons mémes de cette réforme n'apparaissent pas clairement. Elle est contemporaine des accroissements territoriaux du dernier tiers du IV* s. et pourrait avoir répondu à la nécessité d'un nouveau recensement de la population. Il est hors de doute cependant que les Argiens ont imité, plus ou moins fidélement, une institution d'Épidaure. Épidaure connaissait comme Argos un systéme de quatre tribus. Cité dorienne, elle dut avoir d'abord les trois tribus traditionnelles, qu'on retrouve à Calymna et à Cos, qui passaient pour ses colonies” . Fruit d'un remaniement, les inscriptions classiques et hellénistiques révèlent l'existence d'un système de quatre tribus. Deux d'entre elles portent des noms d'origine dorienne: Dymanes, Hylleis. Les deux autres noms sont d'origine différente: Azantioi et Hysminatai* . Les tribus semblent avoir joué un róle important dans le fonctionnement des organes politiques, le mode de composition des collèges de magistrats et l'organisation militaire? . Or, en dessous, on trouve des subdivisions qui paraissent avoir une origine territoriale, dont trente-neuf noms sont connus. Le plus souvent, leur nom figure dans la nomenclature des citoyens, tantót au nominatif, comme simple apposé, comme à Argos, tantót au génitif. Ainsi, par exemple: --κατάλογος βουλᾶς -- κατάλογος

᾿Αριστίων

’ Eprdato®

βουλᾶς Νίκαιος Πολιτάδος"

Ces noms renvoient, comme à Argos, à des toponymes: Mecoyatc, Οἴσεια ἕνερϑεν, Οἴσεια ὕπερϑεν, Τειχιὰς ἔνερϑεν ...”. La relation précise entre ces groupements de

6 *6 % 5

L. Morerm, ISE Cfr. M. Piérart, Cfr. N. F. Jones, Cfr. IG IV? 1, 28

I, Florence 1967, 40, 32; 52, 40-41. Bull. corr. hell. 107, 1983, p. 271. Public Organization in Ancient Greece, Philadelphia 1987, pp. 107-111. (146 B.C.). Cfr. N. F. Jones, op. cit. (n. 67).

*? Cfr. N. F. Jones, op. cit. (n. 67). Les décrets émanent du conseil et du peuple.

P? IG IV? 1, 49, 14-15 (= P. PERLMAN, Theorodokia, p. 197, E 8), à côté de "EprAatdog: IG IV? 1, 96, 28 (P. Perlman, Theorodokia, pp. 184-189, E 3), 103, 90. — Les documents officiels sont authentifiés par le nom d'un ou plusieurs κατάλογοι BouA&; (e.g. SEG XXVI, 145, P. PER. MAN, Theorodokia, p. 200, E12). Mais le magistrat éponyme de la cité parait étre le prétre d'Asklépios (IG IV? 1, 103, cfr. R. SHERK, “The Eponymous

Officials of Greek Cities. I', Zeitschr. f. Pap. u. Epigr. 83, 1990, pp. 267-268.

71 SEG XXVI, 145, 17-20 (= P. PERLMAN, Theorodokia, p. 200, E 12) à côté de [1[oA cas: IG IV? 1, 108,111.

72 Cfr. P. Pen MAN, Theorodokia, p. 85 n. 76.

Deux voisins: Argos et Épidaure

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la population et les subdivisions apparemment d'origine personnelle que forment les tribus a été discutée”. Dans quelques cas, ces noms paraissent préciser des noms de tribus. Par exemple: — Eni καταλόγων βουλᾶς ἐπὶ τᾶς τελείας, ᾿Αζα[ντίων] Ξενοδόκου, Ζευξία, ᾿Αριστομήδευς, ᾿Αρ[ιστάνδρου], ἔδοξε - ἐπὶ καταλόγων βουλᾶς ἐπὶ τᾶς τελείας, A[u]u&vev Καλλιδάμου, ἔδοξε .."* — ἐπὶ καταλόγων βου[λ]ᾶς ἐπὶ τᾶς τελείας, Ὑλλέων

Παγασίνας ' Aprotapyou, ..."* Βουνοίας Διονυσοδώρου, 76 Πολιτάδος, ἔδοξε .."5.

Ν. F. Jones, suivi par Paula Perlman, a suggéré qu'à un moment donné, on avait redistribué les citoyens entre les tribus en les regroupant d'aprés leur domicile. D'aprés la chronologie des inscriptions, c'est le systéme d'Épidaure qui est le plus ancien. Une réforme semblable a-t-elle eu lieu à Argos? Je n'irai pas jusqu'à l'affirmer. Il paraît assuré que, dès la réforme du V* s., les tribus se sont partagé une partie au moins du territoire argien, tant à la ville qu'à la campagne, ce qui a pu influencer la répartition dela population" . Les pentekostyes — si tel était bien leur nom — sont des groupements de nature territoriale, mais dans l'état actuel des connaissances, rien ne prouve qu'elles sont des subdivisions des phratries et des tribus. Quoi qu'il en soit, le fait que les citoyens d'Argos et ceux d'Épidaure soient désignés d'une maniére analogue, qu'on ne retrouve nulle part ailleurs, prouve à quel point les relations de voisinage sont importantes dans la diffusion de modèles institutionnels. Histoire

Nous ignorons presque tout de l'histoire archaique d'Épidaure. Du temps des Cypsélides, il y eut à Épidaure un tyran appelé Proclés qui eut des démélés avec eux" . Les découvertes des derniéres décennies permettent de relire un peu mieux nos sources littéraires à partir des guerres médiques, auxquelles Épidaure prit une part active. Elle figurait parmi les vainqueurs à Delphes et à Olympie” . Lors des troubles qui agitèrent Argos au début du V* s., Épidaure accueillit des réfugiés de cette cité, ainsi Kallip(p)os et ses serviteurs, suppliants d'Apollon Pythios, — et peut-étre d'autres semblables à lui”. Elle était membre de la ligue du Péloponnèse®’ . On la trouve ainsi aux côtés des

? Cfr. N. F. Jones, op. cit. (n. 67), pp. 107-111, qui attribue la réforme à la tyrannie de Proclés. P. PERLMAN, Theorodokia, pp. 85-87.

74 75 76 77

IG IV? 1G IV? IGIV? Cf. M.

1, 96, 47-48; P. PERLMAN, Theorodokia, 1, 96, 51-52; P. PERLMAN, Theorodokia, 1, 96, 47-48; P. PERLMAN, Theorodokia, Piénanr, "L'attitude d'Argos à l'égard

p. p. p. des

187, E3 187, E3 187, E3 autres

XIV. XIV. XV. cités d'Argolide', in M. H. Hansen (ed.), The

Polis as an Urban Centre and as a Political Community, Copenhague 1997, p. 341.

7 Hdt. 3, 50-52.

Delphes: R. Meiccs - D. Lewss, Gr. Hist. Inscr. 27, 4. Olympie: Paus. 5, 23, 1-2.

80 SEG XXVI, 449 (H. VAN EFFENTERRE - F. Ruzé, Nomima Il, Rome 1995, 28); cfr. V. LAMBRINOUDAKIS, ‘Un réfugié argien à Épidaure au Ve s. avant J.-C.', Compt. rend. Acad. Inscr. 1990, pp. 174-185.

8! Thuc. 5, 57, 1.

28

Marcel Piérart

Corinthiens dans le combat qui les opposa victorieusement aux Athéniens à Halieis, avant d’être défaits à Kekryphaleia* . Elle envoya cinq navires au secours de Corinthe

en 435%. C'est pourquoi, dés 430, les Athéniens ravagèrent périodiquement son territoire jusqu'à la paix de Nicias. La guerre qui éclata entre Argos et Épidaure en 419 pour un différend concernant la victime due par les Épidauriens à Apollon Pythaeus entraîna l'intervention des Athéniens, qui paraissent d'ailleurs l'avoir provoquée* . Les Argiens, qui, selon Thucydide, cherchaient un prétexte pour s'emparer d'Épidaure, le trouvérent dans la violation, par cette dernière, de ses devoirs religieux's : Τοῦ δ᾽ αὐτοῦ 9épouc ᾿Επιδαυρίοις καὶ ᾿Αργείοις πόλεμος ἐγένετο, προφάσει μὲν περὶ τοῦ ϑύματος τοῦ ᾿Απόλλωνος τοῦ Πυϑαέως, ὃ δέον ἀπαγαγεῖν οὐκ ἀπέπεμπον ὑπὲρ βοταμίων ᾿Επιδαύριοι (κυριώτατοι δὲ τοῦ ἱεροῦ ἦσαν ᾿Αργεῖοι) ... Le méme été, la guerre mit aux prises Épidaure et Argos. Officiellement, il s'agissait de la victime d'Apollon Pythaeus, que les Épidauriens auraient dà prélever chez eux pour leur droit de páture [?] et qu'ils n'avaient point envoyée (les Argiens avaient la haute main sur le sanctuaire) ...

Comme j'ai eu l'occasion de le faire valoir ailleurs, l'emploi du superlatifxuptocacot dans ce contexte signifie simplement, comme l'avait bien senti J. de Romilly, que c'étaient les Argiens qui détenaient l'administration du sanctuaire" . Aprés la bataille de Mantinée, les Spartiates amenérent les Argiens à faire la paix avec les Épidauriens**. Une clause malheureusement corrompue du traité entre Sparte et Argos concernait la victime due par les Épidauriens” : ὦν περὶ δὲ và σιῶ σύματος, αἱ μὲν λῆν, τοῖς ᾿Επιδαυρίοις ὅρκον δόμεν, «αἱ» dé, αὐτὼς ὀμόσαι ... .. en ce qui concerne les offrandes à faire au dieu, les Argiens feront, s'ils le veulent, préter serment aux Épidauriens; sinon ils le préteront eux-mémes.

82 R. Marcas - D. Lewis, Gr. Hist. Inscr. 33 (460 ou 459); Thuc. 1, 105, 1; Diod. Sic. 11, 78.

9 Thuc. 1, 27, 2. 9^ Thuc. 2, 56, 4-5; 4, 45, 2; 6, 31, 2.

$ Thuc. 5, 26, 2: ᾿Επιδαύριος πόλεμος; 53-55; 56-58; 75, 4-5. 5 "Thuc. 5, 53 (traductionJ. de Romilly). — Je ne crois pas, en dépit de W. VOLLGRAFF (Le sanctuaire d'Apollon Pythéen à Argos, Paris 1956, p. 30) qu'il y ait quoi que ce soit à tirer de Diod. Sic. 12, 78, 1:* Ἀργεῖοι μὲν ἐγκαλέσαντες

τοῖς Λακεδαιμονίοις

ὅτι τὰ ϑύματα

οὐκ ἀπέδοσαν

τῷ

᾿Απόλλωνι

τῷ

Πυϑίω,

πόλεμον αὐτοῖς χκατήγγειλαν. C'est un écho déformé des événements rapportés par Thucydide. Cfr. M. Piérart, ' "Y" ᾿Αργείων ἐπεβλήϑη ζημέη (Hérodote VI, 92). Aspects des relations extérieures d'Argos au Ve siècle’, in Ed. Fn£zouis (f) - A. JACQUEMIN (edd.), Les relations internationales, Paris 1995, pp. 297-308. Cfr. par ex. Thuc. 2, 62, 2: ἐγὼ δὲ ἀποφαίνω δύο μερῶν τῶν ἐς χρῆσιν φανερῶν, γῆς καὶ ϑαλάσσης, τοῦ ἑτέρου ὑμᾶς παντὸς χυριωτάτους ὄντας, ἐφ᾽ ὅσον τε νῦν νέμεσϑε xai ἣν

ἐπὶ πλέον βουληϑῆτε; Lys. C. Ératosthéne 36: ἔστι πάντων τῶν ἐν τῇ πόλει κυριωτάτη (ὰ propos du vote des juges); Ps.-Dem. C. Nééra 88: ‘O γὰρ δῆμος 6' Αϑηναίων, κυριώτατος ὧν τῶν ἐν τῇ πόλει ἁπάντων καὶ ἐξὸν αὐτῷ ποιεῖν 6 τι ἂν βούληται ... (R. KOHNER - B. GERTH, Ausf. Gramm. der griech. Spr.

[I 1, 1893, $ 349b, pp. 21-22). 88 Thuc. 5, 77-80.

$ Cfr. A. W. Gomme - A. ANDREWES - K. J. DOvER, op. cit. (n. 58), p. 72.

Deux voisins: Argos et Épidaure

29

C'était un prétexte, mais il était à prendre au sérieux: les gens d'Épidaure avaient contracté des obligations envers un sanctuaire d'Apollon Pythaieus. Il est sans doute vain de rechercher ce sanctuaire ailleurs que sur l'ancien territoire d’Asiné. En commentant des inscriptions nouvelles qui se rapportent à l'histoire de la jeune démocratie argienne, Ch. Kritzas mentionne un décret hellénistique, encore inédit, sou-

lignant les états de service d'un duttvarhp τᾶς ἱερᾶς xai δαμοσίας χώρας, qui avait forcé ceux qui l'occupaient illégalement à rendre la terre sacrée tá te Ἥραι καὶ τῶι ‘HpaxAei xat Πυϑαεῖ καὶ ' AXnxtpuavc? . Il rappelle l'existence d'une borne provenant d’Iria, qui porte la mention Πυϑῆιδος. Elle devait servir à marquer les terres que

possédait le dieu. Elle a été publiée par L. Jeffery en méme temps qu'une dédicace à Apollon datant de 400 av. J.-C. environ faite par des phrouroi” . Cette dédicace s'inscrit dans un ensemble bien connu d'inscriptions d'Épidaure. Nous nous trouvons en fait

dans une zone frontière entre Argos et Épidaure. La plaine fertile d'Iria, à une trentaine

de kilométres à l'est de Nauplie, à l'extrémité orientale du golfe de Tolon, est constituée par les atterrissements du Bedheni, un torrent qui prend sa source dans le massif du Mavrovouni, qu'il contourne par le sud. On identifie le Mavrovouni avec le Koryphaion" , où l'on pouvait voir l'olivier appelé Strepté, dont Pausanias se demande s'il avait bien été placé là par Héraclès pour borner le pays d'Asiné” . Ainsi est confirmé, sans qu'il soit plus besoin de le corriger, le texte du pseudo-Scylax qui mentionne, dans le golfe Argolique, une côte de 30 stades appartenant à Épidaure”. Avec une fenêtre sur le golfe d'Argolide et dominant une vallée reliant la plaine d'Argos à un excellent port sur la cóte ouest du golfe Saronique, la cité d'Épidaure représentait un intérét stratégi-

que de premier plan dans la perspective d'une alliance entre Athénes et Argos. Cet intérét n'avait évidemment pas échappé à Alcibiade. Aprés l'épisode oligarchique qui suivit la bataille de Mantinée, Argos et Épidaure furent le plus souvent dans des camps opposés. Alors qu'Argos, rentrée dans l'alliance d'Athènes” lui restait fidèle après le désastre de Sicile, Epidaure participa activement à la construction de la flotte péloponnésienne et aux opérations” . Son commandant eut sa statue à Delphes, aux côtés de Lysandre” . Argos adhéra en 395 à la quadruple alliance avec la Béotie, Athènes et Corinthe” . On retrouve Épidaure à la bataille de Némée aux cótés de Sparte? . Elle semble étre restée fidéle à Sparte méme aprés la bataille

Ὁ Ch. KRITZAS, art. cit. (n. 60), pp. 236-238.

?! L, H. Jerrenv, "Two Inscriptions from Iria”, APXAJOA. AEATION 21, 1966, À’, pp. 18-25 (SEG XXIV, 274, 275).

2 Le nom n'est pas sûr. La leçon des manuscrits de Pausanias est KOPY®ON. On a restitué Kopuφαῖον d'après Étienne de Byzance, s.v.: ὄρος ἐπὶ τῷ ᾿Επιδαυρίῳ, ἐν ᾧ τιμᾶται “Ἄρτεμις Kopupaia. Παυσανίας δευτέρῳ. Τὸ ἐθνικὸν Κορυφαῖος.

% Paus. 2, 28, 2.

% Ps.-Scylax 51. Sur cette région et les frontières entre Argos et Épidaure, cfr. M. H. Jameson - C. N. RunneLs - T. H. νὰν ANDEL, A Greek Countryside. The Southern Argolid from Prehistory to the Present Day, Stanford 1994, p. 570.

% Thuc. 5, 82, 5; IG 1° 83 (cfr. Staatsvertráge, 196). % Thuc. 8, 3, 2.

°° Paus. 10, 9, 10.

% Diod. Sic. 14, 82, 1 (cfr. Staatsvertráge, 292).

9? Xen. Hell. 4, 2, 16.

30

Marcel Piérart

de Leuctres'®. En 359, Épaminondas ravagea son territoire sans réussir à la prendre". Elle se rapprocha alors d'Athénes'”, puis, peut-être, de Thébes'? . Durant la guerre que les cités grecques menérent contre Philippe de Macédoine,

Argos observa une stricte neutralité'*. Elle joignit la Ligue de Corinthe en 338/337, qui lui rendit la Thyréatide. Dans ce contexte, elle arbitra, au nom de la ligue d'autres différends'” . A. Burford a supposé qu'après Chéronée, Épidaure a passé un temps sous la domination d'Argos, comme Corinthe l'avait été un temps au début du siécle'”. Argos, qui bénéficiait de l'appui de la Macédoine, a pu en profiter pour imposer son autorité à sa voisine.

Je voudrais verser au dossier une inscription qui a résisté jusqu'à présent à la sagacité des interprétes'" . Il s'agit d'un décret de proxénie de facture argienne trouvé à Épidaure, où il était exposé dans le sanctuaire d'Asclépios. Il date, d’après l'écriture, du IV* siècle. Je propose d'en restituer les dernières lignes comme suit: rpó[E]evov [καὶ εὐεργέ]!ταν εἶμεν τοῦ [δᾶμου ᾿Αργείων ἐν ᾿ΕἸπιδαύρωι xa[rotxoóvtov: ἔλεξε) | Πειϑίλαίς. Il est fort possible, en effet, qu'à un moment donné du IV* s., Argos ait pu installer, pendant quelque temps, une clérouquie à Épidaure. L'événement prendrait son sens à l'époque où Argos bénéficiait des faveurs de la Macédoine. Mais l'ignorance oü nous sommes de l'histoire des deux cités ne permet pas d'exclure une date plus haute dans le IV* siécle. Conclusions

Si l’on considère l'ensemble des sources, les relations entre Argos et Épidaure apparaissent contrastées. De l'époque archaique, nous ne pouvons presque rien dire. Quand elles entrent dans l'histoire, les deux cités ne sont pas dans le méme camp. Entre elles, la guerre et la paix se décident dans le cadre d'alliances plus vastes. Cités voisines, elles sont conduites presqu'inévitablement à s'affronter sur la question des frontières (méme s'il s'agissait d'un prétexte, Alcibiade n'eut semble-t-il aucune peine à réveiller les rancœurs des Argiens pour l'affaire des victimes d' Apollon). Il se peut méme que les Argiens aient réussi à installer, pendant un temps, une clérouquie à Épidaure. Mais cette hostilité permanente n'empécha pas des échanges et des influences réciproques.

Des échanges existaient naturellement, comme à travers tout le monde grec, dans 1% Xen. Hell. 6, 2, 3; 5, 29; 7, 2, 2.

19! 102 19 1% 1%

Xen. Hell. 7, 1, 18-19; Diod. 15, 69, 1. Arist. Rhet. 1411a 11-13 (cfr. Staatsvertráge, 274) Isocr. Archidamos 91 (cfr. Staatsverträge, 285). Dem. Couronne 64, 295. Cfr. Paus. 2, 20, 1; IG. XII 3, 1259 (A. MAGNETTO, Gli arbitrati interstatali greci Il, Dal 337 al 196 a. C..

Pisa 1997, pp. 1-8, n° 1). 106 A. BURFORD, op. cit. (n. 9), p. 17, se référant notamment à l'absence d'Épidaure dans la distribution de blé de Cyrène (SEG IX, 2). Argos avait annexé Corinthe en 392 (Xen. Hell. 4, 4, 1-6; And. Surla Paix 2627, 32), mais dut se résoudre à l'abandonner en 387/6, lors de la paix du Roi (Xén. Hell. 5, 1, 34-36). La

nature de cette union fait l'objet de discussions: cfr. M. M. Austin, ap. D. M. Lewis - J. BOARDMAN - S. HORNBLOWER - M. OsTwALD, Cambridge Anc, Hist. VI, Cambridge 19947, p. 530 et n. 9 et P. J. RHODES, ibid.

p. 587 et n. 90. 107 IG IV? 1, 69, complété par un nouveau fragment (SEG XI, 400). Je réédite l'inscription en appendice.

Deux voisins: Argos et Épidaure

31

le cadre des concours et des cultes. Des Argiens fréquentérent trés tót, à titre individuel, les sanctuaires d'Apollon Maléatas et d'Asclépios. La fouille du sanctuaire d'Apollon a permis de mettre au jour deux nouveaux autels de type ‘rural’ avec dédicace à Artémis Hégémoné et Apollon Deiradiotés"* . C'est une épiclèse qu'il portait à Argos'” . Plus tard, lorsqu'on lancera les grands programmes de construction, beaucoup de comman-

des seront passées à des entrepreneurs argiens. Argos vivait en démocratie depuis les années 470-460. J'ai laissé de cóté la nature du régime en vigueur à Épidaure. Il semble qu'elle ait connu un régime étroitement oligarchique à l'époque archaique. Son appartenance à la ligue de Corinthe, au V* siécle, invite à y supposer un régime modéré. Au IV* s., cependant, les nombreux décrets passés devant le conseil et l'assemblée plaideraient plutót en faveur d'un régime démocratique. Quoi qu'il en soit, des influences d'Épidaure sont perceptibles à cette époque dans les institutions argiennes, en particulier dans le mode de subdivision de la population. Des influences peuvent aussi étre décelées dans la maniére dont Argos a géré les concours Néméens aprés l'absorption de Cléonai. Dans tout cela, c'est toujours Épidaure qui donne le ton.

108 La fouille du sanctuaire d'Apollon Maléatas a cependant permis de mettre au jour "deux nouveaux autels de type ‘rural’ avec dédicace à Artémis Hégémonè et Apollon Deiradiotés" (A. PARIENTE, Bull. corr. hell. 112, 1988, p. 627; SEG XXXVIII, 320-321).

19% Paus, 2, 24, 2. Cfr. M. PiéRART, ‘Un oracle d'Apollon à Argos’, Kemos 3,1990, pp. 319-333.

32

Marcel Piérart

Appendice

Le décret de proxénie pour Meneklès de Phlionte trouvé à Épidaure Deux fragments apparemment jointifs de la partie supérieure d’une stèle rectangulaire. Fr. 1. Contient le milieu des 5 premiéres lignes de l'inscription. Connu par une copie de J. Baunack: "H. 0,135; Br. 0,17; T. 0,12. Zeichen 0,01" et une autre de Fredrich, dont M. Fraenkel a pu disposer pour les IG IV. Apparemment perdu après la visite de ce dernier à Épidaure. Fr. 2. Fragment de la partie supérieure droite de la stéle, retrouvée et publiée par M. Mitsos. Contient des restes de 8 lignes. Dimensions: hauteur 0.18 m.; largeur 0.21 m.; épaisseur, 0.08. Bibliographie:J. Baunacx, “Zu den inschriften aus Epidauros', Philologus 54, 1895, pp. 60-61, n? 1. M. FRAENKEL, IG. IV, 923 (d’après une copie de Fredrich). F. HILLER VON GAERTRINGEN, IG

IV? 1, 69 (Cfr. W. VOLLGRAFF, ‘Ad titulos Argivos', Mnemosyne 58, 1930, p. 40 n° 14). M. Mrrsos, "Inscriptions from Eastern Peloponnesos', Hesperia 16, 1947, pp. 82-84, n? 1. (J. et L. RoBERT, Bull. épigr. 1948, 67). Cfr. W. VoLucrare, ‘Un décret de la ville d'Argos', Mnemosyne NS 2, 1949, pp. 1-4 (SEG XI, 400.J. et L. RoBERT, Bull. épigr. 1950, 108). W. Peek, Inschriften aus dem Asklepicion von Epidauros,

Berlin 1969 (Abh. AW Leipzig 60, 2), p. 23, n° 24. P. CHARNEUX, ‘Phratries et kómai d'Argos', Bull. corr. hell. 108, 1984, p. 218. Ip. ‘En relisant les décrets argiens”, Bull. corr. hell. 114, 1990, p. 411

(SEG XL, 335). Sil'on s'en tient aux restitutions absolument assurées, le texte se présente comme

8.



ς

——

&[o

c

À



x

c

ve



4.

e

᾿Αλιαίαι ÉS[o]Ee ἰαρῶν : ἀρή(τενε) : Al toc Kepxddac : γρο(φεὺς) : Avatx[ Aeuxupidas MevexAr MI Φλειάσιον πρό[ξ]ενον [καὶ εὐεργέταν εἶμεν τοῦ [ Ἐπιδαύρωι καί Πειϑίλα!ίς



M

wei

suit (j'ai souligné les lettres du fragment perdu):

Commentaire:

Le mérite d'avoir reconnu le caractére argien du décret revient à M. Fraenkel, qui ne disposait encore que de trés peu de parallèles. W. Vollgraff (1930) a amélioré la lecture de l'intitulé et reconnu les phatronymes du président et du secrétaire. Aussi longtemps qu'on ne possédait que le fr. 1, il était logique de voir en Ménéklés un citoyen d'Epidaure, qui, par fierté, avait fait dresser la stéle dans le sanctuaire principal de sa patrie''”, Mais le fr. 2, apportant la preuve que Meneklès était citoyen de Phlionte, obligeait à chercher une autre explication de la présence de la stéle dans le sanctuaire d'Asclépios.

MO U. von WiLAMOWITZ-MOELLENDORFF, ap. IG IV? 1, 69.

Deux voisins: Argos et Épidaure

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M. Mitsos a pensé le premier à une présence politique des Argiens à Épidaure: This influence, though nowhere mentioned, could have taken place in one of two periods: (1) in the second quarter of the fourth century B. C., in which the inscription appear to belong, and more specifically in the period ofthe war between Argos and Epidauros. It was in this interval perhaps that the Argives, who were at war also with Phlius held sway over Epidauros and that Menekles, a democrat in exile, was appointed proxenos by virtue of his status as an exile; or (2) in the period immediately after the battle of Chaeronea, when Mnaseas, the friend of Philip, was in power in Argos. It is stated [...] that he set up Athenogenes, the Athenian metic, as archon-tyrant in Troezen. [...] It is possible therefore that Epidauros politically was attached to Argos ...

Mais il restait à expliquer la présence du décret à Épidaure méme. Mitsos suggérait, sans pouvoir la justifier, la restitution πρό[ξ]ενον [καὶ εὐεργέ]ταν εἶμεν τοῦ [δᾶμου (?) τοῦ ἐν ᾿ΕἸπιδαύρωι xa. W. Vollgraff (1949) a pensé qu'on pouvait avoir donné l'ordre d'ériger une statue de Ménéklès dans le sanctuaire et proposait de lire:

8.

meó[E]evov [καὶ εὐεργέταν εἶμεν τοῦ [δάμου, εἰκόνι δ᾽ ἐν Eπιδαύρωι κα[ταστᾶσαι αὐτὸν χαλκέαι Πειϑίλαϊ[ς ἔλεξε.

] ] ] ]

Cette restitution a fait l'unanimité contre elle: cfr.J. et L. Robert (1950), W. Peek (1969), P. Charneux, (1984 et 1990). W. Peek a proposé de lire à la place: πρό[ξ]ενον [xai εὐεργέ-

8.

]

ταν εἶμεν τοῦ [δάμου. τοῦδε δ᾽ ἐν "E-

|]

πιδαύρωι κα[ταϑέμεν αντίγραφον Πειϑίλαίς

] |

ἔλεξεν

Il n'a pas davantage convaincu P. Charneux (1990). Ce dernier critiquait aussi à juste titre l'ordre des mots de la formule Πειϑίλα[ς ἔλεξε inhabituel à Argos, où l'on aurait inmanquablement écrit. ἔλεξε Πειϑίλας. Mais il n'a tenté aucune explication.

On admettra facilement avec M. Mitsos qu'Argos, qui réussit à s'imposer un temps à Corinthe'!!, a pu se rendre maître d'Épidaure à un moment donné. Le formulaire, les institutions et la facture générale du décret et de la stéle sont argiens. On pourrait aisément remplir les lacunes des noms propres avec des noms attestés à Argos méme'". Mais la pierre était exposée à Épidaure avec laquelle elle a affaire, comme le nom qu'on lit à la ligne 7. On n'échappe pas à la conclusion que le décret a été voté par des Argiens installés à Épidaure, et qu'ils étaient alors les maîtres du sanctuaire. On doit étre en

11 Cfr. ci-dessus, n. 106. ΕΙΣ Aquapéros, Δαμόφαντος, Δαμόχαρτος, Atpxetog, Διόδοτος, pour le président, sont tous des noms attestés à Argos: cfr. P. M. Fraser - E. MATTHEWS, A Lexicon of Greek Personal Names IIl A, Oxford 1997, s. vv. Λυσικράτης, nom probable du secrétaire aussi: cfr. ibid.

34

Marcel Piérart

présence d'une colonie ou d'une clérouquie argienne qui a pu, à la faveur d'événements inconnus de nous, s'emparer un temps du sanctuaire et peut-étre méme de l'ensemble de la cité. Or une communauté de ce genre se distingue habituellement de sa cité d'origine par une formule qui contient le nom du lieu où elle est installée. J'ai rassemblé un grand nombre de formules de ce genre de provenances diverses dans un article consacré à la structure du territoire de Milet'?. Il me suffira de rappeler ici la maniére dont sont désignés les Athéniens des clérouquies: ὁ δῆμος ὁ ᾿Αϑηναίων τῶν

(κατ)οικούντων ἐν suivi du datif du lieu. C'est précisément une formule de ce genre qu'on trouverait ici, si l'on restituait κατοικούντων à la 1. 7. Compte tenu de la coupe syllabique des lignes, leur longueur approximative, donnée par la 1. 5, est de 26 lettres. Je restituerais donc ainsi: πρό[ξ]ενον [καὶ evepyé-] ταν εἶμεν τοῦ [δᾶμου ᾿Αργείων ἐν Ἔ- |] πιδαύρωι κα{τοικούντων᾽

8.

Πειϑίλαίς

ἔλεξε

]

]

312 M. Piérart, ‘Athènes et Milet. Il. L'organisation du territoire’, Mus. Helv. 42, 1985, pp. 278-279.

DALL'ASTY

GENEALOGIE ARGIVE: PHORONIKON ALLA CITTÀ DI CARLO

PERSEUS

BRILLANTE

Il terna di questa relazione riguarda le genealogie argive, che analizzeró non in rapporto alla storia o alla preistoria della regione, ma al significato che esse assumono nella costituzione del territorio e nell'affermazione dei costumi e delle attitudini degli abitanti. Richiamandosi al modello greimasiano, Calame ha mostrato come il racconto genealogico sia caratterizzato da una serie di enunciati di stato, che normalmente assumono la figura di alleanze matrimoniali, cui si accompagnano altri "enunciati di fare",

che sono messi in atto ogni volta che interviene una nuova generazione! . Questa trasformazione non é riducibile alla somma dei contenuti precedentemente investiti, né si esaurisce nel raggiungimento di un risultato atteso, già in qualche modo preannunciato dalle qualità dei genitori; ogni generazione tende invece a caratterizzarsi per la presenza di un apporto nuovo, sconosciuto alla precedente. Ció significa che la trasformazione messa in atto si traduce in un accrescimento progressivo dei contenuti investiti nel racconto. Ció che viene dopo non si sostituisce interamente a ció che esisteva prima; il nuovo si aggiunge all'antico, variamente integrandosi con esso, secondo un divenire che - direi - è proprio di ogni processo culturale, fino al raggiungimento di quelle condizioni, riconosciute come stabili e definitive, che pongono le premesse per gli ordinamenti attuali della comunità. Nelle genealogie greche questa condizione si raggiunge attraverso mutamenti graduali che si concludono solo in quella fase che, dopo gli studi dei Chadwick e di Bowra, chiamiamo “età eroica”? . Un processo di questa natura può seguirsi abbastanza bene quando disponiamo di genealogie estese e di vari racconti relativi ai personaggi che in esse figurano. Le genealogie argive soddisfano entrambe queste condizioni, ma non va sottovalutato il fatto che le notizie pervenuteci sono spesso incomplete ed eterogenee. Riportate da autori che riflettono orientamenti e interessi distanti fra loro, non appare

agevole, in molti casi, ricostruire priorità e dipendenze. Un tentativo notevole di ricostruzione storica basato su queste premesse fu messo in atto da Eduard Meyer nell'ambito di un riesame generale delle tradizioni relative ai Pelasgi? . Nonostante l'interesse che alcune tesi conservano tuttora nella ricerca, il tentativo non puó considerarsi riusci! C. CaLame, "Le récit généalogique spartiate: la représentation mythologique d'une organisation spatiale’, Quad. di storia 26, 1987, p. 46 s. è H. M. CHapwick, The Heroic Age, Cambridge 1912. Il tema fu ripreso, su più ampia base comparati-

va, in H. M. CHapwick - N. K. CHApwick, The Growth of Literature 1-Π|, Cambridge 1932-1940; C. M. Bowna, Heroic Poetry, London 1952 (tr. it. La poesia eroica, Firenze 1979), Ip., "The Meaning of a Heroic Age’, in Earl Grey Memorial Lecture, Newcastle 1957(= Language and Background of Homer, ed. G. S. Kirk,

Cambridge 1964, pp. 3-28); G. L. Huxiev, "Distinguishing Characteristics of Heroic Ages”, Maynooth Rev.

22, 1976, pp. 3-12.

? E. MeveR, ‘Pelasgos in Argos. lo und die Danaiden. Der argivische Stammbaum, in Forschungen zur

alten Geschichte 1, Halle 1892, pp. 67-101.

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Carlo Brillante

to: la serie di rapporti, derivazioni e sintesi che egli propone restano largamente ipotetici. Soprattutto l'orientamento generale, chiaramente espresso all'inizio di questa ricerca, che riconduce i diversi rapporti genealogici a rielaborazioni erudite che avrebbero avuto inizio in età tardo-arcaica‘, non appare, almeno in questa forma, condivisibile. Se da un lato un lavoro critico sulle versioni tramandate può farsi risalire senza difficoltà a questo periodo, dall'altro andrebbe considerato il fatto che la presenza di versioni diverse rappresenta un dato costituzionale della mitologia greca, riferibile alle condizioni stesse nelle quali il mito veniva tramandato. Quando si cominció a esercitare una riflessione “critica” e quindi a "porre ordine" al suo interno, molti racconti costituivano già un patrimonio comune. Un esercizio di ricostruzione storica nell'ambito di questi dati richiede quindi la più ampia cautela. Soprattutto per una regione ricca di tradizioni mitiche come l'Argolide, gradiremmo orientarci meglio, ad esempio, fra tradizioni attribuibili alla poesia epica, spesso destinate a una diffusione panellenica e tradizioni locali, nelle quali un ruolo di rilievo fu svolto, fin da età arcaica, dalla città di Argo. In uno studio recente W. Burkert ha riesaminato le tradizioni argive distinguendo tra quelle risalenti a età micenea ed altre attribuibili a età più recente e ha considerato entrambe in rapporto al ruolo che svolgono nella poesia epica? . Andrebbe inoltre considerato sia il fenomeno della dipendenza di versioni locali da tradizioni epiche, sia quello inverso dell'influsso che tradizioni locali hanno potuto esercitare sulle tradizioni epiche panelleniche. Solo in alcuni casi possiamo ricostruire questi processi con sufficiente plausibilità. Nella descrizione offerta da Pausania delle tombe reali di Micene (circolo A), ad esempio, è possibile osservare come la tradizione locale si fosse formata da un lato sulla base della testimonianza omerica, dall'altro sull'interpretazione che veniva offerta delle tombe e delle stele ancora visibili all'interno della rocca‘ . Non intendo tuttavia riprendere tali problemi: per quanto riguarda le tradizioni locali della città di Argo, considerate in rapporto al territorio e alla documentazione archeologica, basterà rinviare agli studi di Polignac e di Piérart' . In questa sede vorrei invece presentare i risultati di un riesame delle genealogie argive, condotto prevalentemente sulla base di quelle che sono per noi le testimonianze più ampie ed organiche: la Periegesi di Pausania e la Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro. In queste opere sono confluite notizie di varia origine — fatto di cui bisognerà tener conto nell'esame di problemi specifici — ma le successioni genealogiche che esse presentano non sono da considerare, nel loro complesso, l'esito casuale di elaborazioni suc* MEYER, 0p. cit. p. 4. 5 W. BURKERT, ‘La cité d'Argos entre la tradition mycénienne, dorienne et homérique', in Le Panthéon des origines à la Périégèsede Pausanias (= Kernos Suppl. 8), a cura di V. PIRENNE-DELPORGE, Liège 1998, pp. 4759.

$C. BRILLANTE, ‘Le tombe reali di Micene nella testimonianza di Pausania", in ' Ext πόντον πλαζόμενοι. Simposio italiano di studi egei, dedicato a Luigi Bernabò Brea e Giovanni Pugliese Carratelli, Roma 1999, pp. 355364.

7 F. pe Pouicnac, La naissancede la cité grecque, Paris 1984 (tr. it. La nascita della città greca, Milano 1991 [versione aggiornata]; M. PiéRarT, ' ‘Argos assoiffée' et ‘Argos riche en cavales'. Provinces culturelles à l'époque proto-historique', in Polydipsion Argos, a cura di M. Pigrart, Athénes-Fribourg 1992, pp. 119-148

(= Bull. corr. hell. Suppl. 22); lo., 'Omissions et malentendus dans la "Périégése": Danaos et ses filles à Argos, in Le Panthéon des originesà la Périégèse de Pausanias, cit. pp. 166-193; ID., "Pausanias et les généalogies

d'Argos: Étude de quelques problèmes’, in Généalogies mythiques, a cura di D. AucER - S. Sato, Paris 1998,

pp. 141-161.

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cessive, prive, nel loro complesso, di un proprio significato. Su molti punti importanti esse presentano una sostanziale concordanza; é stato inoltre dimostrato che le genealogie della Biblioteca riflettevano, almeno nell'impianto generale, una successione già affermatasi in età tardo-arcaica, come mostra il confronto con il Catalogo esiodeo* . Ció permette di affermare che almeno da questo periodo si era costituito un complesso di tradizioni abbastanza omogeneo, affidato alla poesia epica, nel quale figuravano molti degli eroi più famosi del mito greco. Personalmente non ritengo che ciò rappresenti l'esito meccanico di tradizioni eterogenee, riflettenti orientamenti di età, regioni e autori diversi. Se consideriamo i personaggi che figurano in esse e le storie di cui sono protagonisti come parte di un unico racconto nel senso anzidetto, ci accorgeremo che questa sistemazione non è priva di un suo significato. Esamineró quindi le genealogie argive come un'unica storia, un racconto lungo composto al suo interno di varie unità, che si dispiega attraverso varie generazioni e vede l'apporto, in fasi successive, di personaggi forniti di attitudini diverse. Finora ho parlato volutamente di "regione argiva" e di "tradizioni argive" e non di “Argo”, perché mi sembra che tutti i miti che figuravano nel Catalogo esiodeo — ma che dobbiamo immaginare narrati anche in poemi epici come la Popuvic ela Aavaíc, di

cui conosciamo solo pochi frammenti — narrassero la storia dell’intera regione e non di una singola città. Di ciò troviamo traccia nella testimonianza omerica. Non vorrei riprendere qui il tema, più volte discusso, del significato di ”Apyog in Omero, ma non posso evitare di richiamare alcuni dati che saranno utili anche nell'esame che seguirà. Come è noto, il toponimo in Omero designava sia la città sia la regione dell'Argolide, sia, in termini ancora più generali, l'intero mondo greco dal quale provenivano gli eroi greci che combattevano a Troia? . Nell'antichità già Aristarco aveva notato come " Apyoq designasse in Omero non la città ma l'intero Peloponneso". Strabone riprendeva questa osservazione e aggiungeva: Ἄργος δὲ καὶ τὸ πεδίον λέγεται παρὰ τοῖς

νεωτέροις, παρ᾽ ᾿Ομήρῳ δ᾽ οὐδ᾽ &rab μάλιστα δ᾽ οἴονται Μακεδονικὸν καὶ Θετταλικὸν εἶναι'". Questa testimonianza fornisce due indicazioni importanti: (a) &pYoc, inteso come nome comune, aveva il significato di “pianura”; l'uso era tuttavia attestato solo presso i νεώτεροι, in autori cioè posteriori a Omero; (b) questo significato

del termine si sarebbe conservato solo in Macedonia e in Tessalia. Prendendo spunto da questa osservazione, possiamo notare che &pyoc, come nome comune nel significato di pianura, non é largamente attestato, ma non mancano alcune testimonianze significative: l'incipit dell'Elettra euripidea, anche se talvolta si è dubitato, ma probabilmente a torto, della forma tradita (à γῆς παλαιὸν ἄργος, ᾿Ινάχου poat), un frammento * Vd. A. Casanova, “Un frammento trascurato e il problema della divisione in libri del Catalogo esiodeo', Riv. ital. filol. class. 45, 1973, pp. 22-27; M. L. West, The Hesiodic Catalogue of Women, Oxford 1985, pp. 44 s., 76-82. Sugli orientamenti seguiti nella costituzione delle genealogie in età tardo-arcaica e sui rapporti con la nascente storiografia vd. da ultimo Cum. Jacos, ‘L'ordre généalogique entre le mythe et l'histoire’, in

Transcrire les mythologies, a cura di M. DEnENNE, Paris 1994, pp. 169-194; inoltre la raccolta di saggi curata da D. Bouvier e C. CALAME, Philosophes et historiens anciens face aux mythes, Ét. de Lettres 2, 1998. ? Vd. ad esempio D. L. Pace, History and the Homeric Iliad, Berkeley 1959, p. 164 n. 33; G. STENER,

Lexikon des frühgriechischen Epos, Güttingen 1979, coll. 1208-1210. Cf. R. Drews, ‘Argos and Argives in the Iliad ', Class. Philol. 74, 1979, pp. 115-124, il quale tuttavia esclude che il termine in Omero designi l'Argolide o il Peloponneso.

19 K. Lens, De Aristarchi Studiis Homericis, Lipsiae 1882, p. 224 s.

! Strab. 8, 6, 9 (372).

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dell'Ecale di Callimaco (Αἴσηπον ἔχεις, ἑλικώτατον ὕδωρ, Νηπείης f) τ᾽ &pyoc,

ἀοίδιμος ᾿Αδράστεια, con riferimento al campo di Nepeia in Frigia)", e un frammento del tardo poeta epico Dionisio, che nella Gigantiade menzionava il Δώτιον ἄργος, con riferimento alla pianura tessalica'?. Date queste premesse, dovremo prendere in seria considerazione la seconda indicazione di Strabone e ritenere che il nome &pyoc, al di là del suo valore etimologico che rimane incerto'*, potesse designare, come nome comune, la pianura. La sporadicità dell'uso e il fatto che lo stesso Strabone limiti la sua attestazione alla Grecia settentrionale (Tessalia e Macedonia) fanno ritenere che il ter-

mine si fosse conservato con questo valore in un'area marginale, fosse divenuto cioé una glossa e come tale fosse ripreso da Callimaco. Se il nome ἄργος designava originariamente la pianura, potremo forse intendere meglio l'uso omerico, dove il termine,

nel suo valore di toponimo, è usato in senso esteso, con riferimento a varie regioni della Grecia: l'Argolide, l'intero Peloponneso, ma anche la Tessalia (Πελασγικὸν “Apyoc). Seguendo fino in fondo questa linea interpretativa, potremo ritenere che l'estensione del medesimo termine alla città — con riferimento non soltanto all'Argolide, ma anche

ad altre regioni della Grecia (' Apyoc ᾿Αμφιλοχικόν,

᾿᾽Ορεστικόν e altre) - rappresenti

uno sviluppo successivo, come ha sostenuto Wathelet, attraverso un'attribuzione del

termine alla città più importante che sorgeva nella pianura" . Egli ha osservato in proposito che gli epiteti omerici riferiti al nome di Argo fanno spesso riferimento alla fertilità del suolo ἀππόβοτος, πολύπυρος, οὖϑαρ ἀρούρης), richiamano cioè una qualità propria della pianura!‘ . Possiamo aggiungere che un nome neutro per designare una città è fenomeno piuttosto raro in greco, che normalmente adotta il femminile" . È lecito ipotizzare su questa base che, quando il nome di Argo passó a designare la città, per la regione si adottasse la nuova denominazione di ᾿Αργολίς, da intendersi come forma aggettivale (' Apyokis χώρα, μοῖρα), con il medesimo valore di ' Apyeta, che poteva essere riferito sia alla città di Argo sia all'intera regione dell'Argolide. Forse non è casuale che, introducendo la storia mitica di questa regione, Pausania si riferisca ad

" Fr. 299 Pf. (= 116 Hollis); cf. fr. 464 Pf.; Apollod. FGrHist 244 F 175 (= schol. Apoll. 1 1116).

!3 Fr. 15b Heitsch (= 29 Livrea); cf. Steph. Byz. s.v. Δώτιον.

^ Il nome può essere ricondotto alla radice *Hyerg, presente anche nell'aggettivo ἀργός, che alla nozione di movimento rapido associava quella di luce e di bianco: cf. F. BecHTEL, Lexilogus zu Homer, Halle 1914, p. 57; P. CHANTRAINE, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, Paris 1968-81, s.v. " Apyoc, ἄργος, pp. 103-105. Su &pyoc nel significatodi "pianura" vd. G. BONFANTE, Riv. filol. class. 97, 1969, p. 187.

P. WATHELET ha sostenuto che, in età protostorica, ἄργος. inteso come "la bianca", potesse designare la pianura coltivata in opposizione all'ombrosità delle montagne (οὔρεά

te

σκιόεντα) e all'oscurità delle

foreste (δάσκιος ὕλη): ‘Argos et l'Argolide dans l'épopée, spécialement dans le Catalogue des vaisseaux‘, in Polydipsion Argos (cit. n. 7), p. 105. Questa tesi è stata respinta da P. Sauzeau, che segue la medesima etimologia ma riconduce la nozione di luminosità a quella di ritorno alla vita e, nella prospettiva degli Achei, di desiderio della patria lontana: "Argos nourricière de cavales. Emplois formulaires et nonformulaires du nom d'Argos chez Homère’, in Hommage à Milman Parry, ed. F. LÉTOUBLON, Amsterdam

1997, pp. 189-199; Ip., ‘Un probléme homérique: Πολυδίψιον “Apyog (Iliade, IV, 171), Rev. ét. gr. 111, 1998, p. 422 n. 14. Ma questo rappresenta piuttosto un valore aggiunto, connotativo, del termine. 5 WATHELET, art. cit. (n. 14), p. 105 s.; così pure A. S. HoLus, movendo dall'uso callimacheo: Callimachus. Hecale, Oxford 1990, p. 303.

16 A ATHELET, art. cit. (n. 14), p. 102 s.

17 E. SCHWYZER, Griechische Grammatik, p. 33 e n. 2.

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essa come alla regione “ora chiamata Argolide" (ἡ νῦν ᾿Αργολίς), quasi a richiamare il carattere recenziore della denominazione? . Per quanto attiene alle tradizioni, si ricor-

derà che l'eroe eponimo Argos, figlio di Niobe e nipote di Phoroneus, conferisce il proprio nome all'intera regione e non alla città, come afferma puntualmente Pausania (ὠνόμασεν dp’ αὑτοῦ τὴν χώραν)". In conclusione possiamo affermare che sia l'uso omerico del termine, sia gli epiteti che l'accompagnano, sia il racconto mitico ribadiscono in forme diverse che il territorio argivo costituiva originariamente un'unità e che esso aveva come centro la pianura. Ne

consegue che le imprese e i personaggi che figurano in queste tradizioni vanno considerati in rapporto alla regione considerata nel suo complesso e principalmente in rapporto a quello che costituiva il suo nucleo maggiore: la pianura attraversata dall’Inachos. La storia dei centri che occupavano il versante meridionale, come Tirinto, Nauplia, la stessa Argo, e quelli che si trovavano più a nord, ma che si affacciavano sulla medesima pianura, come Micene, Midea, l'Heraion, danno vita a un'unica storia, che vede alternarsi periodi di ascesa e decadenza e il primato ora dell'una ora dell'altra città. Anche il racconto genealogico presuppone un'ambientazione di questo tipo. 1. Nell'esame che seguirà mi limiterò ad esaminare alcuni momenti di questa storia: quelli che portarono l'Argolide ad assumere gradualmente la fisionomia definitiva. Come si è detto, la successione delle varie figure eroiche, cui era delegata tale funzione - tutte operanti, almeno fino all'età di Perseus, nell'ambito di un'unica famiglia: gli Inachidai — era già chiaramente delineata nella poesia epica di età arcaica. Distinguerei in quest'ambito tre fasi principali: l'età delle origini, l'età di Danaos e delle Danaidi, l'età eroica. Il personaggio mitico più antico della regione è Inachos, che la Biblioteca dello PseudoApollodoro presenta come figlio di Okeanos e Tethys, divinità delle origini che, secondo la Teogonia esiodea, generano tutti i fiumi? . Inachos fonda la regalità e introduce il sacrificio in onore di Hera, ponendo cosi le premesse per l'inizio della vita in comune; attraverso poi l'attribuzione del nome al fiume maggiore che attraversa la pianura, contribuisce a una prima definizione del territorio. Quale figlio di Okeanos e Tethys, egli é legato all'età delle origini. Acusilao lo collocava nella medesima età nella quale in Attica ebbe luogo il diluvio”! . Pausania riporta una tradizione secondo la quale generò Phoroneus nella sua qualità di divinità fluviale? . Ricalcando un ruolo spesso attribuito a queste figure, Inachos era considerato il sovrano più antico, iniziatore delle istituzioni culturali e capostipite della famiglia regnante? . Era anche protagonista di uno dei gran" Paus. 2, 15, 4; W. Pare - G. E. BenseLer, Wórterbuch der griechischen Eigennamen, s.v. ' ApyoM; H. M. HoENiGSWALD, "The Name of the Argolid', Word 31, 1980, pp. 105-107. Questa interpretazione fu respinta da Hirschfeld, secondo il quale Pausania affermerebbe la recenziorità del termine solo in rapporto all'età di Inachos (s.v. ‘Argolis’, RE Il 1, 1895, col. 728), ma ciò urta con la lettera del testo pausaniano.

? Paus. 2, 16, 1. Cosi pure [Apollod.], Bibl. 2, 1, 2 (Apyog δὲ λαβὼν τὴν βασιλείαν ἀφ᾽ ἑαυτοῦ τὴν

Πελοπόννησον

ἐκάλεσεν

" Apyoc); schol. Eur. Or. 1246.

20 Paus. 2, 15, 4; [Apollod.], Bibl. 2, 1, 1; cf. Hes. Theog. 337-370.

?! Acus. FGrHist 2 F 23.

22 Paus, 2, 15, 5. 2 L. PreLLER- C. Rosenr, Theogonie und Goetter, Berlin-Zürich 1894*, p. 546 5.; LEHNERDT, in Ausführliches Lexicon der griechischen und rómischen Mythologie | 2 (1886-1890), s.v. 'Flussgótter', col. 1487.

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di miti argivi: insieme con altri due fiumi della regione — Kephisos e Asterion - fu giudice nella contesa che oppose Hera a Poseidon per il possesso della terra. Il giudizio favorevole a Hera privó per molte generazioni il territorio argivo dell'apporto delle acque sorgive. Ció diede inizio a un lungo periodo di siccità nella regione che, priva delle acque di fonti e pozzi, poteva disporre unicamente dell'apporto delle piogge. Assistiamo qui a un primo mutamento nella natura del territorio.

Il più antico sovrano dotato di natura umana era Phoroneus, πατέρα ϑνητῶν ἀνθρώπων, secondo la versione della Phoronis”* . Inachos, infatti, anche se aveva tratti umani, apparteneva ancora al mondo divino; le azioni che gli erano attribuite lo mettevano in rapporto con altre divinità, le quali intervenivano insieme con lui per porre le premesse di uno stabile insediamento umano. Pausania valorizza implicitamente questo punto affermando che Phoroneus fu il primo uomo a essere nato in terra argiva (ἐν τῇ γῇ ταύτῃ γενέσϑαι πρῶτον)". A lui si faceva risalire la più antica aggregazione degli uomini in una comunità (ἄστυ Φορωνικόν). Alla costituzione di una prima società umana si accompagnava quindi l'introduzione dei tribunali* . Inoltre, secondo una tradizione di origine locale, che Pausania attribuisce agli Argivi con l'intento dichiarato di contrapporla a quella esiodea, a Phoroneus era attribuito il ritrovamento del fuoco, caduto allora per la prima volta dal cielo in terra argiva” . A questa fase più antica risaliva anche il ritrovamento del ferro, che un frammento della Phoronis attribuiva ai Daktyloi Idaioi, presentati come Frigi e abitanti dei monti, ma anche come abili artigiani e conoscitori delle arti di Efesto, che essi per primi introdussero in Grecia? . In passato si è ritenuto che nella Phoronis il ritrovamento del fuoco ad opera di Phoroneus ponesse le premesse per l'invenzione della fusione e introducesse quindi anche la lavorazione dei metalli? . A questa tesi Détienne ha obiettato che il fuoco caduto dal cielo non è quello normalmente usato dagli uomini; egli ha quindi

proposto una diversa interpretazione, che valorizza un altro elemento della genealogia: la discendenza di Phoroneus da Melia, la ninfa del frassino. Essa apparterrebbe a quella serie di ninfe degli alberi che sulla sommità recano il fuoco della folgore, di origine celeste? . Nella Teogonia di Esiodo questo fuoco, di cui gli uomini godevano prima del furto di Prometeo, è di tipo sostanzialmente diverso in quanto inadatto alle esigenze umane. Zeus, adiratosi per l'inganno del titano che aveva portato all'istituzione del sacrificio, sottrasse il fuoco agli alberi di frassino (v. 563 5.: οὐκ ἐδίδου μελίῃσι πυρὸς μένος ἀκαμάτοιο / ϑνητοῖς ἀνθρώποις), ma gli uomini poterono ugualmente pro2 Fr. 1 Bernabé. Cosi pure Acusilao (2 F 23a), Plat. Tim. 22a.

2 Paus, 2, 15, 5; cf. Hyg. Fab. 143.

% Paus, loc. cit.; Steph. Byz. s.v. " Apyoc. In uno scolio all'Oreste di Euripide (932) la prima aggregazio-

ne degli Argivi è attribuita a Inachos; la notizia riflette forse una tradizione che attribuiva a Inachos e non a Phoroneus il ruolo di primo uomo (F. Jacosy, Die Fragmente der griechischen Historiker. Kommentar, ad

Acus. 23-27, Leiden 1957*, p. 380). Phoroneus quale inventore dei tribunali è ricordato in P. Oxy. 1241, 4, 35.

27 Rispettivamente Paus. 2, 19, 5, da integrare con la notizia fornita da schol. Soph. El. 4. 28 Phoronis fr. 2 Bernabé; cf. Poll. 2, 156 (τεχνῖταί

te καὶ πάντων

ἐργάται).

? Vd. in tal senso PnELLeR-Rosenr, Die griechische Heldensage Il 1, p. 279, seguito da F. STOESSL, s.v. ‘Phoronis’, RE XX 1, 1941, col. 648, e da HuxLey, Greek Epic Poetry from Eumelos to Panyassis, London 1969, p.32.

9 M, DeneNNE, ‘Le Danaidi tra loro. Una violenza fondatrice del matrimonio”, in La scrittura di Orfeo, tr. it. Roma-Bari 1990, p. 40 s.

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gredire perché Prometeo, in risposta all'iniziativa di Zeus, rubó il fuoco divino nascondendolo in una ferula" . Secondo Détienne il fuoco celeste rinvenuto da Phoroneus sarebbe del primo tipo, come mostrerebbe il fatto che é usato da lui per costruire le armi di Hera e ottenere in cambio la regalità” . Questa tesi, nonostante l'indubbio interesse, si imbatte in alcune difficoltà. Il fuoco che si origina dalla folgore e colpisce la cima degli alberi non é sempre escluso dall'uso umano. In un passo di Diodoro Efesto mostra agli uomini come esso possa essere conservato e usato perle loro necessità" . Inoltre il fatto che gli Argivi opponessero la figura di Phoroneus a quella di Prometeo fa ritenere che, nelle tradizioni di questa città, il primo svolgesse una funzione affine a quella svolta dal titano nella Teogonia. È preferibile quindi orientarsi verso una diversa soluzione e ritenere che la versione argiva sull'origine del fuoco - quello normalmente usato dagli uomini — fosse abbastanza diversa da quella narrata da Esiodo della Teogonia. Ció significa che in questa versione del mito, che conosciamo solo imperfettamente, Phoroneus svolgeva probabilmente il ruolo di primo uomo e insieme di eroe culturale, aggregando funzioni che, come affermava Robert, sono normalmente

distribuite tra Deukalion e Prometeo. Il rapporto tra

Phoroneus e Melia puó essere interpretato diversamente. La presenza della ninfa del frassino potrebbe avere il fine di stabilire un legame con l'età delle origini, precedente il primo insediamento umano. Nella Biblioteca essa è madre di Phoroneus e figlia di Okeanos*, nella Teogonia nasce dalle gocce del sangue di Urano, cadute sulla terra insieme con le Erinni e i Giganti (vv. 183-187). Il nome stesso che designa l'albero di frassino richiama nel mito greco un'antichità remota, che rinvia ai tempi nei quali gli uomini nascevano dagli alberi" . Non diversamente da Inachos Melia presentava alcuni tratti che ne richiamavano origini e funzioni, ma dalla loro unione sarebbe nato in terra argiva il primo uomo. Possiamo quindi concludere che il ferro trovato da Phoroneus era quello destinato a essere usato dagli uomini. La sua scoperta, insieme con il rinvenimento accidentale del fuoco, poneva le premesse per la lavorazione dei metalli, che nella Phoronis è attribuita ai Daktyloi Idaioi**: ol πρῶτοι [sc. ᾿Ιδαῖοι Φρύγες] τέχνηις πολυμήτιος ‘Hpaiototo εὖρον ἐν οὐρείῃσι νάπαις ἰόεντα σίδηρον ἐς πῦρ t^ ἤνεγκαν καὶ ἀριπρεπὲς ἔργον ἔτευξαν.

Questa prima fase della vita in comune degli Argivi appare quindi caratterizzata dall'introduzione del fuoco e dalla lavorazione dei metalli, resa possibile dall'invenzio-

?! Hes, Theog. 565-569. 32 Hyg. Fab. 274, 8. 3 Diod. 1, 13, 3; cf. Vitr. 2, 1, 1 (entrambi i passi sono citati da DETIENNE, op. cit. [n. 30], p. 195 n. 28). Cf. Th. Cors, Democritus and the Sources of Greek Anthropology, Princeton 1967, pp. 15-17.

% Bibl. 2, 1, 1.

3 Schol. Hes. Theog. 563b: ... ἐξ ἀρχῆς ἐκ Μελιῶν νυμφῶν ἐγεννῶντο οἱ ἄνθρωποι; cf. Op. 143-145 (uomini della stirpe di bronzo discendenti dalle Meliai); M. L. Wesr, Hesiod. Theogony, Oxford 1966, ad vv. 187, 563.

% Phoronis, fr. 2, 5-7. PRELLER-RosERT, Theogonie und Goetter (cit. n. 36), p. 657 s.; B. Hemeerc, ‘Die Idaiischen Dakrylen’, Eranos 50, 1952, soprattutto pp. 41-51.

