La possessione di Loudun
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22 mm

MICHEL DE CERTEAU

MICHEL DE CERTEAU

Seminario di Teoria della Narrazione

hi-storytelling Collana di testi e studi a cura di Barnaba Maj e Rossana Lista

La possessione di Loudun

Nel 1632, la peste si abbatte ancora una volta sulla città di Loudun. Con le sue 3 700 vittime su una popolazione di circa 14 000 abitanti, essa ha reso dappertutto presente la morte. È un male senza spiegazioni, quasi un male teologico, che aggiunge i suoi effetti a quelli delle guerre di religione. Nell’unità del credo, già da queste lacerata, più forte si fa l’insidia del dubbio. Infatti, se in un primo tempo il terrore suscita lo slancio mistico e le mortificazioni, in un secondo tempo, contro l’ostinato silenzio di Dio si leva il grido della disperazione, il riso della blasfemia, la liturgia dei saturnali. Ma quando in città si registrano ormai gli ultimi casi di peste, un nuovo male ne prende allora il posto: i casi di possessione diabolica nel convento delle orsoline. Diversamente dalla peste, la possessione è meglio delimitata, ma soprattutto essa offre una “spiegazione”, perché il male sarà attribuito a una causa – straordinaria, diabolica – distinta dalla natura umana. Essa è insieme sintomo e soluzione transitoria di una società che sta perdendo le sue certezze e cerca di darsene di nuove. Il diavolo, la posseduta (la priora Jeanne des Anges) e lo stregone (il curato Urbain Grandier) sono infatti i protagonisti di uno spettacolo diabolico, intorno al quale tutta una società malata si riunisce per guarire se stessa. Attraverso l’analisi dei manoscritti relativi al caso Loudun, Certeau ricostruisce la rete linguistica ed epistemologica delle tensioni sociali, religiose e politiche che hanno organizzato la scena diabolica. Straordinario intreccio fra i pezzi d’archivio e il commento, questo libro non smette di ricordare che esso rinvia a una realtà che non è più: un passato. Esso resta spezzato da un’assenza.

LA POSSESSIONE DI LOUDUN Traduzione e cura di Documento acquistato da () il 2023/05/03.

Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere BOLOGNA

Rossana Lista

MICHEL DE CERTEAU (1925-1986), è una delle figure più singolari, perciò più importanti, della scuola degli storici francesi. Una lucidità straordinaria illumina la sua ricerca, caratterizzata dal costante travalicamento delle frontiere tra i campi del sapere: antropologia, linguistica e psicoanalisi informano la sua metodologia storica. Tra le sue opere principali ricordiamo: Correspondance de Jean-Joseph Surin (1966), La prise de la parole (1968), L’écriture de l’histoire (1975), La Fable mystique, XVIe-XVIIe siècle (1982), Histoire et psychanalyse entre science et fiction (1987).

ISBN 978-88-491-3377-6

€ 18,00

CB 4718

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28-12-2011

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Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere BOLOGNA Seminario di Teoria della Narrazione

hi-storytelling

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Collana di testi e studi a cura di Barnaba Maj e Rossana Lista

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28-12-2011

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Michel de Certeau

La possessione di Loudun Traduzione e cura di

Rossana Lista

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19-01-2012

9:20

Pagina 4

© 2011 by CLUEB Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna

Titolo originale: La possession de Loudun. Édition revue par Luce Giard. © 2005, Editions Gallimard, Paris

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Tutti i diritti sono riservati. Questo volume è protetto da copyright. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in ogni forma e con ogni mezzo, inclusa la fotocopia e la copia su supporti magnetico-ottici senza il consenso scritto dei detentori dei diritti.

de Certeau, Michel La possessione di Loudun. / Michel de Certeau. Traduzione e cura di Rossana Lista. – Bologna : CLUEB, 2011 380 p. ; ill. ; 21 cm (hi-storytelling) ISBN 978-88-491-3377-6

CLUEB Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna 40126 Bologna - Via Marsala 31 Tel. 051 220736 - Fax 051 237758 www.clueb.com Finito di stampare nel mese di dicembre 2011 da Studio Rabbi - Bologna

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Indice

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Introduzione

La possessione di Loudun: una tragedia del linguaggio di Rossana Lista

La storia non è mai sicura

7

23

1

Come nasce una possessione

37

2

Il cerchio magico

55

3

Il discorso della possessione

73

4

L’accusato Urbain Grandier

99

5

La politica a Loudun: Laubardemont

6

Gli inizi dell’istruttoria (dicembre 1633-aprile 1634)

7

139

Il teatro delle possedute (primavera 1634)

8

119

153

Lo sguardo dei medici (primavera 1634)

191

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9

Teratologia della verità

211

I L’immaginazione della filosofia II Il mentitore della teologia

213 237

10 Il giudizio dello stregone (8 luglio-18 agosto 1634)

257

11 L’esecuzione. Leggenda e storia (18 agosto 1634)

285

12 Dopo la morte, la letteratura

301

13 Il tempo della spiritualità. Padre Surin

329

14 Il trionfo di Jeanne des Anges

351

Le figure dell’altro

371

Fonti e bibliografia

375

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La possessione di Loudun: una tragedia del linguaggio di Rossana Lista

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Loudun ovvero un lapsus della trasformazione Nel saggio Le langage altéré. La parole de la possédée, lo stesso Certeau ha definito l’obiettivo primario de La Possession de Loudun1 in questi termini: Quel primo studio […] cercava di comprendere lo spettacolo diabolico come fenomeno sociale, esaminando le regole a cui obbediva la recitazione dei personaggi in campo religioso, medico o politico, e le relazioni che i processi di acculturazione sociale mantenevano con una logica dell’immaginario2.

Pur nella sua estrema sintesi, questa formulazione riassume la sostanza del nucleo, insieme empirico e teorico, che sta a fondamento della complessa articolazione epistemologica dello studio storiografico di Certeau. Le parole «spettacolo», «recitazione», «personaggi» 1

Apparsa nel 1970 nella collezione «Archives», diretta da Pierre Nora e Jacques Revel per le edizioni Julliard, l’opera è stata in seguito più volte ristampata (1980, 1990) nella stessa collezione per le edizioni Gallimard e Julliard, con qualche correzione dell’autore. L’edizione di riferimento per la presente traduzione è quella stabilita da Luce Giard (Gallimard 2005). 2 Cfr. L’écriture de l’histoire, Gallimard, Paris 1975, trad. it. di A. Jeronimidis, La scrittura della storia, Introduzione di S. Facioni, Jaca Book, Milano 2006, p. 255. Questo saggio è stato inserito come quarto capitolo: Il linguaggio alterato. La parola della posseduta. Qui Certeau si propone di rispondere a una questione lasciata in sospeso ne La possession de Loudun, vale a dire il discorso stesso delle possedute, partendo da un preciso e più generale interrogativo: «esiste nella possessione un “discorso dell’altro”?», ibid., (c. n.).

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non sono usate qui in un’accezione esclusivamente metaforica, esse sono piuttosto i termini di una logica teatrale che sottende e insieme costituisce la crisi «diabolica». Attraverso l’analisi di manoscritti e opere antiche relative al caso Loudun, Certeau ricostruisce la rete linguistica ed epistemologica delle tensioni sociali, religiose e politiche che organizzano la scena diabolica. Le “diavolerie”, infatti, da un lato sono il sintomo di una società che sta perdendo le sue certezze, dall’altro la soluzione transitoria con cui essa cerca di darsene di nuove. Alla società esse offrono un «luogo» o, per meglio dire, le circoscrivono uno spazio di miniaturizzazione, oggettivazione e autorappresentazione – un teatro, quindi – sul quale va in scena la rappresentazione di una trasformazione delle strutture linguistiche ed epistemologiche, attraverso cui le forze religiose e politiche apparentemente convergenti in realtà si contendono un credo e un sapere: un potere, infine. In un quadro di riferimento in piena trasformazione storica, questo spazio teatrale mette in scena una riconfigurazione delle rappresentazioni sociali la cui posta in gioco è il potere stesso. Anche per questo, si tratta di una “messa in scena” che esige comunque “una messa a morte”: quella dello stregone. Come narra Certeau, nel 1632 a Loudun la morte era già da tempo una presenza familiare. In quell’anno, la peste, un male senza spiegazione – quasi un male teologico –, colpisce ancora una volta la città. Se in un primo tempo il terrore suscita lo slancio mistico e le mortificazioni, in un secondo tempo, contro l’ostinato silenzio di Dio si leva il grido della disperazione, il riso della blasfemia, la liturgia dei saturnali. Nell’unità del credo, già lacerata dalle guerre di religione, si insinua l’insidia del dubbio e con esso la minaccia dell’ateismo. Ateismo, stregoneria e mistica, questi tre fenomeni sincroni, queste tre varianti di una nuova strutturazione sociale, sono per Certeau il segno dell’incapacità da parte delle Chiese – localizzate e divise al loro interno – di dare ormai alla vita sociale un’unità di integrazione sociale e politica. Si tratta di

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sfaldature sociali a cui corrisponde sul piano dottrinale una disarticolazione dell’unità del discorso:

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nei libertini, le condotte del sapere si disgiungono dalla «ragione» unitaria il cui principio era la fede; nella stregoneria, i simboli collettivi di appartenenza religiosa si distaccano dalle Chiese per formare il lessico immaginario di un’anti-società; negli «spirituali», l’esperienza personale apre itinerari biografici o psicologici estranei ai linguaggi istituzionali e teologici che fino ad allora organizzavano il suo sviluppo3.

In questa disarticolazione, altri discorsi – quello politico in primo luogo – cominciano a diventare il referente comune di una battaglia per la verità. Sulla superficie di una tale trasformazione socioculturale, Loudun è per così dire una sorta di ascesso. Con il Trattato di Loudun (1616) la città era divenuta un luogo di sicurezza per gli ugonotti, ma con la presa de La Rochelle (1628) nuove minacce incombono. La compresenza delle due Chiese avverse (cattolica e protestante), la cui opposizione significa anche una reciproca relativizzazione, rende sempre più urgente la necessità di una legalità di natura diversa. In conformità con la funzione svolta dalle figure retoriche nel sistema freudiano, Loudun è per Certeau di volta in volta la metafora e la metonimia dell’affermazione di una nuova forma di razionalità, della sostituzione della «ragion di Stato» alla ragione religiosa4. Ma essa è anche il lapsus 5, la rivelazione di un’ambiguità della parola, che in apparenza continua a esprimersi secondo forme discorsive esistenti ma che invece, già rispetto a queste, in realtà dice 3

M. de Certeau, La formalità delle pratiche. Dal sistema religioso all’etica dell’Illuminismo (XVII-XVIII secolo), in La scrittura della storia, cit., p. 161. 4 Cfr. M. de Certeau, La scrittura della storia, cit., p. 255; vedi inoltre É. Thuau, Raison d’État et Pensée Politique à l’époque de Richelieu, Armand Colin, Paris Cedex 1966. 5 In una trasmissione radiofonica di France-Culture del 12 aprile 1970, Certeau stesso affermava: «Je prends Loudun un peu comme Freud prend le lapsus dans un discours».

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e intende altro. La trasformazione si manifesta dunque non nel contenuto delle pratiche ma nel loro modo di funzionare, vale a dire in ciò che Certeau definisce la loro formalità. Con questa sottile distinzione, si delinea una concezione nuova del mutamento storico, secondo cui esso non va più tradizionalmente inteso come il semplice risultato dell’irruzione di qualcosa di nuovo che si oppone all’esistente, ma come qualcosa che sorge in virtù di una riorganizzazione formale, in cui gli elementi appartenenti al passato non scompaiono del tutto ma, per effetto di spostamenti (déplacements) e reimpieghi (réemplois), assumono una diversa fisionomia.

La storia non è mai sicura Quel «cercare di comprendere» (tâcher de comprendre) della citazione iniziale si riallaccia a «il faut d’abord essayer de comprendre», con cui Certeau chiude il testo inaugurale de La possessione di Loudun, dal significativo titolo La storia non è mai sicura. Non è il primo capitolo di questa storia, è insieme il fondamento della sua possibilità e la deissi o prolessi di un écart – di un’assenza nella forma della differenza. Certeau ricorda che la ricerca storica comincia sempre da un presente che non è mai neutro e che fornisce la légende, intesa sia come leggenda, quindi narrazione preesistente intorno al passato, sia come legenda, vale a dire indicazione di ciò che deve essere letto nel passato, attraverso la definizione delle fonti, dei criteri d’informazione e d’interpretazione. Il testo storiografico si costruisce a partire da due serie di dati: da un lato, le «idee» che abbiamo intorno a un passato, quelle che antichi materiali veicolano, sebbene in circuiti istituiti da una mentalità nuova – e qui è possibile ravvisare una certa influenza

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hegeliana6 su Certeau, in quanto le «idee» così intese richiamano quell’unità di concetto e realtà caratteristica dello spirito oggettivo hegeliano –; dall’altro i documenti e gli archivi, che sono resti a cui una selezione in realtà non sempre casuale ha già preliminarmente assegnato anche un significato: Tra le due, una differenza permette di scoprire una distanza storica, alla maniera in cui l’osservazione a partire da due punti lontani permise a Le Verrier l’invenzione di un pianeta ancora sconosciuto. È in questo entre-deux che si è formato questo libro su Loudun. Esso è percorso dall’alto in basso da una crepa, che rivela la combinazione, o il rapporto, che rende possibile la storia. Essendo diviso tra il commento e i pezzi d’archivio, esso rinvia quindi a una realtà che aveva ieri la sua vivente unità, e che non è più. È insomma spezzato da un’assenza. Ha una forma proporzionata a ciò che esso racconta: un passato. Comunque, ciascuna delle sue metà dice dell’altra ciò che le manca, piuttosto che la sua verità7.

Si tratta di un passaggio fondamentale, perché esso delinea già gli elementi intorno ai quali si snoderà la successiva riflessione di 6 Grazie soprattutto all’insegnamento di padre Joseph Gauvin, che nell’anno 1953-1954 tenne un seminario intensivo (sei ore al giorno) di lettura in lingua originale della Fenomenologia dello Spirito, Hegel occupa una posizione centrale nella formazione filosofica di Certeau. Luce Giard parla di vera e propria matrice hegeliana del suo pensiero, sebbene la filosofia di Hegel non sia quasi mai oggetto di citazioni esplicite o discussioni precise. Pur facendo propria l’interrogazione che aveva voluto pensare Dio nella storia degli uomini, le società nella molteplicità delle loro determinazioni e nell’estensione del loro divenire, il pensiero nella produzione delle sue proprie condizioni d’intellegibilità, Certeau non è un hegeliano strictu sensu per una ragione fondamentale. Sul piano conoscitivo, infatti, egli nega l’esistenza tanto di una posizione assoluta a partire dalla quale sarebbe legittimo leggere e pensare la storia degli uomini, quanto di un primato della filosofia sullo storiografia. Sul tema: L. Giard, Mystique et politique, ou l’institution comme objet second, in L. Giard, H. Martin, J. Revel, Histoire, Mystique et Politique. Michel de Certeau, Jérome Millon, Grenoble 1991, pp. 27-36. 7 Infra, p. 34.

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Certeau sulla pratica e la teoria della storiografia, la quale presenta – in un senso ancora hegeliano – uno sviluppo a spirale, con ritorni continui e successivi approfondimenti. L’entre-deux costituisce la cifra insieme di un’epistemologia e di una condizione storica. Come le anomalie riscontrate nell’orbita di Urano permisero all’astronomo Le Verrier di congetturare e scoprire per via del solo calcolo matematico l’esistenza di un pianeta non ancora osservato – Nettuno –, così lo scarto e la differenza tra un presente attraversato dal passato e un passato rifratto dalla stratificazione dei presenti consentono allo storico di inventare il proprio oggetto, secondo un’accezione del termine che conserva il significato originario di invenire, vale a dire “trovare”, accanto a quello moderno di “immaginare”8. Si tratta di una coabitazione semantica che lascia intravedere fin da ora i poli di un possibile ossimoro: l’histoire entre science et fiction. Sono i termini insieme di un’ambizione –: voler dire – e di un’impossibilità –: non potere non tacere. La loro combinazione rende tuttavia possibile la storia. Lo stile di Certeau mira precisamente a rendere visibile questa differenza. Come lo scrittore “realista”, egli cerca la lingua che sia l’idion del suo oggetto. L’oggetto è il passato che non è più, un assente, che non potrà mai essere osservato direttamente. Quale scrittura può dirlo? Esso può forse essere indicato ma non mostrato. L’articolazione di due scritture diverse – quella del commento che viene dal presente e quella dei documenti che portano iscritta un’estraneità inaudita –, rende percepibile una crepa, in cui rifluisce un’assenza. Qui un testo di8ȱFra Hans Blumenberg e Certeau non sembra esistere alcun punto di contatto. Pure va notato che, dietro l’evoluzione del termine, c’è probabilmente l’osservazione dello stesso mutamento che Hans Blumenberg registra a proposito del significato del termine idea: se nel suo originario significato platonico essa riguarda soltanto i modelli di ciò che si trova in natura e che l’uomo si limita a riprodurre in copie, in età moderna designa anche un progetto pensato in modo indipendente dal dato naturale: cfr. H. Blumenberg, Geschichte der Technik, A. Schmitz und B. Stiegler (Hg.), Suhrkamp, Frankfurt am Main 2009. L’ambivalenza semantica sopra accennata si ritrova peraltro anche nel verbo tedesco erfinden.ȱȱ

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ce dell’altro solo ciò che gli manca. Anche quando il commento tende a intersecarsi con il documento, non è possibile assegnare un luogo alla verità. La crepa dell’assente, infatti, è questo nonluogo, che si apre nella scrittura e che, come l’ulteriore riflessione di Certeau spiegherà radicalizzandola ulteriormente, è all’origine dell’atto stesso dello scrivere (l’écriture, appunto). Nel passaggio semantico da essayer a tâcher de comprendre, infatti, accanto a una specifica presa di posizione epistemologica si potrebbe ravvisare il profilarsi della consapevolezza di una precisa condizione ontologica. Il verbo francese tâcher esprime per il soggetto tanto uno sforzo quanto un dovere, che nei confronti di qualcuno o qualcosa sparito per sempre, vale a dire rispetto a una perdita (perte), assume la forma di un obbligo (obligation) o di un debito (dette). Nei confronti di un’eredità assente, infatti, questo obbligo prende il carattere dell’indebitamento: «sempre debitore di una morte, indebitato rispetto alla sparizione di una “sostanza” genealogica e territoriale»9. Nella riflessione che ne L’écriture de l’histoire Certeau dedica all’opera «testamentaria»10 di Sigmund 9 M. de Certeau, La fiction de l’histoire. L’écriture de «Moïse et le Monotheisme», in L’écriture de l’histoire, cit., p. 382, trad. it. La finzione della storia. La scrittura di «Mosé e il Monoteismo», in La scrittura della storia, cit., p. 335.

Seppur sulla scorta dell’elaborazione heideggeriana intorno alla nozione di Schuld (che significa sia colpa che debito), molto tardivamente Ricœur riprenderà la formulazione di Certeau per il suo concetto di debito (dette) nei confronti del passato: cfr. P. Ricœur, La mémoire, l’histoire, l’oubli, Seuil, Paris 2000, ed. it. a c. di D. Iannotta, La memoria, la storia, l’oblio, Raffaello Cortina, Milano 2003, pp. 517-527. 10 Certeau usa quest’aggettivo non nel senso di ultima opera, sebbene lo sia, ma, come egli stesso precisa, nel senso di Kafka, quale si esprime nella lettera a Max Brod (giugno 1921) sugli scrittori ebrei. Secondo Kafka, questi si dibattevano fra tre impossibilità: l’impossibilità di non scrivere, l’impossibilità di scrivere in tedesco, l’impossibilità di scrivere in un’altra lingua, alle quali se ne poteva aggiungere una quarta: l’impossibilità di scrivere. La loro disperazione non era infatti qualcosa che la scrittura avrebbe potuto lenire, questa perciò non era che uno stato provvisorio, come lo è per uno che scrive il suo testamento (Testa-

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Freud, Der Mann Moses und die Monotheistische Religion. Drei Abhandlungen11 – testo su cui farà costante ritorno –, sono questa perdita e questo obbligo a costituire gli elementi genetici della scrittura tout court. A Freud e al suo Mosé egizio spetta il merito di avere rivelato il segreto di questa genesi.

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Magistrati e stregoni: coesistenze non riducibili Anche per quanto concerne i “processi di acculturazione”, la prospettiva di Certeau rompe con la visione tradizionale che, in maniera meccanicamente dicotomica, opponeva la cultura popolare alla cultura dotta – un tema che verrà poi ripreso più volte in differenti occasioni, anche in base alle esperienze nel continente americano. Secondo questa visione la linea del progresso culturale discende dall’élite alla massa; così, nel caso di Loudun, dai giudici supremi alle clientele rurali. Il riferimento corre all’opera che, come Certeau stesso riconosce, sta all’origine stessa del suo libro:

Magistrats et sorciers en France au XVIIe siècle: une analyse de psychologie historique12 di Robert Mandrou, lo storico che, insieme a Lucien Febvre e Georges Duby, compone la costellazione ment) proprio prima di impiccarsi, uno stato provvisorio che può tuttavia durare tutta la vita. Una scrittura, si potrebbe dire, che si dà soltanto per disconoscere se stessa. 11 Prima edizione: Allert de Lange, Amsterdam 1939, poi in Gesammelte Werke, Bd. XVI, 1950, pp. 101-246; trad. it. L’uomo Mosè e la religione monoteistica. Tre saggi, in Opere, a c. di C. L. Musatti, vol. XI, Bollati Boringhieri, Torino 2003, pp. 329-453. Sempre per Bollati Boringhieri nel 2002 è apparsa un’edizione singola a c. di P.C. Bori, G. Contri, E. Sagittario. 12 Plon, Paris 1968, trad. it. di G. Ferrara, Magistrati e streghe nella Francia del Seicento: un’analisi di psicologia storica, Laterza, Bari 1971. Nel 1961 Mandrou ha pubblicato lo studio pionieristico per la storia delle mentalità: Introduction à la France moderne, essai de psychologie historique, 1500-1640. Non a caso nel 1968 fu incaricato di redigere l’articolo “L’histoire des mentalités” sotto la voce «Histoire» dell’Encyclopædia Universalis.

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di riferimento per la cosiddetta storia delle mentalità13. Questo studio poderoso è dedicato al profondo cambiamento che, nel corso del XVII secolo, si registra nell’atteggiamento dei magistrati rispetto ai fenomeni di stregoneria. Durante la prima metà del secolo, nei tre grandi processi di Aix, Loudun e Louvriers, i magistrati si pronunciano per la condanna dei seguaci di Satana, alla fine del secolo invece i parlamenti (i tribunali di allora) hanno tutti rinunciato a questo genere di accuse. Come spiegare questo cambiamento? Mandrou ritiene che si tratti di un mutamento intervenuto nella struttura mentale di una cultura di élite – quella dei magistrati, appunto –, che può essere identificata con il progresso della Ragione. Soltanto due anni prima, Certeau aveva curato la Correspondance14 di uno dei maggiori protagonisti dell’affaire di Loudun, il gesuita e mistico Jean-Joseph Surin (1600-1665), incaricato della direzione spirituale della più famosa fra le orsoline possedute, la priora Jeanne des Anges. Già in questo studio di straordinaria erudizione, Certeau respingeva le facili spiegazioni che ricorrono alla patologia per comprendere forme religiose divenute per noi estranee. Soprattutto leggeva l’ascesa sociale dei magistrati (robins) in stretta correlazione con il rinnovamento spirituale dei primi anni del Seicento. All’orizzonte dei suoi studi e alla sua attenzione non poteva certo sfuggire l’indagine di Mandrou, al quale egli dedica un vero e proprio studio: «Une mutation culturelle et reli-

13 Secondo questa concezione storiografica la mentalità sembrava rivelarsi di preferenza nel dominio dell’irrazionale e dello straordinario, da qui la proliferazione di studi sulla stregoneria, l’eresia e il millenarismo. Cfr. J. Le Goff, Les mentalités. Une histoire ambigüe, in Faire de l’histoire, par J. Le Goff, P. Nora, Gallimard, Paris 1974; ed. it. (parziale), Fare storia, Einaudi, Torino 1981. 14 J.-J. Surin, Correspondance, texte établi, présenté et annoté par Michel de Certeau, Préface de Julien Green, Desclée de Brouwer, Paris 1966. La presentazione è tradotta in italiano in M. de Certeau, Politica e mistica. Questioni di storia religiosa, Jaca Book, Milano 1975.

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gieuse: les magistrats devant les sorciers du XVIIe siècle»15. In questo saggio critico sono già poste le questioni storiche, epistemologiche e metodologiche che stanno a fondamento de La possessione di Loudun. L’interrogativo da cui Certeau parte è rovesciato rispetto all’approccio di Mandrou. Sembra il caso di dire, infatti, che i magistrati hanno fatto accedere allo statuto di una norma la sorda ribellione che affermavano già i “seguaci di Satana”. In altre parole, a ciò che prima combattevano, cioè un fenomeno legato a un malessere religioso e culturale, essi avrebbero fornito una razionalizzazione accettabile ma in termini che ormai non sono più religiosi. Certeau considera la crisi di civilizzazione del XVII secolo come un fenomeno globale, per cui il movimento o l’“inquietudine” che scuote il terreno culturale trova eguale se non forse primaria espressione nelle “emozioni” popolari, anche quando queste si manifestano nel vocabolario arcaicizzante del diabolico, prima che l’elaborazione di una filosofia comune e di un diritto nuovo fornisca loro uno statuto razionale. Magistrati, stregoni e possedute, quindi, sarebbero tutti allo stesso titolo indicatori e attori di un medesimo mutamento: il passaggio di un’opposizione dalla sua forma arcaica e religiosa (demonologica) a una natura politica (le ribellioni) o psicologica (le malattie mentali)16. Lo statuto dei termini dell’opposizione è dato da una configurazione differente che definisce e instaura nuove polarità. In termini foucaultiani, si tratta di un vero e proprio mutamento

15

In Revue d’histoire de l’Église de France, t. 55, 1969, pp. 300-319, poi ripreso con il titolo «La magistrature devant la sorcellerie au XVIIe siècle», in L’Absent de l’histoire, Mame, Paris 1973, pp. 13-39, trad. it. di A. Loaldi, Un

mutamento culturale e religioso: i magistrati davanti agli stregoni del XVII secolo, in Politica e mistica, cit., pp. 169-194. 16 L’aggettivo satanico non scompare ma trova un reimpiego proprio per la connotazione di un evento storico-politico: Joseph de Maistre parlerà infatti di carattere satanico della Rivoluzione francese.

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di episteme17, in virtù del quale una società pensa se stessa e il suo rapporto con il mondo in modo diverso. Alla lettura dei segni che indicano l’immanenza di forze naturali e sovrannaturali stanno per sostituirsi criteri scientifici o politici, e infine, in senso più lato il pensiero del potere dell’uomo sulle cose.

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Un mutamento di episteme Magistrati e medici sono le figure chiamate a decidere della realtà e della natura dei casi di stregoneria o possessione. Essi sono posti davanti a questioni teoriche fondamentali, che riguardano la natura della conoscenza stessa: che cos’è soprannaturale? In che cosa consiste la natura? Che cos’è reale e in base a che cosa riconoscere l’illusorio? E, infine, che cos’è l’esperienza stessa? Frontiere e linee di demarcazione vengono poste tra i fenomeni riconosciuti come sovrannaturali o diabolici e i fenomeni ritenuti naturali. A questa prima “distribuzione geografica” se ne aggiunge poi un’altra, alla fine destinata a trionfare, il cui asse interseca perpendicolarmente quello della precedente. Questa nuova distribuzione assegna l’impero del naturale al visibile, e quello del soprannaturale al mistico, vale a dire a ciò che, essendo interno o nascosto, è invisibile. L’interrogazione sulla realtà dei fenomeni implica quella sulla loro possibilità. Non potendo essere eliminato dalla percezione, lo straordinario – naturale o soprannaturale? – diviene compren17 Nel saggio «Les sciences humaines et la mort de l’homme. Michel Foucault» (Études, marzo 1967, pp. 340-360), dedicato a Les mots et les choses,

oltre a rivendicare l’importante ruolo svolto dalle scienze religiose nell’elaborazione dell’episteme dell’età «classica», Certeau metteva in guardia contro una concezione dell’episteme come sistema e condizione metastorica della storia, quale sembra profilarsi nella natura del postulato metodologico che costituisce l’a priori di Foucault (con il più suggestivo titolo Le noir soleil du langage, il saggio è oggi presente in Histoire et Psychanalyse, Gallimard, Paris 1987, nuova ed. riv. e accr. 2002; trad. it. di G. Brivio, Storia e psicoanalisi. Tra scienza e finzione, Bollati Boringhieri, Torino 2006).

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sibile (e dunque possibile), solo se si ammette o un indefinito di potenze nascoste o un’assenza di delimitazioni del campo della conoscenza: dagli uni esso sarà perciò attribuito a Satana, dagli altri alla natura. Si tratta di concezioni opposte ma rese possibili da un continuum epistemologico18. La definizione di possibile e di impossibile vacilla e cambia. Il «fatto», che è stato «visto», viene ricondotto all’interno di una conoscenza che non esclude l’ignoto e ammette una faglia della scienza e una ricchezza indefinita del reale. Il sapere si sposta, fissando innanzi tutto nuovi luoghi per il non-sapere e dandosi un’altra topografia del suo limite. Un altro tipo di soluzione consiste nel sospettare come illusorio il fatto che sfugge alle regole del quotidiano, di modo che il miracoloso non concerne più il reale, ma solamente l’immaginario. Apparentemente meno teorica, per Certeau questa prospettiva è invece la più radicale, perché mette in causa la percezione stessa. Muovendo da una critica del vedere, essa inaugura una nuova concezione dell’esperienza – considerando che l’intera “esperienza” rimane iscritta in un sistema d’interpretazione19. Si tratta più a fondo di una crisi del vedere, che per reazione inversa, viene esaltato ed esasperato, come mostrano due dipinti paradigmatici ed epocali come l’Incredulità di San Tommaso (1600-1601) di Caravaggio e la Lezione di anatomia del Dottor Tulp (1632) di Rembrandt, nei quali si mette il dito sotto la superficie del vedere, rivelando la crisi della testimonianza (oculare). Si sospetta che qualcosa di appartenente al pensiero intervenga nell’evidenza dell’osservazione. Nel rapporto semplice dello sguardo con il suo oggetto s’insinua il 18

Certeau attribuisce a Foucault il merito di aver dato statuto scientifico a questo problema, in particolare nel capitolo II (La prose du monde) di Les mots et les choses, Gallimard, Paris 1966; trad. it. di E. Panaitescu, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, con un saggio critico di G. Canguilhem, Rizzoli, Milano 2006 (19671). 19 Su tema analogo ha scritto pagine importanti Ezio Raimondi, nella parte introduttiva di Il romanzo senza idillio: saggio sui Promessi sposi, Einaudi, Torino 1974.

18 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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dubbio di una credenza che offusca la vista e di un oggetto che non è che lo specchio di un pensiero che s’inganna. L’illusione riguarda prima la realtà osservata – si tratta di un oggetto illusorio –, per risalire poi allo stesso soggetto conoscente – l’illusione dello spirito. L’inganno getta la sua ombra sull’esperienza. Risulta così scosso nel fondamento l’ordine che nell’esperienza coniugava la ragione e il fatto. Deve essere ripreso in esame e lo sarà attraverso una modificazione delle procedure, vale a dire dei criteri investiti nei modi della verificazione.

Teratologia della verità e la carne-Dio Nel “teatro” di Loudun, dunque, si rivela quanto dubbio sia divenuto lo statuto dei concetti di verità e menzogna. Il quadro cosmologico di riferimento necessario alla definizione dei loro confini è reso incerto dall’avanzata del dubbio. Con esso vacilla anche il riferimento al Dio unico, che assicurava un ordine del cosmo e alle istituzioni cristiane garantiva la leggibilità di una legge del mondo. Così, se Cartesio si interroga sulla possibilità che Dio stesso possa mentire agli uomini, all’opposto, gli esorcisti di Loudun cercano paradossalmente nel diavolo – il Mentitore per eccellenza20 –, un ultimo testimone sicuro della verità della fede. Se più tardi in Paradise Lost (1667) John Milton fa di Satana la perfetta incarnazione dell’ambiguità morale, a Loudun il demonio diventa la «sfinge di una verità mescolata alla menzogna». In questo mondo di immaginazione e menzogna s’immergono i dotti di Loudun, nel convincimento di riconoscere la verità at-

20

Il termine greco diábolos significa, infatti, letteralmente “maldicente, diffamatore, calunniatore”. Esso rappresenta l’insidia metafisica del rapporto tra linguaggio e cose. Della realtà e verità di questo rapporto Dio è garante per la performatività creativa della sua stessa parola e l’uomo ne è il custode, poiché a lui Dio ha affidato l’atto di nominazione (Genesi 1 e 2).

19 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

traverso l’inversione e la difformità dei suoi segni. Si pratica quella che Certeau definisce una Teratologia della verità:

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Gli eruditi che si pronunciano sulla possessione, più che di estrarre dal male il naturale e dall’inganno l’autentico cercano di riconoscere la natura (o il soprannaturale) nel suo stato difforme e la verità divenuta mostruosa o erronea. Certo, il proposito è temerario; rischia di rovesciarsi nel suo contrario, poiché esso porta a chiedersi se la natura non è fondamentalmente malata, o se la verità non è che un’illusione che s’ignora 21.

Surin accetta questa mescolanza del vero e del falso, ma la situa nelle duplicità del cuore, sul quale egli si propone di agire per mezzo delle comunicazioni spirituali, condannando perciò ogni forma spettacolare di esorcismo22. La pratica dell’esorcismo, infatti, ha subito una notevole distorsione. Vira verso le pratiche mediche, si avvale sempre più di oggetti, quali la pisside e l’ostensorio, in quanto investiti della capacità di agire direttamente sulle parti del corpo colpite dai demòni. Quest’uso tradisce una perdita di efficacia carismatica della parola latina della Chiesa, andando in suo soccorso. Da atto liturgico, operazione salvifica e rivelatrice, l’esorcismo si trasforma nell’arma di un combattimento teatrale, la confessione di una perdita attraverso il lavoro di un recupero. Esso non fa più niente, i personaggi non agiscono, il loro ruolo consiste in una pura manifestazione verbale. L’antica pratica dell’esorcismo è un gesto liturgico che scaccia il diavolo in nome di Gesù-Cristo, ha tra i suoi sicuri riferimenti Matteo 8, 16, in cui si dice che con la sola parola (ȜȩȖ࠙) Gesù scacciò gli spiriti degli indemoniati che gli erano stati portati e guarì tutti gli ammalati. La parola guarisce e “bene-dice”, perché 21 22

Infra, p. 214 (c. n.).

Le comunicazioni spirituali di Surin si trasformano per Jeanne des Anges nell’occasione di indossare una nuova maschera: la mistica prende il posto della posseduta. Per Certeau resta tuttavia quasi impossibile situare la verità al di là o al di qua della frontiera che separa la sincerità dalla simulazione.

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ha in sé una performatività teologica. A Loudun è già in atto una frammentazione del linguaggio, che l’esorcismo si propone di ricomporre. Nel teatro allestito dalla possessione va in scena così una tragedia del linguaggio, nella quale ciò che si vuole salvare non sono le possedute ma, attraverso di loro, «una proprietà “teologica” – un contratto che lega a Dio il possesso del linguaggio»23. Ma il linguaggio di esorcisti e teologi viene sopraffatto dalle sovrabbondanti immagini del vocabolario fisiologico, nei cui termini i medici riducono la possessione. Il discorso religioso si traduce nel discorso del corpo, in virtù di ciò che in modo sorprendente un “diavolo” chiama «la chair-Dieu»: Carne, in effetti, piuttosto che «corpo», poiché questo, frazionato secondo le divisioni che non tengono conto degli individui, non può più essere un’unità reale. Esso non si ripartisce più in elementi celesti o terrestri che lo compongono, ma in organi, membra e funzioni visibili. Ma carne fatta Dio dall’osservazione stessa che la privilegia24.

Disperso in una fenomenologia corporea e in una sacralità indifferenziata, Dio (o il diavolo) perde per così dire il “corpo” che l’antica cosmologia gli assegnava. Anche la posseduta non ha più corpo. Esso appartiene ora al pubblico, che lo dissemina in oggetti separati e tra loro distinti, secondo un codice diverso da quello delle sostanzialità personali. Nei processi verbali questo discorso del corpo viene spesso qualificato come indecente. Certeau afferma che l’aggettivo designa senza dubbio i sussulti morali che accompagnano una nuova “curiosità”, ma in un altro senso esso definisce in maniera esatta ciò che viene fatto di Dio attraverso la mitologia del diavolo: egli non è più il soggetto che regge la superficie delle cose e che un’ermeneutica decifra attraverso essa; egli è ricondotto a una superficie di cui non occupa che uno dei luoghi: egli è dato lì. In modo im23ȱLa scrittura della 24 Infra, p. 90.

storia, cit., p. 276.ȱ

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mediato e allo scoperto. Il vestito che lo nascondeva è ormai la carne, nuda, indecente, perché non c’è niente altro di cui essa sia il vestito25.

Gli esorcisti intendevano difendere la profondità del cielo (o dell’inferno) sotto la superficie delle cose, facendo dire al visibile le proprie intenzioni. Il rischio che una logica del discorso del corpo s’imponga per se stessa li costringe a un rilancio mistico, vale a dire a un’interpretazione che saldi l’interiorità spirituale a un’interiorità mistica delle cose. Ma intanto già si allarga lo iato tra ciò che il loro linguaggio è per loro e ciò che esso è per una parte sempre crescente del pubblico. La distanza tra la loro interpretazione e l’uso comune si acuisce. Nello spazio di questa distanza, un’urgenza spirituale dà vita a un nuovo linguaggio, a una nuova pratica della lingua. Nell’ultima affermazione riportata, in quella carne nuda e indecente che non è che la veste di Dio, sembra quasi di sentire le tensioni di una nuova lingua mistica, quella di Angelus Silesius: Nackt darf ich nicht vor Gott, und

muss doch unbekleid’t…26

25

Infra, p. 91.

26

«Nackt darf ich nicht vor Gott, und muss doch unbekleid’t in’s Himmelreich eingeh’n, weil es nichts Fremdes leid’t»: Angelus Silesius, Cherubinischer Wandersmann, in id., Sämtliche poetische Werke, 3 Bde, Bd. 3, hrsg. von H. L. Held, Hanser, München 1952, I, S. 297: «Nudo non posso essere davanti a Dio, e tuttavia senza vesti devo entrare nel regno dei cieli, poiché esso nulla di estraneo sopporta». Per un’ampia e dettagliata trattazione della vita e dell’opera di Certeau, e in particolare per il rapporto «storia» e «psicoanalisi» cfr. F. Dosse, Michel de Certeau. Le marcheur blessé, La Découverte, Paris 2002 e EspacesTemps, Les Cahiers, 80/81, 2002, Michel de Certeau, histoire/psychanalyse. Mises à l’épreuve, coordination de Ch. Delacroix, F. Dosse et P. Garcia.

22 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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La storia non è mai sicura



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Di solito, l’estraneo scorre con discrezione sotto le nostre strade. Ma è sufficiente una crisi perché da tutte le parti, come ingrossato dalla piena, esso risalga dal sottosuolo, sollevi i chiusini delle fogne, invada le cantine e poi le città. Che l’elemento oscuro esca brutalmente alla piena luce del giorno sorprende ogni volta. Esso rivela tuttavia l’esistenza di qualcosa di sotterraneo, una resistenza interna mai eliminata. Questa forza in agguato s’insinua nelle tensioni della società che essa minaccia. A un tratto, le aggrava; ne utilizza ancora i mezzi e i circuiti ma al servizio di un’«inquietudine» che viene da più lontano, inattesa; essa rompe delle chiuse; deborda dalle canalizzazioni sociali; apre a sé cammini, che dopo il suo passaggio, quando il flusso si sarà ritirato, lasceranno un altro paesaggio e un ordine differente. È un’irruzione o la ripetizione di un passato? Lo storico non sa mai quale affermare fra le due. Rinascono, infatti, mitologie che a questa spinta dell’estraneo forniscono un’espressione come preparata per questo gonfiamento improvviso. Questi linguaggi dell’inquietudine sociale sembrano rifiutare in ugual misura i limiti di un presente e le condizioni reali del suo avvenire. Come cicatrici che a nuove malattie assegnano lo stesso posto delle vecchie, essi donano in anticipo a una fuga (o a un ritorno?) del tempo i suoi segni e la sua localizzazione. Di qui, quel carattere d’immemoriale che si lega alle irregolarità della storia, come se esse raggiungessero un inizio senza passato, il fondo oscuro di un’insicurezza, una «singolarità» latente, svelata nella pluralità continua degli avvenimenti. Ma che valore ha questa impressione che troppo velocemente rinvia i fatti a un neutro atemporale? Così facilmente si può esiliare 25 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

dalla storia il timore panico per farne il suo al di fuori, il suo al di sotto o la sua legge?

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Una crisi diabolica Nel passato questi movimenti estranei hanno avuto spesso la forma del diabolico. Nelle società che cessano di essere religiose o che non lo sono, essi prendono altri volti. Ma le grandi ondate di fenomeni di stregoneria e possessione, come quella che ha invaso l’Europa alla fine del XVI e all’inizio del XVII secolo indicano gravi fratture all’interno di una civilizzazione religiosa, forse le ultime a poter esprimersi con lo strumentario della religione, le ultime prima di un nuovo inizio. Esse sembrano ben marcare una fine che non può ancora dirsi. Da qui il loro carattere escatologico. Anche davanti all’avvenire, tradiscono un’incertezza la cui stessa espressione diviene un oggetto di panico e repressione. Attestano un vuoto che esse tentano di colmare con i mezzi di bordo, ancora religiosi. Interi gruppi non sono più sicuri delle «evidenze» che essi non potevano certo provare ma che supponevano un ordine sociale e un’organizzazione di valori. A cosa ricorrono dunque per uscire da queste influenze intollerabili? Come sostituire una terraferma a certezze minate dal sospetto, a riferimenti divenuti incredibili o a situazioni ormai private di senso? Le diavolerie sono a un tempo dei sintomi e delle soluzioni transitorie. La crisi «diabolica» ha una duplice significazione: svela lo squilibrio di una cultura e accelera il processo della sua mutazione. Non è solo un oggetto di curiosità storica. Tra le altre cose, più visibile di altre, è il confronto di una società con le certezze che essa perde e quelle che essa cerca di darsi. Ogni stabilità riposa su degli equilibri instabili, che vengono spostati da qualsiasi intervento destinato a rafforzarli. In sistemi sociali specifici, la stregoneria e la possessione manifestano una faglia che si aggrava all’improvviso ma sotto una forma selvaggia e spettacolare. Sempre proporzionate alla cul-

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tura in cui esse si producono, queste striature prendono altrove forme diverse. Ma, ad ogni modo, la storia non è mai sicura.

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Loudun: un teatro Wilhelm Mühlmann notava che ci sono «epoche ricche di demòni»1. È il caso del periodo che abbraccia il XVI secolo e la prima metà del XVII secolo. La possessione di Loudun si situa quasi al termine di una lunga epidemia, durante gli stessi anni (1632-1640) in cui si assiste a un grande sussulto della ragione con l’apparizione del Discours de la méthode di Cartesio (1637). Allora la diavoleria si è già sottilizzata. È un luogo dove si producono, si affrontano, si esprimono con gesti e parole tendenze di ogni sorta. La possessione diviene un grande processo pubblico: tra la scienza e la religione, sul certo e l’incerto, sulla ragione, il soprannaturale, l’autorità. Un dibattito che tutta una dotta letteratura e una stampa popolare orchestrano. È un «teatro» che attira i curiosi dalla Francia intera e da quasi tutta Europa – un circo per la soddisfazione di questi Signori, secondo i termini che si trovano in tanti processi verbali dell’epoca. Lo spettacolo si installa a Loudun per circa dieci anni, offrendo presto un centro all’edificazione, all’apologetica, ai pellegrinaggi, alle associazioni pie o filantropiche. Il diabolico si banalizza. A poco a poco, diviene redditizio. È reintrodotto nel linguaggio di una società continuando a turbarla. In questa storia recita il ruolo che le regole di una Commedia dell’Arte già tradizionale gli assegnano. Si produce tutta un’evoluzione. Dapprima violento, ecco che il diavolo a poco a poco si civilizza. Discute. È discusso. Infine, si ripete, monotono. L’orrore si muta in spettacolo; lo spettacolo, in sermone. Certo si piange e si grida ancora durante gli esorcismi che continuano dopo l’esecuzione dello «stregone», Ur1

W. E. Mühlmann, Messianismes révolutionnaires du tiers-monde, Gallimard, Paris 1968, p. 183.

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bain Grandier, ma ciò non impedisce che piccoli pasti vengano consumati nelle chiese piene di spettatori.

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Possessione e stregoneria Per comprendere questa evoluzione e questo frammento di una storia, bisogna innanzitutto collocarle in un quadro più vasto. Dire possessione non equivale a dire stregoneria. I due fenomeni sono distinti e si alternano, sebbene anche allora antichi trattati li associno, se non addirittura confondano. La stregoneria (le epidemie di streghe e stregoni) viene per prima. Si estende dall’ultimo quarto del XVI secolo (1570, Danimarca; 1575-1590, Lorena; etc.) al primo terzo del XVII (1625, in Alsazia; 1632 a Würzburg, o 1630 a Bamberg, etc.) con dei prolungamenti fin nel 1663 nel Massachusetts, fin nel 1650 a Neisse (Sassonia) o nel 1685 a Meiningen (Sassonia). Essa imperversa in Francia (Bretagna, Franca Contea, Lorena, Alsazia, Savoia, Poitou, Béarn, etc.), in Germania (Baviera, Prussia, Sassonia), in Svizzera, in Inghilterra, nei Paesi Bassi, ma non, sembra, in Spagna o in Italia (eccetto nella regione nordica e montagnosa di Como). Durante il periodo che Lucien Febvre considerava come quello della grande «rivoluzione psicologica», tra il 1590 e il 16202, la stregoneria sembra dividere due Europe: quella del Nord, dove prolifera, e l’Europa del Sud, dove resta rara. Ultimo tratto, ma capitale, è soprattutto un fenomeno rurale. Anche se le corti interessate trattano in città i grandi processi, esse devono delegare commissari e giudici nelle campagne (come Boguet, de Lancre, Nicolas Remy, etc.). Una specie diversa ma appartenente allo stesso genere segue la stregoneria, la affianca per un certo tempo e le succede: la possessione. Dapprima si manifesta in modo puntiforme con dei casi isolati come quelli soprattutto di Nicole Aubry, Jeanne Féry, Marthe 2

L. Febvre, «Aspects méconnus d’un renouveau religieux en France entre 1590 et 1620», in Annales ESC, t. 13, n. 4, 1958, pp. 639-650 (cit. p. 639).

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Brossier (1599). Trova il suo modello con il processo di Gaufridy a Aix-en-Provence (1609-1611), subito orchestrato dal libro che circolerà dappertutto e che definirà la nuova serie: l’Histoire admirable de la possession et conversion d’une pénitente… di padre Sébastien Michaelis (Paris, 1612). Altre «possessioni» seguiranno – Loudun soprattutto (1632-1640), Louviers (1642-1647), Auxonne (1658-1663), etc. Ciascuna inventa in base allo schema iniziale, attira la sua clientela, diffonde la sua propria letteratura. Questa specie non è più rurale ma urbana. Essa non ha più le forme selvagge, massicce e sanguinose della primitiva stregoneria; si concentra solamente su qualche personaggio più in vista. Lascia apparire le relazioni e le psicologie personali (si tratta di individui o di micro-gruppi). L’ambiente sociale colpito si eleva e si omogenizza; i personaggi coinvolti sono di ambiente più «medio» e c’è una differenza sociale minima tra giudici e accusati, che ormai s’intendono, aggirandosi nello stesso tipo di discorso. Da binaria (giudici-stregoni) la struttura diviene ternaria, ed è il terzo termine – le possedute –, ad attirare sempre più l’attenzione pubblica: in altre parole, sono le vittime e non più i colpevoli. Quanto agli stregoni, sono spesso preti, medici o letterati, talvolta considerati come «libertini»; essi dunque contravvengono in una maniera già del tutto differente all’immagine tradizionale o popolare del curato, del cappellano o del medico. Con questi nuovi «stregoni», è ancora un sapere segreto a essere ritenuto minaccioso e trattato come magia, un sapere moderno tuttavia, creatore di un’altra forma di distanza rispetto al gruppo. Passando dalla violenza contro i maghi alla curiosità impietosita verso le sue vittime; localizzata nei conventi e non più in lande e villaggi sperduti; divenuta meno vendicatrice, meno punitiva, ma più apologetica e moraleggiante, la diavoleria vira da una «guerra» contro gli stregoni a uno spettacolo, che assomiglia a un tempo al circo e alla missione popolare – anche se la «festa» continua a esigere una messa a morte. La «possessione» rappresenta

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dunque una seconda tappa rispetto alla stregoneria. Ma anch’essa sfocia nei processi politici di avvelenatrici. Questi due momenti della diavoleria non formano così che un segmento in un’evoluzione più vasta e duratura. Da un lato, il fenomeno «diabolico» prenderà forme più culturali, si estenderà nella letteratura e nel folclore, dissolvendosi quindi nell’astrologia popolare e nelle «pastorali», dove tuttavia sopravvivono bene temi di contestazione. Dall’altro, si amplificherà, ma, politicizzandosi, si trasformerà; resistenze popolari si tradurranno in tutto un ventaglio di nuovi linguaggi, dalla sommossa al pamphlet destinato alla circolazione ambulante, senza per questo cessare di restare marginali.

Il matrimonio del cielo e dell’inferno Qualunque cosa ne sia di questi annessi e connessi, è necessario sottolineare anche delle coesioni sincroniche. Una di esse interessa più da vicino la storia religiosa. In un numero grandissimo di casi uno strano appuntamento associa le possedute o le «possessioniste» (convinte della realtà della possessione) e le comunità degli «spirituali». Sulla carta francese della metà del XVII secolo, si trovano spesso negli stessi luoghi i casi di possessione e i gruppi più «devoti» (nel senso più positivo del termine): Nancy, evreux, etc. Durante i suoi anni di follie, Loudun è anche una scuola di spiritualità. Per tre anni al centro di questa fiera demonologica c’è uno dei più grandi mistici del XVII secolo – Jean-Joseph Surin –, che è a un tempo il Don Chisciotte e l’Hölderlin di questa «avventura straordinaria». I teatri del diavolo sono anche dei focolai mistici. Non è un caso. Una mutazione culturale sembra marginalizzare tutte le espressioni del sacro, le più sospette come le più pure; nella società si ritrovano a occupare lo stesso posto: i suoi bordi. Allo stesso modo, il vacillamento delle istituzioni ecclesiastiche lascia sfuggire dalle loro faglie e fa uscire negli stessi punti, come un «mélange» del più arcaico e del più radicale (Surin lo noterà), sintomi religiosi che sono allora insieme sospettati e spesso accu30 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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sati di costituire la stessa «eresia» sociale e dottrinale. Più a fondo, Alfred Jarry ha ragione di dire, a proposito di Loudun, che la «possessione dello Spirito Santo o del demonio sono notoriamente simmetriche»3. Le due «possessioni» presentano una struttura analoga. Alla maniera di soluzioni contrarie, esse rispondono a un problema di senso ma posto nei termini dell’alternativa temibile e vincolante – Dio o il Diavolo –, che isola dalle mediazioni sociali la ricerca dell’assoluto. La mistica e la possessione formano spesso le stesse sacche in una società il cui linguaggio si ispessisce, perde la sua porosità spirituale e diviene impermeabile al divino. La relazione con un «aldilà» oscilla allora tra l’immediatezza di un dominio diabolico o quella di un’illuminazione divina. La stessa Jeanne des Anges, la più celebre delle possedute, apparirà in seguito, per gli ultimi venticinque anni della sua vita, come personificazione della «mistica» visionaria.

Metamorfosi della storia Sotto questa angolazione, c’è una complicità e, per riprendere un titolo di William Blake, un «matrimonio del cielo e dell’inferno». È un tratto caratteristico della «possessione», che si ricollega a uno dei temi dell’arte barocca: la metamorfosi. L’instabilità dei personaggi, i rovesciamenti dell’esperienza, l’incertezza dei limiti, tradiscono la mutazione di un universo mentale. Come la grotta di Firenze, dove Bernardo Buontalenti ha scolpito dei corpi umani ancora indecisi nel fango primitivo, che li lascia emergere o se ne riappropria4 – non si sa –, Loudun è sola a se stessa, in un angolo della provincia francese, alla frontiera di convinzioni cattoliche e protestanti che si oppongono e si relativizzano, un mondo intermedio tra ciò che scompare e ciò che comincia. Complesso, a un 3 4

A. Jarry, L’Amour absolu, Mercure de France, Paris 1964, p. 81. V. D. Heikamp, «L’architecture de la métamorphose», in L’Œil, n. 114, juin 1964, pp. 2-9.

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tempo selvaggio e sottile, questo luogo non è sicuro. Esso si definisce come un passaggio. Qui si sono fissate le angosce e le ambizioni indissociabili dall’influenza sociale. Spostamenti profondi vi si manifestano, che rivelano le «metamorfosi del diavolo» care a Henri Lefebvre5. Leggibili nel seguito degli episodi che formano per circa dieci anni la guerra di Loudun, queste metamorfosi si prolungano nelle interpretazioni successive date agli avvenimenti. Dai libelli del 1633 fino all’opera di Penderecki (I diavoli di Loudun, 1969)6, tutta una letteratura è loro consacrata. Vi si incontra Alexandre Dumas, Alfred de Vigny, Jules Michelet, Aldous Huxley, etc. In spazi culturali differenti, gli antichi dibattiti servono da nuove cause. Altre guerre fanno della storia di Loudun la leggenda di un presente. Gli antagonisti di ieri, messi in movimento dai partner di conflitti più recenti, forniscono loro il mezzo di spiegarsi con i loro propri diavoli. Per una parte, gli storici rendono a una società il servizio di mettere a sua disposizione il vocabolario di un passato. I personaggi di una volta diventano gli eroi eponimi di un presente. La bibliografia di Loudun è la storia di questi reimpieghi. Il teatro di un tempo s’inscrive in nuovi processi che danno a Urbain Grandier tutta una serie di avatar. Lo «stregone» di ieri si trasforma in vittima del cattolicesimo, in «precursore del libero pensiero»7, in profeta di uno spirito scientista, o nell’annunciatore dell’evangelo del progresso. I suoi «avversari» sono promossi a destini simili ma contrari: Jeanne des Anges riappare come martire della cristianità perseguitata; Surin, come testimone di un «magnetismo» universale 5 6

H. Lefebvre, Introduction à la modernité, Minuit, Paris 1962, pp. 63-71. Krzysztof Penderecki, Die Teufel von Loudun, opera in tre atti commissionata dal direttore dell’Hamburgischen Staatsoper, Rolf Liebermann. Il libretto si basa sulla traduzione tedesca del dramma The Devils of Loudun (1964) di Robert Whiting, che a sua volta trovò ispirazione nel libro omonimo (1952) di Aldous Huxley [n.d.c.]. 7 Così lo definiva Thomas Bensa in Urbain Grandier ou le précurseur de la libre pensée, Société d’éditions littéraires, Paris 1899.

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o del «fatto primordiale»; gli esorcisti o Laubardement, come zelanti servitori di un «ordine sociale» o politico… C’è una storia della storia di Loudun.

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Visitare Loudun Ancora oggi, visitate Loudun, priva ora di due terzi dei suoi abitanti, città rannicchiata su se stessa, che troppi assenti e troppi fantasmi stringe nelle sue viuzze. Sarete condotti dal palazzo di Giustizia fino alla chiesa Sainte-Croix, lungo le «stazioni» che costellano l’ultimo viaggio dell’Eroe, come se la città avesse riorganizzato la sua architettura in una via crucis. Grazie alla voce e ai gesti della guida, luoghi dispersi ricostituiscono lo svolgimento di una storia perduta: la sala dove fu pronunciata la sentenza di morte; il luogo di una prima caduta; l’angolo di strada dove «un monaco» colpì Grandier con una bastonata; il portico della chiesa SaintPierre, davanti al quale il condannato dovette fare pubblicamente onorabile ammenda, ma fu soccorso da padre Grillau, un’anima buona; infine, la piazza del Marché-Sainte-Croix, poiché è là che, davanti al prete René Bernier, buon ladrone pentito, e sotto gli occhi di Louis Trincant, il persecutore arrogantemente installatosi alla sua finestra, il curato perisce nel fuoco acceso dai suoi stessi esorcisti. Deambulatoria, la ricerca del passato ha preso la forma di una leggenda; l’itinerario, un carattere iniziatico. Ma quale ricerca storica non parte da una leggenda? Dandosi delle fonti o dei criteri d’informazione e d’interpretazione, essa definisce in anticipo ciò che va letto in un passato. Da questo punto di vista, la storia si muove con lo storico. Essa segue il corso del tempo. Essa non è mai sicura.

Un libro diviso Come potrebbe esserlo? Il libro di storia comincia con un presente. Esso si costruisce a partire da due serie di dati: da un lato, le 33 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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«idee» che noi abbiamo su un passato, quelle che antichi materiali ancora veicolano ma nei circuiti instaurati da una mentalità nuova; dall’altro, dei documenti e degli «archivi», resti selezionati dal caso, congelati nei fondi che assegnano loro una significazione anch’essa nuova. Tra le due, una differenza permette di scoprire una distanza storica, alla maniera in cui l’osservazione a partire da due punti lontani permise a Le Verrier l’invenzione di un pianeta ancora sconosciuto8. È in questo entre-deux che si è formato questo libro su Loudun. Esso è percorso dall’alto in basso da una crepa, che rivela la combinazione, o il rapporto, che rende possibile la storia. Essendo diviso tra il commento e i pezzi d’archivio, esso rinvia quindi a una realtà che aveva ieri la sua vivente unità, e che non è più. È insomma spezzato da un’assenza. Ha una forma proporzionata a ciò che esso racconta: un passato. Comunque, ciascuna delle sue metà dice dell’altra ciò che le manca, piuttosto che la sua verità.

Archivi della possessione Della metà che è fatta d’archivi, le «fonti» sono considerevoli. Esse sono indicate altrove9. Al contrario di ciò che accadeva al tempo delle stregonerie, i posseduti hanno la parola. Ormai, accusati e vittime non provengono più solamente dalle campagne analfabete e silenziose, quasi votate a proteste selvagge che non sono intese oggi che attraverso i rapporti o le griglie dei notabili 8

Urbain Jean-Joseph Le Verrier (1811-1877), astronomo francese che nel 1846 scoprì per via di calcolo l’esistenza di un altro pianeta nel sistema solare, oltre a quelli già allora noti. La scoperta fu confermata dall’osservazione, il pianeta fu chiamato Nettuno [n.d.c.]. 9 Se ne troverà la nomenclatura in J.-J. Surin, Correspondance, éd. M. de Certeau, Desclée De Brouwer, Bibliothèque européenne, Paris 1966, pp. 92-99; e nei complementi forniti da R. Mandrou, Magistrats et sorciers en France au XVIIe siècle, Plon, Paris 1968, nel corso della sua introduzione generale, pp. 18-70.

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o dei giudici10. Con le possessioni, il diavolo parla. Scrive. Se posso dire, pubblica, ma perché i suoi clienti appartengono ad ambienti sociali più elevati. Si hanno anche, a centinaia, le lettere e gli scritti dei posseduti, in particolare gli scritti (abbondanti ma in gran parte inediti per quanto concerne gli ultimi due) di Urbain Grandier, Jeanne des Anges e padre Surin a proposito di Loudun. Si può ascoltare ciò che accade dall’altro lato della barricata. Allo stesso modo, i processi non si svolgono più a porte chiuse, non sono più celebrati sommariamente da tribunali ambulanti che viaggiano nei cattivi quartieri di provincia. Sono pubblici, teatrali, interminabili. Da lì i massicci incartamenti di verbali rigorosamente redatti e firmati giorno dopo giorno per dei mesi e degli anni. Anche i testimoni oculari hanno lasciato le loro narrazioni: non solamente i giudici, gli esorcisti, i notabili locali, diocesani, nazionali, ma anche i visitatori, i curiosi di ogni sorta, uomini di mondo in vacanza, eruditi a caccia, collezionisti di straordinario, apologeti interessati a un argomento in più, controversisti decisi a combattere un’obiezione, e soprattutto l’abituale clientela di questo genere di spettacolo, pellegrini dell’estraneo per delle ragioni che i loro resoconti ci lasciano solo intravedere. Affluiscono a Loudun venendo da Angers, Bordeaux, Lione, Parigi, ma anche dalla Scozia, dall’Italia, dai Paesi Bassi, etc. Gli archivi ci aprono ancora le miniere di una storia più segreta e più ufficiale: rapporti indirizzati a Richelieu o a Luigi XIII; corrispondenza del padre generale dei gesuiti (Roma) con Parigi, Bordeaux e Loudun; lettere di Laubardemont; deposizioni di medici; consultazioni teologiche; avvisi provenienti dalle amministrazioni di Parigi o Poitiers; etc. Tutti questi manoscritti (che è stato necessario raggruppare come i pezzi dispersi di un puzzle) rappresentano, come in un 10

V. M. de Certeau, «Une mutation culturelle et religieuse. Les magistrats devant les sorciers du XVIIe siècle», in Revue d’histoire de l’Église de France, t. 55, 1969, pp. 300-319.

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iceberg, la massa nascosta sotto la parte che emerge alla luce del giorno; essi restaurano le profondità di ciò che fin dall’epoca è stato «dato al pubblico». Già la superficie delle pubblicazioni non è meno importante. Essa ha la forma di libelli, di storie straordinarie, di relazioni vere, di fogli che degli editori rieditano di città in città, qualche volta lo stesso anno, per il loro pubblico regionale di Angers, Lione, Parigi, Poitiers o Rouen. Questi «pezzi» si situano tra i libretti di devozione e i primi giornali11. Essi dipendono ancora dalla propaganda, ma ricadono sempre più nella letteratura dei fatti di cronaca. Poi dispersi, non registrati negli inventari dopo il decesso dei privati o dei librai, sembrano tuttavia avere avuto una grande diffusione. In ogni caso, dal 1634, il Mercure françois, utilizzato da Richelieu e da padre Joseph come mezzo per orientare e reindirizzare l’opinione pubblica, esponeva per circa quaranta pagine la versione ufficiale della possessione12. L’estraneo è dunque radicato nelle profondità di una società. Troppi legami socio-culturali lo tengono stretto a essa per poterlo isolare. Tentare di estrarlo significa portare via con esso tutto il suolo a cui in tanti modi è allacciato. Forse esso rivela una mutazione globale che, una volta di più, consisterebbe nell’esorcizzare o marginalizzare i primi sintomi di una crisi man mano che essa dà luogo a un ordine nuovo. Ma innanzitutto bisogna cercare di comprendere.

11

V. H.-J. Martin, Livre, pouvoirs et société à Paris au XVIIe siècle, Droz, Genève 1969, pp. 164-189, 253-275. 12 Mercure françois, t. 20, (1634), E. Richer, Paris 1637, pp. 746-780.

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Come nasce una possessione

       

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Nel 1632, la città di Loudun è duramente provata dalla peste: 3 700 decessi in qualche mese (maggio-settembre), su una popolazione di circa 14 000 abitanti1. Era una tragica ripetizione della peste del 1603. Fin dall’inizio, come fanno allora tutti quelli che possono, i medici si ritirano nelle loro case di campagna: così François Fourneau, Jean Fouquet, René Maunoury, etc. Non ritorneranno che più tardi, esegeti e testimoni di ciò che accadrà presso le orsoline.

La peste, una fisica del male Questa partenza poco onorevole è più comprensibile se ci si riferisce alle idee del tempo sulla natura del flagello. Il 6 settembre,

il flagello di Dio che viene chiamato peste cadde su questa città nella casa di un calzolaio, scrive il testimone di una pestilenza ad Avignone. […] Dio voglia aiutarci! Amen 2. Nessuna terapia, e dunque nessun medico, potrebbe averne ragione. È un male senza spiegazione, e senza ragioni particolari. È del tutto esterno al corpo sociale e non può che colpirlo nella sua interezza. Di per sé epidemico, esso dipende da una sorta di fisica sociale e divina. Contro la peste (si diceva allora altrettanto della sifilide) non c’è 1

V. P. Delabroche, Une épidémie de peste à Loudun en 1632, Delmas, Bordeaux 1936, p. 40. 2 Ph. Tamizey de Larroque, «Instructions sur la peste par le cardinal d’Armagnac», estratto dagli Annales du Midi, Toulouse 1892, p. 6.

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alla fine niente da fare. Si attende che consumi se stessa, dopo aver dispiegato tutti i suoi effetti. È necessario che il castigo compia il suo lavoro. Si può a malapena chiudere le porte della città e fuggire la comunità coprendosi la testa. Secondo i tanti Trattati dedicati alla peste (da Laurent Joubert nel 1581 o Claude Fabri nel 1568, fino a Antoine Mizault nel 1623), o secondo i tanti Avvisi dati allora ai cittadini per guardarsi dalla peste in tempi sospetti, è al limite possibile crearsi, nella città «posseduta» dall’infezione dell’aria, un’altra atmosfera grazie all’aloe, al terebinto, alla rosa di vino, alla conserva di rose e a droghe odorifere simili che, con nuovi odori, formano l’enclave di un’altra aria:

È sempre bene anche portare su di sé dei profumi, sui guanti, sulla camicia, sui fazzoletti e sulla barba. Portare qualche boccetta di sentore al collo, oppure paternostri (rosari), e maneggiarli e odorarli spesso… I ricchi useranno spesso dei profumi nelle loro case, i migliori che potranno trovare. I poveri faranno provvista di foglie e legno di alloro, di rosmarino, di ginepro o cade e di cipresso, e saranno soliti il più sovente che potranno bruciarli in mezzo alla sala e alla camera da letto, principalmente al mattino e alla sera3. Da due secoli la frequenza di pestilenze nella regione ha reso dappertutto presente la morte4, – e con essa «la paura e il terrore della mortalità imminente», – ma una morte fatale, irresistibile, «che cade» dal cielo come qualcosa d’incomprensibile e insensato. La traccia che lascerà la peste del 1632 sarà quella di un marchio: Loudun è stata colpita da un male teologico, al quale la 3

Advis et remedes souverains pour se garder de peste […], del cardinale d’Armagnac, Toulouse, 1558; riedito in Ph. Tamizey de Larroque, op. cit., pp. 70-73. 4 V. R. Favreau, «Épidémies à Poitiers et dans le Centre Ouest à la fin du Moyen Âge», in Bibliothèque de l’École des Chartes, t. 125, 1967, pp. 349-398.

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possessione darà domani un corrispondente tutto sommato meglio delimitato e una «spiegazione», poiché il male sarà attribuito a una causa (straordinaria, diabolica) distinta dalla natura umana. Già nel 1632 la città cerca degli esorcisti contro la peste. Fa appello a un medico di Mirebeau, Prégent Bonnereau, che si rifiuta, e infine a Guillaume Grémian5. Si creano dei sanatori dove gli appestati sono isolati. In realtà, ciascun gruppo si ritira e obbedisce alla legge di reciproche reclusioni. I medici e i proprietari fuggono nei campi. Le religiose si chiudono dietro le loro mura, e, esattamente come i sanatori, i conventi si chiusero, interrompendo le comunicazioni del parlatorio. Presso le orsoline non ci sarà d’altronde alcun caso di peste. Secondo tutte le testimonianze, il curato di Saint-Pierre, Urbain Grandier, si mostra coraggioso e generoso, porta ai malati gli ultimi sacramenti e apre la sua borsa agli indigenti.

Una città spezzata Senza dubbio, come in molti altri luoghi di Francia e d’Europa, la peste traumatizza la città: scuotendo la società urbana, essa scon-

volge le strutture mentali e intellettuali, suscitando dapprima, per il terrore, lo slancio mistico e le mortificazioni, poi, sotto un cielo ostinatamente silenzioso, la disperazione, la blasfemia e i saturnali 6. A chi ricorrere? Il dubbio si propaga. La peste aggiunge indiscutibilmente i suoi effetti a quelli delle guerre di religione che, cinquant’anni prima, insanguinavano i crocevia di Loudun. Gli avversari si contendevano la verità. Facevano Dio a pezzi. La loro opposizione ha creato una terza posizione, un riferimento comune, sotto la forma di uno status quo politico, in cui si delinea la «soluzione» dell’avvenire. Ma è anche un periodo di latenza du5 6

P. Delaroche, op. cit., pp. 70-73. P. Deyon, «Mentalités populaires. Un sondage au XVIIe siècle», in Annales ESC, 17, 1962, p. 455.

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rante il quale i nemici di ieri, obbligati ad accettarsi, accumulano i loro risentimenti o si preparano allo scetticismo. Qualunque cosa ne sia delle posizioni personali, la battaglia per la verità resta indecisa, e una suspense simile minaccia le certezze di ogni religione. La peste, attribuita essenzialmente alla collera divina o a una fisica sociale e astrologica, chiama del resto alcuni uomini a lottare contro la sporcizia o la sotto-alimentazione. A partire dal XVI secolo, dei laici, dei magistrati, dei medici inaugurano nelle municipalità istituzioni sanitarie civili e ricerche terapeutiche. Per questi, un lavoro compensa il silenzio di Dio. Allo stesso tempo si produce una frammentazione. Per evitare il contagio, si interdicono le assemblee pubbliche. A causa delle necessità municipali, i segni di un’umanità religiosa spariscono, in particolare le manifestazioni liturgiche. Le solidarietà del lavoro contrastano dunque con l’isolamento di credenti seppelliti faccia a faccia nelle loro trincee, senza alcuna visibilità di fronte o al di sopra di essi, senz’altra assicurazione che la coesione di piccoli gruppi chiusi su se stessi. Così le orsoline nei loro conventi.

Fantasmi La «possessione» prende il posto del flagello che ha schiacciato Loudun per cinque mesi? Va notato il fatto che le prime «apparizioni» di fantasmi si producono nel convento nel momento in cui si registrano gli ultimi casi di peste in città, alla fine del settembre 1632. Nella notte tra il 21 e il 22, la priora (Jeanne des Anges), la sotto-priora (suor de Colombiers) e la suora Marthe de Sainte-Monique (che esce dal ritiro) vedono apparire di notte l’ombra del priore Moussaut, confessore delle religiose, deceduto qualche settimana prima. Il 23, una palla nera attraversa il refettorio. Il 27, un uomo che si vede solo di schiena. Notturno, poi diurno, il fantasma perde dunque il suo primo volto, che era ancora un ricordo individuabile. Esso vira verso l’anonimato, come indeciso sulla sua identità, prima di designare la silhouette, poi, il 42 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

7 ottobre, di prendere la figura ossessiva del curato ben vivo: Urbain Grandier in persona.

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La processione dei chierici Nel convento, che le grida e le contorsioni delle religiose agitano fin dall’inizio dell’ottobre 1632, gli attori del dramma fanno il loro ingresso in ordine. Presso la priora Jeanne des Anges i chierici sono i primi a venire. Questa entrata precipitosa conserva qualcosa di processionale. Dapprima il piccolo clero: il canonico Jean Mignon, nuovo cappellano del convento; Antonin de la Charité (priore di Loudun), Eusèbe de Saint-Michel, Éloi de Saint-Pierre, Calixte de Saint-Nicolas, Pierre Thomas de Saint-Charles, Philippe de SaintJoseph, Eugène de Saint-René (priore de Poitiers), tutti carmelitani, più degli altri si affrettano all’incontro con lo straordinario. Pierre Barré, curato di Saint-Jacques a Chinon, baccelliere alla facoltà di teologia di Parigi, è chiamato alla controffensiva come specialista in esorcismi; accorso con un gruppo di parrocchiani, prenderà le cose in mano a partire dal 12. In seguito François Grillau, guardiano dei cordiglieri; Uriel, guardiano dei cappuccini, Élisée de Chinon, altro cappuccino; Pierre Rangier, curato di Notre-Dame-de-Veniers, un villaggio vicino a Loudun e dal quale s’inaugura l’informazione delle campagne confinanti; Marthurin Rousseau, canonico de Sainte-Croix – un notabile giudica già che il caso richiede il trasferimento –, e altri ancora. Dieci, dodici, quattordici preti partecipano ai primi esorcismi. Si moltiplicheranno. Si dirà che nel paese ne mancano per pregare? Ma per loro è di un ministero che si tratta, e non di curiosità. Essi sono mobilitabili. Con tutto un retroterra di controversie, rispondono all’appello rivolto loro dall’evento, che presto designano come una possessione.

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Eppure già si afferma anche in città che non si tratta che di imposture7. Nella camera della priora, s’inaugura una guerra del sacro.

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La possessione «prende piede» Il primo processo verbale mostra il caso ai suoi esordi, prima che diventi pubblico. Le allieve del pensionato tenuto dalle orsoline sono ancora là, prese nel brusio in cui i preti sono avvolti. Questo inizio oscilla tra la storia edificante e la diavoleria. È il momento, instabile e breve, in cui la possessione «prende piede». Saranno sufficienti alcuni giorni perché l’ambiguità sia sciolta; perché il diavolo sia giudicato responsabile dei fatti «strani»; perché gli esorcismi siano stimati espedienti (1° ottobre). Di conseguenza, viene indicato uno stregone (5-11 ottobre). Il diabolico – neutro singolare – presto si diversifica in un plurale: nomi propri di demòni (Astaroth, Zabulon, etc.) corrispondono alle religiose possedute, che prendono le voci e i volti dei ruoli fissati da una lunga tradizione. Molto rapidamente, i personaggi si dispongono nei loro ruoli. Sono sufficienti tre settimane perché si allestisca il teatro il cui seguito svilupperà lo schema iniziale.

Il primo processo verbale Datato 7 ottobre, il più antico dei resoconti tradisce più cose di quanto non pensi il piccolo gruppo iniziale da cui esce e che esso rivela:

In nome della Santa e più che adorabile Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, noi Pierre Barré, prete baccelliere in teologia alla Facoltà di Parigi, canonico della Chiesa di Chinon e incaricato 7 Processo verbale del 7 e 11 ottobre; BN (Bibliothéque nationale), Fds (fonds) fr. (français) 7619, f. (feuille) 6-9.

