La macchinazione. Realtà virtuali e web illusioni 1028079414, 9788885562097


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La macchinazione. Realtà virtuali e web illusioni
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A LT R I M E N T I

21

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© 2020 Prospettiva Edizioni services & publishing srl sede legale località Casa al Dono 96 50066 Reggello (Fi) telefono 055 8622714 ccp 1028079414 www.prospettivaedizioni.it [email protected] progetto grafico Juan Bolívar copertina Francesca La Sala finito di stampare nel mese di ottobre 2020 presso Tipografia Geca srl San Giuliano Milanese (Mi) – telefono 02 999521 stampato in Italia – printed in Italy ISBN 9788885562097

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LA

Jacopo Andreoni

MACCHINAZIONE

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INDICE

7

INTRODUZIONE

13 15 17 19 21

PUNTI DI PARTENZA Nati per la guerra Il male in tasca... ...e dappertutto Incultura digitale Il senso di un impegno

25 27 30 32 34

L'ERA DELLA DISINFORMAZIONE Un flusso ininterrotto Il regno delle fake news Complotto Le verità nascoste Informarsi significa selezionare

37 39 41 44 46

BIG DATA O BIG DEAL? Il trionfo della quantità Vendersi con un click Chi mi ha comprato? Privacy ovvero privazione La vita non è una merce

49 51 54 56 59

LA SOCIALITÀ DISTORTA Io, tu, noi e lo schermo Quanti amici hai? Giochi pericolosi Sfruttamento 2.0 Face to face

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63 65 68 70 73 77 80 82 84 87

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CONTROLLO REMOTO Un sistema di sorveglianza e di oppressione Dimmi chi sei... ...e dove vai Internet è politica La libertà di disconnettersi DIFENDERE LE FACOLTÀ Il mondo interno sotto attacco Giga Emozioni Più poveri e più deboli umanamente Dalla parte dellÊumanità che emerge Fuori dalla rete: ragione sentimentale e comunanza CONCLUSIONI ATTENTI AL WEB 10 consigli per ragionarci su e non andare ÿin automaticoŸ

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INTRODUZIONE

App per il tracciamento di contatti e spostamenti, Netflix per lÊintrattenimento, Amazon per lo shopping, Google Meet per la scuola, Zoom per lo smartworking, Skype per le videochiamate con amici e parenti, WhatsApp per inviare messaggi, Paypal per pagare, Youtube per i video, Spotify per la musica e Google per tutto il resto⁄ Nel periodo di quarantena coatta, a cui tutti siamo stati più o meno costretti, la crescente pervasività di questi strumenti è sembrata inarrestabile. Ogni giorno da più parti se ne glorificava lÊindispensabile utilità mentre intanto, più o meno consapevolmente, se ne subivano le conseguenze, fra isolamento, didattica a distanza, telelavoro, alienazione e controllo sociale. Ci troviamo di fronte ad una questione enorme: quello che si è venuto configurando nellÊultimo decennio è, a ben guardare, un vero e proprio sistema digitale, finalizzato allÊarricchimento di una ristretta cerchia di superborghesi, utile alla sorveglianza da parte di Stati e governi, vantaggioso per chi lucra sui dati, cioè sulla vita altrui. Ma allo stesso tempo appare come un orizzonte e un progetto a cui purtroppo entusiasticamente aderisce la gran parte dellÊumanità. Le vittime sono i principali complici, in una rinnovata ÿservitù volontariaŸ inedita per portata e convinzione. Sono miliardi le persone connesse, miliardi quelle con uno smartphone in tasca, miliardi quelle che utilizzano i social network, miliardi quelle che si scambiano file di ogni tipo e dimensione. E ancora sono miliardi quelle che passano molte ore al giorno davanti a uno schermo, miliardi quelle che fanno shopping online, che giocano online, che scommettono online, che utilizzano pornografia online, che chat7 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

tano, condividono, postano, commentano... e sembrano apparentemente felici e soddisfatte, realizzate e appagate.1 Ma è veramente così? Aumentano le prove delle minacce allÊinformazione, del furto e della compravendita occulta di dati personali, dellÊarricchimento smodato dei padroni del web, dellÊutilizzo di tecnologie digitali per il controllo e la sorveglianza. Ma soprattutto dei danni per psiche e soma provocati dallÊabuso delle tecnologie digitali. E crescono altresì in modo parallelo le opinioni di chi ritiene umanamente dannosa questa diffusione massiccia della rete e dei suoi strumenti. A chi cerca con determinazione il miglioramento dellÊumanità guardandola nel suo assieme tutto questo pone un problema non indifferente dal momento che la questione riguarda una sua ampia maggioranza. E quindi riguarda quasi tutti, diversamente ma generalmente, compreso il sottoscritto. Non si può ingaggiare una battaglia positiva per provare a usare con coerenza e saggezza i dispositivi tecnologici se non si è anche solo inizialmente consapevoli delle proprie vulnerabilità su questo terreno – ed io so di esserne tuttÊaltro che immune, nonostante gli anni di interesse per questa materia e le costanti sollecitazioni che da più parti mi sono giunte. E allo stesso modo non si è credibili nel chiedere agli altri un approccio più maturo e prudente se non lo si chiede in primo luogo a se stessi e alle persone più prossime e care, alle proprie amiche e amici, alle proprie compagne e compagni, a chi si è scelto per condividere idee, valori, progetti e vissuto. Sapendo che lo si fa anche aspramente se si vuole davvero cercare il bene assieme, in nome di unÊumanità da difendere e riscoprire in comune. Il punto di vista di questo libro è dunque esplicitamente schierato, eticamente e moralmente, dalla parte degli esseri umani e non delle macchine, né tanto meno di quella minoranza che si arricchisce, sfrutta o cerca di controllare gli altri, producendo o manovrando questi ÿdispositiviŸ. Il mio approccio trae origine dallÊadesione convinta alla teoria generale dellÊumanesimo socialista e dallÊomonima corrente di pensiero e di azione a cui danno vita in misura 1

Per conoscere più in dettaglio alcune delle principali statistiche sulla diffusione di internet e dei suoi dispositivi si può fare riferimento al Wearesocial Digital Report 2020, reperibile su https://wearesocial.com/digital-2020. 8 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

diversa migliaia di persone, in primis le sue ispiratrici e i suoi ispiratori, che tentano di incarnarne le proposte e i presupposti provando a farne teoresi, coniugando vita e impegno. Una corrente e una teoria generale che vengono da lontano – e che hanno ispirato in questo paese unÊorganizzazione per lÊautoemancipazione umana come La Comune –, di cui si può trovare riscontro in numerose espressioni scritte, dettate da coordinate ideali, analitiche ed etiche. Sono state fonti di ispirazione e di inquadramento anche per questo libro e a queste rimando tanto per lÊanalisi dellÊattuale fase storica del mondo, quanto per il tentativo di comprensione del mondo interno delle donne e degli uomini, ovvero degli ÿesseri concretiŸ a cui faccio riferimento nel testo. Perciò le citazioni che troverete tratte dalle opere dellÊumanesimo socialista – in primo luogo di Dario Renzi, suo principale ispiratore, o quelle di altre autrici e autori pubblicati da questa stessa casa editrice – e dagli articoli de La Comune, il quindicinale di ispirazione umanista socialista, corrispondono pienamente al mio pensiero. Mentre così non è per quanto riguarda le numerose altre fonti, tutte e ciascuna diversamente fra loro interessanti e utili, ma non completamente condivisibili né condivise proprio per il loro impianto analitico e teorico, che spesso e volentieri non va oltre la dimensione critica o scivola inevitabilmente in unÊipotesi di cambiamento ÿdallÊinternoŸ del sistema – quello digitale o più generalmente quello democratico2 – che dal mio punto di vista appaiono entrambi tanto decadenti quanto irriformabili. Non a caso alcune di queste fonti risultano reperibili solo sul web. Anche questo libro è in realtà un tentativo ÿriformatoreŸ ma di altro tipo: non vuole proporre o, peggio, imporre a nessuno un immediato e repentino addio luddista alla tecnologia, bensì sollecitare una progressiva presa di consapevolezza di quanto grandi siano i rischi, le minacce e i danni che questa produce, provando quindi a distanziarsene in modo crescente e cosciente, in nome di un utilizzo saggio e misurato, prudente e accorto, coerente e cosciente del web e dei 2 Per la definizione di sistema democratico e democrazia rimando a Claudio Guidi intervista Dario Renzi, Democrazia. Un orizzonte insuperabile?, Prospettiva Edizioni, Roma 2003, e a Claudia Romanini-Francesca Vitellozzi, Dizionario dellÊumanesimo socialista, Prospettiva Edizioni, Reggello (Fi) 2017.