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ne di tecniche particolari. Resta debole, invece, il riferimento alla coltivazione e ai prodotti cerealicoli. Ma é una debolezza che probabilmente non implicava un'assenza totale, perché il costituirsi di una vita associata non poteva prescindere da un uso, sia pure primitivo e parziale, dei prodotti della terra. A un altro personaggio appartenente alla medesima dinastia, Pelasgos, che Acusilao (e forse già la Phoronis) diceva figlio di Niobe e quindi nipote di Phoroneus, si attribuiva l'introduzione del culto di Demeter Pelasgis (egli ebbe l'onore di accogliere la dea nelle proprie case quando essa si recó ad Argo), mentre da uno scolio euripideo apprendiamo che il medesimo personaggio sarebbe stato il primo a insegnare la preparazione del pane” . Dovette essere un'invenzione di rilievo se da lui la città prese il nome di Argo Pelasgica. Alle generazioni immediatamente successive a quella di Phoroneus sono forse da riportare anche i Cureti. Secondo la testimonianza di Strabone, nella Phoronis erano presentati come αὐληταί di origine frigia** . Sulle loro attribuzioni nelle genealogie argive conosciamo ben poco. Nel mito presentano caratteri abbastanza simili a quelli dei Daktyloi, con i quali sono talvolta confusi? . Diodoro Siculo riporta la tradizione secondo la quale erano γηγενεῖς e quella che li diceva discendenti degli stessi Daktyloi Idaioi'? . Nel Catalogo esiodeo erano connessi con Phoroneus per via femminile in quanto nati da una figlia dell'eroe**; insieme con essi erano menzionati anche i satiri e le ninfe montane. Una connessione con i Daktyloi era forse presente anche nella Phoronis. Un indizio in tal senso è offerto dalla menzione di una divinità — Adrasteia — di cui i Daktyloi sono detti 9ep&rovcec" . Questa divinità è spesso presentata come nutrice di Zeus. Nella Biblioteca Rhea le affida il bambino dopo la nascita; in questa funzione è assistita dai Cureti, che coprono la voce di Zeus con il rumore delle armi? . Una funzione affine Adrasteia svolgeva nell'Inno a Zeus di Callimaco e in Apollonio Rodio; tale affinità di funzioni fa si che essa sia detta talvolta sorella dei Cureti* . Può essere utile richiamare a questo proposito un frammento della Danais, nel quale i Cureti erano forse detti ϑεράποντες della madre degli dei, con un termine che nella Phoronis designava il ruolo svolto dai Daktyloi Idaioi nei confronti di Adrastea. Una presenza dei Cureti nella Phoronis, anche se debolmente attestata, è quindi sug7 Acus. FGrHist 2 F 25; cf. [Apollod.], Bibl. 2, 1, 1; 3, 8, 1, su cui F. STESSI, art. cit. (n. 29), col. 648 (che pensa ragionevolmente a tradizione presente in questo poema). Merer riteneva secondaria la presenza di

Pelasgos nella genealogia, che spiegava con il trasferimento di Argo pelasgica alla più nota città dell'Argolide: an. cit. (n. 3), p. 86 s. Pausania diceva il personaggio figlio di Triopas e lo poneva sei generazioni, con

calcolo inclusivo, dopo Phoroneus (2, 22, 1). Hera accolta da Pelasgos in Argo: Paus. 1, 14, 2. Per l'invenzione del pane vd. schol. Eur. Or. 932.

? Phor. fr. 3 Bernabé (= Strab. 10, 3, 17 [472]). 39 Paus. 5, 7, 6; cf. Strab. 7, fr. 50 Jones (51 Meineke).

“Ὁ Diod. Sic. 5, 65, 1, da leggere in rapporto a Strab. 10, 3, 22 (473). Entrambi i luoghi, secondo BETHE (Untersuchungen zu Diodors Inselbuch', Hermes 24, 1889, p. 413 n. 2), risalirebbero all'opera di Demetrio

di Scepsi o a quella di Apollodoro sul catalogo delle navi; cf. ScHwENN, s.v. 'Kureten', RE XI 2, 1922, col. 2206.

*! ricava tra gli *

[Hes.], fr. 123 M.-W. Cf. tuttavia fr. 10a, 17-19 nella terza edizione (Oxford 1990): dal contesto si che i Cureti erano menzionati tra i discendenti di Doros, quindi nella parte iniziale del poema e non Inachidai; WEST, op. cit. (n. 8), p. 59. Phor. fr. 2, 4 Bernabé.

% [Apollod.], Bibl. 11, 6 s. # Call. Hymn. lov. 47 s.; Apoll. 3, 132-134, con gli scolii a questi passi.

4 Fr. 3 Bernabé, dal Περὶ εὐσεβείας di Filodemo; cf. Huxter, op. cit. (n. 29), p. 37.

Genealogie argive

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gerita dal ruolo che nel poema era svolto dai Daktyloi e da Adrasteia. Più incerto rimane invece stabilire in qual misura le rispettive attribuzioni si differenziassero. In un passo di Diodoro sulle antichità di Creta, di notevole interesse per il nostro tema, si afferma che i Cureti furono i primi a raccogliere gli animali in greggi, a praticare l'addomesticamento e a insegnare le tecniche di preparazione del miele. Ad essi si faceva risalire anche l'arte del tiro con l'arco, della caccia, l'invenzione delle spade, degli elmi e delle

danze armate; avrebbero inoltre insegnato agli uomini l'arte della vita in comune, così che furono i primi a introdurre la concordia e le regole di un'ordinata vita sociale“ . A proposito di questo passo Jeanmaire notava che tutte le novità introdotte dai Cureti presupponevano un regime di vita all'aperto ed erano particolarmente adatte all'apprendimento giovanile"; anche in questa occorrenza essi rivelerebbero le attitudini tradizionali di eroi iniziatori ed educatori dei giovani, proprio di alcune figure mitiche che si collocano agli inizi della storia del mondo, come mostra il caso classico di Chiron, figlio di Kronos e primo educatore degli eroi greci. Non sappiamo naturalmente se i Cureti presentassero questi caratteri anche nella Phoronis o nelle tradizioni argive; ci limiteremo quindi a osservare che questi tratti verrebbero a integrare il quadro tracciato finora: conle loro scoperte i Cureti contribuirebbero a quel processo di incivilimento progressivo della regione che, dalle notizie pervenuteci, appare affidato essenzialmente alle figure di Phoroneus e dei Daktyloi Idaioi. Possiamo aggiungere che il carattere di esseri fascinatori (γόητες), attribuito ai Daktyloi, si inserisce abbastanza bene in questo contesto. La lavorazione dei metalli, infatti, è spesso opera di figure che praticano la magia e che risalgono alla fase più antica della storia dell'umanità. Lo stesso Phoroneus, che presenta più distintamente i tratti dell'eroe culturale, è anche colui che costruisce le armi per Hera: un tratto che lo avvicina ad Efesto, la cui attività quale fabbro e artigiano non era affatto estranea all'esercizio della magia. Nelle genealogie argive, tuttavia, questa funzione doveva essere attribuzione precipua dei Daktyloi. Probabilmente essi integravano l'opera iniziata da Phoroneus fino a comprendere alcune funzioni proprie dell'eroe culturale, che peraltro non sono in contrasto con le precedenti‘ . Questa fase più antica si conclude con l'attribuzione del nome alla regione da parte di un nipote dello stesso Phoroneus - Argos — dal quale, come abbiamo detto, prendeva nome l'intero territorio argivo. Questo personaggio era figlio di Niobe, figlia a sua volta di Phoroneus. La presenza di una generazione femminile segnala, in questo come in altri casi che esamineremo più avanti, un distacco più marcato rispetto alla fase precedente. Argos non si limitava a concludere, con la nominazione del territorio, l'opera iniziata da Phoroneus - che veniva cosi ad essere parzialmente isolato nel ruolo di primo uomo e di eroe culturale - ma era anche il capostipite di una dinastia regale che avrebbe governato l'Argolide per varie generazioni, fino all'età di Gelanor: sette gene-

“6 Diod. 5, 65, 1-4. Per questo aspetto dell'attività dei Cureti, forse valorizzato nella Phoronis, vd. ad esempio Serv. Dan. ad Verg. Aen. 3, 131: ad plurimas res maximi usus hominibus extitisse. Altri testi in SCHwENN, art. cit. (n. 40), col. 2207. Sui caratteri che presentano queste e analoghe figure mitiche - Daktyloi, Telchini, Coribanti, satiri e altri - che si facevano risalire all'età delle origini, vd. A. BrELICH, Gli eroi greci, Roma 1958,

p . 325-351.

TH. JEANMAIRE, Couroi et Courétes, Lille 1939, pp. 438-440. *8 M. Éuape, Forgerons et alchimistes, Paris 1977, pp. 78 s., 87.

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Carlo Brillante

razioni, con calcolo inclusivo, nella narrazione di Pausania; dieci generazioni, di cui due femminili, in quella dello Pseudo-Apollodoro* .

2. La successiva fase di crisi nella regione ha inizio con le peregrinazioni di Io, la sacerdotessa di Hera amata da Zeus. Nella Phoronis incontriamo un personaggio che svolge le medesime funzioni, ma che ha un nome diverso: Καλλιϑόη κλειδοῦχος 'Oλυμπιάδος βασιλείης, / "Hong 'Apgyetnc? . Forse i due nomi sono riconducibili a tradizioni diverse, rispettivamente argiva e tirinzia. In questo caso l'assimilazione sa-

rebbe già nota all'autore del Catalogo esiodeo. Qui infatti Io, appartenente alla tradizione argiva, era detta figlia di Peiren, personaggio legato alla tradizione tirinzia, nella quale figurava quale primo scultore di un'immagine di Hera, dedicata nel tempio di Tirinto" . In seguito alla partenza dell'eroina che, dopo varie peregrinazioni, giunge in Egitto, la sovranità dell'Argolide é ereditata da un ramo collaterale della medesima stirpe: a lasos, padre di Io, succede Krotopos, figlio di Agenor. Questi sovrani regnano sulla regione per tre generazioni — Krotopos, Sthenelas e Gelanor nella versione di Pausania — fino al ritorno dall'Egitto di Danaos e delle Danaidi? . Perché questa successione fra due rami della medesima famiglia sia apprezzata appieno, va considerata sia nei suoi aspetti di continuità sia in quelli di novità che introduce. È bene tuttavia osservare preliminarmente che all'allontanamento di io segue il ritorno dei suoi discendenti e non una nuova genealogia, come talora si è affermato. Su questi eventi non conoscia-

mo la versione della Danais, ma la successione dei personaggi maggiori e il ruolo da essi svolto appare ben consolidato almeno da età tardo-arcaica, come suggeriscono i frammenti del Catalogo esiodeo che si riferiscono ai medesimi personaggi” . Il racconto di Pausania su questi eventi è molto rapido: si limita a fornire la successione dei re argivi e rinuncia a riassumere, in quanto ben note, sia la storia di Io sia la serie di eventi che

portarono Danaos e i suoi discendenti a ereditare il regno argivo. Per quanto riguarda il nostro tema è opportuno ribadire come sia nella versione di Pausania sia in quella della Biblioteca Danaos non figuri quale fondatore della città di Argo, ma quale legittimo erede di antichi sovrani. Facendo ritorno in Argolide egli entrava inevitabilmente in conflitto con gli attuali detentori del potere nella regione. Come è noto, il contrasto fu risolto a favore di Danaos: secondo una tradizione di origine locale riferita da Pausania, ? Paus. 2, 16, 1; (Apollod.], Bibl. 2, 1, 1-1, 4. 50 Phor. fr. 4, 1 s. Bernabé; cf. Hesych. e 1185, s.v. ᾿Ιὼ καλλιϑύεσσα' καλλιϑύεσσα ἐκαλεῖτο ἡ πρώτη ἱέρεια τῆς ᾿Ανϑείας (corretto τῆς ἐν “Apyer Ἥρας da Knaack), forse con riferimento a un passo di Callimaco (fr. 769, e il commento di Pfeiffer).

?! [Hes.], fr. 124 M.-W.; cosi anche Acusilao, FGrHist 2 E 26. Il problema è complesso e si riallaccia

aquello dell'origine della Phoronis, che non possiamo riprendere in questa sede. Kallithoe, in quanto figlia

di Peiren, apparterrebbe a tradizione tirinzia, mentre Io a tradizione argiva: vd. Plut. fr. 158 Sandbach (= Eus. Praep. Ev. 111 8, 1). Meyer pensava a contaminazione, da parte dell'autore del Catalogo, della Danais con la Phoronis, alla quale il personaggio di lo sarebbe originariamente estraneo; il Catalogo esiodeo mo-

strerebbe già compiuto il processo di assimilazione: vd. fr. 124 M.-W.; MEYER, op. cit. fn. 3] pp. 90-92. Questa tesi fu accolta e sviluppata da Jacoby (I1) KAAAIG YEZZA, Hermes 57, 1922, p. 370 s.; lo., FGrHist, ad Acus. frr. 26-27), in opposizione alla tesi di RogERT, che riconosceva un'unica figura originaria di eroina (Griechische Heldensage II 1, p. 254 n. 3); cf. StOESSL, art. cit. (n. 29), col. 649 s. (con ulteriori rinvii); PFEIFFER,

ad Call. fr. 769.

2 Paus. 2, 16, 1. 5 (Hes.], frr. 124-136 M.-W.

Genealogie argive

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egli poté giovarsi, in tale occasione, di un segno rivelatore della volontà divina. Il lupo che si avventa sulla mandria di buoi e abbatte il toro che é alla loro guida fu dagli Argivi assimilato a Danaos, l'eroe che fino a quel momento era stato un estraneo per loro (cosi come il lupo non convive con gli uomini). Danaos poté cosi ottenere il regno che era stato dei suoi antenati”. La serie di racconti che vedono protagonista Danaos, le Danaidi e gli immediati successori costituiscono un gruppo omogeneo che porta alla realizzazione di importanti obiettivi culturali: in primo luogo l'introduzione della cerealicoltura e l'istituzione del matrimonio. Quale conseguenza diretta dell'accoglimento si assiste a una crescita della prosperità della regione e — aggiungerei — a un suo più intenso “popolamento”. È da questa fase che, mutando ancora l'aspetto fisico del territorio e con esso le attitudini dei suoi abitanti, questi abbandonano l'antico nome per assumere quello di "Danai". Ho trattato questo tema in uno studio recente”: mi limiteró quindi a riesaminare alcuni elementi in rapporto alla funzione che svolgono nella successione genealogica, con riferimento sia alla fase precedente sia a quella successiva della storia della regione. L'arrivo di Danaos e delle Danaidi segna in primo luogo il superamento di quella penosa condizione, risalente all'età di Inachos, che privava l'Argolide dell'apporto delle acque delle sorgenti e dei pozzi. Il giudizio di Inachos, favorevole a Hera, aveva provocato l'ira di Poseidon, che aveva sottratto alla regione le acque sorgive. Da allora gli abitanti erano costretti a una condizione di penosa astenia che impediva un adeguato sviluppo, mentre la regione era soggetta a un regime di siccità. Ora questa antica mancanza è colmata dall'amore del dio per la danaide Amymone. Poseidon infatti compenserà la ragazza rivelandole le fonti di Lerna, ovvero, secondo una diversa versione, facendo scaturire le acque della sorgente dopo aver colpito la roccia con il tridente” . Attraverso la mediazione di Amymone il dio si riconcilia con gli Argivi, stabilisce nuovi rapporti con essi e concede loro nuovamente le acque sotterranee. La scoperta dei pozzi, che talvolta è attribuita alle Danaidi, presuppone questo decisivo intervento divino. È importante osservare come anche in questo caso si faccia puntuale riferimento alle acque del sottosuolo: le Danaidi avrebbero inventato lo scavo dei pozzi (ppewpuyta), arte che avrebbero poi insegnato agli Argivi? . Possiamo ricordare a questo proposito un ultimo elemento. Dopo lo sbarco in Argolide Amymone era stata inviata dal padre ad attingere acqua insieme con le sorelle. Dobbiamo intendere che Danaos non conoscesse le condizioni in cui si trovava la regione da lungo tempo, ma la missione aveva

4 Paus. 2, 19, 3 s. Nella versione della Biblioteca (2, 1, 4) Gelanor cede spontaneamente il regno a Danaos.

% ‘Eroi orientali nelle genealogie greche’, in La questione delle influenze vicino-orientali sulla religione

greca (atti del colloquio internazionale, Roma, 20-22 maggio 1999), a cura di S. RiicHini - M. RoccHi - P. XeLLA, Roma 2001, pp. 255-279.

56 (Apollod.], Bibl. 2, 1, 4. Nei pressi di Lerna scorreva anche un fiume che aveva il nome di Amymone: Paus. 2, 37, 1. Perla seconda versione vd. Eur. Phoen. 187-189; schol. ad loc.; schol. A Il. 4, 171 Dindorf, Luc. Dial. mar. 6 (305).

57 Strab. 8, 6, 8 (371); schol. A Il. 4, 171; Eust. ad Il 4, 171 (p. 461, 2 ss.). ll nome di alcune Danaidi dava il nome alle fonti che sorgevano all'interno della città di Argo (Amymone, Physadeia, Hippe, Automate). Il tema era trattato nell'Inno V (vv. 45-48) e in un'elegia di Callimaco: frr. 65 e 66 Pf. (con i luoghi citati in

apparato). Per i possibili rapporti fra i due testi si veda la relazione di L. LeHNus in questi Atti, pp. 201-209.

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Carlo Brillante

ugualmente un esito positivo, anche se attraverso una soluzione inattesa. L'inizio e la

conclusione della storia pongono quindi a confronto due condizioni opposte, evidenziando l'apporto che Danaos e le Danaidi diedero al suo sviluppo. Date queste premesse, non apparirà casuale che il luogo dove avveniva lo sbarco di Danaos — Apobathmoi, lungo la strada che conduceva dall'Argolide alla Tireatide -- si trovasse non lontano da una località che aveva nome Γενέσιον e che qui sorgesse il santuario di Poseidon l'evéctoc* . Il dio era qui venerato nella sua qualità di divinità della generazione, con evidente richiamo alla funzione svolta nella regione. Agli importanti mutamenti riferibili a questa fase va ricondotta la nota formula

omerica πολυδίψιον

" Apyoc. Il termine significa letteralmente “molto assetato”, ma

questa interpretazione è stata spesso messa in dubbio sia da autori antichi sia da studiosi moderni. Aristarco riteneva che l'epiteto fosse utilizzato in senso metaforico, con il valore di πολυπόϑητον

(“molto desiderato”), in quanto l'affermare di aver sete sareb-

be una forma per esprimere un grande desiderio? . Secondo questa tesi, Argo sarebbe la meta fortemente desiderata dagli eroi che combattono a Troia, lontano dalla loro

patria. Questa interpretazione dell’epiteto prendeva spunto dalla constatazione che la fertile pianura argiva non appariva affatto priva di acque; Omero non poteva quindi aver attribuito alla regione un epiteto così poco adatto alle condizioni reali del territorio. Questo tipo di critica appare esplicito nell'analisi di Strabone dell'uso omerico: non essendo l'Argolide priva di acque l'epiteto doveva avere un significato diverso da quello letterale; egli proponeva quindi altre interpretazioni che non entrassero in contraddizione con la realtà geografica. Si tratta di una classica critica razionalistica, che evita di affrontare il significato che poteva avere l'attribuzione di questo epiteto a una città e a un territorio dal ricco passato mitico; ciononostante riserve affini emergono anche in alcune interpretazioni moderne. In realtà, al di la del valore originario di πολυδίψιον, termine certamente antico e che probabilmente si ricollegava a tradizioni di origine micenea”, è possibile accogliere senza difficoltà il significato letterale, né vi è motivo di dubitare della testimonianza del Catalogo esiodeo, che non soltanto dava all'epiteto il suo significato proprio di “privo d'acque”, ma stabiliva anche un nesso puntuale con il mito delle Danaidi (fr. 128 M.-W.): "Apyoc ἄνυδρον ἐὸν Δανααὶ 9écav “Apyos ἔνυδρον. 5 Paus. 2, 38, 4; Plut. Pyrrh. 32, 5. Sulla posizione del santuario, che sorgeva nei pressi del villaggio di Kiveri, vd. W. K. PRITCHETT, Studies in Ancient Topography 1, Berkeley-Los Angeles 1965, pp. 131-134; PiéRART, ‘Argos assoiffée" (cit. n. 7), p. 124 s.

% Hesych. 8 2032, s.v. δίψιον “Αργος" ... ᾿Αρίσταρχος δὲ τὸ πολυπόϑητον (διψᾶν ἐπιποϑεῖν)., κτλ. Per questa interpretazione vd. anche schol. c Il. 4, 171 , Strab. 8, 6, 7 (370), (τῆς δὲ δίψης οὐδέν ἐστι πολυποθϑητότερον). Questa tesi è stata sostanzialmente accolta contributi recenti di P. Sauzeau, che ritiene quindi secondario il significato di "secco, privo

γὰρ τὸ Ath. 433e in alcuni d'acqua",

nonostante la testimonianza del Catalogo esiodeo: ‘Argos nourricière de cavales' (cit. n. 14), p. 197; Ip., ‘Un probléme homérique' (cit. n. 14), pp. 424, 428 s. © Partendo dalle tavolette della serie Frdi Pilo, nelle quali ricorre il termine dipsioi, sono state avan-

zate varie ipotesi. Si dovrà partire in ogni caso dal significato etimologico di ‘sete’. I δίψιοι potrebbero essere gli assetati e quindi, eufemisticamente, i defunti: vd. in tal senso W. K. G. Guru, “Early Greek Religion in the Light of the Decipherment of Linear B', Bull. Inst. Class. Stud. Univ. London 6, 1959, p. 45 s. Per altre ipotesi vd. M. GÉRARD-ROUSSEAU, Les mentions religieuses dans les tablettes mycéniennes, Roma 1968, pp. 61-64; M. VenTRIS - J. CHADWICK, Documents in Mycenacan Greek, Cambridge 19737, pp. 479, 540 (glossary).

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L'epiteto richiama la condizione di siccità, e quindi di debolezza, nella quale si trovava la regione argiva prima dell'arrivo di Danaos e delle Danaidi. Fa quindi riferimento a un mito argivo e a una condizione del territorio che si protrasse per varie generazioni. Più recentemente è stata sostenuta una tesi ancora diversa: πολυδίψιον " Apyoc andrebbe riferito non all'intera Argolide, ma alla sua parte settentrionale, in opposizione all'area meridionale che sarebbe invece ricca di acque. È questo un diverso tentativo di interpretare l'epiteto senza entrare in contrasto con la realtà fisica della regione. Secondo la tesi di Piérart, gli Argivi avrebbero costruito il loro sistema mitologico sull'opposizione fra queste due aree, trasferendo quindi sul piano temporale una disparità che sarebbe invece di ordine geografico” . È una tesi che, nonostante l'indubbio interesse per il riesame che propone della testimonianza di Strabone, non mi sembra dia ragione del significato che la siccità assume nel passato mitico della regione. I racconti esaminati finora, e quindi anche la genealogia, che è parte integrante del mito, vanno riferiti, come abbiamo cercato di dimostrare, all'intera regione argiva e in particolare alla pianura nella quale sorgono i centri maggiori. Essi non fanno che narrare in quali circostanze e per opera di quali personaggi l'Argolide abbia assunto l'aspetto attuale. La realtà presente non costituisce infatti un dato ovvio, ha avuto un inizio e una causa; non può essere semplicemente evocata o descritta, va anche spiegata e confrontata con una condizione anteriore che può essere stata profondamente diversa. L'anomalia conosciuta in passato può essere evocata tanto più agevolmente in quanto non riflette più le condizioni attuali: richiama una condizione di indigenza ma anche il suo felice superamento. Nella versione del Catalogo esiodeo questi precedenti erano individuati nell’arrivo in Argolide di Danaos e delle Danaidi. Aggiungerei, su questo punto, che

una divisione dell'Argolide in due aree, settentrionale e meridionale, non è mai attestata, per quanto io sappia, nelle tradizioni argive, se si prescinde naturalmente dal passo del Catalogo delle navi sui regni di Agamennone e Diomede, un passo che, come è noto, pone a sua volta problemi di non facile soluzione* . Seguendo il suggerimento della tradizione antica, accanto alla storia di Amymone, dovremmo considerare quella delle Danaidi. Si tratta di un tema complesso, per il quale mi limiterò a richiamare alcuni dati più direttamente attinenti al nostro tema. Il mito era trattato in un poema epico arcaico — la Danais — di cui conosciamo solo pochi frammenti. Welcker e quindi Meyer ritenevano che l’azione delle Supplici di Eschilo riprendesse l'argomento di questo poema, ma è un'ipotesi dubbia, già criticata da Bethe”. Mi limiterò quindi a considerare questo mito nei suoi momenti essenziali — arrivo nella

*' Piérart, ‘Argos assoiffée”, cit. (n. 7), pp. 123, 125. Un'opposizione affine tra l'area settentrionale, caratterizzata da un clima secco, e quella costiera, era stata proposta in precedenza da R. BALADIÉ, Le

Péloponnése, Paris 1980, pp. 110-115.

* Il. 2, 559-580. Sui problemi posti da questo passo e sulle possibili soluzioni basti rinviare ad alcuni dei contributi più recenti: C. BRILLANTE, 'I regni di Agamemnon e Diomedes nel Catalogo delle navi di Omero”, in Perennitas. Studi in onoredi A. Brelich, Roma 1979, pp. 95-108; D. Marcozzi - M. SINATRA, "Alcu-

ni aspetti del ‘Catalogo delle navi’ del ll libro dell'Iliade come riflesso di una situazione di transizione’, in La transizione dal miceneo all'alto arcaismo. Dal palazzo alla città, Atti del Convegno Internazionale, Roma 1991, pp. 148-153; E. Visser, Homers Katalog der Schiffe, Stuttgart-Leipzig 1997, pp. 455-475.

9 E. G. WeLcxeR, Der epische Cyclus oder die homerischen Dichter, Bonn 1865*, p. 305, seguito da MEYER,

Forschungen, cit. (n. 3), p. 69; cf. E. BETHE, s.v. 'Danais', RE IV 2, 1901, col. 2092.

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Cario Brillante

regione, uccisione dei cugini, scelta di Hypermestra -- soffermandomi sul ruolo che tali eventi svolgono nell'ambito del racconto genealogico. L'unione matrimoniale con i cugini, rifiutata da Danaos e dalle Danaidi, presuppone un esercizio indebito della costrizione e della violenza. La fuga dall'Egitto é di fatto inevitabile se si vogliono evitare le nozze indesiderate. Al sopruso manifesto dei figli di Aigyptos Danaos e le Danaidi oppongono un tipo diverso di violenza, non dichiarata ma non meno efficace. Si tratta di orientamenti speculari che mettono a confronto due condizioni irriducibili. In questa contrapposizione che sembra escludere qualsiasi mediazione il momento innovativo é rappresentato dalla relazione che si stabilisce tra Lynkeus e Hypermestra. Entrambi non seguono la scelta dei rispettivi fratelli e sorelle, il primo rinunciando all'unione, la seconda contravvenendo a un esplicito ordine paterno che le imponeva di uccidere lo sposo. É proprio questa scelta che, opponendosi ai comportamenti attesi da entrambe le parti, poneva le premesse per l'affermarsi dell'istituzione matrimoniale: l'esercizio della persuasione e il riconoscimento dei diritti reciproci svolgeranno d'ora in poi un ruolo fondamentale. Lo svolgimento del racconto presuppone quindi il passaggio da un regime basato sulla contrapposizione e sulla forza ad uno che cerca il consenso e l'intesa reciproca, premessa indispensabile per l'unione legittima e gratificante. Uno sviluppo affine potrebbe scorgersi nella storia di Amymone. La ragazza che, su ordine del genitore, si era allontanata alla ricerca d'acqua, diviene oggetto delle insidie di un satiro che tenta di farle violenza. L'intervento di Poseidon non soltanto soccorre la ragazza in una situazione difficile, paragonabile a quella nella quale si sarebbero trovate le Danaidi costrette a nozze indesiderate, ma la conduce, attraverso la persuasione, a diventare sua sposa“ . Nel dramma satiresco di Eschilo che concludeva la trilogia delle Danaidi — l'Amymone — era trattato questo mito. Di esso ci è pervenuto un verso che probabilmente riporta le parole che il dio rivolgeva alla ragazza perché accettasse le sue profferte d'amore: gol μὲν γαμεῖσϑαι μόρσιμον, γαμεῖν S ἐμοί ("tuo destino è di essere amata, il mio quello di amarti”) . Nel caso di Hypermestra la novità della scelta era ribadita dall'esito della storia. Nella versione riferita da Pausania la ragazza era accusata dal padre di aver messo in pericolo la sua vita (Lynkeus avrebbe potuto vendicarsi su Danaos) e di aver accentuato, non condividendo la colpa delle sorelle, la vergogna di chi aveva dato un tale consiglio”. In questa prospettiva è chi introduce un comportamento diverso da quello atteso a dover render ragione delle proprie scelte. L'assoluzione votata dagli Argivi e la dedica da parte di Hypermestra di una statua ad Aphrodite Nikephoros e di un santuario ad Artemis Peitho sanzionano tuttavia il successo sul piano istituzionale della sua iniziativa”. Nelle Danaidi, la tragedia di Eschilo che concludeva la trilogia, il tema del matrimonio doveva svolgere un ruolo importante. Nonostante vari tentativi di ricostruzione della vicenda, gli esiti particolari restano per noi irrecuperabili. È tuttavia notevole che, nel frammento più notevole che ci sia pervenuto, Afrodite celebrasse la forza di eros che

** (Apollod.], Bibl. 2, 1, 4, con le osservazioni di DÉTIENNE, art. cit. (n. 30), p. 44 s.

© Aesch. fr. 13 Radt; cf. test. 70 (p. 54 s. Radt). Il passo citato della Biblioteca (2, 1, 4) e Igino (Fab. 169) riprendevano probabilmente la versione eschilea: vd. K. v. Frrrz, ‘Die Danaidentrilogie des Aischylos', Philologus 91, 1936, p. 268; H. J. METTE, Der verlorene Aischylos, Berlin 1963, p. 54.

56 Paus. 2, 19, 6. % Paus. 2, 19, 6; 21, 1.

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sovrintende all'ordine del mondo basato sull'unione (γάμος) e che coinvolge il mondo

umano e quello naturale* . Secondo Eduard Meyer, con queste parole la divinità avrebbe difeso Hypermestra dinanzi al tribunale degli Argivi” . È anche possibile, come pure é stato sostenuto, che il dramma si concludesse con l'introduzione in Grecia delle Tesmoforie, la festa che prevedeva la partecipazione delle sole donne sposate e che accomunava, in un'unica celebrazione, il rinnovamento della generazione nella sfera umana e in quella naturale. Fertilità del suolo e matrimonio appaiono, in questa prospettiva, largamente solidali. I mutamenti introdotti in Argolide con l'arrivo di Danaos possono quindi essere ricondotti ai punti seguenti: (a) ritrovata fertilità del suolo, conseguita attraverso la nuova disponibilità delle acque sotterranee (pozzi e sorgenti); (b) introduzione dell'istituto matrimoniale.

I vecchi abitanti, che formeranno una nuova comunità insieme con i nuovi venuti, compiono ora un passo importante verso l'assunzione di una nuova identità. A me sembra che questo mutamento non sia pienamente comprensibile se non nell'ambito della successione genealogica nella quale è inserito. È per questa ragione che proporrei di valorizzare un elemento della storia che finora non abbiamo considerato: la permanenza in Egitto di lo e dei suoi discendenti. Nella Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro essi trascorrono ben cinque generazioni (con calcolo inclusivo) in terra egiziana” . La lunga permanenza in terra straniera permette loro di stabilire solidi rapporti con le popolazioni locali, fino a raggiungere, come suggeriscono alcuni elementi del mito, una parziale integrazione con esse. È in Egitto che lo si unisce a Zeus e genera Epaphos;

è qui che sposa il re egiziano Telegono stabilendosi definitivamente nel territorio; è ancora in Egitto che le Danaidi, secondo la versione di Erodoto, apprendono la cerimonia delle Tesmoforie: tornate in Grecia, esse la insegneranno alle donne pelasghe”! . Lo *5 Aesch. fr. 44 Radt (= Athen. 13, 600). A. F. Ganvis, Aeschylus. Supplices. Play and Trilogy, Cambridge 1969, pp. 204-211; Aeschylus. The Suppliants, edd. K. Frus JOHANSEN - E. W. Wurrrie, Copenhagen 1980, p. 41 s.; R. SEAFORD, "The Tragic Wedding’, Journ. Hell. Stud. 107, 1987, p. 116; F. I. Zerrun, "The Politics of Eros in the Danaid Trilogy of Aeschylus', in Innovations of Antiquity, a cura di R. HexTER - D. SELDEN, New York-London 1992, pp. 203-252. Puó apparire significativo, in quest'ambito, che nelle Supplici di Eschilo, le Danaidi rivolgano a piü riprese auguri di fecondità e prosperità alla terra argiva: vv. 674-676; 689-692,

1026-1029 (potere fecondante dei fiumi): vd. C. CALAME, ‘Parcours généalogiques et constructions spatiales: Eschyle et les représentations du monde habité', in Généalogies mythiques (cit. n. 7), p. 290. MEYER, op cit. (n. 3), p. 84. 70 Bibl. 2, 1, 3 s.; cf. Paus. 2, 16, 1. Meyer considerava questa sezione della genealogia un'aggiunta

secondaria, che rifletteva l'interesse destato in Grecia dai rinnovati rapporti con l'Egitto nel secolo VII. Ciò avrebbe portato a identificare alcune divinità locali con figure mitiche appartenenti alla tradizione greca: lo-Isis, Epaphos-Apis: op. cit. (n. 3), pp. 77-82. Anche se si accogliesse questa ipotesi, resterebbe da spiegare il significato che assume, nel racconto genealogico, la permanenza di questi personaggi in terra

straniera.

7! Herodt. 2, 171, 3. La notizia resta significativa al di là del suo valore storico. Anche a prescindere

dalle possibili affinità tra rito greco ed egiziano, pure talvolta richiamate (cf., ad esempio, Plut. De Is. et Os. 69 [378€], J. Harrison, Prolegomena to the Study of Greek Religion, Cambridge 1912, pp. 121, 128), è l'attribu-

zione di questo ruolo alle Danaidi ad essere rilevante nell'ambito del racconto genealogico; cf. ‘Eroi orientali’ (cit. n. 55), pp. 263, 265.

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Carlo Brillante

svolgimento della storia suggerisce che Danaos e le Danaidi si facciano portatori in Argolide di un sapere nuovo, frutto di una lunga permanenza in una terra lontana da quella di origine. Ma proprio l’importanza dei mutamenti introdotti farà sì che questi antichi migranti, che pure continuano a essere greci”, non potranno essere semplicemente reintegrati nella comunità di origine: essi stabiliranno relazioni nuove, introdu-

cendo forme di vita e di organizzazione sociale fino ad allora sconosciute. Aloro volta gli antichi abitanti, accogliendo Danaos e le Danaidi, vedono fortemente alterate le loro forme di vita. Prima della loro venuta erano praticate, come si è detto, forme primitive di agricoltura, che si facevano risalire a Pelasgos, il re che accolse nelle proprie case Demeter e fu l'iniziatore del culto di Demeter Pelasgis” . Le condizioni del territorio, e con esso quelle dei suoi abitanti, trovavano tuttavia un limite obiettivo nella mancanza delle acque sorgive, che non consentivano uno sviluppo adeguato alle possibilità della regione. La condizione di questi antichi abitanti è definita più volte nei testi come “pelasgica”, in opposizione a quella che si sarebbe realizzata con l’arrivo di

Danaos e la nuova disponibilità delle acque sorgive. Nelle Supplici di Eschilo il contrasto è netto: lo stesso sovrano che governa la città di Argo quando vi giunge Danaos ha il nome di Pelasgos. Gli abitanti — si affermava nell'Archelao di Euripide — che prima si chiamavano Pelasgi, assunsero in tale occasione il nuovo nome di Danai" . Si aggiungerà che Pelasgis era l'epiclesi di Demeter venerata in Argolide prima dell'arrivo di Danaos e che pelasghe sono dette da Erodoto le donne cui le Danaidi insegnarono il rito delle Tesmoforie” . Il ritorno alle antiche sedi di questo gruppo di migranti segna quindi l'avvio di un processo che porterà all'adozione di nuove forme di vita e di una più accentuata prosperità. Queste nuove realizzazioni culturali, integrandosi con le antiche, secondo quel processo di "accumulo" che abbiamo riconosciuto come proprio del

racconto genealogico, contribuiscono in misura determinante all'attribuzione di una nuova fisionomia alla regione e ai suoi abitanti. Essi saranno talmente diversi dai loro antenati da abbandonare l'antico nome per assumere quello, nuovo, di Danai. 3. Per quanto importante, l'apporto di Danaos non é tuttavia decisivo nel conferire l'assetto definitivo alla regione e ai suoi abitanti, né le innovazioni introdotte consentono di attribuire a questa figura l'ellenizzazione piena del territorio. Su questo punto è possibile osservare alcune differenze rispetto alle funzioni che il personaggio svolgeva nelle tradizioni della città di Argo. Qui la sua figura acquistava un ruolo centrale e i monumenti che ne perpetuavano la memoria gli conferivano una posizione che richiama quella dell'eroe fondatore: la sua tomba sorgeva nell'agora e a lui si faceva risalire i] culto di Apollo Lykios, la divinità poliade di cui Pausania riporta il mito di fondazione”. 7 Il carattere selvatico delle Danaidi, che le rende al tempo stesso greche e barbare in terra argiva, è ben presente nelle Supplici di Eschilo e ha un ruolo di rilievo nel dramma: Zemun, ‘The Politics of Eros'

(cit. n. 68), p. 205, passim. 73 Supra, p. 42. 74 Eur. fr. 228, 7 s. N. Cf. Herodt. 7, 94. In Euripide gli Argivi sono spesso designati con il nome di

Aavatdat: cf. ad es. C. W. WiLLINx, Euripides. Orestes, Oxford 1986, ad vv. 1249-1250.

75 Sul significato di questa antica caratterizzazione pelasgica, che conosce interessanti sviluppi nella

storiografia, rinvio a quanto ho scritto in ‘Eroi orientali’ (n. 55), p. 264. Sul processo dell'aóEr9vat, utile per la comprensione di questo modello, ma non esclusivo della storiografia tucididea, vd. S. Mazzarino, Il pensiero storico classico 1, Bari 1966, pp. 274-276.

76 ‘Tomba di Danao: Paus. 2, 20, 6; Strab. 8, 6, 9 (371). Fondazione del santuario di Apollo Lykios:

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Tuttavia, se guardiamo al racconto genealogico che abbiamo seguito finora e al tipo di innovazioni che si connettono alla sua figura, non potremo evitare di osservare come esse presentino un orientamento costante che definisce, e per ciò stesso limita, la sfera nella quale si esplica la sua azione: esse si collocano tutte dalla parte femminile. Fertilità del suolo, prosperità, “popolamento”, norme matrimoniali, per quanto importanti nella vita della comunità, costituiscono realizzazioni culturali nelle quali l'elemento femminile ha un ruolo prevalente. Lo stesso Danaos genera cinquanta figlie ma nessun maschio. La continuità sarà assicurata da Hypermestra, che genera Abas, ma questi sarà continuatore della stirpe di Lynkeus e quindi di Aigyptos, non di quella di Danaos. Questi contribuisce alla continuazione della stirpe solo nella misura in cui l'elemento femminile appare indispensabile ad assicurare il ricambio generazionale. Ciò che rimane estraneo all'età segnata dall'arrivo di Danaos in Argolide è quello

che chiameremmo l'elemento civile e politico, che di fatto segna il coronamento dei precedenti sviluppi. Nelle genealogie eroiche esso é normalmente associato all'elemento maschile, cui normalmente si accompagna un ulteriore intervento di Zeus nelle generazioni umane. Nella regione argiva tale "progresso" sarà realizzato solo in una fase successiva: da Lynkeus nasce Akrisios, da questi Danae, e dall'unione dell'eroina con Zeus, Perseus. Calame ha osservato in proposito come Zeus svolga un ruolo affine in altre genealogie eroiche" . Lakedaimon, che dà il proprio nome alla regione e quello della sposa (Sparta), alla città, è figlio di Zeus e Taygete; Amphion e Zethos, fondatori della città di Tebe e talora costruttori delle sue mura, sono figli di Zeus e Antiope;

Arkas, l'eroe che diede il proprio nome all'Arcadia e con il quale la regione assunse il suo aspetto definitivo, é figlio di Zeus e Kallisto. Perseus, a sua volta, é l'eroe che costrui le mura di Micene e Midea; talvolta é presentato come l'eroe fondatore della stessa Micene? . I sovrani che regnano sulla città dopo di lui si succedono regolarmente di padre in figlio lungo tutta la genealogia fino alla sua estinzione. Il solo momento di parziale frattura é rappresentato dall'ascesa al regno dei discendenti di Pelops, che accedono alla sovranità nella terza generazione dopo Perseus. Non sembra casuale che anche in questo caso ricorra una generazione femminile. Tre dei figli di Perseus, infatti

- Alkaios, Sthenelos e Mestor — sposano altrettante figlie di Pelops, secondo una tradizione già presente nel Catalogo esiodeo” . Di fatto è con la generazione di Perseus che, conseguiti ormai gli indispensabili obiettivi culturali che permettono il costituirsi di una comunità propriamente greca, ha inizio una fase nuova. L'intervento di Zeus, che si unisce a Danae, segna in tal senso un distacco netto rispetto alle generazioni precedenti; isola di fatto l'età di Danaos, e con essa gli obiettivi culturali conseguiti in quella fase, dalla successiva, nella quale si affermano figure con attitudini profondamente diverse.

Considerata in questa prospettiva, l'età di Danaos viene a occupare una posizione intermedia fra l'età delle origini, nella quale emergono figure quali Inachos, Phoroneus,

Paus. 2, 19, 3; M. PIERART, ‘Le tradizioni epiche e il loro rapporto con la questione dorica: Argo e l'Argolide”, in Le origini dei Greci. Dori e mondo egeo, a cura di D. Musri, Roma-Bari 1986, pp. 280, 286.

77 CALAME, ant. cit. (n. 1), p. 54. 78 Rispettivamente [Apollod.], Bibl. 2, 4, 4; Paus. 2, 15, 4; 16, 3, con un'interpretazione etimologica: il nome di Micene era ricondotto a μύκης, inteso come “fungo” o come "punta del fodero della spada". In questa versione, certamente secondaria, Perseus é anche l'eroe che conferisce il nome alla città.

7 [Hes.], frr. 190 e 191 M.-W.; cf. [Apollod.], Bibl. 2, 4, 5.

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Argos, e l'età eroica che ha origine con Perseus. Questa sarà caratterizzata dalla presenza di molti fra gli eroi pià famosi, che lasceranno una traccia indelebile in tutte le imprese maggiori celebrate nella leggenda eroica. Basti richiamare le imprese di Eracle, le due spedizioni dei Sette e degli Epigoni, la guerra troiana, eventi che si collocano tutti in questa terza fase della genealogia degli Inachidai. Un fenomeno di rilievo riportabile a questo periodo è l'emergere di veri e propri centri, distinguibili corne tali, lungo tutto l'arco della pianura argiva. Le figure eroiche che emergono in quest'ambito sono quelle di Proitos, cui era attribuita la fondazione di Tirinto, ovvero la costruzione delle sue mura, realizzata con l'intervento dei Ciclopi, e quella dello stesso Perseus, anch'egli fondatore di Micene o costruttore delle sue mura”. A questi centri maggiori si aggiunge Midea: la costruzione delle sue mura era ugualmente attribuita a Perseus. Il racconto mitico non presuppone una totale assenza di questi centri in età anteriore; suggerisce piuttosto che assumano ora una relativa autonomia, ribadita dal fatto che a queste figure eroiche è attribuito alternativamente il ruolo di fondatori e di costruttori di mura, quasi a definire un nuovo spazio cittadino, nel quale possono insediarsi sovrani appartenenti a famiglie diverse. Nonostante la lacunosità della documentazione, é possibile affermare che i centri maggiori dell' Argolide emergano in questa fase. D'ora in poi non sarà più sufficiente riferirsi ad "Argo" e agli "Argivi" per richiamare quest'area nel suo complesso. Possiamo cogliere meglio il mutamento confrontando questo dato con la sistemazione genealogica adottata da Acusilao, ma che era forse presente anche nelle Grandi Eoie. Con audace intervento gli eroi eponimi dell'Argolide sono posti all’inizio della genealogia, in quella che precedentemente abbiamo individuato come età delle origini. Nelle Grandi Eoie Mykene era figlia di Inachos e sposa di Arestor*', Epidauros era figlio di Argos, figlio a sua volta di Zeus” . In Acusilao da Phoroneus nasce Sparton, che genera a sua volta Mykeneus” . Dalla testimonianza della Biblioteca è possibile ricavare che in questa genealogia Phoroneus era padre anche di Niobe che, unitasi a Zeus, generava Argos e Pelasgos” . È probabile che a questi eroi argivi, eponimi di città dell' Argolide (Argos in questa successione dovrà essere inteso come personaggio eponimo della città), se ne aggiungessero altri quali Tiryns ed Epidauros, come ha ragionevolmente proposto Jacoby” . Questa sistemazione genealogica va considerata soprattutto in relazione ai conflitti di VI-V secolo che opposero Argo a Sparta, la quale solidarizzava con Micene*, ma essa rivela % Per la fondazione di Tirinto ad opera di Proitos vd. Bacchyl. 11, 59-81 e P. ANGEL! BERNARDINI in questo volume, pp. 136-137; [Apollod.], Bibl. 2, 2, 1; 2, 4, 4; Strab. 8, 6, 11 (372 s.); cf. Paus. 2, 25, 8. Per la fondazione di Micene, attribuita a Perseus, vd. supra, n. 78; C. BRILLANTE, La leggenda eroica e la civiltà micenea, Roma 1981, pp. 110 s., 123. 8! [Hes.}, fr. 246 M.-W. (= Paus. 2, 16, 4). Nell'Odissea Mykene era ricordata insierne con altre figure femminili, Tyro e Alcmena, appartenenti all'età eroica (2, 120); Arestor invece appartiene, come Inachos, alla fase più antica delle genealogie argive: secondo Ferecide era padre di Argos panoptes (FGrHist 3 F 67); cf. (Apollod. Bibl. 2, 1, 3 (con altre versioni). [Hes.], fr. 247 M.-W. (— Paus. 2, 26, 2).

** FGrHist 2 F 24 (= Paus. 2, 16, 4).

** FGrHist 2 F 25 (= [Apollod.], Bibl. 2, 1, 1). 8% Jacosy, ad Acus. frr. 23-27 (p. 379 s.), che richiamava Paus. 2, 26, 2, schol. Eur. Or. 932, 1246; cf. MEYER, op. cit. (n. 3), p. 98. Pausania ricorda una tradizione affine, ma senza attribuzione, secondo la quale

Tiryns era figlio di Argos, figlio a sua volta di Zeus (2, 25, 8).

$ MAZZARINO, op. cit. (n. 75), p. 61 s.

Genealogie argive

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anche la tendenza a riportare l'origine delle singole città a un'età ben più antica di quella che gli assegnavano le genealogie eroiche presenti nelle versioni epiche. Come osservava Mazzarino, l'opposizione tra Sparta e Argo viene a costituire un dato originario e

l'alleanza della prima con Micene, riportata all'età delle origini, é rappresentata dal rapporto padre-figlio che lega Sparton a Mykeneus. Tutto ció riflette naturalmente una rilettura profondamente innovativa delle tradizioni epiche e contrasta con il ruolo svolto da "Argo" e dagli "Argivi" nel lungo periodo che si estende dall'età delle origini a quella di Danaos, secondo l'uso che, come abbiamo cercato di dimostrare, é presupposto dalla stessa testimonianza omerica. Una fase di svolta nella storia della regione puó essere individuata nel momento in cui, accogliendo il consiglio degli Argivi, Proitos lascia Argo al fratello più vecchio e, spostandosi sulla riva opposta dell'Inachos, fonda la città di Tirinto" . L'attività di costruzione e fortificazione, quando non anche di "fondazione" ad opera di eroi famosi, fa assumere ai singoli centri una fisionomia più spiccata. È solo in questa fase che possiamo distinguere in maniera più netta tra Argo, Micene, Tirinto, Midea, ed è significativo che ugualmente da questa fase sovrani diversi occupino, con i loro discendenti, le maggiori città dell'Argolide; né tutti ormai appartengono alla dinastia degli Inachidai. Se i figli di Abas — Akrisios e Proitos — si spartiscono l'eredità paterna, ottenendo l'uno Argo l'altro Tirinto, il nipote di Akrisios, Perseus, dopo l'uccisione involontaria del nonno, decide di non far ritorno ad Argo e scambia con Megapenthes, figlio di Proitos, la propria parte di regno: cede Argo e ottiene in cambio Tirinto, l'Heraion, Midea, cui aggiunge Micene, che cinge di mura* . Non solo l'Argolide appare ora divisa lungo un asse nord-sud e una linea divisoria che puó essere individuata nel corso dell'Inachos, ma ciascun regno è definito dall'attribuzione di determinate città e di una propria linea dinastica. Non é casuale che nel medesimo periodo giungano in Argolide altri eroi non appartenenti alla stirpe degli Inachidai, ma che pure stabiliscono durature relazioni con essi, ottengono una parte del territorio, vi s'insediano stabilmente e diventano capostipiti di nuove genealogie. È quanto accade nel caso di Bias e Melampous, gli Aiolidai giunti in Argolide nell'età di Proitos (follia delle Proitides), ovvero in quella del nipote Anaxagoras" . Nella parte di territorio argivo che costituisce l'eredità di Proitos si instaura allora quel regime tripartito destinato a durare varie generazioni, fino alla conclusione dell'età eroica. Sviluppi analoghi si osservano nell'altra metà, quella orientale, retta dai Perseidai. Qui si insediano i discendenti di Pelops, Atreus e Thyestes, dapprima in quanto legati da affinità con i sovrani del luogo, poi come loro successori, avendo essi sposato le figlie degli antichi sovrani. Un ruolo importante nel passaggio dall'una all’altra genealogia era svolto da Sthenelos, il figlio di Perseus che accolse Atreus e Thyestes e affidò loro la città di Midea” . Dopo la morte di Eurystheus, figlio di Sthenelos, sarà proprio Atreus, a ereditare la sovranità su questa parte del territorio argivo, in quanto, come osservava Tucidide, fratello della madre dello stesso Eurystheus”. Come è noto, è proprio con la stirpe dei Pelopidai che l'Argolide raggiunse la sua massima potenza. È 57 Bacchyl. 11, 69-72. 8 [Apollod.], Bibl. 2, 4, 4; Paus. 2, 16, 2 s.

® (Apollod.], Bibl. 1, 9, 12; 2, 2, 2; Paus. 2, 18, 4. % [Apollod.], Bibl. 2, 4, 6. ?! Thuc. 1,9, 2; (Hes.] frr. 190, 191 M.-W.: Nikippe, figlia di Pelops (e sorella di Atreus), aveva sposato Eurystheus, figlio di Sthenelos, La leggenda eroica (cit. n. 80), p. 128 s.

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questa anche l'età nella quale si collocano gli eventi più famosi narrati nella leggenda eroica: le imprese di Eracle, la guerra dei Sette contro Tebe e la spedizione troiana. Ir tutti questi eventi Argo e gli Argivi svolgono un ruolo di primo piano. É soprattutto la

città di Micene ad emergere: ad essa appartengono tutti gli eroi più famosi di questo periodo (Perseus, Eurystheus, Amphitryon, Eracle, Atreus, Agamennone, Oreste), ma figure eccellenti figuravano anche tra i sovrani che reggevano l'altra metà del territorio: Kapaneus nella linea di Proitos, Talaos e Adrasto in quella di Bias, Amphiaraos in quella di Melampous. Questa fase é caratterizzata infatti — e non mi sembra un fatto secondario — non soltanto dall'emergere dei centri maggiori che tendono ad assumere una relativa autonomia, ma anche del fenomeno, ad esso correlato, del gran numero di eroi che si affermano nelle varie città. Spostandosi dall'una all'altra ed entrando spesso in conflitto fra loro essi contribuiscono a creare quel clima di instabilità che é tratto precipuo dell'età eroica. Un caso significativo, nonostante la scarsità delle notizie pervenuteci, è rappresentato dalle tradizioni sulla città di Midea. Pausania ricorda Elektryon, uno dei figli di Perseus, quale sovrano della città” . Dopo la sua morte e quella dei figli, caduti per mano dei figli di Mestor e dei Tafii loro alleati, la città sembra affidata a Likymnios, figlio illegittimo dello stesso Elektryon e di una donna frigia di nome Midea” . Nell'Olimpica 7 Pindaro ricorda l'uccisione di Likymnios ad opera di Tlepolemos, avvenuta nella città di Tirinto dove egli era giunto provenendo “dalle sue case a Midea" (ἐκ ϑαλάμων Μιδέας)»". Nell'Olimpica 10 è menzionato il giovane figlio di Likymnios, Oionos, che proveniva ugualmente dalla città di Midea” . Anch'egli andò incontro a una morte violenta: dopo aver vinto la gara dello stadio nei giochi olimpici appena istituiti, segui Eracle a Sparta, dove cadde ucciso per mano degli Ippocoontidi* . Possiamo integrare queste notizie e ipotizzare che, quale figlio di Likymnios, egli avrebbe dovuto ereditare la sovranità di Midea; con la sua morte la città rimaneva priva dei suoi sovrani legittimi. Fu probabilmente in seguito a questi eventi che Sthenelos, succeduto a Elektryon quale re di Micene, affidò la città ad Atreus e Thyestes, che egli aveva chiamato in Argolide" . Da questi dati frammentari potremmo concludere che la città fosse affidata dapprima a un ramo minore dei Perseidi, poi ai Pelopidai, che colsero l'occasione per insediarsi nella regione. Alla morte di Eurystheus, l'ultimo re dei Perseidi, essi avrebbero ereditato la stessa

Micene. Il ruolo svolto da Midea nella leggenda eroica rivela abbastanza chiaramente la posizione che singoli centri potevano assumere in questa fase. Essa emerge quale centro dotato di una relativa autonomia nel medesimo periodo nel quale si affermano città quali Micene e Tirinto, rispetto alle quali svolge un ruolo subordinato: lo dimostrano il ?? Paus, 2, 25,9. 53 [Apollod.], Bibl. 2, 4, 4; 4, 5; schol. Pind. Ol. 7, 36 c, 49 ab, 50.

% Pind. OI. 7, 27-30 e gli scolii ad loc. Nel testo di Pindaro il nome di Midea va riferito molto probabilmente alla città che era residenza di Likymnios, ormai vecchio quando fu ucciso da Tlepolemos, figlio di Eracle (Il. 2, 662 s.): vd. L. R. FARNELL, Critical Commentary to the Works of Pindar, London 1932, p. 52, ad v. 29. Nel testo di Pindaro il nesso £x ϑαλάμων fa probabilmente riferimento alla posizione interna occupa-

ta dalla rocca rispetto ad altri centri che sorgevano ai margini della pianura; cf. P. ANGELI BERNARDINI, Mito e attualità nelle odi di Pindaro, Roma 1983, p. 167.

?* Pind. Ol. 10, 64-66.

% Paus. 3, 15, 4 s.; [Apollod.], Bibl. 2, 7, 3; Diod. 4, 33, 5; Plut. Quaest. Rom. 90 (285f); schol. A Il. 1, 52

Dindorf, schol. Pind. Ol. 10, 78. ?' [Apollod.], Bibl. 2, 4, 6.

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fatto che prende nome da una παλλακίς del sovrano e l'affidamento a un suo figlio illegittimo. La posizione che assumono Atreus e Thyestes quando giungono in Argolide è ugualmente marginale, ma in questo caso il possesso della città pone le premesse per la successiva conquista del regno. Il gran numero di figure eroiche che le genealogie collocano in questa fase ha fatto pensare, anche in studi recenti, a fenomeni di sovrapposizione fra tradizioni diverse, che nella sistemazione genealogica troverebbero un equilibrio tanto superficiale quanto precario. È una tesi non sempre persuasiva, che tuttavia andrebbe considerata in rapporto alle soluzioni proposte nei singoli casi. Basti qui richiamare il tema della tripartizione del territorio argivo, che sembra caratterizzare questa fascia più bassa della genealogia” . Su questo punto, che è stato oggetto di altre relazioni, mi limiterò a un'unica osservazione: la compresenza nelle tradizioni argive di sovrani ed eroi appartenenti a stirpi diverse e provenienti da diverse regioni della Grecia non va considerata un fenomeno abnorme, che porterebbe a un improbabile sovraffollamento della regione. Se questa sezione della genealogia riflette le condizioni dell'età eroica, non dovrebbe meravigliare di trovare in essa numerosi eroi che vantavano non soltanto una nascita illustre, ma anche il compimento di grandi imprese, che li portavano a stabilire relazioni con diverse famiglie regnanti. È altrettanto comprensibile che una regione come l'Argolide, per il suo passato mitico e l'importanza dei suoi centri, costituisse un naturale punto di attrazione. In questa fase giungono infatti nella regione non soltanto i Pelopidai o personaggi come Bias e Melampous, ma anche figure più inquietanti, che tuttavia eccellono per le loro qualità eroiche. Costretti ad abbandonare le terre d'origine, colgono l'occasione per stabilirsi in Argolide e raggiungono una posizione di prestigio accanto agli antichi signori del luogo. Basti pensare a figure quali Polyneikes o Tydeus. Il primo aveva dovuto abbandonare Tebe, il secondo era stato cacciato dall'Etolia, sua terra d'origine, per aver ucciso dei parenti. Entrambi trovarono rifugio in Argolide, dove stabilivano un'alleanza con Adrastos, ne sposavano le figlie e insieme partecipavano alla guerra dei Sette” . Il figlio di Tydeus, Diomede, seguiva le tracce del padre. Distintosi per le sue qualità eroiche, sposava un'altra figlia di Adrasto, Aigialeia, partecipava alla spedizione degli Epigoni (riuscendo in un'impresa dov'era fallita la generazione precedente) e più tardi prendeva parte alla guerra di Troia, dove si impose tra i personaggi maggiori. Nel Catalogo delle navi si ribadisce puntualmente come egli sia il capo dell'intero contingente argivo συμπάντων δ᾽ ἡγεῖτο βοὴν ἀγαϑὸς Διομήδης)“. Ció significa che ad Argo aveva assunto una posizione di prestigio che gli consentiva di imporsi anche sui legittimi eredi delle famiglie regnanti: Sthenelos nella stirpe di Proitos, Euryalos in quella di Bias'”. Nell'Iliade non appare molto coinvolto nei contrasti che dividono i capi achei e, a differenza di Stenelo, evita di rispondere quando Agamennone, passando in rassegna l'esercito prima della battaglia, gli muove rimproveri ingjustificati'”. Egli sa che le sue ?* Cf. Piérart, "Pausanias et les généalogies d'Argos', cit. (n. 7), pp. 146-151, e la relazione di M. Donar! in questo volume, p. 295 ss.

® "9 10! 102

[Apollod.], Bibl. 1, 8, 5. p 2, 567. ἢ 2, 559-568. ἢ 4, 364-418.

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parole sono dovute all'imminenza della battaglia e rivela con il suo comportamento una piena aderenza al codice eroico. Più tardi non mancherà di ricordare allo stesso Agamennone che, se Zeus gli aveva concesso la sovranità, non aveva accompagnato questo dono con l'ápecr, guerriera'”. E quest'ultima era per lui, come già per suo padre Tydeus, la qualità pià ambita.

Due generazioni dopo la conclusione della guerra di Troia, quando l'età eroica era prossima alla fine, tutta l' Argolide si presentava nuovamente unita sotto la sovranità di Oreste e quindi di suo figlio Tisamenos. Ma il conseguimento di questa unità, frutto anche dell'estinzione delle varie famiglie tra le quali era ripartito il territorio, non prelude affatto a una fase di maggiore coesione e forza. Solo allora l'Argolide, come il resto del Peloponneso, priva del sostegno delle numerose figure di eroi che si erano affermati nella fase precedente, potrà essere conquistata dagli Eraclidi.

103 ῃ 9, 37-39.

EPICA ARCAICA

TRADIZIONI

EPICHE INTORNO AD ARGO DA OMERO ETTORE

AL VI SEC. A.C.

CINGANO

"Comme la Béotie et surtout Thébes, l'Argolide est une région spécialement riche en récits mythiques": l'osservazione di P. Wathelet' potrebbe porsi come epigrafe al tema dei due convegni su Tebe e su Argo organizzati da P. Angeli Bernardini. Vorrei aggiungere che Argo è città importante ancora più di Tebe come fonte inesauribile di miti dal miceneo al tardo arcaico, e come luogo di fondamentale importanza sia per le gesta della poesia epica eroica di respiro panellenico (il ciclo tebano e il ciclo troiano), sia per l'epos locale (la Foronide, la Danaide). Ho ritenuto utile sviluppare in queste pagine una serie di considerazioni intorno ad Argo come luogo di contraddizioni e / o di problemi tuttora dibattuti concernenti alcuni aspetti della tradizione epica arcaica. Mi soffermerò in particolare sulla funzione e sulla caratterizzazione di Argo nel Catalogo delle navi omerico e in quello esiodeo dei pretendenti di Elena, in un episodio perduto dei Cypria, e in alcune testimonianze poetiche, storiche ed epigrafiche del VI sec. a.C. Già Strabone (8, 6, 5) aveva osservato che Omero ᾿Αργείους γοῦν καλεῖ πάντας,

xadarep καὶ Δαναοὺς xai ᾿Αχαιούς, ed estende parimenti a numerose città e ad aree piü o meno vaste il nome di Argo: l'ampio spettro del toponimo puó indicare ora la sola città, ora la pianura dell' Argolide, ora tutto il Peloponneso o, per estensione, anche la Grecia intera?. Nelle Opere e nella Teogonia di Esiodo mancano invece Argo e gli Argivi, mentre nelle occorrenze del Catalogo delle donne " Apyoc indica sempre la città, con una possibile eccezione nel fr. 37, 10 M.-W., dove — in relazione a Preto, che in realtà regnava non ad Argo, ma a Tirinto — il termine potrebbe indicare la pianura dell’Argolide’. Sempre nella cornice della guerra di Troia, il valore generico del toponimo é attestato in età arcaica anche nella lirica, ad es. nell'ode a Policrate di Ibico, per indicare la Grecia dalla quale mossero gli achei per distruggere Troia (Ibyc. fr. S 151, 1-3 D.): … AapôaviSa Πριάμοιο péγ᾽ daku περικλεὲς ὄλβιον ἠνάρον "Apy]o9ev ὀρνυμένοι ... ! WATHELET 1992, p. 113. ? Sui diversi valori del toponimo e dell’ etnico “Apyog / ᾿Αργεῖοι in Omero vd. le analisi di Lear 1915, p. 193 ss.; P. CAUER, Grundfragen der homerischen Kritik, Leipzig 1921’, p. 279 ss.; PAGE 1959, p. 127 ss.;

A. MELE, in Storia e civiltà dei Greci I, Milano 1978, pp. 27-33; LfgrE s.v. Ἄργος (G. STEINER); DREWS 1979, pp. 111-135; P. J. Loesrow, ‘Argos Achaiikon', Ant. Class. 55, 1986, p. 42 ss.; WATHELET 1992, pp. 100-106. ? Una giusta collocazione (Preto a Tirinto, Acrisio ad Argo) sembra invece adombrare Hes. fr. 129, 816 M.-W.; sui due frammenti vd. F. Vian, 'Mélampous et les Proitides', Rev. ét. anc.

