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Italian Pages 466 Year 2013
LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
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STUDI E TESTI ———————————— 480 ————————————
Angelo Michele Piemontese
LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
C I T T À D E L VAT I C A N O B i b l i o t e c a A p o s t o l i c a V at i c a n a 2014
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La collana “Studi e testi” è curata dalla Commissione per l’editoria della Biblioteca Apostolica Vaticana: Marco Buonocore (Segretario) Eleonora Giampiccolo Timothy Janz Antonio Manfredi Claudia Montuschi Cesare Pasini Ambrogio M. Piazzoni (Presidente) Delio V. Proverbio Adalbert Roth Paolo Vian
Descrizione bibliografica in www.vaticanlibrary.va Fotografie e © copyright: Città del Vaticano, Musei Vaticani (fig. 1, 3, 4, 16, 19, 20, 21a, 21b, 25, 32a, 32b, 32c, 37, 38a, 38b); Roma, Archivio Fotografico Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma (fig. 9, 10, 13a, 13b, 15, 17a, 17b, 27, 28, 33, ); Roma, ICCD, fondo fotografico GFN, serie E 53693, 53697 (fig. 36); Roma, Pinacoteca Capitolina, Archivio Fotografico dei Musei Capitolini, inv. PC 260 (fig. 30); Roma, Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica - foto G. Ricci Novara, Parigi (fig. 23); Roma, Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica – Fondo Editoriale Lavoro – foto G. Schiavinotto (fig. 40a, 40b); Roma, Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma (fig. 2a, 2b)
Stampato con il contributo dell’associazione American Friends of the Vatican Library
—————— Proprietà letteraria riservata © Biblioteca Apostolica Vaticana, 2014 ISBN 978-88-210-0910-5
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A Luisa, Giovanni Marco ed Eleonora Maria Piemontese «Roma che di Persia è adorna Allieta chi in Urbe soggiorna»
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SOMMARIO I. I SEGNI PERSICI IN ROMA ANTICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 0. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1. Il cimelio alessandrino e l’arco trionfale parthico .. . . . . . . . . . . . . . . . 10 2. L’antro mithraico, la rete manichea e la svolta cristiana . . . . . . . . . . . 28 3. I Tre Magi offerenti e la città del giglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 II. LA MEMORIA STORICA ROMANA DEI SANTI PERSIANI . . . . . . . . . 57 1. Abdon e Sennen su Monteverde e presso il Campidoglio . . . . . . . . . . . 57 2. Marius, Martha, Audifax e Abachum nello spazio urbano . . . . . . . . . . 77 3. Anastasius Persa ad Aquas Salvias e a Fontana di Trevi . . . . . . . . . . . . 102 4. Honofrius su Gianicolo e Monte Mario .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 III. IL REGNO ANTICO EVOCATO NEL PAESAGGIO URBANO . . . . . . . 141 1. Una rassegna rinascimentale di protagonisti storici . . . . . . . . . . . . . . . 141 2. La Sibilla Persica preminente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144 3. Zoroastro in Vaticano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 4. Ciro tra Daniele, la Media e altre imprese .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170 5. Esther sposa di Assuero e regina imperante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 206 6. La conquista di Alessandro Macedone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 224 7. Il battesimo del re arsacide e avventure parthiche . . . . . . . . . . . . . . . . 246 8. La riconquista della croce e vicende sasanidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 266 9. Il legame diplomatico con il paese amico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 285 10. Prospetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 321 BIBLIOGRAFIA .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 325 TAVOLE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 379 INDICE DELLE FONTI MANOSCRITTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 427 INDICE DEI NOMI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 428 INDICE TOPONOMASTICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 460
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I SEGNI PERSICI IN ROMA ANTICA 0. Premessa Et quae tanta fuit Romam tibi / causa videndi? «E quale motivo tanto forte ti spinse a vedere Roma?»1. Per ritrovare una risposta consona a questa bella domanda posta da Virgilio, intrapresi un nuovo percorso nel molteplice paesaggio che rende inesauribile l’Urbe. La ricognizione di una sua memoria storica di referenza persica, tanto negletta quanto considerevole, mi porse lungo il cammino una chiave per la risposta: Roma ama la virtù del memorandum perenne. Preso questo motto come filo di guida in siti, palazzi, chiese, archivi e biblioteche, mirai a rintracciare ciò che nel corso dei secoli Roma ricorda, ospita, nota e illustra circa la Persia antica e moderna, riguardandone molte vicende, persone, storie e leggende. Tale Persia istoriata rifulge nel paesaggio urbano antico e moderno, monumentale, artistico, letterario, drammaturgico e musicale. Roma dispiega il tema persico in uno scenario sorprendente per forme, dimensione e incidenza, costituite da vari fattori culturali e storici, tra cui l’andamento tipico delle relazioni bilaterali, ostili in epoca antica ma amichevoli dal XIII secolo. La via dei reperti traversa zone archeologiche, musei, gallerie, e prosegue verso i cimeli dislocati in collezioni estere. Le vestigia urbane conformano una lastra stellare sul raccordo angolare massimo, denominabile corso imperiale-piazza pontificia. Si è quindi percorsa la strada maestra: il viale dei pubblici monumenti, che conduce anche a chiese, palazzi, teatri, archivi e biblioteche. Ho inteso delineare un storia di genere tematico che si basa su fonti documentali, classiche, letterarie e figurative, riscontrate con la ricerca archivistica e bibliografica, inoltre la ricognizione personale nei siti di accesso pubblico. Si considera la diffusione dei singoli cicli tematici attinenti all’argomento siccome risultano attestati da documenti storici e manifestazioni epigrafiche, monumentali ed artistiche, in particolare pittura, drammaturgia e opere profane e sacre per musica. 1 Verg.
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la persia istoriata in roma
Si cerca d’interpretare i soggetti e i personaggi rappresentati nelle opere figurative alla luce dei dati documentali e pertinenti aspetti tematici. Si indicano via via i luoghi bibliografici dove le opere d’arte, inclusi i reperti archeologici e museali, si trovano riprodotti in forma di tavole e figure. Il soggetto trattato comporterebbe un apparato ingente come complemento iconografico. Per motivi economici e tecnici non è stato possibile allestire centinaia di riproduzioni illustrative. Si allegano alcune illustrazioni esemplificative. In compenso, Roma offre sempre la bella immagine di se stessa, basta vederla visitando la città. Roma quanta est ipsa imago docet. Ringrazio di cuore la Biblioteca Vaticana per avere accolto nella collana “Studi e Testi” la pubblicazione di questo libro, inoltre esprimo i ringraziamenti a tutti i curatori vaticani della sua veste tipografica, in particolare al dott. Sever J. Voicu, per i suoi suggerimenti, e alla dott.ssa Tiziana Pozzessere, per la messa a punto del corredo fotografico. 1. Il cimelio alessandrino e l’arco trionfale parthico Vista da Roma, la Persia era vicina, siccome a settentrione la mappa puntava sul Mar Caspio: Sexta comprehensio, qua continetur urbs Roma, amplectitur Caspias gentes. «Il sesto parallelo, che comprende la città di Roma, abbraccia le popolazioni Caspie»2. L’impero romano, esteso tra la costellazione europea e la fascia nordafricana, raggiunse l’area asiatica, sul cui fronte si era affermato Alessandro Macedone, il conquistatore dell’impero di Persia, resa grande dai re Achemenidi. Ma, ricostituita in seguito la potenza militare, sovente estesa in Armenia e Mesopotamia, la Persia permaneva il cardine decisivo sul fronte vicino-asiatico, segnando il limes geopolitico nel confronto strategico tra Europa e Asia. Qui l’espansione romana incontrava un duro ostacolo. La Persia, governata dai re Parthi Arsacidi e poi dai Sasanidi, fu la nemica strenua dell’impero di Roma e di Costantinopoli (I secolo a.C.-VII d.C.). Pertanto questa plurisecolare antagonista rimase indelebile nella memoria storica di Roma. La spedizione macedone contro la Persia determinava una certa idea di questo regno. Roma inviò un’ambasciata ad Alessandro re di Macedonia, che invadeva l’Asia (334 a.C.) per attaccare l’esercito di Dario III Codomanus, ultimo re achemenide di Persia (336-330 a.C.), che allora fu il rivale perdente sullo scacchiere eurasiatico. Roma invia un’altra ambasciata ad Alessandro, quando egli ritorna trionfante a Babilonia e riceve l’ossequio 2 Plin.
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degli ambasciatori dei paesi dell’ecumene (323 a.C.). La morte improvvisa del giovane Alessandro, avvenuta in quello stesso anno, era un evento cruciale. Fu considerato come un trapasso epocale verso la successiva ascesa della potenza di Roma, quale erede europea nella conquista dell’ecumene3. Sinossi geopolitica di Niccolò Machiavelli riguardante la storia del dominio, «il mondo»: «Solo vi era questa differenza, che dove quello aveva prima allogata la sua virtù in Assiria, la collocò in Media, dipoi in Persia, tanto che ne venne in Italia, ed a Roma» (Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, II, prefazione). La critica moderna ritiene poco attendibili se non false le notizie riguardanti tali due ambasciate romane, che sono riferite da alcuni storiografi antichi. Tuttavia una iniziativa diplomatica romana di fronte al moto conquistatore di Alessandro sembra plausibile nel quadro dei rapporti internazionali. Roma repubblicana coeva doveva avere tra i suoi orizzonti una cognizione geopolitica della Persia. La figura di Alessandro Macedone fu evocata in Miles Gloriosus e Mostellaria da Plauto, che mise in scena la commedia Persa «Il Persiano» (c. 196/186 a.C.). Questo personaggio era Sagaristio, servus travestito da lenone persico in Atene per l’affare riguardante la vendita di Lucris, una falsa schiava araba, la vergine figlia di Saturio parassita, al tempo in cui «Chrysopolim Persae cepere urbem in Arabia / plenam bonarum rerum atque antiquom oppidum». La farsa plautina ha un culmine quando Dordalus parassita osserva perplesso il Persa: «nomen multimodis scriptumst tuom», e Sagaristio ribatte: «Ita sunt Persarum mores, longa nomina / contorplicata habemus». E ne sciorina otto in sequela esilarante: «Vaniloquidorus Virginesvendonides / Nugiepiloquides Argentumexterebronides / Tedigniloquides Nuncaesexpalponides / Quodsemelarripides Numquameripides». Questa battuta pare una parodia italica della drastica asserzione greca in sapere linguistico: «i nomi dei Persiani corrispondono alla loro fisionomia e imponenza, e terminano tutti con la stessa lettera che i Dori chiamano “san” e gli Ioni “sigma”» (Erodoto 1, 139; ma erano i greci soliti aggiungere la loro «esse» in coda dei nomi persiani). In risposta alla sequela nominale esposta da Sagaristio, Dordalus si augurava dagli dèi la perdizione dei personaggi malfattori e dei Persiani tutti: «qui illum Persam atque omnes Persas atque etiam omnis personas / male di omnes perdant»4. Tito Quinzio Flaminio, vincitore dell’esercito di Filippo II re di Macedonia a Cinoscefale (197 a.C.), rappresenta una propaganda romana che era incentrata sulla figura di Alessandro quale conciliatore di libertas e 3 Plin.
nat. 3, 57; Arr. anab. 7, 15, 4-5; Plut. mor. 326 b. 1982: 86-91, 93-127, 333, 388-390.
4 Woytek
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imperium. Degno del suo valore veniva indicato il conquistatore Scipione Africano (189 a.C.). Il confronto propagandistico e il richiamo storico alle gesta passate emergevano come dati inevitabili mentre si aveva l’espansione romana verso territori orientali. Antioco I Seleucide si fregiava dei titoli «re del mondo, re di Babilonia, re di tutti i paesi», alla maniera monarchica persiana antica e quale erede alessandrino per giurisdizione territoriale. Si ripresentava allora la questione concernente il dominio ecumenico. Per esprimere il diritto al dominio su tutte le città, il Romanum imperium riproponeva il tema delle Guerre Mediche, che era esaltato (V secolo a.C.) da improvvise vittorie greche sul potente nemico persiano5. Si conserva la memoria di un Bellum Persicum, la guerra romana contro Perseus re di Macedonia cominciata nel 171 a.C. Iscrizione: (anno 172 a.C.) consoli C. Popillius Laenas e C. Cassius Longinus, ambo primi de plebe, «BELLVM PERSICVM»; (anno 171 a.C.) consoli P. Licinius Crassus e C. Cassius Longinus. I Fasti Consolari antichi, eretti da Augusto nel Foro Romano e conservati in Campidoglio, recano tale iscrizione6. Tre decenni dopo cominciava per frutto di spoliazioni l’inserimento di una iconografia alessandrina tra i monumenti dell’Urbe. Alessandro aveva disposto di situare nel santuario di Zeus Olympos in Dion (Macedonia), sede rituale dell’adunata militare macedone, un monumento equestre che celebrava la turma Alexandri: la prima schiera dei cavalieri macedoni caduti nella battaglia contro l’esercito persiano presso il fiume Granicus (334 a.C.). Alessandro stesso figurava nel monumento, che lo scultore Lisippo eseguì per sua committenza. Divenuta la Macedonia provincia dell’impero romano, Q. Caecilius Metellus Macedonicus trasferisce (146 a.C.) il cimelio statuario di Dion davanti ai templi di Giove e Giunone nel Portico da lui eretto in Campo Marzio meridionale. Augusto restaurò il sito, rinominato Portico di Ottavia, sua sorella. Il gruppo statuario alessandrino si vedeva esposto nel Portico ancora nel VI secolo, come attesta una epigrafe7. Si ritiene reperto residuale dell’antico monumento I Cavalieri del Granicus un cavallo di bronzo trovato nel vicolo dell’Atleta a Trastevere (1849) e situato nel Museo Nuovo dei Conservatori. Le cornici marmoree situate nel Foro di Augusto, aula del Colosso, erano probabilmente adibite a reggere tavole di Apelle celebrative di Alessandro. La tabula Iliaca, già nella Collezione Chigi a Roma, una lastra marmorea d’intento didattico greco, 5 Mastrocinque
1983: 103-104, 122-125, 158-159. Palazzo dei Conservatori, sala dei Fasti Capitolini, epigrafe frammentaria murata sulla parete: Degrassi 1947: 50, fig. 7 (disegno), 51 (trascrizione), tav. XXXV (foto); Feeney 2007: 172-175, fig. 6-8. 7 Plin. nat. 34, 31, 64; Vell. 1, 11, 2-4; Moreno 1981. 6 Roma,
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reca il cosiddetto «Clipeo con inseguimento di Dario da parte di Alessandro verso Arbela»: un tondo retto da Europa e Asia personificate, dove lo scudo a rilievo rappresenta la fuga del re persiano8. In realtà Alessandro correva con la sua cavalleria ma in Arbela non agguantò Dario, che era fuggito (ottobre 331 a.C.) con la cavalleria bactriana tra le montagne di Ecbatana. Il quadro «Alexandri proelium cum Dario», che il pittore Filosseno di Eretria aveva figurato su committenza di Cassandro re di Macedonia (305-298 a.C.), fu trasportato a Roma. Il dipinto rappresentava appunto La battaglia di Alessandro contro Dario, la quale viene considerata classica per antonomasia, ossia il combattimento emblematico tra Europa e Asia9. Il celebre mosaico di Pompei, trovato nella Casa del Fauno e conservato nel Museo Nazionale Archeologico di Napoli, rappresenta la vittoria di Alessandro ardito cavaliere contro Dario III, sgomento e incredulo sul suo grandioso carro, che l’auriga volge in fuga, forse nella battaglia di Issus (333 a.C.). Si ritiene che la scena figuri piuttosto la battaglia di Gaugamela (331 a.C.), sul modello di una tavola attribuita ad Apelle10. L’episodio concernente l’inseguimento del carro fu rappresentato con il fregio di Traiano che si trova inserito nel fornice centrale dell’Arco di Costantino11. La rievocazione romana delle imprese di Alessandro diventava una tendenza politica, detta imitatio Alexandri. Era l’emulazione delle sue gesta, quale guerriero invictus, gr. ἀνίκητος, che condottieri quali i triumviri Pompeo, Cesare e Crasso (59 a.C.), M. Antonio e poi numerosi imperatori perseguirono per l’intento o con l’augurio di conseguire proprie vittorie illustri in spedizioni asiatiche. Cicerone salutava imperatore Caelius Rufus che, in guerra contro i Parthi in Cilicia, era vittorioso a Issus, luogo della vittoria di Alessandro su Dario III: «Ita victoria iusta imperator appellatus apud Iussum, quo in loco»12. C. Giulio Cesare fece sostituire una scultura della propria testa a quella della statua equestre di Alessandro, opera di Lisippo. Cesare la eresse nel proprio Foro, di fronte al tempio di Dione13. Varie tavole dipinte da Apelle, il pittore amico di Alessandro e suo ritrattista ufficiale, furono trasferite a Roma come cimeli preziosi. Augusto dispose di esporre nella zona più frequentata del proprio Foro una tabula di Apelle che era pervenuta dall’Egitto (28 a.C.). Il dipinto rappresentava Bellum «la Guerra» personificata, con le mani legate dietro la schiena, e Alessandro trionfante sul carro. La tavola, recante nella stessa scena o in 8 Moreno
2004: 324-326, 412, fig. 460-462, 579. nat. 35, 110. 10 Moreno 2004: 264-298, 361, fig. 396, 398, 401, 404-412, 425, 427, 510. 11 Rizzo 1926; Moreno 2004: 328, fig. 466. 12 Cic. fam. 2, 103; Bastien 2007: 165-169. 13 Stat. silv. 1, 1, 84-90. 9 Plin.
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una contigua il Furor avvinto e sedente sopra le armi, era visibile a sinistra dell’entrata del Foro di Augusto. L’imperatore Claudio (41-54 d.C.) comandò di sostituire nel dipinto la testa di Alessandro con quella di Augusto, e così anche nella tavola che rappresentava Castor e Pollux con la Vittoria e Alessandro Magno, opera di Apelle14. Un’altra tavola dipinta, situata nel Foro di Augusto, è relativa al soggetto che ornava la prima delle quattro pareti cubiche del carro su cui il corpo di Alessandro fu traslato ad Alessandria per ordine di Tolemeo I re di Egitto. Tale tavola rappresentava un carro cesellato, su cui sedeva Alessandro, recante un enorme scettro in pugno. Intorno a lui era la guardia armata di Macedoni e un’altra di lancieri pomiferi Persiani, preceduti dai portatori delle armi di Alessandro15. Inoltre furono trasportate a Roma quattro statue bronzee che fungevano da cariatidi nella tenda di Alessandro. Due statue erano erette nel Foro di Augusto, davanti al tempio di Mars Ultor, e le altre due nel Foro Romano, davanti alla Regia. Una statua di Alessandro giovane, opera di Lisippo, era tanto ammirata da Nerone (54-68 d.C.) che egli ordinò d’indorarla16. Molti imperatori romani, ritenendosi continuatori delle conquiste di Alessandro, si compiaquero nel vedersi figurati con tratti a lui somiglianti. I ritratti di Alessandro furono copiati su ogni supporto materiale e in ogni forma, come statue, busti, monete, fino alla tarda antichità. Numerosi sono i reperti classificati come ritratti di Alessandro, giovane cavaliere, Zeus e Helios/Sol invincibile. Sono per lo più teste marmoree che adornano palazzi, musei cittadini e vaticani, inoltre europei. La critica storica e artistica discute la imitatio Alexandri, che è piuttosto una continuatio. Roma contemplava il modello del conquistatore macedone per un essenziale motivo strategico. Essa aveva ritrovato sul fronte asiatico la medesima nemica Persia, dove regnavano i Parthi Arsacidi, che avevano espulso i Seleucidi (c. 247 a. C), dinasti eredi di Alessandro in quel paese e Siria. Namque Persarum regna, quae nunc Parthorum intellegimus, inter duo maria Persicum et Hircanium Caucasi iugis attolluntur «I regni dei Persiani, che adesso intendiamo dei Parthi, si estendono tra i due mari Persico e Ircano fino alla catena del Caucaso»17. Il mare d’Hyrcania era altrimenti detto Caspio. Più che i Persiani, lancieri, cavalieri e arcieri superbi erano i Parthi, continuanti i Medi in qualche maniera. La saetta era la loro arma vincente, 14 Plin.
nat. 35, 27, 36, 93-94; Serv. Aen. 1, 294. Sic. 18, 26-27. 16 Plin. nat. 34, 48 e 63-64. 17 Plin. nat. 6, 41. 15 Diod.
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«pharetrasque pugnax Medus aut Parthi leves»: e le faretre, il Medo pugnace ovvero i Parthi lievi18. Il loro costume caratteristico erano «i pantaloni lunghi» gr. ἀναξυρίδες e una tunica cinturata e provvista di larghe maniche, la quale deriverebbe dalla sopravveste di moda meda (gr. κάνδυς)19. La specie di calzoni, che la critica d’arte occidentale usa chiamare anaxyrides, aveva invece il nome autoctono da cui derivano gr. σαράβαρα e lat. sarabara / sarabala, saraballum: neopers. šal «coscia», šalvâr «Inner breeches, drawers reaching the feet», «sailor’s or travellers’ trousers» > ar. sirwâl / sirbâl, plur. sarâbîl. Per lo scambio frequente delle due liquide l / r in neopers. si ha šalvâr / šarvâr. Per l’assimilazione di l / r e diverse alterazioni si ha kurdo šarvâl / šalvâl, ar. sarwâl, šarbâl20. I personaggi Parthi figurati in Roma antica, anche Mithra nei mitrei e i tre magi nelle catacombe, vestono il saraballum, tale tipo di pantalone iranico, che insomma significa «cosciale». «I Parthi statuirono la divisione dell’orbe con i Romani, e così a Est era impero, e gli Sciti rimanevano esterni, siccome in lingua scitica parthi diconsi gli esuli»21. Si configuravano due grandi potenze egemoni, romana e parthica, in orbe: «duo imperia summa Romanorum Parthorumque»22. L. Cornelio Silla formalizza le relazioni bilaterali (92 a.C.), accogliendo in pompa magna Orobazo, ambasciatore di Mithridate II re arsacide, e «alcuni magi» sulla riva dell’Eufrate, in Cappadocia: Tum Sulla compesitis transmarinis rebus, cum ad eum primum omnium Romanorum legati Parthorum venissent, et in iis quidam magi ex notis corporis respondissent caelestem eius vitam et memoriam futuram23.
Il confine concordato per patto tra le due parti era il fiume Eufrate (69 a.C.). Pompeo svaria nella regione, si reca al «conflitto marittimo e Mithridatico» (67 a.C.) e rinnova l’amicizia con Phraate III re di Parthia24. Un reperto singolare concerne Nemi e Diana Nemorense, identificata da qualcuno con Artemis Persica, la dea iranica e quindi parthica Anâhitâ. Tale reperto comprende cinque fistule plumbee frammentarie su cui brilla 18 Sen.
Med. 710; Paratore 1966: 530, 533; Wiesemann 1982: 27-29, 51, 76-77. 1998. 20 Steingass 1892: 667, 669, 679, 758; Lazard 1963: 155-156. 21 Parthi, penes quos uelut et diuisione orbis cum Romanis facta nunc Orientis imperium est, Scytarum exules fuerunt. Hoc etiam ipsorum vocabulo manifestantur, nam scythico sermone exules «parthi» dicuntur (Iust. epitoma historiarum Philippicarum Pompei Trogi 41, 1-2). 22 Plin. nat. 5, 21, 88. 23 Vell. 2, 24, 3; Plut. Sulla 5, 3-6; Liv. perioch. 70, 7; Drijvers 1998; Lerouge 2007: 44-49, 333-336. 24 Plut. Pomp. 33, 6; 34, 7; Liv. perioch. 100, 4. 19 Curtis
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l’iscrizione Darii Regis. Questo Rex Darius, si ipotizza, era forse un epiteto del Rex Nemorensis o designava il principe Darius, figlio di Artabanus III re arsacide di Parthia e ostaggio di Tiberio, ancora ospite di Caligola25. Il terzo trionfo di Pompeo, figurato su una tavoletta che ne rievocava (61 a.C.) la campagna vittoriosa in Asia, reca la lista di tutti i re vinti. Pompeo «sottomise Dario re dei Medi», il quale era un rex Ponticus, re del Ponto26. Artabanus IV re arsacide dei Parthi inviò a Tiberio il figlio Dario come ostaggio e al suo seguito il gigante giudeo Elazar27. Non era re nemmeno il «Dareum puerum ex Parthorum obsidibus» che Caligola si conduceva (c. 40 d.C.) dinanzi nel trionfo sul ponte eretto tra Baia e Pozzuoli, per saldarvi la via Appia. Il braccio portuale era già stato costruito da C. Giulio Cesare per congiungere i due laghi Averno e Lucrino. Tale ponte emulava l’antica impresa di re Serse sull’Ellesponto28. La forte resistenza della Parthia poneva un ostacolo problematico sul limes conteso di Asia vicina. M. Licinio Crasso, il triumviro incauto, varca il confine d’Eufrate, violando il patto, trascina le legioni contro l’esercito schierato dal generale parthico Surena, e si schianta in battaglia campale a Carrhae (Harrân, Hellenopolis, 9 giugno 53 a.C.): la sconfitta romana nefasta29. Occorreva rimediare. C. Giulio Cesare progettò un piano per attaccare la Parthia, puntando sull’Armenia Minore, sottomettere i Parthi, traversare l’Hyrcania lungo il Mar Caspio e il Caucaso, poi invadere Scythia e Germania, e tornare quindi dalla Gallia in Italia. Così egli pensava di potere chiudere il cerchio dell’Impero, ricongiungere l’ecumene delimitata dall’Oceano in ogni lato. In preventivo la campagna sarebbe durata tre anni. I seguaci di Pompeo in Siria avevano una posizione tattica quasi amichevole nei confronti dei Parthi. I congiurati romani avversavano la spedizione di Cesare. Si sparse la voce che egli voleva diventare dittatore e re, sovvertendo la Repubblica, estremo atto inammissibile. La folla acclamò rex Cesare, che accettava la dictatura perpetua, respingeva il regnum e rifiutò il diadema. La sua partenza alla guida dei legionari verso la Parthia era decisa, ma quattro giorni prima Cesare cadde (15 marzo 44 a.C.) pugnalato dai cospiratori nella Curia di Pompeo, adibita alla riunione del Senato, quelle idi di marzo30. Un poeta immagina che una volta il triumviro Pompeo, anima erran25 Ricci
1996: 566-587 e fig. 2-4, 7; Leone 2000. Sic. 40, 4, 1; Bruhl 1930: 207. 27 Fl. Ios. ant. jud. 18, 13; Noy 2002: 122, nota 3. 28 Verg. georg. 2, 161-164; Svet. Cal. 19, 1-3; Dio Cass. 59, 17, 6; Künzl 1998: 106-107. 29 Liv. perioch. 106, 5; Gabba 1966: 53-63. 30 Svet. Iul. 44, 1-4; 79, 3; Plut. Caes. 58, 6-7; Dio Cass. 43, 51, 1-2; Appian. Historia ro26 Diod.
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te, esclamasse «Pompeio uincite, Parthi, / uinci Roma uolet»: vincete per Pompeo, Parthi, Roma vuole essere vinta31. L. Decidius Saxa (40 a.C.) e Oppius Statianus (36 a.C.), entrambi luogotenenti di Antonio, persero altre campagne sul fronte parthico. La Siria era la provincia alquanto contesa. P. Ventidius Bassus, legato di Antonio, vinse in battaglia i Parthi che avevano invaso la Siria. Ventidius fu il primo comandante romano che celebrò un trionfo su tali nemici (27 novembre 716 ab u.c. / 38 a.C.). Entrato in Media, Antonio affronta i Parthi in Armenia (36 a.C.) e, sconfitto, ripiega in fuga32. Ma la Parthia era un poco punta sul fianco e si apriva uno spazio per intavolare trattative, siccome (c. 35 a.C.) in legazione segreta alcuni «nobiles Parthi in urbem venere», ignaro il re arsacide Artabanus33. Il re arsacide Phraates IV deteneva le insegne e le legioni perse da Crasso e Antonio. Per negoziare il recupero delle insegne e la liberazione dei legionari romani prigionieri, Marco Agrippa, amico intimo e collega minor di Ottaviano Augusto, svolse come suo vicereggente una missione diplomatica in Asia vicina (23 a.C.). La missione di Agrippa procurava il risarcimento molto atteso, che in esito fu un «great triumph», grazie a un patto diplomatico di scambio. L’ambasciata arsacide inviata a Roma chiede la resa di Tiridates II, ex re di Parthia, espulso da Phraates IV. Augusto rifiuta l’estradizione di Tiridates II, re esule e profugo, ma ne concede la resa del figlio che gli era compagno come ostaggio, a condizione della restituzione delle insegne34. Così Ottaviano Augusto ottiene la restituzione pacifica di spolia et signa romani persi da Crasso e Antonio. Era la pace. «Pax cum Parthis facta est signis a rege eorum, quae sub Crasso et postea sub Antonio capta erant, redditis»35. Augusto ricevette anche i legionari ex prigioneri rimpatriati, tranne quelli che intanto si erano suicidati e altri che avevano messo casa in Parthia. Augusto, orgoglioso, dichiarò di avere ottenuto senza colpo ferire ciò che era stato perso in battaglia, «come se avesse egli conquistato il Partho in battaglia». Egli, commemorando l’evento dei signa recepta, dedi cò (2 a.C.) le insegne nel tempio di Mars Ultor sito sul Campidoglio36. mana 2, 16, 110-111; Étienne 1977; Malitz 1984; Carcopino 1990: 553, 562, 564; Sordi 2000: 308-309. 31 Lucan. Phars. 8, 237-238; Paratore 1966: 524-526. 32 Plut. Anth. 38; Liv. perioch. 127, 1-2; 130, 1-2; Gell. 15, 4, 4; Dio Cass. 48, 15; 49, 2325 e 44; Ridley 2003: 130-131. 33 Tac. ann. 7, 31. 34 Magie 1908. 35 Liv. perioch. 141, 4. 36 Dio Cass. 54, 8, 1-4; Schäfer 1998: 49-55; C. Reusser, «Mars Ultor (Capitolium)»:
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Per celebrare tale evento storico, Augusto, provvisto di decreto senatoriale (12 maggio 20 a.C.), erige presso il tempio di divo Giulio l’Arcus Parthicus trifornice, come ingresso monumentale nel limite est del Foro Romano. L’arco, affissivi dentro i fornici i Fasti Consolari e Trionfali, edicole con lastre inscritte, annunciava la nuova era di pace augustea, e viene documentato su numerosi pezzi numismatici (19-17 a.C.), ma fu distrutto in seguito. Manca ancora la prova archeologica che confermi la costruzione dell’arco e la sua ubicazione precisa37. Una moneta battuta in Roma rappresenta l’arco costruito a tre passaggi: Nel mezzo si eleva una quadriga con Augusto, e ai lati stanno due Parthi in piedi, rivolti verso di lui in atto di porgergli le aquile. Intorno leggesi: S(enatus) p(opulus) q(ue) Ro(manus) imp(eratori) Cae(sari) Aug(usti) co(n)s(uli) XI tr(i bunicia) pot(estate) VI [an. 18-17 a.C.] civib(us) et signi(bus) mil(itaribus) a Part(hibus) recuper(atis)38.
L’atto simbolico della restituzione parthica delle insegne romane si ritiene raffigurato sulla corazza che adorna la maestosa statua marmorea di Augusto scoperta il 20 aprile 1863 nella villa di Livia ad Gallinas Albas, sita nella zona di Prima Porta presso la via Flaminia (tav. 1). Un restauro, esibito in una mostra vaticana (2004), ha restituito la policromia originale della statua, forse coeva dell’evento pacifico commemorato (17 a.C.) o una successiva copia fedele. Ritratto in stile eccelso, Augusto veste l’armatura e il paludamentum, manto rosso avvolto alle reni, e alza il braccio destro in gesto di discorso alla milizia. Sulla corazza insigne il rappresentante della Parthia restituisce al dio Marte, in rappresentanza del popolo romano, una insegna preziosa catturata a Carrhae. Il pettorale della corazza reca la decorazione più sontuosa in arte romana di età imperiale39. Augusto eresse la Porticus Gai et Luci (5 e 2 a.C.), parte della basilica dedicata al nome di Gaius e Lucius, i due nepoti cesari adottati (17 a.C.). Tale Porticus, connessa alla Basilica Julia e poi demolita e smembrata, LTUR 3, 230-231. 37 Coarelli 1985: 174-176, 262-271, 294-299, 306-308; Kleiner 1985: tav. IV; De Maria 1988: 61, 91, 96-99, 269-272, tavv 44-49; Künzl 1988: 52-56, fig. 25-29; Nedergaard 1988b; Simpson 1992; Rich 1998; Rose 2005: 28-33; Lerouge 2007: 24-25, 105-107; E. Nedergaard, «Arcus Augusti»: LTUR 1, 81-85. 38 De Ruggiero 1913: 439-443. 39 Musei Vaticani, Braccio Nuovo, inv. 2290; Simon 1991; Schäfer 1998: 84-92, Abb. 1718; Schneider 1998: 97-99, Tafel 3; Liverani 2004b; 2004c: 40-42, fig. 102-107; Simpson 2005; Rose 2005: 24-27; 23, Fig. 1, denarius (19 a.C.) con tipo iconografico di personaggio partico barbuto sottomesso in ginocchio. Secondo una tesi recente, la raffigurazione sulla corazza della statua augustea evocherebbe un evento militare relativo alla Gallia Belgica(17 a.C.): Buxton 2012.
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era ornata di statue di parecchi personaggi Medi, Parthi, Sciti. Quaranta grandi statue di Parthi in marmi colorati, frigio pavonazzetto e numidico giallo, fungevano da cariatidi, pare, nella Basilica Emilia coeva dell’Arco Parthico di Augusto40. Tra tali statue erano forse rappresentati personaggi Medi e Parthi, eminenti in patria o residenti a Roma in epoca augustea. In occasione della inaugurazione del proprio Foro (2 a.C.), Augusto dispose di svolgere nel Circo una naumachia che rievocava la celeberrima battaglia navale tra Ateniesi e Persiani a Salamina, dove la flotta achemenide del superbo re Serse fu sconfitta (22 settembre 480 a.C.), per augurare adesso la vittoria di Roma in Asia e la sua vendetta sulla Persia nemica. Allora «ingens orbis in Urbe fuit»: una enorme folla come un universo multietnico convenne nella città per assistere al grandioso spettacolo navale, le cui fastose attrezzature rimasero esposte per molto tempo41. Forse un segno di tipo parthico tocca anche l’Ara Pacis Augustae eretta in Campo Marzio, consacrata (4 luglio 13 a.C.) e dedicata (30 gennaio 9 a.C.) per celebrare la pace stabilita da Augusto nell’impero romano e influente su paesi limitrofi42. Secondo una lettura del fregio situato sul lato sud dell’ara, il bambino e la donna che stanno accanto ad Agrippa rappresentano il figlio e la moglie di uno dei principi Parthi residenti (tra 20 e 13 a.C.) in Roma43. Tra gli ospiti di Augusto, ostaggi, esuli o sorvegliati, erano numerosi principi Medi e Parthi. Augusto imperatore «con altri doni di Giulio Cesare» aveva mandato la «giovane schiava italica» Thea Musa / Thesmusa al re arsacide Phraates IV. Egli e Thesmusa sua sposa inviarono a Roma presso Augusto come ostaggi, garanti della pace reciproca, il figlio Phraates junior, Seraspadanes Rhodaspes e Vonones, tre suoi fratellastri principi. A Phraates junior, detto Phraataces, fu concesso il ritorno in patria. Egli, patricida e regicida, fratricida e marito incestuoso della madre Thea Musa per un colpo di stato (c. 2 / 3 d.C.), regna come Phraates V, ambisce ma Augusto non gli riconosce il titolo di rex regum, il Re dei Re in tradizione monarchica persiana. Phraates V viene presto rovesciato (c. 4 d.C.) per contraccolpi dinastici e una guerra interna. Orodes III succede nel regno (4-7 d.C.). Autorizzato al rientro da Roma, Vonones diventò re arsacide di Armenia44. Phraates V effigiava la madre-sposa regnante quale ΒΑΣΙΛΙΣΣΑ 40 Coarelli
1985: 296-298; Ackroyd 2000: 563-571; Rose 2005: 62-63. ars amatoria 1, 171-182; Dio Cass. 55, 10, 7-8. 42 M. Torelli, «Pax Augusta, Ara Pacis»: LTUR 4, 70-74. 43 Rose 2005: 38-40. 44 Tac. ann. 11, 10; Fl. Ios. ant. iud. 18, 40-42; Timpe 1975; Dabrowa 1987; 1989; Nedergaard 1988a: 109-110; Ridley 2003: 88-90, 135-136, 218-220; Wiesehöfer 2005: 113-116; Lerouge 2007: 110-112. 41 Ovid.
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e ΘΕΑ ΟΥΡΑΝΙΑ su una bella moneta, reperto archeologico che si conserva in Berlino45. I due principi Rhodaspes e Seraspadanes, che risiedevano con le rispettive famiglie in Roma, hanno nomi tipici di cavalieri, interpretabili Rôdasp «(detentore del) cavallo del fiume» e Šêraspdân «intenditore del latte equino». La bellissima lapide sepolcrale di Seraspadanes e Rhodaspes, ciascuno designato Phraatis Arsacis Regum Regis Filius, Parthus, è una grande tavola marmorea scoperta sulla via Flaminia durante scavi su commissione di papa Giulio III (1550-1555) e poi trasferita nell’antiquario di Villa Medici46. E, nel Giardino del Card.le de Medici, pietra appoggiata in un cantone, spatioso et incorniciata, di 2. pezzi, e colonnetta / Seraspadanes, Phratis Arsacis Regum Regis. F. Parthus / Rhodaspes, Phratis Arsacis Regum Regis. F. Parthus47.
Pare databile in età tiberiana (c. 14-37) la piccola tabella funebre di Artabasdes, altro principe ostaggio o immigrato, figlio di re Ariobarzanes48. Nelle opere teatrali e musicali rappresentate in Roma moderna, compaiono decine di personaggi medi e parthi i cui nomi di cavalieri sono formati sul termine pers. asp «cavallo», come Idaspe che pare il più frequente (vedi III.4 e 7). Augusto scrisse (ante 3 aprile 13 a-C.) e, nell’anno precedente la sua morte (19 agosto 16 d.C.), consegnava al segreto delle Vestali l’Index Rerum Gestarum, che per sua disposizione testamentaria fu inscritto su tavole bronzee, poste dinanzi al suo Mausoleo eretto in Campo Marzio ma scomparse in seguito. Il testo delle Res Gestae Divi Augusti (redatto post 9 d.C.) fu rinvenuto come iscrizione monumentale sui lati della grande porta del tempio dedicato a Roma e Augusto in Ancyra (attuale Ankara), città della provincia di Galatia in Asia Minore. Un altro lato del tempio reca inscritta la versione greca del testo latino49. Nel sito attuale dell’Ara Pacis Augustae, una moderna copia delle Res Gestae Divi Augusti è affissa a caratteri bronzei sul muro prospiciente il Mausoleo di Augusto. Le Res Gestae Divi Augusti riguardano inter alia le vicende di numerosi principi Arsacidi, Parthi e Medi come regnanti e dominati, principi ostaggi 45 Gaslain
– Maleuvre 2006; Strugnell 2008: 287, 293-294 e fig. 4. VI, 1799 (Firenze, Museo Archeologico, inv. 880780); Gardthausen 1906; Ricci 1996: 567-569, fig. 3. 47 BAV, Barb. lat. 2016, f. 52r. 48 CIL VI, 1798 (Galleria Lapidaria Vaticana, inv. 6897); Musei Vaticani, Sale Paoline, inv. 7887; Ricci 1996: 566-567, fig. 2. 49 Moretti 2007: 11; Scheid 2007: XXIV-XXV; Cooley 2009: 3-13; Mitchell – French 2012: 66-138. 46 CIL
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o profughi, e alcuni rimpatriati come re imposti. La cruciale area armena concerne vari personaggi (§ 27.2). Artaxes II re di Armenia Maggiore (c. 31-20 a.C.) e il fratello successore Tigranes III figlio di Artavasdes (c. 20-7 a.C.). Re Ariobarzanes, installato da Augusto in Media Atropatene, resa indipendente dall’Armenia Maggiore (20 a.C.). Artavasdes II re di Media/ IV di Armenia, figlio di Ariobarzanes II. Augusto ricorda il grande evento pacifico (§ 29.2): Parthos trium exercitum Romanorum spolia et signa reddere mihi supplicesque amicitiam populi Romani petere coegi. ea autem signa in penetrali, quod est in templo Martis Ultoris, reposui. Costrinsi i Parthi a ridarmi le spoglie e le insegne di tre eserciti romani, e a chiedere come supplici l’amicizia del popolo romano; e deposi tali insegne nel sacrario sito nel tempio di Marte Vendicatore. Intanto ricorda il grande paese, subcontinente indiano, che sta oltre la Parthia (§ 31.1): Ad me ex India regum legationes saepe missae sunt. A me sono inviate sovente ambasciate di re dall’India. Poi (§ 32.1): Ad me supplices confugerunt reges Parthorum Tiridates et postea Phrates, regis Phratis filius, Medorum Artavasdes, Adiabenorum Artaxares: Presso di me si rifugiarono, supplici, i re dei Parthi Tiridate e poi Phraates, figlio di Phraates, Artavasdes re dei Medi e Artaxares re degli Adiabeni. Il principe arsacide Tiridates II, pretendente al trono di Parthia, venne profugo presso Augusto (30/29 a.C.) mentre Phraates IV era re contrastato nel paese. Suo figlio qui citato è forse il futuro re Phraates V. Artavasdes II re di Media Atropatene. Artaxares re di Adiabene, la cui popolazione era stanziata sulla riva sinistra del Tigri. Inoltre (§ 32.2): ad me rex Parthorum Phrates, Orodis filius, filios suos nepotesque omnes misit in Italiam non bello superatus sed amicitiam nostram per liberorum suorum pignora petens. Presso di me il re dei Parthi Phraates, figlio di Orodes, mandò tutti i suoi figli e nipoti, non poiché vinto in guerra, ma per chiedere la nostra amicizia, offrendo in pegno i suoi figli. Ancora (§ 33): A me gentes Parthorum et Medorum per legatos principes earum gentium reges petitos acceperunt: Parthi Vononem, regis Phratis filium, regis Orodis nepotem, Medi Ariobarzanem regis Artauazdis filium, regis Ariobarzanis nepotem. Da me le genti di Parthi e Medi, tramite loro principi ambasciatori, ricevettero i re che avevano richiesto: i Parthi, Vonones figlio di re Phraates e nepote di re Orode; i Medi, Ariobarzanes figlio di re Artavazdes e nepote di Ariobarzanes. Il principe Vonones era tra i figli di Phraates IV ostaggi in Roma. L’ambasciata parthica ad Augusto chiese la restituzione di Vonones dopo la caduta di re Phraates V. Ariobarzanes fu re di Media Atropatene50. 50 Scheid
2007: CLXI-XIII, CLIX, 22-23, 73-74, 80-82; Cooley 2009: 92-97, 230-233, 242-
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Molti schiavi che portano nomi iranici erano presenti in Roma tra le età di Augusto, Tiberio, Nerone, e qualcuno sino al II secolo, come attestano numerose iscrizioni latine. Sono Abradates, Arsames, Darius, Maedates (due diversi), Medates (due diversi), Metrausta, Petizaces, Prahates (due diversi), Sasa (dieci diversi), Tigrutes, Xipanes. Il nome Maedates/Medates riflette pers. Mâhdât. Il primo schiavo di nome L. Turranius Sasa si colloca nell’età di Silla o di Cesare. Sono donne Arsia e Pasagates51. Inoltre una trentina d’immigrati dalla Parthia, ostaggi e civili, sono citati in epitaffi greci e latini, sia pagani, sia cristiani52. Conquistata in campagna bellica Artaxata (58 d.C.), C. Domitius Corbulo condusse a Roma alcuni ostaggi «nobilissimos ex familia Arsacidorum», parenti di Vologesus I re di Parthia. Per decreto senatoriale Nerone eresse (c. 60) il proprio Arcus Parthicus monofornice al centro del Colle Capitolino: «At Romae tropaea de Parthis arcusque medio Capitolini montis sistebantur», collocato «inter duos lucos», in termini tacitiani. Su alcuni sestertii coniati in Roma (64) sono figurati l’arco monofornice e il cursus triumphalis di Nerone, accompagnato da Pax et Victoria. Si discute la forma architettonica e l’ubicazione precisa di questo arco, che fu distrutto dopo la morte dell’imperatore, per damnatio memoriae (68) o (69) per l’incendio del Colle Capitolino53. L’Arco Parthico di Nerone fu eretto «nelle immediate vicinanze del tempio di Giove Ottimo Massimo, proprio dinanzi all’angolo sud-orientale del suo podio», pare. Tra i miseri lacerti attribuibili all’arco sarebbe il guerriero Partho barbuto, riconoscibile dalla caratteristica veste, sul bassorilievo di una lastra marmorea frammentaria54. Il reperto viene anche interpretato in modi diversi55. A lungo andare in corso geopolitico, il regno arsacide di Parthia frappose una barriera tra Asia interna e le zone di Siria, Mesopotamia, Caucaso, dove penetrò la potenza romana. Per salvaguardare il monopolio del commercio della seta, anzitutto la cinese, e altre merci nell’area intermedia asiatica di proprio dominio, la Parthia mirava a impedire relazioni dirette tra la Cina e Roma, l’Impero Romano, cin. Ta-Ch’in «la Grande Cina». La via meridionale della seta era stata aperta dal generale cinese Pan Ch’ao 245, 252-256. 51 Solin 1996: 606. 52 Noy 2002: 59, 61-62, 67, 76, 174, 291. 53 Tac. ann. 13, 9; 13, 41, 4; 15, 18, 1; Barini 1952: 85-87, 202; Kleiner 1985: tav. XXIXXIII, XXVI-XXXIV; De Maria 1988: 75-76, 113-115, 283-284, tav. 61; Lerouge 2007: 138140; F. S. Kleiner, «Arcus Neronis»: LTUR 1, 101. 54 La Rocca 1992: 408, 410-411. 55 Museo Nazionale Romano alle Terme, inv. 8640; Guerrini 1971-72: 68-69, tav. LXVIa; Giuliano 1983: 195-198 (scheda di L. de Lachenal); Künzl 1988: 76-77, fig. 44.
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che, invasa la Sogdiana e conquistata la Kashgharia, fu riverito dai Parthi (87). Durante il regno di Ho imperatore cinese (97), Pan Ch’ao cercò di stabilire relazioni con Roma, spedendovi in missione Kan Ying. Egli giunse nella regione di Mesene ma non andò oltre, spaventato dai marinai della frontiera occidentale di Parthia circa la vastità del mare da traversare. I mercanti cinesi apprezzavano l’aureus romano come moneta d’uso nei loro commerci. Regnante Marco Aurelio (166), Ngan-tuen (Antoninus) re di Ta-Ch’in inviò all’imperatore cinese Huan un ambasciatore, che giunse via Tonchino, e sembra piuttosto un gruppo di mercanti romani56. Vari imperatori romani celebrarono i successi avuti in campagne militari contro il regno di Parthia. Alcune vittorie determinarono riti e forme istituzionali, quali la pompa trhiumphalis e circensis, connesse ai ludi57. Conquistate Babilonia, Ctesifonte e Seleucia, città capitali nella zona sudoccidentale del regno arsacide, Traiano fu insignito dell’epiteto Parthicus dal Senato (20 febbraio 116). Un aureo coniato nello stesso anno figura il trionfo parthico di Traiano, al dritto come imperatore laureato, recante l’epiteto «parth(ico)». Al rovescio sta la legenda in esergo «parthia capta», quale provincia personificata. Ai piedi di un trofeo militare due prigioneri Parthi siedono al suolo, una donna che si nasconde il volto tra le mani, e un uomo che sostiene il capo chino con la mano sinistra58. Il Triumphus Parthicus di Traiano fu celebrato dopo la sua morte, avvenuta in Selinunte di Cilicia (117). Si ritiene che un episodio del trionfo figuri su un celebre rilievo marmoreo rinvenuto in Palestrina (1967). Il reperto mostra Traiano trionfante su una quadriga che tra littori avanza da sinistra nel corteo59. Un Arcus Parthicus eretto per festeggiare il trionfo di Adriano (116), e poi distrutto, risulta noto soltanto dalla sua rappresentazione numismatica60. L’imperatore Adriano istituì gli spettacoli denonimati ludi Parthici (117), che erano diretti dal pretore Parthicarius61. Adriano dispose di restaurare (122-123) un antico edificio marmoreo dedicato in Nemi da «regis regum Parthorum filius Arsacides», un principe Partho forse residente a Roma in epoca augustea e designato con tale appellativo Arsacides, raro 56 Grosso 1966; Leslie – 57 Versnel 1970: 94-115.
Gardiner 1996: 26, 146, 280.
58 Musei Capitolini, Medagliere Capitolino, inv. 3514; Lepper 1948: 39-43, 48-53, 202, 223; Barini 1952: 130-131; Méthy 1992; La Rocca – Tortorella 2008: 199 (scheda di U. Iaculli). 59 Palestrina, Museo Archeologico Nazionale, inv. 6520, Sala VI, marmo lunense, campo figurato cm 114 × 88; Angeli Bertinelli 2000; Arce 2000; Ensoli 2000: 125-127; Agnoli 2002: 222-234; La Rocca – Tortorella 2008: 141-143 (scheda di L. Musso). 60 Brilliant 1967: 109-113, fig. 4. 61 Dio Cass. 69, 2, 3; Wissowa 1912: 458; Barini 1952: 133-134.
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nell’uso romano62. Sembrano immigrati a Roma in età adrianea il principe figlio di re Amazaspos, proveniente dalle Portae Caspiae, e due dame Parthe: Ulpia Vobrane e Julia Axse, ostaggia, in base alla documentazione lapidaria63. Proviene dal Canopo di Villa Adriana, sembra, la statuetta del naoforo egizio Udjahorresne che reca inscritta la sua autobiografia. Egli consentì la resa di Sais, città strategica, a Kmbit[t] Cambise, il re achemenide di Persia conquistatore dell’Egitto (526 a.C.). Udjahorresne apre il tempio della dea Neith per iniziare ai misteri Cambise, che lo nomina archiatra e incarica di comporre il proprio nome nel cartiglio alla maniera regia egizia. Cambise porta al suo seguito Udjahorresne, che poi entra al servizio di Dario I, che gli comandò di tornare a Sais e ripristinarvi il collegio sacerdotale64. Per una campagna vittoriosa in Babilonia, Armenia e Media (162-165), Lucio Vero fu insignito dell’epiteto Parthicus Armenianus Medicus, condiviso con il fratello Marco Aurelio, come anche l’onore della pompa trionfale in Roma. L’epiteto Parthicus Maximus fu attribuito a Lucio Vero. Un Arcus Parthicus eretto in suo nome (166) a Porta Capena, in Regio I, fu distrutto65. La Parthia, provincia personificata, appare anche su una moneta di Lucio Vero e una di Antonino Pio66. Si usa definire di soggetto persiano qualche reperto statuario che si ritiene risalente al II secolo. Il frammento marmoreo di un giovane baffuto che porta la tiara sul capo, replica da un originale bronzeo, viene detto testa del Persiano morente67. Sono catalogate una statua del Persiano in ginocchio, per il peso del cratere posato sulla testa, e una statuetta del Persiano combattente, che ha un ginocchio proteso e l’altro poggiato a terra68. In sequenza storica di campagne belliche, la capitale parthica Ctesifonte fu presa da Traiano (116), Marco Aurelio (164) e Settimio Severo (198). Egli a imitazione di Traiano, nel centenario della sua ascesa, adottava l’epiteto Parthicus Maximus (28 gennaio 198). L’imperatore Settimio Severo condusse due guerre parthiche con esito vittorioso, contro Abgarus re di Edessa (Osroene) e gli Adiabeni in Nisi62 CIL
XIV, 2216; Ricci 1996: 571-573, fig. 4. 1996: 573-574, 576-577, fig. 4. 64 Museo Gregoriano Egizio, statuetta di basalto verde, inv. 196; Marucchi 1898; 1899: 79-102, tav. I-II; Botti – Romanelli 1951: 32-40, tav. XXVII-XXXII. 65 CTCR 1, 165; Barini 1952: 141-142; Brilliant 1967: 112, 154; Künzl 1988: 76-77, fig. 44. 66 Méthy 1992: 273, 293. 67 Roma, Museo Palatino, marmo di Docimium, inv. 603, reperto di scavo (1886); Tomei 1997: 147, n° 127 e foto. 68 Musei Vaticani, Galleria dei Candelabri, sezione II, n° 37; sezione VI, n° 32; Lippold 1956: 180-182, 542, Taf. 85, ill. 37; 436-438, 556, Taf. 184, ill. 32. 63 Ricci
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bis (195), poi contro la Parthia arsacide (197-198) e sullo slancio Hatra (198-199). Al culmine di queste campagne Settimio Severo fu insignito dell’epiteto Parthicus Maximus per la conquista di Seleucia, Babilonia e Ctesifonte. Egli stanziò la Legio Secunda Parthica (L.II.P.), che divenne la sua guardia personale, presso i Castra Albana69. L’imperatore spedì una relazione a Roma, «ordinando che le sue battaglie e vittorie dovevano essere dipinte ed esposte in pubblico»70. Tali dipinti sono scomparsi. Sotto il Tabularium, al limite della Sacra via nel Foro Romano, in angolo nord-est, tra la Curia Senatus e i Rostra Augusti, e di fronte al Tempio di Concordia, svetta il grandioso Arcus Parthicus trifornice ornatissimo, eretto da S.P.Q.R. per celebrare la Victoria Parthica di Settimio Severo (10 dicembre 202-9 dicembre 203). L’arco, dedicato a lui e ai suoi due figli Caracalla e Geta, si erge oltre 23 metri sul livello del Comitium augusteo e costituisce il più grande monumento trionfale esistente nel Foro Romano (tav. 2a). Una volta il monumento in vista diagonale poteva essere associato all’Arco Parthico di Augusto poi scomparso. L’Arco di Settimio Severo espone la magnifica iscrizione dedicatoria in lettere bronzee dorate, di cui restano le incisioni marmoree. L’iscrizione, ripetuta su entrambe le fronti dell’attico, qualifica Settimio Severo, pontefice massimo e padre della patria, come «parthico arabico | et parthico adiabenico». Varie statue marmoree e una quadriga bronzea che coronavano l’attico sono scomparse. La sommità dell’arco, invasa da torri (XII secolo), fu rasata durante un restauro (1802-1803). Le Vittorie volanti con il trofeo parthico conquistato stanno ai quattro spicchi del fornice centrale. Nel registro principale dell’arco, prospiciente il lato nord-est del Capitolium, si rappresenta la pompa triumphalis: la processione della milizia romana tra la dea Roma e la Parthia, provincia personificata, sedente nel mezzo della pietra-chiave. La presa di una grande città, sembra Ctesifonte, è rappresentata nel pannello IV, sul lato sud-ovest. Edifici recinti, Hatra o il palazzo regio arsacide all’epoca del re Vologesus IV, sporgono nel registro superiore B. Negli 8 plinti delle rispettive 8 grandi colonne stanno (4 per facciata) i rilievi residui di numerosi Parthi, alcuni nobili ostaggi in gruppo di famiglia, e singoli ufficiali catturati in battaglia e, pare, deportati nella città. I legionari scortano i mesti prigionieri che, con le braccia ammanettate dietro la schiena, vestono berretto frigio, clamide frangiata e brache di moda parthica (tav. 2b). Questo arco, si ritiene, riprese alcuni motivi iconografici dall’Arco Parthico di Adriano e incise sul disegno dell’Arco di Costantino71. 69 Chiarucci
2006: 23-25, 29-31, 49-51, 113, 117. Syr. Ab excessu divi Marci 3, 9, 12. 71 CIL VI, 1033, 31230; Barini 1952: 144-146; Franchi 1964: 20-32, tav. VII, X-XV; Bri70 Herodian.
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Alcune belle tavole incise di grande formato hanno prospettato i pannelli dell’Arco di Settimio Severo. La tavola che figura la sua impresa in Nisibis reca: «Vologesus Rex Parthorum equo vectus fugam capessit»72. Sono anche da ricordare altre osservazioni. «L’arco sta sull’area del Volcanale», dove si accedeva «per due vie, a sud il clivo Capitolino e al nord il clivo Argentario». L’Itinerario anonimo di Einsiedeln (VIII secolo) reca l’unica citazione medievale con il vero nome arcus Severi e ricorda l’umbilicum Romae, che qui si situava. Presso il pilone meridionale dell’arco sta Umbilicus Romae, la costruzione cilindrica che indicava il centro della città. In altri termini Umbilicus Urbis Romae era situato tra questo Arco e i Rostra73. L’Arco degli Argentari in onore di Settimio Severo, e in nome di Caracalla e Geta, e delle imperatrici Giulia Domna e Plautilla (10 dicembre 2039 dicembre 204), fu costruito nel Forum Boarium, sulla via del quartiere Velabrum che continuava l’antichissimo vicus Iugarius, presso l’incrocio dell’Arco di Janus quadrifrons, nella cui adiacenza si aggiunse poi la chiesa di S. Giorgio ad velum aureum, detta in Velabro. Il piccolo arco, edifizio commemorativo e onorario, eretto da argentari e negozianti boari per celebrare la famiglia imperiale severiana, ha carattere privato, pertanto assai rilevante. Reca l’epigrafe dedicatoria che qualifica l’imperatore Settimio Severo Parthicus Maximus. La sua vittoria parthica è ricordata almeno nel rilievo deteriorato sul lato ovest del pilastro occidentale, dove due militi romani trascinano due prigioneri ammanettati, analoghi ai Parthi catturati che figurano sui plinti dell’arco dello stesso imperatore nel Foro Romano74. L’area del Laterano è legata a una basilare memoria di tipo parthico «Ps. Aur. Vict. epit. 206 riferisce che Settimio Severo donò ad alcuni amici case degne di memoria»: «quarum praecipuas videmus Parthorum quae dicuntur ac Laterani», per cui «le aedes Parthorum sono identiche alle aedes Laterani». In origine si tratterebbe di Domus Parthorum o Domus Septem Parthorum, o VII domos Parthorum menzionate nei Cataloghi Regionari antichi. Distinte dalle aedes Lateranorum, le aedes Laterani nascono dalla lliant 1967:
137-138, 146-147, 172-173, 182, 207-217, pl. 5, 87, 91a; De Maria 1988: 180-185, 305-307, tav. 82-84; Wilson Jones 1999: 95-99; Chiarucci 2006: 35-37, 73-74, 86-87; Cooley 2007: 390, 394-395; Newby 2007: 202-206, fig. 12.1, 12.3; Petsalis-Diomidis 2007: 258-265, fig. 13.4, 13.7, 13.9; Le Bohec 2009: 44, 48-50, fig. 3 e 6-8. 72 Suarès 1676: 7-8, tav. a (i), I-VI. 73 De Ruggiero 1913: 454-462; R. Brilliant, «Arcus: Septimius Severus (Forum)»: LTUR 1, 103-105; F. Coarelli, «Umbilicus Romae»: LTUR 5, 95-96. 74 CIL VI, 1035, 31232; Pallottino 1946: 14, 21, 35, 61, 92, fig. 1, 5, 11, 28, tav. X e XIII; Franchi 1964: 7-19, tav. II-III, fig. 2; Ghedini 1984: 25-53; Newby 2007: 218-222, fig. 12.11, 12.14; Flower 2008; S. Diebner, «Arcus Septimii Severi (Forum Boarium); Arcus Argentariorum; Monumentum Argentariorum»: LTUR 1, 105-106.
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donazione delle aedes Parthorum che Settimio Severo assegnava al suo generale T. Sextius Lateranus. Tali aedes Parthorum erano site nelle vicinanze dello spazio dove sorge la basilica di S. Giovanni in Laterano, madre romana di tutte le chiese. Il toponimo Laterano deriva dal qualificativo che denota le aedes Laterani. Questa, almeno dalla fine del IV secolo, diventava la sede del Vescovo di Roma, la quale comprende il Patriarchío Lateranense75. Un trapasso storico di nomenclatura etnica avveniva quando i nemici dell’impero romano non erano più i vecchi Parthi, ma ormai i nuovi Persiani, che li avevano soppiantati con l’ascesa dei dinasti Sasanidi. L’imperatore Alessandro Severo, per una vittoria campale su Artaxerxes (231), il primo re sasanide di Persia Artaxšêr I, torna in trionfo a Roma e dichiara al Senato: «Persas, patres conscripti, vicimus» (25 ottobre 233). Il Senato acclama Persicus Maximus, siccome «vere Parthicus, vere Persicus», l’imperatore. Quindi egli sale al Campidoglio dove, «tunicis Persicis in templo locatis», tiene il discorso: «Quirites, vicimus Persas» e annuncia: «cras ludos circenses Persicos dabimus». Alessandro Severo celebra la pompa trionfale e dispone di svolgere i ludi Persici, un programma di giochi circensi e rappresentazioni sceniche76. Nella celebrazione del Millesimo anno della fondazione di Roma (aprile 248), l’imperatore Filippo l’Arabo attuava con giochi e spettacoli nel Circo Massimo il triumphus Persicus che Gordiano III aveva ambito e preparato. Per tale occasione ludica veniva concentrata una enorme massa di bestie mansuete e belve feroci, e mille paia di gladiatori imperiali erano mobilitati. Filippo l’Arabo assunse entrambi gli epiteti Parthicus Maximus e Persicus Maximus77. Sotto l’imperatore Decio (249-251) venivano deportati nella città Abdon e Sennen, due governatori cristiani che, uccisi nell’Anfiteatro Flavio, furono i protomartiri persiani di Roma (250). Poi vi immigrò e cercava le loro tracce una nobile famiglia persiana di religione cristiana, Mario, Marta, Audifax e Abbacuc, che subirono anche essi il martirio (270). Un piccolo gruppo di persiani cristiani esisteva allora in Roma78. La sconfitta dell’imperatore Valeriano e la sua cattura nella battaglia di Edessa sotto il re sasanide Šâbuhr I (260) furono un grave disastro, segnando una pietra nera nella storia del confronto militare romano con la Persia. Intanto il culto misterico del dio Mithra era praticato da legionari 75 Liverani 2004a; P. Liverani, «Domus: Laterani», «Domus: Parthorum»: LTUR 2, 127, 152-153; R. Santangeli Valenzani, «Domus Septem Parthorum»: LTUR 2, 176. 76 Lamp. Sever. Alex. 55, 1 ; 56 1 e 9; 57, 1; Wissowa 1912: 460, 577; Barini 1952: 149-150. 77 Capit. Gord. 33, 1-5; Barini 1952: 152. 78 Vedi II.1-2.
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in Roma, dove giunsero poi esponenti della propaganda manichea e si diffuse sempre più la fama della missione compiuta dai Tre Magi evangelici, una sorta di pacifici Parthi ambasciatori. 2. L’antro mithraico, la rete manichea e la svolta cristiana Il tempio di Asylum, sacro al dio Lucoris e sito in un boschetto del Campidoglio per l’asilo di migranti, profughi, espatriati e briganti, costituiva la prima istituzione civica dell’Urbe all’epoca del fondatore Romolo. Per attrarre dall’estero la manodopera e le maestranze necessarie allo sviluppo urbano si offriva il rifugio nel tempio che concedeva il diritto di asilo agli immigrati79. Per antica consuetudine civica e strategia politica romana vigeva il diritto di pratica religiosa per genti straniere, a condizione di un patto equo che comportava il riconoscimento di loro divinità. Una legge o un senato-consulto sanciva quindi l’alleanza. In caso di guerra, la resa di ogni cosa sacra e profana, l’ostaggio, il disarmo e il presidio nel paese conquistato erano le precondizioni di un trattato che riconoscesse pari diritti: Mos uetustus erat Romanis, cum quo nec foedere nec aequis legibus iungeretur amicitia, non prius imperio in eam tamquam pacatum uti, quam omnia diuina humanaque dedidissent, obsides recepti, arma derumpta, preaesida urbibus imposita forent80.
Una posizione legale diversa concerne il culto misterico di Mithra, che fu praticato nella città e in province dell’impero, per lo più da legionari, senza acquisire un chiaro statuto giuridico, ovvero il riconoscimento ufficiale da parte dello Stato romano. Oltre l’ascendenza preistorica di matrice indo-iranica, Mithra (gr. Μίθρας) era una tra le divinità eminenti venerate in Persia antica e zoroastrismo, ma con forme remote e discrepanti rispetto al mithraismo greco-romano. Per etimologia Mithra > Mihr / Mehr deriva dal termine mithra «patto, accordo, contratto», si ritiene; mediopers. mihr «Sole; patto»; e nome del settimo mese in calendario zoroastriano antico (17 settembre-16 ottobre, ora 23 settembre-22 ottobre), dove è anche il nome del XVI giorno di ogni mese. Mithra rivestiva, sembra, la funzione di arbitro dei confini, garante dei limiti terrestri / celesti, o mediatore tra il Principio del bene e il Principio del male, che sono impersonati da Ohrmazd, il dio supremo, vs Ahriman, la rivale potenza diabolica, in tradizione zoroastriana81. 79 Liv.
1, 8, 5; Plut. Rom. 9; T. P. Wiseman, «Asylum»: LTUR 1, 130. 28, 34, 7. 81 Belardi 1977: 32-38, 64, 76. 80 Liv.
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Mitridate I (c. 171-138 a.C.) e alcuni altri re arsacidi di Parthia adottavano a titolo personale il nome teoforo Mithridates < Mithradâta «dato da Mithra» o meglio «legge di Mithra», mediopers. dât / dâd «il dato, l’assegnato, giustizia, legge» (cfr. lat. datum). I re di Commagene e del Ponto usavano portare lo stesso nome teoforo a titolo dinastico. Il mithraismo misterico pare immesso da paesi extrairanici dove era praticato, Armenia, provincia di frontiera, e una fascia di Asia Minore: Commagene, Cappadocia, Cilicia, Ponto, Bosforo. I pirati di Cilicia, che servivano la flotta militare di Mithridates VI Eupator re del Ponto e furono presi prigionieri da Pompeo (67 a.C.), avevano fama di celebrare riti segreti, tra cui i misteri di Mithra. I pirati cilici deportati avrebbero introdotto il culto di questa divinità in area mediterranea. Più tardi il mithraismo veniva strutturato da una pratica rituale di modalità europea, la quale si diffuse in Italia, area di frontiera reno-danubiana e oltre, per vie militari e marinare82. In Babilonia si era formato un complesso culto caldeo-persico di Mith ra, che fu identificato con Apollon-Helios in ambito ellenistico e in quello romano con Sol. P. Papinio Stazio, poeta nativo di Napoli, reca la prima citazione del rito mithraista in letteratura latina, per un paragone di culti solari che conclude il primo libro del suo poema epico (c. 80-92 d.C.) dedicato all’imperatore Domiziano. Il poeta invoca Apollo, che assimila al Sole, o piuttosto roseo Titano in rito di genti Achemenidi, oppure Osiris fruttifero o anche Mithra, che torce le corna furenti del toro da inseguire sotto le rupi dell’antro Persico: «seu te roseum Titana uocari / gentis Achaemeniae ritu, seu praestat Osirin / frugiferum, seu Persei sub rupibus antri / indignata sequi torquentem cornua Mithram»83. Tuttavia, quale culto misterico, la funzione di Mithra tauroctono (divinità che uccide il toro, tav. 3) e petrogenito (nascente dalla roccia), la correlativa manifestazione iconica e la sede rituale (antrum, spelaeum), il mithraismo esercitato nell’impero romano risulta assai differente e distante dal ruolo religioso di Mithra in area iranica e Persia, dove mancano il mitreo e i monumenti cultuali attinenti, in scultura, pittura, epigrafia. Come divinità di specie solare, petrogenita e tauroctona Mithra veniva rappresentato con modalità peculiari in Roma, d’altronde con rituali che erano alquanto difformi in singole applicazioni cittadine e provinciali. Congreghe di uomini iniziati ai riti misterici, soprattutto militi, schiavi e liberti, esercitavano in forma privata il mithraismo. Questo era ammesso dalle autorità, ma non fu posto al rango della religione ufficiale dello Sta-
82 Plut. 83 Stat.
Pomp. 24, 5; Beard – North – Price 1998: 1, 282-286. Theb. 1, 716-720.
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to politeista romano, né si trova attestato nella monetazione delle zecche ufficiali84. Sette gradi iniziatici formavano la gerarchia dei mithraisti: I Corax «corvo», II Nymphus «ninfo», III Miles «milite», IV Leo «leone», V Perses «Perseo / persiano», VI Heliodromus «eliodromo» (forse «corriere del Sole»), VII Pater «padre». Ciascuno aveva un pianeta per tutore: Mercurius, Venus, Mars, Jupiter, Luna, Sol, Saturnus. Mithra, il dio che esegue la tauroctonia, compariva come arcana entità ottava nel rituale misterico. Perses, nel contempo nome di Perses figlio di Perseus e Andromeda, designava il militante promosso a tale grado, non l’adepto nativo di Persia. Il neofita, legato come un prigioniero, doveva superare le prove in un percorso di timore. Il giuramento assolveva da ogni accusa di crimine. Il Pater compiva la stretta di mani con l’iniziato alla cena comune celebrata nello spelaeum. Questo evocava una caverna montana di sorta forse persica, caspica o caucasica, come l’antro del cosmo o la grotta mistica in simbologia rituale. Il sacrificio del toro rappresentava la giustizia o rivalsa cruenta della divinità che uccide la forza riottosa della natura. Pare di origine iranica il termine nama «vivat, evviva» usato come motto nel rituale85. Di fianco a Mithra erano rappresentati i dadofori Cautes e Cautopates. Nel complesso cultuale si colloca anche la statua del leontocefalo avvolto dalle spire del serpente, che rappresentava una divinità del Tempo o il dio tutelare della gerarchia mistica, pare. Un rito speciale contemplava pure Ahriman, la divinità luciferina o potenza primigenia del male in dottrina zoroastriana e tradizione religiosa persiana. Agrestius magister et pater patrum dedicò a Deo Arimanio un’ara triangolare marmorea provvista della relativa statua86. M. Lollianus eresse in Ostia una statua di Ahriman con la inerente iscrizione dedicatoria87. La fioritura del culto misterico di Mithra in sede romana si situa tra il 140 e il 312 d.C. La documentazione epigrafica e archeologica attesta la continuazione della pratica mithraista sino all’ultimo decennio del IV secolo. Numerosi mitrei, are, sculture, rilievi, affreschi, iscrizioni dedicatorie, graffiti e frammenti, costituiscono i monumenti cultuali ritrovati. Tali vestigia multiformi implicano elementi simbolici e dottrinali che per
84 Bianchi 1979: 4-60; Beard – North – Price 1998: 2, 88-91, 305-319; Lerouge 2007: 327-329; Alvar 2008: 74-106, 192-203, 344-381. 85 Cumont 1896-1899: I, 314-315; Beard – North – Price 1998: 1, 279-295. 86 CIL VI, 47; Vermaseren 1956-1960: I, 163-164, n° 369. 87 Vermaseren 1956-1960: I, 116, n° 221; I, 114-148 e II, 23-25, mitrei e reperti di Ostia n° 216-326.
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la loro specie segreta sono spesso opachi, alimentando la discussione interpretativa in campo storico e archeologico88. I reperti sono frutto di scoperte archeologiche, lavori edilizi, interessi antiquari e rinvenimenti casuali, che per lo più sono avvenuti dalla seconda metà del XIX secolo in poi. La serie dei mitrei diruti, superstiti, scavati e talvolta ipotizzati ma dubbi, annovera una quarantina di siti (c. II-IV secolo). Se ne è calcolato un centinaio in Ostia, la città portuale che per sua natura poteva essere più aperta alla frequenza di mithraisti naviganti e viaggiatori. I reperti rimangono nei siti, i mitrei medesimi, sovente scoperti presso il sottosuolo di chiese, o si conservano in musei cittadini e vaticani. Altri reperti furono asportati, adibiti a decoro di palazzi e ville o trasferiti in sedi estere. I mitrei stavano in edifici privati, sovente collegati a caserme, stazioni militari, carceri, talvolta ubicati presso terme. Non si riscontra alcun nome persiano di persona tra tutti i mithraisti noti dalle attestazioni repertoriate89. Una iscrizione sepolcrale posta da un liberto attesta un piccolo ambiente di genere domestico relativo al culto mithraico nell’area del Palatium imperiale. Ma la casa imperiale non ha mai avuto rapporti ufficiali con il culto di Mithra, si ritiene90. Una eccezione concerne l’imperatore Commodo (180-192 d.C.). Mentre praticava il culto di Isis, egli decise di accedere ai misteri di Mithra, cui si fece iniziare a titolo privato, sembra. Ma Commodo nel penetrare in un mitreo compiva un estremo atto sacrilego per dispregio o vendetta. Egli profanò i riti mitriaci con un vero omicidio, mentre lì si soleva dire o fingere qualcosa per l’apparenza del terrore: «sacra Mithriaca omicidio vero polluit, cum illic aliquid ad speciem timoris vel dici vel fingi soleat»91. Nei sotterranei ricavati da un tratto delle gallerie di servizio nelle Terme Antoniniane (dette di Caracalla) stava inserita una spelunca mithraica, al cui centro si è scoperta la buca rettangolare che fungeva da fossa sanguinis per il taurobolium, un reperto archeologico unico tra tutti i mitrei noti92. Un antrum mithriaco situato in area di Horti Sallustiani e scoperto presso Via Sicilia (1925), reca su una grande lastra marmorea l’iscrizione 88 Merkelbach
1984: 147, 184-185, 292-318, Abb. 34-69. 1896-1899: I, 275-277; II, 92-116, 193-237, 467-469, 479-485; Vermaseren 1956-1960: I, 149-238, reperti n° 327-639; II, 25-32; Coarelli 1979; J. Calzini Gysens et alii, «Mithra»: LTUR 3, 257-270 (vi si classificano 26 siti in Regio II, V-VI, VIII-XI, XIII, inerenti a mitrei o sparsi materiali di culto). 90 CIL VI, 2271; J. Calzini Gysens, «Mithra (Domus Augustana; Reg. X)»: LTUR 3, 266. 91 Lamp. Comm. 9, 6. 92 M. Piranomonte, «Mithra, Spelunca (Thermae Anthoninianae; Reg. XII)»: LTUR 3, 267-260, 479 fig. 179. 89 Cumont
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dedicatoria di Aurelius Zosimion e Aurelius Titus, i committenti dell’antro che si auguravano il ritorno vittorioso dalle guerre parthiche (197-198 d.C.) dell’imperatore Settimio Severo Parthicus Maximus, e di Caracalla e Geta93. Dunque la posizione nemica della Parthia rientrava nella prospettiva romana di problemi e affari persici. Nella pendice sud-est dell’Arx Capitolina prossima alla chiesa di S. Maria Aracoeli si sono rinvenute tracce di una grotta mithraica nota come «lo Perso», toponimo romanesco (XV-XVI secolo). Il relativo bassorilievo di Mithra tauroctono, acquistato da Scipione Borghese (1625), fu restaurato in maniera pesante dall’architetto Van Santen e inserito nella decorazione esterna del Casino (Villa) Borghese, lo stesso anno. Il bassorilievo fu venduto a Napoleone Bonaparte (1806) e messo nel Musée Napoléon, ora Louvre94. Si sono rinvenute in un altro mitreo iscrizioni di Nonius Victor pater patrum e Aurelius Victor Augentius pater (358 d.C.), dove si definiscono persica le cerimonie di promozione al V grado della gerarchia mithraica95. Nei giardini retrostanti palazzo Barberini sito sul colle Quirinale si è scoperto (1936) un mitreo che era ubicato in strutture sotterranee di un ninfeo. Il grande affresco sul muro di fondo costituisce un monumento cultuale di riferimento astrologico e mitico. Il pannello centrale mostra il Mithra tauroctono. Le sue imprese precedenti e accessorie, come Arciere, Atlante e altro, figurano in riquadri laterali, che sono disposti a registri orizzontali su due colonne. Nel complesso si rappresentano i tre cicli della cosmogonia di Mithra: nascita, lotta con il toro e transitus dei, perciò riconciliazione con Helios-Sol, apoteosi e sodalizio conclusivo96. In topografia romana il rapporto di contiguità tra edifici di culto cristiano e siti di mitrei concerne alcuni casi sporadici. Non sembra consistente un nesso tra tipo di chiesa e presenza mithraista riguardo al gruppo di quattro basiliche sorte sopra l’area di un mithraeum: San Clemente (titulus Clementi), San Lorenzo in Damaso (titulus Damasi), Santa Prisca (titulus Priscae) e Santo Stefano Rotondo, chiesa devozionale eretta presso i castra peregrinorum. In un secondo gruppo, che comprende sedici chiese di diverse categorie (diaconia, edificio devozionale, titulus, martyrium), «la 93 Vermaseren 1956-1960: I, 174, n° 407; J. Calzini Gysens, «Mithra, Antrum (Horti Sallustiani; Reg. VI)»: LTUR 3, 264. 94 Vermaseren 1956-1960: I, 176, n° 414; J. Calzini Gysens, «Mithra (Arx; Reg. VIII)»: LTUR 3, 265-266; Gordon 2009: 439, fig. 4. 95 Vermaseren 1956-1960: I, 172, n° 401; J. Calzini Gysens, «Mithra (M. degli Olympii, S. Silvestro in Capite; Reg. VI)»: LTUR 3, 264-265. 96 J. Calzini Gysens, «Mithra (Palazzo Barberini; Reg. VI)»: LTUR 3, 263-264, 476-477, fig. 176-177.
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prossimità di una memoria mitriaca deve considerarsi, fino a prova contraria, accidentale»97. Nell’area sotterranea interessata dall’abside della basilica paleocristiana di S. Clemente, sita su una pendice del colle Celio, fu scavato (tra 1857 e 1870) un santuario mithraico costruito (seconda metà del II secolo / prima metà del III secolo) al livello inferiore di un precedente edificio in laterizio (90-96 d.C.). Due ambienti, detti l’anticamera e la scuola mithraiche, sono attigue al mitreo, che ha la nicchia di fondo per la statua di culto e la volta decorata con fasce longitudinali musive e forata da un lucernario. Nel rilievo dell’ara marmorea Mithra giovane con una gestualità da lottatore sottomette il toro, che piega con il ginocchio sinistro, con la mano sinistra torce le froge e con la destra uccide, mentre il serpente e il cane accorrono al rivolo del sangue. Altri reperti sono una piccola statua di Mithra petrogenito e un busto del Sole. Il santuario mithraico, che era ancora attivo post 392, almeno sino all’inizio del V secolo, coesisteva con il luogo di culto cristiano forse in rapporto conflittuale durante un certo periodo. La relazione topografica tra il mitreo e il titulus Clementi non pare pertanto casuale98. Nell’area che sta sotto e dietro l’abside della basilica paleocristiana di S. Prisca, situata sul colle Aventino, fu scoperto (1934) e scavato (19521958) un mitreo costruito in camere sotterranee di una casa insigne verso la fine del II secolo d.C. Le due pareti laterali del mitreo furono decorate (c. 220 d.C.) con singolari pitture e iscrizioni metriche, ora deteriorate, che rappresentano i sette gradi iniziatici dei mithraisti e loro inni rituali. Sulla parete destra sfila in processione la gerarchia sacerdotale, distinta con le qualifiche dei singoli gradi: Pater, Heliodromus, «NAMA PERSIS TVTELA LVNAE», Leo, Miles, Nymphus e Corax. Il Perses, che veste il manto ocra e una tunica ornata da linee bruna e blu, recava una lunga verga nella mano sinistra, perduta. Sullo strato inferiore della parete sinistra il Perses, che reca spighe di grano nella mano sinistra, veste una tunica di color oliva con striature di porpora. Il mitreo fu distrutto (c. 400 d.C.) da un intervento cristiano99. Da questo stesso mitreo proviene il pannello residuo in opus sectile (c. primo trentennio del III secolo) che figura con tarsie di marmi policromi una vivace testa della divinità Helios-Sol. Si ritiene che essa derivi dal modello iconografico ideale di Alessandro Magno, opera dello sculto97 Testini
1979. 1932: 66-81, figg. 18-26; Vermaseren 1956-1960: I, 156-159, reperti n° 338348; I. Della Giovampaola, «Mithra (s. Clemens; Reg. II)»: LTUR 3, 257-259. 99 Vermaseren 1956-1960: I, 193-201, reperti n° 476-500; Vermaseren – van Essen 1965: 156-158; Bianchi 1979: 885-914, tav. I-XII; M. Andreussi, «Mithra (s. Prisca; Reg. XIII)»: LTUR 3, 268-269. 98 Junyent
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re Lisippo100. Una singolare retrospettiva si riscontra nel complesso degli affreschi eseguiti (c. 1235-1245) per committenza del cardinale Stefano Conti nell’Aula gotica situata al primo piano della torre del Monastero dei SS. Quattro Coronati. Sulla parete occidentale dell’Aula, campata nord, secondo registro, fu dipinto un giovane Mithra tauroctono. Egli veste le brache bianche e una sciarpa svolazzante per mantello mentre con gesto di lottatore balza con il ginocchio sul fianco del toro poderoso, tirato per un orecchio e colpito con il coltello sul naso101. Come era possibile che in Roma e province del suo impero si venerasse Mithra, una divinità che in definitiva poteva attenere a un paese tanto nemico, la Parthia arsacide prima e la Persia sasanide poi? La marcata diversità di funzione e immagine che Mithra aveva in quel paese stabilisce sul piano ideologico una larga distanza che esclude un nesso o intreccio particolare con il mithraismo romano. Secondo una valutazione opposta, vari imperatori avevano posto «al centro della religiosità di Roma il dio persiano» Mithra. Questo culto avrebbe avuto legami strettissimi con la funzione, la familia e le legioni dell’imperatore. Il mithraismo sarebbe stato il modo rituale romano di esprimere la lealtà verso l’imperatore per attirare anzitutto su di lui la benevolenza di Mithra102. F. Cumont spiegava il mithraismo romano come religione «orientale» importata via Asia Minore. Tale tesi viene contestata per la contrapposizione di fatti documentari mancanti: a) «no Mithraic epigraphy from Anatolia»; b) «there is nothing distinctively “oriental” about Mithraic iconography»; c) «there are no priests in the west calling themselves magi and claiming a legitimating link with some religious centre, the Persian equivalent of Memphis, Pessinus, Palmyra or Doliche». L’assenza di tali elementi basilari ha indotto numerosi studiosi contemporanei ad arguire che il culto mithraista «had been created at Rome, or Ostia, on the basis of fragmentary or mediated knowledge of Iranian religion»103. Il culto romano contemplava Mithra forse per rivendicarne la nascita e la carriera, l’evoluzione delle gesta, il roteare come il Sole, con una segreta motivazione di fondamento marziale. Un centro topografico di ordine militare stava sul colle Celio, dove si trovavano parecchi mitrei, oltre a quello sotto la basilica di San Clemente e uno più importante sito nei castra peregrina. Molto materiale mitriaco rinvenuto in Roma poteva appartenere a vari edifici d’impianto militare, come Castra Equitum Singularium, Castra 100 Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme, inv. 258548; Bisconti – Gentili 2007: 108-109 (scheda di M. Fortini). 101 Draghi 2006: 35, 81, 320-321, 324, fig. 27 e 246. 102 Mastrocinque 2009: 172, 175, 178. 103 Gordon 2009: 389-390.
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Praetoria, Statio Vigilum104. Con certezza archeologica rappresenta questa categoria il mitreo ampio dei Castra Peregrinorum, scavato (1973-1975) nel sottosuolo adiacente a Santo Stefano Rotondo, la immane chiesa romana di pianta circolare. Questo mitreo fu costruito (c. 180 d.C.) come un ambiente di edificio adattato a santuario, poi ricostruito e ampliato (c. fine del III secolo). Era ricco di materiale e attività sin quando fu distrutto (c. fine del IV secolo). In una nicchia sopra l’ara stava (fase I) un altorilievo in stucco policromo di Mithra tautoctono, di cui si conserva la testa a grandezza naturale che ha la superficie del viso dorata. Restano frammenti di un rilievo marmoreo policromo (fase II) dove Mithra, un giovane che veste berretto frigio, mantello, tunica manicata e sarabala, affonda il coltello triangolare nel corpo del toro. Lo colpisce come un lottatore, con il ginocchio che spinge sulla groppa e con la mano sinistra che stringe le froge. Una statua marmorea policroma dedicata con epigrafe da Aurelius Bassinus rappresenta un adolescente nudo, erto nella roccia e armato di coltello: il Mithra petrogenito. In una piccola statua diversa egli è un bambino che esce dalla roccia e veste un mantelletto105. La caserma sita in regio II, Coelimontium, costituiva i castra peregrina e svolgeva una funzione centrale nel sistema urbano del servizio di informazione e sicurezza: lo «spionaggio militare». In tale caserma alloggiavano i comandanti del servizio e convenivano i militi speculatores o exploratores, agenti «che erano addetti al compito di reperire informazioni e svolgere incarichi riservati»106. Il culto di Mithra deus invictus poteva dunque essere praticato dai militi per ingraziarsi l’influsso della divinità invitta in modo da esorcizzare la gente nemica e augurare la vittoria romana su paesi riottosi, quale anche Parthia e Persia. Il sacrificio del toro poteva essere un atto che addestrava il milite giovane nel contrasto dell’insidia, preconizzava l’uccisione di gente nemica e inoltre ammoniva circa la sorte dell’agente spia o intimava l’eliminazione del traditore della milizia. La Persia sasanide, che aveva spiantato il regno dei Parthi, filoellenici in certi campi, come la loro numismatica, ricostituiva nel paese le basi dello zoroastrismo, incluso il volume dell’Avesta, la sua scritturazione e relativa ermeneutica. Ma il movimento religioso fondato da Mani nativo di Babilonia (216), dove era emigrato suo padre Pâtik di nobile famiglia parthica, era una riforma internazionale di zoroastrismo, cristianesimo 104 J.
Calzini Gysens, «Mithra (Vigne Altieri e Maragozzi; Reg. II); Mithra (Via Passalacqua 20; Reg. II); Mithra (Ospedale di San Giovanni sul Celio; Reg. V)»: LTUR 3, 259-260, 261-262. 105 Lissi Caronna 1986: 12-14, 29-34, tav. I-XLII; E. Lissi Caronna, «Castra Peregrina»: LTUR 1, 249-251, 446 fig. 144. 106 Liberati – Silverio 2010: 57-62, 101-111.
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e buddhismo in veste scritturale, pittorica e multilingue, la quale poneva un nuovo problema. Mani divenne «il pittore di Cina» in tradizione letteraria persiana. Infine, per riaffermare la fede zoroastoriana nel paese, il re sasanide Wahrâm II condannò al supplizio atroce Mani (Bêth-Lapat / Gundêšâbuhr, Susiana, c. 277), che predicava la sua religione riformatrice, eretica nei confronti di zoroastrismo e cristianesimo, sincretista rispetto al buddhismo e gnostica per spirito. I seguaci di Mani, perseguitati in regno di Persia, trasmigrarono presto altrove e posero una rete missionaria in province dell’impero romano107. La Chronographia di Johannes Malala riferisce che Bundos manicheo si era insediato in Roma come docente al tempo di Diocleziano (c. 295). Bundos propagandava una propria versione della dottrina manichea, i cui seguaci erano definiti Daristhenoi quali «credenti nel Dio buono», combattivo vincitore del maligno. Il nome Bundos pare un qualificativo, collegabile a mediopers. bundag / buvandag «perfetto, completo». Ma Diocleziano promulgò (Alessandria d’Egitto, 31 marzo 297) un editto di condanna e repressione dei manichei, in quanto sospetti agenti della Persia, nemica acerrima di Roma108. Diocleziano inviò a Giuliano proconsole in Africa il rescritto che rappresenta la costituzione contro i manichei e la linea politica adottata dall’imperatore anche nella sua persecuzione anticristiana come misure repressive sul piano internazionale e di polizia interna. I manichei attivi in Egitto, nella provincia d’Africa e altre dell’impero erano accusati di tramarvi insurrezioni, quali emissari occulti di Narsê re sasanide di Persia. D’altronde essi erano omologati ai mathematici, una sorta insidiosa di astrologi e maghi, nella costituzione di Diocleziano, che dichiara la comunità manichea Persica adversaria nobis gens. La propaganda dottrinale dei gruppi manichei veniva vietata e repressa in quanto inlicita religio, pericolosa per l’ordine pubblico, la pax romana e l’assetto dello Stato, fondato sulla prerogativa divina dell’imperatore109. Intanto, ottenuta dal re sasanide Vararanes (Wahrâm) II la restituzione di una parte dell’Armenia, Diocleziano era stato acclamato Persicus Maximus (288). Galerio fu insignito di questo epiteto e chiamato anche Medicus Maximus per una vittoria sul re Narsê in Armenia, la cattura della sua famiglia e la pace statuita in Media (294). Nel trionfo di Diocleziano con Massimiano celebrato in Roma (20 novembre 303) erano esibite una pre-
107 Klimkeit 108 PG
1982: 4-13; Piemontese 1995. 97, 65-66; Gignoux 1986: 60-61; Lieu 1994: 130-131; Gardner – Lieu 2004: 116-
117. 109 Volterra
1966.
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ziosa preda persica e l’immagine della famiglia di Narsê, forse un corteo di figuranti principi e dame di Persia110. Il restauro di un mitreo a Carnuntum, città di Carinthia in Pannonia Superior, reca una famosa iscrizione dedicatoria di Diocleziano a nome dei Tetrarchi (308) che qualificano Mithra, come dio solare invitto, protettore del loro potere: D(eo) S(oli) I(nvicto) M(ithrae) fautori imperii sui111. Questo altare mithraico dei Tetrarchi (307) era inteso come una parte integrale della cultura religiosa pagana e una componente del «private military group-religion». Sembra verosimile che il mithraismo era già trasferito da culto privato in contesti militari (seconda metà del II secolo)112. Non appare chiaro se con tale dedica di Diocleziano i Tetrarchi, allora detentori del potere politico, intendessero affermare il progetto o un desiderio di instaturare il mithraismo a principale sostegno ideologico dell’impero romano. Questo non poteva diventare mithraista, poiché il culto pubblico di Sol Invictus sovrastava la religione di Mithra, rispetto a cui aveva un fattore di precedenza e un legame tenue. In evoluzione geopolitica del potere storico, la svolta cristiana avvenuta con la conversione di Costantino decise il nuovo rango della religione ufficiale nell’impero romano113. Secondo una diversa impostazione, sia la titolatura cultuale, sia la formula dedicatoria «deus sol invictus mithras» (sic, per Mithra) significava che questo «is a god, is the sun, is unconquered, is mihtras», potente nella sua religione, definita un sottosistema nel paganesimo greco-romano114. Invictus si trova occasionalmente attestato come un epiteto di Marte e di Ercole, il dio della guerra e il mitico eroe combattivo, ma è associato a Mithra in modo primario. Nelle dedicazioni votive solo due ufficiali dell’esercito romano invocano Sol Invictus Mithra, e altri militari Sol Invictus / Deus Sol Invictus Mithra / Invictus Mithra Nabarze115. Nabarze, gr. Nabarzes, epiteto iranico di Mithra che sarebbe da trascrivere Nabarza, viene tradotto «invincibile», equivalente di lat. invictus che significherebbe insuperablis: pers. «na-barz-», letteralmente «in-super-»116. Ma neopers. arcaico e classico, na-barz, imperativo: «(tu) non seminare» o «non perseverare», «consentire», «praticare», verbo barzîdan; barziš «pratica», barz > barza «semenza»117. Forse, nome verbale di agente: *nâ-barze 110 Barini
1952: 156-158, 188. III, 4413; Vermaseren 1956-1960: II, 219, n° 1698. 112 Gordon 2009: 421. 113 Alvar 2008: 202-203. 114 Beck 2006: 5, 28-30, 71-72. 115 Gordon 2009: 409, 431. 116 Widengren 1968: 254-255. 117 Steingass 1892: 174; Lazard 1963: 140. 111 CIL
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«impraticante». La questione può porsi in altri termini. Mithra, neopers. mihr > mehr «Sole» e «amore, affetto» in linguaggio aulico e poetico; nome botanico mihr-giyâh «il girasole» e «mandragora» (giyâh «pianta»)118. Deus Sol Invictus è cosa romana, e Mithra una entità iranica attratta nell’orbita del divino Sole di Roma per auspicio militare in rito misterico. Un certo tipo di magi persiani, che sembrano zoroastriani e pratici di medicina, compare nella celebre leggenda di papa Silvestro (314-335), cui si attribuisce la guarigione di Costantino imperatore dalla lebbra, la sua conversione e il battesimo. La propagazione del cristianesimo conseguente alla conversione di Costantino (c. 313 / 314) inasprì la rivalità dell’impero romano con la Persia sasanide sul fronte vicino-asiatico. Il principe Hormisda, imprigionato dal fratello re Šâbuhr II evase, espatriando come profugo presso Costantino (324). Poi il principe esule, «regolis Ormisda», viene a Roma, che visita in compagnia di Costanzo II, figlio e successore di Costantino (357). Intervistato nel Foro Traiano, il principe Hormisda dichiarò che l’urbe gli piaceva molto, tanto che anche lì il destino degli uomini era la morte: «Is ipse interrogatus quid de Roma sentiret, id tantum sibi placuisse aiebat, quod didicisse ibi quoque homines mori»119. Come già i re sasanidi Ohrmazd I (c. 272-273), protettore di Mani, e Ohrmazd II (302-309), il principe espatriato Ohrmazd / Hormizd portava un suggestivo e ambizioso nome dinastico. Ohrmazd è l’epiteto zoroastriano di Dio in lingua mediopersiana, in avestica Ahura Mazda. Costantino aveva importato da una moda parthica e introdotto (307) l’uso imperiale della galea gemmata, un elmo-diadema speciale120. L’imperatore Costantino raccomandava invano l’antica comunità cristiana di Persia al re Šâbuhr II (324). Al motivo strategico di confine, segnato dalla inimicizia dei Parthi Arsacidi, si aggiunse un fattore politico di contrasto sul piano religioso. Respinta l’ambasceria sasanide a Costantinopoli (336), Costantino nomina Hannibalianus rex regum per spregio, con la pretesa di esautorare Šâbuhr II, poi si accinge a muovere guerra contro il paese nemico ma l’imperatore decede presso Nicomedia (22 maggio 337). Secondo una interpretazione storiografica, Costantino ricevette il battesimo quando era morente. Per reazione Šâbuhr II comincia (340) e intensifica la politica della persecuzione anticristiana nel territorio di dominio sasanide121. L’Actus Silvestri racconta, tra le imprese di questo papa, le capacità taumaturgiche mostrate nel confronto con i magi persiani, sorta di me118 Steingass
1892: 1353, 1354. 16, 10, 16-17; 26, 8, 12; Mosig-Walburg 2000. 120 Bianchi – Munzi 2006. 121 Daniele 1938: 167-169, 214; Barnes 1985; Dodgeon – Lieu 1991; Poggi 2003; Amerise 2005: 14-15, 33-34, 39, 89-90, 123-133. 119 Amm.
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dici, inoltre nella disputa dottrinale e rituale con dodici dottori giudei. La Disputatio cum Iudaeis occupa due terzi del testo. Cyrinus era il maestro di Silvestro, che per prima impresa leggendaria ammansì il drago che infestava la città di epidemia pestilenziale nella caverna del monte Tarpeio, connessa alle funzioni delle Vestali. Il sottosuolo del Tempio di Vesta costituiva una sorta di Infernus nel Foro Romano122. Il sito della caverna era detto «lo Perso» in romanesco123. Tratti della leggenda di Silvestro tramite mediazione siriaca sono pervenuti nel romanzo medievale persiano di Alessandro e in libri arabi analoghi. Il nome stesso di Silvester, e Silvanus, pare riflesso in ar. Xizr «il Verde», sorta di guida salvifica, che il conquistatore Macedone incontra invano in tale romanzo persiano e nella tradizione islamica124. Circa la prova del consulto medico per guarire Costantino, l’Actus riferisce la superiorità di Silvestro, la impotenza di stregoni italici e dei prestigiosi magi provenienti dalla Persia. Redazione B1: «Huic magi, arioles, incantatores Marsici; medici etiam ex Persida adducti artifices dum nulla possent ratione mederi». Redazione B2: Huic cum diversa magorum et medicorum et ariolorum, incantatorum agmina subvenire non possent, medici etiam ex Perside adducti dum nulla possent reddere medendi rationem125.
Altercatio XII, la disputa finale tra Silvestro e i dottori giudei, tra cui il presbitero Zambri, verte come prova decisiva su una gara dei miracoli. Sicuro di vincerla, l’ultimo disputante Zambri magus sussurra il grande nome ebraico ineffabile di Dio nell’orecchio del toro, che così cadde morto a terra. Ma vince Silvestro, che rianima il toro nel nome di Gesù Cristo. Un passo della Storia Giudaica di Artabanus, giudeo alessandrino (II secolo a.C.), riguarda la pronuncia del nome divino nell’orecchio del toro. Il Dialogo sulla religione alla corte dei Sasanidi (V secolo) riprende l’aspetto miracolistico della disputa126. L’atto di togliere la vita al toro con la parola, che addormenta, come rito contrasta la tauroctonia, il sanguinoso sacrificio mithraico. L’atto pietoso di ridonare la vita al toro rovesciava in senso simbolico la tauroctonia di Mithra. Zambri, nome biblico, ha la forma greca Ἰαμβρῆς. Eusebio di Cesarea e Clemente d’Alessandria citano Artabanus nella forma greca del suo nome 122 Loenertz
1975; Pohlkamp 1983; Aiello 1992; Santangeli Valenzani 2007. 1, CXI, nota 1. 124 Casari 2003. 125 Levison 1924: 194; Schilling 2008: 190-198. 126 Canella 2006: XX, 182, 255-259, 262-263. 123 LP
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Ἀρταπάνης127. Questo autore Artabanus pare di stirpe giudeo-iranica. Re e principi arsadici portavano sovente lo stesso nome irano-parthico. La cosiddetta Disputa religiosa alla corte Sasanide, testo greco, reca anche una variante della leggenda dei tre Magi, desunta dalla Storia Cristiana greca di Filippo di Side (ante 430). Mithrobádês re di Persia, avente un nome iranico di referenza mithraica, convoca tutti i sapienti del regno, magi, per interpretare il miracolo della stella apparsa nelle squarciature di un tempio di Hera eretto da re Ciro, e decide d’inviare sulla via tracciata dalla stella i tre Magi offerenti i regi doni canonici al nascituro bambino Salvatore128. In un dipinto parietale della cosiddetta Domus Faustae, la Domus del Laterano costruita per committenza del tetrarca Massenzio agli esordi del IV secolo, si ravvisa Costantino quale nobile milite astato che sembra dominare il drago. La megalografia costantiniana posta sulla sommità del protiro nel Palazzo imperiale di Costantinopoli e riferita nella cronaca di Eusebio da Cesarea, rappresentava Costantino che, recante il signum salutis sul capo, colpisce con l’arma triplice asta-labarum-chrismon il drago «che si aggira negli abissi» ma colto «ai suoi piedi, trafitto da una lancia a metà del tronco e ricacciato nella profondità del mare»129. L’episodio Silvestro lega il drago si distingue nel frammento dell’affresco sulla parete nord della basilica inferiore di S. Crisogono, dove durante il pontificato di Gregorio VII (1073-1085) fu dipinta «La Storia di S. Silvestro», ora assai deteriorata130. Il drago era sguinzagliato da magi zoroastriani rivali degli apostoli Matteo, Simone e Giuda in imprese che sono loro ascritte, come il battesimo del re parthico131. L’insediamento di propagandisti manichei in Roma perdurò, malgrado le periodiche espulsioni e repressioni reiterate da editti imperiali (372, 389, 429). Agostino frequenta la comunità manichea in Roma (383-384) ma la ripudia presto. Constantius auditore manicheo procurava di allestire nella città un ostello o monastero dei confratelli electi mendicanti (c. 384-388). Secundinus manicheo scrisse da Roma (c. 405) ad Agostino un questionario dottrinale. La documentazione sul clero manicheo presente nella città rimane scarsa132. I papi Leone I (443), Gelasio I (492) e Hormisda (523) decretarono analoghi bandi antimanichei. Si eseguivano la scoperta di clandestini, la deportazione di gruppo e il rogo rituale dei libri loro confiscati. Gelasius es127 PL
8, 899-900; PL 21, 726-727.
128 Monneret de Villard 1952: 108-109. 129 Bisconti 2006, Tafel 29, fig. 1; Farbtafel
5, fig. 6-7. 2007: 250, 253-254, 263. 131 Vedi anche III.2. 132 Decret 1995: 212-224; Gardner – Lieu 2004: 134, 136. 130 Mazzocchi
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sendo pontefice: «inventi sunt Manichei in urbe Roma quo exilio deportari praecepit, quorum codices ante fores basilicae sanctae Mariae incendio concremavit». Hormisdas: «Hic invenit Manicheos, quos etiam discussit cum examinatione plagarum, exilio deportavit; quorum codices ante fores basilicae Constantiniae incendio concremavit». Hormisda, il papa che porta un nome persiano, sradicava la pianta manichea allignante in Roma133. Considerato tanto andirivieni, non pare inutile ricordare l’esistenza di un curioso reperto che riguarda l’emblema mitico romano, quale la insigne Lupa capitolina (V secolo a.C.) e la Lupa con i due gemelli situata nel Lupercale del Palatino (III secolo a.C.). Per vie incognite, forse il veicolo della figurazione numismatica, l’emblema romano compare in area iranica a Bundàikat, capitale della provincia di Ustrušana / Ušrusana, tra i fiumi Sughd e Yaxartes in antica Sogdiana, attuale Tagikistan. Sulla parete di un corridoio a fronte del palazzo principesco di Bundàikat fu scoperto (1956) un affresco che sembra databile tra VII e IX secolo. Qui la Lupa, che ritta sulle zampe forma una capanna, volge a destra la testa con la bocca digrignante mentre i due gemelli lattanti stanno uno comodo seduto al suolo e l’altro teso che vi piega un ginocchio134. 3. I tre magi offerenti e la città del giglio La tradizione classica reputava fondatore della magia, sapiente astrologo e maestro dei magi Zoroastro, il cui nome secondo Dinone significava «l’adorante la stella»135. La stella, e una sua favilla cadente, come cometa fulgente poteva apparire una sorta di divina luce fisiognomica, per l’effigie che ostentava in specie umana: «Fit et candidus cometes, argenteo crine ita refulgens, ut vix contueri liceat, specieque humana dei effigiem in se ostendens». Si presenta anche una bianca cometa, la chioma argentea così splendente che a stento si può guardarla, e mostrante sotto sembianza umana una immagine di dio136. I magi di Persia presagivano la sorte dei re autoctoni e stranieri d’Asia osservando la favilla volatile del fuoco come segno augurale. «Feruntque, si iustum est credi, etiam ignem, caelitus lapsum, apud se sempiternis foculis custodiri, cuius portionem exiguam ut faustam praeisse quondam Asiaticis regibus dicunt». Si riferisce, se è giusto credere, che essi custodiscono an133 LP
1, 255, 270-271; Dufourq 1900: 336-343; Tardieu 2008: 91, 93-94. 1978: I, 186, 296, nota 239 bis; II, 149, fig. 86; Silvi Antonini 1993: 124; 71, fig. 90; cfr. Le Strange 1905: 474-475. 135 Diog. Laer. 1, 8. 136 Plin. nat. 2, 90. 134 Dulière
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che presso di sé, su bracieri perpetui, un fuoco, di cui una porzione esigua, dicono, già precedesse come fausta i re Asiatici137. Quindi i magi, ossia alcuni sacerdoti, veggenti e medici zoroastriani, agivano anche quali componenti di delegazioni diplomatiche inviate all’estero per constatarvi la fisionomia del principe, accertarne l’autorità e inoltre suggestionarlo. Lucio Cornelio Silla, inviato dal Senato per rimettere il protetto Ariobarzanes sul trono di Armenia, fu vittorioso in campagna transmarina. Allora Silla, primo fra tutti i romani, riceve «legati Parthorum», guidati presso l’Eufrate da Orobazo, ambasciatore del re arsacide Mithridates II (c. 90 a.C.). Alcuni magi membri di questa missione parthica predicevano a Silla «ex notis corporis» la sua vita celeste e la memoria futura138. Alcuni magi accompagnavano la missione di Tiridates re arsacide di Armenia che, per essere dichiarato tale, si recò a Roma per ricevere da Nerone imperatore il diadema dell’investitura (66 d.C.). Nerone impose il diadema a Tiridates presso i Rostra e gli mostrò in visita il Teatro di Pompeo ricoperto d’oro. In cambio delle cortesie Tiridates tornava in patria portando con sé molti artigiani romani. Nerone chiuse le porte del Tempio di Giano, per segnare la fine della guerra contro la Parthia e inaugurare un periodo di pace139. Tiridates «Magos secum adduxerat, magicis etiam cenis eum initiaverat». Allora Nerone si compiace di essere iniziato al mistero di arti magiche persiane dai Magi che gli aveva presentato Tiridates. Tale rito di tipo esoterico parrebbe anche da connettere alle cene nei misteri di Mithra140. Nel discorso di ossequio Tiridates avrebbe dichiarato a Nerone: «Io sono discendente di Arsaces, fratello dei re Vologaesus e Pacorus, e tuo schiavo. Io sono venuto da te, mio dio, per adorarti come io adoro Mithra»141. La storia leggendaria dei tre Magi evangelici si situa all’epoca che coinvolge anzitutto tre regni: Giudea, Roma e Persia. Giova riassumere un attimo quanto già esposto circa le gesta di Augusto e riguarda l’acme dinastico nel regno di Persia intorno all’anno zero dell’era cristiana. Phraates IV arsacide, un patricida, regicida e fratricida, regnava (c. 37-2 a.C.) con la sposa Thea Musa, schiava italica donatagli da Augusto. Il principe Phraates, ostaggio in Roma e autorizzato a rientrare in patria, diventa Phraates V, patricida, regicida e marito incestuoso della regina Thea Musa sua madre, 137 Amm.
23, 6, 34. 3, 24, 3; Plut. Sylla 5, 3-6; Lerouge 2007: 44-49, 333-336. 139 Tac. ann. 15, 24 e 29; Plin. nat. 33, 16, 54; Svet. Nero 13; Dio Cass. 52, 23; 53, 1-6; Levi 1949: 206-208; Cagé 1968: 110-113. 140 Plin. nat. 30, 6, 16-17; Cumont 1933; Garosi 1976: 23-26, 84. 141 Dio Cass. 62, 5, 2. 138 Vell.
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carpisce la corona e il trono, regna (c. 2 a.C.-4 d. C.) e cade per un’altra crisi intestina. Augusto non riconobbe a Phraates V il titolo di rex regum, il Re dei Re142. Due erano i re, Augusto imperatore e Phraates IV, protagonisti nel confronto euro-asiatico, e il terzo chi disse «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio» (Mt 22, 21), e fu detto Gesù Nazareno Re dei Giudei (Mt 27, 11 e 37). I magi di Persia erano tradizionali scrutatori di fuoco, stella e alone, segnali utili per determinare l’investitura del designato nella monarchia autoctona. Allora i magi cercavano forse supplici una via sanatrice per la patria legittimità regia, scossa da colpo di Stato, se tre di loro andarono in ambasceria donatrice presso il neonato Gesù e sua madre Maria. Vista apparire la stella in Oriente, i Magi vennero a cercare e venerare il Natale del Re dei Giudei (Mt 2, 1-12). Alcuni autori patristici, Epifane, Giustino, Tertulliano, credono Arabi i magi evangelici. Giovanni Crysologo e Teodoto d’Ancyra, altri patristi, considerano Caldei i magi. Cirillo Alessandrino riferisce su un passo biblico (Isaia 4, 4) che Arabia era una designazione della Persia, nel cui regno stava allora la provincia arabica. Basilio santo vescovo di Cesarea definisce (ante 379) magi l’etnia persica: ethnos Persikòn oi mágoi. In maggioranza patristica, Atanasio, Cirillo e Clemente Alessandrini, Diodoro vescovo di Tarso, Efrem, Eutimio, Gerolamo, Giovanni Crisostomo, Niceforo, Origene e Teofilatto reputano Persici e Sapientes Persarum i Magi offerenti i doni a Gesù e Maria. Tito Flavio Clemente detto Alessandrino (c. 200), perseguitato da Settimio Severo imperatore, e altri scrittori paleocristiani trasmettono la tradizione della profezia di Zoroastro relativa al Natale del Redentore. Teofilatto e papa Leone I, nel proprio sermone inaugurale dell’Epifania (440), definiscono Tre e qualificano Re i Magi evangelici143. L’Opus imperfectum in Matthaeum narra che 12 magi zelanti attendevano, in un triduo annuale di ritiro sul Mons Victorialis, l’apparizione della stella preannunciata dal Libro di Seth. Vista la stella, i magi scelti si recano in Giudea. Al ritorno del viaggio, durato due anni, essi predicano la nascita di un Salvatore. La loro missione è congiunta a quella apostolica di Tomaso, che li battezza in territorio iranico. L’Opus imperfectum è interrelato alla tradizione siriaca che riguarda i magi evangelici: la Caverna dei Tesori, già attribuita alla scuola di Ephrem, risalente forse a un nucleo antico (II secolo) e basata su una redazione mesopotamica (fine V-principio VI secolo), inoltre la Cronaca di Zuqnîn (VIII secolo). In commentario Κ‘ôdâdh 142 Fl. Ios. ant. iud. 18, 39-43; Monneret de Villard 1952: 15; Widengren 1968: 235243; Dabrowa 1987; 1989. 143 PG 3, 877-878; 8, 777-778; 57, 63-68, 73-78, 83-84; 103, 877-888; Crombach 1654: I, 173-174, 197-199, 205-206.
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di Marv vescovo di Hedhattha (c. 850) situa l’apparizione della stella in Persia e denonima Pîršâpûr il Re dei Persiani che inviò in ambasciata presso Gesù i magi, tre principi reali e nove aristocratici; pers. pîr «anziano» (lat. senior), onomastico Šâbuhr > Šâpûr, lat. Sapores (Pîr Šâpûr «Šâpûr il vecchio» o Pîr-e Šâpûr «il vecchio di Šâpûr»). Zoroastro aveva promesso l’avvento di Saošyant, il salvatore o profeta redentore nato da una vergine in dottrina zorostriana Il Saošyant veniva identificato con Cristo in tradizione cristiana, verso il II secolo ineunte144. Oltre all’Opus imperfectum, basato sul Libro di Seth, la leggenda dei tre magi evangelici viene trasmessa soprattutto per tale trafila letteraria siriaca, che è contigua al territorio della Chiesa siro-orientale di Persia. Salomon di Basra riprende la versione del preannuncio dell’avvento di Cristo attribuito a Zoroastro, che identifica con lo scriba Baruch. I resti di due magi sarebbero stati conservati nella chiesa siro-orientale di Mart Maryam (la Vergine Maria), sita presso Urmya, zona azerbaigiana che in epoca antica era legata al culto mazdaico e connessa a Šîz. Una corrente iranistica moderna tende a identificare il Mons Victorialis, citato nell’Opus imperfectum in Matthaeum, e il Monte Nûd, citato nella Caverna dei Tesori, con il Kuh-e Khwâgé tradotto «il Monte del Signore», nome moderno di un antico sito archeologico in Sistan, Iran sud-orientale. Ma il termine pers. khwâgé significa «padrone», mercante e signore di terre, beni, schiavi / khodâvand «signore, Signore», khodâ «signore, dio, Dio»145. Il nome Nûd può riflettere pers. nûd / nuda > nudé «figlio amatissimo, bimbo prediletto», che è attestato (ante 980) in un verso frammentario del poeta epico Daqiqi: Ay sar-e âzâdegân o tâj-e bozorgân ~ šam‘-e jahân o çerâgh-e dudé o nudé «Tu, capo dei liberi, corona dei grandi – cero del mondo, lampada della famiglia, il bambinello»146. Secondo una tradizione il luogo nativo di Zoroastro sarebbe la lacustre Urmya oppure Šîz, il sito templare e palaziale, chiamato poi Takht-e Soleymân «Il Trono di Salomone», presso una sorgente del Safid rud «Il fiume Bianco». Un laghetto rotondo allieta Šîz, che sta in Media Atropatene, la regione dei pirei, i templi zoroastriani del fuoco per eccellenza147. Âtur «Fuoco» era una divinità venerata in religione iranica antica, antecedente la riforma di Zoroastro e il libro sacro Avesta. Il culto del fuoco, che era anche un segnale di regalità, si manifestava nei templi zoroastriani, sovente di fondazione regia. Autori latini notavano la venerazione persiana 144 Messina 1933: 56-57; Monneret de Villard 1952: 20-68; Jullien – Gignoux 2009; Panaino 2012. 145 Jullien – Jullien 2002: 111-117. 146 Piemontese 2006c: 586. 147 Le Strange 1905: 223-224; Monneret de Villard 1952: 1-16, 69-83, 90-146.
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del «fuoco (ignis)» come una caratteristica del paese148. L’elemento ignis aveva una valenza sacra anche in zona latina arcaica. In Roma una sacra istituzione edile formava il tempio di Vesta, accudito dalle Vestali. Almeno dal tempo dei re Romolo e Numa, brilla ignem illum Vestae sempiternum nella sua aedes rotunda149. In Media Atropatene, attuale Azerbaigian, e in altre zone di Persia, si trova radente il suolo e sgorga naft «la nafta», una specie di fuoco. Similis est natura naphtae. Ita appellatur circa Babyloniem et in Austacenis Parthiae profluens bituminis liquidi modo. Huic magna cognatio ignium, transiliuntque in eam protinus undecumque visam. Ita ferunt a Medeam paelicem crematam, postquam sacrificatura ad aras accesserat, corona igne rapto. Simile al fuoco è la natura della nafta. Così la si chiama presso Babilonia e gli Austaceni in Parthia, sgorgando come il bitume liquido. Ha una grande affinità con il fuoco, che d’improvviso le balza sopra, dovunque la scorga. Così, si narra, Medea bruciò la sua rivale, che si era avvicinata all’altare per offrire un sacrificio, quando la sua corona prese fuoco150.
La fiamma improvvisa era il segnale di un discrimine della regalità. Jordan Catala, missionario domenicano che viaggia in Persia (ante 1320) e risiede in Avignone pontificia (1329), registra tra le Mirabilia Descripta: De terrâ de Mogan, venerunt tres reges adorare Dominum. Et in quondam, ibidem, qui vocatur Bacu fondiuntur putei, undé extrahitur et hauritur oleum quoddam quod vocatur Naft; et est oleum caldissimum, atque medicinale, sed quod comburitur valdè benè. Dalla terra di Mughân [zona di Azerbaigian] vennero tre re ad adorare il Signore. Ivi, in un luogo chiamato Bâku sorgono pozzi da cui si estrae e si ricava un certo olio chiamato naft; è un olio caldissimo e medicinale che pure brucia molto bene.
La cosmografia di M. Hamadâni / Tusi Salmâni (c. 1160-1170), che attinge a fonti altomedievali, nel trattare la natura del fuoco reca l’unica versione persiana della leggenda dei Tre «Magi» (pers. Moghân). Due anacronistici re di Persia inviano ciascuno una rispettiva ambasciata a Gesù e a Maria per lo scambio rituale dei doni augurali. Re Ardašir (Artaserse) vede come un lampo sopravvenire una stella e, temendo che lo bruciasse, ne apprende però la causa: la nascita di Gesù, cui il re manda tre messi e in dono «il miele (angabin)». Per contraccambio di dono Gesù manda ad 148 Widengren
1968: 48-51, 145-146, 300-304. 2004: 85-89. 150 Plin. nat. 2, 235. 149 Martini
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Ardašir tre pani sferici. Ne intuiscono un sapore o valore recondito i messi. Due di loro ingeriscono ciascun pane e mentono al ritorno, ma l’ambasciatore prudente sotterra il terzo pane, e ciò confessa al Re, che quindi decide di recarsi con lui a ricercare sul posto il pane nascosto. Scavata la terra, se ne solleva un fuoco immenso che attacca il re. Egli lo adora, e così si salva. «Da allora presero a venerare il fuoco». S’innesta poi una versione diversa del motivo, quasi relativa a una seconda missione concorrente. Re Hormoz figlio di Cosroe, avendo letto la predizione della nascita di una creatura benedetta in Gerusalemme, manda olio, oro e incenso a Maria. Ella invia una borsa contenente terra al re, che la seppellisce nel sito di Šiz. Saputo ciò, un altro re vi spedisce un messo. Calata la notte, si levava di lì un fuoco immenso. Egli tracciò una linea intorno a tale luce e vi costruì il tempio del fuoco. È ancora lì, e parte di quel fuoco è portato a Oriente e Occidente.
Tale exemplum cosmografico persiano per ideologia islamica castiga come infausto il culto del fuoco professato dal Magus zoroastriano e ne connette il movente originario al natale di Gesù, implicando un discredito del cristianesimo in radice. La prima sequenza drammatica del racconto ripartisce e ricompone i tre messi lungo l’itinerario: a) il trio viaggiante in gruppo unito; b) la coppia insana di offerenti-riceventi il dono del pane in cambio del miele; c) il terzo di loro, custode del dono e capo; d) i due sinceri riceventi-cercatori, la guida e il re, che ritrovano il dono e sanano la coppia. I protagonisti del viaggio, cui partecipa il monarca regnante, sono quattro. Nella seconda sequenza, un altro re venera Maria e un terzo è il committente del tempio. Così i re dei magi coprotagonisti della vicenda sono tre. Il miele, medela regale, dono inviato a Gesù, è un tratto unico nel corpus della leggenda. L’iconografia paleocristiana di Roma mostra di norma tre magi offerenti i doni e talvolta quattro magi o due soltanto151. In cultura classica latina, il culto regio di Egizi, Lidia e «populi Parthorum aut Medus Hydaspes» appariva inferiore ai riti delle api, che sono una parte della mente divina. Il miele, un dolce dono celeste, costituisce il segno naturale del patto di fedeltà verso il re incolume, obbedito finché egli è integro e garante dell’ordine sociale152. La creatività sapiente dell’ape, costruttrice della camera del proprio re, supera il potere regio persiano, che vanta la costruzione dei palazzi imperiali di Ciro in Persepoli e di Dario in Susa, inoltre l’impianto dei giardini paradisiaci di Ciro il giovane in Lidia153. 151 Piemontese
2006c: 579-586. georg. 4, 1, 210-214, 220. 153 Aelian. nat. anim. 1, 9. 152 Verg.
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Il racconto cosmografico persiano sopra esposto è confrontabile anche con altri testi letterari, tra cui la versione della leggenda dei Tre Magi evangelici che divulgava il Milione di Marco Polo scritto da Rustichello Pisano154. Lo scrittore Johan di Hildesheim (c. 1364-1379), una cui fonte era Ludolph Clippeator (1350), racconta che Melchiar presentava a Gesù il primo dono: trenta danari aurei e un pomo d’oro. Questo, stretto in una mano, era l’emblema del dominio del mondo e pervenne ad Alessandro Magno quando egli conquistò l’impero di Persia155. Il re sasanide Xusraw II (Cosroe), nemico di Eraclio imperatore nella guerra per la Vera Croce, teneva cerimonialmente in mano tale frutto ottimale giallo, in botanica la mela cotogna (628). Tale frutto, simbolo del globo aureo, dimostrava il potere regio legittimo, ma Cosroe (pers. xusraw «monarca» per antonomasia) lo perse per una congiura ordita dal figlio principe Siroe156. In istituzione protocollare regia e iconografia europea vigeva ciò che Goffredo da Viterbo in Pantheon definisce «Aureus ille globus, pomum vel palla vocatur». In tradizione botanica, medica e storicoletteraria persiana, la cotogna era l’aureo pomo del paradiso. In natura terrena di albero paradisiaco non era la mela comune (Malus Mill, pers. sib), bensì la chrysomela odorosissima medicinale, in lessico di Plinio: la gialla «mela cotogna (Malus cotonea L.)», pers. beh / behi «cotogno, cotogna» e «bonum, melior, optimum». Una specie, la «cotogna indiana (Cydonia indica)», pers. e ar. šul / šol, diventa «Arbre seul» e «sec» nel Divisement dou monde / Milione poliano157. L’iconografia paleocristiana di Roma rappresenta sovente (III-V secolo) la scena che la critica usa definire L’Adorazione dei Magi. Una ventina di scene relative alla missione dei Magi evangelici sono dipinte (IV secolo) nei cimiteri paleocristiani di Balbina, Callisto, Domitilla, Gordiani, Maius, Marco e Marcelliano, Pietro e Marcellino, Priscilla e via Latina. Le copie di alcune pitture inerenti sono esposte nel Museo Cristiano Lateranense. Questi magi sono figurati come giovani offerenti, talvolta fanciulli, che indossano l’abito di tipo persico e il saraballum, pantalone aderente a coscia e caviglia (gr. ἀναξυρίδες), un abbigliamento simile a quello che veste Mithra. I magi sono connessi o meno all’osservazione della stella, che talvolta ha otto punte. I giovani magi, messaggeri ritratti in moto o fermi, sono tre offerenti i doni, anziché adoranti, e dipinti in fila unita. Talvolta
154 Scorza
Barcellona 2008: 328-329; Polo 1975: 41-44, 656-660. 155 Monneret de Villard 1952: 187, 214; Giovanni di Hildesheim 156 Vedi anche III.8. 157 Piemontese
1966: 145-146, 257.
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essi formano un insieme differente: sono due soltanto, una coppia singola, e quattro, una coppia duplice158. La prima figurazione nota dell’Adorazione dei Magi è sita nella Cappella Greca del cimitero di Priscilla (c. 250). I tre magi, il primo distinto dal colore uniforme verde, gli altri due associati dai colori rosso, marrone e giallo, procedono da sinistra recando sulle mani nude i doni offerti a Maria assisa e al Bambino che ella tiene avvolto in fasce159. Nella norma iconografica, il primo dei tre magi funge da guida e capo della missione. Il Museo Pio Cristiano conserva la lastra funeraria di Severa che era sita nel cimitero di Priscilla. L’epitaffio graffito «severa in deo vi|vas» apre la scena dei tre giovani magi offerenti. Incedono lesti e protendono giulivi i vassoi verso il Bambino che attende i doni in braccio a Maria, assisa su una sedia di vimini. Dietro questa un personaggio astante, forse Elia, indica la fila dei magi che avanza e la stella che splende alta nello spazio tra il primo offerente e il Bambino160. Nel cimitero di Domitilla (principio del IV secolo) si figura sulla volta di un cubicolo una diversa scena: Maria è assisa con il Bambino, tra quattro magi offerenti. Essi vestono abiti multicolori e formano su ciascun lato due coppie simmetriche ma opposte, come se tali rispettivi compagni fossero giunti solidali alla meta da due direzioni distinte o missioni concomitanti161. Risulta parimenti eccezionale la tipologia figurativa di due scene nella catacomba dei santi Marcellino e Pietro (prima metà del IV secolo). Un pittore dipinge i due Magi indicano la Stella in un riquadro laterale della volta del cubicolo n° 17. Scene seguenti nel contesto: Annunciazione, Profezia, Battesimo, e al centro il Collegio Apostolico. Sulla lunetta dell’arcosolio nel cubicolo n° 69, lo stesso pittore dipinge Maria sedente su una cattedra e con il Bambino in grembo, che stanno tra due magi offerenti, ritratti in posizione frontale162. I magi calzano il berretto frigio e indossano il costume persiano, con tunica manicata cinta alla vita, corto mantello e i tipici calzoni (gr. anaxyrides); reggono sulle mani due grandi piatti di forma ovale163.
158 Wilpert 1916: I, 44, 176-184; Cumont 1932-1933; Nestori 1993: 191-192 (indice); Massara 2000. 159 Wilpert 1903: I, 177; II, tav. 14. 160 Quacquarelli 1985: 44, fig. 2; Ahlqvist 2008: 13, fig. 2. 161 Wilpert 1906: tav. 116.1, 141. 162 Wilpert 1903: II, tav. 60; Deckers et alii 1987: 324-329, tav. 49, tav. a col. 51. 163 Andaloro 2006a: 136-137 e ill.
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La presenza di due magi si vede anche nell’Adorazione figurata nel cubicolo dell’Epifania, al centro della volta. Esplorata e scoperta la catacomba di Via Latina (1955), se ne è vista la bella decorazione, eseguita tra gli anni 320 e 350. Sulla volta del cubicolo A è dipinta l’Adorazione dei Magi: Maria, sedente su una cattedra, tiene in braccio il Bambino che tende la mano destra verso il primo dei tre magi che, schierati sulla destra, offrono i doni su piatti rotondi164. Nelle scene scolpite che decorano i sarcofagi (IV secolo), tra cui quello sito in Campo Santo dei Tedeschi, appare più evidente la natura dei doni offerti, talvolta anche uccelli e frutti. I magi, fanciulli o giovani, recano sovente i pani rotondi a forma di corona, quasi dischi dolci, su piatti o vassoi circolari165. La vasta serie di questo tipo di sarcofagi si trova nei cimiteri di Callisto, Domitilla, Marcellino e Pietro, Priscilla, Sebastiano, nel cimitero anonimo presso la basilica di S. Lorenzo e altri luoghi: la necropoli sita sotto le grotte della basilica vaticana di S. Pietro; le basiliche di S. Paolo fuori le mura, SS. Nereo e Achilleo, Ambrogio e Carlo al Corso; il Museo Nazionale Romano (inv. 80 e 67263); i Musei Capitolini (inv. 71). Tre pani rotondi sono presentati al centro dei piatti sul sarcofago conservato nel palazzo Doria-Pamphilj. Frequente è l’associazione della scena dei giovanissimi magi con quelle che riguardano i tre fanciulli nella fornace e Daniele nella fossa dei leoni, episodi biblici che sono figurati anche nelle pitture cimiteriali166. La galleria dei sarcofagi conservati nel vaticano Museo Pio Cristiano, già Lateranense, espone una serie di reperti che raffigurano i magi offerenti e sono datati dagli archeologi tra il primo terzo e il primo quarto del IV secolo167. Uno di tali reperti marmorei, un frammento situato di fronte, già nel Museo di papa Benedetto XIV e proveniente dal cimitero di s. Agnese, presenta una duplice scena contigua (inv. 31459, n° 1 nell’ordine espositivo, tav. 4). I tre magi fanciulli, offerenti tre doni diversi, viaggiano in fila, ciascuno con il dromedario di razza Bactriana, come ne compare la testa. Il primo dei magi, la loro guida, indica con la mano destra la stella rotonda a cinque punte, mentre con la sinistra porge a Gesù bambino, che lo accoglie, il proprio dono, una sorta di pane a forma di corona. Questi magi viaggianti provengono dal lato destro, dove come episodio di dramma precedente è scolpita la controparte del Bambin Gesù: Daniele, splendido bambino illeso nella fossa dei leoni, sita in zona del regno persiano 164 Ferrua
1960: 42, tav. I.1. Waal 1887: 177; Brodsky 1961: 453-457. 166 Bovini – Brandenburg 1967: n° 350, 497, 516, 526, 618, 648, 662, 690, 735, 745, 799, 803, 835, 949. 167 Bovini – Brandenburg 1967: 5, 15, n° 5, 16, tav. 1, 6; inoltre n° 145, 147. 165 de
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antico. Su un sarcofago rinvenuto nell’area cimiteriale presso la Basilica Apostolorum, la figura di Daniele tra due leoni fiancheggia la scena dell’offerta dei magi. Il bimbo Gesù, in grembo a Maria, si protende verso il dono recato dal primo dei magi, il giovane che si volta indietro mentre indica la meta agli altri due compagni offerenti168. Su una parete del chiostro della basilica di S. Paolo è murato il frammento di un sarcofago che presenta un nesso suggestivo più arcaico. Dall’albero del paradiso davanti a cui Eva ignuda si copre le pudenda, i tre giovanissimi magi offerenti, quasi bimbi, procedono verso Maria Vergine che attende l’offerta mentre regge in grembo il Bambino169. Una rappresentazione rara dei magi offerenti i doni sembra scolpita tra scene di altro genere su un cratere lacunoso e atipico in marmo bigio della Bitinia, reperto rinvenuto in Roma (1845), il quale sembra di officina romana e tipologia ellenizzate (c. seconda metà del IV secolo). Maria sedente in trono allatta il Bimbo in grembo, il primo dei magi si protende per consegnare il dono, i due colleghi seguaci procedono da destra, e un quarto appare da sinistra. Per motivo di simmetria si suppone la presenza di altri due magi contigui, 6 in totale170. Ma potrebbero essere gli stessi tre magi in partenza e viaggio verso Gerusalemme. Una Epifania vivace figura tra i 28 riquadri a rilievo che ornano la porta lignea scolpita, il limine nell’atrio della basilica di S. Sabina, eretta sul colle Aventino durante il papato di Celestino I (422-432) e completata sotto Sisto III (432-440). Nel primo riquadro superiore dell’anta destra Maria con il Bambino in braccio sta sedente in cattedra sopra un solium, trono a sei gradini. La triade dei magi, quasi bambini, reca sui vassoi rotondi tre dischi come unico dono il pane rotondo a forma di corona, come in certe pitture cimiteriali e sculture dei sarcofagi. Gesù tende la mano verso i rotondi pani offerti dai magi. Il primo di loro, distinto come capo, porta una croce impressa sul petto171. Un grande mosaico, il più antico ciclo monumentale noto dell’Infanzia di Cristo, decora l’Arco trionfale di Efeso che «xystvs episcopvs plebi dei», papa Sisto III, fece erigere come cornice absidale nella basilica di S. Maria Maggiore (c. 435). Solleva però interpretazioni controverse la singolare iconografia di alcune scene particolari del mosaico. Due fasce 168 Nieddu
2009: 126, 128 fig. 142. – Brandenburg 1967: 302, n° 735, tav. 115. 170 Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme, inv. 67629; Bisconti – Gentili 2007: 210-211 (scheda di M. Fortini). 171 de Waal 1887: 456-457; Kehrer 1909: II, 44, fig. 30; Berthier 1910: 200-204, fig. 32; Vezin 1950: 68, 82, fig. 11; Brodsky 1961; Darsy 1961; Jeremias 1980: 48-50, 131-132, tav. 40-41; Ahlqvist 2008: 14, fig. 4. 169 Bovini
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musive concernono la storia dei magi, che hanno un tipico abbigliamento iranico, l’abito parthico festivo172. Si presenta il primo arrivo dei messi sul lato destro dell’arco, terzo registro intermedio: I Magi visitano Erode in Gerusalemme. I tre messi, il primo dei quali è il capo della missione, stanno fianco a fianco in gruppo solidale. Le loro tipiche, eleganti vesti variopinte, cangianti come il verde, l’azzurro e l’arancione, contrastano la tunica bianca degli scribi presenti all’udienza e il manto blu di Erode sedente in trono. Sotto lo spazio dove i tre visitatori stazionano, spicca l’iscrizione oro BETLHEEM, didascalia del quarto e ultimo registro, dove compare la città loro meta. Ma i messi sono distinti e discosti nel secondo momento, culmine dell’intero ciclo musivo: la Epifania, che è disposta sul lato sinistro, secondo registro intermedio. Tra le fonti letterarie di alcuni particolari figurativi si pone il vangelo dello pseudo-Matteo: «Transacto secundo anno venerunt Magi ab Oriente in Hierusalem, magna deferentes munera»; «ingressi domum invenerunt infantem Iesum sedentem in sinu matris». I munera, doni rappresentati, hanno forma di corona173. I lati estremi della scena, dove stazionano i magi, hanno subito danni e sembrano rifatti174. Altro mistero comporta la presenza di una donna che detiene un rotolo. Ella indossa il manto di colore azzurro in una copia ad acquerello eseguita nei primi decenni del XVII secolo (tav. 5)175. La figura di di questa donna enigmatica pone un problema identitario. In una disputa finora inconciliabile, la critica ipotizza una quindicina di entità e persone diverse. Il rotolo adombrerebbe Giacomo e il protoevangelo apocrifo dell’Infanzia. O il rotolo parrebbe il «Libro di Adamo e Seth», considerato anche un eco del libro armeno apocrifo dell’Infanzia. La donna, che veste un mephorion blu, rappresenterebbe la profetessa Anna (Lc 2, 36) o Anna madre di Maria, se non Eva, Ruth o Rachele. O per simbologia la Sapienza divina, Sophia, la personificazione della comunità dei Gentili o la Sinagoga. O, tenuto conto di alcune referenze patristiche, la donna sarebbe una Sibilla, la Romana o Tiburtina, piuttosto che la Eritrea o la Cumana176. La donna, che veste «eine schwarzblau, hyacynthpurpure Palla» figurerebbe la «Sybille von 172 Ciampini
1690: 200 (tav.), 208-209; Scaglia 1910: 29-30; Biasotti 1914: 6-10, tav. f. t.; Wilpert 1916: I, 483-487; III, tav. 61-65; De Bruyne 1936: 251-257, fig. 1, 4, 6; Brodsky 1961: pl. A-B. Brenk 1975: 24-27, fig. 48; Barclay Lloyd 1990: 72-73; Luciani 1996: 66-67; Nestori – Bisconti 2000: 19, tav. IV, VI B. 173 de Waal 1887: 175, 177; Saxer 2001: 49. 174 Scaglia 1910: 29-30; Cecchelli 1956: 213-214, tav. XLIX. 175 BAV, Barb. lat. 4405, f. 1r. 176 Künzle 1961-1962; Goubert 1964: 193; Marini Clarelli 1996; Warland 2003; Geyer 2005-2006; Andaloro 2006a: 331-342; Folgerø 2008: 40-48, fig. 2.