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della direzione morale della parrocchia del detto luogo, Jean Mignon, prete, canonico della chiesa di Loudun e confessore ordinario delle dame religiose di Sant’Orsola del detto luogo, Eusèbe de Saint-Michel e Pierre Thomas de Saint-Charles, prete predicatore e religioso carmelitano del convento del detto Loudun, essendo riuniti nel monastero delle dette religiose, su loro mandato e per loro preghiera, esse ci hanno fatto intendere che, dalla notte tra il ventuno e il ventidue settembre scorso (1632), esse sono state ossesse, fino a questo terzo giorno di questo mese (d’ottobre), da spiriti maligni. Uno dei quali, apparso a suor Marthe la notte dall’una alle quattro, nella forma di un uomo ecclesiastico, vestito di un grande mantello e di una sottana, con in mano un libro coperto di pergamena bianca, le mostrò, tenendo aperto il libro, due immagini e, dopo averle tenute più discorsi sul detto libro, la volle forzare a prenderlo. Ciò rifiutando, dicendo che mai avrebbe ricevuto un libro se non dalla sua superiora, il detto spettro si tacque e restò qualche tempo a piangere ai piedi del suo letto. La detta fanciulla ne fu spaventata, e poiché il detto spettro cominciò a dirle che egli era in gran pena, che non poteva pregare Dio, e che pregasse Dio per lui, questa, presumendo che fosse l’anima forse di qualcuno in purgatorio, disse che ne avrebbe avvertito la sua superiora. E tuttavia, non potendo più sopportare la presenza del nominato spettro, ella chiamò una fanciulla pensionante che era in un altro letto vicino al suo; si alzarono tutte e due, e allo stesso momento non vide più niente, se non che, restando in ginocchio per un’ora, aveva inteso una voce al suo fianco lamentarsi. Suonate le quattro, in questo luogo non fu più inteso niente. Ma, nell’alloggio delle religiose professe, apparve a ciascuna lo stesso spettro della madre priora e sotto-priora, dicendo all’una: «Fate pregare Dio per me»; e all’altra: «Continuate a pregare Dio per me». Come ancora esse ci hanno fatto intendere, il 24 del detto mese, dalle sei alle sette di sera, nel refettorio, comparve un altro

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spettro nella forma di un globo tutto nero, che andò a gettare a terra violentemente la nominata suor Marthe e la detta priora su una sedia, prendendole ciascuna sulle spalle, e allo stesso tempo due altre religiose lì presenti si sentirono colpite alla gamba, dove sono rimaste contusioni rosse e larghe come un testone (monetina del valore di 19 soldi), per il tempo e lo spazio di otto giorni. Inoltre, esse ci hanno detto che tutto il resto del detto mese, non era passata notte che non avessero ricevuto grandi turbamenti, sconvolgimenti e terrori. E ugualmente senza vedere niente, esse intendevano spesso delle voci che chiamavano le une o le altre. Le une ricevevano dei pugni, le altre degli schiaffi, altre ancora si sentirono eccitate a risa immoderate e involontarie. «Tre spine di biancospino» Infine esse ci hanno detto che il primo giorno di questo mese, verso le dieci di sera, la detta priora, che si trovava coricata, con la candela accesa e sette o otto delle sue sorelle intorno a lei per assisterla, a causa degli attacchi che in maniera più particolare ella aveva, sentì una mano, senza vedere niente, che, chiudendole la sua, vi lasciò tre spine di biancospino, che furono messe, l’indomani, nelle mani di uno di noi per prendere consiglio su cosa ne doveva essere fatto. E, due giorni dopo, si trovò giusto che la priora stessa le facesse bruciare. Cosa che ella fece in presenza del padre Guardiano dei cappuccini di questa città. Ma poiché era accaduto che la detta priora, e altre religiose, a partire dalla ricezione delle dette spine, avevano sentito strani cambiamenti nel loro corpo e nel loro spirito, in tal sorta che a volte esse perdevano ogni giudizio e erano agitate da grandi convulsioni che sembravano procedere da cause straordinarie, si pensò che le dette spine erano un maleficio per farle possedere e, di fatto, questo terzo giorno di questo mese, avendo visto accadere queste strane vessazioni e dimenamenti al corpo della detta priora, di suor Louise de Jésus e di suor Claire de Saint-Jean, noi ab46 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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biamo giudicato trattarsi di una vera possessione, e che sarebbe opportuno procedere su di esse per esorcismi della Santa Chiesa; e nondimeno abbiamo tardato fino al quinto giorno di questo mese, quando abbiamo visto la continuazione di dette vessazioni e dimenamenti così grandi che da sette a otto persone non erano capaci di impedirle, e le quali vessazioni cominciavano più frequentemente dopo la santa comunione che esse facevano. Al primo esorcismo del detto giorno, 5° del detto mese, gli spiriti maligni, comandati in latino di dire il loro nome, non dissero altra cosa per due o tre volte, se non «Nemici di Dio». E alle litanie, a queste parole: Sancte Joannes Baptista, ora pro eis, il demonio della priora gridò più volte, ansimando: «Ah! Giovanni Battista». E durante l’esorcismo recitato sulla detta priora (il demonio) ha detto tre volte facendole violenza Sacerdos. E lo ripeté nel momento in cui furono pronunciate le parole che sono nell’esorcismo. Il nemico di Dio Al secondo esorcismo fatto dopo mezzogiorno del detto giorno sulla detta priora, il diavolo ammonito in latino di dire il suo nome, rispose in francese, urlando e mugghiando: «Ah, non te l’ho detto». E incitato ripeté: «Nemico di Dio». E nel seguito dell’esorcismo, gridò dicendo: «Tu mi inciti fortemente, dammi ancora almeno tre settimane. Non sono ancora che quindici giorni». E poco dopo: «Ah, il malvagio! Aveva stabilito di perdere tutta la comunità a causa mia». Al terzo esorcismo, la priora è stata grandemente privata di senno e di ragione. Il diavolo comandato di dire il suo nome, rispose per due volte: «Nemico di Dio». 47 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Poi, incitato a non celarlo, disse: «Te l’ho detto». Interrogato su come era stato introdotto, disse: «Patto». E incitato disse: «Brucio», gridando perpetuamente. Poi comandato di dire l’autore del patto, disse: «Sacerdos». – «Quis sacerdos?» – Disse: «Petrus». – «Dignitas?» – «Curato». Comandato di uscire, dopo molte violenze, vessazioni, urla, digrignamenti di denti, di cui due posteriori si trovarono rotti, lasciò infine la detta priora in gran pace e dichiarò che ella era guarita da una forte pena di spirito e grande battimento di cuore, e credeva essere perfettamente guarita. Ella restò in questa pace tutta la notte, dormendo placida, più di quanto non avesse fatto dalla prima apparizione. L’indomani mattina, la detta priora e le altre esorcizzate, alla santa comunione testimoniarono una grande repugnanza e comandate di disporvisi, i diavoli cominciarono le loro vessazioni, dimenamenti e assopimenti, ma infine, insistendo nell’incitarli, le lasciarono confessare. Portata la comunione alla detta priora, le torture e la perdita di giudizio cominciarono, e il diavolo, incitato a lasciarla benedire Dio e adorarlo, disse: «Egli è maledetto». E per tre volte: «Io rinnego Dio». Infine incitato, la lasciò benedire Dio. E allorquando le si fece dire: «Mio Dio, prendete possesso della mia anima e del mio corpo», il diavolo, quando ella volle dire: «del mio corpo», la prese

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per tre volte alla gola, facendola urlare, digrignare i denti, tirare la lingua. Infine costretto a obbedire, ella ricevette il santo Sacramento che per diverse volte lo spirito cercò di farle gettare fuori dalla bocca, inducendola a vomitare. Portata la santa comunione a suor Louise de Jésus, le ci volle più di una mezz’ora per riceverla, agitata in sorta che da sei a sette persone non potevano tenerla. Ella non poteva adorare Dio; ma dopo aprì infine la bocca e si comunicò tranquillamente.

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«Un prete mi ci ha messo» Esorcizzata immediatamente dopo in latino, ricominciate le vessazioni, i diavoli furono interrogati: «Quomodo inductus?» Disse diverse volte: «Segno». Incitato: «Sub quo symbolo?», disse: «Esso è spinoso». Interrogato: «Ubi positus?» – «Non so. Voi ne sapete abbastanza». Poi disse: «Oh forza del segno (sacerdotale): esso è onnipotente. Un prete mi ci ha messo, un prete non me ne leverà». Suor Claire esorcizzata con una violenza simile rideva perpetuamente, e disse due volte che il suo nome era Zabulon…8 L’11 ottobre, il cerchio si stringe. Urbain Grandier è designato espressamente come stregone. L’accusa è temibile. Essa riunisce in uno solo tutti i crimini. È ciò che il 12 agosto 1632 mostra per esempio la lettera regale, che all’intendente di Limousin, Haute e 8

BN, Fds fr. 7619, f. 6-7.

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Basse Marche e Auvergne affida la missione di reprimere gli omi-

cidi, assassinii, ribellioni alla giustizia, malefici, avvelenamenti e stregonerie che saranno commessi e si commetteranno nelle dette province9. La stregoneria è una parola che, nella sua indeterminazione, designa e raccoglie tutte le minacce. Ecco dunque questo processo verbale redatto al monastero delle figlie di Sant’Orsola, l’11 ottobre, dalle 7 alle 8 della sera, e firmato: Mignon; F. Antoine de la Charité, priore dei carmelitani

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di Loudun; F. Eusèbe de Saint-Michel, carmelitano: Delle rose Quando si è giunti al momento dell’esorcismo che comanda al diavolo di dire il suo nome, incitato e incitato di nuovo con grande furia ha infine detto per tre volte che il suo nome era Astaroth. Comandato di dire: Quomodo domo ingressus fuisset?

ha detto: Per Pactum Pastoris ecclesiae S. Petri. Mentre noi proseguivamo le preghiere, con un grido spaventevole il diavolo ha detto in francese per due volte: «Oh prete malvagio!» Interrogato: Quis sacerdos? ha detto per due volte: Urbanista. Et jussus quinquies ut diceret clare et distincte quisnam ille presbyter?, ha risposto gridando fortemente e lungamente, come an-

simando: «Urbain Grandier». Incitato di dire qualis esset ille Urbanus?, ha detto: Curatus S. Petri. – Cujus S. Petri? 9 Commissione d’intendente della giustizia per il Signore d’Argenson per servire presso il Signor Principe, edito in G. Hanotaux, Origines de l’institution des intendants des provinces, Paris 1884, p. 316 sg.

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Ha detto due volte: «Du Marché». Incitato e incitato di nuovo ancora a dire Sub quo novo pacto remissus fuerit?, ha detto:

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Flores. – Qui flores? – Rosarum.

E tutte queste risposte erano date in virtù di tante intimidazioni che si discerneva sensibilmente che il diavolo era grandemente forzato. E anche la pronuncia che si faceva del suo nome, quando gli si comandava di rispondere, gli era così sgradita che una volta esclamò urlando: «Ah, perché l’ho detto?» Infine l’ultima ingiunzione che gli fu fatta per questa sera, fu di dire: Quare ingressus fuisset in monasterium puellarum Deo Sacramentum? – Ha detto: Animositas10.

I notabili Allora, una seconda ondata – quella dei notabili – sale nella camera della priora e s’installa nel convento: il 12, il nobile Avvocato Paul Grouard, giudice prevosto; il nobile Avvocato Louis Moussault, procuratore del re; Maestro René Maunoury, chirurgo. Il 13, si hanno inoltre: Maestri Daniel Roger11 e Gaspard Joubert, ugonotti, ci si dice, e dottori in medicina, più Maestro René Adam, speziale. Di questi tre uomini, il processo verbale registra

10 11

BN, Fds fr. 7619, f. 9. Su questo medico ugonotto si trovano informazioni in Dumontier de la Fond, Essai sur l’histoire de Loudun, Poitiers, 1778, Prima Parte, p. 132; Seconda Parte, pp. 113, 120, 123, 129. Ma esse mal concordano con le indicazioni date dai processi verbali.

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che piangevano, vedendo la posseduta Jeanne rifiutare la comunione con contorsioni sorprendenti:

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Essi hanno testimoniato chiarissimamente che tali vessazioni sorpassavano le forze umane e non potevano procedere da alcuna malattia naturale12. Ma cos’è naturale? Tutto il problema è qui. C’è anche il balivo, giudice ordinario e presidiale di Loudun: Guillaume de Cerisay, scudiero, signore della Guérinière è balivo di toga lunga, vale a dire che egli assicura l’esecutivo come balivo (funzionario di toga corta, o di spada), ma emana anche la giustizia come magistrato di toga lunga. Egli cumula così due funzioni, abitualmente distinte dall’ordinanza del 1561. È non solamente il più importante dei notabili, ma la più alta autorità giudiziaria di Loudun. Con lui arrivano l’inquisitore civile (Louis Chauvet) e suo fratello Charles, assessore, l’inquisitore di giustizia (René Hervé), il procuratore del re (Moussault), l’inquisitore alla prevostura (Paul Aubry), gli addetti cancellieri, Pierre Thibault e soprattutto Urbain Dupont, la penna sempre in mano. Altri medici sono introdotti: Mathieu Fanton e Charles Auger (di Loudun), Vincent de Fos (di Châtellerault), Alphonse Cosnier (di Fontevrault), François Brion (di Thouars), etc.13. Insomma, tutta una «società» di provincia si ricostituisce sul terreno che la possessione le ha fissato: intorno alle stregate, essa comincia un gioco di società dove i suoi valori sono la posta in gioco e il demonio non è che “il morto”. I gentiluomini non sono ancora qui. Forse non si compromettono troppo. In più, essi abitano le loro terre, più lontano. Ma non tarderanno, e con il loro arrivo la diffusione dell’evento avrà oltrepassato una soglia ulteriore.

12 Processo verbale del 13 ottobre e dei giorni seguenti; BN, Fds fr. 7619, f. 12 verso e sg. 13 BN, Fds fr. 7619, f. 35.

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La regola del gioco L’ordine di entrata in scena segue l’ordine del rango ancor più che quello della distanza. Lo si direbbe regolato secondo un’etichetta che sale secondo le categorie sociali. Per lo meno, esso ricostituisce un’organizzazione geografica e gerarchica della città. La mobilita. Non la scuote. In questo convegno dello straordinario, le regole del gioco sociale funzionano con la stessa puntigliosa precisione – e forse tanto più in quanto la loro ragione d’essere è messa in causa. Così, il 25 ottobre, un testimone, il Signore Dugrès, uomo d’onore e di buona famiglia, si vanta della sua condizione e del suo merito per reclamare al balivo il diritto di accedere alla camera e di avvicinarsi al letto della detta priora. Non è che un inizio. Si diffonde la notizia che Urbain Grandier, curato di Saint-Pierre-du-Marché, è indicato dalle «possedute» come l’autore del maleficio di cui esse sarebbero vittime. Così comincia, nel convento dove diciassette orsoline recitavano tranquillamente l’uffizio e facevano lezione alle fanciulle della regione, il caso che attirerà a migliaia i curiosi venuti da tutta Europa, la più celebre delle possessioni che, all’epoca, sulla superficie del paese scoppiavano come una serie di ascessi. Dopo le apparizioni di fantasmi, nella notte tra il 21 e il 22 settembre, gli avvenimenti si sono svolti secondo il ciclo che un’abbondante letteratura ha fissato. L’Histoire admirable de la possession di François Domptius (Chastellain, Paris 1613) si divideva in atti: essi dicono già tutto in anticipo, evocando persino la spina e le rose, fornendo un modello sotto la forma di una narrazione. Fin dal primo atto la scena è composta:

Il settimo e l’ottavo giorno di dicembre, continuando gli stessi esorcismi due volte per giorno, i demòni essendo interrogati risposero che essi erano tre nel corpo di Louise, che vi erano per mezzo di un maleficio, e che il primo di loro si chiamava Verrine, l’altro

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Gresil, e l’ultimo Sonneillon, e che tutti e tre erano del terzo ordine, cioè del rango dei Troni14. I tipi di contorsioni, i nomi dei diavoli principali (ci saranno varianti regionali e invenzioni personali), le loro dichiarazioni edificanti quando vi sono costretti e il fatto che alla fine essi diventano i veri medici, speziali e chirurghi delle anime: con ciò lo schema è completo. Ma l’Histoire provenzale è spiegata e giustificata dall’aggiunta di un Discours des esprits composto in precedenza da padre Sébastien Michaelis (Chastellain, Paris 1612). A Loudun, questa bella unità tra la narrazione e la teoria, tra la storia e il discorso, si perderà: la storia si drammatizza, si psicologizza e si sviluppa a dismisura; il discorso si frammenta e si dissolve per lasciare posto ad altre ragioni. Dal 12 ottobre 1632, Jean Mignon sottolinea il parallelismo con il caso che ha condotto Gaufridy alla morte. Questa minaccia contro Grandier è anche una confessione. Il riferimento al processo d’Aix non ha permesso di riconoscere subito, «per tutti i segni apparenti, la verità della detta nuova possessione»15? Ma, senza dubbio, l’archetipo era servito da norma prima di servire da prova. Si era tacitamente imposto da gran tempo. Nel leggere i verbali del processo si è sorpresi di vedere funzionare il meccanismo così rapidamente e così facilmente. Esso ha la sua tradizione, e gli abitanti sembrano essersi distribuiti senza difficoltà dei ruoli già definiti.

14 15

Histoire admirable de la possession…, Chastellain, Paris 1613, I Parte, p. 3. BN, Fds fr. 7619, f. 9.

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Il cerchio magico  

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Una mobilitazione si produce immediatamente. Essa organizza la città, rivelandone anche le tensioni latenti, quelle che si è creduto di risolvere e che si vuole dimenticare, o quelle che si aggravano e troveranno qui uno sfogo. Niente lasciava prevedere che in rue du Pasquin, dove alloggiano le orsoline, sarebbero avvenuti episodi notturni. Ma che essi abbiano una tale eco a Loudun non è sorprendente. Il fatto non è dovuto solo ai pettegolezzi e alle curiosità sempre in agguato in una piccola città di provincia, né deriva solo da dispute intestine, da battaglie tra clan, da rivalità personali che, dopo aver a lungo covato sotto i tetti, trovano così un’occasione di manifestarsi attraverso una disputa pubblica tra Dio e il Diavolo. Questa disputa è pur tuttavia più che una conseguenza. Essa crea una situazione nuova. Divide. La rete complessa della vita quotidiana si lacera in due parti, sebbene ciò accada proprio là dove il tessuto presentava dei rammendi e delle usure. La possessione raggruppa i conflitti già esistenti ma li traspone, offrendo loro un altro registro in cui esprimersi. Anche quando presuppone delle scissioni più antiche, con un linguaggio nuovo essa viene a costituire un’esperienza differente. Rivela qualcosa che esisteva, ma anche e soprattutto permette, rende possibile qualcosa che non esisteva. I dislivelli del suolo di Loudun impongono alla battaglia una geografia, che modificherà tuttavia il terreno socioculturale del paese. Ha luogo qualcosa che non può essere ridotto all’antico. Per questo, ciò che accade diviene un evento. Esso ha le sue regole proprie, che spostano le ripartizioni già esistenti.

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Una frontiera religiosa

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Di queste ripartizioni la più importante è senza alcun dubbio quella creata dalla guerra delle religioni. Sessant’anni prima, ugonotti e cattolici si massacravano nei luoghi in cui nel 1632 essi si accontenteranno di disputare. Tenuta dai primi, assediata dalle truppe cattoliche e da queste occupata, la città veniva allora ripresa, saccheggiata e incendiata dagli ugonotti:

[Le chiese sono] tutte rovinate negli ornamenti e nelle loro immagini, rotte e bruciate fin dall’anno 1562 dagli stessi ugonotti che facendo questi guasti gridavano: Viva il Vangelo! La messa è abolita1. Gli uomini soffrirono più delle pietre. Dieci anni dopo, i cattolici prendono la loro rivincita. Compiono le stesse devastazioni ma in nome del Credo avverso. Una sequela di massacri ripeterà il processo che assicura di volta in volta la vittoria a «verità» opposte. Così sarà fino a che l’Editto di Nantes (1598) farà di Loudun un «luogo di sicurezza» per i riformati, garantendo loro la posizione che hanno acquisito. È una postazione avanzata, quasi una città di frontiera posta davanti a regioni, situate più a sud o a ovest, in cui il protestantesimo domina. È anche un luogo di livello nazionale, quando con il Trattato di Loudun del febbraio 1616 si tratta di riparare il fragile accordo tra i due partiti, in seguito a una conferenza nella quale il principe di Condé e i capi ugonotti incontrano i delegati di Maria dei Medici. In realtà, uno slittamento compromette lo status quo. Sempre maggioritari nella città dove si sono tenuti un sinodo nazionale (1619-1620) e tanti sinodi provinciali (1610, 1631, etc.), gli ugonotti, ancora potenti e in maggioranza fra i notabili e i proprietari di scuole destinate ai loro adepti, si sentono già isolati in questo 1

L. Trincant, Abrégé des Antiquités de Loudun, manoscritto citato da G. Legué, Urbain Grandier et le possédées de Loudun, Paris 1880, p. 3, nota.

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avamposto e resi inquieti dalla minaccia che loro preannuncia la presa di La Rochelle nel 1628. Una dichiarazione di Luigi XIII, fatta a Parigi il 15 dicembre 1628 in seguito alla presa di La Rochelle, ricorda l’amore paterno del re e la sua volontà di procurare la pace e la tranquillità, ma non lascia alcun dubbio sulla sua volontà di mettere fine a ogni ribellione e sul rovesciamento che si sta operando nell’equilibrio delle forze:

Avendo messo questo affare in deliberazione nel nostro consiglio, secondo il parere di questo e della nostra scienza certa, piena potenza, grazia speciale e autorità regale, Noi abbiamo ingiunto e, con questi atti presenti firmati di nostra mano, Noi ingiungiamo a tutti i nostri sudditi della Religione pretesa riformata, di qualunque condizione essi siano, che dal momento presente si troveranno arruolati nella ribellione e staranno portando le armi o tenendo le nostre città e piazze contro il nostro servizio e l’obbedienza che essi ci debbono, e aderiscono a coloro che le tengono e le occupano, e che, in qualunque maniera, si trovano in quelle, che essi abbiano a posare le armi, rimettersi al loro dovere e farne e passare le dichiarazioni secondo la forma prescritta, davanti alle nostre Corti dei Parlamenti o Sedi presidiali che sono in nostra obbedienza le più prossime alle loro dimore, entro quindici giorni dopo la pubblicazione di questi atti presenti 2. Abituati da molto tempo alla resistenza, ma ormai difesi dal potere regale e promossi alle cariche di magistrati, chiamati a una crociata apostolica dai predicatori di passaggio, i cattolici si vedono rafforzati dagli Ordini religiosi che, dall’inizio del secolo, s’installano progressivamente, restaurano le chiese, costruiscono dei nuovi conventi, emergono nella vita urbana a partire da tutto un sistema di filiali spirituali: i cordiglieri aprono i loro conventi presso Saint-Marthurin; poi i gesuiti nel 1606 la loro residenza, 2

Edito in É. Benoit, Histoire de l’Édit de Nantes, t. 2, Delft 1963,

Preuves, pp. 90-91.

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accanto a Saint-Pierre-du-Marché; i carmelitani riformati, che hanno cominciato a ricostruire il loro convento nel 1604, possiedono la chiesa di Saint-Pierre-du-Martray, ove tengono la loro prima congregazione generale nel 1614; i cappuccini arrivano nel 1616; le religiose del Calvario nel 1624; le orsoline nel 1626. La situazione si rovescia, dunque, secondo un processo che la possessione rivela e precipita.

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Due politiche Un indice di questa evoluzione era stata la sostituzione del protestante Boisguérin con il cattolico Jean d’Armagnac – uno dei primi valletti di camera del re –, nella carica di governatore della città e del castello di Loudun (con lettere patenti del 18 dicembre 1617). Ma qui interviene un altro tipo di ripartizione che, al di sopra delle differenze religiose, raggruppa i difensori dei privilegi locali contro le pressioni del potere centrale. Jean d’Armagnac prende il posto del suo predecessore ugonotto quando finisce di restaurare la fortezza (1626). La deve tuttavia al dono di Luigi XIII (13 maggio 1622). Ha dunque una condotta abbastanza ondeggiante. Più appassionato che intelligente, più subdolo che abile, finirà per servire cause diverse dalla sua e per soffocare nei suoi propri intrighi. Prima di tutto cerca di preservare il torrione, che egli abita, malgrado le decisioni del re concernenti il castello (1622)3. Nel novembre 1631, il barone di Laubardemont ha ricevuto dal re l’incarico di radere al suolo il castello e la cinta fortificata di Loudun, come ha già fatto per il castello di Mirebeau (1629) e la cittadella di Royan (1630). Ma una lettera di Luigi XIII al commissario esclude il torrione – favore fatto al governatore: 3

V. A. Barbier, Jean II d’Armagnac, gouverneur de Loudun, et Urbain Grandier (1617-1635), in Mémoires de la Société des Antiquaires de l’Ouest, seconda serie, t. 8, 1885, pp. 183-380.

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Poiché è importante per il mio servizio e la pace dei miei sudditi della provincia di Poitou che si proceda prontamente alla demolizione delle fortificazioni del mio castello di Loudun secondo gli ordini che avete ricevuto da me, vi redigo questa lettera per dirvi che incontanente ricevuta, voi dovete eseguire esattamente la commissione che vi è stata inviata a questo effetto, con la riserva del torrione del detto castello, che io desidero e intendo che sia conservato e al di là del quale niente sarà demolito…4 Oggetto di combinazioni sottili, di compiacenze temporanee o di tradimenti malcelati, il torrione è la posta in gioco delle due politiche. Affrontandosi o camuffandosi, le prese di posizione compongono una geografia nuova: una lotta politica non ricopre la ripartizione dei partiti religiosi; essa ripartisce le forze e le opzioni in nome di criteri che non sono più direttamente le credenze. Cattolici, ugonotti o scettici si ritrovano per difendere le giurisdizioni locali, cioè un’indipendenza regionale. È ugualmente il caso dall’altro lato. Da questo punto di vista, la possessione oppone fra loro i partigiani di d’Armagnac e quelli di Richelieu. Per la sua azione, il potere centrale mobilita l’adesione dei primi e urta gli interessi dei secondi, quali che siano i loro motivi religiosi. Secolarizza e sposta le credenze degli uni e degli altri, investendole o arruolandole in una posta in gioco di natura differente. La politica diviene l’asse che in modo discreto si sostituisce ai riferimenti divenuti contestabili e dunque dubbi. Essa rende ambigue le posizioni che si dicono religiose: cattolici o riformati difendono ancora il loro gruppo, sia con la centralizzazione sia contro di essa; ma così forse attestano semplicemente che l’importante non sta più lì; che il potere cessa di essere religioso; che la decisione, per ciò che concerne le verità o le Chiese a confronto, ormai sfugge loro, e che la ragione si definisce in termini di Stato. 4

Citato da G. Hanotaux e duca de La Force, Histoire du cardinal Richelieu, 1935, t. 4, p. 243.

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Nascita di un linguaggio Ben prima dell’inizio della possessione prende avvio il fenomeno che interdice di classificarla esclusivamente nella storia religiosa o di interpretarla solo come un caso politico. L’ambiguità svela qui un’evoluzione. L’accelera. Rientra fra le definizioni della possessione questo suo essere un momento instabile, di simbolizzarlo in un linguaggio che gli fornisce un’espressione davvero arcaica e nuova allo stesso tempo, e, nel senso chimico del termine, di «precipitare» così un processo in cui si formano delle prese di posizione. Il più intransigente degli esorcisti, il più tenacemente convinto della presenza diabolica, Padre Tranquille, nella sua ingenuità dirà meglio il potere che uscirà trionfante dalla crisi aperta dall’incertezza dei quadri di riferimento e sostituirà quello delle gerarchie cattoliche di ieri: la possessione, scrive, ha mostrato che i demòni

non potranno essere cacciati che a colpi di scettro e che il pastorale non sarà sufficiente per rompere la testa a questo dragone5. Se la possessione dà sfogo ai conflitti di una città divisa, se li fa prorompere alla luce del sole, essa compie ciò trasponendoli. Nel campo chiuso di un discorso diabolico, le inquietudini, le vendette o le ostilità sono senza dubbio liberate, si dirà, ma esse sono soprattutto spostate, chiuse in un linguaggio, nuovamente mascherate, sottomesse alle costrizioni di un altro sistema di espressione. Ecco cos’è importante: questo terreno nuovo, diabolico, ritagliato sulla superficie del paese e che non può ricondursi a suoi antecedenti.

5

Véritable relation des justes procédures observées au fait de la possession des Ursulines de Loudun et au procès de Grandier, del Rev. Padre Tranquille R. C., J. Martin, Paris 1634, f. 31 verso - 32 recto.

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Pianta della città di Loudun nel XVII secolo 1 Torre quadrata 2 Gran Castello 3 Palazzo (di giustizia) 4 Chiesa di Saint-Pierre 5 Chiesa di Sainte-Croix 6 Orsoline 7 Gesuiti 8 Chiesa di Saint-Pierre-du Marray 9 Carmelitani 10 Cappuccini 11 Cordiglieri

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Una prigione Qualcosa di diverso ormai accade. Una volta installato, il «teatro» ha le sue proprie leggi; esso trasforma i problemi e le passioni di cui si nutre. Da una parte, fa sfociare i rancori urbani in grandi e temibili interrogativi: il Maligno, Dio, il mondo naturale o soprannaturale, etc. Li spinge a questo confronto con fini o riferimenti in loro assenti. Dall’altra, confina i problemi i più differenti in un’alternativa che blocca insieme tutti i sì da un lato e tutti i no dall’altro. Bisogna essere pro o contro. Trasponendo le mille liti di una città, la legge unitaria e monotona di una struttura bipolare le iscrive tutte in anticipo in una guerra di dei. Essa semplifica le scelte; pone fin dall’inizio un codice normativo che le riduce all’obbligo di schierarsi nel campo di Satana o in quello di Dio. Sebbene questo linguaggio «liberi» le passioni, esso è innanzitutto un sistema chiuso o, come diranno tanti testimoni, una prigione. Circoscritto su una scena, il dibattito si organizza in due campi, come in questo «Balletto» danzato dai pensionari di un collegio gesuita in onore della presa de La Rochelle: secondo la spiegazione che ne fornisce padre Claude Menestrier, La Conquête du Char de la Gloire par le grand Théandre oppone in effetti l’eroe Théandre (Luigi XIII), sostenuto dal pastore Caspis, suo primo e principale ministro, agli Incantesimi che sono Eresie e Ribellioni6. Il teoforo di tutte le buone cause fa fronte al Ribelle che simboleggia tutti i mali. Ma prima della drammaturgia danzata, c’è quella, violenta, della possessione. Vittime o complici? Sempre più numerosi, i partecipanti saranno presi in questo gioco. In partenza, c’è un’adesione minima – in ogni caso una partecipazione, una «sintonizzazione» – alla drammaturgia che 6

C. Menestrier, Des Ballets anciens et modernes, Paris 1682, Préface.

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autorizza a dire tutto, a intendere tutto, a vedere tutto, ma in un linguaggio diabolico, allegorico quindi, che nasconde tutto. Tutto è permesso, ma perché è il discorso di un altro (del diavolo): di fatto, un altro discorso. Ma questo gioco sviluppa delle «intelligenze» iniziali, che esso presuppone. Rinchiude i partecipanti nella sua logica. Di questa combinazione tra la complicità che implica un sistema per funzionare e la costrizione che esso esercita, nessun altro ha parlato meglio di Jeanne des Anges, quando nel 1644 scrive del suo stato passato. Sentirla per la prima volta spiegare gli inizi della propria possessione equivale a percepire la sua lucidità, acuta e civettuola, che supera sempre l’attesa dell’interlocutore. Ma lei è così lucida solo molto più tardi, in un momento in cui, con le sue figliole, i suoi direttori spirituali e la sua clientela devota, è già entrata in un altro sistema, quello della mistica. Non avrebbe tenuto questo linguaggio all’epoca di cui parla. Al di là della sua propria psicologia, e grazie all’insinuante perspicacità che ne è un segno, ella analizza un aspetto della possessione collettiva: a modo loro, gli esorcisti, i curiosi, il pubblico eseguono ugualmente il gesto che li porta a desiderare questo spettacolo abominevole, ad augurarsi ciò che essi condanneranno, a essere anche loro gli attori di ciò che respingono come un oggetto scandaloso. È Surin – lo vedremo – che ha spiegato a Jeanne des Anges come lei fosse complice dei demòni di cui si diceva vittima. Ma, resa sottile dall’abitudine all’esame di coscienza e da una lunga pratica di finezze che mutano le ammissioni in apologie, la prudente confessione della priora ha il vantaggio di designare attraverso quali incerti passaggi si viene introdotti nel cerchio costrittivo della magia.

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Il piacere del diavolo Il diavolo mi ingannava spesso con un piccolo piacere che avevo nelle agitazioni e in altre cose straordinarie che faceva nel mio corpo. Prendevo un estremo diletto nel sentirne parlare ed ero ben lieta di apparire più tormentata delle altre, cosa che donava grandi forze a questi spiriti maledetti, poiché sono ben lieti di poter divertirci guardando le loro opere, e, di qui, essi s’insinuano poco a poco nelle anime e prendono grande vantaggio su di esse. Poiché fanno in modo che non si apprenda la loro malizia. Al contrario, si familiarizzano con lo spirito umano e con questi piccoli piaceri da esso ottengono un tacito consenso per operare nello spirito delle creature che essi possiedono, cosa che è molto dannosa per esse, poiché, di qui, essi imprimono in quelle ciò che loro piace e fanno loro credere ciò che essi vogliono, tanto più facilmente quanto meno esse li guardano come nemici della loro salvezza. E se non sono ben fedeli a Dio e attente alla loro coscienza, esse sono in pericolo di commettere grandi peccati, e di cadere in grandi errori. Poiché, dopo che questi maledetti spiriti si sono insinuati in questa maniera nella volontà, fanno credere alle anime una parte di ciò che vogliono; donano qualche volta conoscenza dei loro disegni, e dopo, turbando l’immaginazione, gettano in grandi disordini… «Ero io la causa prima dei miei turbamenti» Il più delle volte notavo benissimo che ero io la causa prima dei miei turbamenti e che il demònio non agiva che nei varchi che io gli offrivo. Quando parlavo di questo ai miei esorcisti, essi mi dicevano che era il demònio a trasmettermi queste sensazioni al fine di nascondersi in me, o per gettarmi nella meschina disperazione di vedermi in stato così maligno. Non ne rimanevo per questo più soddisfatta, poiché sebbene sull’istante ingiungessi a me stessa di 66 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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credere a ciò che mi dicevano, nondimeno la mia coscienza, che mi serviva da giudice, non mi dava requie. Così tutte le loro assicurazioni servivano a farmi delle illusioni. Penso che fosse perché stentavano a credere che fossi così malvagia e credevano che fossero i diavoli a trasmettermi questi scrupoli… Per meglio farmi intendere, è necessario che ne dia qualche esempio, sia in cose importanti che in materia più leggera, affinché coloro che potranno leggere ciò, sappiano quanto è necessario che le anime che sono tormentate dai demòni si tengano con forza a Dio e diffidino molto di se stesse. Con mio grande imbarazzo mi accadde che, nei primi giorni che padre Lactance mi fu dato come direttore (spirituale) e come esorcista, disapprovai la sua maniera di agire in molte piccole cose sebbene essa fosse buonissima, ma perché io ero malvagia. Un giorno predispose la comunione per tutte noi alla nostra grata. In quel momento, mentre la maggior parte di noi era molto agitata da turbamenti e da grandi convulsioni nel ricevere il santo Sacramento, il prete entrava nel nostro coro o di qui ci si faceva uscire per comunicarci nella chiesa. Mi fece arrabbiare che egli volesse introdurre un uso differente. Cominciai a mormorarne nel mio cuore, pensando fra me e me che avrebbe fatto certo meglio a seguire la maniera degli altri preti. Mentre mi abbandonavo a questo pensiero, mi venne in mente che, per umiliare questo padre, il demònio avrebbe fatto qualche irriverenza al santissimo Sacramento. Fui così miserabile da non opporre abbastanza resistenza a questo pensiero. Mentre mi presentavo alla comunione, il diavolo si impadronì della mia testa, e, dopo che ebbi ricevuto la santa ostia e che l’ebbi a metà umettata, il diavolo la gettò in faccia al prete. So bene che non feci questa azione con libertà, ma con mio grande imbarazzo sono parimenti certa che io lasciavo al diavolo lo spazio per farla, e

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che non avrebbe affatto avuto questo potere se io non mi fossi affatto legata a lui 7.

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L’incantesimo delle rose moscate Ma qual è dunque il luogo proprio della magia? Niente di stupefacente che sia circoscritto da un «incantesimo». C’è un leggero indizio: un odore copre questo spazio. O piuttosto esso lo «possiede». Chi conosce l’importanza dell’olfatto nel XVII secolo non trascurerà questo segno decisivo. Come un vapore si estende sulle terre leggendarie, come una doratura aureola i santi, l’odore costituisce un territorio per un tempo ritratto dal tempo, consegnato alle leggi, rigide e represse, del sentire, dell’immaginario, dell’immediato. Per tutte le «follie» del gesto e della parola, un cerchio magico è tracciato intorno a un centro che emana odore: un bouquet di rose moscate. È padre Du Pont che racconta questo inizio – un uomo di certo onesto, residente a Poitiers, religioso di Fontevrault, fratello o parente di una damigella Du Pont che aveva una casa di campagna a un’ora di distanza da Loudun. Sempre seduto in prima fila durante gli esorcismi, curioso, chiacchierone, è l’autore di otto lettere e di una «relazione» indirizzata a Monsieur Hubert dopo tre soggiorni sul posto:

Il giorno stesso che suor Agnès, novizia orsolina, fece professione [11 ottobre 1632], essa fu posseduta dal diavolo, come a me in persona ha raccontato la madre priora. L’incantesimo fu un bouquet di rose moscate, che si trovava su un gradino del dormitorio. Avendolo raccolto, la madre priora lo odorò, cosa che fecero anche alcune altre dopo di lei, le quali furono incontanente 7

Suor Jeanne des Anges, Autobiographie, éd. Gabriel Legué e Gilles de la Tourette, Paris 1886, pp. 76-79; testo verificato sul manoscritto di Tours, Bibl. Municipale, manoscritto 1197.

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tutte possedute. Esse cominciarono a gridare e a chiamare Grandier, di cui erano talmente invaghite che né le altre religiose né tutte le altre persone erano capaci di trattenerle. Esse volevano andare a trovarlo, e per fare ciò salivano e correvano sui tetti del convento, sugli alberi, in camicia da notte, aggrappandosi alla cima dei rami. Qui, emettendo grida spaventose, sopportarono la grandine, la gelata e la pioggia, restando quattro o cinque giorni senza mangiare 8.

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A entrare in questo cerchio sarà tutta la città. Lo mostra un altro testimone, qualche settimana dopo:

Vorrei davvero avere abbastanza eloquenza per dipingere lo stato delle religiose e della loro chiesa al tempo dell’esorcismo. Si vedevano cinque figliole, ciascuna assistita da due o tre preti o religiosi: questa urlava e gridava, rigirandosi nella polvere, facendo smorfie e tutto ciò che può suscitare orrore; e quella parlava, rideva, cantava, levando la mano e la voce… Aggiunto a tutto questo, la gente che andava e veniva, correndo dall’una all’altra, alcuni sospirando, altri facendosene beffa, la polvere molto densa, l’aria surriscaldata, e l’odore di aglio, comune a tutti quelli del paese, che esalava e puzzava. Sono sicuro: è un’immagine dell’inferno. È vero che anche lo spirito più forte è commosso in questa tempesta, e il disordine del luogo mette in disordine tutti i pensieri; e se la ragione non venisse in soccorso dei sensi stupefatti per ricordare loro che questa chiesa è una casa di Dio, si direbbe che si tratta di una prigione di terrore, di orrore e di supplizio 9. Processi verbali, diari intimi e «relazioni» offriranno tutta una gamma di odori, da quelli straordinari delle rose moscate, delle tre spine di biancospino, o delle calendule e dei garofani trovati il 20 ottobre nella biblioteca del convento, fino a quello – anch’esso 8 9

Bibl. Arsenal, manoscritto 4824, f. 39 verso. Relazione dell’abate D.; Bibl. Arsenal, manoscritto 5554, f. 109; v. BN, Fds fr. 12801, f. 3.

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infernale – dell’aglio comune a tutti quelli del paese. Diventerà un modo di classificare la diversità delle esperienze secondo un’analisi più fine. Nel suo insieme questo vocabolario ha però una significazione propria, che dipende da una gerarchia del vedere e del sentire.

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Magia dell’odore Certo, come nel teatro dell’epoca, lo spettacolo trasforma la città intera, cinta di mura, in un’«Isola incantata», dove gli attori e il pubblico sono presi nella stessa «illusione». Esso crea l’aerea di un sistema, quale viene delineata con precisione nella Pratique du théâtre di d’Aubignac, ove si dice: Un’ingegnosa magia ci mette

in vista un nuovo cielo, una nuova terra e un’infinità di meraviglie che crediamo di avere presenti 10. Tutto deve accadere come se non si trattasse di teatro; tutto funziona grazie alla complicità che un’arte illusionista intrattiene con un pubblico contento di essere ingannato. Ma il vedere nondimeno oscilla tra il sogno e il reale. Il sito incantato lascia persistere il dubbio. Un tempo interiore resiste all’ingegnosa composizione dei luoghi. Aggiunge d’Aubignac: allo stesso tempo siamo ben certi di essere ingannati. Ritagliato dagli oggetti rappresentati ma instabili, lo spazio «possiede» davvero gli spiriti solo tramite l’odore. Allora solamente, e nel senso territoriale del termine, esso «occupa» testimoni e attori. Quanto alle apparenze, esse sono sempre a distanza, rese sospette da una combinazione sempre più sottile fra l’artificio e il dubbio. Ma danno luogo a un’altra esperienza, quando vi si aggiunge la percezione olfattiva interna. C’è un salto qualitativo. Lo spazio interno del corpo partecipa allora all’estensione delle cose. Al limite, il sentire garantisce, giudica e precede il vedere. 10

D’Aubignac, Pratique du théâtre, 1657; v. J. Rousset, L’Intérieur et l’extérieur. Essai sur la poésie et sur le théâtre au XVIIe siècle, José Corti, Paris 1968, pp. 169-176.

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Già per Montaigne è l’odore stesso a portarsi al naso e ad attaccarsi al corpo, cui aderisce e si incolla:

Chi si lamenta della natura perché ha lasciato l’uomo senza strumenti per portare gli odori al naso, ha torto, poiché essi ci si portano da se stessi. A me in particolare servono a ciò i baffi, che ho folti. Se vi avvicino i miei guanti o il mio fazzoletto, l’odore vi rimarrà un intero giorno. Gli odori denunciano il luogo da cui vengo. I baci lunghi della gioventù, saporosi, avidi, appiccicosi una volta ci si attaccavano e vi rimanevano poi per parecchie ore. […] I medici potrebbero, io credo, fare degli odori più uso di quanto non fanno: infatti mi sono spesso accorto che questi mi cambiano e agiscono sul mio spirito secondo la loro natura […] 11. Egli evoca anche le malattie popolari che nascono dal contagio dell’aria. Come si è visto, alcuni odori sono anche la migliore difesa contro la peste. Essi creano un altro spazio. All’opposto, Paul Zacchias, che nel XVII secolo resta il grande classico della medicina medico-legale, nelle sue monumentali Quaestiones medico-legales (Avignone, 1557) si dilunga ampiamente sui pericoli dell’odorato, sui veleni con cui la fragranza provoca vertigine, mal di testa, soffocamenti… Egli scrive:

Abbiamo mille esempi di vivi infettati per il solo odorato… Vediamo ogni giorno numerose persone cadere in uno stato grave o gravissimo dovuto a degli odori buoni o cattivi, o gente svenire respirando certe cose… Secondo lui, l’odore può nutrire, putrefare o uccidere12. Questa efficacia dell’odore si ricongiunge con la dottrina sostenuta da San Tommaso, che pone come conosciuto l’essere di cui si è im11 Montaigne, Essais, I, 55, in Œuvres complètes, éd. A. Thibaudet e M. Rat, Gallimard, La Pléiade, Paris 1962, pp. 301-302, trad. it. a c. di V. Enrico, Saggi, I, LV, Mondadori, Milano 1986, p. 339 (trad. leggermente modificata). 12 P. Zacchias, Quaestiones medico-legales, 5a éd. J. Piot, Avignon 1557, Lib. II, p. 61.

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pregnati o imbevuti ? Questa esperienza del contagio attraverso l’odore si ritrova nel XVII secolo nella diagnostica medica, come nel discernimento spirituale. Entrando da un suo malato, il medico annusa e spesso scopre in questo modo la malattia. Nelle numerose narrazioni di provenienza conventuale, è dal profumo che esso spande che si riconosce se l’oggetto di una visione è autentico, o dal buon odore che resta attaccato a una morta se essa è santa. La percezione olfattiva è un principio di discernimento. Come una degustazione gastronomica, essa giudica della realtà e la qualifica. L’odore trasforma la superficie delle cose che si hanno davanti a sé in un volume in cui ci si trova presi. L’aria respirata è l’indizio del mondo in cui si è stati introdotti – il mondo di una malattia o della grazia o di un incantesimo. Quando la si sente è perché si è già dentro, o, più esattamente, perché vi si partecipa. A Loudun, dei profumi perniciosi, dei soffi profondi, dei respiri sorprendenti sembrano anticipare (o reclamare) le designazioni visuali, che declineranno una mutazione già operata ma che occorrerà certo esprimere con un vocabolario oggettuale. Uno spazio è qualificato da impressioni olfattive, prima che possa essere descritto o espresso in gesti e che una serie di spettacoli venga a dimostrare o a demoltiplicare la «magia» originaria. Una tale aria di primavera sopravvenuta prima di ogni segno visibile, un’aria estranea indica già alla storia di Loudun il suo luogo.

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Il discorso della possessione

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Effimero, inconsistente, il luogo nato da un incantesimo deve inscriversi su di un suolo. Esso ha preso forma su una scena. Prende corpo in un linguaggio. Ma alla fine sarà chiuso come enclave nella città a titolo di una pubblica piazza.

Due vescovi, due condotte La possessione, lo si è visto, si sviluppa con un ritmo incalzante: l’11 ottobre, Grandier venne esplicitamente denunciato; il 12, intervennero gli ufficiali di giustizia. Il 22, il curato fa appello al vescovo di Poitiers, prelato amabile, vivace, uomo di corte e uomo di gusto. Figlio di un ambasciatore di Enrico III a Roma e di una madre che si converte al protestantesimo dopo la morte del marito, Henri de Chasteignier de La Rocheposay sembra avere un doppio volto, quello dell’umanista allievo dello Scaligero e quello di un riformatore austero e rigoroso. Certo, Saint-Cyran, che egli aveva preso per gran vicario, nel 1615 aveva dovuto difendere il diritto per un ecclesiastico di prendere le armi in caso di necessità, come aveva fatto il suo vescovo contro Condé. Ma, a differenza di molti dei suoi colleghi, La Rocheposay osserva l’obbligo di residenza. Si impegna nella Controriforma, e, dopo il 1642, assumerà un posto di rilievo nella compagnia del Santo Sacramento1.  1 Associazione religiosa promossa in Francia dal duca di Ventatour, Henry de Levis, fondata verso il 1629 dall’oratoriano Charles de Condren e dal gesuita Suffren. Caratterizzata dalla devozione al SS. Sacramento, s’impegnò in opere

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Non tollererà le deviazioni del curato di Loudun. Gli è necessario questo ordine pubblico e privato perché possa abbandonarsi alle gioie dell’amatore d’arte, alle finezze della conversazione o a ricerche erudite. È un flemmatico, diceva Sully. La sua corpulenta maestà di uomo ligio al dovere protegge le libertà e i piaceri del letterato. Il 24 novembre approva e autorizza ufficialmente gli esorcismi. In dicembre, René de Morans e Basile, decani del capitolo di Thouars e di Champigny, lo rappresentano a Loudun, ove ormai si trova anche Marescot, cappellano della regina. Il 10, Grandier invia un’istanza al parlamento di Parigi. Il 24 dicembre, questo sviluppo ancora tentennante è arrestato da un intervento dell’arcivescovo di Bordeaux. Dopo aver fatto esaminare e sondare le possedute da un certo Mils, medico e – ci viene detto – filosofo, Henri d’Escoubleau de Sourdis invia un’ordinanza sulle disposizioni da prendere: è un testo da meditare. Proviene da un uomo aperto e impetuoso, anch’egli riformatore, ma alla guascona. Nell’assedio di La Rochelle, aveva l’intendenza dell’artiglieria e la direzione dei vettovagliamenti. Nel 1636, prenderà parte alla guerra di Spagna, come capo del Consiglio del re nell’armata navale accanto al Signore d’Harcourt e direttore generale del materiale dell’esercito. Esposto alle insidie del suo stesso genio inquieto e vivo, sarà messo in guardia da Richelieu contro «la prontezza del vostro spirito e quella della vostra lingua». Per ragioni politiche (specialmente la sua opposizione a La Rocheposay), personali (due nipoti orsoline a Loudun) e religiose (la sua pietà si compone più di foga che di devozione), nel caso particolare di Loudun egli è poco propenso a credere alla realtà della possessione.  caritatevoli e di rinnovamento dei costumi; combatté con grande energia protestanti e giansenisti. Nel 1660 Mazzarino fece condannare la compagnia dal Parlamento di Parigi e cinque anni dopo essa fu liquidata [n.d.c.].

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Conoscere la verità

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Per prima cosa, egli scrive, la posseduta sarà isolata, poi esaminata da due o tre medici cattolici competenti; sarà seguita da questi per più giorni, e purgata, se essi lo giudicano opportuno. Dopo,

con minacce, castighi, se lo si giudica opportuno, o altri mezzi naturali, si tenterà di conoscere la verità. Infine, si cercherà di vedere se si manifesta qualche segno soprannaturale, come rispondere a cose solo pensate dai tre esorcisti, che essi in segreto avranno confidato ai loro compagni, e se essa [la posseduta] indovini parecchie cose che si facciano nel momento in cui le si parlerà, in un luogo separato, o fuori dal sospetto che essa possa saperlo; o se essa faccia un discorso da otto a dieci parole, ben corrette e ben intessute, in molte e diverse lingue; e se, legata mani e piedi sul materasso a terra, dove sia lasciata riposare senza che nessuno le si avvicini, essa si sollevi e si stacchi da terra per un tempo rilevante… È dunque richiesto un controllo, vengono dati dei criteri. L’arcivescovo non ha meno cura di fornire, in base ai beni della sua abbazia di Touin, tutte le somme che saranno necessarie al trasporto

delle fanciulle, alla convocazione dei medici e alle spese degli esorcisti e delle donne che bisogna impiegare per servire le malate 2. Quest’ultimo punto si riferisce alla situazione economica delle religiose, che molto rapidamente diventa miserabile. Scandalizzati, molti dei genitori delle orsoline non pagano più le rette che si erano impegnati a versare. Le allieve si disperdono. Una fabbrica di guanti, costruita nei pressi di Loudun, non fornisce loro che un lavoro mal retribuito, e che esse non possono più assicurare. Nel 1638, Jeanne des Anges descriverà la caduta del suo convento durante questi primi mesi, con accenti tanto più patetici quanto più essa si rivolge alla regina e più spera in sussidi:  2 Testo già pubblicato in [Aubin], Histoire des diables de Loudun, Amsterdam, 1694, pp. 91-93.

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Noi cademmo in uno stato di abbandono estremo e di necessità di ogni cosa, il più delle volte senza pane, obbligate perciò per placare la nostra fame a raccogliere qualche resto di cavoli e altre misere erbe nel nostro giardinetto e farle bollire con un po’ d’olio di noce e di sale, e pranzare e cenare con ciò senza pane. Siccome spesso questa provvista mancava, era anche necessario astenersi dal pranzare e cenare. Avevamo un’altra disgrazia, vale a dire che se avevamo del sale, dell’olio e delle erbe, non avevamo nessuno per farle cuocere, poiché quelle tra noi che erano malate e infettate dai diavoli, procuravano tali preoccupazioni e traversie a quelle che erano sane, che queste non avevano il tempo di attendere alla nostra povera cucina, sicché giorno e notte le povere fanciulle assistevano a spettacoli così spaventosi che non avevano né la memoria né il coraggio di pensare a bere e a mangiare 3. Le parole e le cose Con l’ordinanza di Sourdis, una prima tappa si chiude: quella dell’organizzazione. Fino a questa data, per tre mesi la possessione si era messa in mostra. Essa non ricopriva che superficialmente il quartiere, la città, i dintorni. Ma gradualmente i percorsi già tracciati e le storie già compiute convergono. Tutto il materiale trovato sul posto prende forma, per divenire il discorso della possessione. Un «discorso»: innanzi tutto una pluralità di parole, una diversità di elementi venuti da un altrove o da un prima; ma anche una singolarità che orienta questi frammenti di passati differenti, li adegua all’incantesimo iniziale, facendone il linguaggio dello stesso indicibile dato in origine con un odore. Si opera dunque una diversificazione, che è la possibilità di esprimere e insieme il riemergere di tradizioni reinvestite in una novità. Essa ha gli andamenti di una scolastica. Si classifica. Presto  3

Toulouse, Archives S.J., Fonds Carrère, «Vie de Jeanne des Anges».

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si curerà il dettaglio, s’introdurranno sottigliezze. Di già si distinguono i generi di possessione, le categorie di diavoli, i tipi di gesti e di contorsioni, i tempi diversi durante uno stesso esorcismo. I testimoni e i curiosi si suddividono; i pareri si dividono; le tattiche per «attaccare il diavolo» si diversificano. Ma di cosa si parla sempre, se non della possessione? Così scomposto in tante divisioni e suddivisioni, il «fiuto» primitivo è trasformato in analisi verbale. A gran velocità le parole sostituiscono gli odori. L’1 ottobre, tre su diciassette religiose sono dichiarate possedute. In dicembre, se ne contano nove, e otto ossesse, mentre le altre religiose sono sane. Questa selezione lascia il posto alle differenze osservate presso le orsoline, classificandole però secondo una codificazione propria al discorso demonologico, spesso ricorrente:

La principale differenza tra l’ossessione e la possessione, consiste in ciò che, mentre nell’ossessione il Demònio agisce solo sulle persone ossesse, sebbene in una maniera straordinaria, per esempio con frequenti e visibili apparizioni e, loro malgrado, colpendole, turbandole, e eccitando in loro passioni e movimenti strani, che superano notevolmente la portata delle loro complessioni, o disposizioni, o facoltà naturali, nella possessione invece il Demònio dispone delle facoltà e degli organi della persona posseduta, per produrre non solo in essa, ma anche per mezzo di essa, delle azioni che questa persona non potrebbe compiere da sé, almeno nelle circostanze in cui essa le compie 4. Presto la prima sarà paragonata a una «città bloccata», la seconda a una «città assediata». Si dirà anche che nell’una il Demònio agisce come principio «esterno»; nella seconda, come principio «interno».  4 J. Le Breton, La Deffense de la vérité touchant la possession des Religieuses de Louviers, Évreux 1643, in-4°, 27 pp. Vedi R.-L. Wagner, Sorciers et Magicien, Droz, Genève 1939, p. 196.

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Un codice

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Questa prima ripartizione è completata da un censimento dei demòni «possessori». Il 13 ottobre, Jeanne des Anges nomina i sette che la abitano. Fin dall’inizio, ella specifica del resto, con le sue contorsioni e le sue maschere successive, i motivi conduttori e lo «stile» proprio a ciascuno di essi – per esempio la blasfemia, l’oscenità o la canzonatura. Così, a seconda del volto e delle parole della religiosa, si potrà ulteriormente individuare le loro diverse «entrate» in scena.

– Il nome del primo? – Astaroth. – Del secondo? – Zabulon. – Del terzo? – Cham. – Del quarto? – Nephtalon. – Del quinto? – Achas. – Del sesto? – Allix. – Del settimo? – Uriel 5. Questo strano dialogo istituisce un codice. I nomi propri creano dei riferimenti e delimitano delle regioni nell’anonima zona neutra del diabolico. La designazione potrebbe sembrare una decodificazione, come se nella scia delle gesticolazioni si trattasse di vedere delinearsi le forze notturne che dal disotto agitano i corpi, e di dare poi un’etichetta verbale a questi demòni. In realtà, il processo è a rovescio. Sarebbe, qui, piuttosto di tipo scientifico. La  5

BN, Fds fr. 7619, f. 10 verso.

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nomenclatura dei demòni pone una griglia sulla superficie dei fenomeni. L’esorcismo perciò ha per compito di strappare al «miscuglio» che gli presentano le possedute il corpo «proprio», l’elemento puro che corrisponde al modello concettuale. Oggi possiamo dire che questo imperialismo verbale non prevede le condizioni di una verifica reale, non lascia alle possedute che poche possibilità di resistenza, poiché esse stesse «entrano» nel suo sistema e vi si conformano. La codificazione «riesce» sempre, perché funziona in modo puramente tautologico, dal momento che l’operazione si svolge all’interno di un campo chiuso. Per gli esorcisti, la difficoltà non è assicurarsi il mezzo per verificare la codificazione ricevuta, ma trattenere «le fanciulle» nel recinto del discorso. Esse ne scappano: ecco il pericolo. Talvolta la posseduta «resta muta» e al lottatore occorre rompere questo «patto del silenzio». Altra volta la religiosa «torna in sé» ma trova un altro modo di fuggire. Dice all’esorcista:

– Ah, Gesù, voi mi uccidete. – Mio Dio, il cuore mi fa male. – Lasciatemi, vi prego. Non ne posso più… – Buon Dio, che patisco! Sono tutta a pezzi, credo di avere una costola rotta…6 Con questa penosa miseria, con questa ricaduta nella coscienza, la posseduta esce dai dati dell’esperienza demonologica. Si deve ricondurla nell’area linguistica del dibattito. Oppure, pratica cui si ricorre spesso, si passa allora a un’altra ragazza: per restaurare l’omogeneità del discorso, si abbandona un terreno in cui l’esterno s’infiltra e si prosegue il lavoro su un linguaggio demonologicamente «proprio».

 6

Esorcismo del 24 novembre 1632; BN, Fds fr. 7619, f. 30-34.

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Le astuzie della possessione Esattamente come il «ritorno in sé», il ricordo di ciò che ha preceduto questo momento è il pericolo permanente, contro il quale deve essere difeso il laboratorio costituito dalle definizioni originarie: un momento di coscienza apre una via di fuga nel meccanismo; la memoria di ciò che è accaduto è un’insorgenza illecita. Ciò che rende possibile il discorso della possessione, ciò che infine lo autorizza, è che la religiosa non se ne ricorda, che alcuna immissione personale compromette il funzionamento autonomo della grammatica diabolica. Così si mantiene e si sviluppa la rete creata da un codice: un testo puro, un linguaggio senza soggetto, un’organizzazione dove si combinano dei ruoli e dove si declinano dei nomi «propri». Ma l’esorcista deve continuamente verificare che la religiosa, sfuggita al cerchio magico, non comprenda le parole che essa ha detto:

…E come essa fu tornata in sé, ha detto: «Gesù!». E il nominato Barré avendole ordinato, in nome del Dio vivente che intanto le presentava, di dire se essa si ricordava di aver parlato in latino, ha detto che essa non sapeva che cos’era, di non aver alcun ricordo, e non credeva di aver parlato in latino né in francese, benché si ricordasse di aver avuto dei movimenti per rinnegare Dio, e non aveva sentito alcun male7. …E una volta cessato tutto, interrogata se essa avesse avuto il sentimento di ciò che era accaduto, ha detto di no, se non che si sentiva grandemente stanca e tutta rotta. …Cessate le vessazioni, la detta priora ha detto al nominato Barré: «Cosa mi domandate?» E lui, avendo detto che non parlava a lei, [ma] al diavolo, ha detto: «Non so cosa volete dire»8.  7 8

Ivi, f. 31-32. Esorcismo del 25 novembre 1632; BN, Fds fr. 7619, f. 39.

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Una questione di linguaggio, dunque. Ma un linguaggio chiuso, cui si accede con l’incoscienza, come al sogno. La lingua del diavolo è un’altra lingua, dove non si è introdotti grazie a un tirocinio. Da queste parole si deve essere «posseduti», senza comprenderle.

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Parlare senza sapere Nel corso degli esorcismi, il linguaggio è il luogo e insieme l’oggetto della lotta. Esso si presenta innanzi tutto con il rilievo accordato alle lingue straniere. Il latino, in primissimo luogo, è il parlare diabolico. Non è indifferente che la lingua ecclesiastica divenga un corpus chiuso, il testo dello straordinario. Essa non è più come un tempo il riferimento a un ordine sicuro e l’involucro dell’eccezionale nella benedizione dall’alto. Il suo effetto primario non è neppure quello di provare che a essere possedute sono proprio quelle che non l’hanno appresa e ciononostante la parlano. Essa è in primo luogo uno spazio, con questa particolarità: vi ci si trova senza saperlo. Che in realtà Jeanne des Anges abbia appreso a sufficienza il latino nel suo breviario, o durante l’uffizio, per avventurarsi, del resto abbastanza goffamente, in questo territorio straniero, non è qui il fatto più importante. Occorre piuttosto interrogarsi sul sistema che l’ha portata a mimare di volta in volta la conoscenza e l’ignoranza, per soddisfare la combinazione che la possessione esige da lei. Il paradosso è che se ella parla senza sapere, ci sono altri, loro, che sanno: gli esorcisti, una parte del pubblico. Questi sono osservatori, esaminatori, lottatori. Sono posti al di fuori del diabolico, non da una lingua straniera, ma per il fatto di averla appresa. Il «soprannaturale» è dal lato in cui non c’è del lavoro. Anche questo è stato posto come una regola. Ma, secondo i processi verbali, il sistema subisce infiltrazioni da tutte le parti: dalle curiosità del pubblico; dai sotterfugi del «demònio», che sa come farsi moraleggiante per interdire le do83 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

mande fastidiose, o dall’imbarazzo degli esorcisti. Barré, che si presentava come uno specialista, non sa più dove sbattere la testa. Egli si perde nel labirinto di grammatica, diceva il balivo. Ordina in tutte le direzioni. Lavora su richiesta.

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La lingua del diavolo …Il detto Barré ha ordinato, su sollecitazione di alcuni, di rispondere in Scotica lingua. Alla qual cosa il padre guardiano dei cappuccini ha detto che non era opportuno, visto che nessuno intendeva tale lingua. Gli è stato allora risposto che c’era un uomo nella compagnia che l’intendeva. Ha replicato che la testimonianza di uno solo non era sufficiente. A tale domanda il diavolo è stato qualche tempo senza voler rispondere, e infine ha detto: Nimia curiositas.

E poiché l’esorcista lo incitava a rispondere nella stessa lingua, ha detto: Non volo Deus.

E dopo che il detto Barré gli ha ordinato in latino di parlare congruamente, ella non è più stata agitata. Al che il detto Barré ha ordinato al diavolo di ritornare alla lingua della detta superiora, e lui rispose Scotice. Ricominciati i tormenti, ha detto di nuovo: Nimia curiositas.

E il detto Barré, sempre incitandolo a rispondere nella stessa lingua, ha detto: Non voluntatem Dei.

E comandato di dire congruamente, incitato e di nuovo incitato, ha detto per l’ultima volta: Nimia curiositas.

Al che il nominato Barré, prendendo la parola, ha detto che sembrava proprio che Dio non volesse che il diavolo rispondesse in questa lingua e che sarebbe una fatica persa incitarlo di più.

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E durante ciò, mentre la detta priora era in riposo e il detto Barré ordinava in latino al diavolo di rispondere a ciò che gli domandava, lei ha dato la risposta: «Non so cosa voi dite». E dopo che alcuni le hanno detto che correva la voce che lei sapeva parlare latino, ha risposto: «Faccio giuramento, sul Santo Sacramento che è qui davanti a me, che non ho mai appreso il latino». E siccome gli esorcismi continuavano, alcuni hanno detto che se il diavolo avesse risposto in lingua straniera, allora si sarebbe creduto veramente che essa era posseduta. Alla qual cosa il nominato signor balivo ha detto a Barré che ordinasse al diavolo di parlare e rispondere in lingua sacra. Al che, il guardiano dei cappuccini, che era alla grata della cappella, ha detto che anche la lingua greca e latina erano sante. Il nominato signor balivo ha detto: Hebraica.

E Barré ha detto che si cantasse l’inno Maria mater gratiae, etc. Appena le religiose l’hanno attaccato, alla detta priora sono raddoppiati i tormenti, durante i quali il detto Barré ha intimato al diavolo che, per la potenza di Dio che egli teneva tra le sue mani, rispondesse in lingua sacra: Quodnam esset pactum ingressus sui?

Dopo diverse ingiunzioni, ha risposto: «Achad».

Quelli che intendono la lingua ebraica dicono che queste due parole, che sono comprese in una sola, significano effusionem vel decursus aquarum…

E poiché qualcuno ha detto al nominato Barré che ordinasse al diavolo di rispondere non uno verbo sed pluribus, obbedendo loro lo stesso Barré l’ha ordinato al diavolo; e, per costringerlo a parlare, si è cominciato a cantare di nuovo l’inno di cui sopra. E nello stesso tempo sono cominciati ancora gli stessi tormenti e vessazioni, durante i quali il detto Barré ordinando in latino al

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diavolo di rispondere pluribus verbis, si è intesa questa parola pronunciata dal diavolo:

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Eched.

E allora qualcuno ha detto: «Ella vuole rinnegare Dio». E siccome l’esorcista, portandole la pisside contro il viso, ha reiterato gli ordini al diavolo di rispondere in lingua hebraica, e dire pactum ingressus sui, il diavolo l’ha sollevata nell’aria, senza che lei toccasse il suo giaciglio con i piedi, che pure aveva storti, e le braccia e le mani come prima; il guardiano dei cordiglieri diceva di aver passato la mano sotto il piede che ella aveva più in basso e più vicino al giaciglio. E quando il diavolo alzandole il braccio ha dato un colpo con tutta la sua forza contro il travetto, la gran parte di coloro che assistevano gridò: «Misericordia!». Il diavolo non volendo rispondere agli interrogatori che il detto Barré gli faceva e agli ordini di parlare in ebraico, ricadendo spesso nello stesso tormento e facendo dei gesti e movimenti indecenti…9 «Ho dimenticato il mio nome» Fragili, instabili, dibattute, le parole che venivano fissate all’aldilà diabolico sfuggono. Esse sono compensate da un sovrappiù esibizionista. Domani, saranno sostituite dai temi della predicazione: i diavoli sermocinanti segneranno la fine del discorso diabolico, un discorso tuttavia ugualmente utile. Con l’arguta malignità da trance di cui Jeanne des Anges parlava nella sua autobiografia, le possedute stesse rifiutano agli esorcisti queste parole proprie che essi si attendono:

 9

Ibid.

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Interrogato: Quis es tu, mendax, pater mendacii? Quod est nomen tuum? [il demonio] ha detto, dopo un lungo silenzio: «Ho dimenticato il mio nome. Non posso trovarlo…». E ordinato ancora una volta di dire il suo nome, ha replicato: «Ho perduto il mio nome nella liscivia»10.

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L’intervento della giustizia del re sferrerà d’altronde a questo esoterismo linguistico un colpo da cui non si riprenderà più. Che dei testimoni o degli accusati siano il diavolo, essi parleranno comunque francese come tutti gli altri.

Il vocabolario del corpo Ma fin dall’inizio il demonio si dice in un’altra lingua, che a Loudun diviene molto più essenziale: un vocabolario del corpo. Smorfie, contorsioni, revulsioni oculari e così via costituiscono a poco a poco il lessico del diavolo. Grazie a dei punti di riferimento corporei si ritaglia un’area che circoscrive il soprannaturale, qui satanico. Inizialmente i medici, per definire alcune delle loro malattie si accontenteranno di riprendere questa localizzazione, qualificandola come naturale. In un certo senso, si tratta anche in questo caso di qualcosa di esterno al linguaggio comune, esattamente come il latino o l’ebraico. Esso s’iscrive nella corrente più ampia che alla rete intellettuale della tradizione ricevuta oppone l’inventario di un nuovo mondo – «barocco» se si vuole –, quello dei sensi, quello dei fremiti e dei sudori, delle superfici cangianti della pelle e dei movimenti contradditori del gesto. Nella letteratura e nell’esperienza stessa, questa geografia assume il medesimo ruolo di quella dei continenti sconosciuti descritti dagli esploratori. Le carte del corpo o i «teatri» dell’America si oppongono parimenti alle cosmo 10

Esorcismo del 10 maggio 1634; BN, Fds fr. 7618, f. 9.

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logie o alle «geografie» tradizionali. Un sapere nasce dalla pratica, anch’esso contestatario, esplorativo ma codificato. A Loudun, questo discorso del corpo prende un carattere ossessivo. Con un’attenzione acuta si seguono le minime variazioni fisiologiche nelle possedute. Esorcisti e curiosi sembrano avere lo sguardo del medico anche prima che egli arrivi. Per eseguire ciò, la descrizione dispone di un apparato linguistico già ricco; esso, infatti, ha appena ricevuto uno statuto religioso nella letteratura dei più recenti «spirituali» e costituisce, con le emozioni (i movimenti) del cuore, dei polmoni, dello stomaco, o della digestione, un vocabolario della spiritualità che prende il posto di quello medievale. Se ne vedono le origini con il passaggio, alla fine del XVI secolo, dalla mistica alla medicina. L’Imitazione di Cristo, questa meditazione spirituale sul ritorno al cuore, ha per esempio introdotto e condotto van Helmont alle sue concezioni mediche sul «centro» biologico dell’organismo umano11. Ormai l’evoluzione si accentua. Nella pratica il corpo visibile diviene la leggibilità stessa della storia. Le parole non dicono più le verità che sarebbero dietro di esso o che esso manifesterebbe. Esse descrivono questa superficie in cui le significazioni sono dei fenomeni; raccontano i percorsi degli occhi su questa superficie indefinitamente ricca di fatti osservabili, anche prima che siano osservati. Un tipo di sguardo precede qui la tecnica a cui esso darà luogo. L’osservabile è determinato prima dell’osservazione. A Loudun, il processo verbale delle possessioni non riguarda un soggetto che possiede – il diavolo – o dei soggetti perduti – le possedute. Poiché il resoconto si frammenta in nomi (propri) e in ruoli, esso cancella il riferimento a degli esseri per sostituire a essi una serie di storie differenti e combinate: quella del polso, quella della digestione, quella della bocca, della lingua o delle gambe.  11 J. B. van Helmont, Confessio authoris, 2, in Ortus medicinae, Amsterdam 1652. V. M. de Certeau, «Cultures et spiritualité», in Concilium, n. 19, novembre 1966, pp. 11-16.

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Non è affatto per caso che l’«io» cosciente della posseduta viene eliminato. Deve esserlo. È escluso in anticipo dall’analisi, che suddivide il constatabile secondo una topografia di parole diaboliche e classifica l’area del «soprannaturale» in storie di organi. Si può dunque passare indifferentemente da una posseduta all’altra, per seguire – come si fa d’altronde (o si farà più tardi) per la melanconia, il piede, il sesso o il polline – gli episodi che si riferiscono a un’«unità» scientifica e inumana. È questo sguardo pubblico a rendere aliene le religiose, ben più che il diavolo. Ciò che esiste – e ciò che le fa esistere – sono solamente gli avatar della deglutizione, le modalità dell’ingestione, gli scarti, gli attorcigliamenti o i sollevamenti delle gambe, i balzi del polso, le variazioni della sudorazione e così via.

La carne-Dio Ciò che era sensibilmente ammirabile è che [il diavolo], essendo comandato in latino di lasciarle [a Jeanne des Anges] giungere le mani, si osservava un’obbedienza forzata, e le mani si giungevano sempre tremando. E una volta ricevuto in bocca il santo Sacramento, soffiando e ruggendo come un leone, egli voleva respingerlo. Comandato di non fare alcuna irriverenza, lo si vedeva smettere e il santo Sacramento discendere nello stomaco. Si vedevano dei sussulti per vomitare, e avendogli proibito di farlo, egli cedeva…12 Lo spettatore non si stanca di vedere queste emozioni corporee.

E comandato [il diavolo] di dire il nome del terzo [dei suoi compagni], [la posseduta] è stata tormentata ancora di più, affondando la sua testa, cacciando la lingua con dei movimenti indecenti, soffiando e sputando, e sollevandosi molto in alto…13  12 13

Esorcismo del 13 ottobre 1632; BN, Fds fr. 7619, f. 11. Esorcismo del 24 novembre 1632; EN, Fds fr, 7619, f. 32.

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L’indecenza affascina lo sguardo. L’occhio esamina fin nel dettaglio. Il tatto verifica.

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Quando il corpo della sorella si trovò coricato sul ventre e rigirò le sue braccia all’indietro, ci sono state grandi e violente contorsioni, come anche dei suoi piedi o mani, le quali erano allacciate insieme, e anche le piante dei due piedi talmente giunte che sembravano essere incollati e legati insieme da qualche forte legaccio, poiché diverse persone si sono inutilmente sforzate di separarli…14 Questo discorso del corpo non si sviluppa come discorso religioso, se non in nome di ciò che genialmente un «diavolo» chiama «la carne-Dio»15. Carne, in effetti, piuttosto che «corpo», poiché questo, frazionato secondo le divisioni che non tengono conto degli individui, non può più essere un’unità reale. Esso non si ripartisce più in elementi celesti o terrestri che lo compongono, ma in organi, membra e funzioni visibili. Ma carne fatta Dio dall’osservazione stessa che la privilegia. Dio non ha più il «corpo», che gli attribuiva la cosmologia antica. Si perde (diavolo o dio?) nel neutro di un sacro e di una fenomenologia corporea. Da parte sua, la posseduta non ha più, nemmeno lei, corpo. Il diavolo, viene detto, le impedisce di pronunciare le parole: il mio corpo16. Secondo l’ideologia, il corpo appartiene al diavolo; infatti, esso appartiene al pubblico che lo dissemina in oggetti separati e distinti tra loro, in base a un codice diverso da quello delle sostanzialità personali. Nei processi verbali questo discorso è spesso qualificato come indecente. L’aggettivo sta senza dubbio a indicare le risorgenze morali che accompagnano una nuova «curiosità». Ma c’è un secondo senso che definisce molto esattamente ciò che, attraverso la mitologia del diavolo (sotto la sua copertura), si fa di Dio: egli  14 15 16

BN, Fds fr. 7618, f. 10. Esorcismo del 24 novembre 1632; BN, Fds fr. 7619, f. 33. Esorcismo del 25 novembre 1632; BN, Fds fr. 7619, f. 36.

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non è più il soggetto che regge la superficie delle cose e che un’ermeneutica decifra attraverso essa; egli è ricondotto a una superficie di cui non occupa che uno dei luoghi: egli è dato lì. In modo immediato e allo scoperto. Il vestito che lo nascondeva è ormai la carne, nuda, indecente, perché non c’è niente altro di cui essa sia il vestito.

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Un crescendo Gli esorcisti non lo sanno ancora, ma i medici e i visitatori glielo insegneranno. A modo loro, essi sono incoscienti, proprio come le possedute alle quali viene chiesto di parlare un linguaggio che metta tra parentesi il soggetto o la coscienza che lo parla. Essi praticano ciò che ignorano. Ma la loro ignoranza ha una posizione diversa rispetto a quella delle possedute. Per queste, la coscienza è a lato della possessione, che si definisce precisamente grazie alla sua esclusione. Per quelli, si crea una distanza tra ciò che il loro linguaggio è per loro e ciò che esso è per una parte crescente del pubblico; tra la loro interpretazione e l’uso comune, dunque. Iscrivendo nel repertorio un vocabolario fisiologico, gli esorcisti credono di difendere una profondità dell’inferno o del cielo, un’interiorità diabolica, un aldilà soprannaturale. Per questa via, essi fanno dire al visibile le loro proprie intenzioni. Scavalcando la logica del discorso corporeo, la loro interpretazione incolla insieme la loro interiorità spirituale e un’interiorità mistica delle cose. Essi postulano la stessa cosa in essi e dietro i fenomeni corporei. È un’affermazione tautologica. Ma già il loro linguaggio non dice più questo. Essi se ne rendono conto, sebbene indirettamente, quando le reticenze del pubblico li portano a un crescendo mistico. In mancanza di mezzi per difendere la loro interpretazione nel terreno suo proprio, non resta loro che la possibilità di gettare se stessi sulla bilancia, di invocare la dannazione, nel caso in cui ciò che essi dicono non fosse vero. L’argomento individuale è il solo che 91 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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resta loro. Per sfida, cercano il miracolo che supplisca alle lacune del ragionamento, cioè di un linguaggio comune. Essi provocano il cielo, creando la minaccia che dia valore di prova al fatto che essi sono risparmiati. Così, Barré, all’inizio dell’esorcismo del 25 novembre 1632:

Il detto Barré, rivestito dei suoi ornamenti sacerdotali, con la pisside nelle mani e il corpo di Nostro Signore in essa, ha mostrato di nuovo a tutto l’uditorio che egli sapeva che molte persone facevano correre la voce che lui e le religiose e i carmelitani che le avevano assistite, erano stregoni e maghi, e che tutto ciò che si faceva non erano che falsità e imposture; che egli pregava Dio, qualora fosse il caso, che non solamente lui, ma anche tutti i detti carmelitani e le dette religiose, con tutto il convento, fossero confusi e gettati insieme nell’abisso infernale. E mettendosi in ginocchio e la pisside sulla testa, ha fatto la stessa preghiera. E allora tutti i detti carmelitani e le dette religiose hanno detto in una voce comune: Amen. Ciò che allo stesso modo è stato detto e fatto dal priore dei detti carmelitani [Antonin de la Charité], tenendo anch’egli la pisside nelle mani e mettendola sulla testa, e con tutti i detti religiosi e religiose che risposero unanimemente: Amen17. Pur impressionante, questo forcing implica nondimeno un’alternativa tra i due termini – il cielo, l’inferno – parimenti sospettati; essa resta interna al sistema messo in causa.

Loudun, città aperta Di fatto, ben presto gli esorcisti sono frustrati dal discorso di cui pretendevano essere gli inventori e i detentori. Per un certo periodo, Mignon e Barré sono bastati a tutto. Vivevano come un mattino eroico i loro primi dibattitti con i diavoli: la solitudine e  17

Ivi, f. 35.

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l’intimità preservavano le scoperte, bisbigliate in latino nella camera della priora. Essi erano i soli maestri della lingua sconosciuta individuata parola dopo parola, con una gran quantità di comminazioni e vessazioni sui corpi alienati che li affascinavano e li sfidavano cacciando loro la lingua. Ecco che devono condividere con altri il tesoro di queste frasi diaboliche. Si scatena una corsa verso questo oro che circola, visibile e prigioniero, nelle parole e nei gesti di qualche orsolina. Già tutta la città è toccata da questo possibile aldilà che è un qui. Un vocabolario leggibile è presentato dagli esorcisti come il segno di un’origine mistica (vale a dire nascosta) e dotato di un valore inestimabile, poiché il suo «titolo» è soprannaturale (come per la moneta-merce del tempo, si ritiene che le parole diano immediatamente ciò che esse rappresentano). Ma una lingua è un’istituzione pubblica. Essa appartiene a tutti. Una volta «isolate», le parole del diavolo sono sottratte ai loro detentori, afferrate dal commercio di cento e presto mille persone diverse. C’è una svalutazione rispetto alla quotazione che un circuito privato nell’alta camera della priora all’inizio aveva loro assicurato. Moneta instabile, dunque, il cui corso è tanto più incerto in quanto essa mobilita più persone che la utilizzano.

I poteri I primi occupanti del terreno devono fare posto ad altri. Prima di tutto a chierici forestieri: inviati da Poitiers, da Bordeaux, da Parigi, etc. Ma anche da poteri diversi da quello spirituale. La giurisdizione civile interviene: Hervé, l’inquisitore di giustizia, che è molto legato a Mignon, dunque ancora dei nostri; poi il balivo, visibilmente irritato da questo assurdo complotto contro il suo amico Grandier, che tuttavia non difende fino all’estremo delle forze; il suo cancelliere; i suoi assessori, Aubry, Daniel Drouin, Thibault, Louis e Charles Chauvet, etc.

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A trasportarsi sul posto è parimenti il potere medico. Vi è stato chiamato di rinforzo, con qualche dottore sicuro e amico. Ma che certifichi o neghi la realtà della possessione, il medico ha un punto di vista diverso da quello degli esorcisti. Prendendo la testa della priora nelle sue mani, il dottor Gabriel Coustier, medico a La Cloistre, dichiara ad alta voce che non ci sono affatto arterie che si muovono in tutta la sostanza del cervello. Il dottor Daniel Rogier nota l’assenza di sudori dopo le convulsioni. Alphonse Cosnier, medico ordinario a Fontevrault, osserva in particolare tutte le complicazione sopravvenute a diverse dame, e ciò, dice, nello spazio di tre giorni 18. Così anche François Brion, maestro chirurgo a Thouars. Tra i primi, Daniel Rogiers e René Maunoury firmano un’attestazione, il 18 ottobre 1632:

Noi sottoscritti, dottori in medicina e maestri chirurghi, che risiediamo in questa città di Loudun, certifichiamo a tutti coloro cui di dovere, che per ordinanza del Signor inquisitore generale di giustizia di Loudun e della regione di detta città, a noi notificata da Girard, sergente reale, ci siamo trasportati al convento delle dame orsoline di questa città per vedere, visitare la priora delle dette dame, e un’altra chiamata suor Claire, le quali abbiamo trovato che giacevano a letto, accompagnate talvolta da torsioni e movimenti involontari per tutte le membra, e in particolare la faccia giallo-limone, gli occhi come rovesciati e altri movimenti molto spaventosi, con cessazione del polso nel corso di detti stati di irrigidimento, che ci fa giudicare non essere movimento volontario, né falso, neanche morboso, in ragione di forze che ritornano all’istante, non manifestandosi dopo le dette violenze alcuna alterazione nel soggetto stesso…19  18 19

BN, Fds fr. 12047, f. 2. BN, Fds fr. 7619, f. 28.