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suoi strumenti in virtù di una visione che dia centralità allÊumanità, alla vita e al suo miglioramento, a una ricerca di bene libera e condivisa. Una sollecitazione indirizzata, come detto, in primo luogo a me stesso, alle tante protagoniste e ai tanti protagonisti della mia corrente e della mia organizzazione, e poi coerentemente a tutte e tutti coloro che sceglieranno di darvi seguito. Provare a cambiare la propria vita e le proprie relazioni oggi significa anche e soprattutto cambiare il proprio rapporto con le tecnologie digitali, tentando di sottrarsi a quello che è un vero e proprio sistema, alle sue minacce e ai suoi pericoli. Provare a conoscerli meglio insieme è un primo passo tuttÊaltro che scontato. * * * Questo libro è frutto, come detto, di molteplici sollecitazioni e del supporto di tante e tanti intorno a me. Ma più di tutti lo devo al sostegno e allÊispirazione teoretica di Dario Renzi che attraversano ogni pagina di questo testo, il quale ha creduto alla possibilità che lo scrivessi più di quanto ad un certo punto non abbia fatto io. ˚ un grazie alla fiducia che mi trasmette e alle idee che offre sui tanti piani della ricerca dellÊumano e che sono state fondamentali per avvicinarmi, sviluppare e provare a sintetizzare la ricerca che ho condotto. Ringraziarlo non basta, ma so che sa del bene che rappresenta per me e che provo a restituirgli. Anche attraverso queste pagine. Un ringraziamento va anche alle mie compagne e al mio compagno della direzione del quindicinale La Comune, di cui faccio parte: in primis a Barbara Spampinato, alla quale mi unisce unÊamicizia pluridecennale e una comunione ideale per me importantissima; a Carla Longobardo, che ha curato anche lÊediting di questo testo rendendolo migliore; a Fabio Beltrame. Con lui – insieme a Simona Persico, che tante delle riflessioni di questo libro ha condiviso con me negli anni – stiamo anche cominciando unÊavventura ÿcontrocorrenteŸ nella conduzione de www.lacomuneonline.it – la versione online dellÊomonimo quindicinale di ispirazione umanista socialista –, provando a piegare saggiamente il web a fini più nobili, mentre approfondiamo la denuncia della sua pericolosità. 10 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Ringrazio la Direzione e la Segreteria de La Comune – e attraverso loro le tante compagne e i tanti compagni che ogni giorno da oltre 30 anni mi sono vicini – perché mi fanno riscoprire giorno dopo giorno il piacere e la soddisfazione di impegnarsi con e per le altre e gli altri, pensando ai e alle quali ho scritto questo libro. Per ultima ringrazio la direzione editoriale di Prospettiva Edizioni e Sara Morace innanzitutto che negli anni mi hanno sostenuto e hanno ritenuto possibile questo libro, offrendomi una rinnovata fiducia e una straordinaria opportunità. Settembre 2020

J.A.

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PUNTI DI PARTENZA

Nati per la guerra

NellÊottobre del 1969 i computer di due differenti università americane, Ucla e Stanford, si connettono fra loro scambiandosi per la prima volta dati a distanza. ˚ il risultato di un progetto denominato Arpanet, dallÊacronimo di ÿAdvanced Research Projects AgencyŸ, e cominciato anni prima su ordine (e con i soldi) del ministero della Difesa statunitense. Internet nasce allora, nel cuore del sistema democratico globale a guida Usa che dominava il pianeta, ma soprattutto nasce dalla guerra e per la guerra. Ricordarsi dove e perché prende il via il web è fondamentale perché nelle sue origini e nelle sue finalità primitive radicano i suoi sviluppi attuali e trova una prima spiegazione la sua pericolosità odierna e rinnovata. Già, perché oggi lo si può dire con assoluta certezza: internet è pericoloso per gli esseri umani. Perché è un grande inganno perpetrato ai danni di miliardi di persone, ma ha anche un grande fascino che gli permette di continuare a illudere, deludere, imbrogliare e minacciare una larga parte dellÊumanità, che si trova ad essere sotto attacco, nellÊesistenza non meno che nelle sue qualità più intime. Sono minacciate la sopravvivenza della natura prima – lÊimpatto della rete dal punto di vista ambientale è semplicemente devastante – e lÊinterezza della natura umana, la salute fisica e lÊintegrità psichica, tra perdita della memoria e della creatività, svilimento dei sentimenti e delle relazioni, sofferenze per lÊisolamento e la solitudine. Cosa è successo? ˚ accaduto che uno strumento tecnologico, nato e pensato per arrecare danni ad altri, sia stato sem13 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

pre di più ritenuto – per volere dei suoi controllori, statali o privati che siano – lÊemblema di tutti i benefici che le macchine dovrebbero apportare: velocità, comodità, accessibilità... Ma soprattutto che i diversi sistemi oppressivi abbiano progressivamente convinto di questo un numero sempre più elevato di persone, rendendole complici e assoggettandole in una servitù che è certamente volontaria, ma anche inconsapevole, ai limiti – e spesso oltre – della dipendenza patologica, arruolandole nella loro lunga e perniciosa battaglia contro lÊumanità. I signori delle macchine, che grazie ad esse o si arricchiscono smodatamente – come i magnati della Silicon Valley – o si arroccano disperatamente al proprio potere negativo e decadente – come Trump e ancor più i mandarini del partito-Stato cinese –, fanno credere alla maggioranza che esse siano indispensabili, mentre in realtà sono al massimo funzionali in alcuni limitati casi, ma comunque arrecano concretamente e inesorabilmente danni a chi le usa. ˚ questa ÿla grande macchinazioneŸ – per dirla con le parole che ha offerto recentemente Dario Renzi – nel senso di inganno delle macchine, di un nuovo imbroglio macchinista digitale parte dellÊattuale intento di disumanizzazione. Non è un caso né una fortuita combinazione degli eventi a far sì che le cose siano andate così. ˚ stato un processo allÊinizio magari non del tutto pianificato, andato forse al di là delle stesse aspettative dei controllori, ma certamente voluto da chi governa e comanda il web. UnÊopzione perfetta per i loro sporchi fini: per accumulare denaro e potere o per controllare meglio le persone, per cercare di mantenere vivo il loro mondo agonizzante e al tramonto o per asservire e sottomettere le persone ai diversi poteri oppressivi e repressivi. Tutto questo grazie alle macchine. Che gli esseri umani potrebbero e dovrebbero controllare, che sarebbero in grado di farlo se lo scegliessero; esseri umani che invece sempre più frequentemente si offrono volontariamente alla sottomissione nei confronti del nuovo sistema che si è venuto configurando. Il neo-sistema si basa sullÊadesione volontaria promettendo uno pseudo-protagonismo informativo e sfruttando in tutti i modi il loro ruolo di consumatori di coloro che si credono (consum)attori ma sono in realtà vittime passive e complici attivi delle multina14 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

zionali che li manovrano. Siamo di fronte ad un meccanismo di manipolazione, oppressione e sfruttamento autocatalitico senza precedenti.1

La sintesi offerta è illuminante: è un inganno che rende le vittime complici di elettrodomestici perversi, che ormai regolano gran parte della nostra esistenza. Il male in tasca...

Però finché internet era affare di poche università e di qualche generale – senza dimenticare mai la pericolosità proveniente da quellÊimprinting originario bellico – la questione era profondamente diversa. Tutto inizia a cambiare quando dellÊarma si impossessano i voraci capitalisti della new economy: quando la produzione e la gestione dellÊhardware, del software, della rete e dei siti più remunerativi diviene la principale fonte di guadagno per le multinazionali della tecnologia; quando Marc Zuckerberg e Steve Jobs, Bill Gates o Jeff Bezos, Larry Page e Sergey Brin divengono gli uomini più ricchi del pianeta, lucrando e speculando sulla vita delle persone. A loro si affiancano governi e regimi che vogliono irreggimentare il web, che lo vogliono controllare per trarne profitto in termini economici e repressivi, oppressivi e di sorveglianza. E a Pechino sanno bene come si fa! Quando allÊinizio degli anni Novanta, con la nascita del protocollo http, il web diviene appunto una ragnatela, cioè comincia ad avvolgere ampie porzioni del pianeta, erano le linee telefoniche a permettere a chiunque, dal proprio personal computer di casa, di collegarsi ai pochi e sparuti server che gestivano la rete agli esordi. Per connettersi insomma servivano un pc, un modem, una linea telefonica e una buona disponibilità economica, visto il costo delle connessioni in quei primi tempi. Internet era insomma per pochi. Per capire lÊincremento e la sua rapidità bastino pochi numeri: negli Usa nel 1990 le 1

Dario Renzi, Protagoniste/i in tempi difficili, testo in discussione in una riunione del Coordinamento degli Ispiratori, direzione larga della Corrente umanista socialista, e pubblicato su, La Comune News Speciale, n. 42, 9 aprile 2019, p. 5. 15

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persone connesse erano lo 0,072% della popolazione, oggi sono lÊ88%.2 Anche qui vale la pena cercare di capire cosa è accaduto. Prima la massiccia diffusione dei pc ha favorito lÊaccessibilità, poi la progressiva diminuzione delle tariffe di connessione ha allargato il numero dei potenziali utenti e infine la crescente digitalizzazione ÿcoattaŸ operata da Stati, governi e padronato ha costretto più o meno tutti a cedere al ricatto della connessione obbligatoria. Sempre di più si è stati travolti, avvolti e coinvolti nella ragnatela. Senza connessione, senza un account, senza una password, senza un pin, apparentemente non si può più vivere: tutto è digitale, tutto è numerico, tutto è drammaticamente online. Apparentemente non si può scappare dalla tela del ragno digitale. E allora, se internet appare così indispensabile, se sembra che non se ne possa fare a meno, ecco che i grandi gestori del web trovano il modo di offrire la connessione permanente: con lo smartphone non cÊè più bisogno di essere a casa o in ufficio per navigare, è la rete che ci segue ovunque, ci entra in tasca e si appropria del tempo delle persone, dei loro spazi, dei loro dati, dei loro gusti, della loro libertà. Il telefonino entra prepotentemente nella vita delle persone, diviene una protesi, e insieme un guinzaglio, che ci tiene legati – connessi appunto – al sistema dominante e ai suoi sgherri, che ci rende costantemente vittime e complici di chi ci vuole controllare o vendere qualcosa, di chi ci vuole disinformare o isolare, di chi scientemente cerca di impedirci di scegliere fino in fondo la vita che vogliamo. ˚ uno strumento di pervasività incessante, di continua alienazione, è un irrefrenabile meccanismo che travolge le persone ingenerando dipendenza e patologie, che ci lega e ci fa ammalare. Nel suo ultimo libro, Emergenza smartphone, Manfred Spitzer, medico e neuroscienziato, direttore del Centro per le neuroscienze e lÊapprendimento dellÊUniversità di Ulm, descrive inequivocabilmente i danni che già i telefonini stanno producendo:

2

I dati sono presi da Filippo Mastroianni, ÿCome è cambiata la geografia del web (dal 1995 al 2015)Ÿ, Il Sole 24 Ore, 9 luglio 2017, e dal già citato rapporto Wearesocial Digital Report 2020. 16 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Lo smartphone ha modificato la vita di alcuni miliardi di persone e le conseguenze del suo uso sono di estrema rilevanza. Stando alla pubblicità, arricchisce la nostra vita – più contenuti, più comunicazione, più tempo risparmiato – ed è questa la ragione per cui lo possediamo. Non badiamo troppo, dÊaltra parte, agli effetti negativi che può avere e che sono già stati descritti in ambito medico: miopia, disturbi del sonno e sonnolenza diurna, impoverimento della cultura, aumento degli incidenti, ansia, disturbi dellÊattenzione, depressione, malattie veneree, dipendenza, sovrappeso e demenza. Studi recenti aggiungono a questa lista una nuova voce, si tratta delle alterazioni del pensiero provocate dallo smartphone, disturbi che si presentano persino quando il dispositivo è spento.3

Lo smartphone rappresenta un salto di qualità ulteriore nella storia già negativa della rete, e quindi immediatamente anche nella vita delle persone. Si è permanentemente connessi, rintracciabili, sollecitati, invasi, disturbati, molestati. E ci si è abituati, anzi si è sempre più convinti – fino ad ammalarsene: esiste una sindrome ansiosa chiamata nomofobia (da ÿno mobile fobiaŸ) che assale chi non ha portato con sé il telefonino o è in un posto dove non prende la linea – che non se ne possa fare a meno. E così sempre di più ci si lega al sistema dominante, ci si incatena ai suoi padroni, ci si offre al controllo di poteri oppressivi e repressivi, ci si mercifica la vita: la ragnatela ci avvince e ci lascia respirare sempre meno. ...e dappertutto Quindi la situazione è chiara: danni al corpo e allo spirito, alla nostra esistenza e alle nostre essenze, al pensiero e alle sue capacità. La riflessività è negata dalla velocità e minacciata dalla superficialità. Eppure gli smartphone continuano a godere di un successo apparentemente inarrestabile. Ormai i contratti per le connessioni telefoniche sono quasi 8 miliardi e superano il numero degli abitanti del nostro pianeta e ovviamente questo non riguarda solo il Nord del mondo, lÊOccidente tecnologicamente avanzato o le metropoli sovraffollate dellÊimpero cinese. 3

Manfred Spitzer, Emergenza Smartphone. I pericoli per la salute, la crescita e la società, Corbaccio, Milano 2019, p. 54. 17

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Gli abitanti della Terra sono oltre 7 miliardi, gli utilizzatori di internet 4 miliardi e mezzo, i possessori di smartphone più di 5 miliardi.4 I numeri non dicono tutto ma qualche volta possono servire a capire la portata di un fenomeno. Internet continua a crescere: nellÊultimo anno è aumentato del 7% il numero degli utenti e, pur nelle differenze regionali e demografiche, è evidente che si tratti di una crescita generalizzata. Il numero di chi naviga sul web nella Repubblica del Congo è cresciuto del 126% con un aumento di oltre 850.000 persone connesse. In India lÊincremento è stato solo del 23% ma i nuovi internauti sono quasi 130 milioni. Le connessioni arrivano dappertutto e coprono una media del 59% della popolazione mondiale, dal 99% degli abitanti di Islanda, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Kuwait allÊ8% della Repubblica Centrafricana. Ma è quando si prova a capire lÊincidenza di queste tecnologie nella vita delle persone che i numeri diventano ancora più inquietanti. Per capire quanto questi strumenti siano ormai entrati prepotentemente nella nostra quotidianità, basti pensare che nel mondo il tempo medio speso sulla rete ogni giorno da chi naviga è di 6 ore e 43 minuti e le 6 ore tonde di media italiana sembrano addirittura poca cosa rispetto al triste primato delle 9 ore e 45 minuti delle Filippine. E a proposito di quanto detto sugli smartphone, ormai il 92% delle persone usa principalmente internet dal cellulare, cioè in ogni momento della giornata e per qualunque cosa. Del resto basta guardarsi attorno, entrare in un bus allÊora di punta o su un treno di pendolari, in una mensa universitaria o in una pizzeria il sabato sera, fermarsi ad un semaforo o in un parco, andare ad un concerto o ad un cinema⁄ lo spettacolo è sempre lo stesso: un proliferare di teste chinate in posture innaturali che si immergono in schermi brillanti e caotici, traboccanti di immagini allettanti. E se in Cina ormai esistono marciapiedi con corsie separate tra chi cammina guardando lo smartphone e chi lo fa normalmente è perché ormai anche le attività più comuni, e più benefiche, come il camminare, sono stravolte e condizionate, alienate ed espropriate, dallÊabuso tecnologico. 4

Per tutti i dati contenuti nel paragrafo faccio ancora riferimento al rapporto Wearesocial Digital Report 2020. 18 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

˚ una dimensione preoccupante, così come è allarmante la presunta inevitabilità di tutto questo, il pensare che non se ne possa fare a meno, che bene o male è così e nessuno può farci nulla. Fatalismo e rassegnazione rappresentano la prima vittoria dei sistemi dominanti sulle persone, sulle loro qualità e potenzialità. Ancora Dario Renzi ci spiega come dobbiamo seriamente vagliare lÊipotesi della configurazione di un sistema mondiale di controllo ed oppressione digitale. [⁄] Costituisce un attacco dallÊinterno ai tratti essenziali delle soggettività umane: attacca alle radici le forme naturali della conoscenza, disintegra lÊindividualità, perverte le relazioni, liquida la comunanza in ragione della massificazione numerica.5

Insomma sono lÊintera umanità e lÊinterezza umana ad essere minacciate. Incultura digitale Queste minacce diffuse e diverse si manifestano e in qualche modo si sintetizzano in unÊimmensa offensiva anticulturale condotta quotidianamente tanto ÿdallÊaltoŸ quanto ÿdal bassoŸ, che promana cioè dai padroni del web e si irradia, coinvolgendoli attivamente, tra i miliardi di utilizzatori di internet e dei suoi dispositivi. ˚ fin troppo evidente come ad esempio la diffusione delle tecnologie digitali e delle loro modalità di comunicazione stia rappresentando un immenso ÿcavallo di TroiaŸ per la diffusione dellÊilletterismo e per la crescita del cosiddetto analfabetismo funzionale. Un numero sempre maggiore di persone scrivono poco e male, travolte dal linguaggio storpiato degli sms, oggi anchÊesso reso addirittura superfluo dallÊutilizzo dei messaggi vocali. Il personal computer, allÊinizio della sua vita, grazie ai programmi di videoscrittura, ha certamente reso possibile scrivere in maniera più veloce, ma anche meno accurata. La possibilità di tagliare, spostare, cancellare parole, frasi o interi blocchi di testo senza che di questo resti traccia, ha svilito il percorso mnemonico e creativo che sottende alla composizione di uno scritto, di qualunque natura esso sia. Il fascino delle pagine autografe, con cancellature e asterischi, rimandi o sovrascrittu5

D. Renzi, op. cit., p. 5. 19

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re, che rendevano il senso della nascita e dello sviluppo di unÊopera letteraria non meno che di un tema scolastico o di un biglietto di auguri, è andato irrimediabilmente perduto. Da questo punto di partenza si arriva allÊodierna diffusione di tablet e smartphone che rendono ancora più effimero e vacuo ciò che si scrive. E se già scrivere sulla tastiera è difficile, oggi farlo su quelle virtuali inebetisce ancora di più: non si ha neppure il senso della scrittura come atto fisico, se ne riduce lo sforzo creativo a una fredda comunicazione solo e meramente funzionale, e perciò povera nelle forme e nei contenuti. Roberto Casati, collaboratore de Il Sole 24 Ore, sintetizza così questo concetto: La scrittura permette non solo di lasciar tracce del proprio pensiero, ma anche di organizzarlo visivamente e riproporlo a ispezioni successive che ci fanno scoprire quello che veramente vogliamo dire; la finestra di uno schermo piccolo è troppo angusta per questo esercizio.6

Non si sa più scrivere perché si perde la capacità di farlo manualmente, cercando di fissare nel gesto le idee – sostanzialmente sui dispositivi touchscreen è impossibile scrivere – ma non solo, anche perché è sempre meno necessario secondo lÊassurda logica sostitutiva delle macchine. Le applicazioni, le icone, inducono un sempre maggiore automatismo meccanico che rende inutile la scrittura, il produrre e organizzare concetti, e quindi infine il pensare. Lo stesso vale per la lettura, per chi vorrebbe costringere tutti, di nuovo facendo leva su comodità e velocità, a convertirsi agli e-book. Le straordinarie differenze sensoriali, tattili, visive, olfattive e anche uditive, che esistono tra un libro di carta e uno schermo freddo, o le infinite implicazioni affettive che i libri portano con sé, sarebbero già di per sé motivi sufficienti per evitare i libri digitali, ma il problema più grande riguarda in primo luogo gli intrecci tra questi aspetti e il nostro stesso pensiero, e particolarmente le modalità di apprendimento. Alcuni studi parlano di un 30% di informazioni in meno che si ottengono dalla lettura di testi in formato e-book rispetto a quelli cartacei. Perché sfogliare le pagine, sottolinearle, fare ÿle orec6