67, 1965, p. 29 n. 1;

WEST 1985, p. 122 s.; DOWDEN 1989, pp. 72-73; M. SinatRA, ‘Amitaonidi e Pelopidi in Argolide”, Riv. cult. class. mediev. 36, 1994, p. 89 n. 9; Haiz 1997, p. 94.

60

Ettore Cingano

1. Tornando alla menzione della città di Argo vera e propria in Omero, a essa si riferisce sicuramente il passo famoso e discusso del Catalogo delle navi (Il. 2, 559-568)

che descrive la composizione del contingente argivo a Troia: Οἱ 8” "Apyoc τ᾽ εἶχον Τίρυνϑά te τειχιόεσσαν Ἑρμιόνην ᾿Ασίνην τε, βαϑὺν κατὰ κόλπον ἐχούσας, Τροιζῆν᾽ ᾿Ηϊόνας τε καὶ ἀμπελόεντ᾽ ᾿Επίδαυρον, οἵ τ᾽ ἔχον Αἴγιναν Μάσητά τε κοῦροι ᾿Αχαιῶν, τῶν αὖϑ᾽ ἡγεμόνευε βοὴν ἀγαϑὸς Διομήδης καὶ

Σϑένελος, Καπανῆος

ἀγακλειτοῦ φίλος υἱός"

τοῖσι δ᾽ ἅμ᾽ Εὐρύαλος τρίτατος κίεν ἰσόϑεος Μηκιστέος

560

υἱὸς Ταλαϊονίδαο

φὼς

565

ἄνακτος"

συμπάντων δ᾽ ἡγεῖτο βοὴν ἀγαϑὸς Διομήδης" τοῖσι δ᾽ ἅμ᾽ ὀγδώκοντα μέλαιναι νῆες ἕποντο.

Paradossalmente, il primo dato che emerge in filigrana nei versi su Argo nel Catalogo dell'Iliade è l' influenza esercitata da un altro ciclo epico, quello tebano: a guidare il contingente argivo sono tre degli Epigoni protagonisti della seconda vittoriosa spedizione di Argo contro Tebe: Stenelo, Eurialo e Diomede, qui presentato come capo supremo del contingente (v. 567). Tralascio per ora le reazioni, spesso sdegnate, di molti studiosi del secolo scorso davanti allo svilimento del potere di Agamennone nel Catalogo a tutto vantaggio di Diomede; vorrei ricordare l'affermazione di Wathelet secondo il quale in questo passo la maggior parte dell’ Argolide è attribuita a personaggi accomunati dalla partecipazione alla guerra di Tebe, ma con pochi tratti che li legassero effettivamente alla regione‘. La sua constatazione non è del tutto condivisibile se si considera che, dei tre capi argivi, Stenelo ed Eurialo possono vantare radici argive se non antiche, perlomeno gloriose, in quanto discendenti l’ uno da Preto e l' altro da Biante, che insieme al fratello Melampo ottenne da Preto (o da un suo discendente) due parti del regno di Argo”. Figlio di Capaneo, uno dei Sette, Stenelo proviene dalla spedizione degli Epigoni; Pausania afferma che il comando degli Argivi gli spettava di diritto in quanto rappresentante della dinastia più illustre e legittimata a regnare su Argo: gli Anassagoridi, discendenti di Preto". La sua presenza a Troia come auriga di Diomede sembra in effetti giustificata dalla nobiltà di stirpe e dalla partecipazione alla distruzione di Tebe: come proclama egli stesso con arroganza ad Agamennone, la sua generazione — gli Epigoni — era riuscita là dove i padri avevano fallito: ᾿Ημεῖς καὶ Θήβης ¿dos εἵλομεν ἑπταπύλοιο (Il. 4, 406).

L' altro Epigono Eurialo è figlio del Talaonide Mecisteo, fratello del più famoso Adrasto re di Argo che guidó la spedizione dei Sette a Tebe, discendente di Amitaone, padre di Biante e Melampo. Mecisteo é noto come protagonista di episodi legati alla spedizione contro Tebe solo da poche fonti, che riflettono la tradizione più antica: l'epos * Vd. WATHELET 1992, p. 115; cfr. HALL 1997, p. 96. * Su questo intricato punto rinvio al contributo di Dorati in questo volume, p. 297 s.

$ Cfr. Paus. 2, 18, 4; 2, 30, 10; su Stenelo e la sua famiglia rinvio da ultimo a KULLMANN 1960, p. 89; PIÉRART 1998, p. 151 5. e a DORATI, loc. cit.

7 Cfr. WiLAMOWITZ 1891, p. 240: "Die Ilias hat damit begonnen über die Thebais zu triumphieren, daB sie ihre Helden auch vor Theben die Sieben übertreffen lief".

Tradizioni epiche intorno ad Argo

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omerico ricordava la sua vittoriosa partecipazione ai giochi funebri in onore di Edipo a Tebe (Il. 23, 677-680); un passo di Erodoto (5, 67, 3), che attinge a una tradizione

sicionia di VI sec., ricorda la morte di Mecisteo a Tebe per mano di Melanippo che uccise anche Tideo; l' episodio era narrato nella Tebaide e trattato anche in un poema lirico adespoto in dialetto beotico che puó essere identificato nei Sette a Tebe di Corinna (P.Oxy. 2372 = PMG 692; cfr. Cor. fr. 659 Page)". Per motivi difficili da accertare, in una fase imprecisata nell'arco di tempo tra Erodoto e Corinna il ricordo di Mecisteo e delle sue imprese svanisce, e nelle fonti posteriori l'eroe sarà ricordato solo come padre di Eurialo. Ma é proprio la gloria passata di Mecisteo, saldamente attestato nelle tradizioni epiche argive più antiche, a determinare la presenza costante di Eurialo sia nel ciclo epico tebano tra gli Epigoni, sia in quello troiano, dove il suo ruolo è peraltro assai scarso: è ricordato solo come uccisore di Troiani, e come maldestro pugile nei giochi in onore di Patroclo”. I versi su Argo del Catalogo delle navi mettono dunque in luce la competenza epica del rapsodo, il quale si adegua alle vicende dell' epos tebano anteriori alla guerra di Troia e a essa concatenati; i fatti narrati nella Tebaide e negli Epigoni hanno condizionato la scelta dei tre capi argivi in un poema - l’ Iliade — il cui schema narrativo di base (assedio e conquista di una città) non differisce troppo da quello dei due poemi tebani'°. Del resto, una funzione degli Epigoni sembra essere stata quella di collegare tra loro le vicende e i protagonisti del ciclo tebano con quelli del ciclo troiano, in un'ideale catena narrativa: già nella prospettiva di Esiodo (Op. 160 ss.) i due grandi cicli si integravano a vicenda nel testimoniare la fine dell'età degli eroi''. Se mi è concesso tornare sull’ esempio di Tebe trattato nel convegno dedicato a quella città, nel porre questi tre eroi come capi di Argo il poeta del Catalogo delle navi mostra la stessa competenza epica rivelata nella presentazione del contingente beotico: al v. 505 in luogo di Tebe troviamo menzionata l'ignota e scarsamente credibile città di ‘ipotebe’, Hypothebai". La decisione del rapsodo di inserire nel testo Hypothebai era originata dalla piena consapevolezza di un'aporia: egli non poteva menzionare Tebe per non contraddire lo scenario epico anteriore presupposto dall’ Iliade, ovvero la distruzione della città a opera degli Epigoni. Tuttavia, non poteva neppure omettere interamente un luogo così importante per la * Su questo episodio vd. CINGANO 1985, p. 34 s.; Cincano 1987; sulla figura di Mecisteo nell'epos e nella tradizione mitografica vd. Cincano 2002, pp. 47 s., 60. In piena sintonia con la versione omerica, Mecisteo

è da includere in Hes. fr. 192 M.-W. tra gli eroi che accompagnarono a Tebe ai funerali di Edipo Argeia, figlia di Adrasto.

? Il. 6, 20-28; 23, 677-99; la partecipazione di Eurialo alla gara di pugilato è giustificata dall’ impresa

del padre nel ciclo tebano.

Eurialo è raffigurato anche in un vaso attico del 560 ca. (boxe con Epeo, cfr.

Hom. Il. 23, 677 ss.), e appariva nella Lesche dei Cnidi a Delfi: vd. M. Pipiu, LIMC IV 1, s.v. ‘Euryalos’, p. 94.

?? Sulle analogie tra l'assedio di Tebe e di Troia e sul tema epico dell'assalto a una città fortificata vd.

E. Berne, Homer. Dichtung und Sage III, Leipzig-Berlin 1927, pp. 79-83;J. B. HAinswoRTH, in / poemi epici rapsodici non omerici e la tradizione orale, a cura di C. BRILLANTE - M. CANTILENA - C. O. Pavese, Padova 1981, P. 49; S. ScuLr, Homer and the Sacred City , Ithaca-London 1990, p. 41 ss., in part. p. 48; CINGANO 2000, p. 134 s.

1 Hes, Op. 161-165: καὶ τοὺς μὲν πόλεμός τε κακὸς καὶ φύλοπις αἰνή 7 τοὺς μὲν ὑφ᾽ ἑπταπύλῳ

Θήβη. Καδμηίδι γαίῃ, 7 ὥλεσε μαρναμένους μήλων ἕνεκ᾽ Οἰδιπόδαο, / τοὺς δὲ καὶ ἐν νήεσσιν ὑπὲρ μέγα λαῖτμα ϑαλάσσης / ἐς Τροίην ἀγαγὼν ᾿Ἐλένης ἕνεκ᾽ ἠυκόμοιο. Hom. ἢ. 2, 505: οἵ ϑ᾽ “ΥὙποϑήβας εἶχον, ἐὐκτέμενον πτολίεϑρον. Su questo passo rinvio a Visser 1997, p. 274 ss. ; CINGANO 2000, in part. pp. 128-132.

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Ettore Cingano

storia e i miti della Beozia quale Tebe: dalla necessità di trovare un compromesso tra epos e storia nasce la criptica menzione dello hapax Hypothebai, che tanto aveva intrigato anche gli antichi. É indubbio quindi che, in riferimento al sostrato del ciclo tebano nel quale avevano un ruolo di primo piano, Eurialo e Stenelo avessero le carte in regola per guidare il contingente argivo a Troia; d'altra parte, il loro ruolo sembra essersi esaurito nell'ambito del ciclo tebano. Infatti, nonostante l'illustre pedigree, e pur essendo l'auriga di Diomede nell Iliade, Stenelo a Troia è una figura incolore, al pari di Eurialo; più in generale, da quanto possiamo vedere, le figure degli Epigoni che appaiono nel ciclo epico tebano e in quello troiano (Cypria, Iliade 4, 404 ss., e poemi successivi), risultano nelle fonti di

ogni epoca — conl’ eccezione di Diomede — assai più sbiadite di quelle dei loro padri. È quasi sempre la prima, fallimentare spedizione narrata nella Tebaide a essere ricordata con enfasi: a partire da quella argiva, l’intera tradizione letteraria, antiquaria e iconografica sembra aver celebrato piuttosto le gesta dei padri sconfitti mentre, nonostante il vanto di Stenelo in Il. 4, 406, i figli vincitori non trovarono una fama adeguata all'impresa, se si eccettuano il poema Epigoni e i due gruppi statuari argivi descritti da Pausania (Paus.

2, 20, 5; 10, 10, 3-4), innalzati l'uno a Delfi, l'altro nell'agorà di Argo. Da queste osservazioni si è spesso dedotto che, pur essendo la spedizione degli Epigoni nota già al poeta dell Iliade, il poema omonimo fosse stato concepito dopo la Tebaide, e da essa influenzato nella struttura e nella trattazione di alcuni evidenti motivi paralleli". Rispetto alla scarsa personalità di Eurialo e Stenelo acquista particolare risalto la figura di Diomede, capo supremo del contingente argivo nel Catalogo, protagonista nel quinto libro, presente nel resto del poema e nel ciclo troiano, dai Cypria ai Nostoi'^. Per converso, proprio a lui si può applicare l'osservazione di Wathelet che i tre capi argivi hanno scarse radici nella regione: Diomede è infatti un argivo di prima generazione, figlio di Tideo, esule dall'Etolia rifugiatosi ad Argo; avendo sposato in terra straniera una figlia di Adrasto, Deipile, Tideo aveva ereditato il diritto a una parte di potere secondo la procedura di ‘uxorilocality’ dell'età eroica messa bene in luce da M. Finkelberg e da J. Hall". P Cfr. U. Finsrer-Hotz, LIMC III 1, s.v. 'Epigonoi', p. 806: "Die Epigonoi standen stets im Schatten der Vátergeneration...". Sulla recenziorità degli Epigoni rispetto alla Tebaide e sulle analogie di struttura vd. WiLAMOWITZ 1891, p. 239 s.; ROBERT 1921, p. 949 s.; FRIEDLAENDER 1914, p. 328; A. ScHACHTER, "The Theban Wars’, Phoenix 21, 1967, p. 1 s.; ANDERSEN 1978, p. 16; K. DOWDEN, The Uses of Greek Mythology,

London-New York 1992, p. 68; O. OLIVIERI in questo volume, p. 79 ss. Sull'Alcmeonide vd. HuxLEY 1969, p. 51 ss.; CINGANO 2000, p. 147 con bibliografia. Il passo principale sugli Epigoni in Omero è Il. 4, 400-410; l'Odissea sembra conoscere la partecipazione di Alcmeone e Anfiloco alla spedizione degli Epigoni, perché li menziona subito dopo la morte di Anfiarao a causa di Erifile (15, 247-248; vd. infra). Nel Catalogo esiodeo i due fratelli sono ricordati come Epigoni: vd. frr. 193, 1 (Alemeone); 197, 6 M.-W. (vd. infra). Anche sul piano iconografico le testimonianze sugli Epigoni sono meno numerose e varie rispetto a quelle sui Sette a Tebe; sui gruppi statuari argivi descritti da Pausania vd. CINGANO 2002, in part. p. 36 ss.,

con bibliografia. 14 Vd. ad es. Il. 4, 3765s.; 9, 31 ss., 696 ss.; 14, 109 ss.; 23, 469 ss.; Cypria, frr. 30; 34 B. = 20; 27 D; argum. IL Parva; lliup. fr. 1 B./dub. D.; argum. Nost. e lo studio di ANDERSEN 1978. La figura di Diomede riveste un ruolo importante anche nel processo di colonizzazione greco in Occidente: cfr. ad es. Mimn. fr. 17 G.-P.;

Ibyc. fr. 294 D.; GANTZ 1993, p. 699 s.; R. Kancic, “Zur mytischen Schicht der Diomedes-Sage', Wien. Stud.

107, 1994-95, p. 7 ss.

15 Vd. FiNKELBERG 1991, in part. p. 308 ss., anche se non posso accettare le sue proposte riguardo alle dinastie argive e alle loro relazioni genealogiche; HALL 1997, in part. p. 89 ss.

Tradizioni epiche intomo ad Argo

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Come spiegare il ruolo preminente assegnato all'Epigono 'neoargivo' Diomede nel Catalogo quale capo del contingente militare? Nel suo processo di integrazione ad Argo possono aver agito molteplici elementi; su un piano generale, un fattore importante della sua affermazione dipendeva dallo status eroico del padre Tideo — protagonista dei Sette a Tebe - in una fase preomerica della tradizione, come mostra tra l'altro l'episodio del suo cannibalismo primitivo nella Tebaide (fr. 9 B./5 D.), a causa del quale egli perderà il dono dell'immortalità, trasferito dalla dea protettrice Atena sul figlio Diomede'*. È probabile che in età arcaica circolasse un poema sulle gesta di Tideo comprendente anche l'episodio dell'uccisione di Ismene, con analoga presenza di Atena, come sappiamo da Mimnermo (fr. 19 Gent.-Pr.)". W. Burkert ha sostenuto di recente che Tideo e Diomede, "doriens avant la lettre", appartenevano a una tradizione nordoccidentale anteriore all’ Iliade, collocabile tra il IX e Y VIII sec. a.C.; altrettanto antica sarebbe la loro associazione con la festa di Atena ad Argo, tramite la processione del Palladion". Su un piano più specifico va ricordato che, pur essendo il primo della sua stirpe a nascere ad Argo, Diomede vanta solide radici genealogiche nel territorio grazie alla stretta parentela con la famiglia di Adrasto. Per parte materna l'eroe è infatti un Biantide, poiché Tideo aveva sposato Deipile, una delle figlie del re di Argo Adrasto, discendente di Biante; sposando a sua volta una figlia di Adrasto, Egialea, Diomede rafforza il proprio legame con la famiglia dei Biantidi (da cui discende Eurialo, vd. supra), una delle tre che si contendevano o spartivano il potere ad Argo, secondo una tradizione la cui genesi e antichità é difficile accertare. Le altre due dinastie erano quella dei Pretidi/ Anassagoridi (da cui discende Stenelo) e dei discendenti di Melampo, i Melampodidi. La presenza di Diomede alla guida di Argo é dunque legittima, come traspare altrove nell Iliade, 23, 471 s.: Idomeneo lo definisce Αἰτωλὸς γενεήν, μετὰ δ᾽ ᾿Αργείοισιν

ἀνάσσει / Τυδέος ἱπποδάμου υἱὸς κρατερὸς Διομήδης. Di conseguenza, i Biantidi avevano due rappresentanti a Troia (Eurialo e, seppur con minore legittimità, Diomede), i Pretidi / Anassagoridi uno (Stenelo), i Melampodidi

nessuno"; se i] motivo della triarchia argiva fosse attestato con sicurezza già in Omero, 16 Sull' episodio rinvio a CivGANO 1987. 7 Mimn. fr. 19 Gent.-Pr.: Μίμνερμος δέ φησι τὴν μὲν ᾿Ισμήνην προσομιλοῦσαν Θεοκλυμένῳ ὑπὸ

Τυδέως κατὰ ᾿Αϑηνᾶς ἐγκέλευσιν τελευτῆσαι. Cfr. anche Ferecide, FGrHist 3 F 95. L'ipotesi che l'episodio di Tideo e Ismene provenisse da un poema epico incentrato su Tideo è sostenuta da C. KIRCHHOFF, Der Kampf der Sieben, Diss. Münster 1917, p. 89 n. 1; per Tideo nell'epica cfr. anche Hes. frr. 12; 14 M.-W. 15 BURKERT 1998, p. 171 s.; su Tideo e Diomede nelle tradizioni epiche vd. anche C. Rosenr, Die griechische

Heldensage HI 2, Berlin 1923", p. 1059 s.; M. P. Nisson, The Mycenaean Origin of Greek Mythology, Berkeley-

Los Angeles 1932, p. 116 s.; G. Murray, The Rise of the Greek Epic, Oxford 1934", p. 215 ss.; KULLMANN 1960,

p. 85 ss.; H. Ersse, Rh. Mus. 104, 1961, p. 156 ss.; ANDERSEN 1978, p. 15 ss.; MORETTI 1998, pp. 191-194; J.-M.

Renau, ‘La généalogie de Tydée et de Diomède', in Généalogies mythiques, Actes ... réunis par D. AUGER et S. Sa, Nanterre 1998, pp. 15-28; Burgess 2001, p. 84 s.

1 Il resoconto di Pausania sulla storia arcaica dell'Argolide (2, 30, 10) mi sembra confermare il ruolo di Diomede come rappresentante ‘vicario’ dei Biantidi: per il Periegeta furono infatti Diomede ed Eurialo a guidare gli Argivi a Troia come tutori di Cianippo, figlio di Egialeo (figlio di Adrasto), che era ancora ragazzo. Su Paus. 2, 18, 4-5 e su Ibico (fr. S 151, 36 s. D.) in relazione a Cianippo vd. infra, p. Occorre peraltro ricordare che secondo una linea genealogica conservata da Apollod. Lisimache, moglie di Talao figlio di Biante, era nipote di Melampo: in questa tradizione i (Adrasto, Mecisteo, Erifile etc.) e i loro discendenti (tra i quali Eurialo) risultavano quindi

74 s. e n. 64. Bibl. 1, 9, 13, figli di Talao Biantidi per

parte di padre, e Melampodidi per parte di madre (su Lisimache vd. infra, n. 39). Sulle varie genealogie e sui nomi della moglie di Talao cfr. BETHE 1891, pp. 45 s., 48.

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Ettore Cingano

possiamo immaginare che sarebbe spettato ad almeno uno dei due figli di Anfiarao, gli Epigoni Anfiloco e Alcmeone, rappresentare il terzo gruppo dinastico di Argo a Troia, quello dei Melampodidi?. Ma in Omero Anfiloco e Alcmeone sono nominati solo nell'Odissea (15, 248) come discendenti di Melampo, nella genealogia di un indovino (vv. 225-255) priva di aggancio con la guerra di Troia. Possiamo anzi affermare che nel ramo

più antico della tradizione i due fratelli non giunsero mai a Troia, disperdendosi dopo la spedizione degli Epigoni e l'uccisione della madre Erifile in altre imprese e vicende in varie aree del mondo greco”'. Dal confronto tra il passo dell' Iliade e quello dell'Odissea (IL 2, 559 ss. e Od. 15, 225 ss.) emerge la possibile presenza di due tradizioni contrastanti sulla divisione del potere ad Argo. Inserendo tra i capi argivi il Biantide Eurialo (2, 559 ss.), il Catalogo delle navi implica infatti (con la quasi totalità delle fonti) che Biante andó ad Argo con il fratello Melampo, e che colà i due fratelli ottennero due terzi del territorio. Od. 15, 235 ss.

precisa invece che dopo aver sposato Pero, figlia di Neleo, Biante rimase a Pilo, mentre il fratello Melampo si recò ad Argo da solo, e colà sposò una donna argiva”; questa rara versione, che trova pochi riscontri nella pur ricca tradizione sul mito, sembra pertanto

escludere la tripartizione del regno di Argo tra Preto, Melampo e Biante, e complica le difficoltà di interpretazione di uno dei punti più controversi nella tradizione della triarchia argiva, quello del matrimonio (o dei matrimoni) di Biante?. 2. Seriguardo a Omero permangono queste incertezze, una conferma indiretta del possibile ruolo di Alemeone e Anfiloco come rappresentanti dei Melampodidi ad Argo — e in seguito a Troia — giunge, nella tradizione epica posteriore all'Iliade, da un passo del Catalogo esiodeo sui pretendenti di Elena (Hes. fr. 197, 6-8 M.-W.): vio δ᾽ ᾿Αμφιαράου ᾿Οἰκλείδαο ἄνακτος ἐξ “Apyeos ἐμνῶντο pali’ ἐγ[γύϑεν- ἀλλ᾽ ἄρα καὶ τοὺς ὧρσ]ε ϑεῶν [τ ἄτη (West) .... vélueois τ᾽ ἀἰνϑρώπων...

Nella sequenza narrativa del ciclo epico la vicenda si collocava dopo la spedizione degli Epigoni e prima delle nozze di Elena con Menelao, nel periodo anteriore non solo alla guerra di Troia, ma anche ai preparativi di cui trattavano i Cypria; l'elenco esiodeo

dei pretendenti alla mano di Elena (frr. 196-204 M.-W.) anticipava i nomi degli eroi che ? Vd, anche FINKELBERG 1991, p. 310 n. 38. Sui numerosi problemi relativi alla triarchia argiva rinvio

a Dorati in questo volume. Sulla ripartizione delle tre dinastie argive nelle liste principali dei Sette e degli Epigoni vd. CiNGANO 2002, p. 60 n. 107; vd. anche ALLEN 1921, p. 60.

! Vd. infra, n. 26, e il resoconto di Apollod. Bibl. 3, 7, 5.

2 Hom. Od. 15, 235-242: ...¿AA' ὁ μὲν [Μελάμπους]

ἔκφυγε κῆρα xai ἤλασε βοῦς ἐριμύκους /

ἐς Πύλον ἐκ Φυλάκης καὶ ἐτείσατο ἔργον ἀεικὲς / ἀντίϑεον Νηλῆα, κασιγνήτῳ δὲ γυναῖκα / ἠγάγετο πρὸς δώμαϑ᾽" ὁ δ᾽ ἄλλων ἵκετο δῆμον, / Ἄργος ἐς ἱππόβοτον. τόϑι γάρ νύ οἱ αἴσιμον ἦεν / ναιέμεναι πολλοῖσιν ἀνάσσοντ᾽ ᾿Αργείοισιν. / ἔνϑα δ᾽ ἔγημε γυναῖκα καὶ ὑψερεφὲς ϑέτο δῶμα, 7 γείνατο δ᾽ ᾿Αντιφάτην καὶ Mávttov, υἷε κραταιώ, Π᾿Αντιφάτης μὲν tixtev ᾿Οἰκλῆα μεγάϑυμον, / αὐτὰρ ᾿Οἰκλείης λαοσσόον ᾿Αμφιάρηον... 2 Su questi problemi intendo soffermarmi in altra sede; vd. P. FRiEDLAENDER, Argolica, Diss. Berolini 1905, p. 31 ss.; CINGANO 1989, pp. 30 e n. 15, 36-38; DOwDEN 1989, chap. IV-V; FINKELBERG 1991, p. 309; Chr.

HARRAUER, “Die Melampus-Sage in der Odyssee”, in J. N. Kazazis - A. RENGAKOS (eds.), Euphrosyne. Studies in Ancient Epic and its Legacy in Honor of D. N. Maronitis, Stuttgart 1999, p. 132 ss.; DORATI in questo volume, p. 297 s.

Tradizioni epiche intomo ad Argo

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avrebbero combattuto a Troia, e che si ritrovano nel Catalogo delle navi iliadico. La presenza di Anfiloco e in particolare di Alcmeone, anch'essi protagonisti tra gli Epigoni, fra i giovani che "corteggiavano [Elena] da Argo, da molto vicino” (v. 7) è una variante

inedita del mito dalle conseguenze rilevanti per la guerra di Troia”: secondo quanto narrato di seguito nel Catalogo (Hes. fr. 204, 78-85 M.-W.), Tindaro aveva imposto ai pretendenti un giuramento che li impegnava a coalizzarsi contro chi avesse tentato di impadronirsi di Elena con la forza”. Includendo fra i pretendenti da Argo Anfiloco e Alcmeone, il catalogo esiodeo implicava dunque una loro futura partecipazione alla guerra di Troia; il testo lacunoso del papiro impedisce di accertare se essi effettivamente vi arrivarono’. La menzione esiodea di Anfiloco e Alcmeone ha rilevanza politica nell’organizzazione delle genealogie epiche del VII-VI sec. a.C., poiché inseriva il ramo di una delle dinastie argive, i discendenti di Melampo/ Anfiarao, nelle vicende troiane sul-

le quali come si è visto l'epos omerico tace. Contrariamente a quanto è stato suggerito di recente, ritengo che in Omero la menzione di due Biantidi tra i tre capi argivi sia dovuta all'assenza di Alcmeone e Anfiloco, piuttosto che ad altre ragioni". 3. Le considerazioni fin qui svolte sull'influenza dell'epos argivo-tebano nella composizione del comando argivo devono a mio avviso essere poste all'origine di un altro problema tuttora aspramente dibattuto nel Catalogo delle navi, che riguarda l' ‘insensata” divisione trasversale dell’ Argolide nei regni di Argo, appannaggio di Diomede (IL 2, 559-568), e di Micene, dominato da Agamennone (Il. 2, 569-580). Come si è visto, il

Catalogo assegna al primo l’area meridionale della pianura argiva; al secondo, che pur guidava la flotta più consistente, spetta invece l'area settentrionale senza sbocco sull'Egeo, senza isole sul golfo saronico o argolico, e con l'inedita separazione di Micene da Tirinto, che rientra nel dominio di Argo”. La contrapposizione tra Diomede e AgaY Dei due fratelli, il solo Anfiloco figura nella lista di pretendenti di Elena trasmessa da Apollod. Bibl. 3, 10, 8, mentre entrambi mancano in quella di Igino, Fab. 81.

?5 Vd. anche Apollod. Bibl. 3, 10, 9.

26 Alcune fonti iconografiche arcaiche confermano la versione del catalogo esiodeo: Anfiloco è tra gli uccisori di Polissena a Troia in un'anfora tirrenica del 570/60 a.C.: vd. 1. Krauskopr, LIMC I 1, s.v.

‘Amphilochos’, p. 715, che menziona anche un' idria del 560/550 a.C. di argomento troiano recante il nome del’ eroe. Più tardo nelle fonti scritte il collegamento di Anfiloco alla saga troiana (ma cfr. forse Stesich. fr. 193, 31 D.): Thuc. 2, 68, 3 attribuisce ad Anfiloco la fondazione di una nuova Argo dopo la

guerra di Troia. Dopo il matricidio della madre Erifile narrato negli Epigoni e/o nell'Alcmeonide, anche il destino di Alcmeone si compie lontano da Troia: l'eroe riparò in Arcadia e quindi a Psofide dove sposò la figlia del re (Apollod. Bibl. 3, 7, 5). La sua presenza a Troia rimane solo teorica: secondo Eforo (FGrHist 70F 123a,b), dopo la spedizione degli Epigoni egli aiutò Diomede nella conquista dell'Etolia e dell'Acarnania

e fu poi convocato da Agamennone per andare a Troia insieme a Diomede, ma rifiutò. Vd. anche ROBERT 1921, p. 956 ss.; F. Prinz, Gründungsmythen und Sagenchronologie, München

1979, p. 172 ss.; L. BREGLIA

Putci Doria , Ann. Ist. It. Studi Stor. 12, 1991-94, p. 123 ss.; GANTZ 1993, p. 525 ss.; SCHEER 1993, pp. 162 s., 170 ss.

2 Senza considerare l'assenza dei Melampodidi dalla guerra di Troia in Omero, MARCHETTI 1998 (p.

197 e nn. 35-36) attribuisce invece alla lite tra Adrasto e Anfiarao, e alla morte di quest'ultimo, il prevalere dei Biantidi tra i capi argivi. Anche se l'Odissea (15, 225 ss.) rispecchia una tradizione diversa sui Biantidi e Melampodidi, il poema conosceva la morte di Anfiarao a Tebe a causa di Erifile, narrata nell'epos tebano (Od. 11, 326 s.; 15, 244-247, 253; vd. supra, n. 13).

? Hom. Il. 2, 569-580:

Ot δὲ Μυκήνας εἶχον éüxriuevov πτολίεϑρον / ἀφνειόν te Κόρινϑον

£Uxttu£vag te Κλεωνάς, / ᾿᾽Ορνειάς τ᾽ ἐνέμοντο ᾿Αραιϑυρέην τ᾽ ἐρατεινὴν / xal Σικυῶν᾽, 69° áρ᾽ Ἄδρηστος πρῶτ᾽ ἐμβασίλευεν, / οἵ 9" Ὑπερησίην τε καὶ αἰπεινὴν Γονόεσσαν / Πελλήνην

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mennone, tutta a detrimento di quest'ultimo che altrove nell'Iliade domina su Argo quale capo supremo degli Achei (vd. Il. 2, 108; 1, 78 s.; cfr. anche Hes. fr. 195, 5-7 M.-W., integrato), ha suscitato nel tempo vivaci reazioni e tentativi di soluzione tendenti in genere a screditare il valore del passo del Catalogo rispetto al resto dell'Iliade”. Alla base di queste interpretazioni si trova spesso la convinzione che l'lliade avesse la funzione e il valore inoppugnabile di un documento storico, non diverso da un documento redatto in un periodo ben determinato in età moderna e fondato su un puntuale lavoro di archivio. In realtà, già il fatto ormai acclarato che Argo e Micene furono fiorenti in periodi diversi della loro storia invita a una certa cautela nel tentare una spiegazione storica delle numerose incongruenze e stranezze nella demarcazione dei due regni. Come è stato osservato, una bipartizione dell'Argolide è in ogni caso attestata nell’Iliade (4, 376-378), poiché l'ambasciata di Tideo e Polinice da Argo a Micene per reclutare alleati nella spedizione contro Tebe - ancora un episodio legato al ciclo tebano — implica un rapporto tra due città-stato indipendenti ?. Piuttosto che rispecchiare un quadro storico miceneo, tardo-miceneo o arcaico che lascerebbe in ogni caso irrisolte numerose questioni, credo che la divisione tra i due territori vada interpretata sul piano epico-mitico, con un procedimento analogo a quanto ho accennato parlando della Beozia. Il poeta del Catalogo delle navi non poteva menzionare Tebe per non contraddire lo scenario epico presupposto dall' Iliade — la sua distruzione a opera degli Epigoni -, ma non poteva neppure tralasciare un luogo cosi importante nel passato dei Greci”. Allo stesso modo, sulla scia di Ed. Meyer e di altri studi recenti ritengo che il motivo della strana divisione del regno dell’ Argolide tra Diomede e Agamennone vada cercato nell'esistenza di tradizioni epiche di epoca diversa, in origine indipendenti e quindi ardue da riorganizzare nello spazio ristretto di un unico poema panellenico, l'Iliade, o di una carta geografica moderna”. Ragioni che chiamerei di ordine ‘epico-mitico’, più che storico o letterario, relative alla competenza epica dei cantori, hanno prevalso su preτ᾽ εἶχον ἠδ᾽ Αἴγιον ἀμφενέμοντο / Αἰγιαλόν τ᾽ ἀνὰ πάντα καὶ ἀμφ᾽ Ἑλίκην εὐρεῖαν, / τῶν ἑκατὸν νηῶν ἦρχε κρείων ᾿Αγαμέμνων / ᾿Ατρεΐδης: ἅμα τῷ γε πολὺ πλεῖστοι καὶ ἄριστοι / λαοὶ

Éxovt': ἐν δ᾽ αὐτὸς ἐδύσετο νώροπα χαλκὸν / xudiónv, πᾶσιν δὲ μετέπρεπεν ἡρώεσσιν / οὔνεx' ἄριστος ἔην πολὺ δὲ πλείστους ἄγε λαούς. I versi inerenti ad Argo (IL 2, 559-568) sono riportati supra, p. 60.

2% Vd. ad es. Lear 1915, p. 232: “The Cataloguer, intent upon his work of dismemberment...The

domain of Agamemnon, his very home, is rent in pieces and given to others"; F. SCHACHERMEYR, Hethite und Achder, 1935, p. 156 ss., cit. da PAGE 1959, p. 127 ss. (p. 165 n. 27); per una rassegna dei vari tentativi di risolvere le aporie rinvio a BRILLANTE 1980; MARCOZZI-SINATRA 1991. Di altro indirizzo i tentativi di risolve-

re i problemi legati alla città di Argo nel Catalogo delle navi in Drews 1979 (pp. 125, 133 ss.), che pensa a un nucleo di tradizioni originariamente legate ad Argo Pelasgica, e in MARCHETTI 1998 (p. 208 ss.), che trasferisce invece le guerre tebane su di un'altra Argo, prossima a Trezene.

% Vd, ALLEN 1921, p. 66. ?! Definisco con la formula 'epico-mitico' una tradizione piü vicina alla fusione tra immaginario

mitologico e ricerca del proprio passato e Greci -, che non alla moderna nozione di dei fatti del passato secondo determinati storica fondata sui racconti epico-mitici

delle proprie radici — caratteristica dell'elaborazione arcaica dei ricerca storica, intesa come possibilità di ricostruzione e verifica criteri. Sulla cautela necessaria nella ricostruzione di una realtà vd. SCHEER 1993, in part. pp. 58-65; utili indicazioni di metodo

anche in WATHELET 1992, pp. 113-116: "L'attribution des différents domaines aux héros de la guerre de Troie montre aussi la maniére de procéder des aédes et elle illustre surtout leur embarras" (p. 113).

?! Vd. Meyer 1893, p. 184; MARCOZZI-SINATRA 1991, p. 151 ss.; PIÉRART 1991, p. 143; WATHELET 1992,

pp. 112-116; BURKERT 1998, p. 173.

Tradizioni epiche intorno ad Argo

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occupazioni di altra natura, e non possono certo essere oggi etichettate come ‘illogiche’ sul piano storico. La presunta diminutio di Agamennone riflette. essenzialmente l'ingresso tardivo della sua famiglia nella mitologia argiva?; preceduto dall'elenco dei capi argivi plasmato sulle tradizioni del ciclo tebano, il passo del Catalogo sul territorio di Agamennone “... est le résultat de la superposition de deux traditions concernant Agamemnon et Dioméde. Il faut qu'Argos appartienne à Diomède”*. La ripartizione dell’Argolide trova dunque risposta non nella storia di Argo, ma nella maggiore antichità del nucleo di tradizioni intorno alla guerra tra Argo e Tebe -“la più memorabile di quelle combattute tra Greci" (cosi Paus. 9, 9, 1) — che ha permeato i numerosi riferimenti dell'Iliade a un passato ‘pre-troiano’. La guerra tra Argo e Tebe perse poi lentamente importanza rispetto alla maggiore panellenicità, e quindi paradigmaticità, della storia di una guerra di tutti i Greci contro Troia. Le due adiacenti sezioni su Argo e Micene nel Catalogo vanno accostate agli altri episodi tebani nell'Iliade che riflettono l' interesse per la — e il peso della — tradizione incentrata sulla guerra di Tebe rispetto a quella di Troia, “... when heroic poetry [was] alive in the Argolid, but focused on Thebes, not yet on Troy". La necessità di integrare in un solo poema un vasto repertorio di tradizioni assai spesso divergenti creava situazioni non decodificabili con il criterio della verisimiglianza storico-geografica o di una storicizzazione accentuata; il contenuto di un dato mito in una società orale era condizionato dalla continua riorganizzazione delle relazioni tra etnie, γένη, aristocrazie*, l'assegnazione di Argo a Diomede e ad altri Epigoni non poteva non implicare — data la prossimità di Tirinto ad Argo - il distacco di Tirinto da Micene e il suo ingresso nella sfera di Argo, a dispetto della storica connessione di Tirinto con Micene, senza che questo fatto debba necessariamente attribuirsi a una tradizione minore ormai perduta". Non rientravano nelle priorità dell'aedo la ricerca di una verisimiglianza storica e la sistematizzazione dei dati che saranno tipiche dell'erudizione mitografica in prosa del quinto secolo (penso a Ferecide in particolare), per arrivare fino alla poderosa sintesi storico-antiquaria di Pausania. In un contesto epico-mitico che privilegia le tradizioni incentrate su Tebe piuttosto ? Il territorio di Agamennone andrebbe originariamente localizzato non ad Argo né a Micene ma in Laconia, come lasciano intendere anche alcuni passi omerici: vd. già MEYER 1893, p. 186; WEST 1985, p.

159; PIÉRART 1992, p. 130 s.; W. KULLMANN, ‘Festgehaltene Kenntnisse im Schiffskatalog und im Troerkatalog', in W. K. - J. ALtHOFF (hrsgg.), Vermittlung und Tradierung von Wissen in der griechischen Kultur, Tübingen 1993, p. 140 ss; HALL 1997, pp. 89-93: "In fact, the Pelopid stemma bears all the marks of having been 'grafted on’ to the Argive genealogies” (p. 90); HALL 1999, p. 55 ss.

3 BURKERT 1998, p. 171; sulla contrapposizione ‘mitologica’ tra Argo e Micene vd. Visser 1997, pp.

456-458.

35 West 1985, p. 153, che evidenzia l'aggregazione di miti molteplici nel territorio di Argo dopo il 750 a.C.; cfr. PiérarT 1991, p. 143: "Le découpage des royaumes ne réfléte donc pas une réalité historique,

mycénienne ou autre, mais un effort ... d'organisation de la matière épique”; WATHELET 1992, p. 115; BURKERT 1998, p. 175. Sulle vicende tebane in Omero rinvio a KIRCHHOFF 1917, p. 11 ss.; KULLMANN 1960, passim;J. B. TORRES-GUERRA, La Tebaida Homérica come fuentede Iliada y Odisea, Madrid 1995, p. 27 ss., e al mio ‘Riflessi dell'epos tebano in Omero e in Esiodo', in Incontri triestini di filologia classica Il (a cura di L. CRISTANTE € A. TEssiER), Trieste 2003, pp. 55-76.

% Su questo punto vd. anche infra, e n. 63.

57 Come suggerisce ad es. BRILLANTE 1980, p. 105; cfr. WATHELET 1992, p. 116, "comme souvent le témoignage homérique est essentiel, ... il faut l'envisager dans le déroulement historique de la tradition épique”. Sulla collocazione di Tirinto vd. MARCOZZI-SINATRA 1991, pp. 149, 152 s.; Visser 1997, p. 458 s.

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che su Troia mi sembra del tutto pertinente anche il verso su Sicione che celebra l'antico potere di Argo nella sezione relativa al dominio di Agamennone, ricordando come a Sicione avesse un tempo regnato il re di Argo Adrasto, capo dei Sette contro Tebe (IL

2,572, καὶ Σικυῶν᾽, 69° ἄρ᾽ ΓΑδρηστος πρῶτ᾽ ἐμβασίλευεν). Rinviando a K. O. Müller, M. L. West ha di recente definito "curiously pointless" il riferimento ad Adrasto

nel verso, che sarebbe un' interpolazione di matrice argiva con il mero fine di inserire il nome della città in un testo dal quale esso mancava”. Ma viene naturale rilevare che la stessa osservazione è applicabile a un buon numero di luoghi che trovano solo nel Catalogo delle navi un minimo riconoscimento: ad esempio, nessuna delle città nel dominio di Argo compare altrove nell Iliade, inclusa Tirinto che certo ebbe un ruolo di rilievo in età micenea, mentre del dominio di Agamennone sono nominate altrove solo Elice e Corinto. Se, nel quadro qui delineato, Diomede, Stenelo ed Eurialo rappresentano nella sezione su Argo l'anello di collegamento tra ciclo troiano e ciclo tebano, il ricordo del regno di Adrasto a Sicione pochi versi dopo la menzione dei tre Epigoni si puó spiegare non come seriore interpolazione argiva, ma come coerente richiamo alle antiche tradizioni argivo-tebane: é un ultimo accenno alla gloria di Argo, che aveva in passato dominato grazie ad Adrasto anche su una città del Peloponneso settentrionale conquistata poi da Agamennone”. 4. Le peculiarità della divisione dell'Argolide nel Catalogo omerico hanno prodotto un effetto fuorviante anche nell’interpretazione di un altro testo epico, ovvero della versione dei possedimenti di Argo in un passo del già citato catalogo dei pretendenti di Elena nel Catalogo delle donne esiodeo relativo alla figura di Aiace; secondo una recente corrente di pensiero, la versione 'esiodea' sarebbe alternativa a quella omerica, oltre

che più antica, efficace e credibile. Hes. fr. 204, 44-51 M.-W.

Αἴας δ᾽ ἐκ

Σαλαμῖνος ἀμώμητος

πολεμιστὴς

uväto: δίδου δ᾽ ἄρα ἕδνα ἐ[ο]ικότα, ϑαυματὰ ἔργα" ol γὰρ ἔχον Τροιζῆνα xai ἀγ[χ)ίαλον ᾿Επίδαυρον γῆσόν τ᾽ Αἴγιναν Μάσητά te xoüpo[t] ᾿Αχαιῶν καὶ Μέγαρα σκιόεντα καὶ ὀφρυόεντα Κόρινϑον, “Ἑρμιόνην

45

᾿Ασίνην τε παρὲξ dia γαιεταώσας,

τῶν ἔφατ᾽ εἰλίποδάς τε βόας x[x]. [lora μῆλα συνελάσας δώσειν ἐκέκαστο γὰρ ἔγχεϊ μακρῶς.

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Come si vede, Aiace si propone di reperire la dote per conquistare Elena assalendo quella parte di territorio del Peloponneso nordorientale prossimo a Salamina, che include gran parte delle città poste nel Catalogo omerico sotto il controllo di Diomede: 38 Wesr 2001, p. 181; lo., "Frühe Interpolationen in der Ilias', Nachr. Akad. Wiss. Góttingen I (Philol.-

hist. kl.), 1999, p. 188; cfr. K.O. MOLLER, History of the Literature of Ancient Greece, London 1840, p. 55 n. 4. A dire il vero Sicione è nominata anche in un altro passo dell'Iliade (23, 299: anch'esso ‘sospetto’ per

West), seppur in un contesto poco lusinghiero. Le mie considerazioni mi sembrano rafforzate dall'analisi della struttura del v. 572 in Visser 1997, p. 185 s.

? Vd. anche Visser 1997, p. 162 ss. Il regno di Adrasto a Sicione è confermato da Herodot. 5, 67, 4, che

lo motiva attribuendo all'eroe una genealogia diversa rispetto ad Apollod. 1, 9, 13 (supra, n. 19): per

Tradizioni epiche intomo ad Argo

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Trezene, Epidauro, Egina, Masete, Ermione e Asine; del regno di Agamennone é invece inclusa la sola Corinto; è inoltre inserita Megara, assente in Omero*. Margalit Finkelberg ha sostenuto attraverso una dettagliata analisi del passo che la descrizione esiodea dei territori di Aiace rifletterebbe una diversa tradizione epica, attendibile e preferibile a quella omerica; questa versione rivaluterebbe l'importanza di Aiace rispetto alla nota 'underrepresentation' nel Catalogo iliadico*, ridimensionando al tempo stesso l’ estensione del territorio di Argo controllato da Diomede, sproporzionata rispetto al dominio di Agamennone*. Per la studiosa, le divergenze dal testo omerico dimostrano che i versi 44-51 rappresentano una “versione tradizionale autentica” indipendente da quella di IL 2, 557-570 e con essa incompatibile. Per il modo suggestivo in cui cerca di risolvere ben due problemi del Catalogo omerico - il territorio limitato concesso ad Aiace, e la ripartizione dell’Argolide —, la tesi di M. Finkelberg è stata recepita con molto favore in tempi recenti*’. Ma va ribadito con decisione che essa è insostenibile perché si fonda su un' interpretazione errata del passo e su alcune forzature; di conseguenza, va incontro a non poche obiezioni sostanziali, di differente caratura: 1) In primo luogo, come aveva obiettato W. Leaf a T. Allen quasi un secolo fa, una lettura corretta del testo esiodeo rivela che — proprio come l'Iliade — esso non attribuisce in realtà ad Aiace nessuna nuova città oltre a Salamina“. I versi e i vocaboli usati indicano chiaramente che le città di Trezene, Epidauro, Egina, Masete, Megara, Corinto, Ermione e Asine non appartengono ad Aiace, ma sono elencate come territori che egli si propone di aggredire e conquistare: “coloro che avevano Trezene ed Epidauro ... Ermione e Asine ... di costoro, diceva che avrebbe conquistato e donato i buoi ... e le pingui greggi: eccelleva infatti con la lunga lancia" (vv. 46-51). Al contrario di quanto accade per la presentazione di ogni contingente del catalogo omerico‘, non esiste in questi versi una sola parola che indichi il dominio di Aiace sulle città menzionate, mentre il verbo συνελαύνειν e l'accenno al valore guerriero al v. 51 costituiscono un espli-

Erodoto, Adrasto era figlio della figlia del re locale Polibo, privo di figli maschi. Altre fonti sul regno di

Adrasto a Sicione: Pind. Nem. 9, 8 ss.; schol. Pind. Nem. 9, 25a, IIl p. 152 Drachm.; Menaechm. FGrHist 131 F 10 (dove Lisimache è figlia di Polibo); schol. ad Hom. Il. 2, 572, I p. 306 Erbse; Paus. 2, 6, 6; 2, 11, 1; Hier. Chron. col. 58a Helm; Eust. ad

Hom. IL 2, 572, 1 p. 449 van der Valk.

Ὁ Per il testo di Hom. Il. 2, 559-580 vd. supra, p. 60 e n. 28. * Hom. Il. 2, 557 s: Αἴας δ᾽ ix

Σαλαμῖνος ἄγεν δυοκαίδεκα νῇας, / στῆσε È ἄγων ἵν᾿ A-

ϑηναίων tovavto φάλαγγες.

* Vd. Εἰνκειβεκο 1988. Ho già discusso la sua interpretazione in “Lo strano ingresso di Aiace nel Catalogo delle donne esiodeo', in A. ScHACHTER (ed.), Essays in the Topography, History and Culture of Boiotia,

Montreal 1990, pp. 111-117, al quale rinvio, riprendendone le conclusioni con qualche modifica e aggiunta.

% Sia pure con diverse sfumature, è accettata da M.-Fr. BiLor, ‘Apollon Pythéen et l' Argolide

archaïque. Histoire et mythes’, ᾿Αρχαιογνωσία 6, 1989-90, p. 68 s.; G. Nay, Pindar's Homer, Baltimore 1990, p. 73 n. 106; MARCHETTI 1998, pp. 202-208; I. RurHERFORD, “Formulas, Voice, and Death in Ehoie Poetry, the Hesiodic Gunaikon Katalogos, and the Odysseian Nekuia', in Matrices of Genre. Authors, Canons, and Society, ed. by M. Depew - D. Ossink, Cambridge Ma. 2000, p. 82; WEST 2001, p. 180.

^ Vd. W. Lear, Class. Rev. 24, 1910, p. 179 s., che contestava l'interpretazione di T. W. ALLen in Class.

Quan. 3, 1909, p. 83 ss.; in Class. Rev. 24, 1910, p. 241, ALLEN riconosceva il proprio errore di interpretazione. 5 In Omero i contingenti e le città sono introdotti da espressioni quali oí. ... εἶχον / ἐνέμοντο / ναῖov oppure... ἦρχον / ἡγεμόνευεν

O... ἄγεν νῆας.

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Ettore Cingano

cito riferimento all'azione ostile che l'eroe vanta di intraprendere contro i vicini per accumulare una dote degna di considerazione“. In una nota iniziale M. Finkelberg si limita a definire "probabile" l'obiezione di Leaf, mentre essa é incontrovertibile, e la minimizza per sostenere che in ogni caso Aiace esercita la sua autorità sui territori dei potenti signori Diomede e Agamennone”. Ma in questo caso va rilevato che i vv. 46-51

alludono solo a un'incursione temporanea che Aiace medita di compiere, senza avere alcun potere su quei territori; in altre parole, il testo non indica affatto l'intenzione di annettere al suo dominio quei territori e città dopo averli assaliti, bensì solo l'intento di razziarne il bestiame e ritirarsi, in piena sintonia con il comportamento di altri eroi nella tradizione epica‘. 2) Una volta accertato che solo una forzatura del testo esiodeo può vedere in Aiace il padrone di quasi tutto il territorio di Diomede, in grado anche di sottrarre Corinto ad Agamennone e di annettere Megara, conviene comunque verificare a) se — nell'interpretazione di M. Finkelberg -- la versione del fr. 204, 44-51 risolva i problemi posti dal Catalogo omerico per quanto concerne la ripartizione della pianura argiva; b) se essa risulti in effetti originale e indipendente da Omero. In realtà, dei vari problemi cambierebbe soltanto la prospettiva”: per limitarmi ad Argo, ricca come si è visto di tradizioni epiche e sede di dinastie potenti, il dominio di Diomede, di Anfiloco e Alcmeone si eserciterebbe sulla sola Tirinto se Aiace sottraesse loro le sei città menzionate nel fr. 204, 46-49”; i tre capi argivi si troverebbero a controllare di conseguenza un territorio inconsistente, schiacciati a est da Aiace, a nord da Agamennone, a ovest dagli Arcadi (cfr. IL 2, 603 ss.): un'ipotesi poco sostenibile, pur dando per scontata l'esistenza di tradizioni epiche alternative su Aiace. Rimarrebbe inoltre intatto, per i fautori di un'esegesi storica di questa sezione del Catalogo, i! problema della separazione di Tirinto da Micene”!.

Quanto all'effettiva originalità dei versi esiodei rispetto alla sezione omerica, un'analisi della dizione ne rivela invece - pace Finkelberg — la forte dipendenza da essa, o da una * Come notava Lear (supra, n. 45), il verbo συνελαύνω designa il furto o la razzia di bestiame in Hom. Il. 1, 154; 11, 677 (cfr. anche ἐλαύνω in Od. 11, 290; 20, 51).

4? FINKELBERG 1988, p. 32 n. 6. * Perla razzia del bestiame nell'epos cfr. Hom. Il. 11, 670 ss.; Od. 20, 49-51; 21, 16 ss.; la legittimità di tale pratica è confermata da Achille, Il. 9, 406 ss., e da Odisseo, Od. 23, 355 ss. Cfr. Apollod. Bibl. 1, 9,12, dove Neleo esige dai pretendenti di Pero che essi sottraggano il bestiame di Ificlo. In tutti questi passi l'aggressore non mira a occupare il territorio nemico, ma si limita a effettuare un'incursione per razziare il bestiame. Sul motivo epico della razzia di bestiame vd. R. PETTAZZONI, Essays on the History of Religions, Leiden 1954, p. 76; A. BRELICH, Gli eroi greci, Roma 1958, p. 258 ss.; B. LiNCOLN, History of Religions 16, 1976,

p. 425s.; P. WALcor, "Cattle Raiding, Heroic Tradition. and Ritual: the Greek Evidence”, Historyof Religions 18, 1979, p. 326 ss. (con qualche imprecisione); J. JOURDAIN-ANNEQUIN, Dial. Hist. Anc. 8, 1982, p. 254 ss. % Come è stato notato anche da MARCHETTI 1998, p. 203, il quale pur accoglie la tesi di fondo di M.

Finkelberg e ravvisa in questi versi una versione storica che affida ad Aiace i possedimenti ‘omerici’ di Diomede (pp. 202-208). Sulle perplessità di interpretare in chiave meramente storica tradizioni epiche convogliate nella complessa stratificazione del linguaggio formulare vd. supra, p. 66 s. e n. 33. %9 Anfiloco e Alcmeone sono elencati tra i pretendenti di Elena nel fr. 197, 6-8 M.-W.: vd. supra, p. 64 s. Secondo WEST 1985 (p. 117 s.), che si fonda sulle liste analoghe di Apollod. Bibl. 3, 10, 8 e Hyg. Fab. 81, Diornede e Stenelo erano elencati tra i pretendenti provenienti da Argo prima della menzione di Agamennone (fr. 197, 1-5 M.-W); ma sarebbe plausibile anche la presenza di Eurialo, che pure guidò gli argivi a Troia.

?! L' assenza di Atene tra le città che Aiace intende assaltare è oggetto di interpretazioni contrapposte:

su questo punto rinvio al mio ‘A Catalogue within a Catalogue: Helen's Suitors in the Hesiodic Catalogue

Tradizioni epiche intorno ad Argo

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tradizione epica comune cui attingono sia l’Iliade sia il testo esiodeo; lo prova anche il fatto che quest’ ultimo presenta numerose peculiarità e incongruenze sintattico-grammaticali causate dalla necessità di modificare un lessico e una sintassi pertinenti al contesto del Catalogo delle navi o dell'Iliade in generale, ma estranei al contesto esiodeo”. In sostanza, il tentativo di proiettare Aiace verso territori che egli non può possedere e le incongruenze nella dizione formulare indicano che l’autore di questi versi non conosceva sull'eroe nessuna tradizione alternativa a quella interpolata e insoddisfacente del Catalogo omerico; il rapsodo si è limitato a ricomporre una sequenza combinando tra loro i versi omerici contigui alla menzione di Aiace che elencano le città più vicine a Salamina (IL 2, 557-570), utilizzando il lessico formulare relativo ai due Aiaci (cfr. Il 2,

530; 13, 177; 15, 745 — Hes. fr. 204, 51), e operando le modifiche e le suture necessarie a garantire un margine di credibilità alla ‘nuova’ versione. Per converso, il passo esiodeo resta un documento di grande interesse per un altro motivo rispetto a quello sostenuto dalla Finkelberg: esso riflette lo sforzo dell'epica postomerica di risolvere il problema reale della sottorappresentazione di Aiace nel Catalogo delle navi, sottraendo l'eroe allo spazio angusto della sola Salamina. 5. Passando dai cataloghi omerici ed esiodei a tradizioni inerenti al ciclo epico troiano, l'occorrenza del termine Argo solleva un problema finora quasi inosservato ma non privo di importanza per la sequenza degli episodi nei Cypria, il poema che narrava gli antefatti dell' Iliade. Qualche riferimento ad Argo non facilmente comprensibile troviamo infatti nel riassunto del poema offerto da Proclo (argum. Cypria p. 40 s. B. = p. 32 D.) e in due altre fonti — l' Epitome di Apollodoro (3, 19-21) e uno scolio omerico (schol.

D in Hom. Il. 1, 59 van Thiel = I p. 16 s. Dindorf) — che nel ricordare lo stesso episodio presentano forti convergenze con Proclo. I tre passi riguardano la fase iniziale della spedizione, nel corso della quale i Greci diretti a Troia, salpati da Aulide, sbarcarono per errore in Misia convinti di essere giunti a destinazione; scambiata la città di Teutrania per Troia, presero a saccheggiarne il territorio fino a che il re locale Telefo non intervenne a respingerli. Dopo aver ucciso molti Greci Telefo fu ferito da Achille, e nel viaggio di ritomo in patria la flotta achea fu dispersa da una tempesta: Achille arrivó fino a Sciro dove sposó Deidamia, figlia di Licomede; le fonti affermano che Telefo, non riuscendo a guarire, su indicazione dell'oracolo si recò ad Argo per essere guarito dal suo stesso feritore: ἔπειτα Τήλεφον μαντείαν παραγενόμενον εἰς “Apyog ἰᾶται ᾿Αχιλλεύς ... (argum. Cypria, p. 41, 41 B. = p. 32, 53 D.; cfr. Apollod. Epit. 3, 20 e schol. Hom. Il. 1, 59: ... καὶ [Τήλεφος] εἰς "Apyoc ἀφίκετο / ἦλϑεν...)". Stupisce in questa frase la localizzazione di Achille of Women (FF 196-204 M-W)', 2004.

in Hesiod: Constructions and Re-constructions, ed. R. Hunter, Cambridge

* Appare evidente l'intento di M. Finkelberg di rivalutare le formule ed espressioni esiodee divergenti da quelle omeriche, per conferire loro maggior peso e antichità. Per un esame della sua interpretazione e dei due testi vd. l'articolo cit. supra, n. 42, del quale vorrei solo attenuare il giudizio troppo drastico sulla tecnica compositiva del rapsodo, trattandosi di dizione formulare; vd. al riguardo G. ARRIGHETTI, Esiodo. Opere, Torino 1998, p. 475.

% Per un confronto tra i tre testi vd. R. WAGNER, Epitoma Vaticana ex Apollodori Bibliotheca ...Curae

mythographae de Apollodori fontibus, Lipsiae 1891, pp. 188-191; cfr. GANTZ 1993, p. 579. Sulla possibile derivazione dell’ Epitome apollodorea dai Cypria, pur con l'intervento di fonti più tarde, oltre a WAGNER, loc.

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ad Argo al rientro dalla sfortunata spedizione in Misia; non si vede per quale ragione dopo il ritorno in Grecia l'eroe avrebbe dovuto trovarsi ad Argo, città a lui estranea, tanto più che, stando al racconto di Proclo, dalla Misia Achille era approdato a Sciro **. Altre occorrenze confermano che in questo passo Argo non può essere intesa nel senso lato di ‘Peloponneso’ o di ‘Grecia’ ma tutt'al più come ‘territorio di Argo", e che la città ebbe un ruolo importante come primo luogo di raduno dell’armata achea: nel più diffuso racconto di Apollodoro (Epit. 3, 18-21) si precisa in più punti che, dopo il fallimento in Misia, l’esercito acheo convenne di nuovo ad Argo, e da li si diresse ad Aulide, da dove salpò per la seconda volta contro Troia: Epit. 3, 18-19: ... τοὺς “Ἕλληνας ... ἀναχωρήσαντας δὲ ἀπὸ Μυσίας εἰς ᾿Ελλάδα … πάλιν εἰς "Apyoc μεταστραφέντας ἐλϑεῖν

εἰς Αὐλίδα. Συνελϑόντων δὲ αὐτῶν ἐν “Apyer αὖϑις ...; Epit. Ε,3,21: ἀναχϑέντων δὲ αὐτῶν ἀπ᾿ "Apyouc καὶ παραγενομένων τὸ δεύτερον εἰς Αὐλίδα ...55. Il passo su Telefo ὁ quindi omogeneo al prosieguo del racconto: Achille si trova ad Argo perché la località é il primo punto d'incontro dell'esercito acheo reduce dalla Misia; da li l'esercito si spostó ad Aulide e da quest'ultima località salpó nuovamente per Troia. Occorre a questo punto rilevare due dati sostanziali: in primo luogo, nella frase συνελθόντων δὲ αὐτῶν ἐν "Apyec αὖϑις (Epit. 3, 19) l'avverbio “di nuovo" implica che gli Achei si erano radunati anche in precedenza ad Argo: un fatto, questo, non attestato altrove. Se l'episodio risaliva ai Cypria, dobbiamo assumere che il poerna narrasse il seguente tortuoso itinerario: un primo raduno degli Achei ad Argo, il loro spostamento ad Aulide, la partenza per la fallimentare spedizione in Misia, quindi il ritorno ad Argo dopo la dispersione della flotta a causa di una tempesta (vd. supra, n. 55), infine il secondo raggruppamento della flotta ad Aulide e la partenza definitiva per Troia.