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Erythräa»177. O «the enigmatic woman is some kind of emblematic figure such as Sapientia, Ecclesia or the Sybil»178. I magi indossano berretto frigio, tunica corta, saraballa e calzari. Accanto a Maria, elegante donna clarissima, sta il primo dei magi, sempre la loro guida, mentre racconta la storia del viaggio, il movente e la prova della missione. Egli ne indica con il braccio destro teso il segno: la stella bianca a otto punte che rutila sopra il trono imperiale gemmato dove è assiso Gesù fanciullo, nimbato e difeso da quattro angeli custodi in tunica bianca. Sul lato opposto i due magi offerenti attendono di consegnare i rispettivi doni, simili a dolci, su vassoi circolari. Tale coppia di magi servitori, in attesa di un cenno per la consegna dei doni, sta accanto alla donna meditabonda. Ella, sedente su una cattedra a lato del trono, veste la tunica tessuta d’oro e la palla, un manto purpureo che le ricopre il capo, mentre poggia il mento sulla mano destra e regge nella sinistra un rotolo profetico semispiegato. Questo cerimoniale figurativo rispetta un certo ordine protocollare e propone un motivo per cui la profetessa rappresenti la Sibilla Persica, mi pare. Ella, conterranea dei Magi, avrebbe visto la stella e, tra i vaticini ascritti al suo rotolo sibillino, avrebbe predetto avvento, morte e miracoli di Cristo. «Persicae Sibyllae tribuunt oraculi plurimi, quo Magi stella visa sunt euocati». Per prova di offerta regale i Magi portavano i loro tre doni piacevoli nella terra dove si recavano, come dice l’oracolo cristologico della Sibilla Persica: «In terra, huicque Magi portabunt munera, nempe / Aurum, & myrram, thus: hace omnia namque placebunt»179. L’Adorazione dei Magi affrescata sulla parete sinistra del presbiterio in S. Maria Antiqua, oratorio di papa Giovanni II (705-707), mostra i tre magi offerenti abbigliati in maniera abbastanza diversa. Due magi recanti i doni seguono il primo, loro capo e guida, che si semigenuflette dinanzi a Maria con il Bambino sedente sul trono tra due angeli custodi180. La suggestiva Adoratio Magorum, esaltante il mosaico nel sacello vaticano di Giovanni II, era considerata una reliquia di valenza iconografica. La documenta in disegno monocromo Jacobus Grimaldus tra gli Instrumenta Autentica delle traslazioni delle reliquie nella basilica antica di S. Pietro181. Alla stessa epoca di Giovanni II attengono il mosaico dell’Oratorio della Vergine nelle grotte di S. Pietro vecchio e il mosaico di S. Maria in Cosmedin, il cui 177 Steigerwald
2007. 2008: 84-88, fig. 9. 179 Crombach 1654: I, 128. 180 Romanelli – Nordhagen 1999: 36, 60, tav. 25; Thunø 2002: 37 e fig. 12. 181 BAV, Barb. lat. 2732, ff. 76v-77r (membr. datato all’anno XV del pontificato di Paolo V [1620], dedicatario). 178 Sande
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frammento è conservato nella sacrestia. Vi si scorge soltanto il braccio del primo dei magi offerenti182. Il Sancta Sanctorum nel Patriarchío Lateranense custodiva tra i reliquari preziosi la stauroteca, cassetta argentea rettangolare che reca la celebre Croce smaltata durante il pontificato di Pasquale II (817-824). Sul lato corto i tre magi, che vestono berretto frigio, tunica corta e clamide, mentre viaggiano in fila, alzano il braccio destro per indicare la stella, come fa anche il pastore a fronte. Sul lato lungo i tre magi mentre marciano stendono le braccia per mostrare i deschi contenenti i doni da offrire. Sul braccio trasversale destro due magi offerenti stanno dietro al primo, che semigenuflesso offre il desco a Maria con il Bambino sedente in trono183. Il Museo Cristiano della Biblioteca Vaticana conserva la stauroteca e altri cimeli provenienti dal Sancta Sanctorum, dove erano riposte anche reliquie di alcuni santi martiri persiani, tra cui Anastasio monaco184. Copie seicentesche ad acquerello riflettono i frammenti di alcuni affreschi (X-XI secolo) che furono distrutti. Nella chiesa di S. Sebastiano al Palatino figuravano affrescati i tre «Magi che offeriscono li doni» e, altra scena, «I Magi partono». Se ne scorgono le gambe vestite dei pantaloni parthici185. Nella chiesa di S. Urbano alla Caffarella erano figurati con il berretto frigio I Tre Magi osservano la stella e l’Adorazione186. Durante il secolo XI i tre magi figurati nelle arti tendono a smettere il tipico abbigliamento iranico antico e compiono l’Adorazione con effettive forme rituali. Essi vestono abiti diversi, diventano tre re adulti o anziani, rappresentanti altre stirpi e terre, assumono varie sembianze, pose, simbologie di valenza universale. Così si espandono nelle successive figurazioni, numerosissime in chiese e musei romani, e si diffondono anche nei popolari presepi187. Pirimalo, tragedia di Gino Angelo Capponi recitata dagli Accademici Partenii nel Collegio Romano (1623) per le feste della canonizzazione di s. Francesco Saverio (Francisco Xavier), esaltava la sua missione in Ceylon
182 Massara
2000: 210. 1936: 9 tav. a fronte, 11-16, 62-64, tav. XI; von Matt 1969: 73-75, 171-172, ill. 75-78, 80; Morello 1991: 93-94, 97, 101, ill. 93, 105; Thunø 2002: 36-37, 65-70, 74, tav. I e fig. 38-39. 184 Vedi anche II.3. 185 BAV, Vat. lat. 9071: 236; Wilpert 1916: II, 764-765; Waetzoldt 1964: 75-76, n° 102526, fig. 525-526; Gigli 1975: 55-56, fig. 17a-b. 186 BAV, Barb. lat. 4408, ff. lxi-lxii; Wilpert 1916: II, 765, fig. 336; Waetzoldt 1964: 79, n° 1103, 1105, fig. 573, 575. 187 Vezin 1950: 67-68. 183 Morey
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(1544). Pirimalo, il Prencipe figlio di Turimbalo Rè di Ceilano, portava l’onomastico di uno tre dei Magi. (Atto I, sc. I) Aperta la Scena, vedesi come in un teatro seder l’Oriente, con gran numero delle sue Provincie, legato a piè d’vn Idolo […]. Scende intanto dal Cielo in nuuola risplendente S. Tomaso Apostolo con S. Pirimalo vno de’ tre Rè Magi, che adororno il Verbo humano in Betlemme, già Rè dell’Isola di Rè di Ceilano, con altri Angioli Presidenti delle Prouincie Orientali.
Elenco degli «Attori per ordine del quale escono»: vi compare un Rè di Persia, ruolo che fu interpretato da Francesco Grimaldi. L’autore asterisca il nome di S. Pirimalo e a margine segna il rinvio «Maff. nel lib. 2 dell’Hist. dell’India»188. Giovan Pietro Maffei, autore di questa Historia dell’India, scrive: Sunt qui cum tribus Magis, qui ad Christi liberatoris incunabula cum muneribus adoranda, Sybillae Indicae (vt ferunt) monitu, stella duce tetenderant (quo in numero Pirimal Ceilani rex ponitur) Thomam in Oriente congressum.
In versione italiana della medesima opera: Vi sono alcuni che dicono, che San Tommaso nell’Oriente s’abboccò co’ tre Magi, i quali guidati dalla stella, vennero per avvertimento (come dicono) della Sibilla indiana, con doni ad adorare Christo nostro Redentore nella culla, (nel numero de’ quali è posto Pirimal re di Ceilan).
La tabella dei nomi premessa nel libro segnala: «Magi tre con quale Apostolo si abboccassero. E chi fu vno de’ tre», «Pirimal Re di Ceilan, e se fosse vno dei tre Magi»189. Il nome Pirimal in lingua persiana suona pîr-i (ha-)mâl «il Vecchio / Maestro eguale, pari, compagno». Secondo la tradizione, che per certi tratti si collega al racconto siriaco nella Cronaca di Zuqnîn e alla Passio Bartholomaei, Tomaso apostolo ebbe la missiore di evangelizzare Parthi, Medi Persi, Hyrcani, Bactriani, Indiani. Tomaso incontrò i Tre Re Magi, che regnavano nelle Tre Indie: i tre regni confederati India, Persia e Caldea190. Riprende tale tradizione Presbyter Johannes (c. 1150-1177), il Prete Gianni che inviò a Manuele imperatore di Costantinopoli l’epistola latina, che
188 Capponi
1623: f. A3 [2r], 7v ultima linea; Filippi 2001: 104-112. 1588: f. 39r; 1589: f. 33v e Tabella. 190 Monneret de Villard 1952: 65, 151, 155, 186-189, 194, 201-202, 215-216, 219-222, 226; Giovanni di Hildesheim 1966: 93-94, 237-240. 189 Maffei
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in primis (§§ 2-6) riflette qualcosa della famosa lettera di re Dario III ad Alessandro Macedone. Presbyter Johannes scrive: In tribus Indiis dominatur magnificentia nostra, et transit terra nostra ab ulteriore India, in qua corpus sancti Thomae apostoli requiescit, per desertum et progreditur ad solis ortum, et redit per declivum in Babilonem desertam iuxta turrim Babel: «La nostra Sovranità si estende sulle tre Indie e dall’India Maggiore, dove riposa il corpo dell’apostolo Tommaso, i nostri domini si inoltrano nel deserto, si spingono verso i confini d’Oriente e ripiegano poi verso Occidente sino a Babilonia deserta, presso la torre di Babele» (§ 12).
Quindi: Palatium vero, quod inhabitat sublimitas nostra, ad instar et similitudinem palacii, quod apostolus Thomas ordinavit Gundoforo, regi Indorum, in officiis et reliqua structura per omnia simile est illi «In verità il palazzo nel quale risiede la Sublimità nostra è a immagine e somiglianza del palazzo che l’apostolo Tommaso fece costruire per Gundoforo, re degli Indiani, e ad esso in tutto e per tutto simile nelle parti interne e nelle altre strutture» (§ 56).
Inoltre: «Singulis mensibus serviunt nobis reges VII» (§ 73): «Ogni mese servono alla nostra mensa sette re», nella capitale delle Tre Indie, che Presbyter Johannes dice Susa «[…] Susis, ubi thronus et solium gloriae nostrae residet et palacium imperiale»: «Susa, dove si trovano il trono e il soglio della nostra gloria e il palazzo imperiale» (§ 74)191. Susa era la città capitale del regno che si ascrive il Prete Gianni. Così Presbyter Johannes o chi per lui si attribuiva il titolo di primate cristiano, quale detentore del grande regno di Persia, esteso tra la Mesopotamia, la contigua Susiana (antica Elam, poi Xuzistân) e l’India. Rispetto a questa, India Minore era la Persia, il cui regno via Golfo Persico confinava peraltro con Corno d’Africa, Ethiopia, Abissinia. Gundoforo era Gondophares, Gondophernes < parthico *Vindafarna «winner of victory», sir. GDWNPR, gr. Γουνδαφόρος, ind. Guduhvara: il re indo-parthico d’India (c. 19-45 d.C.), comprese Taxila, Panjâb, Arachosia e Drangiana. Egli, in scritti paleocristiani, tra cui gli Atti di Judas-Thomas, è citato come il principe cui fu inviato Tomaso apostolo. Il nome di tale principe diventa poi Keydâvar, uno dei due re d’India incontrati da Alessandro, in un romanzo persiano medievale che ne racconta le avventure192. Susa era una capitale della Chiesa siro-orientale di Persia, citata negli 191 Zaganelli 192 Huxley
1990: 53-55, 80-83, 86-87, 203-205, 212. 1983; Bopearachchi 1988: 399; Bivar 2007; Casari 2010: 70-71.
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Atti dei suoi martiri santi Mâri e Miles, e in altre fonti: šwš byrt’ «Susa la cittadella», sita in regione di Bêth-Hûzayê (pers. Xuzistân). In realtà, la byrt’ di Susa che compare negli Atti di Miles è una reminiscenza biblica e designa in maniera metaforica la città di Susa stessa: «Susa la cittadella» (Dn 8, 2; Ne 1; Est 1, 2) in lessico biblico193. Tempo prima, il palazzo regio di Susa ospitò il re Ciro e il profeta Daniele (Dn 8, 1-2). Susa fu la capitale dell’impero di Persia, esteso dall’India all’Ethiopia e diviso in 127 province, cui il re achemenide Ahasuerus inviava le sue lettere circolari (Est 1, 1-2; 8, 9). Il santuario di Daniele sta in Susa, pers. Šuš < Šušan; susan Lilium L. «giglio»194. Unica chiesa romana dedicata all’Epifania è la Chiesa dei Magi, eretta su disegno di Gian Lorenzo Bernini (1634) nel palazzo del Collegio Urbano di Propaganda Fide, la congregazione istituita da papa Gregorio XV Ludovisi (6 gennaio 1622) per l’attività missionaria cattolica nel mondo. Sopra l’altare maggiore di tale chiesa è riposta l’Adorazione dei Magi dipinta da Giacinto Gimignani, opera firmata e datata «Gimignanus 1634». Uno dei tre Magi ha la pelle nera e veste il turbante195. La Stella de’ Magi, cantata eseguita con la musica di Filippo Amadei romano nel Palazzo Apostolico, mentre era papa Clemente XI Albani, una vigilia di Natale (24 dicembre 1702, tav. 6), aveva come Interlocutori: Primo de i Magi, Una Triade Sacerdotessa di Bacco, Secondo de i Magi, Sacerdote dell’Idolo di Mitra de’ Persiani, Terzo de i Magi e Angelo. Argomento: «Ecce Magi ab Oriente Matth. 2.2» e gli arcani miracolosi, per la profezia dell’Angelo. Al principio canta il Primo de Magi: «Amici, e qual si mira / Nuova Stella nel Ciel spargere intorno / Sì vaghi i raggi suoi». In seguito il Sacerdote di Mitra canta: «Dunque à ragione or’io / Il novello Natal d’un’Astro in Cielo, / D’eterna pace al mondo / Un’annunzio giocondo esser disvelo». Ma interviene l’Angelo che annuncia la profezia: «Verrà dai MONTI à regnar nuova STELLA»196.
193 Jullien
2004: 164. anche III.2. 195 Antoniazzi 1979: 29, fig. 24. 196 Stella 1702: 6, 10. 194 Vedi
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LA MEMORIA STORICA ROMANA DEI SANTI PERSIANI 1. Abdon e Sennen su Monteverde e presso il Campidoglio Si ricostruisce qui la storia dei santi cristiani originari di Persia che sono venerati in Roma dal III al XXI secolo. Vicende contigue concernono Abdon e Sennen, Mario, Marta, Audifax e Abbacuc, i sei santi protomartiri persiani di Roma (III secolo). Inoltre vi s’instaurava presto la venerazione di Anastasio martire (VII secolo). Si aggiunse in epoca rinascimentale il culto di Onofrio anacoreta (XV secolo). Il culto di questi santi si diffuse e continua tuttora in numerosi siti, mete di devozione e pellegrinaggio. La linea evolutiva di tale culto compare bene sulla via epigrafica: la traccia verde che connette le lapidi commemorative della traslazione delle reliquie per la consacrazione di altari. Le lapidi notate su repertori epigrafici e fonti documentali sono da me riscontrate, per constatarne lo stato attuale, con la visita alle chiese esistenti. La varia ubicazione dei siti tra suburbio e centro urbano indica il formidabile nastro topografico che segna in progressione cronologica la memoria romana degli otto santi persiani. Essi sono nove, considerando anche Milix martire (V/VI secolo), la cui venerazione era associata a Abdon e Sennen in epoca paleocristiana. In più s’incontrano alcuni santi romani che nella stessa epoca sono interrelati: Asterius, Cyrinus / Quirinus, Valentinus, Blastus, Daria; e altri che da Roma si recavano a compiere qualche impresa in regno di Persia: Cyriacus, Largus & Smaragdus, Pymenius1. Una cronologia moderna dell’impero romano rileva tra gli eventi occorsi in anno 250, giorno 30 luglio: «Martyre à Rome des Persans Abdon et Sennen»2. Si ha notizia di Abdus, un eunuco che viveva sotto Artabanus III re arsacide di Persia3. Il nome Abdon, forma greca Abdos, senso servulus se rapportato a un etimo semitico, è affine a quello di ‘Abdôn, attestato in ambito cristiano melkita. ‘Abda è un altro onomastico cristiano attestato in ambito siro-orientale di Persia4. Il termine pers. abd < *abda- «mirabile, 1 Piemontese
2009a; 2009b: 60-61. 2007: 162. 3 Tac. ann. 6, 31; Justi 1895: 1. 4 Hoffmann 1880: 105; Jullien 2004: 157. 2 Goyau
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meraviglioso», si confronta con Abdas / ‘Abdâ, un nome cristiano diffuso in ambito persiano. Tale onomastico portava il santo martire vescovo di Hormizd-Ardašir, diocesi del Xuzistân, in Susiana, Persia sudoccidentale, al tempo del re sasanide Yazdegard I (399-421) o del successore Wahrâm V (421-439). Il nome Sennen / Sennes si confronta a sir. Šâhên > gr. Saénes / Suenes e varianti, onomastico del santo martire nella persecuzione di Wahrâm V. Il nome Šâhên, Saénes, Sennen, si riconduce bene a pers. Šâhên «Falco» regio bianco, che come onomastico era molto diffuso in ámbiti zoroastriano e cristiano di Persia. Inoltre pers. Šâhên «Regale» era ipocoristico di šâh «re», l’appellativo istituzionale del monarca del paese (it. «scià», e anche «scacco»)5. Abdon e Sennen, detti subreguli, signori terrieri di rango nobile o forse governatori nella città di Cordula, erano da lì deportati a Roma. La qualifica di subreguli attribuita a Abdon e Sennen potrebbe in senso riflettere pers. šahrió, il funzionario amministrativo di terre della grande nobiltà, cui sottostava il dêhqân, nel sistema feudale del regno sasanide. Thomas de Marga, Historia Monastica, cita tali funzionari di šahr «città» e dêh «villaggio», che inoltre erano agenti del re6. La vicenda dei due notabili compagni deportati si situa durante i convulsi avvicendamenti di Filippo l’Arabo (244-249) e Decio (249-251) al comando dell’impero7. Filippo si era distinto come comandante al seguito di Gordiano III nella sua infelice campagna militare contro la Persia sasanide (242-243). Ucciso l’imperatore, Filippo gli succede e stipula la pace con il regno nemico. Così toccava a lui l’onore di celebrare il millenario dell’Urbe. Mentre Gordiano «parabat ad triumphum Persicum», Filippo procurò molte fiere, elefanti e bestie, che esibì nei ludi secolari e circensi per festeggiare (aprile 248) il millesimum annum della fondazione di Roma. Ma Filippo fu ucciso a Verona nel conflitto con l’avversario Decio, che poi attuò una persecuzione anticristiana8. Una versione anomima della storia di Abdon e Sennen che compare tra Le Leggende de’ Santi, cita «la città di Cordula» come loro luogo nativo9. La città detta «Corduba» veniva poi identificata con Corduena, regione citata al riguardo di una spedizione romana in Persia sasanide. La Corduene era (299) il principato romano di Transtigritania10. Il toponimo Cordua / Cor 5 Justi 1895: 274; Peeters 1909; Devos 1963; Rudberg 1963: 120, 130; Gignoux 1986: 26, 163. 6 Grignaschi 1971: 125. 7 Dufourq 1900: 219, 231-232, 237-238, 240, 311. 8 Capit. Gord. 33, 2; Aubé 1881: 463, 473-474; Allard 1886: 295; Bleckmann 2006. 9 BAV, Barb. lat. 4065 (cart., XIV secolo), f. 138r-v. 10 Amm. 24, 8; Lee 1991: 371.
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duena / Gordiana ricordato nelle fonti classiche equivale in quelle siriache a (Bêth) Qardû, la regione situata a sud del lago Van, zona armena. Negli atti siriaci dei martiri persiani Bêth Qardû, sede di un vescovato nestoriano, si disloca come provincia oltre la zona orientale del fiume Tigri11. La redazione della passione di Abdon e Sennen, risalente a un nucleo del IV secolo, era fissata tra la fine del V secolo e il principio del VI, si ritiene. Essa veniva allora inserita nella collettiva Passio Polochronii Parmenii Abdon et Sennes Xysti Felicissimi et Agapiti et Laurentii et aliorum sanctorum mense augusto die X, data liturgica 10 agosto. Il testo della passione che concerne Abdon e Sennen reca l’incipit: «Eodem tempore coepit Decius curiose quaerere christianos, mittens auctoritatem suam in universam Persidam». Nello stesso tempo Decio cominciò a inquisire con premura i cristiani, diffondendo la sua autorità nella Persia intera. Praesidente in urbe Roma Galba, pergit Decius ad Persas […] Ascendit autem Decius in monte Medorum […] et obtinuit civitates has: Babiloniam, Bactrianam, Hyrcaniam, Corduliam [var. Cordulam], Assyriam, ubi etiam invenit multos christianos.
Mentre Galba reggeva la città di Roma, Decio si spinse verso il regno di Persia. Egli ascese il monte dei Medi, che sarebbe la montuosa Media Atropatene, in Persia nordoccidentale. Conquistò queste città-regioni, rientranti nel regno di Persia: Babilonia, Battriana, Ircania, Cordula, Assiria, dove egli scoprì molti cristiani. Tra essi, fu perseguitato e ucciso Polychronius. «Eadem nocte venerunt duo subreguli, qui erant occulte cristiani et rapuerunt corpus eius et sepelierunt ante muros portae Babyloniae». La medesima notte, vennero i due subreguli, che di nascosto erano cristiani, sottrassero il corpo di Policronio e lo seppellirono davanti alle mura della porta di Babilonia. Quando Decio proseguiva la persecuzione in Cordula, i «subreguli, viri religiosi Abdon et Sennes [var. Senes]» recuperarono di notte i corpi dei presbiteri Parmenio, Elimas e Crisotelo, inoltre dei loro diaconi Luca e Mucio, e li seppellirono nel proprio terreno presso la città di Cordula. Abdon e Sennen sono imprigionati su ordine di Decio, per l’accusa «corpora christianorum colligunt et in praedio suo recondunt»: essi raccolgono i corpi di cristiani e li celano nel proprio terreno. Intanto alcuni cristiani «ex genere Abdon et Sennes nobiles» seppelliscono nella loro casa i martiri Olympiades e Maximus. Informato della morte di Galba, Decio parte e in quattro mesi di viaggio raggiunge Roma. Egli vi conduce i «subregulos Ab11 Hoffmann 1880: 105; Delehaye 1933: 37; Jullien – Jullien 2002: 164-165; Jullien 2004: 161.
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don et Sennen», avvinti in catene, e siccome «nobiles», li mostra in trionfo «ad spectaculum Romanorum». I due prigionieri sono messi sotto la sorveglianza del prefetto Valeriano. Decio imperatore convoca il Senato, comanda di «praesentari Abdon et Sennen, subregulos christianos, quos de Persida adduxerat», e dichiara ai senatori: «ecce inimici reipublicae et Romani imperii». Decio intima ai due prigionieri incatenati di sacrificare agli Dei dinanzi al «pontifex Claudius». I due cristiani rifiutano di compiere tale atto dell’abiura. Allora Decio comanda di allestire lo spettacolo nell’Anfiteatro e a Valeriano di farvi sbranare dalle fiere i due compagni, «si non adoraverint Deum solem»: se non avessero adorato il Dio Sole. Essi ribadiscono di adorare Gesù Cristo, quindi vengono denudati e condotti da Valeriano «ante symulacrum Solis iuxta amphiteatrum», davanti al simulacro del Sole sito presso l’Anfiteatro. Ma Abdon e Sennen sputano sopra il simulacro. Su ordine di Valeriano essi sono condotti nell’arena, esposti a due leoni e quattro orsi che avanzano feroci ma si posano mansueti ai loro piedi. Valeriano commenta: «Magica apparuit ars eorum», e comanda ai gladiatori, entrati con i tridenti nell’arena, di uccidere Abdon e Sennen. I gladiatori ne trasportano corpi a piedi legati e gettano «ante symulacrum Solis iuxta amphiteatrum; et iacuerunt corpora ad exemplum christianorum tribus diebus»: quei corpi giacquero per un triduo davanti al simulacro del Sole, presso l’Anfiteatro, a monito esemplare dei cristiani. «Post triduum venit quidam Quirinus [var. Cyrinus] christianus suddiaconus, qui manebat ibidem iuxta amphiteatrum, et collegit noctu corpora et recondit in arca plumbea in domo sua, tertio kalendas augustas». Trascorso il triduo, un certo Quirinus / Cyrinus, suddiacono cristiano che abitava lì presso l’Anfiteatro, venne a raccogliere di notte i corpi e li nascose in un’arca plumbea, in casa sua, il 30 luglio». Rivelato, al tempo di Costantino, il martirio di Abdon e Sennen, i loro corpi furono traslati «in cymiterium Pontiani»12. Il simulacro solare situato presso l’anfiteatro era in origine Nero-Sol, il bronzeo Colossus statuario che Nerone imperatore aveva fatto erigere sul vestibolo della Domus Aurea e Vespasiano decise di trasformare nell’immagine del Sole. Adriano dispose di trasferire presso l’Anfiteatro Flavio (c. 123) la statua colossale, che fu distrutta (post 350). Ne deriva e permane il nome comune dell’anfiteatro circense Colosseum, Coliseum > Colosseo13. Il Colosso, eretto nelle vicinanze della Meta sudans, era 12 BAV, Arch. Cap. S. Pietro A.4, ff. 101-109; AASS, Julii t. VII, 141-152 (Abdon & Sennen: 30 luglio); BHL (BHLS, BHLNS) n° 6-8; AE 2, 619; Delehaye 1933: 35-41, 73-80. 13 Howell 1968; Pothecary 2005; Ensoli 2007; C. Lega, «Colossus: Nero»: LTUR 1, 295298.
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una statua alta trentun metri, rappresentante l’imperatore Nerone, sopra un alto zoccolo il cui basamento quadrato si discerne ancor oggi. Questo capolavoro di Zenodoro era stato da Vespasiano trasformato in un simulacro del dio Sole; di poi dall’imperatore Commodo nella propria immagine, coi suoi lineamenti divini; dopo di lui nuovamente nella statua del Sole.
Come un semplice Colossus, ma ancora con il segno del Sole, essa è ricordata nella descrizione regionale di Costantino: «Sette raggi attornianti il suo capo — così dice quella — misuravano ciascuno 22 piedi e mezzo di lunghezza». Sullo zoccolo di questa statua, secondo gli Atti dei Martiri Abdon e Sennen, sarebbero stati esposti tre giorni i loro cadaveri, dopo chè per mano dei gladiatori avevano sparso il loro sangue nell’anfiteatro14.
Il suddetto cimitero di Pontianus prende forse nome da s. Pontianus papa (231-235). Il seppellimento di Abdon e Sennen che Quirinus avrebbe effettuato nella propria abitazione iuxta amphiteatrum era forse un atto domestico provvisorio o atto tale da intendere che l’oratorio di Abdon e Sennen costruito presso l’Anfiteatro Flavio sorgesse nel luogo stesso della casa di Quirinus. Ove egli contravvenisse alla legge romana che regolava i seppellimenti, si tratterebbe di una trasgressione o un atto furtivo, passibile di reato. La redazione più antica della storia, inclusa nella passione di Sisto, è riflessa da due traduzioni greche15. Tale testo riferisce che i martiri Abdon e Sennen furono presto traslati al cimitero Pontianus16. Forse già al tempo di Costantino imperatore (306-337), divenuto cristiano (313), e di papa s. Silvestro I (314-335), i corpi di Abdon e Sennen furono traslati nel sopraterra del cosiddetto Cimitero di Ponziano, sito del loro santuario paleocristiano, che sorgeva al II miglio della via Portuense, zona trasteverina. Si ritiene che il culto romano dei due martiri compagni, ricordati come «cives Persae» nella passione di Sisto, sia sorto al tempo di Costantino e Silvestro17. L’Actus Silvestri riferisce che, assai giovane, Silvestro frequentava il presbitero Cyrinus, da cui fu istruito. Questo Cyrinus ricorda almeno nel nome il suddiacono Quirinus che curò la prima sepoltura di Abdon e Sennen. Inoltre Quirinus pare il medesimo martire Cyrinus che fu poi a sua volta seppellito da Mario e congiunti, i successivi protomartiri
14 Grisar
1930: I, 195. Vat. gr. 866 e Vat. gr. 1761. 16 Franchi de’ Cavalieri 1912: 62; 1920: 170-171. 17 Corssen 1915: 162. 15 BAV,
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persiani di Roma18. Nella tradizione manoscritta della loro Passio si constata la frequente lezione testuale Quirinus invece di Cyrinus19. Quirinus / Cyrinus, che pare designare la stessa persona, riallaccia come un filo di dramma le storie dei due gruppi di protomartiri persiani di Roma e la leggenda di Silvestro, che ne contempla anche il confronto con i magi di Persia giunti nella città per curare Costantino infermo20. D’altronde una persona di nome Sennen, gr. Sennes, figura anche nella storia degli apostoli Simone e Giuda21. Un filosofo moderno crede il sito del cimitero Ponziano, dove si venerava anche Milix martire di Persia, un tradizionale luogo di culto di dei pagani orientali. Fantastica: The unique name Abdon is made of a common, Semitic, not Persian root […]. The equally unique name Sennen seems to be a atheophoric name after Sin, the Semitic male moon god found at Carrhae (Harran) in the Parthian Empire and worshipped at Rome by Caracalla […]. The three Persian martyr saints appear to have drawn their life from the Semitic cults of the Sun and Moon22.
La Depositio Martyrum, importante calendario liturgico (c. 354), registra: «III kal. aug. Abdos et Semnes in Pontiani quod est ad Ursum Pileatum». La Notitia regionum Urbis segnala: «Coemeterium Pontiani ad Ursum Pileatum Abdon et Sennem via Portuensi». Per il Martyrologium Hieronymianum (Italia settentrionale, 431-450), il santuario cimiteriale di Abdon e Sennen «ad Ursum Pileatum», altra ubicazione nominale del cimitero Ponziano, atteneva alla prima serie dei martiri romani e santi cristiani venerati nell’Urbe23. Il sepolcro di Abdon e Sennen fu ornato al tempo di papa Damaso I (366-384), che organizzava il culto dei santi paleocristiani nello spazio urbano, ne salvaguardava i corpi e stabiliva le inerenti celebrazioni liturgiche. Un pluteo marmorevo inscritto, pervenuto in due frammenti dal cimitero Ponziano, viene riferito come titulus alla chiesa di Abdon e Sennen. Damaso I compose brevi dediche martiriali, tra cui una per Abdon e Sennen (E.D.5) e l’epigramma 27 per Quirinus24. Damaso I nominò Zenobio / Zanobi vescovo metropolitano di Toscana (370) che, tornando da Roma a Firenze per prendere possesso del suo 18 Levison
1924: 183. Ott. lat. 120, f. 144v; Reg. lat. 516, f. 25r; Vat. lat. 1189, f. 68r; Vat. lat. 1195, f. 92v; Vat. lat. 1197, f. 117v; Vat. lat. 6075, f. 21v. 20 Vedi anche I.2. 21 Vedi anche III.7. 22 Palmer 1981: 393-397. 23 LP 1, 11; CTCR 2, 21; Fiocchi Nicolai 2000; Scorza Barcellona 2000. 24 Ferrua 1942: 96-97, ill. 5; Pietri 1986: 51-52. 19 BAV,
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vescovado, traslò le reliquie di Abdon e Sennen consegnategli dal papa. Zenobio ripose le reliquie nell’altare maggiore della chiesa del Salvatore, che allora era Chiesa Cattedrale o Duomo Fiorentino, sita dove è oggi la chiesa maggiore Fiorentina, cioè S. Maria del fiore: e qui si sono oggi e corpi de detti gloriosi martiri; e chiascheduno anno vi se ne fa ancora festa doppia.
Clemente del Mazza, De Vita SS. Viri Zenobi Episcopi Florentini (1475), e Giovanni Maria Tolosani domenicano, La vita del gloriosissimo Zenobio vescovo della città fiorentina, riferiscono ciò25. Reliquie insigni di «Abdon et Sennen», inoltre di Anastasio martire persiano, furono riposte sotto l’altare del Sancta Sanctorum, l’oratorio privato pontificio nel Patriarchío lateranense. Le relative autentiche, piccole etichette di papiro, pergamena o carta fissate alle reliquie per attestarne l’identificazione, sono documentate dalla fine del VII secolo26. Le sepolture di Abdon e Sennen al II miglio della via Portuense determinano la nascita di un centro cultuale di notevole importanza che gravita intorno al cimitero e a un complesso di edifici ampiamente documentato anche oltre il IX secolo. La basilica di Abdon e Sennen, edificio di tipo martoriale ubicato nel sopraterra del cimitero Ponziano, era allora visitato dai pellegrini, ma non è stato rinvenuto negli scavi moderni27. La Notitia Ecclesiarum Urbis Romae indica l’itinerario. Il pellegrino che si approssimava alla porta Portuense, provenendo da Sud, visitava dapprima la chiesa di S. Candida, quindi si recava presso le sepolture martiriali nella catacomba; tornando nel sopraterra vedeva le tombe di papa Anastasio I (399-401) e di Pollione, e infine la grande chiesa dei Santi Abdon e Sennen e la tomba di papa Innocenzo I (401-417). La medesima Candida martire, ricordata in relazione al martire Pigmenio, è sepolta nel cimitero28. L’Itinerarium Salzburgensis guida al santuario paleocristiano sorto sulla via di Porto: «Deinde intrabis in ecclesiam magnam: ibi sancti martyres Abdo et Sennes quiescunt». Papa Adriano I (772-795) basilicam sanctorum Abdon e Sennen atque beatae Candidae […] pariter renovavit […]. Item in cimiterio beatorum martyrum foris porta Portuense, vestem de stauracim fecit atque obtulit. 25 Galletti
1863: X, 18. 2004: 46-47, 80, 114 n° 59, 152 n° 152. 27 CTCR 2, 66, 107, 151, 169, 200; Glorie 1965: 300, 316, 327, 331, 341; Carletti 1972: 151-154; P. M. Barbini, «SS. Abdon et Sennes»: LTURS 1, 9-10, 243 fig. 1. 28 CTCR 2, 92; Glorie 1965: 309; Ricciardi 2002: 664-665. 26 Galland
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Papa Nicola I (858-867): Necnon et cymiterium eadem via ad Ursum pileautum, ubi corpora sanctorum Christi Abdon e Sennen requieverunt, iam in ruinis positum, pulchro ac miro restauravit honore29.
Papa Gregorio IV (827-844) fece traslare i corpi di Abdon e Sennen nella basilica di S. Marco presso il Campidoglio, che divenne la nuova sede del loro culto30. Un celebre santuario dei due medesimi santi sorse nella chiesa abbaziale di Sainte Marie di Arles-sur-Tech. L’abate Arnulfus (957-963) vi traslò, durante il pontificato di Nicola I, reliquie di Abdon e Sennen, che sono i patroni della diocesi di Perpignan, nei monti Pirenei. Mentre Oliba Cabreta conte di Cerdaña era in Roma, una bolla di Giovanni XIII (968) estese la protezione pontificia sul monastero di Arles31. Una chiesa dei santi Abdon e Sennen fu eretta presso il Colosso di Nerone, luogo legato al loro martirio. Un documento dell’Archivio di S. Maria la Nova cita per primo (1127) la chiesa di Abdon et Sennen sita «prope Amphiteatrum vulgariter dicto Coliseo», presso l’Anfiteatro detto Colosseo, o forse situata tra Tempio di Venere e Roma, e la stessa chiesa di S. Maria la Nova. Un catalogo successivo delle chiese romane (1492) cita ancora «SS. Abdon et Sennen iuxta Coliseum». Il catalogo redatto al principio del pontificato di Pio V (1566) cita «Sti Abdon et Sennen al Coliseo» per l’ultima volta questa chiesa che, poi in rovina, fu demolita entro la prima metà del XVII secolo. La Descriptio Urbis Romae eiusque excellentia, opera manoscritta di Nicola Signorili (c. 1425-1430), cita nella lista delle chiese la ecclesia dei santi «A[b]don et Senen», che sembrava da situarsi piuttosto nella regione del monte Celio, considerato l’elenco delle numerose chiese circostanti32. Intanto sul Campidoglio si era costituito il Comune di Roma, la cui nascita ufficiale fu detta renovatio Senatus (1144). Mirabilia Urbis Romae, celebre guida (c. 1140-1143) per pellegrini e turisti, riferisce in cap. XVI Quare factum sit Pantheon. Il cicerone anonimo intreccia in questo motivo la fondazione del monumento operata da Agrippa, la sua impresa vittoriosa in Persia, regno dei Parthi Arsacidi, e la leggenda della Salvatio Romae, quindi innesta alcuni tratti della passio di Abdon e Sennen. Eccone il motivo.
29 LP
1, 509, 511; 2, 161. 1632: 120. 31 Montsalvatje y Fossas 1896: 14-15, 55-88; Crastre 1932: 59-61; Capeille 1930. 32 Huelsen 1927: 163-164, 71 n° 63, 98 n° 86; CTCR 4, 183. 30 Bosio
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Il tintinnabolo della statua di Persia, che era in Campidoglio, suonò nel Tempio di Giove e Moneta. In Campidoglio era, con il tintinnabolo al collo, una statua rappresentante ciascun regno di tutto il mondo. Quando il tintinnabolo suonava, ci si accorgeva che quel regno era ribelle.
Questo meccanismo, detto Salvatio Romae, segnalava allarme. Il prefetto Agrippa con grande apparato di navi e cinque legioni andò, vinse tutti i Persiani, vi impose il tributo annuo al Senato romano. Di ritorno a Roma egli costruì questo tempio, ne procurò la dedica in onore di Cibele, madre degli dei, Nettuno, dio del mare, e tutti i demoni, e lo chiamò Pantheon.
Inoltre (cap. XVII), preso il potere in Roma, Decio cercava il tesoro nascosto dell’imperatore Filippo. Statim venit ei legatio de Persida, dicens eos esse rebelles; et tintinnabulum subito statuae personuit «Immantinente venne dinanzi a lui la legazione dalla Persia, riferendo che vi erano ribelli; e il tintinnabolo della statua subito risuonò». Decio partì in campagna: «Espugnò, vinse tutti i Persiani e catturò Abdon e Sennen — come dichiara il testo — i quali conobbe illustrissimi di stirpe. Li trasportò legati con catene auree» fino a Roma. L’imperatore, scopertili cristiani, «uccise questi santi martiri illustrissimi Abdon e Sennen nell’Anfiteatro», poi detto il Colosseo33. La guida Mirabilia Urbis Romae viene datata anche 1150, secondo un diverso prospetto dello stemma codicum inerente. Contigua è la Graphia aureae Urbis Romae (1155), che include il testo dei Mirabilia nel proprio, tra la Historia Romana a Noe usque ad Romulum e il Libellus de ceremoniis aule imperatoris (c. 1030). Qui si riferisce, al riguardo della decima corona: Hanc Doclicianus imperator uisam aurea corona regis Persarum, primus Romanis imperatoris tradidit […]. Habet autem corona in circuito suo scriptum «Roma caput mundi regit orbis frena rotundi».
Questo celeberrimo verso leonino è attestato per la bolla di Costanzo II imperatore di Germania (1024-1027), in prima documentazione di ordine protocollare34. Se per tale testo Docleziano fu il primo imperatore romano a rivestire o adottare la corona aurea del re dei Persiani, per cui la corona imperiale 33 CTCR
3, 34-39; Accame Lanzillotta 1996: 105-117; Accame – Dell’Oro 2004: 138-
143. 34 Schramm
1969: 343; Miedema 1996: 296-297.
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reca inscritta intorno Roma caput mundi, girando sul fronte corrispettivo ecco cosa raccontano tre autori persiani medievali qui di seguito. Ferdousí nel grande poema epico-romanzesco Šâh-nâmé «Il Re» (Ghazna, 1010) narra che, con l’ausilio di Kâva fabbro vessillifero, Feridun, sesto mitico re iranico nei primordi del mondo, ne riconquistò il regno vincendo Zahhâk, il tiranno serpentiforme, usurpatore arabo (tâzi) del trono. Quindi (6, 270-283), Feridun divise il mondo in tre zone. Ne riservò la prima a Salm, che meritò il paese di Roma e l’Occidente. Comandò di scegliere un esercito e trascinò i cinghiali verso Ovest. Mise egli piede sul trono dei Kayân [cfr. lat. Caii, gens Caia, Caianus]. Lo chiamarono signore dell’Occidente (xâvar-xodây).
Feridun diede la terra di Turân a Tur, il secondo figlio, che nominò capo di Turki e Cina. Diede al terzo figlio Iraj il Regno (šahr) d’Irân, «sia l’Iran, sia la terra dei Lancieri, e il trono regio e la corona dei capi». Gardizi, storico nativo di Gardêz, città presso Ghazna, riporta (c. 1059) nella sua cronaca Zayn al-axbâr «Il fregio delle notizie»: Afridun (Feridun) distribuì il mondo ai figli. Diede a Iraj il territorio di Persia, Iraq e Arabia, e denominò Regno d’Irân questa provincia. Diede a Salm il paese di Roma (Rum), l’Egitto e il Maghreb. Diede a Tur Cina, Turk e Tibet, motivo per cui chiamano Turân tale [provincia]35.
Rum, mediopers. Hrôm, «(paese di) Roma, Impero Romano»; Rumi «Romano»; Rumiya «Romana», la città di Roma. «L’Epitome di Cronache e Narrazioni», importante storia e cosmografia anonima (1126) che attinge a fonti precedenti, alcune rare, reca in una tavola figurativa «la forma delle mura di Roma (Rumiya)» e la descrive. Variante della storia di Feridun e sua progenie: Afridun assegnò «i Cesari a Salm», dandogli «il regno di Roma». Peraltro Heber figlio di Sem aveva due fratelli, uno di nome Siria (šâm), l’altro Roma. Andò con loro, e la tribù di Siria si stabilì nella terra di Siria, che così ne fu rinominata. Roma e il padre andarono in Roma, dove risiedettero. La loro stirpe divenne grandissima, ed essi costruirono edifici.
Nel paragrafo «Titoli delle genti della terra di Roma, e loro terminologia», l’anonimo spiega: Quando, per comando di Afridun, Sâm figlio di Narimân, portò Salm verso 35 Gardizi
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Roma, e il re di Roma gli venne dinanzi per ubbidienza, Sâm mise Salm sul trono regio, e istituì la cattedra aurea per il monarca di Roma. Sâm sollevò la corona, la pose il testa a Salm e dichiarò — Questo è il Cesare dei Cesari — (Qaysar-e Qaysarân).
«Tale titolo rimase agli imperatori di Roma. Per una tradizione che abbiamo ricordato, il primo dei Cesari fu Augusto». Poi I Romani trasferirono la capitale da Roma. Fortificarono la città affinché nel regno essa fosse vicina ai Persiani, e scelsero questo luogo che è la città di Costantinopoli. Era imperatore Costantino figlio di Nerone, in suo nome. Egli fu il primo imperatore di Roma che abbracciò la religione dei Cristiani e fece convertire i sudditi al cristianesimo. Attaccò gli Israeliti e li espluse da Gerusalemme. D’altronde, finora nessuno dei Giudei vi è ritornato. (…) Il regno di Iulius durò 7 anni; quello di Augusto, primo dei Cesari, 56 anni. Il primo loro imperatore, che essi chiamano Cesare, è stato questo Augusto. Da tale epoca essi conservano il nome cesareo (qaysari). Cesare significa che egli fu estratto dal ventre della madre. Fu così: sua madre morì, ed egli era nel suo ventre; appena i dottori si accorsero che il bambino era vivo, essi apersero il ventre materno e lo estrassero. Quando trascorsero 48 anni del suo regno, Gesù nacque dalla madre, e Zaccaria il profeta. Regno di Tiberius: è durato 22 anni36.
Però la guida Mirabilia Urbis Romae combinava qualche reminiscenza storica plausibile circa il motivo persico per cui il Pantheon fu costruito. Marco Agrippa, vicereggente di Ottaviano Augusto, compiendo la missione diplomatica in Asia vicina, convinse Phraates IV re di Parthia a restituire le insegne e i prigionieri romani ad Augusto37. Ritornato Agrippa in patria, cominciava la costruzione del Pantheon. La grande iscrizione sul fregio dell’architrave dichiara M. Agrippa fondatore del Pantheon nel suo terzo consolato (727 ab u.c. / 27 a.C.). Si ritiene il tempio ricostruito da Adriano (c. 118-125). Egli fu vittorioso in campagna bellica contro i Parthi. L’iscrizione sull’architrave del portico, la più importante, tra i grandi restauratori del Pantheon (c. 202) cita nell’incipit Settimio Severo, insignito di gloria parthica: IMP. CAES. L. SEPTIMIVS SEVERVS PIVS PERTINAX AVG. ARABICVS ADIABENICVS PARTHICVS MAXIMVS PONTIF. MAX. […] ET […] M. AVRELIVS ANTONINVS PIVS […] PANTHEVM VETVSTATE CORRVPTVM CVM OMNI CVLTV RESTITVERVNT. Nel contempo Settimio Severo, al ritorno vittorioso della spedizione in regno di Parthia,
36 Piemontese 2002: 37 Magie 1908.
500-501, 506, 516 nota 21.
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veniva dichiarato Restitor Urbis38. Il suo trionfale Arco Parthico sorgeva nel Foro Romano. Una lapide posta dentro il Pantheon commemora Mario e Marta persiani santi martiri di Roma39. L’arcivescovo Cosmas per la rifondazione della chiesa metropolitana di Mahdiya (Tunisia) vi traslò da Roma (c. 1150) le reliquie di Sennen e di Regulus «il padre d’Africa». Ruggero II re normanno di Sicilia conquistava ai dinasti Ziridi (22 giugno 1148) la città strategica di Mahdiya che, persa (21 gennaio 1160), passò in dominio degli Almohadi. L’Inventarium Thesauri Sacrae Africanae Ecclesiae conservato nella Cappella Palatina di Palermo cita le «reliquie sancti reguli, et majus os, et frustum aliud beati sennen martyris, qui sunt serico panno croceo involute, et alie, que ignote sunt, in cassa eburnea posite sunt». La Cappella Palatina espone ora nella Sala del Tesoro le reliquie. Una striscia di pergamena (n° 6) dichiara le reliquie «Sanctorum Abdon et Sennes»40. Papa Celestino III consacrò la chiesa di S. Salvatore delle Coppelle (1195), che sta vicino al Pantheon. La lapide commemorativa cita (linea 12) i santi «abdon et sennen» tra le reliquie deposte nell’altare41. Celestino III, restaurata la basilica di S. Lorenzo in Lucina, la riconsacrava in anno sesto del suo pontificato. L’epigrafe commemorativa (26 maggio 1196), circa la ricognizione e la deposizione delle reliquie nell’altare maggiore, cita «abdon | et sennen» (linee 11-12, penultima e ultima). Tali atti rituali, compiuti in presenza di «tota curia cardinalium», riconvalidavano la consacrazione della basilica che aveva operato l’antipapa Anacleto II (25 maggio 1130). L’epigrafe era posta presso l’altare42. Mentre era papa Clemente X (1670-1676), il cardinale vicario Gasparo de Carpegna ripete la ricognizione del reliquiario e ne conferma la validità. Vincenzo Guizzardi ne stila la relazione e copia l’epigrafe di Celestino III, che «si ritroua nell’ingresso della Chiesa per la porta Maggiore à man destra»43. Marc’Antonio Boldetti ripete la ricognizione delle reliquie (1711). Esse giacevano nell’altare maggiore «entro un’urna di piombo, e questa rinchiusa in un’altra di marmo, con cinque lamine di piombo, e una di pietra co i Nomi de’ Santi», corrispondenti «colle antiche memorie scolpite in marmo»44. Questa gran38 CIL VI, 896; A. Ziolkowski, «Pantheon»: LTUR 4, 54-61; Waddel 2008: 21, 151-152, nota 43. 39 Vedi anche II.2. 40 Garofalo 1835: 35; Rocco 1980-81: 262-263 e tav. III; Bresc 2000: 274-275. 41 Galletti 1760: 1, 40-41, n° 52; ICER 8, 499, n° 1156; Huelsen 1927: 436-437; Silvagni 1943: tav. XXVII.4. 42 Galletti 1760: 1, 44-45, n° 55; ICER 5, 119, n° 344; Piemontese 2009a: 18, 19 fig. 1. 43 Guizzardi 1675: 5, 8-9. 44 Boldetti 1720: 701-702.
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de lapide di Celestino III si vede adesso murata nel portico, in fondo alla parete sinistra, rispetto all’ingresso di S. Lorenzo in Lucina. Descriptio Urbis Romae eiusque excellentia, compendio storico-topografico che Nicola Signorili dedicava (c. 1425-1430) a papa Martino V Colonna, reca anche liste di reliquiari. La chiesa di S. Salvatore de Subura, sita presso la Madonna dei Monti, aveva reliquie di «A[b]don, et Senen» deposte in «una cassetta de ferro»45. Anche la chiesa di S. Susanna aveva reliquie di «A[b]don et Senen», in una «cassetta de octone»46. L’epigrafe antica murata sotto il pilastro di Ezechiel, visibile nella parete a sinistra dell’ingresso, riferisce che nel sacro edificio di S. Susanna sono riposte le reliquie di numerosi santi «sicvt in tabvla eivsdem ecclesiae continetvr». La basilica di S. Anastasia, ubicata ai piedi dello sperone sud-occidentale del Palatino, custodiva «in cassa eburnea» reliquie di «A[b]don, et Senen», inoltre di «Anastasius», forse il martire persiano47. Iulius Roscius Hortinus, Descriptio aliquot Ecclesiarum Romanarum (c. 1585), cita le «reliquie di ss. Martiri Abdon, et Senne» che erano custodite in una cassa di rame dentro la stessa basilica48. Le reliquie di «Abdon, Senen» e «Anastasius», ivi esistenti e ricordate nelle relative feste liturgiche, erano anche descritte «in una Tabella, che da tempo immemorabile è stata sempre affissa» nella famosa Cappella delle Reliquie49. La citazione di questi santi manca nella lista murale ora affissa nella stessa cappella, che espone molti preziosi reliquiari. Il Catalogo di tutte le antiche chiese et moderne, che sono state altre uolte, et sono hora in Roma (1626), opera di Michele Lonigo, reca stranamente dati obsoleti nell’incipit, che concerne il cimitero di «S. Ponziano Papa» e la chiesa «de santi Abdon et Senen» sulla via Portuense. «Di questo cimiterio, e di questa chiesa n’è persa in modo la memoria, che non si sa pur raccontar doue fossero»50. «Il 31 Maggio del 1578», per la scoperta sensazionale di un antico cimitero cristiano sulla Via Salaria, «nacque la scienza ed il nome di Roma sotterranea». Alle esplorazioni sistematiche compiute da Antonio Bosio «è dovuta la scoperta de’ sotterranei cemeteri di Roma»51. Angelo Santini, il Toccafondi, pittore mediocre, quindi il sostituto Santi Avanzino, accompagnavano Bosio. Egli scopre il «Cimiterio di Ponziano, ò 45 BAV,
Vat. lat. 3536, f. 68r; Huelsen 1927: 455. Vat. lat. 3536, f. 69r; Huelsen 1927: 486-487. 47 BAV, Vat. lat. 3536, f. 68r. 48 BAV, Vat. lat. 11904, f. 24v. 49 Cappello 1772: 69-71; Crescimbeni 1772: 62-63. 50 BAV, Barb. lat. 2984, f. 1r. 51 de Rossi 1864: 12, 31, 36-37. 46 BAV,
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de’ Santi Martiri Abdon, e Sennen» (22 luglio 1618), «il giorno della vigilia» liturgica loro, e sulla facciata di «un gran Pilo lateritio» un affresco: si vede innanzo d’una nuuola il Redentor nostro, che con ambi le mani porge una corona sopra ciascuna delle teste di detti Santi Martiri; cioè con la man destra corona S. Abdon, e con la sinistra S. Sennen; li quali sono dipinti intieri in piedi; & hanno in capo (oltre il Diadema) il bireto persico à guisa di cappuccio; & in ambi le estremità di detta facciata, e Pilo vi sono due Santi, vno per lato; cioè vicino a S. Abdon Milix, in habito secolare; e nell’altra estremità vicino a S. Sennen l’Imagine di S. Vincenzo in habito ecclesiastico. […] E forsi questi Miles e Vincenzo erano compagni de’ Santi Abdon, e Sennen, e della loro famiglia, venuti con essi à Roma da Persia; e perciò furono posti tutti insieme in quell’Arca, essendo in essa figurate le loro sacre Imagini: ce ne dà poi di ciò qualche coniettura l’esser il nome Milix persiano, già che (come dicemmo) d’vn altro dell’istesso nome Martire in Persia fanno mentione li sacri Martirologij52.
Il sito diventa celebre. Si copia e descrive lo splendido affresco che rappresenta l’Incoronazione cristologica di Abdon e Sennen, i santi eponimi del santuario53. Il «Cimitero Ponziano, detto anche de’ SS. Abdon, e Sennen», viene rivisitato «sulla cima del colle detto Rosato, poco più di mezzo miglio distante dalla moderna Porta detta Portese»54. Notabili sono gli abiti di questi Martiri, poichè i suddetti SS. Abdon, e Sennen per esser Persiani hanno in testa il pileo Frigio, col quale si sono osservati in queste sacre memorie i tre Magi, reputati dello stesso paese55.
«I due martiri vestono in realtà (come i Magi, i Fanciulli di Babilonia, Daniele) tuniche dentate ed ἀναξυρίδες a liste», ossia abiti di antica foggia persiana56. L’iscrizione principale dell’affresco (V/VI secolo) dichiara l’identità dei quattro santi rappresentati «scsMILIX scsSENNE scsABDO scsBICENTIVS», che formano due gruppi, centrale e collaterale. «L’affresco decora la parete murata di prospetto del sepolcro, nel quale furono deposte le reliquie dei martiri persiani Abdon e Sennen. Nel mezzo di vede sporgere dalle nubi il busto di Cristo, riconoscibile dal nimbo cruciforme; il suo abito è usuale, cioè tunica e pallio. Egli sta in atto di porre sul capo dei due martiri il diadema (non ghirlanda). Abdon (+ scs ABDO) ha la precedenza, a destra di 52 Bosio
1632: 119-122, 127, 133 tav. 1651: 361-365, 376-377, 383 tav. III. 54 Boldetti 1720: 98, 540, 706. 55 Bottari 1737: 202, tav. XLV. 56 Franchi de’ Cavalieri 1912: 98, nota 1. 53 Aringhi
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Cristo; Sennen (+ scs SENNE) sta a sinistra. Ambedue portano la barba e sono vestiti di una tunica con maniche, succinta e tagliata stranamente a pizzi, della lacerna e del berretto frigio. Accanto ad essi sono dipinti altri due santi, Milex (+ scs MILIX) e Vincenzo (+ scs BICENTIVS). Il primo, come soldato, porta la tunica succinta e la clamide». Abdon e Sennen «hanno le braccia sollevate in modo uniforme, ma le dirigono al centro ove sta Cristo, quasi per ricevere le corone. Tutti hanno il nimbo circondato da largo contorno». Nella incorniciatura superiore è dipinta l’iscrizione bianca su fondo giallo «+ DE . DONIS DI ET SCRM ABDO ET SENNE GAVDOSIVS». Questo Gaudiosus era ex voto il committente della pittura, forse anche l’esecutore (tav. 7)57. Milex, forma greca Μίλης, vescovo di Susa e martire sotto Šâbuhr II re sasanide di Persia (c. 341 / 345), aveva forse svolto nell’esercito persiano servizio di miles «milite», quasi fosse un ex-legionario ivi integrato. Il Martyrologium Romanum ricorda in data liturgica 22 aprile il santo martire Milles ex milite Episcopus58. MILIS è raffigurato tra una croce gemmata insieme a PYMENIUS, santo martire di Roma, sul muro che chiude l’imbocco di un sepolcro scavato a finestra nella parete della galleria sbarrata59. L’Actus di santa Bibiana racconta le gesta di Pymenius / Pigmenius, presbitero del titulus Pastoris. Egli si reca e risiede in Persia per quattro anni, poi ritorna a Roma. Pigmenius fu annegato nel Tevere (24 marzo 362) forse per decisione di Giuliano l’Apostata, che sarebbe stato un suo antico discepolo. Questo imperatore perì nella sua spedizione militare contro la Persia sasanide (26 giugno 363), altra pietra nera romana nel conflitto endemico. La matrona Candida curò la sepoltura di Pigmenius nel cimitero Ponziano60. Eventi politici e la propaganda di dottrine religiose contrastanti suscitavano un movimento bidirezionale di missioni. Il viaggio di Pigmenius in Persia aveva forse un intento ricognitivo, rispetto alla locale comunità cristiana siro-orientale, molto antica e sovente perseguitata dai regnanti sasanidi. Eppure, secondo l’agiografia siro-orientale, vari presuli e santi di questa Chiesa cercarono di convertire qualche re e principe sasanide. Alcuni monaci e vescovi esperti in medicina guarivano da malattie anche perso57 Wilpert 1903: I, 78-80, 450; II, tav. 258; Manna 1924: 180-181; Piemontese 2009a: 20, 21 fig. 2. 58 AASS, Aprilis t. VII, 19-22 (Milles: 22 aprile); Jullien 2004: 160, 164, 168. 59 Wilpert 1903: I, 454; II, tav. 255, 1; Silvagni 1935: 96, n° 4532; CTCR 2, 92; Glorie 1965: 309; Nieddu 2008. 60 AASS, Martii t. III, 479-480 (Pygmenius: 24 marzo); BHL n° 1322-1323, 6849; BHLS (BHLNS) n° 6849a; Dufourq 1900: 240-243; Manna 1924: 171-177, 202-203; de Gaiffier 1956: 27-38.
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ne della famiglia reale. Buzac vescovo di Susa guarì re Qavâd I e sua figlia (c. 500). Mosé monaco della regione di Dara guarì la madre di Xusraw II (591-628), il re contro cui Eraclio fu in guerra di crociata61. L’agiografia latina ascrive a s. Ciriaco gesta che denotano un intervento concorrenziale di proselitismo. Il diacono Cyriacus guarì Artemia, figlia indemoniata di Diocleziano (284-305). Intanto soffriva lo stesso malore la figlia di Sapores re di Persia, che sarebbe Šâbuhr II (309-379), altrimenti Ohrmazd II (302-309), o il figlio di Šâbuhr I, re Narsê (293-302), contro il quale Diocleziano inviò in campagna bellica Galerio, vittorioso in Armenia. Sapores invia una delegazione a Roma per chiedere soccorso all’imperatore. Serena, sposa cristiana di Diocleziano, manda in Persia Cyriacus, accompagnato dai diaconi Largus e Smaragdus. Cyriacus libera dal demonio, sana e battezza la principessa persiana con il nome di Iobia. Compiuta la missione, i tre compagni tornano a Roma. Cyriacus, Largus e Smaragdus patirono insieme il martirio al tempo di papa Marcello I (308), che ne dispose la sepoltura. Il nome Iobia della principessa sasanide sanata da Ciriaco riflette pers. Yôba che significa «desìo». Secondo Ferdinand Justi, la principessa era figlia di Šâbuhr II. Tre chiese di S. Cyriacus erano erette tra VI e X secolo in Roma62. Se non l’attività di papa Hormisda, la sua epoca risulta importante per la rievocazione definitiva che riguarda le gesta dei santi martiri persiani di Roma. La critica ritiene fissata tra V secolo exeunte e VI secolo ineunte la Passio di Abdon e Sennen, e redatta verso il V/VI secolo anche la Passio di Mario e congiunti. Papa Hormisda (514-523), figlio di Iustus, era nativo di Frosinone e Campano di nazione. Il suo onomastico, si suppone, è relativo a Hormisda, il principe sasanide esule presso Costantino e immigrato in impero romano. Alla memoria del principe Hormisda, forse convertito cristiano, era intitolato un grande palazzo imperiale in Constantinopoli, situato tra l’Ippodromo e il Mare di Marmara63. Ma il nome di papa Hormisda indica almeno una referenza storico-ideale alla Persia cristiana, siccome «Hormisda quidam erat valde nobilis apud Persas ex Achemenidarum stirpe». Questo nobile persiano Hormisda era Hormizd, il santo martire di Bêth-
61 Jullien
2009: 122-124. Januarii t. II, 369-376 (Acta Marcelli papae: 16 gennaio); Augusti t. II, 327-339 (Cyriacus, Largus, Smaragdus et socii: 8 agosto); BHL n° 2056-2066, 5235; BHLS n° 2058a2063; BHLNS n° 2056b-2063; LP 1, 324; Justi 1895: 149; Huelsen 1927: 243-246; F. Tommasi, «S. Cyriaci ecclesia»: LTURS 2, 180-184, 387-390, fig. 177-180. 63 Avruscio 1993. 62 AASS,
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Garmay (419/420), perito nella persecuzione anticristiana decisa da Yazdegard I re sasanide64. Papa Hormisda, sepolto nella basilica vaticana di S. Pietro, sotto il pavimento del portico, è un pontefice santo, come il figlio Silverius (536-537), che fu confinato e perì nell’isola di Ponza65. Una bella effigie antica di papa «+ hoRMISDÂ\\» (S. HORMIDAS), sedente anni VIII nel pontificato, è trasmessa da una copia valida (tav. 8)66. Roma pontificia mostrava una sollecitudine verso la Persia cristiana, che idealmente connetteva al proprio territorio diocesano. Pare plausibile che reliquie di Milix fossero traslate dalla Persia nel cimitero Ponziano. Questo santuario martiriale paleocristiano, meta di pellegrinaggio, vi rappresentava il collegamento ideale tra le Chiese romana e persiana. Papa Paolo I (757-767) depose reliquie di Milix e Pigmenius nella sua casa paterna e nella chiesa vaticana di S. Maria in Frari. Durante il restauro della chiesa trasteverina di S. Salvatore in Corte si riscopriva (1665) sotto l’altare maggiore la cassa marmorea sul cui coperchio era incisa l’iscrizione TITVLVS PASTORIS C.B.R. IACET PIGMENIVS IN MAVSOLEVM FELICI TER TVMVLATVS + HIC REQVIESCIT S. MELIX MARTYR CHRISTI. ET POLLION PRESBYTER ET MARTYR67.
Milix era denominato Melisse in maniera romanesca. Una reliquia di questo santo fu traslata nella chiesa di S. Silvestro in Campo Marzio. «In vn pilastro nel mezzo della chiesa à man manca, è affissa vna tauola di marmo, nella quale è la nota delle Reliquie che furono poste in questa chiesa secondo l’ordine di giorni in cui fra l’anno si celebrano le loro feste»: 25 aprile «Natale di S. Milite Martire»68. Il sito Ponziano, che distava quasi mezzo miglio da porta Portese, costituiva dunque il santuario persiano-romano per eccellenza in epoca paleocristiana. Adesso il medesimo sito è la catacomba che sta su Monteverde, in Via Alessandro Poerio, numero civico 57, cui si accede per una porticina metallica. Le pitture murali appaiono degradate, siccome il sito è inondato da una falda acquifera della collina sin da epoca antica e altomedievale.
64 AASS,
Augusti t. II, 341 (Hormisdas: 8 agosto). 1, 269-274, 290-295; Tancredi 1865. 66 BAV, Urb. lat. 4407, f. 64r, immagine mm 420 × 280: Effigie di Sessantotto Pontefici dipinte intorno alla Basilica di S. Paolo sopra il corniscione di colonne copiato l’anno 1634 d’ordine dell’Emin. Sig. Card. Francesco Barberini. 67 Maoro 1677: 5, 7, 57; Mai 1831: 397; de Rossi 1891. 68 Ugonio 1588: ff. 246v-247r; cfr. ICER 9, 80, n° 122. 65 LP
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Forse per l’incombenza di questo pericolo i resti di Abdon e Sennen furono traslati nella basilica di S. Marco69. La basilica di S. Marco al Campidoglio, intitolata al nome dell’Evangelista, legata alla memoria di S. Marco papa (18 gennaio-7 settembre 336) e ricostruita da papa Gregorio IV (824-844), inclusa la cripta anulare alla base dell’abside, diventò il tempio urbano di Abdon e Sennen. La traslazione dei resti di papa Marco integrava la sua venerazione in questo luogo centrale (1145). Papa Paolo II (1464-1470), Pietro Barbo veneziano, rinnova la basilica, che viene inglobata nell’area del palazzo di Venezia70. Nel portico si vede murata sulla parete laterale destra la grande epigrafe di Paolo II (kal. Aprilis 1466), che in anno III del pontificato, richiamando la memoria del predecessore Pio II, celebrava il nuovo fasto della basilica, ~ dove riposano le reliquie di Marco papa e confessore «NEC NO ABDON ET ~ ~ ~ ~ ~ SENEN \\ MATIR. COPA SVT RECONDITA»: inoltre sono riposti i corpi di questi martiri. La lettera è tracciata dentro la del nome Abdon, e la seguente entro la di corpora (al principio di linea 22), come tratti dei caratteri elegantissimi, quasi segni ornamentali di ricamo nell’epigrafe71. In anno VI del pontificato di Sisto IV, successore di Paolo II, fu scoperta la confessione dell’altare maggiore (1474). Il cardinale titolare Marco Barbo ne dispose il riassetto, ostruendo la cripta risalente al tempo di Gregorio IV, riconsacrò l’altare (28 giugno 1476) e vi ridepose in un’arca di granito, dentro una grande cassa di cipresso recante la pergamena dell’atto di deposizione, il «corpus beati Marci papae et confessoris et corpora sanctorum martyrum Abdon et Sennen et partem capitis Sancti Restituti» e altre reliquie, avvolti in tessuti di ricamo umbro. L’epigrafe celebrativa posta presso l’altare citava le reliquie72. Marco Barbo, defunto (2 marzo 1491), fu tumulato, oltre il lato destro dell’altare. Se ne vede la tavola funebre di porfido incastrata sul pavimento avanti la Cappella del Sacramento73. Durante i pontificati di Callisto III, Pio II, Paolo II e Sisto IV, erano intense le relazioni diplomatiche di Roma con la Persia74. Dopo la scoperta del solenne affresco nel cimitero Ponziano, si riammodernava la basilica marciana con lavori diretti da Orazio Torriani e finan69 Manna 1924; Marucchi 1932: 79-86; Silvagni 1935: 96, n° 4352; Styger 1935: I, 277288, II, tav. 93; Nestori 1993: 147-148; Fiocchi Nicolai 1999; Ricciardi 2002; Mazzoleni 2003; M. Ricciardi, «Ad Ursum Pileatum, ad Abdon et Sennen»: LTURS 5, 214-216. 70 CBCR 2, 218-249; Cecchelli 1995. 71 ICER 4, 347, n° 821. 72 Ferrua 1948. 73 ICER 4, 348, n° 823. 74 Vedi anche III.9.
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ziati da Nicolò Sagredo, ambasciatore veneto in Roma (1654-1657), un cui ritratto sta nel vestibolo della sagrestia. I cornicioni sopra le colonne della navata centrale, zona del triforium, furono affrescati: a sinistra la storia di s. Marco papa quattro riquadri, l’elezione al pontificato, la fondazione della basilica, la sua consacrazione, la trasposizione del corpo; di fronte, sulla parete destra corrispettiva della navata, la storia di Abdon e Sennen in quattro episodi. Le pitture erano completate in anno 1659, secondo le anonime Notizie istoriche concernenti la chiesa di S. Marco e conservate nel suo Archivio75. I riquadri rettangolari incorniciati, il primo minore e di forma quadrata, scandiscono la storia di Abdon e Sennen in base al testo della loro Passio. La sequenza procede da destra, poco oltre l’ingresso, verso sinistra, al limite del presbiterio. I. Il sepppellimento del martire. Come in una deposizione di tipo cristologico, Abdon e Sennen entrambi giovani trasportano verso la sepoltura, reggendo uno per le spalle, l’altro per le gambe, la salma di Polychronius vescovo e martire di Babilonia. II. Il rifiuto di adorare idoli pagani. Nell’aula del Senato, Decio, che indossa il manto rosso e la corona di alloro, è assiso sul seggio imperiale e assistito dal pontefice Claudio, avvolto nel manto bianco. L’imperatore impone l’adorazione degli dei invano e alza il braccio destro per condanna. Abdon, anziano barbuto, ammonito e spinto da un milite sul pavimento, invoca a mani giunte il cielo. Sennen, giovane altero, volge le spalle e alza la mano destra per rifiuto. III. Il trascinamento. Mani incatenate dietro le spalle, Abdon e Sennen a fianco marciano davanti ai cavalli bigi scalpitanti della biga, su cui Decio va in trionfo tra due ali di folla. IV. Il martirio. In una cella dell’Anfiteatro, un gladiadore che alza la spada e il secondo che punta la lancia, si avventano su Abdon, uomo maturo barbuto, spinto per la spalla a terra. Sennen, giovane che guarda il compagno, è preso alle spalle dal terzo gladiadore, pronto a colpire con il gladio. Il manoscritto urbinate adespoto Opere di diuersi Architetti, pittori, scultori et altri Bellingegni Fatti in Roma […] sin al presente giorno 1660 […] riferisce che i pittori Guillaume Courtois detto il Borgognone, Giovanni Angelo Canini, Francesco Allegrini e Pietro Francesco Mola, ciascuno nell’ordine, eseguirono i rispettivi riquadri76. L’ordine di attribuzione dei riquadri coincide in parte, diverge o s’inverte presso autori successivi77. La scena del primo riquadro è riprodotta nella stampa Seppellimento dei 75 Urban
1961-62: 282-284, 126 foto 119, 145 foto 143. Urb. lat. 1707: p. 95. 77 Mola 1966: 79; Pascoli 1736: 118; Titi 1763: 179-180; Dengel 1913: 87, 93-96; Voss 1924: 272 ill., 554. 76 BAV,
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morti durante la peste a Roma (1656-1657), opera firmata da Courtois come inventore e incisore, la quale si conserva nel Gabinetto delle Stampe. La medesima scena figura una tela acquistata in Roma (1862) e trasferita al Museo Reale di Bruxelles78. Arcangelo Spagna, canonico romano, intitolava e cominciava una sestina di un suo poema sacro così: De Santi Abdon, Sennen Martiri inuitti. / I rari Gesti, e la Costanza io narro, / Che pria da Decio nella Persia afflitti, / Poi Prigionieri al trionfal suo Carro / Roma li vide; e il Venerando aspetto / La commosse à Pietà, non a diletto (canto VII, 65)79.
Per committenza del cardinale Angelo Maria Querini, titolare della basilica marciana, che la fece ridecorare, Filippo Barigioni romano eresse il nuovo presbiterio (1741). Il monumento della confessione sporge ai piedi dell’altare maggiore. Tra le statue dorate di una coppia di angeli, che reggono ciascuno la palma del martirio come turibolo, sopra la finestrella rotonda della confessione sovrastante la cripta, spicca il cartiglio marmoreo moderno a crespe ondose che reca l’iscrizione HIC QUIESCUNT | CORPORA | SS. ABDON ET SENNEN M.M. | QUAE PRIMO QUIRINUS DIACONUS | SEPELIUIT IN SUIS AEDIBUS. In ambedue i lati sotto la balaustra il monumento reca (1736) come fregio laterale inferiore l’epigrafe a caratteri dorati su lastra di porfido: ANGELVS MARIA | TITVLI S. MARCI | PRESBYTER CARDINALIS | QVIRINVS | EPISCOPVS BRIXIENSIS | ET S. SEDIS BOBLIOTHECARIVS | ANNO SAL. MDCCXXVI.
Il testo identico è ripetuto su entrambi i lati80. Durante i restauri disposti dal cardinale titolare Giacomo Giustiniani (1840-1843), fu esplorata la Cripta confessionis, l’ipogeo dove i corpi dei due santi erano collocati al tempo di Gregorio IV, ma senza un relativo altare. Domenico Bartolini vide nel sito alcune «pitture molto guaste», a suo avviso figuranti anche Abdon e Sennen, nella piccola nicchia della cateratta sovrastante l’ipogeo81. Riscoperto e riassettato l’altare eretto da Marco Barbo, e sotto cui era riposta l’urna granitica delle reliquie, si eseguì lo scavo della chiesa antica, che permise la riapertura e il restauro della 78 Salvagnini 1935: 172-175, 79 Spagna 1720: 108. 80 ICER
fig. 5-8.
4, 365, n° 869. 1844: 21-22, 45-46, tav. III-IV; 1859.
81 Bartolini
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cripta di Gregorio IV sita sotto il livello pavimentale della navata centrale (1947-1949). Oggi al termine del braccio rettilineo della cripta si è costruito un piccolo altare contenente le reliquie dei SS. Abdon e Sennen e Restituto, per devozione dei fedeli che visitano l’ipogeo82. Sotto il piccolo altare della cripta, consacrato da «ALB. FERRERO ARCHPUS» (25 giugno 1948), è sita la finestrella delle reliquie che reca come titolo l’iscrizione CORPORA SS. MM. | ABDON ET SENNEN. Sulla parete semianulare a fronte è murata la lapide riepilogativa (Pio XII Pacelli, 1948): CORPORA SANCTORVM MARTYRVM ABDON ET SENNEN PERSARVM S. RESTITVTI ET PLVRIMORVM SOCIORVM QVORVM NOMINA IN LIBRO VITAE SCRIPTA SVNT EFFOSSO OLIM E CIMITERIIS SVBVRBANIS MANDATO GREGORII IV SVMMI PONTIFICIS ET IN HOC HYPOGAEO CONDITA A.D. MCDLXXIV SVB ARA PRINCIPE JUXTA CORPVS S. MARCI PP TRANSLATA PRISTINO SVO LOCO TANDEM RESTITVTA SVNT A. D. MCMXLVIII PONTIFICATVS PII XII ANNO X
2. Marius, Martha, Audifax e Abachum nello spazio urbano Marius, Martha, Audifax e Habbaquq (Abbacuc, Abachum), componenti una nobile famiglia cristiana, pellegrina e immigrata dalla Persia mentre era imperatore Claudio II il Gotico (268-270), formano la seconda compagine dei protomartiri santi persiani di Roma. Un primo notevole pellegrino straniero che risulta venuto a Roma fu Abercio, vescovo di Ierapoli in Frigia (c. 170-200). Si intensificavano i viaggi ai santuari dei santi Pietro e Paolo che compivano personalità ecclesiastiche e pellegrini provenienti dall’estero (III secolo). Quindi «si sviluppa nella seconda metà del secolo III un vero e proprio culto popolare e pellegrinaggio agli Apostoli Pietro e Paolo», e ai sepolcri di altri martiri83. Si ritiene Mâr Mârî di Edessa (c. 79-116) l’apostolo evangelizzatore in area di Mesopotamia e Persia occidentale, sotto i Parthi Arsacidi. Il nome Mârî, lat. Marius, forma normalizzata di Mares, genitivo Maris > it. Mario, risale all’onomastico Mârî (gr. Μάρις), che era diffuso presso i cristiani in 82 Ferrua
1948; Sicari 1998: 5-6. 1991: 213-217.
83 Maccarone
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Persia e portato da un martire perito in carcere per la persecuzione operata da Šâbuhr II (327). L’onomastico pers. Mâriy, ipocoristico del nome abbreviato mâr, significa «parola sacra». La contiguità nominale perso-siriaca antica rende difficile la ricostruzione etimologica. Sono anche contigui gli onomastici pers. Mâr-ôy «signore» e sir. Mârî < mari «mio signore», equivalente femminile martha. L’onomastico Martha (la sorella di Lazzaro, Lc 10, 38; Gn 11, 1) era sovente portato da donne cristiane in Persia antica, tra cui s. Martha vergine uccisa con Thecla e altre tre compagne sotto il re sasanide Šâbuhr II (347) e s. Martha († 540) figlia di s. Phusic, vescovo e martire di Seleucia-Ctesifonte sotto il re sasanide Xusraw I, Xusraw î Kâwadân (figlio di Kâwad), detto Anôša-gruwân «avente l’anima immortale»84. La forma originale del nome Audifax mi sembra Abdvaxš, che significa «dotato di spirito mirabile» o «ben cresciuto». Questo onomastico persiano antico è di forma composta: abd «mirabile, meraviglioso» < *abda- e vaxš «spirito», omofono di vaxš «crescita»85. La forma latina del nome Audifax è asseverata dal titulus «AVDIFAX» stilato sul coperchio sepolcrale che si vedeva nel piano destro di un ambulacro del cimitero di Domitilla, sito sulla via Ardeatina. L’ambulacro, descritto da G. B. de Rossi (1852), risulta interrato da diverso tempo86. Se, anziché un omonimo successivo, lo stesso martire Audifax fosse sepolto o traslato in tale loculo, pare difficile stabilire. Nel testo della Passio di Mario e congiunti il nome di Abbacuc è correlato a Habbaquq (gr. Ambakoum), il profeta che soccorse Daniele nella fossa dei leoni (Dn 14, 32-38). In Susa si venera il sepolcro di Daniele e quello del profeta Habbaquq presso Tuyserkân. Il dottor Jean-Baptiste Feuvrier, archiatra francese di Nâseroddin Qâgiâr re di Persia, viaggiando osservò (luglio 1892) nella regione del Monte Alvand un sito giudeo-persiano allora poco noto all’estero: le tombeau du prophète Habacuc, un des douze petits prophètes juifs, monument de forme polygonale, entièrement en briques cuites, jusqu’à son toit à cônes si bizarres, que le fait rassembler à un gâteau de Savoie.
La torre ottagonale a tetto conico, formato da sette colonne concentriche, alberga il sepolcro. La lapide funeraria, decorata con la menorah e la stella di Davide, reca l’iscrizione di alcuni versetti del libro biblico di Habbaquq. Le epigrafi sono in lingua ebraica e traduzione persiana. Il mo84 Hoffmann
1880: 4, 45; Justi 1895: 195, 199; Delehaye 1907: 422, 436-437; Gignoux 1986: 26, 119; Chaumont 1988: 16-29; Jullien – Jullien 2002: 77-78, 164. 85 Gignoux 1986: 26; cfr. Justi 1895: 343 («Vaxš»), 516 («Huwaxša»). 86 Silvagni – Ferrua 1956: 135, n° 7442.
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numento, sito in Iran attuale presso la città di Tuyserkân, è venerato come sepolcro del profeta Habbaquq da pellegrini ebrei e anche pii musulmani87. Le vicende dei santi martiri Quirinus (giorno liturgico 25 marzo), Valentinus (giorno liturgico 14 febbraio) e Asterius sono interrelate nella Passio di Mario e congiunti, al tempo dell’imperatore Claudio II il Gotico. Il testo comincia: Temporibus Claudij venit quidam vir de Persidae partibus, nomine Marius cum uxore suâ Martha, & filiis suis Audifax & Abbacuc, christianissimi viri, ad orationem Apostolorum. Venientes autem Romam, coeperunt corpora Sanctorum per carceres & sepulturas conquirere. Ai tempi di Claudio venne dalle regioni di Persia un uomo di nome Mario, con la consorte Marta e i suoi figli Audifax e Abbacuc, ferventi cristiani, per venerare i sepolcri degli Apostoli. Ma, dimoranti in Roma, essi cominciarono a recuperare corpi di santi per carceri e sepolture.
Essi assistono il suddiacono Cyrinus / Quirinus, prigioniero «in Castra trans Tiberim», curando anche i suoi compagni di carcere, per otto giorni. Ma Cyrinus, ucciso con il gladio, fu annegato nel Tevere. Mario e congiunti recuperano la salma del martire santo sulla riva dell’Isola Tiberina. Essi e s. Pastore presbitero seppelliscono Cyrinus nella cripta del cimitero Ponziano. Mario e congiunti, e s. Giovanni presbitero, partecipano al recupero dei corpi dei martiri cristiani periti nell’eccidio della via Salaria. Mario e congiunti seppelliscono il martire s. Blastus, un tribuno di Claudio, nella cripta cimiteriale del Clivus Cucumeris sito sulla via Salaria. L’imperatore Claudio aveva intanto comandato di spiare le mosse di Mario e congiunti che, quasi immigrati clandestini, agivano di nascosto. Essi frequentano il cenacolo, ossia oratorio di s. Callisto vescovo in Trastevere, la loro prima zona di residenza, per due mesi, inoltre aderiscono alla comunità dei fedeli di Valentino presbitero, il famoso santo la cui Passio è appunto riferita nel contesto di quella di Mario e congiunti. Valentino aveva convertito Asterio e il suo gruppo domestico, e per miracolo reso il dono della vista alla figlia cieca di Asterius, nella cui casa Mario dimora come ospite con la propria famiglia trentadue giorni, fino alla improvvisa repressione di questa comunità. Valentino, tratto in arresto, fu decollato sulla via Flaminia, e Asterio condotto prigioniero all’Ursarius di Ostia. Prima di essere ucciso, Asterio chiedeva aiuto a Dio, evocando Daniele prigioniero nella fossa dei leoni, e qui soccorso dal profeta Abbacuc. Tra gli arrestati nella casa di Asterio erano «Marius & Martha, Audifax & Abbacuc nobi-
87 Feuvrier
1906: 353 foto, 354; Soroudi 2003.
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lissimi de Persidâ». Questa forma del toponimo può indicare la Perside, il cuore storico-geografico del paese, Persia centrale. Claudio li interroga nel proprio palazzo: «Vnde estis? Respondit Audifax filius eorum maior: de Persidâ». Di dove siete? — Rispose Audifax, il loro figlio maggiore: Di Persia. Mario rivela la propria identità e quella della sposa Marta, esclamando dinanzi a Claudio: «Nam ut scias nos nobiles esse, ego filius sum Imperatoris Maromeni, & haec filia est Cusinitis subreguli». Ora, affinché tu sappia che noi siamo nobili, io sono figlio dell’imperatore Maromeno, e questa è figlia del satrapo Cusinite. Per condanna Marta è costretta ad assistere alla tortura dei congiunti. La Passio termina: Qui ducti sunt viâ Cornelia, miliario tertio decimo ad Nymphas Catabassi, ibi in eodem loco decollati sunt sub arenario, Marius, Audifax et Abbacuc. Martha vero in Nymphâ necata est. Quorum corpora iterum iussit Muscianus incendi ne sepulturam haberent. Matrona vero quaedam, nomine Felicitas, rapuit corpora eorum semiusta, et in praedio suo sepelivit. Martham vero levavit de puteo, et iunxit corporibus sanctis, sub die tertio decimo kalendarum Februariarum. Essi sono condotti sulla via Cornelia, miglio XIII, presso le fonti, in proprietà di Basso. Qui, nel medesimo luogo sono decollati, sotto il renaio, Mario, Audifax e Abbacuc. Marta invece è affogata nella fonte. Musciano comandò ancora di bruciare i loro corpi, affinché non avessero sepoltura. Invece una matrona di nome Felicita sottrasse i loro corpi semicombusti e li seppellì nel suo podere. Ella invero levò Marta dal pozzo e la congiunse ai corpi santi, nel giorno 20 gennaio88.
Questo martirio avvenne in data probabile 19 gennaio 270. Claudio II il Gotico compiva forse qualche impresa di cui gloriarsi nei confronti della nemica Persia sasanide. Egli si fregiava del prestigioso epiteto Parthicus Maximus su una epigrafe latina trovata in Numidia proconsolare89. Esiste una possibilità che Mario fosse un principe di stirpe o affiliazione parthica espatriato. Per compatibilità cronologica imperatore Maromen, la paternità asserita di Mario, dovrebbe riferirsi ad Ardaxšîr I, il primo re sasanide (c. 225-241). La forma Maromen sembra rinviare a un epiteto di questo re o adattare Wahuman, in scrittura pahlavi che enuncia il nome Wahman/Vahman. Ardaxšîr chiamato Wahman era l’avo di Ardaxšîr I, per la genealogia riferita da un autorevole testo pahlavi. Anche Ardaxšîr I, il degno erede dell’avo, in ambito familiare poteva essere soprannominato 88 AASS, Januarii t. II, 578-583: Marius, Martha, Audifax & Abachum (19 gennaio); Februarii t. II, 752-755: Valentinus (14 febbraio); BHL n° 5543; BHLNS n° 5543-5543a; AE 3, 166-168; 14, 366-367; Allard 1886: 202-204; Dufourq 1900: 115, 219-220, 231-232, 240; Franchi de’ Cavalieri 1935: 13-14; Kirsch 1924: 96-99; Piemontese 2003: 9-11. 89 CIL VIII, 4876.
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Wahman, o designato il Wahmanide. In tal caso, come principe sasanide espatriato, Mario era forse un fratello o fratellastro di Šâbuhr I, il re (c. 241-273) figlio e successore di Ardaxšîr I. Ma il patronimico Maromen si può anche confrontare a Mahmadân < *Mâhmihrân, patronimico di Mihrayâr, sovrano pêrôzgar «vittorioso» di Spâhân, antica città e regione militare persiana, moderna Esfahân. Mahmadân compare come sovrano autorevole al principio di Škand gumânîg wizâr, celebre trattato pahlavi di dottrina zoroastriana e polemica anticristiana, antimanichea e antislamica, opera di Mardânfarrox figlio di Ohrmazd-dâd (c. IX secolo). La conversione e il battesimo di vari principi sasanidi sono riferiti in agiografia cristiana siro-orientale. Secondo una leggenda araba islamica (IX secolo), Ardaxšîr I, fantasticato quale coevo di Gesù, fu convertito da un suo apostolo al cristianesimo nella reggia di Ctesifonte90. La paternità «Cusinitis subreguli» riferita a Marta sposa di Mario pare riflettere il nome pers. Xûàên e indicare una carica affine a governatore91. Sotto Arsaces III, re di ascendenza parthica in Armenia paleocristiana (c. 339-369 / 350-364), il satrapo Xûàên governava la provincia di Sophene92. Il quartiere commerciale di Trastevere era «abitato in gran parte da orientali», greci compresi93. Il cenacolo transtiberino di Callisto vescovo, che Mario e congiunti frequentavano secondo l’Actus della loro passione, viene confuso con la basilica di S. Maria in Trastevere, ma dovrebbe riferirsi a una sede urbana legata al nome di s. Callisto papa martire (14 settembre 222) sotto Alessandro Severo imperatore. Secondo la Passio Callisto fu buttato dalla finestra di casa sita in Trastevere, precipitato in un pozzo e sepolto sulla via Aurelia. La basilica transtiberina iuxta Callistum eretta da papa Giulio I (337-352), accoglie i resti e il culto di Callisto in epoca precedente al pontificato di Gregorio IV (828-844). La basilica di S. Maria in Trastevere celebra la memoria di S. Mario, connessa alla figura di Callisto, almeno dal XVI secolo94. La sepoltura dei defunti era un dovere di carità cristiana, e l’assistenza ai carcerati manifestava un’azione umanitaria di solidarietà tipica dell’agire cristiano95. Mario e congiunti compivano tali opere di pietà, che li integravano nella vita della comunità paleocristiana di Roma. Essi risaltano tra i primi cristiani che alcune notizie storiche configurano come esuli o 90 Jullien
2009: 127-129. 1895: 374-375. 92 Piemontese 2003: 14-17. 93 Franchi de’ Cavalieri 1920: 97. 94 Moretti 1752: 85-89; Verrando 1984. 95 Di Bernardino 2000: 82-112. 91 Justi
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immigrati dalla Persia in territorio romano. Peraltro lo stesso pellegrinaggio di Mario e famiglia a Roma comportava la loro adesione alla Chiesa apostolica romana96. Le premure mostrate da Mario e congiunti verso il pio suddiacono Quirinus / Cyrinus, assistito «in Castra trans Tiberim» e sepolto del cimitero Pontianus, si spiegano con il fatto che egli era il depositario della memoria di Abdon e Sennen. L’indagine sulle tracce di questi due conterranei poteva dunque essere una motivazione particolare del viaggio di Mario e congiunti a Roma. Tegernsee, laghetto in Baviera meridionale, ospita un monastero che divenne il santuario di Quirinus, dove ne fu traslato il corpo durante il pontificato di Zaccaria (741-752). Papa Eugenio III ne diede conferma (1150). Metellus, frate del monastero di Tegernsee, celebra (c. 1160) nel poema sacro Quirinalia gesta, traslazione e culto di s. Quirinus, quindi anche la storia di Marius, Martha, Audifax & Abacuc97. Metellus, Quirinalia: Marius, Martha, Audifax & Abacuc visitano in carcere Quirinus e lo assistono «Transyberim castra / Exeuntes inveniunt egregium Quirinum / Carcere vinculatum». Il prigioniero viene decollato e gettato nel Tevere. «Regressus urbem cum sociis fidelis / Vir ille Persarum Marius supremus», «Quaesivit in castris relictum / Carcere trans Tyberim Quirinum». Marius & Martha curano le esequie di Quirinus: «Insecuta nocte pii diripuere Persè / Corpora sacra flammis», «Exequias agebant» e la sepoltura nel cimitero Pontianus. Reliquie di Quirinus furono traslate anche al monastero di Ilmina, sotto l’abate Mageline e il vescovo di Aran, Francia. Nella sacra capsula «sedent Arsacii», incluse le reliquie di Marius & Martha98. Fonti documentali e storiche di epoca paleocristiana attestano il culto romano di Mario, Marta, Audifax e Abbacuc, e la rilevanza del loro santuario martiriale. Il Martyrologium Hieronymianum (431-450) ricorda che in data «XIII kalendas februaris» anniversaria del martirio (20 gennaio) «Marius Marthae Audifax Abacuc» furono deposti nel cimitero della via Cornelia, sito al XIII miglio da Roma99. Il Sacramentarium Gelasianum (V/VI secolo) cita in stessa data la rubrica della messa che secondo liturgia romana era celebrata nel natale dei santi martiri Sebastiano, «Mari, Marthae Audifax et Abacuc»100. Un santorale del VII secolo, riflesso nel 96 Jullien
– Jullien 2002: 164. 1632: 4, 12-13, 120; AASS, Martii t. III, 542-552 (Cyrinus: 25 marzo); BHL n° 7026-7028; BHLNS n° 7031, 7034. 98 Metellus von Tegernsee 1965: 197-201, 204, 233; I, 9, 1-60, versi 37-39; 9a 1-58; 10a, 1-40, versi 1-4; II, 20. 99 Delehaye 1931: 42-43, 50-51. 100 Wilson 1894: 163; Mohlberg 1960: 131. 97 Bosio
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successivo analogo «capitulare evangelium» manoscritto, altri santorali e i calendari lateranense e vaticano (XI-XII secolo) attestano la continuità del culto di Abdon e Sennen, Mario e Marta, e Anastasio Persiano. Essi erano commemorati nella liturgia romana celebrata nelle basiliche Laterana e Vaticana101. L’antica via Cornelia conduceva il viaggiatore verso la Tuscia, Etruria meridionale. Il punto di partenza o arrivo presso la cinta muraria di Aureliano era la porta Cornelia, detta anche porta di S. Pietro, adiacente al mausoleo di Adriano e alla testata transtiberina del ponte Elio, ora di S. Angelo. La via Cornelia offriva la linea stradale più diretta per la visita dei pellegrini alla basilica di S. Pietro in Vaticano102. Nella seconda metà del VII secolo i pelllegrini visitavano tre santuari suburbani di santi persiani. Il santuario di Mario e congiunti era interconnesso alla basilica dell’apostolo Pietro. Il santuario di Anastasius Persa sito alle Acque Salvie si trova contiguo alle Tre Fontane, luogo tradizionale del martirio di s. Paolo apostolo. De Locis Sanctis Martyrum quae sunt foris civitatis Romae (c. 635-645 / 650-683), catalogo topografico dei santuari siti extra moenia, comincia con l’itinerario sulla via Cornelia. Indica (§ 1) «Primum Petrus», il santuario di S. Pietro, punto primo del pellegrinaggio su tale via, e subito dopo (§ 2) la seconda tappa, le sepolture e chiese di «sancta Rufina, sancta Secunda» e «sancta Maria [cioè Martha], sanctus Marius, sanctus Ambacu, sanctus Audafax» alla vicina tappa terza. Poi via Portuense «Iuxta uiam uero Portuensem quae et ipsa in parte occidentali est, sanctus Abdon et sanctus Sennis sanctusque Milex». Inoltre la via Ostiense. «Inde haud procul in meridiem monasterium est aquae Saluiae, ubi caput sancti Anastasi est et locus ubi decollatus est Paulus». De numero portarum et sanctis Romae, detto Itinerarium Malmesburiense (c. 648-682), parte dalla prima porta Cornelia ossia di S. Pietro, adiacente al Mausoleo di Adriano, e per i pellegrini cita sulla via Cornelia: «In tertia ecclesia sunt Marius et Martha; etiam Audifax et Abacuc, filii eorum»: nella terza chiesa sono Mario e Marta, inoltre i loro figli Audifax e Abacuc. «In Aqua Saluia est caput Anastasii martyris»: alla duodecima porta. «Tertiadecima porta et via Portuensis. Ibi prope sunt, in una ecclesia, martyres […] Abdon et Sennes»103. La chiesa paleocristiana dei santi Mario, Marta, Audifax e Abbacuc, il loro santuario martiriale sulla via Cornelia, in zona di Selva Candida e di 101 BAV,
Vat. lat. 5465; Jounel 1977: 124, 126, 131, 135, 139, 147, 150, 194, 200, 215-217, 264-265, 335, 337-338. 102 P. Liverani – M. Macciocca, «Cornelia via»: LTURS 2, 150-153, 377-379, fig. 154-157. 103 CTCR 2, 107-109, 141, 150-151; Glorie 1965: 315-316, 325, 327.
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Buccege > Boccea, rientrava tra i beni canonici della Basilica Vaticana di S. Pietro. Ciò attestano le bolle di papa Leone IV (10 agosto 854), Adriano IV (10 febbraio 1158) e Gregorio IX (1236). Questa chiesa, situata nella diocesi unita di Porto e SS. Rufina e Seconda, cadde in rovina verso il XIV secolo. Il castrum, poi casale di Boccea sembra quasi inabitato dal 1384 fino al 1873, quando il Capitolo dei Canonici di S. Pietro ne perse la proprietà104. Nell’area circostante il XIII miglio della via Cornelia e l’abitato di Boccea, esiste ancora una sorgente detta Fonte di S. Mario, che sgorga da una collina agreste e s’identifica con le «nymphas Catabassi», le acque (nymphae) citate nella Passio105. I frammenti ritrovati di un pluteo inscritto e di un altare costituiscono i reperti originali della chiesa martiriale paleocristiana dei santi Mario e congiunti (VI secolo). Il pezzo di altare reca in rilievo, sopra la fenestella confessionis, due busti affrontati, effigi degli apostoli Pietro e Paolo, rivolti verso la croce interposta. Il pezzo dell’altare fu trovato infisso nel terreno adiacente alla chiesa di Mario e congiunti che fu costruita in epoca moderna (1779) sulla vicina via Boccea106. Nel corso dei secoli il culto di Mario e congiunti si era esteso in molte chiese. Per una confusione di nomi risulta erronea la notizia attinta ai Dialogi del papa santo Gregorio Magno (libro III, cap. 30) che reliquie di Marta fossero traslate nella chiesa di S. Marta degli Ariani, sita nella Suburra. La traslazione, disposta dal medesimo Gregorio I (592), concerne S. Agata e la dedicazione cattolica della chiesa di S. Agata dei Goti107. Joannes Persa, abate anziano, venne in pellegrinaggio a Roma. Egli incontrò Gregorio I, cui porse deferenza e donò tre monete d’oro, un mantello e altri oggetti108. Si era ipotizzato, senza il riscontro di dati archeologici, che una cappella dei santi Mario e congiunti esistesse nella basilica paleocristiana di S. Valentino (VI secolo)109. Si è proposta l’ubicazione della chiesa di «sanctum Abacuch», citata dalla guida Mirabilia Urbis Romae, nell’area della basilica Argentaria, al Foro di Cesare. Vi sono stati trovati tratti del pavimento in opus sectile, tarsie di pavimenti policromi (VI/VII secolo) di una chiesa che si considera dedicata a S. Abbacuc martire persiano di Roma,
104 Ughelli 1717: 131; Coppi 1836: 396-400; Schiaparelli 1901: 435; 1902: 297; Montel 1979: 595-596, 601-602, 611; Saxer 2000b: 47-49; Piemontese 2003: 17-21. 105 Boldetti 1720: 538-539; Silli 1907: 29, foto; Tomassetti 1975: II, 597. 106 Fiocchi Nicolai 1984-1985; 1988: 64-76, fig. 27-31. 107 Lanzoni 1923: 322; Huelsen 1924: 38-46; Moricca 1924: 202. 108 PL 74, 196, § 582; Mosco 1982: 169, § 151. 109 Marucchi 1890: 123-124; CBCR 4, 276-298; C. Palombi, «S. Valentini basilica, ecclesia, coemeterium»: LTURS 5, 217-225, 372-376, fig. 161-166.
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interconnesso al profeta biblico omonimo, soccorritore di Daniele nella fossa dei leoni110. Intanto Questi sacri corpi de’ Santi Mario, Marta, Audiface & Ambaco furono dall’antico loro sepolcro trasferiti dentro di Roma, e riposti nella chiesa di Santa Prassede; come ne fa testimonianza l’antica Iscrittione di marmo […]. Delli medesimi sacri corpi poi, ne furono parte riposti nella Diaconia di S. Adriano al Foro, all’Arco di Setimio; e parte nella chiesa di S. Giouanni Calebita nell’Isola di Trasteuere, come asseriscono le antiche lapidi di dette Chiese111.
Per accentrare il culto dei santi diffuso nei santuari suburbani, papa Pasquale I (817-824) fece traslare i corpi di 2300 martiri nella chiesa di S. Prassede, sita presso la Basilica Liberiana. La monumentale epigrafe commemorativa (alta 224 cm, larga 86) cita anche «MARI AVDIFAX ABBACV» (linea 18). Essi sono numerabili 27-28-29 rispetto all’elenco degli 86 santi nominati, compresi i martiri Milix e Daria. Il cardinale Ludovico Pico della Mirandola sigillava in urne (1729) le ossa e le ceneri ritrovate dei martiri, riposte nella cripta dell’altare maggiore. L’epigrafe si vede situata sul vicino pilastro di S. Zenone112. L’Actus di Marius e congiunti cita anche il martire Blastus, il cui onomastico, gr. Blassos, sir. Balaš < Walagaš, lat. Vologesus, è nome di ascendenza parthica, inoltre attestato in epoca sasanide113. Daria, vestale, era di origine persiana, almeno nel nome. Daria, erudita e bella, fu convertita da Chrysanthus, figlio di Polemius alessandrino e studente di filosofia in Roma, al tempo di Numeriano imperatore (283-284). Daria fu lapidata e il coniuge Crisante soffocato, entrambi gettati in una fossa, sepolti vivi sotto terra e sassi114. Papa Leone IV (847-855) dispose di traslare le reliquie di numerosi martiri e riporre nella fenestella confessionis sotto l’altare della ricostruita basilica dei SS. Quattro Coronati sul colle Celio, dove egli era stato presbitero ed eletto papa115. Pasquale II restaura la basilica e dispone la ricognizione delle reliquie deposte nella cripta. La sua epigrafe commemorativa (1111) su marmo, collocato come sostegno della parte anteriore dell’altare 110 Cecchelli
1938: 55-93; A. Trinci, «S. Abacuc»: LTUR 1, 13; Lombardi 1996: 249. 1632: 118. 112 LP 2, 64; Silvagni 1943: tav. XXIX.1; Ferrua 1957-1959: 130 e fig. I; Coda 2004: 142, 149, tav. 10. 113 Justi 1895: 80, 345-346; Hoffmann 1880: 46. 114 AASS, Octobris t. XI, 437-495 (Chrysanthus et Daria: 25 ottobre); V. Cipollone, «SS. Chrysanti et Dariae Ecclesiae»: LTURS 2, 98-101. 115 LP 2, 115, linea 30; CBCR 4, 3. 111 Bosio
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maggiore, elenca i corpora dei santi martiri riposti e cita (linea 7) «MARII AVDIFAX ET ABBACVM». Il cardinale Giovanni Garcia Millino ricompose (1624) le reliquie, riscoperte al tempo di papa Urbano VIII, e l’epigrafe antica fu ridislocata116. Essa si vede adesso affissa sulla parete sinistra presso la porta della sagrestia. Nella medesima basilica di Santi Quattro Coronati, Rainaldo dei conti di Jenne, vescovo di Ostia e futuro papa Alessandro IV (1254-1261), dedicò la la Cappella di San Silvestro, durante il pontificato di Innocenzo IV (30 marzo 1246, data letta anche 22 marzo 1247). Sulla parete meridionale dell’aula, la lapide dedicatoria di sinistra in caratteri gotici commemora la traslazione di reliquie, tra cui anche quelle di «marii (et) marthe» martiri117. Si commemorava che Mario, Marta, Audifax e Abbacuc erano stati condotti prigionieri al tempio e palazzo di Claudio II sito sul colle Celio, dove ne stanno i resti118. La memoria storica di Mario e Marta è molto legata alla chiesa di S. Adriano al Foro, che era impiantata nell’aula della Curia Senatus, vicina all’Arcus Parthicus di Settimio Severo. Questo settore del Foro Romano, il suo cuore storico-monumentale, posto sotto il Tabularium, antico archivio del Campidoglio, alberga l’immagine del confronto strategico e ideale di Roma con la Persia antica pagana e cristiana. Le reliquie di s. Adriano martire di Nicomedia (Bitinia) sotto Diocleziano e Massimiano (ante 305), furono traslate a Roma (8 settembre, c. anno 600). Hadrianus, ufficiale della milizia imperiale, era sposo di s. Natalia (Anatolia / Jolitta, varianti nei codici manoscritti) e carceriere da pagano, diventò cristiano, quindi il patrono di guardie e carcerieri. L’assistenza di Mario e Marta a carcerati cristiani giustifica l’associazione del culto dei due santi coniugi persiani in questa chiesa di S. Adriano. Confermano tale nesso alcuni tratti della storia agiografica di Hadrianus e Natalia che concernono le gesta di «Jazdunducta, Adiabenarun foeminarum nobilissima», santa martire di Persia (post 379). Jazdunduchta di Erbil assisteva i cristiani caduti in persecuzione e prigionia, poi centoventi martiri di Adiabene (6 aprile 345), e ne curò la sepoltura119. Il nome Jazdunduchta potrebbe quasi leggersi pers. Yazdân-duxt «pulzella di Dio». Papa Onorio I (625-638) fondò la chiesa di S. Adriano al Foro, che adattava la Curia Senatus / Iulia a luogo di culto cristiano. La chiesa, restaurata e resa diaconia da papa Adriano I (772-795), rinnovata sotto Anastasio III 116 Memmolo 1757: 26-27, 41-42; Galletti 1760: 1, 26 n° 34; 28 n° 36; ICER 8, 289, n° 717; 292, n° 725; Muñoz 1914: 42-52, 57 fig. 72, tav. V; Silvagni 1943: tav. XXII.1. 117 ICER 8, 390 [: 290], n° 718. Romano 2012: 200, 206. 118 Severano 1630: 484. 119 Assemanus 1719: 190; Salaville 1912.
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(911-913), era anche detta in tribus fatis, poi chiamata in tribus foris, per un gruppo statuario delle tre Parche ivi esistente, presso l’antichissimo sacrario di Giano120. L’affresco di una cappella della medesima chiesa eseguito durante il pontificato di Adriano I, e ora un frammento di reperto quasi indecrifrabile, figurava S. Paolo e altri tre santi, tra cui «SCS ANASTAS[I] VS» persiano, probabilmente. «The possible indentity of Anastasius as the Persian martyr, whose relics were famous for their healing ability, suggests that the chapel may have served a role in healing the sick»121. Papa Pasquale II, ristrutturata quesa chiesa, vi fece deporre (1100) le reliquie di numerosi santi martiri paleocristiani, tra cui Nereo e Achilleo, Flavia e Domitilla. Le reliquie furono ritrovate nella cripta (1213). Il cardinale diacono titolare Stephanus restaurò la chiesa, e la lapide commemorativa di papa Gregorio IX (18 gennaio 1228) riferisce che nella confessione sotto l’altare maggiore «INVENTA SUNT CORPORA BEATORVM MARTIRVM MA|RII. ET MARTHE» insieme a quello di s. Adriano. I frammenti di ossa e i «CAPITA MARII. ET MARTHE RECONDITA SUNT» in una casula argentea provvista da Stephanus122. Gregorio IX aveva approvato (17 gennaio 1235) l’ordine di S. Maria de Mercede Redemptionis Captivorum. L’ordine militare-religioso di Nostra Signora della Mercede, fondato da re Jaime I (Barcellona, 1218), si dedicava al riscatto di schiavi cristiani, deportati e prigionieri. Il Maestro generale dell’Ordine della Mercede aveva dal 1589 la sede romana nella commenda di S. Adriano, la chiesa e il monastero annesso123. Il frate francescano Mariano da Firenze scrive (1518): In platea quae nunc est Fori Romani, ecclesia sancti Hadriani martyris colitur, in qua ipsius sancti martyris reliquiae cum aliis sanctorum martyrum Marii, Marthae, Audifacis et Abbaci aliorumque requiescunt124.
Un caso cittadino di segno celeste avveniva quando si riscopersero le reliquie santoriali e la lapide di Gregorio IX. L’attualità diplomatica romana (giugno-luglio 1589) era l’esito della missione di Giovanni Battista Vecchietti, inviato di papa Gregorio XIII e poi da Sisto V in Persia. Vecchietti, persianista, recava a Roma per risposta la lettera del re safavide 120 Huelsen
1927: 260-261; CBCR 1, 43-63; Claussen 2002: 20-38; S. Episcopo, «S. Hadrianus Ecclessia»: LTUR 3, 8-9. 121 Jessop 1999: 266-271 e fig. 17. 122 Galletti 1760: 1, 425, n° 12; 1761: 18-20, n° 50; ICER 2, 49, n° 139; Huelsen 1927: 260-261; Claussen 2002: 20-38. 123 Vargas 1622: 185. 124 Mariano da Firenze 1931: 30.
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Sultan Muhammad indirizzata a Sisto V «re di Roma». Sisto V confidava la missione diplomatica e la lettera regia alla Curia cardinalizia in concistoro segreto. Un avviso di Roma (12 luglio 1589) diffondeva la notizia di questa scoperta archeologica nel Foro: Sotto l’altare maggiore della chiesa di Santo Adriano detta anticamente il tempio di Saturno in Campo Vaccino, doue li giorni passati si scouerse una deuotissima cappelletta con l’immagine della Gloriosa Vergine alla quale è molto concorso di fedeli, si sono trouate le ossa di Santo Mario, et Marta Marito et Moglie Persiani, martirizzati l’anno di nostra salute, 209 [: 269], le qual ossa sono tutte lauate, acconcie, et collocate in parte condecente alla medesima chiesa dal Cardinale Cusani Protettore125.
Il cardinale titolare Agostino Cusano presenziava il ritrovamento delle reliquie (7 giugno 1589). Bernardo de Vargas, frate dell’Ordine della Mercede e testimone dell’evento, ne stilò una lunga relazione, intitolata: In Ecclesia Sancti Hadriani de Urbe reperiuntur corpora Sanctorum Martyrum Marij, & Marthae coniugum: quorum ossa & reliquias aqua tangens populo deuoto, & feruenti distribuita, langores, & infirmitates sanat.
Distribuita al popolo, l’acqua delle ossa di Mario e Marta, ritrovate e lavate, sana infermità. Erano anche riscoperte le reliquie di altri santi paleocristiani, Nereo e Archileo (Achilleo), Flavia e Domitilla. L’apertura di una cassa antichissima suscitò viva impressione. Quando Cusano: Et ingressus, ianua Ecclesiae claudi praecepit, & capsam, (quae antiquissima erat, & clausa) coram se recludi iussit; licet à foris (cum vetustate, & temporis incuria perforata esset,) ossa cum terra respicerentur. Capsa ergo referata, inter ipsa sancta ossa statim subscriptio vetustissima cum antiquis caracteribus in petra marmorea sculpitis apparuit. quae vetusta subcriptio expressè indicabat, qualiter in eo loco, & capsa reperiabantur, & continebantur capita, & corpora Sanctorum Martyrum Marij, & Marthae coniugum; qui Sanctissimi viri, nobiles Persae, Romane tempore Claudij Imperatoris ad oratione venientes,
subirono poi il martirio nell’anno 270. Horum igitur Sanctorum Martyrum corpora, nostri Sancti de Redimendis Captiuis instituti verè aemulatorum in nostra Sancti Hadriani Ecclesia hodie 125 Piemontese 2007a: 389-398; BAV, Urb. lat. 1057, f. 440r; Orbaan 1910: 310; Lanciani 1992: 134, 197.
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possidemus. Lecta ergo ab omnibus dicta subscriptione pollubrum amplum, seu vas latum adferri Cardinalis iussit, & summa deuotione […] ossa lauare caepit. Et hora 14. ante meridiem ianuae Ecclesiae apertae sunt; & populo deuotissimo à foris ingredi cupienti patuit aditus. Et ea aqua, qua sanctissima ossa fuerant lota, summa deuotione petentibus, sine murmure, & sine nimia frequentia distribui potuit. Sed post prandium ingens, & magnus Vitriarorum vasa vitrea vendentium apparuit, & adfuit numerus, & tota Ecclesia fidelibus vtriusque sexus personis, conclamantibus, & vocibus intensis acquam sanctorum postulantibus ex tempore plena est.
Cusano «ordinarè collocari fecit, qui eam aquam darent». Altri ex Sacristia ad praefatos sex Sacerdotes aquam Sanctorum in aquiminarijs asportabant, & saepe in via spoliabantur. Quo cum Cardinalis fuisse denunciatum, vt compositè, & modestè omnia fierent, & ne immodica deuotio confusionem, & rixas pareret, nonnullos Germanos milites, Sacri palatij custodiae deputatos aduocati, & venire ordinauit, qui fratres aquiminarios asportantes, comitabantur, & defendebant. Sed iam prae nimia deuoti populi frequentia, aqua deficiente, fuit necesse in abscondito & omni post posita mora, ossa sancta denuò à sua capsa extrahi, de nouo immergi, atq; in aquam immergi. Qua sanctissima aqua, pluris Christi fideles, medio iuramento, & testium depositione à grauissimis infermitatibus fuisse liberatos constat126.
In sintesi, constatata l’autenticità del reperto, Cusano dispose di lavare le ossa dei due santi coniugi persiani e di distribuirne l’acqua santa al popolo accorso. Arrivarono anche i vetrai per smerciarla nelle loro ampolle. Una folla di postulanti riempì la chiesa. Altri asportavano l’acqua dalla sacrestia o la carpivano in strada. L’intervento delle guardie svizzere accorse dal Sacro Palazzo per ristabilire l’ordine non bastò a calmare gli animi del popolo in attesa, quasi in rissa. L’acqua distribuita rimaneva insufficiente, tanta era la folla che chiedeva di averne. Si dovette riestrarre le ossa dalla cassa e rilavarle, per distribuirne quindi l’acqua a tutti i postulanti. Molti fedeli testimoniarono che tale acqua santa li guarì da gravi infermità. La lapide commemorativa di papa Sisto V (18 febbraio 1590), posta nel nuovo altare maggiore, sul livello superiore della chiesa, convalidava il testo dell’epigrafe Gregorio IX e solennizzava la riesumazione e la riallocazione delle reliquie «MARII ET MARTHAE» e di altri martiri a cura di Cusano127. Il testo della lapide di Sisto V era ribadito (1656) da un’altra epigrafe128. La chiesa di S. Adriano al Foro fu rinnovata e ridecorata (1653), e 126 Vargas
1622: 182-183. 2, 52, n° 147; Dattoli 1921: 86-87; Mancini 1967-1968: 227, 239. 128 Galletti 1760: 1, 45, n° 1539. 127 ICER
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sopra l’altare maggiore fu posto un quadro, forse opera di Cesare Torellli, che rappresenta Adriano, Mario, Marta e altri santi129. Alfonso Bartoli archeologo smantellava la chiesa (1935) per restaurarvi l’edificio della Curia Iulia senatoriale, sito già riconosciuto da Rodolfo Lanciani130. Le reliquie di Mario e Marta, e le altre, furono traslate nell’altare maggiore della chiesa di S. Maria in Vallicella, detta la chiesa Nuova. Antica e ricostruita, quando papa Gregorio XIII vi eresse (1575) l’Oratorio dei Filippini131. Di fronte all’Arco di Settimio Severo, al limite Nord del Foro, nell’area antica del Secretarium Senatus, un archivio senatoriale connesso alla vicina Curia, sorge una chiesa gemella di S. Adriano, la basilica di S. Martina martire romana, parimenti detta in tribus fatis. In questa chiesa, attestata al tempo di papa Adriano I, restaurata dal successore Leone III (795-816) e riconsacrata da papa Alessandro IV (1245-1261), si trovarono reliquie di Mario e Marta. L’epigrafe commemorativa (23 marzo 1256), posta sulla parete destra dell’altare dedicato a S. Lazzaro, riferisce che le reliquie di Nereo e Achilleo, «MARII ET MARTHAE» sono recondite in questo altare132. La chiesa era intitolata anche a S. Luca (1588), assegnata alla omonima Accademia di pittura, e ricostruita con l’opera architettonica di Pietro da Cortona, dominava l’Arco Parthico di Settimio Severo, seminterrato in Campo Vaccino. Nella vicina basilica dei SS. Cosma e Damiano reliquie dei «Santi Mario, e Marta Martiri» erano custodite in un vaso di porfido, sostegno alla mensa dell’altare della cappella del Crocefisso, la prima a destra dell’entrata dalla porta maggiore133. Non vi si vede adesso esposta una lapide commemorativa. Le reliquie di «Marie et Marthe Grisanti et Darie Abdon et Sennes» e altri martiri erano traslate nella chiesa di S. Nicola de Calcararii / in Calcarario e deposte nel suo cippo-altare, forse del secolo VIII / IX. L’iscrizione che elenca le reliquie, graffita su lamina circolare di piombo, il coperchio di una coppa di vetro, viene riferita alla nuova costruzione della chiesa, per manus «B. PORTVEN.» (1132). Egli pare con probabilità Pietro Pierleoni, vescovo di Porto e cardinale vicario di Anacleto II, antipapa di Innocenzo II. Ricostruita poco dopo il pontificato di Gregorio XIII, la chiesa fu denominata (1586) S. Nicola de’ Cesarini134. Alfonso Chacón O.P., studioso di 129 Dattoli
1920: 350; 1921: 107-108. 1963; Varriano 1971; Bordi 2000. 131 Sicari 1998: 96. 132 Galletti 1760: 1, 313, n° 231; ICER 7, 415, n° 838; Huelsen 1927: 381; Noehles 1970: 310, ill. 55; S. Episcopo, «S. Martina Basilica»: LTUR 3, 231-232. 133 Poma 1727: 61. 134 Huelsen 1927: 391; Maleczek 1981: 73-74; Lombardi 1996: 249. 130 Bartoli
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antichità cristiane che dal 1566 era al seguito di Ugo Boncompagni, futuro papa Gregorio XIII, aveva copiato l’iscrizione del reliquiario nella chiesa di S. Nicolò in Cesarinis. L’elenco di Chacón, già noto come anonimo spagnolo del codice chigiano, reca la diversa forma manoscritta «abdon, Senne, Marci, Mãr. Grisanti. dariae»135. L’iscrizione originale fu dispersa in seguito alla demolizione della chiesa (1928). La coppa di vetro che serviva da reliquario, di probabile fattura egiziana, si conserva nel Museo Sacro Vaticano136. La chiesa fu demolita siccome risultò sovrapposta al tempio repubblicano A, Tempio di Iuturna, per la grande scoperta archeologica nell’Area Sacra dell’Argentina, luogo dell’uccisione di Cesare137. Il cippoaltare e un resto dell’abside dipinto si vedono ancora in situ. Lo stradario civico adiacente ricorda l’esistenza passata della chiesa. Le reliquie di numerosi santi erano deposte nella basilica di S. Maria in Cosmedin per disposizione di papa Gelasio II (1118). Restaurata la basilica a cura del camerlengo Alfano, papa Callisto II ripose le reliquie nell’altare da lui consacrato, riferisce la bellissima epigrafe commemorativa (6 maggio 1123). Oltre i martiri Anastasio, Pigmenio, Crisante e Daria, l’elenco registra «MARII ET MARTHE» (linea 10). La lastra marmorea dell’epigrafe fu poi murata nel concavo della tribuna, sotto la pittura absidale che decora il lato sinistro dell’emiciclo138. Tali reliquie erano custodite dentro l’altare del Sacramento quando il cardinale Vicario Gasparo di Carpegna ne eseguì la ricognizione (14 marzo 1683). La prima urna di marmo recava i nomi dei santi scolpiti intorno. L’iscrizione recitava «Reliquie […] Mar. & Marthè, & Filiorum ejus»139. «Nella parete sinistra appena si entra la chiesa» di S. Niccolò de’ Funari a Tor de’ Specchi durante il pontificato di Alessandro III era posta l’epigrafe che commemora la consacrazione dell’altare di S. Nicola (1180) e cita la ~ riposizione delle reliquie, tra cui «MAR. MARII. MARTHE»140. L’iscrizione era il documento più antico della chiesa, ridenominata di S. Orsola quando papa Alessandro VII la concesse all’Arciconfraternita delle sante Orsola e Caterina (c. 1660). La chiesa di via Tor de’ Specchi, sita presso il colle Capitolino e il Teatro di Marcello, fu demolita (1929). 135 BAV, Chig. J.V.167, f. 331v. ICER 4, 289, n° 714; Recio Veganzones 2002: 409; Barra2004: 137. 136 Marchetti Longhi 1943-45: 87-88; Volbach 1937: 346, 348, fig. 11; Marchetti Longhi 1960: 81-82; 1972: 15-16, 19-20, fig. 14. 137 F. Coarelli, «Iuturna, Templum»: LTUR 3, 162-163. 138 Crescimbeni 1715: 142-143, 182-185; ICER 4, 305, n° 742; Giovenale 1927: 32, 63, 171-172, 177, tav. XXa; Silvagni 1943: tav. XXV.1; CBCR 2, 282; Massimi 1953: 12-14, 43. 139 Crescimbeni 1715: 192-193. 140 ICER 2, 69, n° 193; Huelsen 1927: 399-400. do
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Durante il pontificato di Innocenzo III, il vescovo di Porto Pietro Gallocia romano consacrò nella basilica di S. Maria ad Martyres (antico Pantheon) l’altare di S. Lorenzo dove furono riposte le reliquie di santi e l’epigrafe commemorativa (18 marzo 1209). Ottaviano Crescenzio ridepose le reliquie in una capsula plumbea, posta alla base dell’altare, con l’epigrafe originale e la nuova iscrizione celebrativa durante il pontificato di Sisto V (1588). Le due epigrafi erano poste a fronte del reliquiario, un’urna di marmo custodita dentro l’altare. La seconda iscrizione che corrobora la prima ~ e cita «SS. MM. MARII. ET. MARTHÆ» (linea 10) si vede adesso murata sulla parete che sostituisce l’altare nella seconda edicola destra rispetto all’ingresso. Questa lapide costituisce il documento epigrafico più antico che si conserva dentro il Pantheon141. Restaurata la basilica dei SS. Marcellino e Pietro sulla via Labicana, presso la radice del monte Celio, papa Alessandro IV ripose nell’altare maggiore varie reliquie. La sua epigrafe celebrativa (10 aprile 1256) cita, subito dopo i santi patroni della basilica, «MARII ET MARTHE» (linea 8). Questa lapide costituisce uno tra i documenti epigrafici romani più notevoli del secolo XIII per la perfetta conservazione e la bellezza dei caratteri. Riedificata la chiesa da papa Benedetto XIV (1754), la lapide era affissa sulla parete a sinistra dell’altare142. Elegantissimi caratteri rubricati segnano l’epigrafe che adesso si vede murata sul pilastro a mano destra dell’ingresso. Reliquie di Mario e Marta forono poste nell’altare di S. Barbara dei Librari, deliziosa piccola chiesa sita al limite dell’emiciclo antico del teatro di Pompeo e nucleo del trapezoidale Largo dei Librari su via dei Giubbonari. La chiesa custodisce nel presbiterio la lapide marmorea quadrata che vi commemora la traslazione di reliquie (1306) e adesso si vede murata come fianco sinistro dell’altare maggiore143. Un mosaico cosmatesco a piccoli rombi giallo, nero, rossogranata, bianco, scandisce la croce latina al centro della bellissima epigrafe che cita presto Mario e Marta (linea 3) dopo l’incipit: – – + . hÆC . S . RELIQVIÆ . POSITE . I . hOC . ALTARI . DE | CAPITE . ET . –. – . . . VELV S BARBARÆ DE VESTIMTO . VIRGINIS | MARIÆ [...] MARII . – – MARThÆ . […] SVB | ANO . D . M . C . C . C . SE|STO . S . BARBARA . VI | RGO – . DEFENDE . NOS . AB . hOSTE MALIGNO . AM ..
141 ICER 1, 297, n° 1132; Ughelli 1717: 127; Eroli 1895: 449-451; Piemontese 2009a: 30, 31 fig. 3. 142 ICER 11, 397, n° 609; Cecchelli – Persico 1935: 38-41, foto e ill. 6; Angelelli 2000: 292. 143 Miedema 2001: 475; Piemontese 2009a: 30, 32 fig. 4.
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Gregorio XIII affidò al Pontificium Collegium Germanicum et Hungaricum (1580) l’antica chiesa di S. Stefano Rotondo, tempio immane a pianta circolare sito sul Celio144. Per committenza del papa i pittori Niccolò Circignani detto il Pomarancio e Matteo da Siena hanno rappresentato (1582) la galleria cronologica dei martiri cristiani antichi lungo la parete ambulatoria, in senso orario rispetto agli intercolumni della navata anulare. I 32 affreschi, ciascuno recante didascalie bilingue, conformano il luttuoso catalogo dei supplizi martiriali, un museo pittorico di persecuzioni, torture, eccidi, delitti, strazi, sofferenze. La contemplazione di questo martilogio era un esercizio spirituale e devozionale per i numerosi alunni del Collegio Germano-Ungarico, connesso a quello gesuitico. L’incisore Giovanni Battista Cavalieri riproduce presto i dipinti in rame come tavole didattiche che diffondevano «il trionfo dei martiri» istoriato sul Celio e ricelebrato da Iulius Roscius che commenta le tavole con carmi agiografici e devozionali145. Francesco Manno, pittore siciliano, restaurò gli affreschi (1825). L’affresco XII a destra dell’ingresso concerne la persecuzione attuata dall’imperatore Claudio II e reca per titolo scenico il motto biblico «BONORVM LABORVM GLORIOSVS | EST FRVCTVS. SAP. III»: glorioso è il frutto delle fatiche dei buoni (Sap 3, 15). Il riquadro principale (settore A) figura Marius, Martha, Audifax & Abachum in un campo aperto. Didascalia dipinta: A. MARIVS ET MARTHA CONIVGES CVM FILIIS | AVDIFACE ET | ABACHVM POST VARIOS CRVCIATVS | NECANTVR A. S. MARIO E MARTA CONIUGI CON I FIGLI | AUDIFACE E ABACO DOPO | DIVERSI TORMENTI SONO | UCCISI.
Mario spira sospeso al tratto delle corde, appeso per le mani congiunte alla sbarra del patibolo, che conforma un architrave ligneo, e tirato dal masso rotondo su cui ha i piedi legati. Egli china sul petto la testa riccioluta, bianca come la barba ispida, e protende il corpo statuario intregro, nudo, cinto di un pudico lino bianco ai lombi. Poco dietro la trave a destra, Marta pallida e mesta vede le proprie mani mozze, sanguinanti, pendenti da un nastro messole al collo, e gli avambracci mutilati. Ella indossa una lunga tunica bianca e un mantello di colore arancio che le copre il capo. A sinistra, Audifax e Abachum avvinti a un tronco sono scarnificati dall’uncino di un aguzzino e stillano una pioggia di sangue su entrambi i corpi
144 Ceschi 1982: 161-169; Liénardy 1985-86. 145 Cavalieri 1585: f. 17, tav. 16; f. 21, tav. 20;
Roscius 1587: 33, tav. 40 e ill. 41; Tsoumis
2005.
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nudi, seppure coperti ai lombi. Questa pittura è una vigorosa e bella opera di Circignani il Pomarancio (tav. 9). Poco oltre, a destra dell’altare di S. Clemente, l’affresco XV riguarda la persecuzione attuata dall’imperatore Decio. Soggetto principale il martirio s. Agata, avvinta a una colonna. Uno scorcio di sfondo (settore D) ricorda Abdon e Sennen. Didascalia dipinta: «D. ABDON ET SENNEN LEONIBVS ET VRSIS OBIJCIVNTVR» // «D. S. ABDON E SENNEN SONO DATI A DIVORARE AGLI ORSI E LEONI». I due martiri sono assaliti da una coppia di leoni. Li osservano tre donne e un bambino, testimoni146. Per committenza di Gregorio XIII, Cesare Baronio pubblicò il nuovo Martyrologium Romanum (1586). Commemora anche, in base alle fonti documentali: «Ianuarii 19. Romae via Cornelia sanctorum martyrum Marij & Marthae coniugum, & filiorum Audifacis & Abachum nobilium Persarum». Ianuarii 24 «Romae ad Aquas Salvias sancti Anastasij Persarum monachi». 16 marzo Cyriacus, Largus & Smaragdus. 24 marzo Pigmenius. 22 aprile Milles vescovo martire in Persia «sub Sapore». Iunii 22 «In Aegypto sancti Onphrius anacoreta». «Iulii 30. Romae sanctorum martyrum Abdon & Sennen Persarum». «Augusti 8. Romae sanctorum martyrum Cyriaci diaconi, Largi, & Smaragdi». «In Persia sancti Hormisdae martyris sub Sapore rege». 25 ottobre Chrysanthus & Daria. «Decembris 21. Calaminae natalis beati Thomae Apostoli, qui Parthis, Medis, Persis, Hyrcanis, & Brachmanis Euangelim praedicavit, ac demum in Indiam perueniens»147. Si ricordava che Mario, Marta e figli, avevano frequentato «il Cenacolo di Calisto» durante dieci mesi, finché furono imprigionati148. Il canonico Marius Spinosius, Spinosi o Spinosa, parente di Giovanni Battista Castagna, futuro papa Urbano VII (1590), per commemorare il proprio onomastico fece edificare nella basilica di S. Maria in Trastevere (1584) la Cappella «honori non minùs S. Marii M. quàm S. Callisti PP. & M.». Spinosi fece situare nella Cappella il quadro allora dipinto, che, «juvenem exhibet Marium cum Callisti PP. effigie». Carlo Maratta diresse il lavoro architettonico e ritoccò il quadro dipinto da Giovanni Battista Armilli, suo allievo149. Altri hanno attribuito al pittore romano Adrea Procaccini il quadro «de’ Santi Mario, e Calisto»150. 146 Monssen
1982: 237-240, 253-256, fig. 599; Piemontese 2009a: 33, 34 fig. 5. 1586: 36-37, 42, 44, 125-126, 136-137, 176-177, 260-261, 339, 355, 565. 148 Severano 1630: 307-308. 149 Moretti 1752: 89, 275; Rinaldi Bucci 1889: 24. 150 Roisecco 1745: 178; Rossini 1750: 176; Cecchelli 1933: 83-84. 147 Baronio
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Il quadro è tuttora situato nell’edicola dell’altare della Cappella. Papa Callisto prega in ginocchio, a braccia aperte, mani distese, e attende la palma del martirio recata da due angeletti. A destra del papa, Mario, giovane che veste da guerriero romano, il mantello rosso in spalla, corpo e gamba protesi, e il braccio sinistro sul fianco, appare spavaldo mentre esibisce la palma verde nella mano destra, quasi in atto di sfida. Durante il pontificato di Pio IX, le pareti della navata mediana della basilica, alte sopra le colonne di granito, furono decorate con un ciclo rappresentativo dei santi martiri antichi. Sopra la parete sinistra della navata il pittore Enrico Bartolommei dipinse (1865-1866) «S. MARIVS M.», iscrizione dorata. Mario, che veste il mantello verde e una tunica rossa e azzurra, reca una grande palma verde del martire nella mano destra, la sinistra posata sul petto151. Restauratasi durante il pontificato di Clemente VIII l’antica chiesa dei SS. Nereo e Achilleo presso le Terme di Caracalla, il neocardinale titolare Cesare Baronio dispose di deporre nella confessione dell’altare maggiore le reliquie di santi traslate dalla diaconia di S. Adriano al Foro (5 maggio 1596). L’epigrafe celebrativa è situata nella tribuna, presso il fianco sinistro della cattedra presbiteriale152. Presso il suo fianco destro si vede murata la grande epigrafe successiva, senza data, che reca l’index elegante delle reliquie riposte nella confessione, tra cui «MARII ET | MARTHAE } MARTT» cioè martiri (colonna A, linee 18-19). Abacone era il nome romanesco di Abbacuc / Abacum, it. Abaco. Un popolare catalogo romano delle reliquie dei santi stilato per il Giubileo del 1600 si apre con la voce: Abacone, Audiface con li progenitori loro Mario, e Marta, nobili Persiani, e per la fede qui martirizzati, li corpi, poch’anni sono, si ritrouarono in S. Giouanni Colauita [Calibita]. Delle Reliquie [sono inoltre] in s. Saluatore delle Copelle, s. Spirito in Sassia, s. Maria in Ara coeli, s. Giouanni in strada Giulia, s. Paolo alla colonna Antonina, ss. Pietro, e Marcellino, ss. Cosmo, e Damiano in campo Vaccino, santi Nereo & Achilleo, ss. Quattro, s. Adriano, s. Eligio alla fontana di s. Giorgio, & à s. Lucia alla Chiauica153.
La chiesa di S. Lucia del Gonfalone accoglieva nell’altare maggiore tra le reliquie di santi «CHRISANTI ET DARIAE MARII | ET MARTHAE AVDIFAX ET ABACHV» secondo l’epigrafe (c. 1610-1615) che cita anche Sanvitale arcivescovo Bariensi154. Galeazzo Sanvitale vescovo di Bari 151 Piemontese
2003: 29 e ill. 1951: 139; CBCR 3, 138; Turco 1997: 62, 68. 153 Panciroli 1600: 838. 154 ICER 7, 442, n° 896. 152 Guerrieri
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(1604-1622) era solito risiedere e operare in Roma. La lapide non si vede adesso conservata o almeno esposta nella chiesa. Erano in questa regione di Trastevere le carcere publiche; e se bene non si sà il luogo certo, doue fossero, si sa però, che furono nell’Isola [Tiberina], come in luogo più sequestrato, e più sicuro […]. Onde qui furono posti molti Martiri, particolarmente S. Quirino; del quale si fà mentione negl’atti de’ SS. Mario, e Marta, e loro figliuoli Persiani, doue si dice che, mentre andavano questi cercando, e consolando i poueri Christiani carcerati, vennero alla prigione di Trasteuere; e trouando in esse S. Quirino con molti altri fedeli, si volsero fermare in detta prigione otto giorni; seruendoli, & lauandoli ancora i piedi; per gittar poi quella lauatura per diuotione sopra i capi loro, e de i loro figliuoli155.
Formoso vescovo di Porto, futuro papa (891-896), depose in un sarcofago, conservato nel Museo Vaticano Pio-Clementino, le spoglie di Ippolito, Taurino ed Ercolano martiri di Porto, e di S. Giovanni Calibita nella chiesa a lui dedicata sull’Isola Tiberina (c. 870). Qui era trasferita la residenza del vescovo di Porto. La prima menzione autentica della chiesa S. Iohannes (Calybita) de Insula pare risalire al 1018. La prigione di Qurinus / Cyrinus era forse situata su questo luogo156. La chiesa di S. Giovanni Calibita, attigua all’Ospedale Fatebenefratelli, svolse una parte notevole nell’accoglienza dei pellegrini durante il Giubileo del 1575. Una bolla di Gregorio XIII (27 marzo 1576) afferma che con altri i corpi di «Audifacis, et Abachuc […] requiescunt» in questa chiesa157. Quando la si ricostruiva, furono ritrovate in un’urna posta sotto l’altare le spoglie di Giovanni Calibita insieme con quelle di «MARIO MARTHA AVDIFACE ABACHVM», secondo la lapide commorativa (1640). Nel restauro curato dai padri Fatebenefratelli la lapide fu rimossa e sostituita da una che chiama (1741) la chiesa sede di Giovanni Calibita, il santo patrono, e dei martiri «MARII MARTHAE AVDIFACIS ABACHVM». Con una ricognizione (1931) le reliquie furono riposte in una nuova urna di marmo158. Nel presbiterio si vede sulla parete destra a fianco dell’altare una grande tela, opera (c. 1741) del Corrado Gianquinto pittore da Molfetta159. Egli dipinge un cupo paesaggio campestre, delimitato da nubi e rocce montane. Nell’angolo tenebroso rilucono le vesti e la tenera carne di Marta. Un aguzzino atletico ne piega la testa per decollare. Oltre uno spazio vuoto, 155 Severano 1630: 321. 156 Huelsen 1927: 275-276;
Cecchelli 1951: 92; Testini 1975. 1577: 116, 153; Cancellieri 1823: 115, linee 26-28. 158 ICER 10, 219-220, n° 341 e 344; Sicari 1998: 95-96. 159 Proja 1984: 12, 40, fig. 3; Piemontese 2003: 25 e ill. 157 Pientini
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sono costretti ad assistere i congiunti, in attesa del proprio turno. Audifax sgomento si nasconde con la mano il capo chino, piange o prega. Dietro, un carnefice avverte Mario, che estatico sostiene sulla spalla e stringe Abacum, atterrito. Li osservano due astanti amici. Un cavaliere sopraggiunge nel lato estremo, mentre dal cielo calano due angeletti verso il conforto di Marta. Mario Filonardi, nunzio pontificio di Polonia, per commemorare il proprio onomastico dispose di costruire su disegno dell’architetto Paolo Maruscelli (1635) la cappella della famiglia Filonardi, intitolata ai «ss. martiri persiani Mario, Marta, Audiface ed Abbaco» nella chiesa di S. Carlo ai Catinari presso l’Arenula. La costruzione della chiesa, per lascito testamentario del cardinale Giovanni Battista Leni arciprete lateranense, fu proseguita dal cardinale Scipione Borghese, protettore romano della Chiesa cattolica di Persia sotto papa Paolo V Borghese160. Una tela di Giovanni Francesco Romanelli (1640) posta sopra l’altare e due lunette affrescate da Giacinto Gimignani, opera firmata e datata «HYACINTH. | GIMIGNAus | PISTORIEs. P. | A.S. 1641», decorano la cappella. Mario Filonardi († Roma 9 agosto 1644) vi fu sepolto161. Gimignani rievoca in due vivide scene la pietà e il martirio di Mario e congiunti162. Nella prima lunetta la finestra con le sbarre delimita il carcere (tav. 10). Mario, signore generoso che compie l’elemosina, veste il turbante con lo zucchetto di tipo turco-persiano, il manto e la tunica sopra i calzoni. Pudica e affettuosa Marta conforta Quirino, prigioniero che come per uso romano antico ha le mani legate dietro le spalle. In postura simmetrica di secondo piano Audifax e Abbacuc rifocillano due carcerati. Sulla lunetta a fronte, scena del martirio, Audifax indossa la tunica gialla ornata di nastri azzurri. Giovane intrepido messo in ginocchio, le mani già mozze ai piedi del carnefice che brandisce l’ascia, egli ne attende il colpo che decapita. Il ragazzo Abbacuc attende spaventato il proprio turno. Mario giace decapitato, e il suo turbante nel suolo. Un aguzzino regge Marta esanime mentre un altro ne tiene la testa sospesa sulla bocca del pozzo per gettarvi la salma. Si conserva un disegno ad aquerello di Gimignani, studio per l’affresco in cui la scena del martirio dei quattro santi tra due schiere di militi ha per sfondo una veduta di Roma163. Una tela che rappresenta il soggetto analogo all’affresco sulla seconda 160 Vedi
anche III.9.
161 Martinelli 1667: 34-36; Cacciari 1861: 35-36; D’Onofrio 1969: 31; Proja 1984: 8, 40,
fig. 2; Delfini 1985: 106-109, fig. 31-32; Piemontese 2003: 26 e ill.; Delbeke 2004: 165. 162 Waterhouse 1937: 71, tav. xxii. 163 Roma, Gabinetto Nazionale delle Stampe, F.C. 127221 (mm 220 × 304); Fischer Pace 1979: 24 n° 8, 169 ill.
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lunetta viene repertoriata come dipinto di Gimignani medesimo (c. 1681). La tela appartiene alla collezione Lemme che sta in palazzo Chigi di Ariccia164. La tela dipinta da Romanelli per la chiesa di S. Carlo ai Catinari si vede ora posta sulla parete inferiore alla prima lunetta, sopra la porta della sagrestia. Il pittore figura come per un estremo ritratto pacifico la nobile famiglia persiana in vesti sontuose, principesche. Mario, che ha la barba nera e il manto rosso cinto alla vita, saluta la sposa, discosta. Abachum chino guarda al cielo: tre angeletti giungono in volo sulla nube. Audifax attende dietro la madre. Tutti e tre hanno già la palma del martire e la testa segnata dall’aureola. Marta, come una madonna estatica, veste il manto azzurro, tiene le braccia conserte sul seno, mentre in ginocchio contempla il serto, preannuncio del martirio che reca l’angeletto primo sopra la nube. L’Hermitage di S. Pietroburgo conserva un altro esemplare di questa tela o una copia derivante165. Nella Basilica Vaticana si celebrava la commemorazione liturgica annuale che è espressa in questi termini: Gennaro 19 «SS. Mario, Marta, Audiface, & Abbaco, costà fin dalla Persia pellegrinarono. Astinenza», e Gennaro 22 «S. Anastasio Martire. Vi sono sue reliquie. Carità, frutto dello Spirito santo»166. Arcangelo Spagna, canonico, poeta e socio dell’Accademia degli Infecondi, compose un oratorio a cinque Voci: Mario nobile Persiano, Marta sua Consorte, Audiface e Abbaco loro figliuoli, Claudio Imperatore, e Choro. L’oratorio, posto in musica da Cosimo Bani, fu cantato per la Fabbrica di S. Pietro (1680), forse recitato anche nella basilica Vaticana (1682). L’oratorio prende slancio con le parole iniziali di Mario, che intona: «Alle Mura Latine / Da i Regni della Persia ecco siam giunti / Figli, e Consorte al fine». Mario canta anche: «E à voi prole gradita / Abbaco & Audiface / Ecco il premio s’addita / D’una gloria verace, / Onde il Perso valore / Renda a i Posteri suoi l’antico honore». Ma controcanto di Claudio: «Mario honor della Persia, e qual ti muoue / Strano desire ad incontrar le pene / Vana follia doue ti porta, e doue?». Spagna intitolava poi l’oratorio, quinto tra i numerosi da lui composti, Le glorie della Persia Nel Martirio de Santi Mario e Compagni167. Il poema sacro di Spagna in sestine commemora i «Santi Mario, Marta e figlioli»; (canto I, 46): «Mario, Marta e la Prole hoggi il de-
164 Fischer
Pace 2008: 42-43, ill. Pace 1979: 29, 169 fig. 8. 166 Torrigio 1622: 17. 167 Spagna 1682; dedica dell’autore datata Roma 1.VII.1680; 1706: Libro Secondo 71-85. 165 Fischer
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sio / Da i Persi Lidi alle Romane soglie / Conduce i Serui á venerar di Dio, / E di Martiri, qua lascian le spoglie»168. Il Capitolo della Basilica Vaticana eresse la nuova chiesa dei SS. Mario, Marta, Audifax e Abbacuc (8 settembre 1779) sul lato destro della via Cornelia, zona di Boccea, nei pressi del loro santuario paleocristiano scomparso. La semplice, piccola chiesa rurale è opera dell’architetto Virginio Bracci. La lapide posta sulla porta d’ingresso dice: D. O. M. | IN HONOREM SANCTI MARII ET MARTHAE | AVDIFACIS ET ABACHVM FILIORVM | QVI HOC IN LOCO BVCCEA NVNCVPATO | MARTYRIVM PASSI SVNT | CAPITVLVM VATICANAE BASILICAE | A FVNDAMENTA EREXIT | A. D. MDCCLXXIX | CVRANTIBVS PH. DE VALENTIBVS, ET PETRO PH. FLORENTIO | EIVSDEM BASILICAE CANONICI.