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Tra i dottori, medici ordinari o maestri chirurghi che succederanno ai due di Loudun, molti ce ne saranno di più sottili. Il resoconto della loro visita avrà una più sapiente costruzione. Ma già questi uomini giustappongono alla localizzazione di una lingua mistica il discorso del corpo stesso. Alla profondità postulata con il valore abissale attribuito a certe parole, essi oppongono la superficie costituita dalla rilevazione di fatti visibili quali delle contrazioni involontarie, il sudore, il polso regolare, la revulsione degli occhi e così via. La diagnosi non riguarda più l’origine (soprannaturale) di frasi isolate ma il rapporto che fra loro intrattengono i luoghi successivamente «visitati», palpati, osservati e percorsi dall’occhio o dalle mani dei medici. Giudici e osservatori, il 26 novembre 1632, Rogier, de Fos, Joubert e Fanton, reclamavano una «visita» più approfondita:

Il mio detto signor balivo e i signori uomini del re ci hanno chiamati nella corte del nominato convento, e ci hanno intimato verbalmente di dir loro e dichiarare ciò che credevamo dei detti movimenti [delle possedute]. Alla qual cosa abbiamo tutti di comun accordo risposto che non potevamo con sicurezza né in coscienza, con una sola visita, renderli certi della causa di tali movimenti, se primariamente non ci permettevano di vedere più dettagliatamente le dette religiose, e che lor piaccia di permetterci, per averne l’intera e sicura conoscenza, di restare tutti fisicamente presenti qualche giorno e notte con le dette religiose e quanti signori magistrati e religiosi piacerà al mio detto signor balivo; ordinare, al fine che tutti insieme possiamo di più giudicare del caso, che esse non siano né alimentate né medicate, se c’è bisogno, che dalle nostre stesse mani; che nessuno parli a esse se non ad alta voce e in presenza di tutti, o tocchi le dette religiose,

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quando hanno i detti movimenti se non noi altri e ciò alla presenza di tutti 20. Doppia occupazione, e su questi corpi che essi intendono riservare a sé almeno per un certo lasso di tempo, e sulla conoscenza intera e sicura che pretendono poter conclusivamente dedurre da questo esame. Questa presa di possesso non è la posizione di questo o quello, ma di tutti insieme e «di comune accordo». Il potere che s’installa è quello di un corpo, il corpo medico.

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Una pubblica piazza Gli esorcisti sono vittime dei loro primi successi. Lo spazio che hanno circoscritto viene mutato da coloro che vi si introducono; è alterato da questi ingressi. La successione dei luoghi in cui il caso viene trattato esprime d’altronde gli stadi di un progressivo spossessamento degli esorcisti da parte di un movimento che spinge verso i luoghi pubblici: dalla camera di Jeanne si passa alla cappella delle orsoline, poi alle chiese parrocchiali; più tardi, il dibattito si concluderà sulle piazze della città. Queste modificazioni topografiche non seguono dunque solamente l’estensione quantitativa nel tipo di questione posta e della soluzione da apportarle. Presenze indiscrete, che incrinano il cosmo mentale del loro «lavoro», costringono i primi attori ad abbandonare il loro progetto iniziale e il senso che essi gli attribuivano. Voi non dovreste essere qui e fare ciò che fate: il 25 ottobre, il processo verbale registra questa ingiunzione di un testimone a uno dei suoi interlocutori. Essa ritornerà spesso. Un faccia a faccia impossibile da isolare si traduce in uno spostamento dal luogo iniziale. Affrontandosi, ottiche e interpretazioni si distruggono, costituendo il terreno differente di un’altra discussione.  20 Pubblicato in G. Legué, Documents pour servir à l’histoire médicale des possédées de Loudun, Paris, 1874, pp. 61-62; corretto in base al manoscritto.

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Il problema di Loudun può essere formulato così: cos’è dunque questo «luogo», che sarà l’appuntamento di ragioni incompatibili le une con le altre? Tra i progetti che affermano una «realtà» in funzione di criteri eterogenei, ci sono una lingua e dei riferimenti comuni? «Cos’è che accade realmente?» e «Come dire ciò?». Le due differenti domande non ne formano che una sola, rinviando all’esistenza di un luogo comune. L’enigma di questa storia è la possibilità di un discorso sulla possessione. In partenza, nel recinto sacro amministrato dagli esorcisti, era la possessione stessa, ritenuta certa, a fornire una lingua soprannaturale. Ma una volta messe in circolazione, le parole dell’aldilà non sono più che parole umane. Esse non circoscrivono più un luogo dell’inferno, ma, discusse tra uomini e di volta in volta mobilitate da sistemi intellettuali divergenti, esse rinviano al luogo che è l’oggetto della discussione e insieme il principio della sua imminente soluzione: una pubblica piazza.

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L’accusato Urbain Grandier

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Il discorso della possessione ruota intorno a un assente che si precisa gradualmente: lo stregone. Al contrario di ciò che si potrebbe credere, il teatro di Loudun non è provocato da questa figura temibile o fantastica. Non è determinato dal suo approssimarsi o dalla sua visibilità. Non ne ha bisogno, per funzionare. Così via via che si organizza per se stesso, sviluppando e affinando i suoi procedimenti, questo teatro precisa la figura, il nome, le malefatte del «possessore» che condiziona la possessione. Per prima cosa si perfezionano le procedure esorcistiche, la localizzazione di una lingua, le regole di una crisi diabolica. Ma nella logica del sistema tutto ciò è possibile solo se c’è un colpevole. Ciò che rende possibile e ciò che autorizza questo linguaggio (forse è vero di ogni linguaggio, sebbene sotto altre forme), è una morte. Essa sola alla fine renderà autentico il dramma, facendo del teatro un discorso vero. Questo titolo dato a tanti foglietti contemporanei su Loudun li orienta verso una «fine» che era il postulato nascosto della storia. Occorre un bruciato vivo perché il discorso sia vero. Un lavoro sordo, dunque, prepara la rete per catturare uno stregone. Non senza brancolamenti. Si è visto che in un primo momento il fantasma ha i tratti di Moussaut, il cappellano deceduto, prima che gli succeda il cappellano temuto, desiderato, rifiutato: Urbain Grandier. Non è del resto un caso che il direttore di coscienza che resiste (Grandier) si sostituisce a colui che non resisteva (Moussaut): così nei loro conventi reagiscono donne attive, esse stesse educatrici e direttrici, da poco tempo promosse e tuttavia ancora sottomesse alla ferula di un potere sacro e di un sapere maschile. A Nancy, dieci anni prima (1622) ma fuori dal 101 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

chiostro, nella vita urbana che si organizza, è un medico che passa per colui che ha stregato Élisabeth de Ranfaing: altro sapere, ma che definisce ancora un direttore. In maniera mascherata una ribellione «femminista» mira al potere tradizionale che un nuovo sapere occupa. Chi è dunque questo Urbain Grandier?

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Fatuo, vanitoso, libertino? Io sono, dirà Michelet, contro chi brucia, ma per nulla per il bruciato. È ridicolo farne un martire, per odio a Richelieu. Era fatuo, vanitoso, libertino, e meritava, non il rogo, ma la galera a vita1. Un ritratto a figura intera ci è stato lasciato dal migliore dei vecchi storici del caso, per lungo tempo pastore a Loudun: Aubin. Come Grandier, lo stile di Aubin è sempre ben messo, non cammina mai se non in abito talare lungo. Presenta un aspetto un po’ incipriato. Parla pudicamente: il libertinaggio è evocato in termini di galanteria, e l’abilità diviene spirito. Ma, dopo tutto, il linguaggio sfumato rispetta le proporzioni e riassume molti documenti.

Il buon dicitore Egli era di alta statura e di bell’aspetto, di uno spirito ugualmente fermo e sottile, sempre pulito e ben messo, non cammina mai se non in abito talare lungo. Questa cortesia esteriore era accompagnata da quella dello spirito. Si esprimeva con molta facilità ed eleganza. Pregava abbastanza spesso. Adempiva a questa occupazione incomparabilmente meglio della gran parte dei monaci che salgono sul pulpito. Di lui si possiede una predica funebre sulla morte 1 J. Michelet, La Sorcière, Garnier-Flammarion, Paris 1966, p. 198, trad. it. di P. Cusumanno e M. Parizzi, Rizzoli, Milano 2011, p. 237, n. 10.

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dell’illustre Scévole de Sainte-Marthe [1632], che è un pezzo molto eloquente e contraddistingue la bellezza del suo genio. Egli era dolce e civile con i suoi amici, ma fiero e altero nei riguardi dei suoi nemici. Era geloso del suo rango e non concedeva mai nulla dei suoi interessi, respingendo le ingiurie con tanto rigore da inasprire gli spiriti che avrebbe potuto vincere prendendo altre strade. Ciononostante era esposto a molte inimicizie. I suoi atteggiamenti alteri, infatti, gli avevano procurato un gran numero di nemici, cui molti altri ancora si erano aggiunti a causa della sua straordinaria inclinazione per la galanteria 2. Dal canto suo, il 7 settembre 1634, in una lettera indirizzata a Gassendi, dopo l’esecuzione del curato, anche Ismaël Boulliau parla dell’uomo presso il quale ha vissuto a lungo. Originario di Loudun, testimone sul posto, è un erudito, uno studioso che scrive, futuro conservatore della biblioteca di Thou con i fratelli Dupuy:

Egli aveva grandi virtù, ma accompagnate da grandi vizi, umani nondimeno e naturali all’uomo. Era dotto, buon predicatore, buon dicitore, ma aveva un orgoglio e un senso della gloria così grande che tali vizi gli hanno resa nemica la gran parte dei suoi parrocchiani, e le sue virtù furono accolte con l’invidia di coloro che non possono apparire virtuosi se i secolari non sono diffamati tra il popolo 3. Una carriera Grandier era nato a Bouère (in Mayenne), in una casetta di cui ancora oggi si mostra l’ubicazione all’estrema periferia del borgo4. 2 3

[Nicolas Aubin], Histoire des diables de Loudun, Amsterdam 1694, pp. 7-8. Carpentras, Bibl. Inguimbertine, ms. 1810, 50; éd. Tamizey de Larroque, in Le Cabinet historique, 2e série, vol. 3, 1879, p. 4. 4 I registri parrocchiali di Bouère non risalgono più indietro del 1604. La data di nascita di Urbain Grandier non può dunque essere precisata.

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Suo padre, Pierre, e sua madre, Jeanne Renée Estièvre, ebbero sei figli: Urbain, François, Jean, tutti e tre sacerdoti, e il secondo, vicario a Saint-Pierre-du-Marché all’epoca della possessione; René, consigliere alla corte di Poitiers; due figlie, infine, di cui l’una si sposò, mentre l’altra, Françoise, risiedeva con sua madre presso il curato di Loudun. Prima di ottenere il beneficio della sua cura a Loudun, Urbain ha seguito un percorso interamente ecclesiastico. A dieci anni, va a Saintes presso suo zio, il canonico Claude Grandier. In seguito entra nel collegio gesuita della Madeleine, a Bordeaux. A venticinque anni, è ordinato sacerdote. Caldamente raccomandato dai gesuiti di Bordeaux a quelli di Poitiers, che detengono la cura di Saint-Pierre-du-Marché a titolo di beneficio del loro collegio, viene accettato e nel 1617 prende possesso dell’incarico che esercita fino al 16335.

Il potere della parola Era una meraviglia intenderlo 6: tra altri mille, un documento dell’epoca indica a un tempo la natura del suo successo e la ragione della sua rovina. Egli ha un potere: quello della parola. Seduce il suo pubblico. Oggi le ragioni del suo successo a noi non appaiono più così evidenti. Il suo «pezzo» più celebre – la già citata orazione funebre – rientra nel genere allora molto coltivato delle narrazioni di belle morti. Ne ha le civetterie. Pubblicata a Parigi nel 1629, l’Oraison funèbre de Scevole de Sainte-Marthe,

président et trésorier général de France à Poitiers, décédé à 87 ans (1623), gioca abilmente con vita e morte per comporre i piacevoli contrasti che qui presentiamo: 5 La firma di Urbain Grandier figura per la prima volta in un atto di battesimo del 4 agosto 1617 e per l’ultima volta il 5 luglio 1633. 6 BN, Fds fr. 23064, f. 79.

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…Morte in verità piena di rimpianti, ma vita molto più feconda di consolazioni. Poiché non deve affatto essere rimpianto colui la cui estrema vecchiaia ha superato di gran lunga il termine ordinario della vita dell’uomo, che per di più ha portato la sua reputazione al di là dei desideri più ambiziosi, e che infine, per la costanza della sua vita nel bene e per le circostanze della sua morte, ci ha giustamente dato ragione di desiderare, sperare e credere che la sua anima viva felice nel cielo, mentre il suo corpo riposa nel seno della nostra comune madre, aspettando il giorno solenne nel quale, seguendo il divino e infallibile oracolo, esso ringiovanirà per non invecchiare più e rinascerà per non morire più 7. Il curato incanta così molte delle parrocchiane, peraltro più facilmente di quanto esse non ammetterebbero. Con la sua retorica, infiamma. Ma dopo tutto, per queste abitanti di Loudun, che cos’è qualche infatuazione passeggera in confronto con monete sonanti e con beni sotto il sole? Le realtà solide sfuggono alle parole e alle passioncelle. La corrispondenza di Grandier con il governatore Jean II d’Armagnac e sua moglie, benché cordiale, piena di informazioni e attenzioni, trasmette la sensazione che in essa ci siano due impieghi differenti della stessa lingua. Grandier è nelle sue parole, vi prende piacere, in esse è a casa sua. Il duca prodiga i suoi consigli e racconta i suoi interventi ma in certa misura si tiene a distanza dalle parole; se ne serve, ma vive e lavora altrove, sul terreno delle sue manovre politiche e locali8. I processi contro il curato si susseguono per dieci anni (16211631). Oltre alle loro motivazioni – liti di precedenza, casi di corruzione morale e così via –, essi servono da allegoria alla guer7

Oraison funèbre de Scevole de Sainte-Marthe..., Paris 1629, Péroraison; v. G. Legué, Urbain Grandier et les possédées de Loudun, Paris 1880, p. 27. 8 Tutte autografe restano trentotto lettere di Grandier al Governatore e due a sua moglie. Alfred Barbier, Jean II d’Armagnac, gouverneur de Loudun, et Urbain Grandier (1617-1635), in Mémoires de la Société des Antiquaires de l’Ouest, 2e série, t. 8, 1885, pp. 183-380.

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ra di un gruppo provinciale contro il bel conversatore, contro il parvenu, contro l’uomo che non è della stessa terra e possiede solo l’arte di maneggiare le parole. Il che lo addita come l’estraneo, oggetto di una resistenza che non chiama se stessa con il proprio nome. Ma egli sembra non comprendere la portata delle accuse che scandiscono in sordina questa minaccia, a proposito di precedenze che egli mette a soqquadro o di amori cui non si perdona soprattutto di essere notori. Si lusinga di turbare impunemente il linguaggio di una piccola società, tuttavia tanto più feroce nel difendere i suoi riti, le sue gerarchie e le sue facciate quanto meno illusioni essa ha sulla violenza dei suoi conflitti interni o delle passioni che attraversano le sue istituzioni. In fondo, il curato è criticato meno per delle pratiche che per delle parole, meno per ciò che fa che per ciò che dice con arroganza. Ciò che lo perde sono precisamente i suoi successi nei procedimenti e nelle tenzoni oratorie. Una parte dell’opinione l’applaude, perché si tratta di teatro. Applaudirà ancora, quando lui vi figurerà come condannato a morte. Ogni volta che cade nella trappola nascosta sotto i favori di un pubblico, ogni volta che la brutale realtà dei suoi nemici lo strappa agli incanti della sua superba eloquenza, egli è sorpreso e disarmato. Ma crede ancora di trarsene d’impaccio con altre parole. Nel dicembre del 1629, arrestato per un caso di corruzione morale e imprigionato nella torre del vescovo di Poitiers, scrive a La Rocheposay in stile fiorito:

…la vostra stessa mano potrà, se ciò vi piaccia, come la lingua di Peleo, guarire la ferita che essa ha fatto. In realtà, dietro il linguaggio, esso stesso penoso, egli si disfa della conversione e della disperazione. Dello stesso genere, quest’altra lettera al vescovo di Poitiers, scritta in prigione:

I miei nemici… volendomi perdere come un altro Giuseppe, hanno provocato il mio progresso nel regno di Dio. Perciò il profitto che ho tratto dalla loro persecuzione ha cambiato il mio 106 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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odio in amore, e il mio appetito di vendetta in desideri di servirli, cosa che farei meglio che mai se vi piacesse di rendermeli, siccome vorrei recarmi da loro se fossi fuori di qui, ove sono rimasto abbastanza per la guarigione della mia anima e troppo per la salute del mio corpo, il quale non può più assecondare la mia costanza, essendo esso stesso debole e indebolito dalle scomodità che qui sono grandi e in così grande numero, che niente di integro mi hanno lasciato se non lo spirito, il quale affilandosi alla durezza delle mie pene mi rende tanto più infelice quanto meglio esso penetra nelle mie disgrazie, essendo del resto in tale stato che vorrei ben morire se non vivessi nella speranza d’intendere presto da parte vostra questa parola del Salvatore ancora piuttosto impotente per resuscitarmi [«Lazzaro, esci fuori»], la quale mi sarebbe tanto più dolce quanto la mia prigione è per me più crudele che a quello la sua tomba, dove egli riposava, assistito senza bisogno dalle sue sorelle, – e io sono qui seppellito nelle mie miserie, senza che sia permesso ai miei amici, non di vedermi né di darmi conforto, ma di guardare solamente la mia prigione. Nella qual cosa mi trovo del tutto più abbandonato di quel miserabile del Vangelo, che, dal mezzo delle fiamme eterne, ebbe la libertà di parlare al Lazzaro e mendicare da lui una goccia d’acqua per rinfrescarsi. E io non ho avuto permesso di vedere la mia propria madre per chiederle o piuttosto donarle una goccia di consolazione, misura di rigore degna della vostra pietà e che sarebbe stata capace di finirmi, se Dio non mi avesse fortificato per mezzo della sua grazia e persuaso vivamente che tutto ciò accade per umiliarmi. Poiché, ancorché io sia innocente di ciò di cui mi si accusa, essendo nondimeno d’altronde troppo criminale davanti a Dio, egli vuole, per il mio meglio, servirsi di questa falsa accusa nel disegno che egli ha di castigare le mie vere iniquità 9. 9

Pubblicato in G. Legué, op. cit., p. 73.

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Questa afflizione preannuncia l’avvenire. Ma, a partire dall’uscita di prigione, essa sarà seguita da un ritorno alle brillantezze e ai giochi di parole.

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Una provincia litigiosa Nel 1621, un pulpito che egli rifiutava di spostare nella chiesa è già stato per lui occasione di ingiurie pubbliche; egli presentò querela contro l’inquisitore di giustizia Hervé10. Questa scaramuccia è seguita da molte altre, motivate da violazioni di precedenze, modificazioni di processioni, vie di fatto contro il curato, etc. Tutto il lessico delle liti di villaggio. Parecchie azioni contro di lui sono poi intentate per corruzione morale. Qui l’accusa mette in gioco un tabù più pericoloso. Alla fine del 1629, il caso «sale» davanti al giudice ecclesiastico di Poitiers; è rinviato al parlamento di Parigi dove il procuratore generale Bignon, secondo la sentenza che conclude la deliberazione del 31 agosto 1630, richiama il processo del curato Beaugé, condannato a morte per incesti spirituali e impudicizie sacrileghe. La sentenza prosegue:

Egli [il procuratore] fu dell’avviso che nella procedura non c’era stato alcun abuso, poiché essa era legittima, e che il giudice ecclesiastico non aveva rimesso l’accusato al giudice laico che ex officio et non de necessitate11. Il caso Grandier passa dalla giurisdizione ecclesiastica a quella civile. Circostanza già frequente e tuttavia dibattuta: l’intervento di Laubardemont accentuerà il processo di laicizzazione. Nel 1630, su richiesta del procuratore, la corte di Parigi si pronunzia

per il rinvio delle parti davanti all’Inquisitore di giustizia di Poi10 11

BN, collection Dupuy, vol. 645, pièce 151, f. 175.

Extrait des registres de la commission ordonnée par le Roi pour le jugement du procès criminel fait à l’encontre du Maitre Urbain Grandier et ses complices, J.Thoreau, Poitiers 1634; BN, Lb 36.3018; Mazarine, Rés. 37297.

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tiers, perché si pronunci sull’istruzione del processo quale essa era stata fatta dal giudice ecclesiastico, salvo escutere nuovi testimoni e procedere all’inasprimento delle lettere monitorie 12.

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Anziché costituirsi prigioniero a Poitiers come richiesto dalla sentenza, Grandier rientra a Loudun per prepararvi la sua difesa. Imprudenza o provocazione? Suo fratello René, il suo procuratore il signor Estièvre, e Jean d’Armagnac si attivano in suo favore a Poitiers e a Parigi. Il 14 dicembre 1630, il governatore scrive al curato:

Per quanto mi riguarda, stimo che il vostro caso non può che andare bene. Comunicatemi di tanto in tanto vostre notizie e ciò che voi farete e quelli a cui dovrò ancora scrivere. Se mercoledì andiamo a Parigi per restarci stabilmente, come si dice, ritirerò gli atti dell’istruttoria e li farò decretare. Vostro fratello [René] vi dirà tutto. Non dimenticate nulla di ciò che bisogna fare nella vostra faccenda, e andate a Poitiers il più presto possibile, direte che sono io la causa per cui voi non vi siete presentato prima, poiché io stesso volevo portarvici, come ho scritto al Signor de la Fresnaye affinché lo dicesse al Signor procuratore del re 13. Malgrado un mandato d’arresto (3 novembre 1630), il processo si trascinerà fino al 24 maggio 1631, data della sentenza che non condannava né assolveva Grandier, ma si limitava a metterlo fuori causa per il momento 14. Era un avvertimento.

Il sacerdote amante Lo si accusava, dice brutalmente il suo compatriota Champion, della frequentazione di fanciulle e donne, e di godere di qualche 12 13 14

Ibid. Pubblicato da A. Barbier, op. cit. Extrait des registres de la commission ordonnée par le Roi...

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vedova di famiglia piuttosto buona. Questa reputazione sconvolgerà i conventi. Essa è fondata. Nei piccoli salotti di Loudun, è una meraviglia intenderlo. È l’amico di famiglia e l’interlocutore

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ricercato dalla piccola società letteraria e cattolica che si riunisce intorno a Louis Trincant, procuratore del re nei Presidi reali di Loudun, deputato del Terzo stato agli Stati generali nel 1614. Questo storico erudito, la cui Histoire généalogique de la maison de Savonnières en Anjou apparirà nel 1638 a Poitiers presso Julien Thoreau, che ha pubblicato tanti libelli su Loudun, è anche un polemista, come mostra L’Anti-Anglois, ou responses aux pré-

textes dont les Anglois veulent couvrir l’injustice de leurs armes, avec une remonstrance à MM. de la Religion prétendue réformée de Loudun, dedicata a Richelieu, pubblicata sempre presso Thoreau, nel 1628. Il curato fa la conquista di Philippe, la sua primogenita. Ne nasce un figlio, che viene attribuito a Marthe Le Pelletier. Ma non s’ingannano così facilmente gli abitanti di Loudun. Poco dopo, è un altro scandalo, più sorprendente, ad agitare la città. Esso nasce nella casa di René de Brou, consigliere del re, signore di Ligueil, alleato con tutte le «buone famiglie» della regione e parente prossimo del balivo Guillaume de Cerisay. Dopo la morte di René e di sua moglie Dorothée Genebaut, cui il curato ha spesso prestato del denaro, la più giovane delle tre figlie, Madeleine, non ancora sposata, è affidata alla direzione spirituale del curato. Selvaggia, devota, per un attimo tentata dal convento, diventa l’amante del suo confessore. Una volta di più si esercita la fascinazione del «direttore spirituale» come se, perdendo il suo potere temporale e la sua «giurisdizione civile», il sacerdote si collocasse in altro luogo e rinforzasse allora un’autorità psicologica. Nella misura in cui questo potere cessa di definire una politica sacra, sembra ricondotto verso i legami personali – o determinato da un’organizzazione politica che però non dipende più da esso. Con le debolezze e la virtuosità che gli sono proprie, Grandier non è che un segno, tra mille altri, dell’evoluzione che frammenta l’antica società religiosa, ripartendo

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gli ecclesiastici da una parte in dei ruoli sociali o dei gruppi di pressione, e, dall’altra, nella conversazione spirituale. Sotto il secondo aspetto, la parola cessa a poco a poco di essere un’istituzione pubblica per divenire una relazione privata. Alla sua maniera, anche Surin l’attesterà quando, a partire dal 1635, egli sostituisce gli esorcismi spettacolari con le comunicazioni spirituali con la posseduta Jeanne des Anges.

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Il trattato del celibato Nell’unione di Grandier e di Madeleine de Brou, la relazione sessuale è preparata, mediatizzata, giustificata da un insegnamento teologico. Se si lascia da parte il componimento oratorio sulla morte di Scévole de Sainte-Marthe, il solo testo elaborato dal curato si colloca in questa articolazione. È all’indirizzo di Madeleine e proprio per lei che Grandier scrive il Traicté du coelibat par le-

quel il est prouvé qu’un ecclésiastique se peut marier, par des raisons et autorités claires et évidentes qui seront déduites succinctement et nuement, sans ornement de langage, afin que la vérité, paraissant toute nue et sans fard, soit mieux reçue… Questo discorso teologico è un linguaggio dell’amore, ove la passione si dice nel quadro di un’argomentazione storico-scolastica che, deviando il contenuto di una tradizione affinché essa serva ai fini dell’unione, trasforma il discorso in allegoria barocca del sentimento, nella veste estranea della verità tutta nuda che esso a un tempo enuncia e nasconde. Altrove, al contrario – e presto, presso gli «spirituali» di Loudun – la descrizione delle estasi, dei sentimenti dell’anima e delle «emozioni» del corpo diviene il «linguaggio mistico», quello della teologia «vera» o della «nuova spiritualità». E qui si tratta di due aspetti contrari di uno stesso cambiamento. Una metamorfosi del linguaggio religioso precede e prepara gli usi che ne vengono fatti con le intenzioni più opposte. Il Trattato del buon dicitore presenta peraltro un’argomentazione dallo stile assai moderno. La prova di tipo storico prevale sulle 111 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

altre. La legge naturale è decisiva rispetto a quella soprannaturale. Chiara e stringente, la logica è quella dell’arringa. A essere originale è il modo in cui viene trattata la questione, piuttosto che il problema tante volte discusso nei secoli XVI e XVII.

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La legge di natura Per non destare alcun sospetto in questa materia, bisogna mostrare che da ogni sorta di legge è stato permesso ai sacrificatori di sposarsi. Ora, la legge non è altra cosa che una regola, in base alla quale l’uomo deve disporre e condurre le sue azioni. La sua funzione è d’insegnare questo dovere e obbligare a eseguirlo. C’è una legge sovrana e eterna che è Dio stesso, in quanto che, per la regola infallibile della sua Provvidenza, egli governa tutte le creature conducendole al loro fine. Da questa legge eterna sono derivate tutte le leggi, vale a dire: la legge naturale, quella mosaica, in altri termini la legge scritta, e l’Evangelo, che è la legge della grazia; provenendo da una stessa fonte e mirando allo stesso scopo, che è di perfezionare l’uomo, tali leggi non sono quindi affatto contrarie fra loro né si distruggono le une con le altre; [bensì] si danno la mano per soccorrersi e servire al loro mutuo adempimento. Così la legge della grazia perfeziona la legge scritta e questa la legge di natura. Dal che consegue che ciò che una legge ordina non può essere distrutto dall’altra… La legge naturale, dunque, è un dottore muto, una luce segreta, una partecipazione della legge eterna, un raggio che il sole increato ha gettato nelle nostre anime, che si chiama ragione, la quale facendoci conoscere ciò che è bene e ciò che è male ci dispone a fare l’uno e a sfuggire l’altro. Questa legge è inviolabile, in quanto che è fondata sull’immutabile verità delle cose e sulla ragione, che è sempre una e simile a se stessa. Questa legge è la natura, nella quale tutte le altre leggi devono prendere origine e essere animate dalla retta ragione; diversamente esse sono inique. Essa produce un 112 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

precetto generale che comanda di fare il bene e fuggire il male, il quale se è ben osservato è sufficiente da solo a rendere l’uomo felice. Poiché chi fa il bene e fugge il male non ha più niente da fare per essere perfetto. Ma dal momento che questo precetto naturale era troppo generale e inviluppato, c’è stato bisogno di particolarizzarlo e spiegarlo, cosa che è stata fatta dalla legge scritta, la quale ha insegnato ciò che era bene e ciò che era male…

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Matrimonio e sacerdozio Io dico che il matrimonio è espressamente comandato dalla legge di natura, visto che senza di questo essa perirebbe, e il suo intento principale, che è non solo di conservare la specie, ma anche di moltiplicare il suo individuo, resterebbe frustrato. Il primo argomento per provare questa verità deriva dalla massima veritiera, secondo cui Dio e la natura non fanno mai niente invano. E da questo consegue che, avendo dato all’uomo e alla donna non solamente il desiderio e l’appetito di generare il loro simile, ma anche i mezzi, strumenti o vasi propri a questo effetto, essi ne possono e ne debbono usufruire, poiché l’appetito di questa potenza sarebbe invano, se essa non fosse ricondotta all’atto e all’esercizio. E per mostrare che questo appetito è giusto e conforme alla ragione, e non assolutamente un effetto della natura corrotta, bisogna notare che il matrimonio è esistito fin dallo stato d’innocenza e prima del peccato. Questa ragione è sostenuta da una potente autorità, tratta dalla storia della creazione del mondo scritta nella Genesi, dove è detto che Dio, avendo creato l’uomo, giudicò che non era giusto lasciarlo solo e subito gli donò una donna per essere suo aiuto e suo conforto, e comandò loro di crescere e moltiplicarsi e riempire la terra, di amarsi di un amore così cordiale e così singolare che fu ingiunto all’uomo di abbandonare padre e madre per aderire alla sua cara metà.

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Voi mi direte forse che non è questione di sapere se il matrimonio è cosa buona e santa, ma di sapere se è conforme alla convenienza per i sacerdoti e i sacrificatori. A ciò rispondo che il nostro primo padre era sacerdote, visto che la religione è tanto antica quanto la creatura razionale, e che l’uomo quasi ancor prima di essere creato fu obbligato a riconoscere e adorare il suo Creatore, offrendogli sacrificio, il quale sacrificio è come l’anima della religione, che non può esistere senza sacrificio. Ne consegue che il primo uomo ha sacrificato al suo Dio, e dunque era sacrificatore, e nonostante fosse sposato. E dopo di lui, Caino, Abele, Abramo, Isacco e Giacobbe, furono sacrificatori e sposati. Da ciò bisogna concludere che nella legge di natura il matrimonio non era incompatibile con il sacerdozio. Quanto alla legge scritta, è cosa chiara a chi voglia sfogliare l’Antico Testamento che non vi fu mai menzione del celibato. Al contrario, il matrimonio vi è tenuto in così grande onore che una maledizione gravava sulle donne sterili. E per ciò che riguarda i sacrificatori, bisogna sapere che tutto il popolo d’Israele, che era il popolo scelto e beneamato da Dio, era distribuito in dodici tribù, fra le quali la sola stirpe di Levi era dedita al culto di Dio e teneva la dignità sacerdotale, che non impediva affatto ai Leviti, che erano sacerdoti dell’antica legge, di sposarsi… La libertà di ognuno Resta da giustificare che il matrimonio è permesso anche ai sacerdoti nella legge della grazia, sotto la quale noi viviamo. Dico “permesso”, visto che non è né ordinato né proibito, così è lasciato alla libertà di ognuno. A proposito della qual cosa, va considerato che nella legge di natura e all’inizio del mondo, il matrimonio era del tutto necessario per popolare la terra. Nella legge di Mosè, non era del tutto necessario ma utile e onorabile, e il suo contrario era tenuto in obbrobrio. Nella legge evangelica che è il declino del mondo, esso non è necessario né tenuto in onore pari al 114 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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celibato, che è il suo contrario, ma è permesso e ognuno è libero di sposarsi secondo il bisogno che ne ha, o di conservare la sua castità per la più grande gloria di Dio. E di fatto, se si legge tutta la nuova legge che è conforme al Nuovo Testamento, non vi si troverà affatto che sia ordinato o proibito di sposarsi o di conservare la propria verginità. San Paolo consiglia certo l’una cosa, ma senza derogare all’altra, al fine di lasciare alla libertà di ognuno di abbracciare l’una o l’altra scelta, secondo come egli si sente chiamato. Il matrimonio vi si trova esaltato fino a donargli il titolo di grande sacramento. La verginità vi è anche lodata come una virtù molto nobile, perfino evangelica. Dio è glorificato nell’una e nell’altra condizione, sia l’una che l’altra ha le sue attrattive, le sue lodevoli qualità e i suoi onorevoli elogi per essersi reso caro secondo i diversi gusti e appetiti e inclinazioni delle persone. Breve, per concludere con San Paolo: chi si sposa fa bene; chi resta vergine fa ancora meglio. Quanto a me, mi accontento di fare il bene. Faccia il meglio chi potrà… Una questione di preferenza Vediamo ora come questo sacerdote sovrano ed eterno si è governato, quando ha gettato le fondamenta del cristianesimo. Egli ha composto il collegio degli apostoli di uomini sposati e di uomini vergini, quali sono stati San Pietro e San Giovanni, per mostrare che l’uno e l’altro stato dovevano essere ricevuti e ammessi nella Chiesa… Ma, mi direte voi, nell’Evangelo è detto che gli apostoli lasciarono tutto per seguire Gesù Cristo, e di conseguenza lasciarono le loro donne, poiché chi dice tutto non eccettua nulla. È qui il nodo della difficoltà e il passaggio su cui si è fondata la legge del celibato. È per questo che bisogna esaminarlo seriamente. Siamo dunque d’accordo che gli apostoli lasciarono tutto, anche le loro donne, per seguire il Salvatore; ciò non fu tuttavia per obbligo, ma solo per convenienza e comodità: l’incarico degli 115 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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apostoli li costringeva a sportarsi in diverse province per annunciare l’Evangelo e sarebbe stato molto sconveniente e scomodo trascinarsi dietro le loro donne e i loro figli. È per questo che le lasciarono, non per dovere, ma per comodità, preferendo il servizio di Dio alla loro soddisfazione… A proposito della qual cosa è da notare che, tutte quante le volte che la Scrittura ordina di abbandonare qualche cosa, che si è del resto obbligati ad amare, ciò deve intendersi non come un abbandono assoluto, ma una preferenza. Legarsi alla propria donna non significa che bisogna assolutamente lasciare padre e madre, perché ciò ripugna alla legge di natura, la quale, come abbiamo detto sopra, non può essere abolita da alcuna altra legge. Ma significa che bisogna che il marito preferisca sua moglie a suo padre e a sua madre in caso che non possa assistere gli uni e gli altri. Grandier segue il suo corso. Risale il tempo, passa per i Greci, attraversa il Medio Evo, a proposito di questi soggetti cita le Cronache di Carion e Gerolamo di Praga (indicazioni preziose sulle sue letture: Carion è lo pseudonimo di Johann Nägelin, riveduto poi da Melantone; Gerolamo, un discepolo di Jan Hus). Affronta infine il voto di celibato (che non obbliga, a suo avviso, che il religioso), e conclude:

Il desiderio ardente Impedire a un uomo di sposarsi non è una cosa meno crudele che interdirgli il bere e il mangiare, visto che non ha meno inclinazione per l’una che per l’altra cosa. Il desiderio del matrimonio è anzi ben più ardente, il suo desiderio più dolce e solleticante, visto che il mangiare non fa che conservare questa breve vita, ma il matrimonio fa rivivere l’uomo dopo la sua morte nei suoi figli,

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che spesso con le loro preghiere mettono nel cielo colui che li ha messi sulla terra15.

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In una lettera del 14 ottobre 1634, il Signor Seguin, medico a Tours e convinto possessionista, parla al Signor Quentin di questo Trattato ben noto a Loudun. La sua lettera fu presto pubblicata nel Mercure françois:

Durante la questione 16, egli [Grandier] confessò un piccolo libretto manoscritto contro il celibato dei sacerdoti, suscitando il sospetto che fosse sposato. Notate che esso è indirizzato alla sua più cara concubina, il cui nome è soppresso dappertutto come pure nell’intestazione, e alla fine conclude con questo distico e firma: Se il tuo gentile spirito accoglie bene questa scienza Metterai a riposo la tua buona coscienza. Non posso nascondervi che questo trattato mi è sembrato molto ben costruito e coerente fino alla conclusione, che invero traballa e scopre il veleno. Non c’è in esso nulla che tenda alla magia, e sembra piuttosto che se ne potrebbe dedurre il contrario, se non ci fossero altrove prove sufficienti 17. Di fatto, sarà la procedura civile da sola a fornire queste prove. Il discorso della possessione parlava dello stregone; il potere giudiziario e politico ne farà un morto. 15

Esistono molte copie antiche del Traicté di Grandier: BN, collezione Dupuy, vol. 571, f. 66 sg.; Parigi, collezione privata di M. Lambert; etc. Quest’ultima è la più sicura. Da essa sono stati perciò tratti i brani riportati nel testo. Ci furono edizioni dal 1634 (vedi BN, Lb 36.3029, 42-51). L’edizione di Robert Luzarche (Pincebourde, Paris 1866), nella «Petite bibliothèque des curieux», è condotta in base a una copia del 1774 e arricchita di aggiunte e parafrasi più utili per la storia di queste «rarità» collezionate nel XIX secolo che per quella di Grandier. 16 Question: dal latino quaestio, il termine designava l’interrogatorio giudiziario condotto anche con il ricorso alla tortura [n.d.c.]. 17 Mercure françois, t. 20, «continuation de l’an 1634», Paris, 1637, pp. 779-780.

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La politica a Loudun: Laubardemont

      

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Dietro la scena su cui si agitano esorcisti e possedute, altre forze e altre cause intervengono. Da principio esse non emergono a Loudun che subendo le distorsioni imposte dal discorso della possessione. Il diabolico diviene così la metafora della politica, che determina progressivamente l’azione. I conflitti dovuti all’istituzione di un nuovo ordine pubblico cominciano introducendosi in modo quasi surrettizio nella possessione, nata al di fuori di essi; ne utilizzano il vocabolario e i motivi di fondo; poco a poco procedono a organizzarla, a svelarsi in essa e a servirsene, prima di gettarne via la maschera e abbandonarla alle devozioni o curiosità private.

L’appello al re Con l’arrivo a Loudun, nel settembre 1633, del barone di Laubardemont, incaricato dal re della demolizione del castello, si produce una svolta: l’introduzione della politica centralizzatrice. Ma questo intervento era preparato dal ricorso all’autorità del re da parte delle opposte fazioni. Ciò che manca alla sicurezza o al potere di ognuna per avere ragione del clan nemico induce quasi tutti a evocare lo scettro o l’autorità del re. Con sorpresa degli interlocutori locali, questi appelli (spesso semplici minacce verbali) assumeranno un peso temibile. In anticipo, essi aprono un spazio all’intervento del potere centrale. Così, a partire dal 12 dicembre 1632, il balivo Cerisay, l’inquisitore civile L. Chauvet e il suo assessore, C. Chauvet, nella lettera da essi indirizzata al vescovo di Poitiers, mettono in rilievo che 121 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

il Signor Barré, l’esorcista delle orsoline, ha detto e fatto parecchie cose nel disprezzo della giurisdizione e dell’autorità reale1. Protesta abbastanza vaga e comune ma che, divenendo una realtà, taglierà fuori tutti gli appellanti, che essa prende in parola. Era stato così spesso solo un modo di dire: ora il lupo mannaro si presenta a Loudun. È Laubardemont.

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I Signori Rasatori al suolo L’intendente arriva nel settembre 1633, incaricato di una missione che non riguarda per niente la possessione, ma la demolizione del castello, che questa volta comprende il torrione. In agosto, egli invia a Mesmin de Silly, a Loudun, la copia della lettera reale che ha ricevuto:

Signor de Laubardemont, Avendo saputo della diligenza che avete mostrato nella demolizione del castello di Loudun e perciò nell’esecuzione dell’ordine che ne avevate ricevuto da parte mia, ho voluto redigere per voi questa lettera per testimoniarvi la soddisfazione che ho del servizio che mi avete reso in questa occasione e, poiché resta ancora da demolire il torrione, non mancherete, secondo la commissione che vi è stata spedita, di farlo radere interamente al suolo senza nulla conservarvi. Ho appreso inoltre che i portali della detta città tengono luogo di fortezza e potrebbero pregiudicare la tranquillità degli abitanti, se delle persone malintenzionate venissero a impadronirsene. È per questo che desidero che li facciate aprire dall’interno, al fine che non ce se ne possa avvalere a loro detrimento. Così promettendomi che sarete accurato nel compiere ciò secondo la mia

1

BN, Fds fr. 7618.

122 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

volontà, non vi renderò questa più esplicita, pregando Dio, Signor de Laubardemont, che vi tenga in sua custodia. Scritto a Montereau questo 6 agosto 1633 Louis Phélypeaux 2

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La commissione annunciata dalla lettera perverrà a Laubardemont qualche giorno dopo. Essa ritorna sulle lettere patenti del 13 maggio 1632, con le quali Luigi XIII, da Royan, ha fatto dono al Signor Jean d’Armagnac, uno dei suoi primi valletti di camera, e al Signor Michel Lucas, uno dei suoi segretari, in consi-

derazione dei loro servigi, dei domini, fossati e controscarpe del grande castello di Loudun, nel caso che Sua Maestà prenda la risoluzione di far demolire il detto grande castello come inutile, preservando solo il torrione al fine di essere conservato per la sicurezza della città e degli abitanti di Loudun 3. Una parte dei materiali provenienti dalla demolizione doveva ritornare a Michel Lucas, l’altra al governatore.

Un nuovo equilibrio politico Nel 1631-1632, Jean d’Armagnac moltiplicava le manovre per conservare, insieme al torrione divenuto la sua residenza, le funzioni di governatore di Loudun. Ma s’illudeva quando si felicitava dei successi contro gli avversari comuni di cui allora dava assicurazioni a Grandier, o dei suoi effimeri trionfi contro i demolitori – i Signori Rasatori al suolo, come dice lui –, o dell’appoggio che pensava di trovare presso Laubardemont, che qualche tempo

2

Testo pubblicato in G. Legué, Urbain Grandier et les possédées de Loudun, Paris 1880, p. 170. Phélypeaux è il segretario di Stato. 3 L. Charbonneau-Lassay, Le Chàteau de Loudun sous Louis XIII, in Mémoires de la Société des Antiquaires de l’Ouest, 1915, p. 409 sg.

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prima era stato delegato dal re per assistere a Loudun al battesimo di suo figlio (1630):

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Niente di più mi rende così lieto che vedere tutti questi Signori qui ricevuti, e il Signor barone [de Laubardemont] che altresì se ne rallegrava. Mia moglie deve certo compiacersene davanti a tutti quelli che l’andranno a trovare. Costretto a viaggi incessanti al servizio del re, troppo distante da Parigi e da Loudun, ingannato dai suoi stessi intrighi, non misurava l’importanza dei cambiamenti che si operavano nel personale politico né il peso degli interessi che giocavano contro di lui. Il Signor Lucas, segretario della mano del re, aveva molto più influenza presso Luigi XIII e, molto ben informato dai suoi amici di Loudun, ora lavorava contro colui con il quale aveva condiviso i benefici del giorno prima.

Un vicino: Richelieu Richelieu in particolare aveva appena visto la sua signoria di Richelieu (a meno di 20 chilometri da Loudun) ingrandita ed elevata a ducato-parìa (agosto 1631), e intendeva certamente consolidarne il dominio. Giungeva in quel momento all’apice della sua potenza; come scrive Hollande Mathieu de Morgues, era divenuto cardina-

le, primo ministro, ammiraglio, conestabile, cancelliere, guardasigilli, sopraintendente delle finanze, gran maestro dell’artiglieria, segretario di Stato, duca e pari, governatore di trenta posti diversi, abate di altrettante abbazie, capitano di duecento uomini in armi e di altrettanti cavalleggeri, costretto a comprendere in un etc. il resto dei suoi titoli 4. 4

Mathieu de Morgues, Charitable remontrance de Caton chrétien, 1631, p. 4. Su M. de Morgues, cappellano e difensore della regina, critico spietato, vigoroso quanto ben informato, v. M. Deloche, La maison du cardinal de Richelieu, 1912, pp. 32-50.

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Fin dal 25 settembre 1631, d’Armagnac scriveva a Urbain Grandier:

Ho visto dei miei amici in questa città [Parigi] che credevano che il Signor de Laubardemont fosse già a Loudun e mi hanno detto che in un modo o nell’altro sarei stato sicuramente accontentato. Sicuramente? È dire troppo, poiché aggiungeva che eppure… si credeva che tutto sarebbe stato abbattuto, anche le mura della città, per annientare tanto la città che la sua giurisdizione, che un consigliere della Corte certo sopprimerà, al fine di stabilire il ducato-parìa della città di Richelieu 5. Realista (a differenza di d’Armagnac), Laubardemont non si è affrettato. Egli ha preso tempo per vedere dove conduce la volontà del re e quella di monsignor il cardinale. Egli coltiva Michel Le Masle, priore des Roches, primo segretario del cardinale, e, come vedremo, intratterrà le migliori relazioni con lui. Sa anche con quale implacabile fedeltà, in mezzo a tanti affari, Richelieu stabilisce la disciplina reale, persegue la sua opera centralizzatrice e si preoccupa di tutto ciò che può servire da rifugio ai protestanti dopo la presa de La Rochelle (1628).

Laubardemont Uomo ligio al potere centrale, affezionato allo Stato, dirà Richelieu, agente destinato dal cardinale a compiti precisi e urgenti in un periodo di crisi, commissario – nel senso che la parola assumerà durante la Rivoluzione francese –, egli arriva a Loudun per eseguire un ordine. Deve essere lo strumento efficace e mobile di una politica. Ma anche lui ha fatto i conti. Sa misurare en5 A. Barbier, Jean II d’Armagnac, gouverneur de Loudun, et Urbain Grandier (1617-1635), in Mémoires de la Société des Antiquaires de l’Ouest,

2e série, t. 8, 1885.

125 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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trambe le cose: la forza che lo sostiene e, una volta di più, l’asprezza dei conflitti in cui interviene. È il momento in cui Grandier riceve una lettera, l’ultima, sembra, che il governatore di Loudun gli abbia scritta (7 settembre). D’Armagnac s’inquieta, ma un po’ tardi. Trovandosi nell’impossibilità di rientrare nella sua città, scongiura il curato di tenere d’occhio tutto ciò che accadrà dall’altra parte, e, facendo allusione alle opzioni largamente pregresse dei due cardinalisti, il Signor Hervé e suo suocero, Mesmin de Silly, fedele corrispondente di Laubardemont a Loudun, meno doppio di quanto non si sia detto6, il governatore aggiunge:

Sono dispiaciuto di come questo grosso brutale inquisitore di giustizia e suo suocero abbiano sollecitato e procurato l’indubbia rovina della città di Loudun 7. A Loudun, Laubardemont non resterà che due mesi. Non sente che parlare di magia e diavoleria. Assiste a un esorcismo. S’informa. È doppiamente interessato, sia perché due delle sue cognate si trovano presso le orsoline, sia perché egli tra il 1625 e il 1629 ha già istruito procedimenti per stregoneria nel Béarn, quando era consigliere laico al parlamento di Bordeaux, poi presidente delle inchieste nello stesso parlamento. Ma, fatto che sorprende gli abitanti di Loudun in ebollizione, tiene per sé i propri pensieri:

Non diede alcuna conoscenza dei suoi sentimenti alla vista di un così strano spettacolo. Essendo di ritorno nella sua casa, si sentì vivamente toccato da compassione per lo stato deplorevole di que-

6

V. la «réhabilitation » di Mesmin contenuta in E. Mémin, René Mesmin de Silly, adversaire d’Urbain Grandier, Godet, Saumur 1916. 7 Pubblicata da A. Barbier, op. cit. Ultima per data fra i manoscritti Barbier della corrispondenza del governatore con Grandier, questa lettera sembra proprio essere anche l’ultima che gli ha scritto.

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ste fanciulle. Per coprire il suo sentimento, ricevette alla sua tavola gli amici di Grandier e Grandier stesso, che vi venne con gli altri 8.

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In questo stesso mese, ripassando del tutto appositamente a Loudun, dove non ritornava dalla Conferenza del 1616 tra cattolici e ugonotti, il principe Henri de Bourbon, illustre spettatore, è meno discreto. Di fronte ai gesti spettacolari delle possedute durante l’esorcismo organizzato in suo onore, Sua eccellenza, la cui devozione è tanto eccessiva quanto tardiva, si commuove, va in estasi e lascia agli esorcisti la testimonianza della sua soddisfazione.

Il caso della «calzolaia» Nella città il cui tempo presente mette in movimento il passato, a risalire in superficie è anche la vecchia storia di Catherine Hammon, una modesta abitante di Loudun detta la calzolaia, graziosa, furba, fortunata, aveva sedotto la regina Maria de’ Medici che l’aveva legata alla sua persona. In nome della sua padrona, ella s’insinuava negli affari di Loudun. A torto o a ragione, era stata coinvolta nell’apparizione di un violento pamphlet contro Richelieu: Lettre de la cordonnière de la reine-mère à M. de Baradas (1627). In questo libello apparentemente indirizzato a François Baradas, primo gentiluomo della camera del re, caduto in disgrazia e cacciato dalla corte nel 1626, Charpentier, l’abile segretario del cardinale, ravvisava soprattutto il crimine di lesa maestà:

Si può dire che la libertà sfrenata di questo secolo ha prodotto parecchi fatti di questo genere, ma ancora non vi era apparso uno così cruento e così pernicioso come questo… Sono calunnie contro i principali ministri dello Stato… e, ciò che è peggio, ingiurie che attaccano e offendono la persona del re, accusandolo

8

Pubblicato da G. Legué, op. cit., p. 174.

127 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

di leggerezza, d’incostanza e, cosa che è spaventosa, nonostante la sua nota virtù, di detestabile impurità 9. Chi era l’autore? Non lo si poté identificare. Ciononostante il testo portava i sospetti dal lato di Loudun. Si supponeva che la «calzolaia» avesse scritto al Signor Baradat:

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Vorrei che voi voleste venire nella nostra regione di Loudun. Verreste a conoscenza di molti altri [libelli]. Ne farò raccolta per passarveli al primo incontro. Solo lo stampatore era stato acciuffato, un tale chiamato Jacques Rondin, Signore de la Hoguetière, nativo di Bayeux, subito chiamato a comparire davanti alla Gran Corte dello Châtelet e condannato il 27 maggio 1627, malgrado i suoi dinieghi, a essere impiccato e strangolato nelle galere di Rochefort.

Grandier pamphlettista? Lo stesso anno appariva tuttavia un secondo libello con lo stesso titolo, meno grossolano e più mordace, in cui si distingueva con cura fra il re, piuttosto blandito, e i suoi cattivi consiglieri, che era necessario allontanare. Molto legato a Caherine Hammon dal 1617 (in quel periodo ella aveva soggiornato a Loudun, mentre il curato vi arrivava), era Grandier l’autore di questo secondo pamphlet attribuito alla «calzolaia»? Lo si è detto. In ogni caso, egli viene associato a questa pericolosa storia nel momento in cui Suzanne Hammon, sorella di Catherine, una delle possedute non religiose, l’accusa di essere uno stregone. Secondo Ménage, i cappuccini che padre Joseph, «l’Eminenza grigia», aveva installato a Loudun, si sarebbero occupati di informarne il loro protettore – che d’altronde aveva molti altri informatori nella città di Théophraste Renaudot: 9

Paris, Archives des Affaires étrangères, ms. France 1627, f. 119-136.

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I cappuccini di Loudun, nel disegno che essi avevano di vendicarsi del loro nemico [Grandier], scrissero a Parigi a padre Joseph, loro confratello, che Grandier era l’autore di un libello intitolato la Calzolaia di Loudun, molto ingiurioso e per la persona e per i natali del cardinale de Richelieu 10. Più di uno storico condividerà la convinzione dei cappuccini – se mai è stata la loro. Dove finisce qui la leggenda, dove comincia la storia? Questa testimonianza di un curioso è anche il sintomo dei pettegolezzi a cui i cappuccini mireranno; a proposito dei pettegolezzi diffusi da un libello contro il potere, essa senza dubbio tradisce non meno i pettegolezzi che circondano e minacciano Grandier. Moltiplicazione delle voci. Tutte queste storie accusatrici avvolgono la città nella nebbia. Che cosa è vero? Che cosa è falso? Presi dall’angoscia in questo dileguarsi di certezze e distinzioni, gli abitanti di Loudun cederanno a un riflesso di sicurezza: in mancanza della possibilità di scoprire dov’è la verità, essi dovranno affermarne una – ma non sarà la stessa per tutti.

Le lettere patenti del 30 novembre 1632 Fine ottobre: il torrione viene demolito. Laubardemont rientra a Parigi, con una sosta a Chinon per incontrarvi l’esorcista Barré e raccoglierne nuove informazioni. Vede Richelieu a Reuil, e padre Joseph. Michel Lucas è messo al corrente. A Reuil viene tenuto un consiglio cui, oltre al re e al cardinale, partecipano il cancelliere Séguier, il sovrintendente Bouthillier de Chavigny, il segretario di Stato Phélypeaux, padre Joseph e Laubardemont. Qui vengono decisi dei procedimenti; lettere patenti, redatte e firmate da Séguier il 30 novembre:

10

Pubblicato da G. Legué, op. cit., p. 182.

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Il Signor di Laubardemont, consigliere del re nei suoi consigli di Stato e privato, dovrà recarsi a Loudun e altri luoghi in cui vi sarà bisogno, e una volta lì, istruire diligentemente un’inchiesta contro il detto Grandier su tutti i fatti di cui, come sopra, è stato accusato, e altri che gli saranno di nuovo imputati, inclusa la possessione delle religiose orsoline della detta Loudun e altre persone di cui pure si dice siano possedute e tormentate dai demòni a causa del maleficio del detto Grandier, informare di tutto ciò che è accaduto fin dall’inizio tanto riguardo gli esorcismi, quanto e di più circa il fatto della detta possessione, far riferire i processi verbali e altri atti dei commissari a ciò delegati, assistere agli esorcismi che si faranno e di ogni cosa redigere processi verbali, procedendo inoltre come converrà per la prova e la verifica completa dei detti fatti, e soprattutto decretare, istruire, fare e completare il processo al detto Grandier e a tutti gli altri che risulteranno complici dei detti casi, esclusivamente fino a sentenza definitiva, nonostante qualsiasi opposizione, appello e ricusazione, per le quali e senza pregiudizio di queste non sarà differito, e, vista la natura dei crimini, senza neppure tenere conto del rinvio che potrebbe essere richiesto dal detto Grandier. Sua Maestà dando mandato a tutti i governatori e inquisitori generali della provincia, e a tutti i balivi, siniscalchi, vice-siniscalchi, prevosti, loro luogotenenti, sindaci e scabini delle città e altri ufficiali e sudditi a cui, per l’esecuzione di quanto sopra, spetterà di dare ogni assistenza e man forte, aiuto e prigioni, se è mestiere che essi siano richiesti. Per esaminare ogni fatto relativo alla possessione, per aprire un’istruttoria contro Grandier, Laubardemont dispone di una piena e completa competenza, che si estende a Loudun e a ogni altro luogo necessario, e gli permette di non tener conto delle opposi130 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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zioni, degli appelli o delle domande di rinvio (benché in linea di principio questi ricorsi restino autorizzati ed esercitabili), senza però autorizzarlo a pronunciarsi sulla colpevolezza né a emettere lui stesso la sentenza. A queste lettere patenti sono subito unite due ordinanze, firmate dal re e dal segretario di Stato Phélypeaux: per fare arrestare

dal detto Signor Laubardemont e costituire prigioniero il nominato Grandier e i suoi complici in un luogo di sicurezza, con mandati simili a tutti i prevosti dei marescialli, vice-balivi, vicesiniscalchi, loro luogotenenti e arcieri e altri ufficiali e sudditi, al fine di sorvegliare l’esecuzione delle dette ordinanze e obbedire, per effetto di queste, agli ordini che saranno loro dati dal detto Signore, e di dare ai governatori e inquisitori generali tutta l’assistenza e man forte che sarà loro richiesta 11. Infine Luigi XIII consegna al commissario una lettera indirizzata a Monsignor de La Rocheposay con la quale raccomanda alla sollecitudine del vescovo la causa delle orsoline – visto che, spiega il re, questo affare dipende dall’autorità della Chiesa. Questa menzione non manca di una punta di umorismo, nel momento in cui un’istruzione laica è ordinata contro il curato di Loudun: per quanto non fosse necessariamente di competenza della giustizia ecclesiastica (la giurisprudenza dell’epoca non è unanime, benché in linea di principio tenda ad allontanare le giurisdizioni ecclesiastiche, anche quando si tratta di preti), questo caso poteva essere affidato alla sollecitudine episcopale. Ma si produce una svolta.

Richelieu: «Dare un esempio» Da parte di Richelieu, la decisione stupisce più per il suo oggetto, che per la sua rapidità e severità o il suo carattere «eccezionale»: 11 Extrait des registres de la commission ordonnée par le Roi pour le jugement du procès criminel..., Poitiers 1634; BN, Fds fr. 7618, f. 25.

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la possessione di ragazze tormentate da demòni per il maleficio del detto Grandier. Malgrado le precauzioni d’uso, i giochi sono fatti, sembrerebbe. Per quanto superstizioso o vendicativo sia potuto essere, il cardinale obbedisce piuttosto alla «ragione» che egli impone con tanto rigore e coerenza: la ragione di Stato. Nel mezzo di preoccupazioni ben più gravi, tra i tormenti che costellano tante lotte, pericoli e morti, questa storia noiosa viene trattata secondo un principio generale. Con la distanza del tempo e un’evidente intenzione apologetica, Richelieu si giustifica nelle sue Memorie:

Sua maestà avendo dato, per sua giustizia, qualche rimedio ai disordini che la malizia degli uomini aveva causato nel suo Stato, essa fu obbligata a impiegare ancora la sua autorità per fortificare la Chiesa e assisterla con rimedi che era necessario apportare ai turbamenti che lo spirito maligno aveva da qualche tempo suscitato nella Chiesa, nella persona di qualche religiosa orsolina nella città di Loudun. Fin dall’anno 1632, il cardinale, di ritorno dal suo viaggio nella Guyenne, all’annuncio che ebbe di alcune religiose orsoline, nella città di Loudun, che erano apparse possedute, inviò qualche persona di dignità ecclesiastica e di pietà per farne a lui un rapporto veritiero. Grazie alla deposizione delle dette religiose, che ascoltarono separatamente, essi appresero che la notte, quando esse erano ritirate, qualcuna di loro aveva inteso aprire le loro porte, qualche persona salire per il loro gradino, e poi entrare nella loro camera con qualche luce oscura che causava una sorta d’orrore. Tutte concordavano di aver visto nelle loro camere un uomo che, senza conoscerlo, esse dipingevano tale quale era il curato di Saint-Pierre de Loudun, che parlava loro di atti impuri e, ricorrendo a diverse persuasioni empie, cercava di attirarvi il loro consenso. In seguito a queste apparizioni, alcune di loro si trovarono tormentate, e a fare azioni da ossesse o possedute dallo spirito maligno. I loro confessori e alcuni altri preti dotti e pii le esorcizzarono. Ma dopo averle liberate, la possessione ricominciava con nuovi patti, in virtù dei quali i demòni dicevano di essere ritornati. 132 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Ma siccome questa materia è ricca di inganni e spesso la semplicità, che di solito accompagna la pietà, fa credere cose di questo genere che non sono vere, il cardinale non osò fondare un giudizio sicuro sul rapporto che gliene si fece, visto che non ce n’erano molti che difendevano il detto Grandier, che era uomo di spirito arguto e sufficiente erudizione, benché il vescovo di Poitiers qualche tempo prima l’avesse condannato e obbligato a disfarsi del suo beneficio entro una scadenza di cui gli fu indicato il termine. Essendosi egli appellato contro la sua sentenza all’arcivescovo di Bordeaux, fu tuttavia rinviato con assoluzione. Ma infine questo affare divenne così pubblico, tante religiose si trovarono possedute, che il cardinale, non potendo soffrire oltre le lagnanze che gli venivano fatte da ogni parte, consigliò al re di volervi interporre la sua autorità e di inviarvi il Signor de Laubardemont, consigliere nel suo Consiglio di Stato, per istruire questo caso al fine che la presenza del detto Grandier, che aveva credito nel paese, non potesse impedire i testimoni di deporre la verità, e farlo condurre nel castello d’Angers…12 Dalla luce oscura che causa una sorta d’orrore al disordine pubblico che il cardinale non può soffrire, si ha l’evoluzione del caso visto da Parigi. Richelieu non si fa illusioni sulla semplicità che di solito accompagna la pietà e resta quanto meno esitante a proposito di queste religiose che paiono possedute. Ma non tollera un fomentatore di disordini che forse è anche un pamphlettista, in un tempo ancora vicino alle Leghe e alle guerre di Religione. Per difendere a un tempo la disciplina reale, il rispetto del potere e la riforma del clero, egli intende dare un esempio 13. Grandier è il prezzo di una politica. E viene afferrato dalla giustizia del re, 12

Richelieu, Mémoires, livre XXIV, in Michaud et Poujoulat, Nouvelle collection des Mémoires relatifs à l’histoire de France, 1881, t. 22, pp. 568-569. 13 G. Hanotaux et duc de La Force, Histoire du cardinal de Richelieu, t. 3, Firmin-Didot et Plon, Paris 1935, p. 278.

133 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

così come appare alla superficie della grande storia, preso nella rete delle voci di Loudun.

«La fortuna di riuscire»

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Jean Martin, barone de Laubardemont arriva a Loudun l’8 dicembre. Penetrando nelle strade gelate della città per andare ad alloggiare nel sobborgo di Chinon, presso Paul Aubin, genero di Mesmin de Silly, entra anche lui nella grande storia, deciso a riuscire. Due anni più tardi, il 28 agosto 1636, scrive al cardinale:

Monsignore, ho stabilito delle buone corrispondenze per avere notizie certe di tutto ciò che accade nelle province del mio dipartimento, dove sono amato e stimato molto più di quanto io valga. Ho anche avuto sempre, Monsignore, la fortuna di riuscire in tutte le cose che mi sono state ordinate, e dai vostri favori e benefici mi riconosco obbligato a impiegare la mia vita, e tutto ciò che ho al mondo, al vostro servizio, al quale mi sono da lungo tempo votato con un’inviolabile affezione 14. Fanatico e sicuro di sé, devoto del re e del cardinale, ma anche ambizioso e duro calcolatore, l’antagonista di Grandier nel processo che comincia è uno strano personaggio. Mathieu Martin, suo padre, tesoriere generale di Francia in Guyenne, usciere alla cancelleria del parlamento di Bordeaux, aveva acquisito nel 1607 il castello e il mulino di Sablon, vicino a Coutras, con competenze di giustizia alta, media e bassa. Nato a Bordeaux verso il 1590, sposato nel 1611 a Isabeau de Nort, Jean Martin succede nel 1612 a suo suocero come consigliere laico al parlamento di Bordeaux. Nel 1624, ottiene dal re che la parrocchia di Sablon e il villaggio di Brautière prendano il nome di Laubardemont. La sua carriera prende davvero forma quando, dopo aver acquisito la 14

BN, Fds fr. 24163; pubblicato in Bulletin du Bibliophile, 1907, p. 502.

134 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

carica di presidente alla prima camera delle Inchieste del parlamento di Bordeaux (1627), è chiamato a dirigere la commissione incaricata di andare a procedere al giudizio degli stregoni del Béarn: diventa una sua specialità. Il suo successo conosce un’accelerazione, scandita da alcune date: 1629, primo presidente della Corte degli Aiuti di Guyenne, a Agen; 1631 (4 novembre), consigliere di Stato semestrale; 1631-1632, commissioni per la distruzione dei castelli di Royan, di Montereau, poi di Loudun… Nel dicembre 1635, sarà nominato intendente della giustizia, polizia e Documento acquistato da () il 2023/05/03.

finanza nelle provincie di Touraine, Anjou, Mayenne, Loudunois e altre circonvicine. Più tardi, sarà incaricato dell’inchiesta sulla dottrina di Saint-Cyran (1639), delegato all’istruzione del processo del marchese de Cinq-Mars a Lione (1642), chiamato a occuparsi della possessione di Louviers, etc. Consigliere ordinario del re nei suoi consigli, morirà a Parigi il 22 maggio 163515.

Devoto del re Il bene del servizio del re e l’utilità pubblica 16 per lui s’identificano. La politica reale è la sua etica. A suo modo lo dirà il medico

15

Su Laubardemont, personaggio che sembra cancellato dalla storia e prigioniero della leggenda, v. a Parigi: BN, Pièces originales, 1873 (les Martin); BN, Fds fr. 17368 e 17370-17373 (lettres); Archives Saint-Sulpice, ms. R. 438.3 e R. 438.4 (lettres). A Bordeaux, Archives dép. 1 B 21-23, 1 B 25, 8 J 583 (famille). Al Grand Fougeray, Archives de la Visitation, ms. F I, 1-142 (lettres); etc. Qualche notizia in Archives historiques du département de la Gironde, t. 30, 1895, p. 155; t. 44, 1909, p. 287; L. Lesourd, Notice historique sur Martin de Laubardemont, René, Paris 1847; R. Mousnier, Lettres et mémoires adressés au chancelier Séguier, PUF, Paris 1964, p. 1207; Pinthereau, Le progrès du jansénisme..., Avignon 1655, soprattutto l’«Information de la doctrine de Saint-Cyran»; J.-J. Surin, Correspondance, cit., pp. 277-280, e Indice; etc. 16 Lettera del 21 maggio 1636 a Séguier, pubblicata in R. Mousnier, op. cit., p. 291.

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Duncan nel 1634, sebbene non condivida la semplicità dei possessionisti:

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Per ciò che concerne il Signor de Laubardemont, egli è troppo accorto per volere che la sua opinione circa la possessione s’imponga agli altri come legge e in diverse occorrenze ha testimoniato di non piccarsi contro coloro che ne hanno sentimenti diversi dai suoi, e sono sicuro che egli non chiede altra lode che quella della fedeltà e diligenza nell’esecuzione della sua commissione 17. Questo sarà riuscire. Ma nel momento in cui la sua coscienza di uomo si allinea alle sue convinzioni e al suo interesse di funzionario, nel momento in cui la violenza dei conflitti conferisce alla durezza e alla duplicità l’aspetto del coraggio morale e della fedeltà, il commissario si pone non di meno come riparatore dei torti. Sente come ingiusta la miseria del popolo e la difende contro gli uomini di guerra o contro i «partigiani», funzionari delle imposte.

I gravami che la necessità del tempo fa imporre sui sudditi del re sono molto onerosi, scriverà ancora a Séguier. Ma, Monsignore, il più grande male viene dall’abuso che commettono coloro che sono ordinati per riceverne gli effetti, come la gente di guerra, le cui violenze non possono essere rappresentate. Intendo dappertutto clamori che sono in grado di stupire le persone più sicure 18. Una crociata La sua commissione a Loudun prende forma di vocazione. Essa diviene una crociata. È una fortuna, una «grazia», per Laubardemont, che l’ordine del re lo metta di fronte ad avversari che lo 17 Marc Duncan, Discours sur la possession des Religieuses de Loudun, Saumur 1634 (BN 16 Lb 36.3961). 18 Lettera del 15 maggio 1636, pubblicata in R. Mousnier, op. cit., p. 290.

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sono parimenti tanto del potere centrale quanto di Dio. Certo, nella sua corrispondenza privata, mostra sentimenti di devozione per gli angeli, il Bambino Gesù, i miracoli e così via. La sua sincerità sembra evidente. La sua devozione gli fornisce un margine affettivo che fa da contrappunto alla durezza di una lotta per riuscire, unendo una pietà privata alla legge pubblica. Ma è un principio più personale a riunire queste due metà di una vita. I postumi delle guerre e dei fervori religiosi di un tempo sono versati sul conto delle ordinanze reali. La politica recupera la devozione e se ne arma. Essa raccoglie una tradizione e un’affettività religiose. Da questo punto di vista, non c’è più separazione tra «temporale» e «spirituale». Il laico che è Laubardemont riceve dalla sua posizione politica un’investitura ecclesiastica. Nella crociata in nome del re egli trova un potere quasi sacerdotale. In nome di questo investimento dell’autorità religiosa nell’autorità civile, acquisisce e si attribuisce un ruolo di direttore spirituale. Il passaggio dal religioso al «politico», proprio di questo tempo, è vissuto dal commissario come una coincidenza. Da allora, gli errori in materia di dogma o di spiritualità, esattamente come le occulte ribellioni del diavolo, per Laubardemont divengono casi di pertinenza del re,

visto che ciò tocca lo Stato e che il magistrato secolare ne può discernere 19. Promozione del laicato, instaurazione di una politica, mobilitazione del sacro a servizio dello Stato: un simile fine giustifica i mezzi. Laubardemont è insediato così in una «gerarchia» celeste recuperata e trasposta nella ragione di Stato, mentre nello stesso tempo dei chierici la mobilitano al servizio di una nuova teologia del sacerdozio e della «gerarchia ecclesiastica». Nel corso di anni, con un’incontestabile serietà egli si porrà come protettore e direttore spirituale delle orsoline. 19 È ciò che dichiara a Vincent de Paul. V. J. Orcibal, Les origines du jansénisme, t. 2, Vrin, Paris 1947, p. 580.

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Il diavolo si oppone al re: qui egli trova dunque il grande combattimento e la giustificazione della sua carriera. Come viene suggerito da un adulatore di Loudun, nel poema pieno di devoto rispetto che gli dedicherà nel 1634, egli si vuole, è dappertutto l’arcangelo dello Stato e, spada alla mano, il San Michele del re:

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Voi che il re affida e dona Per condannare in sua persona I demòni e schiacciarli Come un secondo Michele arcangelo…20 Ogni opposizione al potere ha il volto del demonio. E così alla fine davanti all’arcangelo il demonio si smaschera a Loudun.

20

BN, Fds fr. 7619, f. 125.

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6

Gli inizi dell’istruttoria (dicembre 1633-aprile 1634)



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Laubardemont agisce, e in fretta. Raccoglie gli elementi dell’istruttoria. Con l’assistenza degli arcieri venuti da Angers e comandati da Guillaume Aubin, signor de la Grange, luogotenente nella gendarmeria a cavallo1, fa arrestare Grandier al mattino presto in piazza Sainte-Croix.

L’arresto Aubin mise il sigillo reale alle camere, agli armadi e altri luoghi della sua casa, e incaricò il signor Jean Pouquet, arciere delle guardie di sua Maestà, di condurlo al castello d’Angers, con l’assistenza degli arcieri, dei prevosti di Loudun e Chinon 2. La perquisizione presso il curato viene eseguita da Laubardemont, Mesmin, Hervé, Bourgneuf, il procuratore e l’avvocato del re, Menuau, il 7 dicembre, il 9 e i giorni seguenti (e ancora più tardi, nei giorni 1 e 31 gennaio 1634), in presenza della madre di Grandier, Jeanne Estièvre. Secondo i Registri della Commissione, tra i documenti sequestrati figurano:

1. Un certo scritto in forma di trattato sul celibato, con la scrittura di Grandier, per provare che i preti si possono sposare. 1

Maréchaussée: corpo di cavalieri incaricato di mantenere l’ordine e la sicurezza pubblica sotto l’Ancien Régime, sostituito poi dalla gendarmerie [n.d.c.]. 2 Extrait des registres de la commission ordonnée par le Roi...; BN, Fds fr. 7618, f. 25.

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2. Due fogli di versi e rime francesi sudice e impudiche. 3. Due copie di lettere del balivo di Loudun al procuratore generale di Parigi, per persuaderlo che la possessione delle religiose orsoline era un’impostura. 4. Una risposta del procuratore generale alle due lettere precedenti. 5. Diverse dispense accordate dal vescovo di Poitiers, a un gran numero di famiglie della parrocchia di Saint-Pierre, dall’assistere al servizio sotto il detto Grandier e dal ricorrere al suo ministero per ricevere i sacramenti della Chiesa. 6. Un discorso in forma di rimostranza contenente [ragioni, spiegazioni e argomenti per] provare che egli non aveva parte alcuna nella pretesa possessione di Loudun…3 A partire dal 12 dicembre, segue una serie di istruttorie sulle lamentele rilevate contro il curato. Il vescovo di Poitiers vi aggiunge le sue in un «monitorio» che si legge in cattedra nelle chiese della città. Il 19, mentre ha luogo un’altra istruttoria, Jeanne Estièvre può far pervenire a Angers una lettera per suo figlio.

Jeanne Estièvre ...Non crediate assolutamente che sia per mancanza di affezione o di buona volontà se per così lungo tempo siamo state senza comunicarvi né inviarvi nulla, poiché ciò si deve al fatto che fino al presente non ne abbiamo trovato il mezzo. Per ciò che vi affligge, tutti i nostri amici vi partecipano, pregando Dio che voglia far veder la verità e apparire la vostra innocenza. Per parte vostra, disponetevi alla volontà di Dio. Noi speriamo che vi conserverà e farà vedere il vostro buon diritto alla giustizia. Comunicateci solamente lo stato della vostra disposizione. Noi vi inviamo una camicia, un paio di mutande [invece di «caleçons» Jeanne Estièvre scrive «caneçons», secondo la pronuncia popolare], 3

Ibid.; e Bibl. Mazarine, Rés. 37297.

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due paia di calzini, tre paia di babbucce, due facciole, due paia di mezzemaniche, quattro fazzoletti, due cuffie da notte, [une sa…4], un paio di calze di sargia, le vostre spazzole, le vostre pantofole, delle fascette e… pistole d’oro 5 per le vostre necessità minute. Fateci sapere se avete bisogno di qualche altra cosa. Nel frattempo preghiamo Dio che vi doni coraggio. Vostro fratello François e vostra sorella si raccomandano a voi, e anch’io che sarò sempre figlio mio vostra madre e buona amica Jeanne Estièvre 6 La requisitoria di una madre Il 27 dicembre, Jeanne Estièvre rivolge un’istanza a Laubardemont:

A Monsignor di Laubardemont, consigliere del re nei suoi consigli, Jeanne Estièvre, tanto a suo nome che per messere Urbain Grandier, curato di Loudun, suo figlio, al momento detenuto prigioniero nel castello d’Angers, supplica umilmente dicendo Che da cinque o sei anni in qua, alcuni nemici del suo detto figlio gli avrebbero voluto strappare l’onore e la vita con false e calunniose accuse, da cui a loro confusione egli sarebbe stato rinviato assolto. Che continuando il loro pernicioso disegno, alcuni di loro si sarebbero serviti del potere e della direzione che essi avevano su certe religiose di Sant’Orsola, che essi dicevano possedute dai demòni, per accusare di magia, per loro bocca, il suo detto figlio, 4 5

Illeggibile a causa di un buco nella pagina. Antica moneta battuta nel XVI e XVII secolo in Spagna e in Italia, dal titolo e dal peso analoghi a quelli del luigi [n.d.c.]. 6 Pubblicato in G. Legué, Urbain Grandier et les possédées de Loudun, Paris 1880, p. 194 e corretto in base al manoscritto.

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ancora falsamente salvo errori, per cui il detto Grandier avrebbe fatto denuncia e sarebbe ricorso alla giustizia, e avrebbero tanto fatto, Monsignore, che, mentre voi eravate in questa città di Loudun per la demolizione del piccolo castello, vi avrebbero incitato a cercare e a sollecitare voi stesso la commissione per fare il processo al suo detto figlio, poiché di fatto voi sareste partito da questa città in questa risoluzione, avreste soggiornato un giorno a Chinon per parlarne con messere Pierre Barré, uno dei principali strumenti di questa trama e cospirazione. Sareste stato in seguito a Parigi per cercare e perseguire la detta commissione, così come la detta supplicante giustificherà a suo tempo e luogo, persino con i vostri propri scritti. Che avendo, falsamente, dato a intendere e con sorpresa ottenuto la detta commissione e, contro tutti gli ordini di giustizia, sareste venuto in questa città per far prendere prigioniero il suo detto figlio. Che per vostro ordine, il signor de Silly, i suoi figli, Pierre Menuau avvocato del re, e altri nemici capitali del suo detto figlio con i quali avreste parlato prima di partire, e ancora dal vostro arrivo in questa città, avrebbero assistito alla sua cattura contrariamente all’ordinanza. Che voi avete dormito e siete stato convitato parecchi giorni, tanto prima quanto dopo la detta cattura, presso il Signor di Bourgneuf, genero del signor di Silly e anche ugualmente suo nemico. Che, da allora, voi avete alloggiato in questa detta città in una locanda diversa da quella di vostra abitudine, al fine di essere in mezzo ai suoi nemici e poter conferire più facilmente con loro, come voi fate segretamente tutte le sere. Che essi restano il più delle volte con voi ben tardi la notte. Che voi avete designato un giovane avvocato [Pierre Fournier] come procuratore del re per lavorare a questo caso, in base alla nominazione che ve ne è stata fatta dal detto avvocato P. Menuau, così come lui stesso se n’è vantato in diversi posti.