La strana duplicazione del raduno degli Achei ad Argo potrebbe essere modellata sul doppio assembramento ad Aulide, e derivare da una tragedia o da fonte postclassica. Nell'assenza di altre testimonianze a favore dello schema narrativo apollodoreo (ArgoAulide-Misia-Argo-Aulide-Troia), possiamo per lo meno accertare che nella sequenza narrativa dei Cypria,

o comunque di una tradizione arcaica, il primo raduno ad Aulide

cit., vd. E. BETHE, 'Proklos und der epische Cyclus', Hermes 26, 1891, p. 593 ss.;J. G. FRAZER, Apollodorus. The Library Il, Cambridge Ma.-London 1921, pp. 186 n. 2; 188 n. 1; W. Scuwip, Philologus 80, 1925, p. 75 s.; SEVERYNS 1928, p. 294 s.; M. Davies, The Greek Epic Cycle, Bristol 1989, pp. 6-8.

* Argum. Cypria, p. 41, 38 s. B. = p. 32, 50 s. D.; cfr. ΒΕΤΗΕ 1929, p. 239: "Dabei ist unverständlich, wie

Achill nach Argos gekommen sei ... Das Natürliche wire, dal sich die Achaier nach dem Sturm ... wieder

in Aulis sammeln". L'Epitome di Apollodoro (3, 18) tralascia il matrimonio di Achille, e afferma invece che dopo la tempesta ognuno degli eroi tornó nella rispettiva

patria.

55 Cfr. F.G. WeLcker, Der epische Cyclus Il, Bonn 1882^, p. 144: "Telephos kommt nach Argos, Stadt

oder Land ..."; A. SEvERYws, Recherches surla Chrestomathie de Proclos IV, Liège 1963, p. 144: "Ensuite Téléphe … se rend en Argolide". 56 Forse per risolvere l'impasse, Frazer (Apollodorus II, cit. alla n. 53, p. 189) e J.-C. CARRIÈRE (J.-C. C. et

B. Masson, La Bibliothèque d' Apollodore, Luxeuil-Les Bains 1991, p. 130) eliminano nella traduzione della frase συνελϑόντων δὲ αὐτῶν ἐν “Apyer αὖϑις l'incongruo riferimento ad Argo, sostituendo tacitamente la città con ‘Aulide’. L'espediente non risolve il problema, poiché, come si è visto, la sequen-

za Misia-Argo-Aulide-Troia ritorna più volte in questi capitoli dell’ Epitome. Il riassunto di Proclo menziona invece solo il primo assembramento ad Aulide dopo il reclutamento degli eroi, e tace su qualsiasi precedente e/o successivo raduno ad Argo: ... καὶ συνελϑόντες εἰς Αὐλίδα ϑύουσι (argum. Cypria p. 40,

33 B. = p. 32,44D.).

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era preceduto da un incontro dell'esercito (o dei soli capi?) ad Argo. Vorrei ricordare che sempre in età arcaica, nel VI sec. a.C., la medesima stretta associazione tra Argo, Aulide e Troia affiora nell' ode a Policrate di Ibico (Ibyc. fr. S 151, 28-37 D.):

(v. 28)

..va&v G[cooc ἀριθμὸς ἀπ᾿ Αὐλίδος Αἰγαῖον διὰ [πόντον ἀπ᾿ "Apyeoc ἠλύϑοί[ν ἐς Τροίαν ... *

(v. 36)

*

*

… κάλλι]στος ἀπ᾿ Ἄργεος … ΚυάνιΪππί[ο)ς ἐς Ἴλιον ..

Nei versi di Ibico l'espressione ἀπ᾿ Ἄργεος è pleonasticamente ripresa a breve distanza per indicare il luogo da cui mossero verso Troia prima gli Achei tutti, poi l'argivo Cianippo, figlio del re Adrasto, sul quale il poeta focalizza l'attenzione selezionandolo quale paradigma di bellezza. Sulla base di quanto ricordato in apertura sull'ampio spettro del toponimo, non si può negare che la prima occorrenza di "Apyoc in Ibico (v. 29) potrebbe anche indicare la Grecia tutta piuttosto che la città di Argo, come è esemplificato dall'espressione " Apy Jodev ὀρνυμένοι al v. 3 dello stesso poema. Inoltre, a differenza dei passi dell'Epitome apollodorea, in Ibico il richiamo ad Argo è inserito dopo la menzione di Aulide che indica il raduno di tutta la flotta greca (ναῶν ... ἀρι]ῆμός); tuttavia l'insistenza su Argo in Ibico e nell'Epitome può anche autorizzare un'interpretazione univoca del termine in questi versi, che non costringa allo sdoppiamento di significato in uno spazio cosi breve. Resta a questo punto inevasa una domanda che si ricollega ai terni trattati in precedenza: se effettivamente nei Cypria era narrato (almeno) un raduno degli achei precedente quello in Aulide, perché mai esso ebbe luogo ad Argo, la città di Diomede, di Eurialo e di Stenelo, e non a Micene dove Omero colloca Agamennone, il capo supremo dell'esercito? E. Bethe, tra i pochi a rilevare l'incongrua presenza di Achille ad Argo, ipotizzava che nei Cypria la guarigione di Telefo fosse in realtà collocata ad Aulide, e individuava nell'ambientazione ad Argo l'influenza del Telefo euripideo (cfr. fr. 713 N.?), che avreb-

be contaminato sia il riassunto di Proclo, sia l'Epitome apollodorea”. L'ipotesi non mi sembra soddisfacente: potrebbe forse valere per l'episodio di Telefo, ma non aiuta a spiegare i riferimenti dell'Epitome al raduno (o ai raduni) degli Achei ad Argo, che non sono riconducibili alla trama della tragedia. Inoltre, l'ipotesi di una contaminazione può valere per qualche dettaglio del racconto di Apollodoro, ma è meno probabile in Proclo*. A mia conoscenza, l'unica spiegazione alternativa a quella di Bethe é stata fornita da A. Severyns: fondandosi su di uno scolio iliadico di derivazione aristarchea teso a difendere la ‘purezza’ omerica rispetto alle ‘degenerazioni’ dei successori, lo studioso ha sostenuto che il poeta dei Cypria, antesignano dei Νεώτεροι, si differenziava " Cfr. Berue 1929, pp. 239-241; sul Telefo euripideo vd. F. JouaN, Euripide et les légendes des Chants cypriens, Paris 1966, pp. 226, 245, 250; C. PREISER, Rh. Mus. 145, 2002, p. 277 ss.

% Su questo punto vd. supra, n. 53, e le ipotesi di SEvERYNs 1928, p. 295 sull'influsso di Euripide nel passo dell'Epitome. Nessuna considerazione sulla funzione di Argo in questi passi affiora nei recenti lavori di J. S. Burcess, "The Non-Homeric Cypria', Trans. Am. Philol. Ass. 126, 1996, p. 77 ss.; BURGESS 2001.

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radicalmente dall Iliade collocando il regno di Agamennone non più a Micene, ma ad Argo".

L'ipotesi di Severyns non chiarisce perché dopo l'erroneo sbarco in Misia l'esercito greco avesse dovuto raccogliersi ad Argo Micene invece di tornare direttamente ad Aulide, punto d'imbarco della flotta: inoltre. si fonda su uno scolio privo di connessione diretta con i passi di Proclo e di Apollodoro. Sarebbe certo interessante poter verificare se lo spostamento della reggia di Agamennone ad Argo fu adottato in tutti i poemi del ciclo troiano, o se permaneva quel margine di oscillazione che si registra nella lirica

arcaica, con lo spostamento della reggia a Sparta o Amicle”. Nell’ interpretazione 'aristarchea' di Severyns, la domanda riguardo alla scelta di Argo in luogo di Micene come punto di raccolta dell'esercito acheo nei Cypria viene a cadere naturaliter, sulla

base di una ricollocazione del regno di Agamennone; nel trattare le vicende troiane, l'epica non omerica si sarebbe infine liberata dall'influenza delle tradizioni tebano-argive dell'epos tebano, che non potevano non collocare Diomede e gli altri Epigoni nel territorio di Argo.

6. Tornando ora ai vv. 36-37 dell'encomio di Policrate di Ibico che nominano l'eroe Cianippo tra i Greci salpati per Troia (.. κάλλιϊστος ἀπ᾿ Ἄργεος / .. Κυάνι nrlok ἐς Ἴλιον ...), essi permettono interessanti considerazioni sulla riorganizzazione del patrimonio epico-mitico di Argo nel VI sec. a.C. La lacuna nel verso successivo del poema é colmata dallo scolio al v. 37, dal quale risulta che Ibico definiva Cianippo figlio di Adrasto"'; per le rare fonti successive — a eccezione di Apollod. Bibl. 1, 9, 13 - Cianippo era invece nipote di Adrasto in quanto figlio di Egialeo, unico figlio maschio di Adrasto, caduto nella spedizione degli Epigoni*. La partecipazione di Cianippo alla guerra di Troia è ignorata dall'Iliade e da tutte le fonti antiche: come si è visto, nel Catalogo delle navi omerico la discendenza per linea paterna dei Biantidi era rappresentata dall'incolore Eurialo, figlio di un fratello di Adrasto. L' inserimento di Cianippo nel ciclo troiano 5 Cfr. schol. Hom. Il. 11, 46, III p. 132 s. Erbse:èv Μυκήναις τὰ ᾿Αγαμέμνονος βασίλεια, οὐκ ἐν “Apyet, ὡς οἱ νεώτεροι; SEVERYNS 1928, p. 294. In età classica, Euripide confondeva Argo con Micene, attirandosi in seguito il rimprovero di Strabone, 8, 6, 19 (Eur. El. 1-6; Iph. T. 508, 510 s.; Or. 98; schol. Eur. Phoe. 125, 1 p. 266 Schwartz; cfr. U. voy WiLamowrrz-MOELLENDORFE, Euripides. Herakles II, Berlin 18957, p. 11). La sostituzione di Micene con Argo nel Telefo di Euripide (= fr. 713 N.?) era stata notata da F. G. WELCKER, Die griechischen Tragódien mit Rücksicht auf den epischen Cyclus Il, Bonn 1839, p. 484 s. *? Per Stesicoro e Simonide (reggia di Agamennone a Sparta) vd. schol. Eur. Or. 46, | p. 144 Schwartz; per Pindaro (reggia ad Amicle) cfr. Pyth. 11, 32. $! Schol.ad [byc. fr.S 151,37 D.: (....Huayxos ἐν τῶι περὶ … ρου prot: τὸν ('ABpaaxoly / πάππον» τοῦ Kuavinmou: οὕτω AEye «t» τὸν πίοιητὴν éjaya-/vex; x rco τὴν γένεσιν ταύτην ἀναπεπλίακένμι ὡς / (Api jo: Αἰγιαλέα τοῦ ᾿Αδραάίστου yevopelvov, ὅς ἐπΈστρά- τευσε) τοῖς cda...

Per la ricostruzione e l'interpretazione di questi versi rinvio a J. P. BARRON, "Ibycus: to Polycrates’, Bull. Inst. Class. Stud. London 16, 1969, p. 119 ss. (per il testo vd. pp. 123, 130 s.); CINGANO 1989. Secondo BARRON (p. 131), il v. 38 conteneva un'espressione riferita a Cianippo, quale ad es. ᾿Αδράστοιο γένος. $2 Oltre ad Apollodoro, Cianippo è ricordato solo da Pausania (2, 18, 4-5; 2, 30, 10: vd. supra, n. 19)e da Trifiodoro (fliup. 159-161). É tuttora curiosamente trascurata da numerosi storici, mitologi e letterati

la preziosa testimonianza di Ibico, che rivoluziona la storia delle genealogie mitiche argive — in particolare dei Biantidi - in età arcaica.

65 Su questi temi vd. ad es. HALL 1997, p. 78: “(It is not at all impossible that) these royal genealogies were originally elaborated to legitimate the political position of aristocratic families”; Cum. JacoB: “... la

généalogie poétique implique la combination de matériaux traditionnels, leur reformulation, et, le cas échéant, une part active d'interpolation et de création pour remédier aux incohérences et aux lacunes

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nasce dall'esigenza di collegare più saldamente in età arcaica il presente delle varie città con il loro passato remoto, radicando le aristocrazie locali nelle genealogie epico-eroiche e nell'evento cardine di quel passato, la spedizione contro Troia. Il distacco di Ibico dalla tradizione omerica evidenzia in filigrana il permanere in ambito argivo di tradizioni legate al ciclo tebano, che integravano il silenzio della tradizione epica. Grazie a queste riorganizzazioni genealogiche i Biantidi Egialeo e Cianippo, entrambi figli di Adrasto, erano inscritti nelle due diverse scansioni temporali e narrative dell’epica: Egialeo nel ciclo tebano, dove è l'unico degli Epigoni a cadere in battaglia; Cianippo è invece assente a Tebe e approda - seppur tardivamente — a Troia nel ciclo troiano”. Il quadro fin qui prospettato, che sottolinea la presenza di eroi argivi in entrambe

quelle imprese gloriose, si integra felicemente con altre testimonianze sulla vitalità delle tradizioni epiche argivo-tebane nella storia di Argo e dell'Argolide nel VI sec. a.C. Nel conflitto di Clistene di Sicione con Argo affiora un filo diretto con il Catalogo delle navi e con il ciclo tebano, dato che due dei capi argivi in Omero, Eurialo e Diomede, sono figli rispettivamente di Tideo e Mecisteo, due protagonisti della Tebaide uccisi dal tebano Melanippo secondo il famoso racconto di Erodoto (5, 67, 3). Come narra lo storico, Clistene, essendo entrato in guerra con gli Argivi, proibì lo svolgimento degli agoni rapsodici a Sicione a causa dei “poemi omerici”, poiché Argo e gli Argivi vi erano ovunque celebrati‘. L'espressione erodotea ᾿Ομήρεια ἔπεα è stata anche di recente intesa come un riferimento sopratutto all'Iliade ; tuttavia, come ho argomentato altrove, nel contesto del passo di Erodoto e nel quadro della storia arcaica di Argo e Sicione è assai più probabile che Erodoto si riferisse ai poemi epici del Ciclo tebano, ovvero alla Tebaide e agli Epigoni. A favore di quest'ipotesi va considerato che nell'excursus su Clistene (5, 67-68) Erodoto attinge a una fonte arcaica sicionia assai ben documentata”; nei secoli VII-VI a.C., e persino nel quinto, la Tebaide in particolare era attribuita a Omero: Pausania

riferisce che il poeta elegiaco Callino di Efeso (ca. 650 a.C.) riteneva Omero autore della Tebaide, e aggiunge che molti altri autori degni di stima attribuivano a Omero la paternità del poema”. Nell'incipit della Tebaide (fr.1B.=1D.:“Apyog ἄειδε, ea, πολυδί(L' ordre généalogique. Entre le mythe et l’histoire”, in M. Denenne [ed.], Transcrire les mythologies, Paris

1994, p. 176).

% La versione di Pausania (2, 30, 10) colma la lacuna dell'Iliade riguardo a Cianippo, fornendo una spiegazione della sua assenza che si armonizza con la versione adombrata in Ibico: “... furono Diomede ed Eurialo, figlio di Mecisteo, a guidare gli Argivi a Troia, come tutori di Cianippo, figlio di Egialeo, che era ancora ragazzo ..." (trad. di D. Musti). Questa notizia implica che nella fase finale della guerra Cianippo combatté a Troia, poiché altrove (2, 18, 4-5) Pausania informa che al ritorno da Troia, in possesso ormai

della maggiore età, l'eroe regnò ad Argo come erede dei Biantidi. 55 Herodor. 5, 67, 1: Κλεισϑένης γὰρ ᾿Αργείοισι πολεμήσας τοῦτο μὲν ῥαψῳδοὺς ἔπαυσε ἐν Σικυῶνι ἀγωνίζεσϑαι τῶν ᾿Ομηρείων ἐπέων εἵνεκα, ὅτι ᾿Αργεῖοί τε καὶ “Apyog τὰ πολλὰ πάντα

ὑμνέαται. $6 Per l'interpretazione del passo erodoteo su Clistene di Sicione rinvio a CINGANO 1985, con bibliografia; tra i primi a sostenere la mia tesi fu G. GrotE, A History of Greece Il, London 18697, p.129 s.

Cfr. F. Jacosy, s.v. 'Herodotos', RE Suppl. Ii, 1913, col. 439. 6 Paus. 9, 9, 5 = Callin. test. 10 Gent.-Pr. Sul valore di questo passo vd. BETHE 1891, p. 147 s., le cui

osservazioni valgono anche contro i successivi tentativi di confutazione del passo di Erodoto e di quello di Pausania: vd.J. A. Scorr, Class. Philol.

16, 1921, p. 20 ss. (contra E. FrrcH, ibid. 17, 1922, p. 37 ss. J. A.

DavisoN, From Archilochus to Pindar, London-New York 1968 (1955), p. 81 s. Un'utile rassegna delle inter-

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Ettore Cingano

ψιον, ἔνϑεν ἄνακτες) l'enunciazione del tema di canto nella prima parola mostra che la città di Argo era tanto centrale nel ciclo tebano quanto l'ira di Achille nell'lliade e l'errare di Odisseo nell'Odissea. A questo si aggiunga che in quell'epoca Argo poteva difficilmente identificarsi nelle gesta degli ᾿Αργεῖοι dell’ Iliade intesi nel senso lato di Greci, che erano comandati da Agamennone signore di Micene, una città ancora esi-

stente nella pianura dell’Argolide, indipendente da Argo e sua rivale”. Quest'interpretazione, e l' intenzione di Argo di ribadire lo stretto legame con il proprio passato epico-mitico, trovano una forte conferma nei reperti archeologici ed epigrafici che permettono di leggere in una più completa prospettiva la guerra tra Argo e Sicione all’epoca di Clistene, e la sua iniziativa antirapsodica. Anne Pariente ha rinvenuto di recente nell’ agorà di Argo un cippo commemorativo della spedizione dei Sette a Tebe, databile alla metà del VI sec. a.C., recante l’ iscrizione ἡρώων τῶν ἐν Θήβαις, "degli eroi caduti a Tebe”, che testimonia l' esistenza di un culto eroico in loro onore e l'uso dell'epos tebano come "powerful ammunition", per riprendere un'espressione di G. Huxley, nella contesa tra città vicine". L'iscrizione mostra la popolarità ad Argo di un'epica argivo-tebana alternativa a quella omerica, più funzionale al contesto storicopolitico per i temi narrati. Anche se di poco più recente rispetto a Clistene, il cippo mi sembra indicare che l'ideologia di Argo arcaica era pienamente colta dal tiranno sicionio, i cui provvedimenti originavano direttamente dal sostrato mitico-epico che permeava la storia di Argo e di Sicione, dove anche l'argivo Adrasto aveva regnato (Hom. IL 2, 572, vd. supra). Per concludere, se consideriamo la testimonianza di Erodoto insieme all’iscrizione del cippo e a un'altra iscrizione bustrofedica argiva del 2° quarto del VI sec. con i nomi di 9 demiourgoi, tre dei quali rinviano alle tradizioni argivo-tebane”', possiamo ritenere a

buon diritto che nell'Argolide arcaica l'epos tebano prevalse a lungo su quello troiano per popolarità e diffusione, o fu comunque in forte competizione con esso”.

pretazioni di homereia epea in E. Hu.Ler, “Homer als Collectivname', Rh. Mus. 42, 1887, p. 324 ss.; L. KjELLBERG, De cyclo epico quaestiones selectae I, Upsaliae 1890, p. 3 ss. Tra gli interpreti di Erodoto, anche R.

W. MacaN, Herodotus I, London 1895, p. 208 era a favore di un riferimento erodoteo al ciclo tebano.

€ Cfr. BURKERT 1998, p. 176.

? Huxiey 1969, p. 48 s. Perl interpretazione del cippo vd. PARIENTE 1992, pp. 195 ss., 225; L. KRAUSKOPF, LIMC VII 1, s.v. 'Septem', p. 734; HALL 1999, p. 52 ss.

71 IG IV 614 = SEG XI 336; i nomi sono "A8paccoc, ᾿Ιπομέδον (due dei Sette a Tebe), e Σϑενέλας (uno dei capi argivi nell' Iliade, vd. supra). Sull'iscrizione vd. L. M. JEFFERY, The Local Scripts of Archaic Greece, Oxford 1961, p. 1565.; N. G. L. HAMMOND, ‘An Early Inscription at Argos’, Class. Quart. 54, 1960, p. 34 s.; M. GUARDUCCI, Epigrafia greca i, Roma 1995?, p. 128 s.

7! Nd. supra, p. 66 ss. Su di un’altra testimonianza epigrafica argiva concernente un eroe dei Sette a

Tebe, Eteoclo, e sull'uso politico della spedizione dei Sette tra Argo e Atene rinvio a CINGANO 2002, pp. 4962; Ip., ‘Figure eroiche nell’ Antigone di Sofocle e nella tradizione mitografica arcaica’, in ἢ dramma sofocleo. Testo, lingua, interpretazione, Atti del seminario Internazionale (Verona 24-26.1.02), a cura di G. AvEzzU, Stuttgart-Weimar 2003, p. 78 ss.

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ANALOGIE

E ROVESCIAMENTI ORETTA

TRA I SETTE

E GLI EPIGONI

OLIVIERI

Il presente lavoro intende prendere in esame e, soprattutto, mettere a confronto tra loroil mito dei sette eroi argivi contro Tebe e quello degli Epigoni al fine di evidenziarne i punti di contatto e di divergenza per quanto concerne le cause, le modalità di svolgimento, l'esito delle due spedizioni e i personaggi che vi presero parte. In particolare, dalla lettura di tipo strutturale delle varie e numerose fonti riguardanti questo nucleo mitico — di genere diverso e spesso cronologicamente lontane tra loro - sono emerse delle sorprendenti situazioni di analogie in alcuni casi e di rovesciamenti in altri, ravvisabili nelle linee portanti dei due episodi. Secondo la tradizione le due spedizioni argive contro Tebe avvennero a distanza di dieci anni l'una dall'altra. In età arcaica furono composti due poemi, dei quali purtroppo resta un esiguo numero di frammenti, sui due grandi avvenimenti della saga argivotebana, la Tebaide (VIII secolo a.C.) e gli Epigoni (inizio VII secolo a.C.), pià un altro poema, l'Alcmeonide, di età recenziore (inizio VI secolo a.C.), probabilmente incentrato

sulle vicende dell'epigono Alcmeone successive all'assedio tebano e al matricidio di Erifile. Il mito fu poi variamente ripreso dai poeti lirici di età arcaica, Stesicoro nell'Erifile, Ibico in un frammento di collocazione incerta, Pindaro e Bacchilide in alcuni carmi fino alla rielaborazione, per molti aspetti innovativa, che del tema mitico offrirono i tragediografi ateniesi. Molte delle notizie che possediamo per la ricostruzione dello svolgimento delle due guerre (o per alcuni aspetti come varianti alternative e profondamente differenti) sono poi dovute a fonti erudite più tarde di tipo mitografico e antiquario (soprattutto Pausania, Apollodoro, Igino e le fonti scoliastiche). La prima spedizione dei sette eroi argivi contro Tebe ebbe molto rilievo in Grecia in quanto fu sentita come un evento nazionale di grande portata. È noto che Esiodo nelle Opere e giorni (vv. 161-165) pone l'assedio dei Sette contro Tebe sullo stesso piano della guerra di Troia come causa determinante per l'estinzione della quarta generazione degli eroi: “Questi [scil. gli eroi semidei] li uccise la guerra malvagia e la battaglia terribile / alcuni a Tebe dalle sette porte, nella terra di Cadmo, / combattendo per le greggi di Edipo, / altri poi sulle navi al di là del grande abisso del mare / condotti a Troia, a causa di Elena dalle belle chiome”. L'importanza dell'evento è sottolineata, come fa notare B. Hainsworth nel suo com! Hes. Op. 161-165: καὶ τοὺς uiv πόλεμός τε κακὸς καὶ φύλοπις alvi) / τοὺς μὲν ὑφ᾽ ἑπταπύλῳ Θήβη. Kadunidi yain, / ὥλεσε μαρναμένους μήλων ἕνεκ᾽ Οἰδιπόδαο, / τοὺς δὲ καὶ ἐν νήεσσιν ὑπὲρ μέγα λαῖτμα ϑαλάσσης / ἐς Τροίην ἀγαγὼν ᾿Ελένης ἕνεχ᾽ ἠυκόμοιο. Vd. E. Cincano, "Tradizioni su Tebe nell'epica e nella lirica greca arcaica”, in P. ANGEL BERNARDINI (a cura di), Presenza e funzione della città di Tebe nella cultura greca. Atti del Convegno Internazionale (Urbino, 7-9 luglio 1997), Pisa-Roma

2000, p. 127.

80

Oretta Olivieri

mento al libro 10 dell'Iliade , dal fatto che in tre riferimenti alla saga, contenuti nell Iliade,

i Tebani sono chiamati Καδμεῖοι o Καδμείωνες, mentre i loro assalitori argivi ' Ayatot, come se la guerra dei Sette fosse stata una ‘impresa nazionale”. La causa del secondo assedio alla città beotica é invece da rintracciare, come affermano Apollodoro e Diodoro’, nello spirito di vendetta che animava gli Epigoni, i figli dei sette eroi caduti. Il poema epico Epigoni, che aveva per tema questa seconda spedizione, ricalcante nelle modalità di svolgimento la precedente di un decennio prima, é stato interpretato dagli studiosi come continuazione ed imitazione della Tebaide ciclica* od anche come probabile invenzione per collegare tra loro il ciclo tebano con quello troiano, ovvero come anello di congiunzione tra le due grandi guerre dell'epica greca, attraverso una seconda spedizione alla quale presero parte alcuni dei partecipanti alla successiva guerra di Troia’. Ciò che si può sicuramente evincere dall'esame delle fonti, di vario genere e di varia epoca, è il fatto che gli Epigoni non possono essere considerati dei ‘doppioni’ sbiaditi dei loro padri, ma, soprattutto alcuni di essi, presentano un proprio spessore e proprie peculiarità che ne caratterizzano le figure mitiche, anche se le loro azioni sono spesso messe a confronto con quelle dei loro padri. È innegabile che tra le due spedizioni e tra i personaggi che vi presero parte esiste una fitta rete di corrispondenze per analogia o per contrasto. Lo stretto legame tra le due spedizioni è già messo in rilievo nell'Iliade; in particolare, quando si parla di un epigono, è inevitabile il riferimento, e spesso il confronto, con il padre. Nel libro 4 dell'Iliade, Agamennone, per spronare Diomede alla battaglia ed indurlo all'emulazione, richiama l'esempio positivo di suo padre Tideo, che aveva mostrato coraggio nell'ambasceria con Polinice a Micene alla ricerca di truppe ausiliarie per la guerra contro Tebe prima e nella successiva ambasceria a Tebe da solo. Il capo acheo ricorda poi come riuscì a sfuggire all'imboscata tesagli sulla via del ritorno da cinquanta Tebani, guidati da Meone, figlio di Emone, e da Polifonte, figlio di Autofono, tutti da lui uccisi tranne uno* . Il confronto di Diomede con il padre Tideo, il “bellicoso figlio d'Oineo”, "piccolo di statura, ma un combattente” (μικρὸς μὲν ἔην δέμας, ἀλλὰ μαχητής), è fatto anche da Atena nel libro 5 dell'Iliade: la dea ricorda come Tideo, da solo, recatosi in ambasceria a Tebe, diede prova di valore sfidando e vincendo i Cadmei in tutte le gare. La profonda differenza nell'atteggiamento di fronte al pericolo — conclude la dea — è prova del fatto che Diomede non è figlio di Tideo . 2 B. HamsworTH, The Iliad: A Commentary INI: Books 9-12, Cambridge 1993, p. 184. Il. 10, 283 ss.; 6, 222 $S.; 5, 799 ss.; 4, 384 ss.

? Apollod. 3, 7, 2; Diod. Sic. 4, 66, 1.

* A. Severyns, Le cycle épique dans l'école d'Aristarque, Liège 1928, p. 224; del poema come di una ‘deli-

berate continuation' della Tebaide parla M. Davies, The Epic Cycle, Bristol 1989, p. 30. 5 A. ScHACHTER, "The Theban Wars’, Phoenix 21, 1967, p. 1 con bibliografia precedente relativamente a quest ipotesi. Alla guerra di Troia parteciperanno tre Epigoni: Diomede, figlio di Tideo; Stenelo, figlio

di Capaneo; Eurialo, figlio di Mecisteo (vd. Il. 2, 563-568). Tersandro, figlio di Polinice, muore dopo la prima, sfortunata partenza del contingente greco da Aulide, in Misia, per mano di Telefo (vd. Cypria, arg. p. 40, 36 s. Bernabé, cfr. inoltre schol. Pind. Ol. 2, 76c [1, p. 80 Dr.]; Paus. 9, 5, 14; Apollod. Epit. 3, 17; Dict. Cret. 2, 2).

$ Il. 4, 370-400. Vd. il commento ad loc. di G. S. Kirk, The Iliad: A Commentary I: Books 1-4, Cambridge

1985, p. 368 ss.

7 Il 5, 799-813, in particolare vv. 812-813: οὐ σύ γ᾽ ἔπειτα / Τυδέος ἔκγονός ἐσσι δαΐφρονος Oivetdao.

Analogie e rovesciamenti tra i Sette e gli Epigoni

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In un altro passo dell Iliade è invece Diomede in persona a pregare la dea Atena di assisterlo, cosi corne assistette suo padre in procinto di entrare da solo, lasciati i compagni d'armi lungo l'Asopo, a Tebe tra tanti Cadmei ostili per fare proposte di pace*. O

ancora, altrove, Diomede, dopo aver ricordato il nonno paterno Oineo d'Etolia, dichiara di non serbare memoria di suo padre perché era ancora troppo piccolo quando lo lasciò per l'assalto a Tebe?. Nell'Iliade è dunque molto presente il legame familiare Diomede-Tideo e soprattutto il confronto dell'epigono argivo con il padre a tutto vantaggio di quest'ultimo. Ma Stenelo, figlio di Capaneo, anch'egli guerriero a Troia, rivendica orgogliosamente la supremazia degli Epigoni sui loro padri e prende le distanze da essi, presentando come empia la loro spedizione e contrapponendola a quella dei figli, protetta e voluta dagli dei”. Sia il numero sia i nomi dei combattenti della prima e della seconda spedizione non sono stati fissati in maniera univoca dalla tradizione, benché il numero di sette per gli eroi che attaccarono Tebe debba essere stato parte della tradizione epica e benché alcuni nomi siano costanti, ricomparendo in tutte le liste che possediamo''. Pausania ci informa che fu Eschilo nei Sette a ridurre il numero degli assalitori argivi a sette da uno più ampio, comprendente eroi non solo di Argo, ma provenienti anche da Messene e dall'Arcadia" ; nessuno prima di lui, infatti, associa gli assalitori con le sette porte di Tebe. Le liste dei Sette e degli Epigoni sono numerose e tra loro discordanti quanto al numero e ai nomi dei guerrieri, anche se alcuni nomi rimangono costanti, come Adrasto (talora incluso nell'elenco dei combattenti e talora invece capo supremo e spettatore

esterno della battaglia), Anfiarao, Capaneo, Tideo, Polinice per i Sette; Egialeo, Alcmeone, Stenelo, Diomede, Tersandro per gli Epigoni" .

* IL. 10, 283-290. * 116,222 5.

1° F1. 4, 403-410. 1 Vd. a questo proposito la discussione in A. SCHACHTER, art. cit. a n. 5, p. 2 s.

" Paus. 2, 20, 5.

P La lista dei Sette nelle fonti epiche include: Polinice, Tideo, Capaneo, Adrasto, Mecisteo, Anfiarao, Partenopeo (per le fonti che menzionano i singoli campioni, vd. A. SCHACHTER, art. cit. a n. 5, p. 2; Licurgo al posto di Mecisteo per T. Gantz, Early Greek Myth. A Guide to Literary and Artistic Sources, BaltimoreLondon 1993, p. 515). Eschilo nei Sette a Tebe elenca tra i guerrieri argivi, escluso Adrasto (presente, ma fuori della battaglia alle sette porte), Tideo, Capaneo, Eteoclo, Ippomedonte, Partenopeo, Anfiarao, Polinice (Aesch. Sept. 42-

56). Sofocle nell'Antigone ribadisce il numero dei sette, ciascuno schierato a una delle sette porte di Tebe

senza tuttavia dare nomi e dettagli (Soph. Ant. 141-143). Nell'Edipo a Colono di Sofocle e nelle Supplici di Euripide si trova una lista identica a quella dei Sette di Eschilo (Soph. Oed. C. 1311-1325; Eur. Suppl 857931). Nelle Fenicie di Euripide, invece, sei dei sette eroi sono gli stessi dei Sette di Eschilo, mentre l'eroe alla settima ed ultima porta è Adrasto, che sostituisce Eteoclo (Eur. Phoen. 1104-1138).

Apollod. 3, 6, 3 cita Adrasto, Anfiarao, Capaneo, Ippomedonte, Polinice, Tideo, Partenopeo (ma riporta anche una variante secondo la quale Eteoclo e Mecisteo sostituiscono Tideo e Polinice nella lista dei Sette). L'elenco di Apollodoro concorda dunque con quello delle Fenicie di Euripide così come Diod. Sic. 4, 65, 4-5, Stat. Theb. 4, 32-250 e Hyg. Fab. 70. B. K. BraswELL, A Commentary on Pindar, Nemean Nine,

Berlin-New York 1998, p. 63 ritiene probabile che sia Euripide nelle Fenicie, sia Apollodoro abbiano attinto ad una fonte comune come la Tebaide ciclica. Per quanto riguarda il numero e i nomi degli Epigoni, Apollod. Bibl. 3,7, 2 ne menziona otto: Alcmeone e Anfiloco (figli di Anfiarao); Egialeo (figlio di Adrasto); Diomede (figlio di Tideo); Promaco (figlio di Partenopeo); Stenelo (figlio di Capaneo); Tersandro (figlio di Polinice); Eurialo (figlio di Mecisteo). Lo

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Oretta Olivieri

Le principali analogie individuabili tra le due spedizioni possono essere cosi sinteticamente ríassunte: 1) la presenza di Adrasto in entrambe le spedizioni; 2) il ruolo analogo rivestito da Adrasto e da suo figlio Egialeo rispettivamente nel primo e nel secondo assalto; 3) l'atteggiamento di Anfiarao e di suo figlio Alcmeone prima della partenza per Tebe; 4) il ruolo determinante di Erifile, moglie di Anfiarao e madre di Alcmeone, nelle due

spedizioni.

1) Dal passo della Pitica 8 di Pindaro (vv. 52-55), in cui Anfiarao predice ad Adrasto la vittoria ed il rientro ad Argo con gli Epigoni dopo aver raccolto le ossa del figlio morto, si evince che egli era presente, con ruoli chiaramente diversi, in entrambe le spedizioni.

Pindaro stesso sottolinea il tragico destino di Adrasto, fortunato nella prima impresa rovinosa, infelice nel secondo tentativo riuscito (vv. 48-55): “Ora l'annuncio di un mi-

glor auspicio / sorprende Adrasto, / l'eroe provato da un infausto evento / nella sua prima impresa. / Ma in casa avrà fortuna avversa. / Solo nell'esercito dei Dànai, / raccolte le ossa del figlio / morto, tornerà per grazia dei numi / con l’armata indenne / alle ampie vie d'Abànte". 2) Sia Adrasto che Egialeo hanno un ruolo di particolare rilevanza nelle due spedizioni. Se Adrasto organizza e conduce la prima infruttuosa spedizione, nella versione euripidea del mito anche Egialeo, per congruenza con il ruolo di suo padre, detiene la leadership. Nell'esodo delle Supplici, infatti, Atena, predicendo agli Epigoni la futura conquista di Tebe, investe Egialeo del ruolo di comandante della spedizione al posto di suo padre, evidente parallelismo che secondo alcuni studiosi risalirebbe alla tradizione originaria del mito'^ . Ma in altre fonti si dice espressamente che Apollo designò capo dell'esercito degli Epigoni non Egialeo, bensi il figlio di Anfiarao, Alcmeone, assicurando loro la vittoria soltanto sotto la sua guida" . Pindaro sembra conoscere questa seconda versione quando nella Pitica 8 fa dire ad Anfiarao nel momento in cui gli Epigoni assalgono Tebe: "Vedo chiaramente Alcmeóne / primo alle porte di Cadmo / agitare sul fulgido scudo / un drago variegato" (vv. 45-47). Dunque, a proposito della coppia Adrasto-Egialeo si puó parlare di analogia nel caso in cui si accetti la versione della leadership detenuta da Egialeo analoga a quella avuta dal padre nella prima spedizione; e di rovesciamento per quanto riguarda la sorte dei due: unico superstite Adrasto, unica vittima del conflitto Egialeo (vd. infra). 3) Un atteggiamento analogo, anche se per motivazioni diverse, tengono Anfiarao e il figlio Alemeone al momento di partire per Tebe: Anfiarao è riluttante a partecipare in quanto, per le sue doti profetiche, conosce l'esito negativo della spedizione'*; Alcmeone, scolio a IL 4, 406a ne menziona nove: Egialeo, Tersandro, Diomede, Stenelo, Alcmeone e Anfiloco, Stratolao

figlio di Partenopeo, Polidoro figlio di Ippomedonte, Medon figlio di Eteoclo. A Delfi, accanto ad un monumento dedicato ai sette eroi argivi, ne sorgeva un altro consacrato agli Epigoni, i cui nomi coincidono con quelli elencati da Apollod. 3, 7, 2 (vd. Paus. 10, 10, 4).

14 Eur. Suppl. 1213-1226 (vv. 1216-1217 Atena ad Egialeo:σύ τ᾽ ἀντὶ πατρός, Αἰγιαλεῦ, στρατηλάτης

/ νέος καταστάς). Vd. il commento al passo di C. Cou An, Euripides. Supplices Il. Commentary, Groningen 1975, p. 419 ss.

'5 Apollod. 3, 7, 2; Diod. Sic. 4, 66, 1 ss. 16 Vd, il racconto di Apollod. 3, 6, 2.

Analogie e rovesciamenti tra i Sette e gli Epigoni

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pur essendo stato designato capo dell'esercito dall'oracolo di Apollo, esita a partire perché prima intende uccidere la madre Erifile, responsabile della morte del marito; ma parte ugualmente rinviando il matricidio ad un momento successivo" . Possediamo un frammento, giunto per tradizione indiretta e collocato da Bernabé tra i frammenti della Tebaide, in cui Anfiarao si rivolge al figlio Anfiloco, molto probabilmente, come riteneva il Bergk, prima della partenza per Tebe, impartendogli dei precetti, ovvero la cosiddetta norma del polipo'*. Pindaro, in un frammento di un inno, riporta all'incirca le stesse parole della Tebaide . Negli eventi successivi, invece, Anfiloco non viene mai menzionato se non in qualche lista degli Epigoni come partecipante alla spedizione, mentre Alcmeone non solo é protagonista del secondo attacco (in Apollod. 3, 7, 2 ne é il capo), ma é anche l'autore del matricidio. 4) Indubbiamente la più evidente analogia tra le due spedizioni è rappresentata dal ruolo della moglie di Anfiarao e madre di Alcmeone, Erifile. La storia del tradimento di Anfiarao doveva essere molto antica se già in un affresco, proveniente da Micene e datato a prima del 1300 a.C., è raffigurata una donna con una collana, identificata con Erifile” . Nella descrizione dell'arca di Cipselo, Pausania dichiara di avere visto rappresentata la scena della partenza di Anfiarao per Tebe: l'indovino poggia uno dei due piedi sul carro ed impugna la spada sguainata rivolto verso Erifile, mentre l’auriga, Batone, regge le redini dei cavalli; la donna, invece, sta di fronte alla casa, con la collana, e accanto a lei sono raffigurate le figlie Euridice e Demonassa e un fanciullo nudo, Alcmeone (Anfiloco bambino è in braccio ad una vecchia)” .

Pindaro nella Nemea 9 illustra la ragione del ruolo determinante di Erifile nel destino di Anfiarao: al rientro di Adrasto ad Argo, dopo il periodo trascorso a Sicione in seguito all'espulsione da parte di Anfiarao, la donna fu data in sposa a quest'ultimo come pegno

dell'avvenuta riconciliazione tra l'indovino ed Adrasto; a lei sarebbe toccato anche decidere, in qualità di arbitro, nel caso in cui sorgessero della dispute tra i due”. Quando " Vd. Apollod. 3, 7, 2. Cfr. Diod. Sic. 4, 66, 1 ss.; Alcmaeon. fr. dub. 8 Bernabé: è lo stesso Anfiarao ad ordinare ad Alcmeone di non marciare con gli Epigoni contro Tebe prima di aver ucciso la madre.

18 Theb. fr. 4 Bernabé. Per la discussione relativa al contesto in cui le parole di Anfiarao furono pro-

nunciate, vd. A. BERNABÉ (ed.), Poetae Epici Graeci. Testimonia et Fragmenta 1, Leipzig 1987, p. 25; M. Davies, op. cit. a n. 4, p. 43. Sulla norma del polipo, cfr. Theogn. 215-218, su cui vd. F. R. ADRADOS, ‘El Poema del Pulpo y los origines de la coleccion Teognidea', Emerita 26, 1958, pp. 1-10 e, soprattutto, B. GENTILI, Poesia e pubblico nella Grecia antica. Da Omero al V secolo, Roma-Bari 1995”, pp. 165-211. A proposito della partenza di Anfiarao, la Vita Hom. Herodotea 9 (6, 22 Wil.) e Su(i)da s.v. Ὅμηρος (III 526, 4 Adler) attestano l'esi-

stenza di un poema attribuito ad Omero, la ᾿Αμφιαράου ἐξελασίη (vd. Theb. Testt. 7 e 8 Bernabé). Vd. s.v.' Apprapew ἐξελασίη, REI, 1894, coll. 1897-1898. Per un quadro riassuntivo delle differenti posizioni

degli studiosi circa l'autonomia del poema oppure l'identificazione con la Tebaide od una parte di essa, vd. A. BERNABÉ, op. cit. p. 22. 19 Pind. fr. 43 Maehl. 20 yd. Sp. MarinaTOS - M. Hirmer, Kreta, Thera und das mykenische Hellas, München 1976’, p. 90e n. 104 e pl. LV (descrizione a p. 182).

2! Paus. 5, 17, 5-8. Vd. il commento al passo di Pausania (con i riferimenti alle raffigurazioni iconografiche della scena) in G. Mappou - V. SALADINO (a cura di), Pausania. Guida della Grecia V. L'Elide e Olimpia, Milano 1995, p. 295 s.

Vd. Pind. Nem. 9, 16-17. Per tutta la vicenda che vede protagonista Erifile, vd. schol. (V = D) ad Hom. Od. 11, 326 (p. 508 Dind.). Mentre nell'ode pindarica Adrasto pone fine alla lite con Anfiarao dandogli in sposa sua sorella Erifile, lo scolio omerico pone il matrimonio prima della lite ed afferma che, quando i due si furono riconciliati, decisero di sottoporre ogni disputa futura ad Erifile scelta come arbitro.

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Oretta Olivieri

Adrasto organizzò la spedizione contro Tebe, Anfiarao, prevedendone l'esito disastroso, tentava di dissuadere gli Argivi. Ma Polinice corruppe Erifile offrendole come dono la collana di Armonia; la donna costrinse così lo sposo a partire per Tebe non senza che prima Anfiarao avesse ordinato al figlio Alcmeone di vendicarne la morte”. Nei due passi dell'Odissea dove compare il nome di Erifile, la donna è sempre pre-

sentata come un'assassina prezzolata (ἀνδροδάμας la definisce Pindaro in Nem. 9, 16), responsabile della morte del suo sposo: “(scil. Anfiarao) non raggiunse la soglia della vecchiaia / e perì a Tebe per colpa dei doni dati a una donna” (Od. 15, 246 s.); nella

Nekyia Odisseo vede "l'odiosa Erifile, / che oro prezioso accettò in cambio di suo marito" (Od. 11, 326 s.).

Il frammento 4 Bernabé degli Epigoni fa riferimento con molta probabilità al dono accettato da Erifile che fu la causa di molte sciagure, della morte di Anfiarao e della distruzione dell'esercito argivo: “dai doni infatti provengono molti mali agli uomini""* . Esiodo nel Catalogo delle donne menziona un ἄγαλμα, probabilmente l'óppos che, dato da Cadmo ad Armonia, in seguito fini nelle mani di Erifile^ . La collana fatale è ricordata in numerosi luoghi anche dai poeti tragici del V secolo?^. Pindaro menziona in un frammento di genere incerto la terribile ἄτη che sopraffece Erifile quando compi il misfatto: "Ahimé ! Come si inganna il pensiero dei mortali che non sa !””. Erifile non fu la rovina del solo Anfiarao, ma il tradimento fu replicato, questa volta ai danni del figlio Alemeone. Come, infatti, per la partecipazione di Anfiarao alla prima guerra contro Tebe fu indispensabile il dono (l'épuoc) di Polinice alla donna, cosi a spingere Alcmeone all'assedio degli Epigoni fu il secondo dono (il πέπλος di Armonia), dato ad Erifile da Tersandro, il figlio di Polinice^ . Siamo di fronte ad una situazione di perfetta corrispondenza per quanto riguarda

due episodi fondamentali, strutturali dei due miti: il ruolo di Erifile rimane invariato e l'azione di cui é artefice, la corruzione e il tradimento, si ripete. Mutano soltanto i personaggi che la corrompono (Polinice nel primo caso, suo figlio Tersandro nel secondo) 2 Schol. cit. supra; schol. Hom. Od. 15, 246 (p. 613 Dind.). Vd. anche Hyg, Fab. 73: nella versione di Igino é Adrasto a costruire un monile d'oro offerto poi alla sorella Erifile che, avida del dono, tradi il marito.

^ Epig. fr. 4 Bernabé: ἐκ γὰρ δώρων πολλὰ κάκ᾽ ἀνθρώποισι πέλονται.

?* Hes. Cat. fr. 142 M.-W.

26 Soph. El. 837 ss., dove il coro dice: οἶδα yàp ἄνακτ᾽

᾿Αμφιάρεων

/ χρυσοδέτοις ἔρκεσι xpup-

ϑέντα yuvat-/xàv xai νῦν ὑπὸ γαίας. Aesch. Choe. 617 s. χρυσεοδμήτοισιν óp- /uous γυναικῶν. Eur. Alcmacon. fr. 70 NJ: ὃς Οἰδίπουν ἀπώλεσ᾽, Οἰδίπους δ᾽ ἐμέ (scil. Polinice), χρυσοῦν ἐνεγκὼν ὅρμον

εἰς “Apyovs πόλιν. Sofocle compose due tragedie, Epigonoi ed Eriphyle, che, secondo WELCKER, seguito da A. C. Pearson (The Fragments of Sophocles 1, Cambridge 1917, p. 132), sono probabilmente titoli di una medesima tragedia. Secondo Pherecyd. FGrHist 3 F 89 — Apollod. 3, 4, 2, la collana era stata donata a Cadmo da Europa che la ebbe da Zeus, secondo altri da Efesto; oppure Armonia aveva ricevuto per le nozze con Cadmo la collana da Afrodite e il peplo da Atena (schol. Eur. Phoen. 71 = Pherecyd. FGrHist 3 F 96; Hellanic. FGrHist 4 F 98).

2 Pind. fr. 182 Maehl. (da Aristid. Or. 51, 5 (2, 238 K.) (Πίνδαρος) ὁρμηϑεὶς tx τῶν περὶ τῆς Ἔρι-

φύλης Abyuv: à πόποι, ol ἀπατᾶται φροντὶς ἐπαμερίων

/ οὐκ ἰδυῖα). Cfr. anche Soph. fr. 192 N°

= Eriphyl. TrGF 4 201a Radt. A proposito del frammento pindarico, vd. B. K. BRASwELL, op. cit. a n. 13, p. 37.

% Perla collana donata da Polinice ad Erifile, vd., oltre ai passi già citati dell'Odissea (Od. 11, 326 s.; 15,

246 s.) con i relativi scoli (schol. Od. 11, 326 [p. 508 Dind.] e schol. Od. 15, 246 [p. 613 Dind.]), Apollod. 3, 6, 2; Diod. Sic. 4, 66, 3; schol. Pind. Nem. 9, 30b (111 154, 3-5 Dr.). Per il peplo dato da Tersandro ad Erifile, vd. Apollod. 3, 7, 2; Diod. Sic. 4, 66, 3.

Analogie e rovesciamenti tra i Sette e gli Epigoni

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e le vittime del tradimento (Anfiarao per la prima spedizione, Alcmeone, suo figlio, per la seconda), nonché il dono (la collana di Armonia nel primo caso e il peplo nell'altro).

La notizia del tradimento ripetuto di Erifile é attestata da fonti piuttosto tarde (Apollodoro nella Biblioteca, Diodoro Siculo e gli scoli alla Nemea 9 di Pindaro)? . Come

é stato ipotizzato da Bernabé e da altri studiosi, é tuttavia congettura ragionevole che tali fonti attingano ampiamente dalla Tebaide e dagli Epigoni epici”. Nel tentativo di ricostruire il doppio ruolo di Erifile é di grande importanza considerare anche l'Erifile di Stesicoro, della quale rimangono pochi e lacunosi frammenti" . Per la vicenda argivotebana, oltre ai frammenti riguardanti Asclepio che riportó in vita alcuni dei caduti a Tebe”, particolarmente significativo è un frammento giunto per tradizione diretta”, in cui compare una conversazione tra Adrasto e Alcmeone nel contesto di un banchetto. Alla domanda rivolta da Adrasto ad Alcmeone circa la ragione per cui se ne va abbandonando i convitati, Alcmeone lo invita a godersi la festa, mentre egli sta per compiere qualcosa: “... cosi gli parlò... / l'eroe Adrasto: "Alcmeone, per dove, lasciando i convitati e l'ottimo aedo, / ... ti sei levato?". / Così disse. E a lui rispondendo parlò / l'Anfiaretide caro ad Ares: / “Tu, caro, bevi, e goditi / la festa. Io invece...” "*. È stato ragionevolmente ipotizzato che Alcmeone, dopo aver appreso durante il banchetto da Adrasto del tradimento di sua madre nei confronti del padre, parta in fretta per uccidere Erifile. In tal caso, il poema probabilmente conosceva entrambi i tradimenti, che potrebbero essere stati trattati già dall'epica antica”.

Molto significative sono indubbiamente le situazioni di rovesciamento riscontrabili nelle due spedizioni: 1) la presenza di antefatti per la spedizione dei Sette e l'assenza nel caso degli Epigoni; 2) la sconfitta dei Sette e la vittoria degli Epigoni; 3) gli auspici contrari alla vigilia della partenza dei Sette contrapposti ai presagi favorevoli per gli Epigoni; 4) la morte di tutti i padri ad eccezione di Adrasto contrapposta alla salvezza di tutti gli Epigoni tranne Egialeo; 5) l'immortalità negata da Atena a Tideo, ma concessa al figlio Diomede; 6) la sepoltura di un Argivo da parte di un Tebano dopo la prima spedizione contrapposta alla sepoltura di un Tebano da parte di un Argivo dopo la seconda.

1) Gli antefatti che portarono alla guerra tra Polinice, esule ad Argo, e il fratello Eteocle, regnante a Tebe, sono contenuti nel poema epico Tebaide e risalgono alle ma? Vd. nota precedente. 5° Vd. RzacH, s.v. 'Kyklos', RE XI 2, 1922, col. 2365. A. BERNABÉ, op. cit. a n. 18, p. 29; B. K. BRASWELL, op. cit. a n. 13, p. 75 s.

3 Stes. Eriphyl. frr. 194 (I-V) PMG (Davies) e frr. $148-150 PMG (Davies).

32 Stes. Eriphyl. frr. 194 (1-V) PMG (Davies).

33 Er. $148 (P. Oxy. 2618 fr. 1). Vd. il commento di E. Lose, The Oxyrhynchus Papyri XXXII, London

1967, pp. 30-33.

^ Un frammento tragico adespoton (fr. 358 N.?) riporta uno scambio di offese tra Alemeone e Adrasto

dopo l'assassinio di Erifile: Alcmeone: “Sei il fratello di una donna che ha assassinato suo marito”. / Adrasto: “E tu l'assassino di tua madre, che ti ha dato la vita”.

35 T. GANTZ, op. cit. a n. 13, p. 525.

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ledizioni scagliate da Edipo sui suoi due figli, destinati a contendersi la sovranità su Tebe in eterno conflitto” . La spedizione vera e propria fu preceduta da alcuni significativi eventi preliminari che non conosciamo, invece, per la seconda spedizione degli

Epigoni.

a) L'ambasceria di Tideo a Tebe come estremo tentativo di scongiurare lo scontro. L'eroe entra nella reggia cadmea di Eteocle con proposte di pace. La tregua non fu accolta dai Tebani, che tentarono inutilmente di uccidere Tideo in un agguato sulla via del ritorno". b) L'ambasceria di Polinice e di Tideo a Micene prima della partenza per chiedere truppe ausiliarie, che la città avrebbe dato se non fosse stata distolta da Zeus, che aveva manifestato segni contrari? . c) Il giuramento dei sette eroi argivi alla vigilia della partenza per Tebe. Pausania testimonia la presenza ad Argo di un altare di Zeus Hyetios, “presso cui coloro che aiutavano Polinice nel suo tentativo di rientrare in Tebe giurarono di morire, se non fossero riusciti a conquistare Tebe”. d) Il conflitto tra Licurgo e Anfiarao a Nemea nel corso della marcia di avvicinamento a Tebe. Durante una sosta dell'esercito partito da Argo, probabilmente a Nemea, avvenne uno scontro finito in duello tra Licurgo e Anfiarao? , responsabile della uccisione del nonno e del padre di Licurgo, rispettivamente Talao e Pronax, al tempo della stasis ad Argo che portó alla detronizzazione dei figli di Talao ed alla fuga di Adrasto a Sicione ad opera dei due clans rivali degli Anassagoridi e dei Melampodidi, capeggiati da Anfiarao" . 2) L'esito delle due spedizioni é opposto: i Sette falliscono nell'impresa e vengono respinti dai Tebani; gli Epigoni, invece, riportano successo ed espugnano la città. Nelle parole di rimpianto per la perdita di Anfiarao, pronunciate da Adrasto nel momento della sua fuga da Tebe sul cavallo Arione, é contenuta tutta l'amarezza del capo argivo per la sconfitta del suo esercito: "Rimpiango l'occhio della mia armata, il valente indovino e guerriero" (Pind. OL 6, 15-17).

In un'ampia sezione della Pitica 8 di Pindaro, invece, lo spirito oracolare di Anfiarao, inghiottito dal suolo tebano con il carro e l'auriga, profetizza il successo degli Epigoni a

36 Vd. Theb. frr. 2-3 Bernabé.

? fl. 4, 382-400; Diod. Sic. 4, 65, 4; Apollod. 3, 6, 5.

?! Tl. 4, 376-381.

% Paus. 2, 19, 8. Il giuramento dei Sette contro Tebe è in Aesch. Sept. 42 ss.

* Hecat. FGrHist 1 F 33: Ecateo narra che Anfiarao, figlio di Oicleo, una volta si addormentò mentre faceva la guardia, e subi le conseguenze di ciò (... καὶ λέγει μὲν ᾿Εκαταῖος ὁ Μιλήσιος ᾿Αμφιάρεων τὸν Οἰκλέους κατακοιμίσαι τὴν φυλακὴν xat ὀλίγου παϑεῖν ὅσα λέγει). Secondo T. GANTZ, op. cit.

a n. 13, p. 512, forse questo errore, qualunque fosse la circostanza, fu ció che causó l'ira di Licurgo (o di Tideo). Il duello era rappresentato sul trono di Amicle a Sparta, come attesta Paus. 3, 18, 12. L'episodio è

noto anche da un rilievo sulla fascia interna di uno scudo da Olimpia, databile intorno al 570/560 a.C., e da un frammento di vaso laconico da Cirene del medesimo periodo. Sull'episodio, vd. l'esaustiva discussione in C. BRILLANTE, ‘Un episodio dimenticato della "Tebaide"', in A. MASTROCINQUE (a cura di), Omaggio

a Piero Treves, Padova 1983, pp. 43-55, spec. p. 43 s. e n. 1 sullo scudo e sul frammento di vaso laconico. *! Vd. il racconto in Pind. Nem. 9, 13-15. Per questo avvenimento la fonte più autorevole è lo storico Menecmo di Sicione (Menaichm. FGrHist 131 F 10; scholl. Pind. Nem. 9, 30a, b, c [III pp. 152-154 Dr.], cui dobbiamo il frammento di Menecmo). Vd. C. BRILLANTE, art. cit. a n. 40, p. 48 s. con l'elenco delle fonti relativamente a questo episodio che vide Anfiarao protagonista nella cacciata dei Biantidi.

Analogie e rovesciamenti tra i Sette e gli Epigoni

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Tebe che compenserà il disastro precedente (vv. 39-55). È stato ipotizzato che questo diverso risultato della seconda azione militare argiva fosse preannunciato dall’autore degli Epigoni già nel primo verso del poema: “Ora, Muse, cominciamo da guerrieri più giovani”, dove l'epiteto, riferito agli Epigoni, ὁπλότεροι sarebbe da intendere nel significato originario di “uomini più capaci di portare armi” rispetto ai Sette* . Nell'Iliade Stenelo, replicando energicamente alle parole di biasimo rivolte da Agamennone a Diomede, enfatizza la valentia bellica degli Epigoni; essi possono vantarsi di essere molto migliori dei padri perché hanno espugnato la rocca di Tebe dalle sette porte “portando un esercito più piccolo sotto mura più possenti”*.

3) Una significativa situazione di rovesciamento è ravvisabile anche nei diversi auspici, ricordati in quasi tutte le fonti, che accompagnarono le due spedizioni nella loro

messa in atto e che poi ne determinarono l’esito. L'opposizione è tra i segni contrari, dati dagli dei ai Sette, e i presagi favorevoli per gli Epigoni. Sin dai preparativi per il primo assalto gli dei inviarono omina contrari ai Sette: quando Tideo e Polinice giunsero a Micene per chiedere aiuti, Zeus tentò di dissuaderli dall'impresa mostrando segni sfavorevoli (Hom. Il. 4, 381 παραίσια σήματα φαίνων)“. In Il. 4, 408-409 Stenelo rivendica al contrario la pia osservanza del volere divino da parte degli Epigoni, “attenti ai segnali divini ed all'aiuto di Zeus”, di contro alla follia dei padri, per la quale questi ultimi perirono* . Di trasgressione del volere di Zeus parla anche Esiodo al v. 8 del fr. 193 M.-W., probabilmente nel contesto di una rievocazione dell'impresa dei Sette contro Tebe (vv. 1-8):

JZnvos mapa

ϑέσφατα

[Bav reg”.

Nell'Epinicio 9 per Automede di Fliunte, Bacchilide ricorda il tentativo fallito dell'indovino Anfiarao, che conosceva l'esito della spedizione, di persuadere gli Argivi a rinunciarvi. Durante la sosta a Nemea dei guerrieri argivi, quando essi si cimentarono

negli agoni in onore di Archemoro, l'indovino aveva interpretato la morte del bambino Ofelte-Archemoro a Nemea come “presagio di morte imminente" (v. 14 σᾶμα μέλλοντος φόνου)“. Nella lunga sezione della Nemea 9 dedicata alla rovinosa spedizione dei Sette (vv. 18‘2 Epig. fr. 1 Bernabé. Per l'interpretazione di ὁπλοτέρων, vd. G. L. HuxLey, Greek Epic Poetry from Eumelos to Panyassis, London 1969, p. 46.

% IL 4, 405 ss. Con l'affermazione di Stenelo contrasta la notizia di Diod. Sic. 4, 66, 3, secondo la quale

l'esercito degli Epigoni era considerevole in quanto composto di combattenti provenienti non solo da Argo, ma anche dalle città vicine.

M IL 4, 376381.

% IL 4, 408-409: πειϑόμενοι (scil. gli Epigoni) τεράεσσι ϑεῶν καὶ Ζηνὸς ἀρωγῇ᾽ / κεῖνοι (scil. iSette) δὲ σφετέρῃσιν ἀτασϑαλίησιν ὄλοντο.

^5 Per l'integrazione del participio al nominativo di βαίνω, sulla base di PLit. Palau Rib. 21, vd. G. B. D'ALessio, ‘Esiodo, fr. 193, 8 M.-W.', Zeitschr. f. Pap. u. Epigr. 110, 1996, p. 100. Come nota lo studioso, "in questo contesto... il riferimento deve essere alla notoria circostanza per cui i Sette mossero all'attacco di Tebe trascurando auspici e presagi infausti”. Vd. anche W. Beck, 'APT'EIONH

in the Hesiodic Catalog

and Antimachos', Zeitschr. f. Pap. u. Epigr. 73, 1988, p. 4 e n. 14 con bibliografia e passi paralleli.