Roberto Casati, Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere, Laterza, Roma-Bari 2013, pp. 18 e 19. 20 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

chieŸ, saltellare avanti e indietro in un testo, oltre a facilitarne la memorizzazione, rende quel libro più profondamente e intimamente unito a chi lo usa, e alle sue facoltà, al suo pensiero, cosa che con un e-book, scorrendo con le dita su uno schermo piatto e algido, usando segnalibri virtuali e sottolineature artificiali, non potrà mai accadere. ˚ ancora Spitzer a riassumere brevemente ma efficacemente la questione: La profondità del lavoro mentale necessaria per lÊapprendimento è stata sostituita dalla superficialità digitale. In questo contesto i libri di testo elettronici rappresentano un ulteriore esempio di come non dobbiamo assolutamente lasciare la formazione delle prossime generazioni nella mani del mercato.7

˚ unÊoffensiva contro il pensiero e la riflessività, di cui sono protagoniste anche e soprattutto le istituzioni scolastiche, che mettono a rischio il pieno sviluppo cognitivo e facoltativo dei bimbi e delle bimbe; travolte dallÊentusiasmo per questi strumenti, opportunamente finanziato dai padroni delle nuove tecnologie, sono pervase da affermazioni perentorie come ÿun tablet per ogni alunnoŸ e dallÊesaltazione acritica della digitalizzazione, come si è potuto verificare nella dannosissima didattica a distanza durante la chiusura per lÊemergenza pandemica. Ma soprattutto è lÊaccademia, lÊuniversità, il cuore di questa incultura tecnologica. Iscrizioni online e test a scelta multipla fatti al pc, videolezioni ed e-book costringono gli studenti ad assoggettarsi – complici zelanti per lo più – ad unÊidea e ad una pratica di cultura ufficiale tanto decaduta nei contenuti quanto maligna nelle forme, che ha lÊobiettivo di (de)formare gli studenti inducendoli a non leggere più, a non scrivere più, a non pensare più, per essere comodamente e perfettamente connessi alle macchine e quindi, in ultima analisi, al sistema dominante. Il senso di un impegno

Con queste premesse, nei prossimi capitoli cercherò di sviluppare i temi finora solo accennati e di affrontare puntualmente alcune questioni chiave del sopruso e dei danni del web 7

M. Spitzer, Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, Corbaccio, Milano 2013, p. 193. 21 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

e dei suoi dispositivi nella vita delle persone: il profluvio informativo che rende sempre più difficile conoscere il mondo, la mercificazione dei dati personali che arricchisce i padroni della rete, i cosiddetti social network e la loro pericolosità per la nostra soggettività, il tentativo di controllo e sorveglianza operato da Stati e regimi con le nuove tecnologie, le minacce già agenti alla nostra esistenza e alle nostre essenze. Su questi temi non si tratta di offrire risposte facili o peggio ricette infallibili, ma al contrario di contribuire a stimolare e suscitare una ricerca di consapevolezza, un inizio di presa di coscienza che implica però un grande sforzo di autosuperamento individuale. Perciò questo libro non è un manuale né un prontuario, piuttosto vuole dare alcuni consigli pratici e spunti di riflessione teoretici per provare, assieme, a cercare strade di liberazione dalla dipendenza e dalla servitù tecnologica, come scelta benefica possibile di ciascuno e ciascuna. Un libro rivolto a tutti e tutte, non solo a chi ha già sviluppato una propria idea critica delle nuove tecnologie digitali, ma anche a chi comincia ad interrogarsi o semplicemente vuole saperne di più. Del resto dei problemi gravi che il web comporta cominciano ad accorgersene anche ÿdal di dentroŸ, come dimostrano le parole di Katherine Losse, fino al 2010 importante dirigente di Facebook e ghost-writer di Marc Zuckerberg: Quello che facevano per lavoro non era poi così diverso da quello che facevano nella vita di tutti i giorni: [⁄] avevano progettato una tecnologia della disumanizzazione, della pura reificazione.8

Parola chiave: disumanizzazione. ˚ quello che sta succedendo: un tentativo di negare lÊumanità, in ragione di un macchinismo più utile a chi domina, con lÊesplicita e volontaria adesione delle vittime. ˚ una macchinazione da cui è importante provare a sottrarsi in virtù di uno schieramento benefico con la maggioranza dellÊumanità, per affermare e difendere la vita, e quindi implacabile nei confronti dei nemici che la vorrebbero distruggere e minacciare, come fanno i cinici superborghesi della Silicon Valley e i poteri negativi statali attraverso le loro reti e i loro luccicanti inganni tecnologici. 8

Katherine Losse, Dentro Facebook. Quello che non vi hanno mai raccontato, Fazi Editore, Roma 2012, p. 173 22 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Non è semplice né scontato provare a cercare unÊalternativa in questÊepoca segnata dalla vorticosa decadenza dei poteri oppressivi che coinvolgono tutto e tutti nel loro declino, ma è tanto più possibile se la si disegna complessivamente, non solo su singoli piani ideali o pratici. Questo non toglie lÊimportanza di critiche e proposte puntuali ma anzi le avvalora e le sostiene, le inquadra e le amplifica. Perché contro le tecnologie leggere e le loro devastanti conseguenze sulla vita di grandissima parte dellÊumanità cÊè bisogno di una determinazione battagliera, di un impegno chiaro e netto, critico e autocritico, per provare concretamente e felicemente a sottrarsi al loro sopruso ossessivo, alla loro pervasività quotidiana. ˚ una sfida culturale, in ragione di una cultura della vita e per la vita. Un ingaggio accorto per difendere e salvaguardare in primo luogo i più esposti, cioè i bimbi e le bimbe, dai veleni digitali inoculati loro da adulti malevoli o sprovveduti. Una sottrazione che rende possibile iniziare a svincolarsi più complessivamente dalle minacce dei sistemi oppressivi, dalla voracità padronale, dallÊincultura dilagante, dallÊalienazione. E quindi può renderci immediatamente più liberi. Per dirlo ancora con le parole di Dario Renzi, ÿtanti ed essenzialmente legati ad una ricerca autentica della felicità sono i motivi per tenersi o chiamarsi fuori dallÊultima diavoleria sistemica ed essere meglio e più umaniŸ.9

9

D. Renzi, op. cit., p. 5. 23

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L'ERA DELLA DISINFORMAZIONE

Un flusso ininterrotto

ÿ˚ vero! LÊho letto su internetŸ. Alzi la mano chi non ha mai dovuto fare i conti con questa affermazione⁄ Quasi che avessimo a che fare con una verità rivelata, dogmatica, indiscutibile e indiscussa: il web, nuovo messia, può dirci tutto e di tutti, e ciascuno se ne può sentire profeta. Mai come in questÊera abbiamo vissuto nellÊillusione di conoscere, di sapere, di essere informati. Il mondo – ci dicono i cosiddetti cyberottimisti – non è mai stato così vicino e così unito, mai si è saputo così tanto di tutto in poco tempo. E questa convinzione alimenta un profluvio di informazioni, notizie, aggiornamenti che ci travolge in ogni momento del giorno attraverso siti, social network, e-mail, messaggi, foto, audio, tweet, post... Ma informare, etimologicamente, significa dare forma a un contenuto. E allora, se pensiamo a questa straordinaria capacità, che così preziosa è stata nel corso della vicenda umana, possiamo renderci conto che, al contrario, mai è stata così distorta e negata, a cominciare dal modo in cui si raccontano oggi i fatti e dagli strumenti che si usano a questo scopo. Innanzitutto è difficile orientarsi nellÊoceano di notizie che ci subissa. ÿCosì tanta informazione, e così tanta va persaŸ,1 scrive il giornalista scientifico James Gleick, ed è vero. Senza una bussola chiara – per restare nella metafora – si va alla deriva e si rischia di affondare. Le informazioni arrivano contraddittorie e sovrapposte, disordinate e non verificate: ciò che conta è la 1

James Gleick, LÊinformazione. Una storia. Una teoria. Un diluvio, Feltrinelli, Milano 2012, p. 373. 25

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velocità e la visibilità, lÊacchiappare per primi un click in più rispetto alla concorrenza o lo sparare il titolo più ingannevole, per attirare reazioni, commenti o condivisioni. ˚ un flusso ininterrotto, ma tuttÊaltro che ÿneutroŸ. Al contrario, è evidentemente corrotto, nonostante le opinioni di quegli apologeti della rete che continuano a identificare la quantità con la qualità. Un diluvio pervaso da una logica negativa, fatto in prevalenza di macabri e luttuosi elenchi di vittime e di drammi ineluttabili che travolgono lÊumanità, da parte di apparati informativi embedded ai poteri oppressivi dei quali si tenta di celare lÊirreversibile decadenza; un flusso disinteressato alla vita e alle straordinarie prove dellÊinsopprimibile tensione ad essa che gli esseri umani testimoniano in modo costante, inguaribilmente superficiale e vacuo, ma soprattutto pilotato e interessato. ˚ unÊinformazione che dice di voler guardare al mondo ma in realtà non esce mai dallÊangolo di visuale nel quale si vuole rinchiudere il destinatario del messaggio: un orizzonte angusto pensato, progettato, calcolato e preparato apposta per lui. Già, perché alla normale menzogna dellÊinformazione sistemica, la rete aggiunge le sue caratteristiche e permette che le notizie ci vengano sottoposte e indirizzate sulla base di algoritmi, filtrate dalle informazioni su di noi che a nostra volta abbiamo più o meno consapevolmente affidato al web. Il perché ce lo spiega Charles Seife, professore della New York University e autore de Le menzogne del web : La velocità e ubiquità del nostro apparato sensoriale digitale ci procurano una quantità senza precedenti di informazioni – davvero troppe e troppo in fretta perché riusciamo a digerirle e capirle. Ci stiamo abituando a (ed esigiamo) un flusso crescente di dati grezzi; senza di esso, senza i continui aggiornamenti, ci sentiamo come immersi nelle tenebre, scollegati dalla realtà che ci palpita attorno. Permettiamo a strumenti automatizzati come i motori di ricerca, gli aggregatori di notizie e i nostri social network, di fare una selezione per noi. [⁄] Siamo assuefatti a ricevere le informazioni in frammenti. [⁄] Se vogliamo essere in grado di distinguere il vero dal falso dobbiamo imparare a guardare oltre la nebbia dellÊirrealtà virtuale che sta calando in mezzo a noi. [⁄] Non possiamo permettere che il vuoto sia colmato da aziende e persone interessate e calcolatrici – e dai loro algoritmi – o finiremo per essere alla loro mercé. Cercheranno di plasmare la nostra visione del mondo, che ne siamo consapevoli o no.2 2