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Che prima che aveste preso alcuna conoscenza del caso del suo detto figlio, voi avete testimoniato un sentimento contrario alla sua innocenza, mostrando che eravate prevenuto, e questa prevenzione che è nel vostro spirito per l’inclinazione che avete per i suoi detti nemici è ancora apparsa in ciò che avreste detto a parecchi e voluto far credere che il regolamento di monsignor l’arcivescovo di Bordeaux, fatto a Richelieu il 24 dicembre 1632, sulla pretesa possessione delle Orsoline era sbagliato, e che voi l’avreste così fatto riconoscere al detto signore arcivescovo, essendo lui in casa vostra, e alla vista del rituale del curato della vostra parrocchia che avreste fatto portare davanti a lui per questo effetto. E cionondimeno, al contrario di ciò, il detto signor arcivescovo, in vostra presenza e di un gran numero di persone, essendo di recente al detto castello di Richelieu, avrebbe detto che il suo detto regolamento era canonico e del tutto conforme ai concili, e che non se ne poteva legittimamente fare né praticare un altro, che è una cosa ben lontana da ciò che voi riferivate essere i sentimenti del detto signor arcivescovo, con il quale comportamento aiutate e favorite con tutti i mezzi a voi possibili le cattive intenzioni dei suoi detti nemici. Ricorso contro Laubardemont Va aggiunto che voi siete parente, a causa della signora vostra moglie, di monsignore il vescovo di Poitiers, il quale per delle giustissime considerazioni ha già in precedenza desistito da ciò che riguarda il suo detto figlio e che ella ha inteso dire che siete anche parente di alcune delle dette religiose orsoline. Per queste ragioni, monsignore, e per altre ancora da dedurre a tempo e luogo, vi piaccia di desistere dalla competenza del processo e dalle accuse che voi fate muovere e che istruite contro il suo detto figlio, e voi farete bene 7. 7

Ivi, pp. 195-197 e corretto in base al manoscritto.

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Risposta del commissario: egli ordina di non tenerne conto…,

considerata la detta commissione e non avendo d’altronde conoscenza di alcuna causa vera o legittima per astenersi. Di fatto, la commissione toglieva l’istruttoria a tutte le giurisdizioni regolari, ivi compresa quella del parlamento di Parigi (da cui dipende Loudun), e valeva nonostante qualsiasi opposizione, appello e ricusazione… Le deposizioni continuano, dunque, e il 28 dicembre è ingiunto divieto a tutte le persone di intimidire i testimoni, e, in

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caso di contravvenzione, permesso al detto procuratore del re di compierne istruzione 8. Il 7 gennaio, Jeanne Estièvre impugna questa ordinanza con atto passato innanzi al notaio reale. Il 6 gennaio, tramite un ufficiale di giustizia ha fatto notificare a Laubardemont la copia del documento relativo alla forma e ordine prescritti il 24 dicembre 1632 dall’arcivescovo di Bordeaux per gli esorcismi delle religiose. Ella invia anche a suo figlio, a Angers, documenti, consigli e consegne a proposito del futuro interrogatorio:

Non rispondete davanti al Sig. de Laubardemont. Egli è ricusato… I vostri amici sperano di allontanare presto questo commissario passionale. Soprattutto non rispondete. Se egli viene per ascoltarvi, fornitegli i motivi di ricusazione avanzati dalle suddette istanze…9 Il 9 e il 10 gennaio, François Grandier, il fratello dell’accusato presenta due nuove istanze. Ancora il 10, notificazione di appello di un appointement (giudizio preliminare che ordina una discussione scritta per un caso complesso che non può essere deciso in udienza), contro Laubardemont. Il 12, altro appello con «presa di parte» (ricorso contro il giudice).

8 9

Extrait des registres de la commission ordonnée par le Roi... Pubblicato in G. Legué, op. cit., p. 200.

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«Tali procedure oblique» Il 17, nuova istanza di ricusazione del commissario. Jeanne Estièvre non disarma. Ella ha già condotto ben altri combattimenti analoghi. Ancor più che con Laubardemont, lei ce l’ha d’altronde con i nemici capitali del suo detto figlio. Per lei, sembra, le vere, segrete parti avverse e nemiche di Urbain sono di Loudun; sono queste che manipolano il commissario, ossessionandolo in continuazione. Per anni, lei si è difesa, lei insieme a lui, contro diavoli che sono nella sua città e potrebbe indicare. Installatasi a Loudun da 17 anni, donna d’affari come risulta da una lunga serie di atti e di procedimenti, in assenza di un marito di cui nessun documento parla mai, ella sembra essere rimasta una straniera in queste strade e davanti a queste famiglie, di cui ignora gli intrighi. In questa ora di un pericolo più grave, molte fra le voci «amiche» tacciono o si fondono nell’anonimato di un mormorio. Protestando di ricorrere… davanti a giudici competenti, ha fiducia in loro per sfuggire una volta di più al cerchio di ostilità locali. Ella misura bene il nuovo potere che ha davanti a sé? La supplicante scrive a Laubardemont:

Che nell’istruzione del processo criminale che voi fate al suo detto figlio, ella ha saputo e dimostrerà davanti a giudici competenti e non sospetti che avete rinviato parecchi testimoni che parlavano a suo discarico, senza voler fare trascrivere né redigere la loro deposizione che in altre deposizioni avete mutilato e tagliato ciò che era a discarico del suo detto figlio, non facendo trascrivere che ciò che stimavate essere a suo carico, che avete detto e voluto fare trascrivere a suo carico delle cose di cui i testimoni non avevano parlato e che venivano dal vostro solo impulso, che avete voluto insinuare e persuadere uno dei testimoni a deporre un crimine capitale secondo quanto voi gli suggerivate e, 147 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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per indurlo a ciò, vedendo che non voleva farlo, gli avreste detto che egli sarebbe stato allora la causa della morte di quattro persone che avevano già deposto e, per indurre più facilmente i pretesi testimoni a deporre ciò che i nemici del suo detto figlio volevano inventare e supporre, voi li attirate e li convocate di solito al convento di Sant’Orsola, dove si radunano i detti nemici e che hanno cospirato la sua rovina. Ma da allora, prevedendo che tali procedure oblique adottate verso diversi testimoni alla fine potevano screditare il vostro procedimento e che già se ne mormorava per tutta la città, voi avreste trovato un altro espediente per non farvi vedere più in tali occorrenze. Poiché, con il vostro assenso e la vostra connivenza, due dei principali ufficiali di questa città, di quelli che vi ossessionano di continuo, che sono nemici capitali del suo detto figlio e le sue vere segrete parti avverse, fanno venire davanti a loro i testimoni, con doni, promesse, intimidazioni e minacce, cercano di praticarli fino al punto di aver fatto minacciare una donna di spedirla in prigione se non deponeva ciò che loro le volevano far deporre. Poi i detti ufficiali prendono il giuramento come se fossero giudici in questa causa, e dopo ciò, se essi riconoscono di non poter indurre il testimone a consentire al loro pernicioso disegno, lo rinviano senza farlo ascoltare…10 L’istanza viene ancora rigettata, salva la possibilità per Jeanne Estièvre di appellarsi al re. Ella fa appello. Laubardemont agisce,

vietando al detto Bertrand e a tutti gli altri uscieri e ufficiali di giustizia di fare tali e simili notifiche, sia in virtù del detto rilievo d’appello [id est del diritto di riprendere e reiterare l’appello] o altrimenti, pena una punizione esemplare. Notificazione di questa ordinanza viene fatta il 15 gennaio a Gilles Poucquet11.

10 11

Ivi, pp. 198-199. Extrait des registres de la commission ordonnée par le Roi...

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Il silenzio di Grandier Una volta terminate le deposizioni a Loudun, il commissario si reca a Angers in compagnia del suo cancelliere, Jacques Nozay, di un avvocato di Loudun, Pierre Fournier, e del delegato del vescovo di Poitiers, il canonico René de Morans. Con l’autorizzazione di Monsignor Claude de Reuil, vescovo d’Angers, egli procede all’interrogatorio di Grandier per otto giorni consecutivi (4-11 febbraio). Conformemente ai consigli ricevuti da sua madre, il curato rifiuta di rispondere. Riconosce tuttavia i contratti, le cedole, le obbligazioni e altri documenti sequestrati a casa sua, tra cui Il Trattato del celibato dei preti (ma senza confessare nulla del suo o della sua destinataria). Dall’11, Laubardemont riprende la sua strada fino a Parigi da dove riporta la deliberazione, presa in consiglio di Stato, la quale decreta che, senza tenere in consi-

derazione l’appello interposto al Parlamento e le procedure fatte di conseguenza, che sua Maestà ha annullato, è ordinato che il Signor de Laubardemont continuerà il processo da lui cominciato contro Grandier, nonostante tutte le opposizioni, appellazioni o recusazioni fatte o da fare e senza pregiudizio di queste; che a questo fine il re, nella misura in cui ce ne fosse bisogno, gliene attribuisce di nuovo la competenza e questa interdice al parlamento di Parigi e a tutti gli altri giudici, con divieto alle parti di appellarvisi, pena di cinquecento lire d’ammenda 12. Ritorno a Loudun Al suo ritorno, il 9 aprile, la sua prima decisione è di far riportare Grandier a Loudun: questi viene rinchiuso all’ultimo piano di un’abitazione privata, in una camera le cui finestre sono state sprangate, il camino murato e la porta sorvegliata dall’ufficiale di giustizia Bontemps. Un nome che ha un’impronta di ironia totale 12

Ibid.

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al pari di quello dell’esorcista Tranquille! Ma è necessario che la segregazione sia completa, fisica e mentale, e che nessuna fuga si produca nel linguaggio stesso: nella sua prigione di Angers, il curato aveva composto una raccolta di preghiere e di riflessioni pie, si confessava, comunicava, discuteva liberamente con Pierre Bucher, canonico della chiesa collegiale di Saint Pierre, che l’assisterà durante il processo. Ai muri vengono aggiunti occhi, orecchie e bocche:

Da qualche mese in qua, scriverà padre Du Pont, nella camera di Grandier ci sono due cappuccini che, per ordine di monsignor il nostro prelato [La Rocheposay], giorno e notte non si sono mai mossi da lì, pregando Dio per Lui e dicendo tutti i giorni la messa nella sua camera. Che cosa questo determinerà non lo so 13. Le prigioni locali, in ogni caso, non potevano presentare finezze di segregazione cellulare e psichiatrica meglio corrispondenti alla costrizione e alla confessione.

Il segreto di un figlio Jeanne Estièvre interviene di nuovo. Suo figlio le risponde:

Madre mia, Ho ricevuto la vostra lettera e tutto ciò che mi avete inviato, eccetto le calze di sargia. Sopporto la mia afflizione con pazienza, e compatisco più la vostra che la mia. Sono molto disturbato dal fatto di non avere assolutamente un letto. Cercate di farmi portare il mio, perché se il corpo non riposa, lo spirito soccombe. Infine inviatemi un breviario, una Bibbia, un San Tommaso per consolazione e, per il resto, non vi affliggete assolutamente. Spero che Dio porterà alla luce la mia innocenza.

13

Lettera di P. Du Pont a M. Hubert; Bibl. Arsenal, ms. 4824, f. 23.

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Mi raccomando a mio fratello e a mia sorella e a tutti i nostri buoni amici. Madre mio, il vostro buonissimo figlio pronto a servirvi Grandier 14 La solitudine del curato rende più manifesto il problema della relazione con sua madre. In assenza di un padre di cui nessuno parla, una donna sembra essere per Grandier la legge di natura. Nel periodo della prosperità, Grandier può senza dubbio permettersi tutte le donne purché passino o si nascondano, dato che la sua vita non ne prevede che una. Senza dubbio, se nei giorni dei suoi successi egli esibisce all’esterno tutti i fuochi dell’eloquenza, la ragione di ciò è che, dietro queste parole che brillano e passano come le donne, egli è il beneficiario, la vittima e il ribelle effimero di una dipendenza materna: senza sapere a quale «idolo» e a quale legge egli è legato, passa il suo tempo a tentare e a rifiutare di infrangerla. Tra lui e Jeanne Estièvre c’è il suo segreto, quello delle sue arroganze o delle sue «scappatelle» nel mondo esterno e quello della sua «pazienza» di fronte al suo destino di prigioniero.

14

V. ms. Poitiers, Bibl. municipale, pubblicato in G. Legué, op. cit., p. 203.

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Il teatro delle possedute (primavera 1634)

      

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Senza trascurare nulla il curato viene dunque circondato e accerchiato come oggetto della giustizia, che lo isola prima di eliminarlo. Con la stessa cura le possedute sono individuate una per una e sequestrate. Vengono distribuite in caselle, che non sono ancora quelle di una scienza ma già quelle di una topografia urbana. La giustizia le classifica. Grazie alla sollecitudine di Laubardemont, Jeanne des Anges, Louise de Jésus e Anne de Sainte-Agnès sono sistemate in casa di Jean de la Ville, giudice del tribunale dell’elezione1 e avvocato (nonché consulente di Michel Lucas); Claire de Sazilly e Catherine de la Présentation presso il canonico Maurat; Élisabeth de la Croix, Marthe de Sainte Monique, Jeanne du Saint-Esprit e Séraphique Archer presso Nicolas Moussaut; altre, a casa della vedova Barot, una zia di Mignon; etc. I guardiani sono stati evidentemente scelti perché sicuri. Più caratteristico è qui anche il gesto di isolare, già scientifico. Mettere da parte e darsi un oggetto: nei confronti di Grandier o delle religiose, questi sono i due aspetti complementari dell’istruttoria. L’intero in sé tutto omogeneo, costituito dal discorso demonologico o dal cerchio magico del convento, viene spezzato dalla giustizia, che gli oppone un’altra «ragione» – la sua propria – di tipo «analitico». Essa opera una demarcazione fra gli oggetti, ritagliando quelli che saranno presentati all’esame dei medici. Il potere 1 Élection: anticamente, nome dei tribunali in cui si giudicava in prima istanza tutto ciò che concerneva taglie, imposte e gabelle. Poiché scelti con elezioni, i giudici erano detti appunto élus [n.d.c.].

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anticipa la scienza, fissandole non già i suoi giudizi, ma un tipo di unità epistemologica sulla quale i dottori dovranno pronunciarsi.

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Gli esorcisti Questo intervento della giustizia modifica l’equilibrio dei ruoli nell’organizzazione della possessione. Poiché le procedure analitiche e operative sono prese in mano dal commissario, gli esorcismi vengono sospinti verso lo spettacolo. Il loro aspetto teatrale si accentua. Si precisa anche il posto delle celebrazioni rituali offerte alla folla. Il personale assegnato a questi «giochi» orrifici e sacri viene del resto aumentato e rinnovato. Barré e Mignon si dimettono. A sostituire i secolari provvedono i religiosi, che si aggiungono ai carmelitani già presenti. Vengono ufficialmente designati quattro padri cappuccini: Lactance (da non confondere con il suo omonimo dei recolletti), Tranquille (guardiano, id est superiore dei cappuccini di La Rochelle), Protais e Élizée. Con i religiosi si accentua la pressione dei raggruppamenti nazionali o internazionali sulle strutture locali. Allo stesso modo si assicura la prevalenza a esorcisti venuti dalle grandi città vicine, preferiti agli esorcisti «di paese». Della nuova squadra fanno parte Guilloteau, teologo del vescovo di Poitiers, e Gabriel Lactance, membro dei recolletti del convento di Limoges. Queste due ultime scelte rappresentano un successo di Monsignor de La Rocheposay (e, con lui, del partito della Controriforma) sull’arcivescovo di Bordeaux, suo vicino più liberale e più «autonomista».

Il privato e il pubblico Gli esorcismi ricevono anche un proprio statuto. Essi sono oggetto di un’amministrazione, il cui principio-base è la distinzione fra il privato e il pubblico, essendo il primo assicurato dall’isolamento e dalla distribuzione delle possedute presso i privati, il 156 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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secondo ormai sottomesso a regolamenti civili. Da quel momento, gli esorcismi hanno dei luoghi e degli orari propri. Si eseguono simultaneamente nelle chiese Sainte-Croix e Saint-Pierre du Martray, e nelle cappelle di Notre-Dame du Château, des Ursulines e des Carmes. Nello spazio antistante il grande altare della chiesa collegiata di Sainte-Croix, in genere riservata alla priora, si erige un patibolo (o palco)2 sul quale l’azione si svolgerà in modo che tutto il pubblico possa vederla. Nelle cappelle della chiesa e contro il palco, sono stati collocati dei lettini muniti di un semplice materasso e di un traversino alla testa del letto, affinché le possedute non si feriscano durante le loro convulsioni. Una o due volte al giorno, esse lasciano i loro alloggi privati e, in quello stesso istante, abbandonano la vita piacevole che vi conducono:

Era cosa ammirabile, dice un ecclesiastico di Tours, vedere che… esse non hanno mai sospeso l’osservanza delle loro regole né interrotto gli esercizi della comunità. Visitatele in particolare quando hanno i loro intervalli buoni. Vedrete delle religiose sagge, modeste, che fanno lavori a mano o tessono davanti a voi, che prendono piacere a sentir parlare di Dio e ad apprendere i mezzi per servirlo bene. Fanno i loro esami di coscienza, si confessano a perfezione e si comunicano, quando non sono agitate, con la stessa pace e riposo di spirito come se esse non fossero affatto possedute 3.

2

Échafaut: piattaforma destinata all’esecuzione del condannato. Curiosamente il termine italiano patibolo allude alla visibilità pubblica di cui si parla nel testo [n.d.c.]. 3 BN, Fds fr. n.a. 6761, f. 9.

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Uno spettacolo Le convulsioni sono riservate alle assemblee comuni. La tragedia demoniaca non colpisce che la religione pubblica. In particolare, come dice l’ecclesiastico, nel privato è uno spettacolo diverso da quello che avete davanti a voi. Attraverso le stradine di Loudun, in piccoli gruppi, le religiose percorrono il cammino che le conduce da questa devozione privata alle esibizioni per la folla. Portano con sé o vanno a prendere in sacrestia delle mutande e delle corde. Se una delle «possedute» rifiuta di andare nella chiesa degli esorcismi, uno dei preti incaricati dall’autorità viene a cercarla, e lei segue docilmente. Una volta entrate, vengono legate.

Una volta arrivate per essere esorcizzate, queste fanciulle sono messe su un banco, la testa appoggiata su un guanciale, le mani richiuse da manette facili da rompere con il minimo sforzo e legate sul banco con due cinghie per le gambe e per lo stomaco. In un primo momento tutto ciò potrebbe far pensare che si incatenino dei leoni. Ma non appena il demonio appare, le fanciulle vengono lasciate in piena libertà, di modo che esse sono legate come fanciulle e liberate come demòni 4. Non si liberano i «leoni» nell’anfiteatro? È la condizione dello spettacolo. Al loro arrivo, al mattino tutte «le fanciulle» assistono alla messa, talvolta senza agitazioni; molto più spesso convulsioni e contorsioni si producono fin dall’inizio della funzione, o durante la messa, l’elevazione o la comunione, per cui si procede immediatamente agli esorcismi.

4

Lettera dello scrittore inglese Killigrew, Bodleian Library, Oxford, Ashmole, N.S. 800, 21; testo pubblicato in The European Magazine, t. 43, febbraio 1801, p. 102. Su Thomas Killigrew (1612-1683), R. Flecknoe pubblicò fin dal 1667 The Life of Tomaso the Wanderer (riedizione: London, 1925).

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L’entrata in scena delle attrici

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Al pomeriggio, il cerimoniale d’ingresso è il medesimo, descritto dallo scrittore inglese Thomas Killigrew (il viaggiatore, come viene chiamato, è passato anche da Loudun):

Il prete chiamò dal coro della chiesa una delle religiose possedute. Questa entrò nella cappella, con un’altra religiosa fino ad allora risparmiata da ogni vessazione diabolica. Tutte e due si sistemarono a fianco del religioso e pregarono davanti all’altare per la durata di una mezz’ora, senza che si producesse alcuna agitazione. Terminate le preghiere, la religiosa posseduta si voltò verso il prete, che le gettò intorno al collo una corda dalla quale pendevano numerose croci, e vi fece tre nodi. La posseduta cadde di nuovo in ginocchio e continuò a pregare fino a che le corde furono legate. Ella allora si alzò e consegnò il suo rosario alla sua compagna. Poi fece una riverenza all’altare e si diresse verso una seggiola che aveva la forma di un giaciglio, una delle estremità della quale era stata predisposta in vista degli esorcismi. Ho notato diversi giacigli di questo genere nella cappella. La testa del letto era appoggiata contro l’altare. La religiosa venne a sistemarvisi con tanta umiltà e calma, che mi sembrò che ella meritasse di essere liberata, senza il soccorso delle preghiere del prete. Ella vi si distese e aiutò l’esorcista a legarvela con due corde, l’una a cingere la vita, l’altra a trattenere le sue cosce e le sue gambe. Quando, così legata, vide il prete venire da lei, con la pisside che racchiudeva il santo Sacramento in mano, emise un sospiro e tremò in tutte le sue membra, come se temesse i tormenti che stava per subire 5. Con il posizionamento della religiosa legata di fronte al sacramento che viene verso di lei, ha inizio così il combattimento atteso dal pubblico. Qui gli dei della notte e il dio del giorno, en5

Ibid.

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trambi invisibili, devono lottare sotto forma di uno scontro tra la donna umiliata e, brandito dai suoi ministri, un sole (così è designato l’ostensorio, di cui a volte si isola il centro: la custodia). Disarmata delle sue insegne religiose, legata saldamente (ma non troppo, affinché sia possibile un tempo di convulsioni ), la vittima è temporaneamente abbandonata ai suoi demòni per essere offerta al vincitore, identificato dall’arma in oro che si avvicina. Sulla scena non ci sono più degli esseri umani; in questo senso, non c’è più nessuno, solo dei ruoli. Per gli attori in scena, l’obiettivo è di costringere il demonio a manifestarsi come ribelle vinto e di costringere i demòni a mostrare le meraviglie di Gesù Cristo. Questo teatro consiste nello smascherare le forze che agiscono dietro le apparenze umane, nel creare delle maschere per smascherare. La rappresentazione cancella uomini e donne. Essa deve aprire sulla rappresentazione di ciò che accade al di là di essi, su una scena soprannaturale e interiore. Lo scenario sarà dunque il sipario che si alza su un’altra scena. Questa medesima cosa è tragica per alcuni, comica per altri: può certo darsi che si tratti solo di una rappresentazione, che lo svelarsi di realtà soprannaturali non sia che un raddoppiamento dell’artificio, che la combinazione di scenari e orizzonti successivi non sia che un trompe-l’œil.

Giovani donne Chi sono dunque queste possedute? Delle giovani donne, come fu spesso il caso di streghe o possedute del XVII secolo. Pierre de Lancre l’aveva constatato nel Béarn, quindici anni prima: «Sono chiacchiere che tutte le streghe siano vecchie… »6.

6 P. de Lancre, L’Incrédulité et Mescréance du sortilège plainement convaincue..., Paris 1622, p. 41.

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A Loudun sono in gran parte orsoline – una congregazione di fondazione assolutamente recente (1592-1594), meridionale nel suo primo reclutamento, affascinante per molte ragazze, ancora vicina all’esaltazione della fase degli inizi più che allo stabile assetto proprio degli ordini religiosi le cui origini si sono trasformate in una ricca eredità. Come dice uno dei loro apologeti, queste damigelle partono come Amazzoni 7 per delle crociate spirituali verso le regioni abbandonate dalla carità, dall’educazione e dalla contemplazione. In case ancora mal costruite, spesso povere, poco inserite nel gioco dei feudi, dei costumi e dei labirinti locali, esse vanno incontro, con audacia, all’illusione e alla paura.

Le orsoline Presso i loro centri, le possessioni si moltiplicano: Aix-enProvence (1611-1613), Pontoise, Faubourg Saint-Jacques (16211622), Loudun, Auxonne, etc. I casi individuali sono numerosi: la diciassettenne Antoinette Micolon, perseguitata da «voci» diaboliche, tenta d’impiccarsi; Françoise de Bermond, una donna forte, è terrorizzata da una «visione d’inferno» che le rende intollerabili la solitudine e l’oscurità della notte; a Toulouse, Jacquette de Maynié, ossessionata da una visione simile e da una puzza insopportabile, viene spinta alla disperazione da una voce segreta che le rimproverava il suo ateismo e la sua idolatria; a Bourges, certe notti suor Pinette di Gesù vede il demonio fare delle smor-

fie, oltraggiare di mille indegnità l’immagine della Vergine e vomitare cento imposture… e così via8. Certamente nulla di tutto ciò è una loro prerogativa. A centinaia, a migliaia, mostri e analoghe visioni angosciose infestano l’immaginario di quel tempo, e 7

La gloire de Sainte Ursule, di un Padre della Compagnia di Gesù, Valenciennes 1656, Dédicatoire non numerata. 8 Vedi M. de Chantal Gueudré, Histoire de l’Ordre des Ursulines en France, Éditions Saint-Paul, Paris 1957, t. 1, pp. 201-216.

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non solo quello di altre religiose. Le cronache dell’epoca ne sono piene. Forse i demòni e gli spettri, che invadono anche tanti trattati eruditi, tradiscono il loro segreto quando questa violenza entra nel linguaggio sociale, quando la visione notturna diviene spettacolo diurno, quando la pressione del dubbio e della blasfemia sfocia nella liturgia, quando l’angoscia trova una via d’uscita nella possessione e nell’esorcismo. In ogni caso, nell’attività che divide, precisa, localizza e tenta di circoscrivere queste manifestazioni c’è una risposta umana. Il potere che impone i suoi artifici e classifica i fenomeni è già quello del sapere che produce delle conoscenze a fronte di un vedere che riceve degli enigmi. Esso ha parimenti valore terapeutico.

Un atlante diabolico: le liste Esso si manifesta non solo con l’azione organizzatrice del commissario o, come vedremo, nelle distinzioni nosologiche dei medici, ma anche nel computo e nell’identificazione delle possedute e dei loro diavoli. Nei processi verbali si raccolgono gli elementi sparsi. Ne risulta una geografia strana, in cui la localizzazione familiare per le persone è duplicata da localizzazioni fisiologiche per i diavoli. Più precisamente, tre tipi di riferimenti – al corpo sociale, agli Ordini angelici (dai quali i demòni sono decaduti) e al corpo fisico – costituiscono le coordinate grazie alle quali viene data un’identità a queste donne, per la maggior parte già nascoste e classificate sotto un «nome di religione». Il quadro che segue, stabilito in base a diverse Liste 9, risponde a questo bisogno di in-

9

BN, collezione Dupuy, vol. 776, f. 254; BN, Fds fr. 6764, f. 7; Archives des Affaires étrangères, ms. France, vol. 1696, f. 109; Archives nationales K 114, pièce 22. Dijon, Bibl. municipale, Fonds Baudot, ms. fr. 144, pp. 1-7. Bisogna aggiungervi la «lista» posta alla fine de La Démonomanie de Loudun,

qui montre la véritable possession des religieuses ursulines et autres séculières,

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dividuare e identificare, operando delle combinazioni tra tre sistemi gerarchici: sociale, demonologico e medico. Per orientarsi in questa nomenclatura del «reale», bisogna sapere che, nell’angelologia del tempo, partendo da quelli che stanno più in alto, gli esseri celesti si ripartiscono in: Serafini, Cherubini, Virtù, Potestà, Principati, Dominazioni, Troni, Arcangeli e Angeli propriamente detti.

I. Religiose

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A. Possedute 1. Jeanne des Anges, superiora, 30 anni

Figlia di Louis de Belcier, barone di Cozes, e di Charlotte de Goumard, della casa di Chilles; nipote di Louis de Barbézieux, Signore di Nogeret; pronipote d’Octave di Bellegarde, arcivescovo di Sens; etc. Sette demòni possessori: Leviatano, dei Serafini, albergato in mezzo alla fronte; Aman, delle Potestà; Isacaron, delle Potestà, albergato sotto l’ultima costola dal lato destro; Balam, delle Dominazioni, albergato nella costola del lato destro; Asmodeo, dei Troni; Behemoth, dei Troni, albergato nello stomaco. 2. Louise de Jésus, 28 anni

Figlia di Louis de Barbezières, signore di Nogeret e della Signora Douzerant. Due demòni: Caronte, delle Virtù, albergato in mezzo alla fronte; avec la liste des religieuses et séculières possédées..., Griveau, La Flèche 1634 (BN, in-8° Lb 36.3024).

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Eazas o Eazar, delle Dominazioni, albergato al di sotto del cuore. 3. Jeanne du Saint-Esprit

Sorella della precedente. Un demonio: Cerbero, dei Principati, albergato al di sotto del cuore.

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4. Anne de Sainte-Agnès, 19 anni

Figlia di Jean, marchese de la Motte-Brassé, e di Perronnelle de Cornu. Quattro demòni: Achaph, delle Potestà, albergato in mezzo alla fronte; Asmodeo, dei Troni, albergato al di sotto del cuore Berith, dei Troni, albergato alla bocca dello stomaco; Achaos, degli Arcangeli, albergato nella tempia sinistra. 5. Claire de Saint-Jean, suora conversa, 30 anni

Nata de Sazilly, parente del cardinale de Richelieu. Sette demòni: Polluzione, dei Cherubini, albergato vicino alla spalla sinistra; Elimy, delle Virtù; Sansfin, alias Grandier, delle Dominazioni, albergato nella seconda costola destra; Nephtaly, dei Troni, albergato nel braccio destro; Zabulon, dei Troni, albergato in mezzo alla fronte; Nemico della Vergine, albergato al di sotto del collo; Concupiscenza, albergato nella tempia destra. 6. Élisabeth de la Croix, 22 anni

Nata Bastad. Cinque demòni: Zolfanello d’impurità, dei Cherubini; Castorin, delle Dominazioni; Caph, dei Troni; Agal, degli Arcangeli; Celse, degli Arcangeli.

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7. Catherine de la Présentation, 33 anni

Nata Auffray. Tre demòni: Penault, dei Principati; Caleph, dei Troni; Daria, degli Arcangeli. 8. Marthe de Sainte-Monique, 25 anni

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Figlia di Serph, signore du Magnoux, borghese di Loudun. Un demonio: Cédon, delle Virtù. 9. Séraphique, novizia, 17-18 anni Posseduta o ossessa da Baruch. (N.B. Le ultime quattro religiose non furono esorcizzate prima del dicembre 1634).

B. Ossesse o «soggette a maleficio» 10. Gabrielle de l’Incarnation, sottopriora, 35 anni

Figlia di Charles de Fougères de Colombiers e di Françoise de Manon. Ossessa da tre demòni: Baruch, Behemoth e Isacaron. 11. Angélique de Saint-François, 32 anni

Figlia di Jacques de Pouville, signore de la Morinière, e di Louise de Clairauvaux. Ossessa da un demonio: Cerbero. 12. Marie du Saint-Sacrament, 25 anni

Figlia di Mérit de Beauvalier, signore de la Maillardière, e di Marie de Rasilly. Ossessa da due demòni: Berith e Caleph. 13. Anne de Saint-Augustin, 30 anni

Figlia del fu François de Marbef, signore de Champoireau, e di Jeanne Le Blanc.

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14. Renée de Saint-Nicolas, 34 anni Ossessa da un demonio: Agar. 15. Marie de la Visitation, 36 anni 16. Catherine de la Nativité, novizia, 22 anni.

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17. Marie de Saint-Gabriel, novizia, 20 anni. (N.B. Alle ultime quattro religiose corrispondono – ma in quale ordine? – : Anne d’Escoubleau de Sourdis, ossessa da Elimy;

sua sorella, ossessa dallo stesso demonio; Marie Acher, ossessa dal demonio Fornicazione, degli Angeli; Madamigella de Dampierre, cognata di Laubardemont e parente di Jeanne des Anges). I. Secolari A. Possedute 18. Isabelle o Élisabeth Blanchard, 18-19 anni.

Sei demòni possessori: Maron, dei Cherubini, albergato sotto il seno sinistro; Perou, dei Cherubini, albergato sotto il cuore; Belzebù, degli Arcangeli, albergato sotto l’ascella sinistra; Leone dell’Inferno, degli Arcangeli, albergato sotto l’ombelico; Astaroth, degli Angeli, albergato sotto l’ascella destra; Carbone d’impurità, degli Angeli, albergato sotto l’anca sinistra. 19. Françoise Fillastreau, 27 anni

Quattro demòni: Buffétison, delle Potestà, albergato al di sotto dell’ombelico; Souvillon, dei Troni, albergato nella parte anteriore del cervello; Caudacanis o Coda di cane, degli Arcangeli, albergato nello stomaco; Jabel, degli Arcangeli, che va e viene in tutte le parti del corpo. 166 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

20. Léonce Fillastreau, sorella della precedente, detta la Beniamina,

24 anni Tre demòni: Esron, dei Troni, albergato nella parte anteriore del cervello; Lucien, degli Arcangeli; Luther, degli Arcangeli. 21. Suzanne Hammon, posseduta da Roth. È la sorella di Cathe-

rine, la «calzolaia», la cui ambizione e i cui successi sono stati menzionati. (Suzanne intraprende un’altra carriera, demonoDocumento acquistato da () il 2023/05/03.

logica e non politica). 22. Marie Beaulieu, detta du Temple Un demònio: Cédon. 23. Una giovane pensionaria, rimasta al convento. 24. Madamigella de Rasilly, posseduta, viene esorcizzata fuori

Loudun nella sua famiglia, a Omelles. B. Ossesse o «soggette a maleficio» 25. Marthe Thibault, ossessa dal demonio Behemoth. 26. Jeanne Pasquier, ossessa dal demonio Lezear. 27. Madeleine Béliard.

«Case» e «residenze» Questo quadro è allucinatorio o reale? È questa precisamente la domanda che si pone per la durata di tutti questi mesi: che cosa è reale? Ma uno spazio coerente in tutte le sue parti è istituito dalle liste in cui, secondo una tassonomia propria, l’uno accanto all’altro stanno «i nomi dei demòni, il luogo della loro residenza e

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il nome della possedute»10. Le «fanciulle» appartengono a delle «case» in una gerarchizzazione di famiglie; nel loro corpo ci sono delle «residenze» che appartengono a questi angeli decaduti, la cui gerarchia obbedisce ancora al rango della loro nascita. Tra case e residenze, tra promozioni sociali e grotte diaboliche, le Liste istituiscono delle serie di «proporzioni» di cui il corpo è il quadro. Alla superiore, alla parente di Richelieu o alla figlia del marchese, sono associati a un tempo possessori e proprietà, segni di dipendenza e segni di rango, più demòni e insieme più altolocati. La «residenza» dei diavoli nella fronte, nello stomaco o al disotto dell’ombelico, indica non solo i loro caratteri (lungamente descritti: c’è il superbo, infatti, il collerico, il ciarliero, l’osceno e così via), ma anche oscure corrispondenze tra le loro funzioni celesti e le funzioni fisiologiche del corpo. Tutta una rete di relazioni assicura la coesione di questo luogo comune.

Quadri in movimento Anche gli elementi non sono meno in movimento. Nel corso degli esorcismi, un cambiamento di postura organizza il corpo intorno a un’altra «residenza» diabolica. Una modificazione dello sguardo nella posseduta è l’ingresso in scena di un altro demonio, quindi la presenza di un’altra organizzazione dell’inferno e il segno di nuove combinazioni psicologiche. Quadri in movimento, con i quali un paesaggio cosmologico si trasforma. Per seguire queste sottili combinazioni, la conoscenza del vocabolario non è sufficiente. Occorrono un’attenzione costante e l’abitudine a decifrare una lingua.

Quante fanciulle ci sono, scrive Padre Du Pont [da molto tempo familiarizzatosi con questo linguaggio] e altrettante sono le diversità dei movimenti che esse fanno, tutti straordinari, e molto 10

Dijon, Bibl. municipale, Fonds Baudot, ms. fr. 144, p. 1.

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spesso nuovi. Il cambiamento dell’aspetto del viso non può essere naturale, poiché, siccome ciascuna di esse è posseduta da parecchi demòni, qualche volta quello che è incitato e abiurato, per evitare la forza dell’esorcismo, dà il cambio inviandone un altro al suo posto, come fanno le lepri. Ma non può farlo senza che lo si riconosca visibilmente. Poiché quando cambiano i demòni, anche il viso della fanciulla muta d’aspetto e sembra un altro viso. Gli occhi in particolare appaiono di altri colori e ciò in modo così sensibile, che non solo l’esorcista ma anche ogni altra persona che sia nelle vicinanze può riconoscerlo molto facilmente, così come è accaduto a me e a parecchi altri. Ciò che è ancora sorprendente e fa vedere che questo cambiamento proviene da una causa interiore di possessione, è il fatto che, finché essa dura, la posseduta non fa alcuna smorfia, il suo viso resta nel suo stato naturale ma sembra cionondimeno del tutto diverso, per via del colore e della luce degli occhi, che sono cambiati in un istante11. Una prova: il patto Sebbene arrivando a Loudun, il 14 aprile, per presiedere gli esorcismi pubblici, Monsignor de La Rocheposay abbia perentoriamente dichiarato:

Non vengo per sapere se la possessione è vera. Ne sono già convinto12, il funzionamento della possessione lascia a desiderare, malgrado ciò che ne dice il vescovo di Poitiers. Non ci si accontenta di «segni» che rinviano da certi elementi ad altri dentro un sistema chiuso. Non si tratta di un’organizzazione autonoma e «propria». Un’insicurezza si rivela in essa per l’esigenza di conferme esteriori. Sono necessarie delle prove, fenomeni contigui che, interpre11 12

Lettera del 26 luglio 1634; Bibl. Arsenal, ms. 4824, f. 17. Poitiers, Bibl. municipale, ms. 303, pièce 26.

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tati in funzione dello spazio in cui sono invocati e ricevuti, assicurino nondimeno un ancoraggio a un al di fuori estraneo, al mondo dell’osservazione «incredula» o «curiosa», alle realtà a cui non si crede ma che vengono constatate. Così gli esorcismi portano alla luce patti, corpi del reato, oggetti destinati a provvedere di gesti e parole un discorso: documenti che sarebbero il prodotto di un contratto con il diavolo; scarti marchiati; firme oggettive; resti visibili. Più che di prove che dà di se stessa, infatti, si tratta di prove che la possessione dà a se stessa. Più che un argomento a favore della possessione, esse ne sono il prodotto. Per mezzo di un foglio scritto e firmato dal demonio, dunque da tutti percepibile e tangibile, il patto mira a compattare gli elementi di un sistema che si disfa. Questo patto è la relazione tra di essi, come lo è la chiave di metallo tra le pietre di un muro che si crepa. Ma il rapporto tra il qui e l’aldilà è così segretamente dubbio che la sua traccia-oggetto, in virtù di questo stesso legame, deve dimostrare la possibilità o l’esistenza del diavolo che ne è uno dei termini – e questo per il tramite di ciò che vedono degli «increduli» e degli spettatori estranei al linguaggio demonologico. In virtù dello sguardo che essi rivolgono al documento, gli increduli sono chiamati a certificare (a rendere certa) l’interpretazione interna dei possessionisti. L’equivoco consiste nel ricavare dai testimoni, che constatano la faccia visibile della cosa, la giustificazione di una faccia mistica; nel far giocare il percepito a favore del senso nascosto; nel mutare il patto offerto al pubblico in patto con il pubblico; nel difendere un linguaggio grazie a un elemento iscritto in due quadri eterogenei. Questo oggetto diviene il terreno decisivo per ogni interpretazione, ma è un luogo definito dalla sua stessa ambivalenza. Così, con questo sintomo infimo, si assiste al porsi di uno spazio dell’oggettività che è quello dell’ambiguità, nel momento in cui una comune interpretazione sociale si squarcia. Il patto è dunque un documento in questa storia. Esso è tangibile e verificabile. Possono esserlo peli, ceneri, cadute di unghie

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o capelli, semi d’arancia, sangue, o flegmi (principio passivo molto

volatile che esce dal minimo calore del fuoco in forma di acqua chiara e insipida, secondo la definizione di Richelet13). In sostanza, ciò che le possedute designano come «patti» sono i loro scarti e le loro «deiezioni».

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Tecniche di produzione Come si ottiene questo documento? Come viene «prodotto» – termine che nel XVII secolo designa il risultato di un’operazione di svelamento, mentre per noi lo è di una fabbricazione – ? È ciò che spiega il processo verbale di uno degli esorcismi (17 maggio 1634) che, in aprile e maggio, si sono prefissi come obiettivo la sua ricerca. I padri recolletti e Monsignor de la Rocheposay operano nella chiesa Sainte-Croix, riempita di un grandissimo numero di ogni sorta di persone. Il noi del testo si riferisce a Laubardemont, che è il suo redattore.

…Quando il nominato padre [dei recolletti] ha preso la detta sorella des Anges e ordinato a Leviatano di comparire, il viso di lei è divenuto ridente e grazioso in modo straordinario. Interrogato: Quo profectus eras hodie mane?, ha detto «Io ero andato fino in Piccardia». Comandato di andare a cercare il suo patto da lui precedentemente dichiarato, ha detto: «È cosa che non ho conservato. Dopo questo non avremmo tenuto più a niente. Gli altri avranno di che burlarsi di me, come io mi sono burlato d’Asmodeo». E poiché veniva incitato a obbedire, il viso grazioso che era nella detta sorella è stato trasformato, assumendo una fattezza del tutto furiosa, ed ella è stata agitata da convulsioni molto violente. 13 César Pierre Richelet (1631-1698), lessicografo, noto soprattutto per il suo Dictionnaire français contenant les mots et les choses (1680), più volte riedito e accresciuto fino al 1759 [n.d.c.].

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E l’esorcista, sempre seguitando, ha incitato Leviatano a riportare il suo patto. Per bocca della detta sorella è stato detto: «A chi pensi di parlare?» Interrogato: Quis es tu? Ha detto:«Behemot». Alla qual cosa l’esorcista ha dato comando a Behemot di ritirarsi e a Leviatano di salire nella testa della sorella e di occupare in pieno la sua bocca e la sua lingua per parlare in lei. E dopo alcune convulsioni violente, che sono state fatte con grandi contorsioni in tutte le parti del corpo della detta sorella, il suo viso è ritornato di nuovo completamente ridente, in tal modo grazioso che è stato riconosciuto che era Leviatano a occuparlo. Cosa che ha dato occasione al detto esorcista di legarlo in questa parte, come egli ha fatto per ordine del detto signor vescovo, il quale – avendo detto al nominato esorcista che, per meglio costringere il demonio a riportare il detto patto, tirasse fuori dalla custodia il santo Sacramento e lo presentasse allo scoperto alla bocca della detta sorella, e prevedendo che, per questo mezzo, ella avrebbe avuto agitazioni più violente – è salito sul patibolo dove noi eravamo con i detti esorcisti e religiose e, essendosi seduto in una piccola sedia bassa, ha preso le due braccia della detta sorella des Anges. E incitato Leviatano con moltissima veemenza sia dal detto signor vescovo che dal detto padre esorcista, che teneva il santo Sacramento vicino alla bocca della detta sorella, contorsioni assai grandi e violente sono state fatte in essa, e con grida da paura, mentre per tre volte si è cantato il Salve Regina. Dopo di che, con il demonio sempre comandato e incitato a riportare questo patto, è stato detto per la bocca della detta sorella con una voce affrettata, sprofondata e che sembrava uscire dal più profondo del petto: «Cerca là». Interrogato: Ubi est? Ha detto: «È qui».

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Interrogato: In quo loco? Con la stessa voce affrettata e sprofondata ha detto: «Sotto il Signore». E dal momento che allora la detta sorella, poiché era agitata e il demonio parlava del detto signore vescovo o di noi, ci ha spesso per lo più designati l’uno e l’altro solo con il termine «Signore», è stato interrogato: De quo Domino loqueris? E con la stessa precipitazione, ella ha risposto: «Il Signor vescovo».

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Deiezione E quando il nominato signor vescovo si fu sollevato da sopra la detta sedia bassa, sotto la sua sottana e contro il suo piede sinistro è stato trovato un foglio di carta, nel quale è apparso esserci avvolto qualcosa. Essendo stato raccolto e preso dal detto signor vescovo, che intendeva darcelo in mano, la detta sorella o il demonio per lei ha fatto ogni sorta di violento sforzo per sottrarcelo. Poiché la cosa non è riuscita, noi l’abbiamo messo e tenuto in una delle nostre tasche mentre si è cantato il Te Deum laudamus per rendere grazia di un sì favorevole successo. Dopo di che il nominato signor vescovo ci ha detto che Asmodeo, qualche giorno prima della sua uscita dal corpo della detta sorella des Anges, gli aveva detto, poiché si era avvicinato a lui durante l’esorcismo che si faceva in quel momento sulla detta Agnès, che il patto di Leviatano era macchiato di sangue sulla parte superiore, richiedendoci di vedere se così era. Nell’intento di fare ciò, abbiamo tirato fuori dalla nostra tasca il detto foglio di carta, avendo svolto il quale, abbiamo trovato che esso conteneva e serviva da copertura a un altro foglio di carta, il quale sopra era cosparso di molto sangue. E siccome abbiamo voluto aprire questo secondo inviluppo per vedere ciò che esso conteneva dentro, abbiamo trovato che il detto secondo foglio di carta resisteva fortemente, come se fosse stato incollato, per causa di qualcosa, e temendo di romperlo e far cadere qualcosa di ciò che in esso fosse chiuso, per la 173 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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grande fretta e il disagio che ci era procurato dagli assistenti che erano intorno a noi in grande folla, abbiamo rimesso il detto secondo foglio di carta nel suo inviluppo e dato il tutto al nostro cancelliere, per servire e valere al processo per l’uso consentito. E dopo i comandamenti fatti ai demòni, che in quel momento agitavano la detta sorella, di ritirarsi nei luoghi della loro solita residenza, la nominata sorella des Anges ci ha detto, su ciò interrogata sotto giuramento, di non aver alcun ricordo di ciò che era stato detto e fatto da lei durante il detto esorcismo, non avendovi contribuito alcuna cosa del suo spirito e della propria volontà. E siccome dopo l’eseguito esorcismo noi volevamo ritirarci, le dette sorelle sono state ancora colte da grandi agitazioni, che sono infine cessate per i comandamenti che tanto il detto vescovo quanto i detti esorcisti hanno fatto ai demòni di lasciarle il braccio. Dopo di che ci siamo ritirati...14 Questo patto viene trovato nel posto dei rifiuti. Come il sangue che circola all’interno del corpo, esso è incaricato di attestare un’interiorità sotto il mondo delle apparenze. Dalla sedia del vescovo passa alla tasca del commissario. Come in altri casi, bisognerà in seguito scoprire sul corpo dello stregone la ferita-orifizio da dove questo sangue è venuto. Le localizzazioni si moltiplicano a partire dall’oggetto-prova. Ciascuno di questi documenti è un

deus ex machina. «Io rinnego Dio» Restano tre testi dei patti scritti da Grandier al Diavolo, uno in latino15, due in francese, di cui agli esorcisti pervenne soltanto 14 15

BN, Fds fr. 7618, f. 45. Autografo di Laubardemont. Il ms. si trovava agli Archives di Poitiers, da dove è scomparso. Facsimile in J.A.S. Collin de Plancy, Dictionnaire infernal, 2e éd., Mongie, Paris 1826; la trad. fr. in J. Garinet, Histoire de la magie en France..., Foulon, Paris 1818, p. 327.

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la «copia», poiché «l’originale» era conservato all’inferno. Ecco il secondo di questi extracta ex inferis:

Io rinnego Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, Maria e tutti i santi, in particolare san Giovanni Battista, la Chiesa sia trionfante che militante, tutti i sacramenti, tutte le preghiere che in essa si fanno. Prometto di non fare mai il bene, di fare tutto il male che potrò, e vorrei non essere affatto un uomo ma che la mia natura fosse cambiata in diavolo per servirti meglio, te, mio Signore e maestro Lucifero, e ti prometto che ancorché mi si faccia fare qualche buona opera, non la farò in onore di Dio ma a suo disprezzo e in onore tuo e di tutti i diavoli, e mi dono sempre a te, pregandoti di conservare bene la cedola16 che ti ho dato. Urb. Grandier 17 Dov’è il desiderio di essere cambiato in diavolo? Dove la sottile opposizione tra l’oggettività della buona opera e l’intenzione malvagia che la abita? Non è difficile dirlo: nelle religiose stesse.

Il mondo selvaggio del desiderio Ma se nella spiritualità la distinzione tra i «motivi» e l’azione è tradizionale, all’epoca acquista un peso pericoloso e nuovo. Essa permetteva un discernimento spirituale: la fede non è identificabile in base alle sue «opere», sebbene ne sia indissociabile; l’intenzione buona non procede senza opera buona, sebbene non sia da questa garantita. Presso molti «spirituali» contemporanei, questo strumento di differenziazione tra il senso e il segno diviene una spada che scinde pericolosamente la regolarità oggettiva della vita 16

Qui nel senso di “scritta privata, che obbliga” attestato dal Vocabolario

degli Accademici della Crusca, terza edizione 1691 [n.d.c.]. 17

BN, Fds fr. 7619, f. 83; pubblicato con qualche inesattezza da G. Legué,

Documents pour servir à l’histoire médicale des possédées de Loudun, Paris 1874, p. 23.

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religiosa e i cattivi «istinti» che essa può coprire. Le buone azioni e l’osservanza delle regole si scollano, come un’«apparenza», da una «realtà» interiore che un’attenzione affilata scopre con orrore e inquietudine: la violenza selvaggia del desiderio. Una lunga pratica dell’esame di coscienza, un’esigenza di fedeltà religiosa certa ma consegnata a questo esame, un discredito generale delle istituzioni che potrebbero essere investite di senso e garanti di una conformità allo spirito cristiano, portano costantemente a collocare l’esperienza reale dietro il teatro della vita dettata dalla regola. Il nero pullulare di intenzioni inconfessabili: non è questa la realtà? La ricerca di verità oscilla allora tra l’osservanza, che forse non è che uno scenario (e che ne sanno dunque questi signori edificati dalla vista delle religiose occupate nell’uffizio o nel lavoro di cucitura?), e la segreta malizia, che forse dopo tutto non è che illusione e disordine dell’immaginazione (ma come saperlo e quale fiducia accordare ai consigli di chi parla in generale di cose indicibili che non ha potuto intendere?). Come si è visto, molte orsoline cadono allora nella disperazione dove le attira un’esperienza certa e tuttavia non sicura, di dubbi e impulsi intollerabili nel linguaggio della fedeltà. Secondo gli schemi teologici ricevuti, non resta loro che attribuire tutta questa realtà al diavolo, riconoscerlo nell’ombra infernale che si estende sul loro paesaggio interiore e lo divide. Ma se questa è la vera storia – quella dell’«interiore» –, è necessario che essa si dica, si confessi infine, che si reintroduca nel linguaggio sociale. Fare un patto con il diavolo o (che è quasi lo stesso) attribuirlo a un altro, ma anche entrare nel personaggio della demoniaca, non è nello stesso tempo, con il materiale culturale disponibile, fare accedere all’apparire ciò che è (io sono un demonio), e far rientrare nella comunicazione un segreto troppo pesante (io domando di essere riconosciuta per ciò che sono)? A questo titolo, l’esibizionismo delle religiose le fa giungere a una verità di fronte a se stesse e alla società.

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I benefici della confessione Personaggio vantaggioso, perché esso elimina ciò che confessa. Le possedute sono vittime. Un altro – diavolo o stregone – è responsabile. Esse si liberano dunque della colpa nel momento in cui la confessano pubblicamente nella chiesa, nel corso di uno spettacolo che per loro è ancora una liturgia. Esse se ne sbarazzano, poiché la verità interiore con la sua minaccia viene localizzata nell’«incoscienza» (un altrove che sfugge loro e che non è loro stesse) e in una parte isolata del loro tempo. Il segreto intollerabile non occupa che uno spazio accuratamente circoscritto da una serie di entrate e uscite: entrate e uscite dell’esorcismo, entrate e uscite dell’incoscienza, entrate e uscite dei diavoli. Il resto del tempo è buono, in virtù del solo fatto che c’è un tempo cattivo ben delimitato. Non si hanno più che «buone» religiose. Ciò che le autorizza infine a dichiarare, sotto il velo del diavolo: Io sono questo, è precisamente quanto permette loro di proteggersene; di dire di sé: Io non lo sono; di chiedere ai rappresentanti della Chiesa: Ditemi che non sono io. A questo riguardo, il teatro è un esorcismo vero. Esso è tanto più necessario, in quanto le religiose non rientrano più nella categoria di quegli «stregoni» che non sapevano se erano posseduti e attendevano che fosse la giustizia a decidere, come questo tale condannato di cui Jacques d’Autun cita la dichiarazione:

La pena che più affligge il mio spirito, è che non so se sono colpevole o no. È per questo che vi prego di dirmi se si può essere stregone senza saperlo, poiché se questo è possibile, io posso ben appartenere a questa miserabile setta, pur ignorandolo. Nelle orsoline c’è una capacità di giudizio personale su di sé, che si oppone a questa dipendenza nei riguardi del giudizio sociale. Esse sanno che c’è della «stregoneria» in loro stesse. Da quel momento la società diventa il mezzo per sbarazzarsi di una devianza occulta, esattamente come essa stessa trae profitto dalle possedute per espellere la sua propria inquietudine teatralizzandola. Una 177 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

complicità tra le attrici e il loro pubblico rafforza il gioco degli esorcismi, moltiplicandone i benefici. Questo teatro ha un aspetto di sicurezza sociale.

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La peste dell’ateismo La terapia è commisurata alle questioni poste? È una risposta o un palliativo? Poiché ciò che si può leggere attraverso i processi verbali, nell’inesauribile menzione del blasfemo, nella ripetizione dei rinnegamenti di Dio, nella costrizione monotona esercitata sulle possedute affinché riconoscano Dio, è il problema dell’ateismo. Esso è l’oggetto di tutta una letteratura di Athéomachia, di Discours contre l’athéisme o contre les athées et libertins, di Atheomastix, di Atheismus triumphatus, così come di misure politiche, condanne giuridiche o misure di precauzione sociale contro gli Athéistes. Gli «atei» che in primo luogo occupano la polemica sono gli «eretici» di ciascuna Chiesa, i credenti non conformi e così via. Ma presto la controversia si concentra sull’esistenza di Dio. Intorno al 1630, si formano i gruppi di «libertini», eruditi e scettici, che si eclisseranno verso il 1655 (all’incirca nel momento in cui, va notato, scompaiono le possessioni), per poi riprendere all’approssimarsi del 1680. «L’ateismo», di cui cento anni prima non si parlava mai, diviene un fatto riconosciuto. Non è proprio degli eruditi soltanto. Dopo il 1629, tra cento altri il cordigliere Jean Boucher ne denuncia la presenza ovunque:

Non vedrete ora un baffo sollevato che non vi getti sempre dei Perché? Perché Dio ha dato delle leggi al mondo...? Perché la fornicazione è proibita...? Perché il Figlio di Dio si è incarnato? 18 Per Mersenne, la sola Parigi è afflitta da almeno cinquantamila atei. Molti ritengono che i più pericolosi siano le presunte persone 18 Citato da R. Pintard, Le libertinage érudit dans la première moitié du XVIIe siècle, Boivin, Paris 1943, pp. 28-29.

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perbene, in realtà peggiori dei diavoli, che tengono per massima che bisogna comportarsi secondo la religione del paese, ma che bisogna avere una credenza tutta particolare 19. Esagerazione? Senza alcun dubbio. Ma il problema assilla gli spiriti, e soprattutto quelli di coloro che vengono martellati dalle messe in guardia dei predicatori. Padre Surin lo constaterà nella Science expérimentale, una delle opere da lui consacrate a Loudun:

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Io dico che, sebbene la professione dell’ateismo non sia un cosa ordinaria tra i cristiani, nondimeno è una tentazione che si forma abbastanza facilmente nello spirito... Con essa egli intende quella che suggerisce che Dio non c’è affatto. E aggiunge che il Dio proposto dalla Chiesa,

sebbene sia l’oggetto della fede ordinaria della maggior parte dei cristiani, è talmente non creduto che parecchi vi si oppongono e talvolta hanno tentazioni violente contro la fede, cui spesso anche i buoni vanno soggetti 20. Tentazione che si forma abbastanza facilmente e alla quale spesso anche i buoni vanno soggetti; la letteratura spirituale dell’epoca lo prova. Dopo il tempo della possessione, Jeanne des Anges (quale che sia la sua struttura psicologica) racconta a suo modo l’angoscia o la ribellione che i demòni erano incaricati di annunciare:

La blasfemia Spesso sentivo lo spirito pieno di pensieri blasfemi e qualche volta davo loro espressione, senza che potessi fare alcuna riflessione per impedirmelo. Sentivo una continua avversione contro Dio e non avevo oggetto più grande di odio che la vista della sua bontà e della facilità con cui egli perdona coloro che vogliono 19 20

Ivi, pp. 29-30.

La Science expérimentale..., II, ch. 1; BN, Fds fr. 14596, f. 39.

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convertirsi. Il mio pensiero si concentrava spesso alla ricerca di invenzioni per dispiacergli e farlo offendere dagli altri. Egli mi suscitava inoltre una grandissima avversione verso la mia professione religiosa, di modo che in alcune occasioni, quando occupava la mia mente, strappavo tutti i miei veli e quelli che delle mie sorelle potevo afferrare; li calpestavo sotto i piedi, li mangiavo, maledicendo l’ora un cui ero entrata nella religione. Tutto ciò veniva compiuto con una grande violenza.

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Legata al diavolo, la «tentazione» si accompagna alla disperazione:

Mi risolsi per disperazione a essere dannata, e la mia salvezza mi divenne indifferente 21. Ella si lascia andare alla logica della possessione. Vi trova un destino. È presa dal gioco delle parole, dalla fascinazione del demonio che è, diceva de Lancre, spirito ciarliero, ma anche dalla ritualizzazione di un’orgia coreografica e verbale, dove la salvezza personale si cancella, con le costrizioni morali, nell’ebbrezza di una follia comune.

Soffrire per essere rassicurati C’è un’altra cosa. Insieme a centinaia di suoi contemporanei, Yves de Paris annunciava contro gli scettici i tormenti e le inquie-

tudini disperate di queste anime miserabili 22. Il dubbio e la blasfemia devono essere non solo confessati ma anche puniti. L’esorcismo procura alle possedute questa punizione. È necessario che paghino con queste pene il vantaggio di essere rassicurate. Da questo punto di vista, esse traggono beneficio dall’essere vittime. Sono complici del castigo che le resti21 Suor Jeanne des Anges, Autobiographie, éd. G. Legué e G. de la Tourette, Paris 1886, pp. 71-72. 22 Y. de Paris, Théologie naturelle, 3e éd., Paris 1641, t. 4, p. 393 sg.

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tuisce alla «società» religiosa e che deve restituire questa società a se stessa. La pena può essere estrema. Durante questi stessi anni, centinaia di donne «streghe» chiedono di essere bruciate o diventano le attrici della loro propria morte23, anticipando il giorno del giudizio e della certezza, gettandosi esse stesse in questa fine che congiunge la pena ultima e la salvezza definitiva. Ancor più, per dire tutto forse bisogna morire, e «farsi giustizia» per trovare nelle parole la comunicazione che esse promettono sempre senza donarla mai veramente. Se c’è ancora una tragedia del linguaggio a Loudun, essa si è moderata con il fatto stesso della sua messa in scena. Resta un’analogia di struttura. Da queste feste che non sono più tali ma degli esercizi sfiancanti, le religiose traggono il privilegio di essere delle vittime, sottomesse alla dura legge di un teatro purificatore. Ma, divenendo una tragicommedia, esso non le punisce e non le salva che a metà o forse per nulla. La possessione si presentava come un’uscita dal tempo e dal dubbio, un confronto tra cielo e terra, un luogo dell’essenziale e della visibilità. Essa, infatti, è la ripetizione di un immaginario escatologico. La realtà soprannaturale vi si manifesta in forma di deiezioni; le attrici, mutate in disperate; la durata dell’azione, in tempo perduto; e la finzione, in lavoro meritorio. In aprile, nel corso di un esorcismo, Jeanne dice:

Sono Jeanne la folle... Orsolina la folle. Ho il cervello da un’altra parte. Guadagnerete di più a condurmi presso Saint-Mathurin 24. E al suo esorcista Padre Lactance:

Oh se ti farò perdere tempo. 23

V. per esempio W. E. Mühlmann, Messianismes révolutionnaires du tiers-monde, Gallimard, Paris 1968, p. 251; o J. Merlo, in Journal of the American Psychiatric Association, July 1963. 24 Prete e confessore (IV-V sec.), fu un santo molto popolare in Francia a partire dal Medioevo, invocato per la guarigione dei folli [n.d.c.].

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E di se stessa:

Bisognerà soffrire... Siamo come cavalli da trombettieri, non ci impressioniamo, non ci lasciamo spaventare dal frastuono 25.

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Un lavoro da cavallo, da bestia da soma, in una guerra usurante. La festa infernale continua, infatti, compito di ogni giorno, mentre i passanti attirati dalla pubblicità possono ripartire scuotendo la testa:

Dopo i primi esorcismi, racconta Champion, un abitante di Loudun, ecco che un gran clamore si estende non solo in Francia ma per tutta Europa, e sebbene i pretesi demòni non abbiano dato altri segni che smorfie molto villane e posture sgradevoli, si grida, si pubblica che essi corrono per le strade di Loudun, che si vedono delle fanciulle trasportate sul pinnacolo delle chiese e volare per aria, e altri racconti, farina dello stesso sacco. Sicché il popolo accorre da tutte le parti per vedere questa follia. Gli alberghi non sono abbastanza grandi per ospitare quelli che vengono in folla. Ma ciò che stupisce è che la maggior parte vi resta otto o quindici giorni, rinviando da un demonio all’altro per poter vedere delle meraviglie. E alla fine ne sapevano esattamente come prima del loro arrivo 26. Che si tratti di cosa diversa dalle meraviglie attese non vuol dire che non sia una rappresentazione seria. Champion fa l’ufficio della comare all’angolo di strada. Solo più tardi, quando cesserà di essere serio, lo spettacolo risulterà non più che «curioso».

25

L’espressione rimanda alla locuzione familiare, caduta in disuso, Cet homme est bon cheval de trompette, il ne s’étonne pas du bruit, detto di un uomo che non si turba per poca cosa, non si lascia spaventare né intimidire da grida e rimproveri [n.d.c.]. 26 BN, Fds fr. n.a. 24.383.

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La ribellione delle amazzoni Per un altro aspetto, la possessione è anche una ribellione di donne, aggressive, provocanti, che alla luce degli esorcismi espongono pubblicamente i loro desideri e le loro rivendicazioni, sotto la maschera di questi diavoli che rendono così tanti servigi. Esse appartengono a un tempo di amministratrici, riformatrici, sante mistiche o pioniere della letteratura, in cui si canta Le Triomphe des dames27 e si presenta La galerie des femmes fortes 28. Sono educatrici, istruite, di buona famiglia e fanno parte di questa giovane congregazione di Amazzoni che conosce il valore dell’obbedienza, anche se spesso le religiose potrebbero dare lezioni al proprio curato. Il priore Moussaut, loro cappellano, non appare che come un’ombra. Ma anche parecchi altri, che da vivi incrociano la loro storia, non sono molto più che dei fantasmi. Non è la stessa cosa per Grandier.

In quel tempo, scriverà Jeanne, il prete di cui ho parlato si serviva dei demòni per eccitare in me dell’amore per lui. Essi suscitavano in me desideri di vederlo e di parlargli. Parecchie delle nostre sorelle provavano questi stessi sentimenti senza comunicarceli. Al contrario, ci nascondevamo le une dalle altre nella misura del possibile... Quando non lo vedevo, bruciavo d’amore per lui, e quando si presentava a me [la notte, in sogno] e con l’intenzione di sedurmi,

27

Opera del 1676 di Thomas Corneille (1625-1709), fratello di Pierre, musicata da Marc-Antoine Charpentier (1643-1704) [n.d.c.]. 28 Testo del 1647 del padre gesuita Pierre Le Moyne (1602-1672), in cui si descrivono 20 donne forti della storia e del mito (5 ebree, 5 barbare, 5 romane e 5 cristiane), offrendo esempi della loro vita per illustrare altrettante questioni morali relative alle donne. Un esempio fra le ebree è Debora, con la relativa questione morale: Se le donne sono capaci di governare [n.d.c.].

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il nostro buon Dio suscitava in me grande avversione per lui. Così tutti i miei sentimenti cambiavano. Lo odiavo più del diavolo...29 Faccia a faccia con l’uomo. Ma anche faccia a faccia con il prete. Davanti agli esorcisti, le possedute non hanno più la docilità reverenziale delle streghe di un tempo ma li insultano, li scherniscono, li colpiscono, senza risparmiare il vescovo. La priora si beffa di padre Lactance, onesto cappuccino di Limoges:

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vattene a portare la tua bisaccia da mendicante nella tua Limoges...Vuoi che ti dia uno schiaffo? Il buon uomo si arrabbia furiosamente. Il diavolo non si lascia impressionare:

Oh! Monti su tutte le furie! Parla con grazia. Claire de Sazilly non è meno pungente quando, davanti ai vescovi di Nîmes e di Chartres, al segretario di Richelieu, a Laubardemont e a tutto un areopago distinto, gli esorcisti inscenano il trucco, mille volte ripetuto, di dirsi qualche parola a bassa voce, chiedendole di scoprire cosa hanno detto – segno evidente che lei è davvero posseduta. Ella dice a padre Élisée, un carmelitano che ne ha viste tante:

Voi mi prendete per una zingara. Davvero abusate della pazienza di questi Signori. Che diranno al Re e al Signor cardinale… e a Laubardemont:

E voi, Signore, siete stato colto in fallo. Avete fin qui ingannato tante persone ma eccovi smascherato. Ella abbraccia il compagno del padre Élisée, dicendo che le sue piccole guance sono buone da baciare e, avvicinandosi al signor des Roches, primo segretario del cardinale, ricomincia: Tu sei troppo vecchio. Ci sono gentilezze, accanto ai colpi: e ci ha dato in seguito due grandi calci, registra 29

Suor Jeanne des Anges, Autobiographie, pp. 67-68.

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pietosamente un resoconto d’esorcista. Un processo verbale parla della priora che, essendo agitata, avrebbe dato poco dopo, o il

diavolo per suo tramite, uno schiaffo al nominato padre Gault. A causa del quale, il detto padre Lactance, esorcista, per castigare il diavolo, avrebbe dato cinque o sei grandi schiaffi sul viso della detta sorella des Anges, che non avrebbe fatto altro che riderne 30. Ci si prende delle libertà, ci si picchia, se ne esce tumefatti: a volte sono vere scenate di famiglia.

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I cacciatori selvaggi Da parte loro, gli esorcisti si trasformano in «cacciatori selvaggi»31, cacciatori di creature, come dicono i rapporti, e domatori di corpi. I giochi torbidi e le lotte rituali che si svolgono davanti al pubblico rapito, svelano e simultaneamente rifiutano (per il fatto stesso di essere una rappresentazione) le relazioni tra la sessualità e la religione. È una funzione di questo linguaggio essere il ritorno del rimosso e la persistenza della sessualità, che il discorso scientifico e il discorso religioso stanno per eliminare. Così, l’8 maggio 1634, questa lotta tra l’uomo e la donna:

…Dopo di che l’esorcista [padre Lactance] ha costretto il diavolo [Jeanne des Anges] ad adorare il santo Sacramento, facendolo mettere in tutte le posture da lui volute, di modo che tutti gli astanti ne sono stati come rapiti d’ammirazione, e persino quando, con la sua parola, ha fatto mettere questo corpo con il ventre appoggiato a terra, la testa sollevata in alto, le braccia e i piedi girati all’indietro, giunti e insieme allacciati, facendoli poi staccare e rimettere in parallelo. E siccome, tornata in sé, alla creatura è stato ingiunto di cantare il versetto Memento salutis, e voleva pronunciare Maria mater gra30 31

BN, Fds fr. 7618, f. 2. Vedi G. Roheim, «Die wilde Jagd», in Imago, t. 12, 1926, p. 467 sg.

185 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

tiae, si è inteso subito uscire dalla sua bocca una voce orribile che

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diceva – «Io rinnego Dio. Lo maledico». E in seguito ella si è morsa la lingua e poi al braccio come una furia, nonostante gli sforzi dell’esorcista di impedirglielo. Vedendo ciò, padre Lactance ha gettato rudemente il corpo della posseduta a terra, l’ha pestata con grande violenza sotto i suoi piedi, poi, un piede sulla sua gola, ha ripetuto più volte: Super aspidem et basiliscum ambulabis et conculcabis leonem et draconem32. Freud riteneva le tabelle patologiche del XVII secolo facilmente interpretabili, come delle miniere a cielo aperto33. Ciò confermerebbe le sue vedute. È l’esegesi mimata di un Salmo:

Camminerai sull’aspide e il basilisco Calpesterai il leone e il dragone34. Il versetto era tradizionalmente attribuito dalla liturgia a Maria, nuova Eva trionfante sul Serpente che era stato il tentatore nel giardino dell’Eden. Viene ripreso a proprio uso dall’uomo in lotta contro la donna «diabolica», che rifiuta la propria sottomissione alla Madre fedele, s’identifica con il «Padre della menzogna» e, nello spazio chiuso della scena, tiene il posto del leone e del dragone.

Tu, Urbain Grandier Si ha un’idea di questa lotta con il processo verbale del confronto tra Urbain Grandier e, dall’altra parte, nove religiose e tre secolari, nella chiesa Sainte-Croix, il pomeriggio di venerdì 23 32 33

BN, Fds fr. 7618, f. 8. M. de Certeau, «Ce que Freud fait de l’histoire. Une névrose démoniaque au XVIIe siècle», in L’Écriture de l’histoire (1975), Gallimard, Paris 2002, pp. 339-364; «Quello che Freud fa della storia. A proposito di “Una nevrosi demoniaca nel XVII secolo”», in La scrittura della storia, trad. it. di A. Jeronimidis, Jaca Book, Milano 2006, , pp. 297-318. 34 Salmo 90, 13 (Vulgata).

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giugno 1634, svoltosi davanti alla folla dei grandi avvenimenti, alla presenza di Laubardemont, La Rocheposay, il clero secolare e regolare, i signori Dreux (inquisitore generale di Chinon), de la Barre, de Brézé, l’avvocato Fournier (procuratore del re), etc., naturalmente tre medici, Grolleau, Jacquet e Brion. Padre Gabriel Lactance ha proposto che sia Grandier stesso a eseguire l’esorcismo delle possedute. Si avvia qui la scena di cui Laubardemont in persona si fa relatore:

…richiesto al detto Grandier di continuare l’esorcismo, quando questi ha chiesto ai demòni chi li aveva inviati nei detti corpi, tutte le dette energumene, o i demòni per loro bocca, hanno detto: «Tu, Urbain Grandier». Al che, avendo questi detto che ciò era falso e che non credeva che fosse nella potenza di alcun uomo né mago né altro di inviare i demòni in alcun corpo, è stato risposto per bocca di tutte le dette energumene che egli li aveva inviati e che da nove anni era mago, essendo stato ricevuto da Asmodeo in Béarn [il paese della stregoneria per Laubardemont], fino a quello stesso giorno, vigilia di san Giovanni. Cosa che è stata particolarmente sostenuta dal nominato Asmodeo, parlando per bocca della detta sorella Agnès in preda a straordinaria agitazione. E quando il nominato Grandier ha domandato loro se essi [i demòni] risponderanno agli interrogatori che saranno loro fatti in greco, dalle dette energumene o dalla maggior parte di loro è stato detto che era stato dato ordine ed espressamente pattuito affinché per tramite loro i detti demòni non parlassero altra lingua che il francese. E cionondimeno da qualcuna di esse fu detto che, se lui stesso voleva loro porre delle domande in lingua greca, essi vi risponderanno. Cosa che fu in particolare affermata da sorella Catherine; la quale ci ha precedentemente dichiarato che non ha mai saputo né leggere né scrivere, eppure la detta sorella Catherine si presentò a questa prova con una meravigliosa sicurezza di sé. E da Verrine, parlando in sorella Claire, e da Astaroth, parlando in Isabelle, è stato detto che, se fosse loro permesso dalla Chiesa, 187 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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essi farebbero vedere all’istante il marchio del mago che egli aveva sul corpo; con altrettanta grande sicurezza, e che in questa qualità lui aveva commesso più male di tutti gli altri maghi insieme… E in seguito [Grandier], indirizzando la parola al detto signor vescovo, ha detto che lo pregava, nel caso in cui fosse stato mago e avesse inviato i demòni in questi detti corpi, di comandare ai detti demòni di torcergli il collo in quello stesso momento; alla qual cosa da tutte le energumene è stato detto con voci piene di furia e rabbia: «Ah! Ciò sarebbe presto fatto, se ci fosse permesso; ma tu sai bene che né la Chiesa né la giustizia lo permetteranno». Siccome sia il nominato signor vescovo che noi stessi abbiamo detto che non potevamo e non volevamo dare tale permesso, tutto al contrario anzi divieti assai espressi sono stati fatti ai demòni dal detto vescovo di non intraprendere niente sulla persona di Grandier e su di noi [Laubardemont], gli è stato detto che, avendoci fatto in precedenza più volte la stessa proposta, noi gli abbiamo dichiarato, come risulta dagli atti su questo fatto, che tale permesso non poteva essere dato e che egli doveva impiegare altri mezzi a sua giustificazione. E in quello stesso momento le dette energumene hanno provocato una tempesta così grande e così furiosa che tutto non era che disordine, confusione e spavento, ragione per cui abbiamo detto al nominato signor vescovo che era necessario mettere al più presto fine a questa azione… Tutte le dette energumene sono state agitate dalle più violente, più straordinarie e più spaventose convulsioni, contorsioni, movimenti, grida, clamori e blasfemie che si possano immaginare, impossibili da descrivere e in qualche modo rappresentare, se non dicendo che a tutti gli astanti sembrava che in questa occasione vedessero tutto il furore dell’inferno. Dopo di che abbiamo fatto ritirare il detto Grandier e riportare nella sua prigione…35 35

BN, Fds fr. 7618, f. 50-51.

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Tra lo spavento e il riso

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Dopo questo faccia a faccia tra le furie e il prete di cui esse vogliono denudare il corpo e torcere il collo, bisogna dire, come Élisabeth Blanchard a padre Du Pont: Tieni, religioso, guarda. Tu non hai visto niente di simile? Ma ottant’anni prima, Du Bellay inviava al suo amico Remi Doulcin, prete e medico, delle impressioni analoghe a quelle di molti spettatori di Loudun:

Doulcin, quando talvolta vedo queste povere fanciulle Che hanno il diavolo in corpo, o sembrano averlo, Muovere in orribile maniera teste e corpi, E fare ciò che si dice di queste vecchie sibille; Quando vedo i più forti ritrovarsi deboli, Volendo forzare invano il loro forsennato potere, E quando vedo persino perdervi tutto il loro sapere Quelli che sono ritenuti nella vostra arte i più abili; Quando spaventosamente le odo gridare E quando le vedo il bianco degli occhi rovesciare Tutto il pelo mi si arriccia, e non so più che dire. Ma quando vedo un monaco con il suo Latino Tastare loro in alto e in basso il ventre e la tetta Questo spavento passa, e son costretto a ridere 36.

36 J. du Bellay, Regrets, sonetto 97. V. A. Viatte, «Du Bellay et les démoniaques », in Revue d’histoire littéraire de la France, t. 51, 1951, pp. 456-460.

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Lo sguardo dei medici (primavera 1634)

      

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A metà aprile si fa appello a tutta una serie di medici incaricati di auscultare, tastare, osservare e somministrare medicine, mentre dall’altro lato si procede a un rinnovamento e a un aumento degli esorcisti, al fine di organizzare le sedute comuni che si svolgono nelle chiese. In questa folla di dottori ci sono Charles Auger, François Carré, Alphonse Cosnier, Gabriel Coustier, François Duclos, Mathieu Fanton, Vincent de Fos, Jean-François Grolleau, Antoine Jacquet, Gaspard Joubert, Daniel Rogier, ma anche i chirurghi Allain, François Brion e Maunoury, lo speziale Pierre Adam. Altri vengono da Poitiers, Tours, Saumur, Niort, La Flèche, Le Mans, Parigi, Montpellier, etc. Essi moltiplicheranno i rapporti: i Registres de la commission (1634) ne conteranno ventisei, redatti e firmati prima della morte di Grandier, e non tutti vi sono menzionati1. La lista delle pubblicazioni mediche non è meno impressionante.

1 Una prima sintesi di questi rapporti è presentata da Alfred Barbier, «Rapports des médecins et chirurgiens appelés au cours du procès d’Urbain Grandier», in Gazette médicale de Nantes, 9 août-9 novembre 1887.