Reliquie di Mario e Marta erano poste nella sagrestia entro una custodia coeva di metallo argentato scolpito. Il martirio di Audifax e Marta, cui assistono Mario e Abacuc in attesa del proprio turno, figurava in una tela, opera di un mediocre pittore ignoto posta sull’altare e poi trafugata169. Il cardinale Carlo Rezzonico vescovo di Porto visita (1 dicembre 1780 e 12 dicembre 1783) questa chiesa che egli definisce «amplior et pulchrior, quam antea» e ripristinata al culto170. La zona di Boccea è adesso urbanizzata. L’edificio della chiesa sconsacrata si trova recintato su un terreno di proprietà privata al km 16 di Via Boccea, numero civico 1452. Qui, sul lato destro venendo da Roma, si vede posta la lapide civica della Via S. Mario e Marta. La Fonte di S. Mario si vede dentro in una campagna collinare di proprietà privata (avv. Gianluigi Vismara, 2004). In opposta e lontana area urbana meridionale, la contrada Romanina, su Via Ponte delle Sette Miglia, numero civico 245, fu istituita la parrocchia intitolata a S. Mario e Famiglia Martiri (1 dicembre 1978). Fu quindi costruita la chiesa, opera dell’architetto Angelo Zamagna: una vasta aula liturgica sormontata da un grande soffitto ligneo, come il tetto vasto (800 mq). In questa chiesa spiccava come ornamento artistico una grande vetrata, eseguita a mosaici dalla ditta Tocchi di colore, su disegno del sacerdote Pedro Martinez Pedromingo. La vetrata, rivolta verso un’altra di figura paradisiaca disposta nell’abside e sormontante l’altare, raffigurava la processione placida Mario, Marta, Audifax, Abbacuc, capofila di martiri 168 Spagna
1720: 10. 1907: 47-48, 52-56 e foto: 1910: 92-104; Tomassetti 1975: II, 597; Proja 1984: 4, 44, 47; fig. 1, 9, 11. 170 Chiabò – Ranieri – Roberti 1988: 136. 169 Silli
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verso la luce del paradiso171. Sulla parete a destra dell’ingresso principale è murata la lapide commemorativa della visita pastorale compiuta da papa Giovanni Paolo II Wojtyla: VI ABBRACCIO TUTTI IN CRISTO | E VI DICO | COSTRUITE UNA COMUNITÀ | CHE VINCA IL MALE COL BENE | IL SIGNORE CAMMINA CON VOI | GIOVANNI PAOLO II | NELLA PARROCCHIA DEI SANTI | MARIO E FAMIGLIA MARTIRI | IL 15 NOVEMBRE 1995.
Il gruppo statuario metallico giallino dei quattro santi patroni, opera di Albino Poli firmata e datata «A. Poli 06» sul piedestallo, eseguita dalla Poliarte di Verona, fu inaugurato nella chiesa con una cerimonia festiva (domenica 26 novembre 2006). Il gruppo statuario figura l’abbraccio della famiglia unita, serena, che si stringe nell’andare avanti sul cammino della sorte. Mario, assorto accanto alla venusta sposa Marta, posa la mano sinistra sul braccio del giovane Audifax e volge lo sguardo al cielo. Marta, dolce, pensosa, intreccia la mano con il ragazzo Abbacuc e inclina il capo verso la terra, recando nella mano sinistra il simbolo del comune martirio, una palma alta quanto il braccio. Essi, inermi, hanno le braccia nude, vestendo tuniche di foggia romana antica. Un incendio divampato durante lavori sull’immane tetto di legno distrusse questo e l’interno dell’aula liturgica, l’abside, l’altare, arredi sacri (24 dicembre 2007). Nella prima tessera della vetrata multicolore semicombusta si distinguevano ancora le figure dei quattro santi patroni. Ne rividi la statua, intatta, riposta come decoro presso il semplice altare nella grande tenda bianca allestita dai Vigili del Fuoco nello spiazzo adiacente, per servire da chiesa provvisoria della parrocchia (13 gennaio 2008). Un baldacchino rosso riparava la statua e i fiori depostivi, quando il cardinale Vicario Camillo Ruini celebrò la messa serale nella tenda, il sabato seguente, festa di S. Mario e congiunti (19 gennaio). L’edificio fu ripristinato in forma alquanto simile all’originale, compresa la copertura lignea, con il restauro curato dall’architetto Alberto Statuti. Il cardinale Vicario successore Agostino Vallini riconsacrò la chiesa e l’altare (domenica 14 dicembre 2008). La vetrata multicolore che rappresenta la processione dei santi martiri verso la luce del paradiso è rifatta in dimensione e forma minori. La grande iscrizione già sottostante sulla parete non è stata replicata. Il gruppo statuario dei quattro santi patroni sta accostato alla parete di fronte al portale d’ingresso. Fuori, lungo il viale erboso una croce bianca è
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posta sopra la lapide che ricorda la data dell’incendio: «Non abbiate paura |… ecco io sono con voi | tutti i giorni | Mt. 28,20 | 24.12.2007». Il Dr Michail Gialozoglou, chirurgo oftaltmiatra di religione cristiana ortodossa, residente in Paros, l’isola greca delle Cicladi, mi chiese una consulenza con una sua lettera autografa, trasmessa per posta elettronica (28 agosto 2004), e riferendosi alla foto della «chieseta» acclusa nel messaggio: […] In ricerca della vita e delle opere di Santo Mario, visto che sto costruendo una piccola chieseta nel mio terreno a Paros, la quale desidero chiamarla SAN MARIO di cui nome porta mio figlio (da Maria nome di mia madre). Tramite notizie di amici italiani e ricerche attraverso Internet è nelle mie mani il prezioso opuscolo da lei scritto con il titolo […]172. Avuto da vice Parroco Don Giuseppe [Russo] della Parrocchia SS. Mario e famiglia martiri Via Ponte delle sette miglia a Roma. Oltre pero allo studio della vita dell Santo mi manca l’imagine che non saprei dove trovarla per farla riprodure […] P.S. Questa è la mia chieseta in costruzione a Paros dedicata a SAN MARIO.
In risposta, mi riuscì di procurare e spedire al richiedente una buona foto dell’affresco di Enrico Bartolommei che figura s. Mario nella basilica di S. Maria in Trastevere. Nella zona di Boccea, territorio della Diocesi di Porto-Santa Rufina che si trova inglobato nell’espansione urbana di Roma contemporanea, è eretta dell’architetto romano Passerini la chiesa dei Santi Martiri di Selva Candida (30 maggio 2005) sulla Via omonima. La fiancheggia Via SS. Audiface ed Abacuc. Sulla parete dietro l’altare della modesta cappella intitolata ai nove martiri una lastra di marmo lavorato a pantografo da Arte Poli di Verona presenta in sagome marroni i santi, fianco a fianco, ciascun nome scritto in linea verticale: SECUNDA | RUFINA | AUDIFAX | ABACUS | MARTHA | MARIUS | PETRUS | MARCELLINUS | BASILIDIS. Reggono tutti sulla mano sinistra la palma del martirio, tranne Abacus che, orante, tiene le mani raccolte. Egli e il fratello Audifax sono rivolti verso la madre Martha e il padre Marius, due figure placide e soavi. Giuseppe è il nome di uomo più diffuso in Italia contemporanea, secondo classificato Mario, nome portato da oltre 1.400.000 persone, risulta da un rilevamento statistico (2010). Popolarissimo è il soprannome, unico: «Super Mario».
172 Piemontese 2003: 7 [prefazione di don Stefano Matricciani, parroco committente, nel decennale della dedicazione della chiesa].
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3. Anastasius Persa ad Aquas Salvias e a Fontana di Trevi La città del regno sasanide di Persia dove andarono Sergius & Bacchus martiri romani è anche legata al nome che il moderno Martirologio Romano commemora in modo tradizionale: XI kal. Feb.: Ianuarii 22 Romae ad Aquas Salvias Anastasius Persa […] Eius caput Romam delatum est una cum veneranda eius imagine; cuius aspectu fugari daemones morbosque curari, acta secundi Niceni testantur. […] martyr in Betsaloe 628.
La Vita di S. Anastasio Persiano, una relazione ricca di dati precisi, costituisce un documento storico che attiene a eventi bellici e religiosi nell’epoca dell’ultimo conflitto tra l’impero romano di Costantinopoli e la Persia sasanide173. In tali battaglie avvenivano il trafugamento persiano e il recupero cristiano della Croce, la sua reliquia custodita in Gerusalemme174. Magoundat (moghândât «dato dai magi, la legge dei magi») figlio di Bâw maestro zoroastriano di sapere magico, era nativo di Rhazek, villaggio della regione di Rasnouni. Magoundat era in servizio militare di stanza a Ctesifonte, la città mesopotamica capitale invernale sasanide (già parthica), mentre infuriava la guerra persiana contro Costantinopoli. L’esercito sasanide nella conquista di Gerusalemme aveva trafugato il legno della Croce di Cristo (614). Commosso nel vederla, Mogoundat propende per il cristianesimo, diserta, si converte e viene battezzato con il nome di Anastasio dal vescovo Modestus in Gerusalemme. Anastasio monaco entra (c. 620) nel monastero greco dell’abate Anastasio omonimo, sito a 20 stadi da Gerusalemme. Trascorsi sette anni, Anastasio persiano lascia il monastero e si mette in viaggio, ma in Cesarea di Palestina viene arrestato da truppe sasanidi, processato, deportato e torturato. Anastasio non abiura, è costretto ad assistere all’esecuzione di 70 martiri cristiani e viene ucciso per soffocamento (22 gennaio 628) presso Bêth-Saloe, villaggio della zona di Karkhâ di Bêth-Slôkh, vicino alla città di Dastagerd. Vi risiedeva Cosroe, il re sasanide Xusraw II. Il martirio di Anastasio fu riferito all’imperatore Eraclio che con l’esercito e il fratello di Anastasio al proprio seguito giunse a Bêth-Saloe (1 febbraio), in marcia verso Gangiak. Qui Xusraw II perì per una congiura in cui era coinvolto il principe reale Siroe (28 febbraio). Eraclio riuscì a recuperare il legno della Croce trafugata, che riportò a Gerusalemme (gennaio 629). Il corpo di Anastasio 173 AASS, Januarii t. III, 35-54 (Anastasius: 22 gennaio); BHL n° 6335-6338; BHLS n° 6334a-6338d; BHLNS n° 6334a-6338d; AE 11, 145-146, 182-186, 208-211, 221-224, 229-230; 12, 240-243; Usener 1894. 174 Vedi anche III.8.
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era riposto nella chiesa del monastero di S. Sergio sito presso Bêth-Saloe (odierna Kirkuk). Reliquie di Anastasio erano traslate (2 novembre 631) nel monastero omonimo in Gerusalemme. Il culto del santo si diffonde in Ctesifonte (Persia), Palmira (Siria), Cesarea e Diospolis (Palestina), Costantinopoli (631-638). Poi l’invasione arabo-islamica devastò l’area siropalestinese. Quindi per recupero tale culto s’impianta ad Aquas Salvias, zona agreste su uno snodo stradale che collegava la via Ostiensis alla via Ardeatina / Laurenziana. Secondo Benedictus di Soratte (Chronicon, X secolo exeunte), Narses, generale bizantino di origine persiana, governatore d’Italia (551-568; † Roma 574) edificava un monastero, che fu rifondato da monaci di Cilicia (ante 649), ad Aquas Salvias, luogo forse così denonimato dalla gens Salvia, antica proprietaria della zona. Come riferisce il Synaxarium Ecclesiae Costantinopolitanae, per concessione di Eraclio la testa di Anastasio fu traslata (c. 645) nel monastero suburbano greco dei Ciliciani immigrati a Roma e detto di S. Anastasio ad Aquas Salvias. Vi era trasferita anche l’icona di Anastasio che stava vicino al Tetralypos (Cesarea) e la cui miracolosità aveva guarito l’incredula Arete. I delegati romani riferivano al Concilio di Nicea II (787) il miraculum che aveva suscitato la testa di Anastasio (713). La reliquia, conservata nella chiesa della S. Vergine, inacessibile a donne, fu esposta nella chiesa di S. Giovanni Battista, oratorio connesso al monastero, per esorcizzare una giovane siciliana. Un dente preso dal reliquiario, posto sull’altare, è appeso al collo della giovane ma il diavolo ghermisce e fa sparire la reliquia. Poi il cranio del santo, riposto su un piatto, viene posato sulla testa della giovane, così il diavolo soccombe e si dilegua: miracolo175. Il culto riguardante Anastasio ad Aquas Salvias si manifesta lungo i secoli stabile, evidente e caratteristico rispetto al pellegrinaggio intrinseco che concerne il contiguo santuario di s. Paolo apostolo sorto alle Tre Fontane, luogo tradizionale della sua decapitazione (anno 63 / 64) durante la persecuzione decisa da Nerone176. Secondo una tradizione il cimitero di S. Zenone, sepoltura dei 10203 martiri sotto Diocleziano e Massimiano (299), stava nella zona ad Aquas Salvias. Tracce di un cimitero paleocristiano che pare di tale epoca vi sono rilevate177. A Grotta Perfetta, «fra il santuario di S. Paolo alle acque Salvie e quello della Nunziatella» fu rinvenuta una lucerna fittile su cui si ravvisò 175 Pertusi
1971: 622-628; Ferrari 1957: 33-48; Sansterre 1983; Flusin 1992; Speck 1997: 25-35, 177-266; Vircillo Franklin 2004: 2-52. 176 Tajra 1994: 199-200; Buscemi 1996: 257-260; Saxer 2000: 73-85. 177 Boldetti 1720: 693-694, 746; Broccoli 1982.
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dipinta l’effige di Abdon, in mezza figura, confrontandola alla pittura murale nel cimitero di Ponziano178. Forse tale effige concerne Anastasio o il suo santuario. Il museo romano della Crypta Balbi conserva una lucerna inscritta (VI/VII secolo) che forse va riferita ad Anastasio179. Papa Adriano I (772-795) accorse al monastero e tempio di Anastasio, distrutti da un incendio divampato «per incuria monachorum», e dispose di restaturare gli edifici. Papa Leone III (795-816) «Immo et in monasterio sancti Anastasii fecit vestem cum chrisoclabo, eiusdem martyris passione depicta». Questa preziosa figurazione tessile della storia di Anastasio serviva a ornare l’altare nella chiesa monastica. Era un cimelio artistico unico ma fu poi disperso180. Il progetto coevo, concernente la costruzione di una nuova grande abbazia a S. Paolo fuori le mura, che Carlo Magno caldeggiava a Leone III, non fu realizzato181. La Notitia celeberrimae Romanae Abbatiae S. Anastasij ad Aquas Salvias racconta che Leone III e Carlo Magno, confederati, compivano in zona marittima della Tuscia una spedizione congiunta contro nemici infedeli, forse saraceni penetrati con una incursione, vinti con l’ostensione del reliquiario di Anastasio che compiva il miracolo: in maritimis partibus Tussiae […] facta hostibus ostentione capitis S. Martyris Anastasij et eo de collis comparente omnya fortitudo dissipata est […] inito bello ipse Carolus una cum Leone expugnati Infidelibus in Tussiae partibus obtinuere, et praecipua sunt Ansidonia civitas
e altre contigue182. Il privilegio del monastero di Anastasio ad Aquas Salvias, la supposta carta di donazione di Leone III e Carlo Magno (805) conservata nel suo archivio, era un actus sottoscritto da Petrus Episcopus Ostiensis per il dominio di un territorio costiero della Tuscia esteso verso la Maremma senese, dalla foce del fiume Albegna al torrente Elza nella Pescia, fino all’arcipelago di Giannutri; Ansidonia con il porto di Baenilia, porto Ercole, il monte-isola del Giglio, i monti Jannuto e Argentario, il castro di Orbetello, Massilione, il monte Euti. Terre di Tuscia e Maremma, e la città di Ansidonia, che sono menzionate in una bolla di papa Gregorio VII (1081), confermata da Alessandro III (1161), erano tra i possedimenti del monastero 178 Bruzza
1888: 418, ill. 2009a: 43, fig. 9. 180 LP 1, 512-513; 2, 11, linee 7-8; Ferrari 1957: 35; Croquison 1964: 578, 595; Andaloro 2001-2002: 53, 56-57. 181 Schuster 1934: 34-35. 182 BAV, Vat. lat. 11897, f. 56r-v. 179 Piemontese
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di Anastasio che risalirebbero alla donazione di papa Leone III e Carlo Magno, emessa quando il papa visitava l’imperatore a Reims e Aquisgrana. Bolle di altri papi, come Adriano IV (1154) e Alessandro IV (12 gennaio 1225), confermano il diploma della donazione. La critica moderna la considera inautentica o inventata durante il riassetto del monastero (XII-XIII secolo). Una copia del documento era sulla Tavola di Bronzo dorata che si conservava nella sagrestia della chiesa abbaziale di Anastasio ad Aquas Salvias fino al XV secolo exeunte. Il territorio donato era intanto entrato in possesso della Repubblica di Siena183. La sollecitudine papale per il culto di Anastasio Persiano investe anche il cuore del Patriarchío Lateranense: il Sancta Sanctorum, oratorio privato pontificio, che accolse le reliquie insigni, tra cui quelle di Anastasius, anche di «Abdon, et Sennen». Le autentiche, piccole etichette di papiro, pergamena o carta che vi erano fissate per attestarne l’identificazione, sono documentate dal VII secolo exeunte184. 19 reliquie insigni, 7 di Gesù e 12 di santi, erano poste sotto l’altare, dentro un’arca di cipresso che risale al pontificato di Leone III. Al tempo di papa Alessandro III (1159-1183), Johannes diacono riscrisse il Liber de sanctis sanctorum (post 1073) nella propria Descriptio Lateranensis ecclesiae. Riferisce che tra queste reliquie erano abbinati un frammento della Croce riconquistata da Eraclio in Persia e il corpo di Anastasio: «de ligno illo sanctae Crucis, quam Heraclius devicto Chosroë secum tulit de Perside una cum corpore sanctii Anastasii martyris». La reliquia di Anastasio, recante l’autentica antica numerata 60, fu sempre conservata nel Sancta Sanctorum. Per eseguire la ricognizione del reliquiario, l’arca fu infine aperta (19 aprile 1903) e le reliquie vi furono riposte per la maggior parte (13 settembre 1907). Le autentiche furono ritirate (1905) dal tesoro della cappella di S. Lorenzo nel palazzo Lateranense e con il medesimo tesoro depositate nel Museo Cristiano della Biblioteca Vaticana185. Il Sancta Sanctorum custodiva almeno un cimelio coevo della traslazione della testa di Anastasio a Roma: il prezioso tessuto serico tardo-sasanide (c. 650) che figura galli nimbati entro medaglione, pervenuto in sei frammenti. Il Museo della Biblioteca Vaticana conserva tale cimelio e altri frammenti di tessuti sasanidi. Simili pezzi tessili erano sovente adoperati per avvolgere reliquie186. Il Sancta Sanctorum custodiva tra i cimeli antichi 183 Malavolti
1599: f. 19r; Ughelli 1717: 50-52; Amalfitano 1887: 11-15. 2004: 46-47, 80, 114 n° 59, 152 n° 152. 185 Galland 2004: 38, 60-61, 77, 83-84; Grisar 1907: 75; CTCR 3, 356; Morello 1991. 186 Volbach 1942: 40-42, tav. 26, 32-34, 36; von Matt 1969: 90, 103-104, ill. 90; Overlaet et alii 1996; Overlaet 1999: tav. 64-65, 67-69, fig. 3-6, 11-12, 14, 16-17, 21-22, 24-29; Thunø 2002: 18, fig. 3. 184 Galland
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la stauroteca dove figurano i Tre Magi di tipo parthico viaggiatori e offerenti i doni a Maria con il Bambino. La basilica di S. Croce in Gerusalemme, vicina al Sancta Sanctorum, cui è annessa la Scala Santa, reca effigiata nella conca absidale l’impresa di Eraclio che riconquista la Croce187. Per statuto solo il monastero greco di S. Saba sul colle Aventino aveva maggiore importanza di quello di Anastasio, che era accudito ancora da monaci greci (post 1010 / 1020) e fu visitato da s. Nilo di Rossano calabro (ante 1004), il quale si stabilì a Grottaferrata188. La Vita di s. Nilo riferiva che il monastero di Anastasio ad Aquas Salvias era «Graecanicae gentes semper addictum»189. La badia italo-greca di Grottaferrata aveva in possesso il monastero di Anastasio ad Aquas Salvias. S. Bartolomeo di Grottaferrata innografo loda (ante 1055) le virtù di Anastasio il Persiano tra i santi del patriarcato romano: egli «aveva abbandonato la superstizione dei Magi» e la loro «adorazione del dio Fuoco». La testa miracolosa di Anastasio «mette in fuga le schiere dei demoni» e «risana tutte le infermità dei fedeli» che lo venerano190. In lingua persiana antica e moderna dêv / div significa «diavolo» vs lat. deus «dio», e divus «divo», il termine congenere in lessico indoeuropeo. Ricostruitasi durante il pontificato di Callisto II la basilica trasteverina di S. Crisogono, fu collocata a destra dell’altare maggiore l’epigrafe commemorativa (idi di luglio 1123) che cita le reliquie ripostevi, tra cui «DE CAPIT. SC ANASTASII MAR.». Completata la ricostruzione della chiesa, il cardinale titolare Giovanni da Crema consacrava l’altare. La lapide celebrativa (7 agosto 1127), poi situata nel coro, cita le reliquia di «S(an)C(t)I ANASTASII»191. L’epigrafe si vede adesso murata vicino alla porta della sagrestia. Una reliquia di Anastasio era riposta nell’altare della basilica di S. Balbina, sita sul pendio del colle Aventino presso le Terme di Caracalla192. Mentre il cistercense Bernard de Clairvaux era attivo, papa Innocenzo III rifonda (c. 1140) il sito di Anastasio ad Aquas Salvias, ristrutturato come abbazia e chiesa cistercense, importanti architetture in stile medievale di questo ordine. Il primo abate, Pietro Bernardo Paganelli, divenne papa Eugenio III (1145-1153). La grandiosità sobria e solenne rendeva questa chiesa cistercense un santuario imponente rispetto alle due piccole chiese 187 Vedi
anche III.8. 1958; Follieri 1966: 232, 238; Pertusi 1971: 622-628; Ferrari 1957: 33-48; Sansterre 1983; Flusin 1992; Speck 1997: 25-35, 177-266; Vircillo Franklin 2004: 2-52. 189 Karyophillos 1624: 153. 190 Giovanelli 1955: 14, 134-138, 383-387; Parenti 2005: 284-285. 191 ICER 2, 169, n° 486; Silvagni 1943: tav. XXIV.1-2; Mesnard 1935: 126-128, 130-131, fig. 54, 56; Piemontese 2009a: 46, fig. 10. 192 Miedema 2001: 471-472. 188 Pertusi
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contigue erette nel sito, S. Maria Scala Coeli e S. Paolo alle Tre Fontane. Al tempo di papa Onorio III (1221) furono traslate ad Aquas Salvias le reliquie di S. Vincenzo martire di Saragozza († 22 gennaio 304). Per la coincidenza della festività liturgica il nome di Vincenzo fu associato a quello Anastasio e alla sua chiesa e abbazia (1283), che infine furono intitolate a entrambi (XVI secolo). Ciò modificava l’originalità della struttura cultuale paleocristiana, riservata al santo persiano. La testa di Anastasio fu riposta in un reliquiario prezioso (1283). La chiesa e l’abbazia furono infine restaurate (1992-1994) a cura di Giovanni Belardi193. Durante il pontificato di Bonifacio VIII Caetani fu consacrato l’altare nella chiesa di S. Maria in Aquiro, la cui epigrafe celebrativa (9 dicembre 1295) cita tra le reliquie riposte «SS. VINCENTII ET ANASTASII»194. Il portico della chiesa e la grande torre di Anastasio, accesso all’abbazia detto Arco di Carlo Magno, furono decorati da celebri affreschi murali, adesso molto deteriorati e quasi svaniti. La critica moderna li legge e data in vario modo. Le pitture sull’arco erano eseguite (c. XIII secolo ineunte) e i murali nel portico «probably painted shortly after 1294». Tanto vale dire verso l’anno del primo Giubileo indetto da papa Bonifacio VIII (1300). «In eodem arcu S.ti Anastasii ex advuersos» è istoriata in scene suggestive su diversi registri la leggendaria campagna congiunta di papa Leone III e Carlo Magno. Provvisti della reliquia del santo, essi assediano la città stategica di Ansidonia, occupata da infedeli o saraceni, e la liberano (22 gennaio 805) nella ricorrenza della festività di Anastasio e in virtù del suo cranio miracoloso195. La «Copia delle antiche Pitture, che sono nel Portico» e nell’arco, i disegni acquarellati da Antonio Eclissi (1630) e conservati nel codice Barberini, consentono di vedere meglio le scene che erano affrescate196. Nella veduta di Ansidonia splendono il mare, l’accampamento, i castra (f. 37). Tra le scene nel portico, Si porta la detta testa nella Chiesa di SS. Vincenzo, et Anastasio (f. 48), la traslazione per via marittima al rientro da Ansidonia. Due scene residue riguardano il supplizio del santo (f. 50). S. Anastasio è trascinato a coda de Caualli: per ordine di Marzabana (pers. marzbân «mar193 Barclay Lloyd 2006: 3-35; D’Onofrio – Pietrangeli 1969: 177-195, 296-297, figg. 193-224; Chiumenti – Bilancia 1977: 416-434; Romanini 1982; Menichella 1983; Mihályi 1991; Pistilli 1992; Romanini 1994; Aavitsland 2012. 194 ICER 2, 434, n° 1134. 195 Bertelli 1969; 1972; Belardi et alii 1995: 43-51; Barclay Lloyd 1997: 302-323, fig. 12, 14, 16, 19; Romano 2012: 67-71 (scheda di. I. Quadri), cfr. 283-284, 353-357, e 414 (indice dei luoghi). 196 BAV, Barb. lat. 4402, ff. 35-51; Barbiero 1938: 93-94, 126-127, 131, tav. XVIII-XIX; Waetzoldt 1964: 80 e fig. 596-612; Barclay Lloyd 1997: fig. 23-29; Andaloro 2006: 151162, ill. 10-18.
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gravio») del re sasanide Cosroe II. È sospeso, e battuto a un palo e trafitto di frecce, mentre il re astante con lo scettro nell’edicola pare lo stesso Cosroe (tav. 11). Antonio di Pietro dello Schiavo, Diarium Romanum, riferisce che egli assisteva (giovedì 14 giugno 1408, festa del Corpus Domini) alla cerimonia che nella basilica S. Maria in Trastevere solennizzava il rinvenimento di un prezioso reliquario nella sagrestia, riposto in una cassa: «unum pulcherrimum Tabernaculum deauratum cum smaltis, in quo Tabernaculo stabat Caput Sancti Anastasii Martyris», e il cervello in un piccolo tabernacolo di cristallo ornato di argento dorato. Il reliquiario, rubato molti anni prima ma ritrovato, era stato nascosto nella sagrestia, portatovi dal cardinale di S. Angelo, che impose la tassa alle chiese romane. Il reliquiario, con grande concorso di popolo, fu ricondotto in processione al monastero suburbano di Anastasio e riconsegnato al suo abate197. L’icona antica del santo nel suo santuario suburbano fu perduta. Si conserva la «IMAGO S. ANASTASII MONACHI et Martyris | cuius aspectu fugari daemones morbosque curari», una piccola tela (cm 27 × 5) che funge da icona, dipinta (c. 1461) forse da Nicolas Froment198. Il frate francescano Mariano da Firenze visita Roma e scrive (1518): At vero in supradicta ad Tres Fontes, ecclesiam magnam sancti Anastasii cum abbatia invenies in loco qui dicebatur ad Aquas Salvias. Hanc quoque ecclesiam iam praenominatus Honorius a fundamenta exstruxit, in qua plurimae sunt reliquiae et quolibet die anni centum. Est in ea capella ubi marmorea columna venerabiliter praeservatur super quam Paulus apostolus adhesit corpore cum decapitatus fuit. Hanc venerandam ecclesiam incolunt monaci Cistercienses199.
Uno scienziato classificava (1571) la zona ad Aquas Salvias tra le «Acidae aquae ad Vrbem» caratteristiche: Primùm extrà portam Tergeminam, vltrà sancti Pauli ædem diuerticulo duorum millialorum ab Hostiensi via, inueniuntur aquae ad tres fontanas, quae in ædicula Sancto Anastasio dedicata emanantes, diuersi omnes sunt saporis. Crassae, fumosae, guaues; & cum aliquali tepore; quas tùm pro loci reuerentia, in quo (vt legitur) D. Paulus fuit martyrio coronatus, tùm pro saporis nouitate, atque varietate mirificè colimus200.
197 Isoldi
1917: 32. 1938: 132 ill.; Bertelli 1970: 15-16; Piemontese 2009a: 40-41, fig. 7-8. 199 Mariano da Firenze 1931: 127. 200 Bacci 1571: 400, lib. VI, cap. XXI. 198 Barbiero
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Costantino Caetani, abate benedettino, donò (1619) a papa Paolo V, Camillo Borghese, il codice che contiene la raccolta dei documenti, atti, concessioni, privilegi e proprietà del monastero e santuario di Anastasio ad Aquas Salvias (XII-XV secolo)201. Paolo V aveva ricevuto in udienza ufficiale al Quirinale Robert Sherley, giovane inglese, ambasciatore di ‘Abbâs I re safavide di Persia202. L’indomani Sherley compì il pellegrinaggio alle Nove Chiese di Roma, vedendone tutte le reliquie. Al ritorno per ristoro egli pranzava nel palazzo Lateranense, a spese del papa. Paolo Alaleone, diarista pontificio, scrive (30 settembre 1609): «Hodie Orator Regis Persarum iuit ad nouem Ecclesias, et uidit omnes reliquias tam in Basilicis patriarchalibus, quam in alijs Ecclesijs, et pransus est in Palatio Lateranens. Expensis S.D.N.». Un diplomatico persiano al seguito di Sherley rimane a Roma, convertito, e fu battezzato con il nome di Camillo Borghese Persiano (24 gennaio 1610) nella chiesa di S. Bartolomeo sull’Isola Tiberina dal cardinale titolare Michelangelo Tonti «Episcopus Nazarenus»203. Il pellegrinaggio contemplava le Sette Chiese precipue e per estensione le Nove. Per un elenco (1610), la settima era S. Croce in Gerusalemme, «ottava delle nove chiese» Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane204. L’itinerario classico aveva (XVI secolo) queste tappe: S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore, S. Pietro in Vaticano, S. Paolo e S. Lorenzo fuori le mura (le cinque basiliche patriarcali), S. Croce in Gerusalemme; S. Sebastiano fuori le mura, chiesa settima; ottava e nona vicine S. Anastasio Persiano alle Tre Fontane e S. Maria Annunziata fuori le mura, «poste tra Santo Paolo & Santo Sebastiano»205. Ma un altro itinerario coevo (1581) circa «the Nine Churches» comincia così: First, the Churche of SS. Vincentius and Anastasius, with these Relikes, the heades of SS. Vincent and Zeno holy Martyrs. The head of Anastasius a Monk martyred by the Persians, sent to Rome with his bodie (lying in S. Pauls church) by Heraclius the Emperor206.
O ancora la «Ottava tra le nove chiese Detta de i SS. Vincenzo, & Anastasio All’Acque Saluie, Ouero S. Maria Scala Caeli; Ouero S. Paolo alle Tre Fontane». Reliquie:
201 BAV,
Vat. lat. 5844; Giorgi 1877. anche III.9. 203 Piemontese 2005a: 389-390, 402-404. 204 Felini 1610: 29. 205 Panvinio 1570: 15; Panciroli 1600: 41. 206 Martin 1969: 30-31. 202 Vedi
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la Testa di S. Anastasio Monaco Persiano Martire illustre insieme con la sua Venerabilissima Imagine, che ancora dopo 1065. anni con vn Sacro Orrore, che dà spavento à i Demonij, e diuozione à i Fedeli; ne’ si può mirare se non con diuota compunzione; mandato da Eraclio Imperatore à Roma, insieme con il suo Corpo, che si conserua sotto l’Altare della Cappella del Sancta Sanctorum nel Laterano.
Si elenca una serie di «Preci» nella visita al santuario di Anastasio207. Eccone una Misura delle noue Chiese. Da san Pietro à san Paolo per la Lungara miglia quattro, catene settantasette, e staiole 3. / Dalla Chiesa di san Paolo, e continuando la strada grande per la campagna piena di cemiterij alla volta de’ santi Vincenzo, & Anastasio vicino all’Acque salvie, così dette da vna famiglia antica, e nobile Romana, di cui erano alcuni terreni, e di questa ne discese Ottone Imperatore, vi sono le tre Fontane miglio vno, catene nouantatre, e staiole tre208.
Quattro chiese antiche di S. Anastasio Persiano sono scomparse in epoche diverse. S. Anastasio de Arenula, citata in una bolla di papa Urbano III (14 febbraio 1186) come filiale di S. Lorenzo in Damaso, fu poi chiamata chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio de Cuochi, cui era concessa da papa Paolo III (1537). Essa, sita presso Ponte Sisto, fu demolita per il riassetto comunale di case e strade sul Lungotevere (1887). La chiesetta di S. Anastasio de Marmorata, sita in luogo incerto, presso la Scola Greca o S. Stefano Rotondo, è scomparsa dopo il XV secolo. La chiesetta di S. Anastasio de Pinea, sita tra la Minerva e la via Papale, è scomparsa dopo il 1560. La chiesetta di S. Anastasio de Puteo Probae era forse situata sulla pendice occidentale del colle Viminale209. La Corporazione di Cuochi e Pasticcieri, fondata mentre era papa Leo ne X (1513), conveniva nella chiesa di S. Luigi dei Francesi e fu regolata dal nuovo statuto (c. 1603). La chiesa di S. Anastasio de Arenula detta alla Regola stando per la vecchiezza in pericolo di cadere, il Parrocchiano si risolse di rinuntiarla alla Compagnia de’ Cuochi, e Pasticcieri, che il 1513. s’erano uniti nella Chiesa di S. Luigi, sotto il titolo dell’Annuntiata, e vi mantenevano vna Cappella, e per’habito loro presero sacchi bianchi con l’insegna di vn’arme, con’vna corona in cima, e nel mezzo hanno queste tre lettere A.G. P. che significano Ave Gratia Plena. Venendo poi à questa Chiesa, non solo l’hanno ristorata, 207 Piazza
1694: 250, 253; [II], 108-109. 1677: 21. 209 Huelsen 1927: 173-175. 208 Sacchetti
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ma pigliarono il carico di prouedere alla Parrocchia d’vn buon Curato, e venendo à Roma alcuno dell’arte loro, procurarono di trouarli partito, di qualunque Natione sia. Oltre la festa dell’Annuntiata lor propria, celebrano anche quella della Chiesa, & in vna di esse taluolta maritano povere Zitelle figlie di quelli della Compagnia210.
La Coquorum Urbis Societas ebbe in concessione (1513) S. Anastasio de Arenula, chiesa cistercense filiale della vicina parrocchia e basilica di S. Damaso, unita al palazzo della Cancelleria. In base alla bolla di Paolo III (20 aprile 1537) questa chiesa di S. Anastasio era ristrutturata, poi riedificata, intitolata anche a S. Vincenzo e provvista di una nuova, semplice facciata (1626-1629). La chiesa era detta alla Regola siccome situata sulla spiaggia antica detta la Regola, dove si apriva la strada che conduce a S. Maria in Monticelli. La piccola chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio prospettava la piazzetta omonima, poi detta delle Zoccolette, stando vicina la via di questo nome. La chiesa a tre navate aveva quattro altari, il maggiore dedicato ai santi patroni. Oltre alle loro immagini, vi figurava l’Annunziata. Malgrado un contenzioso dei Canonici di S. Lorenzo in Damaso, il Comune di Roma decise di demolire la chiesa per aprire uno spazio nel Lungotevere dei Vallati (1881). Poi la Confraternita dei cuochi e pasticcieri si radunava nella vicina chiesa di S. Salvatore in Onda, sita a ponte Sisto211. La chiesa antica di S. Anastasio de Trivio, citata in una bolla di papa Giovanni XII (8 marzo 962), fu ricostruita come sede cistercense, quindi intitolata anche a S. Vincenzo (XV secolo). La chiesa nuova fu eretta da Martino Longhi junior su committenza del cardinale titolare Giulio Mazzarino per il Giubileo (1650): elettasi a questo effetto la Chiesa de SS. Vincenzo, & Anastasio come parte della pietà di quel Cardinale, che con la cortese assistenza, & esquisito intendimento del Signor Paolo Maccarini suo confidentissimo amico, la fece negli anni addietro fabricare da fondamenti; giudicandosi anche conueneuole di celebrare i di lui gloriosi funerali in quel Tempio, dal quale si può dir che ei ne sortisse così felici natali.
Una tela di Francesco Rosa posta a decoro dell’altare maggiore della chiesa (c. 1680) è perduta. Anastasio eremita che contempla il crocifisso pare il personaggio rappresentato nel quadro che decorava l’altare maggiore, secondo «Abbas Elpidius Benedictus Inuentor». La chiesa, parrocchia pontificia del Quirinale, palazzo che dopo Gregorio XIII fu la residenza di 210 De’
Rossi 1652: 185; Rodocanachi 1894: I, 205. 211 Fonseca 1745: 332-333; Crostarosa 1893: 25-28, chenti
31-34, 42-51; Di Schino – Lucci-
2007: 30-34, 43-51, 199-207.
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numerosi papi, ne conserva i præcordia asportati per imbalsamazione. Nel presbiterio campeggiano le due monumentali lapidi relative, ciascuna posta su una parete laterale. La prima lapide, intitolata a Sixtus V (27 aprile 1590), elenca i PRÆCORDIA che riguardano Leone XI «OBIIT IN QVIRIN. DIE XXVII APRILIS MDCV», il successore Paolo V e molti altri papi. La lapide sulla parete destra continua fino a Gregorio XVI († 1 giugno 1846), poi sta una fascia vuota, che sottindende la frattura di tale tradizione per la sorte temporale di Pio IX determinata dalla presa del Quirinale (20 settembre 1870). La tradizione riprende: præcordia di Leone XIII († 20 luglio 1903), e nell’epigrafe seguono finali fasce vuote212. La chiesa è adesso sede romana della Comunità Ortodossa Bulgara dei SS. Cirillo e Metodio (2006), che ha introdotto le iconostasi presso l’altare e sovente tiene aperta la chiesa anche di sera. Ha abolito le immaginette prima offerte a fedeli e visitatori, le quali riproducevano in piccolo formato buono la grande tela (cm 580 × 262) dipinta da Francesco Pascucci romano (1778) che decora ancora l’altare213. La tela rappresenta Vincenzo predicatore in veste talare rosso fuoco dinanzi al sovrano in trono. Sulla parte destra dello sfondo Anastasio veste la tonaca grigia, sta in ginocchio e prega mentre il boia si accinge a dare il colpo di spada per decollare. Un angeletto accorre per recare la palma del martirio e l’aureola, mentre Cristo appare dal cielo aprendo le braccia per protezione. L’affresco delimitato a riquadro rettangolare che sta sulla volta della navata unica, opera del pittore Francesco Manno firmata e datata 1818, figura la Resurrezione del Redentore, reggente il gonfalone rosso in cielo, e l’apoteosi dei due santi patroni, assisi su una nuvola grigia. Lambito da un angelo che vola, Anastasio veste l’ampia tonaca nera di tipo monastico greco e tiene con la mano destra un codice posato sul ginocchio mentre conversa con Vincenzo, che indossa la veste rossa. Sulla fascia mediana della facciata marmorea, che sfrecciante tra alte colonne prospetta Fontana di Trevi, si distingue la grande iscrizione elegante: ANNO IVBILEI M.D.L.| IVLIVS S.S. R.E.D. || MAZARINVS || A FVNDAMENTIS EREXIT. Giunti a questa tappa giubilare del nostro percorso romano, sostiamo un attimo presso la Fontana, per vedere come si svolgevano nella città le feste, la devozione liturgica e il pellegrinaggio popolare che concernono una serie dei santi persiani di Roma. Leggiamo adesso un esimio Emerologio, opera di Carlo Bartolomeo Piazza. Il 19 gennaio Mario e Marta:
212 Benedetti 213 Kuhn
1661: f. A3 e tav. ill. tra p. 10 e 11; ICER 9, 281, 291, n° 581 e 607. 1986: Abb. 2.
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Nobili coniugati Persiani, con Audiface, & Abacone […] La loro Festa si fà a S. Adriano in Campo Vaccino; A s. Gio: Colabita nell’Isola di Trastevere. A s. Prassede ne’ Monti, & a ss. Quattro [Coronati], nelle quali Chiese furono trasferiti da s. Pasquale I. e distribuiti li corpi loro: con Ind. plen. in tutte le sodette Chiese. A s. Carlo de’ Cattinari sono loro Reliquie.
Il 22 gennaio con Vincenzo, Anastasio Monaco Persiano Martire […] Celebrasi solennemente la Festa con Ind: plen: alla vaga Chiesa Parrocchiale alle Fontane di Treui, de’ PP. Chierici Regolari, ristaurata & abbellita dal Card. Mazzarino: oue sono le loro Reliquie. Alla loro Chiesa antichissima dei Monaci Cisterciensi alle trè Fontane fuor di Roma […] si espone la venerabilissima testa di S. Anastasio; portata già dalla Persia a Roma; e la diuotissima Imagine del medesimo Santo, come asserisce il secondo Concilio Niceno, fuggiuano i Demonij; ond’è nata la pia vsanza di molti di hauerla nelle loro stanze, oue riposano, per tener da esse lontani li spiriti maligni: In questa mattina si fa quiui vna copiosa limosina di pane, e vino a i poueri dall’Abbate Commendatario. All’Oratorio alle Scale Sante, oue riposa il di lui Corpo, ripostoui dal medesimo S. Leone III. Alla loro Chiesa nel Rione della Regola della Compagnia de’ Cuochi; da quali se ne fa celebrare con solennità la Festa con Ind: plen:.
Il 12 giugno Onofrio Anacoreta: La Festa si fà con celebre concorso di popolo, con Indul. plen. alla sua amena Chiesa nel Monte Gianicolo, de’ PP. della Congregazione del B. Pietro da Pisa, oue si espone alla venerazione vn braccio, & vna gamba di detto Santo.
Il 30 luglio Abdon & Sennen: La Festa con Ind. plen. si fa alla Chiesa Collegiata di s. Marco; oue riposa nella Confessione buona parte de’ loro Corpi, sotto l’Altar Maggiore, riposti quiui da Paolo II. Alla Madonna della Vittoria s’espone parte del corpo di s. Abdon214.
La statua di almeno un santo persiano non poteva mancare in piazza S. Pietro, tra i due cortei figurativi di santi, 140 statue alte oltre tre metri, che coronano la trabeazione del grandioso colonnato eretto da G. L. Bernini (1656-1667). Papa Alessandro VII, Fabio Chigi, partecipò alla sua progettazione. L’elenco anonimo delle statue dei santi da situare sopra il colonnato metteva in programma per il suo portico una statua di «† Hester», santa
214 Piazza
1690: I, 76-77, 89-91, 502-503; II, 95-97.
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Esther regina di Persia, sposa di Assuero215. Questa statua rimase ineseguita216. Il grande museo statuario in piazza aperta, cominciato da allievi di Bernini, fu compiuto per committenza di papa Clemente XI (1701-1704), sotto la direzione di Lorenzo Ottoni e Jean-Baptiste Théodon. Oltre alla statua programmata di s. Esther giudeo-persiana, fu prescelta la figura di s. Anastasio Persiano, una bella statua di travertino eseguita da Agostino Zena217. Essa, n° 60 della serie posta, a partire dal portone di bronzo, sopra il braccio dritto (nord) del colonnato, secondo altra attribuzione è opera di Giuseppe Riccardi (1702-1703). Figura Anastasio come monaco calvo, che ha la barba fluente sulle pieghe della tunica. «Il tipo iconogafico deriva dal Sant’Anastasio del Bernini nella cattedra di S. Pietro»218. Il volto ha forse qualche somiglianza, ma nella cattedra Bernini avrebbe rappresentato s. Atanasio, secondo altri219. L’abbazia di s. Anastasio alle Acque Salvie continuava a essere meta di pellegrinaggio. Luis Pérez De Castro, frate carmelitano che visita la chiesa ad Aquas Salvias (5 febbraio 1667), vede presso l’altare la testa di Anastasio posta nella teca argentea: antiquissima imago, capace di demones fugare, curareque morbos e veneratissima220. All’epoca attuale la testa, custodita in un reliquiario a forma di piccolo sacofago, viene ostentata nella chiesa abbaziale assieme all’icona cistercense del santo il giorno della sua festività (22 gennaio)221. La spoliazione dei beni del’abbazia, operata dalle truppe napoleoniche durante la seconda occupazione francese di Roma (18081812), arrecava la scomparsa di grandi reliquiari argentei. Una bolla di Leone XII (13 giugno 1826) cedeva l’abbazia cistercense ai Minori Francescani. Una bolla di Pio IX (21 aprile 1868) restituiva l’abbazia ai Cistercensi, ma affidata ai Trappisti, che ancora la custodiscono, e così la chiesa222. Vincenzo Forcella, eminente epigrafista, notava (1878): A qualche chilometro al di là della basilica di S. Paolo sulla via Ostiense, si presenta agli sguardi un gruppo di fabbriche che in quella solitudine della campa-
215 Vedi
anche III.5.
216 BAV, Chig. H.II.22, f. 225v, colonna a, linea 17;
Haus 1970: 31; Carloni 1987: 43, 288. 1970: 114, 171, 173 e Taf. 1. 218 Carloni 1987: 49, 199 (scheda di L. Russo), ill. e foto; 225, 293. 219 Battaglia 1943: tav. XVIII, XX. 220 Pérez de Castro 2005: 137. 221 Miedema 2001: 456-460; Vircillo Franklin 2004: 23-24; Barbiero 1938: 133 ill.; Piemontese 2009a: 39, fig. 6. 222 Calandro 1981. 217 Haus
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gna ti produce nell’animo una profonda sensazione. È questa l’antica abbazia di S. Anastasio223.
Le Aquae Salviae erano ubicate non lungi dalla via Ostiense, più d’un miglio romano al di là della basilica di S. Paolo su d’una strada antica che si dirama dall’Ostiense, la via Laurentina, la quale per Laurentum metteva al mare
e al lido. Superata la salita della via Laurentina si vede finalmente in un’amena valletta, dove s’adagia in silenziosa quiete e raccoglimento fra alti eucalipti, l’odierno monastero delle Aquae Salviae o Tre Fontane224.
Il riassetto urbanistico di Roma moderna, area EUR inclusa, ha invaso l’antico paesaggio agreste circostante le placide Acque Salvie e le Tre Fontane. Vi permane percepibile la quiete tra le mura, alcuni alberi e qualche fontanella. 4. Honofrius su Gianicolo e Monte Mario Ianus aveva l’arx sul monte Ianiculus, dove accolse Saturno che, espulso da Giove e profugo a Roma, si stabilì sul Campidoglio, narra Virgilio. Il monte di Giano offre il luogo panoramico che vale la visita della città intera: «Hinc septem dominos videre montes, / et totam licet aestimare Romam», diceva l’epigrammista Marziale225. Questa sua espressione, che nel contesto reca «lungum Ianiculi iugum», pare coinvolgere e collegarvi la zona di Monte Mario226. I pellegrini e viaggiatori provenienti da nord lungo la via Trionfale avevano la prima veduta spettacolare della città sull’altura di Monte Mario. Vi andava il nuovo imperatore dopo la cerimonia pontificia dell’incoronazione per osservare tutta la città, secondo una consuetudine invalsa nel XII secolo227. Un privilegio vaticano attribuito a Carlo Magno (797) cita il sito gianicolense septem ventus in flumine. Septem ventus. Questo era vn loco sopra il monte ora detto s. Honofrio, qual 223 ICER
12, 313-314. 1930: II, 188-189. 225 Verg. Aen. 8, 357-358; Mart. 4, 64.11-12. 226 P. Liverani, «Ianiculum»: LTURS 3, 82-83. 227 Maddalo 1990: 109-110. 224 Grisar
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monte per il continuo soffiar de’ venti è chiamato Mons ventosus, in alcuni M.S. [manoscritti], non lungi dal quale era il luogo chiamato nel Priuilegio Crepta rubea228.
La chiesa di S. Onofrio de Urbe fu fondata sul luogo del Gianicolo che per la sua ariosa sporgenza era denominato septem ventus o mons ventus229. Un sito fatale di Roma antica, siccome tra i «sette Colli, solendosi fare in ciascuno di essi gli 11. di Decembre, le Feste Settimanziali in onore di Giano». Sulla strada gianicolense detta septem Ventus stava «il Monte di S. Onofrio, detto Mons Ventosus»230. Onofrio, anacoreta in una oasi di Egitto o sul Monte Sinai (c. IV/V secolo), confidò la propria storia a Pafnuzio, monaco copto itinerante che lo intervista, assiste e seppellisce. Un ramo latino della tradizione agiografica qualifica Onofrio, antico eremita ideale in zona remota, un ex principe di Persia. La critica valuta tale tradizione «sine ullo fundamento»231. Ma l’agiografia della Chiesa siro-orientale di Persia antica contempla la conversione di alcuni principi e alcune principesse al cristianesimo, un fatto che anche l’agiografia latina asserisce per suo conto232. L’onomastico Honufrius, gr. Ὀνούφριος, copto Ouanofre, ha un etimo incerto. Il nome mi pare riconducibile a pers. hunarvar «virtuoso, artista», hunar-âfarin «creatore di virtù, persona virtuosa, artista creativo»; «hunar, Skill, science, knowledge, ingenuity, art, industry, excellence, virtue; professsion; a bill of exchange»233. Pronuncia attuale in Iran: honar. Il culto romano di Onofrio sorge forse presso la chiesa scomparsa di S. Maria in Palazola / Palazzolo, soggetta alla Basilica Vaticana (XI-XV secolo) e così detta siccome Palatiolum denominava (XI secolo) «quell’ultimo contrafforte del Gianicolo che si estende verso S. Pietro»234. Il santuario di Onofrio era ivi impiantato nei primi decenni del Rinascimento urbano di Roma. Dopo un primo viaggio a Roma (1431), Leon Battista Alberti architetto vi torna al seguito di papa Eugenio IV Condulmer, risiede per lungo tempo nella città (1443-1459) e la descrive. Alberti redige anche una «Lista delle coordinate polari utili per ridisegnare l’immagine della pianta di Roma nella scala desiderata a partire dalle coordinate di 175 punti 228 Torrigio
1635: 506, 518. 1664: II, 282. 230 Cancellieri 1812: 75-76 e nota 2. 231 AASS, Junii t. III, 16-30 (Onuphrius: 12 giugno); BHL n° 408-413; BHLS n° 408-413b; BHLNS n° 408-413d. 232 Vedi anche II.1-2. 233 Steingass 1892: 1514. 234 Sajanello 1758-1760: II, 440; Huelsen 1927: 352-353. 229 Alveri
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salienti». Uno tra questi, n° 24 segnato nella Tabula XV Templa et publica urbis aedificia, concerne Honufrii in monte: «horizon 36.½ radius 31.2», tali le coordinate235. Nicola de Forca Palena o Peligni (Sulmona) aderì alla Congregazione dell’Ordine eremitico di S. Gerolamo fondata (1380) da Petrus de Pisis, Pietro Gambacorta Pisano, entrambi beati, che s’incontrano di persona (Roma 1425). Nicola frequentava la comunità degli eremiti della regione di S. Eustachio (1439), la chiesa il cui patrono vide il cervo crocifero nella foresta. Papa Eugenio IV (1434) e Niccolò V (1447) favorirono Nicola che fondava la chiesa e il cenobio di S. Onofrio sul Gianicolo, sede della Congregazione gerolamina. La chiesa era ampliata (1446) intorno al nucleo originario, la cappella di S. Onofrio, la prima a destra. Nicola decede (29 settembre 1449) e vi è sepolto236. La grande lastra sepolcrale di Nicola de Forca Palena ne rappresenta (1449) la figura distesa in abito monastico, scolpita a bassorilievo e recinta dalla iscrizione incisa in caratteri artistici e versi latini, explicit «IPSE TVIS PLACIDO NVNC SNCS HONOFRIVS ORE»237. La lastra viene murata (1606) sotto la lunetta affrescata in epoca coeva nella parete del portico a destra della porta, su cui è incisa la bella epigrafe «ECCLESIA S. HONVFRII». Nella lunetta laterale figura il gruppo di sette monaci santi e beati che contemplano il Croficisso. Primo S. Augustinus, istitutore di una regola eremitica usufruita dai Gerolamini, secondo Honufrius e terzo Nicola, suo devoto. Didascalia dipinta: S. HONVFRIVS REGIS PERSARVM FILIVS | B. NICOLAVS DE FVRCA PALENA HVIVS COENOBI FVNDATOR | ET PRIOR CVIVS CORPVS REQVIESCIT IN CAP.A S. HONYPRII. La facciata originaria della cappella, costruita tra il 1434 e il 1444, sembra la stessa parete sinistra del vestibolo che adesso conduce al chiostro e conserva i resti oscuri, quasi tutti svaniti, della storia di Onofrio, affrescata con la tecnica a terra verde e rialzi in biacca. Si sono distinti alcuni riquadri e didascalie restanti. I Nascita di Onofrio in gineceo, presenti due donne, iscrizione residua «madone». II Il demonio appare al Re padre, iscrizione restante «come lo dimonio disse allo re». III L’angelo salvatore nell’ordalia del fuoco, didascalia superstite «comandamento dell’angelo lo fece battizzare et imponere nome honofrio». IV La virtù di Honofrio in monastero, iscrizione letta «come i m(onac)i de lo veduto el miracolo del pane 235 Alberti
2005: 11, 82, 99, Tabula XV; cfr. 114, 128, 142. 1758-1760: I, 153-159, II, 439-476; Gasparoni 1773: 53-60; Montenovesi 1937; Urban 1961-1962: 79-89; Ferrara 1964: 160-163, 227-233. 237 ICER 5, 293, n° 816; Gasparoni 1773: 71, disegno. 236 Sajanello
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l’abate»238. Si è ipotizzato che Lorenzo di Pietra detto il Vecchietta, pittore senese, eseguisse questi affreschi tra i pontificati di Eugenio IV e Niccolò V, se non di Pio II (1458-1464), ma senza prova alcuna239. Nella cappella l’edicola dell’altare alberga la vivace statua lignea dipinta di Onofrio. Egli ha occhi espressivi, penetranti, lo sguardo intensissimo mentre contempla il crocifisso che regge nella mano sinistra. Ha la barba bianca ondosa come lana pettinata, tanto intonsa, crespa e lunga che ne veste il corpo ignudo, cui serve da cintura un tralcio verde di edera cinto alla vita, sopra la barba lanosa240. La volta a crociera domina l’altare della cappella. Le due vele a fondo azzurro affrescate forse da Antoniozzo Aquili Romano figurano l’Annunciazione. Vela sinistra: il Padreterno invia l’angelo con il giglio. Vela destra: la colomba bianca vola verso Maria. Una lapide marmorea sul pavimento riguarda la Universitas Tinctorum (1617), cui la cappella era affidata. S. Onofrio era il patrono della Corporazione dei Tintori, come conferma (1696) il suo nuovo statuto241. Una veduta panoramica di Roma (1457) nota nelle immediate vicinanze della basilica di S. Pietro il «campanile medioevale di S. Spirito in Sassia e, più a destra, oltre il mons Sancti Spiritus, quello quattrocentesco di S. Onofrio» (tav. 12)242. Francesca Romana, santa monaca, aveva celebri visioni. Incontra Onofrius che le tiene un discorso riguardante la virtù dell’amore (Tractatus de Visionibus, visio XCV). Giovanni Mattiotti, confessore della monaca, racconta le «47 battaglie sostenute da Francesca contro il demonio» (settembre 1430-marzo 1437). Conflictus XXIII (febbraio 1432): una notte Francesca stava beata «in suo lectulo» intenta a pregare (§ 1), quando 2. ille antiquus humani generi hostis, in videns tante quieti sue mensis, venit ad eam in forma hominis silvestris, manu sua baiulans quendam baculum ac si viator esset, dixitque eidem beate quod erat sanctus Honofrius.3. Unde, quia ipsa habebat voluntatem accedere ad loca deserta, ipsam exortabatur quod secum venire, quia iam ipse invenerat pulcherrimum locum pro ea.
Ma, prudente, Francesca vede la falsa luce che appare nel maligno, per cui gli risponde: «6. Ego volo manere ubi placet meo altissimo Domino
238 Petrocchi
1998. 2002. 240 Piemontese 2009a: 50, fig. 11. 241 Sajanello 1758-1760: II, 443; ICER 5, 318, n° 888; Rodocanachi 1894: II, 106-112. 242 Maddalo 1990: 185-186 e fig. 80 (da BAV, Vat. lat. 2224, «Geometria» di Euclide, Roma 1457, f. 98r). 239 L’Occaso
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[…] Tu vero, miserrime et vilissime, recede in nomine Iesu Christi crucifixi benedicti, et vade in abyssum, in qua tua est habitatio […]»243. Il monastero delle Oblate di S. Francesca Romana ne presenta in dieci scene la vita nella parete lunga dell’antico refettorio. Il ciclo degli affreschi, «monocromi in terretta verdognola» datati 1485, comprende l’evento del Conflictus XXIII, che reca la didascalia in caratteri neri di tipo tardogotico, adesso semisvaniti: «Como lo maligno spirito […] / delagare essa b(ea)ta dicendo […]»244. Un angelo custode che vigila sul muro di cinta del monastero tocca l’aureola di Francesca. Il demonio ha la barba ispida, una pianta che gli cresce sulla nuca, dietro le corna, veste il mantello e la tonaca, e mostra il rosario nella mano che appoggia al bastone, mentre con l’indice destro punta l’ingresso di un romitorio semplice che spicca su un colle: l’eremo di S. Onofrio sul Gianicolo. Il monastero dove Francesca Romana preferiva rimanere sorge a Tor de’ Specchi, di fronte al colle capitolino e accanto al Teatro di Marcello. Nella vicina chiesa di S. Niccolò de’ Funari a Tor de’ Specchi erano riposte reliquie di Mario e Marta coniugi persiani martiri di Roma245. S. Onofrio sul Gianicolo, che sta di fronte a Castel S. Angelo, prospetta le vette e catene montane sull’orizzonte. La piccola tavola, parte di una predella posseduta da un Canonico Lateranense e conservata nel Museo di Castel S. Angelo, costituisce l’ultima opera pittorica di Carlo Crivelli (c. 1493). Egli dipinge S. Onofrio che regge il crocifisso e il bastone nelle mani, ha la capigliatura e la barba fluenti, che con una edera che ne coprono il corpo246. Lorenzo Lotto in una tavola firmata e datata (1508) rappresenta la Madonna con il Bambino e i santi Flaviano e Onofrio, il quale orante, anziano ignudo, ha chioma e barba bianca, e la frasca verde per veste247. La chiesa trasteverina di S. Salvatore in Corte, che accoglieva la reliquia di Milix, santo martire persiano, presentava S. Onofrio tra le «Imagini» poste nel primo ordine della tribuna248. Ante 1508, forse in ricorrenza giubilare o tra 1500 e 1503, l’abside della chiesa di S. Onofrio sul Gianicolo viene decorata con affreschi da vari artisti, tra cui sarebbero Amico Aspertini, Andrea da Volterra, Balsassarre Peruzzi e Jacopo Ripanda. Nell’arcone sono scanditi quattro riquadri, episodi della storia di Onofrio tra la giovinezza e il seppellimento. Nella scena centrale del registro inferiore Bernardino de Cupis, scrittore apostolico, è 243 Bartolomei
Romagnoli 1994: 250 nota 7, 716-717, 789-790. Romagnoli 1994: 944, tav. 36. 245 Vedi anche II.2. 246 Zampetti 1986: 301, tav. 109. 247 Roma, Galleria Borghese, inv. 193. 248 Maoro 1677: 5. 244 Bartolomei
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figurato in ginocchio davanti al trono della Madonna con il Bambino, tra santi e Onofrio: la chioma bianca e la barba fluente ne coprono il corpo ignudo. Bernardino, committente di questo affresco, era amico di Angelo Colocci, erede dell’Accademia Romana fondata da Giulio Pomponio Leto che con i soci frequentava la chiesa. In un lato absidale figura l’Adorazione dei Tre Magi offerenti doni e quella dei pastori. Ciascuno dei due riquadri laterali dell’abside rappresenta il concilio di 6 Sibille, che si consultano e studiano, 12 in totale249. Una di esse che veste il turbante bianco, discosta dietro le 5 colleghe nel riquadro destro, può essere la Sibilla Persica. O quella che veste il turbante bianco e siede al centro delle 5 colleghe nel riquadro sinistro. Le 10 Sibille classificate da M. Varrone Reatino furono poi ampliate al numero di 12. Varrone scriue, che le Sibille furono dieci, la prima Persiana […]. Dicono che la Persiana così profetizzando cantasse: Nascerà nel mondo il Signore, & il grembo di vna Vergine farà la salute delle genti, e li piedi della medesima saranno sostegni degli huomini250.
Mariano da Firenze frate francescano descrive l’itinerario di Roma (1518): «In colle Vaticani, contra basilicam sancti Petri ecclesia sancti Honophrii cum coenobio et fratribus santi Pauli primi heremitae visitur. Locum quidem pulcher et amoenus»251. Papa Leone X istituì il titolo cardinalizio diaconale di S. Onofrio (7 gennaio 1518). In Trastevere. La Chiesa di Sant’Onofrio sopra l’ameno colle del monte Gianicolo, verso il Vaticano, vicino alla porta di Santo Spirito in Sassia, in buonissima temperantia d’aria, salendo per vna bella strada nouamente aperta l’anno 1586, con limosine di persone caritatiue; è posta la Chiesa di Sant’Onofrio, ornata di figure scolpite, e dipinte d’Eccellentissimi Maestri […]. Et hora è stata mutata da Papa Sisto V. In titolo presbiterale, de Cardinale prete per sempre nell’auenire, come appar per motu proprio, sotto il vltimo di Aprile. 1587. Et in essa vi è vn’ braccio, & vna fibuba [: fibula] di vna gamba di Sant’Onofrio […]. Vi sono ancora altre indulgentie in essa Chiesa in diuersi tempi; alli 12. di Giugnio con gran diuotione, & concorso di popolo, si celebra la festa di esso S. Onofrio; il quale appresso tutti i fedeli, & specialmente appresso i Romani, è in grandissima veneratione, operando infiniti miracoli sopra febricitanti, & altri infermi252.
249 Testa
1989: 180-185, ill. 3, 8, 16, 22-23. 1664: I, 19. 251 Mariano da Firenze 1931: 92. 252 Solinori 1588: ff. 22v-23v, con silografia della chiesa, facciata e portico. 250 Alveri
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Questi brani sono attinti a un codice manoscritto che allora stava nel convento. Le reliquie erano il braccio e forse anche la fibula253. Sisto V dispone di aprire la strada che da porta Urbana, detta anche di S. Spirito in Saxia, collega questa chiesa alla pendice del Gianicolo e conduce a S. Onofrio per la rampa, la ripida salita omonima (1586). Sisto V eleva al rango di titolo cardinalizio presbiteriale (13 aprile 1587) le chiese di S. Maria della Pace e di S. Onofrio. Tra i cardinali titolari di questa sono Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII; Benedetto Odescalchi, futuro papa Innocenzo XI; Giovan Angelo Braschi, futuro papa Pio VI; Giuseppe G. Mezzofanti (1838), celebre poliglotta e anche persianista, sepolto (1849) nella chiesa, come il poeta Alessandro Guidi, il filosofo neoplatonico Francesco Patrizi, e altre persone illustri254. Mentre Flaminius Platus (Piatti, milanese) era il cardinale titolare (1596-1604), il sacerdote Ludovico Guiducci di Serrungarina (Fano), rettore del cenobio di S. Onofrio (1599), vedeva sovente papa Clemente VIII, che vi si recava volentieri: «atque ita se gessit, ut acceptissimus fuerit eidem Pontifici, qui frequens ad S. Onuphrium divagari consuevit»255 Clemente VIII completa la strada lastricata in anno giubilare (1600). Una coppia d’iscrizioni commemorative è murata nella parte alta dei due pilastri laterali che, in Piazza di S. Onofrio, numero civico 2, fiancheggiano il cancello e la prima gradinata per cui si sale alla chiesa256. Le epigrafi gemelle sono sezioni di una pietra cubica, ciascuna incastrata sullo spigolo di un pilastro: SIXTO V PONT. MAXIMO APERTA
ANNO DOMINI MDLXIII VIII
CLEMEN TE VIII PONT. MAXIMO STRATA
ET ANNO IVBILEI MDC PRIORVM ELEEMO | SYNIS
Una pianta prospettica di Roma che risale a un prototipo dipinto su tela (ante 1493) era adattata in conseguenza dei grandi lavori urbanistici disposti da Sisto V. Nel Trastevere si veggono come due città separate, cioè l’antica regione transti253 BNCR, ms. S. Onofrio 151 (fattizio), f. 160r-v; Sajanello 1758-1760: II, 444; Sicari 1998: 102. 254 Sajanello 1758-1760: II, 442-443, 471; ICER 5, 330, n° 923; Ferrara 1964: 227-228; Schiffmann 1985: 39, 105, 108; 278 Abb. 33. 255 Sajanello 1758-1760: I, 187; II, 452, 454. 256 Simoncini 2008: 383, 425.
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berina dei tempi classici restata sempre popolosa e fittamente abitata in tutto il Medio evo, e la città di Leone IV intorno alla basilica di S. Pietro: e fra i due recinti apparisce una aperta campagna con alcune chiese, in mezzo alle quali torreggia quella di Sant’Onofrio257.
Il suo bel chiostro emana una fresca aria quieta, la placidità. Elevato come un castello su una cima montana «le cloître de Saint-Onuphre: arx pacis, arx quietis» pare. Qui «le charmant Torquato Tasso était venu demander un abri contre les derniers assauts du monde»258. La memoria del poeta epico è legata a S. Onofrio sul Gianicolo, il suo rifugio estremo e sepolcro259. «Gio: Batta Raimondo filosofo, ó, mattematico» era (1592) un assiduo commensale di C. Aldobrandini260. Questo cardinale Cinzio accoglieva nella sua Accademia romana, in stanze vaticane da lui abitate, Torquato Tasso, Francesco Patrizi, G. B. Raimondi, direttore della Stamperia Orientale Medicea (1584), matematico, ebraista, persianista, arabista, turcologo, collezionista e interprete di relativi codici, il persianista G. B. Vecchietti, relatore sul regno marittimo di Ormus (Hormoz, 1587) e scopritore europeo della vetusta letteratura giudeo-persiana, suo fratello Gerolamo, entrambi viaggiatori, studiosi, collezionisti di codici orientali, e altri eruditi261. Lucrezia Gambacorti, madre di Porzia de’ Rossi, madre di Torquato Tasso, discendeva dalla famiglia del beato Pietro Gambacorta pisano, perciò il poeta infermo si ritirava nell’eremo «familiare» di S. Onofrio sul Gianicolo (1 aprile 1595). Cinzio Aldobrandini vi assiste il poeta moribondo, che lo nomina erede. Era prevista la coronazione del poeta sorrentino laureato in Campidoglio, ma egli spira (25 aprile 1595) nella cella del suo eremo262. Tasso nella Gerusalemme Liberata (1581), poema sacro in ottava rima, evoca sovente la Persia e i Persi. Hanno una rilevanza cospicua nella Gerusalemme Conquistata, la rielaborazione che il poeta epico dedica (Roma 1593) al suo amico mecenate, cardinale titolare di S. Giorgio al Velabro: «CINTHIO, che di virtù gli antichi essempi / Rinoui; e co’l tuo lume Italia illustri» (I 4). Ecco «Turchi, Persi, Antiochia; illustre suono; / Magnifiche parole; Horribil cose» (I 30). Risalta il tenore epico di tempo antico: «Né 257 Boncompagni
Ludovisi 1928: 97 e tav. II; de Rossi 1879: 104-111 e tav. in antiporta. 1881: 362-382. 259 ICER 5, 303 n° 844, 330 n° 924. 260 ASV, Carte Borghese, 55, cart. 1, Giacomo Sannesio al Card. Aldobrandino, Roma 19.XI e 22.XII.1592. 261 Caterbi 1858: 203-223; Prinzivalli 1895: 58-101, 129-138; Piemontese 2006: 272274; Trebeljahr 2007: 250-252, 272-273. 262 Silvestri 1941. 258 Montégut
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lor potriansi i Persi antichi, ò i Parti, / O pur Greci, e Molossi, in guerra opporre» (I 55). «Vinser ne l’Asia alfin gli Assiri, e i Persi» (I 89). «E si fermaro oue regnò già Serse / Quasi fortuna pur tornasse in giro / A l’alto Solio de l’antico Ciro» (I 110). «E di Persia, e di Menfi e di Babelle» (I 111). «Di le vittorie Ciro, & Alessandro» (I 114). «Quelli, onde mai grauaro Assiri, e Medi» (I 120). Goffredo «Già cinto il Perso / Antiochia di graue, & aspro assedio» cominciava (II 91). «Quinci il superno Re mostrar si uolle / Più sempre a’ Persi insesto, à noi secondo» (II 96). «Qual contra Persi in guerra, o contra Parti, / Roma o Bisantio non ha mosso vnqu’anco» (III 25). «Ch’i Siri, e i Persi, e i Babiloni estinse» (III 50). «Vinti Cilici, Medi, Assiri e Persi» (III 63). «Il Perso, e ’l Turco, e di Cassandro il figlio» (III 68). Tante genti «E le Perse, co’ Turchi unite in lega» (III 73). Ora «Al guerrier di Bitinia, al Siro, al Perso» (IV 79). Ora «À Sion, à l’Egitto, al Perso, al Mauro» (VI 66). Risuona la zona caspica con una eco virgiliana: «Veder le porte Caspie, e gli aspri monti / Del Caucaso, e del Nil l’ascose fonti» (VI 85). «Era venuto insin da l’onde Caspe / A questa guerra il giouinetto Erìlo» (VIII 117). «Vide le Caspie, e le Caucase porte» (X 4). «Nè pure il Caspio per sentiero ascoso / Trapassa» (XII 26). «Questi, e con Turchi, e con le genti Perse / Più guerre feo» (XVII 10). «Mauri, Egitij, Ethiopi e genti Perse» (XVII 46). L’indomito Ircano percosse Rifeo sotto il ciglio ma prima Rodoano «Trafisse d’Ariman l’homero manco» (XVIII 53): quasi costui fosse Ahriman, il lucifero persiano diabolico. «D’Arabi appresso piu veloci squadre / Vengono, e i Persi con piu graue incarco, / Seguon d’armi lucenti, e di leggiadre; / Cingendo il monte, ou’è men ampio il varco» (XIX 6). Poi la milizia vincente «Vrtò le genti d’India, urtò le Perse» per cui «Cadean su’l guado i Persi, e gl’Indi adusti» (XIX 19-20). Richiama la prima guerra per la Croce, la crociata autentica, quando fu «Eraclio, vincitor de’ fieri Persi» (XIX 115). «Né quel, che pose a’ Persi il duro giogo» era adesso destro (XX 106). «E concesse il sinistro al Rè de’ Persi / Che lascerà di sangue i lidi aspersi» (XXIV 22). Era «Il forte Re de’ Persi» e Raimondo colpisce il «Soldan d’Ormus» (XXIV 45). «Persi, Assiri, Etiopi & Indi appresso / Presi n’andar con vergognose fronti» (ottava terzultima)263. Una epigrafe fregia (1602) la porta del convento che conduce al chiostro: EREMITIS S. HIERON. CONGREC. B. PETRI GAMBACVRTAE DE PISIS | FAMILIA DE MADRVCCIIS F.F. ANNO DOMINI MDCII. Madruzzo è una famiglia devota e benefattrice della chiesa. Giovanni Ludovico Ma263 Tasso 1593: 2, 4, 7, 10, 12-13, 22, 26, 29-31, 42, 59, 61, 105-06, 129, 182, 199, 211, 213, 222, 236, 279, 281, 289-290; Piemontese 2009c: 101-105.
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druzzo, vescovo tridentino eletto cardinale da papa Gregorio XIII (1576), era un protettore della Congregazione eremitica264. Le lunette affrescate nelle pareti nel chiostro rettangolare presentano la storia di Onofrio in 27 scene. Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino avrebbe eseguito gli affreschi delle prime quattro lunette, sulla parete nord, e Vespasiano Strada i restanti. Secondo una teoria almeno gli affreschi nelle prime tre lunette sarebbero opera di Marzio Ganassini, pittore romano seguace della maniera di Cesari265. Ciascuna scena degli affreschi è dotata di una didascalia bilingue, latina e italiana a fronte, e ornata di stemmi araldici da identificare. L’insieme delle didascalie, malgrado alcune o brani di esse siano svanite, forma la storia che si legge come un codice illustrato, un libro aperto alla comprensione di tutti. Nella Bibliotheca Honuphriana del convento stava il codice membranaceo in scrittura rossa e nera di tipo gotico (XV secolo) che reca la Vita di Onofrio, incipit (f. 2r) «Natiuitas beatissimi honophrij heremitae atque abbatis. hoc modo fuisse narratur. Legitur enim quod cum rex persarum liberis careret. non paruo desiderio habendi assidue persistebat»; f. 3r «mox quaedam cerua albissima comparuit»; explicit (f. 5v) «beatus pannutius ad eum peruenit et ibi suis sanctibus manibus sepeliuit»266. L’iscrizione introduttiva sulla parete nord, a mano destra quando si entra nel chiostro, enuncia il titolo del ciclo pittorico, datato anno del Giubileo 1600 e presto restaurato (1682). La prima scena affrescata figura la corte di Persia (tav. 13a). Il re che ha la corona aurea prega in ginocchio davanti all’altare dell’aula palaziale, dove sta la cappella regia. Assistono i gruppi di sacerdoti, militi, cortigiani, due dei quali vestono il turbante. In proscenio un giovane indossa la veste europea e il cappello piumato, quasi fosse un osservatore, testimone o ambasciatore romano. Inoltre spiccano nello scenario il fuoco rosso nell’ordalia (tav. 13b), che era anche di usanza persiana antica (il poema di Ferdousí narra la famosa ordalia del fuoco circa il principe accusato ma innocente); il pane offerto al Bambino (come per ricordo di omaggio e scambio rituale di doni nella storia dei Tre Magi); la bianca cerva nutrice, la palma vitale in deserto, l’angelo compagno in conforto, i leoni custodi nella sepoltura.
264 ICER
5, 313, n° 874; Sajanello 1758-1760: II, 443, 446; Caterbi 1858: 80-85, 90-105. 1973: 53; Piemontese 2009a: 55-61, fig. 13-20; 2009c: 102-105. 266 BNCR, ms. S. Onofrio 95 (già 25.Z), ff. originali 2-6. 265 Röttgen
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S.Honvphrii.Regis.Persarvm.Filii Qvi.annos.sexaginta.occvltvs.mvndo solvs.in.vasta.Ægypti.solitvdine.latvit Vita.mors.miracvla Pictvris.hisce.expressa anno.ivbilei.mdc restavr: .1682 [1] REX PERSARVM PRO SVSCIPIENDA PROLE | CVIVS DESIDERIO ARDET PRECES AD DEVM | FVNDIT // IL RE DI PERSIA DESIDEROSO D’HAVERE | FIGLIVOLI PREGA DIO CHE GLIENE DIA [2] DIABOLVS REGI SVGGERIT NASCITVRVM FILIVM | NON GENVINVM SED ADVLTERINVM FORE | EIDEMQ. SVADET VT RECENS NATVM | IN IGNEM INHCIAT A QVO SI ILLAESVS EVASERIT | PROPRIVM ACCIPIAT // IL DEMONIO SVGGERISCE AL RE CHE IL PVTTO CHE | NASCERÀ NÕ SIA SVO MA GENERATO D’ADVLTERIO | E CHE NE FACCIA L’ESPERIENZA METTENDOLO | NEL FVOCO SVBITO NATO CHE SE RESTERÀ | ILLESO DAL FVOCO SARÀ SVO VERO FIGLIOLO [3] REX IVBET INFANTVLVM IN IGNEM MITTI | QVO PAENITVS INCOMBVSTO ANGELVS REGEM INCREPAT | EIQ. PRAECIPIT VT PARVVLVM BAPTISMO ABLVI FACIAT | AC HONVPHRIVM NOMINE VOCET // IL RE COMANDA CHE IL PVTTO SIA POSTO | NEL FVOCO DAL QVALE EGLI RESTA INTATTO L’ | ANGELO RIPRENDE IL RE E LI COMÃDA CHE FACCIA | BATTEZZARE IL PVTTO E LO CHIAMI PER NOME | HONOFRIO [4] ANGELI IVSSES PARET REX ET FILIVM | BAPTISMATE DELIBVTVM HONVPHRIVM | NOMINAT // IL RE OBEDISCE ALL’ANGELO FA BATTEZZARE | IL FIGLIOLO E LO CHIAMA HONOFRIO (parete ovest) [5] FILIVM … | LEVATV … | MONAST … | AB ABB … | LIBEN … // … TE | … I | … ACHI | … TTVR [: il bimbo è affidato all’abate del monastero] [6] CERVA COLORE ALBA PER TRES ANNOS | HONVPHRIVM LACTE PASCIT // VNA CERVA BIANCA PER TRE ANNI NVTRISCE HONOFRIO COL SVO LATTE [7] HONVPHRIVS PANEM CHRISTO PORRIGENS DICIT | AMBO PARVVLI SVMVS EGO COMEDO SED TV | NON COMEDE QVAESO TVNC CHRISTVS PANEM | ACCIPIT // HONOFRIO PORGENDO IL PANE A CHRISTO DICE AMBEDOE | SIAMO PICCOLI IO MANGIO MANGIA TI PREGO | ANCOR TV ALL HORA CHRISTO PRESE IL PANE [8] PANEM A CHRISTO PETENS SANCTVS | ADEO MAGNVM INSPECTANTIBVS | MONACHIS AB EO ACCIPIT VT VIX | IPSVM PORTARE QVAEAT // S. HONOFRIO DOMANDA PANE DA CHRISTO | IL QVALE GLIENE DÀ VNO TANTO GRANDE | CHE A PENA EGLI LO POTEVA PORTARE | COME BEN VEDONO I MONACI [9] HONVPHRIVS ACCEPTVM A CHRISTO PANEM | AD ABBATEM
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DEFERT ABBAS DICIT TE | DEVM LAVDAMVS SANCTVS RESPONDET | TE DOMINVM ET.C. // S. HONOFRIO PORTA IL PANE HAVTO DA CHRISTO | ALL’ABBATE L’ABBATE DICE TE DEVM LAVDAMVS SA: | HONOFRIO RESPONDE TE DOMINVM CONFITEMVR [10] ABBAS VISO MIRACVLO ANGELICVM SPIRITVM | IN HONVPHRIO LATERE PVTANS EVMPTEM | MONASTERIO PRAEFICERE OPTAT SED | ÆTATE PROHIBETVR // L’ABBATE VISTO IL MIRACOLO GIUDICÃDO | CHE IN S.TO | HONOFRIO FOSSE NASCOSTO | VN SPIRITO ANGELICO VOLEVA FARLO | SVPERIORE DEL MONASTERIO MA DALL’ | ETÀ PVERILE DEL S.TO VIEN PROHIBITO [11] HONVPHRIVS DE VITA SOLITARIA SERMONE | INSTITVTO EANDEM AMPLECTIO DECIDIT // S. HONOFRIO AMMAESTRATO DELLA | VITA SOLITARIA QVELLA SI RISOLVE | ABBRACCIARE [12] SOLITVDINIS ITER CVM HABERET HONVPHRIVS VIDENS | SPLENDOREM | IN MODVM COLVMNAE IGNIS PAVET A | VOCE EXCITATVR QVAE DICIT EGO SVM ANGELVS | DEI NOLI TIMERE // S. HONOFRIO ANDANDO PER IL DESERTO VEDENDO VN | SPLENDORE IN MODO DI COLONNA DI FVOCO SI SBIGOTI | SCE E CONFORTATO DA VNA VOCE CHE DICE IO SONO | L’ANGELO D’IDDIO NON TEMERE [13] … … // S. [H]ONOFRIO GIVNTO ALLA SPELONCA DI HERMEO |… A INTENDERE INCONTRA HERMEO DAVANTI ALLA SVA CAPANNA (parete sud) [14] HERMEVS HONVPHRIVM IN … | VBI SPELVNCAM PALMAE ET FO |… SANCT … // … … [15] HERMEVS QVI HONVPHRIVM DE MORE | PER SINGVLOS ANNOS INVISIT MORITVR | AC PROPE CELLVLAM SVAM AB EODEM | SEPELITVR // HERMEO IL QVALE VISITA S. HONOFRIO | COME SOLEVA OGNI ANNO MORE E | DA ESSO È SEPPELLITO VICINO ALLA | SVA CELLA [16] HONVPHRIVS NVDVS OMNINO | REMANENS TOTVS PILIS TEGITVR | ET AB ANGELO PER TRIGINTA | ANNOS PANE REFICITVR // IL SANTO RESTA IGNVDO DIVENTA | TVTTO PELOSO E PER TRENT’ANNI | RICEVE PANE DALL’ANGELO [17] ANNOS TRIGINTA PALMA | HONVPHRIO CIBVM PRAEBET // LA PALMA DA IL CIBO A S. HONOFRIO | PER TRENT’ANNI [18] SINGVLIS DIEBVS DOMINICIS COMMVNIONEM | SAGRAM DE MANV ANGELI SVMIT EOQ. DIE | DELICVS CAELESTIBVS FRVITVR // S. HONOFRIO OGNI DOMENICA PIGLIA | LA SACRA COMVNIONE PER MANO DELL’ | ANGELO ET IN QVEL GIORNO LE | DELITIE CELESTI (parete est) [19] PAPHNVTIVS HONVPHRI … PA… F… | PRORSVS CONTECTI TE… S … ERPETV… ASPECT… | QVEM MONSTRVM … PVT… S… TERO … | VERTIT SER… A … RO … M PROPE // PAFNVTIO VEDENDO S. HONOFRIO TVTTO PELOSO | LO STIMA MOSTRO O FIERA PERO TEME FVGGE | SI ASCOND… | … EHV… DIO LO CHIAMA FI… | SEDVRE…
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[20] S. HONVPHRIVS IN TVGVRIVM SVVM PAPHNVTIVM | DVCIT ET POST COMMVNES AD DEVM PRECES | PAPHNVTIVS IN IPSIVS CELLVLAE MEDIO PANEM | ET VAS QVAE IACEI VIDET // S. HONOFRIO CONDVCE NELLA SVA CELLA PAFNVTIO | QVALE DEPOI FATTA ORATIONE VEDE ESSER POSTO | IN MEZZO DELLA CELLA VN PANE ED VN VASO DE | ACQVA [21] PRO SE ET PRO IIS QVI IN SVI MEMORIAM | ALIQVID VEL FECERIAT VEL DEO OBTVLERINT | HONVPHRIO PRECANTE HAEC VOX AVRIBVS | EIVS IN SONVIT EXAVDITA EST ORATIO TVA // ORANDO S. HONOPRIO PER QVELLI CHE IN MEMORIA | SVA FARANNO OVERO OFFERISCONO A DIO | QVALCHE COSA SENTE VNA VOCE CHE DICE LA | TVA ORATIONE È ESSAVDITA [22] DVM ORARET VIR DEI PAPHNVTIO PRAESENTE | CADENS IN TERRAM MORITVR AER TVRBATVR | TONITRVIS ET FVLGORIBVS MICAT CAELI APERIVNTVR | ANGELI DECENDVNT ET FVNERA PERSOLVVNT CANTVS | SVAVISSIMI AVDIVNTVR // S. HONOFRIO ALLA PRESENZIA DI PAFNVTIO | ORANDO MVORE SI TVRBA L’AERE SI VEDONO | FOLGORII DAL CIELO APERTO L’ANGELI DESCENDONO | A FAR L’ESSEQVIE E SI SENTONO CANTI SVAVISSIMI [23] SANCTI HONVPHRII CADAVER CVM CEREIS ACCENSIS | AC TVRIBVS ANGELIS CIRCVMSTANTIBVS VENERATVR | VOX CLAMAT EGREDERE ANIMA PACIFICA | VENI AD ME DILECTA MEA // STANDO LI ANGELI INTORNO AL CORPO BENE | DETTO DI S. HONOFRIO CON CERI ACCESI | CANTI E TVRIBOLI VNA VOCE DICE VIENI | AD ME DILETTA MIA [24] PAPHNVTIVS VIDET SANCTI HONVPHRII | ANIMAM SVB SPECIE COLVMBAE CANDIDA | EXERCITIBVS PSALLENTIM ANGELORVM | STIPATAM IN CHRISTO IN CAELVM ASSVMI // PAFNVTIO VEDE L’ANIMA DI S. HONOFRIO | IN FORMA DI BIANCA COLOMBA ESSERE | PORTATA DALLI ANGELI E DA CHRISTO IN CIELO | RICEVTA [25] CONTRISTATVR PAPHNVTIVS ET QVOMODO | TERRAM FODIAT ET CADAVER SANCTI VIRI HVMET | ANIMO REVOLVIT QVANDO ECCE LEONES DVO EX | INTERIORI EREMI PARTE QVASI PLANGENTES | DEFVNCTI PEDES ACCVMBVNT EOSQVE LINGVNT // PAFNVTIO SI AFFLIGGE NON SAPENDO COME | SOTTERRAR IL CORPO DI S. HONOFRIO ET ECCO CHE | VEDE DOI LEONI VENIRE DALLE VLTIME PARTI DEL | DESERTO | QVASI PIANGENDO SI INGINOCCHIANO | ALLI PIEDI DEL S.TO E QVELLI LECCONO [26] PAPHNVTIVS LOCVM SEPVLCHRI DESTINAT | QVEM LEONES VNGVIBVS EFFONDIVNT // PAFNVTIO DISEGNA IL LVOGO DELLA | SEPOLTVRA LI LEONI CON LE ZAMPE | LA CAVANO [27] SANCTI VIRI CORPORE IN FOSSAM DEPOSITO | ET CONGESTA HVMO OBVOLVTO CELLA RVIT, | PALMA EVELLITVR, FONS TERRA REPLETVR. | PAPHNVTIVS AB ANGELO CONFIRMATVS IN EGIPTVM | REVERTITVR // DOPOCHE IL CORPO DEL SÃTO È RIPOSTO IN TERRA
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ET | RICOPERTO ROVINA LA CELLA SI SVELLA LA PALMA | IL FONTE SI RIEMPIE DI TERRA ET PAFNVTIO CON | FORTATO ET ASICVRATO DALL’ANGELO SE NE | TORNA IN EGITTO.
Giovanni Battista Vecchietti potrebbe essere il giovane europeo figurato con il cappello piumato nella prima scena affrescata. La conversione del Re di Persia e del suo popolo era da sempre un vivo auspicio dei papi di Roma. Clemente VIII Aldobrandini attendeva come un felice evento l’arrivo dell’ambasciata spedita da ‘Abbâs I re safavide di Persia (1599) e proveniente da Praga sul percorso267. Erano allestite alcune copie del Vangelo di Matteo in versione persiana, prezioso codice datato 1312, il primo libro manoscritto superstite del genere, verificato in Biblioteca Vaticana da G. B. Vecchietti (1598), già inviato di papa Gregorio XIII e Sisto V in Persia268. Terminato il Giubileo, Clemente VIII invia in ambasciata al re ‘Abbâs I i portoghesi Francisco da Costa e Diego de Miranda. Il cardinale Cinzio Aldobrandini, nepote del papa e segretario di Stato, consegna le istruzioni ai due ambasciatori (28 febbraio 1601). Auspica di «stabilire una ferma congiuntione et amicizia col Re di Persia», paese «potente et nobile», popolato anche di cristiani da tempi antichi: «onde si celebrano sino al dì d’oggi nella chiesa romana cattolica le feste di non pochi martiri persiani»269. L’ambasciata di re ‘Abbâs I entra in gran pompa a Roma (5 aprile 1601) sotto la guida contrastata di Hoseyn ‘Ali Beg Bayat turkmeno e Anthony Sherley inglese, fratello di Robert Sherley, poi a sua volta ambasciatore dello stesso re a papa Paolo V270. Mentre l’ambasciata soggiornava in città, Clemente VIII cammina dal palazzo Vaticano a Sant’Onofrio, che egli amava frequentare, per trascorrervi tutta una domenica in ritiro spirituale. Clemente Otauo uolle godere la serenità di questo Colle e più uolte e specialmente sotto li 3: Giugno giorno di Domenica nell’Anno 1601: uolle portarsi al riferito Conuento su questo Monte Giannicolo, doue’ la vista, che iui si gode di tutta Roma alla scoperta con l’altra prospettiua, oue l’occhio può con somma uaghezza dilatarsi.
Il papa «ritornò a piedi uerso le ore 24: contentissimo al Palazzo Vaticano»271. Tre componenti l’ambasciata, Šâh-Qoli Hoseyn segretario, Rezâ e ‘Ali, 267 Alonso
1989. Vat. pers. 4; Piemontese 2006a: 276. 269 Alonso 1996: 82; Piemontese 2005a: 360-361. 270 Vedi anche II.3, III.9. 271 BNCR, ms. S. Onofrio 148, f. 39r-v. 268 BAV,
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defezionano per immigrare in Roma e si convertono. Clemente VIII battezza nella basilica di S. Giovanni in Laterano i tre ex diplomatici (29 agosto 1601), che prendono i nomi di Clemente, Pietro e Paolo, e con la cresima i cognomi dei rispettivi cardinali padrini, Arnaud d’Ossat, Paolo Emilio Zacchia e Silvio Antoniano. Prima di entrare nella basilica Clemente VIII visitava la Scala Santa e il santuario di S. Lorenzo, sito nel Sancta Sanctorum, dove erano custodite anche le reliquie di s. Anastasio Persiano. Questo papa istituisce la missione dei Carmelitani Scalzi in Persia272. Intanto s. Filippo Neri si recava con i discepoli sul Gianicolo per compiere esercizi spirituali a S. Onofrio e nel vicino anfiteatro, la scalinata semianulare in mattoni detta la Quercia del Tasso. La Congregazione dei Padri Filippini e Oratoriani, la quale risiedeva nella Chiesa Nuova alla Vallicella, divenne proprietaria dell’anfiteatro (1590), chiamato l’anfiteatro di S. Onofrio, dove si eseguivano esercizi spirituali e dal secolo seguente anche oratorii musicali all’aria aperta273. Lazaro Massari romano vedeva il chiostro istoriato di S. Onofrio e dedica al pittore e architetto Pietro da Cortona (1659) il poema Vita, e morte di S. Onofrio, 15 canti in ottave, ciascuno illustrato da una silografia, e l’icona del santo in anteporta. Incipit: «E tu ONOFRIO soccorri, e dammi aita, / Mentr’io narro di tè la santa vita». Intervista dell’anacoreta a Panunzio: «Circa la stirpe mia è molto regia / E figliolo son’io del Rè Persiano» (V 4). «Onofrio mi chiamar qual per destino, / Che già predisse l’Angelo medesmo; Nome mandato à me dal Ciel Superno, / A confusion del falso Rè d’Auerno» (V 12). Il re di Persia porta in Tebaide al monastero «Retilego» Onofrio, insieme a una cerva albissima che lo allatta. «Subito fù auuisato il lor Abbate / Si come il Rè Persian era venuto / Allhora venne giù con ogni frate / Cô quell’ossequio, ch’era à vn Rè douuto» (V 16). «Di tanta santità che Onofrio ottenne, / Se ne allegra in terra ogni elemento / E à tal deuoto Santo ogn’vn s’inchina, / Stella tra Santi in Cielo matutina» (XV, ottava 26 e ultima)274. Horatio Raoli ricompose la Vita di Sant’Honofrio Heremita Figlio del Rè di Persia, 18 canti in ottava rima. Avverte: Eccovi finalmente avanti agli occhi gentile Lettore le mie rozze fatiche di Poesia che contengono la Vita mirabile del Regio Persiano Heremita Honofrio il Santo, ritrovato colla sua gran Peregrinatione in solitarij deserti per volontà del Cielo dal Ven. Abbate Panuntio, che per mia devotione hò composte con Patrio linguaggio. 272 Piemontese
2006a: 277-288. 1951; 1969. 274 Massari 1659: 1, 27, 30-31, 90; Piemontese 2009c: 112-113. 273 Gasparri
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Il libro reca l’immagine del santo sul frontespizio, i sonetti encomiastici di quattro amici, del quinto un epigramma e una ode in latino, e un autorale «Enigma sopra il nome di Sant’Honofrio». Raoli narra la storia analoga a quella istoriata nel chiostro dell’eremo gianicolense. Intervista di Honofrio a Panuntio (canto VI): «Furno Regnanti nella Persia bella, / Li di me Genitor, Proaui, & Aui». Allora «Questi Rè Persiani fiori, e gigli / Del Regno fidi serui, e di te ancora, / Vorriano morir non senza figli». Monito di angelo al padre di Honofrio: Rè Persiano, di Città e Castelli, / Di Ricchezze infinite dominante; / Di molti lochi, e di Palazzi belli, / E di questo bel Regno tù regnante / Da vno delli perfidi ribelli / Ti facesti ingannar, vomo galante; / Non ti sei vergognato dar fede / Al Demone crudel, senza mercede!
Apoteosi di Honofrio: «Prencipe Persiano, e testa Regia, / Ben sia venuto in queste nostre parti; / Per te voglio che qui se ne festeggia». Acrostico: opera composta nel dicembre 1698. Explicit: «Lettore diletto questa fù la vita / D’Honofrio santo, Rè del Persiano»275. Sul Gianicolo, dove stanno la chiesa e l’eremo s. Onofrio, salivano anche illustri visitatori del mausoleo di Tasso. Goethe esce infastidito dalla Cappella Sistina, dove si celebrava una funzione, e per respirare all’aria aperta raggiunge in lunga passeggiata il santuario sul Gianicolo. Italienische Reise, «Rom, dem 16. Februar» (1787): Um 2. Februar begaben wir in die Sixtinische Kapelle zur Funktion […]. Darauf suchten wir das Freie und kamen nach einem grosse Spaziergange auf San Onofrio, wo Tasso in einem Winkel begraben liegt.
Giacomo Leopardi comunica con la lettera al caro fratello (20 febbraio 1823) la propria emozione: Venerdí 15 febbraio 1823 fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e l’unico piacere che ho provato in Roma. La strada per andarvi è lunga, e non si va a quel luogo se non per vedere questo sepolcro; ma non si potrebbe anche venire dall’America per gustare il piacere delle lagrime lo spazio di due minuti? […] Vicino al sepolcro del Tasso è quello del poeta Guidi, che volle giacere prope magnos Torquati cineres, come dice l’iscrizione […]. Anche la strada che conduce a quel luogo prepara lo spirito alle impressioni del sentimento. È tutta costeggiata di case destinate alle manifatture, e risuona dello strepito de’ telai e d’altri tali istrumenti, e del canto delle donne e degli operai occupati al lavoro. 275 Raoli
1705: [4r], [8v], 49-50, 58, 68, 188.
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Chateaubriand, in Mémoires d’Outre-Tombe, comunica a Madame Récamier (Rome, 14 mai 1827) la propria aspirazione: «Si j’ai le bonheur de finir mes jours ici, je me suis arrangé pour avoir à Saint-Onuphre un réduit joignant la chambre où le Tasse expira». Stendhal cominciava le sue Promenades dans Rome a S. Onofrio (9 agosto 1827): Ajourdhui, pour voir la ville de Rome et le tombeau de Tasse, nous sommes montés à Saint-Onuphre: vue magnifique; de là nous avons aperçu de l’autre côté de Rome le palais de Monte Cavallo, nous y sommes allés.
Il viaggiatore ritorna sul posto (2 ottobre 1828): Ce matin, de bonne heure, avant la chaleur, nous somme venus au couvent de Saint-Onuphre (sur le mont Janicule, près de Saint-Pierre). Lorsque il se sentit près de mourir, le Tasse se fit transporter ici; il eut raison: c’est sans doute un des plus beaux lieux du monde pour mourir. La ville est si étendue et si belle que l’on y a de Rome […] La vue que l’on a de ce couvent est sans doute l’une des plus belles du monde276.
David Roberts pittore scozzese dipinse (c. 1854) la tela (cm 213 × 427) che mostra la veduta panoramica di Roma dalla terrazza del convento di S. Onofrio: il belvedere della città. La tela si conserva in Edinburgh, National Gallery of Scotland277. S. Onofrio e il moderno Ospedale pediatrico del Bambin Gesù contiguo diventano zona vaticana extraterritoriale in seguito ai Patti Lateranensi (1929). Papa Pio XI con il breve Inter Instituta scioglie l’Ordine Gerolamino, esausto, e ne sopprime la casa generalizia di S. Onofrio (12 gennaio 1933). Gli inventari disposti per la Visita Apostolica a S. Onofrio (6 aprile 1932) registrano la reliquia maggiore n° «4 Braccio di S. Onofrio»278. Inoltre: 11 Reliquiario grande a forma di tempietto tutto argento e dorato per il braccio di Sant’Onofrio. 28 Stendardino prezioso per arte ed oro rappresentante Sant’Onofrio con cerva. 29 Stendardini con S. Onofrio dipinto n. 2279.
In stima finanziaria (1935) i 27 affreschi nel chiostro di S. Onofrio, i pri-
276 Piemontese
2009a: 62-63. 2008: 166-169. 278 «Elenco delle Reliquie Venerate nella Chiesa di S. Onofrio al Gianicolo», dattiloscritto (ASV, Fondo Gerolamini (b. Pietro da Pisa), 65). 279 «Inventario di oggetti nobili» (ASV, Fondo Gerolamini (b. Pietro da Pisa), 65). 277 Curzi
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mi quattro attribuiti a Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino e i restanti a Vespasiano Strada, erano valutati rispettivamente 1200 e 4050 lire280. Pio XII con motu proprio (15 agosto 1945) assegnò la chiesa e il convento all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, che qui ha la sede accanto al Museo Tassiano281. Questo Ordine provvide subito a restaurare il chiostro (1945-1948) nel laborioso periodo postbellico282. Sotto l’iscrizione dipinta (1600) che introduce il ciclo degli affreschi nelle lunette del chiostro è murata la lapide commemorativa disposta da Pio XII (1947): HAS HEDES RELIGIONI INGENIVSQVE ARTIBVS SACRAS | QVA EXTREMOS TORQVATI TASSI RECREARVNT DIES | PIVS XII PONT MAX | EQVESTRI ORDINIS A SEPVLCRO HIEROSOL | CONCREDIDIT | IDEMQVE ORDO AERE PROPRIO RESTAVRAVIT | A MDCCCCXXXXVII.
Tre prestigiose lapidi commemorative ornano il muro esterno della chiesa prospiciente il panorama. La prima lapide (1948) è in pietra rosata: SI J’AI LE BONHEUR DE FINIR MES JOURS ICI, | JE ME SUIS ARRANGE POUR AVOIR A SAINT-ONUPHRE UN | REDUIT JOIGNANT LA CHAMBRE OU LE TASSE EXPIRA … | DANS UN DES PLUS BEAUX SITES DE LA TERRE, PARMI | LES ORANGERS ET LES CHENES-VERTS, ROME ENTIERE SOUS | MEX YEUX, CHAQUE MATIN. EN ME METTANT A L’OUVRAGE, | ENTRE LE LIT DE MORT ET LA TOMBE DU POETE, J’INVOQUERAI | LE GENIE DE LA GLOIRE ET DU MALHEUR | | CHATEAUBRIAND (MEMOIRES D’OUTRETOMBE, TOME V) | | CETTE PLAQUE A ETE APPOSEE LE 20 DECEMBRE 1948 | POUR LE CENTENAIRE DE LA MORT DE CHATEAUBRIAND.
La seconda lapide (2003) è in caratteri neri: DEM GRÖSSTEN DEUTSCHEN DICHTER | JOHANN WOLFGANG VON GOETHE | GEWIDMET. | DER, SO DIE »ITALIENISCHE REISE«, | SANT’ONOFRIO AM 2. FEBRUAR 1787 BESUCHT | UND DAS ERGREIFENDE SCHAUSPIEL | »TORQUATO TASSO« | GESCHRIEBEN HAT. | | 2003.
La terza lapide (7 febbraio 2008) è in lettere rubricate: FRANCISCVS PATRICIVS | SERENISSIMAE REIPVBICAE VENETIARVM | INSIGNIS PHILOSOPHVS ET LITTERARVM CVLTOR | NATVS DIE XXV APRILIS A.D. MDXXIX IN INSVLA CREXI | HODIE CRES IN CROATIA | QVI 280 «Inventario
Ufficio Tecnico di Finanza Roma 13.XI.1935», dattiloscritto, elenco E (ASV, Fondo Gerolamini (b. Pietro da Pisa), 65). 281 Ferrara 1964: 210-212, 233. 282 Gerlini 1949.
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ROMAE OBIIT DIE VII. FEBRVARII A.D. MDXCVII | HIC RESVRRECTIONEM EXPECTAT | | ACADEMIA SCIENTIARVM ET ARTIVM CROATICA | HVNC LAPIDEM IN HONOREM EIVS | POSVIT DIE VII. FEBRVARII A.D. MMVIII.
Adesso i Frati Francescani dell’Atonement, comunità fondata in Graymoor (comune di Garrison, New York, 1898), officiano la chiesa e abitano la parte moderna del convento. L’antica scalinata a mattoni del Gianicolo, che forma il vicino anfiteatro detto alla Quercia del Tasso, si chiamava Anfiteatro di S. Onofrio. Tra il chiostro della chiesa e la sua area esterna si svolse con la regia di Salvo Bitonti una sacra rappresentazione, la Storia di Sant’Onofrio, basata sul testo di Castellano Castellani (c. 1490) e promossa dal romano Centro Studi sul Teatro Medioevale e Rinascimentale durante il XVI Convegno Internazionale «Esperienze dello Spettacolo Religioso», Roma, Pontificia Università Urbaniana (17-20 giugno 1992), sita nelle vicinanze gianicolensi283. Onofrio, anacoreta di carattere espansivo, segna la toponomastica urbana adiacente, che indicano ben quattro civiche lapidi viarie: il Vicolo di S. Onofrio, la Via di S. Onofrio, la Salita di S. Onofrio e la Piazza di S. Onofrio. Egli segna anche la topografia di Monte Mario, e oltre. Sant’Onofrio: «questo nome indicava impropriamente tutta la zona dalla Camilluccia a Valle dell’Inferno, fino alle ultime abitazioni della Città»284. Pietro Millino eresse su Monte Mario una chiesetta della S. Croce (c. 1470), di fronte alla quale si costruisce una cappella (1638): «Et hoggi dirimpetto di questo luogo i Padri di S. Honofrio fabricano sù l’alto dentro vn luogo del Sig. Gio. Vittorio de Rossi in onore del culto diuino [una] deuota Cappella»285. Bartolomeo Neri sacerdote romano fonda su Monte Mario la chiesa di S. Francesco (1660) che però tutti chiamano sempre Sant’Onofrio in Campagna. La chiesa parrocchiale, dotata del convento, era affidata (1665) all’Ordine Eremitano di S. Girolamo, Congregazione del b. Pietro da Pisa residente sul Gianicolo. La chiesa di S. Onofrio in Campagna sorge sul luogo dove, secondo una tradizione, Costantino vide il segno solcante il cielo dell’Urbs286. Il segno appariva a Costantino nel cielo sopra ponte Milvio, alla vigilia della battaglia vinta contro Massenzio a Saxa Rubra (28 ottobre 312). Era «un luminoso trofeo di Croce», il monogramma cristologico assieme a τούτῳ νίκα, motto greco, reso hoc vin[ce] in un coevo graffito vaticano287. 283 Di
Bello 1993. Cute 1961. 285 Totti 1638: 30. 286 Tomassetti 1976: 25-26 e foto. 287 Guarducci 1974. 284 La
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Per la topografia storica, i tre monti Gianicolo, Vaticano e Mario formano una piccola catena geologica. La triade montana ha sedimenti marini, sabbie auree e conchiglie fossili. Leonardo da Vinci (Codex Atlanticus, f. 92v, c) osservava «li nicchi a Monte Mari», tali fossili in situ. Dalla cima di monte Mario si scorgeva il mare all’orizzonte verso Ostia. Da un pino vetusto s’intravedeva la cupola della basilica vaticana di S. Pietro. Ciò osservavano Goethe, Chateaubriand e altri viaggiatori. Hans Christian Andersen disegnava (26 gennaio 1834) questa veduta, intitolandola in danese Peters kappellu fra Monte Mario288. Una pagina di cronaca nera era scritta (30 aprile 1849) in ultimo tempo di Repubblica romana rivoluzionaria, che aveva la roccaforte garibaldina sul Gianicolo. Pier Vincenzo Sghirla, genovese Domenicano, curato della Madonna del Rosario a Monte Mario, traversava a cavallo alcune vigne, ma fu fermato e perquisito da finanzieri che scoprirono anche una lettera di suo pugno al parroco di S. Onofrio, colla quale, riassumendo alcuni concetti già presi, gli raccomandava di renderlo informato degli avvenimenti che ne sarebbero seguiti. Allora quei finanzieri lo condussero verso la Camilluccia, e, dell’ordine del loro ufficiale, postolo in ginocchio, lo fucilarono, e poscia gettarono il suo cadavere presso una vigna. In seguito di tale lettera, fu proceduto nella notte, all’arresto del parroco e vice-parroco di S. Onofrio, di cui non s’ebbe più notizia. Furono anch’essi fucilati289.
S. Onofrio in Campagna era (XIX secolo) un sobborgo popoloso di Monte Mario290. Il grande Ospedale di Sant’Onofrio in Campagna (17801876), adesso dipendente dalla Provincia di Roma, era provvisto di un considerevole archivio. La documentazione moderna (1913-1983) si conserva presso l’Ospedale psichiatrico provinciale di S. Maria della Pietà. Il Sistema informatico unificato per le Sovrintendenze Archivistiche (SIUSA) cura tale archivio. La «chiesa parrocchiale di S. Onofrio», restaurata (1910), aveva circa 3000 parrocchiani, secondo l’articolista di Monte Mario: il suo nome e la sua storia291. Adesso la chiesa antica di S. Francesco su Monte Mario, cui si affianca la nuova eretta durante il pontificato di Giovanni Paolo II, è sita in piazza Monte Gaudio. Il vicino Parco di Sant’Onofrio sta presso la caserma Forte Trionfale, in viale Trionfale, numero civico 7400. L’Associa288 Frapiselli
1980: 42-43, 49-50, e tav. XII. 1884: 78. 290 Bernardo Stemple, Cronaca del Convento di S. Francesco d’Assisi a Monte Mario […] Secolo Decimonono (ms. conservato a S. Francesco a Monte Mario, 1909), ff. 27r-28v, fotografie 12 (ASV, Fondo Gerolamini (b. Pietro da Pisa), 124). 291 L’Osservatore Romano 28.II.1910, n° 58: 2. 289 Roncalli
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zione Sant’Onofrio onlus per il Parco del Pineto si occupa di questo, che si estende in una vallata boscosa. Sull’adiacente via Luigi Morandi sta il Centro Anziani S. Onofrio (Municipio XIX). Dove sorge la chiesa antica di S. Francesco, un «Ipogeo detto di S. Onofrio in Campagna», sito al IV miglio della via Trionfale, esisteva fino al 1938 circa292. Forse un oratorio o cenobio di S. Onofrio spuntava su Monte Mario in una epoca antica, precedente al fiorire del suo culto nella zona ariosa del Gianicolo. Per riguardare alcuni fili tipici della trama esposta in questo capitolo II, serve una spigolatura breve in campo di menologi, diari liturgici e guide sacre per le visite lungo le stazioni urbane. Il materiale librario di questo genere rende una buona idea circa l’evoluzione storica del culto romano dei santi persiani in varie epoche e reca anche dati particolari che non sembrano trascurabili. John Capgrave, Ye Solace of Pilgrimes (c. 1450), in scrittura anglolatina medievale, tra «arches in Rome» (cap. vi) considera quello parthico di Settimio Severo: The arche that was gilt fast by seynt celsis rered in worchip of alisaundr emperour not grete alisaundr kyng of macedony but of on alisaundr emperour of rome […]. And sone after he was cristen he went in to perse and here had a grete conqueste a geyn the king of perse called xerxes therfor reised the romanes vn to him this memorial.
Rispetto a Quare factum sit Pantheon nella guida Mirabilia Urbis Romae, Capgrave reca un interessante textus amplior «Marcus Agrippa & ymage in the Capitole» (cap. xv). Allora ymages that stood with her˜ belles a boute her˜ nekkis in the capitole ronge his belle and turned his face a wey fro that coost that he be held be fer˜and this same ymage was named and markid on to the kyngdom of perse.
Agrippa «with grete strength went in to perse many schippis had he for he led with u legiones […] thus compth he hom wictor˜ and he receyued with grete worchip». Poi (cap. xxvii) «stacion at seint mark»: In this cherch ly the holy martires abdon & senen whech were slayn for cristis loue at rome undir the time of decius. He fond hem in a cyte whech thei clepe corbula […]. In constanines time the noble emperour these same martyres appered on to a cristen man thei told him wer˜ he should fynde hem and so wer˜ thei translate in to a cymyteri cleped ponciane. 292 Fiocchi
Nicolai 1988: 73-76.
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Reca un transunto dell’Actus di Abdon & Sennen. Mario, Marta e figli (cap. xxxviiii) «of the stacion at a cherch cleped quatuor coronatorum», incipit: In this cherch lith the body of on marius that cam fro perse and took his martyrdam in rome. Ther˜ lith his wif eke whech hîte martha and his too soones on hith audifax an othir abacuk alle iii martires eke. These foure corona toures were grauouris of imagery and entayle most speciali in stoon.
Seguono i nomi controversi dei Quattro Martiri patroni della chiesa, che papa Melchiades (311-314) dispose di venerare come i Quatuor Incoronati. Presso le terme di Diocleziano, «stacion at seint ciriac», e transunto della sua Passio (cap. xlii). Cyriacus guarì Artemia, figlia di Diocleziano, cui giunse improvviso un messo del re di Persia, che pregava di mandargli Cyriacus per guarire Iobiane, la propria diletta figlia, ossesionata da un diavolo. Cyriacus s’imbarca, va in Persia, esorcizza il diavolo, battezza re, regina e principessa, e torna a Roma: sodenly came a messager fro the kyng of perse on to diocletiane praying him to sent him cyriac whech cured his douter for has he wrote his welbeloued cleped iobiane was obcessid with a deuele which deuele cried with inne hir’ hat he wold neuyr uoid but if this cyriac came. Than at the prayer of diocletiane cyriac was sette in a ship and sailed into perse […] Tho ciriac baptised the kyng and the qwen and her doutir with many mo […] and cam home a geyn to rome293.
C. B. Piazza, Menologio Romano Perpetuo (1675), gennaro 19: SS. Mario, e Marta sua moglie, e SS. Abacum, & Audiface loro figluoli. Festa a Sant’Adriano in Campo Vaccino, doue sono li corpi de SS. Mario, e Marta; & à S. Gio: Colabita quelli de sudetti SS. Fratelli, e parte di essi ve n’hà la Chiesa de SS. Quattro, poco lungi dal Coliseo.
Gennaro 22: SS. Vincenzo, & Anastasio Mart. Festa, & Indulg. alla sua Chiesa alle Fontane di Treui vffiziata da Chierici Minori Regolari, oue è la Parocchia, e vi sono loro Reliquie. Vi sono in questa Chiesa alcune pietre di marmo, che legate à piedi de Santi Martiri, per le mani in alto s’appendeuano, acciò per tutt’il corpo fossero battuti, e scorticati. Alle Tre Fontane, oue è il Capo di S. Anastasio, & il Corpo è alle Scale Sante al Saluatore. E vffiziata questa Chiesa da Monaci di S. 293 Capgrave
1911: 18, 37-39, 115-116, 138-139.
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Bernardo, oue il S. Abate rese la vista ad vn cieco. A SS. Vincenzo, & Anastasio nel Rione alla Regola della Compagnia de Cuochi, che ne hanno la cura, & è Parochia. Di questi Santi vi sono Reliquie in Santa Maria della Ritonda, & in altri luoghi si fa feste di detti SS.
Marzo 24: S. Pigmenio Prete, e Martire. Festa a San Saluatore della Corte in Trasteuere, ou’è del suo Corpo, e dipinto nobilmente il suo illustre martirio. Delle sue Reliquie ve ne sono in S. Pietro, & a S. Siluestro in Campo Marzo. Di questo Sãto si legge, che fù Maestro di Giuliano Apostata, da cui diuenuto, che fù rubelle alla fede, fù rilegato in Persia, e quiui divenne cieco per sua maggiore corona. Dopo quattr’anni venendo a Roma, & incontrandosi, non con Giuliano, come osserua il Card. Baronio, ma cõ Aproniano Prefetto di Roma, e rallegrandosi di vedere Pigmenio guidato per la mano, disse…
Giugno 12: S. Onofrio Anacoreta il quale in vn’orribile deserto visse con estrema autorità di vita, e penitenza sessant’anni. Festa solenne, & Idulg. plen. alla sua Chiesa sul Monte Gianicolo, de PP. della Congreg. del B. Pietro da Pisa; ou’è vn braccio, e vna gamba di detto Santo.
Luglio 30: SS. Abdon & Sennen Persiani Martiri, li quali furono condotti in catene à Roma, e quiui duramente flagellati con piombarole, furono decapitati, e coronati di Martirio. Festa, & Indulg. à S. Marco, oue riposano in gran parte li loro Corpi. Alla Madonna della Vittorio [: a] à Termini de’ PP. Carmelitani Scalzi, oue è parte del Corpo di S. Abdon, che si espone.
Agosto 8: SS. Ciriaco, Largo e Smeragdo fortissimi Martiri, & gloriosi, per li molti tormenti sostenuti per la fede. Festa, & Indulg. plen. à S. Maria in Via Lata. A S. Silvestro in Campo Marzio: a S. Pietro: e S. Martino de’ Monti, detto da gl’Ecclesiastici, Titolo Equizio, & in S. Prassede vi sono loro Reliquie. A S. Maria in Campitelli vi è del Capo di S. Ciriaco, & altra parte in S. Pietro in Vincoli. In questo giorno si celebra la Traslazione di questi Santi Martiri fatta da S. Marcello Papa, & il lor martirio alli 8. Marzo294.
Piazza, Eorterologio, le Sacre Stazioni Romane (1702), «Lunedi quarto di quaresima stazione a SS. Quattro Coronati»: 294 Piazza
1675: 28, 33-34, 106, 192, 246-247, 264.
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Antichissimo è l’Oratorio, che si vede sotto il Portico di questa Chiesa dedicato à S. Silvestro, ch’è della Compagnia de Scultori, che l’hanno magnificamente abbellito; & è arricchito di molte preziose Reliquie; come del medesimo S. Silvestro; del legno della Croce; si come di molti Santi Martiri, che in questo giorno della Stazione si espongono; e sono di S. Bonifazio Papa, e Mart. di S. Sisto pur Papa, e Mart. de Santi Tiburzio, Teodoro, Simplicio, Mauro [: Mario], e Marta, Nereo, & Achilleo, Papia, e Mauro Martiri.
«Mercordi quarto di quaresima stazione a San Paolo»: In questo medesimo giorno della Stazione à S. Paolo, li Monaci del Monastero di Sant’Anastasio, e S. Zenone all’acque Salve, passavano dal loro famoso Cimiterio per una Via sotterranea in Processione, e, venivano per diuersi Cimiterj, alla Basilica di S. Paolo, & uscivano dall’Oratorio, overo Cimiterio di Santa Lucina, la cui bocca hora è rinchiusa. Il Clero pure Lateranense veniva processionalmente con la sua Croce Stazionale à questo Cimiterio, e se gli davano tutte li offerte di S. Paolo. In questo medesimo Cimiterio di S. Anastasio vi dimorò in orazione per tutta una notte il suddetto S. Car[l]o [Borromeo, anno di Giubileo 1575], contemplando in quelle beate grotte de i Santi Martiri la loro invittissima Patienza; e riscaldando il Santo spirito d’incendio d’amor di Dio trà le fortunate Ceneri di quei gran Campioni della Chiesa295.
P. Giuseppe M. Mazzolari, Diario Sagro (1819), 19 gennaio: Nella via Cornelia i santi martiri Mario, e Marta, marito e moglie, con Audiface, ed Abacum loro figliuoli. Nobili Persiani, i quali erano venuti all’orazione a Roma, al tempo di Claudio Principe; e dopo aver tollerato i tormenti de’ flagelli, dell’eculeo, del fuoco, degli uncini di ferro, ed essergli tagliate le mani; Marta fu strangolata alla Ninfa e gli altri furono decapitati, e i loro corpi abbruciati.
Il luogo detto Ninfa è al XIII miglio della via Cornelia, ubicata tra l’Aurelia e la Trionfale. «Meditazione»: «Vennero questi SS. Martiri fin dalla Persia a Roma all’orazione. E noi, che siamo in Roma, che facciamo?». 22 gennaio: Alle Acque Salvie S. Anastasio monaco Persiano […]. Il corpo ad Sancta Sanctor. O.B. Parte in S. Paolo. O.B. Parte del capo, e l’immagine alla sua chiesa alle Tre Fontane […]. La detta immagine, o sia volto, giacché altro quello non rappresenta, scacciava i demonj […]. Il volto di S. Anastasio guariva dalle infermità del corpo.
30 luglio: «I SS. Martiri Abdon e Sennen Persiani», loro corpi «trasferiti 295 Piazza
1702: 239, 261.
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a S. Marco, riposano sotto l’altare isolato. Bos.[io] l. 2, c. 17. Si espone un braccio dell’uno, e dell’altro»296. Mazzolari, Vie Sagre (1820), Portuense: «Cimitero di Ponziano, o de’ SS. Mm. Abdon e Sennen, ad Ursum Pileatum». Corpo di s. Quirino m. raccolto presso l’Isola Tiberina da Mario, Marta & Compagni, «e sepolto qui, dove al tempo di Costantino furono trasportati e sepolti Abdon e Sennen». Via Cornelia: luogo del martirio di Mario, Marta & figli. Matrona Felicita leva da un pozzo il corpo di Marta e lo unisce a quelli dei congiunti, sepolti a Ninfa; poi in parte riposti a S. Adriano nel Foro Romano e a S. Giovanni Calibita. Via Ostensie, ad Aquas Salvias, reliquie di s. Anastasio m. trasportatevi, e «collocate insieme coll’immagine del suo volto, al cospetto del quale, come attesta il Concilio Niceno II, eran scacciati i demoni, e sanate molte infermità»297. Mazzolari, Le Sagre Basiliche (1820), dove sono ubicate le reliquie di Mario e famiglia, e di Anastasio298. Una reliquia insigne in San Silvestro in Capite: «l’immagine del Salvatore, che, com’è tradizione, esso stesso mandò al Re Abgaro in Edessa». Cosroe re di Persia assediò la città. L’immagine, «per opera divina formata, e trasmessa gà dallo stesso Signore ad Abgaro», fu presa dagli assediati e bagnata con l’acqua, e ne aspersero le macchine degli assedianti. Allo spruzzo dell’acqua le macchine s’incendiarono e incenerirono, perciò Cosroe tolse l’assedio. Fonte: Evagrio Scolastico bizantino, con l’autorità di Procopio; An. 545 in Baronio, Annales Ecclesiatici299. Allora Xusraw I era re sasanide di Persia (531-579). X. Barbier de Montault, L’Année Liturgique à Rome (1870), 19 gennaio: «S. Marius et Ste Marthe, époux persans, et S. Audifax et S. Abacon, leurs fils, martyrisés l’an 270, hors de la porte s. Pancrace. Leurs corps reposent à Ste Praxède, dans la crypte». 22 gennaio: S. Vincent «diacre espagnol, martyrisé à Valence l’an 303», e S. Anastase «moine persan de l’ordre de S. Basile, décapité en Perse, l’an 627». A SS. Vincenzo e Anastasio a Trevi «tous les quatre ans, offrande par le sénat d’un calice et de quatre torches». Alle Tre Fontane «On y expose une ancienne et miraculeuse image peinte sur bois qui représente la tête coupée et ensanglantée de S. Anastase». 12 giugno: «S. Onuphre, prince persan, mort anachorète, l’an 280». Venerato «A son église, sur le Janicule, où l’on expose son bras». 30 luglio: «S. Abdon et S. Sennen, nobles persans, jetés aux bêtes dans 296 Mazzolari
1819: I, 161-162, 167; II, 1-2; III, 191-191. 1820a: 165-168, 208-210. 298 Mazzolari 1820b: 122, 124, 126, 226, 252, 296, 328. 299 Mazzolari 1820b: 320, 321-325; cfr. Giacchetti 1628; Carletti 1795: 97, 105. 297 Mazzolari
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le Colisée, puis décapités sous Dèce, l’an 250. – Leurs corps reposent à S. Marc, dans la confession». 8 agosto: «S. Cyriaque, diacre, S. Large, S. Smaragde, et vingt autres, martyirisés l’an 300. A St Marie in via Lata, on expose la tête de S. Cyriaque et l’on distribue dans la matinée, le pain bénit». L’autore cita l’ubicazione e l’ostensione delle reliquie di questi santi in varie pagine del suo libro300.
300 Barbier de Montault 1870: 17, 18, 29, 32, 51, 66-67, 70, 121, 142, 143, 148, 161, 162, 177.
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III
IL REGNO ANTICO EVOCATO NEL PAESAGGIO URBANO 1. Una rassegna rinascimentale di protagonisti storici Durante l’esilio del papato in Avignone (1305-1376) e il grande scisma d’Occidente, risolto nel Concilio di Costanza che elesse papa Martino V Colonna (1417), Roma era alquanto decaduta nella condizione di una città provinciale turbata da disordini. La rinascita urbana ricomincia con l’ingresso di Martino V in Roma (28 settembre 1420), atto che ripristinava il suo status storico di grande capitale europea e sede pontificia. Il santuario sorto sul monte Gianicolo per il culto di Onofrio è tra i siti nuovi costruiti in questo periodo1. Il cardinale Giordano Orsini dispose di decorare i due palazzi di famiglia come un catalogo storico-figurativo che rappresentava (1425-1434) grandi cicli tematici per manifestare il rinascimento di Roma quale centro universale. Orsini, titolare della basilica di S. Sabina (1431) e collaboratore di Eugenio IV Condulmer, successore di Martino V (1431), intendeva significare l’annuncio di una nuova epoca nel fulcro di tale opera artistica: il messaggio iconografico e testuale riguardante la funzione delle Sibille, mediatrici tradizionali di vaticini pagani e cristiani. Defunto il cardinale Giordano (1438), qualche tempo dopo gli affreschi furono distrutti, sembra per una ritorsione dei Colonna, aspri nemici degli Orsini2. Il palazzo di Giordano Orsini sito sulla via Papalis rappresentava (c. 1425-1430) nella camera dei paramenti la serie parallela di 12 Profeti giudaici e 12 Sibille antiche, le quali secondo la tradizione avevano vaticinato l’incarnazione di Cristo. Due manoscritti conservati a Liegi e a Tongerloo recano la descrizione degli affreschi e le iscrizioni relative. Orsini interveniva di persona presso i frescanti per indicare i particolari figurativi da istoriare3. Il primo affresco associava la figura Abramo a quella della SIBILLA PERSICA, siccome ritenuta la più antica delle colleghe. Ella era rappresentata come regina o giudice sedente in trono, mentre indossa la veste aurea e regge il rotolo inscritto «Sibilla Persica cuius mentionem fecit Nechanor 1 Vedi
anche II.4. 1906: 80. 3 Hélin 1936; Clerq 1978-1979: 106-107; Castelli 1999; Poeschel 1999: 218-224. 2 König
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hec ayt: Ecce bestia conculbaberis, et gignetur Dominus». La prima dichiarazione si basa sul testo classico che trasmette Lattanzio. Il vaticinio cristologico citato è uno tra i più frequenti ascritti a questa Sibilla. La bestia calcata sotto il suo piede era per tradizione il serpente, ma al posto di questo il cardinale Orsini fece rappresentare l’orso, emblema della sua famiglia. D’altronde l’orso era il simbolo del Regno dei Persiani nella visione del profeta Daniele relativa alle quattro bestie simboliche dei quattro grandi regni antichi (Dn 7, 5). Il ciclo rappresentativo delle Sibille promosso da Orsini costituiva un assetto esemplare. Poggio Bracciolini lo segnala a Roberto Valturio (1454), che preparava il programma iconografico del Tempio Malatestiano da erigersi in Rimini per Sigismondo Malatesta. Il modello figurativo di questo palazzo Orsini si diffuse anche in aree oltremontane e a Salisburgo4. Vari cicli di uomini illustri dipinti altrove, come il palazzo Carrara in Padova (c. 1370), il palazzo Vecchio di Firenze (c. 1400), il palazzo Pubblico di Siena (1411-1414), il palazzo Trinci in Foligno (ante 1424), contemplavano per lo più imperatori romani e antichi eroi, e tra le buone fonti librarie Petrarca, De Viribus Illustribus. Il palazzo di Giordano Orsini sito a Monte Giordano e decorato (c. 1432-1434) presentava in una sala del Theatro, poi distrutta, il catalogo dipinto degli uomini illustri secondo una prospettiva storica di ambito universale. Giorgio Vasari attribuiva l’esecuzione di questi affreschi ai pittori Masolino da Panicale e Tommaso detto il Giottino. Due liste e sei manoscritti illustrati, tra cui il Varia 102 della Biblioteca Reale di Torino, conservano la descrizione e le copie del ciclo pittorico, i cui personaggi sono distribuiti in sei età storiche del mondo. La fonte documentale più rilevante, la cosiddetta Cronica Crespi conservata nella omonima raccolta milanese, reca le miniature che costituiscono la copia integrale del ciclo, a firma di Leonardo da Besozzo, il pittore che diresse l’esecuzione degli affreschi. Questa opera, Leonardus de Bissutio, Imagines pictae virorum illustrium, reca conforme gli affreschi originali la didascalia latina che indica il nome di ciascun personaggio effigiato e l’anno mundi caratteristico della sua vita, in base a fonti bibliche, classiche e di genere cosmografico. Le figure dei progenitori Adamo ed Eva, vissuti in prima aetas «epoca» mondiale, aprivano la rassegna dei personaggi storici rappresentati in palazzo Orsini a Monte Giordano. La comparsa di Tamberlanus, il conquistatore Tamerlano, riferito all’anno 1395, concludeva il catalogo istoriato5. 4 Settis
1985: 449-450. 1966; Mode 1970.
5 Simpson
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iii. il regno antico evocato nel paesaggio urbano
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La rassegna comprende sette re achemenidi, la regina Esther e un re sasanide della Persia antica, effigiati in posizione frontale eretta e dotati di attributi regi, corona, manto, scettro e globo. Ciascuno, tranne il primo, è qualificato «rex Persarum». Nella terza epoca mondiale e prossima alla figura di Abramo, ritenuta coeva, si situa l’immagine di SOROASTRUS «primus magus fuit anno Mo. IImVIIII»: Zoroastro fu il primo mago, nell’anno del mondo 2009. Egli appare come giovane vestito di tunica che esibisce la propria arte mentre posa il piede sinistro nudo sopra un cerchio magico inscritto di ghirigori. Nella quarta epoca mondiale si presenta CIRUS «Rex fuit anno Mo. IIImIIIIcIIII»: Ciro fu Re, nell’anno 3404. Egli non è dotato di altro qualificativo, certo perché celeberrimo e considerato un sovrano universale, anche come liberatore del popolo giudaico dalla cattività babilonese. Segue nella quinta epoca mondiale CAMBISES «Babbiloniam de Egipto condidit»: Cambise, che fondò Babilonia d’Egitto, nell’anno 3410. DARIUS: Dario I, re nel 3442. XERXES: Serse, re nel 3478. ARTAXERXES: Artaserse, re nel 3498. Dopo il ritratto di Platone, ASSUERUS «fuit hoc tempore»: il re Assuero, ritenuto coevo del sommo filosofo greco. Accanto a questo re sta HESTER «regina», la sua sposa giudea, che maestosa veste la corona, lo scettro e il globo. Poi DARIUS «rex Persarum qui victus fuit ab Alexandro fuit hoc tempore»: Dario III, il re di Persia vinto da Alessandro, il conquistatore del regno achemenide, in questa epoca. Alessandro figura nel contesto. Questo catalogo esclude tutti i re Parthi della semimillenaria dinastia arsacide e infine, durante la sesta epoca mondiale, considera COSDROE: Cosroe fu re nell’anno 4576. Era Xusraw II re sasanide, nemico di Eraclio imperatore6. Erano così rievocati grandi protagonisti e delineati alcuni principali temi storici e letterari che rinfrescavano nella città il ricordo relativo al regno della Persia antica. La memoria romana elaborò la tematica persiana come un frequente programma retrospettivo in diverse proporzioni monumentalie con frequenti sequenze letterarie, teatrali e musicali. Vale bene considerare ciascun ciclo tematico sviluppato tra monumenti, libri, drammi, scenari e musiche, in rapporto a un ordine cronologico che riguarda le epoche e le vicende storiche di quel paese.
6 Amberger 2003: 302, 305-306, 310; 474, tav. 5; 480, 485-488, 496, fig. 5, 15-19, 21, 38; 506, 508-510, fig. 57, 61, 64-65.
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la persia istoriata in roma
2. La Sibilla Persica preminente Si tramanda che Tarquinio Prisco quinto re di Roma (616-579 a.C.) eresse nel Foro i Tria Fata, le statuae più antiche della città, dopo quelle dei re già situate in Campidoglio. Secondo Plinio i Tria Fata, gruppo di statue femminili, rappresentavano le 3 Sibille: «Equidem et Sybillae iuxta rostra esse non minor, tres sint licet». I Tria Fata stavano presso i Rostra Augusti, di rimpetto alla Curia e non lontano dal Tempio di Giano, ovvero vicino al Lapis Niger, sito che si riteneva la tomba di Romolo, richiamo di origini e destini della comunità romana7. Questa è l’area cruciale del Foro Romano dove sorsero poi l’Arco Parthico di Settimio Severo e la chiesa di S. Adriano, costruita nella Curia Senatus e legata al culto paleocristiano di Mario e Marta persiani8. L’enciclopedia pliniana riporta che la Sibilla recò a Tarquinio Superbo settimo re di Roma (534-510 a.C.) tre libri. Ella però ne bruciò due, per cui il terzo o unico libro sibillino fu conservato nel Campidoglio, ma vi finì combusto con l’incendio scoppiato al tempo di Silla (83 a.C.): «Inter omnes uero conuenit Sibullam ad Tarquinium Superbum tres libros adtulisse, ex quibus sint duo cremati ab ipsa, tertius cum Capitolio Sullanis temporibus»9. «Anus hospita atque incognita», una donna anziana e ignota, secondo una versione diversa di tale leggenda, si presentò a Tarquinio Superbo, cui propose l’acquisto di 9 libri di «diuina oracula» a un prezzo esorbitante. Per il rifiuto del re, che rise al sentire l’enormità della pretesa, la vecchia bruciò 3 libri poi, ripetendosi identica la reazione del cliente, altri 3. Convinto da questa prova del fuoco, il re aquistò i 3 libri residui al prezzo iniziale richiesto per tutti e 9. Dunque i 6 libri bruciati erano falsi o superflui. La vecchia si dileguò e non fu più vista. Il re incaricò i duumviri di consultare tali 3 Libri Sibillini, che erano depositati nel sottosuolo del Tempio di Jupiter Capitolinus. In seguito la collezione romana dei Libri Sibillini aumentò. Quelli esistenti nel mondo erano importati da molti luoghi, tra cui alcune città d’Italia, inoltre da Erythrae, città dell’Asia Minore, dove per un voto del Senato furono spediti 3 messi a copiare tale genere di libri10. Risultano costitutivi il numero 3 e il rapporto rituale della Sibilla con i fuoco. Entrambi elementi presenti nella leggenda dei Tre Magi, messi parthici conterranei della Sibilla Persica e anche connessi alla cultura
7 Plin.
nat. 34, 22; F. Zevi, «Tria Fata»: LTUR 4, 85-86. anche I.1 e II.2. 9 Plin. nat. 13, 88. 10 Gell. 1, 19; Dion. Halic., Antiquitates Romanae 4, 62. 8 Vedi
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del fuoco11. Il Sole, si credeva, infiamma lo spirito umano e comunica la conoscenza del futuro. Per cui le Sibille sovente dicono che esse bruciano, travolte dal grande vigore delle fiamme: «Unde Sibyllae crebro se dicunt ardere torrente ui magna flammarum»12. La Sibilla antica, donna ispirata e vaticinante, aveva una posizione autorevole pure in cultura religiosa greca. La Σίβυλλα, definita una donna ispirata in termini platonici, doveva essere anche innocente, vergine come le Vestali, sacerdotesse del fuoco. Per estensione si chiama sibilla ogni fanciulla il cui petto ha ricevuto la potenza divina: «Sybilla dicitur omnis puella cuius pectus numen recipit»13. Per Isidoro era la donna profetante, che riveste la funzione sacra di vaticinatrice. La verginità distingueva la funzione umana delle Sibille. Per Gerolamo «Sybillarum insigne verginitas est». Iustinus, filosofo, martire e santo cristiano, associava (c. 152 d.C.) i libri della Sibilla, dei profeti e di Hystaspes iranico per la loro analogia tematica14. Le linee italica, ellenica, libica e persica connettevano i paesi dell’ecumene dove si distingueva l’ispirazione di una donna autrice di oracoli sibillini, che a Roma furono collezionati in forma di rotolo librario. I Libri Sibillini, deposti nel tempio di Giove sul Campidoglio, erano consultati dai duomviri, poi ampliati a decemviri (367 a.C.). Per la riforma di Lucio Cornelio Silla (81 a.C.), i quindecimviri sacris faciundis fungevano da custodi e interpreti degli oracoli. La Persia era contemplata in tale collezione libraria. Quando C. Giulio Cesare si apprestava a partire nella spedizione militare contro la Parthia, il quindecemviro Lucio Aurelio Cotta avrebbe annunciato nella seduta imminente del Senato la risoluzione del collegio dei quindecimviri circa questo oracolo, prescritto nei Libri Sibillini: «Parthos nisi a rege non posse vinci, Caesar rex appellaretur»: i Parthi non possono essere vinti se non da un re, Cesare sia proclamato re. Il preannuncio del responso favorevole al futuro prestigio regale di Cesare accelerava l’azione dei cospiratori15. Cesare fu colpito (15 marzo 44 a.C.) qualche giorno prima della sua partenza verso il regno di Parthia16. Dal tempo di Augusto i Libri Sibillini erano deposti nel tempio di Apollo sul colle Palatino. Li si consulta quando l’imperatore Gordiano III, aperte le porte del tempio di Giano, si 11 Vedi
anche I.3. 21, 1, 11. 13 Plat. Phaedrus 244B; Serv. in Verg. Aen. comm. 3, 445. 14 PG 6, 395; Hieron. adversus Iovianum 1, 26; Iustinus Apologia 1, 44. 15 Svet. Iul. 79, 3; Appian. Historia romana 2, 16, 110-111; Guittard 2007: 248; Lerouge 2007: 89. 16 Vedi anche I.1. 12 Amm.