Charles Seife, Le menzogne del web. Internet e il lato sbagliato dellÊinformazione, Bollati Boringhieri, Torino 2015, pp. 193 e 194. 26 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Ma ancor meglio ce lo mostra Dario Renzi spiegando più in generale come i meccanismi dellÊinformazione siano distorcenti negli intenti e nel loro svolgersi: La conoscenza autentica della realtà e innanzitutto dellÊumanità stessa è ostacolata dal racconto che ne viene fatto. Ci si dice delle differenze tra i popoli, esasperandole, mentre si nascondono radici comuni ed intrecci. Si parla spesso, in modo vago ed ipocrita, della violenza contro le donne senza svelarne le radici originarie e permanenti che risiedono nella discriminazione patriarcale e statale, ancor meno si indagano le qualità intime del genere femminile. Si enumerano i problemi della gioventù ignorando cinicamente come sono vissuti dai protagonisti. Ci si affanna nellÊingegneria dellÊistruzione, occultando sistematicamente le fonti del sapere e le sue possibili finalità. Si chiacchiera con superficialità ammiccante di sentimenti e sessualità fornendo ricette o prontuari improbabili, ma rimuovendo completamente la complessità e il carattere morale delle scelte affettive, motivo permanente e saliente della vita di ogni essere umano. Detentori dellÊinformazione e produttori di idee hanno smesso da tempo di interrogarsi (innanzitutto sulla propria ignoranza), sfornano invece notizie e formulette che vengono contrabbandate come vere per il fatto stesso di circolare. Il bazar multimediale e soprattutto lÊossessione digitale contribuiscono in maniera determinante a questa cultura della superficialità, fornendo alle vittime lÊillusione del protagonismo.3

Ecco perché è così importante scegliere come e dove informare e informarsi. Il regno delle fake news

Internet e i suoi strumenti sono perfetti per la costruzione di unÊinformazione ÿtagliataŸ ad uso e consumo dei suoi utenti, funzionale alla conservazione e al mantenimento dei diversi decadenti sistemi oppressivi che dominano il mondo senza governarlo. Fra la presunta informazione ÿliberaŸ del sistema democratico – che come abbiamo visto è solo unÊinfinita, caotica, contraddittoria e sostanzialmente distorta successione di notizie – e lÊinformazione ufficiale dello Stato/partito cinese, censoria e irreggimentata, non cÊè al fondo una grande diffe3

Dario Renzi, ÿGli umanisti ingenui e lÊastuzia della decadenzaŸ, La Comune, n. 230, 7-28 aprile 2014. 27

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renza per chi è costretto a subirne ogni giorno i drammatici effetti. Entrambe – pur nelle evidenti differenze – sono infatti asservite e finalizzate al controllo e allÊoppressione e trovano nel digitale una perfetta macchina per quello scopo. Ma gli utenti non sono solo passivi fruitori. A loro volta riverberano le news e se ne fanno portavoce. Le notizie rimbalzano senza soluzione di continuità tra siti ufficiali e pagine Facebook, grandi testate giornalistiche e piccoli blog personali. La rete permette a chiunque non solo di condividere, ma di contribuire, di essere protagonista attivo della disinformazione. E in un quadro come questo non potevano che fiorire le bufale. Un fenomeno da non sottovalutare né da trattare con sufficienza. Un rapporto del 2013 – scrive Walter Quattrociocchi, ricercatore dellÊUniversità di Venezia – sui rischi globali [⁄] mostra che uno dei temi più interessanti e allo stesso tempo tra i più pericolosi, [⁄] riguarda la viralità legata a informazioni infondate o false.4

Le cosiddette fake news hanno un duplice movimento: da un lato sono il frutto di crescenti interessi politici ed economici, dallÊaltro sono unÊespressione del ÿfai da teŸ tipico del web e del suo successo. Per quanto riguarda il primo aspetto è acclarato che esistano negli Stati, in combutta e in conflitto fra loro, vere e proprie agenzie di disinformazione, gruppi creati appositamente per generare falsità allo scopo di condizionare, inquinare e manipolare una fetta dellÊopinione comune, a propria volta poi disposta a diventare più o meno consapevolmente grancassa virtuale di queste manovre. ˚ bene ricordare, ad esempio, quanta influenza hanno avuto nellÊelezione del presidente Trump nel 2016 le notizie false, create e diffuse intenzionalmente, ispirate e propagandate da queste vere e proprie macchine della disinformazione. Le fake news pro-Trump o anti-Clinton sono state condivise su Facebook trenta milioni di volte. Circa il quadruplo rispetto alle notizie false anti-Trump o pro-Clinton: 7,6 milioni di volte. Si tratta spesso di articoli palesemente falsi e facilmente confutabili. Ma che evidentemente non fanno fatica a diffondersi. Si va 4

Walter Quattrociocchi, ÿLÊera della (dis)informazioneŸ, in Le Scienze, n. 570, febbraio 2016. 28

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dallÊappoggio a Trump del Papa alla vendita di armi allÊIsis da parte di Hillary Clinton. E la quantità di bufale di questo tenore è impressionante.5

O ancora quanto pesino quotidianamente in Italia le innumerevoli bufale dei vertici fascio-leghisti contro gli immigrati. Notizie fasulle che vengono replicate, amplificate e sparse ovunque nella rete da appositi programmi (i cosiddetti bot), dalle piattaforme dei social network pagate per farlo, ma anche da tante persone che trovano in questo modo conferma alle loro peggiori intenzioni. A tutto questo si aggiunge ogni giorno anche la produzione ÿdal bassoŸ di un infinito numero di informazioni infondate e di notizie totalmente inventate o modificate apposta, diffuse inizialmente in piccoli e ristretti gruppi che si autoalimentano e si autolegittimano, secondo uno schema ormai noto. Infatti se qualcuno desidera trovare unÊinformazione che ritiene ÿalternativaŸ, andrà sempre a cercare chi gliela fornisce, il quale da parte sua offrirà sempre il contenuto che sa che viene cercato e che poi esplode online diventando dilagante. ˚ una circolarità ermeneutica delle bufale che funziona benissimo sul web. Una cattiva idea, unÊinformazione sbagliata, un virus digitale che altera il cervello – è ancora Seife a parlare – possono diffondersi alla velocità della luce tramite internet e trovare presto ospitalità in un gruppo (sparpagliato ma digitalmente interconnesso) di sinceri sostenitori. Questo gruppo funge da ÿportatoreŸ della cattiva idea, permettendole di acquisire forza e reinfettare la gente; via via che il gruppo cresce, la credenza, per quanto folle, si radica sempre di più fra i fedeli.6

Ma cÊè di più: le fake news hanno una pericolosità non solo astratta e generica; come ogni informazione fasulla, possono arrecare danni concreti a che ci crede – durante la pandemia da Covid-19, ad esempio, qualcuno ha bevuto o si è iniettato disinfettante pensando che proteggesse dal virus, come aveva asserito in una conferenza stampa anche il campione mondiale delle bufale, il presidente degli Stati Uniti – oppure indurre a 5

David Lodovisi, ÿLe notizie false hanno davvero favorito Trump? Risponde la scienzaŸ, in www.wired.it.

6

C. Seife, op. cit., p. 79. 29

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nuocere agli altri, come nei ripetuti casi di violenze perpetrate, sulla base di false notizie diffuse, contro minoranze, gruppi etnici o singole persone. Fermare la catena delle menzogne è e sarà un compito importante per chi cerchi di recuperare un rapporto saggio e utile anche con questi strumenti. Complotto