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Villaggi e bonnes villes 2 I dibattiti tra medici non rivelano solo le nuove «curiosità» di una categoria sociale. La tragedia di Loudun è una scena in cui si rappresenta anche il dramma di un sommovimento all’interno del sapere. Qualcosa si rompe, nasce qualcosa dentro ciò che allora si chiama la medicina. È in questo stesso anno 1632 che Rembrandt dipinge La lezione d’anatomia del Dottor Tulp, il quadro di un momento epistemologico. Davanti agli oggetti sottoposti alla sua diagnosi, a Loudun una scienza tradisce le sue ambizioni, le sue scissioni, la sua mutazione in corso, la sostituzione o l’irrigidimento dei suoi concetti, e fino alle sue ossessioni. Ma, almeno nell’opinione pubblica, le opposizioni dottrinali sono associate a una frattura sociale tra la città e la campagna. Ne è testimone l’accusa sollevata contro i «possessionisti» dal Factum pour Maître Urbain Grandier (agosto 1634), libello pubblicato in più di una località:

Di quali medici si sono serviti? L’uno è di Fontevrault [Alphonse Cosnier], non mai è stato uomo di lettere e a causa di ciò è stato costretto a lasciare Saumur. Del pari quelli di Thouars: l’uno [Jean-François Grolleau] avendo passato la maggior parte della sua giovinezza a misurare le aune 3 in una bottega di Loudun del nastro e del tocco 4; l’altro [François Brion], ignorante allo stesso modo e riconosciuto colpevole di un’estrema imperizia da Mons. l’arcivescovo di Bordeaux e ancora parente prossimo della moglie di Trincant. Quello di Chinon, ignorante e tenuto senza impiego da quelli della città, persino mal disposto nel suo spirito. Uguale

2

Città beneficiarie di privilegi quali avere magistrati autonomi e godere, per concessione del re, del diritto di cittadinanza con affrancamento dalle imposte [n.d.c.]. 3 Antica misura di lunghezza usata in Francia pari a 1,2 m [n.d.c.]. 4 Nel XVI e XVII secolo copricapo maschile con pieghe cucite, ornato di una piuma o di un’insegna [n.d.c.].

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quello di Mirebeau [Antoine Jacquet], parente della sorella di Mignon. In breve, tutti medici di villaggio… …Anziché chiamarvi, in un caso di così grande conseguenza, i più dotti, famosi e sperimentati medici o speziali delle bonnes villes vicine, come Tours, Poitiers, Angers o Saumor. Ma non se ne voleva avere di così chiaroveggenti 5. Altrove sarà il dottore di Châtellerault a essere accusato d’incompetenza. Qualunque cosa ne sia degli errori di fatto o di giudizio, la linea di demarcazione qui è netta: per separare i cattivi dai buoni, l’abile avvocato utilizza un cliché: la svalutazione dei «villaggi» a favore delle «città», facendo perno sulla gerarchia che, in ordine di importanza crescente, schiera le frazioni, i villaggi, i borghi (provvisti di mercato) e le città. I medici perdono i loro nomi propri e si vedono assegnare il nome comune di una categoria di luogo, che li «classifica» fissando la loro posizione proprio in rapporto a un centro socio-culturale. Questo è pressoché sufficiente per distinguere l’«ignorante» e il «chiaroveggente». Il sapere ha la sua geografia: intorno a Loudun, un cerchio stretto di «villaggi» – Chinon, Fontevrault, Thouars, Mirebeau, Châtellerault… – si oppone al cerchio più vasto delle «bonnes villes», insieme buoni centri locali della medicina – Angers, Saumer, Tours, Poitiers… (cfr. la carta, p. 197).

Dottori, chirurghi e farmacisti Altra scissione, più discreta ma non meno rigorosa, la distinzione socioprofessionale tra dottori in medicina, chirurghi e speziali. In calce alle attestazioni, un’etichetta puntigliosa regola l’or5

Factum pour Maître Urbain Grandier, prêtre, curé de l’église de SaintPierre du Marché de Loudun... [1634], in-4°, 12 pp. (BN, Lb 36.3016). V. BN, collezione Dupuy, vol. 641, f. 220-224; 500 Colbert, vol. 619, f. 138; raccolta Thoisy, vol. 92, f. 337; Bibl. Arsenal, 5554 e 4824; etc.

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dine delle firme, come risulta chiaramente dall’ordine di intestazione dei documenti ufficiali. In primo luogo i dottori, con i loro titoli. Poi vengono i chirurghi, tecnici della medicina, uomini della strumentazione. Mentre i dottori «possiedono», nel senso giuridico del termine, il vedere e il sapere, ai chirurghi è attribuito lo statuto di operatori manuali. Il chirurgo Dionis lo dice chiaramente: I me-

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dici presero tutta la scienza teorica come loro partizione, lasciando a noi la pratica e l’operazione della mano. Molti medici ritengono persino che salassare significa abbassarsi al livello dell’artigianato. Tra dire o sapere, da una parte, e fare o operare, dall’altra, corre la distanza che separa due categorie professionali all’interno di una minuziosa gerarchia. Quanto agli speziali, come Pierre Adam, non entrano nei testi dei casi precedenti. Essi sono esclusi dai luoghi in cui si certifica la «verità». Torna alla mente ciò che ne dice il tradizionalista Guy Patin (1600?-1672) nei suoi Préceptes particuliers d’un médecin à son fils :

La farmaceutica è una pietra d’inciampo e di scandalo per un medico, da cui egli deve saggiamente guardarsi. Non fate mai nulla contro la vostra coscienza e l’onore della vostra professione in favore di uno speziale… Tolti quattro barattoli della loro bottega, tutto il resto non è che furfanteria, barattoli dipinti e dorati, in cui non si trovano che cacche di topi che passano per pepe e per zenzero. Questa invenzione di botteghe e mestieri di speziali ha acquistato credito solo per la connivenza di qualche medico e per la stupidaggine del popolo che vuole essere ingannato. Un medico non potrebbe fare molte prescrizioni a un malato senza fare torto a lui e anche alla sua propria coscienza, e il più delle volte si danna anche, uccidendo il suo malato 6. 6 Préceptes particuliers d’un médecin à son fils, testo pubblicato in René Pintard, La Mothe le Vayer, Gassendi, Guy Patin, Boivin, Paris s. i. d., p. 67.

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A Loudun i medici sono suddivisi in «ignoranti» o «chiaroveggenti», a seconda che vengano dai «villaggi» o dalle «bonnes villes». Ma è anche la distanza a misurarne l’autorità.

La ripartizione che trasforma i mestieri in «ordini» corrisponde a una gerarchizzazione tra la scienza, la tecnica e il commercio (o, per parlare come Patin, la bottega)? È una classificazione che fra i tre modi di approccio al corpo – la conoscenza teorica, l’intervento, la droga – per un certo tempo privilegia la rappresentazione? Al più alto grado della scienza, come al gradino più elevato dell’organizzazione professionale, c’è lo spettacolo.

Vedere ed esaminare Il primo compito spettante ai medici è «vedere ed esaminare», e dunque seguire e annotare gli spettacoli del corpo. Essi procedono alla maniera degli autori che all’epoca redigono un Theatrum Mundi o un Miroir du Monde (forma antica dei nostri attuali atlanti), segnalando la loro opera con l’indicazione: Se tu vuoi vedere

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(così Bouguereau nel suo Théâtre François 7 ). Essi descrivono il malato come un suolo, un rilievo, con delle «emozioni» o movimenti, delle irruzioni e così via. Ma lo fanno prendendo i rilievi del terreno così come esso appare loro. Le loro deposizioni sono l’immagine di un’immagine: l’immagine testuale di immagini visuali. Esse raccontano i viaggi dell’occhio. Per quanto in sé elementare, così è il «certificato» e «testimonianza» redatto il 30 gennaio 1634 dai primi consulenti:

Noi sottoscritti dottori in medicina e maestri chirurghi, certifichiamo a tutti coloro cui spetterà, che, in virtù dell’ordinanza di Messer Laubardemont, consigliere del re nei suoi consigli di Stato e privato, Noi ci siamo recati nel convento delle dame Orsoline di questa città di Loudun, per vedere ed esaminare la madre superiora del detto luogo, alla quale abbiamo trovato diverse escoriazioni e graffi su tutta la faccia, in particolare sulle due guance, sul mento e sotto la gola, che abbiamo visto più visibilmente dopo aver fatto una lozione di acqua e di vino, a causa del sangue che sopra vi si era essiccato, e ne abbiamo notate due sulla guancia destra un po’ più profonde e larghe delle dette altre… etc. etc. Quanto noi testimoniamo sopra contiene verità. Testimoni le nostre firme ivi apposte. Redatto il 30 gennaio 1634. D. Rogier, dottore medico Allain, Maestro chirurgo. Maunoury Maestro chirurgo 8. Il minuzioso «teatro» dei fatti «considerati» forma la prima verità della quale il medico «testimonia» e che egli «certifica a tutti». Questo teatro sarà tanto più affidabile quanto più numerosi saranno gli occhi, vale a dire i medici. Quante cose rischiano di sfuggire! È necessario che esse entrino tutte nello «specchio» che le raccoglie. Gli sguardi vengono dunque moltiplicati. Il corpo dei con7 Primo atlante nazionale delle province di Francia (1594) realizzato da Maurice Bouguereau, maestro stampatore-editore di Tours [n.d.c.]. 8 BN, Fds fr. n.a. 24.380, f. 145.

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sulenti, rinforzato. A loro volta, composti dai percorsi complementari di tanti occhi sulla stessa superficie, i verbali si allungano. Il racconto si fa cumulativo. Sembra persino percorso da un senso di giubilo per la conquista di un crescente numero di osservazioni. Un lirismo della precisione sostiene la retorica che addiziona senza fine i dettagli, seguendo la legge di dispersione dello spazio.

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Il sospetto L’accanimento con il quale si cerca tuttavia una visione più sicura e un’osservazione più ampia attesta ugualmente un’inquietudine. Il bisogno di una certezza confessa anche il timore di perderla. Che cosa si vede veramente? L’illusione s’insinua nella percezione. Un sospetto mina le ambizioni dell’occhio. C’è un verme nel bel frutto del vedere. Qualunque cosa ne sia delle riflessioni alle quali questo dubbio darà luogo e che incontreremo ancora, lo spettacolo ne riceve una significazione ambigua. Come tante figure dell’arte barocca, la «curiosità» è ambivalente: festosa per una delle sue facce, essa ha anche il volto dell’ansia. Dalla «sorpresa» al «terrore», in genere questa ansia dell’osservatore non si annuncia direttamente ma si maschera e si tradisce nell’oggetto osservato, al quale è attribuita, come a una causa, la natura di essere spaventoso o sorprendente. Così, nel rapporto dei dottori Grolleau, Brion e Duclos, datato 17 aprile 1634 – un rapporto troppo lungo per essere citato per intero – lo stupore (vale a dire, nel XVII secolo, lo spavento o la stupefazione) e l’orrore si mettono in circolo: passano dalla posseduta all’esaminatore, da questo al pubblico, senza che sia possibile fissarli a un soggetto in particolare. In questo racconto c’è del terrore, un terrore che sfugge alle localizzazioni e che rinvia complessivamente a una certezza che dovrebbe essere proprio là e invece manca. I medici descrivono le loro osservazioni nel corso di una celebrazione della messa nella cappella delle orsoline. 199 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Stupore e terrore …Poco dopo abbiamo parimenti ammirato in Élisabeth Blanchard gli stessi movimenti, da cui ella è stata sorpresa con ancora più orrore e terrore di ogni altro precedente. Tali movimenti e agitazioni sono continuate sia nella detta Françoise [Fillastreau] che appunto in Élisabeth fin dopo la comunione della messa, dopo essere apparsi nella detta Élisabeth così prodigiosi e enormi davanti il [prima del] santo canone della messa, che la detta fanciulla, aiutandosi con i piedi e la sommità della testa, sui quali soltanto si sosteneva, il ventre in alto, si è portata all’indietro, la testa per prima, serpeggiando, dal suo posto fino alla parte superiore dell’altare, salendo rapidamente con la parte posteriore della testa, in un modo tutto nuovo e straordinario per sproporzione, i due gradini per giungere fino ai piedi del prete, al quale, nel momento dell’elevazione, ella ha bruscamente e rudemente tirato l’estremità dell’alba9 per interromperlo e impedirlo. E quando il Reverendo Padre Lactance, compagno del Reverendo Padre esorcista, voleva tirarla via di là e impedirle di commettere ancora simili insolenze, la detta Blanchard l’ha trascinato a terra con tale violenza che solo a fatica egli è riuscito a liberarsi dalle sue mani. Poi, verso la fine della santa messa, Léonne Benjamine, sorella della precedente, si è messa a fare come le altre due, proferendo spergiuri, pesanti espressioni blasfeme e minacce, che uscivano dalla loro bocca, ora di uccidersi l’un l’altra, ora la fanciulla in particolare, per bocca della quale queste parole erano furiosamente proferite, dicendo: «Per Dio, ucciderò questa fanciulla». Tutte cose tali che noi giudichiamo sorpassare assolutamente le forze e i mezzi della natura, ed essere di condizione simile a quelle che notiamo giornalmente con stupore e terrore nelle persone delle dette Dame religiose orsoline di questa città 10. 9 Tunica bianca che l’officiante indossa 10 BN, Fds fr. n.a. 24.380, f. 156.

per celebrare la messa [n.d.c.].

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Giudicare La «verità» annunciata e certificata da questi rapporti porta spesso, iscritto insieme a tutto il resto nel quadro dei successi delle esplorazioni, un elemento apparentemente eterogeneo: ciò che supera la natura. Questo grosso pesce preso nella rete del testo figura in esso, come gli altri, sotto il segno di ciò che è stato notato, così come scrive il dottor Cosnier, o giudicato e notato, come pure egli dice. Questo dato è pericoloso. Esso è a un tempo dell’ordine di ciò che si vede e dell’ordine di ciò che si pensa. Più nettamente, il 14 aprile 1634, i dottori in medicina D. Rogier, A. Cosnier, F. Carré, F. Duclos e F. Brion dichiarano:

Abbiamo giudicato che c’è qualcosa che oltrepassa la natura11. Ma, il 30 novembre 1632, Brion attestava che egli era andato a vedere, nel convento delle orsoline, la signora priora, chiamata

Jeanne de Belciel, della casa de Cozes, e sorella Claire de SaintJean de Sazilly, nipote del Signor de Villeneuve, luogotenente del Signor maresciallo di Brézé a Saumur, nelle quali due, dopo averle considerate sia nel loro riposo che nel rigore del loro male, noi giudichiamo (visto gli eccessi che sorpassano il naturale) che c’è possessione di spiriti cattivi, secondo quanto ci è parso per diversi segni che noi deduciamo essendone richiesti, abbiamo conosciuto come anche altre dame, fino al numero di quattro, siano ossesse. Confermiamo che quanto sopra è vero12. Sapere per vedere In questa deduzione medica (nel XVII secolo «dedurre» equivale a descrivere), i fatti osservati sono ricondotti a «a-ciò-che-sorpassa-il-naturale» con la stessa sicurezza con cui le religiose lo so11 12

Ivi, f. 147. BN, Fds fr. 12047, f. 2.

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no ai titoli e ai patronimici familiari. Ciò che è visto è Jeanne «della casa de Cozes» o Claire nipote del Signor de Villeneuve, luogotenente del Signor maresciallo di Brézé. Nella percezione sociale, la «fanciulla» è la visibilità di un’essenza familiare che è saputa. Allo stesso modo, sembra, le contorsioni e le gesticolazioni forniscono l’apprensione immediata di una realtà posta da un sapere: ciò che sorpassa il naturale. In ogni caso, è così per l’intera medicina: essa chiede di riconoscere nel malato le essenze nosologiche che essa ha definito e di cui egli offre un’incarnazione (più o meno riuscita, a seconda che il quadro dei «segni» si trovi in esso più o meno completo). L’osservazione, tuttavia, non ne è sminuita. Al contrario, il medico cerca di riempire ciò che sa con ciò che vede. Va alla caccia della manifestazione dei suoi concetti nosologici. Messo in movimento dall’attenzione, egli considera il dispiegamento di un sapere nella forma nuova e visibile di un apparire. In sostanza, egli scopre senza apprendere. Questa impresa è ardua, poiché è necessario distinguere come e per quali vie la serie indefinita degli spettacoli che lo sguardo esplora si articola con la serie finita delle categorie mediche che una scienza detiene. La «considerazione» medica risulta così dalla mescolanza fra un vedere e un giudicare, o fra un notare e un pensare – una mescolanza che però davanti ai fatti «straordinari» diventa via via più instabile. In tale frangente, infatti, si inclina ora al semplice ri-conoscimento che del visibile accetta solo il noto, ora alla registrazione empirica di un ignoto, che devia il sapere verso un’altra formalizzazione, privilegiando l’esperienza. Nel primo caso, il «giudicare» circoscrive e reprime l’«osservare»; nel secondo, l’osservazione compromette il giudizio.

«Guardatevi dal diventare empirici» Tutto si gioca intorno all’esperienza, nozione-cardine nelle dispute che, davanti allo straordinario, mettono in causa lo statuto 202 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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della percezione e la definizione della natura. Gli uni diranno, con Guy Patin (un caso indubbiamente estremo):

Guardatevi bene dal diventare empirici. Ragionate sempre e non servitevi dell’esperienza che come della serva della ragione e della scienza che vi siete acquistata. Le sette dei Metodici e degli Empirici 13, se non sono sottomesse e non obbediscono alla Dogmatica, non sono che estremi viziosi che dovete accuratamente evitare. Ippocrate non ha detto niente di più vero che: Experimentum fallax. Un medico che non ragiona non è un medico, è solo un ciarlatano. È solo la ragione a dire se bisogna salassare, purgare, porre ventose, dare del vino o toglierlo a un malato14. Questa bella sicurezza nella scienza «acquisita» non impedirà a Guy Patin di dire, a proposito di Loudun:

Io non crederò demoniaco né un uomo né una donna se non li vedo, ma sospetto che non ve ne siano15. Per credere, gli è dunque necessario vedere? Ciò che sa non gli è più sufficiente? In realtà sono le sue conoscenze a indurlo a pensare che non può vedere questo. Si fiderebbe di ciò che per ipotesi vedesse a detrimento di ciò che sa o troverebbe nella sua «ragione» e nella sua «dogmatica» di che riassorbire la minacciosa interrogazione legata all’ipotesi di una tale visione?

13

I metodici e gli empirici costituiscono due antiche scuole di medicina: fondata da Temisone di Laodicea (I sec. a. C.), la prima intende la medicina come sistema teorico o «metodo»; fondata da Filino di Coo (III sec. a. C.), la seconda l’intende come arte basata sulle esperienze, tratte dall’osservazione [n.d.c.]. 14 Préceptes particuliers..., in R. Pintard, La Mothele Vayer, p. 69. 15 G. Patin, Lettres, éd. J.-H. Reveillé-Parise, Paris 1846, t. 1, p. 302.

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Fare posto allo strano: il possibile I numerosi medici che, con lo sguardo teso, si riuniscono intorno alle gesticolazioni di Loudun – come i medici di Rembrandt intorno al cadavere –, si trovano portati dalle loro osservazioni ai limiti della loro scienza. Di quali criteri dispongono per affermare di «non aver visto e osservato alcuna cosa al disopra delle leggi comuni della natura» o il contrario? Si pongono delle questioni fondamentali. Da una parte, essi debbono decidere di ciò che alla natura è possibile o no. E in che modo giudicarne, se non a titolo delle loro conoscenze? Da questo punto di vista, si tratta di sapere se possono situare all’interno delle categorie nosologiche lo straordinario che loro sfugge, o se debbono collocarlo al di fuori. Dov’è più ragionevole fare posto allo strano? In ciò che è teoricamente assimilabile o in ciò che va riconosciuto come «differente» o «soprannaturale»? L’ignoto sarà classificato al di qua o al di là di ciò che è posto di diritto come comprensibile? Non è di per sé evidente che l’opzione più totalizzante –: tutto è spiegabile in termini medici – sia la più scientifica: essa rifiuta di fissarsi un limite, un grado zero, che instauri un rigore; dicendo che tutto è «naturale», si limita a recuperare a suo favore il modello cosmologico e inglobante di una teologia. Questa difficoltà attiene al fatto che due questioni sono bloccate: l’istituzione di un campo medico e la determinazione di un ordine naturale. Ma essa ha delle ragioni socioculturali. Ogni tempo impone un tipo particolare di alternativa. Il medico è portato a sostituirsi al teologo, come il testimone di un sapere laico che subentra alla scienza clericale. Il dottor Yvelin lo dirà presto chiaramente, a proposito della possessione di Louviers:

In questo caso i medici hanno gravi prerogative al di sopra degli ecclesiastici, poiché essi sanno che se questo umore melancolico imputridisce negli ipocondri, se ne sollevano vapori e venti

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di qualità abbastanza maligna tale da produrre tutti questi effetti che sembrano così strani e così straordinari…16 Oppure, rinunciando a questo posto da prendere e che gli offre, come all’uomo di Stato, un ruolo tutto definito, il medico ammette il soprannaturale come una regione di fatti che è adiacente al dominio suo proprio; egli riconosce nel teologo il proprietario di feudi che delimitano i suoi e richiedono ancora la sua fedeltà al nome di Dio.

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L’illusione di vedere Dall’altra parte, il sospetto riguarda l’esperienza stessa, la quale viene messa in discussione. Qual è il rapporto tra ciò che appare e ciò che è ? Vecchia questione, già presente nella filosofia postnominalista dell’epoca. I medici la formulano scivolando da ciò che essi vedono a ciò che pensano di vedere. La mediazione che tradisce questo pensare introduce il pericolo permanente dell’illusione. Quando si interrogano sul naturale o il soprannaturale dei fatti constatati, essi debbono chiedersi: che cosa vedono veramente? Veridico, veritiero, verità: le parole ricorrono ossessivamente alla fine o al principio delle Relazioni, confessando precisamente il punto fragile e il luogo mancante: la percezione stessa. L’anormalità dei fatti e la discordanza fra le interpretazioni aprono dunque nel vedere la faglia del dubbio, attraverso la quale anche i medici vengono a modo loro a congiungersi con l’inquietudine sociale di cui la possessione è un sintomo. Nello scetticismo ambientale, essi la soffrono come un’incertezza epistemo16

P. Yvelin, Apologie pour l’autheur de l’examen de la possession des Religieuses de Louviers... Paris 1643, p. l7. Vedi R. Mandrou, Magistrats et sorciers en France au XVIIe siècle, Plon, Paris 1968, pp. 288-289, trad. it. di G. Ferrara, Magistrati e streghe nella Francia del Seicento: un’analisi di psicologia storica, Laterza, Bari 1971.

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logica: c’è dell’inganno. Ma dove localizzarlo? Questione vicina a quella che consisteva nel fare posto da qualche parte all’ignoto. Per gli uni, è il sapere che è sbagliato, e bisogna ritornare a un fideismo, confidando ciecamente in verità ricevute da altrove. Per altri, è l’esperienza che illude: Experimentum fallax, diceva Patin. La percezione è fuorviante. Oppure, come dirà il dottor Duncan a proposito di Loudun, l’immaginazione s’inganna, è falsa, è lesa17 e inganna i sensi18. A meno che non si possa attribuire la responsabilità dell’illusione agli attori, ricacciarla negli artifici e nelle simulazioni da cui risulterebbero i fatti osservati, sbarazzandosi così del problema. L’ipotesi è di gran lunga la più seducente, ma resta difficilmente ammissibile. Non più della «spiegazione» per mezzo del miracolo, essa non soddisfa l’insieme dei medici, anche se essi l’ammettono come un elemento non trascurabile.

Un esame brancolante Prima di essere elaborati per se stessi, questi problemi emergono attraverso l’esame quotidiano di un caso eccezionale, in quanto legati a una pratica professionale nonché a questioni di coscienza. Così nel rapporto in cui «il signor Seguin, medico a Tours», avanzando a tentoni tenta di fare il punto e spiegare la sua posizione personale:

Signore, Sarebbe rinunciare all’amicizia che vi ho giurata, se vi negassi ciò che desiderate da me. È vero che, senza l’insistenza che voi 17

Cfr. R. Descartes, Regulae ad directionem ingenii, XII, trad. it. di B. Widmar, Utet, Torino 1981, p. 93: «come se, avendo l’immaginazione lesa, come accade ai melanconici, ritenessimo che i fantasmi di essa rappresentino cose vere (c. n.)» [n.d.c.]. 18 È ciò che gli rimprovera Pilet de la Mesnardière, Traité de la mélancholie, La Flèche 1635, pp. 48-49.

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me ne fate, mi sarei volentieri dispensato da interporre il mio debole giudizio in un caso in cui ci sono di mezzo i diavoli, non avendo visto niente nel mio viaggio a Loudun che vi possa chiarire di più… di ciò che è stato pubblicato in diversi scritti che circolano dappertutto e, sono sicuro, sul Pont-Neuf tra gli altri posti. Non è che voi non abbiate visto la lettera che su questo argomento il Signor Bardin scrive ai suoi amici, nel numero dei quali credo voi siate. Dopo la quale non pretendo di darvi altra soddisfazione che quella di aver accondisceso al vostro desiderio. Ora, per non ripetere ciò che si deduce assai perfettamente circa l’impossibilità dell’impostura, aggiungerei per voi che ho intrattenuto la maggior parte di queste povere afflitte nei loro intervalli buoni, durante i quali esse non mi hanno risposto che con così grandi ingenuità, che non penso fossero capaci di sostenere tanto a lungo una così orribile malvagità. Di modo che da questo lato qui sono pienamente convinto, sebbene, a dirvi il vero, da principio tutto lo zelo indiscreto di un esorcista mi abbia un po’ turbato. Malattia di spirito? Per ciò che concerne la malattia di spirito, qui è dove esiterei di più, poiché non ne vedo l’impossibilità assoluta, secondo la conclusione di molti. In primo luogo, infatti, per quanto concerne la prova dei medici, su cui essi hanno fondato il loro rapporto in merito alla possessione delle religiose, non comprendo perché riferiscono in modo così necessario a una causa soprannaturale la mancanza di effetto delle medicine purgative, da loro ordinate in dose doppia. Teofrasto ( Lib. IX Historiae plantarum, cap. 18 ) riporta diverse storie di persone che divoravano interi manipoli di elleboro, senza esserne in alcun modo scossi, tra gli altri uno di nome Eudemus, il quale un giorno in pieno mercato ingurgitò ventidue dosi d’elleboro, senza muoversi dal posto per tutto il mattino; e da lì, una volta ritornato a casa sua, entrò nel bagno, 207 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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poi cenò come al solito, senza in nessun modo vomitare. Cosa che egli riferisce principalmente all’abitudine, che è così potente da far prendere familiarità con i veleni anche i più fulminei e pesanti, rendendoli inefficaci. Di modo che può darsi che queste buone religiose, che si nota sopra essere state fortemente valetudinarie, si siano talmente abituate da non risentire più alcun cambiamento. D’altronde gli umori, non essendo forse debitamente disposti, non hanno potuto cedere alla medicina, di cui essi hanno così arrestato interamente l’azione con la loro estrema resistenza: e mi sembra pertanto che questa prima prova non è sufficiente per affermare che il diavolo è l’autore di questo impedimento. Quanto agli accessi delle loro grandi agitazioni, per quanto siano irregolari e non abbiano alcuna durata certa, non vi trovo nulla di strano, mentre lo è molto il fatto che prendono avvio e cessano al momento opportuno, al comando dell’esorcista. Cosa che ho visto accadere spesso, e qualche volta anche mancare. Cionondimeno è certo che questo non può incontrarsi così di regola per caso. Dal che si inferisce che bisogna che la causa non sia altra che la malattia. Cosa che non trovo che sia ancora così indubitabile come la si ritiene, e stimo che l’immaginazione può essere lesa e la ragione turbata a questo punto da persuadersi di essere possedute dai demòni, di modo che lo spirito ossesso da questo errore si trasporta più volentieri alle occasioni che la sua illusione risveglia. Cosa che si nota in quasi tutte le malattie di spirito, le quali hanno accessi e aumenti particolari, secondo l’occorrenza dei diversi oggetti di cui esso si affligge. Così dunque fin qui sarebbe opportuno giudicare che queste povere fanciulle cadute in tale stravaganza di spirito si adirano fino alla furia quando sono irritate dagli esorcisti. Si potrebbe parimenti sostenere che tutti i cambiamenti subiti che loro accadono sono degli effetti di questa immaginazione pervertita, di cui non ci si deve meravigliare dopo ciò che si vede tutti i giorni della forza dell’immaginazione delle donne, che è

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tanto più appariscente in questo sesso quanto meno c’è ora ragione di dire le cause di questa follia. Ciò sarebbe penetrare troppo innanzi in una cosa che non credo.

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Bisogna che qui ci sia il diavolo Poiché infine, considerando che una follia così straordinaria non potrebbe incontrarsi in un così grande numero di temperamenti differenti e cospirare a una stessa cosa senza un complotto malizioso, mi sono risolto a credere che c’entrava di fatto il Diavolo, diffidando di lui piuttosto che della probità di parecchie persone che non hanno mai dato motivo di portare un così cattivo giudizio su di loro. È vero che si fanno messinscene che offendono questo credito e spesso hanno messo in imbarazzo il mio spirito. Ma, quando torno a esaminare che bisogna che queste messinscene partano o dall’intrigo dei diavoli o degli uomini che sarebbero peggio di Belzebù, esse mi rassicurano, e ciò tanto più che esse sembrano distruggere la verità, di cui so che il demonio è nemico. Perché dunque, mi dirà qualcuno, muovere tanti rimproveri a quelli che non credono alla possessione, fino a denunciarli come maghi? Confesso che non sono abbastanza fine per rendere ragione di questa Arci-impostura. È un contraccolpo che porta altrove rispetto a dove tocca, e che trovo talmente pericoloso che non c’è Dio che possa rimediarvi. Voi ne crederete ciò che vi piacerà. Ma, ancora una volta, bisogna che qui ci sia o della cattiveria indiavolata o il Diavolo stesso. Altrimenti, come potrebbero queste fanciulle intendere una lingua che si assicura non hanno mai appresa e rispondere immediatamente a ogni sorta di domanda, anche le più alte della teologia, come talvolta le ho viste fare io stesso? Come potrebbero fare dei movimenti così diversi e difficili, senza averli lungamente studiati? Non parlo di quelli soprannaturali, dato che non mi è capitato di vederli, che sono tuttavia attestati da una quantità di persone di merito, in grado di giudi209 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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carne. Non vi parlo nemmeno delle divinazioni e di altri segni particolari che esse hanno dato alla maggior parte dei giudici, tra gli altri al Signor Presidente Cothereau che ne resta convinto. Esse hanno risposto anche in lingua topinambou (linguaggio di una popolazione brasiliana) con cui si è loro rivolto il Signor de Launay Razilly, al quale credo più di me stesso e che vi adduco, poiché voi lo conoscete come uomo di credito. Fra tutto ciò che ho visto la cosa che mi sembra la più strana è il profondo assopimento in cui esse sono talvolta sprofondate, come in letargia, senza alcuna sensibilità, almeno così parrebbe, persino se le si punge. Altre volte esse cadono in agitazioni incessanti e violentissime che durano due ore intere, talora di tutto il corpo, talaltra di una sola parte, e in particolare della testa, senza variazioni del polso e del respiro. Sicché bisogna concludere che il Demonio non è solo la causa morale ma davvero l’effettiva, di tutti questi movimenti distatici 19. Ecco ciò che io so e penso di tutto questo affare che vi ho ripresentato senza altro desiderio che la verità 20.

19 Distatiques: questo aggettivo non ha alcun riscontro al di fuori del gergo medico qui usato. Appare il calco di un dystatikós, aggettivo inesistente nel greco antico, che ha invece il raro verbo įȣıIJĮIJ੼Ȧ (essere instabile, che si regge su piante deboli, oscillante qua e là) e il non meno raro aggettivo į઄ıIJĮIJȠȢ con significati pressoché corrispondenti. Sembra quindi lecito introdurre in italiano la stessa invenzione linguistica [n.d.c.]. 20 Indirizzata a M. Quentin a Parigi, datata 14 ottobre 1634, la lettera è stata pubblicata nel Mercure françois, t. 20 (1634), E. Richer, Paris 1637, pp. 772-780, malgrado la raccomandazione finale (imposta dal genere letterario) del dottor Seguin: «Vi supplico di non comunicarla che ai nostri amici».

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Teratologia della verità

       

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I

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L’immaginazione della filosofia

È nella grande foresta del sabba, in cui una posseduta aveva dato un giorno appuntamento ai suoi interlocutori, che il dottor Seguin deve scoprire la verità1. Medici, esorcisti e teologi vi si aggirano con lui. Tre anni più tardi, anche Descartes si trova in una foresta di impressioni e di conoscenze, ma nel Discorso sul metodo (1637) dice:

Mi attenevo […] all’esempio dei viandanti che, smarriti in una foresta, non devono andare in giro errabondi, ora in una direzione e ora nell’altra, o, peggio che mai, fermarsi da qualche parte, ma devono andare sempre nello stesso senso, seguendo un cammino quanto più è possibile diritto, non scostandosene mai per futili motivi, anche se all’inizio solo il caso abbia determinato la scelta: perché così, se non arrivano proprio dove desiderano, alla fine arriveranno pure in qualche luogo, dove verosimilmente si troveranno meglio che in mezzo a una foresta2.

1 2

BN, Fds fr. 7618, f. 8.

Discours de la méthode, 3, in Œuvres de Descartes, éd. Ch. Adam et P. Tannery, Paris, t. 6, p. 24-25, trad. it. di E. Garin, G. Galli e M. Garin, Discorso sul metodo, in Opere filosofiche, a c. di E. Garin, Laterza, Roma-Bari 1991, vol. 1, p. 307.

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Quadrupedìa I dotti di Loudun tengono una condotta differente. Essi risiedono nel mondo dell’immaginazione e della menzogna. Si fermano in questo posto, con l’ambizione di scoprire nell’immaginario la ragione che vi si tradisce, sebbene le immagini siano le più mostruose e le più strane del mondo 3 – o di riconoscere nelle opere del Mentitore la verità che esse confessano attraverso l’inversione o la difformità dei suoi segni. La loro tattica non consiste nel ritirarsi da questi luoghi incantati ma al contrario nel venirvi. Vi soggiornano, affascinati dall’estraneo: fenomeno generale, come si sa, in questa epoca del manierismo, del barocco e del gongorismo. E là, essi praticano una teratologia della verità. Se in questa epoca la medicina è un luogo filosofico, ciò è dovuto al fatto che la malattia intrattiene un rapporto essenziale con la verità. Gli eruditi che si pronunciano sulla possessione, più che di estrarre dal male il naturale e dall’inganno l’autentico cercano di riconoscere la natura (o il sovrannaturale) nel suo stato difforme e la verità divenuta mostruosa o erronea. Certo, il proposito è temerario; rischia di rovesciarsi nel suo contrario, poiché esso porta a chiedersi se la natura non è fondamentalmente malata, o se la verità non è che un’illusione che s’ignora. Lo scetticismo si insinua dappertutto… All’inizio, si ammette dunque una lingua patologica del normale, una lingua demoniaca di Dio, e anche una lingua bestiale dell’uomo. Convinti di avere a che fare con delle religiose sante, vergini e martiri, i medici parlano di quadrupedìa. L’immenso discorso edificante che i processi verbali formano è fatto di grida e gesti bestiali. Esso esaurisce il repertorio animale. È l’arca di Noè dell’immaginario dell’epoca. Come se l’ammirazione che si allaccia alla vita o alla verità mostruosa perdesse di vista l’umano. Tra 3

Pilet de la Mesnardière, Traité de la mélancholie, La Flèche 1635, p. 51.

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gli esseri celesti e la bestia, o tra gli elementi combinati del cosmologico e del «vitale», si constata un’ellissi dell’uomo. Non si tratta invece di definire proprio ciò che è umano? A Loudun si è lontani dalla società che permetterà a Cyrano de Bergerac di affermare con sicurezza, nella sua lettera Contre les sorciers: Di un uomo non si deve credere che ciò che è umano,

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vale a dire possibile…4 La necessità di orientarsi sul posto, nella foresta dei segni in delirio, incanala ogni sforzo verso la loro interpretazione. È necessario decifrare questa lingua patologica, demoniaca o bestiale. Tutti gli strumenti del lavoro intellettuale sono impiegati a questo fine: decodificare la lingua straniera della verità. Data l’urgenza di criteri e norme, ogni tecnica è messa al servizio di un’impresa di definizioni e localizzazioni. I medici sembrano dimenticare che debbono curare, tale la loro urgenza di diagnosticare, tale la pressione a pronunciarsi. Alla liberazione delle possedute gli esorcisti antepongono la dimostrazione che esse permettono loro. Più che di eliminare il male, i dotti cercano di designare il vero. L’identificazione prevale sulla terapia. I mezzi per guarire diventano dei mezzi per sapere.

Recuperare il vero Forse le pratiche professionali, mediche o liturgiche, manifestano solamente così – con più evidenza che in altri luoghi e altri tempi – il loro rapporto con la verità sociale, che esse suppongono e difendono. Poiché l’ordine cui fanno riferimento s’infiacchisce e s’incrina, gli atti terapeutici lasciano trapelare una finalità nascosta. Essi prendono il posto di un obiettivo che non era immediatamente il loro ma che il loro normale funzionamento implicava: 4

Les Œuvres libertines de Cyrano de Bergerac, éd. Frédéric Lachèvre,

Champion, Paris 1922, t. 2, p. 213.

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stabilire una certezza sociale, assicurare un sapere. La purgazione o la fumigazione, l’esorcismo o la benedizione si trasformano in operazione «teorica» e in procedimento d’investigazione. Ci si serve di ciò per riprendere possesso del vero persino là dove esso si è alterato, diventando il suo contrario. La possessione di Loudun, infatti, rivela ai dotti la spoliazione subita: il loro sapere è posseduto dall’estraneo nel modo in cui l’antropologia del tempo vede nella malattia l’intruso installato nel malato o nel diavolo il colonizzatore illegale del cristiano. Nel mostruoso gli eruditi sono a casa propria, ma su una proprietà che è stata loro sottratta. Il loro scopo è recuperare i propri beni. Sanno ciò che a essi appartiene, ma questo non è più visibile. Inoltre, devono affermare il loro sapere e far valere i loro titoli proprio là dove il loro diritto è occultato da un ingiusto occupante. Senza dubbio non è indifferente che tutti questi dotti in cerca della loro verità alterata – medici, esorcisti, teologi – parlino latino. Più tardi, La Ménardière pubblicherà delle traduzioni del Panegirico di Traiano di Plinio; Quillet, dei poemi latini, Henriciados, e una traduzione di satire di Giovenale; etc. Essi sono a casa propria in questa lingua del loro sapere, quanto dei loro svaghi. A Loudun, la lingua straniera nella quale essi devono ritrovare il loro bene – lingua teratologica, patologica, demoniaca, bestiale –, è invece il francese e il linguaggio dei fatti. Si tengono a distanza dall’esperienza presente, preservando il luogo del loro diritto e dei loro titoli di proprietari: il latino. Pressoché tutti i rapporti medici e tutte le consultazioni teologiche sono redatte in questa lingua che designa la loro legittimità. Il più delle volte gli esorcisti non si rivolgono alle possedute che in latino, segno che essi sono là come rappresentanti della Chiesa, detentrice legale delle rivelazioni divenute folli – ed è in latino che pretendono di costringere il Padre della menzogna a restituire la verità. Quando gli uni e gli altri cederanno su questo punto, l’assicurazione di una legittimità sarà scomparsa.

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Il rimedio e l’esorcismo

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Questo non vuol dire che, in quanto parlano la stessa lingua, medici e teologi tradizionalisti s’intendano. Essi hanno degli interessi comuni, ma sono concorrenti. Nella battaglia di ogni giorno, oppongono la dimostrazione dei propri diritti. Così, il 20 maggio 1634, dopo l’«uscita» dei tre demòni da Jeanne des Anges da tre piaghe all’altezza del cuore, una delle esorcizzate ammonisce il pubblico contro il sapere dei medici:

Uno dei demòni mentre usciva fu costretto dal santo Angelo della madre a dichiarare che essi avevano il disegno di infettare le tre piaghe e, con questo mezzo, far morire la madre: che, se si applicava qualche rimedio per guarirla o per diminuire il dolore che la paziente soffriva, il quale era molto acuto e continuò circa tre settimane, ciò sarebbe dar loro luogo per attuare il proprio progetto; mentre che, non facendovi assolutamente niente, in capo a tre settimane, giorno dopo giorno, esse sarebbero interamente guarite. Cosa che fu verificata alla lettera. Non ne è rimasta neppure una cicatrice. La madre avrebbe fortemente desiderato che si fosse cercato di lenire i suoi dolori con qualche rimedio umano, poiché le sue piaghe le causavano atroci pene e per più di quindici giorni. Ma si voleva sperimentare se era vero che Satana era stato costretto a dichiarare la sua propria malizia5. Un’altra volta, l’esorcista fa la prova del suo potere celeste sul corpo, contro l’autorità che ordina pozioni o salassi. Almeno è così che l’intende il cronista di questa scena, in cui l’esorcista comanda al sangue come Mosè comandò al mare:

Le si diede [a Jeanne des Anges] una pozione di antimonio, preparata in dose molto più forte di quella che si dà ai tempera5 Manoscritto della biblioteca di M. Lambert, «Dialogue spirituel», parte seconda, pp. 4-5.

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menti più robusti. Ella fu osservata e vegliata per ventiquattr’ore, per vedere come agiva il rimedio. Non si vide alcun effetto. L’indomani la dose fu raddoppiata e il terzo giorno triplicata. E con tutto ciò, dalla paziente non apparve uscire cosa alcuna. Ella non ne risentì la minima emozione e per quei tre giorni parve in possesso del suo buonsenso e sempre uguale. La si fece salassare al braccio, alla presenza di tutti questi Signori e del Padre esorcista, il quale al massimo del flusso del sangue, comandò al demonio presente nel corpo di arrestarlo. Nell’istante del comando, il sangue si arrestò e per una durata di tempo molto lunga fu fermato in alto al di sopra del braccio. Poi al comando dell’esorcista che ingiunse al sangue di colare, esso riprese a fluire come in precedenza. I diversi comandi furono ripetuti parecchie volte, di modo che la priora perse una quantità così grande di sangue che il corpo più forte ne sarebbe stato notevolmente indebolito, mentre la madre, sebbene di una complessione delicata, non lo fu affatto. Sorpresi e stupiti di non vedere alcun effetto dell’antimonio, né di tutto ciò che accadde in questo salasso, tutti i medici confessarono che non c’era niente di naturale 6. Bisogna distinguere due tipi di pratiche e di teorie – quelle dei medici e quelle dei teologi esorcisti –, anche se esse appartengono spesso a uno stesso sistema d’interpretazione.

Un voyeur Tra i medici, eccone uno che viene da Parigi. Umanista di rilievo, dottore in medicina alla facoltà di Parigi, il signor Léon Le Tourneur scrive di Loudun, il 7 luglio 1634, in un latino elegante e di buon livello:

6 Le Grand Fougeray, Archives de la Visitation, «Extraits de la Vie de Jeanne des Anges», p. 59.

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Mentre a Parigi lo spirito è continuamente gravato dalle preoccupazioni più pesanti, quasi prostrato sotto il peso, e ciascuno aspira al sollievo di una qualche Itaca, solo riposo contro la fatica…

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Monsieur Le Tourner partiva in vacanza per raggiungere la sua isola di Ulisse, la sua Itaca familiare.

Persuaso dalla pressione di amici e condotto soprattutto dall’ordine ricevuto dai superiori, dovetti fare un giro a Loudun in vista di esaminare la verità di questa famosa demonomania, celeberrima in tutta la Francia già da due anni. In questo luogo importante (monumentum) ho passato otto giorni, tanto grande era la curiosità di uno spettacolo così strano. Egli viene a «visitare» – nel senso medico del termine – questo

monumentum. Più che da turista, egli arriva da «voyeur». Il suo vocabolario, come quello dei suoi colleghi, si ordina intorno a verbi indefinitamente ripetuti: admirari, considerari, contemplari,

examinare, explorare, inspectare, investigare, mirari, notare, observare, reperire, stupere (in o ad ), videre, etc. Le operazioni legate allo sguardo, benché accompagnate da aggettivi quasi ossessivi (accurate, sagacissime, etc.) inciampano tuttavia contro l’«inganno» di ciò che appare. In particolare, ciò che il viso mostra non è un’illusione? Una scienza medica – la metoposcopia – pretende di fondare una diagnosi sulle connessioni tra gli organi corporei e le parti del viso, ma allora essa è molto discussa. Ispira fiducia al signor de La Forge, medico venuto da La Flèche nel giugno 1634, grande scrutatore di visi. La Tourneur sembra preferirgli un’altra lettura (ma non è essa ancora più incerta?) il cui principio è che le parti del viso non rinviano a delle «residenze» corporee ma a dei vizi o a delle virtù:

La fronte, gli occhi, l’espressione del viso, e i tratti caratteristici mentono molto. Tuttavia, in queste vergini [di Loudun], la fronte non parla che di dignità; gli occhi, di modestia; le guance,

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di pudore; la bocca, di cose gravi e serie; tutta l’aria del viso, di un’avversione all’impostura7. Da parte sua, Pilet de La Ménardière, dottore della facoltà di medicina di Nantes, non può o non vuole credere

che i miei sensi sono stati vittima di incantesimo o che i libri sono degli impostori 8.

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Far parlare il corpo Bisogna ancora dimostrarlo. Assegnati alla difesa di un sapere sul terreno del vedere, i medici utilizzano le loro terapie come delle prove. Anche le pratiche sono destinate a «far parlare» il corpo, a far confessare a ciò che viene visto ciò che viene saputo. A questo proposito, niente di più pernicioso della letargia o, come notano il dottor Pilet, il dottor Du Chesne e altri ancora, del sonno vigilante in cui cadono le religiose. Le fumigazioni risveglieranno i corpi addormentati e richiusi. Questa tecnica olfattiva (fondata, una volta di più, sulla «virtù» degli odori) passa dai medici agli esorcisti:

La detta sorella [Agnès] è stata sorpresa da assopimento, e, dopo, da convulsione. Ed essendole ritornato l’assopimento, il detto Padre [Lactance] l’ha fatto cessare con delle fumigazioni, che sono state seguite da grandi convulsioni…9 Il procedimento prende la forma della tortura quando è maneggiato da padre Tranquille, vecchio esperto di battaglie contro il diavolo, e che ne ha una concezione da mercenario:

7 8 9

BN, Fds fr. n.a. 24.380, f. 180-181. Traité de la mélancholie, p. 23. BN, Fds fr. 7618, f. 30 (23 mai 1634).

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Egli teneva per massima che bisognava costringere i diavoli possessori a parlare spesso e a rispondere… Accadeva di tanto in tanto che la madre priora restasse uno e due giorni di seguito senza che i demòni che erano in essa sembrassero tormentarla. Se in questo tempo accadeva che alcune persone di rilievo, e a cui l’esorcista voleva rendere servizio, testimoniassero il desiderio di vedere dei segni della possessione, usava verso la posseduta tutte le invenzioni che giudicava appropriate a toccare il suo umore e a inasprire le sue passioni, adducendo come ragione che non c’era altro mezzo per fare apparire e parlare questi demòni. Per esempio, volendo fare in modo che la madre fosse messa in agitazioni esteriori al di là delle capacità naturali, egli eccitava la collera. Per mettere Satana sul punto di parlare, eccitava la gaiezza e la gioia. Per la collera e per inasprire l’umore della posseduta si serviva di fumi prodotti da candele di pece resina accese, di zolfo di ebbio e cose simili, facendo tenere il viso della posseduta esposto tanto e così a lungo a questo fumo che, non potendone più e avendo perso la pazienza per l’eccesso di dolore, Satana comparve in lei. Per eccitare altre passioni ricorreva pure a mezzi altrettanto irragionevoli, cosa che si riconosceva allorché, non avendo la povera fanciulla altra difesa che le sue grida e lamentazioni, ella vi faceva ricorso con tutta la sua forza. Allora quelli che le udivano e accorrevano in suo soccorso, cadevano nello stupore di vedere tale cosa, mentre quest’uomo li rimandava indietro in modo così brusco e rude che si temeva di ritornarvi 10. Droghe Questo caso aberrante, rinforzato da un’apologetica, è la conseguenza estrema di un spostamento in un sistema terapeutico: 10 Le Grand Fougeray, Archives de la Visitation, «Vie de la Mère Jeanne des Anges», pp. 71-72.

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esso attesta un uso nuovo della fumigazione. Lo stesso vale per le droghe, che sono impiegate dai dottori Rogier, Cosnier, Grolleau, Carré, Brion, Jacquet e Duclos:

Nel dare le medicine, abbiamo proceduto per ordine, cominciando dalle più leggere e tenendo conto delle forze, dell’età, del temperamento e dell’umore peccante11. Tali sono state la sena, il rabarbaro, l’agarico, starpethe, cartamo e simili, come si danno a splenetici, epatici, cefalici, iplerici, etc. In seguito ne sono state usate di più forti: la scamonea (dacrydium), l’alcandalo (alhandual) e i loro composti che si vendono nelle botteghe, senza omettere l’elleboro e lo zafferano di metalli. Tutte queste medicine sono state date senza alcun effetto, come è stato notato più sopra12. Queste droghe sono essenzialmente delle purghe: la sena purga la bile nera e la pituita del cervello (si sa che la follia è causata

dalla conformazione irregolare del cervello, di qualche umore freddo o pituitario che l’opprime); il rabarbaro, pesante, caldo e secco al secondo grado, purga la bile (come fa la scamonea); l’agarico, la flemma; etc. Altre medici somministrano l’antimonio diaforetico, il sale policresto, la coloquinta. Con questa, si realizza

un piccolo clistere insinuativo, preparativo e emolliente o un buon clistere detergente. A fianco di queste droghe, esistono altre tecniche. Alcuni dottori moltiplicano i salassi. Si analizza soprattutto il polso e il sudore, meno di frequente la deglutizione, le deiezioni, le urine: sono gli esami di base. Il senso di queste diverse terapie consiste nell’essere tattiche dimostrative. Esse devono costringere il corpo a parlare da testi11

Questa espressione oggi obsoleta designava gli umori che causano malattie. Anche in francese equivale a “umore malvagio” [n.d.c.]. 12 BN, Fds fr. n.a. 24.380. Su queste droghe, v. N. Lémery, Pharmacopée universelle contenant toutes les compositions de pharmacie..., L. d’Houry, Paris 1697.

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mone della scienza che le organizza. Mirano a far sì che il corpo rimandi, come da uno specchio, l’immagine di un sapere. Che per esempio siano senza effetto, conferma il carattere sovrannaturale del fenomeno e, altrettanto a pieno, la teoria che nega alla melanconia la capacità di produrli.

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Definire ciò che ha forza probatoria La definizione di ciò che può avere valore di dimostrazione appartiene al dotto, poiché è lui stesso a definire quali sono le cause e quali sono i loro effetti. Nel suo Traité de la mélancholie, Pilet de la Ménardière pensa che la melanconia non può avere gli effetti da lui constatati a Loudun; non può essere la melanconia, dunque, a spiegarli ma qualcosa che va al di là della natura. Nel suo Discours de la possession des religieuses de Loudun13, lo scozzese Marc Duncan, filosofo e medico installatosi a Saumur, elabora una teoria dell’immaginazione che gli permette di ricollegarvi tutti i fatti di Loudun, che sicuramente non traggono origine dall’impostura. La Satire latina indirizzata nel 1635 al Clero di Francia da Claude Quillet, allora medico a Chinon, e la sua

Relation de tout ce que j’ay veu à Loudun en neuf jours que j’ay visité les possédées (1634), assumono la stessa posizione con le medesime argomentazioni14. Du Chesne è più incerto ma, poiché le sue concezioni generali sono esitanti, egli inclina piuttosto

13

Discours de la possession des Religieuses de Lodun (sic), Saumur 1634, 64 pp. Un’antica copia è alla BN: Lb 36.3029, Rés., pp. 2-20. 14 Sulla Satire v. R. Pintard, Le libertinage érudit dans la première moitié du XVIIe siècle, Boivin, Paris 1943, pp. 221-223. La Relation di Quillet si trova alla BN, Fds fr. 12801, f. 1-10. Il processo verbale dell’esorcismo del 20 maggio 1634 al quale Quillet ha partecipato è conservato alla BN, Fds fr. 7618, f. 25-26.

223 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

dal lato dei «possessionisti»15. François Pidoux, decano della facoltà di medicina di Poitiers, lui invece non ha alcuna esitazione e pubblica una dopo l’altra In actiones Juliodunensium Virginium… Exercitatio medica (due edizioni lo stesso anno) contro Duncan e la sua Deffensio contro il signor Duval, che l’aveva trattato da ignorante in un opera apparsa sotto lo pseudonimo di Eulalio («colui che parla bene»)16.

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Una fisica della melanconia Il vero dibattito è di ordine teorico. Questi medici sono filosofi, oppure fanno riferimento a una filosofia (a una cosmologia), come alla disciplina dirimente in merito alla questione posta dalle osservazioni eseguite a Loudun. Nel settembre 1634 Pilet de la Ménardière scrive così al suo amico parigino, il signor Du BoisDaufin:

Voi che siete una persona competente in filosofia naturale, esaminate, vi prego, se, secondo la Fisica17, i fatti [di Loudun] possono derivare da una causa [naturale]. E nel suo Traité se la prende con la ridicola opinione (che attribuisce le azioni delle possedute all’umor nero) che non ebbe

15

Attestatio Chesnati Medici Coenomanensis (1635), BN, Lb 36.3029,

Rés., pp. 148-154. 16 In actiones Juliodunensium Virginum, Francisci Pidoux Doctoris Medici Pictaviensis Exercitatio Medica, ad D. Duncan, Doct. Medic., Poitiers, J.

Thoreau, 1635, in 8°: due edizioni, l’una di 77 pp. (BN, in 8° Td 86.15), l’altra di 160 pp. (BN, in 8° Td 86.15 A); Deffensio Exercitationum Francisci Pidoux, Thoreau, Poitiers 1636, in 8°. 17 Nel Medioevo, il termine francese physique, come il corrispondente italiano fisica, designava la scienza medica, che per la sua natura teorica veniva opposta, se non contrapposta, al sapere di ordine pratico-empirico della chirurgia [n.d.c.].

224 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

mai fondamento in altro che un errore popolare o quello dei filosofi della setta di Pomponazzi18.

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Apparso a Bâle nel 1556, ripubblicato nel 1567, il De naturalium effectum (admirandorum) causis, sive de incantationibus (Delle cause delle meraviglie della natura, o degli incantesimi) del mantovano Pietro Pomponazzi, è il bersaglio preso di mira da La Ménardière; l’opera è in effetti una delle più audaci tra quelle che aprono la filosofia moderna19. Egli definisce le cause cui i fatti vanno ricondotti a titolo di effetti. La concezione che Pomponazzi si è costruito dell’immaginazione e ancor più di un determinismo naturale, lo induce a collocare sotto questa causa i dati percepiti, per quanto strani essi possano apparire. Nel 1616, a Parigi, Vanini riprende le sue idee, addirittura copiando il suo testo nell’opera De Admirandis Naturae Reginae Deaeque Mortalium Arcanis. Le dispute suscitate da questa tesi si pongono sul terreno della teoria cosmologica e non dell’osservazione. Esse definiscono quale «verità» bisognerà riconoscere nei sintomi più straordinari. Così procede Pierre Le Loyer d’Angers, quando se la prende con Pomponazzi (perché è divenuto di moda tra gli eruditi) nei suoi

IV Livres des spectres ou apparitions et visions d’esprits, anges et démons (Angers, 1586; Paris, 1605 e 1608) – un libro a cui Pilet de La Ménardière s’ispira parecchio, anche se ne parla poco. Qualunque cosa ne sia di un soggetto dibattuto da tutti i «filosofi» contemporanei o dei sistemi che combinano in varianti diverse i temperamenti – sanguigni, melanconici, flemmatici e così via –, i quattro elementi – fuoco/caldo, acqua/umido, aria/freddo, terra/secco –, gli umori – bile, atrabile, pituita, sangue –, gli «spiriti» – naturali, vitali o animali – e così via, l’essenziale è la deci18 19

Traité de la mélancholie, p. 3. V. P. Pomponazzi, Les causes des merveilles de la nature…, trad. et introd. H. Busson, Rieder, Paris, 1930. [Cfr. rist. anastatica del De naturalium effectum…, Olms, Hildesheim-New York 1970; Gli incantesimi, a c. di C. Innocenti, La Nuova Italia, Firenze 1997, n.d.c.].

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sione epistemologica alla quale l’osservatore delle possedute è rimandato e che spinge l’«erudito» a prendere posizione sul possibile, sia in nome di una tradizione contestata che a titolo di nuove opzioni teoriche.

L’immaginazione innocente

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Restituire i fatti apparenti alla loro «causa Materna», tale è il proposito di Pilet de la Ménardière. Partigiano convinto della possessione, contesta che i «prodigi» di Loudun siano semplice-

mente gli effetti di un Umore capriccioso, risvegliato dalla potenza della sola Immaginazione alla vista degli strumenti e alla parola delle persone che esercitano gli esorcismi. No, risponde, l’Immaginazione non ha questo potere. Lui lo sa:

L’Immaginazione, a cui si accorda così clamorosa importanza e che è l’asilo di quelli che hanno esaurito le loro finezze ma non le loro ingiustizie nel caso che qui si presenta [Loudun], non ha un così grande potere come pensa la maggior parte delle persone. E bisognerebbe che in questa occasione essa fosse tanto potente quanto le Idee di Dio stesso, perché una melanconica fosse posseduta davvero in virtù del fatto che ella avrebbe creduto di esserlo. …I pensieri degli uomini, benché siano spirituali e in qualche cosa simili alla forma che dona l’essere, non hanno questa virtù di far essere realmente i loro esseri della ragione. Ne conseguirebbe altrimenti che se immaginassi di essere il castello di Sablé, diventerei incontanente ciò che penserei di essere. E per la stessa conseguenza, non ci sarebbe malato alcuno purché si ritenga di essere sani, dato che questo pensiero, temperando gli umori o cacciando le altre cause, ci metterebbe nello stato che occorre per essere in perfetta salute.

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Immaginazione e giudizio Non è un’ingiustizia togliere all’Immaginazione una potenza immaginaria che non le appartiene… Quelli che la conoscono meglio, sanno bene che è suo mestiere concepire semplicemente i fantasmi [ovvero ciò che oggi noi chiameremmo fantasmi della mente] o le immagini che rappresentano le cose stesse… Quando il vetro di uno specchio rappresenta come essi sono gli oggetti che lo guardano, non lo si può accusare di non essere molto fedele, anche se le immagini nel suo cristallo fossero le più mostruose e le più strane del mondo. E così se sopra gli occhi avessi occhiali di vetro dipinto, avrei torto di disapprovare che i miei occhi vedano tutte le cose del colore del vetro, poiché la loro funzione naturale è di percepire i loro oggetti nel modo in cui essi appaiono e non di cercare di indagare se esso è falso o vero. Così, quando nel sonno che è generato dai vapori che si levano dalle viscere o in qualche indisposizione che ne fa salire al cervello, come fanno appunto le malinconie, noi immaginiamo delle chimere o altre cose che non sono che l’impurità dei fumi (i quali sono le cause materiali delle idee che abbiamo) fatti passare per veri alla prova del giudizio, poiché ad esso tolgono la libertà di riconoscere il suo inganno, non è l’Immaginazione allora, intendo la facoltà dell’anima, che merita di essere biasimata, perché essa non smette di eseguire il suo compito come bisogna… È il nostro giudizio invece ad avere l’intera colpa (benché ne sia innocente, non essendosi smarrito che per la privazione dei suoi lumi, che sono spenti o offuscati dall’oscurità dei vapori), se esaminando le cose di cui deve essere l’arbitro e il controllore generale, fa un falso ragionamento sulla qualità delle specie e se a sproposito approva una visione erronea che, per parlarne propriamente, non deve essere chiamata ingannatrice se non perché la ragione non l’ha rettificata e essa non ha saputo discernere il vero essere dall’apparente e la verità dalla menzogna.

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I limiti della natura Le questioni nate dall’esperienza 20 facevano appello a una decisione teorica, che classificasse tra i possibili tutto ciò che offre la vista. Qui, con un movimento analogo, la verità e la menzogna sono sottratte all’immaginazione come alla vista, per essere assegnate al giudizio, il cui valore dipende solo dalla sua libertà e dai ragionamenti. Circoscritta nell’atto di giudicare e di discorrere, la verità sfugge alle difficoltà dell’osservazione ma è così legata all’arbitrato solitario del pensatore o alla correzione di ragionamenti le cui premesse non possono essere che ricevute (e da dove?). Situazione cartesiana o pre-cartesiana! Molto di più, quando La Ménardière attribuisce i fatti di Loudun a una causa sovrannaturale, la cui «verità» si riconosce sul posto, in questo modo istituisce il limite di una regione (naturale) dove si estende il suo sapere.

Io mantengo [la natura] nelle cose in cui so che essa è ben fondata, e sono così scrupoloso nel non toglierle niente di suo, che cerco di essere equo, non estendendo il suo dominio a scapito di cause sovrannaturali…21 Alla gente onesta Essere «possessionista» è per lui insomma una decisione che fonda la possibilità del ragionamento sulla necessità reciproca di localizzare il sovrannaturale. Egli istituisce una ragione, attribuendole un luogo in cui il giudizio sia l’arbitro e il controllore generale. Nella sua Dedica Alla gente onesta, dichiara che la sua pubblicazione è un brano staccato, ricavato da un’opera che è

pronta da lungo tempo e che vedrete se mi sento ad essa vincolato da ragioni tanto pressanti quanto quelle che mi costringono a 20 21

Traité de la mélancholie, pp. 44-55. Ivi, pp. 57-58.

228 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

darvi questo breve discorso… Non considero ingiusto che disponiate del mio lavoro, malgrado tutto il mondo dica che i bambini e i libri appartengono al pubblico, io non sono di questo avviso per ciò che concerne gli ultimi. Penso che i miei scritti appartengano più a me che ad altri, poiché essi partono dal mio spirito, che è naturalmente libero e per la sua condizione dispensato dalle leggi della polizia umana…22

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Poiché il libro appare anonimo, La Ménardière aggiunge:

Se esso vi sembrerà buono, sarete abbastanza curiosi da cercare di sapere chi sono. E se non è di vostro gusto, non sarà affatto necessario che ne conosciate l’autore. Addio23. Egli si cancella dai suoi scritti, come per vederli dal luogo del suo ritiro, di là da dove «essi partono», e con uno sguardo diverso da quello del pubblico. La causa delle cose percettibili ha in qualche modo lo stesso posto rispetto ai suoi effetti, che non dicono nemmeno più il nome suo proprio e «parlano» soltanto al dotto che conosce l’agente esso stesso. Nel 1638, divenuto consigliere e medico di Sua Altezza Reale, Gaston d’Orléans pubblica i suoi Raisonnements sur la nature des esprits… Dopo, nominato lettore del re, eletto membro dell’Accademia francese, s’interessa di più alla poesia, cui dal 1640 consacra la sua Poétique. Nel 1634 fa parte dei «possessionisti» ma non per questo è necessariamente retrogrado. Deve tuttavia prendere una posizione teorica innanzi a un caso estremo. Tra i partigiani della causalità sovrannaturale, ci sono opzioni estranee, se non opposte alla sua. Ma, come quelle degli «antipossessionisti», esse si riferiscono tutte alla sfaldatura che si è operata tra la causa e gli effetti, di modo che bisogna o vedere nell’esperienza l’apparizione esorbitante di un vero essere determinato 22 23

Ivi, Dédicace, non numerata. Ibid.

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dalla ragione oppure, con un cambiamento di polo, fare dello sperimentale il punto di partenza di un’altra ragione. Da un lato, si delinea il razionalismo cartesiano; dall’altro, un positivismo che, a Loudun, prenderà ormai una forma volta a volta «scientifica» o «mistica». Queste opzioni, infatti, si condeterminano, perché non possono staccarsi dal problema, o, se si preferisce, dal sistema che le comanda.

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Gli antipossessionisti Quando «si pronunciano» sulla possessione, anche gli antipossessionisti si basano su una teoria della melanconia, dell’Immaginazione, infine della natura e dunque del possibile. Ma la loro opzione è rovesciata rispetto a quella di La Ménardière. Lungi dal porre un limite alla ragione per costituire il dominio in cui si esercita la conoscenza naturale, essi inglobano in anticipo in una causalità naturale tutto il conoscibile. C’è qui una sfida, una scelta audace dello spirito, molto prima di essere il risultato dell’osservazione. Questa scelta, resa possibile dalla frattura dell’omogeneità religiosa della società, si enuncia il più delle volte in un quadro tradizionale e immutato dei fatti. Nella prospettiva «antipossessionista», l’ignoto o l’estraneo non è attribuito a una causa sovrannaturale (ma nota da altra parte), vale a dire a un al di fuori della natura, bensì è collocato all’interno della conoscenza naturale, ma come il suo avvenire. In altre parole, l’ignoto non appartiene a un’altra conoscenza (rivelata). Appartiene al futuro della medesima conoscenza; rappresenta ciò che il già definito potere della ragione non ha ancora raggiunto. In effetti, nel momento in cui la teoria stabilisce che i fatti non possono essere sovrannaturali, essa rende possibile nuove procedure tecniche e «osservazioni». La spiegazione dei prodigi di Loudun, dunque, può in entrambi i campi dare uno statuto agli stessi fatti ma attribuendo loro sensi opposti. Per esempio, alcuni possessionisti e alcuni anti230 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

possessionisti ammetteranno (vedranno) ugualmente che quella data religiosa si innalza al di sopra del suolo, ma i primi si pronunceranno per un effetto del diavolo, i secondi per un effetto della melanconia. La Ménardière nota che le fanciulle non si abbandonano a delle azioni straordinarie, se non quando gli esorcisti si rivolgono a esse come possedute e che il mezzo per rassere-

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nare e placare queste tempeste che salgono fino al cielo, è parlare a questi Spiriti come a degli ospiti della terra, testimoniando con i propri gesti che non si crede che i diavoli si trovino in questi corpi miserabili 24. Da questo fatto egli deduce che le potenze infernali si manifestano solo quando la Chiesa le interpella e che la regolarità delle convulsioni, quando gli esorcisti si rivolgono ai diavoli, esclude la spiegazione dei fatti con il temperamento melanconico delle possedute. All’opposto, dallo stesso fatto altri deducono che gli esorcisti, armati di latino, paramenti e ingiunzioni sacre, producono sulle melanconiche impressione tale da indurle a conformarsi al personaggio che da esse ci si attende.

Erotomania Per Claude Quillet, la diagnosi è semplice: Isteromania [Hystéromanie]. Questo medico di Chinon non ha che ventisette anni. Rabelaisiano, intrigante, poeta, erudito inesauribile, amico del buon cibo e della buona ragione, a partire dal 1636, data della sua partenza per Roma con il maresciallo d’Estrées, inaugura una brillante carriera che gode del compiacente appoggio di Richelieu e della cerchia di relazioni che il suo libero genio procura a quest’uomo piccolo, grosso, rosso, ma ammirato da Naudé per il suo parlare franco e le sue conoscenze. Per lui, a dire di Naudé: 24

Ivi, pp. 119-120.

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Sarebbe meglio dire Isteromania, ovvero Erotomania… Queste povere diavolesse di religiose, vedendosi rinchiuse tra quattro mura, s’impazzano, cadono in un delirio melanconico, tormentate dal pungolo della carne, e, in realtà, è di un rimedio carnale che esse hanno bisogno per essere perfettamente guarite 25. Questa boutade da studente di medicina non impedirà che Quillet nella sua Callipaedia (Paris, 1655-1656) attribuisca ai segni dello zodiaco un’influenza determinante sul concepimento dei figli. Ma egli vuole soprattutto sostenere che a Loudun non c’è nulla che non sia «naturale», riservandosi quindi di definire quali cause naturali si manifestano nei prodigi constatati. Ismaël Boulliau, il suo vicino e amico originario di Loudun, fa altrettanto. Ancora con tutta la sua nativa vivacità, a ventinove anni questo protestante convertito al cattolicesimo e ordinato prete nel 1630, astronomo, appassionato di storia e di lingue orientali, dal 1631 fedele corrispondente di Gassendi, mette lo stesso ardore sia nel diffondere la sua fede che nel condannare l’ingiustizia del processo condotto contro il suo amico Grandier o la superstizione dei devoti infatuati di miracoli.

Uno scettico: Duncan La migliore analisi degli avvenimenti di Loudun si deve a un fratello maggiore di questi «eruditi» legati tra loro da convinzioni e incontri: Marc Duncan. Ha già pubblicato un compendio di logica. S’interessa di matematica, filosofia e teologia tanto quanto di medicina, che esercita a Saumur, dove è sposato. Presto sarà invitato da Giacomo I, re di Gran Bretagna, come medico ordinario. Rifiuterà, per restare a Saumur. Il suo Discours sur la possession des religieuses ursolines de Loudun (1634) gli procurerà 25 V. R. Pintard, Le libertinage érudit, p. 222, in cui si cita una lettera posteriore di Naudé a Guy Patin.

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delle difficoltà con la marescialla de Brézé, sua cliente, impressionata dalle critiche di Laubardemont. Egli vi scrive:

Ma poniamo che non ci sia dell’impostura né della finzione in questo caso. Ne consegue per ciò che queste fanciulle siano possedute? Non può darsi che, per follia o errore d’Immaginazione, esse credano di essere possedute, non essendolo? Questo accade facilmente agli spiriti predisposti alla follia, se sono rinchiusi in un convento e si confondono nella meditazione, e ciò in diverse maniere. In primo luogo, dopo digiuni, veglie e profonde meditazioni sulle pene dell’inferno e sui diavoli, e sui loro artefici, e sui giudizi di Dio e altre cose simili. E sarebbe auspicabile che tali spiriti non s’abbandonassero alla vita solitaria e religiosa, poiché la frequentazione ordinaria di uomini potrebbe servire a preservarle da tali mali. In secondo luogo, a ciò potrebbe dare occasione una parola del loro confessore ben detta ma male interpretata. Poiché se egli dicesse loro che questo o quel desiderio malvagio, per esempio lasciare il convento e sposarsi, che esse avrebbero provato e di cui si sarebbero confessate, proviene dalla tentazione e suggerimento del diavolo, sentendolo spesso rinascere nei loro cuori, esse potrebbero scivolare nell’opinione di essere possedute, e lo spavento che avrebbero degli inferi farebbe loro immaginare di aver sempre un diavolo con la coda. In terzo luogo, un confessore, vedendole dire e fare cose strane, potrebbe, per ignoranza e semplicità, credere che esse sarebbero o possedute o stregate, e in seguito persuaderle di ciò per il potere che egli ha sugli spiriti. E infatti sorella Agnès ha spesso detto, quando la si esorcizzava, «che ella non era posseduta, ma che si voleva farglielo credere, e che la si costringeva a lasciarsi esorcizzare». E il ventiseiesimo giorno di giugno scorso [1634], avendo l’esorcista inavvertitamente lasciato cadere dello zolfo bollente sul labbro della sorella Claire, ella si mise a piangere amaramente dicendo «che, poiché 233 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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si diceva che ella era posseduta, ella si dava un gran da fare per crederlo, ma che non per questo meritava di essere trattata così». Ora se tali pensieri afferrano una volta gli spiriti di due o tre tra di esse, subito essi si estendono e si comunicano a tutte le altre. Perché le povere fanciulle prestano molta fede a ciò che dicono le loro compagne e non osano revocare in dubbio ciò che dice la loro madre superiora. In seguito si spaventano e a forza di pensarvi giorno e notte, fanno risalire i loro sogni a visioni e le loro apprensioni a visite di spiriti. E se nell’oscurità intendono il rumore di un topo, esse credono che sia un demonio, o se un gatto sale sul loro letto credono che sia un mago entrato dal caminetto per attentare alla loro pudicizia…26 Il sogno e il libro La forza dell’immaginazione, con la quale Pomponazzi spiegava già i miracoli27, tra persone assai suscettibili di essere impressionate agisce in virtù della reclusione e del contagio: due pericoli che qui, come nella terapia del tempo, richiamano l’aerazione e la separazione. In particolare, gli spiriti, come una sorta di fluido, si trasmettono tra persone vicine. Secondo Duncan, questo contagio o comunicazione degli spiriti è alla base di una patologia mentale e fisica. Lo sarà per lungo tempo. Nel 1677, Jean de Santeul sottometterà ancora il «caso» seguente al dottor Vallant, medico della marchesa de Sablé:

Si supplica Monsieur Vallant di dire il suo pensiero su questo fatto: due persone erano molto vicine l’una all’altra, di modo che si toccavano. L’una aveva la colica con degli spasmi piuttosto 26 Discours sur la possession des religieuses ursulines de Loudun, 1634, in 12°, 64 p. (BN, Recueil Thoisy, vol. 92, f. 292-330; BN, Lb 36.3023). 27 Cfr. P. Pomponazzi, Gli incantesimi, cit.

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violenti, mentre l’altro stava benissimo. Una mezz’ora o un’ora dopo, la persona che stava bene si lamentò che si sentiva al ventre come dei dardi e delle punture con cui la si trafiggeva… Non si può a ragione attribuire questo effetto improvviso alla comunicazione degli spiriti, che passerebbero da un corpo all’altro e che li scuoterebbero tutti e due dello stesso movimento? Vi si è scelto come giudice, Monsieur, e non si avrà nessuna pena a sottomettersi al vostro giudizio, al quale assolutamente ci si rimette28. Sotto i sintomi circolano questi «spiriti» di cui il medico detiene la conoscenza, di cui è giudice a titolo del suo sapere e che deve scoprire sulla superficie scompaginata o strana delle «apparenze». Non è dunque sorprendente che l’immaginario, i sogni o le ossessioni – questi libri della notte, come dice Le Loyer – riportino i dotti verso il libro stampato, verso la solidità dello scritto pubblicato, verso la dottrina stabilita tra eruditi: da qui le innumerevoli «autorità» le cui opere, soprattutto antiche o specialistiche, arredano le biblioteche dei medici29, e riferendosi alle quali i dottori riempiono i margini o il testo dei loro «giudizi» e «ragionamenti».

Se si vuol credere ai più dotti medici, si dice nel Factum pour Urbain Grandier, un soffocamento di matrice, una colica di Poitou, una febbre ardente, una malattia epilettica, possono causare dei sintomi, convulsioni, contorcimenti e smorfie ben più strane di quelle che sono apparse… Testimoni ne sono Simon Goulard, nella II parte del I libro delle sue Histoires admirables; Brasavole, nel suo Commentaire sul 65° aforisma d’Ippocrate, nel suo libro V; Uvier, nel libro III dell’ Imposture des diables, capi28

«Portefeuille» di Vallant, pubblicato in P.-E. Le Maguet, Le Monde médical parisien sous le grand roi, Maloine, Paris 1899, p. 540. 29 V. H.-J. Martin, Livre, pouvoirs et société à Paris au XVIIe siècle, Droz, Genève 1969, pp. 527-529.

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tolo 15; e il dotto chirurgo Pigray, al capitolo 6 del libro VII della sua Chirurgie…30

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Dai libri del giorno a quelli della notte, dalle «autorità» ai sogni, dal medesimo all’altro, i dotti difendono il testo continuo di un sapere di cui rischiano di essere spossessati e di cui devono senza posa restaurare la lettura – o la leggenda –, riconoscendolo sotto delle forme teratologiche.

30

Factum pour Maître Urbain Grandier... (v. cap. 8, nota 5).

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II

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Il mentitore della teologia

Quando tenta di strappare la verità al Mentitore, anche l’esorcista combatte con il libro nella mano, quello del Vangelo, il trattato di un teologo, l’Histoire véritable di Padre Michaelis o qualche altra autorità in Demonologia. Secondo la brochure intitolata Lettre au Roy du sieur Grandier (che non è di Grandier), …niente

fu detto che non si trovi parola per parola nel libro del Padre Michaelis, che ha redatto l’ Histoire delle possedute di Provence, il quale è l’originale su cui quelle di qui si sono modellate1. Le certezze dei dotti I fatti sono modellati sul libro ancor più di quanto pensi l’autore della Lettre. La natura dell’avvenimento, vale a dire l’avvenimento stesso, dipende da una scienza che definisce la natura degli spiriti. Da qui l’importanza della consultazione richiesta ai dotti teologi di Parigi all’inizio del caso. Essi sono lontani dal luogo dei prodigi, ma, proprio per questo, situati nel posto da dove un sapere può dare nome a ciò che si manifesta a Loudun. Tale è il senso della risposta (in latino, naturalmente) inviata dai quattro dottori della Sorbona consultati nel 1633 dal vescovo di Poitiers: 1 Lettre au Roy du sieur Grandier accusé de magie (1634); BN, Fds fr. 7619, f. 84-89, e Fds fr., n.a. 6764, f. 115-117; Bibl. Arsenal, ms. 5423, pp. 1209-1218; etc.