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accinge a condurre un grande esercito in spedizione contro la Persia (242 d.C.). La consultazione dei Libri Sibillini proibisce la spedizione contro la Persia approntata da Giuliano (363), mentre un terremoto nefasto scuoteva Costantinopoli, comunque l’imperatore decide di partire17. La risorsa basilare che concerne la collezione romana dei Libri Sibillini e la storia, funzione e nomenclatura delle Sibille antiche, stava nelle Antiquitates rerum humanarum et divinarum, opera di M. Terenzio Varrone Reatino dedicata a C. Giulio Cesare pontefice massimo (47 a.C.), la magistratura da lui più amata. L. C. Firmiano Lattanzio, apologista cristiano che reputa M. Varrone l’uomo più dotto (doctior) esistito, ne trasmette come unico testimone superstite (c. 303-314) il catalogo delle Sibille nelle proprie Divinae Institutiones (1, 6-17). I Libri Sibillini, custoditi dai quindecemviri, i sacri magistrati competenti per la loro lettura, recavano i carmi oracolari delle prestigiose donne veggenti: «omnes foeminae uates Sibyllae», definite e classificate dieci dagli autori antichi. «Primam fuit de Persis, cuius mentionem fecerit Nicanor, qui Res gestas Alexandri Macedonis scripsit». La prima Sibilla fu la Persica, menzionata da Nicanor, che scrisse le gesta di Alessandro il Macedone (1, 6.8). Il passo di Nicanor riferito da Varrone in Lattanzio costituisce un rarissimo, unico frammento pervenuto dell’opera di questo storico greco che come biografo di Alessandro, il conquistatore dell’impero achemenide di Persia, doveva avere raccolto qualche cognizione precisa circa l’esistenza antica della Sibilla in quel paese18. Pertanto la Persica è la capostipite, era la decana rispetto alle altre nove Sibille antiche, che seguono nell’ordine: Libyssa, Delphida, Cimmeria, Erythraea, Samia, Cumana, Hellesponthia, Phrygia, Tiburte. Il re Tarquinio Prisco acquistava dalla Cumana, al prezzo di 300 aurei, i primi tre libri sibillini. Poi Roma raccolse da tutta Italia, Grecia e in particolare la città di Erythraea, i responsi ascritti a ogni Sibilla. Soltanto la Erythraea firmò con questo nome i propri carmi, sebbene fosse nativa di Babilonia. Per Lattanzio (1, 14) «Omnes igitur hae Sibyllae unum Deum praedicant», tutte queste Sibille predicano un unico Dio. Erano o diventavano monoteiste, così potevano accedere come voci autorevoli nel mondo cristiano19. Lattanzio riprende nelle Divinae Institutiones testi oracolari che toccano anche il corpus della leggenda dei Tre Magi evangelici, in particolare gli Oracoli di Hystaspes, che vengono connessi al libro biblico di Daniele, a vari libri apocalittici ebraici e allo Zand î Wahman Yašt / Yasn, esegesi pahlavi riguardante l’apocalittica zoroastriana. Lattanzio cita (7, 15 e 18) 17 Monaca
2005: 151-152. 1877: 152-153. 19 PL 6, 140-146; Lactance 1986: 76-83; Champeaux 2004: 43-52. 18 Müller
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l’oracolo apocalittico persiano di Hystaspes, un «Medorum rex antiquissimus» che «nunc Hydaspes dicitur», in base a una traduzione latina o per ipotesi greca20. La Sibilla esprimeva una voce divina, in ámbiti culturali e filosofici pagano, ebraico e cristiano. Gli Oracula Sibyllina erano raccolti da uno storico bizantino in un canone greco (VI secolo). La sacertà della Sibilla viene recepita dalla religione cristiana, che ne connette la figura al presagio cristologico. L’Index Sibyllarum tipico tende a situare in archi temporali le dieci Sibille canoniche: I Persica, vivente forse al tempo di Noè; II Libyssa; III Delphis, vivente prima della guerra di Troia; IV Cimmeria operante in Italia; V Erythraea al tempo di Romolo; VI Samia al tempo di Numa Pompilio; VII Cumana al tempo di Tarquinio; VIII Hellesponthia al tempo di Solone e di Ciro re di Persia; IX Phrygia; X Tiburs. Con l’aggiunta seriore di Europa e Agrippa, le Sibille diventano 12, numero ciclico che concerne anche i Profeti biblici e gli Apostoli evangelici21. Un critico sostiene che Lattanzio cita Varrone, suoi Libri Rerum quod ad C. Caesarem pontificem maximum scripsit, ma non in modo «direct or in full», per cui si porrebbe un problema di affidabilità22. Una tesi d’iranista inglese ammette l’esistenza storica della Sibilla Persica in rapporto a una complessa tradizione dottrinale zoroastriana antica, che si riflette nel libro pahlavi Zand î Wahman Yašt. Una tesi d’iranista francese pensa indimostrabile la storicità della Sibilla Persica e ricusa l’origine iranica di certi testi sibilllini di epoca ellenistica23. L’opera di Lattanzio, primo libro impresso in territorio d’Italia (Subiaco 1465), si diffuse come fonte imprescindibile presso i circoli umanistici e gli artisti interessati all’argomento sibillino24. La scuola classica assegnava alla Sibilla Persica una biografia quasi completa: un padre, Beroso, una madre Erimante connessa al monte arcadico Erymantus e l’epoca diluviana, per cui la Sibilla salva nell’arca di Noè o ne sposa poi un figlio. Lilio Gregorio Giraldi (Ferrara 1479-1552), umanista che fu attivo anche in Roma, considerava le Sibille nelle proprie Historiae Poetarum tam Graecorum quam Latinorum, dialogo II con l’amico intimo Giovanni Francesco Pico della Mirandola. Così: Fuit verò inter eas prima, quæ Persica vocata est, & Chaldæa, & Hebræa etiam, à quibusdã liceat perperàm sit Chalcidica dicta, proprio autem no20 PL
6, 790, 795; Monneret de Villard 1952: 136-138. 1941: 66-72. 22 Ogilvie 1978: 50-55. 23 Boyce 1989; Gignoux 1994; cfr. Gnoli 1997/98: 212-213. 24 Feld 1985. 21 Pighi
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mine Sambethe, siue Sabbe, \\ vtrumque enim legimus. Patrem verò habuit Berosum, matrem Erymanthen huius meminit Pausanias in Phocaicis, aítque à quibusdam Babylonicam vocari, ab alijs Aegyptiam, eius & Iustinus philosophus & martyr meminit, & Nicanor ín his libris quos de Alexandro Magno conscripsit, quem quidem Nicanorem nouum Homerum cognominatum scribit Stephanus. Vixisse verò hæc Sibylla traditur per ea tempora quibus Noa, quem & Noac nonnulli, & Noe, Græci verò, vt Iosephus ait, Nochum appellant, vt verò Alexander Polyhistor & Abydemus in historijs scribunt, Xysuthurum, vt apud Cyrillum in primo contra Iulianum legimus. quinimò Sibyllam istam vni filiorum ipsius Noe nupsisse legimus, \\\ arcámque ingressam cum aliis, alluuionis & magni cathaclysmi tempore: atque, vt idem Iosephus & Eusebius produnt, ea quæ de turri apud Hebræos ferutur; ipsa prædixit, déque linguarum & sermonum varietate, nec non de Alexandro multa. De CHRISTO verò ipsiús natiuitate tam certa vaticinata est, quàm si tunc illa præsens oculis conspexisse, & ea ipsa quæ prædixit literis mãdauit25.
Cerchiamo di chiarire il nome della Sibilla, Sambetha o piuttosto Sabba, come Giraldi ricorda. Pausania, illustre viaggiatore greco, trasmetteva (c. 150 d.C.) il nome proprio tradizionale della Sibilla Persica: Sambetha, variante Sambéthes nel lessico di Suida, Sambetta in forma italo-latina. Autori successivi credono questa Sibilla di natura Caldea o Ebrea, e la chiamano Saba / Sabba, nome che si faceva derivare da ebr. Sabbath. La Sibilla Persica era reputata autrice di 24 libri in cui predice anche l’avvento, la morte e i miracoli di Cristo, nato dalla Vergine Maria26. Il nome Sambetha / Sambéthes dato alla Persica per etimo può significare «Sabatina», pers. šambad / šambadh > šamba > šambé «sabato»27. Questo primo giorno della settimana in calendario persiano ne annovera gli altri, computando da 1 (yak) a 5 (panj): yak-šamba «uno a sabato: domenica» du-šamba «due a sabato: lunedì» etc.; unico altro giorno settimanale, festivo, che ha un nome: âdina «venerdì» e «arcobaleno». Considerato il fattore della verginità cogente nella Sibilla, la voce Sambetha / Sambéthes si può anche confrontare a pers. zan-i bêdukht «la donna vergine», «senza figlia» né «sorella»: donna unica e nubile. Bêdukht «Virgo», aramaico Baidôkh, designava «Venus», la dea e stella planetaria. Il nome Bêdukht, entrato in sudarabico, si trasformava in ar. budûh, termine che denota un’arte talismanica assai diffusa in ambito islamico altomedievale28. 25 Giraldi 26 Bosio
1580: 78-79. 1610: 410-412; Gallaeus 1688: 61-71; Fehr 1893: 55-62; Parke 1988: 57, 65,
186-187. 27 Piemontese 2001a: 75. 28 Hoffmann 1880: 72, 74, 128-130.
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Il nome Saba / Sabba richiama forse anticopers. xšap, mediopers. šap > neopers. šab «notte». La Vergine Sabatina Sibilla Persica poteva avere il soprannome «Notte», scrutare il cielo e le stelle, anche risiedere e profetare a Saba / Sabba. Questo toponimo, che pare identico, viene da qualche scrittore legato anche alla missione dei Tre Magi. Per concentrazione nominale iranica Saba / Sabba designava: a) un kêsvar > kešvar «paese» tra i sette del mondo in cosmogonia mazdea; b) la città di Sâva, detta Seuwa, luogo di partenza (nella missione verso Gerusalemme-Betlemme) e luogo di sepoltura dei Tre Magi evangelici o almeno di uno; c) la città prossima a un santuario detto del profeta Samuele, in itinerario sulla via tra Hamadân e Ray, bibliche Ecbatana e Raghes. A tre tappe di viaggio da Saba / Sâva s’incontrava Cala Ataperistan / Qal‘a-yi Âtašparastân «il Castello degli Adoratori del Fuoco» e Qaryat al-Majûs «il Villaggio dei Magi»29. Petrus Comestor, «cancellarius Parisiensis Academiae» (1164), in Historia Ecclesiastica, un commentario alla Bibbia, scrive circa i Tre Magi evangelici: «Venerunt enim de finibus Persarum et Chaldaeorum, ubi fluvius est Saba, a quo et Sabaea regio dicitur», vennero dai confini di Persiani e Caldei, dove è il fiume Saba, da cui si denomina la regione Sabea30. Qui siamo di nuovo in zona limitrofa di Mesopotamia, l’antica Susiana, dove era la città del giglio, e reincontriamo la sede di Daniele: l’anello profetico che riconnette le storie della Sibilla Persica, dei Tre Magi e di Tomaso Apostolo31. Il fiume Saba era quello di Susa, antico Choaspes. Una volta, navigando, si giungeva a Susa attraverso il Tigri, che scorre in Mesopotamia, si dirama, si riunisce e viene chiamato Pasitigri; poi riceve dalla Media il fiume Choaspes che, oltrepassate Seleucia e Ctesifonte, e passando sulla destra della città di Charax, «oppidum Persici sinus intimum», si riversa nei laghi Chaldaici, infine si getta nel Golfo Persico. La regione contigua al Tigri si chiama Parapotamia. Oltre sta la Susiana, dove è Susa, antica capitale della Persia. Dove Alessandro risalì il Pasitigri verso Susa, c’era un lago Chaldaico. Il fiume Eulaeus, che separa la Susiana e l’Elymaida, gira intorno all’arce dei Susiani e al tempio di Diana. Abitano la costa anche gli Elamiti con la città dello stesso nome [Elam], e a loro contigui i Chaculati, la città Sibi, che i Greci chiamano Apate32. Il fiume Sus, omonimo della città che attraversa (Susa, pers. Šuš > ar. Sus), e denominato anche Karkha, scorre in Luristân e Xuzistân (Iran sud29 Le Strange 1905: 210-212; Monneret de Villard 1952: 83-84, 86-90; Giovanni di Hildesheim 1966: 101, 245-247; Polo 1975: 572-574, 710-712. 30 PL 198, 1541: in Evangelia, cap. VII. 31 Vedi anche I.3. 32 Plin. nat. 6, 100, 129-131, 133-135, 138, 155.
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occidentale, antico Elam), tocca il Tigri, e con la confluenza di altre correnti si dirige al Golfo Persico. In tradizione persiana e araba la tomba del profeta Daniele fu costruita a Susa, nel letto del Karkha. La piccola città di Susan, sita nella regione, «according to some authorities is to be identified with “Shushan the palace” of the book of Daniel». In denominazione classica il fiume di Susa o Susiana corrisponde al Choaspes, affluente del Tigri sulla riva sinistra33. Johan di Hildesheim racconta che Tomaso apostolo, i tre Re Magi e il popolo salirono sul monte Vaus, dove consacrarono una cappella con la stella e il segno della croce. E i tre re costruirono una nobilissima e grande città ai piedi del monte, e la chiamarono Seuwa, que est melior et dicior civitas in omnibus partibus Indie et Orientis usque in presentem diem. In qua est habitatio domini Indorum, qui pre sbiter Johannes vocatur, et Thomae Indorum patriarche.
Varianti manoscritte del toponimo o nome Seuwa: Sodella, Sculla, Suwella, «Seubba nel Vaticano Palatino lat. 859, e così via». Secondo E. Herzfeld (1935) «il nome di Sodola, Sodella» sarebbe una corruzione di Sindrôdh, il nome di «un porto nel regno di Gundopharr»34. Su quel codice palatino, il nome della «maxima et nobilissima ciuitate in pedibus huinc montis», «et in hac ciuitate est habitata domini Indorum qui presbiter Johannes vocatur ac thomi Indorum patriarche», mi pare scritto «Sebela»35 Sulla via della nostra ricerca giungiamo così a Seuwa, che riflette pers. sêwa > sêv > sib Malus Mill. «mela, pomo»; «sev (for seb)», sewâ «An apple»; «seb, An apple; the hair on a horse’s forehead and tail». Nome composto seboyah «(for seb and boya), the perfume of an apple»36. Abbiamo qui sopra indicato la nomenclatura e la sede della Sibilla Persica. In quanto persona antichissima, ella poteva detenere, custodire o contemplare il pomo aureo e frutto paradisiaco: la chrysomela, la gialla mela cotogna, pers. beh / behi «omptimum, optimus»37. La Persica era anche giardiniera, se Sybilla / Sibylla può leggersi pers. *sêb-bêl / *sib-bil «giardiniera del pomo», e 33 Le Strange 1905: 233, 240-241, 245-246; Schwarz 1921: 304-305, 364-365, 393, 453, 472, 488, 501; Steingass 1892: 1021 karkh «A mansion, habitation, turreted building». 34 Monneret de Villard 1952: 188-189, 202, 232-233. Gundopharr: Gondophares, il principe parthico d’India visitato da Tomaso. Sindrôdh, pers. Sind-rud «il fiume di Sind» (India nordoccidentale), affluente dell’Indo (Le Strange 1905: 331, 530; Piemontese 2005b: 527). 35 BAV, Pal. lat. 859 (XV secolo: codice cartaceo, fattizio, miscellaneo); [Giovanni da Hildesheim], de gestis et translationibus trium regum, f. 52r, linea 16. 36 Steingass 1892: 714, 719, 1022, 1454, 1514. 37 Vedi I.3.
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zappatrice provvista di utensile per la coltivazione della pianta: bêl > bil «A shovel, spade; an oar, a paddle; the loins; a basket for carrying away rubbish; a gunner; a gardener, a vine-dresser»; «a well» in Zand e Pâzand, lingue e scritture zoroastriane; verbo bil zadan «To work with a spade»38. La critica moderna considera apocrifi gli oracoli di genere cristologico e mariano che erano attribuiti alle Sibille. Un catalogo manoscritto delle Sibille dice che la Persica, vivente al tempo di Priamo re di Troia (c. 1232 a.C.), era provvista di cinque pani e due pesci prodigiosi, con cui ella poteva saziare nel proprio eremo ottomila uomini39. Tale tratto attiene alla serie dei vaticini cristologici che la tradizione letteraria attribuisce alla Sibilla Persica40. Nel caso si allude al miracolo di Gesù che moltiplica i cinque pani e i due pesci per nutrire cinquemila uomini, inoltre le donne e i fanciulli, in un luogo deserto (Mt 14, 13-21). Un catalogo manoscritto delle Sibille traduce in volgare un vaticinio tramandato di frequente: Sibilla di persia de la quale fè mençione nichanore et dixe così: ecco tu bestia, sarai conculcata et nascierà uno signore nel circuito della terra et il ventre della vergine sarà salute de le genti et i piedi suoi saranno in forteça di nomi [: monti]41.
Lo stesso vaticinio mariano e cristologico in versione latina forma una sorta di tetrastico breve, si compone di due frasi epigrammatiche che nelle citazioni episodiche sono scandite come quattro epigrammi. Le Prophecie de aduentu domini nostri yhesu christi recano: Prima sibilla persica cuius mentionem fecit Nichanor sic prophetauit de christo Ecce bestia conculcaberis et gignetur deus in orbem terrarum et gremium virginis erit salus gentium Et pedes eius in valitudine montium42.
I Dvodecim Sybillarum Vanncinia [: Vaticinia] et Dicta de Christo hanno una variante parziale: Sibilla prima fvit Persis que sic ait de Christo / Ecce bestia conculcaberis, & gignetur dominus in orbe terrarum et gremium uirginis erit salus gentium pedem eius in ualetudine hominum43.
38 Steingass
1892: 224. Bonc. K 23, f. 81v. 40 Opsopoeus 1599: 458; Gallaeus 1688: 72-77. 41 Ferri 2007: 145; fonte: Firenze, Biblioteca Riccardiana, cod. 1271 (sec. XIII-XIV). 42 BAV, Reg. lat. 430, f. 35r (1444, membr.). 43 BAV, Vat. lat. 5119, f. 101r (XV sec., cart.). 39 BAV,
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Il preambolo dichiarativo vale: «La prima sibilla, Persica, di cui fece menzione Nichanor (var. La prima sibilla, che fu dei Persiani), così profetò riguardo a Cristo». Il testo del vaticinio, una sorta di quartina epigrammatica, vale: Ecco, la bestia sarà calpestata / e Dio (var. il Signore) nell’orbe terrestre sarà generato. / Il grembo della Vergine sarà la salvezza delle genti / e i suoi piedi in saldezza dei monti (var. il suo piede in salute degli uomini).
La Sibilla Persica meditabonda e provvista di rotolo profetico sarebbe figurata sul mosaico paleocristiano dell’Epifania nella basilica di S. Maria Maggiore44. La didascalica Sibilla Persica era effigiata nel palazzo di Giordano Orsini, scomparso45. Le Sibille rappresentate in basiliche, chiese e palazzi romani sono numerosissime (XV-XVII secolo) e sovente associate a Profeti dell’Antico Testamento, assistite da Angeli e riferite all’avvento di Maria. Come vaticinatrici arcaiche e savie vergini nubili, le Sibille prefigurano la funzione salvifica di Maria vergine madre. Frequente, quasi come preludio dei Quattro Evangelisti, è la compagine di Quattro Sibille predilette. Ma in molti casi i gruppi, variabili da due a un massimo di dodici colleghe, sono anomini, privi di cartigli dichiarativi che consentano una identificazione certa dei singoli soggetti. Philippus de Barberiis, Filippo Barbieri domenicano, teologo, filologo e storico, ricostituisce un prestigioso catalogo delle Dieci Sibille e un florilegio dei vaticini, inclusi in una raccolta di opuscoli di Barbieri, tra cui le Discordantiae sanctorum doctorum Hieronimi et Augustini, e implicitamente i Sibyllarun et Prophetarum de Christo Vaticinia. L’editore Giovanni Filippo De Lignanime, cavaliere siciliano, dedica (Roma, 1 dicembre 1481) a papa Sisto IV della Rovere questo incunabolo illustrato e molto diffuso. Un suo esemplare membranaceo presenta come prima miniatura colorata la SIBILLA PERSICA in posizione frontale (tav. 14). Sedente su un seggio, indossa la veste verde e regge nella mano sinistra il rotolo bianco, che si estende fino al fianco destro, mentre il mantello granata svolazzante forma un arco sopra la sua testa. La didascalia reca: Sibilla persica cuius mentionem facit Nichanor de Christo sic ait. Ecce bestia conculcaberis et gignetur dominus in orbem terrarum. et gremium uirginis erit salus gentium, et pede eíus in ualetudine hominum46.
44 Vedi
anche I.3. anche III.1. 46 BAV, Membr. IV, 29, f. [7r]. 45 Vedi
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Un esemplare cartaceo dell’incunabolo, impresso in stessa data, presenta con il nome e un modo diversi la SIBYLLA PERSIA. Anziana, avvolta nel manto e rivolta a sinistra, si erge sotto un arco mentre regge la verga nella mano sinistra e tende la destra in atto benedicente. Ha il piede destro nudo e il sinistro calzato. La didascalia dice: Sibilla Persia uestita ueste. / aurea cum uelo albo in capite. Dicens sic. Ecce bestia conculcaberis: & gignetur dominus in orbê terrarû: & gremiu uirginis erit salus gentium: & pedes eius in ualetudine hominum47.
La SIBYLLA PERSIA che, figurata entro l’arco, indossa la veste fiorita e regge il cartiglio inscritto del vaticinio, si vede anche nell’incunabolo impresso (Roma 1482) da Sixtus Riessinger e Georgius Teutonicus48. Dunque Persia è una denominaziore di questa Sibilla, quale rappresentante del paese. Un esemplare di tali incunaboli serve da fonte libraria a Pintoricchio, che affresca il magnifico Appartamento Borgia in Vaticano (1492-1494), su committenza di papa Alessandro VI de Borja. La stanza sesta, «Sala delle 12 Sibille e dei 12 Profeti», ne rappresenta per associazione ciascuna coppia vaticinante ideale, tre in ciascuno dei quattro lati sotto la volta a fondo azzurro. Nella seconda lunetta presso la finestra, Pintoricchio dipinge la S. PERSIA. Donna anziana, ella espone il filatterio bianco su cui è inscritto il vaticinio IN GREMIVM VIRGINIS ERIT SALVS GÊNTIVM. S. PERSIA «Nel grembo della Vergine sarà la salvezza delle genti. Sibilla / Santa Persia». Accanto, Zaccaria reca il nastro inscritto ECCE REX TVVS VENIET ET TIBI IVSTVS ET SALVATOR (Zc 9, 9) «Ecco, viene a te il tuo re, giusto e Salvatore»49. Su committenza di papa Giulio II della Rovere, Pintoricchio affresca (1509-1510) con sapiente planimetria geometrica L’Incoronazione della Vergine nel luogo recondito della chiesa di S. Maria del Popolo, la volta della Cappella maggiore detta del Coro. L’ottagono centrale esalta l’apoteosi di Maria, rispetto al cui il pittore dispone come mirabili medaglioni incastonati I Quattro Evangelisti in rispettivi clipei e Le Quattro Sibille, Persica, Erith[r]ea, Delphica e Cimeria in correlative zone trapezoidali50. La Persica giace appoggiandosi sul fianco sinistro, e, sollevando il busto, scrive 47 BAV,
Barb. BBB.II.14, f. [11r]; altro esemplare Rossiana 1722. Inc. IV, 280: f. [5v]; altri esemplari Rossiana 422 e 2203. 49 Ehrle – Stevenson 1897: 73, tav. IX; Poeschel 1999: 225-233, fig. 164; Scarpellini – Silvestrelli 2004: 122 dis. 4. 50 Strinati 1981; Fabjan 2001; Scarpellini – Silvestrelli 2004: 242; Gualdi 2009. 48 BAV,
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in un libro poggiato sopra uno sgabello. Ha lievi capelli biondi fermati in una cordella, il capo unito da un filo che le tiene una gemma sulla fronte, preziosi pendenti, veste tutta turchina, maniche bianche con strisce rosse, e un bel sandalo al piede. Il fondo è articolato «alla mosaica»51.
La stupenda SIBILLA PERSICA, giovane bionda che veste azzurro e maniche bianche listate di rosso, medita mentre distesa in agio soave redige il codice posto sopra la teca libraria. Il lato esterno di questa come uno schermo proietta il responso che ella scrive nel codice: le tre linee GERMEN VIR|GINIS ERIT SA|LVS GENTIVM «Il germe della Vergine sarà la salvezza delle genti» (tav. 15). Michelangelo rappresenta sulla meravigliosa volta della Cappella Sistina 7 Profeti ebraici e 5 Sibille, la Libica, la Cumaea e la Delphia nella parete destra, e nella sinistra la Erithraea e la Persicha, che rappresentano ciascuna le rispettive missioni profetiche nei paesi Gentili dei tre continenti antichi. Africa: Libica; Ytalia «Rome — in the centre»: Cumaea, che istruì Enea «about the golden bough»; Grecia: Delphia; Ionia: Erithraea; Asia: Persicha. L’insieme delle 12 figure profetiche adombrerebbe la divisione della Chiesa in Ecclesia Iudaeorum et Ecclesia Gentilium52. Nel complesso figurativo della volta si possono connetere le due tradizioni biblica e pagana sulla linea del profetismo cristologico: «Certainly, the reason for the shift to prophets and sibyls lies in the intention that the Ceiling program presage Christ’s coming». Forse Egidio da Viterbo, generale dell’Ordine Agostiniano e celebre ebraista, elaborava (1508) il programma iconografico della volta o ne preparava lo schema53. I dipinti di Michelangelo diventano soggetti favoriti nelle stampe di traduzione, incise durante il XVI secolo e oltre. Sono rinomate le prime due stampe della Sibilla Persicha prodotte in Roma. Una è disegnata da Giorgio Ghisi detto il Mantuano e incisa da Nicholaus van Aelst (c. 1549). La successiva è opera di Adamo Scultori Mantuano54. La Sibilla Persicha era sembrata a Giorgio Vasari esprimere la vecchiezza e avere la vista logora. Quindi è parsa una vecchia donna decrepita55. Perfino «una veggente miope per l’età avanzata» [semmai presbite] che «si affatica nel decifrare un testo»56. Il piede sinistro calzato della Persicha
51 Ricci
1912: 312-313. 2000: 131-132. 53 Sagerman 2005: 43, 63. 54 Morello 1994. 55 De Tolnay 1945: 152-154, 157. 56 Pfeiffer 2007: 162, 164-165, fig. 77-78. 52 Wind
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ricorderebbe la punizione da lei inflitta al serpente diabolico e il vaticinio: «Ecco, la bestia verrà calpestata e il Signore regnerà sul mondo»57. Quando dalla porta riservata al pubblico odierno si entra nella Cappella Sistina e si leva lo sguardo verso la volta, sulla parete sinistra la Sibilla PERSICHA è una prima figura che si distingue e impressiona per la sua imponenza nella sublime pittura scultorea di Michelangelo. La Persicha da lui dipinta nel pennacchio della campata VIII (c. 1509) appare la profetessa antichissima, grande, che sta vicina alla zona della volta dove il pittore effigia la creazione divina della luce (Gn 1, 3). La Persicha indossa una cuffia verde tenue, che le copre mezzo viso, ritratto di profilo, il manto rosso, la tunica verde chiaro. Sedente e tesa, un ginocchio assai turgido proteso, il torso piegato verso la parete, ella si tiene seminascosta. Regge con la mano sinistra il proprio codice, legge e medita, scruta il testo nel foglio su cui ha vergato cinque linee, di cui la prima è rubricata. Quasi si accinge a integrare, modificare il responso in fine del foglio (tav. 16). Ella, dipinta come la profetessa anziana e misteriosa, rappresenta la decana delle Sibille, conforme il senso del catalogo di Varrone trasmesso da Lattanzio. Le Sibille colleghe della Persicha, che Michelangelo effigia, sono vivaci autrici, bibliotecarie, lettrici. Reggono, aprono e leggono, esibiscono i propri codici e fogli, per propabile riscontro palese del vaticino grande. La dolcissima Delphica appare sgomenta, come sorpresa dal responso ormai obsoleto che emana nel proprio foglio srotolato. Sibilla discosta e segreta, la Persicha legge il libro mentre due giovani astanti nell’ombra attendono di ascoltarne il responso: si preannuncia una «folgorante rivelazione»58. La Persicha scruta qualche segno arcano tra le linee. «Straining her short-sighted eyes, she devines some “concealed and remote meaning” that is adumbrated in her book». Nel mistero di un «videtur vaticinari sub nubilo» ella «exhibits the gift of the Revelatio» e intreccia un nodo che il profeta Daniele è abilitato a sciogliere59. Michelangelo figura di fronte alla Persicha il profeta DANIEL, sedente mentre è intento a vergare un foglio profetico, nel pennacchio corrispettivo della stessa campata sulla parete opposta60. Tale nesso rispecchia la Persicha e Daniel siccome entrambe persone profetiche operanti in antica Persia, l’autoctona e la giudeo-persiana. Intanto Raffaello affrescava il gruppo di «Quattro Sibille» (c. 1510-1511) sulla parete che nobilita l’arco della Cappella Chigi, eretta nella chiesa di 57 Bignami
2006: 17, 22, 29, prospetto B, schema 4. 1965: 210, 73 fig. 81. 59 Wind 1965: 70-71; 2000: 139-140, fig. 154. 60 Mancinelli 1994: 99-101; Colalucci 1994: 282-283, 404, 427; Pfeiffer 2007: 162, 166-167, fig. 79. 58 Salvini
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Santa Maria della Pace per committenza di Agostino Chigi. Le Sibille, sedenti due per lato rispetto all’arco, sono ispirate da ciascun angelo custode nel momento di formulare o esporre il proprio responso oracolare sulla rispettiva tabella (tav. 17a). Tre oracoli sibillini scritti in greco alludono al destino della morte che è riscattata dalla resurrezione di Cristo, e un oracolo latino ne allude la progenie. Queste Sibille splendidissime sono anonime, generiche, quindi d’incerta e discussa identità. Ma interconnesse ai Quattro Profeti: ABACVCH e IONA, DAVID e DANIEL, affresco che Timoteo Viti eseguì poi su disegno di Raffaello nelle semilunette del registro superiore, tra le finestre (tav. 17b). Vasari, in Vita di Raffaello (XIV.7-9), scrive (1568): Raffaello Figurò in questa pittura, avanti che la cappella [Sistina] di Michelangelo si discopresse pubblicamente, avendola nondimeno veduta, alcuni Profeti e Sibille; che nel vero delle sue cose è ritenuta la migliore e fra le tante belle bellissime; perché nelle femmine e nelle fanciulle che vi sono, si vede grandissima vivacità e colorito perfetto. E questa opera lo fe’ stimare grandemente vivo e morto, per essere la più rara ed eccellente che Raffaello fece in vita sua61.
In seguito circola una tradizione che assegna i singoli nomi alle Quattro Sibille dipinte dal sommo pittore urbinate. Sono dichiarate, nell’ordine guardando l’affresco da sinistra a destra, la Cumana, la Persica, la Phrygia e la Tiburtina, secondo la suggestiva stampa incisa da Giovanni Volpato (cm 27 × 53, acquaforte e bulino, Roma 1772). La didascalia aggiunge un diverso vaticinio latino ascritto a ciascuna Sibilla. La Persica contempla il suo oracolo cristologico e mariano «Virgine matre satus pando residebit asello, / Unus rite queat lapsis qui ferre salutem»: Generato da Vergine madre si poserà su curvo asinello, / L’unico che per rito possa recare salvezza nei passi falsi agli empi»62. Il testo completo del carme attribuito alla Persica, che figura tra Sibyllarum de Christo Vaticinia, reca: Virgine matre satus pando residebit asello, / Iudundus princeps, unus qui ferre salutem / Rite queat lapsis: tamen illis forte diebus / Multi multa ferent, immensa fata laboris. / Solo sed satis est oracula prodere verbo: / Ille Deus casta nascetur virgine magnus63.
J. D. Passavant, eminente biografo di Raffaello e studioso della sua opera, ribadisce il medesimo ordine nominativo delle Sibille (1839). Si sostie61 Shearman
2003: I, 145-146; II, 981, 1147. 1773: f. 11. 63 Opsopoeus 1599 [rist. 1607]: 458-461; Gallaeus 1688: 72. 62 Hamilton
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ne che Raffaello ha inteso rappresentare «la Sibilla Cumana e la Persica da un lato, quella di Frigia e di Tiburtina dall’altro. Agile e viva è la spendida Sibilla Persica», per cui questa appare la seconda da sinistra, la Sibilla che è intenta a scrivere sulla tabella il vaticinio greco che significa «Egli avrà il destino della morte»64. Si giudica però illusoria tale tesi d’identificazione e ogni proposta di denominazione, in quanto ciascuna Sibilla, priva di un cartiglio che ne enunci la persona, rimarrebbe indistinta e generica65. Visitiamo la chiesa di Santa Maria della Pace. Raffaello figura nello scenario delle Quattro Sibille uno scriptorium folto di libri, tabelle, epigrafi. Una scuola dove avviene il confronto dei rispettivi operati oracolari, mentre sette angeli assistenti concorrono tra cielo e terra. Congetturo che la prima Sibilla, presente a mano destra di chi entra nella chiesa, rappresenti la Persica per quattro indizi. I) Il suo caratteristico aspetto di donna anziana. II) Il profeta che la sovrasta sulla parete: DANIEL, a lei correlato da Michelangelo nel prospetto della Cappella Sistina, che Raffaello aveva osservato. III) La scuola dove tre sono le Sibille giovani, rispetto a cui la Persica funge da vecchia maestra, presso la lavagna. Raffaello profila la Sibilla anziana, la decana, che osserva di lontano e controlla la tabella oracolare mostratole da un angelo presso la cima dell’arco. Tra una giovane Sibilla perplessa e la decana vigile è esposta la tabella oracolare dove si legge IAM | NOV | PRO | GEN I : in richiamo virgiliano «iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna, / iam nova progenies coelo demittitur alto». Evoca l’avvento della nuova progenie, il fanciullo nascente al ritorno della Vergine, nell’ultima età del carme di Cuma, come Virgilio riferisce nel contesto. Daniele ebbe dal canto suo la visione dell’avvento del Figlio dell’uomo, il Messia, l’Unto66. IV) Un presagio analogo ebbe la Sibilla Persica, secondo la tradizione letteraria. Un pittore ignoto della scuola di Michelangelo, forse Jacopo Siculo, affresca (c. 1530) una vivace connessione di «Quattro Sibille e Quattro Profeti», provvisti dei cartigli rispettivi, sulla volta della Cappella Châteauvillain sita nella chiesa della Trinità dei Monti. Louis de Châteauvillain / de Châteauvilliers, cavaliere di S. Michele e ambasciatore di Francia presso papa Leone X de’ Medici, fece erigere questa Cappella sul transetto, la settima nel lato destro della navata. Qui le Sibille hanno ciascuna a latere un profeta corrispettivo: Persicha: Daniel, Deplhica: Esaias, Libica: Ezechiel, Cumaea: Hieremias. Il pittore figura queste donne come giovani, lettrici, nuove studiose sedenti sopra gli orli di arcate. Il cartiglio rosso inscritto 64 Floridi
Basili 1934. 1961; Ettlinger 1961; Cassanelli – Rossi 1983: 128-131, 151-154. 66 Verg. ecl. 4, 67; Dn 7, 13-14; 9, 25-26; Dante, Purg. 22, 70-72. 65 Hirst
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oro dichiara PERSICHA la prima Sibilla a sinistra, sedente sull’arco del festone. Giovane che indossa la camicia bianca e la gonna viola, ella tiene sulle ginocchia il proprio codice aperto e ne indica con la mano destra un brano testuale67. Nell’Oratorio del Gonfalone sette pittori affrescano (1568-1574) dodici Sibille, dunque anche la Persica, ciascuna dotata di cartigli che recano rispettivi responsi ma senza chiari riferimenti che consentano d’identificare con sicurezza ciascuna di esse68. Otto Sibille e Quattro Virtù figurano nella Sala degli Scrittori, la prima sala d’ingresso alla Biblioteca Vaticana, eretta dall’architetto Domenico Fontana, come anche le due stanze della libreria segreta, il vestibolo, la galleria e il Salone Sistino, sotto papa Sisto V (1587-1590). Cesare Nebbia, Giovanni Guerra e numerosi altri pittori eseguono gli affreschi relativi su progetto di Federico Ranaldi, custode della Biblioteca pontificia (15881589). Gli affreschi erano già attribuiti a Marco Marchetti da Faenza, pittore operante in Roma durante il pontificato di Gregorio XIII, predecessore di Sisto V. La pittura della Sala degli Scrittori presenta ciascuna Sibilla sedente su un trono marmoreo, vicina a una collega e di fronte a una terza, tra scene didattiche che riguardano l’istruzione scolastica, la fabbrica, la stampa e lo studio dei libri nel paesaggio della città fluviale. Nel primo angolo della sala, la Sibilla Persica, donna anziana (tav. 18), ha di fronte la Eritrea e come vicina la Samia, che fronteggia la Frigia69. Il Museo Cristiano della Biblioteca Vaticana espone nella vetrina 7, accanto alla piastra smaltata della Sibilla Delfica (n° 39), una bella piastra di rame convessa (n° 38, Limoges, XVI secolo). Questa, coperta di smalto su ambedue le facce, raffigura la SIBYLA PERSCICA, dice (sic) la sua banderuola bianca inscritta di caratteri neri. Tale Sibilla Persica tiene in mano una lanterna in forma di tempietto bruno, lumeggiata d’oro, e per tutto responso esibisce il proprio nome nel filatterio svolazzante. Ella «tient un temple dont la porte est ouverte, temple de Janus que ferme la guerre, mais que la paix apportée au monde par la naissance du Fils de Dieux fait ouvrir»70. La stampa Vaticinia Sibillarum de Christo, incisione firmata «Antonius Tempesta inuentor», impressa da Iacobus Laurus (Roma 1600), ritagliata e montata su una stoffa a colori vivaci (mm 210 × 145), conforma una galleria dei ritratti delle Dieci Sibille. Questa sorta di quadreria corona 67 Barbier de Montault 1869: 68 Bernardini 2002: 61-115.
341-342; Salerno 1967: 31-32, tav. IV.
69 Pistolesi 1829: III, 168-169; Barbier de Montault 1869: 344; Hess 1967: I, 169; II, 110, 113, fig. 2, 6; Böck 1993; Madonna 1993: 84-85. 70 Barbier de Montault 1869: 338; Stohlman 1939: 53-54, tav. XXX.
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lungo i quattro lati la scena centrale, che rappresenta l’adorazione di Maria Vergine assunta in cielo con il Bambino in braccio. Iacobus Laurus dedica la stampa a «Monaldo Vigilanti» in quell’anno giubilare, regnante papa Clemente VIII. La prima e ieratica Sibilla PERSICA, ritratta di profilo a mezzo busto, ha il capo coperto da un velo e per giuramento posa sul petto la mano sinistra, mentre con la destra regge il proprio codice oracolare. Il suo vaticinio cristologico e mariano, citato sotto come didascalia, reca un testo analogo a quello già visto: «Virgine matre ratus pãdo / recidebit arello [: asello], iucundus / princeps, unus qui ferre / salutem Rite queat lapsis»71. Lo stesso vaticinio accompagna la figura della SIBYLLA PERSICA impressa (Roma 1609) nella serie Sibillarum Decem Imaginibus, nec non eorum vaticinia. aereis tabulis incisae a Rafaelle Schiamisonio: Burgo S. Sepulchri Inuentore. Niccolaus Van Aelst formis72. Giovan Battista Ricci da Novara affresca (c. 1613) il sottarco dell’abside nella chiesa di S. Marcello al Corso, che divenne la sede di un famoso Oratorio. Ricci rappresenta anche «Le Quattro Sibille», identificate come la Eritrea, la Frigia, la Cumana e la Persica. Ciascuna, ritta, regge il proprio filatterio che le ondeggia sopra la testa. Le Sibille sono disposte entro due registri contigui, nel terzo Quattro Profeti, e accanto a un episodio principale che concerne la «Storia di Maria». Il dipinto fu ritoccato in maniera maldestra durante un restauro (c. 1865). La Persica reca il filatterio che annuncia l’incarnazione del Verbo, recando l’iscrizione SIBYLLA PERSICA INVI|SIBILE | VERB|VM . PA|LPABI|TVR: Invisibile verbum palpabitur, il Verbo invisibile si palpa73. Nell’Oratorio annesso alla chiesa di S. Giuseppe dei Falegnami sul Carcere Tulliano e Mamertino, Marco Tullio Montagnana da Velletri affrescava (1613-1617) le Dieci Sibille, compresa dunque sicuramente la Persica. Le figure delle Sibille fiancheggiano i grandi riquadri dove si effigia un ciclo delle storie della Sacra Famiglia. Nel registro superiore sono rappresentati vari Profeti74. Non ho trovato una descrizione accurata delle pitture di questo Oratorio, che adesso è di norma chiuso ai visitatori. Giovanni Francesco Romanelli affresca (c. 1639) nella chiesa di S. Eligio degli Orefici, sui pennacchi delle cappelle laterali, due belle coppie di Sibille: forse rappresenta la Persica quella che indossa il turbante bianco, il manto verde, la veste ocra, e regge la tabella oracolare. Il palazzo Della Valle, sito in Corso Vittorio Emanuele, numero civico 71 BAR,
ms. 1214, f. 31v. 20.BI.75, f. [84], n° 153. 73 Barbier de Montault 1869: 342-343; Gigli 1977: 45. 74 Zandri 1971: 65. 72 BCR,
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101, attuale sede della Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana, presenta nell’anticamera della Sala Grande, detta Sala Serpieri, un bel soffitto ligneo istoriato tra il 1630 e il 1640. Nei cassettoni sono dipinte «Le Quattro Sibille»: la Cumana, la Erithrea, la Europea e la Persica. Questa, sedente, legge il reponso dal suo rotolo sibillino, mentre un putto regge il cartello identificativo PERSICA. Sul registro inferiore appare il responso ILLE DEVS CASTA NASCETVR VIRGIN MAGNVS. Pietro Della Valle, celebre persianista, turcologo, viaggiatore e letterato romano, risiedeva allora nel palazzo di famiglia. Egli vi teneva convegni musicali, compose e rappresentò un oratorio sul tema Esther75. Per committenza di Carlo Rondinelli governatore di Cento, Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino dipinge il quadro la Sibilla Persica (Bologna 1647). La Pinacoteca Capitolina acquista dalla collezione del cardinale Carlo Francesco Pio di Savoia il quadro (1750), che espone nella Sala di S. Petronilla76. Guercino ritrae una leggiadra giovane elegante e pensosa. Veste il turbante ceruleo, la mantellina rossa foderata viola e svolazzante, la trina bianca e l’orlatura turchina che sul petto mitigano la scollatura generosa. Ella illumina la penombra mentre siede assorta dinanzi allo scrittoio. Medita, la guancia poggiata sulla mano sinistra e il gomito teso sul proprio libro, il cui taglio inferiore mostra il titolo nero SIBÌLLA PERSÌCA. Ella pensa la frase che prosegua e concluda il responso oracolare che sta scrivendo con la penna esitante sul foglio. Vi si distinguono due strofe di 5 e 3 linee vergate in tralice, minuti caratteri latini e lingua misteriosa, forse decriptabile, ove non siano ghirigori mistici. Luigi Cunego, incisore che traduce a stampa il dipinto (Roma 1780), vi pone come didascalia il responso «Ille Deus casta nascetur Virgine Magnus. Sib: Persica». La stampa di traduzione delineata da Stefano Tofanelli e incisa da Pietro Bettelini (Roma 1797) non aggiunge alcuna frase sibillina77. Il pittore Giacinto Brandi affresca (1682-1683) «La Vergine Assunta in cielo», che entro la grande cornice a stucco dorato esalta la volta della chiesa di S. Silvestro in Capite. Come peducci dell’affresco sono situate ai quattro angoli basilari della volta (1683) «Le Quattro Sibille» dichiarate Persica, Cumana, Tiburtina e Samia, opera dello scultore Girolamo Gramignoli a bello alto rilievo bianco su fondo oro. Le Sibille, quali testimoni del trionfo della Vergine, stanno su nubi in cielo e ciascuna, assistita da un angeletto, reca il proprio oracolo. Un angeletto regge, al fianco sinistro della 75 Càllari 1932: 345-346; Pirzio Biroli Stefanelli 1976: 18; Frommel 1973: I, 100, 145;
II, 335-353; Pericoli Ridolfini 1984: 20. 76 Guarino – Masini 2006: 286-287, n° 130; inv. PC 146, olio su tela cm 117 × 96. 77 BCR, 20.AII.40, f. 22; BCR, 20.BI.40: 24.
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prima, la tabella inscritta SIBIL|LA | PERSI|CA. Anziana estatica, siccome l’antica sibilla decana, la Persica sedente su una nube volge lo sguardo al cielo mentre posa sulle ginocchia e mostra tra le mani il rotolo dispiegato. Vi si scorge inscritto il vaticinio VOX VENIET… PER DESERT… «la voce verrà attraverso il deserto»: in riferimento a Isaia e Giovanni Battista (Mt 3, 3). Le tre Sibille Cumana, Tiburtina e Samia sono associate alla figura sovrastante di Maria «while the fourth, the “Sibylla Persica” refers to Saint John the Baptist»78. Terminata la nuova decorazione della chiesa di S. Silvestro in Capite, ne fu rieretta la facciata su disegno di Domenico de’ Rossi al tempo di papa Clemente XI (1703). I bozzetti in terracotta dei quattro altorilievi sibillini erano murati nel portico, ma adesso non vi si vedono esposti. Ricordiamo che di fianco alla chiesa di S. Silvestro in Capite sta il palazzo di Via del Gambero dove, allora numero civico 3, abitò il sacerdote romano Leopoldo Sebastiani († 5 settembre 1843), già Prefetto delle Missioni in Persia (18031814), biblista, grecista e persianista. La Sibilla Persica rimane dunque la vaticinatrice più rappresentativa e ispirata tra le Sibille antiche che sono evocate nel paesaggio monumentale romano. D’altronde vi circolava qualcuna in veste d’indovina popolana. In una zingaresca composta da Domenico Baldaracco romano (1629), un Franzese diceva: «io sono bone scriuane / e dilisgiente», chiedendo a Norcino: «Hauete poi l’arsgiant / de pagare le scriture?». La Persiana si presenta: «Nella Persia l’honore ne porto della prima / Zinghera dell’opima fama immortale». E: «Nelle parti Persiane / dou’io nata e nudrita / non ci è beltà vnita come tra voi», pure in Roma «M’ardisco io di dire, / che noi donne Persiane / perdiamo delle humane / appresso à voi». Ma: Hò di Persia recate / cose di gran valore, / che mantenan l’amore / d’huomini e Dei. / Rimira queste fasse, / scritte in lingua Persiana / Mercurio di sua mano / Donò à sta meschina79.
3. Zoroastro in Vaticano Honorius Augustodunensis ripartiva in sei età la storia mondiale, trattata nel III libro della cosmografia De imagine mundi (post 1112, ante 1137). Nella terza età del mondo, quando avvenne la vicenda di Saturnus et Jupiter, «Prima sibylla Persica claruit»: apparve la prima sibilla, la Persica. Zoroastro, coevo di Abramo, si situa nella seconda età del mondo. 78 Barbier de Montault 79 Baldaracco 1629.
1869: 353; Kane 2005: 65, 86-88.
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Al tempo di Nino e Semiramide «inventa est magica ars a Zoroastre rex Bactrianorum»80. Zoroastro, secondo Platone, sarebbe colui che sancì «la venerazione dei numi e la regalità». Tale concezione è affine alla teoria platonica della dialettica anima-corpo e bene vs male nel moto cosmico. Secondo Plutarco, Zoroastro «il mago: il sapiente» asserì come i due princípi cosmologici il bene e il male. In ricalcolo di Plinio, l’arte della magia «senza dubbio è originata in Persia da Zoroastro», che «anche per Aristotele visse 6000 anni prima di Platone», e «per Ermippo 5000 prima della guerra di Troia». Isidoro, celebre filologo santo cristiano, definiva Zoroastres patruus dei Magi e re dei Bactriani81. Perdura da secoli, invero alcuni millenni, la disputa indotta dalle tesi disparate circa la reale esistenza, la patria, l’epoca, la figura, la dottrina e l’opera di Zoroastro. Una teoria lo calcola vivente intorno all’anno 1000 a.C. La datazione autoctona tradizionale riferisce che Zarathuštra visse «268 anni prima di Alessandro» Macedone, oppure 300, quando si calcola che tale profeta o riformatore religioso convertì il re Vištâspa nell’anno 42 della propria età82. In tradizione zoroastriana il leggendario Kay Vištâspa (Wištâsp) diventa il patrono della religione di Zoroastro, che rivela l’avvento del futuro «redentore» (avest. saošyant, mediopers. sôšâns / sôšyans), creduto nato da una vergine e il Salvatore finale del mondo, in escatologia. Theodoros bar Qônâî di Kaškar e Κô‘dâdh di Marv, vescovo siriaco di Hedhatthâ (VIII-IX secolo), e successivi autori cristiani attribuivano a Zoroastro la profezia dell’avvento di Cristo Redentore del mondo83. Tale profezia, stante il presagio della stella e il segnale del fuoco, è anche addotta come movente della missione dei Tre Magi evangelici in epoca augustea e parthica84. La figura di Soroastrus, il padre dei magi, vissuto nell’anno del mondo 2009, era affrescata nel palazzo romano rinascimentale di Giordano Orsini85. La scuola neoplatonica trasmetteva a circoli umanistici una certa idea di Zoroastro. Presso Niccolò V Parentucelli, il papa umanista, pare immessa (c. 1450) la Sapientissimi Pselli Expositio riguardante gli «Oracoli Chaldaici». Il commento greco di Gemisto Pletone (ante 1450), reso latino da Giano Lascaris (c. 1500), attribuisce tali oracoli all’autorità di Zoroa80 PL
172, 167 e 169. Alc. 1, 121E-122A; Leggi 10, 896-897; Plut. mor. 369-370: Isis & Osiris 46-47; Plin. nat. 30, 2, 3-5; Isidorus, Etymologiae 8, 9, 1. 82 Wiesehöfer 2001: 139-148. 83 Bidez – Cumont 1938; Monneret de Villard 1952: 127-138; Gnoli 1995/96; 1997/98. 84 Vedi anche I.3. 85 Vedi anche III.1. 81 Plat.
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stro. In Accademia Platonica fiorentina, Marsilio Ficino ideava un tempio della filosofia e annoverava tra gli antichi maestri della pia filosofia Zoroastro, siccome egli predisse la resurrezione dei morti. Giovanni Pico della Mirandola nelle proprie 900 Tesi filosofiche e teologiche (Roma, dicembre 1486), traeva la conclusione 14 circa gli «Oracoli di Zoroastro», che aveva predetto l’avvento di Cristo86. Tale asserita predizione può giustificare la presenza accademica di Zoroastro quasi a fianco e faccia di Raffaello, quando egli affresca (15081511) La Scuola di Atene, cosiddetta, nella vaticana Stanza della Segnatura. Qui stava la biblioteca privata di Giulio II della Rovere, il papa committente. Egli, in riferimento alla qualità letteraria e filosofica della sua bibliotheca secreta, era un contributore della iconografia del ciclo pittorico qui affrescato da Raffaello. Altri eruditi coevi, tra cui Tommaso Inghirami, bibliotecario pontificio, docente e letterato, avrebbero contribuito a ideare il programma iconografico. La lista di filosofi e scienziati che Dante situa nel limbo (Inf. IV 130-141) è rilevata come una fonte letteraria principale circa «La Scuola di Atene»87. Come pittura raffaellesca, rappresenta piuttosto il simposio sereno delle grandi invenzioni filosofiche antiche, un ideale convegno accademico che si svolgeva in Roma, tenendo presente la collezione libraria che formava la biblioteca papale, fornita di molti codici, i cui autori classici, medievali e umanistici animano quindi il simposio rinascimentale romano. An amazing number of books populate the frescoes of the Stanza della Segnatura, and very few of them are being ready by silent scholars sitting alone; they are being passed around, declaimed aloud, spied over sholders, all of them public treasures that serve as subjects for animated conversations, just as their counterparts in the Vatican libraries must have done (and still do)88.
Raffaello rappresenta Platone e Aristotele al centro dell’Accademia, dove ripartisce le rispettive compagnie di discepoli, seguaci e convegnisti. Platone regge il suo libro cosmologico Timaeus e tende l’indice destro al Cielo, come autorità in divinis. La contrasta Aristotele, che esibisce la sua Ethica e indica la Terra, come maestro in naturalibus. Presso l’angolo destro dell’arcata, come rimando al gesto scenico di Platone, Zoroastro esibisce il globo celeste e quale controparte Tolomeo, il cosmografo di Ales-
86 Dannenfeldt 87 Winner
1957; Maltese 1998; Stausberg 1998: I, 35-256; Albanese 1999. 1993; Hall 1997; Emiliani – Scolaro 2002: 152-153; Rohmann 2005; Taylor
2009. 88 Rowland
1998: 164-166, 312-313.
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sandria ellenistica, reca il nuovo globo terrestre (tav. 19). Questa funzione spetterebbe meglio al geografo greco Strabone, per ipotesi89. Vasari scrive: Laonde Raffaello, nella sua arrivata avendo ricevuto molte carezze da Papa Iulio, cominciò nella Camera della Segnatura una storia quando i teologi accordano la filosofia e l’astrologia colla teologia, dove sono ritratti tutti i savî del mondo che disputano in varî modi […]. E allato a una figura che volta il didietro et ha una palla del cielo in mano, è il ritratto di Zoroastro, et allato a esso è Raffaello maestro di questa opera, ritrattosi da sé medesimo nello specchio: questa è una testa giovane e d’aspetto molto modesto, accompagnato da una piacevole e buona compagnia, con la berretta nera in capo.
Giovanni Pietro Bellori, critico romano, che per primo definiva «La Scuola di Atene» l’affresco di Raffaello, osserva: la corona radiosa, e ’l mantello d’oro sono contrassegni di Zoroastro Rè de’ Battriani, il quale oltre l’Astronomia, fu peritissimo nelle scienze delle cose naturali; ancorche si tenga ch’egli corrompesse la vera Magia90.
Intanto I Magi discutono sulla sfera celeste: monocromia castana che Perin del Vaga eseguiva come secondo riquadro sullo zoccolo dell’aula accademica dipinta da Raffaello91. Numerose erano le scoperte geografiche recenti, quali Capo di Buona Speranza (1487), America (1492-1502), Brasile e Terranova (1500), l’India (1497-1502). Nel canto estremo dell’arcata accademica dipinta da Raffaello, entra Tolomeo, l’unico personaggio ritratto di spalle, siccome arriva ultimo al simposio. Egli, giovane elegante, vi reca sulla mano sinistra il globo terrestre, un mappamondo fresco, e per saperne il consegnatario accenna la domanda a Raffaello, che sta sulla soglia. Ma il pittore urbinate si distrae, guardando l’area dove passano e sostano i suoi spettatori d’ogni tempo. Sapiente mite che ha il diadema scarlatto, la barba bionda aguzza e la veste bianca, Zoroastro mostra il globo celeste, trapunto di stelle dell’ottava sfera, e guarda quasi verso la finestra dove si apre il giardino vaticano e il cielo. La postura del personaggio può sottintendere la predilezione del suo aforisma «XXV Quere paradisum»: Cerca il paradiso, che si legge sul codice Magica i.e. philosophica dicta magorum ex Zoroastre92. Il termine «paradiso» ha una probabile origine meda, manca in Avesta, 89 Joost-Gaugier
2002: 17-42, 104-105, 107, 109. 1976: 166-167; Winner 1988: 188; Bellori 1695: 18-19. 91 Winner 1993: 255; Emiliani – Scolaro 2002: 55, 125. 92 BAV, Ott. lat. 2966, membr., f. 108r. 90 Vasari
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il libro sacro zoroastriano, e si riconduce alla trafila anticopers. *pari-daiza- > gr. paradeisos, sir. prdys, lat. paradîsus, ar. farâdîs (plur. di) firdaws > neopers. ferdous, sinonimo pâlêz > pâliz. In letteratura avestica vahištem anhûm «la meilleure existence» denota il concetto di paradiso, mediopers. e pahl. vahišt > neopers. bihišt / behešt «paradiso»93. Francesco Romano, forse un inviato papale segreto94, detto il Mercante che fu in Persia (1502-1510) da G. B. Ramusio, che ne pubblicò il viaggio (Venetia 1559), riferisce: Uzun Hasan sultano di Persia, amico e alleato di Roma, Venezia e altri paesi europei, aveva nella capitale Tabriz (c. 1470) «fabricato nel mezzo d’un grande, & bel giardino» una reggia paradisiaca: il palazzo in lingua Persiana è chiamato Astibisti, che appresso di noi si direbbe otto parti, percio ch’egli ha otto cantoni […] li quali sono compartiti in quattro camere, & quattro salette.
Il palazzo era istoriato di scene di battaglie, ambascerie, cacce e animali, «tutt’attorno sono d’oro & d’argento, & d’azzurro oltramarino». Astibisti trascrive pers. hašt bihišt «otto paradisi», che come sintagma lessicale significa «VIII: paradiso» o viceversa, per la tradizionale forma ottagona del Paradiso, «Sanatorio» quale struttura architettonica. Circa il colore emblematico persiano, C. Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, riporta: PERSUS. Color ad caeruleum, vel a floris persicae mali colorem accedens, Gallis Pers, Italis Perso. Recte Acarisius: Perso e colore de la Persa, donde prende il nome, cioe azuro scuro et non aperto. Glossae MSS.: Synopes, color perseus95.
Le figure di molti protagonisti dell’Antico Testamento, vari premonitori dell’avvento di Cristo, tra cui Orfeo e Zoroastro, eroi, sapienti e veggenti antichi, animano le Logge vaticane decorate da Raffaello, discepoli e collaboratori per committenza di papa Leone X de’ Medici (1517-1519). Questo capolavoro eccelso, che raccorda architettura, pittura e scultura, dispone in spettacolo armonioso 52 storie bibliche nelle volte delle 13 campate e 427 stucchi in sguinci, sottarchi e pilastri. Giovanni da Udine, collaboratore di Perin del Vaga, è ritenuto l’artista maggiore che curava l’esecuzione degli stucchi. Nella galleria della Loggia Decima, sita al secondo piano, il piedritto a destra del pilastro numerato «X.C», opera di un artista anoni-
93 Gignoux
1997. anche III.9. 95 Piemontese 2009c: 115-116. 94 Vedi
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mo, figura entro il medaglione a stucco un arcaico rito funebre di un re Dario davanti all’ara di Zoroastro96. La decorazione policroma del pilastro appare splendida anche nell’incisione eseguita da Giovanni Ottaviani, collaboratore di Giovanni Volpato, su disegno di Caio Savorelli pittore e Pietro Camporesi architetto, e con privilegio di papa Clemente XIII (1758-1769). Quesa tavola a colori, conservata in Paris, École Nationale Supérieure des Beaux-Arts (inv. LES 1982, pl. 14), fa parte del grandioso album di Volpato che raffigura le Logge di Raffaello. Peraltro il soggetto del medaglione relativo a Zoroastro non vi è esplicitato97. Nel medaglione l’ara reca l’iscrizione: ARA ZER OASTRY REX DA
Un sacerdote-re coronato che, sedente, sembra tenere un codice al suo fianco sinistro, celebra un rito esequiale, l’incinerazione, accanto alla modesta ara su cui bruciano un teschio e alcune ossa o qualche fascina. Il celebrante con il braccio destro stende la verga, un ramoscello, tra una coppia di uccelli calanti dal cielo e le fiamme ardenti dell’ara, mentre indica il sacro alberello spoglio e solo che risalta di fronte a lui. L’albero secco si profila in quattro rami, sporgenti il primo come apice della pianta e sul fusto gli altri, uno a destra, due a sinistra (tav. 20). Darius, il re che dedica l’ara, pare il supposto figlio di Vištâspa, il re patrono di Zoroastro. Si è già incontrato «l’albero secco»98. Questo re viene identificato o confuso con l’omonimo Vištâspa, Hystaspes, che era governatore militare di Parthia-Hyrcania (522 a.C.) quando suo figlio, prese le redini del potere, diventa Dario I re achemenide di Persia (522-486 a.C.), in realtà storica99. Il rito rappresentato nel medaglione dovrebbe concernere le esequie di Zoroastro. La fonte letteraria del soggetto mi pare un passo attinente del Chronicon Paschale, importante cronaca anomina bizantina (c. 630). Un noto codice vaticano ne costituisce
96 Pistolesi 1838: tav. LXXIV; Mannelli – Sangeni 1842: tav. XXX; Letarouilly 1963: tav. 158; Dacos 1986: XIV-XV, 289, tav. CXXXII B; Denker Nesselrath 1993: 39, 50; Dacos 2008: 101, 109, tav. 74. 97 Gilet 2007: 140. 98 Vedi I.3. 99 Briant 1996: 75, 94, 951.
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il testimone principale100. Vista prossima la propria morte, Zoroastro «il celebre astronomo dei Persiani» raccomanda loro di cremarlo con il fuoco e di custodire le ceneri delle proprie ossa arse: «il vostro regno non svanirà fin quando conserverete le mie ossa». I Persiani così fecero, e «conservano fino a oggi le sue reliquie ridotte a ceneri»101. Nella cerimonia liturgica zoroastriana effettiva il sacerdote ostenta davanti all’altare del fuoco il fascio di ramoscelli legati da un nastro (barsôm). Secondo lo Zand î Wahman Yasn (3, 1-29), opera apocalittica pahlavi, e altri libri zoroastriani basati su passi dell’Avesta, Zarduxšt onnisciente per grazia del dio supremo Ohrmazd aveva la visione di un albero fornito di 4 rami (emblema di 4 epoche mondiali), inoltre dell’albero paradisiaco provvisto di 7 rami metallici (segnale di 7 epoche venture): il primo ramo, aureo, indicava il regno di Wištâsp / Vištâspa. Se non Raffaello in persona, la sua cerchia poteva conoscere Lilio Gregorio Giraldi, ferrarese residente in Roma dal tempo dell’elezione di papa Leone X (1513), che nominò cardinale Ercole Giraldi, fratello di Lilio (1517). Lilio, protonotaro apostolico, fugge dalla città invasa e devastata dai Lanzichenecchi (1527). Egli compose una silloge umanistica riguardante le opinioni degli autori classici greci e latini, Historiae Poetarum tam Graecorum quam Latinorum. In dialogo II con l’amico Giovanni Francesco Pico, Lilio riferisce parecchie nozioni classiche circa Zoroastres «& ipse Persomedes cognominatus est». Il discorso di Lilio riguarda anche re Hystaspes / Vištâspa e il sepolcro onorifico di Zoroastres, un santuario liturgico. Hic ergo astris multum ac frequenter intentus cupiens apud homines deus haberi, velut scintillas quasdam ex stellis producere, & hominibus ostentare cœpit, quò rudes in miraculi stuporem traherentur: desideránsque augere hanc de se opinionem, sæpius ista moliebatur, vsque eò, donec ab ipso dæmone, quem importunius frequentabat, succensus igni cremaretur. Sed homines stulti, qui quam de eo conceperant, abijcere debuissent opinionem, quippe quæ mortis pœna confutata esset, in maius extulerunt: extructo enim sepulchro ad honorem eius, tanquam amicum Dei ac fulminis ad cœlum vehiculo subleuatum adorare cœperunt, & quasi astrum viuens colere, hoc est, ζῶον ἄστρον. atque ob eam rem demum qui fulmine interijssent, sepulchris honorant, quasi amicos Dei. […] Nam Persæ ipsi nostri temporis, Hystaspis temporibus eum floruisse tradunt: quam ob causam res planè ambigua est, nec facilè dignosci potest, an Darij pater, an alius quispiam hic fuerit Hystaspes, vtcunque, hic Persarum magister & magicæ inuentor. Hæc ferme Agathias.
100 BAV,
Vat. gr. 1941. 1832: I, 67.
101 Dindorfius
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Giraldi cita qui come fonte Agatia, scolastico e storico greco bizantino (c. 532-580). Nella sezione Pytagorae Symbolae Giraldi riporta che l’«anima alata» era il simbolo di Zoroastro, come riteneva anche Giovanni Pico della Mirandola. Nella sezione De annis et mensibus notevole è la lista dei nomi dei mesi in calendario persiano: I Phordi, II Ardai, III Cardai, IV Zir, V Marday, VI Sarembe, VII Mahera, VIII Eben, IX Idra, X Di, XI Behmen, XII Azfirda102. Forma attuale: I Farvardin II, Ordibehešt, III Khordâd, IV Tir, V Mordâd, VI Šahrivar, VII Mehr, VIII Âbân, IX Âzar, X Dey, XI Bahman, XII Esfand. Zoroastro svolgeva un ruolo sensibile in molti poemi italiani cantati in ottava rima (XV-XVII secolo)103. Egli sembra rievocato poco in opere romane di genere poetico, narrativo e teatrale. Si notano tra le curiosità settecentesche qualche riferimento a parentele e linee ereditarie di Zoroastro, e un suo intervento come mago in Il Maurizio Imperatore, tragedia di G. L. Lucchesini104. Nino, dramma di Ippolito Zanelli tratto da storici antichi, Diodoro Siculo e Giustino, dedicato a Rinaldo I Duca di Modena, e rappresentato con la musica di tre diversi autori nel teatro Pubblico di Reggio Emilia (1720), fu recitato nel teatro Capranica con modifiche, la musica di Giuseppe Maria Orlandini e la dedica di Federico Capranica al cardinale Nuno de Cunha Inquisitore di tutti i regni di Portogallo (1722). Personaggi: Nino figlio di Semiramide regina degli Assiri e Atalo loro re; Zomira Regina di Battriani, figlia di Zoroastro loro Re; Idaspe Principe dei Medi confederato con i Battriani e Arbace generale assiro. Scena finta in Babilonia e sue vicinanze, durante la guerra tra Battriani e Assiri. Atalo aveva ucciso Zoroastro, per cui insorgono problemi dinastici e nuziali. (Atto III, sc. XVII) lamento di Zomira: «L’amor di Zoroastro / Così volea; così vuole il mio. / Dopo la morte sua non v’è salvezza, / Non v’è Sposo per me». Eppure (Atto III, scena ultima) Atalo le ricorda il giuramento fatto a Zoroastro: «Ella in me vedrà quel Padre, / Che in Te le tolgo, io dissi, / E sia sposa al mio figlio: il giuramento / Mi chiese, io’l diedi; ed ei spirò contento»105. Semiramide Riconosciuta, dramma di Pietro Metastasio, grande poeta romano, era posto in musica da Leonardo Vinci e rappresentato nel teatro delle Dame (1729). Personaggi: Semiramide in abito virile sotto nome di Nino Rè degli Assiri amante di Scitalce conosciuto, ed amato da lei; Mirteo Principe Reale d’Egitto fratello di Semiramide da lui non conosciu102 Giraldi
1580: 41, 59-60, 468, 582. 2009c. 104 Vedi anche III.8. 105 Zanelli 1722: 10, 30-31 (scene di Francesco Bibiena). 103 Piemontese
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ta, e amante di Tamiri; Ircano Principe Scita amante di Tamiri, Scitalce Principe Reale d’una parte dell’Indie creduto Idreno da Semiramide, pretensore di Tamiri, ed amante di Semiramide; Tamiri Principessa Reale de’ Battriani amante di Scitalce, Sibari Confidente, ed amante occulto di Semiramide. Argomento: dopo la morte di Nino Re degli Assiri, Semiramide «regnò in abito virile facendosi credere il picciolo Nino suo figliuolo», fino al rinoscimento. Si finge che fosse figlia di Vessore Re di Egitto; che avesse un fratello chiamato Mirteo educato da Bambino nella Corte di Zoroastro Rè de’ Battriani […]. Il Luogo in cui si rappresenta l’azione è in Babilonia, dove concorrono diversi Principi pretendenti al matrimonio di Tamiri Principessa Ereditaria de’ Battriani tributaria di Semiramide creduta Nino. Il Tempo è il giorno destinato da Tamiri alla scelta del suo sposo.
(Atto I, sc. I) Semiramide avverte: «Olà: Sappia Tamiri / Che i Principi son pronti, / Che fuman l’are, che al solenne rito / Di già l’ora s’appressa, / Che il Rè l’attende». Sibari conferma: «È noto altrove che la Real Tamiri / Dell’Impero de’ Battri unica Erede / Qui scegliendo lo Sposo oggi decide / L’ostinate contese, / Ce il volto suo, che il suo retaggio accese». Tamiri avvisa Mirteo: «Se di Sitalce / Pria non sei vincitor, / tu di Tamiri / Possessor non sarai». (Atto III, scena ultima) Semiramide riconosciuta diventa sposa di Scitalce. Tamiri si sceglie lo sposo e stendendo il braccio canta: «In questa mano / Ecco il premio Mirteo, da te bramato»106. Così Tamiri innestava il regio ramo dinastico di Zoroastro da Battriana in albero di Egitto e palma di Assiria. Questa opera di Metastasio fu riproposta subito a Venezia (teatro Grimani) con la musica di Nicola Porpora, con quella di G. B. Lampugnani rappresentata ancora nel teatro delle Dame (1741), nel teatro di Torre Argentina con la musica di Antonio Sacchini (1764), con quelle di altri compositori in numerose altre città d’Italia ed Europa, fino alla musica di Giacomo Meyerber eseguita a Torino (teatro Regio, 1819) e a Bologna (teatro del Comune, 1820). In una recita della Accademia Poliglotta del Pontificio Collegio Urbano de Propaganda Fide svolta nella festa dell’Epifania (1862), per il ruolo linguistico «VIII Persiano, Giuseppe Deremaò di Dehli nell’Indie» inscenava Zoroastro che istituisce «l’adorazione del Fuoco nel Sole, detto da’ Persiani Mithra»107.
106 Metastasio 107 Accademia
1729: 10. Poliglotta 1862: 11.
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4. Ciro tra Daniele, la Media e altre imprese Quando Roma sorgeva come urbe dei sette monti, un regno potente era la Media, paese situato tra la costa occidentale del Mar Caspio e la catena montuosa Zagros, che tende verso il Caucaso e l’Anatolia a nord-ovest e discende verso il Golfo Persico a sud-est. Sei tribù, tra cui una dei Magi, formavano il popolo medo. Deiokes giudice-re fondava (c. 730 a.C.) Ecbatana, la città capitale dei Medi, cinta di sette mura concentriche, ciascuna merlata di un colore dell’arcobaleno108. Alcune vicende cruciali che concernono la Media e la Persia antiche, per imprese memorabili di loro re, sono tramandate nel corpus centrale del canone biblico, che comprende i libri di Esdra / Neemia, Tobia, Giuditta, Esther e Daniele. Lo scenario romano evoca sovente questa serie di personaggi. Consideriamo dapprima Tobia e Giuditta, le cui imprese precedono per filo di cronologia. La Biblia sacra membranacea miniata (IX secolo), forse di fattura gallica, cimelio (mm 362 × 447) che si conserva nell’abbazia di S. Paolo fuori le mura, presenta l’incipit del Liber Iudith ornato a piena pagina (f. 235r). La traversa per due terzi la iniziale, splendida come emblema aureo e azzurro di ricamo floreale, che innesta l’incipit in modulo epigrafico dorato: ARFA | XAT | ITAQ: | REX MEDORÛ | SVBIVGAVERAT | MVLTAS GENTES: «Così, Arfaxat Re dei Medi aveva soggiogato molte genti» e costruito Ecbatana, la città fortissima (Jud 1, 1). La miniatura tripartita che figura a fronte come scena di antiporta sembra costituire la più antica illustrazione libraria europea della storia di Giuditta (f. 234v). Un altro il titulus ornato riguarda l’incipit di Esdra che ricorda la storica liberazione del popolo ebraico dalla cattività babilonese: IN ANNO PRIMO REGIS PERSARVM: «L’anno primo di Ciro re dei Persiani» (1 Esd 1, 1). Si ritiene che questo codice monumentale sia giunto a Roma come dono di Carlo il Calvo re di Francia a papa Giovanni VIII, che lo incoronò imperatore la notte di Natale (875). In seguito papa Gregorio VII (1073-1085) affidò in custodia il codice ai monaci benedettini dell’abbazia di S. Paolo fuori le mura109. Una Biblia sacra membranacea miniata di fattura parigina (c. 1250), ed entrata in collezione vaticana, figura imprese eroiche entro la lettera capitale incipitaria. Liber Esdre «In anno primo» Ciro re dei Persiani si rivolge a Dio. Liber Neemie «Verba Neemie filii»: Neemia offre la coppa di Vino al re Artaserse. Liber Iudhit «Arfaxad itaque rex» dei Medi: Giuditta decolla Oloferne sopreso nel sonno. Liber Ester «In die Assueri» Assuerus coronato in trono porge lo scettro verso Ester, sotto arcate della reggia110. 108 Herodot.
1, 96-101. – Morelli 1981: 13-14, 20; Cardinali 2009: 7-10, 14-15. 110 BAV, Ross. 130, ff. 180v, 184v, 225v, 231v. 109 Jemolo
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La storia di Tobia si estende verso la Media, meta di un viaggio in ricerca finanziaria di eredità. Il patriarca Tobia invia il figlio Tobia junior «a Rhages, città dei Medi sita sul monte di Ecbatana», la capitale meda, per ricevere in restituzione un dono del Re, 10 talenti d’argento, prestati a Gabael. Guida è l’angelo Raffaele, che conosce la strada verso il paese dei Medi. Viatico per andarvi fino a Rhages è un pesce enorme che Tobia con l’assistenza della guida tira a secco dal fiume Tigri, nella prima tappa del viaggio. Alla seconda, Tobia in casa di Raguel sposa Sara sua figlia, che dimorava in Rhages. Quindi Tobia invia Raffaele a Rhages per riscuotere la somma da Gabael111. Rhages (Raga) è l’odierna Rey, che viene inglobata nella regione sudorientale della megalopoli Teheran. Pellegrino Tibaldi, o Jacques Ponce con minore probabilità, affresca in palazzo Sacchetti, lato prospiciente il vicolo del Cefalo, la «Stanza di Tobia» (1553), sul cui fregio dispone in 12 scene, tre su ciascuna parete la «Storia di Tobia», rappresentata con una certa aderenza al testo biblico. In scena 10 Raffaele viaggia verso Rages. L’arrivo nella città meda rimane sottinteso112. Un pittore ignoto affresca la «Storia di Tobia» come fregio lungo il soffitto della sala da pranzo, poi sala del bigliardo, in palazzo Caffarelli, ubicato in corso Vittorio Emanuele II, numero civico 116, e adesso denominato palazzo Vidoni. Il fregio, che figura tale storia in quindici episodi, sarebbe databile tra il 1565 e il 1575. Il paesaggio di Media non sembra contemplato113. La Torre dei Venti, eretta in Vaticano per volere di papa Gregorio XIII, ospita una «Sala di Tobia», affrescata dal pittore fiammingo Mattijs Brill (tra 1577 e 1582). Raffaele guida Tobia in viaggio è un episodio tra le scene dipinte114. Luigi Manzini, autore di una Vita di Tobia, dedicata a Don Pietro Altemps Duca di Gallese (20 dicembre 1636), scrive: Trà gli altri egregi fatti di quest’ordine, che’l misericordioso consegnò alle memorie della Storia, celebre è’l seguito in Rages Città della Media. Quiui egli auuenutosi in vn tal Gabelo, che trà le famiglie della Tribu di Neftali tenea luogo di non ordinaria chiarezza; ma frà le miserie della cattiuità, sostenea grado lagrimeuole di sciagura; compassionollo sì viuamente, che l’hebbe per felice occasione di vna proua degna del proprio animo.
111 Tb
1, 16-17; 3, 7; 4: 21-22; 5, 7-8; 6, 6; 7; 9, 6. 1984; de Jong 1992; Strinati 2003. 113 Tomassetti 1905: 58-61; de Jong 1992. 114 Courtright 2003: 204-207, fig. 110-113, 119. 112 Pugliatti
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Rages era «posta nell’Ectabane». Azaria Scelse quattro de’ serui, e duo de’ Cameli di Raguele, e dopo licenziatasi da lui, incamminossi verso Rages. Il che tutto fece con vna celerità da Angelo; sì che il ritruouar Gabelo, il fargli sborsar’ il denaro douuto, e’l disporlo a venire alle nozze di Tobia in Ecbatana, fù con maggiore prestezza eseguito dall’Angelo.115
Il Tobia, oratorio posto in musica da Carlo Cesarini, cantato nel Seminario Romano e dedicato al cardinale Ottoboni (1714), reca in argomento: Tobia padre ordinò a Tobia figlio di andare «in Rage città della Media» per riscuotere i talenti prestati a Gabelo. Interlocutori: Angelo sotto nome di Azaria, Tobia Giovane Figlio, Tobia Vecchio Padre, Anna Madre. Incipit, canto di Tobia Figlio: «Zeffiretto, che placido spiri, / Dici al core: quel Cielo, che miri».116 Il Tobia, oratorio di Aberilmo Eginense, nome accademico di Giovanni Battista Visconti, fu posto in musica da Francesco Garzia e cantato presso la Congregazione dell’Oratorio (1752). Interlocutori: Tobìa Padre, Anna Madre di Tobìa, Tobìa Figlio, Angelo sotto nome di Azaria. Incipit, Tobìa: Che farà mai? La sento, / Che discesa dal colle, / Con un grave anelar, muove le piante». Angelo sotto nome di Azarìa canta: «Quel padre che dirà? Su i gioghi entrambi / Ci mandò della Media per avere / Nelle miserie sue quell’oro antico, / Che lasciò sulla fé d’un caro amico117.
Questa opera ebbe un certo successo anche nell’Oratorio di S. Girolamo della Carità (1754) e presso la Congregazione dell’Oratorio (1773), e fu ristampata almeno tre volte. L’Angelo di Tobia, oratorio che Rinaldo di Capua pose in musica, eseguita nel Collegio Nazareno (1768), reca a margine nelle pagine del libretto rinvii al testo della Vulgata e altri passi biblici e libri sacri. Interlocutori: Raffaele Angelo sotto nome di Azarìa, Tobia Figlio di Tobite, Tobite, Coro de’ Seguaci di Tobia. «L’azione si rappresenta in Ninive nel giorno stesso, che ivi ritornò dalla Media il giovane Tobia». Incipit, Raffaele: «Non chiedermi di più: basta, o Tobia». (Aria XIV) Raffaele Angelo sotto nome di Azarìa canta: «Qui fui vivendo; e quanto / Narrar udiste di funesto, e strano / Di Rage nel cammin; gli ondosi sdegni / Del sollevato Tigri»118. La storia di Giuditta, che decapita il guerriero Oloferne e vendica Be115 Manzini
1637: 52, 129, 161. 1714. 117 Visconti 1752: 10. 118 Collegio Nazareno 1768: XIV; 116 Cesarini
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tulia, avveniva quando il regno dei Medi si confrontava con il babilonese. Juditha Vindex et Vindicata, poema in 5 libri composto da Bartolomeo Tortoletti e dedicato a papa Urbano VIII Barberini (1628), reca: «Iuditha ad Persas statuit descendere primo», ella dapprima decise di andare in Persia. Quindi Medi e Persiani intervengono nell’azione. Holofernes era «Assyriorum Regis Praefectus»119. Tortoletti qualifica Oloferne duce persiano in Giuditta Vittoriosa, poema di 10 canti in ottava rima. Incipit: Canto figlia d’Abramo inclita Donna, Che di sua patria il duro assedio sciolse, Allor ch’vscita in frà i nemici in gonna Al Capitan superbo il capo tolse. La giustizia al Ciel, che non assonna, Assiri e Persi in larga strage inuolse; Ne potè di Sion suellere il regno, E gli altari di Dio barbaro sdegno.
Siccome v’era «Il Rè, ch’à Persi, & à gli Assiri impera» (Canto III 65). Giuditta nel padiglione di Oloferne (Canto IV 49) descrive: Son quivi espressi di colori, e d’oro Famosissimi regi Assiri e Persi, Che con l’arme possenti, e virtù loro A l’imperio del mondo il varco fersi. Mostra le regie fronti il bel lauoro, E son di gemme i chiari manti aspersi. Lungo fora il contar Ciri, e Nabuchi, E Sersi, & altri memorabil Duchi.
Giuditta vede istoriata la vicenda di Esther e Assuero nel padiglione del militar tesauro (Canto IV 82-91). «Vede ella qui de la superba Vasti / Pinto il ripudio, e del gran Rè lo sdegno, / E frà mille fanciulle i lumi casti / De la candida Ester chiamati al regno». Oloferne vantava: «Son’arme innocentissime le Perse» (Canto IV 57). Ma Giuditta per destino diventa «la Persica sferza», uno strumento di Dio. Era Oloferne «il Capitan de’ Persi» (Canto VI 1). «Seguon de’ Persi le gran bande elette, / Di lancie vn nembo, e di fierezza estrema; / Carche d’acciaro il lato destro, e ‘l manco / Con piume à l’elmo, e scimitarre al fianco» (Canto VI 7). Forco capitanava torme provenienti dai Persici lidi, «Gente à le rubberie viè più conforme» (Canto VI 31). «E tu, che di Giudea curi lo scampo, / Non ti doler, che fieramente as119 Tortoletti
1628: 10, 14, 56, 201.
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saglia / Betulia e il Perso; à si possente campo / Hò già prefisso, che Giudit preuaglia» (Canto VII 69). «L’imprese di Ciro» erano scolpite su una gran tazza «e sembran vere» (VIII 73-81). Vendetta eroica di Giuditta: «Reggi il mio braccio, ò Dio, spicca dal busto / Del Ladron Perso l’esecrabil testa» (VIII 90)120. Pare difficile stabilire adesso quali tra i molti pittori che raffiguravano in Roma Oloferne, specialmente nell’atto della sua decapitazione, lo considerassero un guerriero persiano, e quando dipingessero di tempra persica l’arma impugnata da Giuditta. Iudith, oratorio di Filippo Capistrelli posto in musica da Innocenzo Fede fu cantato presso l’Arciconfraternita del SS. Crocifisso (1685). In argomento della seconda parte: Giuditta però scorgendo il tempo opportuno d’eseguire il suo consiglio, stante che Oloferne, aggraguato da vn sonno profondo per ebrietà della Cena giaceua in letto, fatta vna brieue, mà feruorosa oratione à Dio, impugna una Daga Persica pendente da vna colonna del letto di Oloferne, e presolo per il crine lo percote con tutta la forza due volte nella ceruice, e recidendoli la testa dal busto l’auuolge in vna parte del Padiglione del letto di Oloferne, e la consegna ad Abra sua Ancella121.
Iudith Triumphus, oratorio di Giovanni Francesco Cecconi posto in musica da Gregorio Cola romano e cantato presso la medesima Arciconfraternita (1706). Interlocutores: Ivdith Vidua Bethuliae, Holofernes Princeps Militiae Assiruorum, Ozias Princeps Populi Bethuliae, Vagao Eunuchus Holofernis. Argomento: antagonista dell’eroina giudaica era il «potente Satrapa Persiano, che è quanto dire Holoferne». Incipit, Holofernes: «Eià gloriam det mihi / Vndique Fama volans: / Plaudant mihi parta trophea / Et Holofernes fiat noua Medèa»122. Iudith, oratorio di Francesco Domenico Clementi romano cantato con la musica di Francesco Acciarelli romano presso la medesima Arciconfraternita (1706). Interlocutores: Olofernes, Vagao Eunuchus, Iudith, Abra Iudith Famula, Ozias Princeps Populi Bethuliae, Holofernis. L’argomento qualifica «Oloferne Capitan generale di Cambise». Incipit: «Quis resistit Oloferni, / Oloferni fulminanti?»123. La Betulia Liberata, azione sacra di Metastasio posta in musica da Gior120 Tortoletti 1648: 1, 65, 115, 118, 121, 126-29, 167, 169, 177, 218, 247-49, 253; Piemontese 2009c: 110. 121 Capistrelli 1685. 122 Cecconi 1706. 123 Clementi 1706.
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gio M. Reutter e cantata nella Cappella di Carlo VI Imperatore de’ Romani (Vienna 1734). Interlocutori: Giuditta Vedova di Manasse, Ozia Principe di Betulia, Amital Isdraelita, Achior Duce degli Ammoniti, Chabrì, Charmi Capi del Popolo, Coro degli Abitanti di Betulia. Canta infine Giuditta: «Venne l’Assiro, e intorno / Con le Falangi Perse / Le Valli ricoperse / I fiumi inaridì». Dunque «I Barbari fuggiro: / Si spaventò l’Assiro, / Il Medo impallidì». L’opera, rimessa in musica da Nicolò Jommelli, fu riedita in Roma e ricantata (1743) presso la Congregazione dell’Oratorio124. Il profeta Daniele, alto funzionario, consigliere e commensale di Dario e Astiage re dei Medi, poi di Ciro fondatore del regno persiano (558-530 a.C.), viveva tra Mesopotamia, Susiana, Media e Persia. Per congiura di satrapi e comando di Dario Medo, Daniele fu condannato a perire nella fossa dei leoni, ma l’angelo lo salvava. Per vendetta dei Babilonesi pagani e con il consenso di Astiage, Daniele era di nuovo gettato nella fossa dei leoni, ma fu soccorso da Habacuc con il vitto e salvato per intervento dell’angelo125. Daniele ebbe una celebre visione in Susa. Un episodio rilevante del rapporto tra questo profeta giudaico e Ciro concerne la dissacrazione del tempio di Bel126. Ciro, conquistata Babilonia (539 a.C.), vi libera il popolo ebraico. L’anno seguente egli emana in Ecbatana l’editto che consente la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme. Il compito di raccoglierne le suppellettili era affidato a Sassabasar / Šešbazzar, neogovernatore della Giudea127. «DANIEL» nella fossa dei leoni come soggetto iconografico era già frequente tra le pitture cimiteriali paleocristiane128. Le arti diffondono molto la figura di Daniele di per sé, estrapolato dal contesto implicito, il paesaggio medo-persiano. Per es. due celebri sculture di G. L. Bernini (c. 1655), Daniele e il leone e Ababuc e l’angelo esaltano le rispettive nicchie di pilastri nella cappella Chigi sita a S. Maria del Popolo. La tela coeva di G. B. Benaschi, Daniele nella fossa dei leoni, per la parete laterale dell’abside nella chiesa S. Maria del Suffragio, è poi posta nell’oratorio attiguo. Una evocazione romana di Ciro condottiero compare quando Polidoro Caldara di Caravaggio e Maturino di Firenze affrescano in chiaroscuri possenti (1524-1527) la facciata del palazzo di Giovanni Antonio Milesi bergamasco. MILESIA è il nome epigrafato sopra la porta del palazzo che prospetta la suggestiva via della Maschera d’Oro, così denominata per la 124 Metastasio
1734: 43, 44. 6, 16, 22, 28; 14, 27-38. 126 Dn 8, 2; 14, 13-14, 18-19. 127 2 Par 36, 22; Esd 1, 1-11; 4, 3-5; 4, 3-5 ; 5, 13-17. 128 Ferrua 1970: 15, 45, 51, fig. 7, 29, 34. 125 Dn
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maschera che figura come festone centrale sulla medesima facciata, che adesso è deteriotata come il palazzo abbandonato. Rende mirabile Milesia la rassegna di figure mitiche e storiche che traslucono come vivaci bassorilievi grigiobianchi e maestose statue dorate di eroi. Appena terminata la bella opera d’arte, palazzo Milesi subisce la medesima sorte della città, che i Lanzichenecchi di Carlo V imperatore devastano con il sacco feroce. Sopravvive lo scenario della facciata, che replicano numerosi disegni, copie e incisioni di vari artisti. Il fregio che sovrasta le finestre al primo piano evoca il fondamento arcaico e la trasmissione antica dei poteri istituzionali in sei scene scandite da vasi dorati: Saturno evira il padre Urano, il Ratto delle Sabine, Numa Pompilio consegna la costituzione ai Romani, la vittoria di Ciro, tre re vinti e incatenati presso due senatori, l’austerità di Scipio. La scena quarta, La disfatta di Spargapise, ne mostra la fuga dei soldati, inseguiti dall’esercito di Ciro. Invasa la frontiera persiana nordoccidentale sul fiume Arasse dai Massageti, il principe Spargapises loro comandante, figlio della regina Tomyris, fu sconfitto dall’esercito di Ciro. Imprigionato, poi liberato, Spargapises si suicidò. Ma, ferito nella battaglia violentissima contro Tomyris, Ciro perì. Il grande re di Persia era sconfitto e oltraggiato da una donna inesorabile129. Potrebbe forse nei chiaroscuri rappresentare Ciro l’autorevole personaggio sottostante alla scena della battaglia, dove per forza dinamica e aspetto drammatico risalta il milite persiano che afferra alle spalle un forte nemico per il capelli e vibra la spada per colpirne la testa130. La quinta scena del fregio al II piano rappresenterebbe, con interpretazione dubbia anche dei disegni correlati, La famiglia di Dario davanti ad Alessandro. Se così è, si vede coronato di alloro, affiancato da un compagno e seduto su uno sgabello, Alessandro che tende il braccio destro verso il re Dario III barbuto, supplice a braccia conserte e in ginocchio, dietro di lui astanti la sua giovane figlia e la madre anziana avvolta nel mantello. Assistono alcuni generali e funzionari131. Grandi scienziati quali Federico Cesi romano, fondatore dell’Accademia Lincea (1603), e Galileo Galilei suo amico potevano contemplare con agio lo scenario che offriva la facciata di Milesia nel suo splendore. La lapide civica posta (1872) sul lato sinistro della facciata di palazzo Cesi, eretto a fronte di Milesia, ricorda: 129 Herodot.
1, 211-214. 1658: inc. 2; Iannoni 1865: tav. 38; Grilli 1905: 100; Amici dei Musei di Roma 1960: 38-41, tav. X-XXI; Ravelli 1978: 81, 84, 416-420; tav. LXXI, LXXIV; fig. 810-819. 131 Galestruzzi 1658: inc. 3; Ravelli 1978: 50, 84, 286, 420-422; tav. LXXIV; fig. 457459, 820-828. 130 Galestruzzi
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IL PRINCIPE FEDERIGO CESI ROMANO […] INVESTIGATORE ILLUSTRE DELLA NATURA | DELL’ACCADEMIA DE LINCEI FONDATORE | IN QUESTO PALAZZO DI SUA FAMIGLIA | ACCOLSE LE SOMME ADUNANZE | E L’AMICO SUO GALILEI.
Giovanni Guerra e Cesare Nebbia affrescarono il palazzo Laterano (1588-1589), che presenta la «Sala di Tobia», la prima dell’Appartamento Segreto, la «Storia di Giuditta» e la «Sala di Daniele» nella Loggia meridionale. Il paesaggio della «Storia di Tobia» può evocare la Media nella scena Raffaele si congeda da Tobia per il proprio viaggio verso Rages. La «Storia di Giuditta» esalta in quattro scene introduttive il re degli Assiri. Nabucodonosor conduce l’esercito in guerra contro Arfaxad, quindi assale Ecbatana «la città fortissima». Inoltre Nabucodonosor, sconfitti i Medi, convoca i nobili a consiglio e chiama Oloferne capitano della milizia (Gdt 1, 1-6; 2, 1-5). Un episodio pone l’esca per la vendetta sul guerriero (Gdt 12, 10-12): Bagoa eunuco persiano invita Giuditta al convito di Oloferne132. La «Sala di Daniele» presenta l’episodio miracoloso L’angelo trasporta Hababuc nella fossa dei leoni e salva Daniele. Tre scene esaltano il prestigio del profeta dinanzi al re di Persia (tav. 21a): Daniele commensale e l’amico più onorato di Ciro, (tav. 21b) Daniele disputante con Ciro incarica i servi di cospargere la cenere nel tempio di Baal e Daniele mostra a Ciro le orme dei piedi lasciate dai sacerdoti impostori sul pavimento del tempio133. Sopra la parete, parte inferiore rispetto alla seconda di queste scene, si vede ora steso un grande arazzo, opera di Jean Jans su cartone di Antoine Coypel, Paris, Gobelin (1720-1723), inv. 43758. Reca il titolo intessuto ESTHER. Figura maestosa mentre sta in deliquio tra le braccia di re Assuero. Ciro è commemorato nella rassegna delle grandi biblioteche antiche che decora il Salone Sistino della Biblioteca Vaticana. Lo affrescano, in anno terzo del pontificato di Sisto V (1588), su progetto di Federico Ranaldi suo custode, i pittori diretti da G. Guerra e C. Nebbia. Il riquadro quarto, opera di Francesco Morelli e Giovanni Baglione, presenta la BIBLIOTHECA BABYLONICA, i cui due episodi recano la rispettiva didascalia dipinta134. La prima didascalia a sinistra concerne Daniele che con i soci studia la lingua, la scrittura e la scienza caldaiche. La seconda scena ricorda il decreto di Ciro per la restaurazione del Tempio di Gerusalemme, completata sotto re Dario I: CYRI DECRETVM E TEMPLI INSTAVRATIONE DARII IVSSV 132 Madonna
1993: 116-117; Mandel 1994: 206-208, 253 e fig. 6. 1991: 220, ill. 262-264; Mandel 1994: 229. 134 Fontana 1590: f. 85v; Rocca 1591: 42-46; Pistolesi 1829: III, 187; Tempesti 1866: 74-76; ICER 6, 177, n° 365 e 367; Böck 1988: 28-30; 1993: 52, 81-83, tav. XIII; Zuccari 1992: 62-68, tav. col. LII; Madonna 1993: 84-85; Morello 1993. 133 Balloero
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PERQVIRITVR. Dario, che veste la corona aurea sul turbante bianco e manto viola, retto da un bambino in tunica rossa, allarga le braccia per intimare il comando a Tanatai, il satrapo «della regione di là dal fiume» (tav. 22). Il riquadro quinto presenta la BIBLIOTHECA ATHENIENSIS, istituita dal tiranno Pisistrato, poi trasferita in Persia da re Serse devastatore di Atene (480 a.C.), e poi recuperata da Seleuco Nicanore135. La seconda scena a destra reca la didascalia SELEVCVS BIBLIOTHECAM A XERXE ASPORTATAM REFERENDAM CVRAT. Dalla nave si sbarcano codici, che sono riposti in cesti e casse, mentre alcuni libri caduti e altri salvi posti sul ponticello attendono il recupero. Nel contempo Sisto V dipone di rierigere la Colonna di Marco Aurelio (1589), detta Antonina. Essa, eretta (193 d.C.) per celebrare le campagne vittoriose di Marco Aurelio contro Germani e Sarmati (169 e 179 d.C.), domina la piazza Colonna. La lapide posta sul basamento ricorda anche imprese dell’imperatore in zona parthica136. La grande epigrafe sistina cita dapprima l’imperatore come vincitore di Armeni e Parthi: M. AVRELIVS IMP. | ARMENIS PARTHIS | GERMANISQ. BELLO | MAXIMO DEVICTIS | TRIVMPHALEM HANC COLVMNAM REBVS | GESTIS INSIGNEM | IMP. ANTONINO PIO | PATRI DEDICAVIT.
Notevole è un disegno di Giusto Padovano per la Cronaca universale Orsini, il quale rappresenta al centro Cyrus Rex e Alexander Rex Macedo a fianco137. Si rappresenta Ciro quale patrono del popolo ebraico nella Galleria di Alessandro VII, salone lungo e stretto che Pietro da Cortona erige (1656) nel piano nobile del palazzo del Quirinale, lungo l’ala costruita da Giovanni Fontana. Papa Alessandro VII, l’erudito Fabio Chigi, studia e sceglie di persona i temi biblici della «Storia d’Israele» culminante nell’esito evangelico, per indicare agli artisti il programma decorativo della Galleria che prende nome dal committente138. Pietro da Cortona dirige i pittori della sua scuola che eseguono il ciclo di affreschi sulle due pareti e sul soffitto della Galleria, dove le scene grandi sono inquadrate da cornici. Si raccontanto 18 storie in tre sequenze evolutive: ante legem, la creazione di Adamo e gli eventi fino a Giuseppe; sub lege, Mosé, Giudici, Re, il giudizio di Salomo135 Gell.
7, 17, 1-2. 1590: ff. 99-100; Galletti 1761: 24, n° 55-58; ICER 13, 129, n° 209-212; S. Maffei, «Columna Antonini Pii»: LTUR 1, 298-300. 137 Roma, Ist. Naz. della Grafica, F.N., 2825v; Poeschel 1988: fig. 5; 1999: 176-181, Abb. 121-124. 138 BAV, Chig. O.IV.58. 136 Fontana
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ne, la giustizia di Ciro, e l’esito sub gratia, l’Annunciazione e la Natività di Cristo. «L’Historia del Rè Ciro, che libera il popolo dalla schiauitudine è di Ciro Ferro Romano»139. Ciro Ferri, ventitreenne, rappresentante ufficiale della scuola cortonese, dipinse Ciro libera il popolo d’Israele dalla cattività in Babilonia. L’affresco, incorniciato come una grande tela rettangolare, occupa quasi la metà centrale della interna parete Est nel settore della Galleria che costituiva il cuore del programma iconografico ideato da Alessandro VII. Questo settore forma adesso la Sala degli Ambasciatori. Essa e le adiacenti Gialla e del Trono, attuale Sala di Augusto, risultano dalla tripartizione della Galleria che l’architetto Raffaele Stern eseguiva (1809), con la perdita irreparabile di affreschi, nel ristrutturare il palazzo per il progetto dell’insediamento napoleonico al Quirinale, che però rimase inattuato140. Il bozzetto preparatorio dell’affresco di Ferri viene adesso attribuito da alcuni critici a Lazzaro Baldi141. Il pittore Ciro Ferri figura re Ciro che indossa la corona aurea foggiata a lamine, la veste verde e un manto color ocra, mentre solitario e pensoso presiede l’esecuzione del proprio editto nel palazzo colonnato, aperto (tav. 23). Egli è assiso sopra un ampio piedestallo semialunare marmoreo che funge da trono inaccessibile. Fervono i preparativi per la partenza del popolo liberato verso Gerusalemme e il suo Tempio. Un gruppo di popolani prepara fagotti, e uno più folto conversa contento. Giovane ritratto di profilo, Ciro estende il braccio destro per indicare un uomo anziano, Sassabasar che, in ginocchio sotto il piedestallo, attende la destinazione templare di un bacile colmo di monete auree, retto da servitori. Dietro di loro, dalla parte destra estrema, già avanza la menorah, trasportata a spalla dai latori. Nel testo biblico Ciro, il re di Persia liberatore e giusto, riceve la qualifica divina di «unto» e la somma promessa «Et dabo tibi thesauros absconditos, Et arcana secretorum» (Is 45, 1, 3). Nel soffitto della Sala degli Ambasciatori è dipinto Il Giudizio di Salomone, che per dimensione corrispettiva e rimando sequenziale sovrasta il riquadro di Ciro. A fronte di questo, sulla parete aperta dalle finestre e prospiciente il cortile d’onore del palazzo, il riquadro rettangolare oblungo figura il Creatore che spedisce l’arcangelo Michele, il quale lo affianca in volo e tende la spada, a perseguire oltre l’albero fatale Eva e Adamo, espulsi dal paradiso. La scena di Ciro sta tra due minori medaglioni laterali, la 139 BAV,
Chig. H.II.40, f. 349r; BAV, Urb. lat. 1707: 42-44.
140 Wibiral 1960: 137, 164, fig. 17-18; Jacob 1971; Krautheimer – Jones 1975; Quinterio
1991: 154-160; Mola [1663] 1966: 133-134; Oy-Marra 2005: 327, 338, 341-343 e fig. 242. 141 Galleria nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini, inv. 2492; Negro 2008: 163, 166, ill. 17-18.
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Strage degli infanti innocenti e l’Annunciazione. Su una corta parete laterale d’ingresso è rappresentata La Natività, e su quella a fronte La Resurrezione di Cristo. Egli regge il gonfalone bianco crociato rosso nella mano destra, il libro aperto alle due pagine inscritte VT | VNVM | OMNES | SINT. A scalare di monte sono testimoni prossimi Abramo e Mosè, e in primo piano del registro inferiore Pietro e Paolo, tra i Quattro Evangelisti e gli altri Apostoli. Il tema riguardante Ciro, Daniele e vicende connesse ai regni antichi di Babilonia, Media e Persia, inoltre Lidia, si ampliava poiché veniva espresso sovente in varie forme drammatiche e musicali, sia sacre, sia profane. L’oratorio, introdotto da un breve argomento e diviso in due parti, sovente era composto in Roma da sacerdoti poeti e musicisti, e di norma eseguito durante la quaresima come contraltare ecclesiatico alla stagione laica del carnevale (XVII-XVIII secolo). Certe opere erano basate su testi biblici, altre imbastite sul filo classico della tradizione storica e letteraria. Conviene esporre questa materia intricata secondo l’ordine cronologico delle opere prodotte, che sono interrelate sull’onda della voga scenica, durante quei secoli e i primi decenni del XIX. In tale repertorio emerge il ruolo di Ciro e Daniele come protagonisti maggiori. Girolamo Bartolommei (già Smeducci) fiorentino, Accademico Umorista di Roma, dedicò a papa Urbano VIII il volume delle proprie tragedie, mentre l’editore Francesco Cavalli lo dedicava al «Principe D. Taddeo Barberini Generale di Santa Chiesa, e Prefetto di Roma» (1632). Interlocutori nella tragedia Creso di Bartolommei: Creso Rè de’ Lidi, Nanide Figliola di Creso, Nutrice, Oraxe Capitano di Creso, Ciro Rè di Persi, Arpago Capitano di Ciro, Messaggiero, Daniello, Telmisse Aruspice, Nunzio, Soldati di Creso Soldati di Ciro, Choro di Fanciulli Hebrei, Cittadini, Furie, e altri. La Scena: Sardi. Argomento: «Creso Rè de’ Lidi, mentre pieno di alterigia recusa la pace con Ciro Rè de’ Persi», che conquistava Sardi, capitale di Lidia. Creso vinto è destinato al rogo, eppure graziato: «scampo che gli concede il cortese Ciro, ma per suo Consigliero l’elegge». (Atto II, sc. IV) Daniele mostra a Ciro le «sacre Carte» dove era scritta la profezia d’Isaia al suo riguardo. (Atto V, scena V e ultima) Ciro dice: Al Gran Rè d’Isdraele io fare intendo / Ricca ed opima offerta, e render grazie / Che mille riceuei dalla sua mano / Della vittoria, e de fauori antichi, / Onnipotente, a cui m’inchino humile142.
Da notare due tragedie sacre che Bartolommei dedicava al cardinale Francesco Barberini. In Giorgio come primi tre interlocutori compaiono 142 Bartolommei
1632: 593-692.
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Angelo Protettore del Regno Persiano, S. Giorgio Capitano Generale del Re, e Sofo Re de Persi. «La Scena è Sira nella Persia» (forse la città di Širâz). Argomento: Giorgio «Capitano delle Persiane milizie» libera dalle fauci del Drago la figlia di Sofo, rappresentante «La Regia stirpe de gli Augusti Sofi». In esito il santo martire Giorgio «fulmina dal cielo il Mago» per «la salute del Popolo Persiano». Sofì era chiamato il re safavide di Persia coeva dell’autore. Bartolommei in Polietto celebra Polyectus, santo martire di Mitilene (Armenia, 13 febbraio) al tempo dell’imperatore Decio. Felice prefetto di Mitilene nominava Polietto «Capitano incontro a’ Persi», i nemici «Rubelli all’alta Roma»143. Poliuto, tragedia (Polyeucte) di Pierre Corneille riguardante questo martire e tradotta da Filippo Remelli romano, fu recitata nel Collegio Clementino (1701). Scena: Mitilene durante la guerra tra Romani e Persiani144. Il Daniello Prencipe de Profeti, trattato di Jeremias Drexel gesuita, commenta il testo biblico, per es. la misteriosa iscrizione comparsa nottetempo su una parete della sala regia di Baltassar re dei Caldei in Babilonia, e decifrata da Daniele. Egli viene poi invidiato dai satrapi di re Dario145. Daniele decifrò tre parole enigmatiche che le dita di una mano umana avevano tracciato. La terza era Phares, e rivela a Baltassar: «Il tuo regno fu già diviso e dato a Medi e Persiani» (aram. Parsin > Paras «Persiani», pers. Pârs, ar.-pers. Fârs). Quella notte Baltassar fu ucciso e gli successe Dario Medo, che nominò per il governo del regno tre principi, di cui uno era Daniele, quali sovrintendenti a 120 satrapi. «E così Daniele mantenne la carica durante il regno di Dario e di Ciro re di Persia» (Dn 5, 28 e 30-31; 6, 1-2, 28). Ciro, tragedia composta da Andrea Bovio e recitata nel Seminario Romano (1654), aveva per luogo di azione Susa. Tra i personaggi sono Astiage Rè de Medi, Ciro detto anco Dario, Ciassare Rè de Battriani, Ariena Amazone sua figlia, Daniello detto anco Baldassar Profeta, Choaspe Mago Sacerdote di Mitra, Zorobabele Capitano del Popolo Ebreo, Mitridate Pastore creduto Padre di Ciro e Choro di giouani nobili compagni di Ciro. Compare in prologo Angelo di Media. In prima scena «Esce Isaia dal Limbo, per vedere auuerato ciò, ch’egli hauea profetizzato di Ciro: che di Pastore fatto Rè, haurebbe restituita à gli Ebrei la libertà, à Gierusalemme il Tempio». (Atto V, sc. X) «Daniello huauendo trovato viuo Ciro nella selua, doue era stato trafugato da Ariena, lo fa vestire de gli habiti di Rè». (V, sc. XII) «Daniello predice à Ciro ed Ariena felicissimi imenei, e racconta le future glorie d’amendue» Scena ultima: «Ciro tionfante à suon di trombe fa promulgare la 143 Bartolommei 1632: 144 Corneille 1701. 145 Drexel
293-391, 393-489.
1645: 445-446, 453-495.
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libertà del popolo di Dio, e tutto si applica ad accrescere i religiosi auanzi della pietà Ebrea, seminati per il suo Regno»146. Questa tragedia, poi rappresentata con la musica di Felice Tomei, era ripubblicata senza indicare il nome dell’autore147. Nabucco Trasformato, tragedia adespota recitata nel Collegio Clementino (1665). Interlocutori: Daniele Profeta, Nabucco Rè de Caldei, Elcia suo primo Consigliere e fauorito del Rè Azzarro Generale degli Esserciti, Ariocco Governatore della Torre, Ali medico e altri. Argomento Historico: Nabucco ordina di gettare nella fornace gli ebrei che rifiutarono di adorare la sua statua. Daniele spiega al Rè la sua visione della pianta. Elcia e Ariocco congiurano. Ma (Atto III, sc. VI) questi due «Si risoluono alla fine di saluarsi nella Persia, oue Elcia tiene nascosti i tesori»148. L’Innocenza punita, opera tragica e allegorica scritta da Vincenzo Amati (d’Amato, cosentino) in sette giorni, dopo che «alcuni Gentil’uomini amici» suoi la fecero «comparir in scena» (1666). Personaggi: Lindabride, Astiage e Mandane, rispettivamente la Reina, il Rè e la Principessa della Media, Orcane Duca d’Orosa Cugino del Rè, Moraspe Principe di Persia sconosciuto sotto nome di Darispe, Oronta Infanta di Persia in habito di Paggio sotto nome d’Albanio, i Consiglieri Elimante, Cola Cetrulo Napolitano e Gibone Gobbo buffone di Corte, Genio cattivo del Duca, Ombra della Reina, Huomo incaperrucciato e Soldati Persiani. «La Scena si finge in Ebbatana. Gli Habiti deuono essere alla Meda». Ebbatana starebbe per Ecbatana. C’è anche «Ionàta, Città della Persia». Prologo da recitarsi in musica: Cadrà trafitta il sen, pallida il viso / L’innocente Reina: / Ma il tradito vccisor con egual sorte / Per man d’empio Tiranno haurà la morte. // Salirà a pena il Trono / Acclamato, / Coronato / Rè della Media il Duca, e da Persiana spada / Auuerrà, che trafitto a terra cada.
(Atto I, sc. VII) Mandane, pretesa da Orcane, era decisa: «Non hò padre, s’ei mi violenta tiranno, della Media, io più non bramo il Regno, se corona egli m’appresta, d’affanni: tutta, tutta tua son Moraspe». (Atto II, sc. XIV) Astiage uccide Lindabride che, masochista ante litteram, dice Astiage, vieni a vedere, ch’io con languida mano te lo discopro forato del tuo ferro, sanguinoso tutto quel seno, oue vn tempo (tue delitie chiamandolo) mille baci imprimesti. Moro, Astiage, moro. Hai fame di più strazij? Hai sete di più sangue? Torna mio adorato a ferirmi. 146 Bovio
1654: 5, 8, 14; Filippi 2001: 235-241. 1659. 148 Collegio Clementino 1665. 147 Bovio
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(Atto II, sc. XVI) Cola consola Mandane: «Lo Rè Astialiaco fa scasse. Tutte n’accide Prencepessa mia. Da mammata pouariella accomenzaie lo mprimmo. Piglaie la mogliere a pognalate, pienza Vossioria mò de nuie aute»149. Semiramide, tragedia recitata nel Seminario Romano (1672) reca in argomento: «Il fondamento Istorico di tutta questa Tragedia vedasi presso Diodoro Siculo nel secondo libro». Tra i personaggi alcuni sono di Bactriana antica e altri persiani. A parte Nino Rè dell’Asia e Semiramide famosa guerriera, trattasi di «Dorilo finto: cioè altra Semiramide, figlia del Rè di Battra», Farnabazo Primo Satrapo del Regno, Alete Gentiluomo del Rè di Battra e Beroso scudiero di Dorilo150. L’Evilmero, tragedia composta da Giuseppe Domenico De Totis romano Accademico Umorista e recitata nel teatro del Seminario Romano dai Convittori delle Camere Maggiori (1679), ha interlocutori babilonesi che portano nomi iranici: Arbace, Artàbano suo consigliere, Mandàne senatore, e «Artide, creduto Primogenito d’Arbace, ma poi riconosciuto per Euilmèro Figliuolo Primogenito di Nabucco». Antefatto dell’argomento: Arbace, fratello di Nabucco re di Babilonia, occupa il trono e trama l’uccisione di Cassandro, figlio di Nabucco, e «per meglio effettuare i suoi disegni inviò Cassandro in Persia col pretesto di fargli apprendere l’arti militari sotto la disciplina di Astiage Rè di Persia». Delle «insidie orditegli dall’empio Zio […] auertito Astiage, intimò guerra ad Arbace per difendere, e riporre Cassandro nel soglio Paterno», il quale «nulla curando l’offerte d’Astiage […] si parte improuisamente di Persia, e giunto di nascosto in Babilonia», dove risiedeva anche Daniele Profeta, si svela Evilmero e ascende al trono paterno151. Evil-Merodach fu il successore di Nabucodonosor (562) come re di Babilonia (IV Reg. 25, 27-30; Jer 52, 31-34). Daniel in Lacu Leonum, oratorio adespoto, cantato nell’Oratorio dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso (1688), ha quali Personae: Daniel Propheta, Darius Persarum Rex, Satrapa Regni Princeps, Mysta Sacrificus Idolorum, Alumnus sive Socius Danielis, Chorus. «Argomento del Drama»: Daniel fù condannato nel Lago de’ Leoni. Doue la seguente mattina hauendolo trouato il Rè Dario viuo, sano, ed illeso, con suo gran godimento fecelo subito tirar fuori; per gittarui in suo luogo gl’invidiosi, e perfidi accusatori, insieme colle loro mogli, e co i loro figliuoli; i quali tutti, prima di giungere al pauimento, da leoni furono per l’aria sbranati, morti e diuorati. Tal è, la Sagra Istoria, che si 149 Amati
1666: 17-18, 23, 27, 38 e «A chi gusta di leggere» (premessa autorale). Romano 1672; Filippi 2001: 335-337. 151 De Totis 1679. 150 Seminario
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hà nel capo sesto di Daniele Profeta.
Incipit, Daniel intona: «O quàm fausta Danieli, / Qua benigna sors arridet!». Al momento cruciale, il Rex canta: «O’ Daniel dilecte, / Parcente lacu viuis? / Coronam fronti necte, / Et insere te Diuis». Daniel risponde: «Rex in aeternum viue. / Deus Angelum misit»152. Sacrilegum Balthasaris Convivus et Poena, oratorio posto in musica da Giovanni Battista Bianchini e forse rappresentato nella Basilica Lateranense (1690), ha tra gli interlocutori principali Balthasar Rex e Daniel, che in canto svela il senso della parola scritta Phares: «Aduersis / Regnum Diuisum / Medis dabitur, & Persis»153. Il Convito di Baldassar, oratorio di Alessandro Ginori posto in musica da Carlo Francesco Pollaroli e cantato nel Palazzo della Cancelleria (1708). Interlocutori principali: Baldassarre Rè di Babilonia, Daniele, Ciro Rè dei Persiani e Capitano di Ciro. Questi due penetrano nottetempo in Babilonia e la conquistano mentre il suo re si distraeva a corte. Daniele: «Oh di misero Rè Sorte inflelice! / Tra funesti piaceri / Lieto festeggia; e intanto / Lo deplora il mio pianto, / Vergognoso trofeo di spada ultrice». Ciro e suo Capitano: «Guerrieri, or che resiste / Assedio sì lungo, e pertinace / L’ostinata Città, con cor di smalto / Tenti il vostro valor l’ultimo assalto». Ciro: «Sì, la notte si attenda. / Fra le tenebre accese / Più splenderà dell’ira mia la face, / Ira tutta vendetta, e senza pace». Daniele: «Ancor non si riscuote / Dal letargo mortal l’ebro Regnante? / Al balenar delle nemiche spade: / Spiran morte e terrore / La Regia e le Contrade; / Geme il popolo tutto, / E Baldassar tripudia in sì gran lutto?». Baldassarre: «E tu trionfi, o Ciro, / Eccomi prostro al suolo, / Pompe, grandezze, amor vi lascio, e spiro». Aria di Ciro: «S’intreccino al mio crine / Serti di vaghi allori. / Di gloria sul confine / Richiede il nome mio / Col giusto suo desio / Palme, ed onori»154. Balthasaris Epulum et Interitus, oratorio di Giovanni Battista Vaccondi posto in musica da Francesco De Messi e cantato nella chiesa dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso (16 marzo 1708). Interlocutori principali: Balthasarus Rex e Daniel, il Chorus Vatum Chaldeorum, a contrasto il Chorus Militum Persarum, che canta la frase: «Regis iussus nobis dona / Obedire, gloria nostra»155. Il Daniele, oratorio di Giovanni Battista Grappelli posto in musica da 152 Arciconfraternita del SS. Crocifisso 1688 (musica di Giacomo Frittelli); cfr. Franchi 1988: 600. 153 Bianchini 1690. 154 Ginori 1708: 7-8, 11, 19 (oratorio eseguito con la musica di Lorenzo Conti, Firenze 1705); cf. Franchi 1997: 56. 155 Vaccondi 1708: 5.
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Cinzio Vinchioni (1709) e rappresentato in una sede romana, ha quattro personaggi: Daniele, Dario, Ircano e Arconte suoi Consiglieri. Questi due per congiura fanno gettare «Daniele dentro in Laco de Leoni». Ma Daniele canta: «Fù quel Dio, che nell’ardente / Babilonica fornace / Fè danzar gl’Hebrei garzoni; / Col suo braccio potente / Disacerbarmi ei si compiace / Trà le Tigri, e trà i Leoni». Dario risponde: Viua il Dio d’Israele; / Ma che più tardo: o là Serui, Ministri / Spalancate quell’uscio, / Rimouete quel sasso, / E ad onta di peruersa iniqua gente / Chi sepolto fù reo sorga innocente. Nò nò più non stia / Di tanta virtude / Sepolto, nascoso / Sotterra il Tesor156.
Il Cleomene, commedia di Bandino Leone Leti, pseudonimo anagrammatico di Antonio Benedelli romano (1711). Interlocutori: Rosmene Regina di Media, Clorisbe sua figlia destinata sposa ad Emireno poi di Fidalbo, Emireno Prencipe Ereditario di Scithia, Cleomene Generale dell’Armi di Media, ma in fatti Astìage figlio incognito di Rosmene, Lindauro Rè di Armenia sotto Nome di Emerio, Idaspe suo fauorito sotto nome di Clorideo, Celaura Principessa di Persia in habito da huomo sotto Nome di Sfortunio, Nespolina Damigella Confidente di Rosmene, Uruoccolo Ciancia Napolitano Servo di Celaura, Floro Capitano della Guardia, che non parla. Mitridate aspirante al trono di Media tentò di eliminare il fratello Arbace, infante che salvo era allevato in Persia con l’infanta Celaura. Lindauro insidia la corona di Media, dove va Celaura in veste di Sfortunio «per accertarsi della fede del suo Cleomene», che però si erge a difensore del regno, quindi generale e amante di Rosmene. «La Scena si finge in Tauris anticamente la famosa Tetabane presso il Fiume Mardo». (Atto III, sc. XIX) Rosmene scopre l’agnizione: Figlio, Amato Figlio, mio tanto sospirato, perche creduto Tesoro. Tù sei Astiage involatomi dal Rè, mio Consorte, per salvarti dall’ira di Mitridate suo Fratello, che aspirava al nostro Regno, & il Barbaro, quando ti vidde fuggito fece credere a questi Popoli la tua morte. Ma per meglio accertarmi, riguardate o Principi se sotto l’Orecchia sinistra una rossa macchia risieda, che tale appunto la portò impressa dall’utero Materno il mio pargoletto Astiage.
Rismesse le vesti a posto, si celebra il regale concilio asiatico di nozze Rosmene-Lindauro, che le dona la corona di Armenia, Celaura-Cleomene «non più caualiere priuato, ma Rè di Media», e Clorisbe-Fidalbo, che riceve lo scettro di Scithia da Emireno. E «mercé di questi fortunati acci156 Grappelli
1709: 3, 17-18.
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denti sono uniti i quattro più formidabili Regni dell’Universo, di Persia, di Scithia, di Armenia, e di Mddia» [: Media]157. La morte di Ciro, tragedia (La mort de Cyrus) di Philippe Quinault tradotta, fu recitata nel Collegio Clementino (1711). Per qualche motivo storico questo anno segnava l’acme della drammaturgia romana imbastita e anche musicata sulle tematiche di cui trattiamo. Interlocutori: Tomiri Reina degli Sciti, Ciro Re de’ Persiani Prigioniere di Tomiri, Odatirso Principe Scita Generale dell’esercito di Tomiri, Clidarice sua Sorella, Arbatte Capitan delle Guardie, Fereonte Capitano Scita, Anasarispa Confidente di Tomiri, Dorianta altra Confidente di Tomiri. Argomento: «La morte di questo Re comandata da Tomiri per fini però molto diversi, da quelli, che racconta la Storia»: Tomiri fa condannare a morte Ciro, ma l’ama e si avvelena. (Atto V, scena ultima) Tomiri testamenta: unite almen nel sepolcro per pietà l’amante all’amante; e al dispetto della sorte inimica abbian un’urna medesima le ossa di Ciro, e le mie […]. Questa è l’ultima speranza, che di concepire mi lice, e avendola già fatta palese, sol di morire mi rimane. Attendetemi, o caro Ciro, degno oggetto della mia fiamma. La mia anima sta già per seguire la tua158.
Il Ciro, dramma adespoto ma del cardinale Pietro Ottoboni, fu posto in musica da Alessandro Scarlatti e rappresentato con la splendida scenografia di Filippo Juvarra architetto nel Palazzo della Cancelleria (17 gennaio 1712). Argomento: l’infanzia e il processo dell’agnizione di Ciro, allevato tra i pastori, secondo la narrazione storica di Erodoto (1, 107-131) e Giustino (1, 1.4-6). A queste verità per più vaghezza del Dramma si aggiunge che il Figliuolo d’Artembare, il di cui nome non si trova in alcun’Autore, si chiami Arsace, e che Mitridate avesse una Figlia per nome Erenia, cangiando ancora per maggiore comodità del verso il nome di Cassandane, Sposa di Ciro, in quello di Sandane, e fingendola Sorella d’Arsace.
Interlocutori: Astiage Re di Media, Arpago suo Capitano, Mitridate Padre d’Erenia, Amante d’Arsace; Ciro Nipote d’Astiage sotto nome d’Elcino creduto Figlio di Mitridate; Arsace Nobile di Media, Amante d’Erenia; Sandane Sorella d’Arsace, Amante d’Elcino. «La Scena si finge nelle Selve vicine a Ebatana, Capitale della Media»: Ecbatana. (Atto I, sc. III) Mitridate sa: 157 Benedelli 1711: 136, 142; Tauris: Tabriz antica, Tetabane < Ectabana, Mardo < Mardoi, genti stanziate in Armenia, Media e Hyrcania antiche. 158 Quinault 1711; Franchi 1997: 78-86.
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Dal sen fecondo / Di Mandane sua Figlia / Parve al Re di veder sorger gran vite, / Che con distesi tralci / Tutti dell’Asia ricoprisse i Regni. / Destossi il fier Tiranno; e dando fede / A’ notturni fantasmi, e vani augurj, / Pensò, che il primo parto di costei / Rapire a lui dovesse il regal Trono.
(Atto I, sc. VI) Astiage irride: O gelosia di Regno […] / D’un Pargoletto in volto / Richiami dagli Elisj / Il Pargoletto Ciro a farmi guerra / […] Anzi la canna umile / Tu cangi in scettro, e cangi / In Sudditi i Pastori, / In Guerrieri gl’Armenti / E la Capanna in Trono.
Mitridate «raccolse pietoso in riva al fiume» il pargoletto Elcino involto in «ricche fasce». Erenia consegna il pargoletto ad Astiage, che intendeva eliminarlo ma dava il proprio figlio in pasto ad Arpago. (Atto II, sc. XVII) Astiage rimbrotta Arpago: A che mi chiedi il Figlio? Il Figlio hai teco / Nel sangue che bevesti. / Non lo conosci ancor? Non ti sovviene / Del voto, che giurasti? è già risorto / Il suo salvato Ciro, il mio Nipote; / E se da queste fasce / Aver tu vuoi più chiari indizj ancora, / Prendile; e mi contento, che di loro / Sian di tua prole le reliquie adorne.
Arpago libera Ciro dalla prigione. Astiage è detronizzato e posto in catene ma graziato. (Atto III, sc. XVIII): «Gran Tempio del Sole, rappresentante una Reggia celeste tutta trasparente». Mitridate canta: «Queste fasce tinte d’ostro / Al furor d’un empio mostro / Le celò saggio timore. / Oggi poi da giusto fato / Rese son al lume usato / Del regal natio splendore». (Atto III, scena ultima) Ciro canta: «Vieni Sandane, al Soglio: questa benda, / Che più mi lega il cor, che sul mio crine / Il diadema real, pregio riceve / Nelle porpore sue dal tuo bel sangue»159. Il Creso Re’ di Lidia, commedia di Stefano Serangeli rappresentata nel teatro a Campo Marzio (3 febbraio 1715), reca la «Narrazione Istorica, dalla quale è tratto il Soggetto della presente Opera»: Giustino lib. I, Herodoto lib. I, Abbauille, Filippo Brevio Cronica, Massimo Plancade, Vita d’Esopo. Attori: Creso, Aty suo figlio, Palmidea anche figlia di Creso, Ciro Re di Persia, Idaspe Principe d’Ircania, Dorinice Principessa d’Assiria, Elidauro Principe di Frigia, Esopo Filosofo favoleggiatore, Orilla Damigella di Palmidea, Taccolino Servo di Creso e Marcuffo Servo di Ciro. «La Scena si finge in Sardi, capitale della Lidia sul fiume Ermo», conquistata da Ciro. (Atto I, sc. VII) Taccolino impreca: 159 Ottoboni 1712: 12, 15-16, 53, 76, 79 (libretto illustrato con 13 tavole di Filippo Juvarra Architetto); Viale Ferrero 1970: 43-48, tav. 70-86; Franchi 1994: 664; 1997: 91.
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Cancher, mi al so fuzzò da quei soldà de Persega che al me volean far prison; Ma mi ho menà du valorosi gamb, e per far veder al Mond, che non ero poltron. Zogano brauissimament la man a la volta de i Nemisi.
(Atto I, sc. XVI) Taccolino insinua a Orilla: «Desim un po», siora Anguilla, cosa hat ti fat con quei Soldà Persicari in Cà di quei Pecorari?». (Atto II, sc. XI) Esopo sentenzia: Li Cacciatori di uccelli non fanno stima delle Cicale, perche morte non son buone per cibo, e viue stordiscono col canto, e così Ciro stimandomi un Cicalone, mi ha dato la libertà di stare, e di andare doue io voglio.
(Atto II, sc. XIII) Marcuffo sbuffa: Auh, malannaggia chi me haue carriato a ssi mal’ora de Paisi marditti, tutti chini d’accisiuni, e de’mbruegli […]. Oh negregato mene, e chi deauolo bò sentire chillo zifierno de Cirro, che pè niente subbeto fa lamma fora, e accide cincocieuto perzone l’hora cò no sciuscio, oh, penza mo, che ne farà de me pouerommo.
(Atto III, sc. XIX) al dunque, Ciro dice: Ecco, o Creso; Questa Pira funebre è il Carro trionfale, che ti guiderà alle glorie, per hauer contro la mia potenza unito l’Armi della tua Lidia, e quelle dell’Assiro già estinto. Rimira Ati tuo Figlio, la Principessa di Babilonia, & il Figlio del Rè d’Ircania, che fan pompa delle catene in seguela delle tue follie.
Creso ribatte sulla linea genealogica: Senti, o Figlio di Cambise, di un Plebeo Persiano, che da me non meriti essere riconosciuto per prole di Mandane, mia Nipote, figlia di Ariena mia Sorella, mentre ancora fuggisti il nudrimento delle mammelle di una Cagna, senti, dico; Io morirò, ma viuerà la memoria al mondo, che Creso fu Figlio di Aliatte legitimo Monarca della Lidia, e che Ciro, non contento hauer priuato di vita, e del Regno il proprio Auo materno Astiage, usurpando gli altri Regni, s’insuperbisce nelle rapine.
Ma Ciro grazia Creso, che sulla pira gridava «Ahi Solone, Solone», a ricordo della sua massima «Nessuno nel mondo, sin che vive, può reputarsi beato»160. Il Ciro, dramma di Matteo Noris già rappresentato con il titolo L’Odio e l’Amor e la musica di Carlo Francesco Pollaroli a Venezia (teatro Grimani 160 Serangeli
1715: 23, 44, 70, 74, 113-114.
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di S. Grisostomo, 1703), e rinnovato con la musica di Francesco Gasparini eseguita nel teatro Capranica (1716), capovolgeva l’esito reale della guerra tra il protagonista e Tomiri Regina de’ Massagetti. Ma Ciro Rè de’ Persi, sconfitto, per un equivoco scampa alla decapitazione, che subiva invece Ciro suo capitano. (Atto II, sc. I) Tempio della Vendetta con il simulacro della Dea, il Capo di Ciro ere offerto nell’urna della gran conca piena di sangue. (Atto III, sc. XVI) Tomiri dinanzi a Ciro domanda: «Come Ciro morì, se Ciro vive? / E se Ciro tu sei, qual Ciro giacque? / Tù col nome di Ciro, / Come dianzi, o Telesia / Chiamasti il Prigionier?». Telesia figlia d’Ariodate Rè de Sciti risponde: «Perch’egli è Ciro / Egl’è il mio Sposo amato». (Atto III, scena ultima) il Paggio di Corte avvia l’allegrezza: «Qual Mercurio il Perso Rè / Di Tomiri, e il Mauritano / L’alme Reggie conciliò». Tomiri canta: «Questi è Ciro de Persi / Di noi, di voi, per fatal nodo amico, / Tornerà con Telesia / La consorte Reina»161. Ciro Riconosciuto, dramma di Pietro Pariati già rappresentato con il titolo Ciro e la musica di Tommaso Albinoni a Venezia (teatro Tron di S. Cassano, 1709), era con modifiche e la musica di Francesco Araya eseguito nel teatro delle Dame (1731). Scena: Ecbatana capitale della Media e dintorni. Coprotagonisti Astiage re del paese e «Ciro sotto nome di Artamene amante di Bardane figlia di Ciassare». Comincia Astiage: «Tanto dunque fortuna / al Persico furor si mostra amica / Che di Ciro ai perigli / Abbandonano i Persi, e spose, e figli?». (Atto III, scena ultima) Ciro inneggia: «Astiage viva, e viva / Da me difeso: al Cielo / Deggio la sua salvezza, e a lui la deggio». Astiage ringrazia: «L’animo invitto, e grande / Sostegno sia del vacillante Impero / De’ Persi audaci, e de’ feroci Medi»162. Il Creso, tragedia del cardinale Giovanni Delfino veneziano edita in Padova e Roma (1733), qui con varianti testuali che riguardano anche alcune qualifiche degli Interlocutori: Creso Re di Lidia, Solone Savio della Grecia, Sandane primo Capitano di Creso, Ciro Re di Persia, Crisante Consigliero di Ciro, Anamasi Principe d’Egitto sotto nome d’Ircade, Eleuteria figliuola di Creso sotto nome di Tigrane, Arpago primo Capitano di Ciro, Jade Regina di Lidia, Caira figlia di Creso, Nutrice di Caira, Itaspe Sacerdote Persiano, Ati figliuolo di Creso, Mitridate Medo Educatore di Ciro, Coro Mobile di Nobili Lidj, Coro Mobile di Schiere di Ciro, Coro Stabile di Lidj, Nunzio. «La Scena si rappresenta in Sardi Metropoli della Lidia dentro, e fuori le mura». (Atto I, sc. II) Creso dispera: «La Lidia oppressa, / E dal ferro di Persia ormai coperta, / Mi fa conoscer, che gl’imperj abbatte / Più che quel Re 161 Noris
1716. 1731: 68, 70.
162 Pariati
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che ha molta copia d’oro, / Quel, che di ferro abbonda». (Atto I, sc. VI) Eleuteria confessa a Ciro: «da’ corsari / Rapita; indi venduta / Fui in Media ad un pastor». Ella ammira Ciro, poi salva in battaglia: «Giacché di Persia nel linguaggio pure / La parola di Ciro il Sole esprime». Crisante sentenzia (Atto II, sc. I e V): «Da Ciro impareranno / Ne’ secoli venturi i Re possenti, / Che la clemenza è la più ferma base / Del trono, e che ad eccelse / Vittorie è certa strada». E La tua virtù, gran Ciro, / Le vittorie produce, e ’l tuo valore / Quell’opre fa, che tu a Fortuna ascrivi. / […] Quel Re, che a se prescrive / Sì generose leggi, / A se medesmo è fato; e di ciò porti / Tu la prova, o gran Ciro; / Onde attonito il mondo / Rimira i tuoi trionfi.
(Atto III, sc. V) Ciro avverte le sue schiere: «Che quel dotto Solone / Della erudita Grecia, / Una delle famose stelle, / Dell’intelletto umano ultimi segni, / E ch’oggi si ritrova / Dentro a Sardi, da voi non resti offeso». Oracolo che si ripete (Atto IV e V, sc. V): Nel dì, che in Sardi, porrà Ciro il piede, / Condanni Creso a morte in Rogo acceso; / Stia presente, l’ascoltatore, a lui dia fede, / E ’l ben perduto a Ciro allor sia reso; / Che il Ciel non niega a virtù vera ajuto; / Vedrà la Lidia, e ne sia segno il muto.
(Atto V, sc. V) Creso si rassegna: «Dirò per ubbidir del Cielo a’ Numi, / E a te pur’ alto Ciro, / Che il tuo valor, la tua pietà ti rende / Gran Nume della terra». (V, sc. VII) davanti al rogo Ati, muto dalla nascita, per prodigio parla. Itaspe interpreta: «È questo pure il segno / Dell’aiuto celeste / Dell’Oracolo promesso». Ciro comanda di estinguere il rogo. Ma presto lo spegne una densa nube che dal cielo scarica la pioggia. Eleuteria esalta: «Ecco, che sgorga un fiume / Di pioggia; ecco in un punto / Vinto dall’onda, ed ammazzato il fuoco»163. Ciro Riconosciuto, dramma di Metastasio posto in musica da Antonio Caldara e rappresentato nel giardino dell’Imperial Favorita per festeggiare il genetliaco di Elisabetta Cristina imperatrice (Vienna 1736), fu eseguito con la musica di Rinaldo di Capua nel teatro di Tor di Nona (1737). Personaggi: Astiage Rè de’ Medi Padre di Mandane Moglie di Cambise e Madre di Ciro, Ciro sotto nome d’Alceo in abito di Pastore creduto figliuolo di Mitridate, Arpago Confidente d’Astiage e Padre di Arpalice Confidente di Mandane, Mitridate Pastore degli Armenti Reali, Cambise Principe Persiano Consorte di Mandane e Padre di Ciro in abito pastorale. Argomento: 163 Delfino
1733: 148-318; 158, 166, 169-170, 174, 191, 193, 240, 262, 292, 297, 310, 311.
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Era costume de’ Re di Media il celebrare ogn’anno su’ confini del Regno, (dov’erano appunto le capanne di Mitridate) un solenne sacrificio a Diana […]. Ivi per varj accidenti ucciso il finto Ciro, scoperto, ed acclamato il vero, si vide Astiage assai vicino a perdere il Regno, e la vita: ma difeso dal generoso Nipote, pieno di rimorso, e di tenerezza depone su la fronte di lui il diadema reale.
Fonti citate Erodoto lib. I, Giustino lib. I, Ctesia, Valerio Massimo I 7. «L’azione si rappresenta in una Campagna su’ confini della Media». Incomincia Mandane: «Ma dì: Non è quel bosco / Della Media il confine». (Atto I, sc. V) Mitridate rassicura Ciro: Quasi tre lustri / Arpago tacque: alfin stimò costante / D’Astiage il pentimento, e te gli parve / Tempo di palesar […]. Al tramontar del Sole / Sarai palese al mondo: abbraccerai / La Madre, il Genitor. Questi fra poco / Verrà: l’altra già venne.
(Atto II, sc. VIII) Mandane era ancora incerta: «Dì, sei Ciro, o non sei?». Ciro risponde: Tornerò a momenti. / Parlerò: non è Permesso / Che fin’or mi spieghi a pieno. / Tornerò: sospendi almeno / Finché torno il tuo dolor. // Se trovarmi ancor non sai / Tutto in volto il core espresso, / Tutto or or mi troverai / Su le labbra espresso il cor164.
Astiage overo Le avventure di Mandane, commedia di Alessandro Pioli rappresentata nel teatro Capranica (1737), inscenava tresche circa Astiage Rè di Media e di Assiria, sua figlia Mandane, Tomiri sua finta cugina e Moraspe Rè de’ Parti. «La Scena si finge in Mandagarsi Città Regia della Media su la riva del Mar Caspio». Tra i personaggi si era per abbellimento della Scena variato il carattere di Cambise Pastore in quello di Pulcinella, per diletto degli ascoltanti, che molto più goderanno nelle sciocchezze di Pulcinella supposto Cambise, che nel vero Cambise uomo più tosto discreto, e prudente che nò. Al parere di Giustino, del Tarcagnotta, e di altri relatori della Storia.