La rete è diventata, per sua natura, anche un luogo-non luogo privilegiato per unÊaltra categoria che, prima dellÊavvento e della diffusione di internet, al massimo incuriosiva qualche sceneggiatore eccentrico o gli sparuti avventori di un bar di periferia: i complottisti. La premessa è dÊobbligo. I complotti esistono, sono esistiti e probabilmente esisteranno. E a complottare sono quasi sempre gli Stati e i loro apparati e con loro altri poteri oppressivi di varia natura: gli eserciti, la grande finanza, le Chiese⁄ Sono fenomeni, più o meno identificabili, su cui non cÊè chiarezza, ma sui quali altrettanto non esistono dubbi. La storia dÊItalia, ad esempio, è una storia di complotti e stragi di Stato, di commistione e collusione fra poteri criminali e statali, di terrorismo più o meno esplicitamente al servizio delle istituzioni. E non è certo unÊesclusiva italiana, pur con tutte le sue specificità. Ma a tutto ciò oggi si aggiunge un altro nuovo fenomeno, non meno inquietante e pericoloso: la diffusione massiccia, ad opera di persone comuni, di idee e interpretazioni complottistiche della realtà. Non sono mosse dalla spinta a smascherare le responsabilità di Stati o poteri oppressivi in singoli eventi drammatici, ma dalla convinzione che praticamente tutta la realtà, in ogni suo aspetto, sia condizionata e manipolata ad arte. ˚ la convinzione di vivere nel mondo di Matrix che genera uno sconcertante ma quotidiano fiorire di letture delle vicende umane, grandi o piccole, come risultato di totali invenzioni o, peggio, di costruzioni ad hoc. Anche nella recente pandemia di Covid-19 da più parti si è gridato al complotto: il virus viaggia con le onde 5G, il vaccino conterrà un microchip che ci trasformerà in antenne per il 5G, il virus è stato creato in un laboratorio Usa e portato in Cina da una soldatessa per attaccare il governo cinese, il virus è stato creato in un laboratorio cinese ed è stato portato negli Usa per punire gli Stati Uniti per i dazi di Trump⁄ and so on! 30 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Ed è così su tutto: dalle scie chimiche cariche di sostanze psicotrope ai vaccini, dalle antenne dei cellulari ai pregiudizi etnici, dai soldi del miliardario Soros alle riunioni del gruppo pseudosegreto Bilderberg, dalle rivoluzioni alle guerre⁄ Nella rete si cercano e si trovano le più bislacche e infondate visioni generate e riverberate da altrettanto strambe e perniciose comunità virtuali. Ma questo che significa? In primo luogo rivela una totale incapacità e una non volontà di provare a guardare alle vicende umane partendo dallÊumanità stessa, dalle sue aspirazioni e dalle sue azioni, dalle sue speranze e dalle sue contraddizioni, dalle esistenze e dalle essenze di ciascuno. Troppo più comodo pensare che ÿdietroŸ a tutto ci siano solo piccoli gruppi di potenti che muovono i fili dellÊintero pianeta, allÊoscuro da tutti, per interessi ignoti ai più. Ci sarebbe un ÿloroŸ nascosto che manovra il ÿnoiŸ senza lasciare alcuna possibilità di sottrarsi, se non ai pochi eletti che hanno capito tutto. Così fra terrapiattisti, no-vax, cospirazionisti e simili la rete ospita e accoglie, custodisce e fa crescere intere communities di maniaci che a forza di guardare quello che cÊè ÿdietroŸ perdono di vista ciò che di importante e prezioso cÊè davanti e soprattutto dentro di noi. LÊattenzione spasmodica per lÊocculto, per lÊoscuro, acceca lo sguardo che invece andrebbe rivolto a chi abbiamo di fronte, agli straordinari processi di emersione quotidiana7 che la nostra gente continua a mettere in campo in risposta alla decadenza inarrestabile dei poteri oppressivi e al loro sanguinoso tramonto. Fenomeni straordinari come le rivoluzioni della gente comune in Siria e in Egitto nel 2011, che hanno visto milioni di persone coinvolte, ridotte a manovre della Cia o di qualche altro servizio segreto, o al contrario mostri nazijihadisti come lÊIsis che hanno massacrato, stuprato, ridotto in schiavitù, oppresso e minacciato altri milioni di persone, trascurati o sottovalutati per lo stesso motivo. Ma anche il nostro mondo interno è ugualmente ignorato dai ÿteoriciŸ del complotto. Non cÊè libera scelta, non cÊè possibilità di essere, meno che mai di essere migliori, non cÊè coscien-

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Per quanto riguarda le definizioni di emersione e decadenza faccio riferimento a vari testi; fra tutti segnalo ÿLa sfida più grandeŸ, in Umanesimo socialista, n. 5, novembre 2018/giugno 2019, oltre al già citato Dizionario dellÊumanesimo socialista di Claudia Romanini e Francesca Vitellozzi. 31 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

za: tutto è già deciso, pilotato, indirizzato, confezionato. Come se le incredibili capacità umane, le innumerevoli scelte che operiamo nella nostra vita, le coraggiose opzioni di affermazione e di sottrazione che compiamo non esistessero, non avessero valore o semplicemente non fossero possibili. Alla fine i complottisti, furiosamente alla ricerca della loro ÿveritàŸ, vivono nella menzogna di unÊumanità senza umanità, senza quelle caratteristiche più profondamente umane che tali ci rendono, prima fra tutte la nostra possibilità di scelta. Le verità nascoste

In questo contesto è sempre più difficile raccogliere anche solo brandelli di autenticità. I fatti vengono occultati e celati, confusi e contraddetti, svuotati e mistificati. A compiere tutto ciò non sono solo grandi potentati o Stati di ogni genere; è un processo che promana dallÊalto e si riverbera in basso, con il protagonismo complice di tutti quelli che a questa logica e pratica soggiacciono. Per capire bene di cosa si parla, basti pensare a ciò che viene considerato oggi come il principale strumento di consultazione online: Wikipedia. Wikipedia non è un sito di informazione tout court, ma chiunque abbia un minimo di frequentazione con il web sa che le sue sono le prime risposte che appaiono qualunque cosa si cerchi, di qualunque informazione si abbia bisogno: biografica, storica, scientifica, attualistica, statistica, ecc. E chi pensasse che sia uno strumento super partes per la sua ÿdemocraticitàŸ – cioè per il fatto che chiunque può emendarla e correggerla – deve presto ricredersi. Proprio per la sua natura rappresenta invece un paradigmatico esempio della disinformazione in rete. Wikipedia altro non è che un servizio di raccolta di informazioni indicizzate, pretestuosamente enciclopedico, le cui pagine in realtà sono regolate da fonti occulte e conflitti intestini. ˚ ancora Gleick a spiegarcene bene i lati oscuri: Wikipedia è diventata un pilastro della cultura a velocità imprevista, in parte per la sua relazione di sinergia, non pianificata, con Google. ˚ diventata un caso test per le sue idee sullÊintelligenza collettiva: gli utenti hanno discusso allÊinfinito sullÊaffidabilità (in teoria e in pratica) di articoli scritti in tono autorevole da persone prive di credenziali, senza identità verificabile 32 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

e con pregiudizi non noti. [...] Il processo è stato afflitto dalle cosiddette edit wars, le guerre delle modifiche, quando estensori su posizioni diverse modificavano senza posa le correzioni apportate dai loro avversari.8

E chi sono i protagonisti di queste guerre di modifiche, che implicano in primo luogo la diffusione nel modo più rapido ed esteso possibile del proprio punto di vista come oggettivo e autentico? Una prima risposta ce lÊha offerta Virgil Griffith, ricercatore del California Institute of Technology, che dal 2002 al 2007 ha raccolto in un sito chiamato WikiScanner le provenienze di 34.417.493 modifiche agli oltre 6 milioni di lemmi presenti su Wikipedia. Il risultato è tuttÊaltro che inimmaginabile e così sintetizzato da La Repubblica in un articolo non a caso intitolato ÿWikipedia, anche Cia e Vaticano „ritoccano‰ le voci scomodeŸ: Lo scanner dellÊenciclopedia permette di risalire allÊIp, lÊidentificativo informatico di ogni computer che accede alla rete, di chi ha modificato o aggiunto voci. [...] Il ÿsegugio informaticoŸ ha permesso di stilare una sorta di lista nera dei manipolatori: dai governi (Usa e Portogallo) alle multinazionali come Microsoft, dalle organizzazioni internazionali (Onu, Amnesty International) ai grandi gruppi mediatici (Bbc, New York Times, Reuters).9

Ma, come detto, lÊodierna peculiarità è che questa permanente distorsione e negazione dellÊinformazione da parte dei poteri oppressivi si combina con la complicità degli utenti, che permettono ai motori di ricerca di scegliere per loro, che si fanno arrivare sulle pagine Facebook le fake news più pericolose e le condividono con altri, che non verificano le fonti, che si accontentano delle notizie più cliccate e non cercano quelle più interessanti, che si fanno attivamente portavoce di ogni genere di menzogna. Questo è il vero problema. E Wikipedia ne è solo un esempio: quello che rappresenta vale generalmente per quasi tutta lÊinformazione sul web. Le fonti sono ignote, non verificate; spesso, come in un circolo vizioso, ogni sito rilancia quello che un altro ha scritto senza alcuna verifica, diventando nei fatti cassa di risonanza per 8

J. Gleick, op. cit., p. 348.

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ÿWikipedia, anche Cia e Vaticano „ritoccano‰ le voci scomodeŸ, in www. repubblica.it, 16 agosto 2007. 33 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

notizie nebulose, incerte, spesso parziali se non direttamente inventate. Offrendo così un perfetto modello a chi riproduce lo stesso meccanismo sulle proprie pagine social, sulle chat, sui blog. ˚ frutto di scelte ma anche e soprattutto della decadenza che travolge il sistema dellÊinformazione, sempre più embedded, menzognero, traboccante di logiche negative e mortifere, impermeabile invece alla ricerca di bene che da più parti palpita. In questo contesto è senzÊaltro difficile cercare lÊautenticità delle vicende umane, e certamente lo è ancor di più provare a rintracciare una verità possibile della nostra specie, della sua condizione sul pianeta e della sua emersione. Informarsi significa selezionare