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Noi, sottoscritti dottori di teologia della venerabile Università di Parigi, dopo che, su domanda dell’Illustrissimo e Reverendissimo Padre nel Cristo, D. D. Henri-Louis de Chasteignier-Rocheposay, vescovo di Poitiers per la grazia di Dio e del Santo-Seggio apostolico, abbiamo visto e a fondo esaminato i fatti e le relazioni dei dottori in medicina e chirurgia della casa delle Orsoline di Loudun, abbiamo giudicato e giudichiamo che due di queste religiose, cioè la madre Jeanne de Belciel, superiora del convento, e sorella Claire de Sazilly, sono veramente e realmente possedute dal demonio, e da tenere e trattare come energumene. Le prove dell’esistenza del diavolo In primo luogo, perché, secondo le relazioni dei medici, quelle due religiose sono state viste da quelli e da molti altri sospese in aria per un quarto d’ora, di modo che sarà stato necessario che il loro corpo, malgrado il suo innato peso, fosse innalzato nell’aria e mantenuto così sospeso. Poiché è del tutto evidente che questo non può prodursi naturalmente, qualche potenza superiore alla natura ha dovuto trattenerli in questo stato di sospensione. Questa potenza non può essere altra che quella del demonio, come risulta chiaramente da altri effetti e scongiurazioni o esorcismi. Benché certuni richiedano che, oltre a questo mantenimento nell’aria, uno starnuto scuota la energumena o le energumene riportandone il corpo in basso, nondimeno, a esse sole, la sospensione e dimora nell’aria senza alcun appoggio bastano ampiamente a provare la possessione del demonio. In secondo luogo, perché le religiose suddette, distese sui loro letti, si sono poi drizzate sui loro piedi senza alcuna inclinazione del corpo né alcuna flessione delle articolazioni, cosa naturalmente impossibile come dichiarano tanto Aristotele nelle Meccaniche e altrove, quanto Galeno nel suo libro Dell’uso delle parti, passim. Che non si dica che i danzatori e i funamboli, per stupire un pubblico di semplici o carpirgli del denaro, si drizzano a volte su238 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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bitamente sui loro piedi, e che per conseguenza non si può ritenere questo sollevamento delle religiose una prova infallibile della possessione diabolica. Questa obiezione è doppiamente confutata, come falsa e contraria all’esperienza: da una parte, quando i danzatori si drizzano sui loro piedi, non sono distesi, ma si tengono curvati, come Trucardo di Napoli ha dimostrato visivamente con uno schema disegnato; dall’altra parte, in questo sollevamento interviene una flessione del tronco nel suo mezzo che non si vide nelle suddette religiose, poiché esse erano assolutamente distese, in nessuna parte del corpo incurvate, quando da coricate passarono allo stato eretto in presenza di osservatori e medici, e, cosa che è la più importante, esse non presentarono alcuna flessione del tronco e delle articolazioni. Così questo sollevamento è un segno infallibile della presenza in esse di una potenza più forte e più elevata di quella della natura, o (ciò che è la stessa cosa) della loro possessione da parte del demonio. In terzo luogo, nelle suddette religiose, durante il periodo degli esorcismi, si produssero delle convulsioni, agitazioni e contorsioni spaventose, che, a dire dei dottori medici, non si constata mai, nei numerosi casi di malattia splenetica, uterina, epilettica e simili, senza orribile movimento del viso, della bocca, degli occhi e delle guance. Per di più, queste agitazioni non modificavano del tutto il polso naturale delle arterie e non lo trascinavano più veloce del solito; al contrario, restava nello stato proprio a un corpo tranquillo e in perfetta salute, dal punto di vista del movimento di sistole e di diastole. Certamente, è la prova che l’agitazione e il tormento delle suddette religiose non provengono dalla natura (la cui pulsione si manifesterebbe con qualche infima commozione) ma da un agente superiore, cioè il diavolo. Come lo è parimenti che questi sintomi violenti e strani arrivavano per la forza degli esorcismi e delle scongiurazioni, che essi scomparivano con la loro interruzione e che le religiose ritornavano allora alla loro calma anteriore.

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Salva Reverentia …È perciò, per tutti e per ognuno di quelli a cui conviene o potrà convenire, noi attestiamo che queste due religiose, Jeanne de Belciel e Claire de Sazilly, sono veramente e realmente prese e possedute dal diavolo, e che questo non può essere negato senza malizia o errore da ogni persona che esaminerà attentamente e a fondo questi segni. Quanto alle altre quattro religiose dello stesso convento che i dottori medici giudicano ossesse e non possedute, non intendiamo esprimere una valutazione, poiché i sintomi che le riguardano non sono altrettanto chiari che nei due casi precedenti. Se si desidera tuttavia da noi una qualche valutazione fondata sull’esame dell’informazione ricevuta, con tutto il rispetto dovuto ai dottori medici noi diremo che esse paiono possedute piuttosto che ossesse. L’ossessione proviene in effetti dal demonio in quanto agente esterno. Ora ciò che gli esorcismi o altre azioni fanno apparire in queste quattro religiose sembra provenire da un principio interno. Ma noi teniamo in sospeso il nostro giudizio, e preferiamo lasciare pronunciarsi i dottori suddetti e gli altri testimoni oculari. Deliberato a Parigi l’undici febbraio dell’anno del Signore 1633 2. L’adattamento Questa strana diagnosi è firmata da Antoine Martin, Jacques Charton, onesti professori, e da due celebrità teologiche parigine del tempo: André Duval e Nicolas Isambert. Anch’essi, anzi essi in particolare, non hanno che il potere di esprimere un giudizio. I fatti gli arrivano già ricavati e inquadrati da una osservazione che non è la loro. Su ciò che altri – i medici 2

BN, Fds fr. n.a. 6764, f. 81-82.

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– hanno già determinato, non resta loro che aggiungere un senso di cui essi, in nome di conoscenze tramandate, dicono che è la verità. Ma, dato che in realtà una verità è già posta dalla presentazione stessa dei fatti, essi devono necessariamente adattare la propria verità a quella che è loro imposta. A differenza dei dottori in medicina che commisurano le «vedute» eseguite con i loro occhi alle loro vedute teoriche, a differenza soprattutto del commissario e dei giudici civili, che con la loro stessa azione isolano delle unità, i dottori di teologia sono tenuti ad allinearsi, con la loro propria argomentazione, ai giudizi e ai fatti stabiliti fuori di essi – anche se, per il principio e salva reverentia, essi notano uno scarto, tutto ipotetico del resto, rispetto alla diagnosi pronunciata dai medici. Non è per nulla sorprendente che il quadro dei sintomi fornito dallo sguardo medico sembra catturare e ossessionare la riflessione teologica. Questa è invischiata nella colla delle immagini corporee, benché le debba tenere a distanza per confrontarle con la dottrina tratta dai libri che dicono la natura dei «veri» esseri.

Dall’esorcismo alla magia Tra decine di altri, due tratti rivelano presso gli esorcisti questa situazione ambigua della teologia innanzi ai fatti e ai loro osservatori medici: da una parte, la distorsione dell’esorcismo che, da atto liturgico, operazione salvifica e rivelatrice, diviene l’arma di un combattimento teatrale, la confessione di una perdita attraverso il lavoro di un recupero; dall’altra, in seguito a un rovesciamento delle posizioni tradizionali, la verità deve essere cercata nella menzogna ed è il mentitore che la dice. Come si è visto, l’esorcista va verso le pratiche mediche. Adotta le fumigazioni del dottore e le droghe dello speziale, come se, mettendosi sul terreno del diavolo, accettasse anche la tattica del medico. Per esempio, quando la religiosa cade nell’assopimento che neutralizza l’azione, il Padre benedice dello zolfo, della ruta e 241 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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altre droghe, per fare delle fumigazioni e per bruciare, come il giorno precedente, l’immagine di Béhéric [un demonio] e dei suoi compagni dipinta su un foglio di carta con i loro nomi…3 Questo sincretismo fra procedimenti magici e procedimenti terapeutici dell’epoca si ritrova in tutti i processi verbali. Queste tecniche estranee alla liturgia non erano molto utilizzate in passato. Ciò sarebbe dovuto al fatto che in questo momento l’esorcista perde fiducia nelle sue tecniche o che esse cessano di essere delle pratiche – un atto – per trasformarsi in teatro e in parole senza efficacia? Egli dispone tuttavia dei suoi strumenti e dei mezzi suoi propri. Ma, allorché i medici sono messi nella posizione di spettatori e lui, per esempio il padre Gabriel Lactance, in quella di regista,

…il detto esorcista rispose che, [avendo] molti fra i medici richiesto di far loro vedere contorsioni di cui avevano inteso parlare con ammirazione, desiderava dare loro questa soddisfazione4, egli impiega cose sacre, le reliquie, l’ostensorio, la pisside, l’ostia, come degli oggetti che agiscono a titolo di una causalità fisica, alla maniera del fuoco, dell’acqua o del fumo, più o meno a seconda della loro vicinanza e del luogo ove si trova il corpo che essi avvicinano. Solo il Vangelo sembra sfuggire a questo nuovo impiego, ma esso nei processi verbali è appena menzionato alla fine delle sequenze5: nei momenti di quiete, in una sorta di tregua e intervallo, l’esorcista proferisce i Vangeli contenuti nel rituale. Il resto ha valore di semplice strumento per innescare, far tornare alla ribalta o drammatizzare l’azione:

3 4 5

BN, Fds fr. 7618, f. 30. Ivi, f. 25. In musica, forma del canto liturgico nata intorno alla metà del secolo IX, che consisteva nella libera invenzione di testi su preesistenti melodie gregoriane dell’Alleluia [n.d.c.].

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La detta sorella è rimasta in pace fino a che il nominato padre, avendo preso il santo Sacramento e impostolo sia sul capo che sullo stomaco della detta sorella e, facendo comando al demonio di uscire, ella è stata rovesciata all’indietro da un assopimento, il quale è passato con delle fumigazioni. …E avendo allora l’esorcista preso il santo Sacramento, ha costretto il diavolo… a risollevare il corpo della detta sorella…6

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Il dito sacro7 Santo Sacramento, fumigazioni, santo Sacramento: i mezzi si alternano. Nella stessa serie figurano anche la pisside, l’ostia, delle reliquie, o uno strumento di cui è fatto grande uso, il dito sacro dell’esorcista, prete o vescovo:

Il nominato signor vescovo [Mons. de La Rocheposay] ha preso la detta sorella, mettendole il dito sacro nella bocca, e [lei] è subito caduta in convulsione… …Dopo alcuni esorcismi durante i quali la detta sorella è rimasta in pace, il nominato esorcista [uno dei religiosi] l’ha presa e, mettendole il dito sacro nella bocca, ha comandato a Béhérit di manifestarsi e di salire alle parti superiori. La detta sorella è subito caduta in convulsione assai violenta8. Gli stereotipi della frase prolungano il meccanismo degli effetti che derivano da questo dito… Essi incastonano altrove altri oggetti, isolati come questo dito, e che formano la panoplia santa dell’esorcista. Questi attrezzi saranno conservati a parte, investiti essi stessi di un potere che sembra tolto alla globalità dell’atto umano o liturgico e opposto a questi altri «oggetti», che sono le parti del corpo: la bocca, la testa, o tutte le «residenze» diaboliche. 6 7 8

Ivi, f. 32. Dito mignolo, simbolo della conoscenza e della divinazione [n.d.c.]. Ivi, f. 30.

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Essi seguiranno percorsi propri. Se ne ritrova così uno in René d’Argenson, quando quest’uomo notevole menziona nel suo testamento (1652), tra tutti i suoi beni, il reliquiario di cui ha visto la «virtù», probabilmente quando era intendente di Saintonge e Poitou (1633-1634), senza dubbio a Loudun, dove i suoi parenti La Trémoille sono in ogni caso venuti:

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…Il mio reliquiario della vera croce, che porto di regola su di me e che mi ha dato la defunta Madame de La Trémoille, abatessa di Sainte-Croix de Poitiers, della virtù del quale reliquiario ho visto una prova miracolosa su una posseduta dal demonio9. Guarire il linguaggio Che cosa ottiene, dunque, la virtù di tutte queste cose? Esse si insinuano tra una domanda e una risposta; servono a «produrre» o a forzare la confessione. Secondo i processi verbali, vale a dire nei rapporti che al meglio danno espressione alla pratica degli esorcisti e alle loro vedute, lo strumento interviene quando la parola in latino degli uomini di Chiesa non ottiene la parola che corrisponda alla loro attesa. Permette alle parti disgiunte del discorso religioso di «aderire» fra loro; costringe le differenze di linguaggio a non essere che una negazione (l’immagine invertita e diabolica) degli articoli di fede – è la blasfemia – e, secondo tempo dell’operazione, a negarsi esse stesse per raggiungere esattamente il punto di partenza – è la «confessione» del diavolo. È dunque necessario innanzitutto che ci sia una parola demoniaca, il che implica una lotta contro il silenzio, «l’assopimento» o i rifiuti delle religiose. È necessario poi che questa parola si rivolti contro se stessa e che annunci i dolori dell’inferno, la gloria del redentore o la potenza verginale di Maria. Gli oggetti sacri o le droghe inaugurano, mantengono e rettificano il percorso, ogni 9

Archives nationales, Minutier central, Étude 64, liasse 92, Testament, f. 7.

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volta che esso presenta degli accidenti e delle soste. Come i colpi, essi «correggono» dall’esterno, fisicamente, ogni errore o sospensione in questa deambulazione ripetuta ogni giorno. L’artificio tecnico garantisce l’artificiale costruzione di un linguaggio. È per di qui che l’esorcismo di Loudun si allontana dalla tradizione e che persino la rovescia. In passato, con la sobrietà degli atti liturgici, la parola di Dio aveva l’efficacia di guarire l’anima e a volte il corpo della posseduta, presentata alla benedizione e alla lettura del Vangelo. A Loudun, l’obiettivo primo non è più la guarigione delle possedute, ma quella del linguaggio. Da qui un rovesciamento o una deviazione di senso: all’azione è attribuita la finalità di consolidare la parola resa vacillante dal dubbio, mentre un tempo in virtù della fede comune la parola sacerdotale era orientata verso un’azione santificatrice e pacificante. Nell’esorcismo, il fare e il dire hanno eseguito un arrocco10.

Il dileguarsi della pratica Se si lasciano da parte le tappe che hanno preparato questa inversione, si constata che a Loudun l’esorcismo non fa più niente. Gli agenti si eclissano per non essere più che i ruoli di un sistema di cui tutti gli elementi si organizzano in maniera da dire la stessa cosa. Esorcisti e possedute sono i personaggi e i veicoli di verità che devono risorgere dalla loro negazione, riapparire al di là del silenzio e della blasfemia, ritrovarsi identici là dove sembravano perduti. È necessario che il linguaggio religioso parli e si ripeta. Esso è il soggetto-oggetto a cui ogni azione o ogni attore in particolare rende servizio. Alla priorità dell’azione nell’antica pratica dell’esorcismo succede quella della manifestazione verbale. Al carattere privato, e 10 Negli scacchi, movimento simultaneo di re e torre, che costituisce un’unica mossa: il suo scopo è di porre il re in posizione di sicurezza [n.d.c.].

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persino segreto, del Gesto liturgico che scaccia il diavolo in nome di Gesù-Cristo e dona al cristiano la «benedizione» salvifica, si sostituisce la tragedia del linguaggio, la cui frammentazione deve essere compensata dalla reiterazione delle stesse verità in ciascuna delle parti che costituiscono lo spettacolo – gli esorcisti, le possedute, il pubblico e così via. Ogni parte della messa in scena deve restituire la stessa immagine, lo stesso “Sì-Amen”, la stessa affermazione, in modo da garantire che la parola, tenuta in quel luogo particolare che la Chiesa è diventata, è proprio vera. Il punto decisivo di questa operazione è evidentemente il rapporto con la menzogna. L’esorcismo consiste nel lottare contro di essa, con cui però è anche pericolosamente compromesso. Tra la verità e la menzogna, tra i testimoni del Veritiero e il Mentitore, il corpo a corpo è così intimo, alla fine così indeciso che, di fronte alle possedute dal demonio, l’esorcista non sa più se ha davanti a sé l’Altro o il Medesimo. Può darsi che a forza di voler confermare se stesso assimilando l’avversario, egli venga preso negli artifici di cui fa uso e si privi così dei mezzi per essere rassicurato. Gioca talmente d’astuzia con il Mentitore per costringerlo a non essere che il testimone della verità, tiene tanto a ricollocare la sua realtà nell’inganno stesso, che non è più in grado di discernere se è ingannato dai suoi propri artifici, se è la vittima delle astuzie del Nemico, se la sua verità è alterata dall’illusione, o se, al contrario, sia lui a ingannare l’ingannatore e a forzare la menzogna. Non è confessare, difendendo la verità, che egli ignora dove essa si trova?

Costringere il Mentitore Tra gli esorcisti la battaglia per la verità si esprime in un vocabolario militare che presso di loro corrisponde a ciò che rappresenta il lessico del vedere presso i medici. La battaglia ruota tuttavia intorno a un problema centrale: si può far dire la verità al Mentitore? Questo problema ha dei registri meno espliciti ma anche assolutamente fondamentali. Il linguaggio bestiale delle possedute (che 246 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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graffiano, mordono, strisciano, fischiano, abbaiano e così via) enuncia una verità divina degli esseri umani? Le lingue straniere parlate dai demòni sono la traduzione e in qualche modo il negativo delle rivelazioni veicolate nel latino della Chiesa? Ma queste questioni, che mettono in causa il funzionamento dell’esorcismo, sono trattate e discusse a proposito del potere che ha la Chiesa – nostra santa Madre Chiesa – di costringere il «Padre della menzogna» a dire la verità. In un primo stadio, la verità rivelata dal demonio è quella degli avvenimenti nascosti e dei pensieri segreti. Dopo molte altre cose, è ciò che intende dimostrare la Lettre d’un magistrat à Mademoiselle de la Motte Le Voyer, à Paris, où il est parlé de di-

verses révélations de choses secrètes, faites par les possédées aux juges de Grandier (2 agosto 1634)11. Vi si racconta che Mademoiselle de Rasilly ha in suo possesso una cosa che fa stupire i più dotti teologi di Dio, cioè che il diavolo indovina i pensieri dell’esorcista, senza che egli li manifesti a segni e a parole. Tuttavia san Tommaso e i più grandi teologi ritengono che il diavolo non possa conoscere ciò che noi pensiamo interiormente12. «Delle particolarità molto segrete» Questa inquietante vicinanza tra il pensiero dell’esorcista e il dire della posseduta sarà la prima esperienza di Surin a Loudun, alla fine del 1634. Egli giungeva da Marennes, dove era direttore spirituale di Madeleine Boinet, una di queste mistiche illetterate che lo affascinano13. È molto stupito di ciò che sente a Loudun: 11 12 13

BN, Fds fr. n.a. 6764, f. 145. BN, Fds fr. 20973, f. 241. V. M. de Certeau, «L’illettré éclairé. L’histoire de la lettre de Surin sur le jeune homme du coche 1630», in Revue d’ascétique et de mystique, t. 44, 1968, pp. 369-412.

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Il primo [demonio] che si presentò gli disse: perché egli aveva lasciato a Marennes delle buone anime che coltivava, per venire qui a divertirsi dietro delle fanciulle folli. E su questo soggetto di queste buone anime devote che erano a Marennes, non tardò molto a scoprire delle particolarità molto segrete sulle persone che erano là, di cui la fanciulla posseduta [Jeanne des Anges] non aveva alcuna conoscenza né mai aveva sentito parlare.

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Come no! La priora era fine e si era informata.

In particolare, egli tirò fuori una lettera di questa fanciulla che gli aveva detto che avrebbe certo dovuto soffrire in questo impiego [d’esorcista] e, tenendola in mano, la mostrò a questo demonio, che gli disse: – «Ecco una lettera della tua devota». Egli proseguì: Quaenam illa est? Rispose: «La tua Maddalena». Egli aggiunse: Dic proprium nomen. Disse allora con furore: «La tua Boinette». Questa fanciulla devota si chiamava Madeleine Boinet, che poi fu inviata a Bordeaux… Dopo questo colloquio con la madre, il Padre non tardò molto a protestare, rivolto in particolare agli increduli che erano innumerevoli, che non si poteva dubitare della possessione. Questi stessi demòni che erano nella madre gli parlavano di parecchie cose che erano accadute al tempo che egli era a Marennes e che egli non sapeva che assai in segreto. I demòni gliele dissero, di modo che, anch’egli sedotto da questa verità che usciva dal suo segreto notturno, restituita e, ci dicono i testi, «vomitata» dal suo avversario, egli aveva la fiaccola negli occhi per

vedere la verità dei demòni che risiedevano in questi corpi 14.

14

La Science expérimentale..., I, 1 (prima versione); BN, Fds fr. 14596, f. 8.

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Controversia con l’ateo Ma dal fatto sorprendente, che dei segreti emergano in questo modo dalle residenze occupate dai demòni, si può passare a un diritto? Gli esorcisti sono in diritto di esigere la verità che sarebbe indebitamente alterata e nascosta in questi corpi perduti? Oppure, stessa questione in altra forma, è legittimo che si basino sulle parole venute alla luce grazie alla costrizione, come se si trattasse di «verità»? Ciò che, con il diritto di esigere o di trarre la verità dal Mentitore, entra simbolicamente in gioco è il rapporto della «verità cristiana» con l’altro, con «l’ateo» o con l’incredulo. Questo diritto di far dire al blasfemo la professione di fede cristiana e di costringerlo a darle il suo consenso s’inscrive qui, sebbene in modo teatrale e demonologica, nella stessa linea della grande impresa apologetica contemporanea. In questo stesso anno 1634, Jean de Silhon dichiara per esempio nel suo trattato De l’Immortalité de l’âme:

Giammai la fede ha avuto più bisogno di essere vivificata. Giammai si è più pericolosamente peccato contro la Religione. Non sono più il tetto e le difese ad essere combattute; è la base della muraglia a essere attaccata, si minano le fondamenta, si vuol far saltare l’intero l’edificio15. Ed egli pretende appunto di opporre e strappare all’assalitore il consenso di tutte le età e di tutte le nazioni, di scoprire nei suoi avversari la credenza che essi rifiutano e, a dispetto dei dinieghi, di far loro confessare la verità in essi presente loro malgrado. A Loudun, il diavolo ha lo stesso posto dell’ateo nell’apologetica di Silhon. Non è dunque una questione secondaria il diritto della Chiesa – dell’esorcista, del teologo – di costringere alla verità il Mentitore o la menzogna. 15 Jean de Silhon, De l’immortalité de l’âme, Bilaine, Paris 1634, in-4°, 1056 pp.: v. p. 3.

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Un dogma diabolico Ismaël Boulliau considera il problema da un punto di vista giuridico, quando giudica intollerabile che il processo di Grandier si fondi solo sulla deposizione dei diavoli, ai quali i giudici

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hanno prestato fede, contro l’espressa dottrina di san Tommaso e della facoltà di Parigi 16. Giusta protesta, ma in realtà le «deposizioni dei diavoli» non rientrano fra i considerando o le prove giuridiche della condanna pronunciata dai giudici. La questione si pone piuttosto da un punto di vista teologico. In questa prospettiva, Boulliau aggiunge che la fiducia accordata dagli esorcisti alle «verità» tratte dal demonio riposa su una dottrina pericolosa, empia, erronea, esecra-

bile e abominevole, che rende i cristiani idolatri, rovina la religione cristiana nei suoi fondamenti, apre la porta alla calunnia e, a meno che Dio per sua provvidenza non rimedi a questo male, avrà per effetto che il diavolo si farà immolare dalle vittime umane, non più sotto il nome di Moloch, ma in virtù di un dogma diabolico e infernale 17. Le Remarques et considérations servant à la justification du curé de Loudun (1634) dicono altrettanto:

Ci si stupisce come si creda così facilmente al diavolo, particolarmente quando egli accusa il curato o calunnia le gente dabbene, rendendo la condizione dei cristiani peggiore di quella dei pagani che credevano al diavolo ma lo consideravano Dio. E mentre ci si dice che il diavolo è mentitore e maldicente, si pretende poi che crediamo a ciò che egli dice, in particolare quando è qualcosa per nuocere al curato o quando calunnia i più virtuosi; se parla a discarico di Grandier, egli è invece mentitore… 16 Lettre à Gassendi (7 septembre 1634); Carpentras, Bibl. Inguimbertine, ms. 1810, f. 48; testo pubblicato in Le Cabinet historique, t. 25, 1879, pp. 6-12. 17

Ibid.

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Così si vuole detronizzare Dio, che non può dire che verità, per mettere al suo posto il diavolo, che non dice che falsità e vanità, e questa vanità deve essere creduta per verità 18. La verità e la vanità s’incrociano, esattamente come il paganesimo e il cristianesimo. Sull’argomento, Grandier stesso cita una autorità recente: la Refutation de l’erreur du Vulgaire touchant les responses des diables exorcisez pubblicata a Rouen nel 1618 da

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Frate Sanson Birette, religioso del convento degli Agostini di Barfleur. Sulla base di un ricco dossier, in cui figuravano san Giovanni Crisostomo, san Tommaso d’Aquino, consultazioni dalla Sorbona, il frate concludeva:

È dunque tanto vero che un diavolo esorcizzato può mentire, quanto è falso che l’esorcismo lo costringe a dire sempre la verità19. La mescolanza Questo sempre traduce abbastanza esattamente il principio tomista secondo il quale non bisogna credere al demonio anche se dice delle verità 20. C’è lì della verità, ma dove? E come discernerla? Il demonio è la sfinge di una verità mescolata alla menzogna, come l’immaginazione lo è per Pascal:

maestra di errore e falsità, tanto più ingannevole in quanto non lo è sempre: sarebbe infatti regola infallibile di verità se lo fosse infallibilmente di menzogna21. 18

Remarques et considérations servant à la justification du curé de Loudun, autres que celles contenues en son Factum, 1634, impr. in-4°, 8 p. Vedi BN, Lb 36.3017; collection Dupuy, vol. 641, f. 214; Fds fr. 24163, pp. 1-8; Fds fr. 12047, f. 3; 500 Colbert, vol. 219, f. 144; Bibl. Arsenal, ms, 4824, f. 8-11; etc. 19 S. Birette, Réfutation de l’erreur du Vulgaire touchant les responses des diables exorcisez, J. Besongne, Rouen 1618, in-12°, 219 pp.: v. p. 212. 20 San Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, IIa IIae, quaestio 9, art. 2. 21 B. Pascal, Pensées, fragm. 44 (Brunschvig 82), in Œuvres complètes, éd.

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Anche Jean-Joseph Surin ritiene la mescolanza del vero e del falso il dato essenziale dell’esperienza sulla quale intende stabilire una scienza. A proposito dei diavoli, egli concede che non sempre mentono:

Ora, per sapere quando essi dicono la verità e quando non la dicono, è difficile dare una regola sicura e indubitabile. Con le esperienze che Dio ci ha date di ciò, posso solamente dire che, quando l’esorcismo fa bene il suo dovere e ci si comporta con spirito disinteressato e prudente, nostro Signore li obbliga a fare ciò che la Chiesa desidera e che spesso, per il bene delle anime, Dio li costringe a dire, quando meno lo vogliono, grandissime verità. E quando le cose che dicono si trovano conformi a ciò che la fede ci insegna, possiamo avere una grande sicurezza…22 Dei tre criteri qui combinati, il primo –: quando l’esorcista fa il suo dovere – è mai sicuro? Il secondo –: la Chiesa lo desidera o lo comanda – è reso relativo da un spesso che indica una proporzione globale e lascia dunque indeciso ogni caso particolare. Quanto alla grande sicurezza che procura il terzo criterio –: la conformità all’insegnamento della Chiesa –, essa si identifica con quella che ha per fondamento e per misura ciò che la fede ci insegna. Disinteresse e prudenza personali, missione e ordinamento ecclesiali, fedeltà alla dottrina: nulla in questi tre punti va oltre le regole della predicazione, così come le intendono i trattati del XVII secolo. Senza dubbio questo è proprio l’intento di Surin: egli predica una verità ormai nascosta («mistica») a una società il cui pubblico diviene «incredulo», e una verità da enunciare nel linguaggio della comunicazione tra esperienze disperse, giacché i discorsi ruotano intorno alla definizione di essenze senza rapporto con ciò che accade. Louis Lafuma, Seuil, Paris 1963, p. 504; trad. it. di B. Papasogli, Pensieri, a c. di P. Sellier, Città nuova, Roma 2003, framm. 78, pp. 85-86. 22 La Science expérimentale..., I, 5; BN, Fds fr. 14596, f.22.

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Ma quale servizio rendono dunque i diavoli a una verità definita, creduta o riconosciuta senza di essi? I manuali che gli esorcisti hanno in mano – dal Manuale exorcistarum ac parochorum del francescano Candido Brognoli di Bergamo (Bergamo, 1551) fino al Manuale exorcismorum di Maximilien de Eynatten (Anversa, 1635) – non fanno molta luce su questo punto. Come ogni manuale, essi attestano, per la loro severità nei riguardi delle verità che si domanderebbe alle possedute, una pratica da lungo tempo superata. In realtà, a Loudun la domanda degli esorcisti si riferisce alla situazione sociale propria di quegli anni. Durante un periodo che si chiude verso il 1650 ma le cui correnti risorgeranno alla fine del secolo, la verità cristiana sprofonda nel ribollire confuso di idee, audacie e divisioni di ogni specie. Nell’esperienza dei credenti, essa sembra perdersi nella menzogna. Di più, l’ateo abita nel più spirituale. La necessità di trovare la verità nella menzogna è una situazione religiosa che simboleggia il lavoro per discernere le verità mescolate alle parole delle possedute. Ma la pratica dell’esorcismo tradisce due reazioni ben differenti.

Il luogo del conoscere Per gli uni, l’importante è questo luogo nuovo della verità che la mescolanza con la menzogna costituisce. Questi passeranno così dalla rappresentazione pubblica a una ricerca della verità in germe nelle duplicità del cuore, una verità data nella radicalità di una scelta e formulabile grazie ai riconoscimenti che permettono delle comunicazioni spirituali. Surin sarà il primo a fare questo passo, condannando gli spettacoli pubblici, cui antepone il ritiro delle conversazioni personali e la preparazione alle decisioni dirimenti. Egli elaborerà così una «scienza sperimentale».

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La difesa di un potere Per altri, si tratta innanzitutto di un potere minacciato, quello della Chiesa. Per essi, le verità non sono toccate dalla situazione che cambia a loro insaputa le condizioni interne della ricerca in spirito e verità. Definite, circoscritte e possedute dalle istituzioni e dai discorsi ecclesiastici, esse non sono l’oggetto di nuove interrogazioni. Tutto il problema viene dal di fuori e da forze inattese che si levano. Non è una questione di verità, ma di potere. Due parole ricorrono di continuo nelle discussioni: potere e costrizione. Lo si ripete: la Chiesa ha il potere di costringere il demonio. Qualunque cosa ne sia delle intenzioni personali, la frase ha la sua logica. Reprimere l’avversario che minaccia una «legittimità», ecco ciò che l’esorcismo mima. Esso fa uso del santo Sacramento come di uno scettro o di un’arma. Nella sua Véritable rela-

tion des justes procédures observées au fait de la possession des Ursulines de Loudun (1634), Padre Tranquille scrive: Sapere se ci si può servire della deposizione dei diavoli legittimamente scongiurati 23 dalla Chiesa e se essi dicono la verità, è materia che io non tocco. Rinvio il lettore a un piccolo libro stampato a Poitiers, che è stato redatto da poco e reca come titolo: Briefve Intelligence de l’opinion de trois docteurs de Sorbonne, et du livre du Père Birette touchant les diables exorcisez.

Dirò solo di passaggio che mai i diavoli hanno voluto giurare una menzogna, essendo scongiurati sul santo Sacramento… Uno di questi diavoli che accusava l’esorcista di essere lui stesso mago, avendogli l’esorcista detto che egli passerebbe per tale se dicesse ciò essendo scongiurato sul santo Sacramento di dire la verità, non volle mai passare oltre e fu costretto a smentirsi 24. 23 Scongiurare, nell’accezione antica e letteraria di costringere il demonio ad abbandonare la cosa o la persona che ne è invasata [n.d.c.]. 24

Véritable relation des justes procédures observées au fait de la possession

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Più ampiamente, André Duval opponeva la competenza giurisdizionale al pericolo che le giurisdizioni temporali fanno correre alla Chiesa. Il 16 febbraio 1620, dichiarava:

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Impedire di esorcizzare le indemoniate, significa privare gli infedeli e gli eretici di un miracolo che gli esorcismi operano di regola e che diviene una prova per loro manifesta della divinità della Chiesa; significa inoltre riconoscere che le indemoniate appartengono alla giurisdizione temporale, il che è falso 25. Tranquille vede in modo più giusto l’affaire loudanaise, quando dice che la vittoria sui demòni è un’opera di Dio, poiché è l’opera del re; che Monsieur de Laubardemont ha condotto il processo per le vie regali della giustizia e della pietà; che in tal modo la giustizia è giunta dentro Loudun… con le sue armi ordinarie, la spada

e la bilancia, per pronunciare una sentenza contro l’inferno26. L’effettività del potere è da questo lato certamente politica. L’azione che intende difendere l’antico potere ecclesiale sulla verità, dunque, è costretta a trasformarsi in spettacolo. Essa è progressivamente deviata verso ciò che si dice e allontanata da ciò che si fa. Non le resta che darsi un appoggio esterno – quello del re –, che essa decora con l’ornamento della provvidenza e a cui in realtà si allinea. La teatralizzazione dell’esorcismo si rinforza con il rifiuto di ammettere un problema di verità che si pone in termini nuovi. Essa è il prodotto di un arresto, il sintomo dello spossessamento negato. La rappresentazione del potere è tanto più spettacolare, quanto più essa tradisce l’angoscia di perderlo – o di averlo perduto. des Ursulines de Loudun, Griveau, La Flèche 1634; Poitiers, 1634; Paris, J. Martin, 1634 (BN, in-8° Lb 36.3019); un manoscritto (BN, Fds fr, n.a. 13192, f. 27 sg.). La prima edizione è apparsa all’inizio dell’agosto 1634. 25 Citato da G. Hanotaux e duca de La Force, Histoire du cardinal de Richelieu, 1935, t. 4, p. 246. 26

Véritable relation des justes procédures.

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10

Il giudizio dello stregone (8 luglio-18 agosto 1634)

      

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Il processo comincia l’8 luglio con la commissione che designa i giudici di Grandier:

Altra e nuova commissione dell’ottavo giorno di luglio mille e seicento trentaquattro, firmata Louis, e, più in basso: dal Re, Phélipeaux, e sigillata dal grande sigillo, con la quale sua Maestà prepone e delega: il detto signor Laubardemont, i signori Roatin, Richard e Chevalier, consiglieri al seggio presidiale di Poitiers, Houmain, inquisitore di giustizia al seggio presidiale di Tours, Pequineau, luogotenente particolare, de Burges, consigliere al detto seggio [di Tours], Taxier, luogotenente generale al seggio di Saint-Maixent Dreux, luogotenente generale al seggio di Chinon, de La Barre, luogotenente particolare al detto seggio, de La Picherie, luogotenente particolare e assessore criminale al seggio di Châtellerault, Rivrain, luogotenente generale al seggio di Beaufort, per tutti insieme… di fare e portare a termine il processo al detto Grandier e ai suoi complici fino a sentenza definitiva ed esecuzione di quella esclusivamente, nonostante opposizioni o appellazioni qualsiasi per le quali non sarà differita1.

1

Extrait des registres de la Commission ordonnée par le Roi..., pp. 22-23.

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Il sacerdozio dei giudici Questi commissari, tutti stranieri nel luogo del processo, provengono da città che a occidente di Loudun formano un semicerchio, delineando così approssimativamente la frontiera di regioni a maggioranza cattolica davanti all’avanzata protestante di Loudun: Beaufort-en-Vallée, Chinon, Tours, Orléans, Châtellerault, Poitiers e Saint-Maixent-l’École (cfr. la cartina qui a fianco). Secondo alcuni libelli, parecchi abitanti di Loudun, proposti per la commissione, si sarebbero rifiutati: Auguste du Moustier de Bourgneuf (presidente degli eletti), Charles Chauvet (assessore). In modo simile si sarebbe comportato il signor Constant, magistrato a Poitiers, così come Pierre Fournier, in un primo momento nominato (?) procuratore della commissione. A ricoprire quest’ultimo posto, infatti, viene designato Jacques de Nyau, consigliere al seggio presidiale de La Flèche. Gli eletti fanno tutti parte, come presidente, luogotenenti o consiglieri, di seggi presidiali, tribunali locali limitati a casi modesti e teoricamente composti ognuno di nove magistrati. La carica che a essi appartiene, e che hanno dovuto comprare, procura loro un incarico poco remunerato ma non opprimente. A Marennes, si vanta allora la dolcezza di una vita oziosa cui si va incontro in

questo impiego 2. Questi legulei iscritti nella gerarchia della giustizia reale appartengono alla piccola borghesia, all’epoca pervasa da uno «spirito di disconoscimento» che induce molti di loro a rompere i legami di solidarietà con il ceto plebeo? In ogni caso, essi hanno le loro «campagne»: Chevalier è signore di Tessec; de la Barre, signore di Brisé; Roatin, signore di Jorigny; etc. Si è sostenuto che Dreux,

2

V. M. Marion, Dictionnaire des institutions de la France aux XVlIe et XVIIIe siècles, Paris 1923, pp. 449-451; Babinet, «Le présidial de Poitiers», in Mémoires de la Société des Antiquaires de l’Ouest, 1885.

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La Barre e Houmain erano degli ambiziosi e dei libertini3. Le prove mancano. De Nyau, tesoriere della fabbrica di una chiesa di La Flèche, accusato di averne sottratto i vasi sacri, fu assolto dal parlamento di Parigi. Più che della sua moralità, c’è qui un indizio dei suoi appoggi e della sua localizzazione socio-religiosa a La Flèche. Allo stesso modo, Texier sarà membro della Compagnia del santo-Sacramento a Saint-Maixent; Roatin, molto legato ai gesuiti di Poitiers è impegnato nelle campagne della Controriforma.

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Sedi presidiali dei membri della commissione straordinaria

La resistenza cattolica contro Loudun, punta avanzata del protestantesimo.

3

G. Legué, Urbain Grandier et les possédées de Loudun, Paris 1880, p. 232.

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La loro elezione alla commissione attribuisce soprattutto ai giudici un vero sacerdozio, di fronte al prete sospetto. Davanti allo stregone e alle possedute, essi esercitano il ministero pubblico della giustizia divina, della direzione spirituale, della «rimostranza» pastorale. Essi sono persuasi di assicurare la salvezza della religione minacciata, dell’ordine compromesso e delle anime afferrate dal diavolo. Questi laici sono elevati a un rango sacerdotale che sostituisce il sacerdozio dei chierici, combatte il curato blasfematore e coincide così con la missione di cui Laubardemont si vale come ministro di un nuovo potere sacro4.

Reprimere la critica L’istituzione di questo tribunale «straniero», di cui Laubardemont sembra proprio rappresentare sia la corona che la copertura, provoca l’opposizione: manifesti e libelli escono dai vicoli, affissi anonimamente, pubblicati senza autore, diffusi sotto il mantello. Per reazione contro uno di questi scritti trovati sulle porte dalla chiesa Sainte-Croix, il commissario fa affiggere dappertutto, leggere alla fine della messa e strillare ai crocevia l’ordinanza seguente, il cui manoscritto porta ancora oggi la traccia dell’incollatura eseguita dalle guardie e della lacerazione da parte dei lettori:

Per la volontà del Re e del Signor de Laubardemont, consigliere di sua Maestà nei suoi consigli di Stato e privato, e commissario da essa delegato per gli esorcismi che si fanno nella città di Loudun sotto la sua autorità, è molto espressamente inibito e vietato a ogni sorta di persone, di qualsiasi qualità e condizione esse siano, di far del male, parlar male e in altro modo intraprendere azione contro le religiose orsoline e altre persone del detto Loudun afflitte da spiriti maligni, i loro esorcisti e coloro che li assistono, sia nel luogo 4

É. Delcambre, «Les procès de sorcellerie en Lorraine. Psychologie des juges», in Revue d'histoire du droit, t. 21, 1953, p. 408.

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in cui esse sono esorcizzate che altrove, in qualunque modo e maniera che sia, pena diecimila lire d’ammenda e altra più grande, e di punizione corporale, ove si dia il caso. E al fine che nessuno possa sostenere di ignorarla, sarà la presente ordinanza letta e pubblicata quest’oggi durante le comunicazioni finali delle chiese parrocchiali di questa detta città, e affissa tanto nelle porte di queste quanto altrove, ove occorrerà. Redatta a Loudun, la seconda domenica di luglio milleseicento trentaquattro5. Dopo questa ordinanza che percorre tutti i canali possibili della critica per chiuderli, il 26 luglio il lavoro del tribunale è inaugurato da una riunione liturgica nella chiesa dei Carmelitani, con messa, predica, comunione e processione solenne. Fino al pronunciamento del giudizio, tutte le domeniche e i giorni di festa i magistrati si recheranno in una delle chiese della città per adorarvi il santo Sacramento, assistervi a una messa del Santo Spirito e ascoltare la predicazione dell’uno o dell’altro esorcista.

Cinquanta mani di carta a grandi margini 6 Subito dopo la cerimonia religiosa, i giudici procedono alla lettura dell’ordinanza reale che istituisce la loro commissione, designano Houmain e Texier come relatori del processo, inaugurano l’audizione di testimoni e si mettono soprattutto a esaminare il voluminoso incartamento che è stato loro predisposto da Laubardemont (che prenderà la precauzione di non mescolarsi alle loro deliberazioni). Vasta impresa:

Gli atti di procedura redatti fino alla morte di Grandier, sebbene molto succinti, contengono cinquanta mani di carta a grandi margini [ciascuna «mano» equivalente a 96 pagine], e i giudici stettero di5 6

BN, Fds fr. 7619, f. 103. La ventesima parte di una risma di carta, corrispondente a 25 fogli [n.d.c.].

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ciotto giorni interi a riportare il processo, sebbene vi abbiano impiegato sei ore al giorno7. Queste cinquanta mani di carta a grandi margini sono pressappoco ciò che lo storico può ancora studiare.

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So da fonte certa, scrive da parte sua Padre Du Pont il 15 luglio, che sono state fatte tre diverse istruttorie per il solo crimine di magia, in una delle quali sono stati uditi settantacinque testimoni, nell’altra ventidue o ventitré e nella terza dieci o undici 8. Dio lo vuole Dai primi giorni di luglio, La Rocheposay ha lasciato Loudun, dove ha diretto gli esorcismi.

Da quindici giorni Monsignor il nostro vescovo si è ritirato da Loudun per lasciare ogni libertà e autorità ai giudici commissari, che vi sono andati per condurre il processo a Grandier. Gli esorcisti hanno ricevuto comandamento dal detto prelato di soddisfare interamente a tutto ciò che i giudici vorranno e desidereranno al fine di essere illuminati. Di modo che ora i detti commissari scrivono i processi verbali [degli esorcismi] e M. de Laubardemont non se ne immischia più, per chiudere la bocca ai calunniatori. I giudici fanno dunque interrogare i diavoli su ciò che a loro piace e nel modo che essi vogliono, e essi stessi li interrogano qualche volta… Dacché vi sono questi giudici, le meraviglie si sono a tal punto accresciute che sembra che Dio voglia fare qualche grande cosa. Quanto alla possessione, essi ne hanno tutte le prove che hanno desiderato, e sono stati puntualmente obbediti dai diavoli, i quali dal loro arrivo sono molto più arrendevoli 9. 7 8 9

Tours, Bibl. municipale, ms. 1197, I. parte, p. 61. Lettera di P. Du Pont à M. Hubert; Bibl. Arsenal, ms. 4824, f. 25. Ivi, f. 19.

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Laubardemont cede loro il posto, La Rocheposay si fa da parte, i diavoli diventano più «arrendevoli»: quale autorità improvvisa per questi buoni signori dei presidi vicini! Ma il commissario chiude la bocca alla critica e fa sorvegliare le porte alle loro spalle; il vescovo parte dopo aver lasciato l’imponente testamento del suo assoluto convincimento; i «diavoli» sono fini e lusingano questi legulei che annunciano la vittoria e la liberazione. Dal 26 luglio al 18 agosto, data della sentenza, i giudici sono racchiusi nei processi verbali scritti dai «possessionisti», nel faccia a faccia fantastico con i demòni, e nell’opinione di quelli che hanno «l’esperienza». Per metà stranieri nella città, «protetti» e isolati dalle sue dicerie – e quando anche volessero intenderle, ne avrebbero il tempo? –, sono già in anticipo onorati come i sacrificatori di una vittima salvifica che non è la loro. In una lotta sacra, questi giustizieri fittizi si vedono attribuito un ruolo che è stato loro fissato ben prima della loro designazione. Prigionieri di questo personaggio temibile e provvidenziale, ne sono lusingati? Coscienti? Terrorizzati? Noi sapremo soltanto del loro «sollievo» una volta che la sentenza è stata emessa.

La perdita della parola Più di essi, anche l’accusato Grandier è da parte sua rinchiuso, ignaro di ciò che accade, affidato all’azione e all’informazione di sua madre come essi lo sono a quelle di Laubardemont. Il 28 o il 29 luglio, scrive a Jeanne Estièvre:

Madre mia, Il signor procuratore delegato del re mi ha reso la vostra lettera, con la quale mi comunicate che si sono trovati i miei documenti nella mia camera e trattenuti quelli che potevano servire alla mia giustificazione per rimettermeli in mano. Ma non mi sono stati dati. Anche quando li avrò, non sono in condizione di redigere degli scritti. Per delle memorie, non posso dire altra cosa di quella che ho detto al processo, che consiste in due punti capitali. 265 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Quanto al primo, mi hanno interrogato sui fatti della mia prima accusa, alla qual cosa ho adempiuto e addotto che ne sono ben giustificato, ciò che bisogna far vedere nel produrre le mie quattro sentenze di assoluzione. Vale a dire due della sede presidiale di Poitiers, e altre due di Monsignor l’arcivescovo di Bordeaux. Perché se i Signori commissari dubitano dell’equità di quelle, possono di loro autorità far produrre qui gli atti del processo che è alla cancelleria della Corte del Parlamento [di Parigi] con la mia produzione civile, che serve a far vedere le cattive pratiche che allora furono fatte contro di me. Il secondo punto riguarda la magia e il male delle religiose. Sulla qual cosa non ho niente da dire che una verità ben manifesta, ossia che ne sono del tutto innocente e a torto accusato, del che ho fatto la mia denuncia alla giustizia. Cosa che bisogna far vedere impiegando i processi verbali del Signor Balivo dove sono inserite tutte le richieste che ho presentate tanto ai giudici reali che a Mons. l’arcivescovo, di cui ho già dato una volta copia a Monsignore de Laubardemont, che il Signor procuratore del re mi ha detto aver anche prodotto. Voi farete fare una richiesta di recupero tramite il nostro procuratore, che prenderà quel consiglio che riterrà migliore. Le mie risposte contengono le mie difese e le mie ragioni. Non ho prodotto nulla che non sia in grado di giustificare con scritti e testimoni, se i miei detti signori me ne danno il mezzo. Per il resto, mi affido alla provvidenza di Dio, alla testimonianza della mia coscienza e all’equità dei miei giudici, per l’illuminazione dei quali rivolgo continue preghiere a Dio e per la conservazione della mia buona madre alla quale Dio voglia restituirmi tra breve per renderle meglio che mai i doveri di suo figlio e servitore, Grandier.

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Aggiunge nel post-scriptum:

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Dato che da qui non so niente di ciò che si fa al mondo, se è accaduto qualcosa che possa servire agli atti pubblici, bisogna servirsene secondo quanto il Consiglio giudicherà buono 10. Gli avversari sono parimenti ciechi, sebbene per ragioni differenti. Come potrebbero incontrarsi, anche se un confronto viene organizzato più tardi, in agosto? D’altronde, in questo testo, uno degli ultimi che ci restano di lui, Grandier ripete: Io non so niente… Non ho niente da dire. Sono le penultime parole del noto buon dicitore. Ora le cose gli si presentano in modo ben diverso dai discorsi in cui egli si muoveva con tanta disinvoltura. Sono le stesse cose rimaste a lui nascoste, acquattate in quella piccola società che, sfidandola, egli fuggiva. Ora che la realtà si rivela sotto la forma di una violenza per lui cieca, la sua parola l’abbandona. Egli «si arrende» a questa forza diversa. Con lo stesso gesto, rende la parola a sua madre, che senza dubbio non ha mai cessato di esserne la vera detentrice.

Il trionfo della verità Intorno alla prigione in cui è rinchiuso Grandier e alle chiese che circoscrivono gli esorcismi, la città va e viene, spinta da correnti opposte, ingrossata dai fiumi di curiosi, riempita di voci e dicerie contradditorie. Si riuniscono delle assemblee. I libelli si fanno più violenti. Nei primi giorni di agosto, padre Tranquille pubblica (anonimo, naturalmente) la sua Veritable Relation des justes pro-

cédures observées au fait de la possession des Ursulines de Loudun, che appare a Poitiers, prima di essere ripubblicata a La Flèche, poi a Parigi, e di essere completata dalle Thèses générales touchant les diables exorcisés, in un primo momento stampate a parte. Nella grossolanità della sua argomentazione, un vocabolario militare bril10

Pubblicato in G. Legué, op. cit., pp. 233-234.

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la di un pericoloso bagliore. Il prologo suona già come un canto di combattimento e di vittoria:

La storia delle fanciulle possedute di Loudun è la più memorabile e la più celebre di questo genere che sia accaduta in tanti secoli. L’inferno vedendosi in questo luogo ridotto alla disperazione dalla caduta dell’eresia, e non potendo impedire che la verità cattolica non trionfi sull’errore, ha voluto fare un secondo sforzo per mettere a suo credito la magia, al fine di vomitare la sua rabbia con più libertà contro il cielo e contro gli innocenti. Sembra che questa città sia fatale e funesta poiché essa è stata il luogo dove lo spirito maligno ha concepito i suoi perniciosi disegni per l’eresia, e non è ancora nella stessa città che i diavoli si sono riuniti per fare la guerra a Dio con la magia…? 11 A detta dell’autore, la lotta contro i diavoli mira alla tranquillità pubblica, ma si sa da lungo tempo che, nel lessico degli occupanti, reprimere e pacificare sono due sinonimi, carichi appunto di quel senso.

Intorno a Grandier In questo inizio d’agosto, anche il partito contrario diffonde parimenti libelli, memorie scagionatrici e denunce:

Factum pour Maître Urbain Grandier, prêtre, curé de l’église de Saint-Pierre-du-Marché de Loudun et l’un des chanoines de l’église Sainte-Croix dudit lieu. Stampato, in-4°, 12 pagine12.

11

Véritable relation des justes procédures observées au fait de la possession des Ursulines de Loudun, inizio; BN, Fds fr. 7619, f. 104-105. 12 Factum pour Maître Urbain Grandier: v. cap. 8, nota 5.

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Remarques et considérations servant à la justification du curé de Loudun, autres que celles contenues en son Factum. Stampato, in-4°, 8 pagine13.

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Conclusions à fins absolutoires, mises par-devant les commissaires du procès par Urbain Grandier, atto, 8 pagine14. Di questi foglietti distribuiti dappertutto, ricopiati anche perché gli esemplari stampati non bastavano, Grandier è l’oggetto e non l’autore. Si parla di lui. Lui non parla più. Questi testi violenti – peraltro di solida struttura – aggravano il suo caso davanti alla giustizia; essi lo spingono verso la morte quasi non meno delle mobilitazioni per lo sterminio del diavolo. Gli vengono tuttavia presentati. A loro proposito, egli scrive al suo avvocato, il procuratore Jean Moreau:

Signor Moreau Ho firmato le Conclusions con le precauzioni che voi vedrete scritte di mio pugno. Non so se questo vada bene, poiché non m’intendo di forme. Non ho voluto firmare il Factum, per non offendere nessuno. Vedete ciò che ne dico a margine delle Conclusions e comunicate tutto al Consiglio, per vedere se non c’è niente che mi pregiudichi. Esponete la mia produzione, per favore, e non dimenticatevi di nulla. Il vostro servitore, Grandier Questo mercoledì alle undici del mattino del 9 agosto dalla mia prigione15. 13

Remarques et considérations servant à la justification du curé de Loudun: v.

cap. 9, II, nota 18. 14

Conclusions à fins absolutoires, mises par-devant les commissaires du procès par Urbain Grandier. BN, Fds fr. 6764, f. 116-123; Fds fr. n.a. 24380, f. 203-210; etc. 15

BN, Fds fr. 7619, f. 108.

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Braccato, isolato, egli non riconosce più i suoi difensori. La vigilia, essi hanno organizzato all’Hôtel de Ville di Loudun una riunione convocata dal balivo Cerisay, annunciata in città dal banditore Briault, e presto dichiarata illegale dall’inquisitore di giustizia Hervé e dall’avvocato Menuau, che tuttavia vi prendono parte. Una folla considerevole vi si è radunata. Inaugurata dal balivo all’insegna di una protesta contro delle procedure che minacciano la città intera, contro il libretto di Tranquille e le sue prediche ingiuriose e contro una situazione che esige un ricorso al re, l’assemblea si trasforma rapidamente in una polemica tra ugonotti e cattolici. Abbastanza abilmente, Hervé accusa la religione «pretesa riformata» di fomentare una riunione ostile all’autorità del re e calunniatrice per i preti cattolici. Alla fine Hervé e Menuau sono costretti a lasciare il posto, davanti all’ostilità di una folla che, come si dirà in un resoconto «possessionista», era composta in gran parte da bambini e operai o ciabattini e sellai [manicles] e simili incapaci di giudicare16. Un lungo indirizzo al re è allora presentato e approvato, così come una Censure del libretto di padre Tranquille; il balivo e Chauvet, il suo assessore, si incaricano di portarlo subito a Parigi, cosa che essi fanno fin dal 9 agosto.

«I nostri interessi» Sire, Gli ufficiali e gli abitanti della vostra città si trovano alla fine obbligati a presentare ricorso a vostra Maestà, mostrandogli molto umilmente che, negli esorcismi che si fanno nella detta città alle religiose di Sant’Orsola e a qualche altra fanciulla secolare…, si commette una cosa molto pregiudizievole al pubblico e alla pace dei vostri fedeli sudditi, in quanto che alcuni degli esorcisti, abu16

Ivi, f. 104-106. [Il termine manicle indica il manicotto usato un tempo da ciabattini e sellai, n.d.c.].

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sando del loro ministero e dell’autorità della Chiesa, fanno negli esorcismi delle domande che tendono alla diffamazione delle migliori famiglie della detta città, e il Signor de Laubardemont, consigliere delegato di Vostra Maestà, ha già una volta prestato tale fede alle dichiarazioni e alle risposte che, in base a una falsa indicazione da esse fornita, egli sarebbe andato nella casa di una damigella [Madeleine de Brou] con gran rumore e seguito di numerose persone per farvi perquisizione di immaginari libri di magia. Come ancora altre damigelle sarebbero state fermate nella chiesa facendo chiudere le porte, per procedere alla perquisizione in cerca di certi pretesi patti magici parimenti immaginari. Da allora, questo male è così progredito che oggi di denunce, testimonianze e indicazione dei detti demòni si fa tale considerazione, che è stato stampato un libretto (la Relation del padre Tranquille) e diffuso nella detta città, con il quale si vuole stabilire questa credenza nello spirito dei giudici: che i demòni debitamente esorcizzati dicono la verità… Dunque i qui supplicanti, spinti dal loro stesso interesse, visto che se si autorizza questi demòni nelle loro risposte e oracoli, la gente dabbene e il più virtuoso degli innocenti, verso i quali conseguentemente i detti demòni nutrono l’odio più mortale, resterebbero vittime della loro malizia, richiedono e supplicano molto umilmente Vostra Maestà d’interporre la sua autorità reale per far cessare questi abusi e profanazioni degli esorcismi, che si fanno giornalmente a Loudun alla presenza del santo Sacramento, nella qual cosa Ella imiterà lo zelo dell’imperatore Carlo Magno, uno dei suoi augustissimi predecessori, che impedì e proibì l’abuso che si commetteva a suo tempo nell’applicazione di qualche sacramento, di cui si sviava e pervertiva l’uso contro il disegno e il fine della loro istituzione. Per queste cause, Sire, piaccia alla Vostra Maestà ordinare che la detta facoltà di Parigi esamini il suddetto libro, ivi compresa la

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Censure, per interporre in aggiunta il vostro decreto e giudizio

sulle proposizioni, dottrine e risoluzioni sopra citate…17 Un morto in sospeso Grandier non è mai nominato in questa supplica di cittadini

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spinti dal loro interesse, ma essi sanno che, rivolgendosi a Luigi XIII, fanno appello al riformatore e restauratore della religione. Se il balivo porta però anche (non è certo) una Lettre au Roi du sieur Grandier accusé de magie18, questa Lettre, che presto circola a Loudun, non è del curato; essa costituisce un attacco in piena regola contro personaggi o famiglie della città, in particolare Hervé, Menuau e Mesmin de Silly. Le accuse sono indirizzate immediatamente a Laubardemont, per segnalargli tre libelli diffamatori, contro sia i detti supplicanti che altre persone qualificate, un Factum e uno stampato intitolato Estonements [i.e. le Remarques et Considérations], con una Requête alla mano [la Lettre], tutti e tre

composti da autori sconosciuti e che meriterebbero punizione corporale, essendo essi pieni di falsità e supposizioni, e tendendo alla sedizione e a sollevare l’emozione popolare. Essi richiedono che questi libelli siano soppressi, fatti a pezzi e gettati nel fuoco, dichiarando formalmente di essere pronti a costituirsi parte contro gli autori dei detti libelli, in caso che li si possa scoprire19. Grandier è già l’assente di queste guerre, in cui gli avversari nella notte di pamphlets anonimi, come le religiose con la maschera di possedute, trovano il mezzo di vomitare i loro demòni. Morto in sospeso, cancellato dai discorsi di cui è la causa o l’occasione, grazie a questo velo già disteso sulla vittima è lui che 17 18 19

Ivi, f. 82 sg. e BN, Fds fr. 6764, f. 80.

Lettre au Roi du sieur Grandier accusé de magie: v. capitolo 9, II, nota 1. BN, Fds fr. 7619, f. 129.

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sembra rendere possibile la peste, il cui odore «occupa» le case di Loudun, diffondendovi il morbo.

La possessione di Loudun

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Perché sia completo il dossier sul quale la commissione deve pronunciarsi, manca un pezzo: il giudizio ufficiale del vescovo di Poitiers. Egli lo invia da Dissey, sua proprietà di campagna:

Noi, Henry Louis, per misericordia divina vescovo di Poitiers, certifichiamo a chi spetti Che sebbene una volta, dopo aver veduto, considerato a fondo e diligentemente esaminato con persone capaci i processi verbali redatti dai venerabili decani di Champigny e di Thouars della nostra diocesi da noi incaricati e delegati ad assistere agli esorcismi di qualche religiosa orsolina della città di Loudun che il Signor Barré, dottore in teologia, aveva per nostro ordine esorcizzate in loro presenza nella detta città, e che, conformemente alla determinazione dei Signori della Sorbona di Parigi che, sui presenti processi verbali, avevano giudicato e dichiarato quelle religiose essere veramente possedute, noi stessi avremmo giurato cosa simile, cionondimeno, dato che da allora, durante i due mesi e mezzo in cui abbiamo soggiornato nella detta città di Loudun, dove ci siamo incamminati per fare di nuovo in nostra presenza esorcizzare le dette religiose orsoline e qualche secolare pure in egual modo tormentata, e di continuo, sera e mattina, abbiamo assistito e in date occorrenze noi stessi esorcizzato, abbiamo riconosciuto chiaramente la verità della detta possessione, in virtù di un gran numero di azioni straordinarie, circostanze e altre cose sovrannaturali che sono sopravvenute in nostra presenza.

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Per queste così copiose ragioni dichiariamo che le dette religiose sono davvero tormentate e possedute dai demòni e spiriti maligni e desideriamo contribuire alla loro liberazione… Dato a Dissey, questo decimo giorno d’agosto 1634…20 Anche qui, da parte del suo stesso superiore gerarchico, non si fa parola del curato. Ma se c’è possessione, bisogna punire lo stregone. Alla giustizia civile è affidato il compito coraggioso di attribuirgli il suo nome proprio.

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Un crimine d’eccezione La commissione criminale chiamata a giudicare Grandier ha sottratto la competenza alle giurisdizioni ordinarie (in particolare al parlamento di Parigi), mettendo in opera la giustizia assegnata al re, da cui essa dipende interamente. Il fatto che la procedura sia «straordinaria» e quindi privi l’accusato delle normali garanzie, non significa che essa sia per questo meno regolare. Esistono dei precedenti, in particolare nei casi di stregoneria o di possessione21. Essa metterà giuridicamente la parola fine a un affaire composto da due fasi: la prima, dall’ottobre 1632 al marzo 1633, caratterizzata dalla ricerca di una competenza, è stata segnata dall’ordinanza dell’arcivescovo di Sourdis del 27 dicembre 1632; la seconda, aperta dalla commissione del 30 novembre 1633, richiedeva il tempo dell’istruzione affidata a Laubardemont e, da esso distinto, quello del giudizio, di cui viene incaricato il Seggio designato l’8 luglio 1634. Nel senso giuridico di questi termini, si tratta di un crimine d’eccezione e sovrannaturale, che esige quindi un trattamento straordinario e implica la ricerca dei complici, sempre presunti. Il sospettato è qui un chierico. Egli non sfugge tuttavia alle giuris20 21

Ivi, f. 109. V. soprattutto J. Texier, Le procès d’Urbain Grandier, tesi dattil., Facoltà di diritto di Poitiers, 1953, p. 140 e M. Foucault, Les procès de sorcellerie dans l’ancienne France devant les juridictions séculières, Bonvalot-Jouve, Paris 1907.

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dizioni civili. A partire dal XVI secolo, queste sono riconosciute competenti non solo per i colpevoli laici da tutta la giurisprudenza francese (che respinge le proteste pontificie a favore dei tribunali ecclesiastici, dell’Inquisizione, etc.); come dichiara esplicitamente il consigliere Pierre de Lancre, infatti, esse estendono la loro competenza «anche al prete» – etiam in presbytero –, in caso di delitto eccezionale, crimine enorme, omicidio e dunque anche stregoneria:

Quando il crimine è notoriamente atroce e grave e, come si dice, eccezionale (come abbiamo mostrato una volta che era il sortilegio), i canonisti [i giuristi] stessi ritengono che il giudice secolare ne deve venire a conoscenza… So bene che la dignità presbiterale, il carattere sacrosanto del sacerdozio e l’ordine dei preti che il Salvatore nella sua Chiesa ci ha dato per sacramento, hanno in orrore ed esecrazione le mani profane e insanguinate dei giudici secolari… Ma quando si tratta di un omicidio aggravato, di un assassinio e un’imboscata, di un adulterio, di sodomia, di falsificazione di titoli e di sortilegi… dove c’è empietà, impostura, scandalo, sodomia, adulterio, eresia, apostasia, corruzione di gioventù e cento altri crimini di cui il giudice ecclesiastico non ha alcuna conoscenza, e che non è abituato a trattare, è ragionevole ritenere tali casi di pertinenza dei Giudici reali, davanti ai quali saranno trattati. Si è persino giunti al punto che in Francia i prelati sono soggetti alle leggi e costumi del paese in cui essi hanno residenza e alle ordinanze del re… Ma, per salvarsi e garantirsi dalla giurisdizione ecclesiastica, i preti stessi e altri ecclesiastici tengono al grande privilegio di poter ricorrere alla giurisdizione temporale e mettersi sotto la sua protezione 22. 22

Pierre de Lancre, Tableau de l’inconstance des mauvais anges..., N. Buon, Paris 1612, liv. VI, pp. 487-489.

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Nella Démonomanie des sorciers (IV, 5), Jean Bodin diceva le stesse cose nel 1580, così come Jean Desloix nel suo Speculum inquisitionum, che era stato appena tradotto a Lione nel 1634 (p. 108 sg.). Nelle sue Disquisitionum magicarum libri sex (Lione, 1608), il gesuita Martin Del Rio raccomandava piuttosto la doppia giurisdizione (mixti fori ); di fatto però i giudici ecclesiastici

mostravano spesso poco ardore nel reprimere la stregoneria 23.

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L’argomentazione Su quali «prove» può fondarsi il giudizio che i commissari devono pronunciare? Esse sono state presentate nell’Extrait des preuves qui sont au procès de Grandier. Ne è autore Dreux, uno dei commissari, il quale, così sembra24, era il luogotenente generale di Chinon:

Siccome il fondamento di tutta la procedura del signor de Laubardemont è la possessione delle religiose orsoline, soggetto del processo da lui istruito in via straordinaria contro il curato di Loudun, in esso è stato necessario stabilire la verità tramite delle testimonianze, quali si possono auspicare in questa materia25. Così inizia il rapporto che, nel richiedere dei controlli, fornisce un quadro abbastanza chiaro delle questioni da trattare e dei criteri in funzione dei quali i commissari le hanno risolte. Due problemi vi appaiono distinti con chiarezza: 1. l’autenticità della possessione; 2. la colpevolezza di Grandier.

23 24 25

J. Texier, op. cit., p. 107. BN, Fds fr. 24163, pièce 11. Ivi, f. 29-34 e f. 129-137: due testi identici. BN, Fds fr. 6764, f. 103109; Fds fr. n.a. 24382, f. 92-99. Testo pubblicato (con qualche errore) e commentato in [Aubin], Histoire des diables de Loudun, Amsterdam 1752, pp. 171-197.

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Il primo non è direttamente di loro competenza. Si rimettono dunque all’autorità competente. Citano: la sentenza in decreto del vescovo di Poitiers (10 agosto 1634); il Parere dei dottori della Sorbona (11 febbraio 1633); le attestazioni di esorcisti abilitati (Lactance, Élisée, Tranquille e un carmelitano); le dichiarazioni di alcuni teologi (padre Gilbert Rousseau, rettore del collegio di Poitiers, il priore dei frati domenicani di Tours, e Revol, dottore della Sorbona); i Certificati di numerosi medici, secondo i quali i fatti sorpassano la natura. Il secondo punto, oggetto vero del giudizio, può essere chiarito sia con le deposizioni di testimoni ( prove ordinarie), sia con dei segni o cicatrici trovate sul sospettato ( prove straordinarie), sia con le sue confessioni.

Le prove ordinarie La raccolta di prove ordinarie risulta in primo luogo dalle Informazioni posteriori e dalle audizioni di testimoni. In sostanza esse si basano sulla seduzione esercitata da Grandier, al punto di sostenere che della sua chiesa egli faceva un luogo di piacere e un bordello aperto a tutte le sue concubine: è questo potere di stregone affascinatore ad attrarre l’attenzione, più che il comportamento disdicevole.

Così una donna disse che un giorno, dopo aver ricevuto la comunione dall’accusato che la guardò fissamente durante il compimento del rito, ella fu incontanente colta di sorpresa da un amore violento per lui, che cominciò con un fremito sottile in tutte le sue membra.

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L’altra disse che, essendo stata fermata da lui in strada, egli le strinse la mano e che anch’ella fu incontanente accesa da una forte passione per lui…26 Altra testimonianza: un avvocato depone di aver veduto leggere

all’accusato dei libri di Agrippa.

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Cornelius Agrippa: il grande teorico della Filosofia occulta (1531). Nel precisare la sua deposizione, l’avvocato quasi l’annulla. Ma la sua ritrattazione non verrà ammessa:

È vero che [l’avvocato] si è in certa misura [i.e. un po’] spiegato nel confronto, dicendo di ritenere che i libri di Agrippa di cui aveva inteso parlare con la sua deposizione sono il De Vanitate scientiarum. Questa spiegazione è però molto sospetta, poiché l’avvocato aveva abbandonato Loudun e non volle accettare il confronto se non dopo esservi stato forzato. La verità delle possedute Un’altra fonte di prove ordinarie è costituita dalle deposizioni delle religiose e delle secolari possedute fuori dagli esorcismi, testi in cui non c’è una parola che non meriti considerazione: il loro amore ossessivo per Grandier, le loro visioni notturne, i colpi misteriosamente ricevuti e così via. Il relatore sottolinea un episodio accaduto durante deposizioni rese davanti a Laubardemont (dicembre 1633-gennaio 1634).

Ora, oltre a tutti gli accidenti da cui le buone religiose sono state afflitte, non ne trovo uno di più strano di quello che è accaduto alla madre priora e a sorella de Sazilly. All’indomani della sua deposizione, la prima indossò la camicia e, a testa nuda, con una corda al collo e un cero in mano, restò in questo stato per un 26

Salvo diversa indicazione particolare, i testi qui citati provengono da l’Extrait des preuves qui sont au procès de Grandier.

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tempo di due ore, nel mezzo del cortile sotto una pioggia battente. Quando la porta del parlatorio venne aperta, ella si slanciò in quella direzione e si mise in ginocchio davanti al signor Laubardemont, dichiarandogli che ella veniva per riparare al torto che aveva commesso accusando l’innocente Grandier. Dopo essersi ritirata, ella legò la corda a un albero nel giardino, cui si sarebbe impiccata, se le altre sorelle non fossero accorse. La stranezza di questo accidente è considerata come un indizio del potere esercitato dallo stregone! Seguono alcune attestazioni di Barré, che tende a suggerire l’identità del sospetto. Ma le dichiarazioni fatte dai demòni agli esorcisti non sono ammesse, lasciando ai

più raffinati esaminare se si può prestare fede a ciò che proviene dal padre della menzogna, se i demòni debitamente esorcizzati sono obbligati a dire la verità e se quelle richieste per rendere un esorcismo perfetto sono condizioni sia possibili che necessarie. Le prove straordinarie Malgrado tutto, il valore delle prove ordinarie appare non più che indiziario. Bisogna arrivare alle prove straordinarie. Una di queste è la cicatrice che lo stregone porterebbe sul suo corpo, per aver firmato con il suo sangue un patto con il diavolo. Il 25 aprile, restituendo un patto, il demonio Asmodeo aveva dichiarato che il sangue visibile sul patto proveniva da un taglio, che Grandier si era procurato al polso della mano destra nell’atto di firmarlo. Laubardemont, alcuni medici ed esorcisti, tutta una piccola truppa si era subito trasferita nella prigione, ove il curato, sul quale si era constatata la cicatrice nel punto indicato, aveva fornito delle spiegazioni confuse: ferita dovuta a una spina, pensava lui. No, i medici dichiararono che il taglio era dovuto a un coltello. Senza dubbio, replicò Grandier, si era ferito tagliando il suo pane con un coltello che una delle sue guardie gli aveva dato. Ad ogni modo, Jacques d’Autun lo ribadisce in L’incredulité savante et la

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credulité ignorante au sujet des magiciens et sorciers 27, è davvero difficile distinguere questo genere di segno dalle semplici cicatrici. Più sicuri sono i segni indolori, luoghi insensibili che non sanguinano. Pierre de Lancre diceva che in pratica non c’è prova che io trovi più certa di queste qui28. Oggetto di tutta una letteratura, in particolare del Discours des marques des sorciers di Jacques Fontaine (che sembra essere stato

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utilizzato a Loudun)29, questi luoghi indolori obbediscono a delle regole precise.

I segni indolori La profondità di questi segni è all’incirca di tre o quattro dita nella parte che sembra morta o insensibile, poiché tutto il ferro di una lesina che vi si sprofonda non ne fa fuoruscire acqua né sangue, né fa provare alcun dolore allo stregone 30. La ricerca di queste regioni sottratte dal diavolo alle leggi della natura era stata fatta sul curato secondo le indicazioni fornite dal demonio Asmodeo, che possiede Jeanne des Anges, nel corso dell’esorcismo del precedente 26 aprile. Incaricato di questa visita, il chirurgo Maunoury, accompagnato da altri medici, fece spogliare

Grandier tutto nudo, bendare gli occhi e rasare dappertutto, e scandagliandolo e pungendolo fino alle ossa in parecchie zone del suo corpo 31. Maunoury fu accusato di avere simulato la puntura in certi punti del corpo, affinché questi apparissero insensibili in concomi27 J. d’Autun, L’incrédulité savante et la crédulité ignorante au sujet des magiciens et sorciers, Lyon 1671, p. 541 sg. 28 P. de Lancre, Tableau de l’inconstance des mauvais anges, cit., p. 189. 29 J. Fontaine, Discours des marques des sorciers, Larjot, Lyon 1611: Lyon,

Bibl. municipale, 363842/363868. 30 J. d’Autun, L’incrédulité savante et la crédulité ignorante, cit., p. 541. 31 V. G. Legué, Urbain Grandier et les possédées de Loudun, cit., p. 212.

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tanza con il fatto che la vittima smetteva di gridare. La richiesta di rinnovare l’esperienza, pur essendo avanzata dallo stesso Grandier l’11 agosto, fu respinta. L’esame di aprile fu ritenuto regolare e il suo risultato costituisce l’argomento che l’Extrait suggella:

Si fece visitare l’accusato da otto medici che hanno reso il loro rapporto, con il quale essi dichiarano che tra tutti i segni trovati sulla sua persona, quelli della spalla e del secretum [il sesso] sono per loro sospetti, perché essendo stato ficcato un ago nella prima dello spessore pari alla dimensione di una pulce, la sensibilità vi era ottusa, ma non così circa quello che l’accusato aveva testimoniato provare quando lo si era scandagliato nelle altre parti, e che, dall’una e dall’altro, non era per niente uscito del sangue, una volta che l’ago ne fu ritirato. L’insensibilità del corpo nello stregone corrisponde così all’incoscienza o all’assopimento dello spirito nelle possedute. Della parola, non resta niente di umano. È l’ago che porta a fondare il giudizio trafiggendo la superficie. Solo esso alla fine trae dal corpo le prove meno incerte, laddove né i ragionamenti né le testimonianze forniscono dimostrazioni. Facendo alternare le grida e i silenzi, lo strumento del chirurgo fa parlare il corpo e costringe il diavolo: è esso a ottenere questi due obiettivi che ossessionano gli esorcisti. Ma è cieca, questa arma che impone la sua legge e ha ragione del demonio.

Ecco, conclude l’Extrait, la parte migliore delle prove sulle quali è intervenuta la sentenza del 17 agosto. Si sono dovuti estendere al massimo gli indizi più prossimi, poiché le prove complete fanno difetto. Gli oggetti presi presso il curato sono parsi degli indizi troppo lontani e poco sicuri. I patti sono menzionati solo indirettamente, sebbene di solito essi costituiscano uno dei pezzi essenziali di un dossier di stregoneria. Infine e soprattutto manca la confessione.

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Il giudizio Il 15, il 16 e il 17 agosto, messo a confronto con i suoi giudici, Grandier confessa una volta di più i suoi comportamenti disdicevoli e le sue debolezze di natura, ma una volta di più nega di aver commesso il crimine di cui lo si accusa. Il 15 si confessa e si comunica. L’indomani, Padre Archange viene ad annunciargli l’imminenza della condanna; riferirà la risposta del curato:

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Se è necessario che io muoia, prego Dio che ciò sia per l’espiazione dei miei peccati e dei miei crimini 32 . I giudici si riuniscono al convento dei Carmelitani il venerdì 18 agosto 1634, alle cinque del mattino, per pronunciarsi. La vigilia, a Poitiers, Monsieur de Cursay, accusato di magia, viene rilasciato dopo l’arringa dell’avvocato Lemaistre: Sono necessarie, diceva,

delle potenti prove per far credere che un cristiano abbia commesso questa specie d’idolatria. Ma l’8 agosto, a Parigi, la Chambre de l’Arsenal condanna a essere impiccati, i loro corpi bruciati e le loro ceneri gettate al vento, due uomini, fra cui un prete, accusati di avere agito nella loro casa contro il cardinale Richelieu con invocazioni, incantesimi e magie33. Imbevuti fino al midollo di letture demonologiche, i commissari hanno appreso che il crimine di maleficio è tanto più enorme,

quanto più solo in esso si ritrovano tutte le circostanze e i crimini di apostasia, eresia, sacrilegio, blasfemia, omicidio, spesso perfino di parricidio, accoppiamento carnale contro natura e odio contro Dio 34. Grazie a tutto ciò che riferisce il loro incartamento, i legulei di provincia riuniti intorno al commissario sono messi di fronte 32 33

BN, Fds fr. 24163, f. 113. O. de Vallée, De l’éloquence judiciaire au XVlIe siècle, Paris 1856, pp. 277-279. 34 M. Del Rio, Les Controverses..., in J. Texier, Le procès d’Urbain Grandier, cit., p. 91.

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all’anti-società, davanti al crimine che è un plurale, la raccolta di tutti i crimini.

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La sentenza Al mattino presto, essi si pronunciano. Dopo il loro giudizio, l’esecuzione spetta a Laubardemont. Egli si reca alla prigione, preceduto dal chirurgo Fourneau, che è stato convocato da due guardie per la rasatura completa del condannato. Verso le sette, accompagnato da arcieri, la carrozza del commissario attraversa le strade già piene e conduce fino al palazzo di giustizia Laubardemont, La Granhe, prevosto di Chinon, Grisart, ufficiale delle guardie, e il curato. Questi è introdotto nella sala dell’udienza. Sono presenti i suoi giudici, gli esorcisti con i loro paramenti, così come un grande pubblico. Grandier si mette in ginocchio e a capo scoperto ascolta la lettura della sentenza da parte del cancelliere Nozay:

Esaminato da Noi, commissari delegati dal Re, Giudici sovrani in questa materia, seguendo le lettere patenti del Re dell’ottavo giorno di luglio mille e seicento trentaquattro, il processo criminale condotto su richiesta del procuratore di sua Maestà querelante e accusatore per crimine di magia, sortilegio, irreligione, empietà, sacrilegio e altro caso e crimini abominevoli, da una parte, e il Signor Urbain Grandier, prete, curato alla chiesa di Saint-Pierre di Loudun e uno dei canonici della chiesa Sainte-Croix del detto luogo, prigioniero, difensore e accusato, dall’altra, Noi, senza aver riguardo verso la detta richiesta dell’undicesimo del presente mese d’agosto [la richiesta avanzata per rinnovare la prova dei segni], abbiamo dichiarato e dichiariamo il detto Urbain Grandier debitamente affetto e convinto del crimine di magia, maleficio e possessione accaduto per opera sua nelle persone di alcune religiose orsoline di questa città di Loudun e altre secolari menzionate al processo. Insieme ad altri casi e crimini da quello risultanti. 283 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Per riparazione dei quali, l’abbiamo condannato e condanniamo a fare ammenda onorabile, a capo nudo e in camicia, la corda al collo, tenendo nelle sue mani una torcia ardente del peso di due libbre, davanti alle principali porte delle chiese di Saint-Pierre-duMarché e Sainte-Ursule di questa città di Loudun, e là, in ginocchio, domandare perdono a Dio, al Re e alla giustizia. Eseguito ciò, a essere condotto nella piazza pubblica di Sainte-Croix di questa detta città per esservi legato a un palo su un rogo, che per questo effetto sarà drizzato nel detto luogo, e esservi il suo corpo bruciato vivo con i patti e i caratteri magici che restano al cancelliere, insieme al libro manoscritto da lui composto contro il celibato dei preti, e le sue ceneri gettate al vento. Abbiamo dichiarato e dichiariamo tutti e ciascuno dei suoi beni acquisiti e confiscati al Re, su questi preliminarmente presa la somma di cento cinquanta lire tornesi per essere impiegate per l’acquisto di una lama di rame nella quale sarà incisa la presente sentenza per estratto, che sarà apposta in un luogo eminente nella detta chiesa delle orsoline per restarvi in perpetuo. E prima che si proceda all’esecuzione della detta sentenza, ordiniamo che il nominato Grandier venga sottoposto alla tortura ordinaria e straordinaria per accertare la verità sui suoi complici. Pronunciato nel detto Loudun il diciottesimo giorno di agosto mille e seicento trentaquattro 35.