(Atto III, sc. III) Scatozza Custode dell’Armenti di Pulcinella informa Moraspe circa Mandane: Ma però chello, ch’aggio sentito dicere pe la Corte è chesto, zoè che pe nò cierto suonno, che s’ha fatto lo Rè, s’è mutato d’appinione da maritarela a Vossoria, pe paura che non le levassero lo Truono. E perzò ha cercato de maritarela pe 164 Metastasio 1737a (scene di Giovanni Battista Olivieri; balli di Pietro Fumantino). Cito le frasi dal libretto viennese.
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ssi vuosche azzò che non pigliasse no Marito nobbele165.
Il Creso, tragedia rappresentata nel Seminario Romano (1741), aveva per scena «Sardi, dentro il Palazzo Reale» e tra i personaggi Solone Filosofo Ambasciatore di Sparta, Ciro Re della Persia, Cambise suo figlio e Tassilo Generale di Ciro erano Creso, già «spaventato dà funesti presagi di Solone» perde il regno di Lidia: mentre era tratto al supplicio, veduto da Ciro, lo commosse a tal segno con la sua miseria, che non pur della vita, e libertà, gli fe dono; ma in oltre l’ebbe caro, e sempre l’onorò con regale magnificenza166.
Evilmerodach, tragedia di Giuseppe Carpani (1742), ha come Personae: Nabuchus Chaldaeorum Rex, Artabanus Uxoris Nabuchi Fratrer, Evilmerodach filius Nabuchi, qui commentitio nomine Nadab appellatur; Beradan Artabani filius, Daniel Propheta, Asaph Supremus Militus Dux, Arisba Senex Evilmerodach olim Alto, & Custos. «Scena In Aula regia Babylonis». Ma Ciro vi si aggira. Artabanus ha un tipico nome parthico. (Actus I, sc. II) Nadab dice: «Rumor infausti exitus / Vix tegit aulam Persidis, laeto dies / Ubi Cyri Ephebos inter exegi puer, / Regale pectus, marte praestantis viri / Movere casus». (Atto II, sc. II) Artabanus insinua: «Perside inventor doli / Ambigua remove verba». Daniel risponde: «Sincere loquar». (Atto III, sc. V) Asaph dice: «Perside in Patriam redux / Arisba dextrae ad osculum admitti cupit». Poi Nadab gli dice: «Postquam in abruptas specus / Mutatus ora fugit infelix Parens, / Cyri superbam, te duce, invitus licet / Perrexi in aulam». (Atto III, sc. VIII) Daniel domanda a Nadab: «Cujus? An Cyri? At gradus / Quem Cyri in aula obtinuit, haud puerum decet / Regis propinquum»167. L’Ariene, dramma per musica di Giampietro Tagliazucchi dedicato (16 maggio 1744) a Metastasio, collega in Accademia d’Arcadia, non fu rappresentato. Spiega l’autore nella dedica: Questa Drammatica Composizione mia, che la prima avanti di comparir fra le Scene (siccome dovea in questo Teatro a Torre Argentina nello scorso Carnevale, se le funeste sciagure d’Italia non l’avessero vietato, viene costretta ad uscire alla luce, per prevenire qualunque sia stata l’intenzione di chi, non ha molto tempo, me l’ha voluta involare nell’original mio.
165 Pioli
1737: 23, 44, 70, 74, 113-114 (maestro dello scenario Gaetano Giusti; maestro dei Balli Antonio Bassi). 166 Seminario Romano 1741. 167 Carpani 1742: 14, 24, 39, 41, 44-45.
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Personaggi: Evilmero Re di Assiria, Arsace Principe di Media amante di Ariene Principessa figlia di Arpago Re di Lidia sotto nome d’Idreno custode d’essa Ariene, Semira figlia d’Evilmero, Idaspe Principe reale del sangue degli Assirij, Oronte Generale dell’Armi d’Evilmero. [Idaspe e Oronte: nomi di origine iranica]. Argomento: Ciassare re di Media ed Evilmero erano alleati contro l’invasore Madio, re degli Sciti. Arpago che aveva rifiutato di dare Ariene in sposa ad Arsace: Morto Madio e conclusa la guerra, nozze di Ariene e Arsace. Spunto: Erodoto (1, 74), «il resto verosimilmente si finge». L’azione principale si svolge in Babilonia, reggia di Evilmero, e l’esito s’intuisce quando (Atto I, sc. II) egli dice: «Il valoroso Arsace, / Vinto il superbo Lido, e il fero Scita, / Impaziente Babilonia aspetta: / Del Re di Lidia è questa / La figlia prigioniera»168. Antigona, dramma di Gaetano Roccaforte romano posto in musica da Baldassare Galuppi e rappresentato nel teatro delle Dame (1751), ha come protagonista Antigona, figlia di Edipo Erede del Regno di Tebe, sotto nome di Antiope Ministra del Tempio della Dea Temi in Beozia, e Interprete degli Oracoli di Apollo. Un oracolo designava la «Vergin delle Selve pura, e bella». Bambina, ella fu abbandonata nei Boschi di Media e raccolta da Alceste Pastore di Media Nutricio d’Ermione, figlia sconosciuta di Antigona e di Euristeo, figlio di Creonte, tiranno di Tebe Usurpatore del Trono. «La Scena, è la Regia di Tebe». (Atto III, sc. VI) Antigona rivela: La Figlia, che Bambina abbandonai / Nelle Mede foreste, / Chi al Sen la stringerà? / […] Ah, se perdo la Vita, / L’Arcano non si perda. Or son tre lustri, / Che ne Boschi di Media una Bambina / Nacque da me. Raminga, esule, e sola / N’andavo allora169.
Cleante, dramma adespoto, posto in musica da Nicolò Sabatini napolitano e rappresentato nel teatro di Torre Argentina (1752), ha come personaggi principali Tigrane Principe Medo, padre di Cleante, sposo di Zomira Regina di Micene, dove si finge la scena. Al principio Tigrane canta: «Il giorno fortunato, in cui quel soglio / Più che li nostri voti, il ciel ti diede». Poi Zomira nomina Cleante capitano dell’armi e re di Micene170. Il Creso, dramma di Gioacchino Pizzi romano posto in musica da Niccolò Jommelli e rappresentato nello stesso teatro (1757). Interlocutori: Creso Re di Lidia, Ariene Sua Figlia Amante di Euriso Principe Confederato di Creso, Ciro Rè di Persia, Cratina Principessa di lui Amante e Sibari Capitano delle Guardie Reali di Ciro. «La Scena si rappresenta nelle vicinanze 168 Tagliazucchi
1744: 3-4, 9. 1751: 27, 56 (scene di Pietro Orta bresciano). 170 Cleante 1752 (scene di Pietro Piazza); Rinaldi 1978: I, 79-80. 169 Roccaforte
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della Città di Sardi capitale della Lidia». Argomento: Creso è vinto, condannato al rogo e graziato da Ciro: si finge nella drammatica azione, che mosso il Vincitore dalla virtù d’una Figlia di Creso, non solamente lo liberi dalla morte, ma lo ammetta nella sua amicizia. Il fondamento storico è da Erodoto, Plutarco ed altri.
(Atto III, sc. X) mentre la pira era accesa, Creso minacciava e malediceva invano: «dal Rogo mio / Luttuosa s’accenda / La nera face delle furie ultrici: / Con augurj infelici / Baleni ogn’or su le Provincie Perse»171. Il dramma fu ripresentato con la musica di Pasquale Anfossi nel medesimo teatro (1787). Il Daniello, oratorio adespoto che Maria Rosa Coccia romana, dedicante, pose in musica, cantata nell’Oratorio di S. Filippo Neri nella Chiesa Nuova (17 dicembre 1772). Interlocutori: Dario re di Persia, Nicotri sua sorella, Daniello e Asfene satrapo. Luogo di azione la Reggia di Dario. Asfene provoca l’editto d’adorazione del re e la vana condanna di Daniello nella fossa dei leoni, ma vi è condannato a sua volta. Incipit, Dario chiama: «Olà fra brevi istanti / Venga Daniello a me. Tardar che giova?». Poi Dario proclamava: «Qualunque editto, / Che il Re segna una volta, al Re non lice / Rivocarlo mai più. Questa è la legge, / Che la Persia, e la Media affisse al Trono»172. Aspard, dramma di Gaetano Sertor posto in musica da Francesco Bianchi e rappresentarto nel teatro delle Dame (1784). Interlocutori: Zoaspe Re di Battra, Aspard Generale degli Eserciti Reali, amante di Zadira figlia di Zoaspe ma creduta suddita e sorella di Azema, Arsame Grande del Regno e nemico occulto di Aspard, Amete altro Grande del Regno e amico di Aspard, Azema Figlia di Zoaspe, amante non corrisposta d’Aspard. «La scena si finge in Battra». Aspard, valoroso guerriero Battriano in campagna militare, è accusato d’infedeltà dai cortigiani e richiamato a Battra. Per una «barbara legge», «quando il Re concedeva in sposa ad un suddito una sua figlia, veniva condannata alla morte ogni altra privata amante che avesse innanzi». Ma quella di Aspard era «una Figlia Reale», Zadira. L’amava pure Zoaspe, che infine riconosce di esserne il padre, la perdona e Aspard la ottiene in sposa. Perché (Atto III, sc. V) Arsame avverte Zoaspe: Corri a sedar, Signore / Il popolo ribelle. Aspard a morte / Tratto venía, quando 171 Pizzi
1757.
172 Oratorio di S. Filippo Neri 1772 (dapprima cantato con la musica di Alessandro Felici
nella Congregazione ed ospizio di Gesù Maria e Giuseppe e della SS. Trinità detto del Melani, Firenze 1762).
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da armato stuolo / Fu tolto a’ tuoi Custodi. A tuo dispetto / Salvo si vuol. Per lui freme, e minaccia / Tutta Battra i tuoi dì173.
Ciro e Tomiri, azione tragico-pantomima di Giovanni Monticini (1817). Argomento: «Cambise convince Ciro a ricusare la mano di Atossa a Sergabise, che fece uccidere nella stessa reggia di Tomiri». Questa muove guerra a Ciro, la cui testa chiuse «in un Otre pieno di sangue», come scrivono «Erodoto, ed altri Autori». Personaggi principali: Ciro Re di Persia, Cambise suo Figlio, Atossa Figlia di Ciro, contro Tomiri Regina degli Sciti, Sergabise suo Figlio, Amazzoni Guardie della Regina. «Con N. 24 Ballerini di concerto E Num. ottanta Figuranti». «Parte della Musica è del Sig. Maestro Gioacchino Rossini, ed altri celebri Autori». Cambise uccide Sergabise, fresco sposo di Atossa. L’ombra di Sergabise appare a Tomiri, che per vendicarlo con un dardo «trafigge il petto di Ciro» e comanda di troncargli la testa174. La Morte di Baldassarre Re di Babilonia, azione sacra composta da Giovanni Battista Rasi come oratorio, che Paolo Bonfichi pose in musica (1820). Personaggi: Baldassarre Rè di Babilonia, Semira Regina sua sposa, Daniele Profeta, Dario Rè di Media e Coro, anche di Soldati Medi, che nella notte conquistano Babilonia. Daniele rivelava a Semira le cifre arcane scolpite dal dito miracoloso sull’aurea parete: «PHARES: questo tuo regno, / Che diviso oggi sia, Dio ha decretato; / E già fin d’or al Medo, e al Perso è dati». Inno dei Soldati Medi: «Evviva di Dario / La fulgida stella, / Ch’al cielo Caldaico / Dà la luce novella, / Evviva di Media / L’eccelso regnante, / Che di Babilonia / Trionfa così». Dario canta: «Sì, lo sento, o Daniel […]. Olà guerrieri udite: Babilonia m’ascolti: i Regni miei / Odano il loro regnante. GRANDE È IL DIO DI DANIEL»175. Ciro in Babilonia ossia La caduta di Balsassarre, azione sacra di Francesco Aventi posta in musica da Gioacchino Rossini e rappresentata in Ferrara (teatro Municipale, 1812), giunse a Roma (1826). Personaggi: Baldassarre Re degl’Assiri, Ciro Re di Persia in abito d’Ambasciatore, Amira Moglie di Ciro, Arbace Capitano degl’eserciti di Baldassarre, Daniele Profeta, Orbaze capo dei Maghi persiani prigionieri, Cambise piccolo Figlio di Ciro che non parla, e altri. Sconfitto Ciro dai Babilonesi, Amira catturata è prigioniera di Baldassarre. Ciro si finge ambasciatore, viene incarcerato, ma partecipa al grande convito dove Daniele rivela al re assiro i tre misteriosi nomi apparsi. Uno significa: «Andrà diviso / Tra’ Medi e Persi dell’Assiria 173 Sertor
1784: 44 (scene di Carlo Caccianiga e Carlo Antonio Bertani). 1818. 175 Rasi 1820: 15, 23, 27; 1832. 174 Monticini
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il Trono». Ciro e Amira sono condotti al supplizio, ma la rivolta di Arbace li salva. Trionfo di Ciro, che umile canta: «Sento che un Dio m’ispira / L’insolito vigore sé di Ciro il core / Tanto valor non ha»176. Il Daniello, dramma sacro di Camillo Giuliani posto in musica da Gustavo Terziani e cantato nell’Oratorio della Congregazione di S. Filippo Neri (1834), ha quattro voci: Dario Re di Media, Daniello, Malassarre e Anania, e Coro di Satrapi, Cortigiani e Guerrieri. «La scena nella Sala del Consiglio dei Satrapi, e nella Reggia di Dario». (Atto I, sc. III) canta il Coro: «O Dario, adora, / E in Daniel rispetta, e onora / Della Persia il difensor». (Atto II, sc. IV) Coro: «Vieni, Daniello, al Trono / Con Dario ascendi omai, / Degno di festa assai / D’un sì conteso onor». Dario proclama: «Sì mio Daniello, i Popoli / Alfin per cenno mio / Adoreran quel Dio, / Che tu svelasti a me»177. Condanna e Trionfo di Daniele, melodramma biblico di cui Giacopo Ferretti si dichiara «il verseggiatore», fu rappresentato nell’Ospizio Apostolico di S. Michele (1839). L’opera si svolge in due parti, come in norma di oratorio. Musica dei «Maestri Rossini, Mercadante, Donizetti, Bellini, Terziani». Personaggi: Ciro Rè di Babilonia, Cambise suo figlio, comandante degli eserciti Babilonesi, iniziato da Daniele nei misteri della Religione Isdraelitica; Idaspe secondo figlio di Ciro, geloso di Cambise e nemico di Daniele; Asfene primo Ministro di Ciro, nimico occulto di Daniele; Daniele Profeta Ebreo; Zara Ufficiale delle Guardie di Ciro, Un Angiolo, e cori. «La finzione si limita al mostrare Cambise figliuol di Ciro, fatto discepolo di Daniele e da questo iniziato nei misteri santi della religione Isdraelitica». Daniele viene gettato nella grotta dei leoni ma poi liberato salva il popolo. Asfene sospetta: «Daniello è troppo da Ciro amato; / Forse con arte trionferà». Cambise venera Daniele: «Secondo padre / Vita mi dai con provido consiglio; / Per sangue a Ciro, a te d’amor son figlio». Coro: «Di Ciro illustre prole, / Sempre per te così / Ad infiorar tuoi dì / Ritorni il sole». Daniele canta nella grotta: «Sfavilla amica un’iride / Ecco sereno il cielo, / Sui profetati simboli / Ormai si squarcia il velo». Cambise implora Ciro: Padre! Al Dio d’Isdraele / Non curverai la fronte? Il popol suo / Non scioglierai dal lungo / Duro servaggio? Di Sion la polve / Ritornando a baciar, dolce compenso / Fa che si trovi all’amaro empio cordoglio.
Ciro risponde: Saggio tu parli, e quel che brami io voglio. / Daniel, vieni al mio seno. / Fui deluso, ma Dio / Il mio velo squarciò. / Dè tuoi fratelli / Si spezzin le catene; / Gli 176 Aventi
1826. 1834.
177 Giuliani
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organi ai salci appesi / Ritornino a destar. Dal cener suo / Più su salde colonne / Il gran tempio di Dio sorga in Sionne178.
Sull’aria di tali accenti e note pare, come organi ai salci, sospendersi la celebrazione di Ciro e Daniele, mentre si concludeva il contiguo ciclo tematico sulla scena romana. Infatti il repertorio teatrale inseriva di tanto in tanto alcuni altri argomenti e personaggi che, su base classica, erano riferiti al regno di Persia achemenide e adesso riferiamo, seguendo l’ordine cronologico delle opere. Per quanto riguarda il dramma per musica, si rileva che il repertorio più vasto di argomento regio medo e persiano antico veniva prodotto o rappresentato in Venezia repubblicana, che era un grande centro di promozione editoriale, teatrale e musicale sul piano europeo (XVII-XVIII secolo)179. Venezia esportava sovente drammi musicali anche a Roma. D’altronde interscambi tematici rendevano briosa la vita teatrale, musicale e letteraria in molte città d’Italia, ciascuna una capitale artistica. Fioriva l’attività drammaturgica, musicale e oratoriale romana in numerosi teatri aristocratici e pubblici, seminari, collegi e oratorii ecclesiastici, per cui «nel campo teatrale come in quello della stampa Roma fu in Italia seconda solo a Venezia», si calcola180. Grande comprimaria era Napoli, la cui folta scuola di musicisti operava sovente su libretti per le rappresentazioni in teatri romani, che recepivano sulle scene anche Pulcinella e altri servitori parlanti il «napolitano». Attivissimo nel campo drammaturgico era il teatro del Seminario Romano gesuita181. Vi si recitava una tragedia di argomento bizantino (1653), nel cui programma si cita come un intermezzo delle azioni: «La Cammera di San Bartolomeo rappresantarà la Piaggeria del Rè Serse, al comando del quale, s’esercita in varii giochi per onorare il famoso Platano di quel Rè»182. In marcia verso Sardi, Serse da Critalla in Cappadocia varca il fiume Halys e giunge a Kélainai, dove erano le sorgenti dei fiumi Meandro e Catarractes. Serse è accolto da Phytios figlio di Atys, che aveva donato a Dario I, padre del re di Persia, il platano e la vite aurei [opere di Theodoros di Samo, trasferite nel regio tesoro di Susa]. Serse dalla Frigia entra nella Lidia, giunge al bivio stradale Caria / Sardi, varca il Meandro e arriva a 178 Ferretti
1839: 3-7, 13, 17-18, 34-36 (interpreti principali: Benedetto Laura – Ciro, Pietro Silvagni – Cambise, Agostino Dellavalle – Idaspe, Alessandro Colizzi – Asfene e Luigi Costa – Daniele). 179 Piemontese 1993b. 180 Franchi 1994: XXXIII. 181 Filippi 2001. 182 Seminario Romano 1653a: 16; 1653b: 15; Filippi 2001: 222-234.
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Callatebos, città dove si produceva il miele ricavato da tamarisco e frumento. Proseguendo la marcia su questa strada, Serse, trovò un platano, tanto bello che egli l’adornava d’oro e lo affidò alla custodia di un Immortale, guerriero del regio reggimento. Il giorno dopo Serse raggiunse la capitale dei Lidi, Sardi183. Il Xerse, dramma di Nicolò Minato posto in musica da Francesco Cavalli e rappresentato a Venezia (teatro di SS. Giovanni e Paolo, 1654), nel suo quarantesimo anniversario fu recitato nel teatro romano di Tor di Nona, con le modifiche di Palemone Licurio (Silvio Stampiglia) al libretto e la musica di Giovanni Bononcini (1694). La scena si finge in Abido, città dell’Ellesponto, dalla parte dell’Asia donde Xerse re di Persia muoveva in guerra contro gli Ateniesi per vendicare l’ingiuria dell’incendio di Sardi. Si fingono anche le nozze di Xerse con la principessa Amastre, figlia di «Ottane Rè di Susia» (Susa), che aveva appoggiato Dario I nella guerra contro i Magi e adesso era assediato dai Mori. Il dramma rievoca la scena di Xerse incantato all’ombra del platano. Incipit, «Xerse sotto un Platano» canta: «Frondi tenere, e belle / Del mio Platano amato / Per voi risplenda il Fato». Infine (Atto III, sc. III) egli promette: «Per rendermi beato / Parto vezzose Stelle / E poi pupille belle / A’ voi ritonerò, / Farfalla al vostro lume / Il core innamorato / Ardendo le sue piume / Fenice io sorgerò»184. La Dori, ouero la Schiava Fedele, dramma di Giovanni Filippo Apolloni aretino (cavaliere al servizio del cardinale Flavio Chigi), posto in musica da Marc’Antonio Cesti e rapresentato a Innsbruck (1657), dagli Accademici Sorgenti in Firenze medicea (1661), ebbe successo anche in altre città e fu recitato con modifiche e la musica aggiunta di Alessandro Stradella nel teatro di Torre di Nona (31 dicembre 1671). Interlocutori principali: Oronte Rè di Persia, amante di Dori; Artaserse Zio e Tutore d’Oronte, Dori Regina di Nicea sotto nome di Alì schiauo d’Arsinoe, sorella di Dori, amante e sposa d’Oronte; Tolomeo Prencipe d’Egitto sotto nome di Celinda, amante d’Arsinoe; Arsete Aio di Tolomeo e di Dori, Bagoa Eunuco del serraglio, Ombra di Parisatide Madre d’Oronte [: Parysatis, in storia vera, la figlia di re Artaserse I e sposa di Dario II]. «La Scena si rappresenta dentro, e fuori di Babilonia, allora soggetta alla Corona di Persia». Argomento: Arsinoe e Dori erano figlie di Irene e Solimano Rè di Nicea. Egli, assalito da Selino Tiranno de’ Traci, «ricorse per aiuto a Satrape Rè di Persia», che dalla moglie Parisatide ebbe il figlio Oronte. In segretezza Oronte e Dori erano «svisceratissimi amanti». (Atto I, sc. VI) Artaserse richiama Oronte: «Pvr convien, ch’io ti veggia, / O del Persico scettro inuitto / Con sentimenti oc183 Herodot. 184 Minati
7, 27 e 31. 1694: f. A4v, pp. 11, 63.
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culti Erede, / Formar di questa Reggia / Lagrimoso Teatro a’ tuoi singulti?». Oronte risponde: So, che la Terra, e’l Cielo / Mi chiamano à le Nozze: Arsinoe è bella, / Bramo la Persia ancella, Offro tutti i miei sensi / Obedienti e cheti / A i Paterni decreti; / Mà se l’affetto, oh Dio! / Radicato in quest’Alma / Verso la bella Dori / Hà del mio cor la palma, / […] Come potrò già mai / Cangiar costumi, e dar esiglio à pianti?
(Atto III, sc. XV) Arsete rivela: «Arsinoe, il morto Schiauo / È la smarrita Dori / Da’ vostri genitori / Ad Oronte promessa, à te sorella, Ecco le regie firme / Del Re Perso, e Niceno». (Atto III, sc. ultima) Oronte impalma Dori e investe Tolomeo, cui cede Arsinoe: «Oblia Prence di Egitto / I miei trascorsi errori / E godi come tuo di Persia il trono»185. Temistocle in bando, dramma di Adriano Morselli posto in musica da Giovanni Antonio Zanettini e rappresentato a Venezia (teatro di S. Casciano, 1683), fu recitato con la musica di compositori diversi nel teatro Capranica (1698). Interlocutori: Temistocle finto Emireno, Serse Monarca de’ Persiani, Ersilla Dama Persiana, figlia d’Artabano, Capitano e fauorito di Serse, Sibari figlia di Temistocle, Cleofanto suo fratello, schiauo de Persiani, finto Eurindo; Nicomede Nobile Ateniese, amante di Sibari. La scena si finge in Abido, sul lido. (Atto I, sc. I) Serse piange mentre osserva l’esercito che passa sull’Ellesponto. Artabano: «Signor, tu piangi?». Serse: «Io piango / Nel pensar, che frà poco / Genti sì varie, e tante / Saran nud’ossa, e polve». Poi arriva Temistocle, scacciato da Atene e fintosi Emireno d’Egitto, che riceve il comando dell’esercito da Serse, che destituisce Artabano e adocchia Sibari. Ma «il Principie deue preporre ad ogn’altro affetto la Ragione di Stato». Serse scopre la vera identità di Temistocle, la cui sorte è segnata. (Atto III, sc. XIV) Serse gli dice: «Lodo L’Eroico spirto, / Ch’ama la Patria, e cerca / Nel veleno la morte; in queste piagge / Trarrai l’ore felici: / Gratie Serse difonde anco à i nemici». (Atto III, sc. ultima) Serse sceglie Ersilla e rinuncia a Sibari: «Non deue il Rè de’ Persi / Illustrar co’l Diadema / Vergine Greca; il vieta / La legge de l’Impero, / E la ragion de l’armi: a te la dono», Nicomede186. L’Artaserse, tragicommedia di Leti, cioè A. Benedelli (1701). Interlocutori: Artaserse Rè di Persia, Ciro Fratello di Artaserse sotto nome d’Araspe finto Moro, Aspasia Moglie di Ciro poi Sposa di Artaserse, Antigone Principessa di Lidia Amante di Tisaferne Generale dell’Armi di Persia Amante di Antigone, Arideo [poi Arieo] Cavalier privato di Lidia favorito di Ciro, 185 Apolloni 186 Morselli
1672: 9, 10, 73, 75; Cametti 1938: II, 330-332; Franchi 1988: 438-440, 796. 1698: 9, 64, 65.
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Tiridate Eunuco favorito di Artaserse, Califronia Nudrige di Antigone, Panariello Napolitano Servo di Tisaferne, Gilbo Capitan della Guardia di Artaserse, che non parla. «La Scena è in Ecbatana, Capitale di Persia». Ciro contestava il regno ad Artaserse, designato «Sesto Rè di Persia» da Dario, ma fu sconfitto. «Così Xenofonte al libro primo dell’Imprese di Ciro il Minore nell’opere morali». Si riguarda il trionfo di Artaserse, che era clemente nella congiura ordita dal fratello Ciro e da Aspasia. (Atto III, sc. XX) Artaserse dice: «Il piangerete a suo tempo. Non può cadere all’Occaso in questo giorno il Sole di Persia ammantato di nere gramaglie, se spuntò dall’Oriente corteggiato dai miei Vittoriosi Vessilli». E Aspasia: Contrastata da tanti voleri reprimo l’interne passioni, dò luogo della ragione, e poiche tutti così volete, così mi consigliate, vi consolerò, vi compiacerò, regnarò. Artaserse vi dono il mio affetto, e per mio Sposo vi stringo187.
Amore e Maestà, dramma di Antonio Salvi rappresentato con la musica di G. M. Orlandini in Firenze (teatro di Via del Cocomero, 1715), fu recitato con la musica di Francesco Gasparini nel teatro Alibert (1720). L’opera, che ebbe successo in molte città, segue una secolare linea classica della drammaturgia italiana che preferiva inscenare la Persia quale paese tipico del prestigio regio antico. Salvi dichiara di riambientarvi Le Comte d’Essex, tragedia di Thomas Corneille, alterandone il soggetto. Attori: Statira la Regina di Persia, Arsace suo Generale, Rosmiri Dama confidente della Regina, Mitrane Signore Persiano Sposo di Rosmiri, Megabise Amico d’Arsace e Artabano Satrapo della Persia, Consigliere della Regina. «La Scena si finge in Persepoli Metropoli della Persia». (Atto III, sc. XII) Mitrane dice a Statira: «Nel far morir Arsace, / Svenasti Amore, e Maestade insieme; / Nel cader quella Testa / Il Diadema anco a te balzò dal crine. / Dario omai più non teme / Chi gli contrasti della Persia il Soglio»188. Artaserse, dramma di Francesco Silvani, modificato e rappresentato con la musica di un compositore ignoto nel teatro Alibert (1721), era già rappresentato con il titolo Il Tradimento traditor di se stesso e la musica di Antonio Lotti a Venezia (teatro Grimani di S. Giovanni Grisostomo, 1711). Interlocutori: Artaserse re di Persia, Dario suo figlio, Ariarate «pure figlio» d’Artaserse, Statira Vedova di Ciro fratello d’Artaserse, Aspasia Principessa Persiana destinata sposa d’Oronte, Re delle Arabie fratello di Statira, che fu collegato con Ciro; Codomano Cavaliere Persiano segreto fautore di Statira, e di Oronte. Ciro secondogenito di Dario si era rivoltato contro il primogenito Artaserse che, ucciso il fratello in battaglia, ascese al trono, 187 Benedelli 188 Salvi
1701. 1720 (scene di Francesco Bibiena bolognese).
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dove eleva come compagno Dario, proprio primogenito. (Atto I, sc. I) il Choro canta l’inno «Chiaro viva al par del Sole / Artaserse il Vincitor; / E al suo crin cinga la gloria / Per la nobile vittoria / Nuove palme, e nuovo allor». Artaserse risponde: «Persi, abbiam vinto: il contumace orgoglio / Dell’empio Ciro al fin cadde depresso». (Atto II, sc. XIII) Tempio di Apollo nel Bosco [era il Tempio del Sole nel libretto veneziano], Artaserse invoca: Gran Dio de’ Persi chiara / Fonte di luce, il cui raggio ravviva / Cio’ ch’hà di bello il mondo. / Della insigne vittoria vittoria, / Che il Tuo propizio Nume / Già mi fè riportar su l’empio Ciro / Tutta la gloria al sagro Tempio io reco.
Choro: «Al suo Dio la Persia umile / Arda incensi, e voti». (Atto III, sc. V) aria di Dario: «Ei per me stenderà l’Arabo Scettro / Sovra quanto di Serse ebbe in retaggio / L’estinto Ciro»189. Statira, dramma di Apostolo Zeno e Pietro Pariati, posto in musica da Francesco Gasparini e rappresentato a Venezia (teatro Tron di S. Cassano, 1705), fu rappresentato con modifiche e la musica di Tommaso Albinoni nel teatro Capranica (1726). Attori: Statira, Barsina, Dario, Arsace, Oribasio, Oronte, Idreno. «La Scena si rappresenta nella città o nelle vicinanze di Tauris, posta a’ confini della Persia, e de Scitia». Crisi dinastica in Persia. Ciro re di Persia era stato scacciato dai sudditi e da Oronte re di Scitia, che uccise in battaglia Artaserse, altro re di Persia. Barsina figlia di Ciro e Statira figlia di Artaserse altro re di Persia si contendono la successione e l’amore di Arsace, uno dei grandi Capitani del regno. (Atto I, sc. I) Barsina pretende: «A me figlia di Ciro, a me di tanti / Gloriosi Monarchi unica erede / V’è chi ’l trono contenda?». (Atto I, sc. XIII) Statira diffida Oronte: «Non scielga un Rè de’ Sciti / Chi regni sovra i Persi. In te la sorte / Un vincitore, un Rè vuol ch’io rispetti». (Atto III, sc. XVI e ultima) Oronte arringa: Udite, o Persi, udite. Anche gli Sciti / Hanno i lor fasti, e una virtù straniera / Desta in essi virtude. Amai Statira; / E Arsace traditor quasi mi piacque / Per punirlo rivale. Or che innocente / Lo ritrovo, lo abbraccio; alla mia gloria. / Cede l’amor. Regni Statira, e teco / Divida il Soglio, avventuroso amante190.
Tuttavia questo Oronte Scita portava il nome antico persiano Hidarnes, Orontas in Senofonte, Ciropedia. Il Temistocle, tragedia didascalica di Michele Giuseppe Morei, rappresentata nel Seminario Romano (1728), trae l’argomento da Valerio Mas189 Silvani 190 Zeno
1721: 9, 47, 48, 60. – Pariati 1726: 9, 21, 63.
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simo e altri storici. Temistocle generale ateniese aveva vinto la flotta di Serse a Salamina. Ma «la sconoscenza della Patria costituì Condottiero de’ Persiani» Temistocle transfuga, che infine «bevè in una tazza il sangue di Toro» e «cadde estinto, qual chiara Vittima dell’amor della Patria». Personaggi: Temistocle, suo figlio Agesilao, il figlio minorenne «Cleofanto creduto Dario», il genero e confidente Licomede, Artaserse re e Serse suo figlio. «La Scena è nel campo dei Persiani nelle vicinanze di Abìdo». Agesilao enuncia il dilemma: «O cader dee la Patria in man de’ Persi, / O perir dee Temistocle». Cleofante intende istruire Serse: i Greci sono Adorni in virtù, sgombri di vizij; / Invitti in guerra, industriosi in pace / Sottomettono i Regni, impongon leggi / Introducono, e inventano tutto giorno / Il Costume civil, le Scienze, e l’arti […] E son privi di Scettro e di Corona […] Ma ò val nulla quel Grado, o v’è in orrore […] Che ciascuno / In Grecia è Rè: dell’intraprender Guerra, / Dell’accordar Tregua, Amistade, o Pace.
Artaserse reagisce: «Il Rè di Persia / Non è un barbaro già, qual crede Atene; / Sa reprimere anch’ei le sue passioni, / E la virtude ei pure conosce, ed’ama». Temistocle esclama: Sventurata mia Patria! I tuoi costumi, / Che furono sin’ora il tuo gran pregio / Sen passarono in Asia; e il Rè di Persia, / Che tanto di potenza i Greci avanza, / Ha un’alma generosa al par de’ Greci.
Artaserse muove guerra contro la Grecia. Temistocle confuso chiede ai propri uomini: «Deh perche mai / Portate voi questi Persiani ammanti, / Che à me tolgon la gioia di potervi / Intieramente ravvisar per Greci?». (Atto V, scena ultima) Temistocle cede, dilemma: «Non v’era mezzo, / O dovea per mia man cadere Atene, / O la Persia tradir dovea Temistocle»191. Artaserse, dramma di Metastasio posto in musica da Leonardo Vinci e dapprima rappresentato con la scenografia di Giovanni Battista Oliviero nel teatro delle Dame (4 febbraio 1730). Argomento, tratto da una fonte classica («Giustino lib. 3, cap. 1»), la congiura di Artabano Prefetto delle guardie reali. Egli, ucciso Serse, istiga il principe Artaserse a eliminare il fratello Dario, facendolo credere il patricida e regicida, e tramando la successiva eliminazione di Artaserse stesso. Quando il suo leale amico Arbace, figlio di Artabano, per giuramento sta sul punto di bere una tazza di veleno, il tradimento del Prefetto viene scoperto eppure perdonato. Artaserse Principe di Persia ne diventa il Re. Mandane, sua sorella, era amante di Arbace. Semira, sua sorella, era amante di Artaserse. Megabise Generale 191 Morei
1728: 2, 9-10, 38, 47, 65.
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dell’armi era il confidente di Artabano. «L’azzione del drama si rappresenta nella città di Susa reggia de’ Monarchi Persiani». Sistemate le cose, (Atto III, sc. VIII) Artaserse canta l’aria del regnante progressista: «A voi popoli io m’offro non / Non men Padre, che Re. Siate / Più figli, che vassalli». E, in scena ultima, egli si mostra il regnante clemente: «Viva Artabano, / Ma viva almeno in doloroso esiglio; / E doni il tuo Sovrano / L’error di un Padre, alla virtù d’un figlio». Inno del Coro: «Giusto Re, la Persia adora / La clemenza assisa in Trono, / Quando premia col perdono / D’un Eroe la fedeltà»192. Questo dramma riscosse un successo vastissimo in molte città d’Italia ed Europa, tranne Francia e Parigi, refrattaria al campo europeo letificato dal dramma italiano per musica durante due secoli. Nuove rappresentazioni di questa opera di Metastasio nel Teatro di Torre Argentina: scene di Giuseppe Aldobrandini e musica di Nicolò Jommelli (1749), quelle di Nicolò Piccinni (1762, tav. 24), Antonio Sacchini (1768), Pietro Guglielmi (1777) e Giacomo Rust (1783), e nel teatro delle Dame musica di Pasquale Anfossi (1788). Si contano 107 prime rappresentazioni con la musica di famosi compositori diversi, fino a Marcantonio Portugal, sua musica eseguita in Rio de Janeiro (teatro di Corte, 1812) e replicata in Parma (teatro Ducale, 1817). Pertanto in statistica l’Artaserse di Metastasio risulta «il dramma più musicato nella storia del teatro musicale»193. Temistocle, dramma di Metastasio posto in musica da Antonio Caldara e rappresentato per festeggiare l’onomastico di Carlo VI imperatore nel suo «gran Teatro» (Vienna 1736), fu replicato con la musica di Gaetano Latilla nel teatro di Tor di Nona (1737). Personaggi: Serse Re di Persia, Temistocle, Aspasia e Neocle suoi Figliuoli, Rossane Principessa del sangue Reale Amante di Serse, Lisimaco Ambasciadore de’ Greci, Sebaste Confidente di Serse. «La Scena si rappresenta in Susa». Argomento: «Odiava Serse implacabilmente il nome greco». Temistocle decise di avvelenarsi. «Ma, sul punto d’eseguire il funesto disegno, il magnanimo Serse, innamorato dell’eroica sua fedeltà, & acceso d’una nobile emulazione di virtù» impedì il suicidio e giurò pace alla Grecia, inoltre cede l’agognata Aspasia a Lisimaco. Fonti storiche «Corn. Nep., Plutarch., &c». (Atto I, sc. VIII) Lisimaco dichiara: «Monarca Eccelso, in te nemico ancora / Non solo Atene onora / La real Maestà; ma dal tuo core, / Grande al par dell’impero, un dono attende / Maggior di tutti i doni». (Atto II, sc. VIII) Temistocle annuncia: «Dell’armi Perse / Io depongo l’impero al piè di Serse». E (Atto III, sc. III): È Serse il mio / Benefattor; Patria la Grecia. A quello / Gratitudine io deggio; / 192 Metastasio 193 Pavan
1730b (scene di G. B. Olivieri).
1917.
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A questa fedeltà. S’oppone all’uno / L’altro dovere: e se di loro un solo / È da me violato; / o ribelle divengo, o sono ingrato.
(Atto III, scena ultima) Serse corrisponde: Ah vivi o grande / Onor del secol nostro. / Ama, il consento, / Ama la Patria tua. N’è degna. Io stesso / Ad amarla incomincio. E chi potrebbe odiar la produttrice / D’un Eroe qual tu sei Terra felice?194.
Allora, il grande poeta romano, operante in Corte Cesarea viennese, circa i due doveri comportamentali e amori patriottici parlava per interposta persona scenica. Dario, dramma di Giovanni Baldanza posto in musica da Giuseppe Scarlatti e rappresentato nel teatro a Torre Argentina (1741). Personaggi. Serse Re’ della Persia, Dario Erede del Regno sotto nome di Arsamo amante di Statira Figlia di Serse amante occulta di Arsamo, Arbace Principe de’ Caduci sotto nome di Adraste amante di Parisatide Sorella di Serse amante di Arbace, Astiage Satrape della Persia che si finge Dario. Argomento: «Serse (da altri chiamato Occho)», ucciso Dario suo fratello e asceso al trono, aveva incaricato il satrapo Oropaste di eliminare Dario erede legittimo, che invece il satrapo conserva in vita. Astiage figlio di Oropaste assume il nome di Dario «supponendolo ò in effetto ucciso, ò dalla Persia molto distante». La scena è in Persepoli. Comincia Dario: «Ma dove, Astiage, alfine, / Dove condur mi vuoi?». (Atto III, scena ultima) Dario salva Serse dal pericolo che lo riconosce erede legittimo e dichiara: «Ecco in Dario, o Persi, / Il vostro Rè. Cedo il mio serto a Lui, / Perché n’abbia maggiore, / Che non ebbe da me, luce e splendore». Ma generoso Dario risponde: «Vivi, e Regna felice /. Io di Statira / Sol ti chieggo la destra. Abbia, se pur ti piace, / L’illustre Suora il suo fedele Arbace»195. Artemisia, dramma serio, adespoto ma opera di Cratisto Jannejo, Giovanni Battista Colloredo, posta da Domenico Cimarosa in musica, interrotta dalla sopravvenuta sua morte, e rappresentata postuma in Venezia (teatro La Fenice, 1801). L’opera fu replicata nel teatro Alibert detto delle Dame (1806). Personaggi: Artemisia Regina di Caria Vedova di Mausolo, Ada di lei Sorella, Araspe Principe del sangue Reale, pretendente al Trono di Caria; Siface, che poi si scopre Artaserse Re di Persia; Teopompo celebre Oratore di Chio, Carete Ambasciatore Persiano, Cori: Grandi del Regno di Caria, Satrapi Persiani; Soldati Greci e Persiani. «L’Azione si rappresenta 194 Metastasio 1737b (scene di G. B. Olivieri; balli di P. Fumantino. Cito le frasi dal libretto viennese). 195 Baldanza 1741.
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nella città di Alicarnasso, Sede dei Regnanti di Caria». Quanto «Aulo Gellio Lib. X Cap. IX» scrisse circa Artemisia Regina di Caria favorisce l’intreccio riguardante Artaserse Re di Persia che, a quel tempo sconfitto da Artabano, vagava sconosciuto ma confortato dall’amicizia con Teopompo, che «per più anni dimorò nella corte di Persia, e serve a rendere suscettibile l’Argomento di Teatrale Spettacolo». (Atto II, sc. X) Siface si rivela: Artemisia, Regina, / Ecco il Monarca delle Genti Perse: / Più Siface non son, sono Artaserse / […] Della Persia a te il Regnante, / Nò, non chiede il Scettro, il Trono; / Di Siface il cor amante / Offre solo al tuo poter196.
Zadig e Astartea, dramma serio di Leone Tottola, posto in musica Nicola Vaccai e rappresentato a Napoli (teatro S. Carlo, 1825), fu eseguito con modifiche nel teatro Apollo (1832). Attori: Astartea Regina di Babilonia, Azora sua germana, Zadig Principe della Famiglia Reale, Coraman Governatore di Babilonia, Olamar primo Ministro, Il Gran Sacerdote di Belo, Cador Scudiere di Zadig, Alakj Confidente di Coraman, Jolas, Itaban, Alama e Tobas cavalieri stranieri. Azione in Babilonia. Astartea torna dall’esilio per riprendere possesso del trono di Persia, cui aspira Coraman, uccisore del re Moadbar, e impalma il vincitore del torneo cavalleresco e decifratore di enigmi: Zadig, esule. (Atto I, sc. VIII) Coraman dissuade il Gran Sacerdote: «T’inganni / Il patrio onor difendo, / A sostenere imprendo / Di Persia lo splendor». (Atto II, sc. V) il Coro di Magi nomina Zadig: «Vieni guerriero invitto, spuntano i nuovi allori, / L’alto decreto è scritto / Tu sei di Persia il Re». Il Coro di Guerrieri contrasta: «(Perché l’orrenda folgore / Non piomba sul mio crine?) / Ah! Delle mie rovine / La Persia esulterà»197. Parisatide, tragedia di Giovanni Francesco Cecilia (1844). Interlocutori: Parisatide madre di Ciro e di Artaserse Longimano marito di Statira, quindi anche costei e i due principi fratelli, Aspasia greca amante di Ciro, Emano satrapo e Tisaferne. Argomento: la vendetta di Parisatide per la morte di Ciro (minore), vinto da Artaserse e ucciso da Parisca, fratello di Emano, protettore di Esdra e degli Ebrei. Parisatide esilia Emano partigiano di Artaserse a Babilonia, dove viene ucciso. Statira muore di crepacuore. «L’azione è nella reggia del primo Ciro in Susa». (Atto I) Parisatide era incerta: «Che far potrò, tanto da mè delusa / Nella istruzion di ristorare ai Persi / Un Ciro, un rè pari a lor gloria?». (Atto V) Parisatide affronta Artaserse: Il rè non sei, / Né fosti: – e non ci sei nato né visso. – / Di Dario ancor non rè, privato ancora, / Tu mi nascesti: – ma di lui, già posto / Sopra il trono de’ Persi, 196 Colloredo 197 Tottola
1806: 35; De Angelis 1951: 267. 1832: 16, 30, 31.
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il mio Ciro ebbi, / Successore vero del rè Dario, vero, / Non che di nascimento, ma di merto, / Regnator generoso, ardito e saggio, / Cui le tue brighe co’ tuoi Maghi han poi / Defraudato il serto tuo198.
Calava il sipario romano anche su questa tematica. La città e reggia antica prediletta in tutta la tematica letteraria italiana attinente al paese di Persia e congeniale a scenari teatrale e musicale, era Susa199. Qui risiedeva anche il re Assuero. 5. Esther sposa di Assuero e regina imperante Dario I re achemenide di Persia (522-486 a.C.) «divise il regno in sette parti». «Infra est Susiane, in qua vetus regia Persarum Susa, a Dario Hystaspis filio condita»: egli (ri)fondava Susa, come regia capitale achemenide della Susiana200. In una sequenza biblica figurano benevoli Ciro e Dario re di Persia, dopo vi regna Ahasuerus, cui segue Artaserse (1 Esd 4, 5-7). Ahasuerus è il re di Persia che per la sua relazione coniugale con Hadassa (it. Edissa), soprannominata Esther, protagonista dell’omonimo libro biblico, viene rappresentato in maniera intensa, favorevole come la figura di re Ciro, e assai frequente nelle varie manifestazioni artistiche di sede romana. Conforme la terza divisione delle «Scritture (Ketûbîm)», Esther costituisce il V libro, «il rotolo (m egillâ)» prominente della pentalogia sacra denominata «I Cinque Rotoli (Hâmeš M egillôt)» nel canone biblico ebraico, che comprende Ruth, Cantici, Ecclesiaste (Qohelet) e Lamentazioni. Ahasuerus re di Persia, che ripudia la regina Vasti (Waštî) ed elegge sposa Esther, amava risiedere nella paradisiaca reggia di Susa, capitale del regno, cui erano «tributarie la terra e le isole tutte». Egli aveva VII eunuchi in servizio privato e VII nobili duci nel governo. Ahasuerus teneva in archivio i «libri dei Medi e Persiani», antichi annali regi. Ma molti volumi persiani sono dispersi e le scritture mede incognite, se mai ve ne furono. Esther trepidava in un momento delicato. Ahasuerus, splendente sul trono per la sontuosa veste ornata di oro e gemme, appare sdegnato a Esther che, temendone la propria condanna a morte, vacilla e piega esamine il capo sulla propria ancella. Tremante il re acorre dal trono, sostiene tra le braccia Esther e rinvenuta la rassicura, le posa sul collo lo scettro aureo e la
198 Cecilia 1844: 85-156; 95, 151; cfr. l’esemplare manoscritto, intitolato La Parisatide o La morte di Ciro (Roma, Biblioteca Angelica, ms 1870, ff. 98-134, trascritto da M. Lanci nel 1837). 199 Vedi anche I.3 e III.2. 200 Plat. epist. 7, 332b; Plin. nat. 6, 133.
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bacia. Esther commossa ricade in deliquio201. Ella rivela al re Ahasuerus la minaccia del ministro antigiudaico Haman (it. Aman), ne ottiene la revoca e la condanna, e salva il popolo ebraico in Susa. Ahasuerus era forse re Serse (486-465 a.C.), o Artaserse I (465-424 a.C.) in riferimento al testo greco di Esther nella Bibbia. Per una tradizione giudeo-persiana il sepolcro di Esther e Mordechay (it. Mardocheo), il suo tutore, si trova in Hamadân, antica Ecbatana. Tale sepolcro e quello di Daniele in Susa, santuari giudeo-persiani in origine, sono adattati a edificio di moschea in epoca islamica e venerati dai musulmani pii202. Il deliquio di Eshter diventa la scena prediletta dalle scuole pittoriche, che la critica usa definire lo «Svenimento di Ester dinanzi ad Assuero». La pittura romana mostra sovente Esther, la salvatrice del popolo giudeo in Susa, associata a Giuditta, la corrispettiva salvatrice in Betulia, e ad alcune altre eroine dell’Antico Testamento. Esther come Giuditta diviene una prefiguratrice antica, antesignana dell’avvento salvifico di Maria. Perciò queste tre grandi donne sono sovente evocate in scenari contestuali. Infine Esther viene figurata di per sé, sola, come regina imperante di Persia. Pintoricchio decora exempla virtutis riguardanti protagonisti biblici e storici eroi greci e romani a monocromo, su sfondo di finto mosaico dorato, nella sala della Fontana (c. 1490-1491), la quarta sita al pianterreno della Palazzina di Giuliano della Rovere, cardinale di S. Pietro in Vincoli e futuro papa Giulio II. Egli eredita il palazzo del cugino Piero Riario. Il complesso edilizio Riario-della Rovere incorpora nel secondo grande cortile la palazzina, che la famiglia Colonna eredita (1507). Pintoricchio figura le imprese bibliche nei peducci delle pareti lunghe del soffitto, scandito in dodecagoni, quadrati e medaglioni. Il primo peduccio del dodecagono centrale mostra Giuditta trionfante, e il minuzioso medaglione a sinistra Esther davanti ad Assuero. Ella, che ha le ancelle al seguito, implora la revoca del decreto antigiudaico mentre il re, seduto sul trono, le tocca la testa con lo scettro aureo, in segno rituale di grazia e benevolenza (cfr. Est 8, 4-6). La figura di Esther che interpella e supplica il re Assuero per tale motivo sarebbe un «simbolo della Vergine presso il Figlio nel giorno del Giudizio»203. Su una parete breve un medaglione laterale celebra l’eroismo di Cinegiro ateniese nella battaglia di Maratona: Presso uno scoglio di Maratona, pendulo sul mare ondoso, Cinegiro fratello 201 Est
1, 1, 10, 14; 10, 1-3; 15, 9-11. Strange 1905: 240; Bugnini 1981: 26; Yamauchi 1990: 226-239. 203 Cavallaro 1993: 62-63, 67 e fig. 4; Scarpellini – Silvestrelli 2004: 107-109, 114 dis. 2. 202 Le
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d’Eschilo, nella lieve cimba, già colpito, mozzato, s’attacca coi denti a una nave dalla quale un guerriero persiano si sporge mandando un fendente204.
Tra gli spunti figurativi di Michelangelo che dipingeva la volta della Cappella Sistina si annovera la Biblia volgar istoriata di silografie e tradotta da Niccolò Malermi (Venezia, Guglielmo da Trino de Monferrato, 1493), anche per quanto riguarda la vicenda di Esther, Mordechay, Haman e «Xerxes», ossia Ahasuerus re di Persia residente in Susa205. Ma Michelangelo conosceva anche Dante, che distilla a suo genio tale dramma biblico. Il re di Persia condanna il ministro colpevole d’impostura Aman quale «un, crocifisso, dispettoso e fero / nella sua vista, e cotal si morìa: / intorno ad esso era il grande Assuëro, / Ester sua sposa e’l giusto Mardocheo» (Purg. 17, 25-30). Letto o sapendo a memoria il passo di Dante, una sinossi, Buonarroti dipinge la sequenza ritmico-drammatica in scena tripartita nello spigolo sulla Volta della Cappella Sistina, il quale tracima verso la parete del Giudizio, dove la figura di Gesù suscita con il gesto delle mani la resurrezione dei morti, i buoni e i cattivi206. Giunto al quinto cielo in lume di giudizio eterno, Dante espone come su bilancia la terzina interrogativa «Che potran dir li Perse a’ vostri regi, / come vedranno quel volume aperto / nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?» (Par. 17, 112-113). Oltre la Sibilla Persicha (campata VIII), Michelangelo dipinse nella campata XI e ultima della volta sistina (1511) la Storia del Supplizio di Haman, che la critica di solito chiama «La Crocifissione / Punizione di Aman» e la interpreta in diversi modi (tav. 25). Tre momenti scenici sono qui rappresentati «in simultaeità», una espressione pittorica di straordinaria efficacia drammatica: Mai, in tutta la storia dell’arte, un libro intero della Sacra Scrittura è stato riassunto così bene in un unico affresco come in questo dipinto di Michelangelo che mostra, in tal modo, tutta la capacità di sintesi dell’arte figurativa207.
La Concordia novis ac veteris Testamenti, opera di Gioacchino da Fiore, sarebbe una fonte letteraria nota a Michelangelo e utile per leggere l’allegoria nella Volta Sistina. Tale lettura non teme di asserire, drastica, che qui «Aman è il figlio della perdizione, l’anticristo di cui parla la Seconda
204 Ricci
1912: 88-95; Herodot. 6, 114; Svet. Iul. 68, 9. 1991: 5-6, fig. 38-41. 206 Piemontese 2009b: 62-63; 2009c: 114. 207 Salvini 1965: 216-218, 63 fig. 68. 205 Hatfield
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Lettera ai Tessalonicesi (2 Ts 2,3)», mentre «Ester è la Chiesa romana, Mardocheo è Pietro e Assuero è Cristo»208. La scena prima affrescata sul lato sinistro del pennacchio concerne il convito di Esther. Re Assuero, Esther sua sposa, e il ministro Aman siedono a tavola. Le pose di braccia e il gesticolare reciproci di mani tendono a indicare colui che complotta e subirà il supplizio. Nella scena sul lato destro, Assuero imperioso sta adagiato seminudo sul letto, «quella notte» quando egli insonne si fa leggere gli antichi annali regi. Ad ascoltarne un passo, la trama degli eunuchi Bagata e Tares, il re si ricorda e ordina di convocare Mardocheo per compensarne il merito, mentre Aman arriva nell’atrio. Questa soglia dipinta funge da interstizio che nel contempo delimita e connette le scene del dramma che evoca il favore, lo sfavore e il castigo fatale. Nella storia biblica, che racconta il convito e la lettura notturna, Haman il ministro persecutore dei Giudei viene appiccato sul patibolo altissimo, da lui stesso allestito nella propria casa per uccidervi Mordechay, salvatore di Ahasuerus nel pericolo del complotto. Il patibolo era «una croce»209. Nella scena centrale affrescata «si vede quando Aman per comandamento del Re Assuero fu sospeso in Croce, perché volle per la superbia, ed alterezza sua far sospendere Mardocheo zio della Regina Ester». Aman: Difficilissima è questa figura, perché è dipinta nell’angolo della Cappella, ed è mezza in una superficie, e mezza in un’altra, ed a forza di prospettiva par del tutto nel medesimo piano; ed essendo dipinto quasi in profilo, un braccio della Croce va in dentro, e l’altro viene in fuori, e pare staccato dal muro210.
Vigoroso corpo nudo, effige dell’uomo fiorente in vita politica, Aman sta crocifisso sul tronco di un albero, come monito esemplare, quasi il tipo, il legno e l’atto antitetico alla crocifissione di Cristo. Questo monumento dipinto esalta il pennacchio sulla grande vela angolare situata (guardando) al lato sinistro della parete dell’altare211. Tale snodo cruciale della Volta Sistina ne media il ciclo delle storie dipinte verso l’esito escatologico di tutte. La camera notturna dipinta di re Assuero tracima sopra il cielo della Croce che, trasportata dagli angeli,
208 Pfeiffer
2007: 134-137, 140, 142, fig. 60. 5, 4-8; 6, 1-5; 7, 1-10; 8, 7. 210 Cancellieri 1790: 38-39. 211 Michelangelo 1994: I, 55.1-5; Mancinelli 1994: 129; Colalucci 1994: 315, 419, 427; Bambach Cappel 1994: 96-97. 209 Est
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emerge nella lunetta di sinistra della parete dove si anima in processo cinetico il risveglio del genere umano e Cristo domina il Giudizio Universale212. Durante il restauro, si è scoperto che Michelangelo adoperava il lapis lazuli come pigmento azzurro nell’affrescare la parete del Giudizio, che papa Paolo III Farnese inaugurò nella vigilia di Ognissanti (31 ottobre 1541). Una zona di Persia sembrerebbe la provenienza possibile del prezioso materiale, ma non dimostrabile dalla documentazione tuttora esistente. Si ipotizza che questo lapis lazuli fosse importato dalla miniera di Sar-i Sang sita in Badaxšân, regione montuosa in Afghanistan attuale213. Il toponimo e nome pers. Sar-e Sang significa «la Testa della Pietra» e/o «il Capo del Peso» per l’ambivalenza dei due termini. «Badakhshân was from the earliest times famed for its precious stones, especially for the balas rubies and for the lapis-lazuli found at the Lâzward mines». «Lâzward, or Lâzûrd, the name of the mine and mineral, is the origin of the word “azure”». «Besides the ruby, the balas, and lapis-lazuli, the pure rock-cristal of Badakhshân was famous, also the bezoar stone. Asbestos was also found here», detto in ar. hajar al-fatîla «“wick-stone”, for, being uncomsumable, it was used for lamp-wicks»: il lucignolo214. Da tempo protostorico Badaxšân è il famoso paese minerario, abbondante di giacimento e quasi produttore esclusivo di lapis lazuli, pers. lâàvard / lâzvard / lâjvard. «Le bleu par excellence, qui correspond à la métaphore du ciel de lapis, est le lapis-lazuli lui-même». Il palazzo regio di Dario I in Susa era adornato anche con questo materiale. Esso fu adoperato in ceramica e porcellana, poi risalta nella prima epoca della pittura libraria neopersiana (XIV-XV secolo). «Le lapis-lazuli est, avec l’or, la couleur la plus précieuse des miniatures». Il tipo di lâjvard detto soleymâni «salomonico» > cinese «Su-ni-po» è definito il cobalto in colore215. L’agg. lâjvardi «color lapislazzulo; azzurro, celeste» è metafora di «cielo», in poesia classica persiana. Pittori della scuola di Daniele da Volterra dipinsero a monocromo la facciata di palazzo Massimo che prospetta piazza de’ Massimi (1523). La distinzione scenica attuale dei singoli monocromi, molto deperiti, rimane alquanto incerta. La scena Esther dinanzi ad Assuero sembra figurare nel fregio situato tra II e III piano. La presenza di Esther sarebbe corroborata da un congruente scenario muliebre di richiamo biblico sulla medesima
212 De Tolnay 1945: 181-182, 213 Burragato – Ballirano –
tav. 131; Wind 2000: 42-43, fig. 121. Maras 1999. 214 Le Strange 1905: 436-437. 215 Porter 1992, pp. 86-92, 211.
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facciata, dove si rappresentano anche Giuditta che mette nel sacco la testa di Oloferne e inoltre lo Sposalizio di Maria216. La Storia di Esther in forma di fregio, affresco attribuito alla bottega di Francesco Salviati (c. 1564-1566), decora la villa del cardinale Giovanni Ricci, che diventa poi villa Medici, appartamento N, stanza 1 detta «Camera di Ester». Il progettista della pittura desumeva dal libro biblico come catalogo la rassegna di 14 episodi, alcuni dei quali sono accostati entro uno stesso spazio scenico. Tra le dieci scene, scompartite come interne di corte ed esterne di città, parecchie pervengono deperite o cancellate quando si ritrova il fregio (1961), che adesso appare di fattura mediocre217. La storia effigiata va, secondo me, vista quale dramma scenico in ordine diacronico degli eventi narrati nel testo biblico: Hegai eunuco del gineceo regio presenta Eshter ad Assuero sedente in trono. Assuero posa il diadema regio sulla testa di Esther scelta sposa e regina in luogo di Vasti. Mardocheo presso la soglia della reggia rifiuta di prosternarsi. Aman propone ad Assuero l’eccidio dei Giudei. [Tramite l’eunuco Atac, Mardocheo consiglia Esther di supplicare Assuero per la difesa dei Giudei]. Esther si reca presso Assuero per impetrare la salvezza dei Giudei. Assuero si fa leggere la cronaca regia. Mardocheo come regio cavaliere finto viene condotto da Aman alla piazza di Susa. Esther chiede ad Assuero di revocare l’editto di Aman. Assuero dispone la revoca dell’editto di Aman. Esther denuncia Aman ad Assuero, che ne comanda l’impiccagione. Assuero dona ad Esther la casa di Aman. I Giudei si vendicano con la strage dei nemici e mandano sul patibolo i dieci figli di Aman. Esther e Mardocheo instaurano la festa ebraica dei Purim218.
Questo tema biblico, che trovava largo spazio in poesia, drammaturgia e musica, dal XVII secolo fu molto diffuso in sede romana e altre come oratorio sacro, una nuova invenzione italiana al pari del dramma per musica219. Il poeta Vincenzo Gramigni / Gramigna, membro dell’Accademia degli Oziosi in Napoli e di quella degli Umoristi in Roma, dedicò al cardinale 216 Amici
dei Musei di Roma 1960: 55; Errico et aliae 1985: 81. 1989; Toulier 1989. 218 Est 2, 15-17; 3, 3-9; 4, 5-17; 5, 1-3; 6, 1-11; 7, 5-10; 8, 1-9; 9, 1-32. 219 Piemontese 2009c: 108-109, 113-114. 217 Deswarte
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Scipione Borghese (Napoli, 5 giugno 1614) la tragedia Amano, in cinque atti e vari intermezzi. Interlocutori: Ombra di Vaste, Furie, Amano, Adrasto, Coro di Soldati; Assuero Rè, Segretario d’Assuero, Coro, Egeo Eunuco, Esterre e Nuntio. Incipit, Ombra di Vaste: «Dolenti, ò mal nate ombre sorelle, / Che m’affliggete ancor col vostro pianto». Atto IV, scena ultima, Coro: «Ma ecco Aman, che l’ira sua non puote / Frenare, e par che spriri / Mille di sangue ancor pregni sospiri»220. La chiesa di S. Silvestro al Quirinale presenta una pregevolissima opera di Domenico Zampieri detto il Domenichino nella cappella Bandini, eretta per Pietro Antonio Bandini banchiere fiorentino. Domenichino figura (c. 1629) in quattro ovati altrettante imprese bibliche, tra cui Giuditta trionfante e il Deliquio di Esther dinanzi ad Assuero, un capolavoro pittorico221. Esther indossa corona, veste viola e manto rosso. Languida e dolcissima, si sorregge alla spalla della solerte ancella, mentre Assuero scende lesto dal trono. Egli indossa il manto giallo e la veste verde, tiene lo scettro aureo nella mano destra ma affettuoso tende la sinistra che già quasi sfiora la guancia della regina. Lacrime d’Amore perseguitato essaltato. Comparsa Settima Mardocheo, Ester, & Assuero Rè concludono le Lacrime Sacre Loquaci d’Amore Divino composte da Bernardino Turamini, ministro francescano della Provincia di Roma (1632). Mardocheo dice: «Tù Giudaismo, fondator del Mondo, / Dopo tante mutanze, / E d’Imperij, e di tempi, hora ti chiude / Vn Cortegian di Susa, in un sol colpo». Ester dice: Vorrei potere, ò Mardocheo, cangiarmi / In vn mare di stille, amare tanto / Quanto amare può farle, amor, dolore, / Per muover a pietà, piangendo forte / Il core d’Assuero, e liberare / Con pianto tanto amaro / Quanto amara è la morte, / L’amato popol mio, da l’empia morte.
Assuero decide: «Viua, viua, ò Esterre il Popol tuo, / E mora in vece sua l’iniquo Amano; / Sù, sù veloci à Corte; / Si cangino gli Editti, / Viua il popolo Hebreo, s’uccida Amano»222. Dialogo / Oratorio di Esther composto da Pietro Della Valle fu eseguito nell’Oratorio del Crocifisso a S. Marcello (2 aprile 1640) e in casa dell’autore (carnevale 1647). Le voci di Assuero, Mardocheo, Aman, Esther, Poeta e Cori intervengono nel dialogo, il cui testo pare disperso223. Si è su ricordata l’effige della Sibilla Persica che decora il palazzo Della Valle. Persianista e 220 Gramigni
1614: 9, 78. 1958: 30-31, tav. XVIII, fig. 2; Bernardini 1996: fig. 3. 222 Turamini 1632: 81-88. 223 Solerti 1905.
221 Neppi
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turcologo, letterato, importante viaggiatore romano in Persia, Pietro Della Valle ne tornava in patria (1626) con il diario e i codici collezionati, e curando il trasporto della salma imbalsamata della sposa, Sitti Maani. Egli, defunto (21 aprile 1652), fu sepolto nella cappella avita di S. Paolo sita nella basilica di S. Maria in Ara Coeli, dove non si rileva una relativa iscrizione funebre224. Un dramma adespoto e anepigrafo per musica. Interlocutori: Choro d’Hebrei, Choro di Giovani, Florino, Orindo, Narsete, Angelo, Sigesto, Amano e Rubeno. Argomento: Il Re Assvero mosso da calunnie inuentate da Amano per leggier cagioni, non leggiermente sdegnato contro gli Hebrei comando che tutti fossero ammazzati. La Regina Ester di cui si erano poco prima celebrate le nozze scoprendo gli inganni d’Amano & manifestando se stessa come nata di quella stirpe libe = [ra] il Popolo dalla imminente ruina.
Incipit, Prolago [Prologo] dice: «Con questo manto in strane guise adorno […] / Apparir uolli un Persiano errante». (Atto I, sc. I) Orindo: «Ecco il più lieto giorno, e più sereno / Che scintillasse mai / Da la gran Persia in seno». (Atto II, sc. I) Angelo: «In te solo ogni stratio ogni tormento / In te si uolga ò scelerato Amano». (Atto II, sc. II) Choro d’Hebrei: «Non piu Signor non piu / S’arroti il ferro ardente / Ai danni de la gente / Che fida ogn hor ti fù / Non più Signor non più». Sigesto: «Volesse pur almeno / Supplice d’Assuero il trono auante / Ester chieder pietade». (Atto III, sc. I) Amano: «Che farai tu fra tanti dubbij in uolto / Miserabile Amanno?». (Atto III, sc. III) Narsete riferisce circa Ester: «All’hor colmo Assuero / Di stupore egualmente e di diletti / Con occhi di pieta con uiuo affetto / Mirolla, e contro Amano il cor seuero / Riuolgendo alo sdegno / La man vendicatrice». Vno del choro: «Hoggi risplendino / Di Persia i campi / Vaghi si accendono / Oltre l’usato i lampi». Explicit: «Cantate pure con noi l’estreme / Nostre auenture»225. Un oratorio anepigrafo ha come Voci: Testo, Assuero, Ester, Aman, Paggio e Mardocheo; incipit Madrigale: «Se il Ciel ne difende / più d’altro non curo, / felice, sicuro». Assuero canta: «Io son seruo, e tu Reina / ò bellezza, ch’imperi al Mondo». Poi Ester: «Sposo real, che sei / come rifugio ai giusti, / così flagello ai rei». Explicit Tutti: «L’infausto fine dell’alterezza uostra / Il dannato Aman chiaro ui mostra»226. È un esemplare manoscritto dell’Ora224 Casimiro
Romano 1736: 198-199, 203-207. Barb. lat. 3776, ff. 8r-23r (stemmi di papa Urbano VIII Barberini (1623-1644) e del cardinale nepote Francesco Barberini); altra copia BAV, Barb. lat. 3804, ff. 53r-67v. 226 BAV, Barb. lat. 3862, ff. 82r-86v. 225 BAV,
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torio d’Assuero. Madrigale à 2, composto da Giovanni Lotti, poeta toscano, Accademico Umorista di Roma e lettore di logica alla Sapienza. Nel testo edito postumo Eunuco prende il posto di Paggio. Ester dolce canta al Re: «La corona, ch’il crine mi cinge, / È catena, che l’anima stringe, / Sempre ancella di tua bontà»227. Giacinto Gimignani affrescava in palazzo Pamphilj sito a Piazza Navona la «Camera delle Donne Illustri» come fregio a lunghi quadri rettangolari, dove figura Giuditta trionfante. L’opera è firmata e datata «Hyacintus GIMIGNA(N)VS Pistoriensis ping(eb)at A(anno) S(alutis) 1648». Sulla parete sud, sopra la porta d’ingresso, egli dipinge il Deliquio di Esther dinanzi ad Assuero. Ella è sorretta da due ancelle, mentre per soccorrerla il re accorre dal trono, al cui lato sta Mardocheo. Esther e Assuero sono anche figurati su uno scomparto più corto228. L’elenco anonimo delle statue dei santi da situare sopra il colonnato berniniano di S. Pietro metteva in programma per il suo portico una statua di «† Hester», opera che poi non venne eseguita229. Su committenza e programma iconografico di papa Alessandro VII, il pittore Raffaello Vanni affrescò la volta della cupola nella chiesa di S. Maria del Popolo (1656-1657), raffigurandovi la Vergine Immacolata nella Gloria del Paradiso. Questa apoteosi poggia sui quattro pennacchi della cupola: Esther, Giuditta, Ruth e Deborah figurano ciascuna in maniera possente sullo spazio triangolare che adorna il rispettivo pennacchio. Tali quattro eroine giudaiche dell’Antico Testamento sostengono quali antesignane la funzione redentrice di Maria, madre della Chiesa230. Nel primo pennacchio un putto esibisce il cartiglio che è inscritto «CONSOLATRIX | ESTHER» su due fasce asimmetriche, dove il nome sovrasta al qualificativo. Si dichiara Esther la consolatrice, santa donna che ha procurato una redenzione storica del popolo giudaico, congiunto alla speranza di quello cristiano. Ella, sedente, indossa la corona aurea, quale regina di Persia, e la veste rossa e il manto azzurro che nascondono il soglio e lambiscono il putto araldico. Esther allarga le braccia mentre stringe lo scettro aureo nella mano destra e volge lo sguardo al cielo paradisiaco dove emerge Maria. Estatica e supplice, la regina della terra eleva la sua preghiera alla regina del cielo. Il senso della preghiera di Esther campeggia come motto sulla targa della retrostante parete dipinta e inscritta «DONA MIHI POPVLVM | 227 Lotti
1688: 147-158. 1976; Redig de Campos 1978: 188-189. 229 BAV, Chig. H.II.22, f. 225v, colonna a, linea 17; Haus 1970: 31; Carloni 1987: 43, 288. 230 Pedrocchi 2009: 624-655, 632, fig. 471 e 477. 228 Preimesberger
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PRO QVO OBSECRO» («Donami il popolo per il quale supplico»). Nel testo biblico Esther penitente eleva una lunga preghiera al Signore, cui dice anche «liberaci tu con la tua mano, e aiuta me». Quindi Mardocheo esorta Esther a presentarsi allo sposo re Assuero e supplicarlo per il suo popolo e la sua patria (Est 14, 14; 15, 1). Giovanni Bonatti dipinse il Deliquio di Esther dinanzi ad Assuero come quadro decorativo di sopraporta per il cardinale Carlo Francesco Pio di Savoia, la cui collezione pittorica fu trasferita a Roma (post 1662). La Pinacoteca Capitolina acquista (1750) e adesso espone nella Galleria Cini il quadro di Bonatti231. Egli figura Esther che sta esamine tra due ancelle, e quasi la tocca con lo scettro, quasi una bacchetta di mago, Assuero barbuto che veste il manto viola e il turbante enorme ornato di una spilla grondante perle. Aman Oratorium composto da Lodovico Casale poeta romano (1670). Interlocutori: Aman, Mardochaeus, Assuerus, Ester, Zares, Textus, Chorus Primus, Chorus Secundus, Chorus Plenus e varie Voces. Assuerus canta: «Veni, Ester, ad me veni. / O quàm laudabilis / Est decor, est cultus / Tui vultus sereni. / Veni, Ester, ad me veni»232. Per committenza di Fabrizio Naro e discendenti, Antonio Gherardi affresca il salone di palazzo Naro, sito in via Monterone, presso via de’ Nari e la chiesa di S. Eustachio. Gherardi figura (1673-1674) sulla volta del salone, prospiciente piazza dei Caprettari, la «Storia di Esther». Il Deliquio di Esther dinanzi ad Assuero pare ordinario. L’ancella sorregge la regina mentre il re impugnando lo scettro balza dal trono. Poi Assuero incorona Esther. L’incoronazione avviene sopra un immane baldacchino marmoreo lambito da ampi drappi, quasi un trono sito in un padiglione. Assuero e Aman al convito di Esther. Esula dal racconto biblico il gesticolare delle mani, esagerato rispetto a quanto evidenziava Michelangelo nella Cappella Sistina. Seduto dietro la tavola al centro della sala colma di drappi, il re leva l’indice in aria. La regina, sedente alla sua destra, tende l’indice verso il ministro che, seduto alla sua sinistra, alza la propria mano sinistra in segno di giuramento. Il Trionfo di Mordecai, quale cavaliere coronato, pare presente tra le scene233. Durante l’anno santo 1675, nell’Oratorio dell’Arciconfraternita della Pietà sito nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini, furono eseguiti anche questi due oratorii: Assuero, poesia di Francesco Bartolomeo Nencini posta
231 Guarino
– Masini 2006: 148-151, n° 56; inv. PC 224, cm 105 × 192. 1670: 531-547. 233 Mezzetti 1948; Pickrel 1983; Amadio 1997. 232 Casale
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in musica da Bernardo Pasquini, e Regina Ester liberatrice del Popolo Ebreo, musica di Ercole Bernabei234. Aman Depressus, oratorio adespoto, posto in musica da Giacomo Frittelli e cantato nell’Oratorio del Crocifisso di S. Marcello (1684), comincia con il grande convito nella reggia di Assuerus. Il Chorus Epulantium Principum intona: «In aeternum viuat Rex. / Manducate / Exultantes; / Et laetantes / Propinate / : Nulla sit bibendi lex». Mamuchan critica la regina restia e ripudiata, o pudica e spodestata: «Quando Vashti resistit immobilis, / Non sit mobilis / Regia Pax»235. Il Repudio di Vasti, e Le Nozze di Ester, oratorio posto in musica da Gregorio Genovesi (1689), è il nono tra i dodici oratorii di Giovanni Bartolomeo Duranti che in raccolta li dedicava all’Ambasciatrice di Spagna in Roma. Interlocutori: Assuero Rè de Persi e de Medi, Vasti Regina sua Consorte, Lidia Damigella di Vasti, Ester Hebrea, Oronte Capo delli Eunuchi e Lindalmo Satrapo Persiano. Cominciava il Coro: «Viua Assuero viua». Lindalmo rincalza: «Nissun ciglio appaia nubilo, Tutte in giubilo / Sol risuonino le Trombe». La regina consorte pretende: «Vasti son’io, che vale à dir quel Sole, / Per cui ride la Persia». Ma ella era ripudiata e al termine esilarante pare il dialogo Assuero: «Oue nascesti?», Ester: «In Susa», Assuero: «Il nome?», Ester: «Ester mi chiamo», Assuero: «O là: pongasi in Trono: Ecco io già l’amo»236. Esther, oratorio adespoto, fa parte di tre diverse composizioni del genere, eseguite nell’Oratorio dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso durante un biennio (1698-1699) e citate qui di seguito. Questa prima, che era posta in musica da Gregorio Cola romano, maestro di cappella a S. Maria del Pianto, la chiesetta sita nel Ghetto ebraico, ha quattro interlocutori: Esther Regina, Assuerus Rex, Mardocheus e Aman. In principio Esther intona la preghiera: «O Magne Rerum Sator, / Nostre Gentis amator, amor meus»237. Humilium et Superborum Exitus, oratorio di Filippo Capistrelli romano posto in musica da Mercurio Faccioli. Argomento: «Regnaua in Susi, Città de’ Gigli, Capitale della Persia Assuero Dario, Figliuolo del Prencipe Istaspe». Personae: Edissa Esther, filia Abigail, fratris Mardochei, sibi adoptata in filiam; Mardocheus filius Iair e Tribu Beniamin, & Regio Saulis stipite; Assuerus Darius, filius Histaspis, Rex Persarum, & Medorum; Vasthi Regina ab Assuero repudiata, Aman filius Amadathi, de stirpe Agag; Zares eius Vxor; Iudei in Susan, alijsque Prouincijs dispersi; Aulici, & Re234 Casimiri
1936. 1684. 236 Duranti 1689: 115-128. 237 Cola 1698. 235 Frittelli
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gij Cantores. Incipit Superbia: «Aman fuget», Humilitas: «Surgens, cadet, / Extolletur», Mardocheus: «Superbia deprimetur». Assuerus condanna: «Quoque in Reginam? Age Puerorum impetus, / Caput Aman obnubito, / Eum infelici Arbori suspendito / Quo ducat ceca mens, / Videat superba Frons: / Qui montis surgens fuit, / Per Valles ruit Fons». Lamento di Zares: «Vir meus suspensus cecidit? / Zares infelicissima, / Iniquissima fata / In me, cum mihi placida efferata»238. Aman Delusus, oratorio adespoto ma su poesia di Arcangelo Spagna posto in musica da Filippo Amadei, è a quattro Voces: Esther Regina, Mardochaeus, Assuerus Rex, Aman, inoltre Chorus Persarum e Chorus Hebraeorum. In principio il Chorus Persarum intona: «Aman vivat triumphator / Victoriis praeclarus / Assueri Regi carus / Et Persarum moderator». Assuerus promette: «Si dimidiam Regni sortem / Tu petieris donabo». Chorus Hebraeorum esulta: «O quies cara, / O dies clara, / Et laude digna / Nostri cordis edant signa / Per iucundae voces laetae». Spagna intitola questo oratorio Supplicium in Auctorem, sive Esther Triumphans nella edizione definitiva239. La Superbia Abbattuta nel Trionfo d’Ester, altro oratorio composto da Spagna, è a cinque voci: Ester Regina, Mardocheo suo Zio, Assuero Rè, Aman suo fauorito e Arsace Eunuco, più il Choro. Aman vanta: «Più potente in Oriente / Mai di me non si trouò / Nell’Impero d’Assuero / Al mio merto egual non hò». Ma il ministro superbo è abbattuto. Assuero s’informa: «Chì tal’eccesso è a machinar possente?». Ester indica: «L’empio Aman qui presente / È il barbaro homicida»240. L’Assuero, oratorio di Pietro T. Vagni posto in musica da Giuseppe Scalmani, era eseguito verso il tramonto del XVII secolo o al principio del nuovo. Interlocutori: Assuero Rè di Persia, Ester sua Consorte, Mardocheo Zio d’Ester, Aman Favorito d’Assuero. L’esito del dramma è chiaro quando al principio Assuero intona: «Cara Sposa amato Bene / Lascia omai di lagrimar»241. Il Trionfo dei Giusti, poesia di Giacomo Buonaccorsi abate fiorentino, la quale fu posta in musica da Francesco Grassi ed eseguita presso l’Arciconfraternita della Pietà in S. Giovanni dei Fiorentini (1700). Qui il nuovo secolo comincia con l’aria di Ester, incipit: «Sorge l’alba, e tutti intenti
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1698. 1699; 1706: Libro Secondo 221-229; Franchi 1988: 744. 240 Spagna 1706: Libro Primo 103-118. 241 Vagni 1700; Franchi 1988: 763-764. 239 Spagna
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/ Stan gl’augelli a’ dolci canti». Altri quattro interlocutori sono Assuero, Amàn, Zares e Mardochéo242. Assuerus, «drama sacrum» composto da Gregorio Cola (1703), ha ancora una volta i quattro interlocutori Assuerus Rex, Esther Regina, Mardocheus e Aman. In principio Assuerus minaccia: «Magna lex, sancta lex / Contra populum Hebreum»243. Esther, «melodrama» di Francesco Domenico Clementi romano era posto in musica da Domenico Laurelli e cantato nella chiesa dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso (1710). Stessi interlocutori. In principio Esther canta l’aria: «Dulcis afflictis tandem illuxit Dies / Larga serenus luce»244. L’oratorio in due parti evolveva verso una forma di melodramma e l’azione sacra in due atti. Esther era celebrata sempre più come la regina imperante in Persia e l’augusta rappresentante del popolo giudaico, la sua salvatrice antica che quindi veniva accostata alla figura salvifica di Maria. L’oratorio attinente al tema era sovente allestito per la festa della sua Assunzione (15 agosto). La Regina Ester, oratorio di Tommaso Aceti posto in musica da Domenico Antonio Berti (1719). Interlocutori: Ester, Assuero, Aman e Mardocheo, e il Coro. In principio Ester intona: «Sommo Dio d’Israele». Poi Assuero si vanta: «Già mi bacian prostrati il Perso, il Medo / E l’Etiope e l’Indo i piè del Soglio». Ma Aman l’insidia, al cui riguardo forte suona l’aria di Ester: «È fiero, è orribile: / S’infuria, smania / Tutta l’Ircania / Così terribile / Mostro non hà»245. La Regina Ester, dramma sacro adespoto, eseguito con musica di Carlo Foschi romano nell’Oratorio della Chiesa Nuova il giorno festivo di Maria Assunta (1720). Personaggi: Ester, Assuero, Mardocheo Isdraelita e Choro di Ebrei. «Assuero, o vogliam dire Artaserse Re di Persia», si precisa nell’argomento. Incomincia Mardocheo con il canto «Amici il nostro pianto / Fia che spenga l’ardor, ch’ora si accese». Assuero invita Ester: «Quest’è lo Scettro / A i cui lampi aurati il Mondo intero, / Nel Regnante Assuero, / E di Persia, e di Media il Nume onora / Bagialo [: bacialo], o Fida, e il suo gran Genio adora». Ma in explicit si adora Maria: «Ester or di Colei / Una immagine bella a noi tu sei»246. Il Convito d’Assuero, teatro sacro inscenato nella chiesa del Gesù per l’esposizione del SS. Sacramento (1725), fu descritto in due fogli a stampa, 242 Buonaccorsi 243 Cola 1703.
1700.
244 Clementi
1710. 1719. 246 Foschi 1720. 245 Aceti
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dove si dichiara: «Tutta la Machina è Invenzione & Opera del Sig. Gio; [: Giovanni] Paolo Pannini». Assuero, re «di centoventisette Provincie, quante si stendon dall’India fino all’ultima Etiopia», risiedeva nella «Città di Susan», ricca del «Giardino, alla cultura di cui non isdegnava il Monarca d’impiegare di tanto in tanto Regia mano». Quindi «in esso riconoscesi da più Santi Padri e Sacri Interpreti una Figura assai splendida del Convito tanto più prezioso e magnifico imbandito da Gesù Cristo con le sue Carni divine, e col suo Sangue, à tutti i Fedeli nella sua Santissima Eucharistia»247. Sebastiano Ricci dipinse una «Storia di Esther» a olio su tela come due splendidi sovrapporta per il palazzo Reale di Torino (1733), i quali sono quindi trasferiti al palazzo del Quirinale (1888) e collocati nella palazzina, poi nella Quadreria. Il Deliquio di Esther dinanzi ad Assuero anima la corte palaziale. Assuero barbuto, che veste un lussuoso turbante e il mantello, erto sul podio del trono stende il braccio e tocca con lo scettro aureo la testa bionda e coronata di Esther che, esamine, viene sorretta da due ancelle. Vegliano dappresso due militi, dotati di elmo e armi romane248. Lo scultore Felipe de Castro (Noya 1711-Madrid 1775) eseguì per un concorso annuale presso l’Accademia Nazionale di San Luca un bassorilievo in terracotta (1733) che vi è esposto nella Galleria e rappresenta il gruppo Ester, Assuero e Amano249. Ester, oratorio di Panemo Cisseo, cioè Giulio Cesare Cordara, era posto in musica da Antonio Aurisicchio ed eseguito nel Seminario Romano per la festa della Natività di Maria Vergine (8 settembre 1744), fu poi ripreso nell’Oratorio di S. Girolamo della Carità e notevole successo ebbe anche in altre città. Interlocutori: Assuero, Ester, Amanno, Mardocheo, e il Coro di Donzelle Ebree. Al principio Mardocheo esclama: «Ester Ah principessa! A figlia! / Che tal posso chiamarti». Amanno s’illude: «Ecco pur ora ad una mensa istessa / Co’ Regnanti di Persia / Son chiamato a seder». Ma canta il Coro: «Col gran Re la Regia sposa / Sempre unisca un dolce amor»250. Ester, oratorio posto in musica da Giambattista Costanzi, pare su poesia di Giuseppe Maria Pujati O.S.B., fu eseguito nel Collegio Clementino per la festa dell’Assunzione di Maria (15 agosto 1751). Interlocutori: Ester, Assuero, Amano, e Coro [d’Israeliti]. Comincia Assuero: «No, Amano a’ cenni miei / Treman fino dall’ultimo Oriente / I Tiranni del Gange». Poi egli cencede a Ester: «Chiedi, ed alfin fa prova / Di ciò, che puoi sul core 247 Pannini
1725. 1962: 55, 80; tav 98; Del Buono 2006b: 119 ill., 120. 249 Golzio 1939: 22 (indice: Sala VIII, inv. 42). 250 Cordara 1744 e 1758. 248 Briganti
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d’Assuero, / Chiedimi ancor mezzo il mio vasto Impero». Canto finale: «Più tranquillo al suo splendore / Fia di nostra vita il mar»251. La Pietà d’Ester, azione sacra composta da Giovanni De Benedictis tarantino, Salsenio Tripolitano tra gli Arcadi (1758). Interlocutori: Assuero Re di Persia, Ester Consorte di Assuero, figlia adottiva di Mardocheo Suo Zio; Amanno Ministro favorito di Assuero, Atac Confidente di Ester, e «Coro Di Ebrei». «La reggia di Assuero in Susa è il luogo d’azione». Comincia Assuero: «Ester, sposa, regina: e ancor ti opprime / Il tuo occulto dolor? Ah, parla almeno», e «Pensa che a me soggetto, / Oltre l’Indo, oltre il Medo / Vive l’Etiope adusto, e il Perso altero; / Pensa che sposa sei di Assuero». Più avanti: «Ester, a tuoi desiri / Compiacqui già. Venni a tua mensa, e lieta / Io non ti veggio ancor. Parla, che chiedi? / Tutto otterrai. È tempo che mi sveli / La cagion di quel duol, che soffri, e celi». Ella svela, e il Coro canta in explicit: «Fuori siam di nostre pene, / In mercè di tua virtù, / Donna a Dio sempre gradita / Ester madre di pietà»252. Ester, azione sacra di Gioacchino Pizzi, Nivildo Amarinzio tra gli Arcadi accademici, era cantata con la musica di Pietro Crispi per il giorno festivo dell’Assunzione di Maria (1761). Personaggi: Assuero Rè di Persia, Ester Regina, Mardocheo Zio della medesima, e Coro. «L’Azione è dentro il Palagio di Assuero in Susa Città Regale della Persia». Comincia Assuero: «Gioja de’ Mortali, / Ornamento del Sesso, Ester vezzosa». Infine, Coro la Voce sola canta: «Dell’amabile Regina / La beltà, la grazia, il core / D’un gran Re placò il rigore, / La sua mano disarmò», per cui «O Regina, o fonte vivo / Di salute, e di perdono / Tanta grazia, Assunta al Trono / Il tuo Sposo ti donò»253. Il Popolo di Giuda Liberato dalla Morte per Intercessione della Regina Ester, «Poesia di G. N. C.» posta in musica da Antonio Sacchini e cantata nell’Oratorio della Congregazione dell’Oratorio (1768, tav. 26). Interlocutori: Assuero Re di Persia, Ester sua Sposa dichiarata Regina, e creduta figlia di Mardocheo suo Zio paterno, Amanno Principe favorito d’Assuero e Tarse Consigliere Reale. «L’Azione si rappresenta nella città di Susa». Incipit, Ester: «Padre …», Mardocheo: «Perdona: un tempo a me convenne / Sì grato, e dolce nome». Amanno insinua: «Il suddito, ch’il Re premiar desìa / Con un distinto onore, / Della Stola Regal coprir si dee; / Indi sopra destriero / Colla sella del Re convien che ascenda / Cinto di Serto il crine». Assuero elegge Mardocheo: «Del Popol tua la vita a te consegno, / Tu il Re salvasti, or custodisci il Regno. / Sposa? Se mai non basta / Quanto fin’or 251 Pujati
1751; 1752. Benedictis 1758: 31-52. 253 Pizzi 1761. 252 De
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oprai / Parla, da te dipende, e l’otterrai». Ester canta: «In un mare di grazie sì profondo / Più me stessa non trovo, e mi confondo. / So ben, che qual io sono. / È tuo libero dono; / E che del Popol mio tutte le voci, che per te verranno, / La tua Clemenza ogn’or esalteranno»254. Questa opera fu poi eseguita nel Collegio Germanico Ungarico (1769) e ripubblicata varie volte. Lo scultore Claudio Monti romano eseguì per un concorso annuale presso l’Accademia Nazionale di San Luca un bassorilievo in terracotta (1805) che vi è esposto nello Scalone e rappresenta il gruppo Ester e Assuero255. Ester o sia La Morte d’Amanno, azione sacra di Giovanni Battista Rasi posta in musica da Paolo Bonfichi (1821): «La scena è nella Reggia di Susa». Interlocutori: Assuero, Ester, Amanno Primo ministro, Mardocheo, Ataco Segretario di Assuero, e tre Cori: Grandi di Corte, Damigelle di Ester e Popolo Ebraico, che comincia: «Ah! Siam perduti! Oh Dio! / Pietà de’ figlj tuoi!». Ma segue la salvezza, in virtù di Ester. (Atto I, sc. IV) Assuero canta: «Qui la Persia vegga e adori / In costei la sua regnante; / Le mie grazie, i miei tesori / Apre a lei il mio core amante: / In lei vivo, e mi compiaccio; / Per lei stendesi il mio braccio; / Tutto è suo di Persia il rè»256. Ester, oratorio adespoto eseguito nell’Oratorio di S. Filippo Neri in S. Girolamo della Carità (1833), ha per luogo scenico la «Gran Piazza e Reggia nella Città di Susa Capitale della Persia». Cantano Coro d’Isdraeliti, Mardocheo, Assuero, Amanno, Emira ancella di Ester, Coro di Donzelle, Ester e Guardie del Regno. Incipit, Coro: «Morte adunque? / Orrenda morte / È dell’empio il cenno espresso». Deposto Amanno, Assuero nomina Mardocheo ministro e incarica Ester: «L’ingiusto Editto / Contro l’Ebrea Nazione / Fa che annullato sia». Il Coro conclude: «Lieta esulta o gran Regina / D’Isdraele eccelsa prole / Ch’ove nasce, e muore il sole / Ogni cuor t’adorerà»257. Una tradizione che appare consolidata, anche se è difficile seguirla in ogni particolare, è quella delle accademie poliglotte organizzate dal Pontificio Collegio Urbano de Propaganda Fide. Nella recita svolta per la festa dell’Epifania del 1863, per il ruolo linguistico «VIII Persiano», «Agostino Hairabedian di Nor Ciuha258 nella Persia» evocava i templi dei Persiani. Per il ruolo «V Armeno letterale», «Paolo Kambekian di Trabisonda nell’Asia Minore» ricorda che il Fasi e l’Arasse nascono non lontano dal Tigri e dall’Eufrate. Nella Accademia per l’Epifania del 1865, ritroviamo nuo254 Sacchini
1768. 1939: 28 (indice: Scalone, inv. 46). 256 Rasi 1821. 257 Ester 1833. 258 Nor Ciuha: Nuova Giulfa, quartiere armeno di Esfahân. 255 Golzio
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vamente Agostino Hairabedian per il ruolo linguistico «VIII Persiano», il quale evocava Ester figurata e la Susiana. Per il ruolo «V Armeno letterale» invece, «Giuseppe Aprahamian d’Erzerum nella Turchia Asiatica» interpretava Daniele, cui appare l’angelo Gabriele «per annunciargli il grande Ciro liberatore del popolo Israelitico»259. Pietro Gagliardi affrescava (tra il 1855 e il 1868) nella chiesa di S. Agostino, al di sopra degli archi della navata centrale, «Le storie della vita di Maria» come grandi riquadri. Quelli tra le finestre della parete alta, che fungono da lunette degli archi, presentano il catalogo di sei precorritrici della Vergine: Rebecca, Ruth, Giaele, Giuditta, Abigail, Esther260. In primo riquadro rispetto al transetto, ESTHER regina è asssisa in trono di forma marmorea, il cui zoccolo ne inscrive il nome dipinto oro (tav. 27). Dolce, autorevole, ella indossa la veste azzurra e il manto rosa. Posa la mano destra sul bracciolo del trono, e tende il braccio sinistro per mostrare il suo libro biblico, in nuce il piccolo codice recante l’editto regio persiano che proteggeva il popolo giudeo. Una coppia di angeli custodi veglia Eshter, mentre al suo fianco ciascuno di loro regge in mano una targa inscritta che proclama: EST REGNVM || ESSE | REGINAM. Un duplice motto lapidario che rinvia al senso del relativo passo biblico (cfr. Est 5, 6; 10, 6). La figura di Esther regnante si correla alla vicina immagine di Maria beata. Il riquadro di Esther tocca per limite due scene sottostanti: Maria e Giuseppe trovano il fanciullo Gesù che conversa con i dottori nel tempio (Lc 2, 41-50), e la Dormitio Virginis, il placido trapasso di Maria. Quale regina imperante, Esther sembra qui rappresentare il paese di Persia in prospettiva biblico-cristiana di una redenzione ventura. Il profeta DANIEL è effigiato sul pilastro della navata che sta di fronte. Questa Esther sovrana detentrice di un libro salvifico può rivestire nel contempo la funzione della Sibilla Persica. Michelangelo richiama questa e Daniel per abbinamento frontale nella Cappella Sistina. La chiesa di S. Salvatore in Onda, sita in via dei Pettinari, presso ponte Sisto, ospita la cappella Cassetta, intitolata (1868) a Maria Virgo Potens, la cui icona è esposta sull’altare. Quattro tele dipinte da Cesare Mariani in grande formato e disposte lungo la parete semianulare della cappella rispecchiano questa compagine: «Il Trionfo di Giuditta davanti alle mura di Betulia» e «L’Apparizione dell’Immacolata» a sinistra dell’altare, e a destra «L’Annunciazione» mistica e il fastoso Deliquio di Esther dinanzi ad Assuero, opera datata e firmata «C Mariani 1876» (tav. 28). 259 Accademia 260 Bartolini nati
Poliglotta 1863: 7-8; Accademia Poliglotta 1865: 7-9. 1886: 339; Breccia Fratadocchi 1979: 53; Montevecchi 1985: 47; Stri
2009: 323.
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Imperioso, erto sul primo scalino del trono, Assuero che ha corona, folta barba nera, manto giallo e stola rossa, inclina il lungo scettro aureo che fende come lancia l’ambiente, e stende il braccio sinistro verso il diadema aureo cordonato di perle che fascia la lunga chioma nera di Esther mentre in deliquio, china tra due ancelle davanti a un paio di flabelli, ella protende il fulgido braccio seminudo, e il manto serico bianco e la veste di broccato pendono sul tappeto. Un leoncino dorato si sporge su una colonnina laterale del trono. Dietro, quattro dame concorrenti del gineceo osservano. Pare Mardocheo l’autorevole uomo discosto che veste il manto verde presso lo statuario toro bianco alato e antropocefalo della Porta di Serse che domina lo sfondo tra alcune colonne. In proscenio un giovane negro, forse Atac l’eunuco personale e ministro di Esther (Esth 4, 5), indica il bassorilievo del leone che abbranca il toro. Lo scenario evoca la reggia di Persepoli, che il pittore desume da illustrazioni moderne. Il Museo di Roma (inv. 21938, cm 77 × 50) conserva questa scena del confronto di Esther e Assuero tra i quattro disegni acquerellati di Mariani relativi a tale sua tetralogia di referenza mariana261. Esther assume un posto di rilievo transatlantico in S. Gioacchino, la chiesa pontificia eretta da Lorenzo M. de Rossi e Raffaele Ingami (18911898), architetto del Capitolo Vaticano, per celebrare il giubileo sacerdotale di papa Leone XIII. Questa chiesa, sita in via Pompeo Magno, angolo piazza dei Quiriti, e officiata dalla congregazione dei Redentoristi, ospita il Centro internazionale dell’Adorazione Eucaristica Riparatrice delle Nazioni Cattoliche rappresentate in Roma, allora 14, che sono dotate di altrettante cappelle. Nella braccio destro della crociera Eugenio Cisterna da Genzano affresca e decora (1900) la cappella degli Stati Uniti d’America, la settima, dedicata a Maria Vergine Immacolata, patrona della Chiesa cattolica americana262. Lo stemma dipinto come insegna degli U.S.A. sovrasta l’iscrizione fondativa rossa e nera. Le figure sono così disposte: ESTHER
U.S.A.
ABIGAIL
REBECCA ingresso altare
IVDITH GABRIEL
MARIA
MICHAEL
ESTHER, regina ieratica che indossa la veste bianca cinta di una stola 261 Orlandi 1888: 81-84; Di Domenico Cortese – Barroero 1977: 42-43, tav. XV; Barchiesi 1998: fig. 45. 262 Piccolini – Trani 1930: 43-46.
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dorata, sta eretta entro l’arcata palaziale a fondo blu cielo e posa le mani sui bracciali del trono, al cui piede sporge una testa leonina dorata e spicca il drappo rosso. Ella regge nella mano destra un rotolo, l’editto regio emesso da Assuero a favore dei Giudei e spedito a tutte le province del regno. Esther ne esibisce il brano costitutivo (Esth 16, 19): VT LICEAT | JVDEIS | VTI | LEGIBVS | SVIS «affinché sia lecito ai Giudei usufruire delle proprie leggi». Esther sta a fronte di Gabriel, l’angelo dell’annunciazione a Maria, al cui altro lato sta Michael. L’arcangelo Michael è il «Protettore di Roma», come ricorda la didascalia di un acquerello seicentesco che ritrae il grande graffito medievale eseguito sul piedritto della «Porta di Bastiano», S. Sebastiano, che sta sulla via Appia263. 6. La conquista di Alessandro Macedone Dario III Codomanus, ultimo re achemenide di Persia (336-330 a.C.), fu vinto da Alessandro re di Macedonia. Gesta e cimeli alessandrini immessi in Roma antica rappresentavano un modello di conquista dell’Asia vicina, dove il regno di Parthia sorse poi come avversario264. La vittoria a Issus era stata la prima azione militare macedone entusiasmante, ricchissima di bottino, compresa la cattura di Sisygambi, regina madre, la moglie e due figlie di Dario III, e altre dame. La regina Stateira, sorella e sposa di Dario III, custodita nel gineceo del vincitore, morì poi di stenti in cattività. Le due principesse reali erano Barsine, la primogenita detta Stateira, e la sorella Drypetis. La principessa Parysatis era figlia di Artaserse III Ocho, predecessore di re Dario. Altra Sisygambi era la sorella e sposa del nipote di Ostane. Dopo la battaglia di Gaugamela le dame persiane vivevano semilibere in Susa. Alessandro vi sposa Barsine e Parysatis, mentre Hephaistion sposa Drypetis (324 a.C.). Barsine e Drypetis periscono poi uccise nel pozzo di Babilonia265. Ma era «Roxane nomine, eximia corporis specie et decore habitus in barbaris raro»: la giovane di nome Roxane la donna ammirevole per bellezza fisica e il decoro raro tra i barbari. Questa bella figlia di Oxyarte incontrata e sposata in Bactriana (327 a.C.) «era la donna più amabile che essi avessero visto in Asia accanto alla moglie di Dario»266. Roxane e il figlio postumo di Alessandro, colto da morte improvvisa, sono inviati in 263 BAV,
Barb. lat. 4404, f. 32r. anche I.1. 265 Diod. 17, 37, 3; Plut. Alex. 21, 5-7; 30, 1-6; 70. 266 Curt. 8, 4, 22-36; Arr. anab. 4, 19, 5. 264 Vedi
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Macedonia. Perdikkas appoggia la rivendicazione di Roxane, il cui figlio è riconosciuto erede dall’assemblea macedone come Alessandro IV. Kassandros, reggente del regno, condanna Roxane e Alessandro IV alla prigionia perpetua nella Rocca di Amphipolis (316 a.C.), dove essi sono assassinati (310 a.C.). Roxane / Roxana, it. Rossana, vale «Lucente»: neopers. roušanâ «luce, splendore; marcasite»; roušan «lucente, luminoso splendente, chiaro, sereno»; plur. roušanân «le stelle»; diminutivo roušanak, anche «portatore di fiaccola»267. I nomi muliebri Roušanân e Roušanak sono ancora comuni in Iran. S’interpreta come una rappresentazione della leggendaria ascensione di Alessandro, narrata nel relativo romanzo antico e medievale, il rilievo di una lastra marmorea bianca, reperto di epoca incerta (tra VII e X secolo) e provenienza ignota. Tale lastra era situata in Castel S. Angelo (inv. 641) e si trova esposta nel Museo dell’Alto Medioevo (inv. 2168). Il protagonista del rilievo sembra reggere due bastoni o serpenti cui sono impalati due cavalli, cibo abituale dei grifoni268. La retroprospettiva letteraria, artistica, drammaturgica, musicale e coreografica che concerne la conquista del regno antico di Persia, gloriosa impresa di Alessandro Macedone, incentivò la rievocazione romana di una storica vittoria d’Europa sul fronte d’Asia. In tale tematica la Roma monumentale dei Papi si riconnetteva alla memoria della Roma dei Cesari269. Le fonti storiche preferite da committenti, artisti e loro consulenti, erano il biografo Plutarco, Quinto Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni Macedonis, e Arriano, Anabasis Alexandri, opere celebri composte in piena epoca imperiale romana (secoli I-II d.C.). La pittura esalta volentieri il comportamento condiscendente del conquistatore macedone riguardo al regio gineceo persiano, ricevuto sul campo di battaglia. Il teatro, il dramma per musica e la coreografia toccavano una gamma di tasti sul tema. Su un codice membranaceo miniato, avignonese di provenienza e probabile fattura (c. 1360-1370), quindi divenuto un breviario di papa Martino V (1417-1431), si vede una variante estrema della regia conquista alessandrina (tav. 29): la lettera «Iniziale E di Et factum est raffigurante Alessandro Magno che uccide Dario». Il re coronato tende la mano sinistra per fermare il braccio destro di Alessandro che però con il sinistro, indossando l’elmo e una veste blu, abbranca al collo Dario e gli conficca la spada nel naso sgorgante sangue270. 267 Steingass
1892: 595. 1953: 121, fig. 88. 269 Piemontese 2006b. 270 BAV, Vat. lat. 1471, f. 251r; Manzari 1995. 268 L’Orange
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L’Appartamento Borgia in Vaticano sanziona il reinserimento del tema figurativo di Alessandro Magno in contesti palaziali che rinnovano l’assetto urbano monumentale. Un tondo a rilievo, il ritratto di Alessandro Magno, che illustra il nome pontificio di Alessandro VI, è situato sotto l’intradosso di una finestra della «Sala dei Santi». Riscontro iconografico di tale rilievo è il busto Alexander miniato entro la lettera iniziale E sul frontespizio di un codice membranaceo che reca questa versione latina eseguita da Bartholomeo Facio (c. 1454) per Alfonso V re di Aragona e di Napoli271. La Sala del Camino nello stesso Appartamento, decorata con reperti antichi come le colonne intermedie e ripartiti in otto riquadri, reca nel terzo il disco marmoreo Adriano vittorioso de’ Parthi: l’imperatore, che siede davanti all’esercito, conversa con Sabina272. Si presentano poi due gesti pietosi. Nella Cappella Sistina, campata VI della volta, Michelangelo dipinge uno splendido medaglione ocra dorato: Alessandro adora il nome di Dio che traspare sulla veste di Jaddus, il gran sacerdote che indica al condottiero il Tempio di Gerusalemme come meta suprema. Una xilografia della Biblia volgar istoriata e tradotta da Niccolò Malermi (Venezia, 1493) inserisce il soggetto di Alessandro adorante in nome di Dio presso il gran sacerdote come interpolazione preliminare al I libro dei Maccabei. Una medaglia coniata da Alessandro Cesati per papa Paolo III Farnese, e conservata nel British Museum londinese, rappresenta lo stesso soggetto e reca sul rovescio il motto in esergo OMNES REGES SERVENT EI. La fonte letteraria del soggetto riferisce che, durante l’assedio di Tiro, Alessandro incontrò il sacerdote Jaddus, che però si manteneva leale a Dario III, sul monte Saphein (Sôphîm o Scopus) che, svettante un miglio a nord di Gerusalemme, ne offriva una buona vista del Tempio273. Nella Stanza della Segnatura, presso la finestra sottostante al «Parnaso», soave affresco di Raffaello, la sua scuola pittorica esegue a chiaroscuro la monocromia biancagrigia Alessandro dispone di custodire le opere di Omero nel cofano. Perin del Vaga disegna lo stesso episodio274. Raffaello figurava le Nozze di Alessandro e Rossane. Se ne conservano copie, come un disegno in Wien, Albertina, uno schizzo in Harlem, Museum Teyler. Una buona incisione replica un apparente esemplare sito nella residenza suburbana del marchese Olgiati e reca la legenda «Alexandri et Roxane Nuptiae Extat Romae in Aedibus suburbanis Marchionis Olgiati Raffaello d’Urbino 271 BAV, Urb. lat. 415, Arriani Rerum Gestarum Alexandri regis (c. 1495), f. 1r; Poeschel 1988: fig. 1-2, 9; 1989; 1999: 176-181, fig. 121-123. 272 Pistolesi 1829: III, 52. 273 Fl. Ios. ant. iud. 11, 317-339; Michelangelo 1994: I, 31.3; II, 85, 268, 398; Wind 2000: 114-115, fig. 96-97, 103. 274 Hoogewerff 1926; Harprath 1978: Tav. 30, 32, 73; Winner 1993: 258.
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inv. Giovanni Volpati sculpsit 1772». Vi si vede Alessandro, che veste elmo, mantello e tunica, mentre porge il diadema a Roxane, che sta seminuda sul ciglio del talamo, assistita da putti alati275. Il disegno e lo schizzo di Raffaello erano forse studi preparatori dell’affresco principale, opera di Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, che decora la sala da letto sita al primo piano della Villa Farnesina alla Lungara, fastoso capolavoro del Rinascimento. L’architetto Baldassarre Peruzzi erige la Villa (1509-1513), residenza di Agostino Chigi, il banchiere ricchissimo (Siena 1465-Roma 1520). Aetion, pittore greco coevo del conquistatore macedone, aveva dipinto Le Nozze di Roxana e Alessandro, la cui tavola egli espose in Olympia. Luciano di Samosata, retore greco (c. 120-180 d.C.), vide e descrisse in maniera accurata il dipinto di Aetion quando esso si trovava trasferito in Italia. Tale testo di Luciano fu letto e ricordato da Leon Battista Alberti nel proprio trattato sulla pittura (1435). Questa opera pare la fonte letteraria prossima della bellissima scena nuziale che Bazzi affresca nella Villa Farnesina (1519). Egli istoria «La Stanza di Alessandro e Rossane» dove il protagonista figura come giovane cavaliere, guerriero e uomo vittorioso, il vir eximius276. La campagna romana percorsa da combattenti connette il paesaggio che fiancheggia le scene. Una banda dipinta sulla parete sud figura una Battaglia tra Macedoni e Persiani. Il combattimento prosegue nelle vicinanze della tenda dipinta sul camino della parete destra laterale. Bazzi affresca su questa parete est la scena Alessandro accoglie il gineceo regio di Dario, sconfitto a Issus. Presso la tenda staziona il regio gineceo magnifico, dieci donne, inoltre due fanciulle e un bimbo. La regina madre Sisygambi è supplice, inginocchiata dinanzi al conquistatore vittorioso, che indossa l’elmo e l’armatura. Al suo fianco sta Hephaistion, il generale e amico fidato, che sfoggia una sciabola persiana di fattura coeva del pittore. Sulla parete nord sono dipinte le Nozze di Alessandro e Roxane. Un manipolo di quattro angeletti nudi trae la sposa fuori dal baldacchino sontuoso, assediato da tredici putti nudi volanti, mentre altri sei festeggiano sul pavimento marmoreo, recinto dalla balaustra di proscenio. L’elmo di Alessandro è posato al centro del pavimento, presso i suoi piedi. Egli, che ha chioma bionda riccioluta fluente, veste mantello oro su tunica azzurra e brache aderenti alle gambe di costume persiano o medo. Lo sposo porge con la mano destra il diadema a Roxane, la bionda sposa seminuda che sta pudica, felice, esitante, sul ciglio del talamo bianco. A sinistra di questo, si 275 Hamilton
1773: f. 10; Frommel 2003: I, 123, fig. 134-135. Herodotus sive Aetion 4-6; Ranalli 1838; Hermanin 1927: 91-98, tav. LIII-LVIII; Gerlini 1999: 70-75; Frommel 2003: I, 121-126, 193-194; II, 224-237, fig. 254-268. 276 Luc.
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attardano a osservare uno schiavo africano e due fantesche. Discosto sulla destra, Hephaistion, mentre guarda di spalle l’amico prediletto Alessandro, regge una facella accesa e poggia la mano sinistra sulla spalla di un giovane seminudo, forse Imeneo. La prospettiva della sala si apre su un elegante loggiato, dove svettano quattro colonne e un paesaggio collinare, bagnato dal fiume e traversato da un lungo ponte, teatro di combattimenti che proseguono. Questa scena laterale sembra alludere alla battaglia tra Costantino e Massenzio presso ponte Milvio (Saxa Rubra 312), accesso settentrionale di Roma. Sulla parete sinistra ovest, recinta dalla stessa balaustra dipinta a proscenio delle Nozze, è affrescata la scena Alessandro doma Bucefalo, il suo enorme cavallo bianco, che nel contempo figura come monumento equestre sullo sfondo del Foro Romano, visitato da una folla vivace. Si scorge la basilica di Costantino, mentre quella di Massenzio pare già un rudere discosto. Un pittore anonimo completò questo affresco (c. 1550) quando Lorenzo Leone Chigi era il proprietario erede della Farnesina. Oltre a palazzo Milesi, dove figura la possibile scena «La famiglia di Dario davanti ad Alessandro» (su vista), Polidoro e Maturino istoriano varie case. Vicino al Popolo sotto S. Giacomo dell’Incurabili li medesimi fecero una facciata con l’historie di Alessandro Magno, che è tenuta bellissima, nella quale figurorno il Nilo, et il Tebro di Belvederi antichi.
Questa casa nella zona di Ripetta è scomparsa277. Domenico Falugi Lancisano celebrava le guerre di Alessandro con un poema in ottava rima, dove tra altre cose scrive: «E non si sente se non Dario, Dario / & persia, persia con tanto romore / che par che ’l mondo n’andasse al contrario». Alessandro celebra le nozze con le splendide figlie de «Lanticha Sissigambi Imperatrice» e Chiarastella fu incoronata nuova Imperatrice278. Un poema coevo in ottava rima si riallaccia al diffuso romanzo di Alessandro. Nella campagna di Tiro: «Vien de la gente Persa il capitano / ha sembiante terribile e robusto, / Fù gran signore in Media, e di soprano / Valor famoso, e si nomò Marbusto»279. I «Fasti di Alessandro Magno» sono rappresentati con una serie di 11 scene, tra affreschi policromi e monocromi, in Castel Sant’Angelo, Sala Paolina, per committenza di papa Paolo III (1534-1549), Alessandro Farnese. Il suo onomastico viene così esaltato in maniera spettacolare dentro 277 D’Onofrio
1969: 264; Celio 1967: 44, 108, nota 421. 1521: ff. F4v, YIr. 279 BNCR, ms. S. Martino ai Monti 10, f. 110v (codice acefalo, XVI secolo); Piemontese 2009c: 95. 278 Falugi
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la roccaforte pontificia eretta sulla Mole Adriana, allora cuore strategico dell’Urbe. Essa sopravvive al saccheggio devastatante operato dai Lanzichenecchi, la milizia terribile spedita da Carlo V imperatore (1527). Roma risorge e riespone una vicenda imperiale perenne, il sommo potere profano che è reso sacro, legittimato dalla funzione dei papi, i pontefici massimi rispetto al governo della città. Il papato continua la magistratura romana antica più prestigiosa, Pontifex Maximus, epiteto del papa invalso in uso protocollare ed epigrafia monumentale urbana, come è noto. Il trionfo di Alessandro Magno effigiato nella Sala Paolina di Castel Sant’Angelo conferisce un lustro antico alla imprese della famiglia Farnese. Perin del Vaga eseguiva il progetto artistico riguardante questa sala di rappresentanza pontificia, affrescata dai pittori Marco Pino (1545-1546) e Pellegrino Tibaldi (1548-1549). Gli affreschi policromi ornano la volta, dipinta da Pino. Le monocromie, eseguite da Tibaldi, decorano le pareti del lato est. Le sequenze pittoriche si prestano a letture di vario ordine logico, quindi a interpretazioni diverse280. Sulle pareti est cinque monocromie energiche figurano entro cornice drammi individuali e singoli episodi risolutivi del conquistatore. Vi risaltano in primo piano uno o due personaggi, coprotagonisti del dramma. 1 Alessandro taglia il nodo di Gordio, 2 ordina di riporre nel cofano le opere di Omero, bottino regio persiano, 3 egli riceve la famiglia supplice di re Dario. In questa scena bruna, la più drammatica, Sisygambi supplica il vincitore, distesa ai suoi piedi. Egli sbircia la donna anziana che l’abbraccia sul fianco in maniera morbosa, seduttiva, quasi oscena. 4 Alessandro concilia i due commilitoni Hephaistion e Krateros, 5 egli consacra gli altari, dodici are in ricordo della vittoria presso la riva del fiume Hyphasis, in Panjâb indiano281. Sulla volta sei policromie figurano l’apoteosi del vincitore: 6 Alessandro entra in Babilonia sul carro trionfale, 7 brucia il proprio bottino per alleggerire i carri, 8 dispone di allestire la flotta per attraversare il fiume Hydaspes in Panjâb, 9 per cui egli assale in battaglia Poros re d’India assiso sull’elefante. Impresa religiosa 10 Alessandro, adorante in ginocchio, incontra Jaddus il gran sacerdote del Tempio, quindi 11 entra nel Tempio di Gerusalemme282. Questo programma iconografico è integrato da un nesso nel palazzo della Cancelleria. Giorgio Vasari e aiuti vi affrescano sulle pareti della Sala dei Cento Giorni le imprese e le allegorie di Paolo III entro architetture 280 Rodocanachi 1909: 145-146; Bruno 1970: 9, 51-57; Harprath 1978: 27-46, 89-102, tav. 8-19; Castel S. Angelo 1981: I, 50-52, 179, fig. 98-100, 112-123, tav. 11-12, tav. 12 a colori; II, 104-117, 124-127, 138-141, 144-146, 165-166 (disegni). 281 Plut. Alex 18, 1-2; 26, 1-2; 47, 6-7; Curt. 3, 1, 14-18; 3, 12, 26; 9, 3, 19. 282 Curt. 5, 1, 19-23; 6, 6, 14-17; 8, 14, 13; 11, 1-3; Fl. Ios. ant. iud. 11, 325-337.
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dipinte (1546). Una scena mostra come «I popoli rendono omaggio a papa Paolo III». Sopra la figura della IVSTITIA è posta la scultura che Vasari eseguiva nello stesso anno, il busto di Alessandro Magno, sovrastato dal cartiglio SVPRA GARAMANTAS | ET INDOS | PROTVLIT IMPERIVM: Alessandro sopra i Garamanti e Indi prolungò l’imperio. Il motto del cartiglio riprende la frase vigiliana «super et Garamantas et Indos / proferet imperium»: all’avvento dell’epoca aurea di Augusto Cesare, egli sopra i Garamanti e Indi stenderà l’imperio283. Lucio Cornelio Balbo in spedizione nordafricana (21-20 a.C.) vinse i Garamantes e prese Garama, la capitale di questa etnia stanziata «a 11 giorni di cammino dalla Grande Sirte»284. Girolamo Capodiferro cardinale di San Giorgio (1544-1559) incaricò Giulio Mazzoni da Piacenza, Girolamo Siciolante da Sermoneta e altri artisti di decorare il proprio palazzo Capodiferro, che poi è diventato palazzo Spada e attuale sede del Consiglio di Stato. Si ritiene affrescata da Siciolante (c. 1550) la stanza VII sul piano nobile, detta la «Sala di Alessandro Magno» quando le cinque scene d’imprese eroiche affrescate sulle quattro pareti erano interpretate come le battaglie di Granicus e del fiume Hydaspes, Alessandro a Nysa e che consegna le corone auree, le Nozze di Susa285. Ma tale scenografia attiene a imprese eroiche romane. La quarta figura Scipio che presenta la corona a Caius nella ridenominata Sala delle Gesta di Scipio Africano286. Intanto nella vicina via Giulia si decorava palazzo Sacchetti, costruito su progetto architettonico di Antonio da Sangallo il Giovane (1542-1546) e detto palazzo Ricci-Sacchetti, siccome ampliato dal nuovo proprietario Giovanni Ricci, nominato cardinale da papa Giulio III (1552). Ricci era anche un grande collezionista di antichità. Francesco Salviati (1553-1554), Pellegrino Tibaldi e due pittori francesi (1555-1556) eseguirono la vasta serie di affreschi che ornano le sale del palazzo, dette di Annibale, Alessandro, Mappamondo, Davide; Salomone, Tobia; Fatti Mitologici, Mosè, Ulisse, Le Stagioni, Romolo, e la Marmitta. Tale programma iconografico indica bene la convergenza di tre principali linee delle letterature antiche, l’autorità biblica, la mitologia greca, la storia romana, che ispirano la committenza dell’arte figurativa del Rinascimento romano. Jacques Ponce, chiamato Ponsio Jacquio, è forse il collaboratore che dipinge la «Stanza di Alessandro». Su ciascuna sua parete sono disposte tre scene narrative entro cornici di stucco. La scena centrale è rettangolare. Le scene laterali 283 Verg.
Aen. 6, 794-795; Harprath 1978: 18-19 e tav. 40. nat. 5, 26-27, 34-38, 43, 45; 6, 209. 285 Neppi 1975: 50, 54, 56, 85, fig. 54-56, 59, tav. col. IV-V. 286 Keaveney 1984; Hunter 1987; Cannatà 1995. 284 Plin.
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hanno forma ovale. Le fiancheggiano figure maschili assise e femminili inginocchiate. La pittura in forma di fregio mostra esempi di virtù287. 10
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9 8 7
1 2 3 6
5
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1 Alessandro taglia il nodo di Gordion, 2 riceve la famiglia di Dario, 3 ripone nel cofano i codici di Omero, 4 liba in memoria degli eroi troiani. 5 La battaglia di Issus. 6 La fondazione di Alessandria. 7 Alessandro riseppellisce la salma di re Dario III (forse). 8 Alessandro, Campaspe e Apelles. 9 Alessandro doma il cavallo Bucefalus, 10 riceve un ambasciatore da Nysa (Arr. anab. 5, 1), 11 riconcilia i commilitoni Hephaistion e Krateros. 12 Alessandro in ginocchio dinanzi a Jaddus gran sacerdote del Tempio. Nello stesso periodo, come attesta anche G. Vasari, A S. Lucia della Tenta vicino all’Orso Taddeo Zuccaro fece una facciata piena d’historie di Alessandro Magno cominciando dal suo nascimento, e seguendo in cinque historie, fatti più notabili di quell’homo famoso, che gli fù molto lodata.
Il dipinto di Taddeo Zuccari sulla casa sita a lato della chiesa S. Lucia della Tinta, in via Monte Brianzo, è opera perduta288. Per committenza di Alessandro Mattei, Taddeo Zuccari affresca con l’aiuto del fratello minore Federico la «Storia di Alessandro» (c. 1558-1559) che decora i soffitti di due sale al piano nobile di palazzo Mattei sito alle Botteghe Oscure e poi diventato palazzo Caetani. Il ciclo dei dipinti, 10 episodi, fu quasi tutto ritoccato nel XVIII secolo289. Nel salone, odierna Sala degli Arazzi, la scena centrale sulla volta figura le Nozze di Alessandro e Roxane. Amorini alati rallegrano la cerimonia, e uno vispo svela la sposa che in veste bianca siede sul ciglio del talamo, delimitato da un drappo rosso sulla parete. Discosto sul lato destro, lo sposo che indossa la tunica gialla porge la corona aurea, dono e patto nuziale per la sposa. Quattro ovali che contornavano la scena nuziale, staccati, sono riposti in una galleria adiacente. Sono gli episodi: Alessandro doma il cavallo Bucefalo, giudica Timoclea, incontra Diogene, taglia il nodo di Gordio. Nella seconda stanza, 287 Pugliatti
1984; de Jong 1992; Strinati 2003. 1969: 263; Amici dei Musei di Roma 1960: 44. 289 Tosini 2007: 144-151. 288 D’Onofrio
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la Sala Gialla, il riquadro centrale figura: Alessandro riverisce il sommo sacerdote Jaddus in Gerusalemme. Quattro scene in cornici ottagone sono incastonate tra il riquadro. Alessandro riceve la regina Stateira tra le prede della battaglia di Issus: Stateira, che indossa una veste bianca, incede verso Alessandro, gli mostra e offre la regia corona aurea che è recata da un paggio negro al proprio seguito, mentre alcuni uomini trasportano il bottino. Inoltre: Alessandro rifiuta l’acqua che gli offre un soldato, sorveglia l’imbarco dela flotta che attraversa il fiume Hydaspes e vince Poros. Alessandro trafigge con la lancia questo re d’India sopra l’elefante abbattuto. Durante il pontificato di Sisto V si scopre nelle Terme di Costantino, si restaura e situa sul colle Quirinale adiacente, davanti al suo palazzo, la monumentale coppia scultorea dei Dioscuri e loro cavalli energici. Allora li si credono «SIGNA ALEXANDRI MAGNI | CELEBRISQ. EIVS BVCEPHALI» e due preziose opere eseguite da Prassitele e per rispettiva emulazione da Fidia. Domenico Fontana copia le epigrafi del nuovo monumento eretto da Sisto V (1589). Così anche in Alexandri Magni precipuae gestae aeneis formis expressae (Antverpiae / Romae 1608), opera di Antonio Tempesta incisore fiorentino. Reputatosi il ritratto di Alessandro e del suo cavallo Bucefalo un anacronismo rispetto ai due supposti scultori, papa Urbano VIII dispose di elidere le iscrizioni290. Ne rimane una traccia «OPVS PRAXITELIS e «OPVS PHIDIAE» visibile sui piedestalli. Una copia delle Nozze di Alessandro e Roxane dipinte da Aetion fu creduto l’affresco romano, bello e integro (quasi m 1 alt. × 2.5 lung.), scoperto presso l’Arco di Gallieno sul colle Esquilino (1605) e denominato «Nozze Aldobrandine» in quanto cimelio della Villa del cardinale Pietro Aldobrandini, segretario di Stato e nepote di papa Clemente VIII. L’affresco fu replicato e disegnato da numerosi artisti, trasferito nei Musei Vaticani, Sala delle Nozze Aldobrandine (1818), e poi situato nella Sala di Sansone. Permane discussa l’interpretazione del celebre affresco che pare riferibile alla scuola iconografica di Aetion ma concerne un rito nuziale di tradizione romana291. Per celebrare il proprio onomastico, il cardinale Alessandro Peretti Montalto, nepote di papa Sisto V, fece figurare un ciclo delle imprese del Macedone nel salone del palazzo di Termini, il maggiore dei due attinenti alla propria villa sita sul colle Esquilino. I dipinti a fresco del fregio eseguiti da vari pittori nel salone rappresentavano le imprese di Sisto V e i monu290 Fontana 1590: ff.100-101; Galletti 1761: 22-23, n° 52; ICER 13, 127-128, n° 203-205; Leuschner 2007: 99-100. 291 Zuccaro 1607: lib. II, 37-38; Pistolesi 1829: III, 99-100, tav. XXXVII; von Matt 1969: 19-20, tav. 8-14; von Blanckenhagen – Green 1975; Joyce 1992; Lanciani 1992: 237; Fusconi 1994; Papini 2010.
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menti urbani da lui eretti. Le pareti erano decorate da 11 dipinti ovati che sono però scomparsi, qualcuno asportato, e il solo originale, conservato nel Louvre, pare l’opera di Domenichino (c. 1608-1610) Timoclea dinanzi ad Alessandro. Si conoscono gli altri soggetti. Alessandro mostra la lettera di Parmenione al medico Filippo e rifiuta l’acqua offertagli da un milite (Giovanni Lanfranco), è medicato dalla ferita (Francesco Albani), interroga gli ufficiali cospiratori (Giovanni Baglione), riceve la sottomissione di un comandante e incontra Poros re indiano (Annibale Carracci). Antiveduto Gramatica, Alessandro e la famiglia di Dario: riceve dinanzi al padiglione regio il gineceo, sei donne affrante e piangenti, mentre la regina madre supplice, coperta da un ampio manto, sta in ginocchio292. Il ricevimento aveva per coprotagonista Efestione, il grande amico di Alessandro, in un breve dramma che concerne «le regine» persiane, quella vera Stateira sposa di Dario III e un equivoco insorto di cui Sisygambi regina madre chiede scusa293. Don Lorenzo de Vecchi Senese, monaco dell’Ordine benedettino di Monte Oliveto, tocca questo tema in un suo album calligrafico che dedica al cardinale Scipione Borghese, quale protettore dell’Ordine Olivetano (1618-1633). L’album presenta epigrafi e iscrizioni a forma di lapidi o targhe cartacee. La «Formatella della prima sorte», siglata dal calligrafo, reca un aneddoto che intende ribadire il motto didattico amicus est alter ego, l’amico è l’altro io. In confermatione, quod amicus est alter ego, Si legge, che Alessandro Magno, doppò hauer vinto il | Rè Dario, e fatto prigione la sua Moglie, andand’egli, con Efestione suo amicissimo a visitarla, ella come | Prigione l’adorò, assomigliandoseli nell’habito, e nell’età assai, et accortasi dell’errore, ch’egli non | era d’esso, si vergognò, scusandosi dell’errore, rispose Alessandro, non ti doglia di quello hai fatto, perche | non hai errato in cosa alcuna, perch’esssend’egli mio amico è Alessandro com’io. D. L. V. S. scriueua294.
Durante il pontificato di Urbano VIII, Alessandro Sacchetti, comandante delle truppe pontificie, come celebrante il proprio onomastico, fu il probabile committente di una grande opera del pittore Pietro da Cortona (c. 1635): La Battaglia tra Alessandro e Dario. Questa tela, acquistata da papa Benedetto XIV (1740-1758) e poi entrata della Pinacoteca Capitolina, orna una parete che concerne la Sala dei Trionfi nel palazzo dei Conservatori. La scena della battaglia, forse Issus, è anche definita La vittoria di Alessandro su Dario. Pietro da Cortona dipinse un quadro che ha il formato di un 292 Schleier
1968; Volpe 1977. anab. 2, 12, 6-7; Curt. 3, 12, 15-17. 294 BAV, Borgh. 356, f. 15; f. 1: stemma Borghese, f. 2: dedica al card. Scipione Borghese. 293 Arr.
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affresco oblungo295. Il pittore figura l’oro imperiale sbaragliato dal rosso militare. Nel cielo color perso solcato da nubi biancastre vola un’aquila nera. Trascina Alessandro armato di daga, elmo, cimiero, usbergo, manto rosso, sul cavallo bianco. Sgomenta Dario munito di scettro, diadema, giaco, carro aureo, che tira una coppia di cavalli bigi. Il cavaliere difensore del re cade, trafitto da lancia. Unico combattente persiano che sopravvive, è lo strenuo arciere (tav. 30). Due dipinti, Pietro da Cortona, Alessandro assale la Rocca di Petra Sogdiana, e Antonio Carracci, Alessandro e re Poros supplice, si conservavano nella Pinacoteca Vaticana296. Bartolomeo Tortoletti dedicava al cardinale Mazarino alcuni propri drammi (1645), tra cui L’Amazoni, Favola Regia. Argomento: «Alessandro Magno, detto il Grande, rapito dalla solita vasta sua cupidigia d’insignorirsi del mondo tutto, muoue l’armi contra Talestri Reina delle Amazoni». Arpalice, consigliera di Talestri, dichiara: «Non haurà qui Alessandro i molli Persi / Ne i delicati Medi; / Non spira Arabi odori in nostro manto». Venere paventa: Poiche s’il Greco giouane superbo, / Vinti i Persi, e Caldei, vince Talestri, / Ahi, che troppo s’auanza, e troppo cresce / e di nome, e di forze, e indarno Roma / Spera la Monarchia, s’egli è Monarcha.
Giove sentenzia: «Terminaro i Caldei, gli Assiri e i Persi, / Termineranno i Greci»297. Francesco Allegrini pittore romano dipinse (c. 1660) Alessandro e Statira sposa di Dario. La ex regina, seguita dalle ancelle, si genuflette dinanzi al conquistatore, giovane guerriero il cui aspetto imperioso risalta tra il colonnato palaziale. Tale quadro entra nella Pinacoteca Capitolina (ante 1766), viene esposto in una sala del palazzo Clementino, ma adesso risulta conservato nei depositi del Comune di Gubbio298. Alessandro il Vincitor di se stesso, tragicomedia di Francesco Sbarra posta in musica da Francesco Cavalli e rappresentata a Venezia (teatro di SS. Giovanni e Paolo, 1651), era replicata in Roma, dove il libretto reca la quarta impressione ridotta all’intima sua forma (1664). Interlocutori: Alessandro Magno, Efestione suo fauorito, Cyna Sorella d’Alessandro, Aristotile Governatore di Cyna, Calane Gimnosofista Indiano Consigliere d’Ales295 Guarino – Masini 2006: 366-367, 394-395, n° 172; inv. PC 260, olio su tela, cm 173 × 375; Merz 1991: 310-311. 296 Merz 1991: 67, 311-312. 297 Tortoletti 1645: 189-248. 298 Guarino – Masini 2006: 324-325, n° 148, inv. PC 235.
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sandro, Campaspe schiaua d’Efestione, Fidalpa sua Nutrice, Apelle Pittore, Bleso suo discepolo, Alicandro Sacerdote di Marte. «La Scena rappresenta la Reggia d’Alessandro in Babilonia». Argomento: la guerra intimata da Alessandro a Dario costrinse Apelle, siccome Greco, a partirsi dalla Persia. Prologo, la Notte dice: «Ma già s’appresta il Sole / A riportar quel giorno, in cui la spada / Del famoso Alessandro / Con debellare il Perso / Volse aprirsi la strada / A domar l’Vniverso». (Atto I, sc. VI) Campaspe racconta: «Hebbi per genitore / Policastro, quel grande, / Così caro e stimato / Dal Monarca Persiano, / Che sol’ a la sua mano / Fidò gli euenti del più dubbio Marte». Ella denuncia: «Quando mouesti, ohime, / L’armi vendicatrici / Contro Dario il mio Rè / Le schiere vincitrici / Inondaron di sangue / Le Campagne Persiane, / Distrusser le Cittadi, / Desolar le Prouincie». (Atto II, sc. X) Campaspe informa: «Sappi, che / Peregrinando il Mondo, / Per ritrar da le belle / De la madre d’Amor l’alte bellezze, / Giunse in Persia, e mi vide. / […] Col mio sembiante / Formò la bella Dea»299. Per committenza del marchese Cesare Baldinotti, fu decorato con affreschi il palazzo Baldinotti (1673-1675) e dal pittore Ludovico Gimignani la Galleria che glorifica le virtù di C. Giulio Cesare. Un affresco sovrapporta di Gimignani, entro una finta cornice architettonica ovale sorretta da due telamoni, raffigura in chiaroscuro Cesare che rende omaggio alla statua di Alessandro Magno. Si rievoca qui la forte emozione provata da Cesare, trentunenne, impegnato in Spagna Ulteriore (Cadice, c. 69 a.C.), nell’osservarvi una statua di Alessandro. Per fonte storica: allora Cesare quasi pertaesus ignauiam suam, quod nihil dum a se memorabile esset in aetate, qua iam Alexander orbem terrarum subegisset, missionem continuo efflagitauit ad captandas quam primum maiorem rerum occasiones in urbe:
Cesare, come angosciato dalla sua inazione, il non avere ancora fatto niente di memorabile all’età in cui Alessandro aveva già sottomessa l’orbe intera, domandò subito un congedo per cogliere al più presto possibile le occasioni di segnalarsi nell’urbe. Il palazzo Baldinotti, poi Carpegna, è adesso una succursale del Senato della Repubblica italiana300. Durante un decennio (1673-1682) l’Accademia Nazionale di San Luca, università romana di pittura e disegno, assegna agli allievi almeno quattro temi di composizione che riguardano le imprese di Alessandro. Le relative opere composte dagli studenti che parteciparono ai relativi concorsi sono conservate nell’Archivio Storico dell’Accademia301. 299 Sbarra
1664: 13, 31, 32, 77. Iul. 1, 7; Bevilacqua – Di Bella 2009: 77, 80 ill. 6. 301 Salerno 1974: 339-341, 343, 345, fig. 13-14, 16-17; Cipriani – Valeriani 1988: 49-56, 300 Svet.
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Alessandro dona la schiava Campaspe ad Apelle era il tema assegnato al concorso di pittura, prima classe (1673). Premio I Giacomo Moretti, un acquerello, disegno trafugato. Premio II Charles-François Poerson, III Belardino Viviani, IV Ludovico Dorigny, V Pietro Paolo Lenardi. Alessandro taglia il nodo di Gordio, tema assegnato al concorso di prima classe (1677): Premio I Arnoldo de Vuez (Ducci), un disegno trafugato. Premio II Alexandre Ubeleskj parigino, III Ludovic Boulogne parigino. L’incontro di Alessandro Magno con il Governatore di Susa, tema assegnato al concorso di prima classe (1682). Premio I Giuseppe Nasini senese (A. 67, acquerello e biacca, cm 56 × 84). Premio II Pasquale Marini da Recanati, III Paolo de Matteis (di Matteo) napoletano: mostra Alessandro a cavallo che si accinge a prelevare il tesoro depositato in un cofano (A. 68, acquerello e biacca, cm 45 × 70). Premio III ex aequo Giuseppe d’Oratio romano: mostra il Governatore che, seguito da un carico di oggetti preziosi, incontra Alessandro a cavallo (A. 69, sanguigna, cm 53 × 76). Premio IV Giuseppe Natale cremonese. Il governatore di Susa era l’importante satrapo Abulites302. Polistrate trova Dario moribondo, tema assegnato al concorso di pittura, seconda classe (1682). Premio I Giuseppe Nasini: mostra il re Dario che, prostrato sul carro, parla al milite macedone, tra i cavalli bianchi feriti da frecce e stramazzati a terra (A. 71, matita nera, sanguigna e biacca, cm 44.5 × 60). II Francesco Boccaccini cremonese: mostra il re Dario morente tra i cavalli trafitti da frecce (A. 72, acquarello e biacca, cm 45 × 65.5). III Antonio Pichi romano (A. 73, matita nera, cm 49 × 63). IV Pietro Paolo Petrucci (A. 75, sanguigna, cm 44 × 56). Il milite macedone Polystratus trovava il re Dario ucciso a tradimento303. Ariobarzane, tragedia recitata nel Seminario Romano (1674), comincia con il prologo, dove intervengono Persia, Genio Tutelare della Persia, Magia e Fabbri della Magia. Recitanti: Dario Rè de’ Persiani, Ariobarzane Figlio maggiore di Dario. Ocho e Lisario Figli minori di Dario, Nabarzane Capitan Generale, Asderio e Tristane Prencipi dell’Imperio, Roralbo Maestro di Campo Generale, Assarco Capitano della Fortezza, Spitamene Confidente di Nabarzane, Misandro Astrologo carissimo à Dario, Armido Gentiluomo di Corte, Besso Rè de’ Battriani, Aluante suo Consigliere, Berillo Nunzio della Regina, Iocaspe Ambasciador d’Alessandro Magno. Mentre Alessandro aveva intimato guerra a Dario, Nabarzane, dedito alla Magia,
63-66, 99-107. 302 Arr. anab. 3, 16, 6-7; 7, 4.1; Curt. 5, 8-10. 303 Curt. 5, 13, 23-25.
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accusa di tradimento Ariobarzane, promesso sposo della Figlia di Besso. Il principe, innocente, è condannato a morte, e Dario troppo tardi si pente. L’istorico fondamento è preso da Aretade Gnidio nel Terzo Rerum Macedo nicarum &c. All’istoria di aggiunge il verisimile con i douuti ornamenti e vaghezze, quali però non si esprimono nello Scenario, accioche improuise arrechino maggior diletto304.