“7 Bacch. Ep. 9, 10-20: "Là gli eroi dagli scudi scarlatti, / il fior degli Argivi, per la prima volta / scesero

a gara in onore di Archemoro; l'aveva ucciso, / mentr'era assopito, un serpente arrogante d'occhi gialli, / presagio di morte imminente. / O sorte tiranna ! Il figlio di Oicleo non li convinse / al ritorno, alle popolose contrade. / La speranza sottrae agli uomini l'intendimento. / Fu lei che anche allora inviò

Adrasto, figlio di Talao, / a Tebe, in aiuto di Polinice che sferza i cavalli”. Per la spiegazione del nome ᾿Αρχέμορος, vd. Hypoth. c a Pind. Nem. (III p. 3 Ὁτ.): ᾿Αμφιάραος δὲ τούτοις pavtevopévore ᾿Αρχέμορον

αὐτὸν ἐκάλεσεν. ὅτι αὐτοῖς ἀρχὴ μόρου ἐγένετο è τοῦ παιδὸς ϑάνατος. Per l'episodio, infausto per

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27), Pindaro ricorda l'assenza di omina favorevoli alla partenza dei guerrieri (vv. 18-20). I Sette non ricevettero manifesti segnali negativi da Zeus, semplicemente non ne ricevettero. Infatti, un fulmine in un momento particolarmente critico poteva essere consi-

derato l'approvazione divina di un'azione, mentre la mancanza di tali segnali mirava a scoraggiarla. I Sette condussero l'esercito a Tebe "per una via / di auguri non favorevoli” (vv. 18-19 αἰσιᾶν / οὐ κατ᾽ ὀρνέχων ὁδὸν) in quanto “il Cronide non li esortava, / facendo vibrare il fulmine, a partire, furenti, / dalla patria, ma ad astenersi dalla spedizione" (vv. 19-20)“.

4) Sempre a proposito dell'esito delle spedizioni, emerge una chiara situazione di rovesciamento per quanto riguarda la sorte dei singoli campioni argivi dopo il combattimento? . I Sette muoiono tutti ad eccezione di Adrasto, che è l'unico superstite; gli Epigoni, invece, hanno miglior fortuna: tutti si salvano tranne Egjaleo, proprio il figlio di Adrasto. Nella prima spedizione quattro eroi sono uccisi da altrettanti campioni tebani, i quattro figli di Astaco: secondo il racconto di Apollodoro e di Pausania, Ismaro uccide Ippomedonte, Leade Eteoclo, Anfidico Partenopeo ed infine Melanippo ferisce mortalmente al ventre Tideo? . Partenopeo è ucciso non da Anfidico, bensì da Periclimeno nella Tebaide ciclica, seguita anche da Euripide nelle Fenicie, come rileva Apollodoro (3, 6, 8), e da Aristodemo di Tebe” . Sono poi note le sorti di Polinice, vittima e assassino di

suo fratello Eteocle, e di Anfiarao, inghiottito dalla terra tebana aperta dal fulmine di Zeus. Adrasto, invece, si mette in salvo sul cavallo Arione, come attesta la Tebaide" . L'armata degli Epigoni, come profetizza Anfiarao nella Pitica 8, rimarrà invece in-

i Sette, vd. schol. Clem. Alex. Protr. 2, 34 p. 306, 25 St.; Apollod. 3, 6, 4; Stat. Theb. 5, 738 s.; Lact. Plac. ad Stat. Theb. 4, 717. Le notizie degli scoli e dei mitografi risalgono probabilmente a Eur. Hyps. fr. 60, 77-78: ἀρχὴ γὰρ ἡμῖν [θανασίμου ϑνήσκων μόρου) / ᾿Αρχέμορος ἕσται. Le “popolose contrade” di Argo (v.

17ἐς εὐάνδρους ἀγίυιάς) richiama le “ampie vie d'Abánte”, alle quali farà ritorno Adrasto dopo la seconda spedizione degli Epigoni, secondo un'altra profezia pronunciata da Anfiarao a Tebe in Pind. Pyth. 8, 39 ss. (v. 55 Ἄβαντος εὐρυχόρους ἀγυιάς). Vd. il commento ad loc. di H. MAEHLER, Die Liederdes Bakchylides. Erster Teil. Die Siegeslieder 1. Kommentar, Leiden 1982, p. 152 ss. Cfr. in questo stesso volume P. ANGEL BERNARDINI, ‘La città e i suoi miti nella lirica corale: l'Argolide e Bacchilide', pp. 132-133. ^ Pind. Nem. 9, 19-20 οὐδὲ Κρονίων / ἀστεροπὰν ἐλελίξαις οἴκοθεν μαργουμένους / στείχειν ἐπώτρυν᾽, ἀλλὰ φείσασϑαι κελεύϑου. Vd. il commento in questo senso di B. K. BRASWELL, op. cit. a n. 13,

p. 81. Lo studioso avanza l'ipotesi, sulla base di un altro passo in cui Pindaro attinge alla Tebaide ciclica (in Ol. 6, 15 ss. = Theb. fr. 10 Bernabé, cfr. schol. 26 [I p. 160, 5 Dr.]), che anche in questo caso il poeta abbia fatto uso della Tebaide ciclica, che forse menzionava l'assenza del fulmine di Zeus. Eschilo nei Sette a Tebe

(vv. 377-383) ricorda gli infausti segni dati dagli dei attraverso le vittime sacrificali, per i quali Anfiarao vieta a Tideo di attraversare il fiume Ismeno. Vd. anche Stat. Theb. 3, 572, dove Anfiarao prevede l'esito negativo della spedizione sulla base dell'osservazione del volo degli uccelli. % Vd. T. GANTZ, op. cit. a n. 13, p. 522, che definisce la situazione un "ironic arrangement".

? Vd. Apollod. 3, 6, 8 e Paus. 9, 18, 6: in Pausania il nome di Anfidico è mutato in Asfodico.

5! Theb. fr. 6 Bernabé; Eur. Phoen. 1153 ss.; Aristodem. di Tebe, FGrHist 383 F 6. Per la questione, si rinvia a E. Cincano, ‘Il duello tra Tideo e Melanippo nella Biblioteca dello Ps. Apollodoro e nell'altorilievo etrusco di Pyrgi. Un'ipotesi stesicorea', Quad. Urb. n.s. 25 (54), 1987, p. 96 n. 13.

SE Theb. fr. 7 Bernabé, dove Adrasto è rappresentato nel momento in cui, vestito a lutto, fugge su Arione (εἴματα λυγρὰ φέρων σὺν ᾿Αρίονι xvavoyaity), e fr. 8 (vd. T. GANTZ, op. cit. a n. 13, p. 517). Vd. anche IL 23, 346 s. e schol. ABD (Gen.)ad Il. 23, 346 (11 p. 317 Dind.), schol. Pind. OL 6, 23a; 23d (1 p. 158 s.

Dr.). Pausania informa che Adrasto morirà poi a Megara di vecchiaia e per il dolore causatogli dalla morte del figlio Egialeo (Paus. 1, 43, 1). Questo episodio era probabilmente trattato anche negli Epigoni: vd. E. Cincano, ‘Clistene di Sicione, Erodoto e i poemi del Ciclo tebano', Quad. Urb. n.s. 20 (49), 1985, p. 39 n. 31.

Analogie e rovesciamenti tra i Sette e gli Epigoni

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denne, ad eccezione di Egialeo, il cui corpo sarà raccolto da Adrasto prima di far ritorno ad Argo" .

5) Come abbiamo accennato sopra, l'altra coppia padre-figlio molto presente nelle fonti è quella costituita da Tideo e Diomede, curiosamente legata anche dal fatto che tutti e due sposano due figlie di Adrasto (Tideo Deipile e Diomede Egialea)** . Anche in questo caso agisce il meccanismo del rovesciamento: immortalità negata da Atena a Tideo, ma accordata, come una sorta di compensazione, al figlio Diomede. Nella Tebaide cidica era raccontata la fine di Tideo, ferito mortalmente al ventre dal tebano Melanippo. Nella vendetta compiuta prima di morire da Tideo sul nemico interviene Anfiarao, sul cui ruolo nella situazione esistono due versioni discordanti. Secondo quella trasmessa dalla Tebaide, Anfiarao, su richiesta di Tideo morente, uccide Melanippo e porge la testa a Tideo, che ne succhia il cervello” . A questa versione si contrappone quella di Apollodoro, secondo la quale Tideo, benché ferito e agonizzante, riesce ad uccidere Melanippo; mentre Anfiarao, di propria iniziativa (e quindi non piü su richiesta di Tideo), spinto dall'odio nei confronti dell'Argivo, ritenuto da lui responsabile della spedizione, recide il capo a Melanippo e lo porge a Tideo che ne fa scempio”. L'esito di tale empio rituale è tuttavia il medesimo: Atena, in procinto di portare il pharmakon dell'immortalità a Tideo, alla vista di tale miasma, si allontana inorridita.

Allora l'eroe prega la dea di concedere l'immortalità almeno a suo figlio Diomede”, favore che gli viene accordato come attesta la Nemea 10 di Pindaro, dove, nell'ambito del catalogo proemiale di personaggi appartenenti al patrimonio mitologico di Argo, è ricordato il prezioso dono della Glaucopide a Diomede”. Anche se nei frammenti della

Tebaide sembra implicita la concessione dell'immortalità a Diomede, il primo a menzionarla espressamente è Ibico” , mentre Bacchilide conosceva l'originaria intenzione della dea di accordarla a suo padre” . ? Pind. Pyth. 8, 52-55: μόνος (scil. Αδραστος) γὰρ ἐκ Δαναῶν στρατοῦ

/ ϑανόντος ὀστέα λέξαις

υἱοῦ, τύχᾳ ϑεῶν / ἀφίξεται λαῷ σὺν ἀβλαβεῖ / Αβαντος εὐρυχόρους ἀγνιάς. Vd. anche schol. Pyth. 8, 68; 71; 73 (lI p. 213 s. Dr. ). Hellanic. FGrHist 4 F 100 identifica Egialeo con il figlio destinato alla morte di Adrasto. Cfr. anche Paus. 1, 43, 1; Hyg. Fab. 71 hic (scil. Egialeo) solus periit ex septem qui exierant, quia

pater exsuperaverat pro patre vicariam vitam dedit.

% Per Deipile moglie di Tideo, vd. Apollod. 1, 8, 5; per Egialea sposa di Diomede, Il. 5, 412 ss.;

Apollod. 1, 8, 6.

55 VA. Theb. fr. 9 (1) Bernabé; fr. 9 (11) (cfr. Pherecyd. FGrHist 3 F 97); fr. 9 (III) (cfr. anche schol. Pind. Nem. 11, 43 (III 189, 27 Dr.) fr. 9 (IV). Vd. anche Paus. 9, 18, 1. Vd. A. SEVERYNS, op. cit. a n. 4, p. 220; M. Daviss, op. cit. a n. 4, p. 27 ss.

5 Vd, Theb. fr. 9 (V) Bernabé. Vd. anche Stat. Theb. 8, 724 ss.; schol. C ad Ovid. Ib. 427 La Penna. Sull'episodio, e in particolare sul ruolo di Anfiarao, vd. E. Cincano, ‘Il duello’, cit. a n. 51, p. 93 ss.; T. GANTZ, op. cit. a n. 13, p. 517. L'ostilità di Anfiarao per Tideo è sottolineata anche da Aesch. Sept. 568-575, dove l'indovino, posto davanti alla porta Omoloide, ripetutamente rimprovera Tideo gridando ogni ge-

nere di insulti contro di lui (lo definisce ἀνδροφόντης, πόλεως tapaxtwp, μέγιστος “Apyet τῶν κακῶν διδάσκαλος, ᾿Ερινύος κλητήρ, πρόσπολος φόνου, κακῶν ᾿Αδράστῳ τῶνδε βουλευτήριον).

P Vd. e. g. Theb. fr. 9 (I) Bernabé: Τυδεὺς δὲ γνοὺς ἐδεήϑη τῆς ϑεοῦ ἵνα x&v τῷ παιδὲ αὐτοῦ

παράσχῃ

τὴν ἀϑανασίαν. ἡ ἱστορία παρὰ τοῖς κυκλικοῖς.

?* Pind. Nem. 10, 7 Διομήδεα δ᾽ ἄμβροτον ξαν- / Bd ποτε Γλαυκῶπις ἔϑηκε ϑεόν; vd. anche schol. Nem. 10, 12b (Ill p. 168, 18-21 Dr.).

9 Ibyc. fr. 294 PMG (Davies) (= schol. Pind. Nem. 10, 12). Ibico, secondo quanto afferma lo scolio, ricorda anche una Διομήδεια νῆσος ἱερά presso Adria, dove Diomede è onorato come dio. © Bacch. fr. 41 Maehl. Vd. il commento al frammento di H. MaeHter, Die Lieder des Bakchylides.

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6) Sappiamo che tutti gli Argivi della prima spedizione, ad eccezione di Adrasto, caddero a Tebe. Pausania racconta che Creonte, re di Tebe, fece gettare i corpi dei guerrieri fuori della città privi di sepoltura e proibì di seppellirli* . Pindaro in due odi menziona invece le sette pire in cui furono cremati i corpi dei nemici argivi* . Come suggerisce lo scolio al passo dell'Olimpica in questione, molto probabilmente non si tratta delle sette pire dei singoli eroi, bensì degli eserciti dei singoli capi? . Dall'Iliade si ricava la notizia secondo la quale Tideo è sepolto a Tebe”. Una tradizione tebana, attestata da Pausania, vuole che a seppellirlo fosse stato Meone, l'unico dei cinquanta Tebani, inviati a tendergli un agguato, risparmiato da Tideo di ritorno dall'ambasceria a Tebe”.

In un frammento dell'Alcmeonide sono descritte delle esequie funebri, in cui un soggetto non espresso pone dei cadaveri su un giaciglio steso a terra, offre loro un banchetto e delle coppe e pone corone sui loro capi . Sulla base di un passo di Apollodoro (3, 7, 3), in cui è detto che Laodamante, figlio di Eteocle, uccide Egialeo, ma è a sua volta ucciso da Alcmeone, è stato ipotizzato che i cadaveri in questione siano quelli del tebano

Laodamante e dell'argivo Egialeo e che il soggetto dell’azione sia Alcmeone, pio ministro delle esequie funebri dopo la conclusione della seconda spedizione” . Esisteva, comunque, un altra versione circa la sorte di Laodamante che, secondo Erodoto e Pausania, non fu ucciso da Alcmeone, ma, dopo aver ucciso Egjaleo, si rifugiò con alcuni Tebani in Illiria* . Se tuttavia il frammento dell'Alcmeonide risale alla stessa tradizione della fonte di Apollodoro, come è stato con buone argomentazioni supposto, si verrebbe a cre-

are un'ennesima situazione di rovesciamento tra le due spedizioni: nella prima un Tebano, Meone, seppellisce un Argivo, Tideo; nella seconda, invece, un epigono argivo, Alcmeone, dà sepoltura, insieme al compagno d'armi Egjaleo, all'antagonista tebano Laodamante.

Zweiter Teil. Die Dithyramben und Fragmente. Text, Übersetzung und Kommentar, Leiden-New York-Kóln 1997, p. 347 s. (con i riferimenti alle rappresentazioni iconografiche della scena).

*! Apollod. 3, 7, 1. Paus. 1, 39, 2 vede le tombe sulla strada di Eleusi.

$ Ol 6, 15 ἑπτὰ δ᾽ ἔπειτα πυρᾶν ve-/xpüv τελεσϑέντων e Nem. 9, 24 ἑπτὰ γὰρ δαίσαντο rupai νεογυίους / φῶτας. 9! Schol. OL 6, 23d (1p. 159 Dr.): τὰς πυρὰς ὁ Πίνδαρος καταριϑμεῖται οὐ πρὸς αὐτοὺς τοὺς στρατηγούς, ἀλλὰ τὰ τούτων στρατεύματα. Vd. B. K. BRASWELL, op. cit. an. 13, ad loc.;T. GANTZ, op. cit. a n. 13, p. 514. A. SEVERYNS, op. cit. a n. 4, p. 223 ritiene che la Tebaide terminasse con il lugubre quadro dei funerali dei Sette e che la mancata sepoltura degli Argivi fosse un elemento degli Epigoni o dell'Alcmeonide,

ripreso poi da Eschilo negli Eleusini e da Euripide nelle Supplici, dove interveniva Teseo a chiedere ai Tebani la restituzione dei corpi. % Il 14, 114 Τυδέος, ὃν Θήβησι χυτὴ κατὰ γαῖα καλύπτει. $ Il racconto dell'agguato a Tideo si trova in Il. 4, 382-398. Il passo di Pausania in questione è conte-

nuto nel libro nono sulla Beozia (9, 18, 2).

56 Alcmaeon. fr. 2 Bernabé. 6 G. L. Huxuer, op. cit. a n. 42, p. 53, ipotesi accolta anche da A. BERNABÉ, op. cit. a n. 18, p. 33.

** Hat. 5, 61, 2; Paus. 9, 5, 13.

ANALOGIE TRA I SETTE E GLI EPIGONI SPEDIZIONE DEI SETTE

SPEDIZIONE DEGLI EPIGONI

1) Presenza di Adrasto nella prima spedizione

1) Presenza di Adrasto nella seconda spedizione

2) Comando della prima spedizione affidato ad Adrasto (padre di Egialeo)

2) Comando della seconda spedizione affidato ad Egialeo (figlio di Adrasto): Eur. Suppl. 1213o secondo altre fonti

3) Esitazione di Anfiarao (padre di Alcmeone) prima della partenza per Tebe 4) Tradimento di Anfiarao da parte di Erifile corrotta da Polinice con la collana di Armonia

3) Esitazione di Alcmeone (figlio di Anfiarao) prima della partenza per Tebe

Comando affidato ad Alcmeone (Pind. Pyth. 8,45-47; Apollod. Bibl. 3, 7, 2; Diod.

4) Tradimento di Alcmeone da parte di Erifile corrotta da Tersandro con il peplo di Armonia

ROVESCIAMENTI TRA I SETTE E GLI EPIGONI SPEDIZIONE DEI SETTE

SPEDIZIONE DEGLI EPIGONI

1) Presenza di antefatti

1) Assenza di antefatti

2) Sconfitta dei Sette

2) Vittoria degli Epigoni

3) Auspici contrari

3) Presagi favorevoli

4) Morte di tutti i padri tranne Adrasto - unico superstite Adrasto (padre di Egialeo)

4) Salvezza di tutti gli Epigoni tranne Egialeo

6 eroi argivi muoiono

Sic. 4, 66, 1)

- unica vittima Egialeo (figlio di Adrasto)

4 Argivi uccisi da 4 Tebani (Astacidi): Ippomedonte ucciso da Ismaro Eteoclo ucciso da Leade Partenopeo ucciso da Anfidico (Asfodico in Paus. 9, 18, 6: Periclimeno in Theb. fr. 6 B.; Eur. Phoen. 1153 ss.; Aristodem. di Tebe FGrHist 383 F6) Tideo ucciso da Melanippo

Polinice ucciso da Eteocle

Anfiarao inghiottito dal suolo tebano 5) Immortalità negata da Atena a Tideo (padre di Diomede)

5) Immortalitá concessa da Atena a Diomede (figlio di Tideo)

6) Sepoltura di un Argivo (Tideo) da parte di un Tebano (Meone)

6) Sepoltura di un Tebano (Laodamante) da parte di un Argivo (Alcmeone)

LIRICA CORALE

POESIA E STATUARIA: GLI EROI ARGIVI DI PINDARO Maria CANNATA

E DI ANTIFANE

FERA

Nella decima Nemea Pindaro, dovendo celebrare Teeo argivo vincitore negli agoni locali in onore di Era, oltre che a Delfi, all'Istmo e a Nemea, dedica la prima triade ai miti di Argo: Δαναοῦ πόλιν ἀγλαοϑρόγων τε πεντήχοντα κορᾶν, Χάριτες, “Apyos Ἥρας δῶμα ϑεοπρεπὲς ὑμνεῖ-

te: φλέγεται δ᾽ ἀρεταῖς μυρίαις ἔργων ϑρασέων

ἕνεκεν.

μακρὰ μὲν τὰ Περσέος ἀμφὶ Μεδοίσας Γοργόνος, πολλὰ δ᾽ Αἰγύπτῳ καταοίκισεν ἄστη ταῖς ᾿Επάφου παλάμαις" οὐδ᾽ Ὑπερμήστρα παρεπλάγχϑη, μονόψαφον ἐν κολεῷ κατασχοῖσα ξίφος.

5

Διομήδεα δ᾽ ἄμβροτον ξανJa ποτε Γλαυκῶπις ἔϑηκε 8eóv: γαῖα δ᾽ ἐν Θήβαις ὑπέδεκτο κεραυνωϑεῖσα Διὸς βέλεσιν

μάντιν Οἰκλείδαν, πολέμοιο νέφος" καὶ γυναιξὶν καλλικόμοισιν ἀριστεύει πάλαι" Ζεὺς ἐπ᾿ ᾿Αλκμήναν Δανάαν τε μολὼν τοῦ-

10

tov κατέφανε λόγον’

πατρὶ δ᾽ ᾿Αδράστοιο Λυγκεῖ τε φρενῶν καρπὸν εὐθείᾳ συνάρμοξεν δίκᾳ’ ϑρέψε δ᾽ αἰχμὰν

᾿Αμφιτρύωνος. ὁ δ᾽ ὄλβῳ φέρτατος

ἵκετ᾽ ἐς κείνου γενεάν, ἐπεὶ ἐν χαλκέοις ὅπλοις

Τηλεβόας Évapev: τῷ ὄψιν ἐειδόμενος ἀϑανάτων βασιλεὺς αὐλὰν ἐσῆλϑεν, σπέρμ᾽ ἀδείμαντον φέρων Ἡρακλέος οὗ κατ᾽ Ὄλυμπον ἄλοχος Ἥβα τελείᾳ παρὰ ματέρι βαίνοισ᾽ ἔστι, καλλίστα ϑεῶν.

Laudate, o Cariti, Argo, città di Danao e delle cinquanta fanciulle dal trono splendente, degna sede divina di Hera: di innumerevoli glorie

sfavilla, grazie alle gesta animose. Alte, quelle di Perseo contro la Medusa Gorgone,

15

96

Maria Cannatà Fera

molte rocche fondó in Egitto per mano di Epafo;

5

né erró Ipermestra tenendo essa sola la spada nel fodero. La bionda Glaucopide un giomo fece dio senza morte Diomede;

a Tebe la terra folgorata dai dardi di Zeus inghiotti l'indovino Oicleide, nembo di guerra. E da tempo eccelle in donne dai bei capelli: inveró questa fama Zeus, visitando

10

Alcmena e Danae.

Egli al padre di Adrasto e a Linceo appaió il frutto della mente con la retta giustizia e l'asta allevó di Anfitrione. Il dio sommo in dovizia si inseri nella stirpe di lui, dopo che in armi di bronzo batté i Teleboi: simile a lui per aspetto, il re degli eterni entró nel recando l'impavido seme in Olimpo Ebe, fra le dee che incede accanto alla

15

suo atrio, di Eracle, di cui é sposa la più bella, madre che adempie! .

La serie di personaggi si apre con Danao (fondatore della città secondo una tradizione nota da Euripide)? e culmina in Eracle e la sua sposa, Ebe; in mezzo Perseo, Epafo, Ipermestra, Diomede, Anfiarao, Alcmena, Danae; ed ancora Talao padre di Adrasto, Linceo sposo di Ipermestra, Anfitrione. Pindaro non segue l'ordine cronologico (che dovrebbe essere: Epafo, Danao, Ipermestra-Linceo, Danae, Perseo, Talao, Adrasto-Anfiarao, Alcmena-Anfitrione, Eracle, Diomede); dopo Perseo, con Epafo figlio di Io Pindaro risaliva infatti alcune generazioni prima di Danao! , mentre ritorna alle Danaidi con Ipermestra; Diomede ed Anfiarao avevano partecipato rispettivamente alla seconda e alla prima spedizione argiva contro Tebe (Diomede anche alla seconda guerra contro Troia); Alcmena viene due generazioni dopo Danae, madre di Perseo; con Talao si risale alla generazione che precede la spedizione dei Sette, con Linceo si ritorna a Ipermestra, sua sposa; Anfitrione prepara l'introduzione di Eracle, ma non senza rilievo alla personale abilità di guerriero e ad una sua impresa in particolare, l'uccisione dei Teleboi. L'attività bellica è enfatizzata anche a proposito di Anfiarao, definito “nembo di guerra" (v. 9), ma di cui è ricordata anche la capacità divinatoria (“l’indovino figlio di Ecle"); nessun cenno invece a impre-

' Riporto il testo di B. SNe1L - H. MAEHLER (Leipzig 1987), la traduzione di G. AURELIO PRIVITERA, che

ringrazio per avermi permesso di utilizzarla ancora inedita. “Archel. fr. 1a, 1-6 Jouan-Van Looy Δαναὸς ὁ πεντήκοντα ϑυγατέρων natñp/… ἐλϑὼν ἐς "Apyoc ὠικισ᾽ Ἰνάχου πόλιν (della fondazione dell'acropoli parla Strab. 8, 6, 9, che riporta i due versi euripidei successivi).

3 In Aesch. Prom. 853 si parla delle Danaidi come quinta generazione a partire da Epafo, dato corrispondente alla genealogia di [Apollod.] Bibl. 2, 1, 4, secondo cui Danao era nato da Belo, figlio di Libia, figlia di Epafo.

Gli eroi argivi di Pindaro e di Antifane se di Diomede"

97

di lui è ricordata solo l'immortalizzazione, opera di Atena’ . Straordi-

naria fu pure la fine di Anfiarao, inghiottito dalla terra a causa del fulmine di Zeus. Proprio l'intervento divino nelle vicende di uomini costituisce l'elemento unificante dei vari miti secondo Bowra, che ricorda, accanto ai casi di Diomede ed Anfiarao, come con l'aiuto di Atena Perseo avesse ucciso Medusa, come fosse stato Zeus a far diventare Epafo re dell'Egitto, etc.5. Ma per questi dati lo studioso deve fare ricorso ad altre odi pindariche, o a narrazioni di altri autori”.

Nella triade si trova poi anche l'esaltazione di qualità umane: quelle di Talao, comunia Linceo*, sono la saggezza e la giustizia" . Il riferimento, che Wilamowitz dichiarava di ignorare" (e di fatto si continua ad ignorare), può andare per Linceo alla tradizione secondo la quale, quando Egitto giunse ad Argo per vendicare l'uccisione dei figli, e Danao era pronto alla guerra, fu lui a proporre di risolvere il problema pacificamente, facendo ricorso ad un giudizio da parte di Egiziani ed Argivi (così lo scolio ad Euripide, Or. 872); nonsi hanno testimonianze chiare per Talao, ma Pindaro metteva dalla parte della giustizia il personaggio e i suoi figli quando, in Nem. 9, 13 ss., parlando di Adrasto in fuga da Anfiarao, lontano da Argo dove non era più al potere con i suoi fratelli (i figli di Talao), commenta che “il più forte pone fine alla giustizia". Straordinaria la presenza di figure femminili" , sul piano umano e su quello divino: le figlie di Danao, le Cariti, Era, Medusa, Ipermestra, Atena, Alcmena e Danae, Ebe, le cui nozze sono l'unico elemento che caratterizzi Eracle, oltre l'aggettivo "impavido" (&Betpavtoc)!. Ebe, Ipermestra ed Atena sono inoltre tra i pochi personaggi che risultino, in tutta la triade, soggetto dell'azione. Le date proposte perla composizione dell'ode oscillano di oltre mezzo secolo, dal 500 al 444, sulla base di elementi storici e stilistici. Per Gaspar, l'ode non sarebbe stata possibile dopo il 494, quando, con l'invasione spartana (Herod. 6, 76-81), scomparve lo splendore di

* Forse perché la più famosa era la presa di Tebe, della patria di Pindaro? * Di tale destino dell'eroe, ben noto da fonti piü recenti, parlava forse Ibico (fr. 294 Davies), ed una forma di immortalizzazione dell'eroe é vista da alcuni già in Omero, dove Diomede riceve da Atena il dono di distinguere gli dei dagli uomini (Il. 5, 127-128: M. PiérarT, ‘Pour une approche du panthéon argien par la mythologie: le bouclier d'Athéna'. Kemos 9, 1996, p. 186).

$C. M. Bowna, Pindar, Oxford 1964, pp. 300-301 (egli elenca fra l'altro il dono di una vista straordina-

ria concesso dagli dei a Linceo, il quale peró é personaggio diverso dallo sposo di Ipermestra: é il fratello di Ida, con cui combatte contro i Dioscuri, episodio narrato dallo stesso Pindaro nella seconda parte della Nemea).

7 L'assistenza di Atena nelle imprese di Perseo si trova in Pyth. 10, 45; 12, 18-19, ma per Epafo egli cita [Apollod.] Bibl. 2, 1, 4. Suggestiva la lettura di J. STERN, "The Myths of Pindar's Nemean 10°, Gr. Rom. Byz. Stud. 10, 1969, pp. 125-132, secondo cui tema dell'ode é la comunicazione esistente tra mondo degli

uomini e mondo degli dei, corne rivelerebbero i numerosi verbi indicanti movimento (non tutti quelli da lui evidenziati mi sembrano però considerabili in quest'ottica: ad esempio παρεπλάγχϑη di v. 6, che ha valore metaforico: "fu fuorviata”, nel senso di "sbaglió").

* Di un tempio per Linceo (e Ipermestra) parla invece Igino, Fab. 168.

? Pindaro utilizza la stessa espressione "frutto della mente" celebrando le stesse virtù in Radamanti

(Pyth. 2, 73-74). Y U. von Wiamowrrz-MoeLLENDORFF, Pindaros, Berlin 1922, p. 427 n. 1 "weiss ich nicht, woraus es

zielt, dass Talaos und Lynkeus besonders gerecht waren". !! Sulla rilevanza delle figure femminili nella mitologia argiva, si vedano in questi Atti le relazioni di BRILLANTE € CALAME. 1 Sempre ad Eracle è riferito l'aggettivo nella prima Istmica (12), ode destinata a Erodoto tebano,

dove l'"impavido figlio" generato da Alcmena è celebrato come gloria di Tebe.

98

Maria Cannatá Fera Argo; dopo questo episodio, inoltre, Pindaro non avrebbe fatto riferimento, in quella città, ai Dioscuri come "custodi di Sparta” (così a v. 52)" . La data più bassa risale a Wilamowitz,

secondo cui difficilmente Pindaro avrebbe scritto per un Argivo prima della pace del 451 tra Argo e Sparta; egli arriva poi al 444 sulla base del fatto che ad Argo si poneva la morte del poeta'*. Sul piano stilistico, mentre Gaspar notava, pur nella bellezza dell'ode, tracce di inesperienza nelle frasi brevi, nei miti "seminati col sacco"5, nella struttura rilassata

Wilamowitz vedeva un segno di età avanzata nella cura di separare una triade dall'altra, come nella Nemea undicesima, probabilmente tarda'*. Più probabile però una cronologia intermedia, sostenuta già dal Dissen", secondo cui Anfitrione poteva essere incluso tra le glorie argive solo dopo il 464-463, quando Tirinto e Micene, le due città dell'eroe, erano state distrutte da Argo (ma prima del 458, quando Argo si alleò con Atene contro Tebe)".

L'argomentazione non porta necessariamente a questa data"? : come eroe argivo è infatti presentato da Pindaro Perseo, cui risale la famiglia di Anfitrione, già nell'Istmica quinta, di poco successiva alla battaglia di Salamina?” (e proprio in questo periodo è collocata la di-

struzione di Micene da Strab. 8, 6, 19); ma è interessante il fatto che a partire dagli anni sessanta si conoscano oggetti bronzei indicati dalle iscrizioni come premi dei giochi in ono-

re di Era, che costituiscono l'occasione dell'ode^ ; a quel periodo, quando Argo andava

conquistando l'egemonia di tutta la regione, si fa risalire il rinnovamento del santuario e

una riorganizzazione delle feste eree” . 13 C. Gaspar, Essai de chronologie pindarique, Bruxelles 1900, pp. 28-35. Wiiamowrrz, Pindaros, cit., pp. 423-426; per la cronologia bassa ora anche F. PuriceLLI, Euvóv ὀρϑῶσαι καλόν. L'elogio del vincitore tra famiglia e polis nella "Nemea" X di Pindaro’, Acme 55, 2002, pp. 216218.

15 1] riferimento va all'aneddoto di Plut. De glor. Athen. 4, 348a: Corinna avrebbe rimproverato a Pindaro di non far uso di miti, che costituiscono la specificità della poesia, e il poeta, seguendo il suo consiglio, avrebbe composto l' inno a Zeus, il cui inizio (fr. 29 Maehler) presenta un fitto catalogo mitico; al che Corinna lo avrebbe richiamato alla misura, dicendogli che “bisogna seminare con la mano, non con

tutto il sacco”. '5Lo stesso fenomeno nell’ Olimpica quinta, dove era considerato argomento contro l'autenticità da E. von LEUTSCH, Philologus 1, 1846, pp. 123-124; un altro elemento comune a queste due odi è la semplicità metrica (vd. M. Rurra, "La questione dell'autenticità dell'Olimpica 5 di Pindaro', in I lirici greci. Forme della comunicazione e storia del testo, Atti dell'Incontro di Studi [Messina 5-6 novembre 1999], a cura di M. CANNATÀ FERA e G.B. D'Atessio, Messina 2001, p. 34).

17 L. Dissen, Pindari Carmina quae supersunt, cum deperditorum fragmentis selectis II, Gothae et Erfor-

diae 1831, p. 496.

18 Agli anni sessanta, anni della reazione aristocratica, pensano anche W.G. ForREsT, Class. Quart. 10, 1960, p. 228 ss., e Bowna, Pindar, cit. pp. 147-149, 411. Nella stessa direzione A. TACCONE, ‘Su la Nemea X di Pindaro', Boll. filol. class. 22, 1915, pp. 42-51, che richiama pure somiglianze con l'Olimpica tredicesima,

del 464. A poco dopo il 460, data dell'alleanza Atene-Argo, pensava invece W.T. LENDRUM, "The Date of Pindar's Tenth Nemean', Class. Rev. 16, 1902, pp. 267-269, sulla base dei vv. 33-34 (la descrizione enfatica

dei vasi di olio giunti ad Argo come premio delle Panatenee): fu intorno a quella data che venne sicuramente meno da parte della città il divieto, risalente alla metà del secolo precedente, di importare merci attiche, in particolare ceramica.

Y Era respinta ad esempio da F. MezceR, Pindars Siegeslieder, Leipzig 1880, p. 462, che si richiamava

alla libertà dei Greci in tale materia, lasciando aperto il problema cronologico.

2 Vd, il commento di G.A. Privitera, Milano 1982, al v. 33; è significativo che Perseo non risulti uno degli eroi della città, ma l’eroe: "ad Argo è onorato Perseo”, come a Sparta i Dioscuri, etc. (cfr. G. ARRICONI, ‘Perseo contro Dioniso a Lerna', in Ricordando Raffaele Cantarella. Miscellanea di studi, a cura di F. Conca, Milano 1999, pp. 58-59).

?! Su cui ora M. CANNATA FERA, ‘Occasione, testo e performance: Pindaro, Nemee 2 e 10", in I lirici greci,

cit., pp. 158-163.

.

P. AMANDRY, 'Sur les concours argiens', in Etudes argiennes (Bull. corr. hell. Suppl. 6), Paris 1980, pp. 211-253 (240); proprio nella circostanza della riorganizzazione potrebbe essere stata commissionata l'ode

Gli eroi argivi di Pindaro e di Antifane

99

Con questa cronologia si accorderebbe il rapporto tra la preghiera di Polideuce nella parte finale dell'ode e la preghiera di Creso nel terzo epinicio di Bacchilide? , sebbene non

mi sembra ci siano analogie tali da far concludere che l'ode bacchilidea del 468, che aveva significato la vittoria del più giovane rivale presso lerone di Siracusa, avesse lasciato traccia durevole in Pindaro" . Un elemento utile come terminus post quem mi sembra piuttosto il termine μονόψαφος

riferito audacemente a v. 6 alla spada di Ipermestra, unica tra le Danaidi a risparmiare il marito; l'aggettivo, propriamente "che vota sola" (ha un voto proprio, diverso dagli altri), a

parte una tarda attestazione in Efraem Sirio”, si trova soltanto in Eschilo, Suppl. 373: “dall’unico voto” sono i “cenni” di Pelasgo re di Argo a parere delle Danaidi che, venendo da un mondo caratterizzato da poteri assoluti, non capiscono l'esigenza del sovrano di decidere se accogliere o meno la loro richiesta di aiuto d'accordo con i concittadini; tale esigenza è evidente riflesso dell'Atene in cui viveva il tragediografo, ed a quell'ambiente in cui il “voto”

costituiva motivo di orgoglio democratico” va ricondatta la coniazione dell'aggettivo”; l'utilizzazione che ne fa Pindaro, con diverso valore ma nell'ambito dello stesso mito, non può essere dovuta al caso. L'epinicio deve essere dunque successivo alla rappresentazione

della tragedia, della fine degli anni sessanta” .

Per interrompere il catalogo mitico e passare all’attualità, Pindaro dice βραχύ μοι στόμα πάντ᾽ ἀναγήσασϑ᾽, ὅσων ᾿Αργεῖον ἔχει τέμενος" μοῖραν ἐσλῶν (19-20 "corta la mia bocca per dir tutto delle glorie che ha in sorte l'argivo sacrario"). Basandosi su τέμενος di v. 19, Richard Stoneman, in un breve commento del 1997 che accompagna la traduzione di Conway, ipotizza che il poeta descrivesse qui una collezione di statue dedicatorie del tempio argivo di Era? . L'ipotesi, certamente suggestiva, non puó

pindarica secondo]. M. HaLL, ‘How Argive Was the "Argive" Heraion? The Political and Cultic Geography ofthe Argive Plain, 900-400 B.C.', Am. Journ. Archaeol. 99, 1995, p. 612. 2 Pind. Nem. 10, 75-78 ϑερμὰ δὴ τέγγων δάκρυα στοναχαῖς

ὄρϑιον quvace:

Πάτερ Κρονίων,

τίς δὴ λύσις / ἔσσεται πενθέων; καὶ ἐμοὶ ϑάνατον σὺν τῷδ᾽ ἐπίτειλον, ἄναξ. / οἴχεται τιμὰ φίλων τατωμένῳ

puri:

παῦροι δ᾽ ἐν πόνῳ πιστοὶ

βροτῶν

/ καμάτου

μεταλαμβάνειν᾽ (“versando

calde lacrime, fra gemiti alto gridò: ‘Padre Cronide, quale sarà la fine dei tormenti? ordina, o Signore, anche per me la morte insieme a lui. Va via l'onore per un uomo privato degli amici: pochi fra i mortali

nel travaglio fidi a condividere lo sforzo"); Bacch. 3, 35-40 χέρας δ᾽ [ἐς / αἰπὺν αἰϑέρα σ[φ]ετέρας ἀείρας / [ye}y[wev: Ὑπέρίβι)ε δαῖμον, / {ποῦ ϑεῶν &occ[v] χάρις; / nolo δὲ Λατοίδ[ας) ἄναξ: / Éppovc]tv ᾿Αλυά[τ])τα δόμοι (“alzate le mani all'alto cielo gridava: ‘Demone potente, dov'è la gratitu-

dine degli dei? Dove il signore figlio di Latona? Rovina la casa di Aliatte' "). “Così R. FOHRER, Formproblem-Untersuchungen zu den Reden in der frügriechischen Lyrik, München 1967,

pp. 133-135.

25 Con valore metaforico: Sermo ascet. p.159, 13 Τοὺς

μὲν γὰρ

ἵππους

ἐὰν

ἀμέτρως

ἐλαύνῃ

τις,

μονόψηφοι τίϑενται. 2 Di "voto" si parla continuamente nella tragedia (7, 601, 640, 645, 739, 943, 965).

? A partire da Eschilo è ugualmente attestato il composto ἐσόψηφος (Eum. 741, 795), che conobbe peró ben altra fortuna. 28 per la cronologia, basata su una didascalia papiracea, A.F. Garvie, Aeschylus" Supplices. Play and

Trilogy, Cambridge 1969, passim, in particolare pp. 161-162. In generale, perla dipendenza dell'epinicio da Eschilo, anche L. R. FAgNELL, The Works of Pindar IL. Critical Commentary, London 1932, ad loc.; W. Kraus, ‘Aischylos’ Danaidentetralogie”, in Aus Allem Eines, Studien zur antiken Geistesgeschichte, Heidelberg 1984, p. 129 s.; M. SicHeri, ‘Die Tragik der Danaiden', Mus. Helv.

43, 1986, 106 s. Precedente alla tragedia è

invece la Pitica nona, del 474, dove Pindaro racconta un episodio successivo del mito, l'agone indetto da Danao per la mano delle quarantotto figlie. ? Pindar. The Odes and Selected Fragments, transl. by G. S. Conway and R. STONEMAN, ed. by R. S., London 1997, p. 262 s.; egli contrappone alla traduzione di Conway "land" quella di "precinct".

100

Maria Cannatà Fera

essere esclusa per il fatto che Pausania, descrivendo il tempio nel secondo libro della sua Periegesi, non fa parola di questo complesso: il tempio da lui descritto é infatti quello della fine del quinto secolo, successivo dunque a quello dell'epoca pindarica, che era stato distrutto da un incendio (2, 17, 7; notizia dell'incendio anche in Thuc. 4, 133, 2-3).

Nel tempio Pausania continuava a vedere peró, accanto alla statua criselefantina di Era opera di Policleto ed una di Ebe opera del fratello Naucide (17, 4-5), opere dell'ultimo quarto del secolo, anche statue più antiche, tra cui due di Era (ibid.; più tardo probabilmente un altare d'argento su cui erano raffigurate le nozze di Ebe e Eracle: ibid. 6). Antiche erano anche le statue delle Cariti, le divinità invocate all'inizio dell'ode, che si trovavano nel pronao del tempio (Paus. 2, 17, 3; la loro immagine era scolpita anche sulla corona della statua criselefantina di Era: 17, 4).

Sembra tuttavia difficile immaginare un insieme cosi complesso ed eterogeneo, quale risulta dall'epinicio, nel recinto del tempio. L'espressione pindarica di v. 19 riprende circolarmente, in chiusura della prima sezione mitica, il v. 2 dove le Cariti erano invitate a celebrare "Argo, degna sede divina di Era". Tutta la città dunque era considerata "sacrario" della dea, come vuole l'interpretazione tradizionale; l'antico legame di Era con Argo, evidente dalle attestazioni cultuali, risulta chiaro già da Omero, Il. 4, 51-52, dove la dea pone anzitutto Argo tra le città a lei più care”. E tutta la città, ancora all'epoca di Pausania, manteneva vivi i miti che troviamo in Pindaro" . Numerose erano le tracce che all'interno della città ricordavano Ipermestra

e Linceo: la tomba che li accoglieva insieme (Paus. 2, 21, 2); il luogo dove si era svolto il giudizio di Ipermestra, denominato Kriterion (ibid. 20, 7); una statua ed un tempio da lei dedicate dopo la vittoria, rispettivamente, ad Afrodite Nikephoros (ibid. 19, 6) e ad Artemide Peithó (ibid. 21, 1; l' epiclesi non è attestata in riferimento ad Artemide”, ma non è necessario pensare ad un errore per Afrodite)” ; ancora al tempo di Pausania gli Argivi celebravano una festa annuale dei falò in ricordo dei segnali di fuoco scambiati tra Ipermestra e Linceo (ibid. 25, 4; in 25, 5 Pausania chiarisce che la località da cui egli li

aveva inviati si chiamava perció Lincea, ma aveva successivamente preso il nome di

Lircea)*. Oggetto di culto nella città era Perseo”; il suo heroon si trovava sulla strada per

301] passo è citato nello scolio alla Nemea (1c), insieme con Callimaco, fr. 55, 2 Pf., in cui la città è detta

ἴδιον... λάχος della dea.

?! Per il rapporto tra i miti argivi e i monumenti della città, M. Pifrart, “Le tradizioni epiche e il loro

rapporto con la questione dorica: Argo e l'Argolide”, in Le origini dei Greci. Dori e mondo Egeo, a cura di D. Musn, Bari 1985, pp. 280-282; inoltre P. Marcher, 'Recherches sur les mythes et la topographie d'Argos. LIII, Bull. corr. hell. 117, 1993, pp. 211-223; 118, 1994, pp. 131-160; P. MARCHETTI-Y. Rizagis, 'Recherches

sur les mythes et la topographie d'Argos. IV', ibid. 119, 1995, pp. 437-472. ?! Ma a Sicione un santuario di Peithó aveva connessioni con Artemide (ed Apollo): Paus. 2, 7, 7. ? Per l'errore, Garvie, Aeschylus' Supplices, cit. p. 170 e n. 4. Nell'esodo delle Supplici di Eschilo, le

Danaidi invocano Artemide (1030), le ancelle contrappongono la celebrazione di Afrodite, accanto alla quale ricordano, tra l'altro, Peithó (1040). Ma la trilogia si concludeva certamente con una conciliazione delle due divinità: Afrodite aveva nelle Danaidi una funzione di rilievo (cosi risulta dal fr. 44 Radt), e Pausania parla di una statua di Afrodite sul mare, dedicata dalle Danaidi (2, 37, 2); Artemide poteva

dunque assumere l'epiclesi di Peithó (in proposito, V. Pirenne-DELFORGE, ‘Le culte de la persuasion, Peithó en Grèce ancienne’, Rev. hist. relig. 208, 1991, pp. 404-407).

* Naturalmente proprio l'accostamento dei due nomi può aver dato origine alla tradizione (Piérart, ‘Le tradizioni epiche...', cit. p. 280).

35 Vd. supra, p. 98 e n. 20; inoltre M. Pitrart, "Les honneurs de Persée et d'Héraclés', in C. BONNET -

Gli eroi argivi di Pindaro e di Antifane

101

Micene (Paus. 2, 18, 1), e accanto al sepolcro di sua figlia Gorgofone, sull'agorà, si indicava un tumulo di terra in cui era sepolta la testa della Gorgone Medusa (ibid. 21, 5-7). In una tomba presso l'acropoli si credevano sepolte le teste dei figli d'Egitto, mentre il resto dei loro corpi sarebbe rimasto a Lerna, dove era avvenuta la strage (ibid. 24, 2). Da

Diomede era stato dedicato il tempio di Atena Oxyderkés (ibid.). Nella città si trovavano il sepolcro di Danao (ibid. 20, 6), quello di Talao (21, 2), la casa di Adrasto, il santuario di Anfiarao, la tomba di Erifile sua moglie e il santuario di Batone suo auriga (23, 2). Il

talamo di bronzo in cui Danae era stata rinchiusa dal padre era stato distrutto da Perilao, ma era ancora visibile per Pausania la costruzione sotterranea in cui si trovava

(ibid. 23, 7).

Puó risultare significativa anche qualche assenza. Nel catalogo pindarico, malgrado la consistente presenza di figure femminili, manca la madre di Epafo, lo*; è possibile che il ricordo di questo personaggio perseguitato da Era non costituisse un tema particolarmente gradito nella città della dea: nessuna traccia ne ricorda infatti ad Argo Pausania”, il quale vedeva invece una sua statua, opera di Dinomene, sull'acropoli di Atene (1, 25, 1)* . Non sarà un caso che anche Bacchilide celebri questo personaggio in un'ode per gli Ateniesi (ditirambo 19)”. E Argo riproponeva i suoi eroi anche al di fuori della città, a Delfi. Sulla via sacra che portava al tempio di Apollo, gli Argivi avevano dedicato due emicicli con tre serie di statue; sul lato meridionale, gli eroi che avevano combattuto con Polinice contro Tebe (Adrasto, Tideo, Capaneo, Eteoclo, Polinice, Ippomedonte; vicino, il carro di Anfiarao con l'auriga Batone; infine Aliterse); queste statue, dice Pausania (10, 10, 3-5), erano opera di Ipatodoro e Aristogitone, innalzate dopo la vittoria riportata sui Lacedemoni dagli Argivi con i loro alleati ateniesi a Enoe (463-458)^ . Alla stessa circostanza Pausania ritiene che risalissero le statue dei cosiddetti Epigoni (Stenelo, Alcmeone, Anfiloco, Promaco, Tersandro, Egialeo e Diomede; tra gli ultimi due, Eurialo)" . Sul lato oppo-

C. JOURDAIN-ANNEQUIN (edd.), Héraclès d'une rive à l'autre de la Méditerranée: Bilan et perspectives, BruxellesRome 1992, pp. 223-244.

?5 L'ha introdotta a v. 5 J. B. Bury, The Nemean Odes of Pindar, London 1890, con una congettura poco

felice (Αἰγύπτῳ

'Ió κτίσεν ἄστη).

37 In tutto il secondo libro, lo è menzionata solo una volta (16, 1: la figlia di laso andata in Egitto), e

non è ricordato Epafo (di cui il Periegeta fa menzione in 1, 44, 3). 38 Dinomene, allievo di Policleto (J. Dogric, 'Deinomenes', Ant. Kunst 37, 1994, pp. 67-80), aveva

raffigurato lo insieme con Callisto, che aveva subito sorte analoga; l'occasione del monumento è individuata nella lega di Atene con Argo e Mantinea del 420-418 (vd. anche Pausania. Guida della Grecia I, a cura di L. BescHi e D. Musn, Milano 1982, ad loc.). P Su cui P. ANGELI BERNARDINI, in questi Atti, p. 141 ss. Nella letteratura argiva, lo era sicuramente ricordata da Acusilao (FGrHist 2 F 26-27); nella Foroneide, è identificabile con Io la sacerdotessa di Era

argiva chiamata Kallithoe (fr. 4 Bernabé; vd. F. WeHRL, ‘Io, Dichtung und Kultlegende”, in Wege zu Aischylos II, hrsg. von H. Hommet, Darmstadt 1974, p. 136 s.; K. DOwDEN, Death and the Maiden, London-New York 1989, p. 120).

% Sul gruppo, C. Vanin, Monuments votifs de Delphes, Roma 1991, pp. 139-148. M. Daumas, ‘Argos et les Sept’, in Polydipsion Argos, Ét. rassembl. par M. Pitrart, Athènes-Fribourg 1992 (= Bull. corr. hell. Suppl. 22), pp. 259-260, riprende la tesi di L. H. JEFFERY (Ann. Brit. School Athens 60, 1965, pp. 41-58) che il gruppo fosse tebano (tebani erano i due scultori), bottino di guerra degli Argivi (contra Pitrart, Polydipsion Argos,

cit. p. 264).

4! Secondo la ricostruzione di J.-F. BomMELAER, ‘Monuments argiens de Delphes et d'Argos', in Poly-

102

Maria Cannatá Fera

Epafo 3 []

1* Danao 1

2*-3* Ipermestra - Linceo 4-10

4* Abante

Preto

5* Acrisio

Amitaone

Biante

Talao 9

Melampo - Ifianira o Ifianassa

Antifate

Adrksto

Tideo - Deipile

Diomede 5

6* Danae 8

7* Perseo 2

Ecle

Anfiarao 6

8* Elettrione

9* Alcmena7

Alceo

|. Anfitrione 11

10* Eracle - Ebe 12-13

Gli eroi argivi di Pindaro e di Antifane

103

sto, continua Pausania, ci sono altre statue, dedicate dagli Argivi che avevano aiutato i Tebani guidati da Epaminonda a fondare Messene, a distanza di un secolo dunque: quelle di Danao, il re di Argo pià potente, e Ipermestra, sola tra le sorelle a non contami-

nare di sangue le sue mani; accanto a lei Linceo e tutta la loro discendenza sino ad Eracle, e ancor prima a Perseo. ἀπαντικρὺ δὲ αὐτῶν ἀνδριάντες {te} εἰσὶν ἄλλοι᾽ τούτους δὲ ἀνέϑεσαν οἱ ᾿Αργεῖοι τοῦ οἰκισμοῦ τοῦ Μεσσηνίων Θηβαίοις καὶ ᾿Επαμεινώνδᾳ μετασχόντες. ἡρώων

δέ εἰσιν αἱ εἰκόνες, Δαναὸς μὲν βασιλέων ἰσχύσας τῶν ἐν ἼΑργει μέγιστον, Ὑπερμήστρα δὲ ἅτε καϑαρὰ χεῖρας μόνη τῶν ἀδελφῶν παρὰ δὲ αὐτὴν καὶ ὁ Λυγκεὺς καὶ ἅπαν τὸ ἐφεξῆς αὐτῶν γένος τὸ ἐς Ἡρακλέα τε καὶ ἔτι πρότερον καϑῆκον ἐς Περσέα“.

La base di queste statue ἃ stata ritrovata a fine Ottocento* , e l'ordine dei piedistalli é stato successivamente cosi ricostruito sulla metà dell'emiciclo che si trovava di fronte a chi andasse in direzione del tempio (l'altra metà sembra fosse vuota)" : Danao, Ipermestra, Linceo, Abante, Acrisio, Danae, Perseo, Elettrione, Alcmena, Eracle; il Periegeta menzionava le figure di maggior rilievo, tralasciando Abante, Acrisio, Elettrione ele donne

(Danae

e Alcmena), tranne Ipermestra. Il rinvenimento conferma l'indica-

zione cronologica di Pausania al 369 circa; rimane infatti la firma dello scultore Antifane”, argivo, discepolo di Periclito, allievo a sua volta di Policleto, e maestro del sicionio Cleone (Paus. 5, 17, 3-4).

dipsion Argos, cit. pp. 265-293, anzi, l'insieme dei Sette e degli Epigoni formava un monumento unico, su una stessa base. Analogo monumento di Polinice e degli altri morti nell'assalto contro Tebe, vicino a quello degli Epigoni, conquistatori di Tebe, si trovava sull'agorà di Argo (Paus. 2, 20, 5).

* Problematica la parte finale di questa frase: "accanto a Ipermestra, Linceo e tutta la loro discenden-

za sino ad Eracle, e ancor prima sino a Perseo"; SyLBURG annotava che “πρότερον accipiendum pro πορρώτερον. Et pro καϑῆκον malet fortasse quispiam &vñxov” (Pausaniae Graeciae Descriptio... III 2, Accesserunt G. XYLANDRI et Fr. $. annotationes ac novae notae I. KuHnm, Lipsiae 1696); nel commento di

H. Hrrzic - H. BLUEMNER, Lipsiae 1910, i due studiosi ammettono che l'espressione "scheint allerdings unverständlich”, ma concludono che non sarebbe stata strana per chi guardasse la sequenza delle statue, respingendo perciò la proposta di Schubart γένος τὸ ἐς Περσέα te καὶ ἔτι πορρωτέρω καϑῆκον ἐς ‘HpaxAéa; l'intervento di Schubart (correzione di πρότερον

e inversione dei due nomi) è certamente

pesante, ma credo che la stranezza del testo tradito rimanga, anche mettendosi dal punto di vista di chi osservava il gruppo statuario (nel modo in cui è possibile ricostruirlo: vd. infra); ci si aspetterebbe infatti “e ancor prima passando per Perseo” ("en passant d'abord par Persée” traduce Fr. SALvuT, 'L'offrande argienne de l’ "hemicycle des rois" à Delphes et l'Héraclès béotien', Bull. corr. hell. 89, 1965, p. 307), traduzione che non corrisponde a καϑῆκον ἐς Περσέα, ma a καϑῆκον παρὰ Περσέα: poteva essere proprio questo il testo originario (cfr. Paus. 8, 19, 4 αὕτη δὲ ἡ ὁδὸς ἄγει μὲν ἐς Κλείτορα, καϑήκει δὲ παρὰ τοῦ 'HpaxAéoug τὸ ἔργον), rispetto a cui l'errore si può spiegare sia come un fenomeno di banalizzazione (molto più comune è la costruzione καϑήκω ἐς), sia come ripresa della preposizione che si trovava davantia

Ἡρακλέα.

9 T. HomotLe, Bull. corr. hell. 18, 1894, p. 186. 443. PouiLoux - G. Roux, Énigmes à Delphes, Paris 1963, pp. 46-51; SaLviar, “L'offrande argienne...”, cit.

pp. 307-309.

55 SecondoJ. MarcaDt, Recueil des signatures de sculpteurs grecs I, Paris 1953, p. 5, la posizione centrale

della firma, in corrispondenza di Danae che si volge verso Perseo (si è ipotizzato che tenesse, col braccio teso, la testa di Medusa), permette di attribuirgli l'intero gruppo. Il suo intervento dovette essere almeno predominante secondo L. Topisco, Scultura greca del IV secolo, Milano 1993, p. 50. Altre opere dello scultore furono nel 414 un cavallo di Troia per gli Argivi (Paus. 10, 9, 12), nel 404 i Dioscuri di Lisandro (ibid. 8),

intorno al 369 tre statue arcadi (ibid. 6).

104

Maria Cannatà Fera

Come in Pindaro, la serie di personaggi si apre con Danao e culmina in Eracle* . L'insieme si spiega bene in quel momento storico; diversa la situazione verso la metà del quinto secolo, quando Argo aveva innalzato le statue che si trovavano sull'emiciclo opposto, dove erano rappresentati i Sette contro Tebe e gli Epigoni" : di fronte a Diomede, conquistatore della Cadmea, le statue di Eracle e Alcmena proclamavano l'amicizia fra Tebe ed Argo" . Anche l'ode pindarica, dove Diomede è ricordato accanto a Alcmena, Anfitrione, Eracle? , deve risalire ad un periodo di alleanza tra le due città (vd. supra, pp. 97-99). In Pindaro mancano figure secondarie (Abante figlio di Ipermestra, Acrisio padre di Danae, Elettrione padre di Alcmena: le stesse tralasciate da Pausania), sono presenti in più Epafo, Diomede, Anfiarao, Talao, Anfitrione. Il confronto tra gli eroi argivi di Pindaro e quelli di Antifane mostra come il poeta guardasse alle figure mitiche della città in modo più ampio rispetto allo scultore: questi si limitava infatti ad una sola linea delle dinastie argive, quella che da Danao, attraverso Ipermestra e Abante, portava ad Acrisio, e da questi ad Eracle, senza tralasciare in questa linea nessuna figura (vd. schema)”. La scelta di Antifane (o piuttosto di chi gli aveva commissionato il gruppo) era condizionata naturalmente dal particolare momento politico dell'alleanza Argo-Tebe, ma anche dalla presenza delle statue sull'emiciclo meridionale, rispetto alle quali non era il caso di fare doppioni. Pindaro invece, in quello che costituisce il suo unico epinicio argivo”, non si era lasciato sfuggire la possibilità di concentrare nell’ode tutte le memorie mitiche della città, alcune delle quali a lui molto care, tanto che ritornano continuamente in odi con diversa destinazione”. È possibile che gli Argivi, volendo affidare alla scultura i loro eroi, si servissero dell'ode pindarica? La domanda sarebbe apparsa più che legittima ad un Greco di età imperiale, se Pausania, parlando delle statue dei caduti a Tebe che si trovavano nell'agorà di Argo, osserva come il numero, sette, non corrispondesse alla realtà, in quanto erano SaLviaT, "L'offrande argienne...', cit. p. 309: “on a voulu presenter avec continuité la famille argienne de laquelle descend Héraclès: c'est Héraclés qui occupe la place d'honneur, au terme de la série, au bord de

la voie; le monument est le monument d'Héraclés".

4 A. JACQUEMIN, Offrandes monumentales à Delphes, Athénes-Paris 1999, p. 55. SaLviar, 'L'offrande argienne...', cit. p. 314. * Pindaro poteva farne di volta in volta eroi argivi o tebani, tenendo fermo che Anfitrione dall’ Argolide

era giunto a Tebe, dove é onorata la sua tomba (Pyth. 9, 81-83), dove Eracle nasce ed é allevato (Nem. 1, 33

ss.; Pyth. 9, 86; etc.); la doppia ‘cittadinanza’ per Eracle già in Omero, che associa l'eroe ad Argo, ma pone

a Tebe la sua nascita (Il. 19, 98-99); egli è infatti ricordato da Plutarco tra quei poeti per i quali Eracle era "beota ed argivo al tempo stesso" (De Herod. malign. 4, 857f. insieme con Omero sono citati Esiodo, Archiloco, Pisandro, Stesicoro, Alcmane, Pindaro). Interessante un frammento tragico adespoto (392 K.-

Sn.), in cui l'eroe dichiara che la sua patria non era Argo o Tebe, ma tutta la Grecia. 5 1] numero indica l'ordine degli eroi della Nemea, quello con asterisco gli eroi del monumento di Antifane.

?! Ma la città era celebrata dal poeta in altre odi (G. B. D'ALEssio, ‘Pindar’s Prosodia and the Classifica tion of Pindaric Papyrus Fragments', Zeitschr. f. Pap. u. Epigr. 118, 1997, pp. 36, 41, ed ora in questi Atti, p. 107 ss.).