35

L’Arrest de condamnation, immediatamente stampato a Parigi (Estienne Habert e Jacques Poullard, 1634, in-8°), si trova, manoscritto o stampato, in numerose raccolte: BN, collection Thoisy, vol. 92, f. 385; Fds fr. 24163, f. 113; Archives nationales K 114; etc.

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Il primo non è direttamente di loro competenza. Si rimettono dunque all’autorità competente. Citano: la sentenza in decreto del vescovo di Poitiers (10 agosto 1634); il Parere dei dottori della Sorbona (11 febbraio 1633); le attestazioni di esorcisti abilitati (Lactance, Élisée, Tranquille e un carmelitano); le dichiarazioni di alcuni teologi (padre Gilbert Rousseau, rettore del collegio di Poitiers, il priore dei frati domenicani di Tours, e Revol, dottore della Sorbona); i Certificati di numerosi medici, secondo i quali i fatti sorpassano la natura. 11 del giudizio, può essere chiariIl secondo punto, oggetto vero to sia con le deposizioni di testimoni ( prove ordinarie), sia con dei segni o cicatrici trovate sul sospettato ( prove straordinarie), sia con le sue confessioni.

L’esecuzione. Leggenda e storia (18 agosto 1634)

 La raccolta di prove ordinarie risulta in primo luogo dalle In di testimoni. In sostanza formazioni posteriori e dalle audizioni esse si basano sulla seduzione esercitata da Grandier, al punto di sostenere che della sua chiesa egli faceva un luogo di piacere e un bordello aperto a tutte le sue concubine: è questo potere di stregone affascinatore ad attrarre l’attenzione, più che il comporta mento disdicevole. Così una donna disse che un giorno, dopo aver ricevuto la co munione dall’accusato che la guardò fissamente durante il compimento del rito, ella fu incontanente colta di sorpresa da un amore  violento per lui, che cominciò con un fremito sottile  Le prove ordinarie

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Questa morte sfugge alla storia. Dell’esecuzione non esistono che narrazioni posteriori. Esse lasciano in bianco l’avvenimento stesso. L’essere la vicenda di uno scomparso, fatto a pezzi nelle testimonianze di altri, rende più grave l’ambiguità delle parole e dei gesti di Grandier in quelle ore. I suoi ultima verba ci giungono attraverso discorsi agiografici o apologie della condanna, che nei loro titoli ostentano dappertutto la «verità» – Mémoire secondo verità di ciò che è accaduto…, Relation veritiera… –, ma in realtà si contendono i suoi resti e inventano delle parole a uso e consumo dell’immagine da diffondere.

La morte e la leggenda Se è esatto che il mattino, prima della sentenza, egli allontana Texier, luogotenente generale a Saint-Maixent, poi il cappuccino Archange, venuti per incitarlo a prepararsi alla sua fine, e che, secondo padre Du Pont:

Avendogli il Padre cappuccino replicato che si trattava di morire bene, sollevandolo per il naso egli gli disse: «Non m’importunate. Lasciatemi», è pur vero che lo stesso Archange, del resto persuaso che il curato è morto impenitente e satanicamente, deporrà che in quest’ora mattutina del 18 agosto alle esortazioni che gli fa Padre Archange,

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[Grandier] gli dice: «Dio voglia che oggi Egli sia glorificato nella mia costanza» 1? È autentica la risposta che egli avrebbe indirizzata ai giudici dopo la lettura della sentenza? Bisogna fidarsi della trascrizione che ne dà il Mesmoire de ce qui s’est passé à l’exécution de l’arrest contre

Me Urbain Grandier?

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Signori Prendo a testimone Dio Padre, Figlio e Spirito Santo e la Vergine, mio unico avvocato, che non sono stato mai mago né ho commesso sacrilegi né conosciuto altra magia che quella della Santa Scrittura che ho sempre predicata. Riconosco il mio Salvatore e lo prego perché il sangue della sua passione mi sia meritorio 2. La voce di Laubardemont Il resoconto più vicino all’esecuzione è sotto la data di sabato 19 agosto. È stato redatto da Angevin, notaio reale, ma si tratta del pensiero e delle parole di Laubardemont:

Processo verbale della questione 3 e morte di Grandier, curato di Saint-Pierre-du-Marché di Loudun, giustiziato nel giorno di ieri, per crimine di magia e altri capi d’accusa, di cui, seguendo l’ordinanza del Signor Laubardemont, consigliere del Re nei suoi consigli di Stato e privato, commissario in questa causa, e di altri commissari nominati da sua Maestà per il giudizio del processo, e chiamato con noi F. Gayet nostro chierico incaricato come cancelliere, abbiamo fatto processo verbale circa ciò che è accaduto 1 Bibl. Arsenal, ms. 4824, f. 25 (P. Du Pont); e BN, Fds fr. 24163, f. 113 (P. Archange). 2 «Mesmoire de ce qui s’est passé à l’exécution de l’arrest contre Me Urbain Grandier, prestre, ...exécuté le vendredy 18 aoust 1634», BN, Fds fr. n.a. 24383. 3 Cfr. retro, cap. 4, nota 16 [n.d.c.].

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nei giorni di ieri e di oggi a proposito della detta esecuzione di morte della persona del detto Grandier e delle circostanze a questa inerenti, nella maniera che segue: Vale a dire che noi, consigliere e commissario sopra nominato, dichiariamo di essere stati presenti, il giorno di ieri, dalle ore 7 alle ore 8 del mattino, nella sala dell’uditorio del baliato di Loudun, quando è stata data lettura al detto Grandier della sentenza di morte emessa contro di lui, e che, fatta la detta lettura, [Grandier] ha pregato il nominato signor Laubardemont di non farlo bruciare vivo, per timore di cadere nello stato di disperazione 4. Questa richiesta aveva dei precedenti giuridici. In Lorena, infatti, in molti casi riguardanti stregoni o streghe, i giudici si preoccupavano di rendere meno aspra la morte del condannato, e ancor più di preservare in lui la virtù della speranza. In questo spirito e per evitare lo stato di disperazione che avrebbe causato la dannazione eterna dello stregone, spesso abbreviavano le sofferenze di questi ultimi momenti, decidendo che venisse strangolato, dopo avere solamente sentito l’ardore del fuoco e prima che il suo corpo fosse preso dalle fiamme5. Il motivo era religioso. Stando al processo verbale, Grandier non ha detto di essere sta-

to ingiustamente condannato. Al che il nominato signor [Laubardemont] ha fatto notare che stava a lui [Grandier] ottenere questa grazia [lo strangolamento], confessando di essere colpevole del crimine di magia per il quale era stato condannato a morte. [Grandier] ha risposto che non aveva commesso il detto crimine. Gli abbiamo fatto notare che al giudizio del suo processo eravamo stati tredici giudici e tutti a una sola voce l’abbiamo dichiarato debitamente accusato e ritenuto colpevole dei crimini di magia, maleficio, e di essere l’autore della possessione di alcune religiose 4 5

BN, Fds fr. 7619, f. 111. V. É. Delcambre, «Les procès de sorcellerie en Lorraine. Psychologie des juges », in Revue d’histoire du droit, t. 21, 1953, pp. 414-415.

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orsoline e altre secolari menzionate al processo, e facendogli spesso osservare che eravamo molto sicuri che egli fosse mago. Alla qual cosa egli una volta ha replicato dicendo che non era in suo potere distoglierci da questa credenza 6. La questione

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Il giudizio prevedeva la questione preliminare ordinaria e straordinaria. In base al diritto vigente, non era irregolare. La tortura viene ordinata quando c’è la condanna a morte, ma anche quando c’è il sospetto di complici non ancora denunciati. Ne sono dispensati solo i bambini, i sordomuti, gli impuberi e le donne incinte. Grandier non appartiene a queste categorie e il suo crimine è di quelli che presuppongono complicità, delle quali peraltro si è invano cercata traccia nelle sue carte o tra le sue relazioni. Padre Du Pont, che non si lascia sfuggire alcun pettegolezzo, afferma che uno dei giudici di cui sono amico, mi ha fatto intendere, sebbene oscuramente (il buon Padre sa intendere le parole dette a metà e supplire ai silenzi del suo amico, che senza alcun dubbio è il signor Roatin) che le principali prove e deposizioni

di testimoni riguardano non solo il detto Grandier, ma parecchie altre persone, tra cui non ce ne sono di altissimo rango, e delle quali non ci si può accertare senza un esplicito comando di Sua Maestà, a cui si è inviato il processo 7. La questione «ordinaria», cui il giudizio aggiunge la «straordinaria», dunque, non è solo una pena corporale; essa deve permettere di scoprire ancora alcune verità, in particolare l’esistenza della «scuola di magia», che costituisce l’oggetto della «diceria» di Loudun. Il supplizio consiste nell’introdurre dei cunei sempre più grossi tra gli assi che stringono le gambe, fino a spezzare le ossa. 6 7

BN, Fds fr. 7619, f. 111. Bibl. Arsenal, ms. 4824, p. 28.

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Fuori dalle leggi La degradazione, tradizionale nel caso di un prete consegnato al supplizio, è stata soppressa da Laubardemont, sia perché appare odiosa e si pratica meno, sia perché potrebbe permettere all’accusato un ricorso alla giurisdizione ecclesiastica8. In favore del curato non interviene peraltro nessuna autorità religiosa. L’arcivescovo di Bordeaux tace, sembra per delle ragioni politiche: è in un conflitto violento (1633-1634) con il governatore di Guyenne, Jean Louis de Nogaret, duca d’Éperon, e ha troppo bisogno del sostegno di Richelieu per prendere partito contro Laubardemont, che è per di più avversario politico del governatore. Grandier, solo, è consegnato alla giustizia. Angevin continua il suo processo verbale, sotto la dettatura del commissario:

E abbiamo constatato che egli non guardava per niente l’immagine del crocifisso, che era un quadro attaccato alla parete; che prima di essere sottoposto alla questione, Padre Lactance, religioso, l’ha esortato a dire la preghiera dell’angelo custode [l’Ave Maria] che lui ignorava, ragion per cui il detto Padre lo ha fatto recitare seguendolo parola per parola. Abbiamo veduto che, sottoposto alla questione dei brodequins 9 ordinari e straordinari per la durata di tre quarti d’ora, non ha confessato il detto crimine. Parecchie volte ha detto di averne commessi di più gravi e più vergognosi, ma interrogato su quali essi fossero, ha risposto con queste parole: «Si tratta di fragilità», rendendo confessioni di altri crimini menzionati dal suo interrogatorio. Che non ha mai pronunciato il nome di Gesù, Maria, ma molto spesso ha detto queste parole: «Mio Dio del cielo e della terra, fortificami». Per tutta la durata della questione i suoi occhi erano 8 9

V. J. Texier, Le procès d’Urbain Grandier, cit., pp. 204-205. Il termine indica il supplizio prima descritto nel testo: si stringevano le gambe del condannato tra assi di legno con dei cunei, sui quali si batteva per aumentare la stretta [n.d.c.].

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scintillanti, orrendi e spaventosi; si compiangeva, emettendo delle gran grida, e cionondimeno non ha sparso una sola lacrima, malgrado lo si esortasse a piangere quando emetteva frequenti sospiri e singhiozzi, ragion per cui Padre Lactance, religioso dei recolletti, che esorcizzava gli strumenti che servivano alla questione, avrebbe operato un esorcismo particolare, per spremere delle lacrime dai suoi occhi, che non conteneva altra cosa che queste parole: Si es innoxius, infunde lacrymas [Se sei innocente, versa delle lacrime]. Che, per tutta la durata della detta questione, egli ha pregato il nominato Padre Lactance di baciarlo, e che, essendosi avvicinato a lui, il detto Padre l’ha baciato tre volte. Non abbiamo riconosciuto alcun segno di penitenza e lui, con parole o gesti, non ha affatto chiesto del prete né prima, né dopo la detta questione. Che un volta fuori dalla detta questione, guardando le sue gambe, ha detto: «Signori, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus10». La passione Prestate attenzione e vedete se c’è dolore simile al mio: questo versetto biblico, ripreso dalla liturgia della Settimana Santa, fa parte del primo notturno dell’Ufficio delle Tenebre celebrato durante la notte che segue il Venerdì santo. La folla dei fedeli cantava il cantico delle lamentazioni prestato all’«Uomo dei dolori»11: Oh

voi che passate per la strada, fermatevi… Popoli dell’universo, prestate attenzione, e vedete se c’è dolore simile al mio. Grandier 10 Lamentationes 1, 12 (Vulgata) [n.d.c.]. 11 Tema iconografico che rappresenta Gesù

Cristo sofferente, con tutte le piaghe della crocifissione e la piaga al costato, ma vivente e non in croce. Si distingue perciò dal motivo dell’Ecce homo, che rappresenta Cristo dopo la flagellazione e con la corona di spine, ma senza i segni delle piaghe della crocefissione. Sebbene già apparso a Bisanzio nel XII secolo, questo genere di rappresentazione si diffuse più ampiamente a partire dal XIV secolo [n.d.c.].

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fa suo questo appello del Servitore sofferente e lo indirizza ai testimoni della «questione». Per riscaldarlo, il nominato Grandier è stato condotto all’istan-

te in una camera alta del detto uditorio, nella quale siamo andati a visitarlo alle due del pomeriggio e, vedendo che allora egli parlava spesso di Dio in buoni termini, gli abbiamo fatto notare quanto quel mattino avessimo raggiunto la certezza che lui fosse mago e, su questo fondamento, sapevamo bene che, quand’egli parlava bene di Dio, intendeva parlare del diavolo, e quando detestava il diavolo, intendeva detestare Dio; e che quanto gli dicevamo era vero. Al che egli non avrebbe dato alcuna risposta, se non che pregava il Dio del cielo e della terra di assisterlo12. Il linguaggio ha perduto senso. In ogni modo, la logica di Laubardemont condivide con il diavolo gli strumenti per stabilire ciò che il condannato «intende» dire con le parole che affermano il contrario.

L’esecuzione La folla attende: seimila persone, secondo alcuni; dodicimila, secondo altri. Alle tre o quattro del pomeriggio, Grandier viene rivestito con una camicia ricoperta di zolfo e, con una corda al collo, fatto scendere nel cortile del palazzo, da cui un tombarello attaccato a sei muli deve condurlo, secondo quanto prescritto dalla sentenza, alla chiesa di Saint-Pierre-du-Marché, poi alla cappella delle orsoline, infine alla piazza del Marché-Sainte-Croix. Per le migliaia di spettatori presenti, che cosa accade? Che cosa vedono? Il curato si perde in questa folla che tuttavia non ha occhi se non per lui. Versione del notaio reale Angevin: 12

BN, Fds fr. 7619, f. 112.

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Condotto il detto Grandier al supplizio e davanti alla porta di Saint-Pierre du Marché, di cui egli era curato, per farvi onorabile ammenda secondo il detto giudizio, il nominato Padre [Lactance] pregò il detto Grandier di dire: Cor mundum crea in me, Deus. E in quel momento il detto Grandier gli voltò le spalle e disse in maniera sprezzante: «Ebbene, Padre mio, cor mundum crea in me Deus».

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Place du Marché, verso le cinque del pomeriggio:

Dichiariamo che, legato Grandier a un palo per essere bruciato, il detto Padre Lactance esorcizzava il legno che doveva servire a bruciarlo; che Padre Tranquille, religioso cappuccino e guardiano dei Padri cappuccini de La Rochelle, predicatore missionario del Poitou, che con il suo compagno padre Patience assistette il detto Grandier dal momento in cui ha patito durante la questione fino all’ora dell’esecuzione, lo spazio di sei ore o all’incirca, per tutto questo tempo non l’ha veduto fare alcuna azione di contrizione dei suoi peccati. In quel momento cominciò a esortarlo a raccomandare la sua anima a Dio. Gli presentò un crocifisso di legno, dal quale [il curato] scostò il viso, al che il detto Grandier, essendosi accorto che il detto Padre nutriva del malcontento per il disprezzo che egli aveva fatto del crocifisso, si voltò verso di lui, e poiché il detto Padre l’aveva incitato a baciarlo, egli fece ciò come con grande rammarico. Ultimi momenti:

Il detto padre Lactance, dei recolletti, ci ha detto che il giorno di ieri, nell’istante della morte d’Urbain Grandier, quando il detto Grandier era legato al palo dove doveva essere bruciato, esorcizzando il legno che doveva servire a bruciare il corpo del detto Grandier, per timore che il calore e l’opera del fuoco fossero sospese dal diavolo, egli avrebbe veduto una mosca nera e grossa come una noce che sarebbe bruscamente caduta sul libro degli esorcismi; 294 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

che, durante il detto tempo, egli aveva mostrato al detto Grandier che il paradiso era ancora aperto per lui se si convertiva a Dio. Quegli gli avrebbe dato risposta con queste parole: «Proprio in questa ora io vado in paradiso»13. In mezzo all’astio dei preti, quale senso Grandier attribuisce a questa nuova ripresa di un’espressione di Gesù: «In verità, ti dico, oggi sarai con me in paradiso»14?

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«Dio davanti agli occhi» La Relation véritable de ce qui s’est passé en la mort du curé de Loudun, bruslé le vendredy 18 aoust 1634 mette l’accento su questo parallelo:

Tra le tre e le quattro del pomeriggio, fu fatto scendere e messo in un tombarello, per essere poi condotto davanti alla porta della chiesa Saint-Pierre, dove un buon Cordigliere [Grillau] l’attendeva. Fu messo a terra per eseguire la sentenza e questo buon Padre gli chiese se non moriva contento e non chiedeva perdono a Dio di tutte le sue colpe; che egli doveva al presente confessarle; che ormai non aveva via di scampo; che non portasse nulla sulla sua coscienza; che da parte di Dio lo assicurava sulla sua salvezza, se egli se ne andava penitente. Allora egli disse: «Mio dolce Salvatore Gesù-Cristo, santa Vergine, voi vedete il mio cuore. Vi chiedo perdono». E poi disse: «Addio, padre mio. Pregate Dio per me e consolate la mia povera madre». Risalito, viene poi condotto davanti alla chiesa delle Orsoline, dove, lì stante, lo si supplica ancora di riconoscere il suo misfatto e di non morire impenitente. «Io spero, dice, che il mio Dio, il mio Creatore, Salvatore e Redentore, mi perdonerà. Lui solo sa 13 14

Ibid. Vangelo di san Luca, 23,43.

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che sono innocente. Non dirò altra cosa che ciò che ho detto. Non mi turbate. Vedo il mio Dio che mi tende le braccia». Il Padre [in altre relazioni, è il cancelliere] che era con lui per confessarlo gli disse: «Come, Signore, non volete domandare perdono a queste fanciulle? – Ah! Padre Mio, rispose, non le ho mai offese». Egli viene rimesso nel tombarello, dove è disteso sulla schiena, gli occhi al cielo, avendo sempre Dio sulla sua bocca. E mentre passava davanti alla casa del suo avvocato, affacciato alla sua finestra, questi gli disse: «Signor curato, avete sempre Dio davanti agli occhi. Non mormorate affatto contro di lui. È così che egli mette alla prova i suoi figli». Il suppliziato gli rispose: «Signore, ho speranza in Dio. Egli non mi abbandonerà». Pregava Dio di continuo e persino quando fu messo nel tombarello recitava le litanie della santa Vergine. Una volta arrivato nella piazza pubblica, viene messo sul rogo, dove egli manifestava la più grande sicurezza che avesse mai avuta, ripetendo sempre: «Che il mio dolce Gesù non mi abbandoni e che abbia pietà di me». Fu a lungo esorcizzato dal Recolletto [Lactance], al quale disse: «Padre mio, voi lavorate invano. Non ce n’è di diavolo in me. L’ho rinnegato. Il mio Dio lo sa. Non vi dirò altra cosa che ciò che vi ho detto». Fece cantare un Salve Regina e l’inno Ave maris stella, pregando sempre Dio. Alla fine, dopo parecchi interrogatori, pregò il Padre Recolletto di volergli dare il bacio di pace, cosa che il Padre rifiutò tre o quattro volte. Infine condiscese e gli disse: «Signore, ecco il fuoco. Non c’è più salvezza per voi. Convertitevi». Di fatto, il Recolletto e i due cappuccini presero ciascuno una frasca di paglia e misero loro stessi il fuoco al rogo. La qual cosa vedendo, il detto curato disse: «Non si mantiene ciò che mi era stato promesso», che era di strangolarlo prima. Ed essendo nelle fiamme, disse ancora queste parole: «Signore Gesù Cristo, ti rimetto la mia anima tra le mani. Invia i tuoi angeli, Dio mio, af-

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finché la portino davanti al tuo volto, e perdona ai miei nemici». Queste sono le sue ultime parole 15.

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Secondo padre Du Pont,

In tutto egli testimoniò di non temere per nulla la morte né ciò che segue dopo, mentre temeva molto di essere bruciato vivo e non faceva altra cosa che pregare che lo si strangolasse, come il Signor de Laubardemont gli aveva promesso nel caso si convertisse. Accadde il contrario. Infatti, il fuoco o il diavolo ruppe la corda in un istante e così prontamente che non appena il fuoco fu acceso egli cadde dentro e vi fu bruciato vivo senza gridare. Solamente alcuni intesero che egli disse: «Ah, Dio mio» 16. Il prezzo del morto Le ceneri sono gettate al vento: le tracce dello stregone cancellate, perché contagiose. La piazza pubblica ne viene ripulita. Ma non la memoria: la polemica si moltiplicherà e una letteratura prolifererà, nate esattamente da questa pericolosa assenza. Restano anche i segni del lavoro di Loudun, che è stato associato all’«affaire» e continua dopo di esso. Come queste ricevute datate 24 agosto 1634:

Io sottoscritto confesso di aver avuto e ricevuto la somma di 19 lire e 16 soldi per il legno che è stato impiegato per fare il rogo del Signor Urbain Grandier, il palo dove è stato legato e altro legname… Deliard 17 15 «Relation véritable de ce qui s’est passé en la mort du curé de Loudun... », BN, Fds fr. 6764, f. 124-130. Testo pubblicato in Archives curieuses de l’histoire de France, éd. F. Danjou, 2e série, t. 5, Paris 1838, pp. 278-279. 16 Bibl. Arsenal, ms. 4824, f. 27. 17 V. la riproduzione del manoscritto in G. Legué, Urbain Grandier et les possédées de Loudun, cit., p. 266.

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Io sottoscritto Jan Verdier, procuratore al seggio di Loudun, in qualità di incaricato di Pierre Marin, mia sorella, confesso di aver ricevuto… la somma di 108 soldi e 6 denari per la giornata di spesa relativa ai cinque cavalli degli arcieri del Signor prevosto di Chinon, il giorno dell’esecuzione del Signor Urbain Grandier, curato di Saint-Pierre du Marché di Loudun, e per la giornata dei muli, carretti e servitori impiegati per portare il detto Grandier al supplizio… Verdier 18 L’avvenimento resta iscritto con precisione nei conti. La storia «oggettiva» del morto è quella del suo prezzo.

Il senso del morto Nello stesso tempo per tutta la Francia si diffondono lettere, pamphlets, Récits e Relations di ogni sorta. Subito circola così una lettera d’Ismaël Boulliau datata 7 settembre. Lo stesso mese, secondo un diario di conti, si apprende a Lione la notizia del

supplizio d’Urbain Grandier. Ecco in quali termini Ismaël Boulliau, di Loudun, etc.19. Nella sua lettera, il giovane erudito menzionava le informazioni ricevute da Loudun da suo fratello ugonotto. Scrive a Gassendi:

Poiché mi sto occupando di questa virtù della pazienza, vi donerò qui l’estratto di una lettera che uno dei miei fratelli mi ha scritta a proposito della morte del Signor Urbain Grandier. L’informazione si demoltiplica in virtù di lettere che sono degli estratti di lettere e di cronache che sono delle copie di copie. Ma essa si mette a circolare sotto l’insegna dell’esemplarità. Boulliau l’iscrive nel capitolo della pazienza, virtù stoica: 18 19

Ivi, p. 264. A. Pericaud, Notes et documents pour servir à l’histoire de la ville de Lyon, 2e Partie (1594-1643), pp. 270-272.

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Non posso impedirmi di parlarvi del defunto Signor Urbain Grandier morto o come un angelo, se gli angeli possono morire, o come un diavolo, se fossero mortali, poiché se quest’uomo era innocente, egli ha ben esercitato la più grande virtù che sia tra tutte le virtù. Quando ci penso, la sua costanza mi rapisce. Il fatto che egli si sia visto condannare al più atroce fra i supplizi che si possano immaginare e preliminarmente sottoposto alla questione per conoscere i suoi complici, che abbia patito la tortura straordinaria senza essere risparmiato, e che tali dolori non abbiano potuto trarre da lui una parola non corretta, al contrario una perseveranza continua senza mai vacillare, accompagnata da preghiere e meditazioni degne del suo spirito, questo mi fa dire che di esempi simili se ne trovano pochi, perché egli sapeva che doveva morire, e non era per nulla attratto dal mondo nel sopportare tali mali, se non ci fosse stata questa sola costante virtù che poteva obbligarlo a una tale risoluzione, unita al desiderio di lasciare la credenza che egli fosse innocente. L’ho veduto sul rogo parlare arditamente, vedere il fuoco acceso senza manifestare di temerlo, al contrario dire a alta voce: Signore Gesù, rimetto la mia anima nelle tue mani. Un testimone gli domandò perdono tanto per lui che per gli altri. Rispose in questi termini: Amico mio, vi perdono tanto di buon cuore quanto credo fermamente che il mio Dio mi concederà il perdono e mi riceverà oggi in paradiso. Questo mi fa dire, se egli è morto innocente, che è morto da uomo dabbene e che ha reso testimonianze di una virtù incredibile. Se egli è morto colpevole, è morto indiavolato, avendo impiegato dei doni così eccellenti per mantenere la sua malvagità. I diavoli dicono che egli è all’inferno dove egli soffre molto, ma parecchi ne dubitano, avendolo udito parlare come un cristiano, oltre che è peccare contro la carità. Alcuni dicono che quando invocava Dio, egli intendeva una deità diabolica e una trinità della stessa specie, ma altri, che l’hanno udito, dicono che essendo stato ammonito da un uomo di spirito che, avendolo inteso par-

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lare di Dio, gli disse che gli ebrei rimproveravano a nostro Signore che egli avesse chiamato Elia, egli rispose: «Io invoco Dio che mi ha creato per suo figlio Gesù-Cristo, mio salvatore, figlio della beata Vergine e non ne conosco affatto altri». Egli ha confessato che era stato uomo, che aveva amato le donne, ma che dopo la sua sentenza a Poitiers [3 gennaio 1630] si era da ciò allontanato senza dare più nessuno scandalo e, stando a quanto si dice, ha negato di essere mago o stregone e di avere commesso sacrilegio 20.

20

Lettera d’Ismaël Boulliau a Gassendi: cfr. retro, capitolo 9, II, nota 16.

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Dopo la morte, la letteratura

      

 

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La morte sembra liberare la parola. Una volta portata a termine l’esecuzione, prolifera una letteratura. Essa racconta ciò che è stato, perora ciò che si sarebbe dovuto fare, trae profitto da questa morte. Descrive gli avvenimenti, li giustifica o li condanna. Ma tutto ciò che essa dice è declinato al passato e reso possibile solo in virtù di un’azione che è stata fissata, irreversibile e definitiva: Urbain Grandier è stato bruciato.

La stampa libera La diffusione di questa stampa di piccolo calibro è legata al fatto che tutti i giochi sono fatti. Laubardemont ha vinto ed è per questo che lo si può accusare negli epigrammi che la giornata del 18 agosto provoca e parimenti permette:

Voi tutti che vedete la miseria Di questo corpo che oggi si brucia Apprendete che il suo Commissario La morte meglio di lui merita1. Grandier è stato effettivamente ucciso ed è per questo che egli può divenire un oggetto letterario, nel poema agiografico che sembra esitare ancora tra due interpretazioni e che reimpiega gli episodi della sua «passione» (per esempio la voce, diffusa in città, secon1 Pubblicato in [Aubin], Histoire des diables de Loudun, Amsterdam 1694, p. 380.

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do la quale si sarebbe presentato al curato, sul suo rogo, un crocifisso arroventato dal fuoco e che egli l’avrebbe rigettato sputando):

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L’inferno ha rivelato che per orribili trame Feci patto con Lui per traviare le donne. Di quest’ultimo delitto, nessuno si lamenta; E nell’ingiusto arresto che mi consegna al supplizio, Il demonio che mi accusa è autore e complice, E ammesso come testimone del crimine che egli ha finto. L’Inglese, per vendicarsi, fece bruciare la Pulzella. Di simili furori mi hanno come lei dato alle fiamme. Stesso crimine ci fu imputato falsamente. Parigi la canonizza e Londra la detesta. A Loudun, l’uno mi crede incantatore manifesto, L’altro mi assolve. Un terzo sospende il suo giudizio. Come Ercole, fui folle per le donne. Sono morto, come lui, consumato dalle fiamme. Ma il suo trapasso lo fece salire al rango degli dei. Del mio si è così bene nascosto le ingiustizie Che non si sa se i fuochi, funesti o propizi, Mi hanno reso nero per l’inferno o purgato per i cieli. Invano, nei tormenti, ha brillato la mia costanza. È un magnifico effetto, muoio senza pentimento. I miei discorsi non sono affatto dello stile dei sermoni. Baciando il crocifisso, gli sputo alla guancia. Levando gli occhi al cielo, faccio il muso ai santi. Quando invoco Dio mio, invoco i demòni. Altri, meno prevenuti, dicono, malgrado l’invidia, Che si può lodare la mia morte senza approvare la mia vita, Che essere ben rassegnato dimostra Speranza e Fede, Che perdonare, soffrire senza timore, senza mormorio,

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È Carità perfetta, e che l’anima si purifica, Sebbene avendo mal vissuto, morendo come me 2.

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Il tempo delle gazzette Nella città di Théophraste Renaudot, in questo centro cittadino dove l’industria della pergamena è così prospera, da rue de la Parcheminerie – la strada che puzza, si dice – tutti i tipi di stampa, di libello e di disputa escono dal silenzio dello stupore per rifluire sui fatti che accadono. Essi sviluppano un genio locale. Lo stesso vale per tutto il Poitou. Secondo un contemporaneo, in

genere questi abitanti del Poitou sono piuttosto forti e robusti, alteri, capaci di vendetta, amano i processi e la novità. Sono sottili e acuti di spirito, dal che deriva la loro propensione per i frequenti motti di spirito e la grande inclinazione per le lettere e le scienze… Il contadino è rude e malizioso, e più versato nell’arte del cavillo di tutti i chierici di una cancelleria…3 La letteratura, che Naudé chiamerà la gazzetta degli sciocchi, trova dunque un vasto pubblico che sa apprezzarla. La sua onda si propaga. Da tutte le parti, gli editori stampano le carte che arrivano da Loudun, da Poitiers, da Chinon o da Saumur. A partire dal 14 ottobre 1634, il dottor Seguin parla al suo amico parigino di diversi scritti che corrono dappertutto e, sono sicuro, sul Pont-

Neuf tra gli altri 4. Il Pont-Neuf è il ritrovo parigino per il traffico di libelli, di

componimenti popolari, di libri d’occasione esposti su dei cavalletti o allineati sul parapetto5. 2 3 4 5

Ivi, p. 379.

Géographie Blaviane, Amsterdam, vol. 7, 1667, p. 403. Mercure françois, t. 20 (anno 1634), 1637, p. 772. H.-J. Martin, Livre, pouvoirs et société à Paris au XVIIe siècle, Droz,

Genève 1969, pp. 356-357.

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Dopo aver eccitato la curiosità del signor Quentin, suo corrispondente, Seguin aggiunge: Vi supplico di non comunicarlo che

ai nostri amici…6

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Ma è solo un modo di dire, poiché egli sa bene quale sarà la sorte della sua lettera, pubblicata nel Mercure françois del 1634. Così fa anche padre Du Pont, quando il 29 agosto scrive da Poitiers al suo amico parigino, M. Hubert. Gli annuncia qualcosa di sensazionale, per pretendere poi del tutto retoricamente di ritirare dalla circolazione tante meraviglie e tanti fatti singolari:

Se nei tre viaggi che ho fatto a Loudun non avessi io stesso veduto ciò che è accaduto, non vorrei crederlo. Se voi comunicate le mie lettere a qualcuno dei nostri amici, vi prego di non lasciare affatto prenderne copia, non essendo mia intenzione che esse siano mai stampate 7. Il 25 agosto, inviando la sua lettera ai suoi amici, il suo autore sconosciuto (N.) non nasconde neppure più il pubblico a cui la sua cronaca è destinata: Vi è certo la probabilità che sarà un articolo per la prossima Gazette8. Si tratta ovviamente della Gazette di Renaudot, fondata nel 1631, che dal 1634 presenta un supplemento mensile di Extraordinaires. N. pensa dunque a un giornale meno ufficiale e meno serio del Mercure françois. Consegnare al pubblico le «carte» provenienti da Loudun diventerà un fatto abituale. Esse passano nelle corrispondenze e negli archivi di eruditi, i frati Du Puy, Mersenne, Peiresc in particolare, che le colleziona e le conserva. Nel 1635, Surin, malato fin dall’inizio del suo soggiorno a Loudun, parlerà del colpo che il mio spi-

rito ha ricevuto, avendo appreso che una lettera che avevo scritta a

6 7 8

Mercure françois, t. 20 (anno 1634), 1637, p. 780. Bibl. Arsenal, ms. 4824, f. 13. BN, Lb 36.3023; etc.

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un uomo come a un confessore è stata portata alla conoscenza di tutti 9.

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Una biblioteca È impossibile analizzare in dettaglio l’indefinita diffrazione dell’evento nella diversità di tante narrazioni e apologie, o le distorsioni cui esso è stato sottoposto nel corso dei loro itinerari nella trama delle reti che le veicolano. Per il loro riaffiorare in nuove edizioni, per le loro tracce o copie, per le varianti testuali dovute a cambiamenti di ambienti, di interessi o di epoche, simili ai viaggi di un elemento visibile nell’opacità del corpo, questi lavori fanno del resto emergere i circuiti socio-religiosi e, in certe date, le sfaldature di mentalità che diversificano il pubblico destinatario di questi testi «rivisti e corretti». L’insieme di questa stampa forma un dossier che è già il documento caratteristico di un certo momento. I lavori qui sotto elencati vengono redatti, raccolti o stampati nel periodo dalla scomparsa dello stregone fino alla fine del 1634. Ciò che qui ne viene presentato, in base all’ordine approssimativo della loro messa in circolazione, non costituisce evidentemente che il residuo di una letteratura che è la più sfuggente ed effimera fra tutte:

– Interrogatoire de Maistre Urbain Grandier, prestre curé de S. Pierre du Marché de Loudun… avec le confrontations des Religieuses possédées contre ledit Grandier…, pubblicato a Parigi, presso E. Hebert e J. Poullard, 1634.

– Factum pour Maistre Urbain Grandier, senza luogo né data ma di fatto pubblicato a Parigi.

9 Lettre à Laubardemont, in J.-J. Surin, Correspondance, éd. Michel de Certeau, Paris, Desclée De Brouwer, 1966, p. 280.

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– Requeste de Grandier, curé de Loudun… au Roy (testo che ha circolato anche sotto il titolo di Lettre de U. Grandier), molto probabilmente stampata a Parigi, 1634.

– Remarques et Considerations servans a la justification du Curé de Loudun, autres que celles contenues en son Factum…, senza luogo né data, ma molto probabilmente stampate a Parigi, 1634.

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– Extrait des Registres de la Commission ordonnée par le Roy, pour le Jugement du procez criminel fait à l’encontre de Maistre Urbain Grandier et ses complices, pubblicato perlomeno a Poitiers (presso J. Thoreau e la vedova Antoine Mesnier) e a Parigi10. – Extrait des preuves qui sont au procès de Grandier, a quanto sembra redatto a Poitiers11.

– Arrest de condamnation de mort contro Maistre Urbain Grandier, prestre, curé de l’église Sainct-Pierre-du-Marché de Loudun et l’un des chanoines…, atteint et convaincu du crime de magie et autres mentionnés au procès, pubblicato a Parigi, presso Étienne Habert e Jacques Poullard, e in parecchie altre città12. – Procès verbal de la question et mort de Grandier, scritto da Angevin, notaio reale (18 agosto 1634)13.

– Effigie de la condamnation de morte et exécution d’Urbain Grandier, curé de l’Église de Saint-Pierre-du- Marché de Loudun, atteint et convaincu de Magie, sortilèges et maléfices, lequel a été bruslé vif en ladite ville, le 18 Aoust 1634. Si vende a Parigi, da Jean de la Noüe, incisore residente in place Maubert aux Trois Faucelles, 1634, incisione in-folio con leggenda e denuncia14. 10 11 12 13 14

BN, Lb 36.3018. cfr. retro, capitolo 4, nota 11. BN, Fds fr. 24163, p. 129-137; Fds fr. 6764 f. 103-109; etc. BN, collection Thoisy, vol. 92, f. 385, etc. BN, Fds fr. 7619, f. 112; Fds fr. 6764, I 124; etc. BN, Cabinet des Estampes, Qb1 1634.

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– Pourtraict représentant au vif l’exécution faicte à Loudun en la personne de Urbain Grandier…, stampato e inciso a Poitiers, da René Allain, 163415.

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– Exorcisme des possédées pendant le supplice d’Urbain Grandier, che mostra come le possedute, esorcizzate mentre Grandier era sulla sedia di ferro, legato al palo, hanno reso i diavoli gioiosi, inquieti, infine felici (battendo le mani) per la dannazione di Grandier: è nostro, è nostro16. – Procès-verbal de l’exorcisme de Jeanne des Anges et de la sœur Agnès, stilato da Houmain, luogotenente generale d’Orléans. Stando a questo testo, un solo demonio resta nelle possedute, essendo gli altri andati via per condurre Grandier all’inferno17.

– L’Ombre d’Urbain Grandier. Sa rencontre et conférence avec Gaufridi en l’autre monde, senza indicazione di luogo, 163418. – Le Grand miracle arrivé en la ville de Loudun, en la personne d’Isabelle Blanchard, fille séculière recevant le Saint Sacrement de l’autel, et le procès-verbal fait sur ce sujet par M. de Laubardemont. Avec l’exorcisme fait à ladite possédée [22 agosto 1634], stampato a Poitiers da R. Allain, molto probabilmente in due edizioni successive, 163419. La Coppie du procez-verbal… [di Laubardemont] 22 aoust 1634, è stata pubblicata a parte, anche a Poitiers. – Lettera di un abitante di Poitiers sull’esecuzione di Grandier20.

15

Poitìers, Bibl. municipale, ms. 303. Pubblicato in G. Legué, Urbain

Grandier et les possédées de Loudun, Paris 1880, p. 259. 16

BN, Fds fr. 6764, f. 127; Carpentras, Bibl. Inguimbertine, Papiers Peiresc, Reg. X, f. 517; etc. 17 Bibl. Arsenal, ms. 4824, f. 27. 18 BN, Lb 36.3021. 19 BN, Lb 36.3022.V. BN, Fds fr. 7619, f. 114-116; Fds fr. 6764, f. 149. 20 Pubblicato in Le Cabinet historique, t. 2, 1856, Ire Partie, pp. 61-63; e da Ph. Tamizey de Larroque, Documents relatifs à Urbain Grandier, Paris 1879.

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– Tre lettere indirizzate da Tours dal Padre Louis SaintBernard, religioso fogliante, al R.P. di Saint-Bernard, religioso dello stesso ordine, a Parigi21.

– Lettre de N. à ses amis sur ce qui s’est passé à Loudun, stampato, senza luogo né data [1634]22.

– Coppie d’une lettre escrite à une religieuse urseline du monastère de Dijon, sur le sujet des possédées de Loudun, stampato

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senza luogo, 163423.

– Discours faict par le Père Archange, Capucin, à Monseignr l’Evesque de Chartres, à Chinon, le quatriesme jour de 7bre 1634, sur la mort de Grandier 24. – Relation de ce qui s’est passé au voyage de Messieurs de Chartres, de Nîmes et des Roches, à Chinon et à Loudun (7 settembre 1634)25. – Lettera di M. Pilet de la Mesnardière a M. du Bois-Daufin sulle possedute (17 settembre 1634)26. – Lettera del signor Seguin, medico a Tours, al signor Quentin a Parigi (14 ottobre 1634), pubblicata nel Mercure françois del 163427.

21 22

BN, Fds fr. 6764, f. 138, 147 et 149. BN, Lb 36.3023; Carpentras, Bibl. Inguimbertine, Papiers Peiresc, Reg. X, f. 524. 23 BN, Lb 36. 3590. 24 BN, Fds fr. 24163, f. 113-115. 25 Ivi, f. 117-128. 26 Ulteriormente pubblicata alla fine del suo libro: Pilet de la Mesnardière, Traité de la mélancholie, La Flèche 1635. 27 Mercure françois, t. 20 (anno 1634), 1637, pp. 772-783.

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Pubblicazioni su Loudun dal 1633 al 1639

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Ciascuna edizione è rappresentata da un quadrato. Quando lo stesso testo ha avuto numerose edizioni (identiche o aumentate e riviste) sia in luoghi differenti lo stesso anno, sia in anni differenti, i quadrati non sono separati. L’anno 1634 è diviso in prima [avant] e dopo [après] la morte di Urbain Grandier (18 agosto 1634).

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Pubblicazioni su Loudun I 1634

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Ɠ Pubblicazioni apparse prima del 18 agosto 1634 = 3 ƒ Pubblicazioni apparse dopo il 18 agosto 1634 = 21

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Pubblicazioni su Loudun II 1635-1639

Ɠ Pubblicazioni apparse nel 1635……. = 16

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ƒ Pubblicazioni apparse nel 1636-1638 = 14 Nessuna pubblicazione nel 1639……. = 0

N.B. – Queste carte non tengono conto evidentemente che delle edizioni conservate o attestate con sicurezza, resto controllabile di una «stampa» molto più importante. 313 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

– Discours de la possession des religieuses Ursulines de Loudun [di Marc Duncan, medico], Saumur, probabilmente pubblicato da Lesnier, 163428.

– Récit véritable de ce qui s’est passé à Loudun contre Maistre Urbain Grandier, prestre, curé de l’Église de S. Pierre de Loudun…, a Parigi, pubblicato da Pierre Targa, stampatore ufficiale della diocesi di Parigi, 163429.

– Véritable Relation des justes procédures observées au fait de la possession des ursolines de Loudun et au procès de Grandier Documento acquistato da () il 2023/05/03.

(seconda edizione o edizione completa, dopo una prima edizione di Poitiers, anteriore alla morte di Grandier e intitolata Résumé

des doctrines exposées depuis le début des Possessions des Ursolines), del R.P. Tr. R.C. [Tranquille, religioso cappuccino], pubblicato a Parigi da J. Martin, a Poitiers, da J. Thoreau e la vedova Mesnier, e a La Flèche, da G. Griveau, 163430.

– La Démonomanie de Loudun, qui montre la véritable possession des religieuses Ursulines et autres séculières…, seconda edizione ampliata di parecchie prove. La mort de Grandier Autheur de leur possession, a La Flèche, presso George Griveau, 1634. Sembra che la prima edizione sia stata anteriore alla morte di Grandier. L’autore, anonimo, deve essere uno degli esorcisti più presenti a Loudun31.

– Relation véritable de ce qui s’est passé en la mort du curé de Loudun, bruslé tout vif le vendredy 18 aoust 1634…32 – Relation du procès et de la mort de Grandier 33. 28

BN, Lb 36.3961. Sull’editore, v. Pasquier, Imprimeurs et libraires de

l’Anjou, Angers, 1932, p. 270. 29 30

BN, Lb 36.3020; BN, Fds fr. 23064, f. 79-82. BN, Lb 36.3019; BN, Fds fr. 7619, f. 104-106; etc. V. Pasquier, op. cit., p. 317. 31 BN, Lb 36.3024. 32 BN, Fds fr. 6764, f. 124-130. 33 Documento incompleto, senza inizio né fine. BN, Fds fr, n.a. 24380, f. 246-257.

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– Extrait des choses remarquables qui se sont passées après la mort de Grandier 34. – Mémoire au vray de ce qui s’est passé en la mort de Mre Urbain Grandier, curé de saint-Pierre-du-Marché de Loudun…35 – Mesmoire de ce qui s’est passé à l’exécution de l’arrest contre Me Urbain Grandier, prestre, …36 – Discours sur l’histoire de la diablerie de Loudun et sur la mort de Me Urbain Grandier, curé de ladite ville, fait par Pierre Champion, procureur audit Loudun, pour sa satisfaction 37. Questa produzione letteraria è ancora circoscritta a un’area definita dai centri di stampa: Poitiers, Saumur, La Flèche e soprattutto Parigi, con delle estensioni verso Bordeaux, Digione, Lione, Aix-en-Provence. Dal 1635 al 1637, oltre ai primi citati i luoghi di edizione riguardanti solo tali testi delineano un cerchio più largo comprendente Bordeaux, Tours, Orléans, Rouen, Lione, etc... Ma davvero importante è questa prima proliferazione a partire del 1634 intorno al luogo del morto.

La «tomba» di Urbain Grandier Il vuoto lasciato dalla scomparsa di Grandier è riempito da questa moltiplicazione di scritti. La funzione del linguaggio è quella di dire l’assente? Ma l’evento letterario che segue l’atto storico ha un senso più preciso, che delinea il futuro dell’«affaire». Forse gli attori stessi non se ne rendono ben conto: Laubardemont si accanirà per alcune settimane contro la famiglia Grandier; gli esorcisti continueranno i loro esorcismi, che si trasformano a loro insaputa; d’Armagnac tenta ancora un altro giro, quando la partita è perduta; 34 35 36 37

Poitiers, collection Barbier, cart. III, n. 71. Poitiers, Bibl. municipale, ms. 303, n. 21. Ivi, ms. 303, n. 20. Ivi, ms. 303, n. 26.

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etc. Il tempo dell’azione a Loudun è in realtà già posto come finito da tutti questi scritti che ne parlano al passato. Di fatto, i veri conflitti stanno spostandosi su altri terreni. Divenuto l’oggetto di carte che hanno precisamente per effetto di elevarlo alla storia effettiva e di riversarlo nei «dossier» o nei discorsi della storia, trasformato in narrazione l’affaire Grandier servirà ormai a designare altre guerre: a nutrire l’opposizione a Richelieu su altri terreni; a combattere le nuove attività di Laubardemont; a mobilitare l’opinione contro lo spirito libertino o contro le associazioni politico-religiose in corso di formazione. Alla brusca impennata della polemica verbale, alla sua estensione in superficie, corrisponde una frammentazione di partiti e convinzioni. Con Grandier, i campi perdono ciò che li costituiva in avversari. Sono fatti a pezzi dalla sua assenza. Il luogo pubblico di uno scontro bipolare si frantuma in opinioni particolari o in gruppi che si isolano e seguitano una vita marginale. Il discorso del pro o del contra si disperde secondo le curiosità private o a fini edificanti. Il dramma si divide in turismi individuali, in missioni popolari, in comunicazioni mistiche, e così via.

La festa del fuoco Il morto fa parlare, ma con voci discordanti. Dopo aver riunito contro di lui, vivente, interessi così divergenti, con la sua scomparsa egli è il rivelatore di queste divergenze. La sua presenza forniva loro un obiettivo unico fondato sull’equivoco, mentre la sua assenza provoca la loro dispersione. Perché? Il fatto è il problema di Loudun. Ma esso è chiarito dal rapporto stesso tra i suoi due tempi. Evocando l’alleanza che l’autorità ecclesiastica e l’autorità del re sigillano sull’altare dove la vittima il 18 agosto è bruciata, Padre Tranquille osa scrivere:

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Queste due potenze che si danno la mano fanno un fuoco di Sant’Elmo che placa le burrasche e ci riporta la bonaccia di una tranquillità pubblica 38. Come questi fuochi di Sant’Elmo che i marinai vedevano sorgere alla sommità degli alberi delle navi alla fine delle tempeste e ai quali attribuivano il potere di riportare la bonaccia 39, il rogo dello stregone ha qui il senso di una festa cosmica, nel momento stesso in cui le Costituzioni sinodali e i Catechismi diocesani cominciano a condannare i grandi fuochi di gioia (ignes jucunditatis) e le fumigazioni odorifere, destinate ad allontanare le tempeste quanto i demòni40. Per ritrovare la coesione di un cosmo, una società divisa e inquieta ha creato un «deviante» e l’ha sacrificato a sé. Grazie a questa esclusione, essa si ricostituisce. Se l’è presa con il buon dicitore, proprio perché egli manifestava nelle sue parole l’instabilità delle credenze e delle regole tradizionali. Egli doveva morire affinché ci fosse una legge riconosciuta (ma non necessariamente quella che egli violava). Vecchio riflesso sociale, che funziona tanto più sicuramente quanto più è grande l’incertezza. La morte dello «stregone» (ce n’è di ogni sorta) «soddisfa» il gruppo, dio anonimo che ha preso il posto degli dei antichi e ricevuto da essi i suoi bisogni e i suoi piaceri. La liturgia di cui parla Tranquille esige che una vittima sia bruciata per il sollievo della collettività. Per essa, è una festa. La morte di un uomo permette al gruppo di sopravvivere. Ci sono tempi in cui è sufficiente bruciare un fantoccio. Altre volte, l’incertezza delle rappresentazioni è tale che la distruzione di un’effigie non è più 38

Véritable relation des justes procédures observées au fait de la possession des Ursulines de Loudun, Griveau, La Flèche 1634. 39 40

Questi fuochi si ricollegano alla leggenda di Castore e Polluce. V. Martin d’Arles, Tractatus de Superstitionibus, Lyon 1544, e, contro questi fuochi, i documenti del XVIII secolo citati da Arnold Van Gennep, Manuel de Folklore français, I, IV, pp. 1817-1828.

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soddisfacente. È necessario che ci sia l’atto di un crimine reale, un ritorno a questi inizi «primitivi» che, nelle mitologie, legano la nascita di una storia o di un popolo a una trasgressione criminale, a una scomunica mediante assassinio.

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La prova che c’è dell’ordine L’esecuzione non è stata un momento di coesione fittizia. Assolutamente al contrario, essa è stata una prova, temuta ma decisiva, che attesta una ragione che ha forza di legge. Non è la legge che si attendeva. Ma l’essenziale è acquisito: c’è dell’ordine, quello del potere del re. Allora le discussioni sono permesse; l’espressione acquista la libertà di disperdere in ogni direzione le parole e le convinzioni; le alleanze possono sciogliersi. Tutto ciò è permesso dalla ricostituzione di un terreno e di un quadro di riferimento, con lo svelarsi di una forza che porta ormai, al posto dell’autorità religiosa, l’organizzazione della città e il peso del linguaggio. I discorsi riprendono i loro clamori e le loro dispute, non appena è loro offerto un terreno: questa ragione di Stato che fonda la critica stessa di cui esso è oggetto. All’inverso, il «potere spirituale», la cui fragilità era ragione di inquietudine, passa manifestamente dal lato di questi discorsi. È una «parola» in più in un ordine che essa cessa di sostenere, il quale ne permette molti altri attribuendosi il potere di autorizzarli o di controllarli. Le oscure complicità annodate nell’anonimato dunque, il 18 agosto, si disfano. Dall’atto che per un istante le ha unite, ognuno fra i gruppi eterogenei ha tratto profitto. Al loro proprio linguaggio essi hanno procurato la sua condizione di possibilità. Sparpagliandosi, una letteratura può ormai veicolare senza pericolo il morto, che è la sua garanzia e nello stesso tempo un oggetto e un argomento.

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La legge dell’unanimità Laubardemont è il primo testimone di questo sfruttamento. Il 20 agosto, egli annuncia a Richelieu la condanna all’unanimità, delegando presso di lui a Parigi M. Richard, uno dei giudici, consigliere al seggio presidiale di Poitiers:

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Monsignore, Vostra Eminenza ha testimoniato sentimenti così pietosi e caritatevoli verso il male delle religiose orsoline di questa città e altre persone secolari afflitte da spiriti maligni, che ho creduto Ella avrebbe piacere di essere particolarmente informata di ciò che è accaduto al giudizio del processo che io ho compiuto e istruito contro l’autore di questo maleficio, avendo pregato il signor Richard, consigliere a Poitiers e uno di quelli che hanno assistito a questo giudizio, di andare a renderne conto a Vostra Eminenza e, sotto il suo favore, a lui piacendo, al Re. E siccome è la virtù propria di Vostra Eminenza di trarre sempre il bene dal male, sono sicuro, Monsignore, che oltre al sollievo di queste povere creature, alle quali ci avete comandato di dedicarci con i ministri della Chiesa che vi lavorano senza interruzione, voi amministrerete, con l’industria e la saggia provvidenza che Dio vi ha donate, i miracoli che abbiamo ricevuto e che attendiamo ancora dalla sua mano per il bene universale della religione cattolica. Questa circostanza, Monsignore, ha già prodotto la conversione di dieci persone di differenti qualità e sesso. Noi non resteremo qui, a Dio piacendo. Poiché, con la forza del vostro coraggio e generosissima condotta, egli ha interamente soffocato la fazione degli Ugonotti, vi donerà la determinazione per convertirli a lui con l’autorità dei suoi miracoli e della potenza che egli ha dato alla sua Chiesa. Oserò dirvi che, conoscendovi per quel tanto che nella mia bassezza io possa conoscere la grandezza di Vostra Eminenza, mi sono ripromesso per la fine di questa opera la conversione di tutti gli eretici del Regno, i quali, dopo dei miracoli così manifesti, 319 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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non avranno più bisogno del comando del sovrano per ritornare nel grembo della loro madre, che ha sempre le braccia aperte per accoglierli. Ma di che parlo? Monsignore, mi spingo forse troppo avanti e al di là dei termini della mia commissione. Perdonate, a voi piacendo, al mio zelo e all’ardente desiderio che ho per la vostra gloria. Tutti i giorni voi ci date nuovi motivi per ammirare la vostra virtù. Non c’è giorno che io manchi di fare voti per la prosperità della vostra amministrazione. Se trovate opportuno, Monsignore, che vi parli del nostro caso, dirò a Vostra Eminenza che qui abbiamo vissuto in un grande ordine e disciplina, e con una tale unione, che è sembrato che fossimo tutti animati da uno stesso spirito. Non abbiamo avuto che un’opinione in tutte le cose e anche [soprattutto] nel giudizio del processo. La sentenza è stata emanata con voce unanime, sebbene ognuno di questi Signori, nel numero di quattordici, ne abbia detto le ragioni con tanta sufficienza, che oso assicurare che non è stato detto niente da nessuno in questa occasione che non sarebbe stato degnissimo della vostra attenzione…41 Il campo d’onore Letteratura edificante. Del resto, Laubardemont sfrutta la vittoria sollecitando l’acquisto di una nuova casa per le orsoline. Il 20 settembre, a questo proposito scrive a Michel Le Masle, «consigliere del re nei suoi consigli, soprintendente generale della Casa di Monsignor l’Eminentissimo Cardinale» e fatto priore des Roches, presso Fontevrault:

41

Autografo della collezione Feuillet de Conches, pubblicato in Michaud,

Biographie universelle, t. 23, p. 334.

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Signore,

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Il latore della presente vi esporrà il piano che, seguendo il vostro ordine, ho fatto eseguire del luogo che vi piacque visitare stando in questa città. Esso è sufficiente per costruirvi un bellissimo convento…42 Egli pensa anche a rinnovare la squadra degli esorcisti. Padre Lactance è morto il 18 settembre, preso da uno strano delirio. Anch’egli ormai sfinito, padre Tranquille morirà folle il 31 maggio 1638, a seguito di ciò che lo stesso Laubardemont chiamerà una lunga ossessione43, e sarà celebrato allora da Padre Eléazar di Loudun (Relation de la mort du père Tranquille, Poitiers, 1638) come un eroe caduto sul campo dell’onore. La frenesia colpisce parimenti Maunoury, il chirurgo; Louis Chauvet, il luogotenente civile, etc. Privato del suo ancoraggio in un’azione effettiva, il discorso della possessione va alla deriva, gira in una vertigine che trascina con sé coloro che da esso si sentivano garantiti. Al politico servono truppe fresche, come Laubardemont dice a des Roches:

Subito dopo la morte del recolletto padre Lactance, uno dei loro esorcisti, inviai Monsieur de Morans da Monsieur de Poitiers al fine di pregarlo di fare tutto il possibile per indurre i Padri gesuiti a prendere parte a questo lavoro. Ho persino scritto al padre Rousseau, rettore del collegio di Poitiers, una lettera assai esplicita e gli ho fatto le più onorabili offerte che ho potuto immaginare per la loro soddisfazione. Ne attendo oggi la risposta e mi auguro fortemente che sia conforme alla mia richiesta, affinché con questi buoni Padri, che a buon diritto hanno reputazione di essere maestri di scienza, il pubblico riceva con meno contraddizione le testimonianze della verità di questa possessione. 42 43

Lettera, pubblicata da E. Griselle, in Bulletin du Bibliophile, 1907, p. 495. V. la sua lettera a Richelieu del 1637, pubblicata da E. Chavaray, in Revue des documents historiques, t. 4, 1877, p. 91.

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Per me… siccome nel mio lavoro non mi sono ripromesso alcuna ricompensa temporale, se non è quella che ricevo in me stesso adempiendo fedelmente ai comandamenti del Re e di Monsignore il cardinale, che mi hanno fatto l’onore di mettermi in questo impiego, tutti i giorni ricevo dalla parte di Dio così buoni sentimenti di pietà e carità che non posso in alcun modo dai discorsi del mondo essere distolto dalla risoluzione che ho di cercare la sua gloria nel concludere questa opera…44

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I buoni sentimenti In Laubardemont la pietà si sposa al potere; perciò essa è solida. Egli non si trattiene dal perseguire parimenti René, il fratello di Grandier, e l’amante di questi, Madeleine de Brou. Quando alla fine del 1634 i giudici dei «Grands Jours»45 a Poitiers pretendono di aggiungere l’affaire di Mademoiselle de Brou a quelli che essi regolano senza appello (essendovi, dirà il cardinale, un [grande]

numero di villani impiccati e 233 gentiluomini e potenti personaggi sottoposti a sequestro del corpo e dei beni ), il commissario protesta:

Noi ora speriamo, Monsignore, scrive a Richelieu, che, considerando l’impresa che i Signori dei Grands Jours hanno da poco fatta per attribuirsi questo caso a scapito del potere che io ho in mano, voi giudicherete che esso non potrebbe avere che conseguenze molto cattive, se non ne fosse fermato il corso dalla so44

Lettera del 20 settembre 1634 a des Roches, in Bulletin du Bibliophile, 1907, p. 496. 45 Jours, Grands Jours o Hauts Jours erano una specie di assise straordinaria o piuttosto una commissione, che teneva le udienze generali del re nelle province più lontane. I commissari erano persone scelte e nominate dal re, che giudicavano in ultima istanza casi civili e penali contestati o sottratti alla giustizia locale [n.d.c.].

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vrana potenza di cui voi siete il degnissimo e fedelissimo dispensatore. È ciò di cui vi supplico molto umilmente, Monsignore, e di trovare opportuno che io vi mostri, con tutto il rispetto, che parecchi di questi Signori essendo venuti qui, persino in pubblico vi hanno fatto delle cose indecenti e reprensibili, che nondimeno ho cercato di coprire con il silenzio e altri mezzi leciti…46 Ammirevole delicatezza! Al momento opportuno, egli trova i buoni sentimenti di pietà e carità di cui ha bisogno. Fluttuante, il linguaggio della devozione è fissato dal servizio del re, il quale esige il successo dai suoi buoni servitori. Ipocrita o sincero (l’insieme dei documenti rende più probabile la sincerità), Laubardemont si serve della devozione a seconda delle necessità. A giudicare dalla sua corrispondenza con la priora di Loudun fino al 165347, non sembra incontrare resistenze interiori dal lato della sua religione. Ogni opposizione, anche quella avanzata più tardi da Saint-Cyran o da saint Vincent de Paul48, gli sembra venire dall’esterno, come il diavolo.

46

Lettera del 28 novembre 1634, manoscritto della collezione Morrisson,

ibid., p. 498. 47 Le Grand Fougeray, Archives de la Visitation, «Lettres spirituelles de Loudun», t. I, pp. 1-143. 48 Il giansenista Saint-Cyran (1581-1643) è una delle più grandi figure religiose della Francia del XVII sec. Insieme con A. Arnauld, collaborò al piano di riforma teologica e ascetica, morale e disciplinare, da lui in seguito attuato nel convento di Port-Royal, di cui divenne (1633) direttore e padre spirituale. A causa della sua opposizione a Richelieu fu arrestato (1638) e la sua detenzione ebbe fine solo con la morte del cardinale (1643). La sua ardente personalità ebbe una grande influenza sui suoi contemporanei, tra i quali il sacerdote dalla intensa operosità spirituale Saint Vincent de Paul (1581-1660), fondatore della Congregazione dei Preti della Missione (Lazzaristi) e della Figlie della Carità [n.d.c.].

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La grazia del successo

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Dalla religione egli riceve invece tutte le giustificazioni o consolazioni sensibili che si possono desiderare. Nel 1644 scriverà persino la storia spirituale della possessione, un Diario che intreccia i lumi ricevuti dal cielo con le lotte politiche e in cui s’intrattiene a lungo sulla sua protetta Jeanne des Anges49. Egli sta lì in un equilibrio che nessun discorso del mondo può far vacillare, ma che in ultima istanza si basa sulla felicità di riuscire – punto di contatto e criterio di ogni altra felicità. Installato in questo sistema, egli è fedele, come dice Richelieu. Non abbandona coloro che difende. Sarà per vent’anni il sostegno delle orsoline. Quelli che morde, non li lascia più. Dopo l’esecuzione di Urbain Grandier, il 19 agosto arresta la sua amante; perseguita sua madre, che dovrà rifugiarsi in esilio; vuol far condannare suo fratello René, che evade dalla prigione il 20 febbraio 1635. Sarà necessario che il cardinale gli faccia sapere che quanto è stato fatto è sufficiente. Ci si chiede come il barone, nel suo palazzo parigino di rue des Filles-Saint-Thomas, sopportò gli anni di sfavore e di semiritiro che seguiranno la morte di Richelieu (1642-1653). Che i buoni siano vittime della sorte, ecco ciò che lo sbalordisce. Di padre Tranquille scrive al cardinale:

Padre Tranquille soffre ora le stesse vessazioni di queste povere figlie. Il suo corpo è agitato, senza alcun dolore, in una maniera del tutto prodigiosa. Io non ho, Monsignore, veduto niente in tutto questo affare che mi abbia procurato tanto stupore quanto l’accidente arrivato a questo buon religioso…50 49

Ibid., t. I, pp. 73-88. Ancora attestato da M. de la Menardaye (Examen et discussion critique des diables de Loudun, 1747, Préface, p. XIV), questo Diario [Journal] è scomparso. 50 Pubblicato da E. Chavaray, in Revue des documents historiques, t. 4, 1877, p. 91.

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Dal soprannaturale al bizzarro Nella misura in cui il processo politico è chiuso, il discorso della possessione perde la sua serietà. Una volta scomparso l’apparato giuridico e regale che mobilitava un pubblico al teatro di Loudun per una questione di vita o di morte, gli esorcisti e le possedute non si trovano ancora mascherati nella città la cui «festa» è terminata? Gli stessi fatti, che ieri sorpassavano la natura, non diventano oggi bizzarri, secondo un’espressione di Peiresc nel 1635? Una nuova curiosità anima i visitatori sempre più numerosi che la letteratura su Loudun attira. La situazione assume l’insidiosa figura dell’insensato per gli attori che hanno identificato una questione di verità con un problema di potere. Quando le autorità civili cominciano a venire meno e a disinteressarsi delle scene demonologiche, quando lo stregone della vigilia viene trasformato in martire dalla folla, sempre pronta a intenerirsi per i morti che lei stessa ha voluto, quando in dicembre a Chinon, per tagliar corto con un altro “affaire Loudun”, ci si accontenta di far frustare delle religiose a loro volta tormentate dai demòni, che cosa resta del discorso che si accreditava un potere proprio? Poiché lo stregone non era la causa ma il prodotto della possessione, la sua morte non avrebbe potuto mettervi fine. Essa continua dunque senza di lui. Ma, qualunque cosa ne sia dei casi personali, la sua natura cambia. Fin dall’esorcismo del 20 agosto, l’evoluzione si delinea nettamente in due direzioni.

Miracoli Non c’è più posto per le denunce, fosse anche dei complici dello stregone. Al contrario, una serie di miracoli è inaugurata dall’ostia macchiata di sangue, riportata dal demonio che possiede la «secolare» Élisabeth Blanchard. Questa serie si prolungherà per l’arco di tre anni. Così delle religiose saranno miracolosamente

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guarite. Oppure i diavoli, in proporzione alle loro uscite, moltiplicheranno le stimmate sui corpi delle possedute, progressivamente coperte da queste decorazioni, che commemorano le vittorie sull’inferno. Jeanne des Anges sarà la miracolata più celebre e fino alla fine della sua vita verranno a visitarla come il memoriale di questi combattimenti divini. Il miracolo non rappresenta solo il rilancio celeste che accompagna abitualmente i dubbi o l’inquietudine di ogni gruppo di questo tipo. Esso restaura una giustificazione ma dall’interno, poiché non può più contare su quella che, grazie all’equivoco di un momento, veniva dall’esterno. La possessione sopravvive, dunque, in quanto si marginalizza. Essa accetta l’isolamento. Perde la sua fiducia nel potere civile o nelle dimostrazioni razionali. L’accento viene posto sul pericolo dell’incredulità, sull’opposizione ai «discorsi del mondo», sulla fede semplice senza la quale gli occhi non vedono.

Edificazione… L’altra direzione completa e prolunga la prima. Meno polemicamente, la possessione vira verso l’edificazione. Restituendo la sua ostia macchiata del sangue sacro, il diavolo di Élisabeth si fa predicatore:

È necessario che i diavoli diano lezioni ai cristiani! In cielo, gli angeli si rallegrano di questo grande miracolo. L’onnipotenza divina mi costringe a dirlo, con mia confusione. Egli versa abbondanti lacrime, secondo il resoconto, e «rivolgendosi agli astanti»:

Voi non avete per niente devozione per il Santo Sacramento! – Volo, dice padre Thomas, ut adores Jesum Christum et sanguinem ejus.

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– Adoro il sangue di Gesù Cristo che Egli ha sparso per far

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credere gli increduli, e chiunque non crede, ciò sarà la sua condanna 51. Il processo verbale è subito pubblicato a Poitiers: Le grand miracle arrivé en la ville de Loudun en la personne d’Elizabeth Blanchard. A questo libriccino di 16 pagine, molti altri seguiranno: tutta una letteratura devota grazie ai buoni uffici dei diavoli. Poco a poco, le loro «confessioni» si faranno più catechetiche. Le confessioni del diavolo Lorou formeranno una noiosa raccolta di sermoni, che però percorreranno tutti gli articoli della fede52. Questa mutazione non fa che abbozzarsi. Essa si opererà nella confusione. La sua fine è ancora lontana. La venuta dei gesuiti viene a segnarne la prima tappa decisiva. Non perché essi sono maestri di scienza, come pensava Laubardemont. Poiché ormai si tratta non più del potere ma del sapere, entra in campo quello di predicatori e missionari. Tra questi, il padre Surin aggiunge la sua nota personale. Questo D’Artagnan della mistica è anche un genio ferito. Nel faccia a faccia con le possedute, egli scopre a Loudun il nome dell’angoscia in cui egli allora vive. Con un gesto che gli è abituale, si getta in avanti:

Per portare delle parole d’amore da parte vostra, io andrò, con una tromba d’oro, nel mezzo delle piazze… Egli trova una piazza. Che essa sia già accerchiata dalla critica o dall’ironia non lo turba ma piuttosto lo corrobora. Egli sogna un’avventura spirituale dove darsi «a corpo morto», non trovando

niente di più bello che un colpo di spada attraverso il corpo, che mi faccia morire.

51 Le grand miracle arrivé en la ville de Loudun en la personne d’Elizabeth Blanchard..., Poitiers 1634. BN, Lb 36.3022. 52

Poitiers, Archives départementales, ms. 7.

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Inizialmente le sue scelte drastiche non saranno accettate. Ma egli crea tuttavia una nuova mobilitazione. Investe di un senso transitorio questo linguaggio alla deriva. Ciò non basterà a tenerlo. Tra la lotta contro lo stregone e la missione popolare, nella storia di Loudun egli introduce un tempo della spiritualità, sotto molti aspetti anch’esso equivoco perché particellare, dunque effimero. A suo modo, questo episodio mistico prepara nondimeno la normalizzazione di Loudun, lo scivolamento dall’azione alla funzione regolare della parola, il passaggio dalla possessione alla missione e, nello stesso movimento, l’abile metamorfosi della posseduta Jeanne des Anges in testimone dei miracoli di Dio, in oracolo ispirato, in direttrice di coscienza.

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Il tempo della spiritualità. Padre Surin

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Un teatro dove accorreva ogni sorta di persone1: questa è Loudun, a dire di Surin, nel momento in cui nel dicembre 1634 arriva a sua volta nella città che, come un’isola stretta intorno al suo torrione, emerge nel mezzo della pianura ghiacciata. È lui stesso a descrivere le circostanze della sua nomina a Loudun, quando, malato, sfinito da un’eccessiva tensione, riconosciuto nondimeno come un religioso eccezionale ma un po’ inquietante, è stato allontanato da Bordeaux a partire del 1632 per ragioni di salute.

La chiamata In relazione a ciò, racconta Surin, il re, avendo conoscenza di ciò che accadeva, e il Signor cardinale di Richelieu pensavano di impiegare i padri gesuiti nell’esorcismo di queste fanciulle e per questo Sua Maestà scrisse al provinciale di Guyenne, rivelandogli che la sua volontà era che egli delegasse qualcuno dei suoi per l’assistenza e il sollievo di queste povere fanciulle possedute. Anche il Signor cardinale scrisse di ciò, e a questo scopo il padre provinciale, che era il Padre Arnault Bohyre, consigliatosi con se stesso, fermò il suo pensiero su Padre Surin, che allora era nella residenza di Marennes dove predicava al popolo. Come d’abitudine nel caso di cose importanti, egli volle giustamente chiedere consiglio ai suoi consulenti. Ma nessuno di loro fu dell’avviso di 1

J.-J. Surin, La Science expérimentale..., cit., I, l; BN, Fds fr. 14596, f. 5.

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inviarvi questo padre, sia perché era giovane, aveva allora infatti solo trentatré anni, sia anche perché giudicavano che non avesse le qualità necessarie per questa funzione. Ciononostante, il padre provinciale tenne per buono il suo giudizio e inviò domanda al superiore di Marennes perché, vista la presente, egli inviasse Padre Surin a Poitiers per esorcizzare le religiose possedute a Loudun. Nel momento in cui il padre superiore venne da Padre Surin per annunciargli questo incarico, egli si trovava davanti al santo Sacramento, pregando nostro Signore che volesse collocarlo in luogo in cui potesse rendergli servizio; perché era estremamente tormentato e indisposto. Quando il padre superiore gli comunicò l’incarico, egli non ebbe niente da replicare, sebbene la cosa gli sembrasse andare molto oltre le sue forze: cionondimeno disse che era pronto a partire. Ma siccome era quasi notte ed era il tempo dell’Avvento, fu deciso che sarebbe partito l’indomani, cosa che fu fatta, poiché il padre rimase a dormire a La Rochelle. Andò a piedi, nella speranza di fare così tutto questo viaggio. Aveva fatto un calcolo ben lontano dalla realtà, poiché da questo stesso giorno di La Rochelle si ritrovò così abbattuto che gli fu necessario prendere un cavallo e recarsi a Poitiers, dove gli fu dato per compagno Padre Bachelerie, più anziano di lui; e tutti e due si recarono al più presto a Loudun. Tuttavia, l’indomani che il padre fu partito, avendo riflettuto su questa faccenda, il padre provinciale scrisse al superiore di Marennes che se Padre Surin non era ancora partito lo trattenesse, perché aveva cambiato volontà. Tuttavia il padre era partito e ad avere corso fu la prima volontà, poiché il padre provinciale aveva anche comunicato che, qualora Padre Surin fosse già partito, lo si lasciasse proseguire. Appena ebbe accettato di sottomettersi a questo incarico, considerando che era una cosa che in tutti i modi superava le sue forze, il padre si propose di mettere il suo principale sforzo nel porsi ai piedi di nostro Signore per domandare il suo soccorso, mentre per parte sua egli avrebbe parlato all’anima che gli sarebbe stata assegnata per persuaderla all’amore dell’orazione e della penitenza,

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e con queste armi combattere il diavolo piuttosto che con lo strumento dell’esorcismo, per il quale non sentiva alcuna capacità; perché aveva la testa in così cattivo stato che non poteva leggere neppure un quarto d’ora… Intanto la madre [des Anges], che era fine e naturalmente accorta, si risolse dapprima di trattare questo padre con ogni civiltà, ma di non aprirgli il suo cuore. Di modo che ella si mantenne in questa attitudine finché nostro Signore diede al padre una chiave per entrare in questo cuore, e compiervi la sua opera. Egli cominciò il suo esorcismo il giorno di san Tommaso [21 dicembre 1634], poco prima di Natale 2. «Meravigliosamente terribile e meravigliosamente dolce» Surin è un radicale; non ne vuole sapere di un «servizio a metà». Per lui, il tempo è breve e l’affare è lungo. Tempo qualche settimana e lo dirà con chiarezza a Françoise Milon, una delle sue corrispondenti:

Prego l’amore, vittorioso nel cielo e nella terra, di prendere sulla vostra anima un impero assoluto. Sottomettetevi a lui e dategli il potere su di voi che voi potete donargli. Cedetegli tutti i vostri diritti. Lasciatevi vincere dai suoi incanti. Permettete che esso vi spogli di tutto, che vi separi da tutto, che vi rapisca a voi stessa… La sua opera è distruggere, devastare, abolire e poi rifare, ristabilire, resuscitare. Esso è meravigliosamente terribile e meravigliosamente dolce; e più esso è terribile, più è desiderabile e attraente. Nelle sue realizzazioni, è come un re che, marciando alla testa delle sue armate, fa piegare tutto. Le sue dolcezze sono così incantevoli, che esse fanno cadere in deliquio i cuori. Se vuole 2 Ivi; f. 5-6. V. J.-J. Surin, Correspondance, éd. M. de Certeau, Desclée De Brouwer, Paris 1966, pp. 246-247.

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avere dei sudditi è per farli parte del suo regno. Se toglie tutto, è per comunicarsi esso stesso senza limiti. Se separa, è per unire a sé ciò che separa da tutto il resto. È avaro e liberale, generoso e geloso dei suoi interessi. Chiede tutto e dà tutto. Niente lo può saziare e tuttavia si contenta di poco, perché non ha bisogno di niente… Niente mi è più gradito di parlarvi di esso, e lo farò con tutto il mio cuore, se voi mi comunicate vostre nuove. Avendo solamente cura che le nostre lettere non cadano che in mani sicure, perché qualche volta nelle mie lettere ci sono espressioni di cui qualche spirito si potrebbe scandalizzare 3. Si è dunque messo in cammino con questa idea di lavorare più per via interiore che per tumulto di parole, e di guadagnare i cuori e l’affezione di queste anime vessate dal demonio, e di persuaderle all’orazione e alla presenza di Dio, e per questa via resistere alla potenza dell’inferno 4. Guadagnare i cuori L’idea o l’intuizione, come egli dice, è nuova rispetto alla tecnica degli esorcismi pubblici. All’arrivo, poco prima del Natale 1634, i primi contatti la confermano:

La prima volta che assistette a un esorcismo… Dio gli diede una così grande tenerezza verso di esse [le possedute], a causa della grande miseria del loro stato, che vedendole non poteva impedirsi di spargere lacrime in gran quantità, e sentì che un’estrema affezione lo portava a dar loro sollievo. Dal Signor di Laubardemont, che era commissario per conto del Re per fare giustizia contro gli autori di questo maleficio, fu condotto a visitare la madre priora, la quale egli trovò in una disposizione assai tranquilla e nel libero uso del suo spirito. Alla sua 3 4

Lettera 85, in J.-J. Surin, Correspondance, cit., pp. 339-340. La Science expérimentale..., cit. I, l; BN, Fds fr. 14596, f. 6.

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prima visione, egli si trovò meravigliosamente toccato dal desiderio di rendere servizio a questa anima, e fare i suoi sforzi per portarla alle esperienze dei beni nascosti nel regno interiore di Dio 5.

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Esaltato da questo incontro con la posseduta che gli è stata affidata, guardando quest’anima con un occhio (così gli sembrava) di carità, persuaso anche, per l’esperienza che di sé aveva fatto da venticinque anni, che non potrebbe continuare più di un giorno in questo esercizio così come lo intendono gli esorcisti già al lavoro, prende posizioni libere, va fino all’estremo:

In primo luogo, si decise a stare in preghiera senza interruzione per chiedere a nostro Signore che si compiacesse di dargli questa anima [Jeanne des Anges] e compiere in essa l’opera per la quale egli aveva voluto morire in croce. Questa preghiera non veniva mai meno, eccetto il tempo dell’esorcismo, il quale era assai breve. Si sentiva spinto a essere continuamente in ginocchio davanti a Dio e talmente legato a questa impresa che non se ne andava quasi mai. In lacrime chiedeva a Dio di donargli questa fanciulla per farne una perfetta religiosa, e si ritrovava indotto a pregarlo di ciò con un tale ardore, che un giorno non poté impedirsi di offrirsi alla divina Maestà per essere caricato del male di questa povera fanciulla e partecipare a tutte le sue tentazioni e miserie, fino a domandare di essere posseduto dallo spirito maligno, purché gradisse di donargli la libertà di entrare in lei e dedicarsi alla sua anima. Da allora, nel cuore di questo padre si generò un amore paterno verso questa anima afflitta, che gli faceva desiderare, cosa strana, di patire per lei, e si propose che la sua grande felicità sarebbe stata di imitare Gesù Cristo che, per trarre le anime dalla cattività di Satana, aveva sofferto la morte dopo essersi fatto carico delle loro infermità…6 5 6

Ivi, f. 7-8. J.-J. Surin, Triomphe de l’amour divin, cap. 2; Chantilly, Archives S.J., ms. 231 bis, f. 20-22.