Il Lisimaco, dramma di Giacomo Sinibaldi romano dedicato a Cristina di Svezia, ex regina convertitasi al cattolicesimo e immigrata a Roma, era posto in musica da Bernardo Pasquini e rappresentato con grande successo (1681), poi anche in altre città. Sinibaldi attinge «in parte da Quinto Curzio, e da Pompeo Trogo» la storia, che ripresenta la questione della proskynesis, la pretesa prosternazione rituale dei sudditi dinanzi al re di Persia. «La Scena si rappresenta in Susa Città della Persia». Alessandro pretende «a somiglianza dei Rè di Persia l’adoratione da suoi Popoli», cerimonia sgraditissima dai militi Macedoni. Il filosofo Callistene è condannato a morte perché rifiuta l’ingiunzione del conquistatore. Cleonte, capitano macedone, esclama: «Del persiano Impero / Noto a ciascuno è l’uso, / D’adorar genuflesso i suoi Monarchi, / Dunque, ò nostra vergogna! / All’invitto Alessandro, al Rè de’ Regi, / I Macedoni sol negano i pregi?». Callistene, per evitare l’ignominia dell’esecuzione, si fa recare in carcere il veleno mortale da Lisimaco, suo discepolo. Alessandro punisce Lisimaco, che è dato in pasto a un leone. Ma Lisimaco abbatte il leone ed è perdonato da Alessandro305. Alessandro Magno, dramma per musica di Nicolò Minati dedicato alla Laurenzia de la Cerda Colonna principessa di Paliano e da rappresentarsi nel teatro Colonna in festa di carnevale (1684). Il testo è incompiuto sul libretto manoscritto, apparecchiato per la stampa ma inedito. Interlocutori: Alessandro, Efestione, Diogene, Dario, Statira e Siroe «Figli[e] di Dario», Antigene, Filippo Medico, Essicrite, Onniade, e altri. (Atto I, sc. 4) aria di Dario: «Dé le suenture, / Che cadermi la sorte fè, / Ho da dolermi / Solo di mè. / Cattiue del Macedone / Marte mi rende e figlie / E sposa e genitrice». (Atto I, 7) Alessandro: «Piacque al cielo d’arricchir le nostre palme / Con le più belle gioie / Del Persico Diadema: e che doueuo / Rifiutar sì bel dono?». (Atto I, 11) Statira: «Nò nò, che oppressa ancora / Non è così la Persia / Che risorger non possa». Dario offre la pace e Statira per sposa ad Alessandro, che respinge la pace. (Atto II, 1) Dario: «All’armi dunque, à l’armi». «Escan 304 Seminario 305 Sinibaldi
Romano 1674; Filippi 2001: 352-355. 1681 (repliche in Perugia 1682, Venezia 1683, Bologna 1688, Firenze 1690,
Ferrara 1693).
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quante ha la Persia haste, e bandiere». Intravista da Diogene a notte, Statira scrive e manda ad Alessandro il messaggio anonimo: «Non ber ciò che ti reca / Il Fisico» Filippo Medico, ma il Macedone infermo beve la pozione. Egli desidera Statira, prigionera che resiste, visitata e ambita da Antigene. Efestione brama Siroe, che preferirebbe Alessandro. (Atto III, 3) Diogene «con la lanterna mira» le milizie macedoni in marcia: «De’ miseri soldati / La doppia disventura: / Li fanno morir, anzi che giunga l’hora / Del bellico certame, / Di sete il clima, e i capi lor di fame». (Atto III, 4) Antigene: «Su la Persia, Dio Guerriero, / Getta Palme, spargi allori; / Che di fiori ti cingerò / E d’odori / Le tue Imagini spargerò». Vuole uccidere Alessandro che dorme ma Statira lo ferma. «Alessandro si desta. Antigene fugge. Statira resta col ferro d’Antistene» in mano, Alessandro la accusa d’attentato, ma ella tace. Al sentire una frase incauta di Siroe, Diogene scopre e rivela il sotterfugio: Antistene è un agente segreto di Dario travestito da greco. (Atto III, 11) Dario: «Misero Dario? Lacere, abbattute / Son le tue schiere: fatta / Babilonia cattiua, / Serua la Persia, e tù a morir uicino». (Atto III, 13) Alessandro: «Nò, nò Dario, sei Re: ti faccio dono / De la Persia, ne sei / Qual fosti pria, Signore». «E perché pronta, ò Dario / Altra clamide Regia / Io qui non hò, prendi, consola / Consola i tuoi dolori, / Sei Rè, se uiui, e pur sei Rè, se mori». «Alessandro si spoglia della Regia clamide, e ne veste Dario». Commossa, Statira offre la mano di sposa ad Alessandro. Antigene: «Cruda, e come cancelli la fede che mi giurasti?». Statira: «S’entrano à concorrenza in nobil core, / Gratitudine uince, e perde Amore». Sposa Alessandro dinanzi a Dario306. La Statira, dramma del cardinale Pietro Ottoboni posto in musica da Alessandro Scarlatti e rappresentato nel teatro di Tor di Nona (1690), ha per protagonista la principessa di Persia, amante di Oronte principe persiano ma costretta a sposare Alessandro, che compare in trionfo sopra «il bellissimo Carro di Dario» tirato da Mori nella città di Damasco. Statira si lamenta nell’aria: «Il Regno è già perduto, / Esangue il Padre, i sudditi suenati. / E, che sperar mi resta / Misera Principessa / Vedoua d’ogni ben, colma di pianto?». Campaspe, la favorita di Alessandro e amante di Apelle, è amata dal generale macedone Demetrio, estasiato: «Il volto di Campaspe / È del sole l’Imago». Infine Alessandro rinuncia: «Più Rè non sono / Se nel seno d’Oronte / Hò ceduto Statira, e seco il Regno»307. Pancaspen / Campaspen, amante favorita di Alessandro, su sua committenza posò nuda
306 BAV, Vat. lat. 10232, ff. 13r, 18r, 24v, 29v, 55r, 56v, 68r, 70r-v, 71r; Minati 1684; Tamburini 1997: 158. 307 Ottoboni 1690: 12, 13; 66; Cametti 1938: II, 342-345.
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per il ritratto dipinto da Apelles, che innamorato ottenne la bella donna in dono308. Alessandro e la famiglia di Dario, soggetto accademico molto diffuso, concerne il ricevimento del regio gineceo prigioniero e supplice presso la tenda del vincitore. Su disegno di Charles Le Brun, direttore delle manifatture regie, la manifattura Gobelins confezionava la «Storia di Alessandro» in 6 arazzi che adesso arredano nel piano nobile di palazzo Colonna due saloni detti degli Arazzi di Alessandro. Tra questi sono rappresentati gli episodi La battaglia di Granico, Alessandro e la famiglia di Dario, il solito gineceo persiano prostrato in ginocchio dinanzi al vincitore sotto la tenda, e quindi Il trionfo di Alessandro309. In base al modello di Charles Le Brun, La Tente de Darius (1660), Luigi Garzi di Pistoia dipinse (ante 1721) Alessandro e la famiglia di Dario, la cui ubicazione pare ignota310. Il Collegio Nazareno, che ha sede in palazzo Tonti, ospita una copia fedele di tale opera di Le Brun. Per committenza di Pietro Tedeschi ferrarese, Principe degli Incolti (1759), un pittore ignoto eseguiva la copia parimenti detta Alessandro e la famiglia di Dario. Davanti alla grande tenda gialla spicca il manto verde della madre che si prosterna311. Alessandro nell’Indie, dramma di Pietro Metastasio posto in musica da Leonardo Vinci e rappresentato la prima volta nel Teatro delle Dame (26 dicembre 1730), riguarda il protagonista che, reduce dalla campagne persiane, invade l’India, subcontinente bipartito, e vi si mostra benevolo. «La Scena è sulle sponde dell’Idaspe; in una delle quali è il campo d’Alessandro, e nell’altra la Reggia di Cleofide». Interlocutori: Alessandro, Poro Re di una parte dell’Indie, amante di Cleofide Regina d’altra parte dell’Indie; Erissena Sorella di Poro, Gandarte Generale dell’Armi di Poro, amante di Erissena; Timagene Confidente di Alessandro, e nemico occulto del medesimo. (Atto I, sc. II) Poro protesta: «Credi dunque che sia / Il ciel di Macedonia / Sol fecondo di eroi? Pur su l’Idaspe / La gloria è cara, e la virtù s’onora: / Hà gli Alessandri suoi l’Idaspe ancora». (Atto III, sc. ultima) Alessandro concede: Dunque germoglia / Tanta virtù nell’India? / Ed io dovrei / Contar tra i fasti miei tanti infelici? / No; nol crediate, amici; ancor capace / Di sì crudel diletto io non mi trovo. / Abbi l’India di nuovo / E pace, e libertà. / Da me riceva Poro
308 Plin. nat. 35, 86-87; Elian. Varia historia 11, 34: Pancaste da Larisa; Luc. imagines 7: Pacate. 309 Safarik 1999: 116, 119, 264, ill. 211, 212, 464. 310 Clark 1981: 94, tav. 106. 311 Negro 2004: 104-105.
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la sposa, e la real sua sede312.
Jaddus, tragedia di Contuccio Contucci rappresentata nel Seminario Romano (17 dicembre 1730) per congratulare l’elezione di papa Clemente XII Albani, rievoca l’incontro di Alessandro re di Macedonia con Jaddus, sommo sacerdote giudaico del Tempio di Gerusalemme e alleato di re Dario III. Alessandro assediava Tiro ma infine rispetta Jaddus, che respinge la minaccia dell’invasore. «Scena Hierosolymis extra arcem». Interlocutore è anche il satrapo persiano Sanaballathus, alleato di Alessandro e suocero di Manasses, fratello del sacerdote e ministro del Tempio. (Atto I, sc. I) Sanaballathus dice: «Quin ira Regis. Ardet insolito impotens / Furore Macedo; prisca quòd Jaddi fides / Hæret Dario, sperni irati minas. / Macedonis; huic & Persidem præfert senex». (Atto V, scena V e ultima) Jaddus dichiara: «Tu Grajus Asiam victor Imperio reges. / Equidem sciebam; pacta sed regis fides / Junxit Dario; vetuit & bellum sequi». Alexander risponde: «Æterna tecum, Jadde, me junget Fides»313. L’opuscolo programmatico di questa tragedia non reca il nome del suo autore sul frontespizio314. Così anche la traduzione italiana di Agatino Maria Reggio315. Berenice, dramma di Francesco Silvani, modificato da Giuseppe Papis e posto in musica da Domenico Sarro, fu rappresentato per l’inaugurazione del teatro di Torre Argentina (13 gennaio 1732). «La Scena si finge in Issedone Capitale del Regno di Scizia». Per avventura vi si trovava Artaserse principe di Persia che, mentre suo padre Dario era attaccato da Alessandro, salva Mazzeo Re di Scizia e sua figlia Berenice dall’assalto dei Taurosciti. Artaserse canta a Berenice: Ma tu, cara, ben sai, / Che non son’io pù quegli, / Che à te venni un giorno / Signor di Persia, e del gran Dario figlio. / Cadde questi tradito, / Sconvolto fu il mio Regno, e sol fra tanti / Me conservò la sorte, / Avanzo delle stragi, e della morte.
Mazzeo canta: «Il fato / Vuol, che da quest’Impero, / Oggi rinascer veggia / La distrutta de’ Persi, odiata Reggia»316. Il Pontefice Jaddo, oratorio adespoto posto in musica da Rinaldo di Ca312 Metastasio
1730a. 1730a. Dedicatario papa Clemente XII. Fonte storica dell’argomento Fl. Ios. ant. iud. 11, 8. Tra gli interpreti erano Hyeronimus Catherano (Jaddus), Jacobus Marchio Caraccioli (Alexander) e Petrus Franciscus Marchio Grimaldi (Sanaballathus). 314 Contucci 1730b. 315 Contucci 1731. 316 Silvani 1732: 13, 61; Rinaldi 1978: I, 14-16 e tav. III. 313 Contucci
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pua, fu rappresentato nel Collegio Nazareno per congratulare l’elezione di papa Clemente XIII Rezzonico (1758). Incomincia Jaddo: «Perché sì mesto in volto? / Perché di pianto aspersi, o miei Leviti, / Tutti mi siete intorno?». Manasse canta: «Nel temuto Alessandro espresso io miro. / Quel Pardo predator, che a’ vasti imperj / Forma cangiando, e nome, Farà di cittadi, e ville, / Alto fumar di barbare faville»317. In palazzo Doria-Pamphilj sito su Via del Corso il pittore Domenico Corvi di Viterbo affresca sulla volta di una stanza (c. 1770) una scena che forse rappresenta Alessandro e la famiglia di re Dario318. Due arazzi, tessuti da Pasquier Grenier (Tournai 1459) per Philippe le Bon duca di Borgogna e conservati nello stesso palazzo figurano imprese alessandrine319. J. Jordaens, scuola di Pietro Paolo Rubens, forse eseguì due arazzi che si conservano in palazzo Chigi. Rappresentano Alessandro ed Efestione dinanzi alla famiglia di Dario, dove due donne supplici stanno presso il padiglione del vincitore, e una Sottomissione ad Alessandro di quattro notabili, forse persiani320. La disfatta di Dario, dramma di Carlo Diodato Morbilli, già rappresentato a Firenze (teatro di via della Pergola, 1757) e in altre città, fu recitato con la musica da Giovanni Paisiello nel teatro di Torre Argentina (1776). Infine Dario incatenato chiede: «Eccomi: è giunta l’ora / Forse del mio morir. / Da me che brami?». Ma Alessandro risponde: «Non è più tempo, amico / Di ragione di morte: / Vivi, e vivi a contenti. Io di mia mano / Disciolgo i lacci tuoi: torna sul Soglio / Sotto al tuo dolce impero / I Popoli soggetti / Vivan lieti, e felici»321. Jacques Berger dipinse in Roma (tra 1784 e 1793) la grande tela Alessandro beve la pozione. Infermo sul letto e assistito da alcuni aiutanti di campo, egli sta per bere il medicinale preparato da Filippo Acarnano, che costringe però a leggere la lettera inviatagli da Parmenio per avvertire che il medico intendeva ucciderlo, siccome corrotto da re Dario322. Questo quadro, olio su tela (cm 270 × 380), entrato nella collezione di Vincenzo Valentini (1842), decora la Sala Giunta di palazzo Valentini, sita al II piano. La battaglia di Alessandro, altra tela dipinta da Berger, fu venduta dal collezionista (1876) al Sig. Lorenzini323. Il trionfo di Alessandro o sia la prigionìa di Dario, ballo eroico in quattro 317 Collegio
Nazareno 1758. 1971: 107, fig. 123. 319 Crick – Kutzinger 1938. 320 Pettorelli 1942-1943: tav. VI-VII. 321 Morbilli 1776: 46. 322 Plut. Alex. 19, 2-5. 323 Amendolea – Indrio 2005: 94-95, fig. 53-54. 318 Golzio
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atti composto da Domenico Ricciardi romano e già eseguito con la musica di Mattia Stabingher (Venezia, teatro di S. Samuele, 1779), fu ripreso nel romano teatro delle Dame. Si vantava la magnanimità del Macedone. Una sua giravolta scenica ha grande successo, viene imitata e variata da coreografi coevi: Alessandro a Dario «presenta il pugnale, acciò possa saziare nel proprio sangue il suo furore. Vinto il Persiano da tanta virtù, si getta al di lui piede, gli domanda perdono dei tentativi fatti per dargli morte. Alessandro con magnanima grandezza accoglie in amistade Dario», il re sconfitto e detronizzato324. Nel nuovo teatro di Tor di Nona si rappresentò con la musica di Valentino Bertoja La generosità di Alessandro, ballo eroico composto da Michele Fabbiani e già eseguito come Il trionfo di Alessandro ossia la prigionia di Dario (Venezia, teatro la Fenice, 1796). Il coprotagonista Arbace re di Persia e padre di Rossane, sposa di Alessandro, tenta invano di uccidere il genero conquistatore. Egli «presenta ad Arbace un pugnale e gli offre il petto», affinché il re sconfitto lo colpisca. Ma Arbace, commosso, rinuncia, ed è abbracciato da Alessandro325. Arriva l’epoca segnata da rapida ascesa, conquista bellica e caduta di Napoleone Bonaparte. Nel teatro d’Alibert si rappresenta La Disfatta di Dario o sia la Generosità di Alessandro, ballo eroico composto da Giuseppe Cappelletti e musicato da Mattia Stabingher. Si ripropone ancora Alessandro che «presenta a Dario un pugnale e gli offre il petto», per cui il re di Persia sconfitto si vendichi uccidendo il vincitore. Commosso, Dario vuole prosternarsi ai piedi di Alessandro, che grato solleva e abbraccia l’ex re326. In previsione dell’arrivo di Napoleone Bonaparte a Roma (1808), occupata dalle sue forze imperiali, la rappresentanza di Francia nella città procurava di allestire un lussuoso Appartamento Napoleonico nel palazzo del Quirinale, già storica residenza pontificia. Erano infine concessi (25 febbraio 1811) otto mesi a Raffaele Stern, architetto romano direttore dei lavori, per ristrutturare il palazzo che doveva acccogliere «l’Empereur, l’Impératrice et le roi de Rome» al principio del 1812. Stanziata la somma ingente di 1.156.824, 3 lire per l’arredamento e i lavori artistici, questi furono interrotti: «Puisque l’Empereur ne vient pas et que le Kremlin le verra avant le Quirinal»327. Bonaparte non vi verrà né lo vide mai, per la gelida ritirata di Russia e la successiva rovina di Waterloo. Antonio Canova, Martial Daru e Vivant Denon collaboravano con Stern nel palazzo del 324 Ricciardi
1781. 1797. 326 Cappelletti 1805. 327 Madelin 1906: 413-419. 325 Fabbiani
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Quirinale. Berthel Thorvaldsen scultore danese esegue (1812) un grande fregio, Il Trionfo di Alessandro Magno in Babilonia, che orna il terzo salone dell’appartamento napoleonico. L’allegoria del fregio intendeva significare il trionfo di Napoleone liberatore pacifico di Roma dal potere del Papa328. Il salone, adesso detto Sala di Ricezione, anche Sala delle Dame, è nobilitato dal fregio di Thorvaldsen che con questo suo capolavoro guadagna la fama di maestro del bassorilievo. Sua fonte letteraria era la storia alessandrina di Q. Curzio Rufo, tradotta in lingua italiana da Marco Mastrofini e stampata in Roma (1809). Thorvaldsen rappresenta un lungo corteo trionfale, che vede «Alessandro sul carro guidato dalla Fama» e termina con un autoritratto dello scultore. Nel bassorilievo II, il tesoriere persiano Bogophanes ordina ad alcuni operai di erigere un’ara in onore di Alessandro. Nel bellissimo bassorilievo III il coprotagonista di scena è Mazaeus, satrapo di Babilonia329. Egli indossa il cappello Medo e come guerriero inerme ha in spalla l’arco e la faretra colma di frecce. Ma come padre di famiglia Mazaeus esorta i suoi cinque figli ad andare avanti per incontrare Alessandro. Il governatore generale che rappresenta l’imperatore di Persia ne cede il potere locale al trionfatore che avanza330. Inoltre M. Daru incarica Bartolomeo Pinelli, pittore romano, di dipingere un quadro di cui gli fornisce il disegno premilinare: Alessandro preso da ammirazione nell’entrare per la prima volta nel bagno di Dario (1813). Tale quadro era da situare nella Sala da Bagno dell’appartamento napoleonico. L’esecuzione effettiva di questo dipinto pare incerta331. Dopo il tonfo di Bonaparte, comincia la Restaurazione: il riassetto dei regni, e la restituzione parziale di beni culturali depredati dalle truppe napoleoniche anche in Roma, dove tornava dalla prigionia papa Pio VII Chiaramonti. Nel teatro di Torre Argentina si rappresenta (1815) Il trionfo di Alessandro Magno il Macedone, dramma di Andrea Passaro posto in musica da Gaetano Andreozzi. L’opera comincia con il canto del Coro: «Trionfi d’Alessandro / Il nome a nostri tempi: / E serva d’esempj / Alla futura età». Il protagonista, sconfitto Dario sul Granicus, restituisce a Cleonice il regno di Lidia, usurpato da Arbace re di Frigia332. Tra le rovine di un colombario sito nell’area di Vigna Moroni, fuori 328 Birkedal Hartmann 1965; Borsi et alii 1974: 154-155, fig. 70-72; Jørnæs 1991: fig. 24; Silvestri 1999: fig. 1-2, 5-8, 12, 21-35. 329 Curt. 5, 1, 17-23. 330 Natoli – Scarpati 1989: 390, 400-406 (scheda di B. Jørnæs). Una copia in gesso del bassorilievo di Thorvaldsen è esposta nel vestibolo dell’Accademia Nazionale di S. Luca, inv. 76; Golzio 1939: 17. 331 Natoli – Scarpati 1989: 163-164, 478. 332 Passaro 1815.
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Porta San Sebatiano, sulla Via Appia, si scopre (1816) un suggestivo riquadro lavorato a stucco. La scena viene interpretata come Alessandro Magno giovane regnante in figura di Zeus, tra Poseidon e Herakles. Alessandro, che regge la folgore nella mano destra e lo scettro sinistra, posa i piedi sul globo terraqueo333. Un miglio circa fuori porta Pia, accesso murario al palazzo del Quirinale, Alessandro Torlonia (1800-1886), divenuto erede del padre Giovanni (1829), abbellisce la Villa Torlonia, eretta dall’architetto Giovanni Battista Ceretti sulla via Nomentana. La «Sala di Alessandro», stanza ellittica da pranzo sita al piano nobile del palazzo residenziale della grande villa, celebra l’onomastico di Alessandro Torlonia. Per sua committenza Thorvaldsen replica (1835-1836) e modifica con alcune varianti sceniche il proprio bassorilievo Il Trionfo di Alessandro Magno in Babilonia, fregio (cm 60 alt. × 244 lung.) che contorna tutta l’imposta della volta di tale sala. Ne affresca la volta Francesco Coghetti (1835), pittore emerito dell’Accademia di San Luca, che effigia 10 imprese di Alessandro Magno. L’Ingresso trionfale di Alessandro in Babilonia, reduce dalla spedizione in India, figura al centro della volta, tra i riquadri La Battaglia di Granicus e La Battaglia di Issus. Nella prima battaglia un cavaliere macedone travolge un nemico caduto per inseguire il re Dario che fugge sul carro. Nella scena centrale, un capolavoro di questo pittore, Alessandro «vedi effigiato sopra ricchissimo cocchio tirato da quattro superbi cavalli, incedere vittorioso verso l’antica città» che l’attende. «La scena figurata dal pittore è un luogo prossimo alle rinomate mura di Babilonia». Un elefante contrasta di fianco la quadriga, con cui fende il percorso che è aperto dai militi tra due ali di folla334. Coghetti dipinge nelle due calotte semicircolari della sala, entro riquadri trapezoidali e cornici di stucco, 7 episodi scenici che sono di due tipi diversi. Il primo riguarda l’ambiente macedone: Alessandro deriso da Kleîtos nel banchetto, Il medico Filippo legge la lettera di Parmenione ad Alessandro, Alessandro e Pythia, la sacerdotessa di Apollo in Delphi, Alessandro cede la bella Campaspe ad Apelles. Il secondo tipo concerne il confronto con il mondo persiano: La sconfitta di Dario, Alessandro riceve la Famiglia di Dario, Le Nozze di Alessandro e Roxane335. Villa Torlonia, completata nel suo decoro, era inaugurata in presenza di papa Gregorio XVI (1842). Alcuni disegni delle scene affrescate furono raccolti da Paolo Durio, Elogio di Alessandro il Grande, opera dedicata (c. 333 Museo Gregoriano Etrusco, Antiquarium Romanum, inv. 14948, stucco (cm 71 alt. × 70 lung.); Moreno 1995b; 2005: 391-395, fig. 561, 563. 334 Melchiorri 1837. 335 Nibby 1841: 965-966; Checchetelli 1842: 83-84; Birkedal Hartmann 1967: 13-14, 17, 71; Apolloni et alii 1986: 59-60, 113-117, fig. 85-97; Campitelli 1997.
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1840) a Carlo Alberto re di Piemonte e Sardegna336. Raffaele Bonajuti eseguì un bel disegno dell’ingresso di Alessandro in Babilonia, affresco centrale di Coghetti (tav. 31). Tale disegno proviene da una raccolta dell’Accademia di San Luca (XIX secolo) in sede vaticana. I fulgidi cavalli bianchi della quadriga che traina il cocchio del trionfatore macedone contrastano bene la stazza pachidermica dell’elefante asiatico337. Il palazzo residenziale di Villa Torlonia compresa la «Sala di Alessandro», fu riaperto come museo al termine di lunghi restauri (2006). La decorazione di palazzo Torlonia sito in piazza Venezia, tra i rosoni intagliati e dipinti da vari pittori sulle volte rampanti della scala, presentava Alessandro in episodi dipinti: «inseguir Dario o recider il nodo gordiano dal Cav. Capalti; ora dal Guglielmi in trionfo dopo la conquista delle Indie o varcare l’oceano; ed ora finalmente dal Bianchini posto a concilio de’ Filosofi»338. Il pittore Filippo Bigioli aveva affrescato Alessandro guidato dalle Muse al Tempio della Gloria nel palazzo Torlonia, demolito (1902) per la ristrutturazione urbanistica dell’area339. Gaspare Spontini pose in musica Olimpia, melodramma desunto dalla tragedia di Voltaire riscritta da poeti francesi, quindi rappresentato in Parigi (1819) ed eseguito dalla Società Musicale Romana (1885). Cassandro, sconfitto Antigono, sposa Olimpia, mentre Statira figlia di Dario, già schiava, diventa regina macedone che canta: «O popoli, o guerrieri / Compagni d’Alessandro, / A voi spetta mantener / Sempre puro l’onor / Del vostro grande imperator»340. La RAI acquisì per arredo nella sua sede romana (1967) tre arazzi di lana e seta, opere di Frans Geubels relative a una serie della storia alessandrina (Bruxelles, c. 1565-1585). La Battaglia di Issus in veemenza di cavalieri e fanti, e consegna di capitani nemici prigionieri al condottiero. La cosiddetta Magnanimità di Alessandro: egli riceve madre, sposa e due figlie nubili di Dario prigioniere, il nobile gineceo alla cui tenda il vincitore inviava l’etero Leonnatos. Inoltre le Nozze di Alessandro e Statira in Susa, sembra341. La Banca Nazionale del Lavoro acquisì per decoro di un ambiente nella sua sede romana (1987) un fregio della storia di Alessandro, opera di Paolo Farinati pittore veronese (ante 1600): un affresco staccato di cui restano 336 Torino,
Biblioteca Reale, Varia 210. Vat. lat. 14109, f. 81, cm 22 × 27. 338 Checchetelli 1841. 339 Birkedal Hartmann 1967: 13-14, 17, 71. 340 Spontini 1885: 35, 60. 341 Roma, collezione RAI, inv. 157626-7-8; Viale Ferrero 1971: 47-51, tav. 1-3; Forti Grazzini 1989: 113-120; Plut. Alex. 20, 10-13. 337 BAV,
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cinque scene. Egli e Bucefalo, il taglio del nodo di Gordio, il tributo ad Achille. Il Tesoro di Dario: bottino di vasellame aureo esibito nella tenda verde di Dario, che Alessandro visita con sorpresa, mentre dal campo di battaglia Leonnatos accorre per avvisargli l’arrivo della famiglia del re vinto a Issus. La Famiglia di Dario: le dame prigioniere sono ancora in cammino verso la tenda del vincitore342. 7. Il battesimo del re arsacide e avventure parthiche Il difficile confronto secolare di Roma imperiale con la Parthia arsacide pare poche volte ripreso in epoca moderna dalle arti figurative urbane, mentre la drammaturgia celebra alquanto il tema. Una prima rievocazione riguarda le imprese di Traiano imperatore (98-117). Durante il pontificato di Giulio II le «Gesta di Traiano» erano affrescate (ante 1510) nella sala grande del palazzo del cardinale viterbese Fazio Santorio. Questo edificio poi fu riadattato a nucleo primitivo del palazzo Doria Pamphilj. L’affresco, scomparso entro la prima metà del XVII secolo e definito da didascalie epigrammatiche in un codice barberiniano, figurava anche la campagna di Traiano contro il regno di Parthia (116). Episodio XIV: «Parthis, ius Armeniae sibi uendicantibus, bellum indicit, in quo eos profectus breui vuincit, et a Senatu Princeps optimus appellatur». Traiano, rivendicando la giurisdizione sull’Armenia pretesa dai Parthi, dichiarò la guerra, con succeso li vinse subito, e fu proclamato dal Senato Principe ottimo. Episodio XV: «Parthorum Armeniorumque reges ac satrapas, regione omni ad mare rubrum perdomita, supplices ad pedes fit, ceterosque iugum detractantes, facilè debellat». Sottomessa tutta la regione fino al Mar Rosso, i re e i satrapi dei Parthi e degli Armeni rese supplici ai suoi piedi, e vinse facilmente gli altri scampati al giogo. Traiano, predominante in regione di Mar Rosso, sta dinanzi a supplici. Episodio XVI: «Mare rubro oceanoque nauigato, Indicaque expeditione ob ingrauescem aetatem omissa rediens, Parthis Regem, diademate imposito constituit». Navigato il Mar Rosso e l’oceano, al ritorno rinunciando alla spedizione d’India per il peso dell’anziana età, assegnò il Re ai Parthi, imponendogli un diadema343. Il battesimo di un re arsacide di Parthia è un grande evento ascritto alle imprese dei due apostoli Simone cananeo o zelota e Giuda di Giacomo, santi celebrati in data liturgica 28 ottobre: Simon & Iuda «in Perside martyrio coronati sunt»344. Entrambi compivano la loro suprema missione 342 Bilardello
– Franzè 2007: 25-29; Plut. Alex. 22, 1-2. Barb. lat. 2016 (olim XXX, 89), f. 32r-v; Lanciani 1883; Cavallaro 1983. 344 Baronio 1586: 487. 343 BAV,
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evangelizzatrice in regno arsacide di Persia, Mesopotamia inclusa. Secondo una tradizione agiografica essenzialmente latina, essi convertirono un re parthico arsacide e il suo generale in Babilonia, la capitale Ctesifonte. Lo Pseudo-Abdias, rielaboratore apocrifo di Passiones apostolorum quasi coevo di Gregorio di Tours (Gallia, VI secolo), riferisce la passione di Simone e Giuda che, come in un dittico, connette alla passione di Matteo apostolo, evangelista e santo. Anche Matteo fu evangelizzatore e martire nel regno dei Parthi, la Persia, secondo la tradizione latina, siriaca, copta, etiopica345. Jacobus de Varagine / Iacopo da Varazze domenicano, celebre agiografo, e il milanese Boninus Mombritius (XV secolo), sono tra autori che contruiburono a diffondere in ambito latino quanto riferiva lo PseudoAbdias, creduto vescovo. Giunti in regno di Parthia, Persia, Simone e Giuda incontrano due magi, Zaroes e Arphaxat che, viaggiando con una coppia addomesticata di draghi, erano reduci dal paese etiopico, dove l’apostolo Matteo li aveva sconfitti in una confutazione rituale. In Babilonia Simone e Giuda hanno accesso alla corte di Varardach, il duce dell’esercito, ne convertono gli avvocati, contrastano i preti. In una disputa al cospetto del re Xerses, i due apostoli confutano i magi Zaroes e Arphaxat, contro cui i due draghi letali si ritorcono. La figlia di un ricco satrapo, forse lo stesso Varardach, genera un bimbo adulterino, della cui paternità viene accusato il diacono Euphrosinus. Incaricati d’inquisire sulla verità di tale atto infamante, Simone e Giuda per prova risolutiva dell’indagine interrogano il bimbo neonato, che per miracolo parla e nel rispondere scagiona il diacono innocente. Xerses si converte al cristianesimo, che Simone e Giuda battezzano, e così tutti i suoi dignitari e una moltitudine di popolo. Ordinato Abdias primo vescovo di Babilonia, i due apostoli si recano presso il discepolo Semnes / Sennen nella città di Suanir, dove infine patiscono insieme il martirio346. Arphaxat / Arfaxar è nome di ascendenza biblica: Arfaxad figlio di Sem, inoltre Arfaxad re dei Medi (Gn 10, 22, 24; 11, 10-13; Gdt 1, 1). Zaroes sembra adattare il nome mediopers. Zarôê. Il nome completo del re parthico convertito sembra Narsê Xerxes, forse Narsete detto Serse. Varardach, Baradach in Iacopo da Varazze, riflette la forma Varachdach, forse epiteto di funzionario parthico347. Come abbiamo già rilevato, l’agiografia cristiana siro-orientale vanta come conquiste missionarie della Chiesa di Persia la conversione e il 345 Jullien – Jullien 2002: 56-57, 61-71; Geoltrain – Kaestli 2005: 737-741, 811-814, 839-842. 346 Abdias 1566: ff. 74v-85r; Iacopo da Varazze 1998: II, 957, 960 (CXXXVI Matheus); 1079-87 (CLV De sanctis Symon et Iuda); Geoltrain – Kaestli 2005: 815-816, 843-864. 347 Justi 1895: 174, 221-222, 348.
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battesimo di principi sasanidi. Dadoy avrebbe convertito alcuni figli di re Šâbuhr I, che furono quindi uccisi (332). Un figlio di re Yazdegard I (399-421) avrebbe ricevuto il battesimo, anche Šêrôy, figlio di re Xusraw II (591-628) e di Maria romana. Secondo una leggenda araba islamica (IX secolo), Ardašîr, primo re sasanide di Persia (c. 225-241 d.C.), fantasticato quale coevo di Gesù, fu convertito da un suo apostolo al cristianesimo. Questa presunta conversione del re insieme al proprio ministro avveniva nella reggia di Ctesifonte348. La Notitia de locis sanctorum apostolorum riferisce che Simone e Giuda, martiri in Suanir, furono sepolti in Persia, cioè il suo regno parthico, e il Martyrologium Hieronymianum (c. 431-450) li commemora in data liturgica 28 ottobre. La città di Suanir prende il nome da Suani, gr. Σοάνες, attuali Svaneti di Georgia, già popolazione ibera stanziata tra la regione del Mar Nero e la caucasica349. Semnes / Sennes / Sennen è anche il nome che porta il successivo santo protomartire persiano di Roma350. La basilica antica di S. Pietro in Vaticano ospitava un altare intitolato ai due santi apostoli Simone e Giuda, dove si custodiva il sacramento dell’Eucarestia in maniera onorifica. Una pianta dell’antica basilica corrobora l’esistenza di tale altare351. I corpora di Simone e Giuda reperiti in un’arca marmorea, posta sotto l’altare che era loro dedicato nella basilica vaticana di S. Pietro, furono ricomposti (27 dicembre 1605) per committenza di papa Paolo V, come documenta la lapide commemorativa352. La chiesa di S. Maria in Monticello sita a Monte Giordano, e citata in una bolla di papa Alessandro III (1178), fu ridedicata ai santi Simone e Giuda (XVI secolo). Questa chiesa, restaurata sotto papa Clemente XI (1719), fu profanata (XX secolo inenunte) e quindi chiusa353. Presso il Portico di Ottavia, nella chiesa di S. Angelo in Pescheria, sulla parete a sinistra dell’ingresso si vede murata una lapide commemorativa alquanto antica che cita insieme «SCTI MATHEI SCTI SIMONI (et) THADDEI» (linea 9). La Torre dei Venti, osservatorio eretto in Vaticano per committenza di papa Gregorio XIII, comprende una «Sala degli Apostoli», affrescata da Mattijs Brill, pittore fiammingo paesaggista (c. 1577-1582). Egli figura in forma di fregi alcune imprese dei tre apostoli che superano le magie persiane in rispettivi confronti con zoroastriani itineranti. Sulla parete ovest, lato destro, è dipinto l’episodio S. Matteo ammansisce i draghi dei magi Zaroes e 348 Jullien
2009: 124, 127-128. – Jullien 2002: 63-65. 350 Vedi anche II.1. 351 LP 1, 527; de Rossi 1888: 232, n° 44. 352 ICER 6, 527, n° 1650. 353 Huelsen 1927: 530-351, n° 66. 349 Jullien
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Arphaxat in Etiopia (tav. 32a). Nell’angolo della parete nord-ovest compare la scena I draghi assaltano Zaroes e Arphaxat mentre S. Simone fa il segno della croce sulla fronte di un oratore convertito (tav. 32b). Sulla parete nord, lato sinistro, S. Simone impedisce a Varardach d’immolare sulla pira i sacerdoti pagani, ossia zoroastriani (tav. 32c)354. Due imprese apostoliche di Simone e Giuda, l’innocenza testimoniata e il battesimo del Re di Persia insieme al suo generale Varardach, sono celebrate con gli affreschi che decorano le pareti laterali della cappella Firenzuola situata nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini. L’architetto Giacomo Della Porta vi erigeva questa cappella (1583-1588) che poi fu denominata Firenzuola, famiglia fiorentina di mercanti tessili residente in Roma. Agnolo e Filippo Firenzuola, figli di Simone, ricevono in eredità e concessione (1593) la cappella, che in onore dell’onomastico del loro padre fu dedicata ai santi Simone e Giuda e quindi istoriata. Si usava attribuire l’esecuzione degli affreschi (c. 1625-1627) a Stefano Pieri, pittore fiorentino355. In base alla lettura di una certa documentazione archivistica, la morte di Filippo Firenzuola (1595) e le faccende economiche del fratello Agnolo ritardarono l’andamento dei lavori pittorici nella cappella. Orazio Gentileschi era incaricato di eseguire questi affreschi (tra 1606 e 1609) e la sua opera terminava (c. 1611) durante il pontificato di Paolo V356. Il restauro recente (2008) ha ridonato luce vivida alla scenografia degli affreschi, per cui se ne attendono nuovi riesami critici. Sulla parete destra della cappella è dipinto il riquadro dove Il bimbo parlante della figlia del satrapo, interrogato dagli apostoli Simone e Giuda, scagiona il diacono Euphrosinus. Questo, giovane che veste il camice bianco, ascolta a capo chino Simone che, Giuda al fianco, benedice il pargolo in grembo alla madre. Il colpevole, uomo maturo intabarrato che le sta al fianco e fronteggia il diacono, posa la mano destra sul petto e protende la sinistra in segno di diniego. Nel registro superiore il re coronato, anziché il suo duce Varardach, siede in trono, sotto il baldacchino, mentre assiste al giudizio e indica lo stesso colpevole. Sulla parete a fronte è istoriato Il Battesimo del Re di Persia, anche questo riquadro a due registri (tav. 33). L’apostolo Simone compie il rito battesimale in cima a una scalinata. Egli posa la mano sinistra sul messale retto da un chierico per segnare e leggere il testo, mentre tiene nella propria 354 Courtright 355 Titi
2003: 114-115, 196-198, fig. 104-105, 188. 1763: 422; Rufini 1957: fig. 11, a fronte di p. 44; Salerno et alii 1973: 240-242,
ill. 132-133. 356 Major Germand 1993.
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mano destra la ciotola dell’acqua da versare sopra la testa del Re. Bel giovane, egli china il capo, tiene gli occhi socchiusi, il torso nudo, le braccia conserte e un ginocchio piegato sopra un grande cuscino, su cui è posata la corona aurea. Il giovane milite, guardia imponente, si protende con la sua alabarda per fermare il servitore zelante che sale e reca una enorme brocca aurea, inutile per versare acqua diversa nel rito. Al livello terreno, sotto la scalinata, l’apostolo Giuda officia il battesimo mentre legge il messale retto da un chierico e versa da una brocca dorata l’acqua sopra il capo di Varardach, giovane che ha il torso nudo e le braccia conserte. Di lato un uomo barbuto che indossa il turbante piumato, quasi un persiano presente in Roma coeva, gesticola e conversa con un giovane che veste il cappello piumato e l’abito sgargiante. Egli forse rappresenta Agnolo Firenzuola, se il fratello Filippo è il giovane elegante ritratto alle spalle dell’apostolo Simone, sulla scalinata. Alla Chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini si accede per una scalinata, angolo dove comincia via Giulia. Quando s’istoriava la cappella Firenzuola, si svolsero eventi cittadini che sembrano da connettere alla simbologia figurativa evocata nell’affresco principale. Papa Paolo V Borghese ricevette con giubilo due ambasciate amichevoli inviate dal Re di Persia ‘Abbâs I (1609), che il papato sperava si convertisse con il suo popolo. Forse il personaggio che veste il turbante piumato nella scena del battesimo di Varardach può evocare nel contempo il battesimo di Camillo Borghese Persiano (1610), diplomatico di Persia convertito e immigrato in Roma357. Un poema sacro romano in sestine commemora i «SS. Simone e Giuda Apostoli» (canto X, 60): «In Persia poscia insieme si trouàro / Che i Maghi atterrì la lor presenza»358. A Torre Angela, in via di Torrenova, numero civico 162, la chiesa parrocchiale è dedicata ai SS. Simone e Giuda Taddeo (domenica 20 dicembre 1992), dove sono poste a fianco le piccole statue policrome dei due patroni. La moderna chiesa parrocchiale di S. Giuda Taddeo ai Cessati Spiriti sta nel quartiere Appio Latino. Le avventure di vari re, principi e cavalieri Parthi, veri e finti, ma tali almeno di nome, come anche loro regine e principesse, entravano nel repertorio cittadino della scenografia teatrale con una certa frequenza. Questi Parthi teatrali erano messi a confronto di alcuni imperatori romani, talvolta ospiti nell’urbe per trattative di pace, inoltre decisivi per la guerra e la politica dinastica in paesi asiatici vicini, persino in Egitto. Agivano sorprendentemente come personaggi di alto prestigio e nobile valore. Sulla scena moderna quasi si presentava l’onore delle armi ai nemici di Roma antica. 357 Vedi
anche II.2 e III.9. 1720: 154.
358 Spagna
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L’Idaspe, tragedia di Pietro Parma (1646) in tre atti, con prologo e intermedi in musica, «Persone, che parlano»: Artacheo Rè di Menfi, Rosanne Moglie di Artacheo, Idaspe figlio del Rè, Ossarte figlio del Rè, e di Rosanne. «La Scena è nelle Campagne di Soria». (Atto I, sc. VIII) parla anche il Messo d’Idaspe, che annuncia a corte la notizia: «Il Rè de’ Persi» ha «una figliuola sola unica herede del Regno», e pertanto vuole Idaspe come «Genero, e figlio, e successore del Regno». Ma tale desiderio non veniva esaudito359. Il Caligola, dramma di Domenico Gisberti, posto in musica da Giovanni Maria Pagliardi e già rappresentato con il titolo Caligula Delirante a Venezia (teatro Grimano, 1672), fu recitato con modifiche nel nuovo teatro di Tor di Nona (1674). Interlocutori principali: Caligola imperatore in Roma, sua moglie Cesonia e Artabano Re dei Parti. Ma un duplice nome parthico porta anche Tigrane re di Mauritania sotto nome di Adraspe finto Moro e schiavo di Artabano, che venne in urbe con i cavalieri Parti per stipulare la pace. Comincia Caligola: «Parthico Rè, che da le sponde altere / Del Tigri faretrato / Volgendo il piè; sù’l Tebro / Cesareo Nume ad adorar’ impari; / Quì il gran Gioue latino / Cangia per te de la sua destra audace / L’Hasta tonante in caduceo di Pace». Artabano risponde: «A l’ombra del tuo scettro / Deposto l’Arco, e i sanguinosi strali, / Giurò Cesare inuitto, / E al gran genio Romano / Giura apprestar gl’incensi hoggi Artabano». Nesbo servo spiega a Cesonia: «Da celebre Pittor, ou’il Rè de Parti / Seco già da la Media / Condusse a Roma, ed al latin Monarca / Offerse in dono; / M’impose ch’à momenti / Faccia ritrar la sua vezzosa imago»360. L’Ambitione Ingegnosa, opera scenica di Sebastiano Lazarini Accademico Infecondo recitata in Roma (1677), secondo l’autore medesimo aveva per modello Claudio Cesare, dramma per musica di Aurelio Aureli rappresentato a Venezia (teatro di S. Salvatore, 1673). Personaggi: Claudio Cesare Imperatore di Roma, Agrippina Imperatrice sua Moglie, Nerone Prencipe figlio d’Agrippina, Tigrane Rè de’ Parthi, Sillano Console Romano, sotto nome di Feraspe (nome parthico), Giunia figlia di Sillano, e altri. Si finge che i Legionarij d’Oriente debellassero Tigrane Rè de’ Parthi, il quale ancor vinto, ammirando il coraggio Romano, risoluesse trasferirsi in Roma per stabilire un nodo di pace, e d’amicitia con Claudio, e che seco tornasse sconosciuto l’esiliato Sillano.
(Atto I, sc. I) Tigrane dice subito a Claudio: 359 Parma
1646: 25. 1674: 1, 6.
360 Gisberti
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I lampi dell’acciaro inimico concorrono ad accrescer’ i splendori delle tue glorie, Sotto l’insegne latine sempre militò la fortuna. Il costume de Parthi si conserua sin nelle perdite, palesandosi in Tigrane, che se ti cede, trionfa.
(Atto I, sc. IV) egli esclama: «Ah’ Dij, trà le palme d’vna pace già stabilita, leggo le sfide d’vna guerra mai non creduta». (Atto I, sc. XII) Tigrane contempla: «Ò sorte per mè fauorevole, questo è il ritratto di Giunia. io ti ringratio ò Amore, se mi dai campo di fare l’imagine oggetto dell’adoratione degl’occhi, se l’esemplare è l’Idolo, à cui si tributa la riuerenza del cuore». (Atto I, sc. XIII) Giunia avvampa: «È vn Sole Tigrane, e destandomi al cuore le fiamme con questo specchio, Amore per mia sventura è divenuto Archimede». (Atto III, sc. XVI) Giunia confida a Tigrane: «O’ quanto godo mio Rè, che l’ambitione ingegnosa d’Agrippina, per stabilirsi nel Trono, vsi per suoi stromenti le nostre medesime felicità». Infine (Atto III, sc. XXIV) il Cesare per pace generale rende «il soglio ad Agrippina, l’impèro à Nerone, Sillano à Giunia, Giunia à Tigrane, Claudio à se stesso»361. Tiridate overo Il Re da Scena nel Giuoco della Fortuna, opera in cinque atti e intermezzi recitata nel teatro del Seminario Romano (1695), reca in argomento: «Si hà ne gl’Annali di Tacito lib. 12, che Tiridate aiutato dal Rè de’ Parti suo fratello occupò tirannicamente all’improuiso il Regno d’Armenia, scacciandone dal Trono Radamisto» insieme a Zenobia sua consorte. Precipitoso in fuga Radamisto getta nel fiume Arasse Zenobia, che però è salvata da pastori: «si dà luogo alla finzione della presente Opera, che si pone alcuni anni doppo il successo narrato da Tacito». Tiridate è avvelenato dai congiurati durante un convito. Nello scenario compare anche la città di Artassata362. La Rosaura, dramma di Antonio Arcoleo, posto in musica da Giacomo Antonio Perti, consacrato a Francesco II Duca di Modena e rappresentato a Venezia (teatro di S. Angelo, 1689), fu replicato in Roma (1695). Interlocutori: Rosaura Regina de’ Persi, Feraspe Generale dell’Armi e Prencipe della Persia, Gelindo Prencipe del Regno, creduto Germano di Feraspe; Fidauro Prencipe di Micene sconosciuto, Amante di Ersilla; Arsace Satrape della Persia, Ersilla sua figlia, Gilbo seruo di Ersilla. Argomento: Ramiro, «successore alla Corona d’Armenia», rapito in fasce insieme a Feraspe, era educato con il nome di Gelindo in Micene. Entrambi sconfiggono i Parthi, invasori del paese. (Atto I, sc. XIV) Rosaura si consulta: «Stringe spade rubelle / L’Armeno a’ nostri danni, e à guerra pronto / I soliti tributi / Già non contrasta à noi, / Tributario sol chiede / Vn Rè natìo, ricerco / Ora da 361 Lazarini
1677: 1, 7, 26, 92, 108. Romano 1695; Filippi 2001: 419-424.
362 Seminario
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voi consiglio». (Atto II, sc. VIII) Feraspe rivendica: «Sotto le Perse insegne / Si pugnò contro i Parthi». (Atto II, sc. XIV) Ersilla invita, arzilla: «Ammira / Le Moli eccelse, il forte sito, e i fasti / Della Persia grandeza». Fidauro rivaluta: «La Messenia, e l’Accaia / (Lode al vero ò Regina) / Non inuidian la Persia, e di vaghezza / A Persepoli vostra, / Non và minor la mia natìa Micene». Partita pari. Fidauro e Ersilla diventano sposi, e Feraspe Osmano figlio di Arsace, per agnizione. (Atto III, scena ultima) Rosaura investe: «Ma noi siamo d’Armenia, e tù Ramiro / Il successor del Regno; / I popoli tranquilli / Reggerai su quel Soglio. / […] Osmano à te le stelle / Serbar di Persia il Trono / Al tuo valor / Alla tua fè mi dono»363. La Ragione Trionfante d’Amore, opera regicomica di Lodovico Piazza Accademico Accigliato recitata nel Collegio Clementino (1696): si finge che, nel combattimento tra Emerindo Rè di Cirene e Filadelfo Rè d’Egitto, «Ferido Prencipe di Persia amico d’Emerindo sotto le sue spoglie Reali uccidesse Filadelfo, onde si disse hauer Emerindo ucciso Il Rè d’Egitto à tradimento», e che Erimanta Regina d’Egitto cercasse vivo o morto il colpevole. In oltre che la Regina hauesse un fratello scoperto poi essere Ferido figlio di Tiridate Rè d’Arabia, il quale come eccellente Astrologo temendo assai del figlio per una Cometa che gli rosseggiava su’l collo lo facesse esporre in un bosco confinante alla Persia, oue ritrovandolo quel Rè privo di Successione l’adottasse per figlio.
Ferido era Amante di Roremonda, figlia di Erimanta. «La Scena si finge in Menfi». (Atto III, sc. XVII) Zurlo servo di Ferido rivela: «L’ho allevato da piccolino. Perché il Rè di Persia mio Padrone ed io lo ritrovassimo in un bosco andando a caccia, e questa povera creatura stava piangendo». Ferido domanda: «Io vostro fratello?». Erimanta risponde: Sì, voi siete Artabano figlio di Tiridate Rè d’Arabia mio Genitore. Egli come intento all’Astrologia, eretta poco dopo al vostro nascere la figura celeste per sapere che dovesse esser’ di voi, mentre questo segno di Cometa che vi porporeggia sul colllo era da lui stimato infausto segno364.
Per le Azioni il Cavaliere, opera regicomica di Ferdinando Fabiani recitata nel Collegio Clementino (1697): «La Scena si finge nella Reggia di Cipro». Interlocutori: Doriclea Regina, Almidoro suo destinato sposo, Idraspe Caualiere parimenti persiano, Amante di Doriclea; Nigrane suo ade363 Arcoleo 364 Piazza
1695: 27, 38, 47, 71; Franchi 1988: 688-689. 1696: 131.
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rente, Armelinda Contessa di Arsinoe, Cameriera confidente della Regina, e altri. Idraspe imprigiona nella torre di una isola Almidoro. (Atto III, sc. XXI) Almidoro allora si accorge dicendo a Idraspe: Voi figlio di Arsace! Alzateui, che se bene da me non conosciuto, pure raffiguro nel vostro volto le somiglianze di vn tanto genitore. Viuete, per godere ancor voi nelle comune allegrezze di questo Regno; e già che negli errori commessi, che la mia Regina stima condonabili, in sua vece assaliste la Contessa, ella sia vostra.
Infine Cola Ambruso Seruo di Almidoro si consola: «Donca lo patrone mio è Rene pruopio. Rengratiato lo cielo, che songono scompiuti li chiaiti». E Ormete Capitano delle Guardie Reggie spiega l’intreccio: «fù per autenticare l’Adagio: Che bene conoscersi non per la nascita, ne per l’abito, ma per le azioni il cavaliere»365. Rodoguna, tragedia (Rodogune) di Pierre Corneille tradotta da Filippo Remelli romano, Solero Cromizio tra gli Arcadi, fu recitata nel Collegio Clementino (1702). Cleopatra era Regina di Siria e Rodoguna sorella di Fraate Ré di Parthi, Oronte Ambasciatore di Fraate in Seleucia. Demetrio soprannominato Nicanoro Rè di Siria, che aveva avuto due figli da Rodoguna mentre era prigioniero di Fraate, torna in patria con l’esercito dei Parthi che, per liberare Rodoguna, invadono la Siria e assediano Seleucia, ma sono sconfitti366. L’Amante Inimico, opera tragicomica di Francesco Posterla recitata nella Sala Rucellai (1710). Interlocutori: Tigrane Rè di Persia, Feraspe, Floridaura e Rosalba suoi figli; Siface Rè dell’Armenia Amico confederato di Leonida Rè de Parthi Amante di Rosalba, Rosmondo Capitano Generale di Tigrane, e altri. Argomento: «Tigrane, e Rosalba s’impegnano à voler morto l’uccisor di Feraspe» e dare «in premio il Regno di Persia à chi gli presentava la testa di Siface», contro cui muove con «odio grande» Rosmondo. «Mentre allora si scopre chi sia Feraspe creduto figlio di Tigrane, e chi sia Gernando creduto figlio di Rosmondo». (Atto I, sc. VII) Ceccotto Servo Napolitano di Siface valuta le dame di Persia: «Ceccotto, stà in te, vi cà t’è stato ditto cà le femmene de Perzeca songo de la scrafignana». (Atto III, sc. XIX) Rosmondo dice a Tigrane, tornato dalla guerra contro i Franchi: Ansioso, che su la fronte d’un mio unico figlio pari in etade a Feraspe, sfavillasse il Reale Diadema, in luogo del vostro, vi posi il mio; voi come dissi tornaste, e credendolo vostro, l’amaste teneramente in vita, e poi amaramente lo piangeste 365 Fabiani
1697: 93. 1702.
366 Corneille
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anche in morte. Ma più deggio piangere io solo, misero Padre, mentre è stata mia colpa il suo eccidio
e Gernando è il vero figlio di Tigrane367. La Generosità fra gl’Amori, opera scenica di Posterla forse recitata nella medesima Sala (1711), fingeva «La scena in Persia». Interlocutori: Orcane Rè della Soria, Celinduo suo Fratello, Coralbo Principe di Persia sotto nome d’Adraspe Amante di Rosaura Principessa, Tigrinda Innamorata d’Orcane, e altri. Coralbo, difensore di Trabisonda, fugge con l’amata Rosaura mentre Orcane conquista la città. (Atto I, sc. I) fuga da Trabisonda per «la Battaglia seguita trà Popoli della Soria, e della Persia». (Atto I, sc. IV) Orcane esagera: Sotto al mio brando reale giacque sconfitto il Persiano rubelle. Trabisonda è già distrutta, e in breve rimirerà l’inimica alterigia divenir preda di Vulcano ciò, che si vidde restare miserabile avanzo di Marte.
Perciò (Atto I, sc. X) Bagattino Servo Sciocco di Coralbo vaga: «Mi a vagh’ zercand el Prenzipe el me Padron, che el m’hà dar el me salari. L’è el Prenzipe della Persica». (Atto III, sc. XVIII) Orcane cede: Coralbo è vostro Rosaura, ed a voi già la rendo, ed acciò trionfi maggiormente la generosità frà gl’Amori, vi rendo anco Trabisonda, acciò che siete in un tempo stesso, e dominatore de’ vostri stati, e possessore d’un Imeneo sì gradito368.
Gl’Eventi Fortunati, opera tragicomica di Pietro Vagni rappresentata nel Collegio Nazareno (1711): «La Scena si finge in Tarso, Regia di Giugurta nella Cilicia». Vi capita Rosmonda Infanta di Media, figlia del Re Cleoreste, sposa di Celidaspe Principe d’Armenia e Schiaua d’Oronte Principe e Generale delle squadre Cilicie sotto Giugurta tiranno nella Cilicia famoso Pirata. Mentre andava «con una squadra di Navi per lo Mar Caspio ad infestare le spiagge di Media», Oronte cattura Rosmonda. Ella (Atto I, sc. VII) si lamenta: Fortuna spietata se prodiga ti dimostrasti nel farmi dono di un Regno, allorche bambina in fasce mi preparasti Regia la cuna, altrettanto ti dichiarasti mia nemica, quando fatta sposa di Celidaspe mi rivolgesti le spalle. Che dirà il mio Genitore, che penserà il Regno tutto, che Rosmonda o Cielo! Habbia con la fuga, calpestato le leggi dell’onestà, che farò infelice? Quando passeggiar credeva le Regie soglie di Armenia, schiava mi vedo nella Reggia di Tarso. 367 Posterla 368 Posterla
1710: 19, 118. 1711: 11, 15, 22, 86.
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Ma la paura è qui passeggera. Finite le traversie Rosmonda, ambita da Oronte, si ricongiunge al proprio sposo Celidaspe, che porta un nome iranico di cavaliere369. Le Vicende del Destino, altra opera tragicomica di Vagni rappresentata nel medesimo Collegio (1713): «La Scena si finge in Arasse la Reale d’Hircania». Interlocutori: Argonte Rè dell’Hircania, Berenice sua figlia, Lucimauro principe reale de Parti, Tigrane supremo Principe di Caramania, Alicardo Capitano Generale de Parti, Rosimene destinata alla custodia del Reggio Giardino, e altri. Argomento: Argonte attacca Orsane Re de Parti ma torna ad «Arassa», dove la propria sposa Elìsena era in agonia, e lascia il comando a Tigrane, destinato sposo di Berenice. Orsane, perduta la figlia Arsilla, mobilita Lucimauro che combatte il nemico, assedia Arassa e brucia le navi della Caramania. Siccome (all’epoca dell’autore) «Il Rè di Persia si chiama Soffì», Ciannone servo faceto di Berenice dice: «che lo Rè de Persia si chiamma Soffià io no ce reprico». Quando Rosimene «Per la morte d’Orsane hà spedito il Real consiglio Arsenio, e Segeste con la Corona à Lucimauro mio Germano», ella si reca per soccorso nel campo dei Parti. Così Rosimene scopre di essere la Principessa Arsilla «da tanto tempo creduta estinta» e guida le truppe verso Arassa. Alicardo conquista la Reggia e Argonte muore. Lucimauro diventa sposo di Berenice e Arsilla sposa di Tigrane. «Et imparino da Lucimauro à scordarsi i Parti degl’affronti, dell’offese l’Hircani»370. L’Amor Tirannico, dramma di Domenico Lalli, posto in musica da Francesco Gasparini e rappresentato a Venezia (teatro di S. Cassiano, 1710), fu presentato con la musica di Giuseppe Maria Orlandini nella Sala Capranica (1713). Personaggi: Tiridate Re d’Armenia, amante di Zenobia sua cognata; Polissena, figlia di Farasmane Re di Tracia, sua moglie; Radamisto figlio di Farasmane, Zenobia sua moglie, Fraarte Generale e Confidente di Tiridate. Scena in Artamissa, Metropoli di Tracia. Notizie Istoriche: «ingiustissimo amore» di Tiridate per la cognata Zenobia, che infine viene recuperata da Radamisto nonostante la guerra mossa da Tiridate contro il Trace. «Vedi Tacito negli Annali»371. Nell’arco di un triennio le tre seguenti tragicommedie di Giovanni Domenico Pioli erano rappresentate nella Sala Rucellai. L’Odenato overo L’innocenza protetta dall’amore (1715): «La scena si Rappresenta in Palmira» con i personaggi Odenato Figlio di Dorimene 369 Vagni
1711: 17. 1713: 86, 112 (maestro della Scherma Antonio Spadarino; maestro dei Balli Francesco Cortella). 371 Lalli 1713: 7. 370 Vagni
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Regina dei Palmireni e Vedova di Segeste, Sapiro Rè di Persia, Calliope Figlia di Seleuco Rè della Siria, Tigraspe Prencipe Africano Ambasciatore di Seleuco, Eurilla Damigella di Calliope, Zalbillo Paggio di Sapiro, e altri. Argomento: Segeste detronizza Seleuco, che con Calliope costringe a rifugiarsi in Persia & a gettarsi fra le braccia di Sapiro Sourano di quella per vedersi ristabilito sul Soglio, esibendosi per compenso i sponsali di Calliope, e la Sucessione di quel Regno. Accettò Sapiro l’offerta, e l’impegno, & invaghitosi altresì della Real Principessa (il che accrebbe stimoli alla bramata vendetta) si mosse con formidabile Esercito contro Segeste
e lo sconfisse. Rimasti ucciso Segeste e prigionieri Dorimene e Odenato, Sapiro ristabilìsce Seleuco sul trono e risparmia Odenato «per essersi al primo sguardo fortemente innamorato di Dorimene, e solo prefisse ad ambidue per allora un Giardino per Carcere». (Atto I, sc. XIII) Sapiro protesta: È vero o Dorimene, che vi o ucciso Segeste, e l’o ucciso coll’armi alla mano in battaglia, dove non si misurano i colpi, ma è vero ancora, che pria di muovermi contro di lui prima giurai a Marte d’offrirgli in vittima il sangue di vostro Figlio Odenato. Or vedete come adempisca al mio voto in vece di svenarlo, vuò custodirne qual Genitore la vita, e Voi prendete per oltraggio l’offerta, e mi taccciate d’inumano e di barbaro.
Infine Dorimene acconsente a sposare il vincitore re di Persia. Calliope diventa sposa di Entiage, cui è donato il regno di Macedonia. Epilogo: Marte prende per mano Odenato e lo conduce sul suo Trono372. La Cleonice ovvero La Costanza ne’ tradimenti (1716). Interlocutori: Rodouna Regina di Soria, Fraàte detto Floridate Rè de’ Parti, Cleonice Principessa d’Egitto, Alessandro detto Alicandro Figlio naturale di Tolomeo Rè d’Egitto suo Sposo, Cloridea Sorella di Rodouna, e altri. Argomento: crisi dinastica nel regno di Soria dopo la morte di Demetrio Nicatore, guerra e pace di sua sorella Rodouna con Fraàte. (Atto V, sc. XX) Floridate decide: E voi stimata Cloridea per partecipare del nostro giubileo, sarete di Erodaspe mio Germano Consorte, e Sourana di Soria, quì regnarete con esso, mentre meco Rodouna nell’Impero de’ Parti passarà a far soggiorno373.
Il Caligola ovvero Il Vizio soggiogato dalla Virtu (1717), tragicommedia. Personaggi: Caio Caligola, Cesonia sua moglie, Cassio console esiliato da 372 Pioli 373 Pioli
1715: 42. 1716: 130.
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Caligola, Valeria sua Moglie, Cornelio Sabino Prefetto dell’Armi Romane e Seghettino servo di Cassio. (Atto I, sc. I) Seghettino arabizza bene: «Essalam Belxair, zoè ve saluto, bon zorno», ar. as-salâm bi’l-khayr. (Atto I, sc. IV) su consiglio di Sabino, che ritorna da una campagna in Oriente, Cassio si finge Artabano Re de’ Parthi, supplice di pace in Roma. Seghettino ne storpia il nome: «Baraban, Artabian». (Atto I, sc. V) Cassio rimprovera il servo: «Oh scioperato non intendi, ch’Io fingo d’esser il Re de’ Parthi, cioè il capo di quelle genti colà, che si chiamano Parti». E Seghettino: «A adess l’hò capì. Vu finzè d’esser un Gattopardo»374. Lucio Vero, dramma di Apostolo Zeno posto in musica da C. F. Pollaroli e rappresentato a Venezia (teatro Grimani di S. Giovanni Grisostomo, 1700), ebbe un sucesso immenso, fu replicato e musicato anche da altri compositori; da Francesco Gasparini per la recita nel teatro Alibert (1719). Attori: Lucio Vero Imperadore, Sposo di Lucilla, Amante di Berenice; Lucilla Figlia di Marco Aurelio Imperadore, Vologeso Rè de’ Parti, Sposo di Berenice Regina d’Armenia, Flavio Ambasciadore di Marco Aurelio, Ajo di Lucilla; Aniceto Confidente di Lucio Vero, Amante di Lucilla; Niso Liberto di Lucio Vero. Argomento: la guerra mossa da Vologeso contro i Romani interruppe lo svolgimento delle nozze di Lucilla con Lucio Antonino Vero, designato successore nell’impero. Egli nella controffensiva, credendo morto in battaglia campale il re nemico, ne catturò e vagheggiò la sposa Berenice, dimenticando la fede data a Lucilla, che quindi Marco Aurelio impose a Lucio Vero di sposare, pena la rinuncia all’Impero. Il redivivo Vologeso, penetrato come ignoto nel palazzo reale di Efeso, dà motivo all’intreccio. Fondamenti storici tratti da Giulio Capitolino, Sesto Rufo, Eutropio, Sesto Aurelio Vittore e altri. (Atto I, sc. I) Berenice resiste: «Cesare, in Vologeso / La virtude, il valor, la gloria, il merto / Han trucidato le tue squadre». Lucio Vero insiste: «Ciò che perdesti, o Bella / Nel Partico Regnante, / Nel Cesare Latino il Ciel ti rende». Compare Vologeso: «Parto son’io: ristretti / Ecco in breve i miei torti: / Per istinto e per legge / A Roma, e a te nemico, altro di grande / Non hò che l’odio mio». Infine Lucio Vero rende Berenice allo sposo Vologeso, che (Atto III, sc. XIV) promette a Flavio: «Mi vedrai sempre fido / A la gloria di Roma: e sempre innanzi / All’Aquile guerriere / Chinerà Vologeso armi, e bandiere375. Il Traditore Deluso, commedia di Osmato Amarini, pseudonimo anagrammatico di Tomaso Mariani recitata nel teatro vicino a S. Lucia della Tinta (1723). Personaggi: Tigraspe Tiranno de’ Parti, Floristena sua Figlia, 374 Pioli 375 Zeno
1717: 15, 17-18, 20, 34. 1719: 9, 64 (balli di Sebastiano Scìo).
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Messenio Confidente del Regno, D. Rodrigo Generale dell’Armi (che parla spagnolo), Ballottino servo di Corte, Adrasto Rè dei Medi col finto Nome di Narsete Pastore, Ismenia sua Figlia, Ardabano [: Artabano] Nipote d’Adrasto, e creduto di lui figlio sotto Nome di Osmino (che si fa chiamare Oronte), e il duplice servitore di due padroni: Pulcinella Cittadino servo di Messenio e Pulcinella Villano servo di Artabano. (Atto III, sc. IX) Pulcinella ancora equivoca circa Adrasto, Ismenia, Narsete e Oronte: Io no saccio chi se sia st’Arrasta de li figliule mascole; saccio, che Smenia essa puro è figlia a lo Si Ntrasette Padre de Gesommino, che mo se chiamma Caronte pe lo neotio de li vestute nobele, e ze tera gnossi, tu già m’entienne.
(Atto III, sc. XVIII) Narsete rivela a Floristena: «Questi è Artabano unico Figlio del morto Re mio Fratello di simil nome, da me come mio allevato; e sottratto all’iniusta morte del tuo Padre per mezzo di Messenio tramatoli». Tigraspe viene incatenato e Floristena sposa Artabano «il Regio infante de Parti»376. Mitridate, dramma di Filippo Vanstryp posto in musica da Nicola Porpora e recitato nella Sala Capranica (1730), in argomento: «[…] si riferisce, quello che ne disse Monsù Racine nella Prefazione della rinomata sua Tragedia di questo nome, imitata, & in parte tradotta dall’Autore, toltone il fine tragico». Attori Mitridate Rè di Ponto, Tigrane e Farnace suoi figli, Oronta Principessa de’ Parti sotto nome di Artanisba, Laodice Dama Greca destinata Sposa di Mitridate e Arbate Governatore di Ninfea. “La Scena è in Ninfea Porto nel Bosforo Cimmerio, già col nome di Taurica Chersoneso”». (Atto I, sc. I) «Oronta si presenta: «Artanisba son’io, vicina al Trono / Sotto il Partico cielo ebbi la cuna, / E propizia fortuna, Finché d’amore io non provai lo strale». Inoltre (Atto I, sc. IV): Io de’ Parti Regina, / Da Farnace tradita / A richiamarlo all’obliato amore / Lasciai d’Oronta il nome, / Artanisba mi finsi, in simil guisa / Con libertà maggiore / Potrò del traditore / Scoprire i sensi, & eseguir l’impresa, / Che meditai.
Oronta, promessa sposa di Farnace, lo riagguanta dopo il suo abbandono, libera Tigrane caduto in disgrazia, sconfigge l’assalto dei Romani, salva il regno di Mitridate ma lo conferisce a Tigrane. (Atto III, sc. XIV) Oronta conferma:
376 Mariani
1723: 106-107, 123.
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Sì, Mitridate, io voglio / Del Serto, e del tuo Soglio / Disporre a mio talento. Erede sia / Di lui Tigrane, al Regno / Non v’è frà tutti il successor più degno.
Mitridate proclama: Popoli, Oronta è questa, a cui dovete / Non men ch’al mio Farnace / E vita, e libertà, senza il valore / Di lei, del caro figlio, Schiavi del Campidoglio / Voi già sareste.
(Atto III, scena ultima) Oronta canta: Farnace, ora dovrei / Vendicarmi di te: Mà dell’offese / Io non serbo memoria: / Vieni al Trono de’ Parti / Sposo e compagno mio, / Vendicata così di te son’io377.
Adriano in Siria, dramma di Metastasio rappresentato con la musica di Antonio Caldara per onorare Carlo VI Imperatore dei Romani in Vienna (9 novembre 1732), entrò subito nel repertorio del teatro musicale in molte sedi, tanto che numerosi compositori si cimentarono nel riporre in nuova musica il dramma, e con quella di Egidio Duni napolitano fu recitato nel teatro di Tor di Nona (1736). L’argomento trae uno spunto da «Dion. Cass. lib 17. [e] Spartian. in vita Adrian. Caesar.». Interlocutori: Adriano Imperadore, Amante d’Emirena sua Prigioniera, figlia d’Osroa Re de’ Parti e Amante di Farnaspe Prencipe Parto amico e Tributario d’Osroa, e Amante e promesso Sposo d’Emirena; Sabina Amante e promessa Sposa d’Adriano; Aquilio Tribuno, Confidente di Adriano ed Amante occulto di Sabina. «L’azzione si rappresenta in Antiochia». Incomincia il Coro: «Vivi a noi, vivi all’Impero / Grande Augusto, e la tua fronte / Su l’Oronte prigioniero / S’accostumi al sacro allor». Ripetuto tale inno, didascalia «Odesi strepitosa sinfonia in questo tempo, passano il Ponte Farnaspe, Osroa, e tutto il seguito dei Parti. Tutti preceduti da Aquilio, che li conduce». Adriano canta: «Madre comune / D’ogni Popolo è Roma. E nel suo grembo / Accoglie ogn’un che brama / Farsi parte di lei». (Atto I, sc. IV) Emirena si mostra valorosa: «In trionfo Emirena? Ah non lo speri. / Non è l’Africa sola / Feconda d’Eroine. In Asia ancora / Si sà morir». (Atto I, sc. XII) Osroa audace arringa: «Feroci Parti, al nostro ardir felice / Arrise il ciel. Della nemica Reggia / Volgetevi un momento / Le ruine a mirar […] Ah fosse / Raccolto in quelle mura / Ch’or la Partica fiamma abbatte e, doma, / Tutto il Senato, il Campidoglio e Roma». Dopo Adriano «a poco a poco si riscuote» e, «vincitore alfine della propria passione», rende il Regno al Nemico Osroa,
377 Vanstryp
1730: 10, 13, 72 (scene di Domenico Vellani bolognese).
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seppure barbaro re e «implacabile nemico del nome di Roma»; la Consorte Emirena al Rivale Farnaspe, «il cuore a Sabina e la gloria a se stesso»378. Vologeso re de’ Parti, dramma di Guido Eustachio Luccarelli posto in musica da Rinaldo di Capua e recitato nel teatro di Torre Argentina (1739, tav. 34), modificava Lucio Vero, dramma di Apostolo Zeno rappresentato (1700) con la musica di G. A. Perti nella Villa di Pratolino (Firenze), e con la musica di C. F. Pollaroli a Venezia (teatro Grimani a S. Giovanni Grisostomo), poi in molte altre città anche con la musica di numerosi compositori diversi. In argomento si dice che i «fondamenti storici si sono presi da Giulio Capitolino, Sesto Rufo, Eutropio, e da altri». Attori: Vologeso Re de’ Parti Sposo di Berenice Regina d’Armenia, Lucio Vero Imperadore, Sposo di Lucilla Figlia di Marc’Aurelio Imperadore, Flavio suo Ambasciadore, e Aniceto Confidente di Lucio Vero. «La Scena si finge in Efeso». Vologeso muove guerra contro i Romani e interrompe le nozze di Lucilla con Lucio Vero che, durante la campagna di reazione contro i Parti, cattura Berenice e se ne invaghisce, dimenticando la fede data a Lucilla, ma per diventare Cesare deve rientrare nei ranghi. Incomincia Lucio Vero, che dice a Berenice: «Regina, assai donasti / Di costanza, e di pianto / Al tuo genio pudico […] / Ciò che prendesti, o Bella, / Nel Partico Regnante, / Nel Cesare Latino il Ciel ti rende». (Atto I, sc. II) Vologeso s’indigna: «Parto son io: ristretti / Ecco in breve i miei torti. / Per istinto, e per legge / A Roma, e a te nemico, altro di grande / Non hò, che l’odio mio». (Atto III, sc. X) Lucio Vero tenta ancora Berenice: «Vedi, e gradisci, o cara, / I doni, e’l donator. Succeda alfine / Nel tuo cuore ostinato / Cesare a Vologeso»379. Zenobia, dramma di Metastasio posto in musica da Luca Antonio Predieri e rappresentato nel palazzo viennese dell’Imperial Favorita per ordine di Carlo VI imperatore e festeggiare il genetliaco dell’imperatrice Elisabetta (28 agosto 1740), fu eseguito con la musica di Tommaso Trajetta nel teatro di Torre Argentina (1762). Personaggi: Zenobia Principessa d’Armenia, moglie di Radamisto, Principe d’Iberia; Tiridate Principe Parto, amante di Zenobia; Egle, pastorella che poi si scopre sorella di Zenobia; Zopiro falso amico di Radamisto ed amante di Zenobia, Mitrane confidente di Tiridate. Argomento: malgrado il tenerissimo amore per Tiridate, fratello del Re dei Parti, Zenobia era obbligata dal padre Mitridate Re d’Armenia a sposare in segreto Radamisto, figlio di Farasmane Re d’Iberia. Creduto uccisore di Mitridate, Radamisto per la rivolta degli Armeni fugge, furente per la comparsa di Tiridate, «il quale, ignorando il segreto imeneo di Zenobia, veniva 378 Metastasio 1736: 3-9, 14, 25 (scene: Pietro Piazza, Balli: Pietro Fumantino; abbiti: Giacomo Bassi). 379 Luccarelli 1739: 9, 11, 61 (scene di Domenico Vellani bolognese e Pietro Orta bresciano).
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con la sicura speranza di conseguirla», e fu deluso. Zenobia, rimasta fedele allo sposo, abbandona Tiridate che sorpreso, invece di possederla, occupare il regno di Armenia e opprimere Radamisto, per emulazione di virtù rende la sposa e la libertà il rivale, e generosamente li ristabilisce entrambi sul trono. Riferimento storico: Tacito, lib. XII. Scena in vicinanza di Artassata. (Atto I, sc. III) Zenobia compie cantando il ritratto che dice tutto: Il giovanetto duce / Dell’attendate schiere, / Che da lungi rimiri, è Tiridate, / Germano al Parto Re. Prence finora / Più amabile, più degno / Non formarono i Numi / D’anima, di sembiante, e di costumi380.
Zenobia, Tragedia in versi italiani con le annotazioni, composti da Giuseppe Angelelli bolognese (1768). Attori: Settimia Zenobia Augusta Regina de’ Palmireni, Tiridate Principe Reale e Arsinoe Principessa suoi Figli, Dionisio Longino Filosofo Platonico suo Segretario; Zaba, o sia Zabda suo Generale, Lucio Domizio Aureliano Imperatore, Marco Aurelio Probo e Pompeiano suoi Generali, e Un Soldato Saraceno. Argomento: Zenobia, vedova di Odenato, ribelle all’Impero Romano, annesse Egitto, Calcedonia e Bitinia al proprio Regno (c. 269 d.C.). Aureliano pose l’assedio a Palmira (272), dove Zenobia, rifiutata l’offerta di pace, attese il soccorso «da’ Persiani, Saraceni, ed Armeni». Aureliano rese «sbandati gli aiuti de’ Persiani». Zenobia cercò «di ritirarsi sopra la Terra de’ Persiani», ma fu presa prigioniera e, secondo alcune fonti, condotta con i figli a Roma, che celebrava il trionfo. Secondo la versione di Zonara, Zenobia recata alla città di Anna «morì per morte procuratasi per strada». Altre fonti, così citate: Vopisco In Vita Aureliani, Giovanni Malala Chronographia, Trebellio Pollione cap. 23, Trigin. Tirann., Muratori anno 273, Zosimo lib. I Storia cap. 52-56. In fedeltà storica, Zenobia prigioniera si uccise, e su di lei Tiridate. Annotazioni storiche ed erudite, inclusi estratti di testi latini, corredano in appendice l’opera. Scena in Palmira e vicinanze. (Atto I, sc. I) Longino consiglia Zenobia: «Più non rammenti qual soccorso venga / In favor nostro; i Saraceni, i Persi / A non temer l’Aquile altere avvezzi / Son tutti in moto, e quale a te l’Armenia / Feroce gente in tua difesa invia?». (Atto II, sc. VI) Zenobia confida a Longino: «Sappi, che uscir dalla Cittade io penso / Coi figli miei per la nascosta via, / Che ver la Persia mena, ivi vogl’io / Portarmi ad aspettar sorte migliore». (Atto II, sc. VII) Zaba guida Zenobia: «Breve è il cammin, che per l’oscuro calle / Conduce fuor dalla Cittade, quindi / Alla strada che ver la Persia mena / Giungesi; ed ivi non si vede alcuno / Vestigio di nemico». (Atto III, sc. IV) Aureliano soprende Zenobia: «Ogni tua speme, 380 Metastasio
1762.
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or resa è vana; vinti / Gli Armeni, i Persi, i Saraceni, quale / A te più resta da sperar soccorso?»381. La Clemenza di Sapiro con Pulcinella Mago per Amore, tragicommedia di Gregorio Mancinelli romano recitata nel teatro a Tor di Nona (1773). Personaggi: Sapiro Rè di Persia Amante di Berenice Regina dei Palmireni Vedova di Sigeste e madre d’Olinto d’anni sette, Rosimene Figlia di Seleuco Rè della Siria promessa Sposa di Sapiro, Tigraspe Principe Moro Ambasciatore di Seleuco, Arsace Principe Siriano ed Amante non corrisposto di Rosimene e Pulcinella Mercante destinato Sposo di Dorina Raganelli, e altri. (Atto II, sc. III) Sapiro era in ricerca d’identità: Ed io non son Sapiro? Io de Persiani il monarca? Io di Palmira; Io della Siria; io dell’Asia tutto il terrore! Ah nò, che più quello non sono; se son reso lo scopo de scherni femminili; de feminili furori: torna o Sapiro in te stesso: torna a stringere lo scetro.
(Atto III, scena ultima) Berenice si risolve: il Cielo «per bocca dell’estinto mio marito mi fece chiaramente capire, che dovessi correr veloce a sposare Sapiro, e a difendere il figlio»382. Alciade, e Telesia, dramma di Eustachio Manfredi bolognese, posto in musica da Giuseppe Giordani e rappresentato a Bologna (teatro Zagnoni, 1787), fu replicato nel teatro di Torre Agentina (1788). Attori: Alciade Re d’Armenia, Telesia sua Moglie, Farasmane padre di Alciade e di Laodicea, Nicomede Re de’ Parti, Laodicea Figlia di Farasmane, Arsace Principe tributario di Nicomede, amico di Alciade. Argomento: Alciade era erede di Tiridate re di Armenia, e la sorella Laodicea sposa di Nicomede, che s’invaghiva di Telesia, che lo respinse. Per vendicarsi Nicomede muove guerra, s’impadronisce dell’Armenia, mette in catene Alciade, che condanna a morte con il figlio. Arsace organizza la riscossa e libera Alciade, che uccide Nicomede e riconquista il trono. «La scena è dentro, e fuori di Artassata città dell’Armenia». (Atto II, sc. XX) Nicomede minaccia: «Parlan chiare le leggi: Vogliono esse / In un col traditor la Prole estinta. / Scordasi la pietà, l’ira s’accenda, / E rigor solo, dal rigor s’apprenda». (Atto III, sc. IV) Farasmane ammonisce: «I Numi, o figlia, / Stanchi di più soffrire un Mostro infame / Lo punirono alfin? / Ai lor decreti / Se saggia sei, china la fronte, e taci»383. Il Trionfo di Arsace, dramma di Francesco Ballani posto in musica da Gaetano Andreozzi e rappresentato nel teatro a Torre Argentina (1796). Attori: Emira Figlia di Fradate ed erede del Regno, Arsace supremo condot381 Angelelli
1768: 159-296; 173-176, 180, 208, 209, 223. 1773: 31, 70. 383 Manfredi 1788. 382 Mancinelli
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tiero dell’armi, Ircano Primate del Regno e Vedovo di Palmira Principessa della stirpe Reale, Ismeno Principe del sangue, Fatima Figlia d’Ircano, Feraspe Ministro Regio ed amico d’Ismeno, Arbante alleato d’Ircano ed uccisore di Fradate, Gran Sacerdote della Vendetta, Soldati Parti e Schiavi Medj. Atto I, sc. I: «Luogo destinato alle Tombe maestose de’ Re’ de’ Parti». Vi era il sontuoso mausoleo di re Fradate, ucciso da Ircano. Emira era da Fradate promessa sposa ad Arsace. (Atto I, sc. IV) Ircano proclama: «Invitti Parti, a voi del nostro Impero / Fido sostegno, oggi presento Emira / Unico germe di Fradate estinto». Arsace, tornando vincitore dalla guerra con i Medj in catene, dice a Emira: «Nel dì, che a te sul crine / La prima volta il regio serto splende / Con felici vicende / I nuovi Regni aggiungi a’ Regni tuoi: / Son vinti i Medj, e puoi / Tranquilla riposar». Prigioniero in catene cade Arsace, accusato del delitto, ma Ismeno scopre il regicida traditore, «ripone in calma il Regno, e conduce insieme, fatto Sposo d’Emira l’innocente Arsace nel Soglio». (Atto II, scena ultima) Emira canta: «Popoli è questo / Il vostro Re; l’amaste / Condottier delle schiere, ora mio Sposo, / Chiede del vostro amor novella prova»384. Cosroe ossia L’Amor di figlio alla prova, tragedia di Troilo Malipiero (1803). Attori: Cosroe che poi si scopre Re di Persia, Rotaspe Grande del Regno, Farnace Comandante l’esercito, Argìa Madre di Cosroe, e moglie di Tigrane Tiranno della Persia, amante di Rossane Figlia di Rotaspe. «La Scena è in Ctesifonte capitale della della Persia». Quattro lustri dopo la morte di Orode re parthico, marito di Argìa e padre dell’erede legittimo Cosroe, «Argìa del rio Tigrane accesa / Orode trucidò» e impose la morte del figlio, ma Rotaspe lo salvò (Atto I, sc. I). Invece Tigrane uccise Orode. Rotaspe con Farnace trama la vendetta. Desideroso di Rossane, Tigrane ripudia Argìa, sospetta amante di Cosroe, che imprigiona. Farnace torna vittorioso da una spedizione bellica contro Ecbatana e i Medi. Rossane si ribella al Tiranno e ne denuncia le insidie. Pentita del misfatto, Argìa riconosce il figlio. (Atto II, sc. VIII) Tigrane furioso: Inutili terrori, imbelle pianto, / Io non rammento più, chi fui. Conosco / Chi son, né d’alcun temo. Il suo sovrano / In me adora la Persia, e se un tiranno / A lei tolsi in Orode, il dritto mio / Al soglio assicurai.
Tutti gli si rivoltano contro. (Atto III, scena ultima) vista la stilettata inferta da Rossane, Farnace applaude: «Oh colpo! Vendetta della Persia, onor del mondo!». Argìa: «Oh ferro punitor de’ torti miei!». Rossane: «Tu mel porgesti, e lo diresse il Cielo»385. 384 Ballani
1796: 14, 16, 45. 1803: 5, 30, 51.
385 Malipiero
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Elpinice e Vologeso, dramma serio di Domenico Piccinni posto in musica da Giacomo Tritto e rappresentato nel teatro Alibert (1806), dichiara in argomento: «Il Lucio Vero del Chiarissimo Apostolo Zeno è stato il modello del Dramma presente». Attori: Lucio Vero Imperatore, promesso Sposo a Lucilla e Amante di Elpinice Regina di Armenia, promessa Sposa a Vologeso Re de’ Parti, Lucilla figlia dell’Imperatore Marco Aurelio, Aquilio Legato Romano e Teramene confidente di Lucio e Amante di Lucilla. Incomincia il Coro: «Godi, o grande invitto Augusto, / Della Patria onore, e speme. / Al tuo piede avvinto freme / Debellato il Parto altier». Lucio Vero vagheggia Elpinice, prigioniera, però viene sopreso da Lucilla, cui aveva giurato fede. (Atto I, sc. XV) Vologeso, sconfitto e prigioniero, quindi costretto a fare il gladiatore, lamenta: «Io nell’arena, oh Numi! / E il Re de’ Parti or fia / Spettacolo alle genti?». (Atto II, sc. XI) Aquilio salva Elpinice e Vologeso, cui dice: «Insieme vivrete. / Quelle indegne catene / Sciolgansi al Re de’ Parti, / E di altre assai gradite / L’annodi al suo tesoro»386. Odonte, dramma serio di Michele Rispoli posto in musica da Vittorio Trento e rappresentato nel teatro Alibert (1806): «La Scena si finge in Artassata, Capitale della Scizia». Attori: Odonte erede del Regno de’ Parti, promesso a Laodice, occulto amante di Arsinoe Figlia di Surena Primo Ministro, Laodice, Figlia del Re di Armenia, Vonone Generale delle Armi Scite, amante non corrisposto di Arsinoe, Ubaldo Generale delle Armi del Re Tigrane, e altri. Argomento: Fraate Re de’ Parti in guerra contro Tigrane ne cattura la figlia Laodice e la vuole sposa di Odonte. Tigrane acconsente ma Fraate muore, mentre Odonte ama in segreto Arsinoe. «Il testamento di Fraate forma l’inviluppo del presente Dramma, tratto dalla Storia degli Sciti». La Protesta reca: «cambiamenti» di Michelangelo Prunetti. Infine il Coro canta: «Viva Arsinoe, Odonte viva, / E l’ardor d’alme sì belle / Scenda Imene dalle Stelle / Con suoi nodi a consolar»387. Demetrio e Polibio, dramma serio posto in musica da Gioacchino Rossini su libretto di Vincenzina Mombelli, coniugata Viganò, fu rappresentato la prima volta nel teatro Valle dei signori Capranica (18 maggio 1812). Attori: Demetrio Re di Siria sotto nome di Eumene, Polibio Re de’ Parti, Lisinga sua figlia, Demetrio figlio di Demetrio Re di Siria, sotto nome di Siveno, creduto figlio di Minteo Antico Ministro Regio, e altri. «La Scena si rappresenta nella Capitale De’ Parti». Detronizzato per congiura di Trifone ma recuperato il regno, Demetrio re per ritrovare Demetrio principe, figlio suo e di Cleopatra figlia di Tolomeo Re d’Egitto, si reca in veste di ambasciatore alla reggia dei Parti, dove Siveno cresceva come figlio adot386 Piccinni 387 Rispoli
1806: 7, 23, 36. 1806.
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tivo di Polibio. Minteo muore senza rivelarne l’identità. Polibio minaccia la guerra contro la Siria. Dopo ricatti e scambi, padri e figli rispettivi si riconoscono. (Atto I, sc. II) Polibio vanta: «Sia pur possente d’armi / Il re de Sirj; quel de Parti ha petto, / Che non trema a perigli / Quando il diritto il mova». (Atto I, sc. III) Siveno confida: «O di Polibio, sudditi fedeli, / Amati Parti, / La vostra vista oh quanto mi consola! / Voi dunque testimon sarete / Delle mie fauste nozze». Lisinga promette a Siveno: «Sempre teco ognor contento / T’amerò mia dolce speme. / Stringe amor le mie catene. / Non temer avrem vittoria / E la Persia esulterà»388. Questa era la prima opera musicata dal giovane Rossini (1806 / 1810). Si concludeva il repertorio teatrale e musicale romano riguardante materia parthica. Per la volta della Sala di Ricezione o delle Dame sita nel palazzo del Quirinale, che era riallestito come appartamento napoleonico, il pittore Paul Duqueylar dipinse (1813) il quadro Traiano distribuisce gli scettri dell’Asia. L’imperatore sta in trono, presso il quale un giovane che veste il mantello bianco esibisce il rotolo inscritto «REGNVM PARTHORVM | (RE)GNVM ARMENIAE | (REG)NVM ALBANORVM»389. Il dipinto commemorativo era un auspicio per gloria imperiale francese, ma Napoleone Bonaparte, declinante in Russia (1812) e vinto a Lipsia (1813), non giunse in Asia, né al Quirinale390. 8. La riconquista della croce e vicende sasanidi Il conflitto persistente tra l’impero romano di Costantinopoli e il regno sasanide di Persia evolse a una fase estrema di recrudescenza per la vasta offensiva e le conquiste persiane di Armenia, Mesopotamia e Siria (601-610), Giudea e Palestina (614), Egitto (618). Il re sasanide Xusraw II (Chosroes, Cosroe, 591-628) sfidava l’imperatore Eraclio (610-641). Farruxân detto Šahrwarâz (‘il cinghiale del regno’), generale dell’esercito sasanide, operò la conquista di Gerusalemme e il trafugamento della Croce di Cristo, reliquia che era custodita in una cassa. Maria, una figlia dell’imperatore Maurizio e sposa cristiana di Cosroe II, avrebbe serbato nel gineceo la reliquia, poi trasferita nel tesoro regio. Eraclio cominciava le campagne di controffessiva tese a recuperare le province perdute e il sacro trofeo (622). Era la primissima Crociata o l’unica vera, ante litteram, concernendo la battaglia campale per il recupero e la salvaguardia della reliquia sacer-
388 Viganò
Mombelli 1812: 7, 9, 11. – Scarpati 1989: 395, 399-400 e foto. 390 Vedi anche III.6. 389 Natoli
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rima, l’emblema cristiano irrinunciabile. Una vicenda bellica coinvolse la sorte di Anastasio monaco, il martire persiano poi venerato in Roma391. In esito la Persia, debililata da cruente congiure intestine, soccombe. La riconsegna della Croce avvenne in circostanze che le fonti storiche riferiscono in modo controverso. Šahrwarâz affronta Eraclio in battaglia sul ponte del fiume Sarus (Cilicia, 626) ma, sconfitto poi in Armenia, il generale è revocato e scampa alla condanna di Cosroe II grazie all’aiuto del controspionaggio romano. Il principe Šêrôy (Syrois, Siroe), deposto il padre Cosroe II, ucciso nel colpo di stato (23-28 febbraio 628), diventa re Qavâd II. Eraclio gli chiede la restituzione della Croce in seguito alla pace statuita (17 giugno). Qavâd II risponde che avrebbe restituita la sacra reliquia quando la ritrovasse, ma decede (ottobre). Šahrwarâz si allea con Eraclio in Arabissos (17 giugno 629), prende la capitale Ctesifonte e riconsegna la Croce al generale romano David in Seleucia. Šahrwarâz uccide Ardaxšir III, il figlio successore di Qavâd II, e usurpa il trono (27 aprile 630) ma viene ucciso (9 giugno). Forse la regina legittima Bôrân, detta Purândoxt, che succede e governa (fino al settembre 631), riconsegnava la Croce tramite il katholikos di Persia Išô‘yahb II, capo dell’ambasceria da lei inviata a Eraclio in Aleppo. Si tende a ritenere per certo che Eraclio riportò in marcia trionfale da Hierapolis a Gerusalemme (21 marzo 630) e vi depositò nella chiesa del S. Sepolcro la Croce, il palladio cristiano. Terminava l’ultima gruerra dell’impero romano con la Persia. L’irruente potenza araba sottrasse importanti province a Costantinopoli e tutte alla Persia, conquistata (651) dal califfato islamico392. Era la fine di un assetto imperiale antico, conteso tra Europa e Asia, turbato ma stabile sul limes geopolitico dove la Persia era coprotagonista sin dal VI secolo a.C. Hrabanus Maurus, abate di Fulda (822-842) e arcivescovo di Magonza (847), esperto di scrittura e pittura, autore di celebri carmi latini figurati, comincia la Reversio sanctae atque gloriosissimae Crucis Domini nostri Jesu Christi evocando la visione che ne ebbe Costantino durante la battaglia contro l’imperatore Massenzio presso ponte Milvio. Segue l’evento di Eraclio che assedia la torre di Cosroe e ne sconfigge il figlio principe sopra un ponte che attraversa il fiume Danubio (627). «Gracchus arcem tenebat imperii»: Pergens igitur filius Chosroe contra Gracchum, iuxta Danubium magnum fluvium consedit exercitus. Tandem inspirante clementia Salvatoris, utrisque principibus placuit ut ispsi singuli in medio ponte fluminis dimicaturi confli391 Vedi
anche II.3. 1953; Grumel 1966; Mango 1985; van Esbroeck 1996; Greatrex – Lieu 2002: 190-228; Poláçek 2008; Schilling 2008: 284-298; Stoyanov 2011. 392 Frolow
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gerent, et cui sors victoriam contulisset.
L’agiografo Iacopo da Varazze recepisce questo testo nella sua famosa Legenda Aurea (1261-1266), ricordando il nome del principe Syrois, primogenito di Chosroe393. Situare il Danubio in zona di Persia sembra un lapsus geografico o una svista storica. John Beleth, nel trattare la Inventio Crucis (1170), tentava di sistemare tale anomalia di corso fluviale: «Danubium illum, qui apud Persas est, hoc nunc qui in Suevia oritur», quel fiume Danubio che sta presso i Persiani, adesso scaturisce in Svevia. Si pone poi la domanda: «Is the Tigris the Persian’s Danube?»394. Invece dovrebbe trattarsi di una reminiscenza fraintesa. Tale nozione di Danubium può derivare da Dunbulâ, antico nome del castello regio di Bišâpur, la città nota come Šahristân una «capitale» sasanide, sita presso il grande Šahryâr rud «il fiume del Principe». Questo sito della Persia centrale, ricco di memorie storico-archeologiche, è vicino alla regione di Persepoli395. Rimane qualche traccia di un ciclo di affreschi che riguarda almeno la Inventio Crucis eleniana nell’antica chiesa di S. Eufemia, che però fu distrutta396. Elena madre di Costantino, compiuta in Gerusalemme la sua pia Inventio Crucis, aveva traslato e deposto il Titulus Crucis nella basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme (335). Il reliquiario vi fu ritrovato sopra l’arco del coro, che divide la navata centrale dal transetto, durante i lavori di restauro (1 febbraio 1492). Una capsula plumbea, risalente al tempo di papa Onorio II e sigillata (c. 1124) da Gerardus Cardinalis Sanctae Crucis, futuro papa Lucio II (1144-1145), custodiva il reliquiario. Il cardinale Pedro Gonzales de Mendoza, arcivescovo di Toledo, nominato da Sisto IV titolare della basilica (1478), era committente del restauro (1488), del celebrativo affresco absidale e della nuova custodia del Titulus Crucis, riposto nella Cappella delle Reliquie della Croce397. Gonzales de Mendoza era un «propulsor del renacimiento de las Letras y de las Artes», inoltre un patrono di «Cristóbal Colón y el Descubrimiento de America». Nel testamento (Guadalajara, 23 giugno 1494) Petrus Cardinalis Sanctae Crucis assegnava ancora «500 ducatos de oro para terminar
393 PL
110, 131-134; Iacopo da Varazze 1998: II, 931, 933 (CXXXI «De Exaltatione Sanctae Crucis»: 21, 49) 394 Baert 2004: 140-141. 395 Le Strange 1905: 262-264. 396 BAV, Ross. 1168, ff. 7-13; Huelsen 1927: 249-250; Baert 2004: 406, nota 127. 397 Bosio 1610: 61-62, 64; Salazar 1625: 256-258; Burchard 1883: I, 449-450; Infessura 1890: 268; Bedini 1956: 47-53; S. Episcopo, «Hierusalem, Basilica, Ecclesia»: LTUR 3, 27-28.
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el templo de Santa Cruz de Jerusalén, en Roma»398. L’anno delle grandi scoperte, e in cui i Mori erano espulsi dal regno di Granada (1492), si completava in Valladolid il Collegio Mayor de Santa Cruz, fondato da Gonzales de Mendoza, come anche l’Hospital de Santa Cruz in Toledo. Quando, una domenica, egli si spense (Guadalajara, 11 gennaio 1495), quasi «al amanecer, apareciò en el ayre, sobre el aposento donde estaua el Cardenal, vna Cruz muy blanca, y de extraordinaria grandeza»399. Bernardino López de Carvajal, protonotario dei Re Cattolici in Roma, come titolare successore della basilica romana staurologica per antonomasia ne curò il completamento del restauro. Papa Alessandro VI s’interessava di persona, sembra, anche riguardo al programma iconografico dell’affresco sulla conca absidale, dove la Croce rappresenta il segno cristiano vittorioso di fronte al paganesimo antico, l’eresia e l’islamismo coevo400. Una reliquia di Anastasio martire persiano è tra quelle riposte nell’urna di basalto nell’altare maggiore della basilica401. Antoniozzo Aquili Romano e aiuti vi affrescano (c. 1492-1496) la Leggenda della Vera Croce. La Tribuna con vaghissime pitture ornata, rappresenta due historie della S. Cro ce. Vna è quando, siccome di sopra rifer[i]to habbiamo, fu da santa Helena ritrouata. L’altra è quando Heraclio Imperatore, quella parte che di Gierusalem me huaueua rubbata Cosdroa Re di Persia ricuperò, & su le proprie spalle riportò su’l monte Calvario. Quiui di vede come Heraclio, venuto à singolar battaglia con il figliuolo di Cosdroa sopra il ponte l’vccide402.
Aquili correla la leggenda nella duplice sequenza simmetrica l’Invenzione e l’Esaltazione (tav. 35). Alti alberi svettanti a chiome verdi scandiscono le stazioni drammatiche di sette traslazioni della Croce nel paesaggio, che si diparte da Gerusalemme. Elena ricerca, ritrova, identifica in un miracolo e quindi sostiene al centro la Croce, che Gonzales de Mendoza adora e il giovane lanciere difende. Egli, vigile al fianco di Elena, osserva ciò che avviene presso lo spartiacque: La Battaglia del Ponte sul fiume Danubio tra Eraclio e Cosroe, ossia il duello di Gracco e Siroe che, persa la spada, è colpito sul collo. Si fronteggiano la schiera cristiana sulla prima sponda e su quella opposta la schiera persiana. Alle sue spalle sosta Cosroe, che indossa la tiara rossa 398 Merino
1942: 124-136, 185-186, 198-225. 1625: 261-287, 363, 381-401. 400 CBCR 1, 165-169; Bouyé 2004; Pereda 2009. 401 Sicari 1998: 14-15. 402 Ugonio 1588: f. 205v. 399 Salazar
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e il manto azzurro, e legge il foglio del trattato di pace, senza guardare nemmeno l’evento successivo. Oltre l’albero, Eraclio trasporta sulla spalla la Croce, prima re in sella al cavallo bianco, dopo viandante pellegrino, verso le mura di Gerusalemme. Nel contempo la sequenza del conflitto sul fiume richiama la battaglia di ponte Milvio tra Costantino e Massenzio a Saxa Rubra. Un antico mosaico, rifatto in un restauro (1593), decora la volta della semipogea cappella di S. Elena: entro un piccolo fregio trapezoidale Eraclio che va in sella al cavallo bianco trasporta la Croce verso Gerusalemme403. Siccome Giovanni de’ Medici era eletto papa Leone X (11 marzo 1513), un semestre dopo, per congratulare il conferimento della cittadinanza romana a Giuliano e Lorenzo de’ Medici, la vigilia e il giorno festivo dell’Esaltazione della Croce (13-14 settembre) furono allestiti spettacoli teatrali sul Colle Capitolino. Paolo Palliolo di Fano, giudice del Campidoglio e relatore dei festeggiamenti, scrisse la Omnium actorum recitatorumque in Capitolio quum Magnificus Iulianus Medices Romana civitate donatus fuit descriptio. Un passo ricorda l’antica inimicizia dei Parthi guerrieri implacabili. Mons Tarpeius recitava: Ille ego Tarpeius, qui praeside Consule fasces, / qui trabeas Patrum fovi, regesque potentes, / Caesarosque duces, quorum sub pondere mundus / cessit et intrepidos vultus videre Sicambri / Armeniique viri, quos Parthi et semper in armis / horribiles gentes placidos sensere subactae404.
I Cesari duci erano conquistatori ma più terribili i Parthi bellicosi. Lo spettacolo capitolino suggeriva altri elementi persici. Aurelio Sereno di Monopoli dedica a Leone X (aprile 1514) il Teatrum Capitolium Magnifico Iuliano institutum, poemetto che reca poco oltre l’incipit: Septembri celebris crucis exaltatio mense / cum fulget, cum Libra dies iam noctibus aequat, / Autumni et tempus pars est perfectior anni […] tunc superat, Cosran Heraclius induperator, / Persarum regem, qui tot vastaverat urbes / Romani imperii: victor tunc maximus ille / Bizantum ingreditur summo comitatus honore / purpureus curru Princeps invectus et aureo, / cui solum in manibus cricis est venerabile lignum / quod sanctum abstulerat devicto ex hoste tropheum; / Magnificus Medices tunc exaltatur in urbe.
Ovvero: Quando l’esaltazione della croce rifulge nel mese di settembre, quando la Bilancia eguaglia ormai i giorni alle notti, e giunge il tempo 403 Mazzoni 1913: 134-138 e tav. f. t.; Ortolani 1924: 41-42, 58; Cappelletti 1989; Cavallaro 1992: 263-264, 469-471, fig. 239-241; Gill 1995; Tiberia 2001. 404 Cruciani 1968: XIII, XXXVIII, 85.
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d’autunno che è la parte più perfetta dell’anno […] è allora che l’imperatore Eraclio vince Cosroe re dei Persiani, che aveva devastato tutte le città dell’impero romano (il grande eroe vittorioso entra in Bisanzio accompagnato con molto onore e portato, Principe vestito di porpora, su un carro d’oro, con in mano soltanto il venerabile legno della croce che, sacro trofeo, aveva tolto al vinto nemico); è allora che il Magnifico Medici è esaltato nell’Urbe405. In una grande festa carnevalesca, giovedì grasso (12 febbraio 1545), i carri trionfali dei 13 rioni romani, più uno intitolato a papa Paolo III Farnese, sfilavano in Agone per allegoria di un auspicio: la pace tra i principi dell’Europa cristiana, condizione strategica di una vittoria liberatrice nelle guerre contro l’impero espansivo del Turco «infedele». Carro festivo IX, «il Carro del Rione Ponte» portava dui cavalieri affrontati insieme sopra vn ponte, vestiti vno alla Romana, & l’altro alla Barbarescha, e si mostraua il Romano hauer abbattuto il Barbaro, & vi era nel frontespizio queste parole: NON TIMEO QVID FACIAT MIHI HOMO questo e tolto dalle Historie di Heraclio Imperatore. il quale nella guerra contra Persi terminò le differentie à battaglia singulare col capitano de nimici sul ponte del Danubio, & vinse. Il resto della historia era dipinto intorno al carro, cioè l’uno & l’altro essercito in ordinanza di qua e di la dal fiume.
In storia leggendaria «si affrontarono a cavallo Sirocle figlio di Chosroe, et Heraclio imperatore sopra il ponte del Danubio», per cui vinse «in questa monomachia Heraclio, cioè li christiani contro l’infedeli e così pigliò la Persia, e ricuperò la Croce di Christo, quale Chosroe havea levata da Gerusalemme, e portata via con l’altri tesori»406. In seguito il pittore Pomarancio dovrebbe aver letto o ascoltato tale descrizione festiva. Durante il pontificato di Gregorio XIII, Giovanni De’ Vecchi, autore del progetto iconografico, Cesare Nebbia e Niccolò Circignani detto il Pomarancio affrescano tra il 1578 e il 1583 un ciclo che abbina in modo diverso le vicende pacifica e conflittuale della Croce nell’Oratorio dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso di S. Marcello, che prospetta la piazza dell’Oratorio. Tre grandi riquadri di episodi su ciascuna parete lunga della sala rettangolare raffrontano l’Invenzione eleniana della Croce e l’Esaltazione per impresa di Eraclio. Di fronte all’episodio «Il Miracolo della Croce» risalta La Battaglia del Ponte: primo riquadro sulla parete a sinistra dell’entrata, che Circignani dipinge (1582) per committenza del
405 Cruciani 406 Agone
1968: XL, 97-98, 114. 1545; Cruciani 1983: 541-544, 551-559, 561-567 tav., 640.
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cardinale Michele Bonelli O.P., nunzio pontificio e protettore dell’Ordine Domenicano407. La milizia cristiana occupa la sponda sinistra del fiume Danubio, cosiddetto, e lungo quella opposta si distende la parata persiana, mentre il leggendario, simbolico Duello di Eraclio e Cosroe sul ponte è al culmine (tav. 36). Su ciascun lato il giudice rispettivo espone la corona in palio dei re duellanti, che indossano entrambi l’elmo piumato e la clamide gialla. L’attendente romano regge la tiara e la lancia. Il giovane persiano regge la corona aurea con entrambe le mani e, dietro, il generale Šahrwarâz tiene la lancia. Eraclio avanza e prevale. Lo stocco nella mano sinistra, con la destra spinge la lunga spada e colpisce alla gola Cosroe, che si torce e stende le braccia come crocifisso, lo stocco al vento e la spada nella mano destra cadente. L’elsa dorata spicca come una piccola croce sul parapetto del ponte di tipo romano. Ne ornano la fiancata la lapide celebrativa HERACLIVS | IMP. e il tondo di un bassorilievo dipinti. In ampio primo piano, due contrastanti gruppi di quattro osservatori, appostati su un’altura montana, commentano l’esito del duello quali giudici. Un nobile guerriero si agita sopra il masso roccioso, sbalordito per il colpo ferale, mentre la vedetta possente, cinta dell’elmo piumato bianco, tocca l’elsa aurea cruciforme del gladio imperiale azzurro e leva il braccio destro in segno di vittoria. In prospettiva, l’avanguardia dei cavalieri sventolante bandiere crociate varca l’altro ponte sul fiume per assalire il castello regio della città nemica sguarnita e riconquistare così la Croce. Circignani dipinge nel riquadro successivo la visione dell’angelo che Eraclio cavaliere ha mentre trasporta sulla spalla la Croce. Penitente scalzo, egli la riporta a Gerusalemme nel riquadro finale, affresco di C. Nebbia. La «Sala degli Imperatori» affrescata da Giovanni Guerra e Cesare Nebbia nel palazzo Laterano su committenza di Sisto V (1588-1589) presenta in rassegna sulle pareti i ritratti di 14 imperatori cristiani, tra cui primo Costantino, terzo Arcadio e ultimo Eraclio. Ciascuno è enunciato con il cartiglio del nome e l’iscrizione delle maggiori imprese relative. HERACLIVS si distinse anche perché egli CRVCEM A PERSIS | REPORTAVIT. Poi ARCADIVS, siccome PERSIS PER CRVCEM SVPERATIS | AVREAM MONETAM | CVM SIGNO CRVCI S | EXCVDI IVSSIT: superati i Persiani con la Croce, egli dispose di foggiare la moneta aurea con il segno della Croce408. Arcadio fece coniare la moneta aurea per commemorare la vittoria 407 Maroni Lombroso – Martini 1963: 106-109; Henneberg 1974: 73, ill. 18; Monssen 1989: 307, 310 fig. 81; Negro 2001: 57. 408 Fontana 1590: f. 62r-v; Madonna 1993: 113; Mandel 1994: 218, 220.
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sull’esercito del re sasanide Yazdegard I (395), secondo gli Annali ecclesiatici di Cesare Baronio, che si basava su un riferimento testuale di s. Prospero di Aquitania (c. 390-460). Ma il testo pare opera d’incerto autore, uno pseudo-Prospero (post 434), e la detta vittoria forse si conseguiva mentre imperatore era Teodosio (420). Riferimento: Sane nostris temporibus apud Persas persecutionem factam novimus, imperante Arcadio religioso et Christiano principe; qui ne traderet ad se confugientes Armennios, bellum cum Persis confecit. Eo signo, antequam potitus victoria, jam coentibus in proelium militibus, aeriae cruces in vestibus paruere. Unde etiam victor auream monetam eodem cum signo crucis fieri praecepit, quae in usu totius orbis et maxime Asiae hodieque persistit409.
I fratelli Tommaso e Francesco Bozio, soci della Congregazione dell’Oratorio, programmavano il ciclo di affreschi e iscrizioni che decorano la cappella Paolina Borghesiana nella basilica di S. Maria Maggiore. Sulla lunetta del sottarco che sovrasta il mausoleo di papa Paolo V, angolo destro, Guido Reni affresca (1613) La Vittoria di Eraclio sopra Cosroe. Iscrizione dipinta sul cartiglio: HERACLIVS AVGVSTVS | COSRHOE PROFLIGATO | PERSIS DEVICTIS OPE VIRGINIS | REGEM DEDIT. Eraclio mostra il nemico caduto e rivolge grato lo sguardo alla Madonna Assunta, emblema del labaro che innalza il suo alfiere retrostante. Il vessillo è esposto verso il fulcro della cappella: l’icona della Madonna Salus Populi Romani sopra l’altare, cui è rivolta la statua di Paolo V orante, centro del suo mausoleo. Reni affresca sulla lunetta accanto alla prima la Vittoria di Narsete su Totila per cui libera l’Italia dai Goti. Narses era il generale persiano al servizio dell’imperatore Giustiniano410. L’angolo destro superiore del mausoleo forma un cantuccio di memoria storica persiana nella cappella: sotto il primo dipinto di Reni, nel contempo lo scultore Cristoforo Stati effigiava Paolo V che riceve due ambasciatori di Persia (tav. 37)411. La chiesa di S. Croce alla Scaletta, edificata in via della Lungara (1619), rimane chiusa da tempo. Nella chiesa di S. Maria del Popolo Peter van Lint, pittore di Anversa, decora la Cappella Cybo-Soderini detta del Crocifisso, dove affresca (1637) le due principali Storie della Vera Croce, che si rispecchiano come dittico: l’Invenzione e l’Esaltazione. La prima impresa, che concerne Elena, figura sulla parete laterale sinistra. La seconda impresa sta sulla parete destra a fronte. Eraclio, pellegrino scalzo, trasporta 409 PL
51, 832: De provisionibus et praedictionibus Dei (3, 34, 36); AE 6, 206-207, § XXV, in anno 395. 410 Lauri 1623: 46; Felli 1893: 65-66; Ostrow 1996: 195, 213-214, 228, fig. 146. 411 Vedi anche III.9.
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la Croce riconquistata mentre entra nella Città del Tempio e un cavaliere romano reca il labaro inscritto SPQR. «La porta di Gerusalemme richiama nelle sue fattezze il lato verso via Flaminia dell’adiacente Porta del Popolo»412. Quindi l’imperatore reca a Gerusalemme la reliquia cristiana sacerrima, che nello stesso tempo è traslata a Roma per continuità ideale del culto. La chiesa di Santa Croce de’ Lucchesi, dedicata anche a S. Bonaventura Lucense, che prospetta via de’ Lucchesi, presenta l’episodio che figura l’apoteosi, una Esaltazione templare. Per decoro del soffitto a cassettoni della navata unica, i pittori lucchesi Giovanni Coli e Filippo Gherardi dipingono (1673-1677) un trittico incorniciato413. In due ovali gli angeli recano la Veronica e la Croce di Lucca. Al centro una vasta tela rettangolare mostra il trionfo di Eraclio che, vinti i Persiani, riporta la Croce a Gerusalemme. Egli la espone all’aria aperta, tra colonne del tempio, il concorso di fedeli adoranti e il tripudio di angeli in cielo. PER QVAM SALVATI | ET LIBERATI, motivo dichiarato dal paio di cartigli inscritti oro in campo azzurro sui lati lunghi della cornice. Cominciava la manifestazione teatrale romana che inscena il confronto dell’impero romano di Costantinopoli con re e principi sasanidi di Persia, e relativi intrecci politici. Un problema dinastico delicato era la successione per diritto della primogenitura sul trono. Il trapasso nel regno diventava sovente un sussulto per le mire del principe contendente o poteva innescare il tremito di un colpo di Stato. Peraltro nel repertorio teatrale la tematica della Persia antica rappresentava vicende regie esemplari che alludevano a fasti, crisi e contrasti ricorrenti nei sistemi monarchici d’Europa. La sonorità dei nomi persiani, cantabili nei drammi per musica, facilitava tale serie tematica. Sapore Emendato, tragedia recitata nel Seminario Romano (1661), derivava da Sapor Admonitus, tragedia di Louis Cellot, gesuita parigino, la quale era pubblicata (Anversa 1634) nella raccolta delle sue opere. Interlocutori: Artauasde generale e principe persiano, Megabizo cavaliere del regno, Ocho Secondogenito di Sapore, Surena Primo Ministro della Persia, Datide e Tritraustre Nobili giouani Persiani, Angelo Tutelare della Persia, Farnabazo Capitan della Guardia, Roxano ministro di Sapore, Astiage figlio di Sapore, Aminta Capitano Egittio, Mastio figliuolo del Rè Tolomeo, Psammetico suo ambasciatore, e Magi. Argomento istorico: la superbia di Sapore Rè della Persia è punita dal cielo. Di qui s’invia l’«Angelo Tutelare della Persia, che presa sembianza di Sapore, si fè tenere da quei Popoli per 412 Miarelli 413 Vichi
Mariani 2009: 117, 121-122 e fig. 89. 1964: 44-55; Maroni Lombroso – Martini 1963: 104-105.
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loro vero Rè, sin tanto che Sapore humiliasse il suo fasto, ed Emendato si riconoscesse soggetto à Dio». Sapore, per la vittoria ottenuta su Tolomeo Rè d’Egitto, si apprestava a celebrare il trionfo in Persepoli, ma mentre corre a caccia l’Angelo gli si sostituisce sul carro trionfale414. Cosroe, tragedia recitata nel Seminario Romano (1662). Interlocutori: S. Anastasio Martire, che «per comandamento di Cosroe era stato suenato», e Ombra d’Ormisda (in prologo); Cosroe Gran Rè della Persia, Syroe, Martesane e Vologese figli di Cosroe (e di Sira, sua sposa cristiana); Cardariga, Sarbara, Razete, Vasace e Pacoro Prencipi del Regno; Aramane, e Emilio Generalissimo de’ Romani. Argomento: «Cosroe Tiranno della Persia», designando erede al trono Martesane suo secondogenito, provocava la ribellione di Syroe, il principe primogenito. Egli fece saettare il padre, che a sua volta era «salito al soglio uccidendo il suo Genitore Ormisda». Problema drammatico: «Ius della Regia Primogenitura» versus il «Parricidio». Syroe fece decapitare Martesane e accecare Vologese, il principe terzogenito, eppure cercava l’alleanza con Eraclio, che era impegnato a recuperare la reliquia: «il sacro legno della nostra Redenzione». In un intermezzo si danzava la «Moresca de’ Soldati Persiani»415. La Caduta del Gran Capitan Belissario sotto la condanna di Giustiniano Imperatore, tragedia di Giacinto Andrea Cicognini, edita con la dedica di Bartolomeo Lupardi (20 ottobre 1663), libraio in Piazza Navona all’Insegna della Pace: Ed’ ecco di nuouo esposto al pubblico cospetto del Mondo quel gran Belissario; quale altre volte bramaua mendico vn solo quattrino, hora vagabondo ricerca chi lo protegge, e lo rassicuri delle maldicenze delle lingue più mordaci; Capitatomi alle mani; mentre bramo pubblicarlo con le mie stampe alla luce; come opera del sourano ingegno del Sig. Cicognini.
Personaggi: Giustiniano Imperadore, Teodora sua Moglie, Belissario Generalissimo dell’Imperadore, Duca Narsete Maggiordomo dell’Imperadore, e altri. (Atto I, sc. IV) Belissario, mentre espone all’Imperadore un lungo rapporto circa la sua spedizione vittoriosa in Persia, dice: Sappiate, che quando il Rè di Persia prese l’Armi contro l’Imperial forza, e suo valore, non con timore, mà con vna violenza tale, à guisa del Tigri nell’Asia forti d’aspetto, e crudo vigore.
(Atto III, sc. IX) autodifesa di Belissario: 414 Seminario 415 Seminario
Romano 1661; Franchi 1988: 344; Filippi 2001: 464-466. Romano 1662; Filippi 2001: 274-277.
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Raccordateui quando i Persi ruppero l’essercito del vostro Imperio, e che i vostri soldati atterriti, e persi non sapeano che farsi […]. E poi quanti Regni vi hò dato io mercè il mio braccio, voi pur sapete, che gli Ethiopi, i Medi, i Persi, i Vandali, e gl Indiani baciono tutti, per mia cagione, i vostri piedi?
Quali mani avessero composta l’opera, rivendicata da Francesco Stramboli con un titolo identico (edizione da me vista Bologna 1666, Antonio Pisarri), poneva una polemica questione d’autore416. Precedeva entrambi, Cicognini e Stramboli, Il Bilissario, tragedia di Honofrio Honofri (1645), il quale reca (Atto I, sc. IV) Bilissario all’Imperadore: «Sappiate / Che quando il Rè di Persia prese l’armi / Contro l’Imperial forz’, e valore, / Non con timor, mà con violenza tale, / Qual son nell’Asia i tigri, & i leoni / Nell’Africa domar rigid’ e fiero». (Atto V, sc. IX) autodifesa di Bilissario: Rammentateui prima quando i Persi, / Che figli son legitimi di Marte, / Che pugnan’ sempre vincitori e vinti, / Con tal velocità rupper l’essercito / Del vostr’Imperio allhor […]. Più Regni v’hò dat’io, che non haueste / Per vostr’heredità, voi lo sapete / Gli Ethiopi i medi, i Persi, e seco ancora / I Vandali, i lombardi, e gl’Indiani / Baccian per mia cagion li vostri piedi417.
Il Maurizio Imperadore, tragedia di Giovanni Lorenzo Lucchesini gesuita lucchese, rappresentata nel Seminario Romano e replicata più volte (c. 1665-1675), recitata anche «ne’ Collegii de’ Nobili di Parma, Siena, e Bologna», fu molti anni dopo pubblicata a cura di Teodoro Pangalo. Personaggi: Ircano Principe dell’Imperio aderente a Foca, Nicandro Principe dell’Imperio Amico d’Ircano, Maurizio Imperadore, Tiberio figliuol di Maurizio, Costantino fratel di Tiberio, Zoroastro Mago, Foca Imperadore, e altri. «La Scena rappresenta Costantinopoli». Argomento istorico: la congiura mortale di Foca contro Maurizio, «Baronio Tom. 8 nell’Anno di Cristo 602. Niceforo lib. 18. Cap. 38». Decisivo per l’intrigo era l’intervento del Mago. (Atto I, sc. V) didascalia «Ircano prega Zoroastro ad assistergli nella congiura contro a Maurizio». Ircano: «Zoroastro, o tu, che col temuto nome / Hai la potenza invitta / Di quel gran Rè de’ Battriani audaci, / Che primo seppe incatenar gl’Abissi, / A grande impresa il tuo valor’ appresta». Zoroastro: Qual nobile cagion’ a me ti spinge? / Devo forse cambiare / Lo stil della Natura / Meglio che Serse il folle? / Delle arti ignote, il mar, che riverente / Mostra 416 Cicognini 417 Honofri
1663: 17-20, 96-99; Franchi 1988: 363-364. 1645: 18-22, 137-142.
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adorar Bisanto, / Senza vento, che ’l gonfi, / Sù le nuvole innalzo? O chiamo il Cielo / Tempestoso nell’onde?
Ircano: Mi son noti i tuoi pregi: / E sò, che l’ampia terra / Non solo imbrigli, e ’l Regno della Morte; / Ma la tua nobil destra / Sovente s’arma contr’ al Cielo, e vince. / Or de’ Tartarei numi / Impiegar si convien la forza, e l’arti / Per dar lo scettro a Foca.
Zoroastro: Ad inchiesta gradita / M’inviti, o saggio Ircano: / Alma più grata a Pluto oggi non vive. / Ei regnerà. Dalla Città del pianto / I più potenti spirti / Verranno pronti all’opra: / Essi saran ministri / De’ congiurati Eroi.
(Atto IV, sc. IV) didascalia «Costantino dà nuova a Maurizio della morte di Teodosio suo Primogenito ucciso in una selva, mentre andava in Persia»418. Mauritius Imperator, successiva versione latina autorale della stessa tragedia, reca (a. I, sc. V) la didascalia: Ut sibi præsidio Tartari adsit in iis, quae contra Mauritium machinatur, Zoroastrem exorat Hyrcanus. Magicis artibus a se retorquendam in Philippum omnem doli suspicionem spondet Zoroastres.
Hyrcanus: «Erebi domitor invicte Zoroastres, geris / Qui Bactriani regis horrendum Stygi / Nomen, sacrisque viribus vincìs ducem, / Ad magnam dextram præpara, & sceptrum expedi». Zoroastres: De me quid ambis? Jura naturae juvat / Rescindere? Illa melius insano licet / Mutabo Xerse. Pelagus ad Cœlum evenam / Turbinibus actum, blanda Bizantij licet / Nunc libet oscula mœnibus. Cœlum aut traham / Furens in undas, artis arcanae notis.
Hyrcanus: Haud nos tua latent decora. Non tantùm solum, / Mortisque regnum flectis, at in axem quoque / Tua sæpe pugnat dextera, & palmas refert. / Nunc Tartari vim, nunc doles omnes deset / Exerere, Mundi ut sceptra Phoca occupet.
418 Lucchesini
1711a: 13-85; 5-6, 8, 10, 13-14, 24-25, 61-63.
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Zoroastres: «Ad grata, sapiens, munia, Hyrcane, allicis. / Haud: ullus auras carpit Umbramrum Duci / Gratior: in hujus dexteram sceptrum volat. / Acheron ministros operis excelsi dabit». (Act. IV, sc. IV) didascalia «Extintum dum in Persiam proficisceretur, Theodosium natum maximum Mauritii filium Constantinus nunciat Patri»419. Ardabasdus Imperii Princeps, tragedia composta dal medesimo autore ventenne e rappresentata nel Seminario Romano (1661), concerne il protagonista Ardabasdus Nobilissimus Princeps, & Excertitus Imperator, che porta un nome persiano (Artavasdes), come anche tra i personaggi Arsaces magnate e peraltro il su visto Hyrcanus / Ircano. Un cenno riguarda re Xerxes «qui decem calaphos mari / Impegit audax»420. Mauritio, tragedia recitata nel Seminario Romano (1669). Interlocutori: Mauritio Imperator di Costantinopoli, Pirro suo fratello, Theodosio figlio di Mauritio, Foca, Adrasto Ambasciator di Cosdroa Rè di Persia, e altri. Argomento: la congiura di Foca contro Mauritio. «L’historia si legge presso il Baronio» [Annali Ecclesiastici]. (Atto I, sc. II) Adrasto ringrazia Mauritio per le vittoria delle armi cesaree e l’invio di Theodosio in Persia. (Atto IV, sc. IV) Adrasto e Pirro «auuisato Mauritio della Congiura lo persuadono a fuggire sotto habito Persiano»; (sc. VII) Mauritio s’imbarca per fuggire in Persia421. Il Mauritio, dramma di Adriano Morselli posto in musica da Domenico Gabrieli e rappresentato a Venezia (teatro Vendramino di S. Salvatore, 1687), fu recitato nel teatro di Tor di Nona con le modifiche di Silvio Stampiglia al libretto, attribuito per errore a Nicolò Minati (1692). Istoria: Tiberio II concesse una figlia in sposa e l’impero a Mauritio, vincitore di Ormisda Rè dei Persiani. Per un anacronismo concesso ai poeti, Cosdroe, ucciso il padre re Ormisda, per la rivolta dei suoi vassalli riparò con la sposa Ergilda e Leno servo faceto in Bisantio, dove la scena si finge. (Atto I, sc. II) entra un numeroso corteggio di Persiani e Cosdroe Rè di Persia getta ai piedi di Tiberio il capo di Ormisda, cantando: Del Persian Monarca il teschio esangue / Al nume de le genti in voto io porto […] / Hò il tuo nemico ucciso in guiderdone / De Ribellati Persi / Prieglio [: Priego], che domi il rinascente orgoglio, / E doni à me con la Vittoria il soglio422.
Il Maurizio, opera recitata nel Seminario Romano (1698), ha tra gli in419 Lucchesini
1711b: 1-61; 11-12, 40-41. 1711b: 63-116; 97; 1711a: 8. 421 Seminario Romano 1669. 422 Morselli 1692: 10; Cametti 1938: II, 351-353; Franchi 1988: 643-644. 420 Lucchesini
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terlocutori Maurizio Imperatore, Ircano Primogenito di Ormisda Rè della Persia, Philippico Cognato di Maurizio, Teodolinda Figlia di Philippico, Phoca capitano di Maurizio, la cui congiura pone l’argomento, tratto da diverse fonti (Gregorio Magno, Paolo Diacono, Zonara, Flavio Biondo), per la «Commedia, che si rappresenta in Costantinopoli». (Atto I, sc. I) Maurizio congratula Philippico per le vittorie ottenute contro la Persia e la pace statuita. (Atto I, sc. II) Ircano confida a Phoca il proprio problema: egli dispera «di ricuperare il perduto Regno, secondo le promesse di Maurizio, stante la pace conclusa co’ Persiani; come altresì di sposare Theodolinda figliuola di Philippico, per esser promessa al Rè de Longobardi». (Atto I, sc. IV) Teodolinda ricerca in vn Mappamondo i paesi della Persia soggiogati da Philippico, si ferma a contemplare Persepoli patria d’ Ircano, suo ambito sposo: ma girando senza auuedersene il Mappamondo, si vede auanti l’Italia, e il regno de Longobardi: discorre sopra un tale accidente.
(Atto I, sc. VII) Phoca e Ircano stringono il patto contro Maurizio. (Atto III, sc. VI) ma Phoca «gli dà Teodolinda per Isposa, e Philippico per Generale dell’Esercito, acciò lo riponga nel Regno, ingiustamente vsurpatogli, che però corona Ircano Rè della Persia»423. Teodosio il Giovane, dramma attribuito al cardinale Pietro Ottoboni e posto in musica da Filippo Amadei, fu rappresentato con la magnifica scenografia di Filippo Juvarra architetto teatrale nel Palazzo della Cancelleria (9 gennaio 1711). Interlocutori: Teodosio Imperador di Costantinopoli, Amante d’Atenaide; Pulcheria Sorella di Teodosio, Marciano Generale dell’Armi, Amante di Pulcheria; Atenaide Vergine Ateniese, Amante di Teodosio; Acrisia Aia di Atenaide, Varane Re di Persia, Amante d’Ariene destinata sua Sposa, Eridione Servo d’Ariene. [Aggiungasi per chiarimento storico una breve cronotassi. Arcadio imperatore dei Romani (395-408), successore Teodosio II (408-450), promulgatore del Codex Theodosianus (438). Isdegarde: Yazdegard I re sasanide di Persia (399-420). Successore Varane, gr. Varanes: Wahrâm V (420-438), detto Bahrâm Gur]. Argomento: Teodosio fu lasciato dal padre Arcadio sotto la tutela d’Isdegarde Re de’ Persiani «con un patto di conservare una reciproca pace». Morto Isdegarde, suo figlio Vararane «cercò pretesti di rompere l’antica pace», ma «violatore della promessa fede, e crudelissimo persecutore de i Christiani», fu attaccato dai legionari in spedizione punitiva e sconfitto. «La Scena si finge in Costantinopoli». Si finge anche «Ariene prigioniera, 423 Seminario
Romano 1698; Filippi 2001: 443-447.
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già destinata Sposa di Varanane, il quale sottrattosi con la fuga ad una schiavitù vergognosa, la segua poi disperato Amante nella stessa Reggia di Teodosio», cui Ariene offre «quel Pomo, tanto celebre nelle Istorie». L’atterramento della Statua Equestre di Teodosio, fregiata di trofei per la soggiogata Persia, a Vararane s’attribuisce, ad oggetto d’esaltar maggiormente la moderazione, e la magnanimità di questo virtuosissimo Imperadore, che anche dopo il supposto attentato, restituisce al vinto Re con nuove condizioni di pace, e la Corona, e la Sposa.
Marciano storicamente era Ardaburio. E «Atenaide, o vogliamo dire Eudosia (così ella chiamossi quando fu convertita alla vera Fede)». «Non tralasciandosi d’avvertire, che per miglior suono del verso, Varane e non Vararane […] fu detto». (Atto I, sc. II) Marciano annuncia a Teodosio: «Signor, Varane è vinto; e queste sono, / Che tributo al tuo piede, / Le conquistate spoglie. Il Regno, il Trono / Del Monarca di Persia a te si cede». (Atto I, sc. III) Ariene si mostra dignitosa: «Spinga pure / Il vincitor le trionfali ruote / Sovra il Perso infelice. Io le aventure / Del mio Re, del mio Trono, e di me stessa / Saprò mirar con animoso ciglio». (Atto I, sc. V) Acrisia racconta un sogno ad Atenaide: «Ah, che de’ Numi offesi son queste le vendette! A terra giace / Di Persia il Sacro Tempio; / Onde con fiero scempio / Punir voleano il Distruttore audace». (Atto I, sc. XV) controfferta, il «pomo amato» di Venere che Ariene espone a Teodosio: «Questo ch’a te presento / Raro Pomo gentile in Persia nato, / Segno è d’un cuor, che grato / Vorria mostrarsi». (Atto III, sc. IV) si demolisce la Statua Equestre, Ariene e Varane insieme istigano: «Atterrate, / Struggete, / Cancellate, / Abbattete, / E bronzi, e marmi, / E statue e carmi, / Generosi Persiani, e che s’aspetta?». Malgrado ciò, la pace s’impone e la festa. (Atto III, sc. XVIII e ultima) Atenaide canta: «Per sentier di luce adorno / Più bel giorno / Forse non giunse a sera». E Teodosio: «Si cangiar di queste rive / I Cipressi in Lauri, e Ulive»424. L’Atenaide, tragedia (Athénaïs) di François-Joseph La Grange de Chancel recitata nel Collegio Clementino (1717). Personaggi: Teodosio Imperadore d’Oriente, Pulcheria Sorella di Teodosio, Atenaide chiamata Eudossa, Varane Principe della Persia, Leonzio Padre d’Atenaide, Rodope Governatrice d’Atenaide, Mitrane confidente di Varane. Argomento: «Era Imperadore d’Oriente il Giovane Teodosio sotto la tutela di sua Sorella Pulcheria, e d’Isdegarde, re di Persia, Padre di Varane», il Principe Ereditario della Persia. Egli s’invaghiva di Atenaide, che però era chiesta in sposa da Teodosio: «se 424 Ottoboni 1711: 3-5, 7, 10, 12-13, 25, 62, 80; f. t. 8 tav. «Filip. Iuuara Arch. f.»; Viale Ferrero 1970: 28-38, tav. 16-43; Franchi 1994: 664; Franchi 1997: 82.
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ne chiede l’approvazione al Re di Persia; giunge a recarla in Bizzanzio un Ambasciadore di quel Re, e’l giorno medesimo, in cui celebrar si devono gli Sponsali», si presenta a Teodosio anche Varane. Qui comincia la tragedia. Intermedi: I il Genio dell’Imperio Orientale, in compagnia della Monarchia Persiana, vince le quattro nazioni d’Aggressori Goti, Unni, Vandali e Franchi; II «sinfonìa spiritosa» di Anfione, per Varane; III ballo di paggi di corte, IV i Soldati Persiani tentano di rapire Atenaide dal Palagio Imperiale, ma subiscono «totale disfaccimento». (Atto V, scena ultima) parendo cedere di buona grazia a Teodosio la sposa, Varane li trattiene: «Attendete l’esito per ringraziarmi; e quando io risolvomi a questo sforzo estremo, ecco come si dee cedere colei, che s’ama (s’uccide colla sua spada)»425. Isdegarde, opera adespota, rappresentata per l’inaugurazione del teatro d’Alibert (20 gennaio 1717), varia in commedia l’argomento: Arcadio affidò per testamento la tutela di Teodosio a Isdegarde. Fece questo Gran Monarca risplendere la Generosità del suo Animo con accettare sotto la sua Protezzione Teodosio, impiegando le sue Armi alla conservazione del Soglio del Giovane Augusto. Da questa Istoria viene tessuta la presente Opera Scenica intitolata l’Isdegarde, più breve però di quello altre volte ci è rappresentata all’Episodio Musicale di trè Atti, quanto anche alle Scene tepide poste per sollievo delli Spettatori.
Scena in Costantinopoli. Personaggi: Teodosio Figlio d’Arcadio Imperatore, Pulcheria Sorella di Teodosio, Valentiniano Prencipe di Costantinopoli, Segeste Governatore e Generale dell’Armi di Costantinopoli, Clarice Damigella di Pulcheria, Sparnacchia Servo di Segeste; Isdegarde Rè di Persia, Attenaide sua Figlia sotto nome di Zelindo, Arsace Capitano delle Guardie, Patacchino Schiavo di Zelindo. Egli e il servo, che è in veste di levantino, giocano anche su turchismi e qualche persianismo, es. pâdišâh «monarca», Sparnacchia: «Padisciah», Patacchino: «Parasach». Costantinopoli, ribellatasi a Teodosio, acclama Segeste, e Sparnacchia declama: «Chillo, che avimo da fa, faccimolo priesto de grazia pecche lo sio Teodosio, se ne vene co tutte le Persicane pe stronà lo Patrone mio, e così nce forriano dell’embruoglie a deluvio». (Atto III, sc. XV) Isdegarde proclama: Giunse pure alla fine o Teodosio quel felice momento, in cui devo con tutto il mio piacere veder coronata in voi la mia gloria. Prendete dunque il Sagro Alloro — l’incorona — ed assieme ancora lo Scettro, e sia gloria d’Isdegarde ricevere i primi commandi da un Cesare — li dà lo Scettro.
425 La
Grange-Chancel 1717.
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Teodosio risponde: «Quest’ ò Signore non mi esimerà già mai dall’obligo di ubbidirvi — miei fidi io sono il vostro Cesare, ma di Teodosio il Cesare è Isdegarde. Applaudisca pertanto alla sua generosa virtù la vostra». Quindi Isdegarde invita Attenaide: «Porgete à Teodosio la destra di Sposa»426. Cosroe, dramma posto in musica da Domenico Pollaroli, presentato a Giacomo III Re di Gran Bretagna e recitato nel teatro Alibert (28 dicembre 1723), modificava Ormisda, dramma di Apostolo Zeno posto in musica da Antonio Caldara e rappresentato nella Cesarea Corte di Carlo VI Imperatore de’ Romani (Vienna, 4 novembre 1721) per comando di Elisabetta Cristina Imperatrice. Attori: Ormisda Re di Persia, Palmira sua Seconda Moglie, Arsace loro Figliuolo, Amante di Artenice Reina di Armenia, Cosroe Figliuolo di Ormisda e d’altra sua prima moglie, Amante di Artenice; Mitrane Satrapo Persiano, Confidente di Cosroe; Erismeno altro Satrapo Persiano, Confidente di Palmira. Comparse: Sacerdoti di Mitra, Satrapi, Medi, Soldati Persiani. «L’Azione si rappresenta in Tauri, Città Capitale della Persia», Tauris, Tabriz. Argomento: istigato da Palmira, Ormisda decise di portare sul Trono il secondogenito Arsace, ma il primogenito Cosroe, predominati il Padre, la Matrigna e il Fratello, s’impossessò della Corona. (Atto I, sc. IV) Artenice obietta: «Ma Cosroe / Hà sul Trono de’ Persi / La ragion dell’età; tu che sei Padre, / Del tuo Scettro disponi; a me non lice». (Atto I, sc. V) Cosroe reclama: «Ma di Ormisda son Figlio: / Son del Regno l’Erede; e non degg’io / Soffrir ch’altri m’usurpi / Ciò che per legge, e per sangue è mio». (Atto II): Tempio maestoso sotto la Reggia di Ormisda consegrato a Mitra, cioè al Sole Deità de’ Persiani, illuminato dalle Faci, che sono sostenute dall’hore del Giorno, che circondano il Simulacro dello stesso Mitra.