Come orientarsi allora in questa corrente continua di informazioni confuse e distorte, scelte da altri per noi? La risposta è semplice: verificando e trascegliendo. La prima delle due azioni è particolarmente difficile ma inevitabile nel mondo della rete. Come abbiamo visto sono oscure le fonti e le provenienze delle informazioni che utilizziamo, sono ignoti i percorsi che queste notizie compiono, chi le ha create, chi le ha rilanciate e chi le ha condivise, facendole diventare importanti o significative. QuestÊopera di verifica certamente richiede tempo e volontà, ma apparirà sempre più indispensabile per chi voglia davvero cercare una propria informazione. E non si tratta principalmente di moltiplicare le fonti per confrontarle: per come è strutturato il web, più risultati non significano affatto maggiore affidabilità; spesso invece si tratta sempre della stessa notizia rimbalzata e riprodotta da più parti. Contrariamente a quanto sostengono i complottisti o i cercatori di ÿverità alternativeŸ, fuori dai canali ufficiali della grande stampa non è affatto più facile trovare notizie migliori, anzi, come abbiamo visto, proprio per il meccanismo stesso delle fake news è molto più probabile che ci si imbatta in bufale colossali, pericolose e dannose. Ma è il secondo verbo che fa tutta la differenza: trascegliere è unÊopportunità che ci offre immediatamente una possibilità di conoscere meglio e più a fondo. Trascegliere le fonti, come detto, è già un primo passo, ma a monte cÊè unÊopzione previa: cioè come informarsi. ˚ una questione di sguardo: 34 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

si può scegliere di assumere una visione dÊassieme più profondamente umana, facendosi muovere dallÊamore per la specie, guardando al mondo esterno e a quello interno degli esseri umani. Ci sono notizie che volutamente vengono ignorate, altre che vengono diffuse in maniera superficiale, altre ancora che vengono distorte o falsificate. Sta a noi cercare di sottrarci a tutto questo in nome della ricerca di una verità possibile. Torniamo ad un esempio già fatto: ÿIl vostro silenzio ci uccideŸ gridavano nel 2011 nelle piazze siriane le rivoluzionarie e i rivoluzionari, presentati come terroristi dalla stampa di regime, censurati e ignorati da quella occidentale, semplicemente ignoti a molti. Pochi hanno scelto di provare a saperne di più e lÊhanno fatto in virtù dellÊimportanza di quello straordinario processo che fu un vero e proprio ÿprincipio di rivoluzione umanaŸ.10 CÊè chi ha scelto di guardare a quelle donne, a quei bimbi e a quegli uomini con la volontà di provare a essere al loro fianco, di trarre lezioni dalle loro esperienze. E non ha accettato di subire lÊinformazione così comÊera. E quindi ecco che trascegliere, cioè selezionare, rimanda immediatamente allo scegliere nellÊaccezione del verbo trattata da Dario Renzi nel libro Esseri relazionali e sentimentali. Dalle conoscenze alle scelte : Con questo termine intendiamo il modo in cui cerchiamo di orientare la nostra vita, gli indirizzi che possiamo intraprendere a proposito di aspetti salienti dellÊesistenza, le prospettive che proviamo a perseguire. Insomma tutto ciò che influenzerà una parte significativa del nostro cammino, se non il suo assieme.11

Si seleziona lÊinformazione, si leggono o non si leggono alcune notizie, si crede o non si crede ad alcune fonti, si opta per un sito invece che per un altro; e lo si fa in modo convinto e cosciente, non sulla base di una momentanea necessità ma sulla base delle proprie idee di fondo, delle proprie coordi10 Su questo tema si veda Mamadou Ly con Dario Renzi, DallÊEgitto alla Siria. Il principio di una rivoluzione umana e i suoi antefatti, Prospettiva Edizioni, Pontassieve (Fi) 2014. 11 D. Renzi, Corso di teoria generale, libro II, Esseri relazionali e sentimentali. Dalle conoscenze alle scelte, Prospettiva Edizioni, Reggello (Fi) 2017, p. 470.

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nate etiche, in ultima analisi delle proprie scelte. Che per lÊumanesimo socialista hanno unÊimportanza fondamentale e straordinaria. In questo senso informarsi significa quindi tornare alle origini etimologiche, operare in prima persona per conoscere e dunque per dare forma ad un contenuto prioritario: gli esseri concreti, la loro vicenda, la loro condizione, le loro idee, i loro sentimenti, le loro relazioni, le loro esistenze, le loro essenze.

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BIG DATA O BIG DEAL?

Il trionfo della quantità

Come fanno i siti di informazione, i social network o i feed Rss – i servizi di aggiornamento automatico delle news che campeggiano su tanti siti – a sapere ciò che ci può interessare? Semplice, utilizzano i dati in loro possesso che noi stessi gli abbiamo ceduto. Costruendo così delle infinite banche dati nelle quali siamo tutti catalogati ed etichettati, numerati e ordinati. Pronti per essere venduti. AllÊinizio cÊè la raccolta di informazioni sulla nostra vita, sui nostri cosiddetti dati sensibili. Un numero infinito che viene costantemente processato, analizzato e gestito da algoritmi creati allo scopo. LÊespressione ÿbig dataŸ designa delle cose che si possono fare solo su larga scala, per estrapolare nuove indicazioni o creare nuove forme di valore, con modalità che vengono a modificare i mercati, le organizzazioni, le relazioni tra cittadini e governi, e altro ancora. Ma è solo lÊinizio. LÊera dei big data mette in discussione il nostro modo di vivere e di interagire con il mondo. Soprattutto, la società dovrà abbandonare almeno in parte la sua ossessione per la causalità, in cambio di correlazioni semplici: non dovrà più chiedersi perché, ma solo cosa.1

Dal malcelato ottimismo definitorio di Viktor MayerSchönberger, professore alla Oxford University, e di Kenneth Cukier, redattore di The Economist, coautori di Big Data – un 1 Viktor Mayer-Schönberger e Kenneth Cukier, Big Data. Una rivoluzione che trasformerà il nostro modo di vivere e già minaccia la nostra libertà, Garzanti, Milano 2013, p. 16.

37 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

testo dedicato appunto a questo tema – traspare chiaramente quello che già è. I big data, cioè le raccolte di dati messi a disposizione delle aziende e dei governi, stanno già condizionando molte delle opzioni che ci vengono offerte nella quotidianità: dagli acquisti ai viaggi, dal voto allÊinformazione, dalla lettura alla salute. E quel che è peggio questa messe quantitativa ha la pretesa di interpretare e garantire unÊassoluta rispondenza alla verità della realtà. Ma è davvero così? Si tratta di presunte verità statistiche, di una configurazione basata su una quantità di dati e non di qualità umane, perciò macchinistica, in cui le ragioni delle scelte sono sostituite dalla loro enumerazione, dove non è più necessario capire, basta elencare. Il digitale – termine che deriva dal latino digitus, cioè dal dito che serve per contare – diviene lÊassoluto. Non lo si sa abbastanza, ma è evidente che questo processo di raccolta, selezione, analisi e utilizzo di unÊenorme messe di dati sta già producendo drammatiche conseguenze per la vita delle persone. Un piccolo ma significativo e inquietante esempio viene raccontato sullo stesso libro: Google era in grado di prevedere la diffusione dellÊinfluenza invernale negli Stati Uniti, non solo a livello nazionale, ma anche a livello regionale e dei singoli Stati. Poteva costruire quella previsione in base allÊoggetto delle queries (ricerche) effettuate dagli utilizzatori di Internet. Ricevendo ogni giorno più di tre miliardi di queries e archiviandole tutte, Google aveva a disposizione una mole infinita di dati. [⁄] i suoi ingegneri sospettavano che le ricerche mirassero a ottenere informazioni sulla terapia dellÊinfluenza – digitando frasi tipo ÿmedicine per tosse e febbreŸ [⁄]. Hanno processato in totale ben 450 milioni di modelli matematici per testare le queries, confrontando le proprie previsioni con la casistica effettiva certificata dai Cdc [i Centers for Disease Control and Prevention, i centri per il controllo e la prevenzione delle malattie che raccolgono le informazioni dai medici, nda] nel 2007 e nel 2008. E si son imbattuti in una miniera dÊoro: il software ha scoperto una combinazione di 45 parole-chiave che quando venivano impiegate insieme in un modello matematico [⁄] potevano dire dove si era propagata lÊinfluenza, ma potevano dirlo in tempo reale.2

Pensiamoci e allertiamoci: a dare il segno di unÊepidemia non è più il sapere dei medici, la relazione di cura tra pazien2

Idem, pp. 10 e 11.

38 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

te e terapeuta, le informazioni dirette che arrivano da chi ogni giorno sta sul campo a cercare di fronteggiare la malattia, ma il processo matematico di un gruppo di ingegneri basato sulle ricerche di persone che a loro volta quando sono malate preferiscono cercare i rimedi su internet, piuttosto che rivolgersi a chi li potrebbe curare. ˚ il segno della potenziale disumanizzazione di cui siamo vittime e complici. Ci autoriduciamo a numeri che grandi monopoli sfruttano. Urge ripartire dallÊumano. Vendersi con un click

Vi è mai capitato di cercare di informarvi su un acquisto o comprare qualcosa su internet? Vi siete poi resi conto che per le settimane seguenti tutti i siti che consultavate, della più svariata natura, continuavano a proporvi di acquistare lÊoggetto della vostra ricerca, sia esso un viaggio o un aspirapolvere, un libro di filosofia o un tavolo da ping pong. Siamo diventati tutti oggetto di unÊincessante e subdola pubblicità permanente. Il perché è presto detto: i nostri dati personali sono il patrimonio più prezioso del web, dove quasi tutto è apparentemente gratis e lÊunica cosa su cui lucrare sono gli utenti stessi. Che divengono merci e come tali vanno inscatolati e poi venduti a chi a propria volta ha qualcosa da venderci. Come avviene questo processo di mercificazione delle nostre vite? Tecnicamente è unÊopera semplice che ci illustrano Luciano Paccagnella, professore dellÊUniversità di Torino, e Agnese Vellar, esperta di social media: Le aziende web hanno quindi sviluppato nuove strategie per privatizzare, controllare e commercializzare i dati personali al di fuori del controllo degli individui. AllÊinterno di questo processo è possibile identificare tre diverse fasi: 1. Acquisizione di dati a partire da fonti differenti: a) informazioni personali condivise intenzionalmente dagli utenti: e-mail, numero di telefono, interessi⁄; b) contenuti mediali pubblicati online dagli utenti: post, foto, video⁄; c) comportamenti di navigazione acquisiti grazie a tecnologie come i cookie; d) dati in possesso di servizi terzi acquisiti grazie allÊuso di Api [strumenti che fanno interagire le differenti piattaforme o servizi, nda]. 2. Archiviazione dei dati nella cosiddetta nuvola o cloud: dietro a questo termine evocativo vi sono molto più concretamente dei grandi edifici che contengono migliaia di server in cui sono archiviati e gesti39 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

ti i dati. La cloud di unÊazienda web può essere distribuita in località o addirittura nazioni differenti ma il suo controllo rimane centralizzato. 3. Elaborazione dei dati: le aziende hanno accesso a grandi quantità di dati (big data) che vengono analizzati attraverso tecniche di data mining [lÊinsieme di tecniche, tecnologie e strumenti finalizzati a estrapolare informazioni, in modo automatico o semi-automatico, dalle banche dati, nda] per studiare i processi di consumo, sviluppare forme di pubblicità mirata, prevedere futuri trend e creare report che possono essere venduti a terzi.3