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Egli è prima di tutto direttore spirituale, deciso a comportarsi come ministro della Chiesa nella direzione delle anime. Se mantiene gli esorcismi che costringono le «possedute» a prosternarsi davanti al santo Sacramento, ad esse preferisce un’altra «batteria» e un altro «modo di combattere»: egli si metteva all’orecchio del-

la posseduta, in presenza del santo Sacramento, e là a voce bassa faceva discorsi in latino sulla vita interiore, sui beni che si trovano nell’unione divina, e argomenti simili 7.

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Non ordinare niente Soprattutto, egli costruì il suo disegno e si propose di attenersi

a un procedimento, nel coltivare questa anima, in tutto conforme a quello di Dio, usando la più grande dolcezza che gli era possibile, attirando con dolci parole questa anima alle cose della sua salvezza e perfezione, e lasciandole tutta la sua libertà. Si adoperò a scoprire i movimenti della grazia che si formassero dalla semenza che egli avrebbe gettato con i suoi discorsi, e poi seguirli. Il suo primo progetto fu di stabilire in questa anima una solida volontà della perfezione interiore, senza proporle niente di particolare, trattando in generale del bene che c’era nell’essere di Dio; alla qual cosa la madre prestava ascolto nella misura in cui i demòni glielo permettevano, e a poco a poco questo desiderio di essere interamente di Dio si formava in lei. Non solo in questo inizio, ma ancora in tutta la sua condotta, il padre si attenne a questa pratica di non ordinarle niente. Non le diceva mai direttamente: Fate questo. Ma la disponeva a fare lei stessa le proposte. Egli stimava che l’amore era il grande

artefice in questo compito 8.

7 8

Ivi, f. 24. Ivi, f. 39-42.

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Nel campo della possessione

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Paracadutato nel campo della possessione, Padre Surin può cambiarne i metodi, non il terreno. Può dargli un senso spirituale, ma non per questo egli è meno sottomesso alla legge di questo «luogo», che una storia ha progressivamente circoscritto. Vi è dentro. Pensa di conseguenza. Neanche per un attimo dubita della realtà della possessione. Come potrebbe, senza tradire la causa che ha ricevuto missione di difendere? Incontrando i viaggiatori in visita a Loudun, non poteva comprendere come parecchie persone

sagge, persino dei Padri della compagnia di cui alcuni erano stati là quindici giorni interi assistendo a questi spettacoli, gli avessero tanto raccomandato di non lasciarsi sorprendere ma di esaminare per bene, per vedere se in tutto questo non vi fosse della finzione 9. Del resto, per lui, non è una rivelazione? Nell’oscura disputa che egli conduce da anni contro se stesso, andando a caccia di Dio al fondo dell’angoscia, bussando alla porta dei suoi propri limiti, percepisce infine il vero avversario. Alzatosi un mattino a Loudun, il nemico della notte gli si rende visibile, come a Giacobbe.

Una colonia Ma la sua interpretazione tradisce soprattutto la situazione economica e sociale degli esorcisti a Loudun. Il loro isolamento nella città si accresce, nello stesso tempo che i curiosi accorrono da sempre più lontano. Spettacolo per stranieri, la possessione non è più affare degli abitanti di Loudun (fatta eccezione per i commercianti), bensì una dipendenza alimentata e ricercata dall’esterno: condotta ormai da questi religiosi austeri e dotti al posto delle pittoresche figure locali; finanziata da Parigi, o da fondi sconosciuti, o da somme imposte alla città; offerta a un pubblico di cittadini, 9

La Science expérimentale..., cit., I, l; BN, Fds fr. 14596, f. 7.

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gentiluomini, eruditi, avventurieri o turisti che sbarcano per uno, cinque, otto o quindici giorni (queste sono le durate abituali del soggiorno). Essa diviene persino odiosa. In base ai rapporti del vescovo di Nîmes a Richelieu (26 dicembre, 5 e 18 gennaio), ai vecchi esorcisti, ai padri Surin e Bachelerie, devono aggiungersi cinque altri gesuiti. Più due Padri carmelitani. Più degli aiutanti. Per decreto ora Laubardemont ha la pretesa di esigere dalla popolazione l’alloggiamento di tutto questo bel mondo. Ingiunge alla municipalità di preparare dodici o quindici case e luoghi e posti e, in attesa, dichiara a spese e a carico del detto corpo della città gli ecclesiastici, il loro seguito ed equipaggio, dato che, aggiunge il decreto, alcuni

dei detti esorcisti sono già arrivati e, in mancanza di altri alloggi, sono stati costretti a mettersi nelle locande…10 Freddamente accolti, vengono allora installati nel castello, posto d’onore e insieme solitario in cima alla città. Non avendo ricevuto dal Signor des Roches i fondi destinati all’acquisto di un nuovo convento, Laubardemont decide ugualmente di far sequestrare la casa del Collegio, la scuola protestante, per installarvi le sue orsoline. Contro le donne ugonotte in sommossa, farà ricorso agli arcieri di Poitiers. Infine, si fa appello alla borsa reale. Ben informato da Jeanne des Anges nel corso di un passaggio a Loudun a fine dicembre, Monsignor Anthyme Cohon, vescovo di Nîmes, espone la situazione al cardinale:

Le pensioni di tutte le religiose tanto professe quanto novizie ammontano alla somma di 900 lire. Tutti gli anni, per la dimora della loro casa, su di essa devono la somma di 250 lire d’interesse. La madre superiore mi ha detto che con 2000 lire all’anno può mantenere onestamente la sua comunità. Per sottrarla all’estrema 10

Manoscritto della collezione Barbier, pubblicato in G. Legué, Urbain

Grandier et les possédées de Loudun, Paris 1880, p. 280.

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miseria, le sarebbero dunque necessari pressappoco 500 scudi di elemosina, durante il corso del male…

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Jeanne conserva la mente fredda, quando non è sulla scena. Quanto agli esorcisti, prosegue il vescovo, Sua Eccellenza farà, se a lui piace, ordinare dal Signor de Bullion [Claude de Bullion, soprintendente delle finanze] un fondo certo e assicurato per il

loro nutrimento, che il Signor Laubardemont accorderà al minor offerente e a ribasso per i sei Padri Gesuiti e i signori Du Pin [dell’Oratorio di Tours] e Morans [della diocesi di Poitiers]. Perché per i Cappuccini e per i Padri Carmelitani, Monsignor regolerà il loro mantenimento come a lui piacerà, assegnando per questo effetto qualche parte dei fondi ai loro conventi, che li ritirano occupandosi di nutrirli 11. Risultato: prelevando dalla sua cassa personale, il re donò emolumenti per il mantenimento dei Padri Gesuiti, che crearono una comunità dentro Loudun, e monsignore il cardinale donò 2000 franchi all’anno alle religiose 12. Si organizza un’enclave finanziaria e mentale, sempre più tagliata fuori dalla vita locale, se non per il profitto, la pietà – così come si fa un pellegrinaggio –, o lo svago – così come si va al circo. È in questo campo chiuso che Surin impianta la sua mistica.

Uno strano dialogo Padre Surin passa la sua vita in digiuni e in continue preghiere per il sollievo della madre superiore 13, scrive Monsignor Cohon a Richelieu. Ferito, malsicuro delle sue forze, il gesuita si getta in un «combattimento» di anime. Conosce anche l’importanza della posta in gioco. A proposito di Jeanne des Anges il vescovo dice: 11 12 13

Paris, Archives des Affaires étrangères, ms. France, vol. 1696, f. 105-114.

La Science expérimentale..., cit., I, l; BN, Fds fr. 14596, f. 7. Paris, Archives des Affaires étrangères, ms. France, vol. 1696, f. 113.

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Tutti i patti non si indirizzano che a lei, e in base a ciò congetturiamo che, dopo la sua liberazione, la possessione delle altre non sarà sostenuta più da nulla 14. Anche lei lo sa bene, persino meglio del gesuita. Lei gli resiste. Com’è sua abitudine, si applica a conoscere il suo umore e, con mille piccole destrezze dello spirito, gli sfugge. Non prova piacere,

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se egli vuole penetrare nel [suo] intimo. Evita quanto può di parlargli, mentre lui la cerca a ogni ora. Paziente, persevera. Lei si ostina, ma alla fine si forma in [lei] una tale disperazione… che [ella] prende la risoluzione di lasciar[si] morire15. Un modo per dire che capitola. La resistenza di Jeanne era per lui meno pericolosa di quanto non lo diventi il suo consenso. S’instaura uno strano dialogo, di ore, giorni, settimane. Egli si mette a pregare davanti a lei. In presenza di un testimone che non è un interlocutore, dà voce a slanci che non ha mai osato o potuto esprimere. Lei si lascia a poco a poco vincere da una passione di cui, ragazzina astuta, non aveva mai avuto idea. Ma, in questo vis-à-vis che non è unico, anche lui si rinchiude; si esalta; si sfinisce; d’un tratto egli va all’estremo della logica della redenzione, che vuole che sia il medico a portare la malattia per guarirla; simpatizza con il male dell’isterica, privandosi dei mezzi per resistergli. Per parte sua, anticipando l’esperienza che preavverte, una volta di più accomodandosi al suo umore, lei mima già ciò che incomincia a desiderare, e questi primi frutti, che si mescolano a pose, entusiasmano troppo presto il confessore, che con un’attenzione esorbitante li segue speranzoso. Non ritrova in lei le sue parole? Quanto più la chiama alle sue proprie altezze e tanto più così egli la inganna; ma poiché ella vede autentificati da

14 15

Ibid.

Suor Jeanne des Anges, Autobiographie, éd. Gabriel Legué et Gilles de la Tourette, Paris 1886, p. 58, 87, 88.

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lui i gesti in cui mette una sincerità incerta, come potrebbe esitare, malgrado i suoi dubbi, a credervisi giunta? Lei sa di cosa si tratta?

L’esorcista ossesso Fin dal gennaio 1635, comincia a essere ossesso dal diavolo, soffrendo strani effetti: cefalee, dispnee, crisi di tremore, difficoltà im-

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provvise nella deambulazione, allucinazioni cinestetiche. Cede. In marzo, il male si aggrava:

Avvenne dunque, racconta, applicando a se stesso uno sguardo quasi medicale come su un oggetto che si frantuma, all’incirca al tempo della quaresima, che una sera, essendosi messo nel suo letto per dormire al suo solito, cominciò a sentire la presenza del demonio, il quale in primo luogo si mise a camminare su di lui come avrebbe fatto un animale e, da sopra la coperta, a premerlo in diversi posti della testa e del corpo come avrebbe fatto un gatto con la sua zampa. Questo non lo stupì molto. Ma, dopo ciò, sentì sulla sua pelle come se si fosse infilato un serpente che si attorcigliava e, con i suoi morsi più velenosi che dolorosi, gli dava una gran pena... Il male passa poi dalla notte al giorno, dal privato al pubblico:

Oltre a ciò, quando camminavo uscendo di casa per andare a vedere la madre, lui [il «diavolo»] si metteva ai miei piedi e li rendeva pesanti in tale maniera che le suole delle mie scarpe sembravano fatte di piombo. Quando ero all’esorcismo [ce n’è ancora qualcuno] e che io eseguivo pronunciando ciò che è nel rituale, egli lasciava in un momento la madre posseduta e si insinuava in me e cominciava sempre la sua opera dal fondo dello stomaco, imprimendovi sempre una tale pena che non potevo avere alcun riposo se non ero

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coricato a terra. Ed essendo coricato, le agitazioni mi prendevano in tutte le membra16. Lo stato di Surin peggiora; quello della priora migliora. A Laubardemont, che le invia una bella pianeta per il convento, l’8 maggio lei scrive il suo timore che le sofferenze del gesuita non procu-

rino dell’apprensione negli altri per il suo dedicarsi a questo lavoro penoso17. Il 3 maggio, Surin scrive a padre Doni d’Attichy, un vecchio amico che allora abita a Amiens:

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Due anime in me Da tre mesi e mezzo non sono mai senza avere un diavolo in attività presso di me. Le cose si sono spinte così avanti che Dio ha permesso, penso per i miei peccati, ciò che non si è forse mai visto nella Chiesa, che nell’esercizio del mio ministero il diavolo passa dal corpo della persona posseduta e, trasferendosi nel mio, mi assale, mi rovescia e mi agita e tormenta visibilmente, possedendomi parecchie ore come un energumeno. Non saprei spiegarvi ciò che accade in me durante questo tempo e come questo spirito si unisce con il mio senza togliermi né la conoscenza né la libertà della mia anima, e nondimeno facendosi come un altro me stesso, e come se io avessi due anime, di cui l’una è spossessata del suo corpo e dell’uso dei suoi organi, e si tiene da parte, guardando fare l’altra che vi si è introdotta. Questi due spiriti si combattono in uno stesso campo che è il corpo; e l’anima stessa è come divisa e, in una parte di sé, è il soggetto di impressioni diaboliche e, nell’altra, di movimenti che gli sono propri o che Dio gli dona. Nello stesso tempo sento una grande pace sotto la compiacenza di Dio e, senza sapere come, un’avversione e una rabbia estrema per lui, che per separarsene si manifesta come con 16 17

La Science expérimentale...; cit., BN, Fds fr. 14596, f. 9 e 18-19. Le Grand Fougeray, Archives de la Visitation, «Lettres spirituelles», t. I, p. 1.

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dei moti impetuosi che stupiscono quelli che li vedono; nello stesso tempo una grande gioia e dolcezza e, dall’altra parte, una tristezza che si manifesta con lamentazioni e grida simili a quelle dei dannati. Sento lo stato di dannazione e lo temo, e mi sento come trafitto da punte di disperazione in quest’anima straniera che mi sembra la mia, e l’altra anima, che si trova in piena fiducia, si fa beffa di tali sentimenti e maledice in tutta libertà quello che li causa. Sento persino che le mie stesse grida che escono dalla bocca provengono ugualmente da queste due anime, e faccio fatica a discernere se è il tripudio che le produce o il furore estremo che mi riempie… Quando le altre possedute mi vedono in questo stato, è un piacere vedere come esse esultano e come i diavoli si fanno beffa di me; «Medico, guarisci te stesso! Vattene ora, sali in cattedra. Sarà bello vedere predicare questo, dopo aver corso per la piazza!»… Ecco dove sono ora, quasi tutti i giorni. Su ciò nascono grandi dispute. «Et factus sum magna quaestio»: se c’è possessione; se può darsi che i ministri della Chiesa cadano in tali incresciosi accidenti. Gli uni dicono che è un castigo di Dio su di me e una punizione per qualche illusione; gli altri dicono altra cosa, e io resto qui e non cambierei la mia sorte con un’altra, avendo ferma persuasione che non c’è niente di meglio che essere ridotto all’estremo. Lo stato in cui mi trovo è tale che le mie opere sono ben poche; quando voglio parlare, vengo semplicemente fermato; a tavola, non posso portare il boccone alla bocca; in confessione, mi dimentico a un tratto dei miei peccati e sento il diavolo andare e venire da me come a casa sua. Fin da quando mi raccolgo, egli è là; all’orazione mi toglie un pensiero quando gli piace; quando il cuore comincia a effondersi in Dio, lo riempie di rabbia. Mi addormenta quando vuole; mi risveglia quando vuole, e pubblicamente, per bocca della sua posseduta, si vanta di essere mio signore, alla qual cosa non ho niente da obiettare, poiché anche la mia coscienza mi rimprovera e sul mio capo pende la sentenza pronunciata contro i peccatori. Io

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devo subirla e riverire l’ordine della provvidenza divina, alla quale ogni creatura deve sottomettersi18.

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Il nuovo enigma Factus sum magna quaestio: è il nuovo quesito di Loudun. Padre d’Attichy, che ha molte relazioni letterarie, comunica la lettera. Così anche questo circola, come già altri testi di Surin. Ne esistono ancora numerose copie dell’epoca. Viene subito pubblicato a Poitiers, a Parigi. La lettera attraversa gli ambienti devoti, passa tra le mani di curiosi e dotti. A Peiresc, che nel 1634 a Aix-en-Provence si faceva già informare su Loudun da padre Gilles de Loches, padre Mersenne scrive il primo luglio 1635: Non so… se sapete che un padre gesuita, che era andato a Loudun per esorcizzare, è stato a sua volta posseduto o ossesso, come le sue stesse lettere testimoniano19. Peiresc risponde a Mersenne il 17 luglio:

Se la possessione o l’ossessione di questo buon padre esorcista ha fatto progressi, la cosa sarà più notevole di tutte le altre di questa natura, che di solito colpiscono spiriti di donnicciole ben fragili 20. Il 24 luglio, scrive ancora a uno dei suoi corrispondenti parigini, il Signor di Saint-Sauver Du Puy, erudito e bibliofilo come lui:

Questo piccolo stampato di padre Surin è ben bizzarro. Si faceva circolare qui un’altra relazione scritta, che pure sembra venire da lui e che non sarebbe mal costruita. Voi l’avrete qui, sebbene non dubito che vi sia già nota; ma, in ogni caso, qualora 18 19

J.-J. Surin, Correspondance, cit., pp. 263-265. P. Marin Mersenne, Correspondance, éd. Mme Paul Tannery e C. De Waard, t. 5, p. 271. 20 Ivi, p. 320.

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non l’abbiate vista, è possibile che, in conseguenza dell’altra, non la vedrete così mal volentieri 21. Un’altra pubblicazione del 1635, apparsa a Poitiers, a Parigi e a Lione, la Relation véritable de ce qui s’est passé aux exorcismes

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des religieuses possédées de Loudun en la présence de Monsieur, frère unique du roi, riserva ampio spazio al caso del gesuita, dato che proprio quel giorno, il 10 maggio, l’esorcista ferito viene ancora rovesciato a terra e di nuovo rigettato sul pavimento, in presenza di sua Altezza e della sua Corte 22. Mentre gli spettacoli proseguono per la soddisfazione del pubblico, Surin sprofonda. È un bambino umiliato, che continua la sua corrispondenza con padre d’Attichy, avido di consigli, come molti altri a cui il malato trova ancora il tempo di rispondere:

Prego nostro Signore che gli piaccia di legare la vostra anima alla sua con tante catene d’oro del suo amore che mai essa gli sfugga. Se potessi in qualche cosa servire a ciò, non rifiuto niente. Che vostra Riverenza agisca come se fossi suo schiavo… È la mia qualità verso vostra Riverenza, unita a quella del suo umilissimo fratello 23 . A settembre egli può dire a Laubardemont: Noi che trattiamo ciò che è più importante, ne sappiamo cosa del tutto diversa da quella degli spettatori degli esorcismi 24.

21

N.-C. Fabri de Peiresc, Correspondance, éd. Ph. Tamizey de Larroque, t. 3, p. 347; e J.-J. Surin, Correspondance, cit., pp. 267-268. 22

Relation véritable de ce qui s’est passé aux exorcismes des religieuses ursulines possédées de Loudun..., J. Martin, Paris 1635, p. 27. 23 Lettera del 23 ottobre 1635, in J.-J. Surin, Correspondance, cit., p. 286. 24

Lettera del 22 luglio 1635, ivi, pp. 279-280.

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La letteratura del «trionfo» Tuttavia, sul terreno dove la devozione si è ritirata, le vittorie si moltiplicano, costellate da uscite di diavoli, da miracoli e conversioni celebrate dalle edizioni di una stampa ormai specializzata:

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– Relation de la sortie du démon Balaam du corps de la mère prieure des ursulines de Loudun..., pubblicata nel 1635 a Parigi e a Poitiers. – Copie d’une lettre escrite à Mgr l’évesque de Poitiers par un des Pères Jésuites qui exorcisent à Loudun, contenant un bref récit de l’éjection de Léviatan, chef de cinquante démons..., pubblicata nel 1635 a Parigi presso J. Martin, a Poitiers presso la vedova Mesnier, e a Orléans.

– Traitté de la Melancholie, sçavoir si elle est la cause des Effets que l’on remarque dans les Possédées de Loudun. Tiré des RefIexions de M. [Pilet de la Ménardière] sur le Discours de M. D. [Duncan], pubblicato a La Flèche, presso M. Guyot e G. Laboë, 1635.

– Les miraculeux Effects de l’Église Romaine sur les Estranges, horribles et effroyables actions des Demons et Princes des diables en la possession des Religieuses Ursulines et Filles séculières de la ville de Loudum [sic], recueillis par M. de la Foucardière, prieur de Croysay, docteur en théologie, pubblicato a Parigi, presso Claude Morlot, 1635. – Lettre du R. P. Seurin, Jésuite, exorciste des religieuses ursulines à Loudun, écrite à un sien ami, où se voient les choses étranges arrivées en sa personne, lesquelles excitent puissamment à la foi et à la crainte des jugements de Dieu, pubblicata a Poitiers e a Parigi, 1635.

– Relation véritable de ce qui s’est passé aux exorcismes des religieuses ursulines possédées de Loudun en la présence de Monsieur, frère unique du Roi, avec l’attestation des Exorcistes, pubblicata a Parigi presso J. Martin (conforme alla copia stampata a Poitiers), a Lione presso J. Jacquemeton, e a Poitiers, 1635.

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– In Actiones Juliodunensium Virginum, Francisci Pidoux, Doctoris Medici Pictaviensis, Exercitatio Medica, pubblicata a

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Poitiers, presso J. Thoreau. Sembrerebbe esistere una seconda edizione nel 1635.

– Relation de la sortie du Demon Balam du corps de la Mère Prieure des Ursulines de Loudun et ses épouvantables mouvemens et contorsions en l’Exorcisme. Avec l’Extrait du procès verbal..., pubblicata a Parigi presso J. Martin, e a Poitiers, 1635. – Guillaume Rivet (pastore della Chiesa riformata di Taillebourg) pubblica La Defence des Droits de Dieu contre les inventions et artifices du Sieur Tranquille, supérieur des Capucins de La Rochelle, pubblicata a Saumur, presso Lesnier e Desbordes, 1635.

– Admirable changement d’un jeune avocat en la cour [di Poitiers], nouvellement opéré par le moyen d’un démon nommé Cédon dans les exorcismes des religieuses possédées de Loudun. Avec deux discours du même démon..., La Flèche, presso G. Griveau, nel 1636, e a Parigi, presso J. Brunet, nel 1637.

– La gloire de saint Joseph. Sur la relation authentique et véritable de ce qui s’est passé en la sortie d’Isacaron qui possédait le corps de la Mère Prieure des Religieuses Ursulines de Loudun... Dedicata al Signor Duca d’Orléans, Fratello unico del Re, pubblicata nel 1636 a Saumur presso Louis Macé, a Parigi presso J. Martin, a Lione presso Claude Cayne, etc.

– Récit véritable de ce qui s’est passé à Loudun aux exorcismes des filles possédées, ensemble le miracle qui s’y est fait en présence de tous les assistants, di J. D. P. C. (lettera di un Carmelitano di Poitiers a un religioso del suo Ordine), pubblicato a Orléans presso René Fremont, 1636.

– Germana Deffensio Exercitationum Francisci Pidoux in Actiones Juliodunensium Virginum adversus Ulalium [Duval, avvocato di Poitiers], preceduta da uno Speculum mentis Eulalii Pictaviensis (non numerato), pubblicata a Poitiers, presso J. Thoreau, 1636.

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– Apologie pour M. Duncan, docteur en médecine, contre le Traité de la Melancholie du Sieur de la Mesnardière, senza luogo né data, ma molto probabilmente pubblicata a Saumur nel 1636.

– La guérison miraculeuse de sœur Jeanne des Anges... par l’onction de Saint Joseph, Saumur, presso Macé, 1637. – Les interrogatoires et exorcismes nouvellement faits à un démon... avec les réponses du démon au R. P. Matthieu de Luché, capucin exorciste, ...au grand estonnement du peuple, pub-

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blicato a Parigi, presso J. Brunet, e a La Flèche, 1637.

– Les Miraculeux effets de la Vierge, de saint Joseph et de saint François dans le soulagement et délivrance des Filles Ursulines..., Parigi 1637. – Représentation et sommaire des signes miraculeux qui ont esté faits à la gloire de Dieu et de son Église en la sortie des sept démons qui possédaient le corps de la mère prieure des religieuses ursulines de Loudun, Rouen, presso D. Perrand [1637]25. – Relation de la mort du P. Tranquille, l’un des exorcistes de Loudun..., Poitiers, 1638. Resoconto inviato da Padre Benoît di Loudun al Padre Eléazar di Loudun. Esattamente come la parola miracle, il nome della priora splende su tutti i frontespizi di questi libriccini. Nel penultimo figura il suo ritratto. È una sequenza di attimi di suspense, di malattie e guarigioni, di liberazioni e uscite, in cui ella dà vita a un nuovo personaggio. Da Surin lei apprende tutto il vocabolario della mistica, di cui senza dubbio allo stesso tempo intuisce il senso. Consiglia. Riceve. I devoti o i turisti altolocati non mancano, come testimonia la Relation d’une visite faite par D. pendant

huit jours, sur l’invitation de la duchesse d’Aiguillon, aux possédées de Loudun, et des visites faites aux mêmes possédées par la

25 Su queste diverse edizioni, v. J.-J. Surin, Correspondance, cit., pp. 290 sv., 294, 301 sg., 359, 385 sg., 417, etc.

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Duchesse elle-même, par Mademoiselle de Rambouillet, les marquis de Brézé et de Sablé, Monsieur de Voiture, etc.26.

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Una spiritualità sospetta Surin è su un sentiero di cui non ha finito di scendere i gradini. Ma persevera nel suo compito, ora in piedi, ora a terra. Vede più gente. Scrive molto ma la sua opera è per più tardi, quando Giobbe si rialzerà, tra più di vent’anni, consumato nel corpo ma rasserenato dalla prova, avendo trovato il sole in fondo al pozzo, e scoprendo, con un autunno arrivato tardi, il segreto di essere

come un bambino nel seno di Nostro Signore, con così pochi pensieri come all’età di otto anni. Intorno a lui si crea una sorta di scuola spirituale, un gruppo «mistico» dove passano molti visitatori che non lo dimenticheranno. Ma questo lo rende tanto più sospetto. A Roma, padre Vitelleschi, superiore generale dei Gesuiti, preoccupato di mettere fine all’attività dei suoi religiosi a Loudun, riceve ugualmente denunce e accuse contro il malato. Il 28 agosto 1636 scrive al superiore provinciale di Surin:

Su padre Surin, che Vostra Riverenza loda molto, ricevo dai nostri Padri numerose memorie. Si dice che, da qualche tempo, egli si crederebbe posseduto dal Verbo incarnato quanto dal demonio; che di conseguenza riterrebbe il Verbo l’origine delle sue parole e dei suoi gesti, così come lo spirito maligno quella dei suoi movimenti di ossesso… Si aggiungeva che egli era poco sottomesso ai superiori e poco obbediente. Attendo il parere di vostra Riverenza…27 Nell’ottobre 1636 egli viene ritirato da Loudun. Vi tornerà da giugno a novembre 1637. Sul posto, dopo avergli molto rimpro26 27

Bibl. Arsenal, ms. 555, p. 108-147; BN, Fds fr. 12801, f. 1-10. Roma, ARSI, Aquit., vol. 2, f. 458.

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verato di dedicarsi a delle invenzioni di spiritualità e di non sapere il mestiere, a loro volta gli altri esorcisti utilizzano il suo metodo 28. Scomparendo, egli lascia una traccia.

28

V. La Science expérimentale..., cit., IV, 8; BN, Fds fr. 14596, f. 58-59.

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14

Il trionfo di Jeanne des Anges

     

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Dopo molte altre, una nuova meraviglia si produce il 7 febbraio 1637. Malata in seguito a un esorcismo imposto senza discrezione dal troppo impetuoso padre Ressès, condannata dai medici, ridotta ormai all’estremo a seguito di una congestione polmonare, Jeanne des Anges in convento è in agonia.

Il bell’angelo Allora, racconta lei stessa, ebbi la visione di una grande nube che circondava il letto in cui ero coricata. Vidi sul lato destro il mio buon angelo che era di una rara bellezza e aveva la forma di un giovane uomo dell’età di diciotto anni o giù di lì. Aveva una lunga chioma bionda e brillante, che copriva il lato destro della spalla del mio confessore [il padre Ressès]… Jeanne dimentica un dettaglio che Surin riporta in modo ingenuo: Ella trattenne l’idea [l’immagine] del viso di san Giuseppe,

che in seguito fece dipingere, e, essendo venuto il Signor duca di Beaufort qualche giorno dopo a vedere l’esorcismo, ella mi disse che questo angelo aveva una parrucca come quella di questo principe1. Nipote di Gabrielle d’Estrées, il giovane François de Vendôme, duca di Beaufort, aveva all’epoca diciotto anni. Le conquiste amorose di questo biondino, che poi sarà chiamato il re des Halles 2, erano celebri non meno dei suoi duelli. Ci si può domandare se, 1 2

La Science expérimentale…, I, 11; BN, Fds fr. 14596, f. 38. I mercati generali di Parigi [n.d.c.].

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per caso, la sua visita a Loudun non sia stata anteriore al 7 febbraio. Jeanne racconterà il fatto a Surin molto più tardi, e lei possiede una memoria intelligente.

Vidi anche san Giuseppe in forma e figura di uomo, che aveva il viso più risplendente del sole, con una grande chioma. La sua barba era di pelo castano. Mi parve con una maestà ben più che umana, stese la mano sul mio lato destro dove era sempre stato il mio grande dolore. Mi sembra che mi fece un’unzione su questa parte, dopo di che sentii ridestarsi i miei sensi esteriori e mi trovai completamente guarita. Dissi al padre e alle religiose che erano nella mia camera: «Non ho più male. Sono guarita per la grazia di Dio». Domandai i miei abiti e mi levai all’istante… Due giorni dopo, mi ricordai che non avevo asciugato l’unzione che mi aveva guarita che con la mia camicia. Chiamai la madre vice-priora e la pregai di venire nella mia camera per visitare il luogo dove l’unzione era stata fatta. Dopo averlo fatto, sia l’una che l’altra sentimmo un odore mirabile. Tolsi questa camicia. La si tagliò alla cintura. Trovammo cinque gocce abbastanza grosse di questo balsamo divino che emanava un odore eccellente… Diffusasi la notizia di questa meraviglia, è incredibile quanto grande fu la devozione del popolo verso questa sacra unzione e quali miracoli Dio operò per mezzo di essa 3. «Si» fa tutto per questa. La Guérison miraculeuse de sœur Jeanne des Anges… apparve presto a Saumur, con la calorosa approvazione del vescovo di Poitiers. Il racconto si arricchirà di ulteriori particolari. Sette anni più tardi, dopo averla ripetuta tante volte, la priora invierà a padre Saint-Jure la versione definitiva e ufficiale, la «vulgata» del miracolo4.

3

Suor Jeanne des Anges, Autobiographie, éd. Gabriel Legué et Gilles de la Tourette, Paris 1886, pp. 196-199. 4 Lettera del 6 febbraio 1644; Le Grand Fougeray, Archives de la Visitation, «Lettres spirituelles», t. I, pp. 220-224.

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La miracolata

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Per le cinque gocce meravigliose, la camicia sacra, le carte e i cotoni umettati dell’unguento comincia una bella carriera. Questo riguarda ancora solo lo scenario della miracolata. Il suo stesso corpo è illustrato con i nomi di GIUSEPPE e MARIA, che erano stati trovati tracciati sulla sua mano in occasione delle ultime uscite di diavoli. Resta un ultimo demonio: Behemoth. Il 19 marzo 1637, reclama l’onore di essere cacciato da padre Surin.

Dopo molte resistenze e violenze, rispose che non dipendeva più da lui [di uscire], e che Dio voleva che Padre Surin lo aiutasse a cacciarlo 5. Èȱla priora stessa a scriverlo a Laubardemont. Tutti i personaggi della storia devono trovarsi intorno al carro della liberata. Il suo demonio esige anche un viaggio a Annecy, per un pellegrinaggio alla tomba di Francesco di Sales. I progetti si amplificano, la pietà si fa pubblicità, e sembra che gli esorcisti gesuiti, questi dotti maestri chiamati da Laubardemont, si impegnino a fondo nell’impresa. All’incredulità di facciata, corrispondono tutte le credulità da questo lato particolare. Il 9 luglio 1637 il loro superiore generale manifesta inquietudine, acconsentendo al ritorno provvisorio di quell’uomo sprofondato nell’abisso, dal quale tante persone attendono ora la chiusura di questo affare troppo lungo; da Roma, egli scrive al rettore di Poitiers:

Benché facciamo ciò veramente a malincuore, ma non senza ragione, abbiamo preso la decisione di rinviare a Loudun i padri Anginot e Surin. Nostro straordinario desiderio è che i nostri si liberino al più presto di questo affare, e a questo scopo gli recheremo tutto l’aiuto necessario… Si dice che i Padri di Loudun offrano la mano della priora ai baci di tutti a causa dei beati nomi che vi avrebbe scolpito il dia5

Ivi, t. I, p. 10.

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volo; che facciano toccare del cotone, della carta e simili oggetti con un unguento attribuito a san Giuseppe; che malgrado il parere contrario di gente competente, li distribuiscano come autentiche reliquie; che di loro propria autorità diffondano nel pubblico i miracoli compiuti da queste reliquie, di cui noi apprendiamo invece che sono la fonte di molti mali…

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Avvertimento ai creduloni Prego Vostra Riverenza di rimediare con sufficiente efficacia a tanti fatti aberranti, onde non trovarci alla fine costretti a ritirare completamente tutti i nostri da questi esorcismi. Che essi assolvano il loro compito, non più in pubblico, ma all’interno della casa, come ho recentemente scritto a Vostra Riverenza; che non interroghino il demonio che sui punti necessari, in vista della sua espulsione; che non ci prolunghino in eterno un’occupazione che è fin troppo durata. Tanti nostri operatori apostolici potrebbero essere più utilmente impiegati altrove. Dapprima si diceva, prestando fede a una rivelazione, che il demonio doveva essere cacciato a Annecy; si dice ora, secondo un’altra rivelazione della stessa, che non lo sarà se Padre Surin non ritorna a Loudun. Ecco delle parole che si contraddicono palesemente. E dopo essere venuti incontro a quasi tutte le richieste dei nostri Padri, apprendiamo di qualche nuovo progetto, nello stesso momento in cui siamo di giorno in giorno turbati da nuove lamentele contro l’imprudenza dei nostri esorcisti. Sia per sua stessa iniziativa, sia del rettore di Poitiers, sia di qualche altro padre che non sia troppo credulone e ingenuo, Vostra Riverenza dovrà seriamente mantenerli nell’obbedienza più stretta 6. Di ritorno, Surin sta molto male. Sotto la sua direzione Jeanne des Anges compie un ritiro secondo gli Esercizi spirituali di Sant’I6

Roma, ARSI, Aquit., vol. 2, f. 477-478.

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gnazio di Loyola, ma, dirà lei più tardi a Guy Lamer, abate di Vaux, grande vicario del vescovo di Angers:

Negli ultimi Esercizi che il buon Padre mi fece fare, non mi diede alcun soggetto. Volle che mi presentassi davanti a Dio in semplicità per ricevere o soffrire ciò che gli sarebbe piaciuto… Trovai grande libertà di spirito in questa maniera di procedere 7.

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La liberazione È nel corso di questo ritiro che la madre fu interamente liberata con l’espulsione di Behemoth, l’ultimo demonio. Il 15 ottobre, giorno di santa Teresa, Surin celebra la messa, sebbene troppo fiaccamente. Nel momento in cui egli porta la comunione alla madre presso la piccola finestra della grata, tenendo la santa ostia in mano, senza che egli desse alcun ordine al diavolo, poiché diceva «Corpus Domini nostri Jesu Christi», la madre… entrò in una furiosa contorsione, piegandosi all’indietro, con un viso reso spaventoso dalla presenza del demonio, alzando la mano sinistra, voltandola alla luce del giorno. Il padre vide manifestamente, al di sopra dei nomi di Maria e Giuseppe formati in bei caratteri vermigli e sanguinanti, il nome di GESÙ così chiaramente come mai aveva visto alcuna cosa. Ma siccome la mano di lei era così girata che il polso era rivolto verso l’interno dove si trovavano le religiose, e la parte bassa della mano verso l’esterno dove si trovava il padre, il detto padre non vide affatto formarsi il nome di FRANCESCO DI SALES. A un tratto, la madre si riebbe dalla sua contorsione, avendola il diavolo abbandonata, e, essendosi rimessa nella sua postura in ginocchio, bontà sua, ricevette il corpo di nostro Signore, il quale prese il

7

Lettera del 6 luglio 1639; Bibl. Mazarine, ms. 1209, non numerato.

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posto del demonio. E da allora, per il resto della sua vita, non ha avvertito più nulla delle opere ordinarie dei diavoli…8

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Poiché il diavolo di Jeanne aveva ottenuto ciò che chiedeva, il pellegrinaggio è deciso. Surin fa parte dei bagagli. La mia anima, dirà egli parlando di quel tempo, era come un

palazzo del quale si sarebbero chiuse tutte le porte, messe delle serrature e lucchetti dappertutto, lasciando la sola camera del custode9. Lo si tratta da folle, e certo, egli scrive ancora, è caduto in questo accidente increscioso in una maniera così autentica che negarlo sarebbe quasi urtare il senso comune, per via delle strane cose che gli sono capitate… Egli può confessare che non ha temuto troppo questo titolo, poiché molto tempo prima si era offerto a Dio per questo e per ricevere questo bel fiore all’occhiello, che quasi nessuno vuole 10. Colpito da afasia temporanea, parte con padre Thomas, ma, su ordine dei superiori, per un itinerario diverso da quello di Jeanne. La raggiungerà a Lione, passando per il Massiccio centrale. La priora ha messo Parigi nel suo programma.

Un giro trionfale Durante questa crisi, probabilmente più benigna o più intermittente di quanto non dica Surin, si organizzava il famoso viaggio in Savoia. Per Jeanne des Anges, partita da Loudun il 26 aprile, questo fu un giro trionfale di cinque mesi: Tours, Parigi, Moulins, Nevers, Lione, Grenoble, Annecy, etc. Come le folle che si accalcavano nei parlatori e negli alberghi dove la priora si fermava, gli uni dopo gli altri a rendere omaggio alla mano scolpita dal diavolo e alla camicia marchiata dall’unguento di san Giuseppe 8 9

J.-J. Surin, Triomphe de l’amour divin, f. 258-259; v. retro cap. 13, nota 6. Lettera del 25 agosto 1660; v. J.-J. Surin, Correspondance, éd. Michel de Certeau, p. 983. 10 La Science expérimentale..., II, 4.

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vennero i parlamentari, i gentiluomini di più alto rango, i vescovi, i Condé, Richelieu, la regina Anna d’Austria, il re Luigi XIII. Nel suo racconto di bambina abbandonata divenuta un miracolo ambulante, insaziabile di successi che non la rassicurano mai, fa sfilare i suoi prìncipi, i suoi arcivescovi, i suoi palazzi e le sue carrozze, la cui seduzione è appena velata dalle frasi edificanti che lei lascia cadere in questa traccia luminosa. Appena la priora arrivò a Tours con il Signor de Morans e la vice-priora suor Gabriella de Colombiers, Monsignor l’arcivescovo Bertrand de Chaux inviò fin dalla sera uno dei suoi ufficiali per invi-

tarmi ad andare a fargli visita. L’indomani, l’arcivescovo ci inviò uno dei suoi cappellani con la sua carrozza, per condurmi da lui… Ci ricevette con bontà straordinarie… Parecchie persone di rango si trovavano nella sala e, tra gli altri, Monsignor il vescovo di Boulogne, nipote del detto arcivescovo. Vi si trovava anche Monsignor il presidente Cothereau, che era stato uno dei giudici che condannarono Grandier. Tutti ammirarono i nomi impressi sulla mia mano… Diffusasi per tutta la città l’eco clamorosa dell’impressione di questi nomi, il popolo accorse in folla per vederli, di modo che vennero da quattro a cinquemila persone al giorno per esaminarli. Martedì 30 aprile, al parlatorio delle orsoline, tre medici guardarono attentamente la figura e la bellezza dei caratteri così ben marcati sulla pelle della mia mano… Il 5 maggio, visita lusinghiera di Gaston d’Orléans, fratello del re.

Il giovedì 6 di maggio, partimmo da Tours. Una dama di rango, moglie di un consigliere del parlamento, chiamata Madame du Tronchet, prese posto nella carrozza con noi e sostenne le spese per la durata del cammino11. Ad Amboise, fu necessario tenere il parlatorio aperto fino alle undici di sera per soddisfare le folle e far loro vedere la mia mano.

11

Il racconto che Jeanne des Anges fa del suo viaggio si trova nella Auto-

biographie, cit., pp. 208-254.

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Così a Blois e Orléans dove Laubardemont viene a raggiungerla, infine a Parigi, dove arrivano insieme l’11 maggio.

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La conquista di Parigi Qui alloggia dal barone: consiglieri di Stato, Relatori sui ricorsi, dottori della Sorbona, religiosi di tutti gli Ordini… il duca di Chevreuse, il Signor principe de Guéménée e molte altre persone di rango vennero spesso a vedermi. Ci si accalca per vedermi, si ammira la mia mano, si scruta ciò che è accaduto al mio corpo per azione dei demòni: questa instancabile litania dell’Autobiografia ritma la processione del corpo miracolato. Nel cuore dell’ostensorio, al centro della folla, c’è la mano sacra. Dopo la visita presso l’arcivescovo di Parigi che, sempre secondo Jeanne des Anges, dice ad alta voce: non bisogna nascondere ciò che è a gloria di Dio, il santo sacramento è esposto al pubblico:

Il popolo si accalcò ancora per vedermi, di modo che si fu costretti a espormi al pubblico, già dalle quattro del mattino e fino alle dieci di sera, alla luce delle fiaccole. Mi si mise in una sala bassa dove c’era una finestra ad altezza d’uomo, che affacciava direttamente su una corte della casa. Ero seduta con il braccio su un cuscino, la mia mano era stesa, fuori dalla finestra, per essere vista dal popolo. Le persone di primo rango non poterono entrare in questa sala, perché il popolo ne occupava le vie d’accesso. Non mi si dava il tempo di ascoltare la messa né di prendere i miei pasti. Segue l’incontro con Richelieu, a Rueil.

Il Signor de Laubardemont ci portò lì… poiché quel giorno il cardinale era stato salassato, tutte le porte del castello di Rueil furono chiuse, persino ai vescovi e ai marescialli di Francia; tuttavia, fummo introdotti nella sua anticamera, sebbene lui fosse a letto. Ordinò a un gentiluomo e al suo medico di accoglierci e di darci il buongiorno da parte sua. 360 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Che cosa ammirabile… Per suo ordine fummo condotti in una sala dove era stata preparata la cena. Era magnifica, e fummo serviti dai suoi paggi. Verso la fine della cena, Monsignore il cardinale fece chiamare il Signor de Laubardemont e gli domandò se non c’era alcuna indecenza nel salutarci restando a letto, temendo che ciò potesse risultarci penoso. Egli lo assicurò di no. Venne a cercarci da parte sua. Andammo vicino al suo letto; ci mettemmo in ginocchio per ricevere la sua benedizione. Restai in questa postura per parlargli. Lui non volle, assicurando che non poteva tollerarlo. L’attestazione di cortesia da parte sua e di umiltà da parte nostra durarono abbastanza a lungo, ma infine fui obbligata a obbedire. Mi fece dare una poltrona e mi ci fece sedere. Monsignore il cardinale cominciò il colloquio dicendomi che avevo grandissimi obblighi verso Dio per avermi scelta in questo infelice secolo per servire alla sua Gloria, all’onore della Chiesa, alla conversione di parecchie anime e alla confusione dei malvagi. Aggiunse che era per me una grande fortuna aver sofferto per questo motivo gli obbrobri, ignominie, rimproveri, accuse, calunnie, e in generale tutte le opere dei demòni durante il corso di tanti anni… Monsignore il cardinale mi fece avvicinare a lui per vedere la mia mano più da vicino; avendola guardata con molta attenzione, disse queste parola: «Che cosa ammirabile…». In seguito, supplicai molto umilmente sua Eminenza di continuare a dare la sua protezione e i suoi benefici a sostegno della nostra comunità, assicurandolo che avremmo continuato nei nostri voti e nelle nostre preghiere per attirare su di lui le benedizioni del cielo. Il Signor cardinale mi disse che sarebbe stato ben lieto di vedere padre Surin. Il Signor de Laubardemont prese la parola e parlò dell’unzione che san Giuseppe aveva fatta su di me, con cui ero stata guarita. Gli si fece vedere il pezzo della camicia sulla quale la detta unzione

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era stata fatta; vedendola, fu preso da rispetto ed espresse grandi sentimenti di pietà, poiché, prima di prenderla nelle sue mani, sebbene fosse malato si scoprì la testa, la odorò e baciò per due volte, dicendo: «Sa perfettamente di buono». Toccò con essa un reliquiario che aveva al capezzale del letto. Mentre teneva la camicia con rispetto e ammirazione, gli feci il racconto del modo in cui ero stata guarita…

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Dopo l’accoglienza di Richelieu a Rueil, quella della regina a Saint-Germain-en-Laye non è meno lusinghiera. Dopo un lungo discorso della priora sulla miseria della comunità di Loudun, la re-

gina volle vedere la mia mano marchiata dei sacri nomi. Gliela mostrai. Lei la prese e la tenne più di un’ora, ammirando una cosa che non si era mai vista dagli inizi della Chiesa. È presente la principessa di Condé, che va in estasi. Sopraggiunge il re, che, la gioia stampata sul viso, dice ad alta voce: Il mio credo è fortificato. Egli chiama a sé e fa ricredere degli increduli di cui, per principio di carità, la priora si rifiuta di dichiarare il nome.

Un ostensorio Qui occorre fermarsi. Parigi, Melun, Montargis, Nevers, Lione, Grenoble, Chambéry e Annecy, infatti, scandiscono sempre la stessa epifania12. La mano sacra è condotta da questa prosa immutabile come da un reliquiario, dove figurano anche il prezioso unguento e la camicia odorosa. Non c’è più racconto, né viaggio, né storia. Non è che uno specchio. Qui o là, Grandier non è più che una delle pietre preziose incastonate nel sole13, dove tanti occhi, come perle, guardano il bell’oggetto offerto alla devozione. La mano di cui Jeanne è solo la custode o la pisside hanno preso il 12 13

Ibid. Soleil: il termine indica qui il disco doppio dell’ostensorio del tipo detto

appunto «a sole» [n.d.c.].

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posto del dito sacro, di cui anche gli esorcisti non erano in fondo che i portatori. Come dicono i testi, il dito di Dio è là. In realtà, è questo il dito di Dio. Da allora, Loudun si trasforma nella caricatura dei grandi retablo barocchi organizzati intorno all’ostia. Al centro, l’ostensorio, la priora. Ma, grazie al suo angelo, anche lei si farà a poco a poco il ricettacolo di un sapere sull’aldilà, la profetessa dell’avvenire delle anime, la depositaria di consigli dall’alto, l’organizzatrice di un pellegrinaggio e di una Centrale di opere buone, il vertice di tutta una rete di associazioni spirituali. Da Bordeaux, Surin si preoccuperà solo nell’apprendere che ella arriva a

tenere come un negozio, un ufficio per sapere tutto ciò che è necessario fare circa i matrimoni, i processi e altre cose di questa sorta. In un angolo di questo quadro, mostri mutati in cariatidi e in atlanti, Grandier e i demòni hanno cessato di essere delle minacce, per diventare il motivo di contrasto necessario alla decorazione dell’insieme. A questo titolo, essi partecipano a una retorica di immagini e a un commercio devoto. Da allora la possessione assomiglia ai marchi incisi sulla mano di Jeanne. Un giorno, nel 1645, di passaggio a Loudun il Signor Balthasar de Monconys da queste parole sacre farà saltar via una lettera:

Con la punta dell’unghia e un leggero tocco portai via la gamba della M [della parola Maria], cosa di cui ella fu molto sorpresa… Ne fui soddisfatto e presi congedo da lei 14. Il dramma di ieri cade anch’esso, pellicola e cicatrice sulla superficie della storia. Ma è impossibile prendere congedo dalla priora senza domandarsi chi è lei.

14

Journal des voyages de Monsieur Monconys, conseiller du Roy en ses conseils d’Estat et privé et lieutenant criminel au siège présidial de Lyon, t. I, pp. 8-9.

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Una fiaba La reverenda madre Jeanne des Anges venne al mondo il secondo giorno di febbraio dell’anno 1605. I suoi genitori erano di nascita illustre. Suo padre si chiamava Louis Belcier, barone di Cozes, e sua madre Charlotte de Gourmand, erede dell’illustre casato des Chilles, tutti e due usciti dai o alleati dei casati più considerevoli di Guascogna. Il Signor di Cozes ebbe un fratello e una sorella di due differenti letti; suo fratello si chiamava Louis de Barbézieux, signore di Nogeret, mentre sua sorella, Catherine de Belcier, fu sposata a Monsieur du Boudet, capitano delle guardie del re sotto Enrico IV. Anche la Signora, sua madre, ebbe due fratelli da due letti differenti, di cui uno si chiamava Monsieur de SaintDonac Saint-Martin (?), mentre l’altro fu Monsignor Octave de Bellegarde, arcivescovo di Sens. Il Signore e la Signora di Cozes ebbero diciannove figli, di cui quindici furono visti vivere tutti insieme nella loro casa, ognuno tra i meglio nati, ricchi di spirito e dotati di talenti naturali molto vantaggiosi. Sia per nobiltà che per ricchezza, la loro casa era una delle più considerevoli del Saintonge. L’entrata, tra le venti e le trentamila lire di rendita, poteva essere appena sufficiente alle spese che in essa si facevano ordinariamente, tanto era lo splendore in cui vi si viveva15. Così inizia, come in una fiaba, la lunga, la triste, la strana storia della venerabile madre Jeanne des Anges, così come alla fine del XVII secolo la raccontano le visitandine di Rennes in una Vita piena di documenti fedelmente trascritti, ma assai meno sicura nell’interpretazione delle meraviglie cui, nel ricamo di queste pie copiste, ci prepara questo quadro idilliaco di figli così ben nati, così ricchi e così pieni di talenti. 15

Le Grand Fougeray, Archives de la Visitation, «Vie de Jeanne des Anges», p. 1. V. Autobiographie, éd. G. Legué e Gilles de la Tourette, p. 200.

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Una disgrazia da bimba

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Ancora molto piccola, ma precoce, l’occhio dolce e vivo, la carnagione di un bruno chiaro e i capelli biondo cenere, Jeanne conobbe una disgrazia la cui cicatrice nulla potrà cancellare: Ella si trovò in pericolo di cadere e di ferirsi gravemente. Fece uno sforzo così violento per tenersi che si slogò la spalla e fece una contorsione alle reni, di modo che da allora restò con il corpo un po’ di traverso e una spalla più alta dell’altra. Dio si servì di questa disgrazia per fare risolvere più facilmente suo padre e sua madre a donarla a Lui nella santa religione16. Pio eufemismo, sembra, poiché la madre decise allora di na-

scondere questa figlia sotto un velo. A quattro o cinque anni, la bambina fu inviata presso sua zia, all’abbazia reale di Saintes. Vi acquisì una buona conoscenza del latino e, per tutto il tempo che restò nell’abbazia, vi fu sempre mol-

to amata; la sua indole dolce, vivace e allegra, la sua natura gentile, e che aveva di che piacere a tutte quelle che l’avvicinavano, le conciliavano la stima e l’affezione di tutte, anche delle più anziane, come pure delle più giovani. Ma dopo la morte di sua zia nel 1611, un’altra parente, parimenti benedettina a Saintes, assunse un atteggiamento assai più severo nei confronti di questa bambina dallo spirito curioso, «che voleva concepire le cose le più impenetrabili» e che al convento si faceva notare non solo per un’eccezionale affabilità, ma di già per dei deliqui e delle visioni. Un tale rigore provocò nella giovane ragazza il disgusto per la vita benedettina. Ottenne quindi di rientrare a Cozes.

16

Vie de Jeanne des Anges, cit., p. 3.

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Il padre umiliato Suo padre la rivide con gioia, perché egli aveva una predilezione speciale per la sua cara figlia e si faceva fare da lei delle sante letture, particolarmente la sera, per addormentarsi, come diceva, in buoni pensieri. L’accoglienza della baronessa fu meno calorosa. La sua Signora madre era una persona molto autoritaria; aveva grande inclinazione a tenere sua figlia nascosta… a causa del difetto della sua figura… Mentre esibiva le sue altre sorelle, teneva lei in abbigliamento assai semplice per toglierle i mezzi di mostrarsi, cosa che Jeanne non poteva sopportare che con grande dispiacere. Così la figlia si rivolse al padre, prendendo la libertà di rivelargli il desiderio che ella avrebbe avuto di vedere un po’ le compagnie, almeno quelle che venivano a casa. Quando un pretendente si offerse per la damigella, il Signor di Cozes gradì subito la richiesta; la dama non fece altrettanto, dando chiaramente a intendere quali disegni aveva su sua figlia, mentre questa sperava che suo padre sarebbe stato infine arbitro. Non se ne fece niente. Il bel cavaliere se ne andò, ritirandosi nel noviziato dei gesuiti. Impressionata, Jeanne avrebbe allora deciso di farsi religiosa, malgrado il nuovo partito che si presentò (questa volta gradito a sua madre) e, per una scelta improvvisa, preferì a ogni altro l’Ordine in cui si seguiva la regola di sant’Agostino, il santo di cui molto spesso aveva letto a suo padre le Confessioni.

I mezzi per mettersi in mostra Nel 1622 entra dunque nelle orsoline di Poitiers. Dopo un noviziato segnato da accessi ben comprensibili, ma già spettacolari e troppo consciamente legati a un senso del pubblico (la sua dedizione va ai malati più repugnanti, della cui cura chiede di essere incaricata per la grande edificazione delle sue sorelle, oppure, al contrario, davanti a tutte le religiose riunite, dichiara un giorno di voler riprendere i suoi abiti secolari e lasciare il convento), fa la sua pro-

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fessione il 7 settembre 1623. Intelligente e arrendevole, abile e zelante, si rende indispensabile; è incaricata o si incarica di mille occupazioni, che la distraggano. Dirà nella sua Autobiografia, scritta sul modello della Vita per se stessa di santa Teresa o delle Confessioni di sant’Agostino, queste due opere che ha tanto frequentato:

Ho passato questi tre anni [a Poitiers, settembre 1623-luglio 1627] in grande libertinaggio, di modo che non avevo alcuna dedizione alla presenza di Dio. Nessun tempo mi appariva così lungo come quello che la regola ci obbliga a passare nell’orazione; è per questo che, quando trovavo qualche pretesto per dispensarmene, l’afferravo con passione, senza prendermi la pena di riprenderla. Mi dedicavo alla lettura di tutte le specie di libri, ma non era per un desiderio di progredire, ma solo per potere apparire ragazza di spirito e di buona conversazione, e rendermi capace di superare gli altri in ogni sorta di compagnia17. Ella non cerca di divertirsi; niente la distrae da se stessa né l’interessa veramente; le sue letture non l’avvincono né le sue conversazioni. Nessun moto affettivo, se non quello della giovane ragazza che sognava di mettersi in mostra, e della religiosa che vuole apparire… in ogni sorta di compagnia. Non stupisce che più tardi confessi a più riprese, ma come se fosse solo un effetto della «possessione», una durezza di cuore inconcepibile: è il contrario delle sue tenerezze verso [se] stessa.

«Le piccole destrezze» Il 31 agosto 1625, Monsignor de La Rocheposay, vescovo di Poitiers, autorizza la creazione di un nuovo convento di orsoline a Loudun. Le fondatrici vi si installeranno solo il 22 luglio 1627.

17

Suor Jeanne des Anges, Autobiographie, éd. G. Legué et Gilles de la Tourette, cit., pp. 55-56.

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Nel frattempo, Jeanne chiede con grande insistenza di far parte del gruppo:

Mi fu fatta qualche difficoltà. Non mi arresi a nessuna. Al contrario, usavo ogni sorta d’invenzioni per venire a capo del mio disegno. Vi riuscii e fui del numero di quelle che vennero a fare l’insediamento. Mi persuasi che, cambiando dimora, avrei potuto cambiare me stessa più facilmente in una piccola casa, con poche persone, che in una grande, in cui trovavo le mie pause. Ma, ahimè! m’ingannavo davvero, poiché, anziché lavorare alla mortificazione delle mie passioni e alla pratica delle mie regole, mi dedicavo a riconoscere le indoli delle persone del paese, ad avere delle frequentazioni con parecchie… Ebbi cura di rendermi necessaria presso le mie superiori e, siccome noi religiose eravamo poche, la superiore fu obbligata a destinarmi a tutte le funzioni della comunità. Non è che non potesse ben fare a meno di me, avendo altre religiose più capaci e migliori di me, ma perché io la ingannavo con mille piccole destrezze di spirito… Seppi così bene adattarmi alla sua indole e conquistarla, che ella non trovava niente di ben fatto se non ciò che facevo io. Mi credeva persino buona e virtuosa. Questo mi gonfiò talmente il cuore che non facevo fatica a fare molte azioni che apparivano degne di stima. Sapevo dissimulare; usavo ipocrisia, perché la mia superiore conservasse i buoni sentimenti che aveva di me, e fosse favorevole alle mie inclinazioni e volontà…18 In questa confessione di colpe di per sé troppo comuni, Jeanne des Anges fa un ritratto completo di sé. Il suo lavoro tesse la tela di ragno in cui lei stessa rimane impigliata. Dopo queste piccole destrezze di spirito, continuerà a far finta, a fare abilmente ciò che può per evitare il suo direttore, a dissimulare, etc., offrendo questa maschera mobile che la difende e le permette di non scoprire lo stato della sua coscienza. Piccole destrezze, lei dice: l’aggettivo punteggia tutta l’Autobiografia; esso scagiona a metà la penitente, 18

Ivi, pp. 57-59.

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ma il gesto d’umiltà che esso accenna tradisce, in questa donna di una piccola statura, ciò che sono in realtà i suoi sogni di grandezza e i suoi sentimenti: piccolo piacere, piccola disperazione, piccole apprensioni, piccoli cambiamenti, piccole invenzioni, etc. La parola che minimizza l’affermazione è già una fuga quanto l’ammiccamento di qualcuno che non è mai veramente qui. Anche l’applicazione a riconoscere le indoli delle persone del paese non cesserà di fissarsi su altri oggetti: dopo la superiora e, un tempo, l’abatessa di Saintes, sarà la volta del suo esorcista, padre Surin: Presi la risoluzione di studiare l’indole di colui al quale sarò data. Quanti visitatori e, fatto più temibile, quante donne saranno in tal modo studiate da questo sguardo docile che cerca di piacere e previene la loro attesa!

Cambiare Si tratta di malafede o di doppiezza? Non è così semplice. Jeanne avrà sempre il più sincero, quasi patetico desiderio di cambiarsi cambiando di dimora. Più tardi, cambierà personaggi; sarà la nuova Teresa d’Avila dopo esser stata la nuova Madeleine de Demandolox: la «mistica» dopo esser stata la «posseduta»; lascerà una maschera per un’altra. Beneficiaria del ruolo che le circostanze le ispirano e che non l’inganna per nulla, fragile e come spinta a difendersi con questi piccoli mezzi e queste piccole destrezze di spirito, tuttavia mai identica ai suoi personaggi, anche quando le assicurano una rivincita o un trionfo su un entourage più forte, ella aspira a divenire vera, ma immagina la conversione sotto la forma di un altro luogo o un altro episodio che sostituisce il precedente: e questo sarà ancora un viso estraneo a lei stessa, plasmato per gli altri e da questi a loro volta. Dopo la sua conversione nel giugno 1635, le sue visioni e il suo voto del più perfetto o della più grande gloria di Dio (1636), approvato da padre Jacquinot, provinciale d’Aquitania, la mettono nella situazione di un’altra Teresa d’Avila. Ha i segni, i successi e 369 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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la reputazione di una grande taumaturga: i nomi di Iesus, Maria, Ioseph, F.D. Salles sono misteriosamente tracciati sulla sua mano sinistra (1635-1637); apparendole, san Giuseppe l’avrebbe miracolosamente guarita nel febbraio 1637 e nel dicembre 1639; nel 1638 fa un giro trionfale attraverso la Francia; esercita il superiorato per quasi tutta la sua vita, indefinitamente rieletta a Loudun (tranne per il triennio 1657-1660) e richiesta da altri conventi; ella afferma di comunicare con il suo angelo e, dalla Bretagna, da Parigi, da Guyenne o d’Anjou, si fa appello alle sue direttive spirituali e agli oracoli del santo angelo; le sue rivelazioni sono ricopiate, diffuse e rapidamente stampate.

Quante finezze Quando Surin la tratta come la sola persona con cui sente la fiducia di dire… il fondo del [suo] pensiero, quando, vecchio e cadente, si compiace di avere così ancora il mezzo di condividere il boccone che Dio [gli] dona, e che con lei non fa quasi alcuna ri-

serva nel dire i [suoi] sentimenti e alcune intenzioni e opere o buone disposizioni di grazia, forse una tale fiducia è spiegabile nell’apostolo che ha pagato con la sua salute e il suo onore la salvezza di una povera ragazza affidata alle sue cure. Del resto l’errore è in lui inseparabile dalla sua affezione per lei. Queste comunicazioni non affievoliscono tuttavia l’intransigente lucidità che un giorno gli fa scrivere alla sua confidente:

Vi prego di mettere il fondamento della vera vita spirituale nella sincerità del cuore. Sento dire tante cose di voi, e che nel vostro agire ci sono tante sottigliezze e finezze che è arduo trovare in voi uno spirito di verità, tante le contraddizioni nelle rivelazioni e comunicazioni sovrannaturali che si fa fatica a fondarvi un buon giudizio e consolidarsi in qualche cosa buona 19. 19

J.-J. Surin, Correspondance, p. 1205.

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Le figure dell’altro



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La possessione non dispone di una spiegazione storica «veritiera», poiché non è mai possibile sapere chi è posseduto e da chi. Il problema deriva precisamente dal fatto che c’è della possessione, diremmo oggi dell’«alienazione», e che lo sforzo per liberarsene consiste nel riportarla, rimuoverla o spostarla altrove: da una collettività a un individuo, dal diavolo alla ragione di Stato, dal demoniaco alla devozione. Il processo di questo lavoro necessario non è mai chiuso. Lo storico stesso si farebbe delle illusioni se credesse di essersi sbarazzato di questa estraneità interna alla storia incasellandola da qualche parte, fuori di lui, lontano da noi, in un passato chiuso con la fine delle «aberrazioni» di una volta, come se con quella di Loudun la «possessione» fosse terminata. Certo, anch’egli ha ricevuto dalla società un compito da esorcista. Gli si chiede di eliminare il pericolo dell’altro. Fa parte di quelle società (tra cui la nostra) che Lévi-Strauss caratterizza con l’anthropoémia (da émein: vomitare), opponendole alle società antropofaghe: le seconde, egli dice, vedono nell’assorbimento di

certi individui dotati di forze pericolose, il solo modo per neutralizzare queste e anche di metterle a profitto. Al contrario, le nostre società hanno scelto la soluzione opposta, che consiste nell’espellere questi esseri pericolosi dal corpo sociale, tenendoli temporaneamente o definitivamente isolati… in istituti destinati a questo

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uso1. La storiografia può essere annoverata tra questi «istituti», nella misura in cui ciò che si sarebbe preteso da essa è provare che questa alterità minacciosa, che spunta a Loudun, è solo una leggenda o un passato, una realtà eliminata. Nella sua forma storica, questo è vero: il tempo delle possessioni è morto. Da questo punto di vista, l’esorcismo storiografico è efficace. Ma i meccanismi che a Loudun hanno attivato l’incertezza dei criteri epistemologici e sociali – e la necessità di stabilirne – si ritrovano oggi di fronte a altri «stregoni», la cui esclusione fornisce ancora a un gruppo il mezzo di definirsi e confermarsi. Nel XVII secolo, il fenomeno si constata sotto mille forme, senza dubbio meno visibili che nel «teatro» di Loudun, ma tanto più efficaci. Non appena il veleno dell’altro non si presenta più direttamente in un linguaggio religioso, la terapeutica e la repressione sociali prendono solamente altre forme. Legata a un momento, ossia al passaggio da criteri religiosi a criteri politici, da un’antropologia cosmologica e celeste a un’organizzazione scientifica degli oggetti naturali ordinati dallo sguardo dell’uomo, anche sull’estraneità della storia, sui riflessi scatenati dalle sue alterazioni, e sulla questione che si pone a partire dal momento in cui queste insorgono – differenti dalle diavolerie di un tempo ma non meno inquietanti di esse – la possessione di Loudun apre le nuove figure sociali dell’altro.

1

C. Lévi-Strauss, Tristes Tropiques, Plon, Paris 1955, p. 418, trad. it. di B. Garufi, Tristi Tropici, Il Saggiatore, Milano 1960, p. 376, traduzione leggermente modificata per esigenze di uniformità con il testo.

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INTRODUZIONE FREUDIANA

Nei dipinti in cui il bavarese Christoph Haitzmann (Vienna, inverno 1677-1678) rappresenta i suoi fantasmi, il padre morto si trasforma in diavolo con mammelle, detentore della legge scritta che si sostituisce a quella del padre.

Freud analizza questo caso in Una nevrosi demoniaca nel secolo decimosettimo: l’ambivalenza Diavolo-Dio; un patto che sostituisce al padre che manca un padre diabolico; combinazione tra la sottomissione a una legge nuova e il beneficio che ne trae il nevrotico (Codice della Österreiche National Bibliotek)

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VISIONI

(Frontespizio del Livre des spectres, di Pierre Le Loyer, 1586 / B.N.)

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Le visioni orride s’iscrivono nel paesaggio come nella letteratura dotta. L’immaginario fa parte della storia. Come l’architettura di Callot, la scrittura è abitata dall’instabile visione che è spirito nello spettatore e oggetto davanti a lui: pericolosa ambiguità tra ciò che il soggetto produce e ciò che egli percepisce del mondo. (Tentation de Saint Antoine, di Jacques Callot, Bourges/Bulloz.)

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I diavoli e gli angeli s’introducono nel mondo umano quando si sgretola la cosmologia che li poneva in una gerarchia celeste. In maniera reciproca, l’uomo diviene angelo o diavolo. Le frontiere si confondono. (Fontespizio di Saducismus Triumphatus di John Glanville, 1691 / B.N.)

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(Sopra e sotto: Episodi della vita di Sant’Ignazio, incisioni di Galle e Collaert. Roma, 1609 / B.N.)

Ignazio di Loyola è di volta in volta il servo e il signore del demonio. Ma il diavolo è uomo quando, di notte, domina e bestia quando, di giorno, è scacciato dall’esorcismo. Una figura del potere si delinea: l’uomo.

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LESSICI

La mano, questo oggetto le cui pose costituiscono un vocabolario (John Bulwer, Chirologia, 1644 / B.N.)

Le cose sono parole. La litania del nome di Gesù diviene un dizionario del visibile. La dispersione delle metafore sullo spazio di un quadro tradisce l’assenza di «figura» religiosa (Wyerx, Allégorie des divers noms de Jésus. / B.N.)

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Tra la menzogna e la verità, tra l’è e il non è, il combattimento diviene ossessivo e barocco: lotta senza fine intorno a una tomba aperta o a un impero frantumato. «Ognuno crede di aver ragione, senza vedere che ognuno zoppica», dice la legenda. (Incisioni di Manderer / B.N.)

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LEGENDE DEL CORPO

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Il corpo microcosmo di un tempo è collocato all’incrocio di gerarchie naturali e sovrannaturali: corpo-re, figlio del mondo (Robert Fludd, De supernaturali, naturali, praeternaturali et contranaturali Microcosmi historia, Oppenheim, 1619. Incisione di Théodore de Bry / B.N. / Snark International)

Il corpo della spiritualità: una pluralità di teste e di cuori in una relazione enigmatica. Se la lingua è la manifestazione dei movimenti interiori, la testa è inganno rispetto alle teste, celeste, umana o bestiale, che non si vede. La lingua dice il segreto di visi multipli e nascosti (Incisione di Anton Wierx / B.N.)

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Il corpo celebrale della medicina: il cervello è il nuovo cosmo. Terra e cielo si articolano nel cranio, spazio e oggetto del sapere (Fludd, Utriusque cosmi maiores salicet et minoris metaphysica…, 1617 / B.N.)

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USCITA DEL DIAVOLO DE LA ROCHELLE

Le guerre di religione fanno dell’avversario il diavolo. Ripetendo la prima «uscita» del re spodestato de La Rochelle, il teatro di Loudun presenterà una serie di «uscite» analoghe (B.N.)

Contro il dragone, un nuovo Dio: il re della gloria al tempo stesso il San Giorgio di ieri e il sole della Ragion di Stato per il domani (Allégorie sur Louis XIII, 1617 / B.N.)

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LA MANO E IL PATTO

Jeanne des Anges nell’iconografia popolare: la donna posseduta, di volta in volta grotta del diavolo e tabernacolo di Dio; la donna-oggetto, con questa lunga mano sacra che ella offre al culto (B.N.)

Il diavolo si mette a scrivere (maggio 1634): Asmodeo promette di «uscire» dal corpo di Jeanne. Ciò gli varrà di entrare alla Bibliothèque Royale (B.N.)

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Urbain Grandier, al tempo dei suoi successi (B.N.)

Jeanne des Anges, divenuta la più consultata delle priore (Loudun)

I giudici di Loudun (B.N.)

Uno dei libelli venduti a Pont-Neuf (B.N.)

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Monsignor de La Rocheposay, ancora giovane vescovo di Poitiers (1615). Il tempo lo appesantirà (B.N.)

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Surin al termine delle sue avventure (B.N.)

Loudun, un concorso di campanili in mezzo ai campi (B.N.)

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Pourtraict représentant au vif l’execution faicte à Loudun en la personne de Urbain Grandier… [Ritratto rappresentante dal vivo l’esecuzione fatta a Loudun nella persona di Urbain Grandier], René Allain, Poitiers 1634 (B.N.)

Effigie della condanna a morte ed esecuzione di Urbain Grandier…, Jean de la Noüe, Paris 1634 (B.N.)

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A Poitiers, all’angolo della strada della cattedrale e della strada du Coq, Grandier così come egli passa, trascinato verso la leggenda, scolpito dalla posterità, eroso dal tempo (Foto Necer)

La torre di Loudun (Foto Jean-Robert Masson)

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PRESENZE DELLA FOLLIA

Madre Jeanne des Anges, film di Kawalerowicz, 1960 (Snark, coll. Sirodeau)

I diavoli di Loudun, opera di Penderecki, Amburgo 1969 (Foto Fritz Peyer)

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Fonti e Bibliografia



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La letteratura dedicata a Loudun è tanto enorme quanto diseguale. Ancor più lo sono le fonti. Non si poteva pensare di presentarle qui, tanto più che, in questo libro, si è dovuto accorciare, a volte solo evocare o semplicemente del tutto omettere molti dossier importanti: era impossibile imporre ai lettori sia la massa di informazioni raccolte nel corso di viaggi infernali negli Archivi, sia l’analisi delle trasformazioni della possessione attraverso la sua bibliografia. È dunque sufficiente rinviare da una parte agli studi che offrono un buon orientamento nelle fonti o nella bibliografia e, dall’altra, a qualche libro base sul soggetto. Le note della presente opera forniscono già alcuni complementi. Le fonti e la bibliografia Charles Barbier, «Inventaire des pièces manuscrites relatives au procès d’U. Grandier, conservées à la Bibliothèque de Poitiers», in Bulletin de la Société des Antiquaires de l’Ouest, Poitiers, 3e trim. 1877, pp. 153-154. L. Michel, «Les possédées de Loudun», ms., Archives S.J. de Toulouse (22, rue des Fleurs), un notevole spoglio dei documenti, sebbene molto apologetico. E. Jouin e V. Descreux, Bibliographie occultiste et maçonnique.

Répertoire d’ouvrages imprimés et mss relatifs à la Francmaçonnerie, la Magie (…) jusqu’en 1717, Paris 1930.

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J. Texier, Le procès d’Urbain Grandier, tesi dattiloscritta, Facoltà di diritto di Poitiers, 1953. R. H. Robbins, Encyclopedia of Witchcraft and Demonology, New York 1959, pp. 558-571. H. C. Erik Midelfort, «Recent Witch-Hunting Research», in Papers of the Bibliographical Society of America, t. 62, 1968.

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Michel de Certeau, in Jean-Joseph Surin, Correspondance, Desclée De Brouwer, Paris 1966, pp. 91-99, etc. Robert Mandrou, Magistrats et sorciers en France au XVIIe siècle, Plon, Paris 1968, pp. 18-59 (trad. it. di G. Ferrara,

Magistrati e streghe nella Francia del Seicento: un’analisi di psicologia storica, Laterza, Bari 1971); vedi Michel de Certeau, La magistrature devant la sorcellerie au XVIIe siècle, in id., L’absent de l’histoire, s.l., 1973, pp. 13-39. Infine, sul destino letterario di questo soggetto, va segnalata la «Bibliographie succinte de l’affaire U. Grandier», presentata da J. Pré e un anonimo, in La Gazette du Loudunais, Loudun, numeri 48, 49 e 50, ottobre-dicembre 1969. Alcune opere Oltre ad alcuni lavori essenziali sulla stregoneria, dovuti a Francis Bavoux, Christian Pfister, P. Villette, e soprattutto Étienne Delcambre, bisogna menzionare almeno i seguenti titoli. Jules Michelet, La Sorcière, Paris 1862, pp. 269-291; riedito, Garnier-Flammarion, Paris 1966, pp. 195-207 (trad. it. di P. Cusumano e M. Parizzi, La strega, Rizzoli, Milano 2011, pp. 233-247), un libro geniale che bisogna ancora leggere.

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Gabriel Legué (con il quale l’affaire di Loudun entra davvero nella storia, sebbene in una prospettiva assai polemica), Ur-

bain Grandier et les possédées de Loudun. Documents inédits de M. Charles Barbier, Paris 1880; seconda edizione aumentata 1884. I suoi Documents pour servir à l’histoire médicale des possédées de Loudun, Paris 1874,

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forniscono un insieme di testi rari, la cui edizione però non è sicura. Gabriel Legué e Gilles de la Tourette, Sœur Jeanne des Anges (…) Autobiographie d’une hystérique possédée, Paris 1886 (l’edizione italiana Autobiografia: il punto di vista dell’indemoniata, curata da Mino Bergamo, Marsilio, Venezia 1986, è stata condotta sulla base del manoscritto originale della Biblioteca municipale di Tours). Aldous Huxley, The Devils of Loudun, London 1952 (trad. it. di L. Sautto, I diavoli di Loudun, Mondadori, Milano 1971): con un materiale storico molto deficitario, delle vedute molto penetranti. J. Texier, op. cit., 1953. Michel Foucault, Folie et déraison. Histoire de la folie à l’âge classique, Plon, Paris 1961 (trad. it. di F. Ferrucci, La storia della follia, Rizzoli, Milano 1963), fondamentale per comprendere il problema epistemologico che è al centro dell’affaire Loudun. J. Viard, «Le procès d’Urbain Grandier. Note critique sur la procédure et sur la culpabilité», in J. Imbert, Quelques procès criminels des XVIIe et XVIIIe siècles, Paris 1964, pp. 45-75. Jean-Joseph Surin, Correspondance, éd. cit., 1966, pp. 241-430. Robert Mandrou, op. cit., 1968, pp. 197-368: è il libro base per l’insieme del soggetto.

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E. W. Monter, European Witchcraft, New York 1969, eccellente presentazione di testi importanti. Sull’interpretazione psicoanalitica, vedi

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Sigmund Freud, Una nevrosi demoniaca nel secolo decimosettimo, in id., Opere, a c. di C. L. Musatti, vol. 9 (L’Io e l’Es e altri scritti: 1917-1923), Bollati Boringhieri, Torino 2000; Michel de Certeau, Ce que Freud fait de l’histoire, in id. L’Écriture de l’histoire, Gallimard, Folio Histoire, Paris 2002, pp. 339364 (ed. it. a c. di S. Facioni, La scrittura della storia, Jaca Book, Milano 2006: Quello che Freud fa della storia, pp. 297-318). Sul problema dell’enunciazione, cfr. ivi, Le langage altéré. La parole de la possédée, pp. 284-315 (Il linguaggio alterato. La parola della posseduta, pp. 253-278).

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Collana Hi-storytelling

Davide Messina, I piedi di Pinocchio, le scarpe di Derrida.

Trasgressione e restituzione del genere

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2007 Barnaba Maj, Franz Kafka. Davanti alla legge Traduzione con testo a fronte e commento 2008 Henri-Irenée Marrou, L’ambivalenza del tempo della storia

in Sant’Agostino A cura di Monica Fiorini 2009 Reinhart Koselleck, Storia. La formazione del concetto moderno A cura di Rossana Lista 2009 Barnaba Maj, Rossellini e l’impresa dei Mille 2009 Lisa Regazzoni, Selezione e Catalogo. La costruzione narrativa

del passato in Omero, Dante e Primo Levi Traduzione a cura di Loretta Monti 2010 Paul Ricoeur, Filosofie critiche della storia A cura di Luca M. Possati 2010

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Il Gattopardo nel flusso del tempo:

il romanzo di Tomasi, il film di Visconti A cura di Barnaba Maj 2010 Alessandro Manzoni, Lettera al Signor Chauvet sull’unità di

tempo e di luogo nella tragedia

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A cura di Barnaba Maj 2011

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