(Atto II, sc. I) inno del Coro: «Dio del giorno, alma del Mondo, / Mitra invitto, Nostro Nume, e nostro Rè; / Qual da Selce il foco hà vita, / Vita un Sasso a te pur diè». (Atto III, scena ultima) Cosroe generoso canta ad Artenice: «Il tuo materno Amor volea sul crine / Al tuo Arsace un diadema; / Non ti spiaccia, o Reina, / Che da la Man di Cosroe egli il riceva / Col cedergli Artenice / A lui cedo l’Armenia»427. In storia reale, Ormisda era il re sasanide Ohrmazd IV (579-590), nato da madre turca. Continuò la guerra persiana contro l’impero romano e fu detronizzato dal generale rivoltoso Wahrâm Çôbên («Marte Ligneo», 590-591). L’esercito sasanide che combatteva i Romani in Mesopotamia appoggiò il principe Cosroe nel regno, Xusraw II (591), che si era rifugiato 426 Isdegarde 427 Zeno
1717: 37-38, 68-69. 1723 (scene di Michel’Angelo Mazza Parmegiano).
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a Costantinopoli presso l’imperatore Maurizio. Presa a pretesto l’uccisione di Maurizio operata da Foca (602), Xusraw II invase Mesopotamia e Armenia, estese la guerra in Siria e Palestina, e fu combattuto da Eraclio. Il principe Šêrôy (Siroe), deposto il padre Cosroe II, ucciso nel colpo di Stato, diventava re Qavâd II (628), cui Eraclio chiese in restituzione la reliquia della Croce (cfr. supra). Siroe Ré di Persia, dramma di Metastasio posto in musica da Leonardo Vinci e rappresentato a Venezia (teatro Grimani, 1726), era replicato nel teatro Alibert detto delle Dame (1727). Personaggi: Cosroe Rè di Persia amante di Laodice, Siroe Primogenito del medesimo e amante di Emira, Medarse Secondogenito di Cosroe, Emira Principessa di Cambaja in abito di Uomo sotto nome d’Idaspe amante di Siroe, Laodice amante di Siroe e sorella di Arasse, Generale dell’armi persiane ed amico di Siroe. «La scena è nella Città di Seleucia». Argomento: Cosroe II associa alla corona Medarse, defraudando Siroe, in cui favore però si solleva il popolo. Emira, figlia di Asbite Rè di Cambaja, ucciso da Cosroe, s’introduce presso di lui e ne diventa confidente per vendicare il proprio padre. Atto I: «Gran tempio dedicato al Sole con ara, e simulacro del medesimo». In principio Cosroe annuncia: «Figli, di voi non meno, / Che del regno io son padre […] Della real mia Sede / Riconosca la Persia un degno Erede. / Oggi un di voi sia scelto, e quello io voglio». Poi intima: «Ecco l’ara, ecco il Nume, / Giuri ciascun di tolerarla in pace, / E giuri al nuovo erede / Serbar senza lagnarsi ossequio, e fede». Medarse si consacra: «A te Nume fecondo, / Cui tutti deve i pregi suoi natura / S’offre Medarse e giura / Porgere al nuovo erede il primo omaggio». (Atto III, sc. II) Laodice resiste: «Se il Caro Figlio Vede in periglio / Diventa umana / La tigre ircana, / E lo difende dal cacciator». (Atto III, sc. III) Emira insorge: Ah Cosroe, e come / Così da te diverso! E dove or sono / Tante virtù già tue compagne al Trono? / Che mai dirà la Persia? / Ma Siroe è Figlio, / Figlio che di te degno / Dalle paterne imprese, / L’arte di trionfar sì bene apprese. / Che fù Bambino ancora la delizia di Cosroe, e la Speranza.
Emira libera Siroe dalla prigione, il popolo si rivolta. (Atto III, scena ultima) Vince Siroe, Cosroe abdica: «Ecco Persia, il tuo Rè. Passi dal mio / Su quel crin la Corona. / Io stanco al fine / Volentier la depongo»428. Questo dramma di Metastasio, posto in musica anche da numerosi altri compositori, con nuove prime rappresentazioni faceva il giro teatrale
428 Metastasio
1727 (scene di Marco Ricci e Romoaldo Mauri).
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d’Italia ed Europa, tra Lisbona, Londra, Monaco e S. Pietroburgo, fino al Teatro Regio di Torino, musica di Giuseppe Sarti (1780). Cosroe, tragedia di Nimeso Ergatico P.A. della Colonia Renia, Simone Maria Poggi (Castel Bolognese 1685- Faenza 1749), gesuita vissuto anche a Roma, reca come «Argomento Istorico»: Cosroe II, conquistata la Croce e sconfitto da Eraclio, era sollecitato dall’ambasciatore imperiale a restituire il sacro legno e accettare la pace. Siccome Cosroe aveva «voluto assumere per collega nel governo del Regno Medarse suo secondogenito, ed escludere dalla sua successione il Primogenito Siroe», ne provocò la sollevazione e «dovè cedere il Trono a Siroe, che tosto segnò con Eraclio stabile, e ferma Pace, di cui la prima, e principale condizione fu la restituzione della Santissima Croce. Si vedano Evagrio, Teofane, Paolo Diacono, Cedrone». Personaggi: Cosroe Re di Persia, Mitrane e Canopo Consiglieri del Re, Isabarre Cavaliere di Cosroe, Siroe Primogenito del Re, Medarse Secondogenito dello stesso, Leonzio Ambasciadore d’Eraclio, Nagorre Aio di Siroe, Coro di Soldati Persiani. «La Scena è in Seleucia di Mesopotamia nel Palagio reale». (Atto II, sc. VIII) Siroe fa il patto con Leonzio: «À me dunque le mani. Eterna pace / Oggi comincia il Perso al Greco Impero». (Atto III, sc. XI) Cosroe respinge Leonzio: In tutto il sì vantato immenso impero / Del tuo signore, ovunque ora la Croce / Si vole e adora, io vo’ che a’ Persi Dei / S’ergano Altari, e Eraclio stesso il primo / Ne la piazza maggior de suo Bisanto, / In faccia al Popol tutto, e a’ Nunzi miei, / Quel suo cotanto riverito Legno / Calpesti pria, poi di sua man dia al foco.
(Atto IV, sc. VI) Siroe insorge dicendo a Cosroe: Chiaro dirò co’ Greci io pur, che neri / Spirti d’Averno, e non del Ciel son Dei. / E in faccia a l’Are lor profane, in faccia / Al falso loro, e menzonier Profeta, / In faccia al Popol tutto, ad alta voce / Jo griderò, che son bugiardi, e vani; / E che il sol Dio de’ Greci è di onor degno.
Finita la tragedia, nel suo testo manoscritto seguono «Avvertimenti necessari per mettere in Teatro il Cosroe». I Dei Personaggi «Cosroe, e Siroe sono le due parti più importanti, e più lunghe». II Del Vestiario «Tutti i Personaggi, e tutte le comparse di quest’opera debbono vestire alla Persiana, a riserva del solo Ambasciadore e del seguito di lui, che debbono vestire all’eroica». In appendice al testo il Prologo scritto, con dedica al Duca An-
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tonio I Farnese, per la rappresentazione in occasione dell’inagurazione del nuovo Teatro di Parma429. Elena ed Eraclio, protagonisti della duplice ricerca staurologica, sono rievocati nella chiesa di S. Croce al Flaminio sita in via Guido Reni, vicina all’area di Ponte Milvio. Per committenza di papa Pio X, l’architetto Aristide Leonori eresse in stile basilicale romano (1913) questa nuova basilica Costantiniana, celebrativa del XVI centenario della visione della Croce e della vittoria di Costantino imperatore su Massenzio nella stessa area (27 ottobre 312). Una grande tela posta sotto i finestroni della facciata interna, che fronteggia l’abside, riproduce La Battaglia di Ponte Milvio, affresco di Giulio Romano su abbozzo di Raffaello nella Sala di Costantino del palazzo Vaticano (1525). La S. Croce, immensa opera bronzea, s’innalza sopra l’altare maggiore, il cui baldacchino domina l’abside430. Per decoro di questa chiesa furono aggiunte (c. 1975) due vetrate a mosaico colorato come finestre alte e strette negli spazi del catino absidale ai lati dell’altare. Una vetrata rappresenta Elena che regge la Croce. Vetrata a fronte, sul lato destro: Eraclio riporta la Croce a Gerusalemme. Pellegrino, egli la trasporta sulla spalla dentro le mura della città e un paggio che lo segue, reca la regia corona aurea posata su un drappo. 9. Il legame diplomatico con il paese amico L’insieme tematico di vicende e persone storiche relative alla Persia antica, incluse le figure dei santi cristiani e altre leggendarie, veniva rievocato in Roma mentre per circostanze geopolitiche essa coltivava rapporti amichevoli con il regno di Persia medievale e moderna (XIII-XIX secolo). Ai primordi del XIII, la storia geopolitica mutava sul piano intercontinentale. La rapida espansione dei Mongoli in Asia centrale raggiunse la Persia (1220-1221) e con successive ondate d’incursioni devastanti travolse numerosi confini. Cambiava l’epoca, che tra i disastri bellici era aperta a una dinamica globale per cui il mondo ridivenne uno spazio intercomunicante perfino in campo mercantile. Allora Roma strinse con la Persia un legame di amicizia che caratterizza la storia delle reciproche relazioni diplomatiche nei secoli seguenti. Le invasioni di Russia (1237-1239), Polonia, Ungheria e Boemia (12401241), acuirono la minaccia di un riassetto intercontinentale dominato dai Mongoli, detti Tartari in Europa coeva. Per esperire un rimedio, papa In429 BNCR, ms. Gesuitico 16 (prima metà del XVIII secolo), ff. 93: 26r, 39v-40r, 54v, 85r-90v, 91r-93v. 430 Bosi – Bosi 1965.
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nocenzo IV Fieschi inviò (Lione 1245) al «re dei Tartari» Göyük qa’an una lettera che gli proponeva un patto di pace e lo invitava a convertirsi. In risposta Göyük chiese (Qaraqorum 1246) un atto di sottomissione, conforme la dottrina mongola che per mandato del cielo gli conferiva il dominio universale. L’inviato pontificio Giovanni da Pian del Carpine, frate francescano, tornava latore di questa lettera, la cui versione latina coeva risulta alquanto precisa. La lettera di Göyük, che chiama l’interlocutore bâbâ / pâpâ-ye kalân «grande papa», costituisce il più antico documento storico scritto in lingua persiana che si conserva in Vaticano431. Hülegü, figlio di Tuluy e nipote di Cinggis qa’an, nominato ilkhân «submonarca, viceré» (1251), ereditava il regno mongolo esteso tra il grande fiume Âmu (Oxus), la Persia e oltre, cioè sulla carta il territorio da conquistare fino a Siria ed Egitto. Hülegü completa la conquista della Persia, dove fonda la dinastia degli Ilkhanidi. Egli demolì Alamut, il castello montano degli Assassini sciiti ismaeliti (1256). Quindi Hülegü distrusse il califfato islamico sunnita di Baghdad (10 febbraio 1258). La strategia volta a tendere una tenaglia sul fronte di Siria e Terrasanta, il limes di Levante in secolare contesa, ipotizzava la convergenza di due mete: un indispensabile approdo mediterraneo alle vastissime conquiste continentali dei Mongoli e una base decisiva della loro alleanza con l’Europa. Esisteva allora una possibilità di convertire gli Ilkhanidi, buddhisti e sciamanisti in maggioranza. Essi favorivano la rinascita della Chiesa siroorientale, l’arrivo di missionari francescani e domenicani, la locale comunità giudeo-persiana e il ruolo aristocratico delle dame. Qualche principe fu battezzato. Doguz khatun «signora, regina», kerayta cristiana di rito siro-orientale, era la sposa principale di Hülegü. Abaqa, suo primogenito e successore (1265-1282), sposò Maria despina-khatun, figlia naturale di Michele VIII Paleologo, imperatore di Costantinopoli. Oruk khatun, nipote di Doguz, fu sposa di Arghun (1284-1291) e madre di Öljeytü (1304-1316). Il frate domenicano David d’Ashby fu inviato per un negozio diplomatico presso Hülegü, che era penetrato in Siria (1260). Egli prometteva di restituire la città santa e il regno di Gerusalemme ai Latini, poi inviò a papa Urbano IV Pantaléon alcuni ambasciatori (1263), che furono però intercettati da Manfredi re di Sicilia (1264). Urbano IV spediva (Orvieto, 23 maggio 1263) il breve Exultavit cor nostrum in domino a Hülegü, credendolo disposto a battezzarsi432. Questa lettera si può considerare come
431 ASV, A. A., Arm. I-XVIII, 1802 (2); BAV, Vat. lat. 7260, f. 296r-v; Pelliot 1922-1923: 11-23 e tav. I; Richard 1949; Lupprian 1981: 146-149, 182-189. 432 Richard 1977a: 83, 100-101; Lupprian 1981: 216-219.
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il documento che inaugurava in modo formale le relazioni diplomatiche dirette tra il Papato e il regno di Persia. Durante il Concilio di Lione II, indetto per ottenere l’unione con la Chiesa greca e promuovere una crociata in alleanza con i Mongoli, papa Gregorio X Visconti fu lieto di ricevere (4 luglio 1274) una grande ambasciata di Abaqa re di Persia, composta di sedici uomini, mongoli, siro-orientali e latini: David d’Ashby, che accompagnava la delegazione, e il notaio Rychaldus, interprete attivo presso la corte ilkhanide. Sussiste in versione latina la lettera inviata a Gregorio X da Abaqa, che vantava le sue conquiste fino a Damasco, offriva al papa una perpetua alleanza e prometteva la protezione dei seguaci della Chiesa romana. La straordinaria conversione di alcuni membri dell’ambasciata ilkhanide al cattolicesimo allietò la quinta sessione del Concilio. Pietro di Tarantasia domenicano, arcivescovo di Lione, primate delle Gallie e cardinale vescovo suburbicario di Ostia, futuro papa Innocenzo V, celebrò il battesimo dei conversi: l’ambasciatore ilkhanide e altri due mongoli della missione diplomatica (16 luglio). Gregorio X donò l’abito scarlatto ai tre battezzati mentre tutto il Concilio assisteva alla cerimonia433. Il monaco Rabban Sauma, ambasciatore in Europa del re ilkhanide Arghun e di Mar Yahballaha III, patriarca della Chiesa siriaca di Persia, venne in missione ecclesiastica e diplomatica a Roma. Rabban Sauma è il relatore siriaco del viaggio. La delegazione visitò (luglio 1287) tute le chiese e i monasteri della città, quindi la basilica di S. Paolo fuori le mura e il santuario di S. Paolo apostolo. Andarono poi al luogo dove questi fu incoronato [col martirio]: si dice che quando gli tagliarono la testa [questa] rimbalzò per tre volte, e ciascuna gridò «Cristo, Cristo»; dai tre punti dove cadde scaturirono acque capaci di curare e soccorrere i sofferenti. In quel luogo c’è una grande cappella in cui si conservano le ossa di martiri e illustri padri; lì Rabban Sauma e i suoi ricevettero la benedizione. Andarono poi alla chiesa di Santa Maria e a quella di San Giovanni Battista, dove videro l’abito di Nostro Signore, quello senza cuciture. C’è in questa chiesa la tavola di legno sulla quale Nostro Signore consacrò l’offerta e la distribuì ai discepoli; su di essa ogni anno il papa celebra i misteri della Pasqua.
La delegazione visitò il santuario di Anastasio monaco martire persiano ad Aquas Salvias, che Rabban Sauma chiama «una grande cappella», dove perciò si svolse la cerimonia della benedizione. È la grande chiesa con la 433 BAV, Vat. lat. 1328, f. 146r-v; Borghezio 1936; Roberg 1973: 298-301; Richard 1977b: 37; Lupprian 1981: 226-230; Roberg 1990: 283-292.
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sua abbazia attigua al modesto edificio martiriale di S. Paolo apostolo434. In altri termini, la delegazione compiva il pellegrinaggio alle Nove Chiese di Roma, inclusa quella di S. Anastasio435. Ma il re ilkhanide Ghâzân (1295-1303) si convertì all’islamismo sunnita quando assunse il potere in Persia e il nome Mahmud, con il proclama pretenzioso Pâdšah-e Eslâm Ghâzân ast «il Monarca dell’Islâm è Ghâzân» (venerdì 2 ša‘bân 694 H./ A.D. 17 giugno 1295). Conseguivano l’esecuzione dell’ilkhanide Baidu, l’adorazione della bandiera nera dell’ex califfato abbaside e la distruzione di chiese436. Comunque per motivi strategici Ghâzân continuava le trattative di un’intesa decisiva con la parte latina sul fronte di Levante. Papa Bonifacio VIII Caetani con la bolla Immaculata lex Domini (10 aprile 1299) inviò una missione domenicana in terra infedele. A istanza del papa, Aegidius Romanus compose (Roma, c. 1299) i Capitula fidei christianae ad Tartarum maiorem. Si ritiene questo tartaro il qa’an mongolo residente in Cina. Pare probabile che il destinatario prossimo dei Capitula e della missione pontificia fosse Ghâzân, che conquistava la Siria mamelucca e Gerusalemme, e sul momento fu creduto il liberatore della Terrasanta (1299-1300). Giovanni Villani nelle proprie Historie fiorentine lo chiama «Cassano imperatore de’ Tartari», che allora «mandò suoi ambasciadori in Ponente a papa Bonifatio ottavo, & al Re di Francia, & a li altri Re de’ Christiani». Un ambasciatore di «Cassanus enim Tartarus» / «Cassano Signore de’ Tartari», cioè Ghâzân, giunse con il suo seguito a Roma, dove si celebrava il primo Giubileo, indetto da Bonifacio VIII (1300). Il papa mandò in dono a Ghâzân una croce d’oro tramite la delegazione ilkhanide437. Tale conquista mongola nella regione siriana era un’avanzata effimera che finì in un ripiego, come anche una breve incursione su Aleppo (1301). Ghâzân inviò una lettera a Bonifacio VIII (12 aprile 1302) per riproporre un piano congiunto di attacco nella regione contro i Mamelucchi d’Egitto. Una ritirata disastrosa concluse la terza campagna siriana di Ghâzân (30 gennaio-20 aprile 1303). Il regno ilkhanide e la potenza mongola fallirono lo sbocco sul lato mediterraneo438. Il Levante dal punto di vista di Persia appare ponente in ciclo diurno: pers. šâm «vespero, sera, cena»; ar.-pers. Šâm «Siria» e «Damasco», regione estesa nel senso di lat. Syria, sul primo limes di attrito euro-asiatico. Apre in orizzonte 434 Borbone
2009: 75-76, 183-184. anche II.3. 436 Melville 1990. 437 Frugoni 1950: 102-105; Ligato 2006: 248-260, 263, 265, 268, 287. 438 Mostaert – Woodman Cleaves 1952: 467-478. 435 Vedi
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l’Occidente mediterraneo e atlantico, al tempo di guerre mediche e talassocrazia achemenide andante con flotta fenicia e truppa multinazionale fino a coste e isole di Magna Grecia. Oltre l’Ellade (pers. Yunân «Ionia: Grecia»), la controparte occidentale di Persia compariva Italia, una millenaria meta ambitissima da molte genti, per passaparola il ponte bello di Europa, ex mitica dama rapita come amazzone inerme da gioviale toro marino439.
In norma di strategia e storia geopolitica la Persia può essere un paese forte e molto esteso, ma non raggiunge il rango di grande potenza senza avere nel contempo un pilastro sul Levante e il predominio nel Golfo Persico, altro limes conteso. Tale combinazione di equilibri strategici da parte della Persia riuscì soltanto al regno achemenide, che infatti si protese sul terzo pilastro, l’Anatolia, si estese in Egitto e invase il mare Mediterraneo, sino al ribaltamento intercontinentale operato dal conquistatore Alessandro Macedone, perciò detto Magno440. Per consolidare la missione dei domenicani Peregrinanti e Unitori, papa Giovanni XXII istituì l’archidiocesi latina di Soltâniyé (1318), nuova capitale mongola di Persia sino alla caduta improvvisa del regno ilkhanide (1336). La cognizione europea della lingua persiana emerse in questa epoca. Alcuni di tali missionari coltivarono lo studio della versione persiana dei Vangeli con metodo filologico, per eseguire la collazione testuale e la precisa intepretazione latina, oltre che la predicazione nell’idioma autoctono. L’archidiocesi, per giurisdizione estesa in Armenia e Georgia, rimase attiva fino al tempo di papa Martino V Colonna441. La rievocazione romana relativa alla tematica di Persia si sviluppa in Roma dalla metà del XV secolo, nel quadro delle nuove condizioni internazionali. Un mutamento epocale determinava il tramonto dell’antico impero romano istituito in Costantinopoli e l’ascesa della potenza turca ottomana sullo scacchiere decisivo per l’equilibrio dei confini geopolitici tra Europa e Asia vicina. Rispuntava allora il progetto di un rimedio strategico tramite la tela diplomatica. La minaccia incombente del pericolo turco riattivò la situazione per cui era possibile ritessere la trama della lega tra il regno di Persia e alcuni stati d’Europa, parecchi essendo rivali e divisi. Per l’esigenza di contrastare «il comune nemico» (pers. coevo došman-e moštarak), l’invasivo sultanato turco ottomano, Roma riannodò con la Persia (1458) il legame di amicizia che decise l’andamento delle loro relazioni diplomatiche, incluse la corrispondenza epistolare, le ambasciate straordinarie e 439 Piemontese 2009: 84-85. 440 Vedi anche I.1 e III.6. 441 Richard 1977a: 98-116; Bugnini 1981: 66-91; Piemontese 2001b, riguardo a BAV, Borg. pers. 19.
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l’accoglienza dei missionari cattolici nel paese, sino al tempo di papa Benedetto XIV (1742). Pertanto nel corso di questi secoli, mentre Roma rievocava vicende e personaggi del regno antico di Persia, quello moderno non era tanto lontano: stava sulla trafila di un rapporto amichevole e rientrava nella prospettiva romana dello scenario politico internazionale. Sul fronte asiatico vicino Mehmet II, il sultano turco ottomano detto Fatih «conquistatore» di Costantinopoli (1453), aveva come nemica la tribù e dinastia turkmena Aq Qoyunlu (gli «Arieti Bianchi»). Il regno turcomanno bianco fu esteso da Hasan Beg Bahador Khan, detto Uzun Hasan (tur. uzun «lungo», longilineo, alto di statura), sultano di Persia, Armenia e Mesopotamia (1457-1478). Egli per rivalità strategica antiottomana strinse alleanza con paesi cristiani prossimi, come la Georgia, e alcuni europei, tra cui la Repubblica di Venezia. Tuttavia questa perseguiva una sua politica verso il sultanato ottomano, la quale tendeva a salvaguardare l’ambito di propri interessi442. Papa Callisto III de Borja, inviò presto il frate francescano Ludovico da Bologna nunzio nella regione cristiana d’oltremare e presso Uzun Hasan (1458). Una fresca sposa di questo re di Persia era Theodora Komnenos despina-khatun, figlia di Giovanni IV penultimo imperatore di Trebisonda. Il cardinale Niceno Bessarione nativo di Trebisonda, umanista profugo in Italia, grande esponente della resistenza greco-bizantina, era un protettore dell’ordine francescano. Ludovico da Bologna condusse presso il papa successore Pio II Piccolomini una variopinta ambasciata dei paesi amici (Roma, 26 dicembre 1460). Tre componenti della missione erano inviati di Uzun Hasan: «Azimamet» Hagi Muhammad turcomanno, Murad vartapet armeno e Nicolao Gabrielis. Tramite i buoni uffici di Pio II il regno di Borgogna aderì alla lega con la Persia. Però Trebisonda fu conquistata dal sultanato ottomano (15 agosto 1461). Esisteva come un puntello della lega un certo numero di presenze cristiane alla corte di Uzun Hasan, quali la primogenita Martha, il principe Masih Mirzâ (Masih «Messia», Cristo; masihi «cristiano»), le principesse «Eliel ed Eziel», figliolanza avuta da Theodora Komnenos; inoltre il capitano «Azeuazadur» (Astuacatur «Teodoro») e «Cozamirat» Khogiâ Mirât, il tesoriere e camerario. Tramite Ludovico da Bologna il re di Persia inviò una lettera al papa (1470) per confermare il patto di alleanza, annunciando le proprie recenti conquiste per le campagne vittoriose contro due forti nemici limitrofi: i turkmeni Qara Qoyunlu (Arieti Neri), e i turchi Timuridi (1467-1469). Il testo di questa lettera è pervenuto nella versione latina autenticata da un notaio genovese in Caffa. Ludovico da Bologna tornò latore 442 Rota
2009a: 26-30, 38-39.
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della lettera a Roma presso il nuovo papa Sisto IV della Rovere, che intanto riceveva tre ambasciatori di Persia (1471). Il papa confermò nunzio Ludovico da Bologna, confratello francescano, incaricato di compiere ulteriori negozi diplomatici in Borgogna, Polonia e altrove, e inviò un altro nunzio pontificio in Persia (1472). La frequenza dell’andirivieni di missioni diplomatiche raggiungeva il culmine. Federico da Montefeltro signore di Urbino aderiva alla lega e ricevette un «prestantissimo» ambasciatore di «Soltan Asanbech Han», Soltân Hasan Beg Khân, il re di Persia443. Eseguita una spedizione navale verso Smirne (agosto 1472), Oliviero Carafa, cardinale di Napoli, nunzio a Rodi e ammiraglio delle galere pontificie, tornò in trionfo a Roma con 25 prigionieri turchi, 12 cammelli e le catene del porto di Sattalia (23 gennaio 1473). L’aspettativa di una imminente vittoria dell’alleato re di Persia sul nemico Mehmet II sultano di Costantinopoli suscitava entusiasmo. Pietro Riario nepote di Sisto IV, giovane cardinale di S. Sisto e anch’egli francescano, organizzò una festa conviviale che inscenava (2 febbraio 1473) la rappresentazione teatrale del trionfo di Uzun Hasan nel salone del palazzo di Bessarione, sito in piazza Santi Apostoli e allora appartenente a Riario. Oltre a una quarantina di notabili invitati, erano presenti quattro cardinali, Giuliano della Rovere, Giovanni Michiel, Teodoro Paleologo di Monferrato, Giovan Battista Zeno; e sei ambasciatori: di Aragona, Ferrara, Francia, Mantova, Milano e Napoli. Assente l’ambasciatore di Venezia, forse per malattia diplomatica. L’attore Giovanni Giacomo del Piombo svolse nello spettacolo il ruolo d’interprete del «Re di Macedonia», chiamato «il secondo Alessandro», vale a dire Uzun Hasan. Questo re era effigiato in una moneta coniata e distribuita per l’occasione festiva, che fu descritta da alcuni testimoni diplomatici mantovani e milanesi, ma sembra che un esemplare di tale moneta non sia conservato. Il Re entra in maniera fastosa sulla tribuna, è coronato da Riario, riceve ambascerie e stringe alleanze. Sopravviene l’ambasciatore ottomano, per protesta: il Regno spetta al Turco, e lancia una disfida che provoca il combattimento. Per contrasto un gruppo di prigionieri turchi si converte e canta in coro: «Viva la fede de Jesu Christo / cum il papa et el cardinal San Sisto». La battaglia si finge nella stessa piazza e dintorni. Sfilano due nemici carri trionfali, ciascuno montato da venti uomini armati e dotato delle rispettive fanterie. Parte la giostra di scaramucce a colpi di bastoni e di lance. Il capitano del Re di Macedonia vince in duello il Turco (Mehmet II), che viene trascinato per le strade della città e rinchiuso prigioniero nel palazzo Bessarione-Riario. Tale festa allegorica fatta in un martedì di carnevale, se era una sorta di rito proprizionatorio, mise il carro davanti ai 443 Piemontese
1998; 2004.
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buoi. Malgrado mancasse la fornitura di qualche bombarda promessa da parte alleata, il sultano Ariete Bianco di Persia affrontò il grande rivale di Costantinopoli nella zona anatolica montuosa di Otluk Dagh. Ma Mehmet II, messa in campo l’artiglieria ottomana contro la cavalleria turcomanna, sconfisse Uzun Hasan in una battaglia che deluse le mire ambiziose del regno Aq Qoyunlu (11 agosto 1473), spinto verso un lento declino444. L’erudito pittore urbinate Giovanni Santi, padre di Raffaello, celebra le gesta di Federico da Montefeltro nella propria cronaca in terza rima (Urbino, c. 1482-1487). Nel «Preambulo», con Plutarco guida, il poeta Santi passa in rassegna i principi coevi, tra cui Uzun Hasan. «Io domandai a quel che me dea ardire: / Quale è costui. Ello è Uson casano / che a gran fortuna non seppe seguire». Poi, quando esemplifica la classica caduta del potente in rovina, il poema dice: «Seppel Pompeo che hauea Caesar de presso / E allodierno tempo Uson casano / Col fier gran Turcho a lui quasi submesso»445. Certamente Raffaello conosceva questo poema composto da suo padre. Quando, per committenza di Alessandro VI de Borja, Bernardino di Betto il Pintoricchio affresca l’Appartamento Borgia in Vaticano (1492-1494), dipinge nel lunettone meridionale incontro alla finestra della Sala dei Santi la celebre Disputa di S. Caterina d’Alessandria davanti all’imperatore Massimino. Sono qui figurati anche un personaggio orientale e inoltre il principe turco esule Gem come cavaliere446. Il personaggio che sta accanto a Caterina e al trono di Massimino viene qualificato turco o un «orientale stante» e confrontato con quello analogo che nella Libreria Piccolomini del Duomo di Siena Pintoricchio dipinse (1503-1508) a fianco di Gem nel riquadro decimo: Pio II in Ancona sollecita i regnanti ad organizzare la crociata447. Tale personaggio orientale stante potrebbe a mio avviso rappresentare invece la figura di un intimo testimone amico e alleato, come l’ambasciatore turcomanno di Uzun Hasan che fu ricevuto da Pio II (1461) e da Sisto IV (1471), in ricorrenza decennale448. Il cosiddetto Anonimo Mercante viaggiatore in Persia (1501-1510), Francesco Romano, per tale qualifica cittadina poteva forse essere un emissario segreto di papa Alessandro VI. Questo Francesco Romano descrisse il palazzo paradisiaso eretto da Uzun Hasan nella città capitale Ta444 Cruciani
1983: 165-171; Piemontese 1991. Ott. lat. 1305, ff. 11v, 96r; Santi 1985: I, 24, 209; Piemontese 2004: 547. 446 Pistolesi 1829: III, 88-90, tav. XXXII; Volpini 1887: 109-112; Ehrle – Stevenson 1897: 66-67, tav. LXVII; Hermanin 1934: tav. XV; Poeschel 1999: 146-160, fig. 91-107; Scarpellini – Silvestrelli 2004: 128, 175; Mancini 2007: 134, ill. 82. 447 Mancini 2007: 246-247, fig. 153-154; Economopoulos 2007: 116-118, fig. 12, 17. 448 Piemontese 2004: 541, 543-544. 445 BAV,
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briz449. Francesco Romano incontrò in Aleppo le due figlie di Katerina Komnenos e Uzun Hasan, e visitò la tomba di questa regina in Diyarbekir (Amida). Il regno turcomanno sunnita degli Aq Qoyunlu fu soppiantato da šâh Ismâ‘il I (1499-1502), fondatore della dinastia safavide. La schiera del guerriero chiamato tur. qïzïlbâš «testa rossa» per lo speciale turbante di tale colore, simbolo del sangue dei martiri imam sciiti, formava il nucleo dell’esercito d’Ismael Sophi, così detto in Europa coeva. La Persia fu allora spinta ad adottare lo sciismo duodecimano come dottrina di Stato. Ma la rivalità con il sultanato turco ottomano sunnita e le condizioni strategiche di portata internazionale permasero immutate nell’area, e così la posizione del paese riguardo a Venezia e altri stati europei. Il sultano turco ottomano Selim sconfisse Ismâ‘il I re safavide nella battaglia di Çaldiran (20 marzo 1514). La Persia si dimostrava impari di fronte alla potenza ottomana, un motivo per cui continuò a coltivare la politica dell’alleanza con alcuni paesi d’Europa450. L’esito di tale battaglia suscitò preoccupazione in Roma e impensierì papa Leone X. Selino imperatore de Turchi, hauendo morto in battaglia appresso Aleppo Campsone Cauro Soldano del Cairo, aggiunse la Soria al suo imperio […]. Hauea rotto anchora due anni inanzi nelle campagne di Calderane l’arme de Persiani vincendo Hismael Sophi. Costui essendosi fatto grande con le genti & col fauor de Medi con mirabil prestezza s’era fatto signore della Assiria della Persia & dell’Armenia maggiore. Per queste cagioni papa Leone, il quale giudicaua che la grandezza de’ Turchi, la quale cresceua in infinito, hauendo soggiogato da ogni parte i vicini, fosse da temer molto, fece fare processioni per Roma; & hauendo in se concetto vna gran diuotione scalzo visito la chiesa della Minerua, per raccomandare alla Vergine Maria la salute della repubblica Christiana. Mandò poi a tutti i re d’Europa ambasciatori, cardinali rari per virtu & per eloquentia451.
Per reagire alla vittoria del Turco sul Sophi, Leone X sollecitò i nunzi pontifici di Spagna, Francia, Svizzera, Portogallo, i Fiorentini, i Genovesi e i tredici cantoni di Helvetia (3 novembre 1514). In primo anniversario della stessa battaglia Leone X propose a Sigismondo I re di Polonia (25 marzo 1515) di favorire la pace tra i principi cristiani per potere unire le forze in guerra contro il nemico turco. Il papa scrisse ancora al Maestro di Rodi
449 Vedi
anche III.3. 2004: 563-564; Rota 2009a: 28-38; Galletti 2007. 451 Giovio 1549: 281-282. 450 Piemontese
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(22 agosto 1516) che occorreva la difesa contro il tiranno turco che aveva attaccato il Sophi di Persia e il Sultano di Egitto452. Una nuova occasione di contatto politico romano-persiano si presentò in seguito alla vittoria navale della lega di principi cristiani su una flotta turca presso il Golfo di Corinto. Era la battaglia di Lepanto (5 ottobre 1571), che suscitò una certa euforia in campo europeo, anche se non tutto. Papa Pio V Ghislieri inviò subito (16 novembre) un breve amichevole a «Scieco Tahamaso», Tahmâsb I re di safavide di Persia, per annunciargli la vittoria e riproporgli il disegno di una congiunta iniziativa. Il papa esortava Tahmâsb I a invadere con un suo valido esercito il territorio ottomano al momento opportuno, per recuperare Mesopotamia e Assiria e consentire l’intervento delle truppe confederate sul nemico, per terra e per mare. Ma Tahmâsb I esitava, per il vincolo del trattato di pace statuita con il sultanato ottomano (Amasya 1555). Tuttavia il passo di Pio V servì a reinstaurare in modo diretto le relazioni diplomatiche bilaterali e il dicorso dell’alleanza attiva453. Una vaticana Informatione del sophi (1560) descriveva «Isiac Tehmes», Tahmâsb I (regnante 1524-1576), una «persona de molto ualore così alle arme come in ogni altra liberale prudente nelli maneggi del suo Imperio», mentre il Portogallo era insediato a Ormuz (Hormoz), isola e città strategica nel Golfo Persico. Il re safavide successore Sultân Muhammad detto Xodâbandé apriva un periodo diverso. Il legame fu rinsaldato in seguito a una iniziativa progettuale di papa Gregorio XIII Boncompagni (1573). Egli affidò una missione in Persia a Giovanni Battista Vecchietti (1584), il viaggiatore che descrisse il regno di Ormuz, divenne persianista, collezionista di codici e collaboratore di studiosi, anzitutto il fratello Girolamo e G. B. Raimondi, direttore della Stamperia Orientale Medicea454. Sisto V papa successore riconfermò la missione a Vecchietti, che incontrò Sultân Muhammad in Tabriz, mentre la città stava sotto attacco turco. Vecchietti tornò a Roma (1589) latore di una sontuosa lettera indirizzata da Sultân Muhammad a papa Sisto V «re di Roma». Questa è la prima lettera regia persiana inviata a un papa il cui testo si conserva come documento originale, a parte la traduzione coeva, una eseguita da Vecchietti medesimo e la seconda chiesta dal papa ad altri interpreti per controllo455. Nelle Logge Vaticane il paese di Persia figura tra le Carte Geografiche dipinte sulle pareti di fondo situate al piano III, la cui costruzione comin452 Nanni
1992: 89, 97, 128, n° 535-536, 578, 759. Arm. XLIV, 19, f. 445, n° 434; Alonso 1983. 454 Vedi anche II.4. 455 ASV, A.A., Arm. I-XVIII, 773; Piemontese 2007a. 453 ASV,
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ciata da papa Pio IV Medici (1559-1565) era terminata da Gregorio XIII (1572-1585). L’ala ovest eretta su architettura di Raffaello e l’ala nord, che vi fa angolo, accolgono la distesa del grande Mappamondo dipinto da Antonio Vanosino (c. 1582-1585). Sua fonte iconografica era la grande carta dell’Asia che Giacomo Gastaldi dislocava in tre sezioni (Venezia 1561). Le dascalie dipinte segnavano anche il Persiae Regnum (tav. 38a). Questo titolo è ritocatto nella didascalia PERSIA, sottosegnata FARSI, mentre ar.pers. Fârs indica «Persia» > fârsí «persiano», l’idioma. Il ritocco concerne anche le dieci carte che intanto Ignazio Danti affrescava sulla parete dell’ala nord. I titoli superiori indicano fra i paesi asiatici «3° Turcicum extra Europa dominium 4° Persarum regnum 5° Utriusque Indiae regiones». La pittura della Persia aveva sotto la sua didascalia originale piante o vedute di città. I toponimi distinti enunciano «Com» Qom, «Siras» Širâz, ORMVS, l’isola e piazzaforte verso il SINVS PERSICVS ma figurata entroterra, quasi come regno esteso sull’altopiano meridionale del paese (tav. 38b)456. Manca la segnalazione di tre importanti città: Tabriz, ex capitale di Persia safavide, Qazvin la nuova capitale in epoca coeva dei dipinti geografici, inoltre Esfahân. Un appunto manoscritto di geografia storica inerente reca: «Sciraz prouintia et cità olim Pharsi id est Persia / Hispahan cità regia della prouintia di Eracl id est Media / Casbin et Ardeuil usque ad Tauris olim Parthia»457. Il toponimo Eracl sembra da spiegare in riferimento a pers. ‘Erâq-e ‘Aéam «Iraq Persiano», opposto a quello Arabo in autoctona nomenclatura storico-geografica. Forse Giovanni Battista Raimondi scrisse tale sorta di appunto, contiguo a un suo lessico arabo-latino (1595) in un codice miscellaneo appartenente alla biblioteca della romana Stamperia Orientale Medicea458. L’evento del battesimo dell’ambasciatore ilkhanide celebrato in Lione veniva adesso evocato nella Sala dei Concili, sita sul lato sud della Galleria della Biblioteca Vaticana, annessa al Salone Sistino. Il pittore urbinate Antonio Viviani affrescò il «CONCILIVM | LVGDVNENSE II» come riquadro XI nel braccio esterno della Galleria (1588-1589, tav. 39). Un episodio veniva letto secondo il cartiglio dipinto «TARTARORVM REX A F. HIERONIMO ORDINIS MINOR. AD CONCILIVM PERDVCITVR»: il frate francescano Girolamo d’Ascoli, futuro papa Niccolò IV, conduce al Concilio il Re dei Tartari, in modo simbolico. Questo re tartaro di Levante si prostra dinanzi a papa Gregorio X, presso cui sta frate Girolamo. «Et dall’altra banda si rappresenta il battesimo del sopranominato Re de’ Tartari, e sotto 456 Almagià
1955: 1-2, 6, 31, tav. XIV, XIX. Biblioteca Medicea Laurenziana, Or. 108, f. 57r. 458 Piemontese 1993a: 431-437; 2007a: 369; Pizzorusso 2009: 254-255. 457 Firenze,
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questo dentro vna cartella si legge. REX TARTARORVM SOLEMNITER BAPTIZATVR». Così l’architetto sistino Domenico Fontana riferiva il testo delle iscrizioni dipinte459. Quelle adesso esistenti sono diverse. A sinistra, presso la porta, il terzo riquadro reca l’iscrizione FR. HIERONYMVS ASCVLANVS ORD. MIN. | AD CONCILIVM REGIS TARTARORVM | LEGATOS DEDVCIT: frate Girolamo Ascolano condusse al Concilio i legati del Re dei Tartari. A destra, presso la finestra, il quarto riquadro reca l’iscrizione VNVS EX TARTARORVM REGIS LEGATIS | CVM DVOBVS SOCIIS | SOLEMNITER BAPTIZATVR: un legato del Re dei Tartari viene solennemente battezzato insieme con due compagni460. Questi personaggi rappresentano i tre inviati di Abaqa re mongolo di Persia, i quali si erano convertiti in Lione. Con la missione compiuta da G. B. Vecchietti cominciava il tempo placido, felice e forse più splendido nel panorama che offre la storia delle relazioni romano-persiane. Il re safavide ‘Abbâs I (1587-1629) intensificò le relazioni diplomatiche della Persia con l’Europa. Per prudenza egli trasferì la capitale a Esfahân (1596), amena città situata in zona interna del paese, al sicuro dalle incursioni ottomane. ‘Abbâs I inviò una grande ambasciata in Europa, che giunse a Roma (1601) guidata da due diversi capi, uno turcomanno e l’altro Anthony Sherley, inglese al servizio di Persia. Tre componenti persiani della missione safavide defezionarono e, convertiti, quindi battezzati da Clemente VIII Aldobrandini, rimasero profughi in Roma461. In vista del Giubileo indetto per il nuovo secolo (1600) su committenza di Clemente VIII la splendente Sala Clementina era affrescata dai fratelli pittori Giovanni e Cherubino Alberti (almeno fino al 1601). Questo ambiente è da allora adibito a sala di rappresentanza pontificia in Vaticano462. La scena del battesimo di S. Clemente papa e martire domina la Sala, sulla cui parete est è dipinta l’iscrizione dedicatoria, in data 1602: «MEMORIAE | S. CLEMENTIS. PAPAE | CHRISTI. MART. FORTISSIME | CLEMENS PAPAE VIII | AVLAM. SACRIS. PICTVRIS. | ORNATAM. DICAVIT. AN. SAL. MDCII». Nel loggiato dipinto sulla stessa parete spiccano due personaggi vicino-asiatici che hanno il turbante per copricapo. Essi sono stati ritenuti «due sapienti orientali» che stanno a rappresentare «le popolazioni infedeli d’oriente»463. Invece, sulla scorta del rito battesimale celebrato da Clemente VIII nel459 Fontana
1590: f. 88r. 1829: VII, 234; ICER 6, 105, n° 356-357; Zuccari 1992: 69, 96, tav. XXVII; Madonna 1993: 88. 461 Vedi anche II.4. 462 Oy-Marra 2005: 16-46. 463 Macioce 1990: 190, tav. XVa, XXXVI. 460 Pistolesi
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la basilica lateranense di S. Giovanni (29 agosto 1601), ravviso nel primo personaggio dipinto, anziano, barba bianca, il «Bascia Senex» turco rinominato Pietro Aldobrandini. Egli tende la mano verso la vicina parete nord, dove campeggia Il Battesimo di S. Clemente, e richiama il proprio, di fresco avvenuto in Laterano, al secondo personaggio. Giovane maturo, baffuto, assorto dietro le spalle del vecchio, egli porge una lettera in mano, segno di ambasceria, quindi può raffigurare Clemente Ossat Persiano, l’ex segretario dell’ambasciata safavide Hoseyn, allora rifugiato, converso e battezzato a Roma. Il cardinale Arnaud d’Ossat era suo padrino. Si reincontra Clemente Ossat vegeto, promosso a funzione d’interprete, durante il ricevimento onorevolissimo che papa Paolo V accorda alle due ambasciate di Persia inviate dal re ‘Abbâs I, viaggianti per vie diverse e giunte a Roma (agosto e settembre 1609) l’una di rincalzo all’altra. ‘Ali-qoli Beg, anziano, era l’ambasciatore della prima missione e quello della seconda Robert Sherley, giovane inglese, fratello del suddetto Anthony464. Regnante Paolo V, Camillo Borghese, si celebra in maniera spettacolare questa duplice ambasciata, quanto nessun altro evento del genere nella storia delle relazioni bilaterali. Lavinia Fontana esegue un ritratto dell’Ambasciatore di Persia, ‘Ali-qoli Beg, che non è pervenuto465. Giulio Cesare Mancini, medico senese di papa Urbano VIII Barberini, nel proprio Viaggio per Roma, per uedere le pitture che in essa si trouano (1614-1621 / 1630), esalta l’arte di Lavinia Fontana «in particolare con i ritratti, ne quali ualeua assai». Mancini sostanzia la biografia di Lavinia ricordandone l’incontro con questo Ambasciatore Persiano. Lavinia ne esegue il ritratto e anche quello di re ‘Abbâs I, la cui sembianza era descritta alla brava pittrice dallo stesso ambasciatore. L’ex segretario di ‘Ali-qoli Beg che riferisce confidenze a Mancini, e gli traduce il testo del «madrigale» persiano (ghazal) offerto a Lavinia, s’identifica con Camillo Borghese Persiano466. Questo diplomatico, che era al seguito di Sherley, rimase in Roma: fu battezzato con il nome di Camillo Borghese Persiano (24 gennaio 1610) nella chiesa di S. Bartolomeo sull’Isola Tiberina dal cardinale titolare Michelangelo Tonti, il fondatore del Collegio Nazareno467. «Si Stampa in Roma a Pasquino. Con licenza d’ Superiori» l’incisione di Luca Ciamberlano urbinate firmata «Lucas de Vrbino F.» e recante la didascalia 464 Piemontese
2005a: 326-364; 2006a: 275-289. 1989: 15-16, 319-320. 466 BAV, Barb. lat. 4135, ff. 103v-104v; Mancini 1956: I, 233-235, II, 132-133; Piemontese 2005a: 380-384. 467 Vedi anche II.3. 465 Cantaro
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Imbasciatori del Re di Persia alla Sta di N. S. Papa Paolo. V. uno de’ quali cioé Ali Goli | Fece intrata solenne in Roma alli 27 di Agosto 1609. Et l’altro cioe’ il Conte Don Ruberto | Sherleyns, Inglese Cattolico, quale fece intrata in Roma adi 28 di Setembre, del’ istess.° anno | 1609468.
Ciamberlano presenta tre ritratti a mezzo busto, disposti in ovali connessi. Sopra, tra due trofei di armi persiane, scimitarra, ascia, arco, turcasso, frecce e scudo, con possibile riferimento a esemplari portati in dono dimostrativo a Roma, figura la «* MAGNI SOPHI PERSARVM REGIS EFIGIES.»: ‘Abbâs I, che ha baffoni neri e turbante coronato. A destra è «* ALI GOLI BEK MORDAR. LEGATVS AD SVMMVM PONTIFICEM. di anni 73», con la barba bianca; a sinistra «* D. RVBERTVS SHERLEYNS ANGLIVS COMES et EQVES Aureatus. legatus ad Sum(m)um Pontif.m». Nella piccola scena inferiore, presenti sei cardinali seduti e in piedi un prelato, Paolo V benedice Sherley, ricevuto in udienza pubblica. Posato il proprio turbante con il crocifisso in cima, la testa e la mano sinistra sporgenti dal manto, Sherley si china per il bacio dei piedi. Dietro, sono in ginocchio quattro persone del suo seguito che vestono manto e turbante. Altre stampe sono anonime. Una mostra «IL CONTE DON ROBERTO SCERLEY ÆQVES AVRATO ÍGLESE | Aetatis suae anni. 28. | Jmbasciadore del Ser.mo Re di Persia XA ABBAS. alla S.ta di N. S. P.P. | Paolo. V. intrato in Roma alli 28. de settembre. 1609. Con gra’ sole’nità». Sherley, che stringe la lettera nella mano destra, veste il grande turbante con il crocifisso in cima e a fianco la piuma; un manto ornato di motivi floreali, come l’abito e la giubba, che traversa una sciarpa catenata. Dietro figura in una coppia di vignette «La nobile entrata in Roma». Sfila il corteo, e infine Sherley «In mezo alli S.ri pare’ti del Papa» a cavallo469. Frammenti di una o due stampe recano tre ritratti, ritagliati e incollati. A mezzo busto «XA ABBAS. RE DÍ PERSIA.» giovanile, senza baffi, il turbante con una piuma in cima e fascia pendente. A fianco «ALI GOLI BEK MORDAR. Imbascia | tore del Re di Persia Xa Abbas, alla S.tà di N. S. Papa Paolo. V. intrato in Roma adí 27 di Agosto.1609.» e detto in «Aetatis suae an. 73». Ha barba bianca corta a punta, tunica con sciarpa alla vita e manto ornato da motivi vegetali, il cui lembo egli regge con la mano sinistra, mentre la destra esibisce la lettera. Sotto, a mezzo busto «IL CONTE DON ROBERTO SCERLEY INGLESE», «Aetatis suae anni 28», in giubba, manto e il turbante con il crocifisso in cima; didascalia «Imbasciatore del Ser.mo Re di Persia | XA ABBAS. alla S.tà di N. S. PP. V. | intrato in Roma alli 468 Roma, Gabinetto Nazionale delle Stampe, 34.H.24, inv. 31538, incisione ad acquaforte e bulino (mm 159 × 100); Hermanin 1907: 299, fig. 4; Piemontese 2005a: 404-405 e tav. I. 469 BAR, ms. 1214 [olim S.6.6], f. 75r (mm 250 × 180); Piemontese 2005a: 405 e tav. IV.
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28. de Settebre | 1609 cô soleñità. Grande. | sup.~ lic. Si vendino à Pasquino» La forma xa per šâh «re» è di tradizione spagnola, o trafila portoghese. Gli ampi baffi di ‘Abbâs I sono immancabili nelle sue raffigurazioni fatte da artisti autoctoni470. L’udienza pontificia pubblica di ‘Ali-qoli Beg è mostrata da una stampa che cita l’interprete allora presente, Clemente Ossat Persiano. Sulla destra siedono sette cardinali. Turbante in testa e la lettera regia nella mano destra, ‘Ali-qoli Beg si prosterna per baciare il calzare a Paolo V, che benedice. Francesco da Costa, sebbene giovanile di aspetto, s’identifica con l’europeo inginocchiato a sinistra dell’ambasciatore. Il primo dei quattro in turbante, inginocchiati, può essere il rinominato Camillo Borghese Persiano, che protende la mano sinistra. Didascalia: Modo et ordine dell’Audienza data da N. S. Papa Pa[o]lo Quinto ad ALI Goli Bek Mordar Amb.re mandato da Xa Abbas Re di Persia, alli 30 | d’Agosto 1609. del quale e’ stato interprete Do’ Clemente Osat Persiano. | Sta’pato in Roma a Pasquino con licentia d’ Superiori, appresso Giouanni Orlando.
Se «Don» indica l’epiteto sacerdotale, Clemente Ossat è la persona ritratta in primo piano, a sinistra della sedia gestatoria. Altrimenti è la persona che vi sta sulla destra, di scorcio. Nei documenti da me visti Clemente Ossat non è mai qualificato nobile, cavaliere o reverendo471. Il pittore Giovanni Battista Ricci da Novara utilizzava come fonte l’immagine stampata presso Giovanni Orlando, quando dipinse «nella Libreria in Vaticano» le due Sale Paoline. Esse sono situate presso il Salone Sistino e tre sale contigue che, dipinte da altri artisti (1611-1613), formano l’Archivio Segreto Vaticano, istituito da Paolo V. Il pittore G. B. Ricci «fra gli anni 1610 e 1611» con collaboratori, tra cui Cesare Nebbia, esegue «gli affreschi della Biblioteca detta Paolina», in base a un programma curato da mons. Baldassarre Ansidei, custode della Biblioteca Vaticana. È probabile che Scipione Borghese, come Cardinal bibliotecario (1609-1618), sovrintendesse alla decorazione pittorica delle Sale Paoline della Biblioteca, dove egli è ritratto mentre Paolo V lo nomina Bibliotecario. Le sale affrescate da Ricci e collaboratori sono allestite (1611) per la custodia dei libri manoscritti della Biblioteca. Nella lunetta della parete a fronte si vede «Paolo V col Cardinale Scipione ritratto al naturale che gli siede alla sinistra, con un ambasciator Persiano prostrato a baciargli il piede». L’affresco mostra che «il suddetto 470 BAR, 471 BAR,
ms. 1214, f. 83r; Piemontese 2005a: 405; Bugnini 1981: foto in appendice. ms. 1214, f. 84r (mm 175 × 185); Piemontese 2005a: 405-406, tav. II.
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Pontefice ammesse al bacio de’ piedi il Legato del Re di Persia»472. Quattro cardinali commentano l’evento, conversando ciascuno con il collega a fianco. A sinistra della sedia gestatoria, il cardinale Borghese distoglie lo sguardo verso la Sala, mentre ‘Ali-qoli Beg si trova prostrato dinanzi a lui nel compiere l’atto cerimoniale. Paolo V guarda e benedice Francesco da Costa, quasi moro, e dietro di lui il diplomatico che saluta il pontefice con la mano sinistra aperta, come a segno gestuale di 5, e raffigura Camillo Borghese Persiano. Sottostante epigrafe dipinta: «PAVLVS. V. PONT. MAX. ALI. GOLI. BEK. MORDAR | XA. ABBAS. REGIS. PERSARVM. LEGATVM. AD PEDVM | OSCVLVM. ADMISIT. ANNO. CIÀIÀ C.IX | PONTIFIC. V»473. L’udienza pontificia di ‘Ali-qoli Beg è rappresentata con una scena diversa nella Cappella Paolina Borghesiana, eretta nella basilica S. Maria Maggiore (1605-1611) da Flaminio Ponzio architetto. La Cappella accoglie al centro l’altare della Madonna e sui due lati il monumento funebre di Paolo V e quello di Clemente VIII, a fronte. Le epigrafi oro su marmo lapideo nero ne ricordano le rispettive res gestae474. Conforme il testo epigrafico del monumento funebre, dove è anche citato il cardinale Scipione Borghese, committente dei lavori, l’anonima biografia coeva di Paolo V dice che egli «Porrò inter Catholicorum obsequia longè ab externarum gentium est adoratus; à Congensi ex finibus Aethiopiae, à Voxio ex Japonis, à Persia ex Asia.»475. Sul lato destro di chi guarda il monumento di Paolo V, la lapide riferisce che egli: «CONGI . PERSIDISQVE . REGVM . ET IAPONIORVM | AD . SEDEM . APOSTOLICAM . DE . RE . CHRISTIANA . LEGATOS | HONORIFICENTISSIME . EXCEPIT […]». La frase «honorificentissime excepit» cita l’analoga «exciperetur honorificentissime» dal testo della lettera di Paolo V a re ‘Abbâs I (9 settembre 1609) concernente la missione compiuta dall’ambasciatore ‘Ali-qoli Beg476. La sua udienza figura, in corrispondenza di questa lapide, sul registro alto del monumento (a destra estrema, guardando), dove è sito, inquadrato come una finestra aperta, il bassorilievo marmoreo bianco eseguito dallo scultore Cristoforo Stati, detto Braccianese477. 472 Baglione 1642: 148; Rocca 1719: II, 361; Taja 1750: 457; Chattard 1767: 59; Hess 1967: I, 176-177, 410-411; Redig de Campos 1967: 210-211; Morello – Silvan 1997: 32, 53, 62-65. 473 ICER 6, 130, n° 462; Piemontese 2005a: 406-407 e tav. III. 474 Portelli 1849: 37; Felli 1893: 37; Luciani 1996: 176-177; Koci Montanari 2000: 100. 475 Pauli V Pont. Max. Vita compendio scripta: BAV, Barb. lat. 2670, f. 11v. 476 Piemontese 2005a: 408, 415-416. 477 De Angelis 1621: 206; Dorati 1967; Pietrangeli 1987: 266.
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Oltre ad alcuni anticipi (1614), Stati riceveva (18 agosto e 24 ottobre 1615) pagamenti finali per il bassorilievo «dell’Historia dell’Ambasciarie delli Re di Persia, e Gongo di marmo»478. Nel bassorilievo, alquanto ringiovanito ma barba bianca, ‘Ali-qoli Beg, la mano destra posata sul petto, e la sinistra che regge il lembo del manto, sta piegando la gamba sinistra, per genuflettersi dinanzi a Paolo V. Egli, in sedia gestatoria, tiene già la lettera nella propria mano sinistra. Dietro ‘Ali-qoli Beg, a fianco del cardinale Scipione Borghese, ritratto in secondo piano al centro della scena, attende un secondo ambasciatore, giovane, che veste tunica, manto e il turbante per copricapo. Egli deve quindi rappresentare Robert Sherley, anziché il previsto ambasciatore di Alvaro re del Congo. Sullo sfondo, entra dalla porta della città il corteo di questa altra ambasciata, o quella del Giappone, a cavallo. La scena pittorica del sottarco che sovrasta la scultura di C. Stati conferma che questa concerne in misura essenziale la Persia479. Nella lunetta corrispettiva del sottarco figura La Vittoria di Eraclio sopra Chosroes, affresco di Guido Reni che insieme a quella scultura conforma il settore persiano nella Cappella Paolina Borghesiana (tav. 37)480. Il ciclo pittorico che illustra l’agire diplomatico di Paolo V esalta la Sala Regia del palazzo del Quirinale, per committenza del papa eretta da Carlo Maderno architetto e adibita a sede di ricevimento pontificio delle delegazioni estere. Il portale d’ingresso conduce alla Capella Paolina, tra due lunghe pareti laterali, su cui i pittori Giovanni Lanfranco, Carlo Saraceni, Agostino Tassi e collaboratori affrescano il grande fregio (1616-1617) e in logge finte la serie delle ambasciate prediletta da Paolo V, Congo (1608), Persia (1609), Giappone (1615), con le delegazioni persiane in misura prevalente481. Lo scenario delle due ambasciate di Persia, che Paolo V aveva in udienza pubblica ricevuto nello stesso palazzo, appare ripartito in tre logge, site sulle pareti nord e sud, verso i quattro punti estremi affrescati della Sala Regia, attuale Salone dei Corazzieri. La scena della loggia di Sherley era riprodotta, senza la sua indentificazione, sulla copertina della guida per la visita pubblica al palazzo del Quirinale. Una nuova guida indica le identità dei due Ambasciatori di Persia482. Le avevo segnalate in un mio precedente studio storico (2005). Nell’entrare dal portale, come anche da una porta laterale nelle odier478 Corbo
– Pomponi 1995: 95, 102. 479 Piemontese 2005a: 407-409. 480 Vedi
anche III.8.
481 Briganti 1962: 35-36, tav. 30-31, 42; Hermann-Fiore 1990; Colalucci 1999: 177-190:
181 fig. 9, 183; Del Buono 2006a: 98, 117. 482 Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica 2000; Del Buono 2006b: 6770.
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ne visite pubbliche, figurano per prime, a destra e a sinistra, le due logge dove sono rappresentati gli ambasciatori ‘Ali-qoli Beg e Robert Sherley a fronte. I. ‘Ali-qoli Beg, pittura di A. Tassi, su parete nord (tav. 40a). L’Ambasciatore di Persia autoctono, anziano vispo che ha barba bianca folta e grande turbante, guarda curioso la Sala, dove Paolo V riceveva in sedia gestatoria. Accanto all’ambasciatore sono in turbante tre uomini del seguito, uno giovane turcomanno con occhi dolci e ampie sopracciglia. Il turbante guarnito di tre perle pendenti dal fermaglio come copricapo del giovane discosto ne può distinguere la figura dell’ex diplomatico che, battezzato, assunse il nome Camillo Borghese Persiano. Egli conversa con la terza persona, forse europea o Francesco da Costa in turbante, che ha baffi biondi e alza la mano destra come per un giuramento e il segno gestuale di 5, già visto sopra. II. Robert Sherley, pittura di C. Saraceni su parete sud (tav. 40b). L’Ambasciatore di Persia giovane inglese, viso da adolescente, tiene la lettera stretta nella mano destra e sotto il manto veste la giubba verde traversata da sciarpa rossa e cordonata da alamari oro: un rinvio all’abito di foggia «ungarica» indossato all’ingresso solenne in Roma e citato dal diarista pontificio P. Alaleone. Il turbante di Sherley è ornato di piuma e di due perle pendenti da fermaglio, sostitutive del suo crocifisso. Egli ha al seguito tre uomini, uno o due inglesi, in turbante, inoltre un servo negro483. Nella terza loggia delle delegazioni persiane, pittura di A. Tassi e collaboratori sita sulla parete nord, parte prossima alla Cappella Paolina, ‘AliQoli Beg, barba, baffi e turbante bianchi, si scorge effigiato con fattezza diversa, in secondo piano. Sotto l’arcata egli conversa discosto con un uomo del proprio seguito che porta il turbante colorato, come le altre tre giovani persone vicine. Una guarda estasiata la Sala e due divertite, entusiaste, si sporgono dalla loggia. Qui può implicarsi un ricordo della pia visita di ‘Aliqoli Beg alla basilica vaticana di S. Pietro, la cui facciata compare su un cartiglio adiacente, retto da una coppia di putti. I tre personaggi estatici e vispi figurano, mi pare, i tre persiani ex diplomatici convertiti, battezzati e immigrati in Roma (1601), quindi nella festa riuniti alla nuova delegazione safavide (1609). Nella loggia corrispettiva sita di fronte, sulla parete sud, si distingue un uomo maturo che ha un’aria assorta, la barba nera riccioluta e il turbante per copricapo. In questo personaggio propongo di ravvisare Khogia Safar Azaria, mercante (khogia) armeno di Nuova Giulfa, inviato personale di ‘Abbâs I re di Persia in Europa e a Paolo V, che lo riceve nel luglio 1610. Come aveva già agito a favore di Robert Sherley, Paolo V nomina (16 luglio 483 Piemontese
2005a: 409-410, tav. V-VI.
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1610) il «Dilecto filio Ogia Safer Zulfalino Armeno» Conte dell’Aula Lateranense e del Palazzo Apostolico, e Cavaliere dell’Aurata Militia, insignita dello Speron d’Oro484. Safar Azaria come inviato di re ‘Abbâs I fu in missione anche a Venezia. Per un precedente conflitto politico-ecclesiastico, Paolo V comminò l’interdetto sul territorio della Repubblica di Venezia e la scomunica del suo Senato (17 aprile 1606), ma poi concesse l’assoluzione papale delle censure (21 aprile 1607). La celebrazione monumentale delle ambasciate safavidi di Persia, che Paolo V volle per esporne il ricordo magnifico nella città di Roma, sembrano quindi «a deliberate Papal iconographic reply to the proud, self-celebrating statement» del Senato veneziano, committente del grande affresco (c. 1604) che nel Palazzo Ducale decora la Sala delle Quattro Porte e rappresenta l’incontro tra il Doge e gli inviati di ‘Abbâs I re di Persia485. Questo re mostrava un ossequio verso il cristianesimo e un atteggiamento favorevole all’attività dei missionari cattolici, che speravano di convertire il re di Persia, una cui moglie era cristiana. Come ai tempi del regno ilkhanide e poi turcomanno nel paese, si sperava che la corte e il popolo avrebbero poi imitato il passo regio della conversione. Ciò era una pia illlusione. ‘Abbâs I manifestava rispetto per la Bibbia e il Vangelo che gli erano esibiti e il desiderio di visitare Roma e incontrare il Papa. Ma intanto il re compiva campagne contro la Georgia e la deportazione di Armeni. Il clero sciita era ostile a cristianesimo e missionari. ‘Abbâs I aveva interesse per la presenza dei missionari, siccome coltivava il legame diplomatico con le potenze europee e confidava nell’assistenza militare conforme la strategia dell’alleanza contro il sultanato turco ottomano. Per ripiego, i missionari cercarono di convertire al cattolicesimo gli Armeni, specie in Nuova Giulfa, il sobborgo cristiano della capitale Esfahân486. Paolo V aveva incaricato Robert Sherley di favorire l’evoluzione della Chiesa cattolica di Persia. Sherley si sarà forse visto dipinto nella Sala Regia, o qualcuno gli avrà indicato la sua effige quando egli, di nuovo inviato da re ‘Abbâs I a Paolo V, torna ambasciatore di Persia a Roma (22 luglio-28 agosto 1622). Questa volta Sherley è in compagnia della consorte Theresia Sampsonia. Durante tale soggiorno il pittore Anton Van Dick esegue il ritratto di Sherley in veste di ambasciatore di Persia e il ritratto di Theresia che indossa un sontuoso abito di foggia persiana. La Egremont
484 Piemontese
2005a: 411. 2009b: 229-230, 233, 235. 486 Matthee 2010: 248-255. 485 Rota
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Collection, sita nella Petworth House (West Sussex), conserva i ritratti dei due coniugi487. Il papa successore Gregorio XV Ludovisi riceveva Sherley in una udienza pubblica (domenica 31 luglio) e tre private nel palazzo del Quirinale. Gregorio XV vi concede una udienza anche a Theresia, accompagnata dalla duchessa Eleonora Sforza. Una buona proposizione era la visita di Sherley al Convento di S. Maria della Scala, base romana dei Carmelitani Scalzi missionari in Persia. Sherley rivede il cardinale Scipione Borghese, che Paolo V aveva nominato protettore della Chiesa cattolica di Persia. Un codice adespoto presenta le numerose funzioni che Scipione Borghese continuava a svolgere dopo il pontificato di Paolo V. Il codice reca questa interessante pagina, intitolata Persia, e sua christianità: I Christiani del Regno di Persia sono cresciuti notabilmente da pochi anni in qua per zelo, et opera de’ Padri Scalzi, che u’hanno uarie Residenze. Il Regno non ha Protettore appresso la Santa Sede per essere di Re Mahomitano. Ha bene il Rè intelligenza co i Sommi Pontefici, hauendo salutato, et riuerito per mezo di Ambasciatori più uolte la santa memoria di Paulo V. Essendosi domesticata quella natione, manda molti pellegrini a Roma. I Persiani che uengono a Roma sogliono ricorrere alla intercissione particolare dell’Ill.mo Borghese appresso il Sommo Pontefice, come particolari clienti dell’Ecc.ma Casa Borghese per le gratie, e beneficij riceuuti da Paulo V di gloriosa memoria, e che tuttauia ricorrono. L’Ill.mo Borghese dunque è come Protettore di Cattolici Persiani, e promoue i loro interessi appresso il Sommo Pontefice, e soccorre con larghe elemosine alle loro necessità. I Persiani sogliono capitare a S.ta Maria Egittiaca delli Armeni, chè sotto la protetione del istesso Ill.mo.488.
Tale fonte rivela che, durante i pontificati di Paolo V, Gregorio XV e Urbano VIII, oltre messi di Persia e loro seguiti, persiani pellegrini, visitatori, alcuni mercanti e forse qualche profugo venivano di frequente a Roma e vi risiedevano almeno per qualche tempo. Essi, compresi i residenti ex diplomatici che si erano convertiti, formavano una piccola ma non trascurabile comunità cristiana dei persiani di Roma nel XVII secolo. Fioravante Martinelli raccoglieva notizie circa la chiesa armena da Giuseppe Oregio, prefetto del suo archivio. S. Maria Egittiaca: Dall’anno 1566. in qua per concessione di Pio V. è della natione Armena […]. Nel 487 Petrucci
2008: I, 143, fig. col. 206-207; II, 313; III, 557, ill. 189-190. la chiesa degli Armeni, cf. Officio et protettioni dell’Illmo et Rmo Sigr Cardle Borghese (ASV, Fondo Borghese, s. I, 535, f. 22r; 21r-v); Piemontese 2005a: 411-412. 488 Circa
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contiguo ospitio, che v’è, s’alloggiano ordinariamente trenta giorni i Pellegrini Cattolici, che di essa natione vengono a visitare i SS. Luoghi di Roma. […] Vedrete all’Altar maggiore la bella pittura di Andrea Lillio Anconitano, che nel 1602. vi fece fare il Cardinal Cintio Aldobrandino.
Piromas, missionario in Armenia per 25 anni «hà la scienza di cinque, lingue, oltre la natiua, ciè Latina, Turca, Arabica, Persiana & Armena, & ultimamente ha stampato in Vienna vn Opuscolo de fide Chrisianorum ad Regem Persarum»489. Cinzio Aldobrandini, segretario di Stato, curava intorno al 1602 le relazioni diplomatiche pontificie con il regno di Persia490. Piromas era Paolo Piromalli, missionario domenicano in Armenia e Persia, che fu consacrato Archiepiscopus Naxivanensis (4 luglio 1655) nella chiesa di Santa Maria Egiziaca degli Armeni491. Questa chiesa, assegnata da Pio V alla Congregazione Armena (1566), siccome situata nel Tempio della Fortuna virile, fu demolita e la suppellettile trasferita a S. Nicola da Tolentino, la chiesa sita sulla Salita omonima, sede del Collegio Armeno492. Paolo V, con la costituzione Apostolicae servitutis onere (31 luglio 1610), chiese agli ordini regolari di fondare nei loro conventi scuole di lingua, per intento missionario. La chiesa di S. Lorenzo in Lucina, dove sono riposte reliquie di Abdon e Sennen493, divenne la sede di una scuola di lingua persiana, araba, caldea (siriaca), ebraica e greca, a cura dei Chierici Regolari Minori. Gli alunni componevano sermoni in queste lingue e cartelli per mostre di calligrafia nella chiesa. G. B. Raimondi, eminente linguista, era reputato il maestro luminare di questa scuola orientalistica494. Raimondi aveva composto i Rudimenta Grammaticae Linguae Persicae. Bernardino Baldi, grande erudito urbinate, suo discepolo nello studio di questa lingua e dell’araba, redasse una Grammaticae Linguae Persicae. Flaminio Clementino Amerino, chierico regolare minore, alunno di Raimondi, ne riadatta i Rudimenta come Ianua Linguae Persicae esemplata (1614) «in aedibus Sancti Laurentij in Lucina»495. Il giorno dopo il decesso «1614. 14- Febr †
489 Martinelli
1658: 101-102, 107-108, 112. anche II.4. 491 Longo 2007: 55-63. 492 Muñoz 1926; ICER 10, 421-444, n° 671-726. 493 Vedi anche II.1. 494 Piemontese 1993a: 431-432, 449-450; 2007a: 393-394; 2011a: 401-410; Pizzorusso 2009: 255-259. 495 BAV, Vat. pers. 24. 490 Vedi
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Giambattista Raimondo compositore delle stampe di diverse lingue uomo insigne. sep. [: fu sepolto] a S. Lorenzo in Lucina»496. Clemente VIII con la bolla Sacrarum Religionum aveva affidato ai frati Carmelitani Scalzi la chiesa di S. Maria della Scala (20 marzo 1597), che insieme al convento era costruita dall’architetto Ottavio Mascherino in Trastevere (1594-1610), nelle vicinanze di porta Settimiana. Robert Sherley durante il suo primo soggiorno romano (1609) visitò la chiesa e il convento di S. Maria della Scala, avendo un legame solido con i Carmelitani Scalzi. Theresia Sampsonia era figlia di Sanphluf Ismicaon / Sampsuff Iscaon, capitano circasso. Sanplhuf «Latina lingua Sansona sonat». La zia paterna, diventata una moglie di re ‘Abbâs I, portava con sé Theresia quattrenne a crescere nel gineceo regio. Sherley aveva sposato Theresia Sampsonia nel Convento carmelitato di Esfahân, sacerdote officiante il suo priore Juan Tadeo a S. Eliseo (2 febbraio 1608). Durante la seconda missione diplomatica Sherley e la sposa, recatisi a Firenze, erano ricevuti da Maria Magdalena arciduchessa d’Austria e granduchessa di Toscana, in palazzo Pitti (1628). Un poeta scrive allora le Lodi de l’Amazone Circassa, un sonetto che dice: Al guardo rassembrar la Dea de Guido […] / Pregi son di costei Real Fenice, / Che di Persia à i Gran Re’ nodrita in seno / Dall’alto à te dispiega l’Ale […] / A i raggi del tuo sol farsi immortale.
Donna esimia, Theresia appariva «Virgo praestantissima […] speciosissima corporis […] supra aetatem, supra sexum inauditum virilis animi robur: adeò vt omnibus breui stupori esset». Ella conosceva 10 lingue: ingenii porrò faelicitate memorabili, praeter idioma Patrium, seu Circassium, Turcicum quoque, Persicum, Armenum, Indianum, Moscouiticum, Polonum, Anglicum, Italicum & Hispanicum.
Defunto Robert Sherley per malattia (Qazvin, 13 luglio 1628), Theresia Sampsonia emigra e ne cura la traslazione delle spoglie. Ella parte, sosta in Costantinopoli (1629-1632), arriva a Roma e ripone le spoglie dello sposo nella chiesa di S. Maria della Scala (dicembre 1633). Stabilitasi a Trastevere in una dimora vicina al convento, ella vi deposita (21 giugno 1634) il proprio archivio di famiglia, comprendente codici, carte e scritti di Sher-
496 BAV, Vat. lat. 7875, f. 160r; Petrus Aloysius Galletti, Necrologio Romano dal MDC al MDCLXIX, vol. XI.
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ley. Defunta all’età di 79 anni, Theresia Sampsonia riceve sepoltura (1668) accanto allo sposo, dinanzi alla cappella di S. Teresa497. La lastra sepolcrale marmorea, riposta sul pavimento marmoreo della chiesa (1739), dinanzi alla cappella di S. Giacinto, tuttora giace in Urbem e Perside: DOM ROBERTO SHERLEŸO ANGLO NOBILISSIMO COMITI CESAREO EQVITI AVRATO RODVLFI .II. IMPERAT LEGATO AD SCIAABBAM REGEM PERSARVM. EIVSDEM REGIS SECVNDO AD ROMANO PONTH IMPERATO REGES HISPANIAE ANGLIAE POLONIAE MOSCOVIAE MOGORRI ALIOSQVE EVROPAE PRINCIPES INCLITO ORATORI THERESIA SAMPSONIA AMAZONITES SAMPHVFFI CIRCASSIAE PRINCIPIS FILIA VIRO AMATISSIMO ET SIBI POSVIT ILLIVS OSSIBVS SVISQVE LARIBVS IN VRBEM E PERSIDE PIETATIS ERGO TRANSLATIS ANNOS NATA LXXIX MDCLXVIII
Sotto l’epigrafe, al centro della lastra, figura lo stemma di «Sherleÿ», dicitura conforme alla sua firma autografa, tra cinque piccoli stemmi colorati per lato, inoltre quello di Theresia Sampsonia posto nella parte inferiore. Emblema di Robert Sherleÿ: leone d’oro (rampante e coronato) che alza la sciabola, la cui punta è lambita da stella cometa, e chiave d’oro pendente oltre la punta bassa dello scudo. «Nella parete sinistra di un andito che precede la cappella di S. Filippo» nella stessa chiesa era murata la lapide votiva (1753) concernente il munifico legato «AD ORNATVM CORONAE MAIORIS CAPELLAE | NOB. THERESIA SCHERLEY | PRO DECENTIORI SS. SACRAMENTI CVLTV»498. Il sito di S. Maria della Scala è legato al ricordo di numerosi missionari carmelitani in Persia499. Tra loro è Juan Tadeo (Giovanni Taddeo) a S. 497 Petrus a
S. Andrea 1671: 374-384; Lib. II, cap. I. XXII «Vita mirabilis Clarissimae D. Comitisssae Teresiae, Regia Circassiorum Principum Prosapia oriundae, D. Comitis Roberto Syrlei, Persarum Regi ad Summum Pontificem, caeterosque Principes haud semel Oratoris», sub anno 1608-1609; Rossi 1648: 253-263; Cenni storici 1929: 28; Piemontese 2005a: 413. 498 ICER 5, 551, n° 1439. 499 Alveri 1664: II, 322-326; Cenni storici 1929: 46-48, 52-56.
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Eliseo, nativo di Valladolid, che operante in tale paese (1604-1628), inoltre eletto primo vescovo della diocesi di Esfahân (1632), per committenza di re ‘Abbâs I (1616) eseguì una traduzione persiana dello Psalterium, firmata con il nome Pâdri Juvân (Padre Giovanni). Ogni missionario cattolico era chiamato pâdri < it. «padre» in lingua locale500. La biblioteca di S. Maria della Scala conservava alcune opere manoscritte di Ignatius a Jesu (Carlo Leonelli, Sorbolongo, Pesaro, 1596-Roma 1667), missionario carmelitano attivo in Esfahân e Širâz (1629-1642), poi altrove. Egli tradusse la Doctrina Christiana, catechismo del cardinale Roberto Bellarmino, dall’italiano in lingua persiana e da questa in latino. La versione persiana è scandita in trascrizione latina e caratteri arabo-persiani nella colonna mediana. La «Traductio ad Litteram» e la «Traductio ad Sensum» sono recate nelle rispettive colonne destra e sinistra. L’opera era così allestita per la stampa, che però non fu attuata501. Ignatius a Jesu compose il Dictionarium Latino Persicum in caratteri arabo-persiani e trascrizione diacritica latina502. Egli incluse la sezione Artes Ciuitatis Spaan nel proprio Dictionarium categoricum Latino Persicum, composto come un dittico che comprende la grammatica persiana e lo Scrinium Duarum Linguarum Orientalium Scilicet Persicae et Arabicae503. Una copia preparatoria dello Scrinium Linguae Persicae è pervenuta acefala e mancante di una porzione ampia504. Un adespoto vocabolario quadrilingue coevo comprende il curioso lessico italiano/romanesco-persiano Arti di Aspahan in Persia, es., trascrivendo qui in caratteri latini quelli originali arabo-persiani: «Cocchiararo, che fà cocchiare di legno ghâšoq-tarâš», «Scoparolo jârub-band», «Venditor di papauero e d’altre cose, che alterano i sensi et imbriacano keyf-foruš»505. La controversia dottrinale di esponenti cattolici con mullà sciiti costituiva una bibliomachia dove intervenne anche Pietro Della Valle, i cui apporti alla persianistica sono molteplici. Ricordiamo che egli compose poesie in lingua e scrittura persiana, mentre una tendenza poliglotta era in voga a Roma506. Lungimiranti erano gli epigrammi che Della Valle compose in 500 BAV,
Vat. pers. 42; Matthee 2010: 253. ms. S. Maria della Scala 27 (autografo). 502 BAV, Borg. pers. 15 (autografo, redatto in Tripoli di Siria e Monte Libano). 503 BNCR, ms. S. Maria della Scala 42, ff. 36r-144v (ff-2r-3r: dedica autografa datata Roma, convento di S. Maria della Scala 3.V.1665). Codice rilegato (ff. 5-35) con Ignatius a Jesu, Grammatica Linguae Persicae, Propaganda Fide, Romae 1661, libro a stampa. 504 BNCR, ms. Gesuitico 964 (autografo datato 1637); Piemontese 2011a: 412-415. 505 BAV, Borg. pers. 14, ff. 216r-219v; cfr. Artes Ciuitatis Spaan, ff. 161r-168r (a penna) = 88v-89r (a matita). 506 Piemontese 1993a: 450-453. 501 BNCR,
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onore di Hâfez e Sa‘di, i poeti celebri di Širâz, quando egli ne visitò i sepolcri (1° e 10 luglio 1622), descrivendoli nel diario autografo. 1 luglio. La mattina andai a ueder uicino alla Casa doue ero alloggiato pero nel uicinato della Mussalà una Meschita o Cubbet che sta in un gran Giardino adorno di molta fabrica doue è sepolto Chogia Hhafidh Poeta famoso tra Persiani. […] Alla detta sepoltura del poeta Hhafidh io feci li seguenti versi, alludendo a i suoi epigrammi, in ciascun de i quali ha incluso sempre a proposito il suo nome. Ma non gli lasciai quiui scritti perche non paresse a Mori, ch’io Christiano honorassi soverchio la sepoltura d’un infedele. / Hhafidh il gran Poeta in questa tomba / Le ossa caduche; il nome in mille carte / Da lui uergate con mirabil’ arte / Lasciò, che ancor famoso a noi rimbomba. 10 Luglio. Andai a ueder la sepoltura di Sceich Saadi Poeta famoso Persiano, che sta a un miglio o poco piu fuor della città di Sciraz, pur uerso quella parte dou’io stauo alloggiato. È una fabrica grande, cioè una Meschita scoperta in mezzo della quale sta piantato un grand’albero di Cipresso […]. Alla sepoltura di Sceich Saadi io feci gli infrascritti uersi, alludendo al titolo di due delle sue opere, una delle quali si chiama Gulistan cioè Rosaio, e l’altra Bustan, cioè Giardino […]. I uersi dunque ch’io feci son questi: / Ch’il Rosario, e’l Giardin così ben scrisse / Qui nascosto, depose il suo mortale; Ma la fama conseruano immortale / I testi, che compose mentre ei uisse507.
La stagione romana degli studi persianistici, inclusa la traduzione di testi dottrinali, tramontava nella seconda metà del XVII secolo, mentre aumentava la raccolta di codici persiani nella Biblioteca Vaticana e alcuni entravano in quella Barberini. La drammaturgia romana traeva spunto dalle guerre tra Persiani e Turchi per inscenarne confronti delle rispettive potenze monarchiche, toccando tasti di avventure dinastiche anche rispetto a paesi vicini, inoltre la tratta degli schiavi e intrecci convenzionali. La Fortuna per i Capelli, opera regicomica di Giovanni Battista Salvati rappresentata nel Collegio Clementino (1672), ha come protagonista Doraspe principe di Armenia, che «in habito di Mercante Levantino, e sotto nome di Calif» emigrava dal paese, insidiato da marinai e ambasciatori turchi. Doraspe scampa al naufragio provocato dalla flotta del «Rè nemico», vive sconosciuto con il servo Pippa Napolitano nella Media, si trasferisce in Hircania, la vicina regione caspica, dove viene accolto dal re Usuardo e ne sposa la figlia Plautilla «ad onta del Rè de Medi»508. In occasione del Giubileo 1675, si svolse nella chiesa del Gesù, a cura della Congregazione dell’Assunta e con il titolo L’Agnello eucaristico adorato, un «Sacro Teatro» dove figuravano in corteo anche popoli «Greci, 507 BAV,
Ott. lat. 3382, f. 174r-v, 176r. 1671.
508 Salvati
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Affricani, Arabi, Etiopi, Egiziani, Assirij, Giudei, Persiani, Caldei, e tali son dati à conoscere dalla varietà delle vesti, che portano». L’apparato scenografico era allestito da Giovanni Maria Mariani «Architetto di tutta la Machina». Si ricollega a tale apparato e sacra manifestazione teatrale il vasto ciclo scultoreo che adorna l’attico in questa chiesa gesuita, sulla cui volta splende il Trionfo del Nome di Gesù, affresco di G. B. Gaulli. Ai lati delle grandi finestre sono disposte 20 statue in stucco, che rappresentano «la personificazione» dei popoli e paesi dei quattro continenti dove era attiva la Compagnia di Gesù. Sulla seconda finestra della parete a sinistra dell’ingresso nella navata sta la coppia di statue India moghul e Cina. A fronte, sulla seconda finestra della parete destra, sta la coppia di statue, opere attribuite allo scultore Leonardo Retti (1679) e definite Impero Persiano safavide e Popolo ebraico509. Statua sul lato sinistro: la Persia veste il diadema, manto, tunica e calzoni, regge lo scettro nella mano destra e tende il braccio sinistro al cielo, aprendo la mano come in gesto di saluto, mentre ai piedi un putto solleva il coperchio di una coppa. La statua accanto, la Giudea ossia Israele, figura un sommo sacerdote che sostiene la croce e regge la corona di spine, mentre ai piedi un putto tiene una tavola di codice, la Bibbia. Questa finestra istoriata sovrasta la solenne Cappella della Passione. Spicca ancora una volta la rievocazione romana che accosta la Giudea e la Persia. La Compagnia di Gesù mantenne una sua missione, rappresentanza modesta, in Esfahân (1653-1750). Li Cavalieri dell’Iride, torneo cavalleresco promosso dal contestabile Lorenzo Onofrio Colonna e rappresentato nel cortile del palazzo di Cristina di Svezia, sfilava come una mascherata carnevalesca sul Corso (1684). Compare anche «Colcerindo Cavaliero d’Esperia Con diuisa Turchina e Persica», che annuncia: Se dell’empio Macon, che ancor ne preme, / Due son gl’Adoratori, / Per mostrar ch’io non temo i lor furori, / Di TVRCHI, e PERSI insieme / Le tempre fabricai de’ miei colori. / Ed ecco hoggi qui meco / Quasi in trofeo li reco510.
L’Imagine Difesa, dramma sacro di Francesco Maria De Luco Sereni romano (1688), s’ispirava al poema «Gerusalem del gran Torquato Tasso», dove agisce anche «Clorinda Principessa finta Cloarte, Prencipe Persiano». Fidarco annuncia: «Son stato fatto scudier del Principe Cloarte di Persia,
509 Curzietti 2011: 88, 139-140 e fig. 57; 247-250 (testo dell’Argomento Agnello eucaristico adorato, riprodotto dalla stampa di Lazzari Varese, Roma 1675). 510 Cavalieri 1684: 4; Tamburini 1997: 159.
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anch’egli Caualiere Venturiero»511. Nel poema di Tasso, Clorinda «La tigre, che su l’elmo ha per cimiero» / Tutti gli occhi a sé trae, famosa insegna». «Viene or costei da le contrade Perse / Perch’ai Christiani a suo poter resista». «Sovra tutti Clorinda eccelsa appare», «la bella arciera» (Atto II 38, 41; XI 27-28). Clorinda bimba era allevata come guerriera in Ircania, sicché ella usava per cimiero la tigre ircana, per metonimia la sua pelle pregiatissima. L’infanzia di Clorinda parrebbe simile a quella di Enea per la trafila d’Hyrcania, la regione montuosa in Persia caspica512. La Floristena, commedia di Stefano Serangeli (1699). Interlocutori: Tamas Re di Persia, Ismaele suo figliuolo sposo di Floristena & Amante di Almazenia, Floristena figliuola di Vsbegho Re de Tartari, Temir figliuolo di Abimelech Re di «Samarcand» Amante di Floristena, incognito sotto nome di Amet, Almazenia sua Sorella incognita sotto nome di Corimba Schiaua di Tamas, Vlamano Caualiere Persiano confidente di Tamas, Zulippa Vecchia Nudrice di Floristena, Ciribì Paggio di Corte, Iacuppo Napolitano Seruo di Corte. «La Scena si finge nella Città d’Ispahan Reggia di Persia». Dipanati gli intrecci, si scopre che «Sono ambo Figli di Abimelech Re di Samarcand, Almazenia, e Temir»: i rampolli del Nemico del «Sofi», il re di Persia. Comunque si combinano le nozze Floristena-Temir e IsmaeleAlmazenia. (Atto III, scena ultima) Floristena: «Deue in questo punto ogni odio cessare». Iacuppo: «Tò tò, lo Re della Sarabanna! Che Deauolo, fosse dello Roggiero!». Tamas: «Già per caro Amico vi accetto, o Temir; E voi Almazenia, come cara Figlia vi abbraccio. Ma come voi Almazenia? Se corse voce, che nel Caspio Mare perisse, e voi stessa lo confermaste?». Corimba: «Fu mia finzione, o Sire, per fare apparire meno considerabile la mia Schiavitù, acciò il mio Genitore, per la ricuperazione di mia persona non venisse necessitato a sottoporsi alle leggi d’vn Nemico».
Tamas voleva dire Tahmâsp e Ismaele Ismâ‘il513. La Tamarinda, altra commedia di Serangeli (1711). Interlocutori: Albisena Regina Vedova di Persia, Tamarinda sua figlia sotto nome di Delimiro, Baiazet Gran Signore de Turchi, discaciato da Amurat suo fratello, e refuggiato alla Persia, amante di Albisena, e poi di Tamarinda, Orcanoro Rè de Circassi amante di Albisena, Aristeno creduto Zio di Delimiro Aio di Tamarinda, Ciulfa Vecchia Nudrice di Albisena, Cribilla Damigella, 511 De Luco Sereni 1688: 15. 512 Piemontese 2009c: 102-103. 513 Serangeli
1699: 19, 128, 129.
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Marcuffo Schiauo Napolitano seruo di Baiazet. Quando Vsbego era Rè de Tartari di Samarcanda, e Amuratte Gran Signore de Turchi, Arduele Re di Persia, morì in Argia, lasciando vedova Albisena, che sostituì Osmeno a Tamarinda: «il Sofi mio Marito», «già auanzato negli anni, e mal sano» si attendeva un erede maschio al trono. Tamarinda, allevata dalla zia Delimira in Arabia Felice, chiamavasi invero Leonistena, e in fine si discopre figlia unica di Albisena, ed Osmeno venendo riconosciuto per figlio di Orcanoro Signore de Circassi, si confermano frà essi gli Sponsali, terminando l’Opera col Titolo della Tamerinda [sic] ouero La Costante frà le Suenture.
(Atto III, sc. VII) Marcusso [: Marcuffo] passava la sua traversia: «Diraggio, neme mio, me facettero Schiauo li Turchi, e me carrearo in Costantenobbole, alloco po», pocca n’autro mal’ora de Schiauo». (Atto III, sc. XVIII) Albisena cerca ancora di sbrogliare la matassa: Festeggi or donque la Persia per le felici Nozze delle [: della] sua legittima Prencipessa. E ben doueasi col Prencipe Tigraspe, accomunar questo Settro [: Scettro] a Leonistena, mentre sin’ora, come Osmeno, fù riconosciuto per loro Sourano da questi Popoli, e potra dirsi. Quel che è scritto è nel Ciel, forz’è che accada514.
Perselíde, tragedia composta da Pierjacopo Martello (1709), reca: «Ecco il fondamento Istorico preso da i fatti di Roselane posti in luce per Gio. Giacomo Boissardo, e stampati in Francfort l’anno 1596, sul quale si lavora la seguente Favola». Interlocutori: Perselíde figlia di Tacmas Gran Sofì della Persia, Solimano Imperadore de Turchi, Roselane gran Sultana, Mustafo figlio di Solimano non di Roselane, Zeanghire fratello, e figlio di Roselane, Rustano gran Visire, Acomatto Agà dei Giannizzeri, Osmano suo confidente, Zaira confidente di Perselíde. Proemio: Roselane inventò, che innamorato il Giovine Mustafo di Perselíde figlia di Tacmas Gran Sofì della Persia, ne meditasse le nozze nel mentre già erasi in guerra con quel Monarca. Quando la vertà era, che non a sé, ma al fratello suo Zeanghire e figlio di Matrigna avea destinata, ed ottenuta la Principessa,
che era «tranne un po’ di soverchia alterezza, costumatissima ed amorosa». «La Scena è ad una casa di delizie vicino a Tauris». (Atto III, sc. II) Perselíde si risolve: «Io non curo, o Mustafo d’aureo diadema il pondo / Con Zeanghire mi basta tanta parte di Mondo». (Atto III, sc. V) ella morendo, 514 Serangeli
1711: 5, 87, 113-114, 118.
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sposa con Zeanghire, testamenta: «Vivo e morto ti segno: bevesti: ecco io bevo». «Dicasi in Persia, come in Tracia si destine / La corona alle Schiave, lo sprezzo alle Regine»515. Onomastica persiana: Zeanghire Jehângir, Rustano Rustam, Tacmas Tahmâsp. Martello per la tragedia e quanto a Roselane traeva lo spunto da «Rossa, Roxa vel Roxolana Solymani uxor», la sua vita e icona che JeanJacques Boissard incluse tra quelle dei sultani turchi e principi persiani516. Il Selim ovvero la virtù dell’amicizia, commedia di Giovanni Domenico Pioli rappresentata nella Sala Rucellai (1712). Interlocutori: Selim Rè d’Ormuz, Rossana sua moglie Ramisto lor figlio, Osmano Rè di Persia, Calispe figlia di Egeste Rè della Cina, Arbane Prencipe Etiopo Ambasciator di Egeste, Zonaida Principessa del Regio Sangue d’Ormuz, Dalinda Damigella Cinese e Seghettino Servo di Corte. Lo scenario rappresenta il ruolo internazionale del regno marittimo di Hormoz. (Atto II, sc. IV) Selim mette in programma: «Andrò a momenti a presentarmi al Re Perso, e per segno, non di tema, ma di dovere gli addurrò le ragioni, che la mia fede accompagnano; E se si specchia nel giusto vedranne tosto scintillarne il candore». (Atto II, sc. XIII) Seghettino dice: Oh adess che l’hò imparà a sguerrezzar da ste Persiche zenti l’avria voja de far sgrugnon con quel Pappagallo furfant, adess ghe vorria a piar seghettin per el naso, come un Bufalott, de fatt ghe vorria sparar’ un Cannon alla sfilata ntel muso517.
Nello stesso anno questa opera di Pioli, modificata, fu rappresentata con la musica di Francesco Mancini a Napoli, nel teatro di S. Bartolomeo. Bajazette, tragedia di Nimeso Ergatico P.A. della Colonia Renia, Simone Maria Poggi, gesuita sopra citato. Personaggi: Tacmas Re di Persia, Gaborre Consigliere di Tacmas, Ciadarre Secondogenito di Tacmas, Despino Capitano delle Guerre di Tacmas, Ismaello Primogenito di Tacmas, Emiro Confidente di Bajazette creduto Bajazette medesimo, Bajazette Figliuolo di Solimano, creduto Emiro; Ambasciadore di Solimano. Il Coro è in parte di Persiani del Seguito del Re, in parte di Turchi del seguito dell’Ambasciadore. «La Scena si finge in Tauris nel Palagio del Re di Persia». Argomento Istorico: Solimano, istigato da Rosellana, designava alla successione il loro figlio Selino, e uccise Mustaffo e Zangorre, figli avuti dalla moglie Circassa. Il terzo fratello Bajazette fugge presso Tacmas che, minacciato da una spedizione militare ottomana, riconsegna il principe turco, che poi muore. 515 Martello
1709: 49-116. 1596: 204-209. 517 Pioli 1712: 84. 516 Boissard
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Volle anche il medesimo Re di Persia a favore di Ciadarre suo secondogenito escludere dal trono Ismaello suo Primogenito, sotto pretesto che fosse troppo feroce ed inquieto, e però capace d’essere un giorno la mina del Regno. Ma se riuscì a Solimano l’escludere dal Solio i Figli maggiori, e includervi il suo Selino, non riuscì già a Tacmas; perché Ismaello arrestato seppe uscir di prigione, e con l’ajuto de’ molti amici suoi, abbattere il Fratello, che dal Padre era già stato dichiarato erede del Regno.
«Veggansi il Sagredo e gli altri Scrittori delle cose de Turchi nelle vite di Solimano II, e di Selino III». (Atto I, sc. ult.) Coro de’ Persiani: Ahi! Chi sa qual pria di sera / Scoppio, o Persia, udir dovrai, / E qual poi nembo di guai / T’abbia tutta a inondar?
(Atto II, sc. VIII) Bajazette cede: Mia morte il crudo Genitore, acqueti / I suoi timori al Re di Persia, e venda / Tutti alfin paghi e lieti i miei nemici.
(Atto II, sc. ult.) Coro de’ Turchi: Ecco de’ Persi Regi / La sede rinomata. / Qual mole! E di quai fregi / Tutta risplende ornata!
(Atto V, sc. IV) la sede è invasa, eppure Tacmas dice: «Io sono / Il Re». L’Ambasciadore gli risponde: «De’ Persi, è ver, ma non de’ Traci. / E qui a’ Traci non voi, sol’ io comando; / E voi, se a Persi, comandar volete / Di qua fuori n’andate; e allor non solo / Contra di lor, ma contra voi pur anco / Questa Rocca io terrò».
(Atto V, sc. ult.) Ismaello insorto scaccia l’Ambasciadore: «Ma a l’iniquo tuo Rè ratto ne torna; / E dì al crudel, che Bajazette è morto, / Ma ch’io son vivo, e che ben presto in campo / Ragion gli chiederò di questa morte».
In appendice «Avvertimenti necessarj per mettere in Teatro il Bajazette». I Dei Personaggi «Ismaello è la parte principalissima». II Del Vestiario «Tutti i Personaggi di quest’opera debbono vestire alla Persiana […] il solo Ambasciadore con suo seguito dee vestire alla Turchesca». III Delle Comparse. IV Dei suoni. V Degli arnesi necessarj. VI Della Scena. VII Sceneggiamento518. 518 BNCR,
ms. Gesuitico 5 (prima metà del XVIII secolo), ff. 76; 71r-76v (Avvertimenti).
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Questa opera di Poggi s’identifica con Il Bajazette, tragedia rappresentata nel teatro del Seminario Romano (1761), il cui breve programma pubblicato elenca l’argomento e i personaggi, che in sostanza sono i medesimi, gli intermezzi e i nomi dei recitanti, convittori delle camere grandi, senza indicare il nome dell’autore, per consuetudine allora corrente, o anche perché il testo veniva adattato nell’occasione519. La Crudeltà di Solimano, tragicommedia di Gregorio Mancinelli romano recitata nel teatro di Tor di Nona (1772). Interlocutori: Artabano Rè d’Ormus, Rossana sua Moglie, Ramisto loro Figlio, Solimano Imperator’ de Turchi, Calispe Figlia di Egeste Rè della Cina promessa Sposa à Solimano ed amante di Ramisto, Arbane Ambasciatore Etiope, Don’ Polipodio uomo ignorante, e servo di corte, e Padre di Colombina, Colombina semplice amante di Pulcinella, Pulcinella Cacciator’ di Corte, Corallina sua Pupilla, Bruscotto che nasce, e s’innamora di Colombina. Scena in Ormus e rappresentazione del ruolo internazionale che aveva il regno di Hormoz, dove il commediografo inserisce Colombina, Pulcinella e compagnia bella. Ramisto rapisce Calispe, da Artabano promessa sposa a Solimano, che vuole mettere a fuoco e fiamme la città. Il suo esercito e l’alleato Moro sono battuti da Ramisto, che viene coronato re e ascende al trono con Calispe520. Il Sofì Tradito, ballo diretto da Onorato Viganò, era rappresentato nel teatro di Torre Argentina (1777) come intermezzo di una replica di Artaserse, il dramma di Metastasio per musica521. Papa Benedetto XIV Lambertini inviò (1742) una lettera al nuovo re di Persia, succeduto al tracollo del regno safavide, ma a causa di turbolenze politiche interne, le relazioni bilaterali e le missioni cattoliche scemarono sino alla fine del XVIII secolo. Una nuova epoca nel paese cominciava con l’ascesa della dinastia e tribù turcomanna Qâgiâr, che elesse Teheran a città capitale (1792). Leopoldo Sebastiani, erudito sacerdote romano, biblista, grecista e persianista, fu Prefetto delle Missioni in Persia su nomina di Propaganda Fide (1803-1814). Egli svolse sul campo azione filobritannica e antinapoleonica, tradusse il Vangelo dal greco in persiano, pubblicato in Calcutta, e collaborò con la British and Foreign Biblical Society. Sebastiani, che confidava nella comprensione di papa Pio VII Chiaramonti, dopo molte traversie tornò da Londra a Roma (1819) provvisto di una bella lettera di raccomandazione di Lord Castlereagh, ministro britannico degli Affari Esteri, al cardinale Ercole Consalvi, Segretario di Stato pontificio522. 519 Seminario
Romano 1761. 1772. 521 Metastasio 1777: 9 (annuncio e nomi dei figuranti); Rinaldi 1978: I, 215. 522 Piemontese 2011b. 520 Mancinelli
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Come anche le opere letterarie italiane di tematica persiana, lo scenario teatrale romano, allentando il legame con il tradizionale repertorio autoctono, se ne allontanava e, incline verso l’esotismo transalpino, divagava in India moghul e sul contrasto fra Persiani e Tartari. Semira Regina di Cambaja, dramma di Filippo Tarducci romano, posto in musica da Vittorio Trento e rappresentato nel teatro di Torre Argentina (1805), ripescava Gianguir, dramma di Apostolo Zeno rappresentato con la musica di Antonio Caldara per Carlo VI Imperadore de’ Romani nella Corte di Vienna (1724) e poi altrove. Giahângir (pers. «il prenditore del mondo») era il re moghul d’India (1605-1627). «La Scena si finge in Agra capitale». Gianguir Imperatore del Mogol aveva in seconde nozze la moglie Zama «femina Persiana di vilissima condizione», sorella di Asaf favorito di Gianguir e madre di Cleofilde Figliastra di Gianguir. Ciò siccome (Atto I, sc. VI) Gianguir annuncia: «Del Persa debellato / Ecco, o popolo fido / Le spoglie, ed i trofei: del nostro Impero / Oppresso ogni nemico e trema, e tace; / Frutto di mie vittorie è alfin la pace»523. Amazilda, dramma adespoto, posto in musica da Giuseppe Curcio e rappresentato nel teatro di Torre Argentina (1809). Attori: Amazilda figlia di Gonzalo, il più grande, e possente fra i Sciti, promessa isposa a Azmoro [: Zamoro] re della Scizia, Adismano figlio di Tammar, già re di Persia, Tammar padre di Adismano già re di Persia, Emira dama di Scizia, amica d’Amazilda, Gonzalo grande de’ Sciti. Cori: Soldati Sciti, Soldati Persiani, Ministri della Scizia, Ministri della Persia, etc. Argomento: Adismano con il vecchio Tammar muove guerra contro gli Sciti e sconfigge Zamoro, creduto morto sul campo, per cui Amazilda «finger dovette di cedere […] alle minaccie dell’innamorato vincitore. Era per compiersi il rito sagro, appunto, allorché ricomparve Zamoro», che «la rapì alle nozze del Persiano», che poi lo libera, grazia e reintegra sul trono. La Scena è nella città di Kastrakan Capitale della Scizia, e nelle sue adiacenze.
(Atto II, sc. III) Adismano pacifica Zamoro: Siam nati al Regno: Fuggan gl’odj, ed uno / L’alrro [: altro] stringa al suo seno; Onde amicizia / In fra di noi ne venga / E d’entrambi il poter saldo sostenga524.
Macbet Sultano di Dely, ballo di carattere inventato da Gaetano Gioja e rappresentato nel teatro di Torre Argentina (1811). Personaggi Persiani: Macbet destinato sposo di Zama ed amante di Zulima, amante corrisposta 523 Tarducci 524 Amazilda
1805: 15. 1809: 31; Rinaldi 1978: I, 397-398.
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di Osmano comandante dell’armi, Malech Confidente di Macbet ed occulto amante di Zulima, Zamur altro Confidente; Tartari: Candor Principe assoluto («di una parte della Tartaria»), padre di Zama destinata sposa di Macbet. «L’azione si rappresenta nella Persia di Dely». Questo Macbet Sultano di Persia, invaghitosi di Zulima, cercava di sopprimerne l’amante Osmano e di scindere il legame di Zama, ma «gli andò fallito il colpo, Egli stesso rimase ucciso, ed Osmano successe nel di lui Trono»525. Tam il Feroce o siano i Tartari in Ispahan, ballo tragico composto da Giacomo Piglia e rappresentato nel teatro di Apollo, ex teatro Tor di Nona (1832). Attori: Idalila Regina d’Ispahan, Zoraid suo Sposo, Tam il Feroce, conquistatore Tartaro, Solima sua Sposa, Aben Generale de’ Tartari, Omir Confidente di Zoraid, Tangur, Persiano Custode delle Carceri. Schiave Persiane, Ufficiali e Soldati Persiani. Ufficiali e Soldati Tartari. Banda Militare dei Tartari. «La Scena è in Ispahan», invasa e conquistata da Tam, che ripudia Solima e pretende di sposare Idalila, fedele a Zoraid, per cui «si stabilisce una memoranda vendetta». Tam tenta di sforzare in carcere Idalila, che lo uccide ma concede «perdono all’Orda dei Tartari». La Persia, o almeno Ispahan, è salva526. Aidêa, ballo composto da Ferdinando Pratesi e con la musica di Costantino Dell’Argine rappresentato nel teatro Argentina (1868), ha tra i personaggi alcuni Persiani e Un Principe Persiano che in una città d’Oriente compra schiavo Aroldo, figlio del Conte Koliuski e amante di Aidêa, figlia di Lambro corsaro. Il principe s’invaghisce di Aidêa, ma commosso dai due supplicanti, libera senza il riscatto Aroldo e li sposa527. Si esauriva tale immaginario scenico in recite teatrali e musicali, assai divaganti dalla realtà politica che concerneva la Persia coeva e le sue relazioni diplomatiche con i regni d’Europa, tra cui in Italia il Papato di Roma, il Regno delle Due Sicilie e il Regno di Piemonte e Sardegna. Vittorio Emanuele II ricevette in Torino Nâseroddin re Qâgiâr di Persia (1873), che durante la sua prima trasferta in Europa compiva il viaggio ufficiale nel Regno d’Italia. Agostino Zeno compose una «Parodia della visita in pompa magna dello scià di Persia», la cui «scena ha luogo in un piccolo Villaggio in prossimità di una Stazione di Ferrovia nel Regno d’Italia». Discorso del sindaco: «Lo Scià, lo Scià di Persia, qui in mezzo a noi sen viene / […] noi fortunati siamo / Se in mezzo a noi lo Scià di Persia abbiamo»528. Re Nâseroddin percorse buona parte d’Italia in treno, senza visitare 525 Gioja
1811. 1832. 527 Pratesi 1868; Rinaldi 1978: II, 1033. 528 Zeno 1873. 526 Piglia
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Roma tuttavia, per complicazioni di protocollo conseguenti alla recente conquista sabauda del Palazzo del Quirinale (20 settembre 1870). Papa Pio IX Mastai Ferretti ripristinò la corrispondenza epistolare pontificia con la monarchia di Persia, impersonata dal re Nâseroddin (1874). Papa Leone XIII Pecci, successore di Pio IX, consolidò i rapporti diplomatici con questo re di Persia che, imitato dai suoi successori nella dinastia Qâgiâr, interpellava il Papa di Roma con il deferente epiteto Hazrat-e Masihâ kheslat «Maestà Messianica». In risposta a una lettera di re Nâseroddin (1893), Leone XIII definì amiciae nexus la mutua relazione diplomatica e corrispondenza epistolare529. In anno VI del pontificato di Leone XIII (1883), il pittore romano Ludovico Seitz dipinse un’allegoria del confronto tra le scritture cristiane, ebraiche, ereticali e islamiche nella Galleria vaticana dei Candelabri, al centro della volta della sala IV, detta di S. Tommaso d’Aquino. Egli in tale simposio figurativo difende la verità della rivelazione cristiana e la fede cattolica contro gli errori teologici e le negazioni filosofiche, personificati «negli arabi Avicenna e Averroè, negli ebrei Avicebron e Mosè Maimonide, e negli eretici Berengario di Tours e Guglielmo di Sant’Amore». Rispetto al sommo Aquinate, Avicenna «è in atto di torcere lo sguardo dalle opere del Santo, e di tenersi, benché vinto, abbrancato a’ suoi scritti che ha in mano»530. Avicenna: Ibn Sînâ, il grande medico e filosofo arabografo di origine iranica (Afshâna, presso Bukhara, 980-Hamadân 1037), autore di alcuni scritti in lingua persiana, vissuto in Persia e infine operante nella città di Hamadân, dove sta il suo mausoleo e anche il cosiddetto sepolcro di Esther e Mordechay531. Verso il declino del XIX secolo l’esotismo teatrale toccava un tasto esoterico di referenza orientalistica. Eblys, ballo fantastico composto da Antonio Pallerini, musicato da Romualdo Marenco e rappresentato nel teatro Apollo (8 gennaio 1881), aveva come personaggi: Cobad Re di Persia, Darina e Cosroe suoi figli, Archimago e sommo Sacerdote del Sole, Valas cognato e favorito del Re, Gesir suo figlio, Gad, Adgari e Aram Contadini, Oromase Dio del Sole, Arimane Dio delle Tenebre, Vairak Ministro di Arimane, Eblys Genio delle Tenebre. Magi, Satrapi, Guerrieri persiani, Assiri, Medi etc. «L’azione si finge in Persia nel secolo 6». Arimane mandava la bella Eblys a Persepoli per sedurre Gesir e istigarlo a uccidere Cobad, che aveva adottato il culto di Oromase. (Atto III) Piazza del Tempio del Sole a Persepoli 529 Piemontese
2007b. 1889: 7, 9; Senes 1891: 40-41. 531 Vedi anche III.4. 530 Milanese
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Si assiste alla marcia dei popoli riuniti sotto il glorioso scettro di Cobad, i quali festevolmente si raccolgono per portare doni al Tempio, e lo stesso gran Re viene in mezzo a splendido corteggio per porgere i suoi presenti a Oromase.
Gesir riceve il pugnale da Arimane, cui giura fedeltà. Ma, fallito l’attentato regicidio, Eblys era ingoiata negli abissi532. Oromase Ohrmazd, Arimane Ahriman, Cobad Qobâd. Eblys, ar. Iblîs, pers. Eblis, equivalente di Ahriman. Herat, poema lirico composto e musicato da Antonio Leonardi (1890), si svolge con un Prologo in cielo e due atti. Personaggi: Sinda ninfa, Salm sacerdote, Ferdun re persiano, Deria regina, Herat angelo. Scene: la valle ubertosa d’Iran «che scende fino al mare», Tempio Persiano, Giardini nella corte del re, e Palazzo reale. Herat, angelo e messo divino sulla terra, s’innamora di Sinda e viene maledetto. Poi è il «bel cavaliere de l’indica spada», e Deria se ne invaghisce. Ferdun, che in sogno si era visto morso dal serpente, sorprende i due amanti, ma Herat uccide il re e sposa Deria. Sinda si affoga nel fiume. Salm, sacerdote e mago, invocava: «Mitra, con mille lance e mille folgori / gl’immondi devi abbatti!». Herat cantava: «L’angelo più felice, l’inviato / custode a’ regi talami, la morte / fra gli uomini portò; de’ suoi fulgori / l’aureola ha spento»533. Herat < Haurvatât, un arcangelo in dottrina zoroastriana, connesso a una leggenda giudaica degli angeli decaduti. Sinda: pers. Sind, India occidentale / Zinda / zendé «viva». Deria: Daria o Daryâ «Mare, Fiume»; devi, sing. devo < pers. dêv / div «demone». Ferdun: Feridun re mitico e per eccellenza giusto nel poema epico-romanzesco di Ferdousí, che dice: Feridun–e farrox ferešté nabud ~ ze mošk o ze ‘ambar serešté nabud / be dâd o dâheš yâft ân nikuyi ~ to dâd o dâheš kon Feridun to-yi «Feridun fausto non era un angelo, natura di mosco e ambra non era. / Con il dato e dare trovò la bontà. Tu attua il dato e dare: Feridun sei tu». Infine conviene rilevare alcuni segni persici che sono tracciati nel paesaggio di Roma moderna. Via Ciro il Grande, fondatore del regno achemenide di Persia, percorre una zona centrale del quartiere EUR. In Villa Borghese, oltre gli spazi verdi che ospitano monumenti di poeti e scrittori esteri, sul ciglio prospiciente Valle Giulia e la Galleria Nazionale di Arte Moderna, si apre Piazzale Ferdowsi. Abu’l-Qâsem Ferdousí «il Paradisiaco» di Tus che narra nel grande poema epico-romanzesco persiano Šâhnâmé «Il Re» o «Codice Regio» (c. 994-1010), i primordi mitici, i fasti leg-
532 Pallerini 533 Leonardi
1881; Cametti 1938: II, 576. 1890: 11, 23.
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gendari dei re e le gesta degli eroi d’Iran antico, tranne Achemenidi e Parthi Arsacidi, sino al regno dei Sasanidi e alla sua caduta. In quel piazzale di Villa Borghese è posta la statua del poeta che, sedente su una roccia, veste turbante, giubba, brache e mantello, tende la mano destra, declama a mente e tiene il suo libro sulla gamba sinistra. L’opera è firmata e datata in caratteri arabo-persiani dallo scultore iraniano, in trascrizione «Abu’l-Mohsen Sadiqi | Rom 1337» (anno persiano solare dell’Egira): Roma 1958. L’epigrafe bilingue sul basamento, trascrivendo tali caratteri, recita: Abu’l-Qâsem Ferdousi soxan-sarâ-ye melli-e Irân | FERDOVSI | 323-416 H. Q. 935-1025 A D | POETA NAZIONALE PERSIANO | DONO DELLA CITTÀ DI TEHERAN ALLA CITTÀ DI ROMA.
Sul lato destro del piedistallo sono incisi tre distici del poema in caratteri rossi ora sbiaditi e deteriorati, che sono leggibili meglio con una scorsa al poema: Negah kon ke dânâ-ye Irân çe goft ~ be-d-ângah ke beg(o)šâd e râz az nehoft | Honar bâyad o gouhar-e nâm edâr ~ xerad yâr o farhang e âmuzegâr | Ço in çâr e gouhar be-jây âvari ~ be-mardi jahân zir-e pây âvari.
Il primo distico replica una frase detta dall’eroe Esfandyâr dinanzi al corpo del fratello ucciso in battaglia, nella sezione del poema che narra il regno di Goštâsp. Gli altri due distici replicano una frase detta dall’eroe Rostam al figlio Farâmarz, in una sezione anteriore del poema che riguarda la gesta di Siyâvaš, il principe sventurato. Sul lato sinistro è del piedistallo è incisa la traduzione, ora sbiadita, deteriorata e leggibile meglio con una scorsa al libro da cui è tratta: VEDI CHE DISSE MAI D’IRANIA IL SAGGIO | QUANDO EGLI APRIA L’ALTISSIMO SECRETO | DA L’INTIMO DEL COR - - - | CHI BRAMA SOLLEVAR FRA GLI ALTRI TUTTI | LA FRONTE SUA SAGGEZZA INCLITA STIRPE || VANTI PRUDENZA E INTENDIMENTO | QUALE MAESTRO SUO S’EI RECA INNANZI | QUESTE CHE QUATTRO SON DOTI PRECLARE | TUTTA AL SUO PIÉ QUEST’AMPIA TERRA | DOMA VEDRÀ DEL SUO VALOR.
I curatori del monumento hanno omesso di citarvi come invece meritava il nome del traduttore: Italo Pizzi, che recò in endecasillabi il poema, siccome esso è strutturato da versi endecasillabi a rima baciata534. Nell’al534 Firdusi
1886-1888: II, 338, v. 186.
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tro canto verde dello stesso piazzale, presso il ciglio di Via Omero, sta il monumento dello scrittore polacco Henryck Sienkiewicz, che per titolo del suo romanzo espone il cartiglio bronzeo inscritto «QUO VADIS DOMINE». In Viale Madama Letizia, vicino al medesimo piazzale, pare incerto dove vada, quanto consapevole di storia della letteratura mondiale, il Comune di Roma che accoglie la sontuosa statua bronzea inscritta «POETA AZERBAIGIANO | NIZAMI GANJAVI | 1141-1209», «Dono della Repubblica dell’Azerbaigian alla città di Roma 20 Aprile 2012» e «Opera di Salhab Mammadov, Ali Ibadullayev» scultori. Questo monumento fu allora lì inagurato alla presenza della consorte del Presidente della Repubblica d’Azerbaigian, limitrofa della regione Azerbaigian in Repubblica Islamica d’Iran, che ha quindi sollevato rimostranze nazionalistiche presso varie sedi. Nizami di Gangia, autore di una famosa pentalogia narrativa (Khamsé), figura tra i massimi poeti di espressione letteraria persiana. Alla sua epoca Gangia era la città di Arrân (antica Albania), regione di Transcaucasia orientale unita all’Azerbaigian dai turchi Ildigizidi. «The two rivers bounding the province of Arrân, which the Greeks knew as the Araxes and the Cyrus», sono l’Arasse, che sorge in Armenia occidentale, e il Kur, che «rises in the mountains west of Tiflîs in Georgia»535. La delicata dicitura Golfo Persico, limes geopolitico molte volte conteso nella storia del Medio Oriente, si osserva anche dentro la piccola chiesa di S. Silvestro papa e di S. Dorotea vergine, sita tra Ponte Sisto e Porta Settimiana in Trastevere. Presso il presbiterio è murata la lapide commemorativa della visita pastorale compiuta da papa Giovanni Paolo II Wojtyla: DOMENICA 17 FEBBRAIO 1991, PRIMA DI QUARESIMA, | GIOVANNI PAOLO II | IN QVESTA CHIESA DI SANTA DOROTEA A PORTA SETTIMIANA | COMPIVA LA VISITA PASTORALE ACCOLTO DAL PRO VICARIO | CAMILLO RVINI, | DAL PARROCO SEBASTIANO BOTTICELLA, | E DA UNA COMVNITÀ IN FESTA. | AL MONDO SCOSSO PER LA GVERRA NEL GOLFO PERSICO | IL PAPA RICORDAVA: | «LA PACE È SEMPRE OPERA DELLA GIUSTIZIA, | MA È ANCHE FRUTTO DELLA CARITÀ, DELL’AMORE …» | NEL TERZO ANNIVERSARIO DELLA VISITA | I FRATI MINORI CONVENTVALI | A PERENNE MEMORIA POSERO. | Inc. ITALO CAN. CARDARELLI 17 FEBBRAIO 1994.
10. Prospetto In esito, la ricognizione che si è compiuta documenta come Roma manifesta una memoria vivida della Persia antica, paleocristiana, medievale 535
Le Strange 1904: 178-179.
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e moderna. Ne rievoca molte vicende e importanti persone storiche, alcune leggendarie, altre sceniche, in varie forme e dimensioni espressive, tra monumenti e siti antichi, epigrafi e lapidi, chiese adorne, palazzi istoriati, pitture rappresentative, manoscritti illustrati, richiami a fonti classiche e testi biblici, inoltre poemi e numerosi spettacoli teatrali, drammi per musica e canti di oratorio. Il nastro romano che reca i segni di tematiche persiane emerge nel II secolo a.C, si dipana nelle epoche repubblicana e imperiale seguenti, poi s’intreccia con il filo cristiano (III secolo d.C.). Il confronto, che concerneva la nemica Parthia arsacide, proseguiva con la Persia sasanide, parimenti ostile, sino alla sua caduta (651). Nel paesaggio urbano, per esempio la maestosa statua di Augusto rinvenuta a Prima Porta, la copia delle sue Res Gestae situata presso l’Ara Pacis e il Mausoleo dello stesso imperatore, e il grande Arco Parthico di Settimio Severo eretto nel settore cruciale del Foro Romano, rappresentano, anche in supplenza di parecchi monumenti analoghi scomparsi, il semimillenario confronto con la Persia antica. Il culto mithraista si colloca nell’ambito di tale rapporto conflittuale. Nel contempo la linea paleocristiana, che presenta qualche segno persico nelle pitture dei Tre Magi, istituiva nella città il culto di santi di origine persiana che si sviluppa durante le epoche successive. Per motivi diversi tale nastro tocca anche il Pantheon, la basilica di S. Maria Maggiore, il Laterano, il Sancta Sanctorum, la vicina basilica di S. Croce in Gerusalemme, la basilica di S. Marco presso il Campidoglio, il Gianicolo, la chiesa di S. Maria del Popolo, Monte Mario e il sito delle Acque Salvie accanto alle Tre Fontane, santuario martiriale di S. Paolo. Una nuova epoca cominciava con le relazioni diplomatiche tra Roma e Persia fondate su un legame di amicizia (1263), che si rinsalda come alleanza contro il comune nemico turco-ottomano (1458). Il rinascimento della città romana induce la progressiva rievocazione monumentale e letteraria della Persia antica: la Sibilla Persica (che abbiamo riconnesso ai conterranei Tre Magi), Zoroastro, vicende bibliche, Tobia, Giuditta e la Media, Daniele e Ciro, eventi e re achemenidi, Esther e Assuero, le gesta di Alessandro Magno, imprese parthiche, Simone e Giuda apostoli, la battaglia per la riconquista della Croce, re e principi sasanidi. La drammaturgia e la musica, imbastite su argomenti sia profani sia sacri, ricolorano la tematica scenica e sonora, rappresentando la Persia come il paese del regno prestigioso antico e antagonista d’Europa in Asia. Le città di Ecbatana, Persepoli, Susa e Tauris compaiono sovente come scene dei drammi. Intanto alcuni monumenti figurativi esaltano episodi singolari della storia che concerne le relazioni diplomatiche tra Roma pontificia e Persia. La evocazione di soggetti tipici, letterari, figurativi, drammatici
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e musicali viene espressa ancora nel XIX secolo, e continua nel XXI per quanto riguarda il culto dei santi. Parecchie vicende persiane sono ricordate in varie sale del Vaticano, compresa la parte monumentale e museale della Biblioteca Apostolica Vaticana. Risaltano per eccellenza i personaggi figurati da Michelangelo nella Cappella Sistina e da Raffaello nella Stanza della Segnatura. Il palazzo del Quirinale presenta la figura di re Ciro nella Galleria di Alessandro VII, Esther e Assuero nella Quadreria, il dipinto Traiano vincitore dei Parthi e il fregio Alessandro Magno trionfante a Babilonia nella Sala di Ricezione, le ambasciate safavidi a papa Paolo V nelle logge del Salone dei Corazzieri Dunque il nastro romano di referenza persiana figura nei luoghi più rappresentativi della città imperiale e pontificia. Si può dire che Roma prospetta la Persia entro una gamma ricca di riferimenti significativi, tale che pochi altri paesi esteri hanno suscitato al confronto. La Persia istoriata da Roma, l’insieme dei suoi artefici, conforma un variopinto patrimonio di memorie che ha una rilevanza straordinaria nel novero dei grandi tesori storici che la inesauribile Urbe espone e custodisce per beneficio universale.
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
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Tav. 1 – Augusto, statua marmorea già nella villa di Livia ad Gallinas Albas, Musei Vaticani, Braccio Nuovo.
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
Tav. 2a – Arco di Settimio Severo (202-203 d.C.), Foro Romano.
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Tav. 2b – Arco di Settimio Severo, particolare, Foro Romano.
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Tav. 3 – Mithra tauroctono, rilievo marmoreo, Musei Vaticani, Museo Pio-Clementino.
Tav. 4 – Adorazione dei Magi, reperto marmoreo del cimitero di s. Agnese, Musei Vaticani, Museo Pio Cristiano.
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Tav. 5 – Epifania, Basilica di S. Maria Maggiore, Arco trionfale di Efeso (c. 435), copia ad acquerello (Barb. lat. 4405, f. 1r).
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
Tav. 6 – La Stella de’ Magi, Roma, Rev. Camera Apostolica, 1702 (R.G. Misc. B.51, int. 8).
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Tav. 7 – Cristo incorona i santi Abdon e Sennen, Cimitero Ponziano, affresco (V/VI secolo), copia ad acquerello tratta da G. WILPERT, Roma sotterranea. Le pitture delle catacombe romane, Roma 1903, II, tav. 258 (Roma. Folio. 19).
Tav. 8 – Papa Hormisda, effigie (Urb. lat. 4407, f. 64r).
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Tav. 9 – N. Circignani il Pomarancio, Martirio dei santi Mario e congiunti, affresco (1582), Chiesa di S. Stefano Rotondo.
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Tav. 10 – Giacinto Gimignani, I santi Mario e congiunti visitano i carcerati, affresco (1641), Chiesa di S. Carlo ai Catinari, Cappella Filonardi.
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
Tav. 11 – Martirio di s. Anastasio Persiano, affresco, Abbazia di S. Anastasio ad Aquas Salvias, portico, copia di Antonio Eclissi (1630, Barb. lat. 4402, f. 50).
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Tav. 12 – Veduta panoramica di Roma (1457), con il Mons Sancti Spiritus e la chiesa di S. Onofrio sul Gianicolo (Vat. lat. 2224, f. 98r).
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
Tav. 13a – Il Re di Persia prega, affresco (1600), Chiostro di S. Onofrio.
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Tav. 13b – Onofrio posto nel fuoco, affresco (1600), Chiostro di S. Onofrio.
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Tav. 14 – Sibilla Persica, in Filippo Barbieri, Sibyllarum et Prophetarum de Christo Vaticinia, Roma, Giovanni Filippo de Lignamine, 1.XII.1481 (Membr. IV. 29, f. 7r).
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Tav. 15 - Bernardino di Betto il Pintoricchio, Sibilla Persica, affresco (1509-1510), Chiesa di S. Maria del Popolo, Volta del Coro.
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Tav. 16 – Michelangelo, Sibilla Persica, affresco (c. 1509), Vaticano, Cappella Sistina, Volta.
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Tav. 17a – Raffaello, Quattro Sibille, affresco (c. 1510-1511), Chiesa di S. Maria della Pace, Cappella Chigi.
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Tav. 17b – Timoteo Viti, Quattro Profeti, affresco, Chiesa di S. Maria della Pace, Cappella Chigi.
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Tav. 18 – G. Guerra e C. Nebbia, Sibilla Persica, affresco (1588-1589), Biblioteca Vaticana, Sala degli Scrittori.
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Tav. 19 – Zoroastro tra Raffaello e Tolomeo, in Raffaello, La Scuola di Atene, affresco (15081511), Vaticano, Stanza della Segnatura.
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Tav. 20 – Ara funebre di Zoroastro, medaglione a stucco (c. 1517-1519), Vaticano, Logge di Raffaello, galleria della Loggia Decima.
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
Tav. 21a – G. Guerra e C. Nebbia, Daniele e Ciro, affresco (1588-1589), Palazzo Laterano, Sala di Daniele (particolare).
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Tav. 21b – G. Guerra e C. Nebbia, Daniele e Ciro, affresco (1588-1589), Palazzo Laterano, Sala di Daniele (particolare).
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
Tav. 22 – F. Morelli e G. Baglione, Bibliotheca Babylonica, affresco (1588), Biblioteca Vaticana, Salone Sistino.
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Tav. 23 – Ciro Ferri, Ciro libera il popolo d’Israele dalla cattività in Babilonia, affresco (1656), Palazzo del Quirinale, Galleria di Alessandro VI, Sala degli Ambasciatori.
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
Tav. 24 – Pietro Metastasio, Artaserse, Roma, G. Giuliani, 1762 (Stamp. Ferraioli V. 8057, int. 8).
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Tav. 25 – Michelangelo, Storia del supplizio di Aman, affresco (1511), Vaticano, Cappella Sistina, Volta.
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Tav. 26 – Il Popolo di Giuda Liberato dalla Morte per Intercessione della Regina Ester, Roma, Stamperia di Pallade, 1768 (Stamp. Ferraioli IV. 7953, int. 10).
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Tav. 27 – Pietro Gagliardi, Esther, affresco (c. 1868), Chiesa di S. Agostino, navata centrale.
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Tav. 28 – Cesare Mariani, Deliquio di Esther dinanzi ad Assuero, tela (1876), Chiesa di S. Salvatore in Onda, Cappella Cassetta.
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Tav. 29 – Alessandro Magno uccide Dario III, miniatura (c. 1360-1370), Breviario di Martino V (Vat. lat. 1471, f. 251r).
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
Tav. 30 – Pietro da Cortona, La Battaglia tra Alessandro Magno e Dario III, tela (c. 1635), Palazzo dei Conservatori, Sala dei Trionfi.
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TAVOLE
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Tav. 31- Francesco Coghetti, Ingresso trionfale di Alessandro Magno in Babilonia, affresco (1830), Villa Torlonia, disegno di Raffaele Bonajuti (Vat. lat. 14109, f. 81).
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
Tav. 32a – Mattijs Brill, S. Matteo ammansisce i draghi dei magi Zaroes e Arphaxat in Etiopia, affresco (c. 1577-1582), Vaticano, Torre dei Venti, Sala degli Apostoli.
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TAVOLE
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Tav. 32b – Mattijs Brill, I draghi assaltano Zaroes e Arphaxat mentre S. Simone benedice un oratore convertito, affresco (c. 1577-1582), Torre dei Venti, Sala degli Apostoli.
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
Tav. 32c – Mattijs Brill, S. Simone impedisce a Varardach d’immolare sulla pira i sacerdoti pagani, affresco (c. 1577-1582), Torre dei Venti, Sala degli Apostoli.
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Tav. 33 – Orazio Gentileschi (attr.), I santi apostoli Simone e Giuda battezzano il re parthico e il suo generale, affresco (c. 1611), Chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini, Cappella Firenzuola.
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
Tav. 34 – [Guido Eustachio Luccarelli], Vologeso re de’ Parti, Roma, A. de’ Rossi, 1739 (Stamp. Ferraioli V. 8118, int. 5).
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Tav. 35 – Antoniozzo Aquili Romano, Leggenda della Vera Croce, affresco (c. 1492-1496), Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, abside.
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Tav. 36 – N. Circignani il Pomarancio, La Battaglia del Ponte, Duello di Eraclio e Cosroe, affresco (c. 1578-1583), Oratorio dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso di S. Marcello.
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
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Tav. 37 – Mausoleo di Papa Paolo V Borghese, Basilica di Santa Maria Maggiore, Cappella Paolina Borghesiana.
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
Tav. 38a – Antonio Vanosino, Regno di Persia, affresco (c. 1582-1585), Vaticano, Loggia della Cosmografia.
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TAVOLE
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Tav. 38b – Antonio Vanosino, Regno di Persia, affresco, particolare (c. 1582-1585), Vaticano, Loggia della Cosmografia. Planisfero.
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
Tav. 39 – Antonio Viviani, Concilium Lugdunense II, affresco (c. 1588-1589), Musei Vaticani, Galleria della Biblioteca Vaticana, Sala dei Concili.
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TAVOLE
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Tav. 40a – Agostino Tassi, ‘Ali-qoli Beg ambasciatore di Persia, affresco (1616), Palazzo del Quirinale, Salone dei Corazzieri.
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LA PERSIA ISTORIATA IN ROMA
Tav. 40b – Carlo Saraceni, Robert Sherley ambasciatore di Persia, affresco (1616), Palazzo del Quirinale, Salone dei Corazzieri.