# Soprattutto naturalmente Eracle, Alcmena, Anfitrione (che rientrano fra le glorie tebane nell'analogo proemio della settima Istmica, e nel fr. 29 Maehler), ma anche Adrasto, Anfiarao, Perseo; a proposito di Diomede rimane una testimonianza scoliastica

sull'uccisione di Reso a Troia, con l'aiuto di Era e

Atena (fr. 262 Maehler), mentre non è da confondere con il Tidide il Diomede del fr. 169a Maehler, figlio di Ares, contro cui combatte Eracle (sebbene si sia ipotizzato che i due fossero in origine una stessa persona: P. WATHELET, Les Troyens de l'Niade. Mythe et histoire, Paris 1989, pp. 51-53; J.-M. RENAUD, ‘La

généalogie de Tydée et de Dioméde', in Généalogies mythiques, Actes réunis par D. Aucer et S. Salo, Paris

1998, pp. 18, 24).

Gli eroi argivi di Pindaro e di Antifane

105

stati molto più numerosi, ma fosse dovuto alla narrazione di Eschilo (2, 20, 5)*. Se

Pausania si sbagliasse’ non è rilevante quanto il fatto che, secondo lui, la città derivava una sua tradizione dall'opera di un poeta, esterno per giunta. L'ipotesi che Antifane conoscesse l'epinicio puó trovare sostegno in notizie relative alla considerazione di cui le odi pindariche godevano nelle città celebrate, come quella che la settima Olimpica, indirizzata a Diagora di Rodi, era stata incisa a lettere d'oro sull’isola, nel tempio di Atena Lindia”. Ed è credibile che la città di Argo si ispirasse proprio al poeta tebano nel momento in cui voleva sancire l'alleanza con Tebe intrecciando le memorie mitiche delle due città, come Pindaro aveva fatto un secolo prima. Puó indurre tuttavia a cautela il fatto che si trattava di genealogie mitiche abbastanza fisse**: nell'Archelao di Euripide il protagonista, che recita il prologo della tragedia, facendo risalire la propria nascita a Danao menziona Ipermestra-Linceo, Abante, PretoAcrisio, Danae, Perseo-Andromeda, Alceo-Stenelo-Elettrione, Alcmena-Zeus, Eracle, Illo, Temeno (fr. 1a-b Jouan-Van Looy); nel Prometeo eschileo, il Titano si ferma ad Eracle, che lo avrebbe liberato dalla sua pena, quando riferisce a Io la profezia sulla sua discendenza (850-873), e parla di lui come tredicesima generazione a partire da Epafo (774); lo scolio c ad loc. elenca di seguito Epafo, Libia, Belo, Danao, Ipermestra, Abante, Preto, Acrisio, Danae, Perseo, Elettrione, Alcmena, Eracle (pp. 190-191 Herington): i conti tornano, ma risultano appartenenti a due generazioni successive Preto e Acrisio,

che le altre fonti conoscono come fratelli”. Esisteva dunque un margine di variabilità, che poteva rendere utile la presenza di un modello cui ispirarsi. All’inizio della quinta Nemea Pindaro afferma la superiorità del poeta rispetto allo scultore, che produce immagini ferme sul loro piedistallo”, e in Nem. 4, 81 parla del suo canto come “colonna più splendente del marmo di Paro”; un altro motivo di superiori-

tà egli trovava quando definiva una sua ode “un tesoro d'inni / per la vittoria pitica, / che né pioggia invernale, / immite esercito invasore di nube tonante, / né il vento potranno mai sospingere / negli abissi del mare, sotto i colpi / di una congerie di melma e di sassi” (Pyth. 6, 8-14)”, d'accordo in questo con Simonide, il quale replicava a Cleobulo di Lindo che una statua non è destinata a durare in eterno, poiché anche mani

32 Vd. Piérarr, ‘Le tradizioni epiche...", cit. p. 284, il quale ne trae la conclusione che le statue erano posteriori, o al massimo contemporanee, alla tragedia eschilea del 467.

** A parte il problema delle "sette pire" di cui parla Pindaro in Ol. 6, 15 e Nem. 9, 24 (in proposito ora Daumas, ‘Argos et les Sept”, cit. p. 256; A. PARIENTE, ‘Le monument argien des "Sept contre Thèbes”, in Polydipsion Argos, cit. p. 203 n. 53), il numero sembra comunque attestato nella tradizione iconografica a partire dal sesto sec. (DAuMas, ibid. p. 256).

5 La notizia proviene dallo storico locale Gorgone (FGrHist 515 F 18), probabilmente del II sec. a. C. *5 Sono frammentarie quelle del Catalogo esiodeo (frr. 129; 135 Merk.- West). Interessante l'ampiezza della genealogia euripidea, insolita nel poeta, che altrove non supera le cinque generazioni (vd. Euripides' Kresphontes and Archelaos, Introd., Text and Comm. by A. Harper, Leiden 1985, pp. 177-178).

"Un ulteriore slittamento generazionale nello scolio b (p. 190 Her.), dove mancano Libia e Belo, per cui si ha: Io, Epafo, Egitto-Danao, Ipermestra-Linceo, Abante, Preto, Acrisio, Danae, Perseo, Alceo,

Elettrione (i due ultimi risultano invece, insieme con Stenelo, figli di Perseo nel frammento euripideo: 1b 13-15), Alcmena-Anfitrione (o Zeus), Eracle.

5 Vd. B. GewrILI, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Roma-Bari 1995°, pp. 221-224.

59 La traduzione è quella di B. Gewri1 (Pindaro. Le Pitiche, a cura di B. G. - P. ANGELI BERNARDINI - E.

CINGANO - P. Giannini, Milano 2000”). In proposito, anche K.D. Shapiro, " Yuvev ϑησαυρός: Pindar's Sixth

Pythian Ode and the Treasury of the Siphnians at Delphi”, Mus. Helv. 45, 1988, pp. 1-5.

106

Maria Cannatà Fera

mortali possono spezzare la pietra (fr. 581 Page); in questo caso il tempo ha dato ragione ai due poeti: gli eroi di Argo vivono grazie all'ode pindarica (e ad altri testi letterari), sono scomparsi quasi interamente dai monumenti nella città, ed anche dal donativo a Delfi.

ARGO

E L'ARGOLIDE Giovan

NEI CANTI

CULTUALI

DI PINDARO

Battista D'ALESSIO

A differenza di quanto capita per altri importanti centri politici e per altri committenti, i canti composti da Pindaro per Argo continuano in buona misura a sfuggire a qualsiasi tentativo di una visione d'insieme da parte della critica moderna. Questo si deve in parte alla natura delle testimonianze: all'unica ode integra nota dalla tradizione manoscritta medievale, infatti, solo negli ultimi decenni si sono aggiunti brandelli di testi papiracei che, per un motivo o per l'altro, possiamo ricondurre a contesti argivi o argolici. Una tradizione antica collocava la morte del poeta nella città peloponnesiaca. Lo attesta implicitamente un epigramma, posto in calce alla Vita Ambrosiana, secondo cui sarebbero state Protomache ed Eumetis, le due figlie di Pindaro, a portare da Argo a Tebe i resti del padre: "H μάλα Πρωτομάχα ce καὶ Εὔμητις λιγύφωνοι ἔκλαυςαν πινυταὶ, Πίνδαρε, ϑυγατέρες, ᾿Αργόϑεν ἦμος ἵκοντο κομίζους᾽ ἔνδοϑι xpwccoi λείψαν᾽ ἀπὸ ξείνης ἀϑρόα πυρκαϊῆς.

Si tratta, a giudicare dalla prosodia, di un testo tardo. É molto probabile peró che la stessa notizia sia da riconoscere già nella vita di Pindaro trasmessa da un papiro del II/ IIl secolo, POxy 2438. Qui, alle righe 20-30, si introduce, come nell'epigramma, il nome delle due figlie, accompagnato, con ogni evidenza, in lacuna, anche da quello del figlio Daiphantos. A questa notizia seguono due righe lacunose in cui compare il nome di Argo (r.31s): . .] . δὲ ἐν “Apyet ul[circa 20lettere/...]p . yevopev['. Alle righe successive si passava poi a un giudizio sulla fama del poeta e alla descrizione della sua opera. Sembra quindi più che plausibile che le righe 31 s. contenessero l'ultimo dato di carattere biografico, e menzionassero, come l'epigramma, la notizia sulla morte di

! | nomi dei figli sono noti anche dalla Vita Ambrosiana (I, p. 3, 3 ss. Drachm. e Suid., con la forma

Diophantos: cfr. schol. Pyth. 3, 78, solo le figlie), e da quella esametrica (v. 25 s., I, p. 9, 15 s. Drachm.). Sull'epigramma della Vita Ambrosiana, cfr. S. BARBANTANI, ‘1 poeti lirici del canone alessandrino nell'epigrammatistica', Aevum Antiquum 6, 1993, pp. 4-97, qui p. 25 s. (con bibliografia precedente), che propende per una datazione in età bizantina. L'elisione del nominativo in -xt tradisce, se non una data tarda, una notevole incompetenza prosodica (U. von WiLamowITz-MOELLENDORFF, Pindaros, Berlin 1922, p. 445). Sulla base del solo epigramma Eustazio (III, p. 297, 8 ss. Drachm.) ipotizzava che il poeta fosse morto ad Argo durante un viaggio verso un agone peloponnesiaco. Per la menzione della morte ad Argo alla τ. 30 della biografia papiracea cfr. anche I. GaLLo, Una nuova biografia di Pindaro (P.Oxy. 2438), Salerno 1968, p. 71, con esame delle altre fonti (ma la probabile cronologia tarda dell'epigramma porta a escludere che questo potesse essere noto all'autore della Vita).

108

Giovan Battista D'Alessio

Pindaro ad Argo. A cavallo tra il r. 31 e il r. 32, dove le tracce sono compatibili con un'integrazione del tipo di ἐν Θήβηι / ἐτάϊφη (le possibilità sono limitate a Jpn, lo[ok e Ie[s]t), era verosimilmente riportata anche la notizia della sepoltura a Tebe. Il testo di POxy 2438 si distingue dalle più tarde Vite pindariche per la sua sobrietà e per il modo circostanziato con cui, talvolta, vaglia le informazioni disponibili. Lo stato del papiro purtroppo non ci consente di verificare se il suo autore considerasse o meno attendibile questo dato della tradizione, ma, a giudicare dalle scarne tracce, non pare che potesse concedere molto spazio a versioni alternative’. Trattandosi, inoltre, di una località la cui connessione con Pindaro non era di immediata ovvietà (come sarebbe

stato nel caso di Tebe, Delfi, o anche Egina), sarà ragionevole disponessero di notizie extra-testuali sulla morte del poeta, o suoi componimenti di committenza argiva che credevano di età avanzata (magari per allusioni alla vecchiaia della persona

ipotizzare che gli antichi che, almeno, leggessero poter collocare nella sua loquens, o all'imminenza

della morte). Con tutta la debita cautela, mi sembra che la notizia sulla morte di Pindaro

ad Argo non debba essere considerata del tutto priva di fondamento. Fino alla scoperta dei nuovi papiri, l'unico testo noto composto per un Argivo era la Nemea 10, che di per sé non offre espliciti appigli per una datazione. I frammenti di tradizione indiretta trattano occasionalmente di res Argivae, ma non ci sono indizi che ne riconducano alcuno, necessariamente, a committenza locale. Il più promettente è il fr. 179 S.-M.?

ὑφαίνω δ᾽ ᾿Αμυϑαονίδαιοιν ποικίλον ἄνδημα.

Boeckh aveva ingegnosamente accostato questo frammento, apparentemente dattilo-epitritico, a due testi in metro analogo: dei versi con ὑποϑῆκαι rivolte ad Amphilochos dal padre Amphiaraos (fr. 43), e un'altra sezione gnomica in discorso diretto attribuita agli Inni (fr. 42), immaginando un Inno dedicato all'eroe*. Nel fr. 43

Pindaro senz'altro elaborava materiale del Ciclo epico (forse dalla Tebaide: cfr. fr. 4 Bernabé), e l'accostamento all' altro frammento gnomico potrebbe cogliere nel segno. Ma quale connessione questo possa avere col canto per gli Amythaonidai é assai incerto: il termine, inoltre, mal si presterebbe a definire, quali committenti, gli Argivi contemporanei, tanto più se Pindaro faceva propria la versione secondo cui Melampos non volle lasciare la patria (l'Elide) per essere monarca in Argo (Pae. 4, 28-30). Se di com-

mittenti si trattava, candidati più plausibili sono i membri della dinastia dei Klyti(a)dai, ? È invece con ogni probabilità indipendente da questa la notizia, riportata da Suid., secondo cui il poeta sarebbe morto sulle ginocchia del giovane amato, Theoxenos, in un non meglio precisato "teatro":

deriva da una lettura biografizzante, forse già peripatetica, dello skolion fr. 123 S.-M. Valerio Massimo 9, 12 ext. 7 non fa il nome del fanciullo, e colloca la scena in un ginnasio, ma difficilmente riflette uno stadio della tradizione più antico. ? | frammenti sono citati dall'edizione di B. Snell, nell'ultima revisione ad opera di H. Maehler, Leipzig 1989.

* A questi aggiungeva, per motivi analoghi (ammaestramenti morali in dattilo-epitriti), anche i frr. 180-182.

* Per l’interpretazione di questo passo cfr. G.B. D'ALEssio, rec. a L. KAppEL, Paian. Studien zur Geschichte ciner Gattung, Berlin-New York 1992, Class. Rev. 44, 1994, pp. 62-67. * Cfr. U. von WiLaMowrTz, Pindaros, cit. (sopra, n. 1), p. 327 (alla p. 424 s. pensa invece più risolutamen-

Argo e l'Argolide nei canti cultuali di Pindaro

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profeti a Olimpia, cosi come gli lamidai celebrati in Ol. 6, un cui discendente, Eperastos, ancora nel Ill sec. vantava ἀπ᾿ ἰςοϑέων αἷμα Μελαμποδιδᾶν". I nuovi testi papiracei ci offrono invece resti di un componimento la cui committenza argiva è attestata dal titolo, e altri tre per i quali essa sembra in diverso grado probabile. Tutti questi frammenti, nonostante il loro stato di conservazione, possono offrire preziosi spunti per la conoscenza della politica religiosa e cultuale argiva nella prima metà del V secolo. Converrà partire dall’unico testo il cui titolo sia parzialmente conservato. Si tratta del fr. 7 di POxy 2442, un papiro sotto la cui sigla si indicano i resti di più rotoli di un'edizione pindarica, vergati tutti dalla stessa mano, e che includevano almeno gli Inni, il primo libro dei Prosodii, i Peani e (in frammenti non pubblicati) le Pitiche. La stessa mano ha vergato, in formato un po' diverso, anche POxy 1604, 2445 e 2446, contenenti Ditirambi e Iporchemi*. È possibile che lo scriba avesse approntato un Πίνδαρος ὅλος: se ci limitiamo al gruppo di testi identificabili con il formato di POxy 2442, come ho già argomentato altrove, i candidati migliori per la provenienza del fr. 7 sono gli Inni o, molto più probabilmente, i Prosodii, mentre è per varie ragioni decisamente improbabile una sua classificazione tra i Peani, etichetta sotto la quale appare, senza alcun segno di dubbio, nell'edizione di Snell-Maehler (XVIII).

Il titolo è conservato in modo frammentario: chiara è l'indicazione della committenza pubblica argiva (un originario ᾿Αργείους corretto al dativo da una seconda mano). Una lacuna nel papiro impedisce di decifrare le successive lettere (che, nonostante l'indicazione degli editori, possono oscillare da 4 a 6, a seconda delle loro dimensioni, e a seconda di come si interpretino i primi resti di inchiostro visibili) precedenti un ben leggibile sigma. A queste seguiva, lacunoso nella desinenza, il nome dell'eroe ᾿Ηλεκτρύων. Lobel ha avanzato l'ipotesi che il genitivo del nome fosse preceduto da un sostantivo'^. Nella stessa direzione, più recentemente, Rutherford ha proposto di leggere * A]pyetotc ᾿Ας[πὶκ ᾿Ηλεκτρύωϊίνοο"". Questo tipo di titolo, come ammette lo stesso Rutherford, trova paralleli solo tra quelli dei Ditirambi, e, ovviamente, non é possibile attribuire il nostro frammento a questa categoria. Di uno scudo di Elettrione non c'é, d'altronde, menzione né nel nostro testo, né nel resto della tradizione. Se ci atteniamo invece alle tipologie di titoli effettivamente attestate, al dativo dei committenti poteva seguire εἰς + accusativo dell'eroe (Prosodii) o del dio (Inni) cantati, mentre nei Peani la preposizione

era seguita dal luogo di esecuzione del canto". La proposta di Snell, εἰς

ta]c

te a destinatari mitici, Melampos e Bias, e collega il fr. 179 con il testo di POxy 426, identificato più tardi

con il bacchilideo peana per Apollon Pythaieus). 7 Cfr. Paus. 6, 17, 6 e D. L. Pace, Further Greek Epigrams, Cambridge 1981, p. 445 s. * Allo scriba sono attribuiti anche altri testi poetici (Saffo, Alceo?, Alcmane): cfr. M.S. FuNcH - G.

MESSER), ‘Lo ‘scriba di Pindaro' e le biblioteche di Ossirinco', Studi class. or. 42, 1992, pp. 43-62.

? Cfr. G.B. D'ALessio, ‘Pindar's Prosodia and the Classification of Pindaric Papyrus Fragments’, Zeitschr.

f. Pap. u. Epigr. 118, 1997, pp. 23-60, qui p. 41 s. e Ip., ‘Per una ricostruzione del libro dei 'Peani' di Pindaro", in M. CANNATÀ FERA - G.B. D'Alessio (edd.), I lirici greci. Forme di comunicazione e storia del testo, Incontro di

Studio (Messina 5-6 novembre 1999), Messina 2001, pp. 69-86, per la ricostruzione del contenuto del libro dei Peani. Si tratta del componimento 57 (inserito nel ‘Supplement S: Dubious Paianes') nella recente edi-

zione di I. RUTHERFORD, Pindar's Pacans. A Reading of the Fragments with a Survey of the Genre, Oxford 2001.

1 E. Lore: The Oxyrhynchus Papyri XXVI, London 1961, p. 36. ! I RUTHERFORD, Paeans, cit. (sopra, n. 9), pp. 424-427.

" Cfr. G.B. D'Ausssio, ‘Pindar's Prosodia', cit. (sopra, n. 9), p. 41.

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Giovan Battista D'Alessio

"HAextpvolvoc Suciac vel ἑορτάς, non trova alcun parallelo esatto, mentre sarebbe possibile ricondurre il tutto alla tipologia usuale integrando £t[c tov]c ᾿Ηλεκτρύωνος παῖδας velsimm. Nelle differenti versioni mitiche sono, infatti, tutti i figli maschi del re Elektryon, con l'eccezione del giovane Likymnios, nato dalla concubina Midea, a morire nello scontro con i Teleboai, e non è inverosimile che tali figure mitiche, la cui funzione narratologica è solo quella di essere protagonisti dello scontro mortale collettivo, trovino la loro origine in una precisa realtà cultuale, collegata a un rito funebre eroico collettivo". Nel panorama monumentale del territorio argivo registrato da Pausania, nessun punto di riferimento è esplicitamente connesso a tale episodio: l'unico figlio di Elektryon menzionato è proprio l'illegittimo Likymnios, ucciso, a Tirinto, dall'eraclide Tlepolemos in tutt'altra occasione, la cui tomba era riconosciuta presso il ginnasio Kylarabis, in prossimità della porta sudorientale della città (2, 22, 8: cfr. anche Plut. Pyrrh. 34)'*. Tanto Likymnios (figlio della eponima di Midea, ed eponimo, a sua volta, dell'acropoli di Tirinto: Strab. 8, 6, 11, C. 373; a Midea lo colloca Pindaro in Ol. 7, 29, e da Midea viene il figlio Oionos in OL. 10, 66), quanto Elektryon e i suoi figli trovano la loro naturale collocazione non nella città di Argo, ma nel territorio a est dell'Inaco, dominato dalle rocche di Tirinto e Midea'*. L'unica altra attestazione di un ruolo di Elektryon nel culto è in una iscrizione tardo-ellenistica dove compare, con Hera, Herakles e Apollon

Pythaieus, tra gli dèi e gli eroi possessori della ἱερὰ καὶ δαμοοία χώρα. Kritzas, che ha pubblicato un estratto del testo, ha senz'altro ragione nel vedere in questo gruppo i rappresentanti delle divinità che presiedono al territorio, come distinte da quelle specifiche della polis argiva'*. Mentre è facile vedere in Hera la dea del santuario di Prosymna, dove, dopo l'annessione, si venerava anche lo xoanon tirinzio", e in Apollon Pythaieus il dio di Asine'*, piuttosto che quello della Deiras, non è altrettanto sicura l'attribuzione 1 Un nuovo testo papiraceo relativo ai figli di Elektryon, con particolare attenzione alla discendenza di Likymnios, è stato pubblicato da E. RaBRIE - P.J. SyPESTEIN, ‘Eine neue Perseiden-Genalogie in P. Vindob.

G 23058”, Wien. Stud. 101, 1988, pp. 85-95: cfr. anche CH. HARRAUER, 'Likymnios und seine Familie in P.Vindob. G 23058', ibid. pp. 97-126.

14 Cfr. M. Piérart, "Deux notes sur l'itinéraire argien de Pausanias", Bull. corr. hell. 106, 1982, pp. 139-

152, qui p. 146.

Per Elektryon e Midea: cfr. Paus. 2, 25, 9; Alemena e Midea: Theocr. 13, 20; 24, 1. Le altre fonti lo collegano a Tirinto o Micene ([Hes.] Sc. 82, Eur. Alc. 839, Paus. 9, 11, 1, per Tirinto; (Apollod.] Bibl. 2, 49 e 55, schol. Lycophr. 932bis, per Micene: a queste bisogna aggiungere le fonti che collegano sua figlia

Alcmena e il nipote Eracle a Tirinto [Hes. Theog. 292, Eur. fr. 696, 4 s. N^, Soph. Trach. 1151 s., e più tardi, ad esempio, Call. Hy. 3, 146]); Eracle è collegato ad Argo già in IL. 19, 115, 121-124, ma nell'uso omerico il termine non designa solo e specificamente ia città, quanto, molto più spesso, l'intera piana, o, in modo anche piü estensivo, i territori pianeggianti del Peloponneso (cfr. P. WATHELET, ‘Argos et l'Argolide dans l'épopée, spécialement dans le Catalogue des vaisseaux”, in M. Pi&nanr, Polydipsion Argos. Argos de la fin des

palais mycéniens à la constitution de l'État classique (Bull. corr. hell. Suppl. 22}, Athénes-Fribourg 1992, pp. 99118, qui pp. 99-101). Il punto sulle poleis di Micene e Tirinto in età arcaica in J. M. Hat, "Alternative Responses within Polis Formation: Argos, Mykenai and Tiryns', Acta Hyperborea 7, 1997, pp. 89-109, R. KokRNER, "Tiryns als Beispiel einer frühen dorischen Polis”, Klio 67, 1985, pp. 452-457.

16 CH. Krrrzas, ‘Aspects de la vie politique et économique d'Argos au V° siècle avant J.-C.”, in M. Piérarr, Polydipsion Argos, cit. (sopra, n. 15), pp. 231-240, qui pp. 237-240.

1? Cfr. Paus. 2, 17, 5; in 8, 46, 3 si menziona anche un altro xoanon tirinzio conservato ad Argo, nel tempio di Apollo Lykios. Da segnalare come di recente sia stata proposta (ma senza argomentazioni particolarmente elabo-

rate) l'identificazione del famoso tempio non con il piccolo santuario di età geometrica/arcaica della

Argo e l'Argolide nei canti cultuali di Pindaro

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di Herakles esclusivamente a Tirinto'” e di Elektryon alla minore Midea (che, alle soglie di questi eventi, difficilmente sarà stata del tutto indipendente da Tirinto?). É, in ogni caso, verosimile che i quattro pertengano tutti alla parte orientale della chora, anche se tutti erano venerati anche ad Argo: un vaso iscritto rinvenuto nella parodos del teatro attesta il culto di Eracle ad Argo alla fine del V sec.?, e il testo pindarico mostra eloquentemente la presenza di Elektryon nella città stessa. L'inizio dell'ode, d'altra parte, ci conferma che il rito non aveva luogo in un'area cultuale riservata esplicitamente all'eroe e/o ai suoi figli. Pindaro ha bisogno, a quanto si può dedurre dal mutilo testo, di argomentare la connessione tra la loro materia mitica e il luogo della performance: un bosco sacro piantato” nel temenos dei Dioscuri offre all'évip copóc materia di canto sulle glorie argive. Un preambolo che, a quanto sembra, includeva anche una allusione alla materia troiana (al v. 7, dove la proposta di

Lobel mi sembra inevitabile), portava alla narrazione dello scontro con i Teleboai , e al tema centrale nell'occasione rituale. Il collegamento tra il tempio dei Dioscuri e l'eroe, o gli eroi, tirinzi, non pare fosse illuminato in termini espliciti nel testo. Possiamo immaginare che il poeta si dia da fare per giustificare la collocazione di un culto che solo di recente é stato insediato all'interno della polis, e che aveva, pare ovvio, le sue radici originarie piuttosto tra Tirinto e Midea? A proposito dell'epigrafe sulle divinità della ἱερὰ καὶ δαμοοία χώρα menzionata più sopra, Kritzas avanza la seducente ipotesi che la scelta della tetrade dei proprietari derivi dall'esigenza di una ridivisione del territorio, in contesto democratico, dopo il sinecismo forzato con Mykenai e Tirinto (preceduto già dall'annessione del culto asineo, e di quelli di Nauplia, se non cadevano piuttosto questi ultimi sotto la sfera d'influenza tirinzia, almeno in alcune fasi)?. Mi sembra estremamente allettante l'ulte-

riore ipotesi che, contestualmente a tale riorganizzazione dei rapporti con il territorio, la polis argiva abbia promosso anche una ristrutturazione dei culti, che potevano conticollina di Barbounas, presso il sito di Asine, ma con quello arcaico le cui fondamenta sono state portate alla luce nel villaggio di Lefkakia, pià ad ovest, quasi a metà strada tra Nauplia e l'antico sito di Asine: cfr. X. ΠΠΈΡΟΣ, 'Apy. AeAtiov 51, 1996 (ma 2001), Xpovexa B 1, p. 92. Per una attestazione epigrafica del suo culto a Tirinto cfr. N. VERDELIS - M. JAMESON - I. PapaCHRISTODOULOU, "Apyatxai ἐπιγραφαὶ Τίρυνϑος, 'Apy. “Ep. 1975, pp. 105-205, qui p. 182 s. ? Cfr. J.-C. Moretn, ‘L'implantation du théâtre d'Argos dans un lieu plein de sanctuaires', in A. PARIENTE - G. ToucHais (edd.), Argos et l'Argolide. Topographie et urbanisme. Actes de la Table Ronde Internationale (Athénes-Argos 28/4-1/5/1990), Paris 1998, pp. 233-259, qui p. 240 (e già J.-C. Monern, Bull. corr. hell. 113,

1989, p. 721 fig. 30). Su Eracle e Argo cfr. sopra n. 15, e le due differenti posizioni di M. PiérART, ‘Les honneurs de Persée et d'Héraclès', in C. BONNET - C. JOURDAN-ANNEQUIN (edd.), Héraclés d'une rive à l'autre de la Mediterranée: Bilan et perspectives, Bruxelles-Rome 1992, pp. 223-244, e di G. ARRIGONI, ‘Perseo contro Dioniso a Lerna', in F. Conca (ed.), Ricordando Raffaele Cantarella. Miscellanea di studi, Milano 1999, pp. 9-

70, qui pp. 50-51.

! Per l'espressione πεφυτευμένον dAcoc cfr. Hdi. 2, 138, 3 e sch. Pind. Ol. 3, 31a.

22 Per questo problema cfr. J. M. HaLL, ‘How Argive was the “Argive” Heraion? The Political and Cultic Geography of the Argive Plain, 900-400 B.C.', Am. Journ. Archaeol. 99, 1995, pp. 577-613, qui pp. 581-584 (Asine, distrutta alla fine dell'VIII sec., e Nauplia, che secondo Hall, nonostante le affermazioni di diverse fonti antiche, sarebbe stata sottomessa solo nel V sec.) e 587-589 (Micene, Tirinto e Midea autono-

me fino alla loro distruzione negli anni '60 del V sec.), M. PiéRART, "L'attitude d'Argos à l'égard des autres

cités d'Argolide', in M. H. Hansen (ed.), The Polis as an Urban Centre and as a Political Community. Symposium (August, 29-31, 1996), Copenhagen 1997, pp. 321-351, p. 325 s. (Nauplia e Asine), pp. 329-331 (fonti sul sinecismo e la distruzione di Tirinto, Micene, Midea e altre località). Per una nuova proposta di collocazione del tempio di Apollo Pythaieus in maggiore vicinanza con Nauplia e Tirinto, cfr. sopra, n. 18.

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nuare in loco (Asine, Nauplia, come tenteró di argomentare piü avanti), o essere stati soggetti a trasferimento, come sembra essere avvenuto per Hera tirinzia, e, evidentemente, anche per il culto di Elektryon, e, verosimilmente, per la tomba di Likymnios”. La commissione di canti rituali a poeti di fama panellenica ben si colloca in questo contesto. Al peana di Bacchilide per il culto di Apollo Pythaieus ad Asine, bisognerà accostare, probabilmente, anche alcuni dei testi pindarici che qui esaminiamo. Nel IV sec., quando gli Argivi per commemorare la loro alleanza con Epaminonda eressero un monumento a Delfi fecero rappresentare in un emiciclo dieci figure mitiche: tra queste figurava anche Alektryon, con la figlia Alkmene, e il nipote Herakles”*. Rimane l'incognita della collocazione specifica di questo culto tirinzio nel santuario dei Dioscuri. Se si vuole dare qualche peso alla topografia, questo sarà da identificare con quello collocato in zona urbana, presso la porta di Eileithyia , che apriva verso est, in direzione non solo dell'Heraion (e Mykenai), ma anche di Midea (e in una zona non

troppo distante dalla tomba di Likymnios, sul percorso per la porta sud-orientale di Kylarabis), piuttosto che con quello, gemello, collocato in zona extra-urbana, in una deviazione a sinistra della strada per Lerna”. Ma questo, ovviamente, non basta a spiegare il nesso tra gli " Avaxe e l'eroe tirinzio. L'unica ipotesi che, sulla base delle nostre conoscenze, oltremodo lacunose, mi sento di proporre, andrà considerata con estrema cautela. É possibile osservare come il testo conservato del proemio del canto per Elektryon presenti diversi punti di contatto con quello della decima Nemea: l'andamento catalogico (che, nell'epinicio, non omette la menzione dello scontro di Amphitryon coni Teleboai), l'uso del verbo φλέγω e del termine πόλιο per descrivere il fulgore delle glorie argive, e l'uso, proprio in un caso, metaforico nell'altro, di τέμενος per indicare il soggetto che offre potenziale materia di canto”. Trattandosi di poemi composti per la stessa comunità bisognerà senz'altro pensare che nel più recente dei due canti Pindaro volesse rievocare il precedente. La Nemea 10 celebra le vittorie agonistiche dell’ argivo Theaios”, ma buona parte dell'ode è presa dalla narrazione del mito dei Dioscuri. Questi hanno un rapporto privilegiato con il lato materno della famiglia del vincitore: alla loro protezione si devono i numerosi successi agonistici, e il rapporto risale addirittura all'ospitalità offerta agli dèi dall'avo Pamphaes. Non è detto, ma si capisce che una tale famiglia sia stata pars haud parva nella gestione del culto dei Dioscuri ad Argo. Non sarà forse, proprio in vista dell'accostamento col canto per Elektryon, da sottovalutare la circostanza che, per lodare le loro vittorie, il poeta evochi il fiorire dello ἱπποτρόφον ... äctu Προίτοιο. Il testo è, in queste parole, sfigurato da una corruttela non facilmente circoscrivibile**: resta il fatto, però che, comunque lo si ricostruisca, soggetto della frase 2 Sul verosimile spostamento del sepolcro di Likymnios da Tirinto ad Argo nel V sec. cfr. F. KIECHLE, ‘Argos und Tiryns nach der Schlacht bei Sepeia', Philologus 104, 1960, pp. 181-200, qui p. 194.

* Bibliografia in J. M. HaLL, ‘How Argive', cit. (sopra, n. 22), p. 612 n. 235. ? Perbibliografia aggiornata su questi e altri culti argivi dei Dioscuri cfr. J.-C. Morern, ‘L'implantation’,

cit. (sopra, n. 20), pp. 237-239.

% Cfr. G.B. D'ALEssio, ‘Pindar’s Prosodia', cit. (sopra, n. 9), p. 42. 2 Per una messa a punto dei problemi relativi, cfr. M. CANNATÀ FERA, ‘Occasione, testo e performance: Pindaro "Nemee" II e X', in M. CANNATA FERA - G.B. D'Atessio (edd.), I lirici greci, cit. (sopra, n. 9), pp.

152-163, qui pp. 158-163.

28 | "identificazione con Tirinto porta, naturalmente, a scartare la ricostruzione di Boeckh, che, sulla

scorta degli scoli (che ignorano il problema relativo a Proitos, e dove, in ogni caso, αὕτη ἡ πόλις è da intendere come anaforico), restituiva nel testo un deittico.

Argo e l’Argolide nei canti cultuali di Pindaro

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difficilmente sarà stato altro che la "città di Proitos" e, nell'immaginario mitico antico, questa, per antonomasia, non era Argo, dominio del fratello-nemico Akrisios, ma la vicina e rivale Tirinto?. Da E. Schmid in poi, numerosi studiosi ne hanno dedotto che gli avi di Theaios, almeno dal lato materno, erano, di origine, tirinzi”. Se ne è voluto anche trarre una conclusione cronologica, collocando l'epinicio in età successiva al forzato sinecismo, dopo il quale, evidentemente, alcune ricche famiglie aristocratiche avrebbero conservato, pur in contesto democratico, la loro antica influenza". Bisogna ammettere che un certo scetticismo al riguardo non sarebbe fuori luogo: Tirinto non é mai esplicitamente menzionata nell'ode, mentre lo è, ripetutamente, e senza alcun distinguo di appartenenza, Argo. Questo non è però un ostacolo insormontabile: Theaios è lodato in quanto argivo, e argiva era, con ogni probabilità la famiglia del padre. Allo stesso tempo, da parte di madre, è discendente di un’importante stirpe che può ben essere di origine tirinzia. Con tutta l'inevitabile cautela, devo ammettere di trovare

molto suggestiva l'ipotesi che possa essere stato proprio per iniziativa della stirpe tirinzia dei discendenti di Pamphaes, ospite dei Dioscuri, che, dopo la presa della città, il culto tirinzio di Elektryon e dei suoi figli sia stato accolto ad Argo nel bosco sacro del τέμενος degli “Avaxe. ? Per un tentativo di ricostruzione delle ragioni che hanno portato ad elaborare la storia di una divisione competitiva e complementare tra la stirpe di Akrisios (Perseidi/Eraclidi) e quella di Proitos, cfr. J.M. HALL, Ethnic Identity in Greek Antiquity, Cambridge 1997, pp. 93-99: sebbene in Il. 6, 157-159 il dominio di Proitos includesse genericamente gli Argivi (ma cfr. sopra, n. 15), e anche la città di Ephyre, almeno dal VI sec. “Proitos had become indelibly attached to Tiryns” (p. 95). Nel Catalogo pseudo-esiodeo Melampos, per curare le figlie di Proitos, si reca ad "Argo" (fr. 37, 10 M.-W.) il che può indicare l'intero territorio argolico (inclusa Argo), ma lo stesso Catalogo (fr. 129 M.-W.) sa che i due fratelli si erano divisi il territorio, e che ad Argo era rimasto re Akrisios, mentre Proitos aveva fondato Tirinto. Pindaro, come

Bacchilide, era a conoscenza della cc&ctc tra i due fratelli, e ne individuava l'origine nello stupro di Danae da parte dello zio (fr. 284 S.-M.). Mi sembra estremamente difficile che nel V sec. “la città di Proitos”

potesse non evocare Tirinto.

9 Cfr. E. Scumipius, Πινδάρου Iepiodos, 1616, Pindari Nemeonicae, p. 243: contrari già CH.G. Hevne, Pindari carmina I, Londini 1823”, p. 445, secondo cui "importunum hoc, et videntur omnia ad Argos spectare", e, con argomenti non persuasivi a difesa dell'equazione tra la “città di Preto” e Argo, EL. Dissen in A. BogckHius, Pindari opera quae supersunt Il 2, Lipsiae 1821, p. 469 s. Cfr. U. WiLamowrrz, Pindaros, cit. (sopra, n. 1), p. 426. L.R. FARNELL, The Works of Pindar III, London

1932, p. 321 richiama la notizia di Paus. 2, 25, 8 sull'inserimento dei Tirinzi come σύνοικοι argivi dopo la sottomissione della città (si puó aggiungere anche 8, 27, 1), e, a p. 317, sottolinea come la presenza di un vincitore "Tirinzio" nella lista dei vincitori alle Olimpiadi per l'anno 468 in POxy 222 i 42 dia un terminus post quem per l'evento (meno plausibile mi sembra la soluzione di F. KiecHie, ‘Argos und Tiryns ...', cit.

[sopra, n. 23], p. 197 s., secondo cui il vincitore poteva essere stato uno degli esuli tirinzi insediatisi ad Halieis, che Hdt. 7, 137, 2 chiama ᾿Αλιεῖς ol ἐκ TipuvBoc; nel IV o III sec. le loro monete portavano la scritta TIPYN8IQN). Per una discussione sulle diverse tradizioni relative alla caduta di Tirinto (sinecismo

vs. espulsione o emigrazione degli abitanti), cfr. M. Mocci, ‘I sinecismi e le annessioni territoriali di Argo nel V secolo a. C.', Ann. Scuola Norm. Sup. Pisa s. III 4, 1974, pp. 1249-1263: a proposito del sinecismo di Argo, Moggi dà credito piuttosto alle versioni che parlano di una emigrazione dei Tirinzi ad Halieis, ma, a p. 1255 n. 30, non esclude l'ipotesi di F. GscuNrTzER, Abhängige Orte im griechischen Altertum, München

1958, p. 73 s., secondo cui "una parte dei Tirinti puó essere effettivamente confluita in Argo (...) e puó avere indotto gli Argivi ad accentrare i culti in questa città, per dimostrare che, anche da un punto di vista religioso, oltre che politico e giuridico, essa doveva essere considerata la nuova patria dei Tirinti". Non bisogna dimenticare, in ogni caso, che, anche accettando l'equivalenza "città di Preto" / Tirinto (come mi sembra si debba fare), ne puó derivare per Theaios una origine tirinzia anche solo da parte materna: il

fatto che venga presentato come argivo non dovrebbe quindi necessariamente presupporre la distruzione di Tirinto (cfr. W.G. Forrest, "Themistokles and Argos', Class. Quart. n.s. 10, 1960, pp. 221-241, qui p. 228 n. 6).

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Il carme per Elettrione (e?/) o i suoi figli era, come abbiamo visto, certamente stato composto per gli Argivi: più dubbia, come abbiamo visto, è la sua classificazione tra i canti processionali o gli inni nell'edizione alessandrina di Pindaro. Diversa è invece la situazione peri cosiddetti peani XX e XXI: come credo di aver dimostrato altrove, questi due componimenti erano in realtà inseriti, uno di seguito all'altro, nel primo libro dei Prosodii pindarici, e compaiono nelle due colonne consecutive di POxy 2442 fr. 32 (oltre

che in vari minuti frammenti di POxy 1792). Incerta é invece l'identificazione dei loro committenti.

Del primo resta solo parte di una narrazione mitica relativa all'uccisione, da parte di Eracle infante, dei serpenti inviati da Era. Sono notevoli le somiglianze con lo stesso mito narrato da Pindaro nella prima Nemea. Un mito che abbia Eracle come protagonista non é certo una rarità in Pindaro, ma, se in un epinicio le connessioni tra la materia narrata e l'occasione potevano essere molteplici, nei suoi canti cultuali, per quanto possiamo giudicare, le cose sembrano stare diversamente": è difficile che l'occasione rituale di questo poema non fosse legata, in qualche modo, all'impresa dell'eroe, o, forse, al culto della sua dea antagonista, Era. Il tentativo di considerare il frammento come parte del poema per Elettrione, recentemente argomentato da I. Rutherford", va incontro a notevoli difficoltà di carattere materiale: non lo definirei impossibile, ma, certamente, molto improbabile". È fuori dubbio che fosse seguito da un poema dedicato ad Hera (XXI). È probabile che l'ordinamento consistesse in una sequenza alfabetica delle divinità o eroi celebrati, per cui un poema εἰς Ἥραν era preceduto da uno εἰς “Hpaxañ (o, ancora, da un altro εἰς Ἥραν, se il mito dell'eroe era narrato in un contesto relativo alla divinità antagonista, con cui, infine, si riconciliava). I committenti più verosimili per un poema pindarico in onore di Eracle sarebbero, naturalmente, i Tebani. Se, però, si accetta l’idea di una sequenza alfabetica delle divinità o eroi celebrati, bisogna riconoscere che un tale ordinamento poteva funzionare meglio se subordinato, a sua volta, ad una sequenza alfabetica dei committenti”. E se, come argomenterò più sotto, una committenza argolica, o, più precisamente argiva, sembra plausibile per XXI, salgono le probabilità che anche il poema per Eracle avesse la stessa destinazione. Eracle, solitamente collegato alle città della piana orientale, Tirinto, Midea o Mykenai, era noto come possibile aspirante al trono di Argo già nell'Iliade (19, 115 e 121-124): Pindaro ne fa senz'altro un eroe argivo nella Decima Nemea (vv. 13-18), e ad Argo il suo culto sembra attestato archeologicamente dall'ultimo quarto del V sec.*. L'argomentazio32 Tutte le volte in cui è possibile una verifica, nei Peani, nei Prosodii e nei Ditirambi di Pindaro il mito narrato è pertinente all'occasione rituale. Solo nel caso di Pae. 4 il legame è con la patria dei committenti e senza ovvi legami con la divinità celebrata: ma Euxantios vi è visto anche come il custode del μακάρων (...) ἐπιχώριον τεϑμόν (v. 46 s.) da intendere come il "culto locale dei beati”, e non, come per lo più si intende, "la decisione dei beati relativa all'isola".

3]. RUTHERFORD, Paeans, cit. (sopra, n. 9), p. 426. * Cfr. G.B. D'Arsssio, 'Pindar's Prosodia', cit. (sopra, n. 9) p. 42 s. Se si accetta l'ipotesi di ordinamento

alfabetico, XVIII, se apparteneva allo stesso libro, sarebbe comunque potuto essere collocato in prossimità di XX-XXI, poco prima, o poco dopo (come è noto, l'ordinamento alfabetico nelle edizioni antiche sembra essere stato limitato alla prima lettera della parola: si veda, ad esempio, la successione ᾿Ιώ Ἴδας nei Ditirambi bacchilidei). 35 Cfr. G.B. D'ALessio, ‘Pindar’s Prosodia', cit. (sopra, n. 9), p. 38. % Cfr. sopra, n. 20. Allo stesso quadro si riporta il ruolo attribuito ad Eracle nella storia del tempio di Apollo Pythaieus ad Asine in Bacchilide, fr. 4 S.-M., un peana di più che verosimile committenza argiva.

Vd. P. ANGEL! BERNARDINI, in questi Atti, p. 138 ss.

Argo e l’Argolide nei canti cultuali di Pindaro

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ne, in questo caso, non può essere che circostanziale: rimane sempre possibile che il componimento non fosse in onore di Eracle, e/o che non fosse stato commissionato dagli Argivi. Resta, però, la suggestiva possibilità che in XVIII, XX e XXI si possano riconoscere tre componimenti pindarici richiesti dagli Argivi per Elektryon, Eracle ed Hera, tre delle quattro divinità proprietarie della tepà καὶ Sauociæ χώρα: perla quarta (Apollo Pythaieus) soccorre invece il peana bacchilideo. Nel caso del prosodio per Hera la porzione conservata ci consente di avere le idee molto più chiare a proposito del suo contesto rituale. Il carme era articolato in sezioni costituite da due pericopi di 8 versi, seguite, a quanto pare, da una terza di lunghezza incerta, ciascuna chiusa dal ritornello tjj t£ βασίλειαν ᾿Ολυμπίων [?]" / νύμφαν ἀριοτόποοιν. Non è chiaro, e non ci interessa in questa sede, se le pericopi rappresentassero una struttura monostrofica, in cui i brevi versi eolici si ripetessero con una notevo-

le libertà nella realizzazione delle loro parti iniziali, o se, come suggerisce l'uso delle paragraphoi e della coronide in POxy 2442, rientrassero in uno schema triadico, con il ritornello che, inusualmente, chiudeva ogni sezione, e non solo l'epodo. Non c'é alcun dubbio che il poema celebrasse Hera, la regina degli Olimpi, e la sposa dello sposo migliore. Nella seconda sezione conservata, i due versi che precedono il ritornello si possono leggere quasi per intero: ἀλκὰν ᾿Αχελωΐου κρανίον τοῦτο Cadelov.

La perifrasi con ¿Axa e il genitivo del nome proprio, variatio dell'epico uso di Bin, è apposizione chiarita dal verso seguente: la "forza dell' Acheloo" é l'acqua sorgiva, scaturita dall'origine di tutte le acque. Nel fr. 249b, tràdito da POxy 221, uno hypomnema papiraceo ad Il. 21, col. 9, 14-16, a 21, 195?*, e attribuito senza sufficiente fondamento ai Peani, Pindaro indicava con perifrasi ancora più epicheggiante (tc ' AyeXwtov) la Eùpwπία xp&va che presso il Cefiso, insieme alle correnti del Melas, nutriva le canne auletiche.

La stessa perifrasi, al plurale, era utilizzata già in commentato dal papiro di Derveni, e citato, poco commentatore omerico: PDerveni col. 23, r.11: apyulplodtve[w]*. L'accostamento conil testo di ᾿Αχελω[ἴου] dpyupodli]vew) suggerisce, infatti,

un verso dello ‘Iepòc λόγος orfico prima del passo pindarico, anche dal lvac ὃ "éya[. . .c]c * ᾿Αχελώιου POxy 221( |vac[* . .(.)] "xacéXscE(a) l'identificazione dei due versi e una

ricostruzione del tipo:lvac δ᾽ ἐγκατέλεξ᾽ ᾿Αχελώκου ἀργυροδίνεω (Ivac è garantito anche dal τ. 13 del papiro di Derveni; soggetto del verbo era Zeus)”. Parallelo 27 Non è sicuro che il testo del primo verso del ritornello non proseguisse dopo ᾿Ολυμπίων, ad esem io con un imperativo, come deidete, il che eliminerebbe la costruzione di th E seguita dall'accusativo. * Hera νύμφη: cfr. E. FEHRLE, Die kultische Keuschheit im Altertum, GieBen 1910, pp. 201-203.

? L'ultima edizione dell'intero papiro è in H. Ersse, Scholia graeca in Homeri Iliadem (scholia vetera) V, rec. H.E., Berolini, 1977, pp. 78-121, quip. 93 s., e tavole fuori testo. * Cosiil testo provvisorio, col. 19, in Zeitschr. f. Pap. u. Epigr. 47, 1982, p. *11. Peril verbo si impone la nuova lettura di Tsantsanoglou: èyxat[. . JE”.

4! La lettura dell'editio princeps, che ad un controllo autoptico, si mostra superiore al "].zac[ .vel ] μας" di Erbse. * Cfr. la nuova lettura e la ricostruzione di K. TsantsANOGLOU, in A. BERNABÉ, ‘Nuovi frammenti orfici e una nuova edizione degli ᾿Ορφικά᾽, in M.TorroreLLi GHIDINI - A. STORCHI Marino - A. Visconti (edd.),

Tra Orfeo e Pitagora. Origini e incontri di culture nell'antichità, Napoli 2000, pp. 43-80, qui pp. 59-61.

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all'omericoîc ποταμοῖο (IL 21, 356) il nessoîc ᾿Αχελωΐου appare nella Teogonia orfica trasposto al plurale, con una risemantizzazione che trasforma l'origine delle acque nei “tendini di Acheloios”*. L'uso antonomastico del nome di Acheloios, come riconosciuto già da fonti antiche, a partire da Eforo, e ben illustrato, tra gli altri, proprio dal commentatore omerico, rientra in una tradizione di carattere sacrale, che Pindaro segue, con lieve variazione, anche nel prosodio per Hera, per indicare la “piccola fonte divina" che, a giudicare dal deittico, doveva essere presso il luogo della performance". L'ipotesi che essa potesse essere immaginata presente al discorso di qualche personaggio mitico è resa improbabile dal fatto che le sue parole si troverebbero ad essere interrotte dal ritornello, un fenomeno che mi sembra privo di paralleli. Se le cose stan-

no così i verbi al futuro nella pericope seguente non apparterranno alla profezia di un personaggio mitico' ma saranno da riferire alla persona loquens che, durante il rito, prende parte alla performance. Il parallelo più vicino, tra i testi letterari, è offerto dai vv. 120-127 del callimacheo Inno a Demetra dove i diversi aspetti dell’azione rituale sono ‘magicamente’ paragonati agli effetti che, mimeticamente, ne deriveranno (cfr. qui, forse, ὡς al v. 14)". Nel caso specifico il fluire “eterno” dell'acqua dalla fonte (v. 14)

poteva simboleggiare le “ricchezze” (v. 15) che deriveranno alla città. Il rito connetteva una dea, sicuramente Hera, e una fonte sacra, ed è riconducibile ad una tipologia ben nota di lavacri e purificazioni di statue divine, prevalentemente femminili*. La dea più frequentemente coinvolta in tali riti è proprio Hera, ma, anche estendendo l’esame ad altri contesti, solo due volte è attestato che il lavacro coinvolgesse specificamente una fonte, e non un fiume, o il mare. E, in entrambi i casi, ciò accadeva in Argolide. Non possiamo escludere che il prosodio pindarico fosse stato composto per un'occasione rituale non altrimenti attestata, ma, fino a prova contraria, rimane

plausibile l'ipotesi che anche questo carme coinvolgesse la regione di Argo. Uno dei due riti era quello dei lavacri portati, in città, dalle παρϑένοι Hpecidec al santuario di Hera Akraia (situato, probabilmente, sulla collina dell'Aspis)”. Il rito, già attestato (senza indicazione del santuario) nella tradizione degli Etymologica e in Esichio, è noto in maggiore dettaglio grazie ad una citazione testuale degli storici locali argivi ? Per un'analisi dell'origine di questa immagine rimando a G.B. D'ALessio, “Textual Fluctuations and Cosmic Streams: Ocean and Acheloios', di prossima pubblicazione. ^ Nei casi pindarici in cui οὗτος è riferito a luoghi o oggetti concreti, non metaforici, un uso deittico

sembra possibile e necessario: cfr. OI. 3, 34 e Pyth. 1, 30.

55 Cfr. G.B. D'ALessio, ‘Pindar’s Prosodia' , cit. (sopra, n. 9), p. 36.

4 G.B. D'Arsssio, loc. cit.; 1. RUTHERFORD, Paeans, cit. (sopra, n. 9), p. 404.

% Cfr. G.B. D'ALessio, "Pindar's Prosodia', cit. (sopra, n. 9), p. 36.

* Cfr. LC. RurueRFORD, “Two Heroic Prosodia. A Study of Pindar, Paeans XIV-XV ', Zeitschr. f. Pap. u. Epigr. 92, 1992, pp. 59-72, qui pp. 69-71, con riferimento a R. Ginouvès, Balaneutikè, Paris 1962, pp. 282298; L. KahiL, ‘Bains de statues et de divinités’, in R. GiNouv£s - A.-M. GUIMIER-SORBETS - J. JOUANNA (edd.), L'eau, la santé et la maladie dans le monde grec, Bull. corr. hell. Suppl. 28, 1994, pp. 217-223; G.B. D'ALessto, ‘Pindar’s Prosodia”, cit. (sopra, n. 9), p. 36 s.; I. RUTHERFORD, Paeans, cit. (sopra, n. 9), p. 404 s.; S. BETTINETN, La statua di culto nella pratica rituale greca, Bari 2001, pp. 143-160 ("pulizia e bagno").

* Per i problemi relativi alla sua identificazione cfr.J. M. HALL, ‘How Argive ...”, cit. (sopra, n. 22), p.

604 s. R. Ginouvés, Balaneutiké, cit. (sopra, n. 48), p. 289 n. 1, connette la menzione delle Heresides negli

Etymologica (non sembra conoscere il frammento di Agias e Derkylos) al rito di Kanathos su cui mi soffermo

più sotto, il che è senz'altro sbagliato, non solo per la distanza della fonte dal santuario di Hera Akraia, ma anche perché nel primo caso le Heresides portano i lavacri alla dea, mentre nel secondo e la dea (il simulacro) che si bagna nella fonte.

Argo e l'Argolide nei canti cultuali di Pindaro

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Agias e Derkylos in un commento papiraceo ad Antimaco di Colofone (PRIMI 1, 17: ad Antimaco, fr. 179 Wyss = 104 Matthews). I due storici indicavano anche la fonte cui attingevano le Heresides, ma una lacuna nel papiro permette di leggere solo la lettera iniziale del suo nome: ὑδίρεύλονται ἐ]κ μὲν τοῦ H[.... (.) rap]Bévol ot] καλοῦν-

ται

“Hpecidec καὶ φίέλροντι tà] λοετρὰ rá Ἥραι và] ' Axpet[ac], ἀπὸ δὲ τοῦ

Αὐτοματείου pé/[poucar (an péporcar? Cassio) ὑδρεύονται πίαρϑένοι at] καλοῦ[ν]ται Λοχεύτριαι, ἐπεί κέ τις τίῶν /[....... ] λοχεύητίαι (i.e. λοχεύδται, pro

λοχεύςηται Cassio) τῶν δμ]ωΐδωϊν]. ἴδια (ἰδίαι Wyss)8” ἀπὸ τᾶς Aoyetac φέρονίτι (..).....] Aoetpa”. Vogliano, primo editore del papiro, aveva integrato in ' H[patov il nome della fonte. Il commentatore ad Antimaco ci informa che da Agias e Derkylos Callimaco trasse questo materiale per un suo aition. Grazie alla pubblicazione, nel 1948, di un altro papiro con i versi finali del componimento callimacheo (POxy 2211 fr. 1°, 1-9) sappiamo che il poeta apostrofava quattro ninfe, protettrici di quattro fonti: Amymone, Physadeia, Hippe e Automate. Di qui la congettura di Lobel che, per completare il nome della fonte cui attingevano le Heresides nel commento ad Antimaco, bisognasse integrare ‘I[mmetov”. Questa fonte non è altrimenti nota: la si è voluta ravvisare in Hesych. s. v. Ἵππιον τὸ "Apyoc: ἀπὸ Ἵππης τῆς Δαναοῦ, ma, almeno nella formulazione tràdita, questo passo sembra piuttosto da interpretare come la spiegazione dell'epiteto di Argo, che non del nome di una fonte. Sulla base dell'elenco di Callimaco l'integrazione del nome di Hippe in questo contesto sarebbe un'ottima soluzione. Va segnalato, però, il fatto che le tracce prima della lacuna, con un'asta verticale che termina con un tratto orizzontale sporgente a sinistra non sono facilmente compatibili con uno iota, mentre il tratteggio concavo del primo tratto di eta assume talvolta un andamento comparabile (si veda, nello stesso rigo, npectdec). Solo un'ispezione dell'origina-

le, conservato al Museo del Cairo, potrebbe, forse, dirimere i dubbi. D'altra parte, di una fonte che prenda il nome da Hera, come implicava l'integrazione di Vogliano, non c'é traccia nella tradizione. Lobel, seguito da Pfeiffer", identificava le quattro fonti menzionate da Callimaco con i quattro φρέατα sacri che si trovavano, secondo Strabone (8, 371), nella città stessa, e che erano stati trovati dalle figlie di Danao”. È tutt'altro che inverosimile che Strabone, ola sua fonte, considerasse identici i pozzi e le quattro sorgenti menzionate da Callimaco. Mi sembra però indubbio, dalla descrizione stessa che di Amymone dà il Cireneo (con una sacra roccia intorno alla quale scorre la ninfa, vv. 4-6), che Callimaco si riferiva a sorgenti e non a pozzi; neanche l'epiteto usato per l’acqua di Automate nel fr. 65, εὐναές, è appropriato alla descrizione di un pozzo. Se le cose stanno così, non è affatto detto che le quattro fonti fossero collocate nella *° Cfr. FGrHist 305 F 4. Su Agias e Derkylos fondamentale A. C. Cassio, ‘Storiografia locale di Argo e dorico letterario: Agia, Dercillo ed il Pap. Soc. Ital. 1091”, Riv. filol. class 117, 1991, pp. 257-275. Il testo, da ultimo, anche in R. L. FowLER, Early Greek Mythography I, Oxford 2000, p. 33 (frr. 4a-b). ?! Cfr. E. Lopet, in E. Loser - E.P. Wecener - C.H. Roberts - H.I. Bett, The Oxyrhynchus Papyri XIX, London 1948, p. 20. 5% R. Preirrer, Callimachus 1. Fragmenta, p. 70, nota che "Paus. Il 37, 1 Amymonam ‘fluvium’ esse narrat”, ma in 37, 4 il Periegeta menziona anche la fonte. % Già Hes. fr. 128 M.-W., se ci si basa sulla testimonianza di Eustazio, attribuiva i pozzi alle Danaidi:

mi sembra probabile, però, che Eustazio stia qui arricchendo la notizia del frammento esiodeo, che menziona solo, genericamente, acqua, con il contesto più generale che leggeva in Strabone.

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città stessa. Numerosi testi antichi conoscono una fonte Amymone e sono concordi nel collocarla a Lerna, dove Poseidon l'avrebbe fatta sgorgare, in ricompensa dell'unione con la Danaide. Non c'è motivo di ritenere che Callimaco la collocasse altrove”.

Egualmente incerta é la collocazione di Physadeia (sul cui utilizzo rituale, a quanto pare, Callimaco dissente, ut solet, dal poeta di Colofone). Si è dato forse troppo poco peso alla sua menzione in Euforione fr. 23, 3 Powell = 25, 3 van Groningen, dove i cavalli di Amphiaraos, trascinandolo per l'ultima volta fuori dalla mischia, si scagliano καλὰ váoucav ἐπορνύμενοι Φυοάδειαν: si intende, in genere, che Euforione volesse indicare metonimicamente la città d'Argo”. È significativo che, ancora una volta, l'epiteto mal si adatterebbe a un pozzo. Non sarà peró forse un caso che, di nuovo nella zona di Lerna, presso il lago Alcionio, Pausania (2, 37, 5) conosca una "fonte detta di Amphiaraos”. Forse a questa proprio, e non genericamente ad Argo, volgevano il passo i cavalli dell'indovino nel testo di Euforione**? Non sappiamo, infine, dove si trovasse la fonte Hippe, ammesso che a questa proprio attingessero le Heresides. Sulla base della ubicazione, qui difesa, di Amymone e Physadeia al di fuori della città, collocherei in zona extra-urbana anche le altre due fonti”. Il rito delle Heresides non prevedeva il trasporto della statua alla fonte, e il suo bagno rituale, ma piuttosto il trasporto dei lavacri al tempio. Una situazione più adatta alla performance di un prosodio era invece probabilmente quella che accompagnava il bagno rituale della dea Hera nella sorgente Kanathos, grazie al quale, ogni anno, recuperava la sua verginità, verosimile preludio allo (o epilogo dello) hieros gamos della νύμφα ἀριοτόποοις᾽ 5, L'unico testo che menziona il rito è Paus. 2, 38, 2-3 secondo cui ^ Contro l'identificazione della tholos dell'agorà con l'Amymoneion, proposta da P. MARCHETTI - K. Kotokorsas, Le nymphéede l'agora d'Argos: fouille, étude architecturale et historique, Paris 1995, cfr. M. PIERART,

‘Les puits de Danaos et les fontaines d'Hadrien', in J. RENARD (ed.), Le Péloponnése. Archéologie et Histoire. Actes de la rencontre internationale de Lorient (12-15 mai 1998), Rennes 1999, pp. 243-268. Lo stesso autore é però convinto che i testi relativi alle quattro Danaidi (compreso il frammento degli Aitia) si riferiscano a

pozzi collocati nella città: cfr. M. Pitrart, ‘Omissions et malentendus dans la "Périégése": Danaos et ses filles à Argos’, in Les Panthéons des cités, Kernos Suppl. 8, 1998, pp. 165-193, qui pp. 167-173. Lo scolio ad Eur. Phoe. 185-188 che commenta un testo che pare collocare la fonte Amymone a Lerna (qualche incer-

tezza è legata a problemi di costituzione dei versi euripidei), sembra conoscere un'altra fonte Amymone nella città, anch'essa fatta sgorgare da Poseidon in cambio dell'amore della Danaide: si tratta ovviamente,

di un doppione della fonte di Lerna; ammesso che questa notizia non nasca da un fraintendimento, non si riferisce, in ogni caso, a un pozzo, ma a una χρήνη. Solo uno dei manoscritti usati da Schwartz (B. il

Parisinus gr. 2713), tra l'altro, inserisce trale parole ἦν δὲ xai ἑτέρα κρήνη εἀμφότεραι δὲ τοῦ " Apyouc eictv la specificazione ἐν Λέρνηι. Mi sembra possibile che la versione originale dello scolio non menzionasse due fonti Amymone, ma un'altra fonte oltre ad Amymone, e che il copista di B, o un suo predeces-

sore abbia frainteso la frase, distinguendo tra una fonte argiva e una a Lerna (dopo di che non avrebbe molto senso aggiungere che entrambe erano in territorio argivo). Che espressioni come τόπος " Agyouc

e simili possano riferirsi al territorio quanto alla città non é necessario documentarlo (basti qui menzionare lo scolio a Pind. Pae. 2, 70, dove il monte Melamphyllon è definito τόπος [... ἐν ᾿Αβδήροιο).