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indice delle fonti manoscritte Città del Vaticano, Archivio Segreto Vati cano A.A., Arm. I-XVIII, 773: 294 A.A., Arm. I-XVIII, 1802 (2): 286 Arm. XLIV, 19: 294 Carte Borghese, 55: 122 Fondo Borghese, s. I, 535: 304 Fondo Gerolamini (b. Pietro da Pisa), 65: 131-132 Fondo Gerolamini (b. Pietro da Pisa), 124: 134 – Biblioteca Apostolica Vaticana Arch. Cap. S. Pietro A4: 60 Barb. lat. 2016: 246 Barb. lat. 2670: 300 Barb. lat. 2732: 52 Barb. lat. 2984: 69 Barb. lat. 3776: 213 Barb. lat. 3804: 213 Barb. lat. 3862: 213 Barb. lat. 4065: 58 Barb. lat. 4135: 297 Barb. lat. 4402: 107, 390 Barb. lat. 4404: 224 Barb. lat. 4405: 51, 385 Barb. lat. 4408: 53 Barb. lat. 9071: 53 Bonc. K 23: 151 Borgh. 356: 233 Borg. pers. 14: 308 Borg. pers. 15: 308 Borg. pers. 19: 289 Chig. H.II.22: 114, 214 Chig. H.2.40: 179 Chig. J.V.167: 91 Chig. O.IV.58: 178 Ott. lat. 120: 62 Ott. lat.1305: 292 Ott. lat. 2966: 164 Ott. lat. 3382: 292, 309 Pal. lat. 859: 150 Reg. lat. 430: 150 Reg. lat. 516: 62 Ross. 130: 170 Ross. 1168: 268 Urb. lat. 415: 226
Urb. lat. 1057: 88 Urb. lat. 1707: 75, 179 Urb. lat. 4407: 73, 387 Vat. gr. 866: 61 Vat. gr. 1761: 61 Vat. gr. 1941: 167 Vat. lat. 1189: 62 Vat. lat. 1195: 62 Vat. lat. 1197: 62 Vat. lat. 1328: 287 Vat. lat. 1471: 225, 411 Vat. lat. 2224: 118, 391 Vat. lat. 3536: 69 Vat. lat. 5119: 151 Vat. lat. 5465: 83 Vat. lat. 5844: 109 Vat. lat. 6075: 62 Vat. lat. 7260: 286 Vat. lat. 7875: 306 Vat. lat. 9071: 53 Vat. lat. 1189: 62 Vat. lat. 1195: 62 Vat. lat. 1197: 62 Vat. lat. 10232: 238 Vat. lat. 11904: 69 Vat. lat. 14109: 245, 413 Vat. pers. 4: 128 Vat. pers. 24: 305 Vat. pers. 42: 308 Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana Or. 108: 295 – Biblioteca Riccardiana 1271: 151 Roma, Biblioteca Angelica ms 1214: 299 ms 1870: 206 – Biblioteca Nazionale Centrale Gesuitico 5: 314 Gesuitico 16: 285 Gesuitico 964: 308 S. Maria della Scala 27: 308 S. Maria della Scala 42: 308 S. Martino ai Monti 10: 228 S. Onofrio 95: 124 S. Onofrio 148: 128 S. Onofrio 151: 121
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INDICE DEI NOMI Abachum, Abaco Abbacuc Abaqa, re ilkhanide: 286-287, 296 s. Abbacuc (Habbaquq): 27, 57, 77-80, 82-87, 91, 93-101, 112, 136, 138-139 ‘Abbâs I, re safavide: 109, 128, 250, 296-300 Abbauille, storico: 187 Abda, ‘Abdâ, Abdas: 57-58 Abdias: 247 s. Abdon, Abdos: 27, 57-72, 74-77, 82, 83, 9091, 94, 104-105, 113, 135-139, 305, 387 Abdôn: 57 Abdus, eunuco, 57 Abdvaxš: 78 Aben: 317 Abercio, vescovo di Ierapoli in Frigia: 77 Aberilmo Eginense: 172 Abimelech: 311 Abgaro, Abgarus, re di Edessa: 24, 139 Abido, città: 198-199, 202 Abigail: 222-223 Abissinia: 55 Abra, ancella: 174 Abramo: 143, 161, 173, 180 Abradates, schiavo: 22 Abulites, satrapo: 236 Abydemus, storico: 148 Academia Scientiarum et Artium Croatica: 133 Acarisius: 165 Accademia d’Arcadia: 192 Accademia degli Infecondi: 98 Accademia degli Oziosi: 211 Accademia degli Umoristi: 211 Accademia Platonica: 163 Accademia Poliglotta: 169, 222 Accademia Romana: 120 Accademici Partenii: 53 Accademici Sorgenti: 198 Accaia: 253 Acciarelli, Francesco: 174 Aceti, Tommaso: 218 Acheron: 278 Achille: 246 s. Achilleo: 87-88, 90, 138 Achior, duce: 175 Acomatto Agà: 312
Acrisia, aia: 279-280 Ada, sorella di Artemisia: 204 Adamo: 51, 142, 178-179 Adgari: 318 Adiabene, Adiabeni: 21, 24, 86 Adismano: 316 Adraspe: 251, 255 Adraste: 204 Adrasto: 212, 259, 278 Adriano, imperatore: 23, 60, 83, 226, 260 s. Adriano, Hadrianus: 86-87, 89 Adriano I, papa: 63, 86-87, 90, 104 Adriano IV, papa: 105 Aegidius Romanus: 288 Aegyptus Egitto Aetion, pittore: 227, 232 Affricani: 310 Afghanistan: 210 Africa: 36, 38, 154, 260, 276 Afridun Feridun Agag, stirpe: 216 s. Agapitus martire: 59 s. Agata: 84, 194 Agathias, Agatia: 167-168 Agesilao: 202 Agostino, Augustinus: 40, 117, 151 Agra, città: 316 Agrestius, mithraista: 30 Agrippina: 251-252 Ahasuerus Assuero Ahriman: 28, 30, 123, 319 Ahura Mazda: 38 Aidêa: 317 Alakj: 205 Alaleone, Paolo, diarista: 109, 302 Alama, cavaliere: 205 Alamut, castello: 286 Albani, gente: 266 Albani, Francesco: 233 Albania, antica: 321 Albanio: 182 Albegna, fiume: 104 Alberti, Cherubino: 296 Alberti, Giovanni: 296 Alberti, Leon Battista: 116, 227 Albertina, museo in Wien: 226
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INDICE DEI NOMI
Albinoni, Tommaso: 189, 201 Albisena: 311-312 Alceo: 190 Aldobrandini, Cinzio, cardinale: 122, 128, 305 Aldobrandini, Giuseppe: 203 Aldobrandini, Pietro, cardinale: 232 Aldobrandini, Pietro (Bascia Senex): 297 Alceste, pastore medo: 193 Alciade: 263 Aleppo, città: 267, 288, 293 Alessandria d’Egitto: 14, 36, 164, 231 Alessandro Macedone, re: 10-14, 33, 39, 47, 55, 123, 135, 143, 146, 148-149, 162, 176, 178, 224-246, 289, 322-323, 411-413 Alessandro IV, re macedone: 224 Alessandro Severo, imperatore: 27, 81, 135 Alessandro III, papa: 91, 104-105, 248 Alessandro IV, papa: 86, 90, 92, 105 Alessandro VI, papa: 153, 226, 269, 292 Alessandro VII, papa: 91, 113, 178-179, 214, 323, 405 Alete, battriano: 183 Alexander Polyhistor: 148 Alfano, camerlengo: 91 Alfonso V, re di Aragona: 226 Ali, medico: 182 Alì, schiavo: 198 ‘Ali Pietro Zacchia Aliatte: 188 Alicandro: 235, 257 Alicardo: 256 Alicarnasso, città: 204 ‘Ali-qoli Beg, ambasciatore: 297-302, 425 Allegrini, Francesco: 75, 234 Almazenia: 311 Almidoro: 253-254 Almohadi: 68 Altemps, Pietro, duca di Gallese: 171 Aluante: 236 Alvand, monte: 78 Alvaro, re del Congo: 301 Amadath, padre di Aman: 216 Amadei, Filippo: 56, 217, 279 Aman (Amano, Amanno, Hâmân): 207-209, 211-213, 215-221, 407 Amarini, Osmato: 258 Amastre: 198 Amasya, città: 294 Amati (d’Amato), Vincenzo: 182 Amazaspos, re caspico: 24 Amazilda: 316
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Amazzoni: 195, 234 s. Ambacu Abbacuc Ambakoum Habbaquq America: 130, 264, 268 Amet: 311 Amete: 194 Amida, città: 293 Aminta: 274 Amira: 195-196 Amital Isdraelita: 175 Ammoniti: 175 Amphipolis: 225 Âmu, fiume: 286 Amurat, Amuratte: 311-312 Anacleto II, antipapa: 68, 90 Anâhitâ, dea: 15 Anamasi: 189 Anania: 196 Anasarispa: 186 s. Anastasio (Anastasius Persa): 53, 63, 69, 83, 87, 91, 94, 98, 102-115, 129, 136, 138139, 267, 269, 275, 288, 390 Anastasio, abate: 102 Anastasio I, papa: 63 Anastasio III, papa: 86 Anatolia: 34, 170, 289 s. Anatolia: Natalia Ancona: 292 Ancyra (Ankara): 20 Andersen, Hans Christian: 134 Andrea da Volterra, pittore: 119 Andreozzi, Gaetano: 243, 263 Andromeda: 30 Anfione: 281 Anfossi, Pasquale: 194, 203 Angelelli, Giuseppe: 262 Angelo di Media: 181 Angelo Protettore del Regno Persiano: 181 Angelo Tutelare della Persia: 274 Anglia: 307 Aniceto: 258, 261 Anna, città: 262 Anna, madre di Maria: 51 Anna, madre di Tobia: 172 Anna, profetessa: 51 Annibale: 230 Annunziata, Annunciata: 110-111 Anomimo Mercante in Persia: 292 Ansidei, Baldassarre: 299 Ansidonia, città: 104, 105 Antigene, macedone: 237-238 Antigona, figlia di Edipo: 193
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la persia istoriata in roma
Antigone, lida: 199-200 Antigono, macedone: 245 Antiochia, città: 122-123, 260 Antioco I, re seleucide: 12 Antiope, sacerdotessa: 193 Antistene: 238 Antoniano, Paolo (Rezâ): 128-129 Antoniano, Silvio, cardinale: 129 Antonino Pio, imperatore: 23-24, 67, 178 Antonio da Sangallo il Giovane: 230 Antonio di Pietro dello Schiavo: 108 Antonio I Farnese, duca: 284-285 Anversa, Antverpia: 232, 273-274 Apate, città: 149 Apelle, Apelles: 12-14, 231, 244, 255-256, 258-259 Apollo, Apollon: 29, 193, 201, 244 Apolloni, Giovanni Filippo: 198 Aprahamian, Giuseppe: 222 Aproniano, prefetto: 137 Aq Qoyunlu: 290, 292-293 Aquili, Antoniozzo Romano: 118, 269, 419 Aquilio, tribuno: 260, 265 Aquisgrana, città: 105 Arabi: 43, 123, 234, 310 Arabia: 11, 66, 253, 312 Arabie: 200 Arabissos, città: 267 Arachosia: 55 Aragona: 221, 291 Aram: 318 Aramane: 275 Aran, città: 82 Araspe: 199, 204 Arassa, Arasse, città: 256 Arasse, Araxes, fiume: 176, 221, 252, 321 Arasse, generale: 283 Araya, Francesco: 189 Arbace: 168, 183, 185, 202, 204, 242-243 Arbane: 313, 315 Arbante: 264 Arbate: 259 Arbatte: 186 Arbela, città: 13 Arbre seul / sec: 47 Arcadio, Arcadius, imperatore: 272-273, 279, 281 Archimago: 318 Archimede: 252 Arciconfraternita delle sante Orsola e Cate rina: 91 Arcoleo, Antonio: 252
Arconte: 185 Ardabasdus (Artavasdes): 278 Ardaburio: 280 Ardašir (Artaserse), re parthico: 45-46 Ardaxšîr I, re sasanide: 80-81, 248 Ardaxšir III, re sasanide: 267 Ardeuil (Ardabil), città: 295 Arduele: 312 Aretade Gnidio: 237 Arete: 103 Arfaxad, figlio di Sem: 247 Arfaxad, Arfaxat, re medo: 170, 177, 247 Argentario, monte: 104 Arghun, re ilkhanide: 286 Argìa: 264 Argia, città: 312 Argonte: 256 Ariarate: 200 Ariccia, città: 98 Arideo, Arieo, cavaliere: 199 Ariena Amazone: 181, 188 Ariene: 192-193, 279 Ariman: 123 Arimane: 318-319 Ariobarzane, principe achemenide: 236-237 Ariobarzanes, re di Armenia: 42 Ariobarzanes, re parthico: 20-21 Ariobarzanes II, re parthico: 21 Ariocco, governatore caldeo: 182 Ariodate: 189 Arisba: 192-193 Aristeno: 311 Aristotele: 162-163 Aristotile: 234 Arles-sur-Tech, città: 64 Armelinda: 254 Armeni: 178, 261-263, 270, 303-304 Armenia,: 10, 16, 21, 24, 36, 42, 72, 81, 181, 185-186, 246, 252, 254-255, 258, 261-263, 265-267, 282-283, 289-290, 293, 309, 321 Armilli, Giovanni Battista: 94 Armido: 236 Arnulfus, abate: 64 Aroldo: 317 Arpago: 180, 186-187, 189, 193 Arpalice: 190, 234 Arphaxat, Arfaxar, mago: 247, 249, 414-415 Arrân: 321 Arriano, storico: 225 Arsace: 186, 193, 200-201, 217, 252, 254, 263-264, 281-282 Arsaces, principe parthico: 42
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INDICE DEI NOMI
Arsaces III, re di Armenia: 81 Arsacides: 23 Arsacii: 82 Arsame: 194 Arsames, schiavo: 22 Arsamo: 204 Arsenio: 256 Arsete: 198-199 Arsia, schiava: 22 Arsilla: 256 Arsinoe: 198-199, 254, 262, 265 Artabano: 183, 199-200, 202-203, 205, 253, 315 Artabano, re parthico: 251, 258-259 Artabanus, re parthico: 17 Artabanus III, re parthico: 16, 57 Artabanus IV, re parthico: 16 Artabanus, Artapános, giudeo alessandrino: 39-40 Artabanus, cognato di Nabuchus: 192 Artabasdes, principe parthico: 20 Artacheo: 251 Artamene: 189 Artamissa, città: 256 Artanisba: 259 Artaserse I, Artaxerxes, re achemenide: 143, 170, 198-203, 205-207, 218, 315, 406 Artaserse III, re achemenide: 224 Artaserse, figlio di Dario III: 240 Artaserse, zio di Oronte: 198 Artassata, Artaxata, città: 22, 252, 262, 263, 265 Artauasde: 274 Artavasdes II, re di Media: 21 Artavasdes IV, re di Armenia: 21 Artaxares, re di Adiabene: 21 Artaxes II, re di Armenia: 21 Artaxšêr I, Artaxerses, re sasanide: 27 Artembare: 186 Artemia, figlia di Diocleziano: 72, 136 Artemis Persica: 15 Artemisia: 204-205 Artenice: 282 Artide, assiro: 183 Asaf: 316 Asaph, dux assiro: 192 Asbite: 283 Asderio: 236 Asfene: 194, 196-197 Aspahan (Esfahân): 308 Aspard: 194 Aspasia: 199-200, 203, 205
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Aspertini, Amico: 119 Assarco: 236 Assassini: 286 Assiri, Assyri: 123, 168-169, 173-175, 193, 310, 318 Assiria, Assyria, 11, 59, 169, 187, 191, 195, 293-294 Associazione Sant’Onofrio: 134-135 Assuero, Assuerus (Ahasuerus), re acheme nide: 56, 113, 143, 170, 173, 177, 206-224, 322-323, 410 Astartea: 205 s. Asterius, Asterio: 57, 79 Astiage, re medo: 175, 181-183, 185-191 Astiage, satrapo, principe: 204, 274 Astibisti, palazzo in Tabriz: 265 Astuacatur (Teodoro): 290 Asylum: 28 Atac, Ataco, eunuco: 211, 220-221 Atalo, assiro: 168 s. Atanasio: 114 Atanasio Alessandrino: 43 Atenaide, Attenaide: 279, 282 Atene: 11, 163, 178, 199, 202, 400 Ateniesi: 19, 198 Ati Aty Atossa: 195 Atropatene, Media: 21, 44, 59 Âtur (Fuoco), divinità: 44 Aty, Atys, Ati, figlio di Creso: 187, 189-190, 197 s. Audifax: 27, 57, 77-80, 82-87, 91, 93-101, 112, 136, 138-139 Augusto, Ottaviano, imperatore: 12-14, 1722, 42-43, 67, 145, 322, 381 Aulo Gellio: 204 Aureli, Aurelio: 251 Aureliano, imperatore: 83, 262 Aurelius Bassinus, mithraista: 35 Aurelius Titus, mithraista: 32 Aurelius Victor Augentius, mithraista: 32 Aurelius Zosimion, mithraista: 32 Aurisicchio, Antonio: 219 Austaceni: 45 Avanzino, Santi: 69 Aventi, Francesco: 195 Averno: 129, 284 Averno, lago: 16 Averroè: 318 Avesta: 35, 44, 164, 167 Avicebron: 318 Avicenna: 318
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Avignone: 45, 141 Azaria: 172 Azerbaigian: 45, 321 Azema: 194 Azeuanadur: 290 Azimamet, ambiasciatore: 290 Azmoro: 316 Azora: 205 Azzarro, caldeo: 182 Baal, dio: 177 Babel, Babele: 55 Babelle: 123 Babilonesi, Babiloni: 123, 175, 205 Babilonia, Babylonia: 10, 12, 23-25, 29, 35, 45, 55, 59, 70, 75, 146, 168-169, 175, 179181, 183-184, 188, 192-193, 195, 196, 198, 205, 224, 229, 235, 243-245, 247, 323, 405, 413 Babilonia d’Egitto: 143 Babylonica, Bibliotheca: 177, 404 Bacco: 56 s. Bacchus: 102 Bactriana, Battriana: 59, 169, 183, 224 Bactriani, Battriani: 54, 162, 164, 168-169, 181, 236, 277 Bacu (Bâku), città: 45 Badaxšan, Badakhshân: 210 Baenilia, porto: 104 Bagata, eunuco: 209 Bagattino: 255 Baghdad: 286 Baglione, Giovanni: 177, 233, 404 Bagoa, eunuco: 177, 198 Bahrâm Gur: 279 Baia, in Campania: 16 Baiazet, sultano turco: 311-312 Bajazette, principe turco: 313-315 Baidôkh (Venus): 148 Baidu, re ilkhanide: 188 Balaš: 85 Baldanza, Giovanni: 204 Baldaracco, Domenico: 161 Baldassar Profeta: 181 Baldassare Baltassar Baldi, Bernardino: 305 Baldi, Lazzaro: 179 Baldinotti, Cesare: 235 Ballani, Francesco: 263 Ballottino: 259 Baltassar, Balthasar, re caldeo: 181, 184, 195 Banca Nazionale del Lavoro: 245
Bandini, Pietro Antonio: 212 Bani, Cosimo: 98 Baradach: 247 s. Barbara: 92 Barberini, Biblioteca: 309 Barberini, Francesco, cardinale: 180, 213 Barberini, Maffeo, cardinale: 121 Barberini, Taddeo: 180 Barbier de Montault, Xavier: 139 Barbieri, Filippo: 152, 394 Barbieri, Giovanni Francesco, il Guercino: 160 Barbo, Marco, cardinale: 74, 76 Barbo, Pietro Paolo II, papa Barcellona: 87 Bardane, meda: 189 Barigioni, Filippo: 76 Baronio, Cesare, cardinale: 94-95, 137, 139, 273, 276, 278 Barsina, figlia di Ciro: 201 Barsine, figlia di Dario III: 224 Bartoli, Alfonso: 90 Bartolini, Domenico: 76 s. Bartolomaeus, Bartolomeo, apostolo: 54, 197 s. Bartolomeo di Grottaferrata: 106 Bartolommei, Enrico: 95 Bartolommei (già Smeducci), Girolamo: 180-181 Baruch, scriba: 44 s. Basile: 139 s. Basilidis: 101 Basilio di Cesarea: 43 Basra, città: 44 Bassi, Antonio 192 Bassi, Giacomo: 261 Bassus, possidente: 80 Battra, città: 183, 194-195 Battriana Bactriana Baviera: 82 Bâw, zoroastriano: 102 Bazzi, Giovanni Antonio, il Sodoma: 227 Bêdukht (Virgo): 148 Bel, Belo, dio: 175, 205 Belardi, Giovanni: 107 Beleth, John: 268 Belissario: 275 Bellarmino, Roberto, cardinale: 308 Bellini, V., musicista: 196 Bellori, Giovanni Pietro: 164 Bellum Persicum: 12 Benaschi, G. B.: 175
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INDICE DEI NOMI
Benedelli, Antonio: 185, 199 Benedetto XIV, papa: 49, 92, 233, 290, 315 Benedictus di Soratte: 103 Beniamin, tribù: 216 Beozia: 193 Beradan: 192 Berengario di Tours: 318 Berenice: 240, 256, 258, 261, 263 Berger, Jacques: 241 Berillo: 236 Berlino: 20 Bernabei, Ercole: 216 Bernard de Clairvaux: 106 Bernardino di Betto Pintoricchio Bernini, Gian Lorenzo: 56, 113-114, 175 Beroso: 147-148, 183 Bertani, Carlo Antonio: 195 Berti, Domenico Antonio: 218 Bertoja, Valentino: 242 Bessarione, cardinale Niceno: 290 Besso, bactiano: 236-237 Bêth-Garmay: 72-73 Bêth-Hûzayê: 56 Bêth-Lapat: 36 Bêth-Qardû: 59 Bêth-Saloe: 102 Bêth-Slôkh: 102 Betlemme, Betlheem: 51, 54, 149 Bettelini, Pietro: 160 Bethulia, Betulia, città: 173-175, 207, 222 Bianchi, Francesco: 194 Bianchini, Giovanni Battista: 184 Bianchini, pittore: 245 s. Bibiana: 71 Bibiena, Francesco: 168, 200 s. Bicentius: 71 Bigioli, Filippo: 245 Bilissario: 276 Bisantio, Bisanto, Bisanzio, Bizantium: 123, 270, 277-278, 281, 284 Bišâpur, città: 268 Bitinia: 50, 86, 123, 262 Bitonti, Salvo: 133 s. Blastus, Blassos: 57, 79, 85 Bleso, pittore: 235 Boccaccini, Francesco: 236 Bogophanes, tesoriere: 243 Boissard, Jean-Jacques: 312-313 Boldetti, Marc’Antonio: 68 Bologna: 160, 273, 276 – Teatro del Comune: 69 – Teatro Zagnoni: 263
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Boemia: 285 Bonajuti, Raffaele: 245, 413 Bonatti, Giovanni: 215 s. Bonaventura Lucense: 274 Bonelli, Michele, cadinale: 271 Bonfichi, Paolo: 195, 221 Boncompagni, Ugo, cardinale: 91 Bonifacio I, papa: 138 Bonifacio VIII, papa: 107, 288 Bononcini, Giovanni: 198 Bôrân, regina sasanide: 267 Borgogna: 241, 290-291 Borghese, Camillo Paolo V, papa Borghese, Camillo, Persiano: 109, 250, 297, 299, 302 Borghese, Scipione, cardinale: 32, 97, 212, 233, 299-301, 304 Borromeo, Carlo: 138 Bosforo, mare: 29, 259 Bosio, Antonio: 69, 139 Botticella, Sebastiano, parroco: 321 Boulogne, Ludovic: 236 Bovio, Andrea: 181 Bozio, Francesco: 273 Bozio, Tommaso: 273 Bracci, Virginio: 99 Bracciolini, Poggio: 142 Brachmani: 94 Brandi, Giacinto: 160 Braschi, Giovan Angelo, cardinale: 121 Brevio, Filippo: 187 Brill, Mattijs: 171, 248, 414-416 British and Foreign Biblical Society: 315 British Museum: 226 Bruscotto: 315 Bruxelles: 245 – Museo Reale: 75 Bucefalo, Bucefalus, Bucephalus: 228, 231232, 246 Bundos, manicheo: 36 Buonaccorsi, Giacomo: 217 Bundàikat, città: 41 Buzac, vescovo di Susa: 72 Caccianiga, Carlo: 195 Cadice, città: 235 Cador: 205 Caduci: 204 Q. Caecilius Metellus Macedonicus: 12 Caelius Rufus: 13 Caetani, Costantino, abate: 109 Caffa, città: 290
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la persia istoriata in roma
Caia gens, Caii, Caianus: 66 Caira, principessa lida: 189 Cairo, città: 293 Caius: 230 Cala Ataperistan, castello: 149 Calane Gimnosofista: 234 Calcedonia: 262 Calcutta, città: 315 Caldara, Antonio: 190, 203, 260, 316 Caldara, Polidoro: 175, 228 Caldea: 54 Caldei, Chaldaei: 43, 149, 181-182, 192, 234, 310 Çaldiran, città: 293 Calendario persiano: 168 Calif: 309 Califronia: 200 Caligola, imperatore: 16, 251, 257-258 Calispe: 313, 315 Callatebos, città: 198 Calliope: 257 Callistene, filosofo: 237 Callisto, vescovo: 81 Callisto I, papa: 79, 81, 94-95 Callisto II, papa: 91, 106 Callisto III, papa: 74, 290 Calvario, monte: 269 Cambaja: 283, 316 Cambise, re achemenide: 24, 143, 174, 188, 190-192, 195-197 Campaspe, Campaspen: 231, 235-236, 238, 244 Camporesi, Pietro: 166 Campsone Cauro, sultano: 293 s. Candida: 63, 71 Candor: 317 Canini, Giovanni Angelo: 75 Canopo, consigliere: 284 Canova, Antonio: 242 Capalti, pittore: 245 Capgrave, John: 135 Capistrelli, Filippo: 174, 216 Capo di Buona Speranza: 164 Capodiferro, Girolamo, cardinale: 230 Cappadocia: 15, 197 Cappelletti, Giuseppe: 247 Capponi, Gino Angelo: 53 Capranica, Federico: 168 Caracalla, imperatore: 25-26, 31-32, 62 Caraccioli, Jacobus: 240 Carafa, Oliviero, cardinale: 291 Caramania: 256
Cardarelli, Italo: 321 Cardariga: 275 Carete, ambasciatore: 204 Caria: 197, 204-205 Carinthia: 37 Carlo il Calvo, re: 170 Carlo Magno, re: 104-105, 107, 115 Carlo V, imperatore: 176, 229 Carlo VI, imperatore: 175, 203, 260-261, 282, 316 Carlo Alberto, re di Piemonte: 245 Carlo Odoardo, principe di Galles: 418 Carmelitani Scalzi: 129, 137, 304, 306 Carnuntum, città: 37 Carpani, Giuseppe: 192 Carracci, Annibale: 233 Carracci, Antonio: 234 Carrhae: 16, 18, 62 Casale, Lodovico: 215 Casbin (Qazvin), città: 295 Caspiae, Portae: 24 Caspie, genti: 10 Caspie, Porte: 123 Caspio, Mare: 10, 14, 16, 123, 170, 191, 255 Cassandane, sposa di Ciro: 186 Cassandro: 123, 183, 245 Cassandro, re macedone: 13 Cassano, Cassanus (Ghâzân): 288 Cassio, console: 257 C. Cassius Longinus: 12 Castagna, Giovanni Battista: 94 Castellani, Castellano: 133 Castlereagh, ministro britannico: 315 Castor e Pollux: 14 Castra Albana: 25 Catala, Jordan, domenicano: 45 s. Caterina d’Alessandria: 292 Catarractes, fiume: 197 Catherano, Hyeronimus: 240 Caucaso: 14, 16, 22, 123, 170 Cautes e Cautopates: 30 Cavalieri, Giovanni Battista: 93 Cavalli, Francesco, editore: 180 Cavalli, Francesco, musicista: 198, 234 Caverna dei Tesori: 43-44 Cecconi, Giovanni Francesco: 174 Ceccotto Napolitano: 254 Cecilia, Giovanni Francesco: 205 Cedrone, storico: 284 Ceilan, Ceilano: 53 Celaura: 185 Celestino I, papa: 50
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INDICE DEI NOMI
Celestino III, papa: 68-69 Celidaspe: 255 Celinda: 198 Celinduo: 255 Cellot, Louis: 274 Centro Anziani S. Onofrio: 135 Centro Studi sul Teatro Medioevale e Rina scimentale: 133 Ceretti, Giovanni Battista: 244 Cesarea di Palestina: 102-103 Cesari, stirpe: 66 Cesari, Giuseppe, il Cavalier d’Arpino: 124, 132 Cesarini, Carlo: 172 Cesati, Alessandro: 226 Cesi, Federico: 176-177 Cesonia, sposa di Caligola: 251, 257 Cesti, Marc’Antonio: 198 Ceylon: 53 Chabrì, giudeo: 175 Chacón, Alfonso: 90-91 Chaculati: 149 Chaldaei Caldei Chaldaici, laghi: 149 Charax, città: 149 Charmi, giudeo: 175 Chateaubriand: 131, 134 Chiarastella: 228 Chierici Regolari Minori: 136, 305 Chigi, Agostino: 156, 227 Chigi, Fabio Alessandro VII Chigi, Flavio, cardinale: 198 Chigi, Lorenzo Leone: 228 Chigi, Collezione: 12 Chigi, palazzo in Ariccia: 98 Chio: 204 Choaspe Mago: 181 Choaspes, fiume: 149-150 Choro di Ebrei, Hebrei: 213, 218 Choro di Fanciulli Hebrei: 180 Chorus Epulantium Principum: 216 Chorus Hebraeorum: 217 Chorus Militum Persarum: 184 Chorus Persarum: 217 Chorus Vatum Chaldeorum: 184 Chosroe, Chosroes Xusraw II Chronicon Paschale: 166 s. Chrysanthus Crisante Chrysopolis: 11 Ciadarre: 313-314 Ciamberlano, Luca: 297-298 Ciannone: 256
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Ciassare, re medo: 181, 189, 193 Cibele: 65 Cicerone: 13 Cicognini, Giacinto Andrea: 275-276 Cilici, Ciliciani: 103, 123 Cilicia: 13, 23, 29, 103, 255, 267 Cimarosa, Domenico: 204 Cina: 22, 36, 66, 288, 310, 313, 315 Cinegiro: 207 Cinggis qa’an, mongolo: 286 Cinoscefale: 11 Cipro: 253 Circassi: 311-312 Circignani, Niccolò, il Pomarancio: 93-94, 271-272, 388, 420 Cirene, città: 253 s. Ciriaco, Cyriacus: 52, 72, 94, 136-137, 140 Cirillo Alessandrino: 43, 148 Ciro, Cirus, re achemenide: 40, 46, 56, 123, 143, 147, 170, 173-181, 184, 186-192, 194197, 201, 205-206, 222, 319, 322, 402-403, 405 Ciro il Minore: 46, 199-201, 205 Cistercienses, Cistercensi: 108, 113-114 Cisterna, Eugenio: 223 Ciulfa, nudrice: 311 Clarice: 281 Claudio, imperatore: 14, 251-252 Claudio II il Gotico, imperatore: 77, 79-80, 86, 93, 98, 138 Claudius, Claudio, pontifex: 60, 75 Cleante: 193 Clemente d’Alessandria: 39, 43 s. Clemente I, papa: 94, 296-297 Clemente VIII, papa: 95, 121, 128-129, 159, 232, 296, 306 Clemente X, papa: 68 Clemente XI, papa: 114, 161, 248 Clemente XII, papa: 240 Clemente XIII, papa: 166, 241 Clemente Persiano Ossat Clementi, Francesco Domenico: 174, 218 Clementino Amerino, Flaminio: 305 Cleofanto: 199, 202 Cleofilde: 239, 316 Cleomene, medo: 185 Cleonice: 243, 257 Cleonte, macedone: 237 Cleopatra: 254, 265 Cleoreste: 255 Clidarice: 186 Cloarte: 310
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Cloridea: 257 Clorideo: 185 Clorinda: 310-311 Clorisbe: 185 Cobad: 318-319 Coccia, Maria Rosa: 194 Codomano, cavaliere: 200 Coghetti, Francesco: 244-245, 413 Cola Ambruso: 254 Cola Cetrulo Napolitano: 182-183 Cola, Gregorio: 174, 216, 218 Colcerindo, cavaliere: 310 Coli, Giovanni: 274 Colizzi, Alessandro: 197 Colloredo, Giovanni Battista: 204 Colocci, Angelo: 120 Colombina: 315 Colón, Cristóbal: 268 Colonna, famiglia: 141, 207 Colonna, Lorenzo Onofrio: 310 Com (Qom), città: 295 Commagene: 29 Commodo, imperatore: 31, 61 Compagnia de’ Cuochi e Pasticcieri: 110-111, 113, 137 Compagnia de Scultori: 138 Compagnia di Gesù: 310 Comunità Ortodossa Bulgara dei SS. Cirillo e Metodio: 112 Concilio Niceno II: 102, 113, 139 Concilio di Costanza: 141 Concilio di Lione II: 287 Concilium Lugdunensem II: 295, 424 Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana: 160 Congo: 300-301 Congregazione Armena: 305 Congregazione dell’Oratorio: 273 Consalvi, Ercole, cardinale: 315 Constantinus, manicheo, 40 Conti, Lorenzo: 184 Conti, Stefano, cardinale: 34 Contucci, Contuccio: 240 Coquorum Urbis Societas: 111 Coralbo: 255 Corallina: 315 Coraman: 205 Corbula, città: 135 Cordara, Gulio Cesare: 219 Corduba, Cordula, città: 58-59 Cordua, Corduena, Corduene: 58-59 Corimba: 311
Corinto, città: 294 Corneille, Pierre: 181, 254 Corneille, Thomas: 200 Cornelio Nepote: 203 Cornelio Sabino: 258 Corno d’Africa: 55 Coro de’ Persiani: 314 Coro de’ Turchi: 314 Coro del Popolo Ebraico: 221 Coro di Damigelle di Ester: 221 Coro di Donzelle Ebree: 219 Coro di Ebrei, Isdraeliti: 219-220 Coro di Fanciulli Hebrei: 180 Coro di Grandi di Corte di Persia: 221 Coro di Grandi del Regno di Caria: 204 Coro di Guerrieri Babilonesi: 205 Coro di Lidj: 189 Coro di Magi: 205 Coro di Ministri della Persia: 316 Coro di Ministri della Scizia: 316 Coro di Satrapi Persiani: 196, 204 Coro di Schiere di Ciro: 189 Coro di Soldati Medi: 195 Coro di Soldati Persiani: 284, 316 Coro di Soldati Sciti: 316 Corporazione dei Tintori: 118 Cortella, Francesco: 256 Corvi, Domenico: 241 Cosdroa, Cosdroe, Cosra, Cosroe, Cosrhoe Xusraw II Cosroe, re: 46, 264, 318 Cosmas, arcivescovo: 68 Costa, Luigi: 197 Costantino, imperatore: 37-39, 60-62, 67, 72, 133, 139, 228, 267-268, 270, 272, 285 Costantino, Constantinus, figlio di Mauritio: 276-278 Costantinopoli: 38, 40, 54, 67, 72, 102-103, 146, 266-267, 274, 276, 278-279, 281, 283, 286, 289, 290-292, 306, 312 Costanzi, Giambattista: 219 Costanzo II, imperatore di Costantinopoli: 38 Costanzo II, imperatore di Germania: 65 Courtois, Guillaume, il Borgognone: 75-76 Coypel, Antoine: 177 Cozamirat: 290 Crasso, M. Licinio: 13, 16-17 Cratina: 193 Cratisto Jannejo: 204 Creonte, tiranno di Tebe: 193 Crescenzio, Ottaviano: 92
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INDICE DEI NOMI
Creso: 180, 187-190, 192-194 Crespi, Collezione: 142 Crex, isola: 132 Cribilla: 311 s. Crisante, Grisante (Chrysanthus): 85, 9091, 94-95 Crisante, consigliere: 189-190 Crisotelo, presbitero: 59 Crispi, Pietro: 220 Cristina di Svezia: 237, 310 Critalla, città: 197 Crivelli, Carlo: 119 Croatia: 132 Ctesia: 191 Ctesifonte: 23-25, 78, 81, 102-103, 149, 247248, 264, 267 Cuma: 157 Cumont, F.: 34 Cunego, Luigi: 160 Curcio, Giuseppe: 316 Q. Curzio Rufo: 225, 237, 243, 261 Cusano, Agostino, cardinale: 88-89 Cusinite: 80-81 Cyna, sorella di Alessandro: 234 s. Cyriacus Ciriaco s. Cyrinus Quirinus Cyrus, fiume: 321 da Costa, Francisco, ambasciatore: 128, 299300, 302 Dadoy: 248 Dalinda: 313 Damasco: 238, 287-288 Damaso I, papa: 62 Daniel, Daniele, Daniello: 49-50, 56, 70, 78, 85, 142, 146, 149-150, 155-157, 170, 175, 177, 180-185, 192, 194-197, 207, 222, 322, 398, 402-403 Daniele da Volterra, pittore: 210 Dante Alighieri: 163, 208 Danti, Ignazio: 295 Danubio, Danubium, fiume: 267-269, 271272 Daqiqi, poeta: 44 Dara, regione: 72 s. Daria: 57, 85, 90-91, 94-95 Daria, Daryâ: 319 Darina: 318 Dario, Darius I, re achemenide: 24, 46, 143, 166-167, 175, 177, 181, 183, 185, 194-198, 205, 216 Dario II, re achemenide: 200-202, 204
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Dario III Codomanus, re achemenide: 10, 13, 55, 143, 176, 198, 224-225, 227-229, 231, 233-246, 411-412 Dario Medo: 175, 181 Darispe: 182 Daristhenoi: 36 Darius, parthico: 16 Darius, schiavo: 22 Daru, Martial: 242-243 Dastagerd, città: 102 Datide: 274 David, Davide: 156, 230, 398 David, generale romano: 267 David d’Ashby: 286-287 De Benedictis, Giovanni: 220 Deborah: 214 de Castro, Felipe: 219 de Châteavillain, Louis: 157 L. Decidius Saxa: 17 Decio, Decius, imperatore: 27, 58-60, 65, 7576, 94, 135, 181 de Cupis, Bernardino: 119-120 Dehli, città: 169 Deiokes, re medo: 170 de la Cerda Colonna, Laurenzia: 237 Delfino, Giovanni, cardinale: 189 De Lignanime, Giovanni Filippo: 152, 394 Delimiro: 311-312 Dell’Argine, Costantino: 317 Della Porta, Giacomo: 249 della Rovere, Giuliano, cardinale: 207, 291 Dellavalle, Agostino: 197 Della Valle, Pietro: 160, 212-213, 308 del Mazza, Clemente: 63 Delphi: 244 del Piombo, Giovanni Giacomo: 291 De Luco Sereni, Francesco Maria: 310 Dely, città: 316 de Matteis, Paolo: 236 de’ Medici, Giovanni, cardinale: 270 de’ Medici, Giuliano: 270 de’ Medici, Lorenzo: 270 De Messi, Francesco: 184 Demetrio, generale macedone: 238 Demetrio, principe: 265 Demetrio, re di Siria: 265 Demetrio Nicanoro, re: 254 Demetrio Nicatore, re: 257 de Miranda, Diego: 128 Denon, Vivant: 242 De numero portarum et sanctis Romae: 83 Depositio martyrum: 62
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Deremaò, Giuseppe: 169 Deria: 319 de’ Rossi, Antonio: 418 de’ Rossi, Domenico: 161 de Rossi, G. B.: 78 de Rossi, Giovanni Vittorio: 133 de Rossi, Lorenzo M.: 223 de’ Rossi, Portia: 122 Despino: 313 De Totis, Giuseppe Domenico: 183 de Vargas, Bernardo: 88 De’ Vecchi, Giovanni: 271 de Vecchi Senese, Lorenzo: 233 de Vuez (Ducci), Arnoldo: 236 Dialogo sulla religione alla corte dei Sasanidi: 39 Diana Meda: 191 Diana Nemorense: 15 Diana Susiana: 149 Diarbekir, città: 293 Dinone: 41 Diogene: 231, 237-238 Dion, città: 12 Diocleziano, imperatore: 36-37, 65, 72, 86, 103, 136 Diodoro, vescovo di Tarso: 43 Diodoro Siculo: 168, 183 Dione Cassio: 260 Dionisio Longino: 262 Dioscuri: 232 Diospolis: 103 Disputatio cum Iudaeis: 39 Doguz khatun, kerayta: 286 Doliche, città: 34 s. Domitilla: 87-88 C. Domitius Corbulo: 22 Domiziano, imperatore: 29 Donizetti, G., musicista: 196 d’Oratio, Giuseppe: 236 Doraspe: 309 Dordalus: 11 Dori, regina: 198-199 Doriclea: 253 Dorianta: 186 Dorigny, Ludovico: 236 Dorilo: 183 Dorimene: 256-257 Dorinice: 187 d’Ossat, Arnaud, cardinale: 128, 297 Drangiana: 55 Drexel, Jeremias: 181 Drypetis, figlia di Dario III: 224
Du Cange, C.: 165 Due Sicilie, regno: 317 Dunbulâ, castello: 268 Duni, Egidio: 260 Duqueylar, Paul: 266 Duranti, Giovanni Bartolomeo: 216 Durio, Paolo: 244 Eblis, Eblys: 318-319 Ebrei, Hebraei, Hebrei: 148, 180-181, 213, 218-220 Ecbatana, città: 13, 149, 170, 172, 175, 177, 180, 182, 186, 189, 200, 205, 207, 213, 219220, 264, 322 Eclissi, Antonio: 107, 390 Edessa, città: 24, 27, 77, 139 Edinburgh, National Gallery of Scotland: 131 Edipo: 193 Edissa (Esther): 206 Efeso: 50, 258, 261, 385 Efestione, Hephaistion: 224, 227-229, 233235, 237-238, 241 Efrem, Ephrem: 43 Egeo, eunuco Hegai Egeste: 313, 315 Egidio da Viterbo: 154 Egitij, Egizi, Egiziani: 46, 123, 310 Egitto, Aegyptus: 13, 24, 36, 66, 116, 123, 125, 143, 168-169, 189, 198-199, 250, 253, 257, 262, 266, 275, 286, 288-289 Egle: 261 Egremont Collection in Petworth House (West Sussex): 303-304 Einsiedeln: 26 Elam, Elamiti: 55, 149-150 Elazar, giudeo: 16 Elena, madre di Costantino: 268-270, 273, 285 Eleuteria: 189-190 Elia: 48 Elcia, caldeo: 182 Elcino: 186-187 Elidauro: 187 Eliel, figlia di Uzun Hasan: 290 Elimante: 182 Elimas, presbitero: 59 Elisabetta Cristina, imperatrice: 190, 261, 282 Elìsena: 256 Ellade: 289 Ellesponto: 16, 198-199
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INDICE DEI NOMI
Elpidius Benedictus, Abbas: 111 Elpinice: 265 Elymaida: 149 Elza, torrente: 104 Emano: 205 Emerindo: 253 Emerio: 185 Emilio, generale romano: 275 Emira: 221, 263-264, 283, 316 Emirena: 260 Emireno: 185, 199 Emiro: 313 Enea: 154, 311 Entiage: 257 Epifane: 43 Eracl (‘Erâq): 295 Eraclio, Heraclius, imperatore: 47, 72, 102103, 105-106, 109, 123, 143, 266-267, 269275, 283-285, 301, 420 Erbil, città: 86 s. Ercolano: 96 Ercole, Herakles: 37, 244 Ercole, porto: 104 Erenia: 186-187 Ergilda: 278 Eridione: 279 Erìlo: 123 Erimanta: 253 Erimante, Erymanthe: 147-148 Erismeno: 282 Erissena: 239 Ermione: 193 Ermippo: 162 Ermo, fiume: 187 Erodaspe: 257 Erode: 51 Erodoto, Herodoto: 186-187, 191, 193-195 Ersilla: 199, 252-253 Erymantus, monte: 147 Erythrae, città: 144, 146 Erzerum, città: 222 Esaias Isaia Eschilo: 208 Esdra: 170, 205 Esfahân, città: 81, 221, 295-296, 303, 306, 308, 310 Esfandyâr, eroe mitico: 320 Esopo: 187-188 Esperia: 310 Essicrite: 237 Esther, Ester: 113-114, 143, 160, 170, 173, 177, 206-224, 322-323, 408-410
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Ethiopi, Etiopi: 123, 218, 220, 276, 310 Ethiopia, Etiopia: 55-56, 219, 300, 414 Euclide: 118 Eudosia, Eudossa: 280 Eufrate, fiume: 15-16, 42, 221 Eugenio III, papa: 82, 106 Eugenio IV, papa: 116-118, 141 Eulaeus, fiume: 149 Eumene: 265 Euphrosinus, diacono: 247, 249 Eurilla: 257 Eurindo: 199 Euriso: 193 Euristeo: 193 Eusebio di Cesarea, Eusebius: 39-40, 148 Euti, monte: 104 Eutimio: 43 Eutropio: 261 Eva: 50-51, 142, 179 Evagrio Scolastico: 139, 284 Evilmero, Evil-Merodach, re: 183, 192-193 Ezechiel, profeta: 157 Eziel, figlia di Uzun Hasan: 290 Fabbiani, Michele: 242 Fabbrica di S. Pietro: 98 Fabbri della Magia: 236 Fabiani, Ferdinando: 253 Faccioli, Mercurio: 216 Facio, Bartholomeo: 226 Falugi Lancisano, Domenico: 228 Farâmarz, eroe mitico: 320 Farasmane: 256, 261, 263 Farinati, Paolo: 245 Farnace: 259, 264 Farnabazo: 183, 274 Farnaspe: 260-261 Farnese, Alessandro Paolo III Farnese, famiglia: 229 Fârs, Farsi: 291 Farruxân: 266 Fasi, fiume: 221 Fatima: 264 Fede, Innocenzo: 174 Federico da Montefeltro: 291-292 Felicitas, matrona: 80, 139 Felice, prefetto di Mitilene: 181 Felici, Alessandro: 194 s. Felicissimus martire: 59 Feraspe: 251-254, 264 Ferdousí, poeta: 66, 124, 319-320 Ferdun Feridun
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Fereonte: 186 Ferido: 253 Feridun, Afridun, re mitico: 66, 319 Ferrara: 195, 237, 291 Ferrero, A., arcivescovo: 77 Ferretti, Giacopo: 196 Ferri, Ciro: 178, 405 Feste Settimanziali: 116 Feuvrier, Jean-Baptiste: 78 Ficino, Marsilio: 163 Fidalbo: 185 Fidalpa: 235 Fidarco: 310 Fidauro: 252-253 Fidia: 232 Filadelfo: 253 Filippini e Oratoriani: 129 Filippo Acarnano, medico: 233, 237-238, 241, 244 Filippo l’Arabo, imperatore: 27, 58, 65 Filippo II, re macedone: 11 Filippo di Side: 40 s. Filippo Neri: 129 Filonardi, Mario, nunzio: 97 Filosseno di Eretria, pittore: 13 Fiorentini: 293 Firenze: 62, 194, 198, 237, 306 – Museo Archeologico: 20 – Ospizio del Melani: 194 – Palazzo Vecchio: 142 – S. Maria del Fiore: 63 – Teatro di Via del Cocomero: 200 – Teatro di Via della Pergola: 241 – Villa di Pratolino: 261 Firenzuola, Agnolo: 249-250 Firenzuola, Filippo: 249-250 Firenzuola, Simone: 249-250 s. Flavia: 88 s. Flaviano: 119 Flavio, ambasciatore: 258, 261 Flavio Biondo: 279 Floridate: 257 Floridaura: 254 Florino: 213 Floristena: 258-259, 311 Floro, capoguardia: 185 Foca, Phoca, duce: 276-278, 283 Foligno, palazzo Trinci: 142 Fontana, Domenico: 158, 232, 296 Fontana, Giovanni: 178 Fontana, Lavinia: 297 Forcella, Vincenzo: 114
Formoso, vescovo di Porto: 96 Foschi, Carlo: 218 Fraarte, generale: 256 Fraate, re parthico: 254, 257, 265 Fradate: 263-264 s. Francesca Romana: 118-119 Francescani dell’Atonement: 133 Francescani Minori: 114, 321 Francesco Romano, viaggiatore: 165, 292293 s. Francesco Saverio (Xavier): 53 Francesco II, duca di Modena: 252 Francfort: 312 Franchi: 254, 281 Francia: 82, 157, 170, 203, 242, 288, 293 Frigia: 77, 187, 197 Frittelli, Giacomo: 184, 216 Froment, Nicolas: 108 Frosinone, città: 72 Fumantino, Pietro: 191, 204, 261 Fuoco, divinità: 44, 169 Gabael, Gabelo: 171-172 Gaborre: 313 Gabriel, Gabriele, angelo: 222-224 Gabrieli, Domenico: 278 Gabrielis, Nicolao: 290 Gad: 318 Gagliardi, Pietro: 222, 249 Gaius, nepote di Augusto: 18 Galatia: 20 Galba 59 Galerio, generale: 72 Galileo Galilei: 176-177 Galles: 418 Gallia: 16 Gallia Belgica: 18 Gallocia, Pietro, vescovo: 92 Galuppi, Baldassare: 193 Gambacorta, Pietro Pisano: 113, 117, 122123, 133, 137 Gambacorti, Lucrezia: 122 Ganassini, Marzio: 124 Gandarte: 239 Gange, fiume: 219 Gangia, città: 321 Gangiak, città: 102 Garama, Garamantes: 230 Garcia Millino, Giovanni, cardinale: 86 Gardizi, storico: 66 Garrison, New York: 133 Garzi, Luigi: 239
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INDICE DEI NOMI
Garzia, Francesco: 172 Gasparini, Francesco: 188, 200-201, 256, 258 Gasparo di Carpegna, cardinale vicario: 68, 91 Gastaldi, Giacomo: 295 Gattopardo: 258 Gaudiosus, committente: 71 Gaugamela: 13, 224 Gaulli, G. B.: 310 Gelasio I, papa: 40 Gelasio II, papa: 91 Gelindo: 252 Gem, principe turco: 292 Gemisto Pletone: 162 Genio dell’Imperio Orientale: 281 Genio Tutelare della Persia: 236 Genovesi: 293 Genovesi, Gregorio: 216 Gentileschi, Orazio: 249, 417 Gernando: 254-255 Georgia: 248, 289-290, 303, 321 Georgius Teutonicus: 153 Gerardus Cardinalis Sanctae Crucis: 268 Germani: 178 Germania: 16, 65 s. Gerolamo: 43, 117, 145, 172 Gerusalemme (Hierosolym, Hierusalem): 46, 50-51, 67, 102, 132, 149, 175, 177, 179, 181, 226, 229, 240, 266-271, 274, 285-286, 288, 310 Gesir: 318 Gesù Cristo: 40, 43-53, 67, 70-71, 81, 102, 105-106, 112, 119-120, 124-125, 136, 139, 141-142, 148, 151-152, 154, 156-159, 162163, 165, 178, 180, 207-210, 219, 222, 248, 266, 271, 290-291, 310, 387, 394 Geta, imperatore: 25-26, 32 Geubels, Frans: 245 Ghâzân, re ilkhanide: 288 Ghazna, città: 66 Gherardi, Antonio: 215 Gherardi, Filippo: 274 Ghisi, Giorgio, il Mantuano: 154 Giacomo, apostolo: 51 Giacomo III, re di Gran Bretagna: 282 Giaele: 222 Gianguir (Giahângir), re moghul: 316 Gialozoglou, Michail, medico: 101 Giannizzeri: 312 Giannutri, arcipelago: 104 Giano (Ianus): 87, 115-116 Gianquinto, Corrado: 96
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Giappone, Iaponi, Japoni: 300-301 Gibone: 182 Giglio, isola: 104 Gilbo: 200, 252 Gimignani, Giacinto: 56, 97-98, 214, 389 Gimignani, Ludovico: 235 Ginori, Alessandro: 184 Gioacchino da Fiore: 208 Gioja, Gaetano: 316 Giordani, Giuseppe: 263 s. Giorgio: 180-181 s. Giovanni Battista: 103, 161 s. Giovanni Calibita: 96 s. Giovanni presbitero: 79 Giovanni Crisostomo: 43 Giovanni Crysologo: 43 Giovanni da Crema, cardinale: 106 Giovanni da Pian del Carpine: 286 Giovanni da Udine: 165 Giovanni IV, imperatore di Trebisonda: 290 Giovanni II, papa: 52 Giovanni VIII, papa: 170 Giovanni XII, papa: 111 Giovanni XIII, papa: 64 Giovanni XXII, papa: 289 Giovanni Paolo II, papa: 100, 321 Giove, Jupiter: 30, 115, 161, 234, 251 Giraldi, Ercole, cardinale: 167 Giraldi, Lilio Gregorio: 147-148, 167-168 Girolamo d’Ascoli: 295-296 Gisberti, Domenico: 251 Giuda, popolo: 220, 408 s. Giuda Taddeo, apostolo, 40, 62, 246-250, 322, 417 Giudea: 42, 173, 175, 266, 318 Giudei, Iudei: 43, 67, 209, 211, 216, 224, 310 Giuditta, Iudith, Judith: 170, 172-175, 177, 207, 210, 212, 214, 222-223, 322 Giugurta: 255 Giulia Domna: 26 Giuliani, Camillo: 196 Giuliani, Giovanni: 406 Giuliano l’Apostata, imperatore: 71, 137, 146 Giuliano, proconsole: 36 Giulio Capitolino: 258, 261 C. Giulio Cesare: 13, 16, 22, 67, 91, 145-147, 235, 292 Giulio I, papa: 81 Giulio II, papa: 153, 163, 207, 246 Giulio III, papa: 20, 230 Giulio Romano, pittore: 285 Giunia, figlia di Sillano: 251-252
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Giuseppe, patriarca: 178 s. Giuseppe: 101, 222 Giusti, Gaetano: 192 Giustiniani, Giacomo, cardinale: 76 Giustiniano, imperatore: 273, 275 Giustino, Iustinus, patrista: 43, 145 Giustino, storico: 168, 186-187, 191, 202 Giusto Padovano: 178 Gobelin, Gobelins: 177, 239 Goethe, Johann Wolfgang: 130, 132, 134 Goffredo da Viterbo: 47 Goffredo di Buglione: 123 Golfo Persico: 55, 149-150, 170, 289, 294, 321 Gonzáles de Mendoza, Pedro, cardinale: 268-269 Gonzalo: 316 Gordiana: 59 Gordiano III, imperatore: 27, 58, 145 Gordio, Gordion: 229, 231, 236, 246 Goštâsp, eroe mitico: 320 Goti: 273, 281 Göyük qa’an, mongolo: 286 Gracchus, Gracco, milite: 267, 269 Gramatica, Antiveduto: 233 Gramigni, Vincenzo: 211 Gramignoli, Girolamo: 160 Granada, regno: 269 Gran Bretagna: 282 Granicus, Granico, fiume: 12, 230, 239, 243244 Graphia aureae Urbis Romae: 65 Grappelli, Giovanni Battista: 184 Grassi, Francesco: 217 Grajus: 240 Graymoor, città: 133 Greci: 123, 148-149, 202-204, 234, 284, 309 Grecia: 146, 154, 190, 202, 289 Gregorio I (Magno), papa: 84, 279 Gregorio IV, papa: 64, 74, 76-77, 81 Gregorio VII, papa: 40, 104, 170 Gregorio IX, papa: 84, 87, 89 Gregorio X, papa: 287, 295 Gregorio XIII, papa: 87, 90-91, 93-94, 96, 111, 123-124, 128, 158, 171, 248, 294-295 Gregorio XV, papa: 56, 304 Gregorio XVI, papa: 112, 244 Gregorio di Tours: 247 Grenier, Pasquier: 241 Grimaldi, Francesco: 54 Grimaldi, Petrus Franciscus: 240 Grimaldus, Jacobus: 52
s. Grisante Crisante Grottaferrata: 106 Guadalajara: 268-269 Gubbio: 234 Guerra, Giovanni: 158, 177, 272, 399, 402403 Guglielmi, Pietro: 203 Guglielmi, pittore: 245 Guglielmo da Trino: 208 Guglielmo di Sant’Amore: 318 Guidi, Alessandro: 121, 130 Guiducci, Ludovico: 121 Guizzardi, Vincenzo: 68 Gundêšâbuhr, città: 36 Gundopharr, Gundoforo, Gondophares, re: 55, 150 Habbaquq (Habacuc Abacuc, Abacuch): 7879, 156, 175, 177, 398 s. Habbaquq martire Abbacuc Hadassa (Esther): 206 Hadrianus s. Adriano Hâfez, poeta: 309 Hagi Muhammad, ambasciatore: 290 Hairabedian, Agostino: 221-222 Halys, fiume: 197 Hamadân, città: 149, 207, 318 Hamadâni / Tusi Salmâni, cosmografo: 45 Hâmân Aman Hannibalianus: 38 Harrân: 16, 62 Hasan Beg Bahador Khan: 290-291 Hatra, città: 25 Haurvatât: 319 Heber: 66 Hebraei, Hebrei Ebrei Hedhatthâ: 44, 162 Hegai, Egeo, eunuco: 211-212 s. Helena Elena Hellenopolis: l6 Helvetia: 293 Hephaistion Efestione Herakles Ercole Heraclius Eraclio Hera: 39 Herat, angelo: 319 Hermeo, Hermeus: 126 Hermitage di S. Pietroburgo: 98 Herodoto Erodoto Herzfeld, E.: 150 s. Hester (Esther): 113, 143, 214 Hidarnes: 201
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INDICE DEI NOMI
Hierapolis: 267 Hieremias, profeta: 157 Hieronimus s. Gerolamo Hieronymus Asculanus: 296 Hierosolym, Hierusalem Gerusalemme Hircani Hyrcani Hircania Hyrcania Hircanium, mare: 14 Hispahan (Esfahân): 295 Hispania Spagna Histaspes Hystaspes Historia romana a Noe usque ad Romulum: 65 Ho, imperatore cinese: 23 Holofernes Oloferne Homerus Omero Honofri, Honofrio, autore: 276 s. Honofrio, Honufrius Onofrio Honorius Augustodunensis: 161 Honufriana, Bibliotheca: 124 Hormisda (Hormizd / Ohrmazd), principe sasanide: 38, 72 s. Hormisda, Hormizd: 72, 94 Hormisda, Hormizda, papa: 40-41, 72-73, 387 Hormizd-Ardašir, diocesi: 58 Hormoz, re: 46 Hormoz (Ormus), città: 313, 315 Hoseyn ‘Ali Beg Bayat, ambasciatore: 128 Hrabanus Maurus: 267 Hrôm (Roma): 66 Huan, imperatore cinese: 23 Hülegü, re ilkhanide: 286 Huwaxša: 78 Hydaspes Medus: 46 Hydaspes, Idaspe, fiume: 229-230, 232, 239 Hyphasis, fiume: 229 Hyrcani, Hircani: 94, 256 Hyrcania, Hircania, Ircania: 14, 16, 59, 166, 186, 256, 309, 311 Hyrcanus: 277-278 Hystaspes, Hydaspes, Istaspe (Vištâspa): 145-147, 166-167, 206 Iacopo da Varazze: 247 Iacuppo Napolitano: 311 Iair, padre di Mardocheus: 216 Iaponi Giappone Ibadullayev, Ali, scultore: 321 Iberia: 261 Iblîs: 319 Ibn Sînâ: 318
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Idalila: 317 Idaspe: 168, 185, 187, 193, 196-197, 251, 283 Idaspe, fiume Hydaspes Idraspe, cavaliere: 253-254 Idreno: 169, 193, 201 Ignatius a Jesu, carmelitano: 308 Ildigizidi: 321 Ilkhanidi: 286 Ilmina, monastero: 82 India, Indie: 21, 54-56, 82, 94, 123, 150, 164, 169, 219, 229, 232, 239, 244-246, 310, 315, 319 Indiani, Indi: 54-55, 123, 150, 218, 220, 230 Indo, fiume: 150 Ingami, Raffaele: 223 Inghirami, Tommaso: 163 Innocenzo I, papa: 63 Innocenzo II, papa: 90 Innocenzo III, papa: 91, 106 Innocenzo IV, papa: 86, 285-286 Innocenzo V, papa: 287 Innocenzo XI, papa: 121 Innsbruck: 198 Iobia, Iobiane, principessa sasanide: 72, 136 Iocaste, ambasciatore: 236 Iona (Giona): 156, 398 Ionàta, città: 182 Ionia: 154, 290 Iosephus [Flavius]: 148 s. Ippolito martire: 96 Iraj, eroe mitico: 66 Irân: 66 Iraq: 66 Ircade: 189 Ircania Hyrcania Ircano, personaggio: 185, 187-188, 218, 264, 276-277, 279 Irene, regina di Nicea: 198 Isabarre, cavaliere: 284 Isaia, Esaias: 157, 180-181 Isdegarde (Yazdegard I), re sasanide: 279282 Isdraele, Israele: 178-180, 185, 196, 218, 221, 310, 405 Isdraeliti, Israeliti: 67, 219 Isidoro: 145, 162 Ismaello: 313-314 Ismâ‘il I, šâh safavide: 293, 311 Ismenia: 259 Ismeno: 264 Κ‘ôdâdh di Marv, vescovo di Hedhatthâ: 4344, 162
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Κ‘ôyahb II, katholikos: 267 Ispahan (Esfahân), città: 311, 317 Issedone, città: 240 Istaspe Hystaspes Issus, città: 13, 224, 227, 231-232, 244-246 Itaban, cavaliere: 205 Itaspe: 189-190 Itinerarium Salzburgensis: 83 Itinerarium Malmesburiense: 63 Iudei: Giudei Iudith, Iuditha Giuditta Iustinus Giustino Iustus, padre di Hormisda papa: 72 Jacobus de Varagine: 247, 268 Jacopo Siculo, pittore: 157 Jade, regina lida: 189 Jaddus, Jaddo, sacerdote: 226, 229, 231-232, 240-241 Jaime I, re: 87 Jans, Jean: 177 Jannuto, monte: 104 Janus: 115, 158 Japoni Giappone s. Jazdunduchta: 86 Johan di Hildesheim: 47, 150 Johannes, diacono: 105 Johannes Persa, abate: 84 Jolas, cavaliere: 205 s. Jolitta Natalia Jommelli, Nicolò: 175, 193, 203 Jordaens, J.: 241 Juan Tadeo a S. Eliseo, carmelitano scalzo: 306-308 Judas-Thomas: 55 Judith Giuditta Julia Axse, dama parthica: 24 Jupiter Giove Justi, Ferdinand: 72 Juvarra, Filippo: 186-187, 279-280 Kambekian, Paolo: 221 Kan Ying, inviato cinese: 23 Karkha, fiume: 149-150 Karkhâ, regione: 102 Kashgharia: 23 Kaškar: 162 Kassandros, macedone: 225 Kastrakan, città: 316 Kâva, fabbro mitico: 66 Kâwad: 78 Kayân, gente: 66
Kélainai, città: 197 Keydâvar (Gondophares), re: 55 Khogiâ Mirât: 290 Kirkuk, città: 103 Kleîtos: 244 Koliuski: 317 Komnenos, Theodora (Katerina): 290, 292 Krateros, macedone: 229 Kremlin: 242 Kuh-e Khwâgé, monte: 44 Kur, fiume: 321 La Grange de Chancel, François-Joseph: 280 Lalli, Domenico: 256 Lambro: 317 Lampugnani, G. B.: 169 Lanci, M.: 206 Lanciani, Rodolfo: 90 Lanfranco, Giovanni: 233, 301 Lanzichenecchi: 167, 176, 229 Laodice: 259, 265, 283 Laodicea: 263 s. Largus, Largo: 57, 72, 94, 137, 140 Latilla, Gaetano: 203 Lascaris, Giano: 162 Laurelli, Domenico: 218 Lattanzio, L. C. Firmiano: 142, 146-147, 155 Laura, Benedetto: 197 Laurentius Lorenzo Laurus, Iacobus: 158-159 Lazarini, Sebastiano: 251 Lazzaro: 78, 90 Le Brun, Charles: 239 Legio Secunda Parthica: 25 Lemme, Collezione: 98 Lenardi, Pietro Paolo: 236 Leni, Giovanni Battista, cardinale: 97 Leno: 278 Leonardi, Antonio: 319 Leonardo da Besozzo: 142 Leonardo da Vinci: 134 Leone I, papa: 40, 43 Leone III, papa: 90, 104-105, 107, 113 Leone IV, papa: 85, 122 Leone X, papa: 110, 120, 157, 165, 167, 270, 293 Leone XI, papa: 112 Leone XII, papa: 114 Leone XIII, papa: 112, 223, 318 Leonelli, Carlo: 308 Leonida: 254 Leonistena: 312
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INDICE DEI NOMI
Leonnatos: 245-246 Leonori, Aristide: 285 Leonzio: 280, 284 Leopardi, Giacomo: 130 Lepanto: 290 Leti, Bandino Leone: 185 Leto, Giulio Pomponio: 120 Levante: 286, 288-289 Leviti: 241 Libellus de ceremoniis aule imperatoris: 65 Libri Sibillini: 144-146 P. Licinius Crassus, console: 12 Licomede: 202 Lidi, Lidj: 180, 189 Lidia: 46, 180, 187-190, 192-194, 197-199, 243 Lidia, damigella: 216 Liegi: 141 Lillio, Andrea: 305 Limoges: 158 Lindabride: 182 Lindalmo: 216 Lindauro: 185 Lione: 287, 295 Lipsia: 266 Lisario: 236 Lisbona: 284 Lisimaco: 203, 237 Lisinga: 265-266 Lisippo, scultore: 12-14, 34 Livia, sposa di Augusto: 18, 381 M. Lollianus, mithraista: 30 Londra: 284, 315 Longhi, Martino junior: 111 Longobardi: 279 Lonigo, Michele: 69 López de Carvajal, Bernardino: 269 s. Lorenzo, Laurentius: 59, 92, 105, 129 Lorenzo di Pietra, il Vecchietta: 118 Lorenzini, signor: 241 Lotti, Antonio: 200 Lotti, Giovanni: 214 Lotto, Lorenzo: 119 Luca, diacono: 59 Lucca: 274 Luccarelli, Guido Eustachio: 261, 418 Lucchesini, Giovanni Lorenzo: 168, 276, 278 Luciano di Samosata: 227 Lucilla, sposa di Lucio Vero: 258, 261, 265 Lucimauro: 256 Lucio Aurelio Cotta: 145 Lucio Cornelio Balbo: 230
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Lucio II, papa: 268 Lucio Vero, imperatore: 24, 258, 261, 265 Lucius, nepote di Augusto: 18 Lucoris, dio: 28 Lucrino, lago: 16 Lucris, schiava: 11 Ludi Parthici: 23 Ludi Persici: 27 Ludolph Clippeator: 47 Ludovico da Bologna, francescano, amba sciatore: 290-291 Lupa Capitolina: 11 Lupardi, Bartolomeo: 275 Luristân: 149 Maedates, schiavo: 22 Macbet: 316-317 Maccarini, Paolo: 111 Macedoni: 14, 227, 237 Macedonia: 12, 224-225, 257, 291 Machiavelli, Niccolò: 11 Macon: 310 Maderno, Carlo: 301 Madio: 193 Madrucci, Madruzzo, famiglia: 123 Madruzzo, Giovanni Ludovico: 122-123 Maffei, Giovan Pietro: 54 Maghreb: 66 Mageline, abate: 82 Maghi: 206 Magi, casta: 15, 41-42, 162, 170, 198, 205, 274, 318 Magoundat, zoroastriano: 102 Mâhdât: 22 Mahdiya, città: 68 Mahmadân: 81 Malala, Johannes: 36, 262 Malassarre: 196 Malatesta, Sigismondo: 142 Malech: 317 Malermi, Niccolò: 208, 226 Malipiero, Troilo: 264 Mamelucchi: 288 Mammadov, Salhab, scultore: 321 Mamuchan: 216 Manasse, sposo di Giuditta: 175 Manasses, fratello di Jaddus: 240-241 Mancinelli, Gregorio: 263, 315 Mancini, Francesco: 313 Mancini, Giulio Cesare: 297 Mandagarsi, città: 191 Mandane, principessa meda: 182-183, 187,
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190-191 Mandàne, assiro: 183 Manfredi, re di Sicilia: 286 Manfredi, Eustachio: 263 Mani: 35-36, 38 Manichei 41 Manno, Francesco: 93, 112 Mantova: 291 Manuele, imperatore: 54 Manzini, Luigi: 171 Maratona: 207 Maratta, Carlo: 94 Marbusto: 228 s. Marcellinus: 101 Marcello I, papa: 137 Marchetti, Marco: 158 Marciano, bizantino: 279-280 s. Marco, apostolo: 74 s. Marco, papa: 74-75, 77, 91 Marco Agrippa: 17, 19, 64-65, 67, 135 Marco Antonio: 13, 17 Marco Aurelio, imperatore: 23-24, 67, 178, 258, 261-262, 265 Marcuffo: 187-188, 312 Mardânfarrox, autore: 81 Mardo, fiume: 185 Mardocheo (Mardochaeus, Mordechay): 207-209, 211-221, 223, 318 Mardoi, gente: 186 Mar Nero: 248 Mar Rosso: 246 Maremma: 104 Marenco, Romualdo: 318 s. Maria Vergine: 43-46, 48-53, 87-88, 103, 106, 118-120, 148, 152-154, 156-157, 159161, 207, 210, 214, 218-220, 222-224, 273, 293, 300 Maria, sposa di Abaqa: 286 Maria, sposa di Xusraw II: 248, 266 Maria Magdalena, granduchessa di Toscana: 306 Mariani, Cesare: 222-223, 410 Mariani, Giovanni Maria: 310 Mariani, Tomaso: 258 Mariano da Firenze: 87, 108, 120 Marini, Pasquale: 236 s. Mâr Mârî: 56, 77 s. Mario, Marius (Mârî): 27, 57, 61, 68, 72, 77-82, 84-101, 112, 119, 136, 138-139, 144, 388-389 Maromen: 80-81 Mars, Marte: 30, 235, 255, 257, 276
Marsici: 39 Mart Maryam, chiesa: 44 Martello, Pierjacopo: 312-313 Martesane: 275 Martha, sorella di Lazzaro: 78 s. Martha, figlia di Phusic: 78 s. Martha, Marta, sposa di s. Mario: 27, 68, 77-82, 85-101, 112, 119, 136, 138-139 s. Martha vergine e martire: 78 Martha, figlia di Uzun Hasan: 290 Martinelli, Fioravante: 304 Martinez Pedromingo, Pedro: 99 Martino V, papa: 69, 141, 225, 289, 411 Martyrologium Hierominianum: 62, 82 Martyrologium Romanum: 71, 94 Maruscelli, Paolo: 97 Marv: 44, 162 Marzabana: 107 Marziale: 115 Mascherino, Ottavio: 306 Masih: 290 Masih Mirza, figlio di Uzun Hasan: 290 Masolino da Panicale: 142 Massageti: 176, 188 Massari, Lazaro: 129 Massenzio, imperatore: 40, 133, 228, 267, 270, 285 Massilione: 104 Massimiano, imperatore: 36, 86, 103 Massimino, imperatore: 292 Mastio: 274 Mastrofini, Marco: 243 Matricciani, Stefano, parroco: 101 Mattei, Alessandro: 231 s. Matteo, apostolo: 40, 128, 247-248, 414 Matteo da Siena, pittore: 93 Mattiotti, Giovanni: 118 Maturino di Firenze, pittore: 175, 228 Mauri, gente: 123 Mauri, Romoaldo: 283 Mauritania: 251 Mauritano: 189 Mauritio, Mauritius, Maurizio, imperatore: 168, 226, 276-279, 283 s. Mauro: 138 Mausolo, re di Caria: 204 s. Maximus martire: 59 Mazaeus, satrapo: 243 Mazza, Michel’Angelo: 282 Mazzarino, Giulio, cardinale: 111-113, 234 Mazzeo: 240 Mazzolari, Giuseppe M.: 138-139
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INDICE DEI NOMI
Mazzoni, Giulio: 230 Meandro, fiume: 197 Medarse: 283-284 Medates, schiavo: 22 Medea: 45 Medicus Maximus: 36 Megabise: 200, 202 Megabizo, cavaliere: 274 Mehmet II Fatih, sultano turco: 290-292 Melchiades, papa: 136 Melchiar, mago: 47 s. Melisse Milex Memphis, Menfi, città: 34, 123, 251, 253 Mercadante, S., musicista: 196 Mercurio, Mercurius: 30, 161, 189 Mesene, regione: 23 Mesopotamia: 10, 22, 77, 149, 175, 247, 266, 283-284, 290, 294 Messenia, regione: 253 Messenio: 259 Metastasio, Pietro: 168-169, 174, 190, 192, 202-203, 239, 260, 283, 315, 406 Metellus, monaco: 82 Metrausta, schiavo: 22 Meyerber, Giacomo: 169 Mezzofanti, Giuseppe G., cardinale: 121 Micene: 193, 252-253 Michael, Michele, arcangelo: 157, 159, 223224 Michelangelo Buonarroti: 154-155, 157, 208, 210, 215, 222, 226, 323, 396, 407 Michele VIII Paleologo, imperatore: 286 Michiel, Giovanni, cardinale: 291 Mihr: 28 Mihrayâr: 81 Milano: 291 Milesi, Giovanni Antonio: 175 s. Milex (Milix, Miles, Milis, Melisse): 56, 62, 70-71, 73, 83, 85, 94, 119 Millino, Pietro: 133 Minati, Minato, Nicolò: 198, 237, 278 Minteo: 265-266 Mirabilia Urbis Romae: 64-65, 67, 84, 135 Mirteo: 168-169 Misandro, astrologo: 236 Mitrane: 200, 261, 280, 282, 284 Mithra, Mitra: 15, 27-35, 37-39, 42, 47, 56, 169, 181, 282, 319, 384 Mithradâta: 29 Mithridate I, re: 29 Mithridate II, re parthico: 15, 42 Mithridates VI Eupator, re: 29
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Mithrobádês, re: 39 Mitilene, città: 181 Mitridate, medo: 181, 185-187, 189-191 Mitridate, re di Ponto: 29, 259-260 Moadbar: 205 Modestus, vescovo: 102 Mogor: 307 Mola, Pietro Francesco: 75 Molossi: 123 Mombelli Viganò, Vincenzina: 265 Mombritius, Boninus: 247 Monaci di S. Bernardo: 136-137 Monaco, città di Baviera: 284 Mongoli: 285-287 Mons Victorialis: 43 Montagnana, Marco Tullio: 159 Monti, Claudio: 221 Monticini, Giovanni: 196 Moraspe: 182, 191 Mordechay Mardocheo Morbilli, Carlo Diodato: 241 Morei, Michele Giuseppe: 201 Morelli, Francesco: 177, 404 Morselli, Adriano: 199, 278 Moresca: 275 Moretti, Giacomo: 236 Mori, Moro: 190, 238, 269 Moscovia: 307 Mosé: 178, 180, 230 Mosé, monaco di Dara: 72 Mosè Maimonide: 318 Mucio, diacono: 59 Mughân, Mogan, regione: 45 Murad vartapet: 290 Muratori, A.: 262 Muscianus: 80 Mustaffo, Mustafo: 312-313 Nabarzane: 236 Nabarze, Nabarzes: 37 Nabuchus, Nabucodonosor, re: 173, 177, 182-183, 192 Nadab: 192 Nagorre: 284 Nanide, figlia di Creso: 180 Napoleone Bonaparte: 32, 242-243, 266 Napoli: 29, 197, 211, 226, 291 – Museo Archeologico: 13 – Teatro di S. Bartolomeo: 313 – Teatro di S. Carlo: 205 Narimân, eroe mitico: 66 Naro, Fabrizio: 215
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Narsê, re sasanide: 36, 72 Narsê Xerses, re parthico: 247 Narses, Narsete, generale: 103, 273 Narsete: 213, 259, 275 Nâseroddin Qâgiâr, re: 78, 317-318 Nasini, Giuseppe: 236 Natale, Giuseppe: 236 s. Natalia (Anatolia, Jolitta): 86 Nebbia, Cesare: 158, 177, 271-272, 399, 402403 Nechanor Nicanor Neemia: 170 Neftali, tribù: 171 Neith, dea: 24 Nemi: 15, 23 Nencini, Francesco Bartolomeo: 215 Neocle: 203 s. Nereo: 87-88, 90, 138 Neri, Bartolomeo: 133 Nerone, imperatore: 14, 22, 42, 60, 64, 67, 103, 251-252 Nespolina: 185 Nettuno: 65 Ngan-Tuen (Antoninus): 23 Nicandro: 276 Nicanor, Nichanor, Nicanor: 141, 146, 148, 151-152, 394 Niccolò IV, papa: 295 Niccolò V, papa: 117, 162 Nicea, città: 198 Niceforo: 43 s. Nicola: 91 Nicola I, papa: 64 Nicola de Forca Palena: 117 Nicomede, ateniese: 199 Nicomede, parthico: 263 Nicomedia, città: 38, 86 Nicotri: 194 Nigrane: 253 Nilo, fiume: 123, 228 s. Nilo di Rossano calabro: 106 Nimeso Ergatico: 284, 313 Ninfea, porto: 259 Ninive, città: 172 Nino, re assiro: 161, 168-169, 183 Nisibis, città: 24-26 Niso, liberto: 258 Nivildo Amarinzio: 220 Nizami Ganjavi, poeta: 321 Noè (Noa, Noac, Nochus): 65, 147-148 Nonius Victor, mithraista: 32 Norcino: 161
Nor Ciuha Nuova Giulfa Noris, Matteo: 188 Notitia regionum Urbis: 62 Nûd, monte: 44 Numa Pompilio, re: 45, 147, 176 Numeriano, imperatore: 85 Numidia: 80 Nuno de Cunha, cardinale: 168 Nuova Giulfa, borgo: 221, 303 Nysa, città: 230-231 Occho, re achemenide: 204 Ocho, figlio di Dario III: 236 Ocho, principe sasanide: 274 Odatirso: 186 Odenato: 256-257, 262 Odescalchi, Benedetto, cardinale: 121 Odonte: 265 Ohrmazd, dio: 28, 167, 319 Ohrmazd Hormisda, principe Ohrmazd-dâd: 81 Ohrmazd I, re sasanide: 38 Ohrmazd II, re sasanide: 38, 72 Ohrmazd IV, Ormisda, re sasanide: 38, 275, 278, 282 Olamar: 205 Olgiati, marchese: 226 Oliba Cabreta conte di Cerdaña: 64 Olimpia, sposa di Cassandro: 245 Olinto: 263 Olivieri, Giovanni Battista: 191, 202-204 Öljeytü, re ilkhanide: 286 Oloferne, Holofernes: 170, 172-174, 177, 211 Olympia: 227 s. Olympiades martire: 59 Omero, Homerus: 148, 226, 228, 231 Omir: 317 Onniade: 237 s. Onofrio, Onuphrius, Honofrio: 57, 94, 113, 115-135, 137, 139, 141, 393 Onorio I, papa: 86 Onorio II, papa: 286 Onorio III (Honorius), papa: 107-108 Oppius Statianus: 17 Opus imperfectum in Mattheum: 43-44 Oraxe: 180 Orbaze, mago: 180 Orbetello, città: 104 Orcane: 182, 255 Orcanoro: 311-312 Ordine della Mercede: 87-88 Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Geru
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INDICE DEI NOMI
salemme: 132 Ordine eremitico di S. Gerolamo: 117, 123, 131, 133, 137 Ordine Olivetano: 233 Oregio, Giuseppe: 304 Orfeo: 165 Origene, patrista: 43 Orilla: 187-188 Orindo: 213 Orlando, Giovanni: 290 Orlandini, Giuseppe Maria: 168, 200, 256 Ormete: 254 Ormisda Hormisda, principe Ormisda Ohrmazd IV Ormus, Ormuz, città: 122-123, 294, 313, 315 Oribasio: 201 Orobazo, ambasciatore: 15, 42 Orode, re parthico: 264 Orodes III, re parthico: 19, 21 Oromase: 318-319 Oronta: 182, 259-260 Orontas: 201 Oronte: 193, 198-201, 216, 238, 254-256, 259-260 Oropaste, satrapo: 204 Orosa, città: 182 Orsane: 255 Orsini, Cronaca: 178 Orsini, famiglia: 141 Orsini, Giordano, cardinale: 141-142, 152, 162 Orta, Pietro: 193, 261 Oruk khatun: 286 Orvieto: 286 Osiris: 29 Osmano: 253, 312-313, 317 Osmene: 312 Osmino: 259 Osroa: 260 Osroene, regione: 24 Ossarte: 251 Ossat, Clemente Persiano (Šâh-Qoli Ho seyn): 128-129, 297, 299 Ostane: 224 Otluk Dagh: 292 Ottane: 198 Ottaviani, Giovanni: 166 Ottoboni, Pietro, cardinale: 172, 186, 238, 279, 386 Ottone, imperatore: 110 Ottoni, Lorenzo: 114 Oxus, fiume: 286
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Oxyarte: 224 Ozia, Ozias, principe: 174-175 Pacate: 239 Pacoro: 275 Pacorus, re parthico: 42 Padova: 189 – palazzo Carrara: 142 Pafnutio, Paphnutius, Panuntio: 116, 126130 Paganelli, Pietro Bernardo: 106 Pagliardi, Giovanni Maria: 251 Paisiello, Giovanni: 241 Palemone Licurio: 198 Palermo, Cappella Palatina: 68 Palestina: 102-103, 266, 283 Palestrina, Museo Archeologico: 23 Pallerini, Antonio: 318 Palliolo, Paolo: 270 Palmidea: 187 Palmira, Palmyra, città: 34, 103, 256, 262 Palmira, principessa: 264, 282 Palmireni: 263 Panariello Napolitano: 200 Pancaspen, Pancaste da Larisa: 238-239 Pan Ch’ao, generale cinese: 22-23 Panemo Cisseo: 219 Pangalo, Teodoro: 276 Panjâb: 55, 229 Pannini, Giovanni Paolo: 219 Pannonia Superior: 37 Panuntio Pafnutio s. Paolo, apostolo: 77, 83-84, 87, 108, 120, 138, 180, 322 Paolo I, papa: 73 Paolo II, papa: 74, 113 Paolo III, papa: 110-111, 210, 226, 228-230, 271 Paolo V, papa: 97, 109, 112, 128, 248-250, 273, 297-305, 323, 421 Paolo Diacono: 279, 284 s. Papia: 138 Papis, Giuseppe: 240 Paradiso: 165 Parapotamia: 149 Pariati, Pietro: 189, 201 Parigi, Paris: 177, 203, 245 – École Nationale Supérieure des Beaux Arts: 166 – Louvre: 32, 233 – Musée Napoléon: 32 – Parisiensis Academia 149
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Parisatide: 204-205 Parisatide (Parysatis), figlia di Artaserse I: 198 Parisca: 205 Parma: 276 – Teatro Ducale: 203, 285 Parma, Pietro: 251 Parmenio, Parmenione, macedone: 241, 244 s. Parmenius, Parmenio, martire: 59 Parnaso: 226 Paros, isola delle Cicladi: 101 Parthia, personificata: 23-25 Parthicarius, pretore: 23 Parthicus: 23-24 Parthicus Maximus: 24-27, 32, 36, 67, 80 Parysatis: Parisatide Parysatis, figlia di Artaserse III: 224 Pasagates, schiava: 22 Pascucci, Francesco: 112 Pasitigri: 149 Pasquale I, papa: 85, 113 Pasquale II, papa: 53, 87 Pasquini, Bernardo: 216, 237 Passaro, Andrea: 243 Passavant, J. D.: 156 Passerini, architetto: 101 s. Pastore presbitero: 79 Patacchino: 281 Pâtik, padre di Mani: 35 Patrizi, Francesco: 121-122, 132 Pausania: 148 Perdikkas, macedone: 225 Peregrinanti e Unitori domenicani: 289 Peretti Montalto, Alessandro, cardinale: 232 Pérez De Castro, Luis: 114 Perin del Vaga: 164-165, 226, 229 Perpignan: 64 Persa: 11 Perselíde: 312 Persepoli: 46, 200, 204, 253, 268, 275, 279, 318, 322 Perses, alto mithraista: 30, 33 Perses, figlio di Perseus: 30 Perseus, re macedone: 12 Persia, personificata: 310 Persiana, Monarchia, personificata: 281 Persicum, mare: 14 Persicus Maximus: 27 Persomedes: 167 Persus: 165 Perti, Giacomo Antonio: 252, 261 Perugia: 237
Peruzzi, Baldassarre: 119, 227 Pescia: 104 Pessinus, città: 34 Petizaces, schiavo: 22 Petrarca: 142 Petra Sodgiana: 234 Petrucci, Pietro Paolo: 236 s. Petrus: 101 Petrus Comestor: 149 Petrus de Pisis, Pietro da Pisa: 113, 117 Petrus Episcopus Ostiensis: 104 Phares: 181, 184, 195 Pharsi: 295 Phidia: 232 Philippe Le Bon, duca di Borgogna: 241 Philippico, Philippus: 277, 279 Philippos di Side: 39 Phoca Foca Phraates (Phraataces), principe parthico: 19, 21 Phraates III, re parthico: 15 Phraates IV, re parthico: 17, 19-21, 42-43, 67 Phraates V, re parthico: 19, 21, 42-43 s. Phusic: 78 Phytios: 197 Piatti (Platus), Flaminius, cardinale: 121 Piazza, Carlo Bartolomeo: 112, 136-137 Piazza, Lodovico: 253 Piazza, Pietro: 193, 261 Piccinni, Domenico: 265 Piccinni, Nicolò: 203 Pichi, Antonio: 236 Pico della Mirandola, Giovanni: 163, 168 Pico della Mirandola, Giovanni Francesco: 147, 167 Pico della Mirandola, Ludovico, cardinale: 85 Piemonte e Sardegna, regno 317: Piglia, Giacomo: 317 Pieri, Stefano: 249 Pierleoni, Pietro, vescovo: 90 s. Pietro, apostolo: 77, 84, 114, 180, 209 Pietro da Cortona: 90, 129, 178, 233-234, 412 Pietro di Tarantasia: 287 s. Pigmenius, Pigmenio, Pymenius: 57, 63, 71, 73, 91, 94, 137 Pinelli, Bartolomeo: 243 Pino, Marco: 229 Pintoricchio (Bernardino di Betto): 153, 207, 292, 395 Pio II, papa: 74, 118, 290, 292 Pio IV, papa: 295
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INDICE DEI NOMI
Pio V, papa: 64, 294, 305 Pio VI, papa: 121 Pio VII, papa: 243, 315 Pio IX, papa: 95, 112, 114, 318 Pio X, papa: 285 Pio XI, papa: 131 Pio XII, papa: 77, 132 Pio di Savoia, Carlo Francesco, cardinale: 160, 215 Pioli, Alessandro: 191 Pioli, Giovanni Domenico: 313 Pippa Napolitano: 309 Pirenei, monti: 64 Pirimalo, re: 53-54 Piromalli, Piromas, Paolo: 305 Pirro, fratello di Mauritio: 278 Pîršâpûr, re: 44 Pisistrato: 177 Pissarri, Antonio: 276 Pizzi, Gioacchino: 193, 220 Pizzi, Italo: 319 Platone: 143, 162-163 Plautilla: 309 Plautilla, imperatrice: 26 Plancade, Massimo: 187 Plauto: 11 Plinio: 143, 162 Plutarco: 162, 194, 203, 225, 292 Pluto: 277 Poerson, Charles-François: 236 Poggi, Simone Maria: 284, 313, 315 Polemius, alessandrino: 85 Poli, Albino: 100-101 Polibio, re: 265-266 Policastro: 235 Polidoro di Caravaggio: 175, 228 s. Polietto, Polyectus, Poliuto: 181 Polipodio: 315 Polissena: 256 Polistrate, Polystratus: 236 Pollaroli, Carlo Francesco: 184, 188, 258 Pollaroli, Domenico: 282 s. Pollion, Pollione: 63 Polo, Marco: 47 Polonia: 97, 285, 291, 293, 307 s. Polychronius, Policronio, Polochronius: 59, 75 Pompei, Casa del Fauno: 13 Pompeiano, generale: 262 Pompeo Magno: 13, 15-17, 29, 292 Pompeo Trogo: 237 Ponce, Jacques: 171, 230
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Pontianus, papa: 61 Ponto: 16, 29, 259 Ponza, isola: 73 Ponzio, Flaminio: 300 C. Popillius Laenas: 12 Popolo Ebreo: 181 Popolo Persiano: 181 Poro, Poros, re indiano: 229, 232, 234, 239 Porpora, Nicola: 169 Portogallo: 168, 293 Portugal, Marcantonio: 203 Poseidon: 244 Posterla, Francesco: 254-255 Pozzessere, Tiziana: 10 Pozzuoli: 16 Praga: 128 Prahates, schiavo: 22 Prassitele, Praxiteles: 232 Pratesi, Ferdinando: 317 Predieri, Luca Antonio: 261 Presbyter Johannes, Prete Gianni: 54-55, 150 Priamo, re: 151 Probo, generale: 262 Procaccini, Andrea: 94 Procopio: 139 Propaganda Fide: 169, 308, 315 s. Prospero di Aquitania: 273 Prunetti, Michelangelo: 265 Psammetico: 274 Psellus: 162 Pseudo-Abdias: 247 Pseudo-Matteo: 51 Pseudo-Prospero: 273 Pujati, Giuseppe Maria: 219 Pulcheria, sorella di Teodosio: 279-281 Pulcinella: 191, 197, 259, 263, 315 Purândoxt, regina sasanide: 267 Purim: 211 s. Pymenius Pigmenius Pytagora: 168 Pythia: 244 Qâgiâr: 315, 318 Qal‘a-yi Âtašparastân: 149 Qaraqorum: 286 Qara Qoyunlu: 290 Qardû, città: 59 Qaryat al-Majûs: 149 Qavâd I, re sasanide: 72 Qavâd II, re sasanide: 267, 283 Qaysar: 67 Qazvin, città: 295, 306
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Qobâd: 319 Qom, città: 295 ss. Quatuor Incoronati: 136 Querini, Angelo Maria, cardinale: 75 Quinault, Philippe: 186 s. Quirinus, Quirino, Cyrinus: 39, 57, 60-62, 75, 79, 82, 96-97, 139 Rabban Sauma: 287 Rachele: 51 Racine: 259 Radamisto: 252, 256 Raffaele, angelo: 171-172, 177 Raffaello Sanzio: 155-157, 163-167, 266-267, 285, 292, 295, 323, 397, 400-401 Raga, Raghes, Rhages, città: 149, 171-172, 177 Raganelli, Dorina: 263 Raguel, Raguele: 171-172 RAI: 245 Ramiro: 252 Raimondi, Giovanni Battista: 122, 294-295, 305-306 Rainaldo di Jenne, vescovo: 86 Ramiro: 252 Ramisto: 261-262, 313, 315 Ramusio, G. B.: 165 Ranaldi, Federico: 158, 177 Raoli, Horatio: 129 Rasi, Giovanni Battista: 195, 221 Rasnouni, regione: 102 Ray, città: 149, 171 Razete: 275 Rebecca: 222-223 Récamier, Madame: 131 Redentoristi: 223 Reggio, Agatino Maria: 240 Reggio Emilia: 168 s. Regulus: 68 Reims: 105 Remelli, Filippo: 181, 254 Reni, Guido: 273 s. Restituto: 74 Retilego, monastero: 129 Retti, Leonardo: 310 Reutter, Giorgio M.: 175 Rex Nemorensis: 16 Rezâ (Paolo Antoniano): 128-129 Rezzonico, Carlo, cardinale: 99 Rhages Raga Rhazek, villaggio: 102 Rhodaspes, principe parthico: 19-20
Riario, Piero, cardinale: 211, 291 Riccardi, Giuseppe: 114 Ricci, Giovanni, cardinale: 211, 230 Ricci, Giovanni Battista: 159, 299 Ricci, Marco: 283 Ricci, Sebastiano: 219 Ricciardi, Domenico: 242 Riessinger, Sixtus: 153 Rifeo: 123 Rimini, Tempio Malatestiano: 142 Rinaldo di Capua: 172, 190, 240-241 Rinaldo I, duca di Modena: 168 Rio de Janeiro, Teatro di Corte: 203 Rione Ponte: 271 Ripanda, Jacopo: 119 Rispoli, Michele: 265 Roberts, David: 131 Roccaforte, Gaetano: 193 Rodi: 291, 293 Rodope: 280 Rodoalbo: 236 Rodoano: 123 Rodoguna: 254 Rodouna: 257 Rodrigo, Don: 258 Rodulfus II, imperatore: 307 Romanelli, Giovanni Francesco: 97-98, 159 Romolo, Romulus: 28, 45, 65, 144, 147, 230 Rondinelli, Carlo: 160 Roralbo: 236 Roremonda: 253 Rosa, Francesco: 111 Rosalba: 254 Rosanne: 251 Rosaura: 252-253, 255 Roscius Hortinus, Iulius: 69, 93 Roselane, Rosellane: 312-313 Rosimene: 256, 263 Rosmene: 185 Rosmiri: 200 Rosmonda: 255-256 Rosmondo: 254 Rossana: 313, 315 Rossane: 203, 264 Rossini, Gioacchino: 195-196, 265-266 Rostam, eroe mitico: 320 Rotaspe: 264 Roxana, Roxane, Rossane: 224-247, 231-232, 242, 244 Roxano: 274 Roxolana: 313 Rubeno: 213
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INDICE DEI NOMI
Rubens, Pietro Paolo: 241 s. Rufina: 83, 101 Ruggero II, re di Sicilia: 68 Ruini, Camillo, cardinale vicario: 100, 321 Rum, Rumiya (Roma): 66 Russia: 242, 266, 285 Russo, don Giuseppe: 101 Rust, Giacomo: 203 Rustano (Rustam): 312-313 Rustichello Pisano: 47 Ruth: 51, 206, 214, 222 Rychaldus, notaio: 287 Saba, città e fiume: 149 Saba, Sabba: 148-149 Sabbath: 148 Sabaea, Sabea: 149 Sabatini, Nicolò: 193 Sabina, sposa di Adriano: 260-261 Sabine, donne: 176 Sa‘di, poeta: 309 Sbarra, Francesco: 234 Sacchetti, Alessandro: 233 Sacchini, Antonio: 169, 203, 220 Sacramentarium Gelasianum: 82 Sadiqi, Abu’l-Mohsen: 320 Saénes: 58 Safar Azaria Zulfalino: 302-303 Safid rud, fiume: 44 Sagaristio: 11 Sagredo, Nicolò, ambasciatore: 75 Sagredo, scrittore: 314 Sais, città: 24 Salamina: 19, 202 Salisburgo: 142 Salm, eroe mitico: 66-67, 319 Salomon di Basra: 44 Salomone: 177-178, 230 Salsenio Tripolitano: 220 Salvati, Giovanni Battista: 309 Salvi, Antonio: 200 Salvia, gens: 103 Salviati, Francesco: 211, 230 Sâm, eroe mitico: 66-67 Samarcanda: 311-312 Sambetha, Sambéthes, Sambetta: 148 Sampsonia, Theresia 303-304, 306-307 Sampsuff, Iscaon, circasso: 306 Samuele, profeta: 249 Sanaballathus, satrapo: 240 Sandane: 186-187, 189 Sannesio, Giacomo: 122
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Santi, Giovanni: 292 Santini, Angelo, il Toccafondi: 69 Santorio, Fazio, cardinale: 246 Sanvitale, Galeazzo, vescovo di Bari: 95 Saošyant: 44 Saphein, monte: 226 Sapiro: 257, 263 Sapor, Sapore, re sasanide: 274-275 Sapores: 72, 94 Sara: 171 Sarbara: 275 Saraceni: 262-263 Saraceni, Carlo: 301-302, 426 Saragozza: 107 Sardi, città: 180, 189-190, 192, 194, 197-198 Sarmati: 178 Sar-i Sang, miniera: 210 Sarro, Domenico: 240 Sarti, Giuseppe: 284 Sarus, fiume: 267 Sasa, schiavo: 22 Sassabassar: 175, 179 Satrape: 198 Sattalia, porto: 291 Saturio: 11 Saturno, Saturnus: 30, 115, 161, 176 Saul: 216 Sâva, città: 149 Savoie: 78 Savorelli, Caio: 166 Sbarra, Francesco: 234 Scalmani, Giuseppe: 204, 217 Scarlatti, Alessandro: 186, 238 Scarlatti, Giuseppe: 204 Scatozza: 191 Schiamisoni, Raffaello: 159 Scìo, Sebastiano: 258 Scipione Africano: 12, 230 Scitalce: 168-169 Scopus, monte: 226 Sculla, città: 150 Scultori, Adamo, Mantuano: 154 Scythi, Sciti, 19, 186, 189, 193, 195, 316 Scythia, Scithia, Scitia, Scizia: 16, 185-186, 201, 240, 265, 316 Sebaste: 203 Sebastiani, don Lepoldo: 161, 315 s. Sebastiano: 82 Sebela:, città: 150 s. Secunda: 83, 101 Secundinus, manicheo: 40 Segeste: 256-257, 281
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Seghettino: 258, 313 Seitz, Ludovico: 318 Seleucia, città: 23, 25, 78, 149, 254, 267, 283284 Seleucidi: 14 Seleuco, re: 257, 263 Seleuco Nicanore, re: 178 Seleuco Nicatore, re: 257 Selim: 313 Selino: 198, 313-314 Selino [Selim] III, sultano: 314 Selinunte: 23 Sem: 66 Semira: 193, 195, 202, 316 Semiramide: 161, 168-169, 183 Semnes, Sennen: 248 s. Sennen, Sennes: 27, 57-77, 82-83, 90-91, 94, 105, 113, 135-139, 248, 305, 387 Senofonte, Xenofonte: 200-201 Serangeli, Stefano: 187, 311 Seraspadanes, principe parthico: 19-20 Serena, sposa di Diocleziano: 72 Sereno, Aurelio: 270 Sergabise: 195 s. Sergius, Sergio: 102-103 Serse, Xerse, re achemenide: 16, 19, 123, 143, 173, 178, 197-199, 201-204, 207, 277278 Sertor, Gaetano: 194 Sesto Aurelio Vittore: 258 Sesto Rufo: 258 Seth: 43-44, 51 Settimio Severo, imperatore: 24-27, 32, 43, 67 Seuwa, Seubba, città: 149-150 Severa, matrona cristiana: 48 T. Sextius Lateranus: 27 Sfortunio: 185 Sforza, Eleonora: 304 Sghirla, Pier Vincenzo: 134 Sherley, Anthony: 128, 296 Sherley, Robert: 109, 128, 297-298, 301-304, 306-307, 426 Sibari, capitano: 169, 193 Sibari, figlia di Temistocle: 199 Sibi, città: 149 Sibilla Agrippa: 147 Sibilla Calcidica: 147 Sibilla Chaldea (Caldea): 147-148 Sibilla Cimmeria: 146-147, 153 Sibilla Cumana (Cumaea): 51, 146-147, 154, 156-157, 159-161
Sibilla Delphica (Delphida, Delphia, Delphis): 146-147, 153-155, 157-158 Sibilla Erythraea (Eritrea): 51-52, 146-147, 153-154, 158-160 Sibilla Europa (Europea): 147, 160 Sibilla Hebrea (Ebrea): 147-148 Sibilla Hellesponthia: 146-147 Sibilla Indica: 54 Sibilla Libyssa (Libica): 146-147, 154, 157 Sibilla Persica (Persicha, Persia): 52, 120, 141, 144, 146-161, 208, 212, 322, 394-396, 399 Sibilla Phrygia (Frigia): 146-147, 156-159 Sibilla Romana: 51 Sibilla Samia: 146-147, 158, 160-161 Sibilla Tiburtina (Tiburte, Tiburs): 51, 146147, 156-157, 160-161 Sicambri: 270 Sicilia: 68, 286 Siciolante, Girolamo: 230 Siena: 105, 142, 276 – Libreria Piccolomini: 292 Siface: 204-205, 254 Sienkiewicz, Henryck: 320 Sigeste: 263 Sigesto: 213 Sigismondo I, re di Polonia: 293 Signorili, Nicola: 64, 69 Silla, L. Cornelio Sulla: 15, 22, 42, 144-145 Sillano, console: 251-252 Silvagni, Pietro: 197 Silvani, Francesco: 200, 240 Silvanus: 39 Silverius, papa: 73 Silvester: 39 Silvestro I, papa: 38-40, 61-62, 138 s. Simone cananeo, apostolo, 40, 62, 246250, 322, 415-417 s. Simplicio: 138 Sinai, Monte: 116 Sind: 319 Sinda: 319 Sindrôdh, Sind-rud, fiume: 150 Sinibaldi, Giacomo: 237 Sinus Persicus: 295 Sion, Sionne: 123, 173, 197 Sira [Širin], sposa di Xusraw II: 275 Sira, città: 181 Siras (Širâz), città: 295 Siri, Sirj: 123, 266 Siria: 16-17, 22, 66, 103, 254, 263, 265-266, 283, 286, 288
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INDICE DEI NOMI
Siroe, achemenide: 237-238 Siroe, sasanide Šêrôy Sirte: 230 Sistan, paese: 44 s. Sisto II, Xystus, papa: 59, 61, 138 Sisto III, papa: 50 Sisto IV, papa: 74, 152, 291-292 Sisto V, papa: 87-89, 92, 112, 120-121, 128, 158, 177-178, 232, 268, 272, 294 Sisygambi, Sissigambi, regina achemenide: 224, 227-229, 233 Sisygambi, sposa di Ostane: 224 Sitti Maani: 213 Siveno: 265-266 Siyâvaš, eroe mitico: 320 s. Smaragdus, Smeragdo: 57, 72, 94, 137, 140 Smirne: 291 Società Musicale Romana: 245 Sodella, Sodola, città: 150 Sofi, Sofì, Soffì, Sofo, Sophi: 181, 256, 293294, 298, 311-312, 315 Sogdiana: 23, 41, 234 Sol, Sole, divinità: 14, 28-30, 32-34, 37-38, 60-61, 145, 169, 187, 190, 201, 282-283, 318 Solero Cromizio: 254 Solima: 317 Solimano, re: 198 Solimano II, sultano turco: 312-315 Solone: 147, 188-190, 192 Soltâniyé, città: 282 Sophene, provincia: 81 Sôphîm, monte: 226 Soria (Siria): 251, 255, 257, 293 Soroastrus (Zoroastro): 162 Spaan (Esfahân), città: 308 Spadarino, Antonio: 256 Spagna, Hispania: 216, 235, 293, 307 Spagna, Arcangelo: 75, 98, 217 Spâhân (Esfahân), città: 81 Spargapises: 176 Sparnacchia: 281 Sparta: 192 Spartianus: 260 S. Pietroburgo: 98, 284 Spinosius, Marius: 94 Spitamene: 236 Spontini, Gaspare: 245 Stabingher, Mattia: 242 Stamperia di Pallade: 408 Stamperia Orientale Medicea: 122, 294-295 Stampiglia, Silvio: 198, 278
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Stati, Cristoforo: 273, 300-301 Stati Uniti d’America (U.S.A.): 223 Stateira, sposa di Dario III: 224, 232-234 Statira, figlia di Dario III: 237-238, 245 Statira, regina: 200-201, 204-205 Statira, sposa di Ciro il Minore: 200 Statuti, Alberto: 100 Stazio, P. Papinio: 29 Stemple, Bernardo: 134 Stendhal: 132 Stephanus, autore: 148 Stephanus, cardinale: 87 Stern, Raffaele: 179, 242 Strabone: 164 Strada, Vespasiano: 124, 132 Stradella, Alessandro: 198 Stramboli, Francesco: 276-277 Styge: 277 Suani, Svaneti: 248 Suanir, città: 248 Subiaco: 147 Suenes: 58 Sughd, fiume: 41 Suida: 148 Sultân Muhammad Xodâbandé, re safavide: 88, 294 Surena, generale parthico: 16, 265 Surena, ministro sasanide: 274 Sus, fiume: 149 Susa (Šuš), città: 46, 55-56, 71-72, 149-150, 175, 181, 197-198, 203, 205-208, 211-212, 216, 220-221, 224, 230, 236-237, 245, 322 Susan (Šušan, Shushan), città: 56, 150, 216, 219 Susia Susa Susiana: 36, 55, 58, 149-150, 175, 206, 222 Susiani: 149 Suwella, città: 150 Svevia: 268 Svizzera: 293 Syrois Šêrôy Šâbuhr, Šâpûr, Sapores: 44 Šâbuhr I, re sasanide: 27, 72, 81, 248 Šâbuhr II, re sasanide: 38, 71-72, 78 Šâhên: 58 Šâh-Qoli Hoseyn Clemente Ossat Šahristân, città: 268 Šahrwarâz: 266-267, 272 Šahryâr rud, fiume: 268 Šâm (Siria): 288 Šêrôy, Siroe, Syrois, principe sasanide: 102,
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248, 267-269, 271, 275, 283-284 Šešbazzar: 175 Širâz, città: 181, 295, 308-309 Šîz, sito: 44, 46 Škand gumânîg wizâr: 81 Šuš Susa Šušan Susan Tabriz, città: 165, 292-295 Ta-Ch’in (Roma): 22-23 Tacito: 252, 256, 262 Taccolino: 187-188 Tacmas (Tahmâsp I): 312-314 Tagikistan: 41 Tagliazucchi, Giampietro: 192 Tahmâsp I, re safavide: 294 Takht-e Soleymân, sito: 44 Talestri: 234 Tam: 317 Tamarinda: 311-312 Tamas (Tahmâsp I): 311 Tamberlanus, Tamerlano: 142 Tamiri: 169 Tammar: 316 Tanatai: 178 Tangur: 317 Tarcagnotta, storico: 191 Tarducci, Filippo: 316 Tares, eunuco: 209 Tarquinio Prisco, re: 144, 146-147 Tarquinio Superbo, re: 144 Tarse: 220 Tarso, città: 255 Tartari: 277, 285-286, 288, 295-296, 311-312, 316-317 Tartaria: 317 Tassi, Agostino: 301-302, 425 Tassilo: 192 Tasso, Torquato: 122, 130-132, 310-311 Tauri, Tauris (Tabriz), città: 185, 201, 282, 295, 312-313, 322 Taurica Chersoneso, città: 259 s. Taurino: 96 Taurosciti: 240 Taxila, città: 55 Tebaide: 129 Tebe: 193 Tedeschi, Pietro: 239 Tegernsee: 82 Teheran: 171, 315 Telesia: 189, 263 Telmisse, aruspice: 180
Temi, dea: 193 Temir: 311 Temistocle: 199, 201-203 Tempesta, Antonio: 158, 232 Teodolinda: 278 Teodora, sposa di Giustiniano: 275 s. Teodoro: 138 Teodoro Paleologo di Monferrato, cardinale: 291 Teodosio, Theodosio, Theodosius II, impera tore: 273, 279-282 Teodosio, principe: 277-278 Teodoto d’Ancyra: 43 Teofane: 284 Teofilatto: 43 Teopompo: 204-205 Teramene: 265 Terranova: 164 Terrasanta: 286, 288 Tertulliano: 43 Tetralypos: 103 Terziani, Gustavo: 196 Tetabane, città: 185 Tetrarchi: 37 Teyler, Museum in Harlem 226 Thea Musa, Thesmusa: 19, 42 s. Thecla: 78 Théodon, Jean-Baptiste: 114 Theodoros bar Qônâî: 162 Theodoros di Samo: 197 Thomas de Marga: 58 Thorvaldsen, Berthel: 243-244 Tibaldi, Pellegrino: 171, 229-230 Tiberio, imperatore: 16, 22, 67 Tiberio II, imperatore: 276 Tiberio, figlio di Mauritio: 276 Tibet: 66 s. Tiburzio: 138 Tiflîs, città: 321 Tigrane: 189, 193, 251-252, 254-256, 259260, 264-265 Tigranes III, re di Armenia: 21 Tigraspe: 257-259, 263, 312 Tigri, fiume: 21, 59, 149-150, 171-172, 221, 251, 268, 275 Tigrinda: 255 Tigrutes, schiavo: 22 Timagene: 239 Timoclea: 231, 233 Timuridi: 290 Tiridate: 200, 252-253, 256, 261-263 Tiridates, re di Armenia: 21, 42
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INDICE DEI NOMI
Tiridates II, re di Parthia: 17, 21 Tiro, città: 226, 228, 240 Tisaferne: 199-200, 205 Titano: 29 Tito Flavio Clemente: 43 Tito Livio: 11 Tito Quinzio Flaminio: 11 Tobas, cavaliere: 205 Tobia senior: 171-172 Tobia junior: 170-172, 177, 230, 322 Tocchi, ditta: 99 Tofanelli, Stefano: 160 Toledo, città: 268-269 Tolemeo I, re d’Egitto: 14 Tolomeo, re d’Egitto: 198-199, 257, 265, 274275 Tolomeo, geografo: 163-164, 400 Tolosani, Giovanni Maria: 63 s. Tomaso, Thoma, apostolo: 43, 54-55, 94, 149-150 Tomei, Felice: 182 s. Tommaso d’Aquino: 318 Tommaso il Giottino: 142 Tomyris, Tomiri, regina: 176, 186, 189, 191, 195 Tonchino, città: 23 Tongerloo, città: 141 Tonti, Michelangelo, cardinale: 109, 297 Torelli, Cesare: 90 Torino: 245, 317 – Biblioteca Reale: 142 – Palazzo Reale: 219 – Teatro Regio: 169, 284 Torlonia, Alessandro: 244 Torlonia, Giovanni: 244 Torriani, Orazio: 74 Tortoletti, Bartolomeo: 173 Toscana: 62 Totila: 273 Tottola, Leone: 205 Tournai, città: 241 Trabisonda, Trebisonda, città: 221, 255, 290 Traci, Tracia: 256, 313-314 Traiano, imperatore: 13, 23-24, 246, 266, 323 Trajetta, Tommaso: 261 Transcaucasia: 321 Transtigritania: 58 Trappisti: 114 Trebellio Pollione: 262 Tre Indie: 54-55 Tre Magi: 28, 40, 42-56, 70, 105, 120, 124, 144, 146, 149-150, 162, 322, 384-285
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Tre Parche: 86 Trento, Vittorio: 265, 316 Trifone: 265 Tristane: 236 Tritraustre: 274 Tritto, Giacomo: 265 Troia, città: 147, 151, 162 Tuluy, mongolo: 286 Tunisia: 68 Tur, eroe mitico: 66 Turamini, Bernardino: 212 Turân: 66 Turimbalo, re: 54 Turchi: 122-123, 271, 293, 309-315 Turchia: 222 Turk, Turki: 66 L. Turranius Sasa, schiavo: 22 Tus, città: 319 Tuscia: 83, 104 Tuyserkân, città: 78-79 Ubaldo: 265 Ubeleskj, Alexandre: 236 Udjahorresne, naoforo egizio: 24 Ufficio Tecnico di Finanza: 132 Ulamano, cavaliere: 132 Ulisse: 230 Ulpia Vobrane, dama parthica: 24 Ungheria: 285 Università Urbaniana: 133 Universitas Tinctorum: 118 Unni: 281 Urano: 176 Urbano III, papa: 110 Urbano IV papa: 286 Urbano VII, papa: 94 Urbano VIII papa: 86, 121, 173, 180, 213, 232-233, 297, 304 Urbino: 291-292 Urmya, città: 44 Uruoccolo Ciancia Napolitano: 185 Usbegho: 311-312 Ustrušana, Ušrusana: 41 Usuardo: 309 Uzun Hasan, re: 165, 290-292 Vaccai, Nicola: 205 Vaccondi, Giovanni Battista: 184 Vagao, eunuco: 174 Vagni, Pietro T.: 217, 255-256 Vairak: 318 Valas: 318
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Valentini, Vincenzo: 241 Valentiniano, principe: 281 s. Valentino, Valentinus: 57, 79 Valeria, sposa di Caligola: 258 Valeriano, imperatore: 27 Valeriano, prefetto: 60 Valerio Massimo: 291, 201-202 Valladolid, città: 269, 308 Vallini, Agostino, cardinale: 100 Valturio, Roberto: 142 Van, lago: 59 Van Aelst, Niccolaus: 154, 159 Vandali: 276, 281 Van Dick, Anton: 303 van Lint, Peter: 273 Vanni, Raffaello: 214 Vanosino, Antonio: 295, 422-423 Van Staten, architetto: 32 Vanstryp, Filippo: 259 Varane, Vararane (Wahrâm V): 279-281 Vararanes (Wahrâm II): 36 Varardach, Varachdach, satrapo: 247, 249250 Varese, Lazzari: 310 Varrone Reatino, M. Terenzio: 120, 145-147, 155 Vasace: 275 Vasti, Vaste, Vashti (Waštî), regina: 173, 206, 211-212, 216 Vaus, monte: 150 Vasari, Giorgio: 142, 154, 156, 164, 229, 231 Vaxš: 78 Vecchietti, Gerolamo: 122 Vecchietti, Giovanni Battista: 87, 122, 128, 294, 296 Vellani, Domenico: 260-261 Venere, Venus: 148, 234 Venezia: 165, 197, 208, 226, 237, 290-291, 295, 303 – Palazzo Ducale: 303 – Teatro di S. Angelo: 252 – Teatro di S. Cassano, Casciano: 199, 256 – Teatro di S. Salvatore: 251 – Teatro di S. Samuele: 242 – Teatro di SS. Giovanni e Paolo: 198, 234 – Teatro Grimani: 169, 188, 200, 251, 258, 261, 283 – Teatro la Fenice: 204, 242 – Teatro Tron di S. Cassano: 189, 201 – Teatro Vendramino: 278 P. Ventidius Bassus: 17 Verona: 58, 100-101
Vespasiano, imperatore: 60-61 Vessore, egizio: 169 Vesta: 39, 45 Vestali: 20, 39, 45, 144 Vienna: 175, 190, 203, 260, 282, 316 Viganò, Onorato: 315 Vigilanti, Monaldo: 159 Vigili del Fuoco: 100 Villa Adriana, Canopo: 24 Villani, Giovanni: 286 s. Vincenzo: 70-71 s. Vincenzo di Saragozza: 107, 111-113, 136, 139 Vinchioni, Cinzio: 184 Vinci, Leonardo: 168, 202, 239, 283 Virgilio: 9, 115, 157 Virgo: 148 Visconti, Giovanni Battista: 172 Vismara, Gianluigi: 99 Vištaspa (Wištasp): 162, 166-167 Viti, Timoteo: 153, 398 Vittorio Emanuele II, re: 317 Viviani, Antonio: 295, 424 Viviani, Belardino: 236 Voicu, Sever J.: 10 Vologese, sasanide: 275 Vologeso [Vologesus III], re parthico: 258, 261, 265, 418 Vologesus, nome: 85 Vologesus, Vologaesus I, re parthico: 22, 42 Vologesus IV, re parthico: 25-26 Vonone: 265 Vonones, principe parthico: 19, 21 Volpati, Volpato, Giovanni: 156, 166, 227 Voltaire: 245 Vopisco: 262 Vulcano: 255 Voxi, città di Giappone: 300 Wahman, Wahuman: 80-81 Wahrâm II, re sasanide: 36 Wahrâm V, re sasanide: 58 Wahrâm Çôbên: 282 Walagaš (Vologesus): 85 Waštî Vasti Waterloo: 242 Xenofonte Senofonte Xerse Serse Xerses, re parthico: 135, 247 Xipanes, schiavo: 22 Xizr: 39
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INDICE DEI NOMI
Xusraw I, re sasanide: 78 Xusraw II (Chosroe, Chosroes, Cosdroa, Cosdroe, Cosra, Cosroe, Cosrhoe), re sasa nide: 47, 72, 102, 105, 108, 139, 143, 243, 266-273, 275, 278, 282-284, 301, 420 Xûàên, satrapo: 81 Xuzistân: 55-56, 58, 149 Xysuthurus: 148 Yahballaha III, patriarca: 287 Yaxartes, fiume: 41 Yazdân-duxt: 86 Yazdegard I, re sasanide: 58, 73, 248, 273, 279 Yunân: 289 Zaba, Zabda: 262 Zaccaria, profeta: 67, 153 Zaccaria, papa: 82 Zacchia, Paolo Emilio, cardinale: 129 Zacchia, Pietro (‘Ali): 128-129 Zadig: 204 Zadira: 194 Zagros: 170 Zahhâk: 66 Zaira: 312 Zalbillo: 257 Zama, dama: 316-317 Zamagna, Angelo: 99 Zambri, magus / presbitero: 39 Zamoro: 316 Zampieri, Domenico, il Domenichino: 212, 233 Zamur: 317 Zand î Wahman Yašt / Yazn: 146, 167 Zanelli, Ippolito: 168
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Zanettini, Giovanni Antonio: 199 Zangorre: 313 s. Zanobi, Zenobio: 62-63 Zara, guardia: 196 Zarathuštra (Zoroastro): 162 Zarduxšt (Zoroastro): 167 Zares, sposa di Aman: 215-218 Zaroes (Zarôê), mago: 247, 249, 414-415 Zelindo: 281 Zeanghire (Jehângir): 312-313 Zena, Agostino: 114 Zeno, Agostino: 317 Zeno, Apostolo: 201, 258, 261, 265, 282, 316 Zeno, Giovan Battista, cardinale: 291 Zenobia: 252, 256, 261-262 Zenodoro, scultore: 61 s. Zenone: 85, 103, 109, 138 Zeus: 12, 14, 244 Zinda: 319 Ziridi: 68 Zoaspe: 194 Zomira: 168, 193 Zonaida: 313 Zonara: 262, 279 Zopiro: 261 Zoraid: 317 Zoroastro, Zoroastres: 41, 43-44, 143, 161169, 276-278, 322, 400-401 Zorobabele: 181 Zosimo: 262 Zuccari, Federico: 231 Zuccari, Taddeo: 231 Zulima: 316-317 Zulippa: 311 Zuqnîn: 43, 54 Zurlo: 253
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INDICE TOPONOMASTICO Abbazia di s. Anastasio: 103, 106-107, 114115, 138, 287-288, 390 Abbazia di s.Paolo fuori le mura: 104, 170 Accademia Nazionale di S. Luca: 219, 221, 235, 243-245 ad Aquas Salvias, Acque Salvie: 83, 94, 102103, 114-115, 138-139, 322 ad Gallinas Albas: 18, 381 ad Ursum Pileatum: 62, 64, 74, 139 aedes Latherani: 26-27 aedes Parthorum: 26-27 Agone: 271 Anfiteatro Flavio: 27, 60, 64-65, 75 Anfiteatro di S. Onofrio: 129, 133 Ara Pacis Augustae: 19-20, 322 Archivio Segreto Vaticano: 299 Arco degli Argentari: 26 Arco di Costantino: 13, 25 Arco di Gallieno: 232 Arco di Janus Quadrifrons: 26 Arco Parthico di Adriano: 23, 25 Arco Parthico di Augusto: 18-19, 25 Arco Parthico di Lucio Vero: 24 Arco Parthico di Nerone: 22 Arco Parthico di Settimio Severo: 25-26, 67, 85-86, 90, 135, 144, 322, 382-383 Area Sacra dell’Argentina: 91 Arenula: 97, 110 Aventino: 33, 50, 106 Basilica Apostolorum: 49 Basilica Argentaria: 84 Basilica Costantiniana: 41 Basilica Emilia: 19 Basilica Julia: 18 Basilica Lateranense, S. Giovanni in Latera no: 27, 83, 109, 129, 184, 287, 297 Basilica Liberiana, S. Maria Maggiore: 50, 85, 152, 273, 287, 300, 322, 385 Basilica Vaticana, S. Pietro in Vaticano: 49, 52, 73, 83-84, 98-99, 109-110, 116, 118, 120, 122, 134, 137, 248, 302 Basilica di S. Paolo Fuori le Mura: 49-50, 109-110, 114-115, 138, 287 Boccea, Buccege: 84, 99, 101
Camilluccia: 133-134 Campidoglio, Capilolium, Colle Capitolino: 12, 17, 25, 27-28, 32, 64-65, 86, 91, 115, 122, 135, 144-145, 260, 270, 322 Campo Marzio: 19-20 Campo Santo dei Tedeschi: 49 Campo Vaccino: 88, 90, 113, 136 Cappella Bandini: 212 Cappella Cassetta: 222, 410 Cappella Châteuvillain: 157 Cappella Chigi in Santa Maria della Pace: 155-156, 397-398 Cappella Chigi in Santa Maria del Popolo: 175 Cappella Cybo-Soderini: 272 Cappella degli Stati Uniti d’America: 223 Cappella dei ss. Mario e Callisto: 94-95 Cappella del Coro: 153, 395 Cappella del Crocefisso: 90 Cappella della Passione: 310 Cappella delle Reliquie: 69 Cappella delle Reliquie della Croce: 268 Cappella del Sacramento: 74 Cappella di s. Elena: 270 Cappella di s. Filippo: 307 Cappella di s. Giacinto: 307 Cappella di s. Lorenzo: 105, 129 Cappella di s. Onofrio: 117-118 Cappella di s. Paolo: 213 Cappella di s. Silvestro: 86 Cappella di s. Teresa: 307 Cappella Filonardi: 97, 389 Cappella Firenzuola: 249-250, 417 Cappella Greca: 48 Cappella Paolina: 301-302 Cappella Paolina Borghesiana: 273, 300-301, 421 Carcere Tulliano e Mamertino: 159 Castel S. Angelo: 119, 225, 228-229 Castra Equitum Singularium: 34 Castra Peregrinorum: 32, 35 Castra Praetoria: 34-35 Castra trans Tiberim: 79, 82 Celio, Coelimontium: 33-35, 64, 85-86, 92-93 Chiesa di S. Abacuch: 84-85 – S. Adriano al Foro: 85-90, 95, 113, 136,
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INDICE TOPONOMASTICO
139, 144 – S. Agata dei Goti: 84 – S. Angelo in Pescheria: 248 – S. Agostino: 222, 409 – S. Anastasia: 69 – S. Anastasio de Arenula / alla Regola: 110111, 113, 137 – S. Anastasio de Marmorata: 110 – S. Anastasio de Pinea: 110 – S. Anastasio de Puteo Probae: 110 – S. Anastasio de Trivio: 111 – S. Balbina: 106 – S. Barbara dei Librari: 92 – S. Bartolomeo sull’Isola Tiberina: 109, 297 – S. Candida: 63 – S. Carlo ai Catinari: 97-98, 113, 389 – S. Clemente: 32-34 – S. Crisogono: 40, 106 – S. Croce alla Scaletta: 273 – S. Croce al Flaminio: 285 – S. Croce de’ Lucchesi: 274 – S. Croce in Gerusalemme: 106, 109, 268269, 322, 419 – S. Croce su Monte Mario: 133 – S. Cyriacus: 72 – S. Eligio alla fontana di S. Giorgio: 95 – S. Eligio degli Orefici: 159 – S. Eufemia: 268 – S. Eustachio: 117, 215 – S. Francesco su Monte Mario: 133-135 – del Gesù: 218, 309 – S. Giacomo dell’Incurabili: 228 – S. Gioacchino: 223 – S. Giorgio in Velabro: 26, 122 – S. Giovanni Battista ad Aquas Salvias: 103 – S. Giovanni Calebita: 85, 95-96, 113, 136, 139 – S. Giovanni dei Fiorentini: 215, 217, 249250, 417 – S. Giovanni in strada Giulia: 95 – S. Girolamo della Carità: 219 – S. Giuda Taddeo: 250 – S. Lorenzo fuori le mura: 49, 109 – S. Lorenzo in Damaso: 32, 110-111 – S. Lorenzo in Lucina: 68-69, 305-306 – S. Luca: 90 – S. Lucia alla Chiauica: 95 – S. Lucia del Gonfalone: 95 – S. Lucia della Tinta: 231, 258 – S. Luigi dei Francesi: 110 – Madonna dei Monti: 69 – Madonna del Rosario: 134
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– dei Magi: 56 – S. Marcello al Corso: 159 – S. Marco al Campidoglio: 64, 74-77, 113, 135, 137, 139-140 – S. Maria Antiqua: 52 – S. Maria ad Martyres: 92 – S. Maria Annunziata fuori le mura: 109 – S. Maria del Pianto: 216 – S. Maria del Popolo: 153, 175, 214, 273, 322, 395 – S. Maria del Suffragio: 175 – S. Maria della Pace: 121, 155-157, 397-398 – S. Maria della Ritonda: 137 – S. Maria della Scala: 306-307 – S. Maria della Vittoria: 113, 137 – S. Maria Egittiaca: 304-305 – S. Maria in Aquiro: 107 – S. Maria in Aracoeli: 32, 95, 213 – S. Maria in Campitelli: 137 – S. Maria in Cosmedin: 52, 91 – S. Maria in Frari: 73 – S. Maria in Monticello: 248 – S. Maria in Monticelli: 111 – S. Maria in Palazola: 116 – S. Maria in Trastevere: 81, 94, 101, 108 – S. Maria in Vallicella (Chiesa Nuova): 90, 129, 194 – S. Maria in Via Lata: 137, 140 – S. Maria la Nova: 64 – S. Maria Scala Coeli: 32 – S. Mario e Famiglia Martiri: 99-101 – S. Marta degli Ariani: 84 – S. Martina: 90 – S. Martino de’ Monti: 137 – S. Niccolò de’ Funari: 91, 119 – S. Nicola da Tolentino: 305 – S. Nicola de Calcararii: 90 – S. Nicola de’ Cesarini: 90-91 – Nunziatella: 103 – S. Onofrio in Campagna: 133-134 – S. Onofrio sul Gianicolo: 113, 116-122, 130-133, 137, 139, 141, 391 – S. Orsola: 91 – S. Paolo alla colonna Antonina: 95 – S. Paolo alle Tre Fontane: 103, 107-109, 138, 287-288, 322 – S. Pietro in Vincoli: 137, 207 – S. Prassede: 85, 113, 137, 139 – S. Prisca: 32-33 – S. Rufina: 83 – S. Sabina: 50, 141 – S. Salvatore de Subura: 69
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– S. Salvatore delle Coppelle: 68, 95 – S. Salvatore in Corte: 73, 119, 137 – S. Salvatore in Onda: 111, 222, 410 – S. Sebastiano al Palatino: 53 – S. Sebastiano fuori le mura: 109 – S. Secunda: 83 – S. Silvestro al Quirinale: 212 – S. Silvestro in Campo Marzio: 73, 137 – S. Silvestro in Capite: 32, 139, 160-161 – S. Spirito in Sassia: 95, 118 – S. Stefano Rotondo: 32, 35, 93, 110, 388 – S. Susanna: 69 – della Trinità dei Monti: 157 – S. Urbano alla Caffarella: 53 – S. Valentino: 84 – S. Vergine ad Aquas Salvias: 103 – SS. Abdon e Sennen al Coliseo: 64 – SS. Abdon e Sennen al cimitero Ponziano 62-63 – SS. Ambrogio e Carlo al Corso: 49 – SS. Chrysanti et Dariae: 85 – SS. Cosma e Damiano: 90, 95 – SS. Marcellino e Pietro: 92, 95 – SS. Mario, Marta, Abbacuc e Audifax: 8284, 99 – SS. Martiri di Selva Candida: 101 – SS. Nereo e Achilleo: 49, 95 – SS. Quattro Coronati: 34, 86, 95, 113, 136137 – SS. Silvestro e Dorotea: 321 – SS. Simone e Giuda Taddeo: 250 – SS. Vincenzo e Anastasio ad Aquas Salvias: 107, 109-110, 113, 136, 138-139, 287-288 – SS. Vincenzo e Anastasio a Fontana di Tre vi: 111-113, 136, 139 – SS. Vincenzo e Anastasio alla Regola: 111 Chiostro di S. Onofrio: 123-128, 392-393 Cimitero di s. Agnese: 49, 384 Cimitero di s. Balbina: 47 Cimitero di s. Anastasio: 138 Cimitero di s. Callisto 47, 49 Cimitero di s. Domitilla: 47-49, 78 Cimitero dei Gordiani: 47 Cimitero di Lucina: 138 Cimitero di Maius: 47 Cimitero di Marco e Marcelliano: 47 Cimitero di Marcellino e Pietro: 48-49 Cimitero Pontianus, Ponziano: 60-63, 69-71, 73-74, 79, 82, 104, 135, 139, 387 Cimitero di s. Priscilla 47-48 Cimitero di s. Sebastiano: 49 Cimitero di s. Zenone: 103, 138
Cimitero di via Latina: 47, 49 Circo Massimo: 27 Clivo Argentario e Capitolino: 26 Clivus Cucumeris: 79 Collegio Armeno: 305 Collegio Clementino: 181-182, 186, 219, 253254, 280, 309 Collegio Germano-Ungarico: 53, 221 Collegio Nazareno: 172, 239, 241, 255-256, 297 Collegio Romano: 53, 221 Collegio Urbano de Propaganda Fide: 56, 169, 221 Colonna di Marco Aurelio: 178 Colossus, Colosseum, Colosseo: 60-61, 64, 136, 140 Comitium augusteo: 25 Consiglio di Stato: 230 Convento di S. Maria della Scala: 304, 306, 308 Convento di S. Francesco d’Assisi su Monte Mario: 134 Corso Vittorio Emanuele II: 159, 171 Curia di Pompeo: 16 Curia Senatus / Iulia: 25, 86, 90, 144 Crepta rubea: 116 Crypta Balbi: 104 Domus Aurea: 60 Domus Augustana: 21 Domus Faustae: 40 Domus Laterani: 26-27, 40 Domus Parthorum: 26 Domus Septem Parthorum: 26-27 Esquilino: 232 EUR: 115, 319 Fasti Consolari e Trionfali: 12 Fontana di Trevi: 102, 112 Fonte di S. Mario: 84 Foro di Augusto: 12-14, 19 Foro di Cesare: 13, 84 Foro di Traiano: 38 Foro Romano: 12, 14, 18, 25-26, 39, 67, 8688, 90, 144, 228, 322, 382-383 Forte Trionfale: 134 Forum Boarium: 26 Gabinetto Nazionale delle Stampe: 76, 97, 298 Galleria Nazionale d’Arte Antica: 179
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INDICE TOPONOMASTICO
Galleria Nazionale d’Arte Moderna: 319 Galleria Borghese: 119 Ghetto: 216 Gianicolo: 103, 115-117, 119-122, 128-131, 133-135, 137, 139, 141, 322 Grotta Perfetta: 103 Horti Sallustiani: 31-32 Ianiculi iugum: 115 Ianiculus: 115 In tribus fatis / foris: 87 Ipogeo di S. Onofrio: 135 Isola Tiberina: 78, 85, 96, 139, 297 Istituto Nazionale della Grafica: 178 Lapis Niger: 144 Largo dei Librari: 92 Laurentum: 115 Laterano: 26-27, 110, 322 Lungara: 110, 227, 273 Lungotevere dei Vallati: 111 Lupercale: 41 Mausoleo di Adriano: 83 Mausoleo di Augusto: 20, 322 Meta Sudans: 60 Minerva: 110 Mitrei: 31-33, 35 Mole Adriana: 229 Monastero dei SS. Quattro Coronati: 34 Monastero di S. Saba: 106 Monastero delle Oblate di S. Francesca Ro mana: 119 Mons Sancti Spiritus: 391 Mons ventosus: 116 Monte Cavallo: 131 Monte Giordano: 142, 248 Monte Mario: 115, 133-135, 322 Monteverde: 73 Museo Cristiano Lateranense: 47, 49 Museo dell’Alto Medioevo: 225 Museo di Castel S. Angelo: 119 Museo di Roma: 122 Museo Nazionale Romano alle Terme: 22, 34, 49-50 Museo Palatino: 24 Museo Tassiano: 132 Ninfa: 138-139 Nove Chiese: 109, 288 Nunziatella: 103
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Nymphae Catabassi: 80, 84 Oratorio dei Filippini: 90 Oratorio del Gonfalone: 158 Oratorio dell’Arcifronfraternita del SS. Cro cifisso di S. Marcello: 174, 183-184, 212, 216, 218, 271, 420 Oratorio dell’Arcifronfraternita della Pietà: 215, 217 Oratorio della Chiesa Nuova: 218 Oratorio della Congregazione dell’Oratorio: 172, 175, 220, 408 Oratorio della Vergine nelle grotte di S. Pie tro: 52 Oratorio di S. Filippo Neri: 194, 196 Oratorio di S. Girolamo della Carità: 172, 219, 221 Oratorio di S. Giuseppe dei Falegnami: 159 Oratorio di S. Onofrio su Monte Mario: 135 Ospedale dei Fatebenefratelli: 96 Ospedale di S. Giovanni: 35 Ospedale di S. Onofrio: 134 Ospedale pediatrico del Bambin Gesù: 131 Ospedale psichiatrico di S. Maria della Pietà: 134 Ospizio Apostolico di S. Michele: 196 Ostia: 30-31, 79, 134, 287 Palatino: 41, 53, 69, 145 Palatiolum: 116 Palatium imperiale: 31 Palazzi e Musei Capitolini: 49 – Galleria Cini: 215 – Medagliere Capitolino: 23 – Museo Nuovo dei Conservatori: 12 – Palazzo dei Conservatori: 12, 233, 412 – Pinacoteca Capitolina: 160, 215, 233-234 – Sala dei Fasti Capitolini: 12 – Sala dei Trionfi: 233, 412 – Sala di Petronilla: 160 Palazzi e Musei Vaticani, Appartamento Borgia: 153, 226, 292 – Braccio Nuovo: 18, 381 – Cappella Sistina: 130, 154-155, 157, 208210, 215, 222, 226, 323, 396, 407 – Galleria dei Candelabri: 24, 318 – Galleria Lapidaria Vaticana: 20 – Loggia della Cosmografia, Carte Geografi che: 294, 422-423 – Logge di Raffaello, Loggia Decima: 165, 401 – Sala Clementina: 296
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– Sala dei Santi: 226, 229 – Sala del Camino: 226 – Sala delle 12 Sibille e dei 12 Profeti: 153 – Sala delle Nozze Aldobrandine: 232 – Sala di Costantino: 285 – Sala di Sansone: 232 – Stanza della Segnatura: 163-164, 226, 323, 400 – Torre dei Venti: 171, 248, 414-416 – Museo Gregoriano Egizio: 24 – Museo Gregoriano Etrusco: 244 – Museo Sacro Vaticano: 91 – Museo Pio Cristiano: 48-49, 158 – Museo Pio-Clementino: 96, 384 – Pinacoteca Vaticana: 234 – Palazzo Apostolico, Vaticano: 56, 89, 128 – Biblioteca Vaticana: 128, 163, 299, 309, 323 – Museo Cristiano: 53, 105 – Sala degli Scrittori: 158, 399 – Sala dei Concili: 295, 424 – Sale Paoline: 20, 299 – Salone Sistino: 158, 177, 295, 404 Palazzo del Quirinale: 109, 244, 318, 323 – Appartamento Napoleonico: 242-243 – Cappella Paolina: 301-302 – Galleria di Alessandro VII: 178-179, 323, 405 – Quadreria: 219, 323 – Sala degli Ambasciatori: 179 – Sala del Trono: 179 – Sala delle Dame: 243, 266 – Sala di Augusto: 179 – Sala di Ricezione: 243, 266, 323 – Sala Gialla: 179 – Sala Regia: 301 – Salone dei Corazzieri: 301, 323, 425-426 Palazzo Baldinotti: 235 Palazzo Barberini: 32, 179 Palazzo Bessarione-Riario: 291 Palazzo Caetani: 231 Palazzo Caffarelli: 171 Palazzo Capodiferro: 230 Palazzo Carpegna: 235 Palazzo Chigi: 241 Palazzo Clementino: 234 Palazzo Colonna: 239 Palazzo della Cancelleria: 111, 184, 186, 229, 279 Palazzo Della Valle, Sala Serpieri: 159-160 Palazzo Doria-Pamphilj: 49, 241, 246
Palazzo Lateranense, Laterano: 105, 109, 272, 402-403 Palazzo Massimo: 210 Palazzo Massimo alle Terme: 34 Palazzo Mattei: 231 Palazzo Milesia: 175-176, 228 Palazzo Naro: 215 Palazzo Orsini a Monte Giordano: 142, 162 Palazzo Orsini su via Papalis: 141, 152 Palazzo Pamphilj a Piazza Navona: 214 Palazzo Peretti Montalto: 232 Palazzo Riario-della Rovere: 207 Palazzo Ricci-Sacchetti: 230 Palazzo Sacchetti: 171 Palazzo Santorio: 246 Palazzo Spada: 230 Palazzo Tonti: 239 Palazzo Torlonia a piazza Venezia: 245 Palazzo Valentini: 241 Palazzo Venezia: 74 Palazzo Vidoni: 171 Pantheon: 64-65, 67-68, 92, 322 Parco del Pineto: 135 Parco di Sant’Onofrio: 134 Pasquino: 297, 299 Patriarchío Lateranense: 27, 53, 63, 105 lo Perso: 32, 39 Piazza Colonna: 178 Piazza dei Caprettari: 215 Piazza de’ Massimi: 210 Piazza dei Quiriti: 223 Piazza della Minerva: 406 Piazza dell’Oratorio: 271 Piazza di S. Onofrio: 121, 133 Piazza Monte Gaudio: 134 Piazza Navona: 214, 275 Piazza S. Pietro: 113, 214 Piazza Santi Apostoli: 291 Piazza Venezia: 74, 245 Piazzale Ferdowsi: 319 Ponte Elio: 83 Ponte Milvio: 133, 228, 267, 270, 285 Ponte S. Angelo: 83 Ponte Sisto: 110-111, 222, 321 Porta Capena: 24 Porta del Popolo: 274 Porta di Bastiano: 224 Porta Cornelia: 83 Porta Pia: 244 Porta Portese, Portuense: 63, 73 Porta s. Pancrace: 139 Porta S. Pietro: 83
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INDICE TOPONOMASTICO
Porta S. Sebastiano: 224, 244 Porta S. Spirito in Sassia: 120-121 Porta Settimiana: 321 Porta Tergemina: 108 Porta Urbana: 120 Portico di Ottavia: 12, 248 Porticus Gai et Luci: 18 Porto: 63, 84, 90-91, 96, 99, 101 Prima Porta: 18, 322 Quercia del Tasso: 129, 133 Quirinale: 32, 111-112, 232 Regola: 110-111, 113, 137 Ripetta: 228 Rotonda: 418 Romanina: 99 Rostra Augusti 25-26, 42, 144 Salita di S. Onofrio: 121, 133 Salvatio Romae: 64-65, 135 Sancta Sanctorum: 53, 63, 105-106, 110, 129, 138, 322 Saxa Rubra: 133, 228, 270 Scala Santa: 106, 129 Scale Sante al Saluatore: 136 Scola Greca: 110 Secretarium Senatus: 90 Selva Candida: 83, 101 Seminario Romano: 172, 181, 183, 192, 197, 201, 219, 236, 240, 252, 274-275, 278, 315, 418 Septem Ventus: 115-116 Sette Chiese: 109 Sette Colli: 116 S. Onofrio in Campagna: 134 Statio Vigilum: 35 Suburra: 84 Tabularium: 25 Tarpeio, Tarpeius: 39, 270 Teatro di Marcello: 91, 119 Teatro di Pompeo: 42, 92 Teatro a Campo Marzio: 187 Teatro Alibert: 200, 204, 242, 258, 265, 281283 Teatro Apollo: 205, 317-318 Teatro Capranica: 168, 189, 191, 199, 201, 256, 259 Teatro Colonna: 237 Teatro delle Dame: 168-169, 189, 193-194, 202-203, 239, 242
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Teatro di Torre Argentina: 169, 192-194, 203-204, 240, 243, 261, 263, 315, 406, 418 Teatro di Torre di Nona: 190, 198, 203, 238, 241-242, 251, 260, 263, 278, 315-317 Teatro Rucellai: 254-256, 313 Teatro Valle: 265 Tebro: 228, 251 Tempio della Fortuna virile: 305 Tempio di Apollo: 145 Tempio di Asylum: 28 Tempio di Concordia: 25 Tempio di Dione: 13 Tempio di divo Giulio: 18 Tempio di Giano: 42, 144-145, 158 Tempio di Giove: 12, 22 Tempio di Giove e Moneta: 65 Tempio di Giunone: 12 Tempio di Iuturna: 91 Tempio di Jupiter Capitolinus: 144-145 Tempio di Mars Ultor 14, 17, 21 Tempio di Saturno: 88 Tempio di Venere e Roma: 64 Tempio di Vesta: 39, 45 Terme Antoniniane: 31 Terme di Caracalla: 31, 95, 106 Terme di Costantino: 232 Terme di Diocleziano: 136 Termini: 137, 232 Tevere: 71, 79 Tor de’ Specchi: 91, 119 Torre Angela: 250 Trastevere: 12, 79, 81, 120-121, 306, 321 Tre Fontane: 83, 103, 110, 113, 115, 136-139, 322 Tres Fontes: 108 Tria Fata: 144 Umbilicus Urbis Romae: 26 Valle dell’Inferno: 133 Valle Giulia: 319 Vaticano, monte: 134 Velabrum: 26 Via Alessandro Poerio: 73 Via Appia: 16, 224, 244 Via Ardeatina: 103 Via Aurelia: 81, 138 Via Boccea: 99 Via Botteghe Oscure: 231 Via Ciro il Grande: 319 Via Cornelia: 80, 82-84, 94, 99, 138-139 Via dei Cessati Spiriti: 250
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la persia istoriata in roma
Via dei Giubbonari: 92 Via de’ Lucchesi: 274 Via de’ Nari: 215 Via dei Pettinari: 222 Via dei Santi Martiri di Selva Candida: 101 Via di S. Onofrio: 133 Via del Corso: 241, 310 Via del Gambero: 161 Via della Maschera d’Oro: 175 Via delle Zoccolette: 111 Via di Monterone: 215 Via di Torrenova: 250 Via Flaminia: 18, 274 Via Giulia: 230, 250 Via Guido Reni: 285 Via Labicana: 92 Via Lata: 137, 140 Via Laurentina: 115 Via Laurenziana: 103 Via Luigi Morandi: 135 Via Monte Brianzo: 231 Via Nomentana: 244 Via Omero: 320 Via Ostiense: 83, 103, 108, 114-115, 139 Via Papale, Papalis: 110, 141
Via Passalacqua: 35 Via Pompeo Magno: 223 Via Ponte delle Sette Miglia: 99, 101 Via Portuense: 61-63, 69, 83, 139 Via Salaria: 69, 79 Via Sicilia: 31 Via S. Mario e Marta: 99 Via SS. Audiface e Abacuc: 101 Via Trionfale: 115, 138 Viale Madama Letizia: 321 Viale Trionfale: 134 Vicolo del Cefalo: 171 Vicolo dell’Atleta: 12 Vicolo di S. Onofrio: 133 Vicus Iugarius: 26 Vigna Moroni: 243 Vigne Altieri e Maragozzi: 35 Villa di Livia: 18, 381 Villa Aldobrandini: 232 Villa Borghese: 32, 319-320 Villa Farnesina: 297-298 Villa Medici: 20, 211 Villa Torlonia: 244, 413 Viminale: 110 Volcanale: 25
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