55 Cfr. M. PIBRART, art. cit. p. 170. *$ Cosi solo E. Meyer, s.v. ‘Physadeia’ (1), RE XX 1, 1941, col. 1034. Non sarà casuale che la fonte

dell'indovino che profetizza dall'oltretomba si trovi presso il lago che dell'oltretomba è l'ingresso. Non credo invece che la menzione di Physadeia in Euforione possa essere collegata con la notizia (schol. Pind. OL 5, 21b) secondo cui Amphiaraos sarebbe stato inghiottito dalla terra

a Kleonai: neanche Euforione

potrebbe avere collocato Physadeia, fonte, dopo tutto, argiva, nel territorio di Kleonai, molto più distan-

te, e solo molto più tardi entrato sotto il controllo di Argo. 57 Una delle due potrebbe essere la sorgente dell'Erasinos? 58 Cfr. E. FeHRLE, Die kultische Keuschheit, cit. (sopra, n. 38), Ρ. 203 € n.4.

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a Nauplia, oltre al santuario di Poseidon e ai porti, era καὶ πηγὴ Κάναϑος καλουμένη; ἐνταῦϑα τὴν “Hpav paciv ᾿Αργεῖοι κατὰ ἕτος λουμένην παρϑένον yiyvecdas. οὗτος μὲν δή σφισιν ἐκ τελετῆς, ἣν dyover τῆι Ἥραι, λόγος τῶν ἀπορρήτων ἐοτίν. Mancano nella città stessa di Nauplia sorgenti candidate all'identificazione con Kanathos, e tre fonti nelle vicinanze sono state, con diversa fortuna, proposte. La piü diffusa, almeno a partire dalla metà dell'Ottocento (quando é data per certa da E. Curtius), é quella con una fonte presso il convento di Hagia Moni, sulle pendici settentrionali di un colle, a circa due chilometri a est della città. La seconda privilegia invece una copiosa sorgente nel borgo di Aria (poco più a est, e più in basso, del convento) che ha fornito acqua alla città durante la dominazione turca e oltre’. La terza, che non sembra avere avuto sostenitori dalla fine del XIX secolo, è una sorgente nota con il nome di Γλυκειά sul lato destro della strada che da Nauplia porta ad Argo, pochissimo prima di giungere a Tirinto*. Diversi motivi rendono particolarmente suggestiva l'identificazione con Hagia Moni, la cui attraente ubicazione ha lasciato il segno nelle descri-

5 Cosi, ad esempio, A. FRICKENHAUS, Tiryns. Die Ergebnisse der Ausgrabungen des Instituts. Erster Band. I. Die Hera von Tiryns, Athen 1912, p. 23; cfr. anche [Tpaxr.'Apy. 'Exatp. 1916[1922), p. 83. L'identificazione sarebbe presupposta già in T. ABERCROMBY TRANT, Narrative of a Journey through Greece, in 1830. With Remarks upon the Actual State of the Naval and Military Power of the Ottoman Empire, London 1830, p. 144 s.: “the town

[i.e. Nauplia] is supplied with water by a stream issuing from the celebrated fountain Canathos, which however no longer possesses the virtues it was famed for in heathen time,” e da E. YEMENIZ, Voyage dans

le Royaumede Grèce, Paris 1854, 1975, p. 32 è dalla fonte di Areia egualmente riferirsi alla fonte Hagia Moni) sono menzionate

pp. 48 s., se, come affermal". A. XapA, Ἢ ""Ayía Mov" Aptíac, Athenai che l'acqua giungeva a Nauplia nel XIX secolo (ma i due passi potrebbero Γλυκειά, per cui cfr. più sotto, n. 60). Entrambe le possibilità (Areia e da A. MHAIAPAKH, lewypapia πολιτικὴ νέα καὶ ἀρχαία τοῦ νομοῦ "Ap-

γολίδος xai KopiwBiac, Athenai 1886, p. 77. Decisamente a favore di Areia è X. l'IrrEPoz, "Apy. AeAr. 50,

1995 (ma 2000), Xpovixa B' 1, p. 110, a seguito del rinvenimento ad Areia di una pietra di confine con la scritta ["O poc

/ ['AjvBeidoc, che l'editore vorrebbe collegare al culto di Hera Antheia.

* Cfr. F. A. Xora, op. cit. p. 30e n. 2, che rimanda a E.R. FRIEDRICHSTHAL, Reise in den südlichen Theilen von Neu-Griechenland. Beitráge zur Charakteristik dieses Landes. In Briefen von E.R. F, hrsg. von seinem Freunde L.P. mit einem botanischen Anhange, Leipzig 1838, p. 66, lettera 6 (datata 2 dicembre 1834), dove é descritta una visita ai "celebri bagni di Giunone", la fonte Kanathos degli antichi, raggiunti in un quarto d'ora di cavalcata da Pronia, sobborgo di Nauplia , in direzione di Argo, un centinaio di passi prima di arrivare alle mura di Tirinto. "Sie (sc. di Báder] liegen rechts von der Strasse, hinter einem Landhause, das

dem Helden Miaulis gehórt. Ihr Ursprung ist in dem nahen Fels, dann ziehen sie sich durch Sumpfland und altes Gemáuer fort, einer Leitung zu, die sie gegen Nauplia führt. Hier war es, wo die stolze Kónigin des Himmels sich von Jahr zu Jahr Jugend und unvergängliche Schónheit holte." Alla stessa fonte pensa

anche MT. AAMriPrNIAHZ, Ἢ Navrdia ἀπὸ τῶν ἀρχαιοτάτων χρόνων, Athenai 1898, p. 31 n.1

Γλυκιὰ 13 (dove il luogo Danao).

(Ἢ νῦν

παρὰ τὴν μεσημβρινὴν ὑπώρειαν τοῦ πρὸ τῆς Τίρυνϑος ὄρους τοῦ Προφήτου 'HAXta)e p. si identifica Kanathos con la fonte fatta scaturire da Poseidon per Amymone presso gli Apobathmoi, dove sarebbe sbarcato poi Nauplios arrivando dall'Eubea, lo stesso luogo in cui era sbarcato A p. 14 n. 1 menziona le altre fonti che portavano il nome di Amymone, ma non è chiaro da

dove Lamprynides abbia preso la storia di Kanathos

- Amymone e quella di Nauplios. A p. 45 menziona

la fonte presso il convento come erroneamente identificata da alcuni con Kanathos. Sembra peró assai improbabile che Pausania abbia descritto una fonte distante circa "cento passi" da

Tirinto come collocata a Nauplia, e non nella sezione da lui dedicata a Tirinto stessa. Non mi é chiaro se, come ritiene Chora, a questa stessa fonte si riferisca il testo, risalente al 1832, di L. Davesiés DE PONTÈS, sur l'Orient, Paris 1864, p. 36: “[en] entrant

dans la ville (sc. Nauplia] par la porte de la Marine,

j'aurais dû vous faire remarquer la fontaine Canathos, où Junon recouvrait tous les ans sa virginité. A voir la foule des mortelles qui l'assiégent encore tout le jour, on pourrait croire que cette source a conservé sa vertu".

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zioni del XIX secolo. La fonte sgorga attualmente da una fontana che riutilizza materiali medievali, sita fuori dal convento. Un'ampia vasca d'acqua, nei pressi, domina la vista verso il golfo di Nauplia. La potenza della sorgente è stata verosimilmente indebolita dall'utilizzo di acqua pompata da un pozzo all'interno del chiostro del convento. Curtius, nel 1859, menziona “die aus grossen Steinen bestehenden Grundmauem eines alten Heiligthums”', di cui, in seguito ad una rapida visita, non ho scorto tracce. Frickenhaus, nel 1912, corregge le precedenti descrizioni, menzionando, nelle vicinanze della fonte, resti di un'antica torre, ma non di un tempio*. Nessuno sembra invece aver menzionato la presenza, all'interno del chiostro, di almeno quattro capitelli compositi di grandi dimensioni, senz'altro pertinenti ad un medesimo edificio, e databili per la loro tipologia tra l'età traianea e quella adrianea (Figg. 1 e 2)", che suggeriscono la possibilità che, all’epoca di Pausania, presso la fonte si ergesse un edificio di una certa monumentalità, forse, come sosteneva Curtius, quello nel quale si svolgeva la τελετὴ in onore di Hera. Altro motivo che rende attraente l'identificazione è la continuità cultuale in epoca cristiana”. L'attuale chiesa conventuale fu fatta erigere come chiostro e convento maschile dal vescovo di Argo Leon, tra il 1144 e il 1148/9 a sostituzione di un chiostro e monastero femminili costruiti dal vescovo di Argo Johannes

II intorno al 11009.

Al-

l'esterno del chiostro è visibile un altro edificio cultuale più piccolo, verosimilmente più antico della chiesa principale“. Attualmente ospita una cappella dedicata alla “Madre di Dio”, ἡ ζωοδόχος πηγή, come mostra un recente mosaico (datato 1990), che rappresenta icasticamente l'epiclesi (Fig. 3). Non so a quando risalga nel luogo il culto della Vergine “fonte di vita”: non credo che sia estraneo ad esso la prossimità dell'antica fonte sacra, e non mi stupirei se fosse una risorgiva carsica dell’antico culto della vergine Hera presso la sorgente Kanathos. Dalle scarne e reticenti parole di Pausania non siamo in grado di capire se il bagno di Hera fosse collegato ad un simulacro (e a un tempio) situato presso la fonte stessa, o se la dea arrivasse a Kanathos da altrove. I santuari di Hera erano probabilmente numerosi nella parte orientale della piana argolica. È stato recentemente proposto di attribuire alla dea i resti di un tempio arcaico sulla collina di Prophitis Ilia, presso Hagios Adrianos, una dozzina di chilometri a nord-est di Nauplia?. Fino alla presa della città da parte degli Argivi nel V secolo, però, il santuario della dea di gran lunga più famoso nelle vicinanze di Kanathos doveva essere quello di Tirinto, distante appena cinque chilome-

SE. Curmius, Peloponnesos II, Gotha 1852, p. 391. $ A. FRICKENHAUS, in Tiryns, cit. (sopra, n. 59), p. 23 n. 2.1" A. Xara, Ἢ "'Ayía Μονὴ", cit. (sopra. n. 59), p. 31 non ritiene si possano più identificare le rovine menzionate da Curtius, e avanza l'ipotesi che i resti siano stati riutilizzati all'epoca della ristrutturazione del convento nel 1879. 9 Sono grato all'amico Lorenzo Campagna per avere avanzato un provvisorio tentativo di datazione

dei capitelli, sulla base di una foto da me fornitagli. Cfr. N. VERDpELIS - M. JAMESON - I. PAPACHRISTODOULOU, ᾿᾿Αρχαϊκαὶ éruypapai ...’, cit. (sopra, n. 19),

p. 201, A. Xora, Ἡ “‘Ayia Mov”, cit. (sopra, n. 59), p. 32.

65 A. Srruck, “Vier byzantinische Kirchen der Argolis. Plataniti, Chonika, Merbaka und Areia', Ath.

Mitt. 34, 1909, pp. 189-236, qui pp. 210-233. Per una diversa ricostruzione cfr. FA. ΧΩΡΑ, op. cit. pp. 63-67. $5 Cfr. A. STRUCK, art. cit. p. 211.

$ Cfr. J. M. HaLL, 'How Argive ...', cit. (sopra, n. 22), p. 597.

Argo e l'Argolide nei canti cultuali di Pindaro

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tri*. Dopo l'annessione, lo xoanon arcaico di Tirinto fu spostato a Prosymna*, dove sono attestati riti purificatorii e sacrifici "segreti" con l’acqua Eleutheria ma non si menziona un bagno della dea". Non é impossibile che, se prima era stato proprio lo xoanon tirinzio ad essere bagnato a Kanathos, anche dopo il trasferimento avesse luogo, ormai sotto il patrocinio argivo, una lunga processione annuale da Prosymna a Nauplia. Non si puó escludere peró che, forse fin dalle origini, il rito coinvolgesse un simulacro locale. Del testo pindarico rimane troppo poco per trarre conclusioni certe, ma tra tutti i possibili candidati è proprio il culto di Nauplia che presenta i requisiti più interessanti. Anche il fatto che al v. 16, incastonata tra due versi relativi alla città (äctet

v.15, πολι.

v. 17) ricorra la menzione di “marinai”, ναύταις, ben si adatta, anche nella prospettiva di un gioco etimologico, alla città di Nauplia". Non mi sembra che sia di ostacolo a questa identificazione la divergenza terminologica tra Pindaro, che parla di κρανίον (v. 10), e Pausania, che menziona una πηγή. Infatti, sebbene i termini κρήνη e πηγή possano essere utilizzati in senso oppositivo, ad indicare l'uno una costruzione più o meno monumentale, l'altro la semplice sorgente", è altrettanto vero che essi sono usati spesso in modo intercambiabile e pienamente sinonimico”. Se Pindaro compose effettivamente un canto processionale per la fonte di Kanathos, questo potrebbe essere collocato, come il prosodio per Elektryon e, forse, il peana bacchilideo per Asine, nell'ambito di una politica cultuale di Argo che, dopo l'annessione delle città della piana orientale, aveva tutto l'interesse di presentarsi come patrona degli antichi culti epicorii (che già precedentemente dovevano avere raggiunto un prestigio più che locale). Non sarà un caso che, nello stesso periodo, poco prima della metà del secolo, sia attestata la presenza, nell'ordinamento cittadino di Argo, di una fratria dei Naupliadai nella puA& degli Hyrnathioi"*. Un ultimo gruppo di poemi cultuali che si puó ragionevolmente attribuire a committenza argiva è costituito dai ditirambi 1 e 4 S.-M. In entrambi i testi, molto 9 N. Vrnpeus - M. JAMESON - 1. PAPACHRISTODOULOU, ᾿᾿Αρχαϊκαὶ ἐπιγραφαί᾿, cit. (sopra, n.19), p. 201, discutono il possibile collegamento di Tirinto col rito di Kanathos: cfr. A. FRICKENHAUS, in Tiryns, cit. (sopra, n. 59), p. 23 (la sua affermazione secondo cui non vi sarebbero sorgenti più vicine a Tirinto sem-

bra però contraddetta dalle menzioni della fonte l'Auxec&, per cui cfr. sopra, n. 60).

*? Paus. 2, 17, 5.

7 Paus. 2,17,1: καϑάρεια e ϑυοίαι ἀπόρρητοι. Diversi esegeti moderni identificano l' ὕδωρ ᾿Ελευϑέριον

non in una fonte, ma nel torrente Rheuma tou Kastrou a nord-est del santuario: cfr. D. Pausania. Guida della Grecia Il. La Corinzia e l'Argolide, Milano 1986, p. 267. Si dovrebbe fonte, se la si identifica con quella citata da Hesych. s.v. che riferisce come "ad Argo che erano liberati bevevano dalla Kynadra (Synageia Hesych., la correzione è basata 13, 408, che attinge all'atticista Pausania, e parla esplicitamente di una χρήνη), per

Musn - M. TORELLI, trattare però di una quelli degli schiavi su Eustazio ad Od. il fatto che il cane

Cerbero era scappato in questo luogo ed era stato liberato" e J. G. FRAzER, Pausanias's Description of Greece

IIl, London 1898, p. 180 accetta, credo giustamente, l'identificazione di Steffen con una sorgente a poco meno di un chilometro lungo la strada antica per Mykenai (discutibile mi sembra la posizione di F. Jacosy ad 305 F 4 FGrHist per il quale Kynadra “difficilmente ha qualcosa a che fare con lo ᾿Ελευϑέριον ὕδωρ del grande Heraion").

71 Trai culti con lavacro di Hera l'unico altro collocato presso il mare è quello dell'Heraion di Samo, dove però il bagno della statua aveva luogo in mare. 72 Cfr. R. E. WycHerix, Tiny and κρήνη᾽, Class. Rev. 51, 1937, p. 2 s.; R. TOLLE-KASTENBEIN, “Der

Begriff Krene', Archáol. Anz. 1985, pp. 451-470. ? Ampia documentazione in F. M. GiuLiano, Οὐδ᾽ ἀπὸ κρήνης πίνω: ancora poetica della brevitas?', Materiali e discussioni 38, 1997, pp. 153-173, in particolare pp. 156-164.

74 Cfr. CH. Krrrzas, ‘Aspects de la vie politique', cit. (sopra, n. 16), p. 236.

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frammentari, l'unica parte in qualche misura leggibile è quella mitica, che riguarda diversi episodi della storia di Perseo. Gli appigli più solidi sono forniti dal primo ditirambo, dove sembra possibile che un riferimento all'occasione rituale sia collocato tra due sezioni mitiche sull'eroe argivo, con numerosi elementi che sembrano trovare riscontro nella realtà cultuale e monumentale della città peloponnesiaca. Nel secondo caso, invece, gli elementi sono più tenui: ma, se si ammette la possibilità che il mito di Perseo costituisse un buon soggetto per un ditirambo argivo, le probabilità che un altro testo con le stesse caratteristiche fosse stato composto per la stessa committenza aumentano. Già nella editio princeps, nel 1919”, si era avanzata, in modo assai vago, l'ipotesi che nel I ditirambo potesse esserci allusione al celebre episodio argivo dello scontro tra Perseo e Dioniso. A favore di questa linea interpretativa, fatta propria anche da Zimmermann”

(ma non menzionata nel commento della van der Weiden), avevo

qualche anno fa addotto alcuni nuovi argomenti", ed é ora pienamente recepita nel recente commento di Salvatore La Vecchia”. Ciò nonostante, questo testo non è entrato nel copioso dossier che gli storici della religione hanno dedicato all'analisi di questo complesso mito argivo”. Sarà quindi forse utile riesaminare brevemente gli elementi che possono portare ad una tale interpretazione del testo. Del ditirambo pindarico restano, verosimilmente, parti di 10 versi del penultimo epodo, la porzione destra di quasi tutti i versi dell'ultima strofe, e poche lettere dell’ultima antistrofe, mentre è del tutto perduto l'ultimo epodo. I resti del penultimo epodo contengono, di certo, la menzione di un padre; di una o, meno probabilmente, piü Gorgoni; dei Ciclopi; della "grande Argo" (forse da intendere come riferito alla regione, invece che alla città); e (della casa?) di Abas. Tutto questo facilmente rimanda alle im-

prese di Perseo, e forse, più in particolare, alla costruzione di Mykenai da parte dei Ciclopi. Al v. 2 λεγόντων potrebbe suggerire l'inserzione, da parte del poeta di una di quelle varianti da cui amava prendere le distanze: qui, piuttosto che al dith. 4 potrà riferirsi il fr. 284 S.-M., con la storia per cui Danae sarebbe stata violata da Proitos (e da questi, piuttosto che dall'aurea pioggia di Zeus, sarebbe quindi nato Perseo). In ogni caso è probabile che Pindaro la citasse, qui o altrove, solo per prenderne le distanze. Sui Ciclopi ci fornisce una notizia inedita lo scolio al v. 10: un decisivo progresso per la sua lettura, offerto nell'edizione della van der Weiden, non è stato recepito nella recente edizione di La Vecchia, (che è tornato alla lettura di Grenfell). Lo scolio è da leggere senz'altro ót' ἀπεξενίοϑηςαν

οἱ Κύκλωπες

διονυοιακόν. Il riferimento ad un esilio

dei Ciclopi rimane per noi, purtroppo, enigmatico: per Pherecydes 3 F 12 FGrHist® Perseo li porta tornando da Serifo, insieme alla testa di Medusa. Secondo altre fonti li aveva portati in Argolide lo zio Proitos dalla Licia, e per lui avevano costruito Tirinto"'. 75 Cfr. B.P. GrENFELL - A.S. Hunt, The Oxyrhynchus Papyri XIII, London 1919, p. 39.

76 B. ZIMMERMANN, Dithyrambos. Geschichte einer Gattung, Góttingen 1992, p. 42. 77 G.B. D'ALessio, rec. a M.J.H. van DER WEIDEN, The Dithyrambs of Pindar, Amsterdam 1991, in Journ. Egypt. Arch. 81, 1995, pp. 270-273, qui p. 271.

78 S. La VeCCHIA, Pindaro. I ditirambi, Roma-Pisa 2000, pp. 93-105. P Cfr, per citare solo i più importanti tra i lavori recenti, M. Piérart, "Les honneurs de Persée”, cit.

(sopra, n. 20); G. Casapio, Storia del culto di Dioniso in Argolide, Roma 1994; G. Arricom, "Perseo contro Dioniso”, cit. (sopra, n.20).

9 Cfr. anche F 12 in RL. FowLER, Early Greek Mythography 1, cit. (sopra, n. 50), p. 282.

81 Cfr. Ch. Ducas, “Observations sur la légende de Persée’, Rev. ét. gr. 69, 1956, pp. 1-15, qui pp. 6-9.

Argo e l'Argolide nei canti cultuali di Pindaro

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Non è chiaro se i Ciclopi fossero esuli da Argo, da Tirinto, dalla Licia, o da qualche altro posto. Nel panorama monumentale dell'Argolide erano senz'altro connessi, oltre che alle varie mura ciclopiche della regione, anche specificamente a Medusa, se alla loro opera Pausania (2, 20, 7) attribuisce una testa di Medusa in pietra presso il santuario del

Cefiso nella città". Altrettanto poco chiaro è il motivo per cui lo scolio definisca questo episodio διονυοιακόν. Se nel seguito si descriveva lo scontro tra i due figli di Zeus si potrà forse supporre un loro ruolo al fianco di Perseo? senz'altro vero che con il v. 11, al principio dell'ultima triade, ci troviamo davvero in ambiente dionisiaco (βρομιάδι Sotv&), non più nella narrazione mitica, ma nel contesto dell'occasione del canto. Dopo la preghiera alle Muse, riprende il racconto: λέγοντι δὲ βροτοί (v. 15). Due elementi vanno sottolineati: il soggetto del verbo, e la forza avversativa della particella. L'autorità della narrazione non è attribuita alle Muse, ma ai "mortali", e il poeta, implicitamente, ne prende le distanze. Questo suggerisce che la storia introdotta poteva presentare problemi di accettabilità. Non c'è dubbio che la narrazione si collegasse con quella dell'epodo precedente: il pronome anaforico viv al v. 16 doveva trovare li il suo riferimento, e la menzione (delle figlie) di Phorkos

riporta all'impresa di Perseo (Pyth. 12, 13). Detto questo, troppo poco rimane dei versi seguenti per aggiungere molto di più. I motivi per ritenere che la storia narrata fosse quella dello scontro con Dioniso si riducono ai seguenti: a) la necessità di stabilire un legame tra il contesto dionisiaco dell'esecuzione del canto e la storia cantata; b) il modo circospetto in cui Pindaro sembra introdurre la nuova sezione mitica; c) la possibilità che con cúyyovov πατέρων al v. 17 si indichi Dioniso, consanguineo di Perseo, non solo in quanto figlio dello stesso padre, ma anche perché appartenente ad un altro ramo della discendenza di lo”; d) la possibilità che i due termini&cn Jactuc (v.31) e τελεταῖς

(v. 32) possano ben inquadrarsi nella sequenza di eventi che, nelle narrazioni di Pausania e di Nonno, portano alla riconciliazione tra Perseo e Dioniso e all'istituzione di τελεταί in onore di quest’ultimo. Molto più incerto, se non improbabile, mi sembra che il termine ϑάνατον al v. 36 potesse riferirsi alla storia lernea della morte di Dioniso”. Non si può invece utilizzare al fine di questa ricostruzione l'occorrenza del termine éripayoc in uno scolio al margine del v. 23: l'ispezione diretta del papiro mostra che la lettura unanime degli editori, în * ἐπίμαχον, è senz'altro sbagliata, e va sostituita col meno evocativo érecóuevov. Nonostante la scarsità degli elementi, l'ipotesi che l'ultima coppia strofe / antistrofe 8 Per un tentativo di collocazione topografica cfr. P.MarcHerti, ‘Recherches sur les mythes et le to,

phie d'Argos. II-III', Bull. corr. hell. 118, 1994, pp. 131-160, qui pp. 143-146.

Cfr. Ol. 1, 28 βροτῶν φάτις, che commenta [a versione, rifiutata, della storia di Pelope. In questo contesto, e soprattutto dopo l'invocazione alle Muse, la citazione di questa fonte non puó indicare "Pindar's concern for truth and credibility", come dubbiosamente propone M. J. H. van DER WEIDEN, The Dithyrambs, cit. (sopra, n. 77) , p. 49.

* Cfr G. B. D'ALessio, rec. a M. J. H. νὰν DER WEIDEN, cit. (sopra, n. 77), p. 271; S. La VECCHIA, I ditirambi, cit. (sopra, n. 78), p. 104.

55 Cfr. G. B. D'Alessio e S. LA VECCHIA, locc. citt. 36 Cfr. B. ZIMMERMANN, Dithyrambos, cit. (sopra, n. 76), p. 42; G.B. D'Alessio, loc. cit.; S. La VECCHIA, op. cit. p. 33.

57 Cfr. B. ZIMMERMANN, op. cit. p. 42. Una eventuale menzione della morte di Dioniso da parte di Pindaro avrebbe quasi sicuramente lasciato tracce nella tradizione indiretta.

% Cfr. G. B. D'Ausssio, loc. cit.; S. La Vecchia, 1 ditirambi, cit. (sopra, n. 78), p. 105.

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narrasse dello scontro tra i due figli di Zeus, e dell'aition del culto argivo del dio, cosi intimamente connesso nella topografia urbana alla storia del combattimento, mi sembra abbia un buon grado di probabilità. Che tutto questo avvenisse nel contesto di un carme commissionato da Argo mi sembra plausibile, soprattutto perché nei vv. 11-14, che al momento della performance si riferiscono, non è visibile alcun segno di sposta mento nella focalizzazione rispetto all'ambientazione argiva dei versi precedenti e successivi: la committenza argiva sarebbe poi sicura se già i vv. 8-10, che menzionano la casa di Abas, e, forse, dei canti di celebrazione, descrivevano l'antecedente mitico della festa in questione. Molto meno sicuro mi sembra che il contesto rituale dovesse essere quello degli Agrania, per il solo fatto che questi potevano essere l'unica festa argiva in onore di Dioniso a noi nota”. Mentre nel caso dei poemi argivi (o presunti tali) per Elektryon e figli, per Herakles, e, se la nostra ricostruzione coglie nel segno, per la Hera di Kanathos si puó parlare di appropriazione dei culti di altre poleis da parte di Argo, è molto più dubbio che le cose siano andate cosi anche con Perseo. L'eroe, erede di Akrisios, che nel mito doveva regnare su Argo, scambiò il dominio con Megapenthes, prendendo per sé il territorio a nord ed est della piana”, e a lui si attribuivano, se non le fondazioni, le fortificazioni di Mykenai e Midea. Il suo culto era senz'altro ben radicato a Mykenai"', ma la sua presenza nei monumenti di Argo doveva almeno predatare la distruzione del talamo di bronzo di Danae da parte del tiranno Perilaos (Paus. 2, 23, 7), se il personaggio era effettivamente storico e da datare nel VI secolo”. È, quindi, ben possibile che il ditirambo pindarico (vada o meno esso collocato in un periodo successivo alla presa di Mykenai) rifletta una realtà cultuale più antica dell'eventuale tentativo degli Argivi di fare proprio l'eroe della città assoggettata. Non solo in Argolide era celebre l’eroe figlio di Danae: lo stesso Pausania, dopo aver menzionato l'heroon sito lungo la strada tra Mykenai ed Argo, notava che “gli onori maggiori li riceve a Serifo e fra gli Ateniesi c'è un recinto sacro a Perseo e un altare a Ditti e Climene, definiti salvatori di Perseo” (2, 18, 1)”. E proprio nella ceramica attica, già dal tardo VI sec. abbiamo le prime attestazioni iconografiche dello scontro tra Perseo e Dioniso”. Tutto questo deve invitare a trattare con molta cautela la possibile attribuzione a committenza argiva di un altro ditirambo pindarico, il quarto, proveniente da un frammento papiraceo vergato dalla stessa mano e nello stesso formato del precedente (POxy 2445 fr. 1, dith. 4 nell'edizione di S.-M.). Nelle parti superstiti si tratta-

% Sugli Agrania cfr. G. Casapio, Storia, cit. (sopra, p. 79), pp. 83-116, con bibliografia precedente. Un agone connesso a questo rito é attestato in Beozia, non ad Argo. Perplessità sull'originale connessione di

Dioniso con gli Agr(i)ania argivi in G.A. PrivrreRA, ‘I rapporti di Dioniso con Posidone in età micenea”.

Stud. Urb. 39, 1965, pp. 180-238, qui pp. 219-235.

% Per un tentativo di spiegare la divisione tra Proitos ed Akrisios e lo scambio successivo cfr. J. M. HALL, Ethnic Identity, cit. (sopra, n. 29), pp. 93-99. Vd. anche M. Donan in questi Atti, p. 311 s. ?! Cfr. M. H. JAMESON, "Perseus, the Hero of Mykenai', in R. HAGG - G. C. Norpquisr (edd.), Celebrations

of Death and Divinity in the Bronze Age Argolid. Proceedings of the Sixth International Symposium at the Swedish Institute at Athens ( 11-13 June 1988), Stockholm 1990, pp. 213-223.

°° Cfr. G. ARRIGONI, ‘Perseo contro Dioniso”, cit. (sopra, n. 20), pp. 56-59, con riferimento anche alla

collocazione argiva dell'eroe già in Isth. 5, 32, datata agli anni ‘70. % Traduco letteralmente il testo tràdito, dove mi sembra tuttavia necessario supporre una lacuna.

* Una lista aggiornata, e bibliografia precedente, in G. ARRIGONI, art. cit. p. 13 n. 22 e p. 58.

Argo e l'Argolide nei canti cultuali di Pindaro

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va dell'episodio di Serifo, ma il v. 9 della prima colonna, se coglie nel segno l'integrazione di Lobel, γ]ύαλα Mt- / [Séac, testimonierebbe ancora la nota relazione dell'eroe con la città della zona orientale della piana". La menzione della Glaukopis "poliochos" a col. 2, 13 (v. 38) si adatta, oltre che ad Argo”,

a numerose città, non ultima, natural-

mente, Atene. L'unico motivo per pensare che il poema fosse stato scritto per gli Argivi è, in definitiva, soprattutto il precedente del primo ditirambo. In conclusione, rovistando tra i papiri pindarici è possibile recuperare un discreto gruppetto di frammenti che potrebbero testimoniare l'attività del poeta nel comporre canti per le cerimonie cultuali della città e della regione. Non tutti sono di sicura attribuzione, ma, in alcuni casi, è difficile pensare ad una alternativa migliore. A giudicare dagli eroi e dalle divinità cui si rivolgeva il rito, sembra che la maggior parte di questi canti possa facilmente inserirsi nel contesto della riorganizzazione della regione, e della polis, a seguito delle annessioni degli importanti centri della piana a oriente dell’inaco. Allo stesso contesto potrebbero risalire la divisione dei χωρία τὰ ἐν “Ypvadiar, e la creazione delle nuove fratrie nella φυλά omonima, nel secondo quarto del V secolo. Anche il peana per Asine di Bacchilide potrebbe collocarsi in questa stessa serie di iniziative. E non troppo lontana da questi anni viene usualmente datata la composizione

dell'unico canto argivo tra gli Epinici pindarici, la decima Nemea, i cui committenti, come abbiamo visto, potrebbero rappresentare un importante trait d’union tra Argo e Tirinto. Tutto questo non si colloca necessariamente negli ultimi anni della vita del poeta, che giunse fino agli anni '40, ma certo suggerisce un intensificarsi dei suoi rapporti con la città di Danao a partire dagli anni '60. Inoltre, se il quadro qui delineato è corretto, ne risulta ben visibile il ruolo centrale che feste e canti cultuali potevano avere nella costruzione ideologica di una nuova identità collettiva, e quanto a ciò potesse contribuire l'opera di un poeta di fama panellenica.

?5 I suggerimenti di M.J.H. van DER WEIDEN, The Dithyrambs, cit. (sopra, n. 77), p. 156 e S. LA VECCHIA, I ditirambi, cit. (sopra, n. 78), p. 231 che pensano ad una menzione di Minyas o dei Minyai (ad indicare la Libia) mi sembrano di gran lunga meno probabili.

% La dea era detta πολιάς nel suo tempio sulla Larissa: cfr. SEG 11, 314 (VI sec.).

LA CITTÀ E I SUOI MITI NELLA LIRICA CORALE: L'ARGOLIDE E BACCHILIDE PaoLA

ANGELI

BERNARDINI!

Nel mondo antico le città sono tra i maggiori centri propulsori di miti perché nel mito ‘cittadino’ la comunità cerca le genealogie dei suoi primi re, la fondazione dei suoi riti, la delimitazione degli spazi prediletti in cui essa si riconosce. In questi luoghi la gente della città si riunisce a pregare, partecipa alle feste, fa politica; in poche parole in

essi consuma la sua vita pubblica e sociale e in essi trova quelle che un tempo si chiamavano vestigia, cioè i segni, le tracce attraverso le quali ricostruisce il passato. Nella tradizione mitica la città cerca le ragioni della sua stessa fondazione, spesso legata ad eventi miracolosi e all'intervento di qualche essere superiore (dio od eroe che si unisce a una donna mortale, che lotta con un essere mostruoso, che istituisce un uso ecc.), e poi quelle della sua esistenza, per lo più connessa con il superamento di gravi prove che ne hanno consentito la sopravvivenza (guerra, carestia, pestilenza ecc.). Sia nel primo che nel secondo caso i fatti prodigiosi vengono collegati a luoghi che sono considerati di culto e che in un certo senso garantiscono la veridicità di quanto il mito racconta. Una fonte, una grotta, un altare, una tomba possono costituire il fulcro attorno al quale nasce e si sviluppa una città e ad esso poi possono aggiungersi altri nuclei limitrofi, con una storia parallela o autonoma, in un progressivo allargamento dello spazio civico”. La mappa della città che ne deriva viene contrassegnata da luoghi che evocano episodi straordinari e che portano il segno - talvolta di evidenza palmare, tal'altra di identificazione meno immediata — di eventi accaduti in un'altra epoca, di cui i cittadini e anche gli stranieri serbano memoria. Essi diventano, cosi, documenti e al

! Abbreviazioni: BARRETT: W. S. BARRETT, ‘Bacchylides, Asine and Apollo Pythaieus', Hermes 82, 1954, pp. 421-444. BERNARDINI: P. ANGELI BERNARDINI, "La lode di Argeo di Ceo e del padre Pantide nell'Epinicio 1 di Bacchilide', in Bakchylides. 100 Jahre nach seiner Wiederentdeckung, herausg. von A. BAcoRpo und B. ZIMMERMANN, München 2000, pp. 131-146. Casapio: G. Casapio, Storia del culto di Dioniso in Argolide, Roma 1994. Hat: J. M. Hai, Ethnic Identity in Greek Antiquity, Cambridge 1997. Jess: R. C. Jess, Bacchylides. The Poems and Fragments, Cambridge 1905 (= Hildesheim 1967). MAEHLER 1982: H. MAEHLER, Die Lieder des

Bakchylides. Erster Teil. Die Siegeslieder 11. Kommentar, Leiden 1982. MAEHLER 1997: H. MAEHLER, Die Lieder des Bakchylides. Zweiter Teil. Die Dithyramben und Fragmente. Text, Übersetzung und Kommentar, Leiden-New York-Kóln 1997. Must: - TorezLt: D. Musn - M. ToreL11, Pausania. Guida della Grecia Il, Milano 1986. Polydipsion 1992: Polydipsion Argos. Argos de la fin des palais mycéniens à la constitution de l'État classique, Études rassemblées par M. PiéRART, Athènes-Fribourg 1992 (Bull. corr. hell. Suppl. 22). Presenza 2000: Presenza e funzione della città di Tebe nella cultura greca. Atti del Convegno Internazionale, a cura di P. ANcEu BERNARDINI, Pisa-Roma 2000. SEVERYNS: A. Severyns, Bacchylide. Essai biographique, Liège 1933. TOMLINSON: R. A. ToMLINSON, Argos and the Argolid. From the End of the Bronze Age to the Roman Occupation, London 1972.

2 E. pe PouicNac nel suo libro, La naissance de la cité grecque, Paris 1984, pp. 41-92 ha richiamato l'attenzione sull'organizzazione del territorio cittadino grazie ai santuari extraurbani e liminali e ha precisato che questo modello trova una conferma nel territorio di Argo. Dello stesso autore vd. 'Argos entre centre et périphérie: l'espace cultuel de la cité grecque”, Arch. Sc. Soc. d. Rel. 59, 1985, pp. 55-63.

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tempo stesso incentivo per l'immaginazione collettiva e stimolo per la ricerca delle origini. É il passato che vive nel monumento, al quale gli antichi guardavano come irrinunciabile patrimonio di memoria. Poteva il poeta corale arcaico, che era portavoce della città e delle sue tradizioni eroiche, restare insensibile a questa combinazione di topografia e racconto? Poteva rievocare e celebrare le glorie di epoche lontane senza associarle ai luoghi che egli stesso conosceva per averli visti o per averne sentito parlare? Luoghi, dunque, non leggendari e favolosi (ad es. il paese dei Cimmerii o la regione dei Lestrigoni nell'epica omerica), ma località reali e ben individuabili, teatro degli eventi contemporanei e reliquia di quelli remoti. É stato opportunamente osservato che la maggior parte delle leggende eroiche tradizionali si fonda sulla topologia delle città e delle regioni che erano state fiorenti già nell'età micenea’. Potremmo aggiungere che queste leggende eroiche tradizionali collegate nella memoria cittadina con i vari luoghi, anch'esse fortemente attive nel racconto epico, trovano un'ulteriore legittimazione e poi un efficace veicolo di trasmissione proprio nella lirica corale. Non si deve dimenticare, infatti, che la lirica corale, per la sua natura celebrativa e la sua destinazione pubblica, quasi istituzionalmente si caratterizzava per lo stretto legame con le diverse comunità cittadine. Come è noto, i poeti, per lo più itineranti, componevano su committenza delle

varie città del mondo greco. Essi stessi, girando di corte in corte, invitati da re, tiranni, ricchi aristocratici, oppure ospiti di santuari e di grandi centri di culto, dovevano ogni volta tener conto non solo della realtà politica e sociale del nuovo posto e delle variabili esigenze dell'uditorio, ma anche della diversa configurazione geografica del luogo. È fuor di dubbio che il poeta era bene informato sulle versioni epicoriche di miti di ampia diffusione e sulle varianti accolte nella mitologia cittadina, nonché su leggende strettamente locali. Né poteva sfuggirgli il potere evocativo dei diversi ‘Ìmonumenti’ del paese. Se è vero che nella produzione dei poeti corali - e ben lo si può vedere in quella di Pindaro e di Bacchilide - il rapporto con la città d'origine, rispettivamente Tebe e Ceo, è privilegiato proprio sotto l'aspetto della ricchezza e della peculiarità del patrimonio mitico trattato e sotto quello della conoscenza dei luoghi, è anche vero che il rapporto con le altre città committenti obbliga il poeta ad una stretta integrazione con il nuovo uditorio e il nuovo territorio. Un'interazione che nasce dal comune desiderio di trovare nelle glorie del passato e del presente motivi di vanto e di esaltazione. La differenza tra i componimenti destinati dal poeta alla propria patria e quelli destinati ad altri committenti sembra consistere fondamentalmente nel grado della sua simbiosi con un uditorio composto nell’un caso da concittadini e nell’ altro da cittadini di poleis diverse. A questa pluralità di poleis, ogni volta da elogiare e celebrare in componimenti poetici di vario tipo, si contrappone nella tragedia la centralità di Atene. La tragedia nasce ad Atene, celebra Atene e prende in considerazione le altre città nella misura in cui si contrappongono o si accordano con Atene.

La tragedia non esclude la rappresentazione delle altre città, ma il punto di vista è

? E. PeLtuzeR, ‘Il mito e le città’, in La civiltà dei Greci. Forme, luoghi, contesti, a cura di M.Verra, Roma

2001, p. 107.

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sempre quello ateniese perché, come ha scritto P. Vidal-Naquet, "ogni tragedia ateniese è una riflessione sullo straniero, l'Altro, il doppio" e ancora "le città dei tragici non si accontentano di offrire una storia mitica del passato; esse mettono in scena una gradazione nei modi possibili di comportamento civico"*. Una gradazione che naturalmente vede Atene al primo posto e le altre città in ruoli secondari, complementari o addirittura opposti, ma che non va schematizzata in maniera troppo rigida e perentoria, secondo quanto hanno indicato, ad esempio, gli studi più recenti sulla configurazione di Tebe in tragedia’. Si tratta, comunque, di un procedimento estraneo alla lirica corale almeno sotto due aspetti: il primo perché in quest'ultima la lode non investe sempre la medesima città, cioè l'Atene della tragedia, ma tutte le città committenti; il secondo perché la celebrazione del luogo nasce quasi esclusivamente dalla lode esplicita e diretta del medesimo, non dal confronto o dalla denigrazione di altri luoghi a quello contrapposto come in tragedia. Interroghiamoci, in particolare, sul percorso seguito dal poeta corale per soddisfare le aspettative del committente e della città. Pur disponendo di un repertorio comune di motivi elogiativi nei confronti della patria del vincitore*, egli seguiva di volta in volta strategie celebrative diverse. Come è ormai risaputo, negli ultimi decenni l’attenzione degli studiosi si è soffermata più sui primi che sulle seconde. Mala specifica configurazione della polis cantata è importante e risalta solo attraverso un tipo di indagine più complesso. La prova che il poeta adattava il suo canto alle diverse situazioni e, conseguentemente, alle varie località, sia sotto il profilo delle tradizioni mitiche, sia sotto quello geografico/ topografico, si trova in quei brani in cui egli passa da un elogio generico, valevole per ogni polis, a un elogio personalizzato che investe solo una determinata città con il suo passato e il suo presente. I casi di Tebe, Egina, Atene, Argo, Siracusa, Cirene, Agrigento per Pindaro; Ceo, Siracusa, Egina, Argo, Fliunte, Atene per Bacchilide sono indicativi. Se poi si considera che talvolta il poeta era chiamato a celebrare la stessa città in più di un'occasione, in qualche caso due o tre volte o molte di più, come Pindaro con Tebe e Bacchilide con Ceo, allora risulta con evidenza ancora più palmare che egli attingeva ai καλὰ ἐπιχώρια che quella città gli offriva e che, come si è visto, avevano lasciato le loro tracce e la loro memoria nella topografia locale. La lode di tipo formulare era prevista e, per così dire, faceva parte del programma. La lode più personalizzata e profonda doveva emergere da tutto l'insieme del carme e, forse allora, sicuramente oggi, è più difficile da cogliere. Di molti vincitori abbiamo, infatti, scarse notizie e di molte città, nel migliore dei casi, abbiamo solo rovine. Si dirà che essendo Tebe e Ceo le città natali dei poeti cui viene affidato il compito della celebrazione, è più agevole ricostruire l'influenza di quei luoghi e di quelle tradizioni mitiche nei loro componimenti, mentre il rapporto con le altre città risulta necessariamente più evanescente e problematico. Eppure non si può negare che anche Egina, *P. VipaL-NaQUET, “Notes sur la place et le statut des étrangers dans la tragédie athénienne', in L'étranger dans le monde grec: actes du deuxième colloque sur l'étranger. Études réunis par R. Lonis, Nancy 1992, pp. 311 e 301-304.

5 Cfr. i contributi di P. ANGEL! BERNARDINI, G. Cerri, L. Pepe in Presenza 2000.

° Per un'analisi del materiale cfr. S. Sam - M.Tr£DE-BouLmeR, 'L'éloge de la cité du vainqueur dans les épinicies de Pindare', Ktema 9, 1984, pp. 161-163.

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Cirene, Siracusa, Agrigento, Corinto, Argo, per parlare solo delle città più presenti nella lirica corale, si connotano con una fisionomia dai contorni precisi e riconoscibili ". Dal patrimonio di saghe, dall'insieme dei monumenti e dalle caratteristiche del paesaggio il poeta deriva, o per conoscenza diretta o per informazioni ricevute, quel complesso di dati che egli travasa nei suoi versi e sui quali costruisce la sua strategia encomiastica. Gli esempi pindarici che si possono portare sono molti, dall'Olimpica 13 per Corinto all'Olimpica 5 per Camarina, alle Pitiche 4 e 5 per Cirene, ma al momento ci interessa spostare l'attenzione su Bacchilide e sul suo rapporto con l'Argolide. A differenza di Pindaro che compose per il vincitore argivo Teeo la Nemea 10, Bacchilide, almeno per quanto ne sappiamo, non scrisse direttamente per atleti argivi, ma dedicó l'Epinicio 9 ad Automede di Fliunte, una città vicinissima ad Argo e sotto la

sua sfera di interesse; si addentrò nelle più locali tradizioni mitiche argive nell'Epinicio 11 per Alessidamo di Metaponto; compose per Asine, forse su commissione degli Argivi, come cercheremo di dimostrare, il Peana 4; affrontò un mito propriamente argivo nel Ditirambo 5 per Atene. Va poi considerato un elemento biografico che sembra essere alla base di tutto questo interesse bacchilideo per l'Argolide, cioè il suo esilio nel Peloponneso, durante il quale, se dobbiamo credere alla testimonianza di Plutarco, egli compose, alla stregua degli altri personaggi menzionati per il loro esilio, i suoi componimenti “più belli e più apprezzati”. La notizia di Plutarco è ormai unanimemente accettata e la datazione dell'esilio viene fissata intorno al 458 a. C.°. Non si conoscono i motivi dell’ostracismo di Bacchilide da Ceo, né la durata del suo soggiorno nel Peloponneso. Poiché gli ultimi due epinici che si possono datare con sicurezza sono, tuttavia, il 6 e il 7 per la vittoria olimpica di Lacone di Ceo del 452 a.C. nella categoria paides'”, si deve pensare che il poeta fosse stato richiamato in patria dall'esilio prima di tale data. Proprio per la scarsità delle notizie biografiche relative a Bacchilide, forte è stata, comunque, la tentazione di cercare nei carmi, probabilmente composti nel Peloponneso (Epinicio 9; Peana 4 e anche Ditirambo 6 per Sparta), l'eco della sua vicenda personale". Cercando di evitare il rischio di un biografismo così malsicuro, analizzeremo, piut7 Negano decisamente questo aspetto della città in Pindaro S. S«ip - M.TREDE-BOULMER, art. cit. p. 163.

* Plut. De exil. 14, p. 605C.

? Per i problemi connessi con tale datazione si rinvia a BERNARDINI, pp. 132-134. 19 Altre due vittorie di Lacon a Nerea, passate sotto silenzio nei due epinici, sono menzionate nell'iscrizione di lulis alle 11. 27, 28 (cfr. BERNARDINI, p. 133 n.13). L'analisi dell'iscrizione condotta da D. Scuwipr, ‘An Unusual Victory List from Keos: IG XII, 5, 608 and the Dating of Bakchylides', Journ. Hell. Stud. 119,

1999, pp. 67-85, tende a dimostrare che non si tratta di una lista di vittorie ordinate cronologicamente, ma piuttosto di una lista onorifica di vittorie in cui la sequenza obbedisce a un criterio di maggior o minor importanza del successo. L'epigrafe perderebbe cosi molto del suo rilievo per ricostruire la cronologia dei componimenti bacchilidei. Per quanto riguarda la datazione dell'esilio del poeta la ricerca di Schmidt non aggiunge nulla di nuovo. Offre, invece, motivi di riflessione per la datazione dei singoli carmi. Le vittorie nemee di Lacon come ragazzo, ad esempio, possono essere state conseguite subito dopo la vittoria olimpica del 452 a.C. (cosi MAEwHLER 1982, pp. 126-127), ma, come ritiene ScHMIDT, p. 83, possono anche prece-

dere la vittoria olimpica. Quanto alla datazione dei due epinici per Argeo, se è vero che l'iscrizione di lulis non offre argomenti decisivi, è anche vero che restano plausibili le argomentazioni di altra natura in

favore di una sua vittoria istmica nel pugilato o nella lotta dei fanciulli negli anni intorno al 460 ( cfr. BERNARDINI, pp. 132-134).

" Basti pensare alle pagine dedicate all'esilio del poeta da SEVERYNS, p. 137 ss.

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tosto, la maniera nella quale il poeta parla delle tradizioni mitiche e dei luoghi ad esse collegati a Fliunte, a Nemea, ad Argo, ad Asine, a Tirinto, a Lusoi; tutti centri di rilievo nella regione dell'Argolide e in quelle strettamente limitrofe. Tenteremo anche di verificare se la divisione dello spazio geografico tra queste località e la ripartizione delle sfere di interesse e di potere ( sorgenti, fiumi, santuari, feste, agoni) nello scorcio tra la fine del VI e l'inizio del V sec. a. C. trovino nelle sezioni mitiche che Bacchilide presenta al suo uditorio una qualche conferma. Una breve premessa di ordine storico, che consenta di definire la posizione di Argo nei confronti delle altre città del Peloponneso e di Atene negli anni più probabili per l'esilio di Bacchilide, agevolerà il nostro percorso. Trail 462 e il 451, secondo la ricostruzione più accreditata", Argo coglie i frutti della guerra intrapresa con successo, nel periodo successivo alle Guerre Persiane, contro Micene e Tirinto e, dopo la sottomissione delle due città rivali (la distruzione di Tirinto è datata intorno al 465, quella di Micene intorno al 468/467), cui si aggiunge quella di Midea, conosce un periodo di stabilità interna e di prosperità. La polis argiva incorpora gli abitanti di questi centri o tramite un vero e proprio sinecismo o attraverso una più semplice annessione territoriale? e sostiene la coalizione e l'alleanza contro Sparta di tutte le città arcadi, eccetto Mantinea". Al 461 risale la prima alleanza tra Argo e Atene^; un'alleanza di carattere prevalentemente militare, ma che ha anche una motivazione ideologica perché, come sottolinea Musti'*, Argo aveva ormai optato per un regime democratico. La vittoria degli alleati contro gli Spartani a Oinoe" fu uno dei frutti dell'accordo'*. Nel 451 Argo si accinge, infine, a stipulare anche con Sparta una pace di trenta anni", Tornando ai quattro componimenti bacchilidei in questione, é necessario precisare che non conosciamo la loro effettiva datazione ma, come vedremo, non é da escludere

che almeno tre di essi risalgano agli anni dopo il 461 a. C. Complessivamente si puó sostenere che in ogni caso con questi carmi Bacchilide contribuisce a far luce sulla cultura argiva del V sec. a. C. e sui rapporti tra i vari centri urbani dell'Argolide, offrendo un contributo prezioso, quasi sempre trascurato dagli studiosi? , per la ricostruzione delle tradizioni mitiche peloponnesiache settentrionali. Si tratta di un complesso mitico molto ricco che nel periodo arcaico e classico ha goduV Cfr. Tomunson, pp. 102-114; C. Krrrzas, ‘Aspects de la vie politique et économique d'Argos au Ve siècle avant J. C.', in Polydipsion 1992, pp. 233-235. 3 Per un esame delle testimonianze sui singoli casi cfr. M. Mocai, ‘1 sinecismi e le annessioni territo-

riali di Argo nel V secolo a. C.', Ann. Scuola Norm. Sup. Pisa 4, 1974, pp. 1249-1260.

4 Sulle battaglie di Tegea e Dipea combattute dagli alleati contro gli Spartani cfr. Hdt. 9, 35.

5 Cfr. Thuc. 1, 102, 4.

16 D. Musn, Storia greca. Linee di sviluppo dall'età micenea all'età romana, Roma-Bari 1990, p. 350. 17 Sui problemi relativi a questa battaglia si rinvia a M. Piérarr, ‘Note sur l'alliance entre Athènes et Argos au cours de la première guerre du Péloponnèse. À propos de Thucydide 1, 107-108', Mus. Helv. 44,

1987, pp. 175-180.

18 Sui rapporti di Argo con Atene vd. Th. KELLY, “Argive foreign Policy in the fifth Century b. C.', Class. Philol. 69, 1974, pp. 81-99 e in particolare pp. 83-85.

!? Cfr. Thuc. 5, 14, 4; 5, 28, 2.

? Come si può vedere scorrendo la bibliografia argiva raccolta e catalogata da M. Piérarr, ‘Vingt ans de recherches sur Argos: 1972-1991 (Publications des années 1973 à 1992), TOPOI Orient- Occident 6/1,

1992, pp. 9-48.

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to di grande fortuna nell'epica, nella tragedia e anche nella poesia lirica, ma che non ha lasciato traccia in voci poetiche locali o che, per lo meno, non ci è giunto attraverso la testimonianza di poeti del posto. I frammenti superstiti della poetessa Telesilla sono troppo esigui, anche se la sua figura merita un attento riesame. A differenza di Pindaro, che nell'incipit fastoso della Nemea 10 elenca, tutte insieme, in una sintesi efficace le glorie principali di Argo, Bacchilide affronta nei quattro carmi che prenderemo in esame vari aspetti del patrimonio mitico argolico. I singoli episodi sono oggetto di una narrazione particolareggiata, che entra nei dettagli; un apporto originale che non é mai stato analizzato sotto il profilo della sua testimonianza su una fase della cultura del Peloponneso nord-orientale. Di qui l’ indubbio interesse che ne deriva. Il testo poetico apre una luce sulla città di Argo, definita in Ep. 9, 17 come città dalle "contrade fiorenti di validi uomini" e in Ep. 10, 31 come "spaziosa", e anche sulle zone vicine. Non dimentichiamo che gli anni tra il 460 e il 440 a. C., come ha sottolineato J. Des Courtils”', sono caratterizzati da un grande fermento architettonico, “une véritable fièvre de construction” che vede numerose costruzioni pubbliche e religiose e un rinnovamento della struttura cittadina. Tutta questa attività, secondo lo studioso, riflette il benessere legato all'instaurazione della democrazia. É, allora, azzardato immaginare che Bacchilide possa aver colto la ricchezza del patrimonio mitico della regione, il peso culturale e religioso della città, i fermenti di quest' epoca vitale? Nell'impossibilità di procedere in questa sede ad un commento dettagliato dei quattro carmi, mi limiteró a fare alcune considerazioni sui passi che in ognuno di essi meglio illustrano la tesi sopra esposta. Epinicio 9 per Automede di Fliunte Bacchilide presenta nell'ordine i seguenti temi mitici: 1) vv. 6 -9: la cattura del leone Nemeo da parte di Eracle nella pianura omonima; 2) vv. 10-14: la gara dei Sette a Nemea in onore del piccolo Archemoro o Ofelte; 3) vv. 15-20: la spedizione di Adrasto contro Tebe, osteggiata da Anfiarao; 4) vv. 39-65: i! fiume Asopo e le sue figlie; 5) v. 98: verisimilmente la fondazione della città di Fliunte da parte di Fliante, figlio di Dioniso. Sono tutte saghe strettamente legate al territorio compreso tra le città di Fliunte e di Argo. Il legame con il cult complex locale dell'una e dell'altra città e con Nemea, che sta a metà tra le due, è evidente. Pausania nei capitoli sulla Fliasia? fornisce notizie molto

utili per identificare i luoghi, per ricostruire i culti e per disegnare le genealogie degli eroi fliasii. Il percorso è quello che da Fliunte va verso sinistra a Nemea, Cleone e poi Argo. Un itinerario che é un bacino di raccolta di miti comuni alle varie località, ma con qualche variante strettamente epicorica. Bacchilide menziona per il suo uditorio nomi di eroi per sempre legati alle località che la gente del posto conosceva bene: Eracle, i Sette, Anfiarao, Adrasto, le figlie di Asopo, Dioniso sono i protagonisti di storie che si erano svolte lungo percorsi noti a tutti coloro che ascoltavano l'ode trionfale.

?! "L'architecture et l'histoire d'Argos dans la première moitié du Ve siècle avant J. C.', in Polydipsion

1992, pp. 241-251.

2 Paus. 2, 12, 3-2; 2, 14, 4.

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Essi sapevano che la vallata di Nemea è divisa da quella di Fliunte dalle alture del Tricarano? e che il leone si nascondeva nelle gole dei monti che sovrastano Nemea", terrorizzando l'intera regione. Fliunte e Argo sono poi accomunate nella narrazione mitica dalla lotta dei Sette contro Tebe e dalla seguente sconfitta degli eroi (vv.15-20). Anfiarao, figlio di Oicleo e discendente dall'indovino argivo Melampo, secondo la testimonianza di Pausania", aveva a Fliunte un μαντικός οἶκος. Nonostante i suoi tentativi di dissuadere i capi dell'esercito a muovere contro Tebe, egli prese parte alla tragica guerra e perì nell'impresa, inghiottito dalla terra presso Tebe. Ma Fliunte e Argo sono accomunate anche dalla fondazione dei giochi Nemei. Proprio a Nemea, dove i Sette sostarono per cercare acqua e dove si verificó la morte del piccolo Ofelte, ucciso da un serpente”, Automede di Fliunte ha riportato un’entusiasmante vittoria. Nei giochi panellenici, che sono luogo di incontro per tutti i Greci e che per la loro importanza fanno parte della periodos, resta per sempre il ricordo della sfortunata guerra. La loro fondazione è, dunque, motivo di vanto per Fliunte, ma anche per Nemea e Argo. Una questione particolare riguarda le figlie del fiume Asopo, che in un carme di Corinna” sono nove e sono figlie del fiume che attraversa la Beozia, mentre in Bacchilide sono figlie del fiume sicionio per antonomasia, Asopo, che, come dice Pausania, “comincia dalla regione di Fliunte, scorre attraverso il territorio di Sicione e sfocia nel mare che bagna la regione”. Nel testo di Corinna non si trova il nome di tutte le Asopidi, ma solo di alcune di esse. In Bacchilide, come vedremo, sono probabilmente cinque "edificatrici di contrade indistruttibili"(vv. 51-52). Cinque nomi, dei quali nell'epinicio bacchilideo si leggono sicuramente quelli di Tebe (v. 54 ) e di Egina (v. 55)”, sono dati

da Pausania in 5, 22, 6, in occasione della descrizione di un donario fatto dai Fliasii ad Olimpia, comprendente le statue di Asopo e delle sue cinque figlie Nemea, Egina, Arpina, Corcira e Tebe. Poiché tre di queste, Egina, Tebe, Corcira, sono comuni sia alla lista cosiddetta beotica (comprendente, secondo la ricostruzione di C. M. Bowra che muove dal testo di Corinna, Egina, Tebe, Platea unitesi con Zeus; Corcira, Salamina, Calcide unitesi con Posidone; Sinope, Tespie con Apollo; Tanagra con Hermes)”, sia a quella fliasio-peloponnesiaca, é pensabile che i Fliasii, che accettavano Asopo come padre del-

? Cfr. Pind. Nem. 6, 42-44, in cui a proposito della vittoria nemea di Alcimida, il poeta rievoca "le antichissime montagne ombrose di Fliunte". 24 [n Hes. Theog. 331 è fatto il nome del monte Treto, dove il leone vagava prima di essere domato da

Eracle; cfr. Paus. 2, 15, 2. Alla lotta di Eracle con il leone Nemeo e all'istituzione degli agoni sul luogo di questa vittoria Bacchilide allude anche in Ep.13, 44-57.

? Paus. 2, 13, 7.

2 per l'identificazione dell'heroon di Ofelte, menzionato da Paus. 2, 15, 3, con il recinto pentagonale scoperto nel 1979-80 a sud-ovest del tempio di Zeus, vd. MusTI-TORELLI, pp. 262-63.

? Fr. 654a col. III 12-18 P.

?5 Paus. 2, 5, 2. Cfr. Eumel. fr. 3, 4 Bernabé.

2 Tebe nelle liste delle figlie di Asopo è per lo più nominata accanto ad Egina. Ambedue furono amate da Zeus. Pindaro parla dell' Asopide Tebe in Ol. 6,84-85 e di Tebe ed Egina in Isthm. 8, 17-23. Qui egli dice che esse furono gemelle e le più giovani delle figlie di Asopo; una notizia inedita che non compare nelle altre fonti (Hdt. 5, 80; Diod. Sic. 4, 72, 1 ecc.). In Ferecide (FGrHist 3 F 119) Zeus rapisce Egina a Fliunte. 9 Alcuni di questi nomi si ricavano, tra integrazioni più o meno probabili, dalla col. II del papiro, alle Il. 33-40 (fr. 654a P.).

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le tre figure femminili eponime di Corcira, Egina e Tebe” , abbiano aggiunto i nomi delle due città del Peloponneso Nemea ed Arpina che figurano nella dedica”. Bacchilide, come abbiamo detto, nomina direttamente Tebe ed Egina e la lacuna al v. 60 potrebbe essere ragionevolmente colmata col nome di Corcira”. Nei vv. 61-62 ci potremmo aspettare il nome di Cleone, città dell'Argolide* e forse quello di Pirene, con cui si identificava Corinto”. Nulla vieta di credere che Bacchilide abbia accettato le tradizioni locali e che abbia celebrato l'Asopo, il fiume di Sicione e Fliunte, con gli attributi di progenie che il suo uditorio si attendeva. Con l'Asopo l'orizzonte si allarga poi fino alle regioni più remote della terra abitata e, attraverso le figlie, si presenta la sua ampia discendenza. Un'ultima considerazione riguarda la menzione di Dioniso al v. 98*. Bacchilide, accennando qui al legame tra Dioniso e la città di Fliunte, sembra alludere all'eroe Fliante, figlio di Dioniso, dal quale secondo Pausania 2, 12, 6, la regione ebbe il suo terzo nome, quello di Fliasia”. Collegando il dio alla città, il poeta sembra fare di suo figlio l'eponimo e forse il fondatore della medesima”. In ogni caso conferma la forte tradizione dionisiaca riconosciuta nell’area fliasia”. In conclusione si può dire che in questo carme il poeta trae dalla realtà geografica della regione lo spunto per le incursioni nel mito che vede come coprotagoniste le città di Fliunte, Nemea, Argo. O, forse, muove dal mito e trova nei luoghi dell’Argolide e delle zone finitime il ricordo e la conferma del passato. Eracle, i Sette, Adrasto, il re di Argo, rappresentano per Automede un antecedente illustre. L'Epinicio 9, che probabilmente è da collocare negli anni dell'esilio di Bacchilide nel Peloponneso*, anche se la sua datazione non é certa, puó offrire, quanto meno, un contributo prezioso per la ?! Paus, 2, 5, 2. 3 Cosi suggerisce C. M. Bowra, "The Daughters of Asopus', Hermes 73, 1938, pp. 215-216. Quanto ad Arpina, secondo i Fliasii la giovane eponima della città sarebbe stata madre di Enomao (Paus. 2, 22, 6). Attraverso le nozze della nipote Ippodamia con Pelope veniva evidenziata la parentela dei Fliasii con gli Elei. Va aggiunto che Eumelo, fr. 10 Bernabé, ricordava Sinope come figlia di Asopo. Gli Argonauti, che hanno un ruolo di rilievo nelle saghe corinzie, durante la loro spedizione approdano nella città omonima.

? Cosi propone MAEHLER 1982, p. 168.

* Cfr. Paus. 2, 15, 1.

3% Le due integrazioni, a mio avviso molto ragionevoli, risalgono a Jess, p. 309.

36 Mentre la lettura del v. 97 è molto incerta, l'integrazione Διων[ύσου... πόλιν al v. 98 è abbastanza sicura. 37 Per un’ampia discussione sul passo di Pausania e per le diverse versioni dell'albero genealogico di Fliante si rinvia a M. Doran, ‘Pausania e il modello erodoteo: le tradizioni di Fliunte”, in M. GunciuLio (a cura di), Formazione e trasmissione delle tradizioni storiche in Grecia. Erodoto e il modello erodoteo. Atti del

Convegno di Studi (Trento 6-7 febbraio 2003), in corso di stampa.

38 Cfr. Filita, fr. 16 Sbardella, in cui Fliante, figlio di Dioniso, è considerato fondatore, oltre che epo-

nimo della città di Fliunte. In Ap. Rhod. 1, 115-117 Fliante, figlio di Dioniso, che abitava “presso le sorgenti dell'Asopo”, è annoverato tra gli Argonauti. Pausania 2, 12, 6 si appella all'autorità del passo di Apollonio Rodio per confermare la paternità dionisiaca dell'eroe Fliante. Cfr. anche Eust. ad Hom. Il. 2, 571, 1 p. 449 Van der Valk.

** Secondo Pausania 2, 13, 7, nella parte bassa di Fliunte vi era un antico tempio di Dioniso e una sua

statua. Sulla possibilità di connettere l'epiteto Phleos di Dioniso (attestato come Phleious per via scolia-

stica, ad es. da schol. Ap. Rhod. 1, 115, p. 16 Wendel), con la città di Fliunte vd. Casapio, p. 225 n. 3. 4 A] SEVERYNS, p. 140, sulla base dei vv. 30-36 piace immaginare un Bacchilide presente ai giochi

Nemei in occasione della vittoria di Automede, ma nessun dato conferma l'ipotesi. L'Epinicio 9 è da attribuire al periodo dell'esilio anche per J. DUCHEMIN, in Bacchylide. Dithyrambes. Epinicies. Fragments, Texte établi parJ. Iucoin et traduit par J. DUCHEMIN et L. BARDOLLET, Paris 1993, p. 149.

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storia dei giochi Nemei. Indirettamente comprova, infatti, i buoni rapporti tra Fliunte e Argo nella prostasia dei giochi negli anni intorno al 460 a. C. e testimonia il ruolo importante che Argo ha giocato nella storia di questi agoni*'. Dal punto di vista sociopolitico il carme bacchilideo consente di conoscere un'eminente famiglia locale di Fliunte, quella dei Timossenidi (al v. 102 è ricordato il padre di Automedonte, Timosseno)" , di cui,

al momento, non si hanno altre notizie. Epinicio 11 per Alessidamo di Metaponto Nella sezione mitica dell'ode (vv. 40-112) Bacchilide racconta la saga delle Pretidi,

figlie di Preto, fatte impazzire da Era, offesa dalla loro giovanile superbia, e fatte rinsavire da Artemide su intercessione del padre. La saga, che è una delle più interessanti della mitologia peloponnesiaca, conosce diverse varianti nelle fonti. Coinvolge una dinastia prestigiosa — quella dei discendenti di Abante, figlio di Linceo e d'Ipermestra, che risale fino a Danao ed Egitto - e tre divinità: Era, Artemide, Dioniso. Non compare, come fa osservare G. Casadio‘, nella tragedia e di conseguenza non compare nella ceramica greca. Qui non affronteremo nessuno dei complessi problemi che riguardano l’interpretazione del carme composto da Bacchilide per un giovanissimo di Metaponto, vincitore nella lotta ai giochi Pitici in una data sconosciuta, ed eseguito durante i festeggiamenti nella patria del committente. Ci soffermeremo, invece, sulla probabile matrice arcadoargolica della versione data da Bacchilide del mito delle Pretidi e sulla divisione del territorio tra Argo, Tirinto e Arcadia che viene prospettata nel mito. Il mito delle Pretidi nelle diverse versioni date dalle fonti è stato analizzato da vari studiosi* e, tra gli altri, è stato ampiamente trattato da Casadio che, nel cap. “Pretidi e Agriania" del suo libro, fornisce un quadro dettagliato delle fonti letterarie sull'episodio, evidenziando in esse la prevalenza ora di Dioniso, ora di Era, ora di ambedue le divinità. Da un lato l'intervento di Melampo, l'indovino e profeta di Dioniso, che secondo una versione riporta le Pretidi alla normalità per un terzo del regno di Argo", dall'altro l'intervento di Era/ Artemide, sollecitato, nella seconda versione, dalla preghiera del padre Preto, concorrono a distinguere i due racconti. Sinteticamente possia-

* Cfr. M.-C. Dorrey, ‘Les Mythes de fondation des Concours Néméens', in Polydipsion 1992, pp. 185193 e in particolare pp. 192-193 dove è evidenziato il ruolo importante che Argo ha avuto nella storia dei giochi Nemei. 21 supplemento del BLass Τιμοξίένον è stato comunemente accettato.

9 CasADIO, p. 51. * Per la bibliografia sulle analisi complessive delle fonti cfr. M. Dorami, ‘Pausania, le Pretidi e la triarchia argiva' in questo volume, p. 297 n. 8.

* Non prendiamo qui in considerazione la variante di Melampo che guarisce dalla follia delle generi-

che donne di Argo, attestata per la prima volta in Hdt. 9, 34 e ripresa da Paus. 2, 18, 4; variante per la quale si rinvia all'analisi di M. Josr, ‘La légende de Mélampous en Argolide et dans le Péloponnèse', in Polydipsion 1992, pp. 176-177. Come ha dimostrato M. Doran in questo volume, p. 308 ss., l'episodio è da collocare due generazioni dopo, ai tempi di Anassagora, discendente di Preto. La variante é presente anche in Diod. Sic. 4, 68 in cui si precisa che Melampo sposò la sorella di Anassagora, Ifianira. Sulla figura di Melampo vd. anche E. SUAREZ DE LA TORRE, ‘Les pouvoirs des devins et les récits mythiques: l'exemple de Mélampous', Εἰ. class. 60, 1992, pp. 3-21.

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mo dire che la versione dionisiaca, in cui la punizione alle Pretidi che si rifiutano di accogliere il culto di Dioniso viene inflitta dal dio e poi viene curata dal suo indovino, sembra risalire a Esiodo*, mentre quella che fa capo ad Era, che invia la punizione perché le ragazze avevano offeso la sua statua, risale ad Acusilao di Argo”. A questa ultima versione si riallaccia Bacchilide che qui non nomina Melampo. Per quanto riguarda la guarigione delle ragazze, nel poema bacchilideo essa é dovuta alle forze congiunte del padre, di Artemide e di Era (vv. 106-109). Alla versione di Acusilao/ Bacchilide si riconduce Ferecide d'Atene*, che addebita la punizione delle sorelle ad Era offesa, ma attribuisce, tuttavia, la loro guarigione a Melampo e, quindi, rappresenta una via di mezzo tra Era e Dioniso”. Come si vede, la questione non é semplice. Anche se non possiamo dire che Bacchilide preservi "la versione primitiva della saga", come fa giustamente osservare Casadio, possiamo dire, tuttavia, che egli segue una versione che tutela il ruolo di primo piano che Era aveva sulla città di Argo. Bacchilide non ignorava il personaggio di Melampo, figlio di Amitaone, come dimostra il Peana 4 in cui l'indovino figura (vv. 51-53)", e conosceva bene le sue prerogative di μάντις, ma a proposito della guarigione delle Pretidi segue la versione che gli offriva la tradizione arcade fusa con quella argiva; la versione, per intenderci, che figura anche in Acusilao. Se è vero che Bacchilide, per quanto riguarda Artemide, si attiene alla versione più propriamente arcade dell’episodio (in Arcadia vi era il famoso santuario di Artemide Hemerasia)*, è anche vero che,

privilegiando Era, celebra la sua potenza e il suo santuario, orgoglio degli Argivi. Egli presenta la leggenda con tratti che si ritroveranno nella produzione poetica posteriore, come nell’ Inno ad Artemide di Callimaco”, ma che non si trovano, come abbiamo visto, in quella anteriore. Perché tace su Melampo, la cui attività di guaritore di donne rese folli dall'ira di un dio, è molto ben attestata a partire da Esiodo? Perché ignora qui un personaggio così rilevante nel passato di Argo? Una risposta potrebbe essere quella che si evince dalla ricerca sulle Pretidi condotta da M. Jost: “Mais la version la plus authentiquement arcadienne de l'épisode, celle que rapporte Bacchylide à propos du sanctuaire d' Artémis à Lousoi, au Ve siècle, ignore Mélampous””*. Il rilievo dato ad Era in tutta l'ode e il patto tre le due dee puó suggerire che il poeta unisca alla versione che circolava in Arcadia elementi di quella argiva. Quanto alla divisione di Tirinto da Argo e all'attribuzione delle due città al potere regale rispettivamente di Preto e di Acrisio in conseguenza della lite insanabile tra i due

4 Cfr. i frr. del Catalogo 37, 129, 131, 132, 133 M.- W. Nel fr. 131 Probo (in Verg. Ed. 6, 48) afferma che la divinità ad essere irata è, in verità, Era. Probabilmente è meglio concludere con M. Dorati che " conviene lasciare sostanzialmente aperto il problema dell'identitá della divinità adirata in Esiodo” (in questo volume, p. 299).

#7 FGrHist 2 F 28. 4 FGrHist 3 F 114.

“5 Sulla possibilità di una derivazione di Ferecide da Bacchilide o viceversa vd. la discussione in MAEHLER 1982, pp. 199-202, che prospetta anche la possibilità di una fonte epica comune, da identificarsi probabilmente con la Foroneide.

50 Cfr. infra, p. 139. 5! Sul santuario di Lusoi cfr. M. Josr, Sanctuaires et cultes d'Arcadie (Ét. Pélop. 9), Paris 1985, pp. 421-425. 52 Callim. Hymn. Dian. 233-236. 53 Cfr. M. Josr, art. cit. in Polydipsion 1992, p. 177.

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fratelli gemelli (vv. 59-81), la soluzione pacifica che Zeus concede alla fine ai contendenti viene presentata dal poeta come una soluzione liberatoria, che impedisce "la penosa rovina"(v. 72) e “le luttuose sventure" (v. 76). Argo viene abbandonata da Preto e Tirinto

diventa la nuova sede del suo regno. Intorno alla città di Tirinto i Ciclopi erigono mura mirabili. Ricordiamo che sulla spartizione dei regni tra Argo e Tirinto J. M. Hall ha pensato a un tentativo di risistemazione del patrimonio mitico/ genealogico in una regione, il Peloponneso, molto ricca di genealogie”. I fatti sono presentati in modo che non vi siano né vinti, né vincitori. Acrisio resta nella gloriosa Argo e Preto si sposta nell'altrettanto gloriosa Tirinto”. Dalle fonti storiche sappiamo che la situazione ad Argo e a Tirinto alcuni anni dopo la sconfitta di Sepeia ad opera degli Spartani (494 a. C.)*, era confusa, ma con tentativi di accordo tra ambedue le città per sopperire alla penuria di uomini (il cosiddetto " interregno servile”; l'ammissione dei perieci nel corpo civico)”. Poi la situazione precipitò e le ostilità aumentarono. I Tirinzii, dopo la distruzione della città, furono inglobati da Argo perché gli Argivi, come dice Pausania, li incorporarono nella loro città “per rendere Argo più grande””. Ebbe quindi inizio quel processo revisionistico, di cui parla M. Dorati”. Anche i miti tirinzii vennero rivisitati da Argo, dando vita a una fase di sincretismo mitico. Nella narrazione bacchilidea anche i rapporti con l'Arcadia sono salvaguardati perché le Pretidi impazzite vagano per tredici mesi nei boschi dell’Arcadia, fino a quando Artemide, invocata da Preto, interviene presso Era e le libera dalla follia. È in Arcadia che le Pretidi dedicano un temenos e un altare ad Artemide e istituiscono cori femminili (vv. 110-112). Questa regione viene, così, saldamente legata al mito narrato. La data dell'Epinicio 11, come si è detto, è sconosciuta, ma è incontestabile che la vittoria di Alessidamo sia stata conseguita a Delfi. Il rilievo dato all'Arcadia si spiega con il legame tra Metaponto e Lusoi (vv. 113-123). La narrazione del mito delle Pretidi,

che Bacchilide presenta in questo carme, combina tre versioni in cui i tre poli, Argo, Tirinto, Arcadia, avevano probabilmente ognuno un ruolo egemone. Si può notare che anche Fliunte secondo la tradizione aveva un qualche collegamento con l'Arcadia; collegamento che Pausania doveva conoscere se si prende la briga di contestarlo*'. L'elemento unificatore nel carme bacchilideo é, comunque, rappresentato da Artemide che 5% Cfr. HarL, pp. 94-95. Vd. anche C. BRILLANTE in questo volume, p. 53.

5 Già in Hes. fr.129 M.-W. è raccontata la divisione del regno: Acrisio governa ad Argo (v. 10), Preto

a Tirinto (v.11).

56 Per questa datazione della battaglia si rinvia a M. Ζαμβει.., ‘Per la storia di Argo nella prima metà

del V secolo a. C. Il. L'oracolo della battaglia di Sepeia', Riv. filol class. 102, 1974, pp. 442-453. Per il racconto della battaglia vd. Hdt. 6, 75-84. Per la resistenza degli Argivi all'assedio degli Spartani e per la difesa sostenuta dagli schiavi; da quanti non erano in grado di portare le armi perché troppo giovani o troppo

vecchi; dalle donne, tutti capeggiati dalla poetessa Telesilla, vd. Paus. 2, 20, 8-10. 7 Si veda, in particolare, la ricostruzione di C. Krrrzas, ‘Aspects de la vie politique et économique

d'Argos au Ve siècle avantJ.- C.', in Polydipsion 1992, pp. 232-233. Paus. 2, 25, 8.

? In questo volume, p. 309 n. 66. % Poco credibile pare l'ipotesi che la vittoria sia stata ottenuta nei giochi in onore di Artemide Hemera,

gli Hemerasia di Lusoi; cosi R. MERKELBACH, ‘Bakchylides auf einen Sieger in den ᾿Ημεράσια zu Lousoi', Zeitschr. f. Pap. u. Epigr. 11, 1973, pp. 257-260 e contra A. KOHNKEN, ‘Hemerasien-oder Pythiensieg? (Zu

Bakchylides, Ep. 11), Würzb. Jbb. N.F. 2, 1976, pp. 49-51. $! Paus. 2, 12, 3.

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aveva un culto importante nella città di Metaponto, la patria del committente, ma anche a Lusoi e ad Argo dove era venerata come Artemide Πειϑώ“. Non è da escludere, infine, che la versione fornita da Bacchilide possa riflettere l'alleanza tra Argo e le città arcadi in funzione antispartana* e configurare l'accordo che dopo il 460 a. C., nel periodo di "guerra fredda" tra Sparta e Atene, si andava profilando tra Argo e le regioni limitrofe in previsione del sinecismo di matrice chiaramente antilaconica. Si puó pensare che Bacchilide, in occasione del suo esilio nel Peloponneso, sia venuto in contatto con l'inquietudine politica e sociale che travagliava tutta la regione e che nel comporre l'ode per Alessidamo si sia fatto portavoce di questa situazione. Peana 4. Ad Apollo Piteo per Asine (fr. 4 + 22)

Dei quattro componimenti bacchilidei presi in considerazione il Peana 4 è il più significativo e il più utile per illustrare il rapporto di Bacchilide con l'Argolide. Anche qui tralasciamo tutte le complesse questioni testuali legate alla tradizione del testo: tradizione in parte diretta, in parte indiretta”. La ricostruzione di W. S. Barrett e il suo commento sono stati fondamentali per l’interpretazione del carme*. Diciamo solo che la citazione di Stobeo dei vv. 61-80 ha permesso di inserire il lungo frammento che egli riporta e, quindi, tutto il carme nel genere dei peani. È questo un dato essenziale perché permette di definire il ruolo che Apollo ha nel poema e di identificare la festa e il luogo in cui essa si svolgeva. I centri chiamati principalmente in causa sono Asine con il santuario di Apollo Piteo, in una insenatura a nord-est del Golfo Argolico, e la città di Argo. Poche notizie storiche consentiranno di inquadrare la situazione del territorio di Asine nella prima metà del V sec. a. C., probabile periodo di composizione del Peana bacchilideo, il suo rapporto con Argo e, infine, il singolare elogio della pace fatto dal poeta e tramandato da Stobeo. Pausania” racconta la distruzione di Asine argolica da parte di Argo che voleva vendicarsi per l'alleanza degli Asinei con gli Spartani e per la devastazione del suo territorio e narra poi la cacciata degli Asinei nel Peloponneso meridionale. La data della distruzione di Asine, che viene dopo una strenua resistenza, è generalmente fissata tra il 710 e il 700 a. C.? La città scompare, ma il tempio di Apollo Piteo, che si ergeva sulla collina sovrastante”', rimane a svolgere la sua attività religiosa e continua ad essere meta di pellegrinaggi e di celebrazioni rituali. Tucidide conferma che nel 419 a. C. gli Argivi

*? Cfr. Hygin. Fab. 186 e MAEHLER 1982, p. 195. 6 Paus. 8, 18, 8. Cfr. U. Sinn, “The ‘Sacred Herd' of Artemis at Lousoi', in R. HAcc (ed.), The Iconography of Greek Cult in the Archaic and Classical Periods, Kernos Suppl. 1, 1992, pp. 177-187. %4 Paus. 2, 21, 1.

55 Cfr. TOMLINSON, pp. 103-107.

$6 p. Oxy. 3, 426.

€ Athen. 5, 5 p. 178B: vv. 21-25; Stob. Flor. 4, 14, 3: vv. 61-80; Plut. Num. 20, 6: vv. 69-77. *5 BARRETT, pp. 421-444. % Paus. 2, 36, 4-5; 3, 7, 4; 4, 8, 3: 4, 34, 9.

7 Cfr. R. HAcc, 'Geometric Sanctuaries in the Argolid', in Polydipsion 1992, pp. 18-19. 7! Oggi la collina si chiama Barbounas. Per il santuario di Apollo Piteo si rinvia a O. FRODIN - A. W. Persson, Asine. Results ofthe Swedish Excavations, Stockholm 1938. Vd. anche G. B. D'ALessto in questi Atti, p. 110 n. 18.

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avevano la maggiore autorità sul santuario e che le altre città dell'Argolide dovevano mandare somme di danaro per ottenere il diritto di pascolo nel territorio asineo”. Credo con Barrett che non possano esservi dubbi che nel Peana di Bacchilide si parli di questo tempio di Apollo Piteo (vv. 54-56), eretto nell'area del recinto sacro delimitato da Melampo, al cui interno il profeta aveva innalzato un altare (vv. 50-54)”. Ciò premesso, riassumiamo brevemente il contenuto della sezione mitica, tenendo conto che si tratta di versi piuttosto lacunosi e che per la ricostruzione del testo seguiremo, per lo più, i suggerimenti di Barrett e di Maehler. Eracle, diretto verso Trachis, attraversa in Etolia il territorio dei Driopi, ladroni e incivili”*; muove contro di loro una guerra in cui essi vengono sconfitti e, dopo averli fatti prigionieri, si dirige verso il tempio di Apollo a Delfi (vv. 39-43). Qui riceve dal dio l'ordine di trasferire i Driopi nel Peloponneso. Una volta giunti in questa regione, essi vengono chiamati Asinei, cioè Inoffensivi, e fondano la città di Asine. La menzione a questo punto degli “abitanti di Halieis" (v. 49 ἐξ ᾿Αλυκῶν) crea non pochi problemi. Si allude qui ai Driopi residenti nella città di ᾿Αλιεῖς o ᾿Αλυκή, vicino alla città di Ermione all'estremità orientale del golfo"? Perché essi vengono nominati in questo punto della narrazione, prima dell'arrivo di Melampo? Da Argo viene, infatti, l'indovino Melampo (v. 50 ἐξ "Apyeuc ), che fonda ad Asine il temenos per Apollo Piteo, sul quale verrà eretto il santuario oracolare. I vv. 44-47 sono di notevole rilievo per quanto intendiamo dimostrare. Eracle segna i confini della zona degli Asinei con ulivi da lui incurvati appositamente e il ricordo di questa operazione rimane ancora in Pausania”. Un'operazione che per Bacchilide delimita il territorio di Asine, separandolo da quello delle città vicine e isolando quella che Hall definisce felicemente “a ‘silent’ population” nella regione argolica. È interessante sottolineare che Pausania non si dichiara troppo sicuro del fatto che Eracle volesse così “segnare il confine agli Asinei dell'Argolide”. Per il Periegeta un popolo che è emigrato nell'Eubea, nelle Cicladi, a Cipro e in tutto il Peloponneso non può che sfuggire a confini troppo precisi e limitativi. Né va sottovalutato che per Pausania i Driopi hanno una loro specificità etnica e religiosa". In particolare i Driopi di Asine, sempre secondo

?' Thuc. 5, 53. ? Anche ad Argo vi era un importante santuario di Apollo Piteo, sede di un oracolo (cfr. Paus. 2, 24, 1 e il commento ad loc. in Musn-ToreLLi, pp. 290-291; alla bibliografia ivi citata è da aggiungere R. Hàcc, art. cit. in Polydipsion 1992, pp. 10-12).

74 Un importante contributo all’ individuazione dell'identità etnica di questo popolo è stato fornito da Haz, pp. 74-77. Per le fonti relative alla presenza dei Driopi nelle varie regioni in cui migrarono cfr. p. 74 ein particolare nn. 39-40.

* Cfr. Paus. 2, 36, 1. La lettura ᾿Αλικῶν risale a O. Horer, in Roscher, Myth. Lex. III s.v.'Pythaeus',

coll. 3366- 3367. Anche se il verso bacchilideo presenta in questo modo problemi geografici (la città potrebbe identificarsi anche con "AXuxog menzionata da Callimaco insieme ad Asine ed Ermione nel fr. 705 Pf.) e di senso (se si collega la menzione degli abitanti di Halieis col verso che segue non si capisce bene il tragitto compiuto da Melampo che viene da Argo), credo che l'ipotesi prudentemente avanzata da MAEHLER 1997 (p. 301) che qui non si parli di ἅλικοι, ma di ἄλικες “semi”, con cui si preparava una

focaccia chiamata σουβέτυλλος, dal valore cultuale, sia poco credibile. 76 Cfr. 2, 28, 2. Pausania colloca l’“ulivo contorto” sul monte Corifo ed è indicativo che Telesilla faccia menzione del santuario di Artemide Corifea (fr. 720 P.); un santuario forse di frontiera, come ritiene M.-

Fr. BiLor, ‘Apollon Pythéen et l'Argolide archaique. Histoire et Mythes’, Archaiognosia 6, 1989-90, p. 44. Il carme della poetessa é perduto e, quindi, é impossibile fare ipotesi sul suo contenuto.

7 Paus. 4, 34, 11.

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Pausania, hanno un loro tempio di Apollo Driopio e un'antica statua di Driope, figlio di Apollo”.

Nel racconto mitico bacchilideo, invece, la spartizione di sfere di potere tra le popolazioni dell'Argolide e l'allargamento dell'influenza di Argo sulla parte settentrionale del Golfo Argolico trovano una giustificazione e una conferma. Dietro gli avvenimenti che sembrano narrati, secondo l'uso bacchilideo, in ordine cronologico, si intravede il conflitto etnico tra popolazioni diverse”. Il punto di vista sembra, comunque, quello argivo, cosi come sembra argivo il punto di vista della poetessa Telesilla quando afferma, secondo la testimonianza di Pausania, che gli Argivi "furono i primi Greci presso cui venne Piteo, figlio di Apollo"*. Ricapitolando, nella sezione relativa ad Eracle, l'eroe dorico è ostile ai Driopi/ Asinei edé schierato prima dalla parte dei Dori” (egli aiuta Egimio, re dei Dori contro i Driopi)* e poi dalla parte degli Argivi. 1 Driopi rappresentano l'elemento straniero e violento al quale, come abbiamo visto, viene assegnato un territorio circoscritto e ben delimitato. La fondazione del santuario di Apollo Piteo, attribuita a Melampo, conferma la supe-

riorità degli Argivi.

In questo quadro ben si inserisce, ai vv. 61-80, l'esaltazione della pace, come aspirazione ad un periodo di tregua dopo le guerre che hanno sconvolto la città (dalla sconfitta di Sepeia ai conflitti contro Micene, Tirinto, Midea), e di speranza nell'alleanza stipulata con Atene. Un’ alleanza ben vista, anche se non dette i risultati sperati”. Premesso che l'opinione di H. Maehler, secondo il quale l'elogio della pace, che ritorna in carmi bacchilidei di vario tipo (epinici, ditirambi, peani), sembra rispondere ad un personale modo di vedere del poeta più che alla convenzione del genere”, non è del tutto persuasiva, restano due possibilità che, a ben vedere, non si escludono a vicenda: o l'immagine della pace è suggerita dalla descrizione dell'atmosfera che regna nel santuario di Apollo Piteo, dove fioriscono canti e danze (vv. 56-57) e dove ci si augura la

prosperità (v. 59)", oppure l'esaltazione dei vantaggi che derivano dall'assenza di guerra con le altre città è da connettere col particolare momento di tranquillità che stava vivendo Argo negli anni dopo il 462 a. C. L'atmosfera apollinea, tipica del peana*, ma caratteristica anche di altre celebrazioni in onore del dio, suggerisce l'immagine felice di una pace generale e al tempo stesso generica. Basti pensare al proemio della Pitica 1 di 78 Su questa raffigurazione dei Driopi di Asine vd. J. CHrisnen, ‘De Sparte à la côte orientale du Péloponnèse', in Polydipsion 1992, p. 165 n. 32. Per un quadro del conflitto tra Driopi e Argivi e tra Asine e Argo si rinvia all'analisi di M.-Fr. BiLLor, art. cit. p. 37 ss.

% Paus. 2, 35,2 = Teles. fr. 719 P.

5! M. Piérart, ‘Le tradizioni epiche e il loro rapporto con la questione dorica. Argo e l'Argolide', in D.

Musn (ed.), Le origini dei Greci. Dori e mondo egeo, Roma 1985, pp. 277-292, ritiene che le tradizioni doriche, poco presenti nei culti e nei monumenti argivi, abbiano lasciato, tuttavia, una traccia nelle istituzioni civiche. Il riferimento alla lotta contro i Driopi é qui rilevante.

8 Secondo Apollod. 2, 7, 7 Eracle aiuta Egimio, re dei Dori, in guerra contro i Lapiti, alleati dei

Driopi.

Cfr. TH. KEY, art. cit. pp. 85-86.

*^ MAEHLER 1997, p. 296, porta come esempi Ep. 5, 200; 11, 69; Dith. 15, 45-46. *5 Credo che il supplemento di B. Snell σύ δ᾽ 6A[Bov ὀπάζοις sia da preferire all'altro, sempre da lui suggerito e. g., ἔδωκας. Cfr. I. RUTHERFORD, Pindar's Paeans. A Reading of the Fragments with a Survey of the Genre, Oxford 2001, pp. 19-20; 55-56.

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Pindaro in cui sono esaltate le qualità pacificatrici della cetra di Apollo e delle Muse o alla Pitica 10 in cui è descritta l'esistenza felice degli Iperborei che, grazie ad Apollo, non conoscono fatiche e battaglie. Se, invece, l'elogio della pace nasce dal ricordo delle guerre sostenute di recente da Argo e dalle speranze nell'alleanza con Atene, il riferimento ad esperienze storiche precise è più cogente. In ogni caso la celebrazione della pace si costruisce su due registri: il primo riguarda la politica interna della città (vv. 61-68)”; il secondo la politica estera (vv. 69-78)”. È l'assenza della guerra che consente la spensieratezza dei conviti e l'amore (vv. 79-80)*.

Una committenza da parte di Argo sarebbe non solo in accordo con la sua egemonia sul tempio di Apollo Piteo ad Asine, ma sarebbe anche in armonia, come è chiaro, con le esperienze storiche e politiche vissute dalla comunità argiva e con la preghiera innalzata dal poeta al dio venerato nel santuario di Asine. É pur vero che non si possono avere certezze in merito”. Non è difficile a tal proposito ripetere quanto detto a proposito dei due carmi già presi in considerazione: Bacchilide potrebbe aver composto il Peana durante l'esilio nel Peloponneso e potrebbe averlo fatto su richiesta di Argo per una performance che ha avuto luogo nel recinto sacro di Apollo Piteo. Ditirambo 5. lo, per gli Ateniesi

Nel caso del Ditirambo 5 la committenza è sicura. Al v. 10 è nominata Atene. L'occasione è quasi certamente un concorso ditirambico che ha luogo nella città. La data è sconosciuta, ma argomenti di ordine iconografico addotti da vari studiosi” e ragioni di affinità conle Supplici di Eschilo fanno pensare agli anni tra il 463 e il 460a. C. In particolare le motivazioni di natura artistica sono state ampiamente illustrate da H. Maehler?? che, sulla base della documentazione iconografica disponibile, conclude che solo a partire dal 460 a. C. Io viene rappresentata sui vasi come una giovane donna fornita di piccole corna e/o di orecchie bovine (βούκερως παρϑένος) e non più come una giovenca, mentre nelle Supplici e nel Ditirambo 5 è descritta ancora in tutto e per tutto sotto il suo aspetto animale” . Secondo lo studioso la novità che porterà gli artisti a raffigurare l'eroina 8? L'idea che nella città la presenza di Pace (Eirene), Ordine (Eunomia), Giustizia (Dike) sia fonte di

prosperità per i cittadini è molto ben attestata prima di Bacchilide. Come dice Pindaro in Ol.13, 6-8 le tre divinità sono figlie di Themis, la regola che regge la città. 8 Gli scudi sulle cui impugnature i ragni tessono le loro tele, le lance e le spade sulle quali è sovrana la ruggine, l'assenza di trombe squillanti, il sonno non strappato dalle palpebre nel sopore del primo mattino rimandano ai combattimenti che la città deve sostenere con le città nemiche e che la pace fa sospendere.

% Non si può non pensare alla pace che nelle Supplici di Eschilo le Danaidi augurano alla città di Argo, in cui danze, canti e amore non dovranno più essere impediti dalla guerra (vv. 679-682). % A una committenza argiva sembra pensare anche G. B. D'Alessio, in questo volume, p. 121. Non

sembra attendibile l'ipotesi di J. DUCHEMIN, p. 218 secondo cui il Peana sarebbe stato commissionato dagli abitanti d'Asine. La città, come si è visto, era stata distrutta quasi un secolo e mezzo prima. ?! Cfr. Jess, pp. 493-494;J. DUCHEMIN, pp. 48-49; C. O. Pavese, "L'Inaco di Sofocle', Quad. Urb. 3, 1967, pp. 31-50; MAEHLER 1997, pp. 245-247.

% MAEHLER 1997 porta una vasta documentazione con relativa bibliografia. Essenziali sono R. ENGELMANN, “Die lo-Saga', Jahrb. deut. arch. Inst. 18, 1903, pp. 37-53; N. YaLouris, ‘Le mythe d'lo. Les transformations d'lo dans l'iconographie et la littérature grecques', in Iconographie classique et identités

régionales, Bull. corr. hell. Suppl. 14, 1986, pp. 3-23; N. YaLouris, LIMC V, s. v. ‘lo’, pp. 661-676.

9? L'unica eccezione potrebbe essere rappresentata da Aesch. Suppl. 569-570 in cui lo è rappresentata

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con attributi umani dovrebbe essere imputata al modo innovativo di rappresentare lo nel Prometeo incatenato eschileo di cui, tuttavia, si ignora la datazione. Ma come si concilia questa conclusione con il problema della datazione del carme bacchilideo? Quest'ultima, come abbiamo visto e come vedremo meglio in seguito, dipende in gran parte dalla datazione delle Supplici che oggi si possono attribuire con relativa sicurezza al 463 a. C.*. Significativo, ma meno rilevante per la datazione è anche il rapporto con il Prometeo ”. Nonostante i dubbi e le incertezze, credo che non si erri di molto fissando la data del Ditirambo 5 agli anni tra il 463 e il 460 a. C., prima dell’esilio del poeta nel Peloponneso.

Il mito narrato è quello di Io, figlia di Inaco, sacerdotessa di Era, che viene trasformata in giovenca dalla dea per gelosia nei confronti di Zeus e controllata a vista dal mandriano Argo. Nelle sue peregrinazioni, pungolata di continuo dall'assillo, lo giunge in Egitto dove, grazie al tocco guaritore della mano di Zeus, genera Epafo. Da Epafo attraverso Libia, madre di Belo e di Agenore, si giunge a Cadmo e Semele, madre di Dioniso, che é celebrato nell'explicit del Ditirambo (vv. 50-51).

Dunque i dati sui quali richiamare l'attenzione sono: a) Atene; b) occasione ateniese; c) datazione del carme precedente all'esilio di Bacchilide nel Peloponneso; d) genealogia e discendenza di Io; e) il personaggio del mandriano Argo. La trattazione del mito, come vedremo, sembra confermare la dimensione tutta ateniese del ditirambo. Eppure la saga di Io era propriamente argiva e l'eroina aveva un ruolo importantissimo negli "argivische Stammbáume”, come ha dimostratoJ. M. Hall.

Acusilao di Argo, secondo quanto si ricava dalla testimonianza di Apollodoro", ne parlava nella sua opera genealogica” e le fonti poetiche argive dovevano fare altrettanto, come si ricava dal fr. 4 Bernabé della Foroneide”. in parte vacca e in parte donna, ma la definizione βοτὸν δυσχερές fa pensare piuttosto ad un animale mostruoso.

"un capo di bestiame ripugnante”

2 Il P. Oxy. 2256 (fr. 3) obbliga a spostare la trilogia Danaide di cui facevano parte le Supplici agli anni

dopo il 468 a.C. Dal papiro si ricava, infatti, che Eschilo ottenne con la trilogia il primo premio superando Sofocle. Poiché quest'ultimo concorse per la prima volta nel 468 con una trilogia di cui faceva parte il Trittolemo, la vittoria di Eschilo con le Supplici deve essere datata a partire da tale anno. Vd. in proposito A. F. Garvie, Aeschylus' Supplices. Play and Trilogy, Cambridge 1969, pp. 10-11. Va aggiunto che se si accetta

alla 1. 1 la precisazione ἐπ᾿ ᾿Αρ[χεδημίδου, "sotto l'arcontato di Archedemide” (cfr. TrGF I, DID C 6). la vittoria di Eschilo si può far risalire al 464/463 a. C. Cosi anche H. Fans JOHANSEN - E. W. WHrrne,

Aeschylus. The Suppliants, Copenhagen 1980, pp. 22-23.

9 La relazione cronologica del Ditirambo 5 con il Prometeo è più incerta perché nulla di definitivo si può dire sulla datazione di questa tragedia. Per quanto riguarda il personaggio di lo, il ruolo di Zeus, la discendenza di Epafo, il suo compito di fondatore di città nell'Egitto, le analogie con le Supplici sono rilevanti. Non è possibile, tuttavia, stabilire se i due drammi siano vicini nel tempo, né quale dei due sia stato composto prima. Le argomentazioni di Maehler contribuiscono all'ipotesi di una datazione del Prometeo posteriore al 460.

% Cfr. Hau, pp. 78-89. Per la discendenza di lo cfr. G. Arricon, ‘Perseo contro Dioniso ἃ Lerna', in

Ricordando R. Cantarella, a cura di F. Conca, Milano 1999, p. 37 ss.

” Apollod. 2, 5 = FGrHist 2 F 26; 2, 6 = FGrHist 2 F 27. % Sulla presenza di lo nel trattato genealogico argivo di Acusilao si veda C. Cat AM, in questo volume,

p. 237.

E Il frammento offre un' importante testimonianza del rilievo che il personaggio di lo, qui chiamata Kallithoe (vd. l'ampio apparato di Bernabé), aveva nell'epica argiva del VII-VI sec. a. C. Cfr. M. Piénanr, ''Argosassoiffée' et ‘Argos riche en cavales”, Provinces culturelles à l'époque proto-historique', in Polydipsion 1992, p. 127 n. 42 e p. 147. Sull'assenza di Io nell'incipit della Nemea 10 di Pindaro vd. M. CANNATA FERA in questi Atti, p. 101.

L'Argolide e Bacchilide

143

A quale versione del mito si ispira Bacchilide? È possibile identificare a quale tradizione egli si riallaccia? Cominciamo con la paternità di Io, che da Bacchilide al v. 18 é detta figlia di Inaco in conformità con la versione accolta dai poeti tragici e da altre fonti posteriori'”. La paternità di lo in Esiodo!" e in Acusilao'” risale, invece, a Pirene'”. Secondo una terza tradizione'” il padre della fanciulla è laso. Mentre la versione di Esiodo e quella di Acusilao sembrano rappresentare nello stemma degli Inachidi una tradizione più propriamente argiva'^, e la versione dello Scoliasta all'Oreste di Euripide sostanzialmente vi si accorda, solo inserendo elementi tratti da Ferecide e Ellanico'*s, la versione per cosi dire ‘tragica’, che fa di lo direttamente le figlia di Inaco, riflette una tradizione extra-locale e più panellenica'”. Bacchilide sceglie quest'ultima. Consideriamo un secondo punto. Nelle Supplici di Eschilo prevale l'immagine della giovenca che, scacciata dalla patria, erra senza tregua in terre straniere per colpa della gelosia di Era'* . La fuga di Io, che in Bacchilide avviene per le ppadat (“i moniti", cioè le indicazioni attraverso segnali divini) di Zeus (v. 17), è concepita come il punto di partenza del racconto mitico, come la condizione patetica dalla quale prende le mosse la narrazione. Il punto di arrivo sarà la nascita di Dioniso (v. 50). Il parto di lo, dunque, é funzionale alla celebrazione del dio. Nelle Supplici questo evento è visto sempre, come in Bacchilide (v. 37 ss.), in funzio-

ne della discendenza che da esso deriva'”: Epafo, in quanto figlio di lo e di Zeus, è un esempio di theogeniture, come altri casi attestati nelle genealogie argive (Argo, figlio di Niobe e Zeus; Nauplio, figlio di Amimone e Posidone; Perseo, figlio di Danae e Zeus ecc.), ed è fonte di vita e fondatore di città!!°. Dei due rami che fanno capo ad Agenore e Belo, figli gemelli di Epafo, Bacchilide sceglie di parlare solo del primo, al quale appartiene Semele, madre di Dioniso. Diversamente nelle Supplici (v. 314 ss.) il ramo che

interessa le Danaidi per dimostrare la loro provenienza argiva è quello che parte da Belo, padre dei figli gemelli Danao ed Egitto"*'. Il dato sul quale Eschilo e Bacchilide 1% Aesch. Prom. 589-590, 663 ecc.; Soph. El. 4-5; Soph. Inac. ftr. 269a-295a (TrGF IV, pp. 247-267 Radt); Hat. 1, 1; Diod. 3, 74; 5, 60; Paus. 1, 25, 1; 3, 18, 13.

19 Fr, 124 M-W.

1% FGrHist 2 F 26. Sul rapporto tra Esiodo e Acusilao cfr. D. PeLLEGRINI, "Sulle "Genealogie argive” di Acusilao', in Atti Acc. Patav. Sc. Lett. Arti 86, 1973-74, p. 163 n. 38. 192 1 nomi Peiras, Peirasos, Peiren sembrano indicare la stessa figura; secondoJ. KruscHan, s.v. 'Peiren',

RE XIX 1, 1937, coll. 105-106, nr.1 la forma più antica, che risale ad Esiodo e Acusilao, è Peiren. Cfr. M. L. West, The Hesiodic Catalogue of Women, Oxford 1985, p. 76 s. In Plut. fr. 158 Sandbach KaAA Buca (da identificarsi con Io, Phoronis, fr. 4 Bernabé) é detta figlia di Peiras.

19 Schol. Eur. Or. 932 ; Apollod. 2, 1, 3; Paus. 2, 16, 1; Steph. Byz. s. v. "Apyoc.

105 Cfr. Hai 1997, pp. 79-80 (figg. 4-5). Sui criteri che regolano la formazione delle genealogie si rinvia a R. L. Fow.ER, 'Genealogical Thinking, Hesiod's Catalogue, and the Creation of the Hellenes', Proc. Cambridge Philol. Soc. 44, 1998, pp. 1-19.

1% Cfr. HALL 1997, p. 83 (fig. 8).

"7 Cfr. Apollod. 2, 1,3 πολλοί τῶν τραγικῶν ᾿Ινάχου τὴν ‘là λέγουσιν.

19% Cfr. vv. 277-320; 524-599. Anche nel Prometeo l'allontanamento dalla patria, le peregrinazioni, la

fuga da un nemico invisibile sono i temi dominanti nella raffigurazione di lo (v. 566 ss.). Sulla figura dell'eroina e in generale sulla sua caratterizzazione mitica si rinvia

a K. DowDen, Death and the Maiden.

Girls” Initiation Rites in Greek Mythology, London-New York 1989, pp. 117-145. 102 Cfr. ad es. vv. 40 ss.; 314 ss.; 531 ss.; 580 ss. La discendenza da Epafo è la prova che le Danaidi portano a Pelasgo per la loro origine argiva. In Aesch. Prom. 853 le Danaidi sono definite come la quinta generazione a partire da Epafo.

"0 Sulla figura di Epafo vd. S. West, ‘lo and the Dark Stranger”, Class. Quart. 34, 1984, pp. 292- 302.

!!! Sulla presenza di coppie di gemelli antagonisti (Agenore e Belo; Danao ed Egitto; Preto e Acrisio)

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Paola Angeli Bernardini

vogliono richiamare l'attenzione dell'uditorio è, in ogni caso, la discendenza di Io. Un dato quasi ossessivo per il coro delle Danaidi; un'esigenza dettata dall'occasione per Bacchilide. Altri elementi confermano l'impressione che il poeta di Ceo non si sottragga all'influenza dei drammi eschilei che mettono in scena la vicenda di lo!!?. Nel caso specifico, alla tendenza più generale a privilegiare nei suoi componimenti l'intonazione patetica e drammatica tipica della tragedia", si uniscono ragioni di vera e propria opportunità. Non sarebbe logico pensare che Bacchilide, proprio ad Atene, proponesse versioni peregrine, meno note e forse meno gradite al pubblico, di un mito molto conosciuto e più volte rappresentato. Per quanto riguarda il personaggio di Argo, ad esempio, la sua origine dalla Terra, suggerita da Bacchilide al v. 31'**, è conforme alla versione più popolare che risaliva ad Acusilao! e che fu fatta propria da Eschilo e poi dalle fonti più tarde''*. Relativamente al numero degli occhi di Argo ha ragione H. Maehler''” di ritenere che πάντοθεν al v. 20 si riferisca al gran numero di occhi sparsi in tutto il corpo del custode, instancabili e sempre aperti, come nella tradizione tragica! . L'incertezza bacchilidea sulla maniera nella quale Argo viene ucciso da Hermes

(con una pietra, o grazie ad altri tere un modo “drammatico” di ne, ma riporta ció che veniva rimanendo nel vago. La morte

piani o, ancora, grazie al canto)? sembra, infine, rifletporre la questione; il poeta non si decide per una versiodetto da varie voci, suggerendo possibili alternative e di Argo é genericamente presentata da Eschilo, Prom.

680 come “inaspettata e improvvisa”. nella genealogia degli Inachidi vd. M.-C. Oui, ‘Généalogie argienne et problèmes de transmission de la royauté dans le livre II de la Bibliothèque d'Apollodore', in Généalogies mythiques: actes du VIIIe colloque du Centre de recherches mythologiques de l'Université de Paris- X (Chantilly, 14-16 sept.1995), réunis par D. AUGER et S. SAID, Paris 1998, pp. 163-174.

12 per la fortuna del tema tragico cfr. supra, n. 100. Si può aggiungere una citazione dell'Io di Chere-

mone (TrGF I, 71 fr. 9 Snell), dramma la cui natura satiresca, affermata da V. STEFFEN, Satyrographorum Graecorum Fragmenta, Poznan 1952, p. 248 (fr. 5), non è accettata né da B. SneLL, né da R. KRUMEICH - N.

PECHSTEIN - B. SEIDENSTICKER, Das Griechische Satyrspiel, Darmstadt 1999, p. 315 n. 18.

113 È stato B. Genmu, Bacchilide. Studi, Urbino, 1958, pp. 49-58, a cogliere questa tendenza della poesia

bacchilidea muovendo dall'analisi del Ditirambo 16 e delle Trachinie di Sofocle. Resta ancora aperta la questione della priorità dell'una o dell'altra opera. Poco aggiunge CH. PLATTER, “Heracles, Deianira, and Nessus: Reverse Chronology and Human Knowledge in Bacchylides 16', Am. Journ. Philol. 115, 1994, pp. 337-349.

1^ ἢ supplemento Γᾶς risale a Jess ed è abbastanza sicuro. ΤΣ Acusilao (FGrHist 2 F 27) definisce Argo γηγενής. Altri mitografi lo dicono discendente di Arestore

o di Inaco o di Argo, l'eponimo della città (Apollod. 2, 1, 3). Per quest'ultima versione cfr. Egimio, Hes. fr. 294 M.-W.

116 Aesch. Suppl. 305; Prom. 568; Nonn. Dion. 20, 84; Serv. in Verg. Aen. 7, 790.

117 MAEHLER 1997, p. 256 al quale si rinvia per la documentazione. "5 Aesch. Suppl. 303-304. È da sottolineare che nella tradizione più antica Argo aveva quattro occhi (Egimio, Hes. fr. 294 M.-W.). Nello skyphos beotico riportato da Pavese in tav. III (cfr. art. cit. e p. 46) Argo è raffigurato bifronte, quindi con quattro occhi.

15 Cfr. vv. 31- 36. Il supplemento λίέϑωι al v. 32 sembra sicuro. Il senso di μέριμναι al v. 34 non può che essere quello di "piani", "disegni". Le Pieridi al v. 35 indicano il canto e la musica perché Hermes, prima di uccidere Argo, lo addormentò con il suono dell'aulo (Aesch. Prom. 575-75; Soph. Inac. fr. 269 c, 7

Radt = P.Tebt. 692 fr. 1, col. 1 7, in cui Hermes è di scena suonando il flauto), ma specificano anche la notoria passione del mandriano per il canto, corne si ricava dal fr. 281 Radt sempre dell'Inaco di Sofocle in cui Argo è rappresentato mentre, cantando, veglia su lo (sull'interpretazione del frammento vd. Pavese, art. cit. p. 47). Sull'Inaco in generale vd. R. KRUMEICH - N. PECHSTEIN - B. SEIDENSTICKER, op. cit. pp. 313-343.

L'Argolide e Bacchilide

145

Sulla base delle considerazioni fatte si puó giungere alla conclusione che nel ditirambo composto per Atene Bacchilide, nell'affrontare il mito di Io, non si discosta dalla versio-

ne più propriamente ateniese.

È fuori luogo, allora, suggerire — in ordine a una visione complessiva dei quattro carmi presi in esame — che solo durante e dopo il soggiorno nel Peloponneso, Bacchilide si facesse portavoce abbastanza fedele delle tradizioni che circolavano nella regione dell'Argolide? È fuori luogo chiedersi se a partire dal 458 a. C., negli anni dell'esilio, oppure negli anni che subito dopo lo seguirono, il poeta avvertisse il peso e l'importanza di tradizioni locali, scritte e orali nord-peloponnesiache di cui, in assoluto, abbiamo poche tracce, ma di cui forse è ravvisabile un ricordo nella sua produzione poetica?

TEATRO

MAPPE

DI ARGO, GUIDO

NELLA TRAGEDIA AVEZZÙ

Due premesse, brevi ma indispensabili: la prima, di carattere generale, sulle localizzazioni delle tragedie; l’altra riguardante la presenza di Argo nella tragedia del V secolo”. 0.1. Se consideriamo i drammi seri e i satireschi del V secolo e proviamo a redigere un prospetto esaustivo delle ambientazioni adottate dagli autori tragici, riscontriamo una sostanziale unitarietà delle localizzazioni, con rare eccezioni (p. es. Eumenidi e Aiace) . Il dato che emerge dai drammi conservati — con l'eccezione ‘debole’ rappresentata dall'Aiace, e quella ‘forte’ costituita dalle Eumenidi — si può presumibilmente estendere

ai drammi noti solo da frammenti più o meno numerosi ed estesi. Ma dal 386 a. C. la consuetudine di riprendere fuori concorso un dramma dei tre tragici maggiori sollecita l'emulazione fra i ‘Îmoderni’ e gli ‘antichi’ in forme presumibilmente diverse da quelle che avevano caratterizzato la ripresa dei complessi mitici più frequentati dagli autori del V secolo: perciò è possibile che anche la locazione del plot e, in genere, le convenzioni che regolavano la gestione dello spazio scenico subiscano consistenti trasformazioni. Ed è probabile che le convenzioni relative all'ambientazione e allo spazio scenico si trasformino anche in conseguenza del diverso rapporto tra il coro e l'azione drammatica, instauratosi alla fine del V secolo? . In realtà non possediamo documenti che permettano di datare quest'innovazione nel rapporto fra coro e azione nella tragedia — i frammenti papiracei con l'indicazione χοροῦ «μέρος» non riflettono necessariamente la struttura originale dei drammi ma talora solo gli adattamenti subiti nelle riprese; comunque la produzione tarda di Aristofane è di per sé un indicatore sufficientemente attendibile anche per la storia del dramma serio, e possiamo supporre con una certa probabilità che l’“unità di luogo”, nella sua accezione stretta, sia più frequentemente forzata a partire dalla metà del IV secolo. 0.2. Quanto alla localizzazione di tragedie del V secolo in Argo o nell'Argolide, c'è generale consenso sull'opinione che la presenza di Argo nella tragedia ateniese del V " Ringrazio quanti hanno discusso con me i temi di questa comunicazione durante il Convegno urbinate ed Ezio Pellizer, Lucio Cristante, Marco Fernandelli e Andrea Tessier, prodighi di suggerimenti in occasione di un seminario tenuto presso il Dipartimento di Scienze dell'antichità dell'Università di Trieste. ! A. BERNAND, La carte du tragique. La géographie dans la tragédie grecque, Paris 1985, non si occupa dei drammi frammentari, diversamente da I. CHALKIA, Lieuxet espace dans la tragédie d'Euripide. Essai d'analyse

socio-culturelle, Thessaloniki 1986, che offre un quadro completo e generalmente informato.

2 Cfr. O. TaPu, The Stagecraft of Aeschylus, Oxford 19897, p. 103 s.: "in Sophocles and Euripides the

scene can only be changed if the chorus is taken off and then brought back on at the new location. [...] On the other hand, in post-classical tragedy, where the chorus was detached from the play, changes of scene between the acts were probably common "; vd. anche p. 49 n. 2.

150

Guido Avezzu

secolo sia ispirata, oltre che dal fascino esercitato da tradizioni mitologiche disponibili ad essere 'transmodalizzate? nel teatro, soprattutto dai rapporti politici e diplomatici intercorrenti fra Atene ed Argo. Anche a questo proposito sarebbe senz'altro interessante studiare sistematicamente come i rapporti reali si costituiscano nell'immaginario e interagiscano con il portato della tradizione. Per quanto riguarda il V secolo, la svolta decisiva nelle relazioni fra Atene ed Argo é rappresentata dal trattato di alleanza stipulato intorno al 462; l'istituzione, in quegli stessi anni, della democrazia in Argo, e la persistenza della secolare contrapposizione a Sparta forniscono lo sfondo ideologico contro il quale il critico moderno puó postulare che Argo - intendo la città della scena tragica — rappresenti, a partire dalle Supplici eschilee, un duplicato di Atene stessa: un'ambientazione alternativa ad Atene, ma non nel senso che realizzi un antimodello, (per intenderci: come Tebe nello schematismo, forse eccessivo, di Froma Zeitlin, "the

anti-city to Athens’ manifest image of itself")*, e invece come una polis che con Atene condivide i meccanismi di partecipazione del demos e perció puó incarnarli paradigmaticamente sulla scena’. Da questo punto di vista parrebbe contare poco il fatto che a suo tempo Pisistrato si fosse giovato del supporto argivo per conquistare, o riconquistare, il potere’, come del resto contano poco, nell'elaborazione ideologica dei tragediografi, sia il presunto o reale medismos di Argo sia, per contrasto e sotto un profilo pià generale, il ruolo antitirannico svolto tradizionalmente da Sparta. La crescita economica di Argo dal quarto decennio del V secolo — una conseguenza a medio termine dei mutamenti sociali e politici causati dalla bruciante sconfitta inflitta dagli Spartani ai primi del secolo” — e lo sviluppo di un complesso programma urbanistico, sia tra le mura che nella piana circostante, avranno senz'altro potenziato la proiezione di Argo ‘mitica’ e ‘storica’ nell'immaginario del pubblico ateniese. Dobbiamo però guardarci dalle semplificazioni. Le Supplici di Eschilo coincidono con la svolta democratica di Argo e col trattato di alleanza che la lega ad Atene? ; ma se il voto dell'assemblea argiva che corona le aspettative delle Danaidi offre il paradigma del metodo democratico, il resto della trilogia illustra però che questa decisione non fu immune da conseguenze e finì per incidere sulle istituzioni della città ospite. Perciò l'analogia con qualunque polis democratica e con quella per eccellenza, Atene, non esaurisce le valenze politiche del dramma. Al punto che si è potuto anche ravvisare nella supplica delle Danaidi la tempestiva rappresentazione della supplica di Periclide, l'ambasciatore spartano che, “seduto sull'altare, vestito del suo mantello rosso”, 3 Secondo la terminologia e nella prospettiva di G. GENETTE, Palinsesti. La letteratura al secondo grado (1982), Torino 1997, p. 334 s.

“F.I. Zerrun, Staging Dionysus between Thebes and Athens’, in TH. H. CARPENTER - CHR. A. FARAONE

(eds.), Masks of Dionysus, Ithaca-London 1993, pp. 147-182: p. 149.

* Vd. p. es. F. SCHACHERMEYER, Die frühe Klassik der Griechen, Stuttgart 1966, p. 143 e la sintesi tracciata

a proposito delle Supplici eschilee da A. Leskv, La poesia tragica dei Greci (Góttingen 19725), Bologna 1996, P. 1545.

$ Come testimonia Arist. Ath. resp. 17,4 e 15, 3.

7 Probabilmente nel 494, cfr. R. A. TomLINSON, Argos and the Argolid, from the End of the Bronze Age to the Roman Occupation, London 1972, p. 93.

* Tanto che August Boeckh poteva considerare plausibile, per motivi di ordine storico, una datazione delle Supplici intermedia fra i Persiani e i Sette o finanche di poco precedente l'Orestea (Graecae tragoediae principum [...] quae supersunt, Heidelberg 1808, p. 54).

* Vd. Aristoph. Lys. 1137 ss.

Mappe di Argo, nella tragedia

151

impetrava un'armata contro i Messeni, e nella trilogia un attacco a Cimone, fautore

presso il demos ateniese dell'intervento militare al fianco degli Spartani'?. Pur non volendo aderire a questa ipotesi, isolare le Supplici dalla trilogia sarebbe comunque imprudente: possiamo leggervi la celebrazione di una concorde azione politica fondata sull'affinità costituzionale solo a patto di immaginare che questa celebrazione dialettizzasse con la seconda stazione della trilogia (gli Egizi) ed eventualmente trovasse una definitiva consacrazione nella sua conclusione (le Danaidi).

A proposito di Argo come di qualunque altra polis della scena, piuttosto che limitarci a cercare nei drammi i riflessi degli eventi politici interni e delle relazioni internazionali -- noti solo precariamente, gli uni e le altre - dobbiamo anzitutto cogliere la peculiare stilizzazione cui soggiace la scelta di un determinato spazio come spazio del dramma. Il termine stilizzazione è di Froma Zeitlin, che, come è noto, definisce la sua metodologia

a proposito di Tebe: "I stress the notion of stylization, for neither does this "Thebes' (or this ‘Athens’) precisely mirror any historical reality nor are the uses of Dionysus (or of any ofthe

other gods, for that matter) to be extrapolated in any literal sense from cultic reality". Sullo sfondo é una nozione, espressa in termini particolarmente efficaci da Carola Greengard, sulla quale sarebbe bene si trovassero d'accordo gli storici e gli studiosi di letteratura: "Historical reality in the sense of particular political or military events and personnages is

something very different than historical reality in the sense of public attitudes towards those events and figures"? .

Per affrontare finalmente il nostro argomento, procederò all'analisi delle Supplici di Eschilo e dell'Elettra di Sofocle. 1. Le Supplici di Eschilo e lo spazio dell'hikesia Nella trilogia delle Danaidi il primo dramma é ambientato tra la costa e la città. Le due parodoi danno una verso la lontananza indefinita dell'Africa settentrionale, il luogo

di dove le Danaidi provengono e insieme l'orizzonte minaccioso dal quale si materializzano i cugini, i figli di Egitto, e l'altra verso la città di Argo. Il dramma è scandito dai movimenti di personaggi da e per Argo. Al v. 234 arriva da Argo il re Pelasgo, Danao vi si reca al v. 503, al v. 523 Pelasgo torna in città e al v. 600 ne ritorna Danao, al v. 775 Danao si reca nuovamente ad Argo, di dove

arriva in soccorso Pelasgo al v. 911; di nuovo esce Pelasgo al v. 974, e rientra Danao al v. 980; tutti si dirigono infine verso Argo (v. 1073). Quanto all'altra direzione: al v. 1 arrivano dal mare Danao e le figlie, al v. 825 l'Araldo degli Egizi, che fa ritorno alla costa al v. 951.

1° È la tesi di A. H. SOMMERSTEIN, Aeschylean Tragedy, Bari 1996, p. 409: "The Suppliant Maidens may have been designed in part to remind potential voters of how Cimon had ‘deceived’ and 'humiliated' the Athenian people"; cfr. Plut. Cim. 16, 4-10. Ancora diversa la posizione espressa da G. SALANITRO ('L'Orestea € la politica estera di Atene', Syc. Gymn. n. s. 19, 1966, pp. 153-173, in part. p. 158 n. 20, e ‘La data e il significato politico delle Supplici di Eschilo', Helikon 8, 1968, pp. 311-340), che comunque propende per

una lettura 'conservatrice' delle Supplici.

MF. ]. Zerrum, "Staging Dionysus ...', cit. p. 148 s. V €. GREENGARD, Theatrein Crisis: Sophocles' Reconstruction of Genre and Politics in 'Philoctetes', Amsterdam

1987, p. 9.

152

Guido Avezzú v.

mare

personaggi / scena

Argo

1 234

>

Danaidi, Danao Pelasgo

E

503

Danao

>

523

Pelasgo

=>

600

Danao

E

775

Danao

>

825

>

Araldo

951