Ma se si va più in profondità e si esce dalla semplice descrizione si capisce più correttamente la portata della situazione. Lo spiega bene e semplicemente Jaron Lanier, informatico e giornalista, nel suo Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social : Nel mondo sta succedendo qualcosa senza precedenti. Nel giro degli ultimi cinque o dieci anni, la maggior parte delle persone ha preso a girare tutto il tempo con un piccolo dispositivo chiamato smartphone, che si presta alla modificazione comportamentale algoritmica. [...] Siamo costantemente monitorati e controllati e riceviamo continui feedback artificiali. Veniamo man mano ipnotizzati da informatici che non vediamo, per scopi che non conosciamo. Siamo diventati tutti cavie da laboratorio. Ogni secondo, gli algoritmi si abbuffano dei tuoi dati. [⁄] Tutte queste misurazioni, insieme a molte altre, sono state incrociate con dati paragonabili presi da una miriade di persone attraverso una massiccia opera di spionaggio. Gli algoritmi correlano ciò che fai con quello che quasi tutti gli altri hanno fatto. Gli algoritmi non ti capiscono fino in fondo, ma i numeri sono potenti, soprattutto i grandi numeri.4

Insomma, noi affidiamo i nostri dati alle multinazionali del web che li utilizzano a loro piacimento. Ogni connessione, ogni ricerca, ogni spostamento, ogni acquisto, ogni servizio⁄ tutto è tracciato, registrato, archiviato e catalogato. Poi indagato, incasellato e venduto. Come tutto questo avvenga più o meno ognuno lo sa: lo accettiamo passivamente e silenziosamente quando clicchiamo accordando il consenso ai termini di un con3

Luciano Paccagnella-Agnese Vellar, Vivere online. Identità, relazioni, conoscenza, il Mulino, Bologna 2016, p. 37.

4

Jaron Lanier, Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social, il Saggiatore, Milano 2018, pp. 15 e 16. 40 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

tratto che ci offre servizi gratis in cambio delle nostre informazioni. E poi altre gliele serviamo su di un piatto dÊargento scrivendo, postando, fotografando, chattando, commentando, geolocalizzando, taggando⁄ cioè lasciando consapevolmente e costantemente tracce di noi sul web. Quelle tracce, quelle informazioni sono la merce e fanno la ricchezza delle multinazionali del web. Siamo noi le vittime di questa infinita operazione di privatizzazione, numerizzazione e quantificazione delle nostre vite, ma, paradossalmente, siamo allo stesso tempo noi gli esecutori materiali della nostra condanna. Dispositivi tecnologici sempre in tasca, account social su cui diciamo tutto di noi⁄: ci vendiamo costantemente, inconsapevoli e felici di farlo, per di più senza avere nulla in cambio e così facendo arricchiamo senza posa chi ci sta preparando un futuro peggiore. Chi mi ha comprato? Se vai nella Silicon Valley, sentirai parlare spesso del fatto che il denaro sta diventando obsoleto e che stiamo creando forme di potere e influenza che trascendono i soldi. Eppure tutti li inseguono. E se lÊaffare più redditizio consiste nel procacciarsi lÊattenzione di ogni singolo abitante della Terra, trasformando il mondo in un inferno, allora questo è ciò che accadrà.5

Jaron Lanier ironizza ma fino a un certo punto sulla questione chiave. Le multinazionali del web hanno solo questo obiettivo: lucrare, arricchirsi, guadagnare denaro e potere senza alcun limite. Sono lÊemblema del decadente capitalismo contemporaneo, spasmodicamente tesi alla ricchezza da guadagnare ad ogni costo. Sono ÿmoligopoliŸ, secondo la definizione data da Nicolas Petit, docente di legge dello European University Institute: I giganti della tecnologia sono conglomerati che competono tridimensionalmente come oligopolisti attraverso tutti i settori e non allÊinterno di rilevanti settori di mercato dove (inevitabilmente) sono monopolisti. Ci riferiamo a questa apparente contraddizione con il concetto di ÿmoligopolioŸ.6 5

Idem, p. 52.

6

Nicolas Petit, Technology Giants, the Moligopoly Hypothesis and Holistic Competition: A Primer, in SSRN. 41 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Ovvero i grandi colossi del web e della tecnologia detengono ciascuno la pressoché totale concentrazione di potere economico e finanziario in alcuni ambiti specifici, ma sono poi a loro volta in concorrenza lÊuno con lÊaltro. Dalla fusione di monopoli e oligopoli nasce il neologismo che meglio spiega questi mostri del capitale digitale. Sono i cosiddetti Gafam (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft), ma non solo; un cumulo di potere e di ricchezza che segna pesantemente la nostra era: enormi concentrazioni di capitale, di controllo e di sfruttamento che sono in un rapporto peculiare con il sistema democratico. Sono infatti certamente ad esso funzionali, ne rappresentano un puntello e pure un tentativo di recupero di fronte alla decadenza inarrestabile che lo caratterizza, ma allo stesso tempo ne sono concorrenti e alternativi, accelerandone a propria volta il tramonto. Per spiegarsi meglio: la nascita, la crescita, lo sviluppo esplosivo delle tecnologie leggere e dei loro padroni, che hanno finito per concentrare nelle mani di un esiguo manipolo di persone un potere e una ricchezza spropositati, hanno certamente permesso al sistema democratico di coltivare un terreno su cui ha provato a cercare consenso, trovandolo e godendone, in apparenza ritardando la sua agonia. Ma al contempo, per loro stessa natura, questi avidi e prepotenti moligopoli non possono sottostare a nessuna regola, non possono fermarsi davanti ad authorities, antitrust statali o leggi restrittive, non possono ÿpattareŸ con lo Stato in nessun caso e in nessun modo. Chiedono e vogliono mano libera, per i loro sporchi fini economici e non solo. Semmai concedono agli Stati e ai governi, alle loro agenzie e polizie, un numero infinito di informazioni sulle persone, di dati personali, di ÿsegretiŸ estorti più o meno consapevolmente agli utenti, ma in cambio vogliono e ottengono la possibilità di continuare a raccoglierli, a catalogarli, a venderli e quindi ad arricchirsi e ottenere profitti. Come spiega in unÊottima sintesi Dario Renzi: CÊè un inedito grave ed importante che viene maturando [⁄]. ˚ lÊestendersi della rete sotto lÊegida di colossali monopoli quali Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft, Alibaba, ma anche come Netflix, Airbnb, Tesla, Uber.7 7

Dario Renzi, Protagoniste/i in tempi difficili, testo in discussione in una riunione del Coordinamento degli Ispiratori, della direzione larga della Corrente umanista socialista, e pubblicato su La Comune News Speciale, n. 42, 9 aprile 2019, p. 5. 42

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E, come detto, un sistema digitale di controllo, oppressione e sfruttamento che Dario Renzi, nello stesso testo, spiega essere ÿparallelo ma per certi versi competitivo ed in un certo senso alternativo – insomma al servizio ma relativamente autonomo – rispetto ai sistemi tradizionaliŸ.8 Un discorso a parte, complementare a quanto già detto, lo merita il caso cinese. La Cina si sta sempre più affermando come colosso nel campo del digitale. Lo fa in maniera peculiare e unica: Stato e monopoli del digitale marciano fianco a fianco, difendendo lÊuno gli interessi dellÊaltro, in nome della supremazia di Pechino, del controllo ferreo di una società oppressa, dellÊarricchimento senza limiti del gruppo dirigente cinese privato e di Stato. Come notano argutamente Francesca Balestrieri e Luca Balestrieri, rispettivamente giornalista ed ex dirigente Rai, va da sé che il nuovo patto [fra Stato e mercato, nda] in Cina è stato già sottoscritto: [⁄] il modello di innovazione digitale cinese prevede regole dÊingaggio per il potere statale e per le imprese private, sotto la regia della politica e con una (almeno per ora) efficiente divisione del lavoro tra forze di mercato, imprenditoria diffusa, oligopoli digitali, poteri locali e governo centrale.9

Il governo cinese domina così anche questo mercato attraverso le sue grandi aziende, la già citata Alibaba sul piano interno ma soprattutto Huawei su scala internazionale. Huawei è lÊazienda principe del dragone: nominalmente di proprietà di un ÿcollegio sindacaleŸ e dei suoi lavoratori, è in realtà una multinazionale che progetta e opera in nome e per conto del governo cinese. Per dominare il pianeta, a partire dalla propria gente, e quindi, ancor prima, per superare i rivali statunitensi, cominciando dal non dipendere più dal software e dalla produzione tecnologica nordamericana. Ancora i Balestrieri: La ricerca dellÊautosufficienza significa ricostruzione di supply chain [le catene di distribuzione che permettono la produzione di un prodotto, nda] allÊinterno di un perimetro politicamente sicu8

Ibidem.

9 Francesca

Balestrieri-Luca Balestrieri, Guerra digitale. Il 5G e lo scontro tra Stati Uniti e Cina per il dominio tecnologico, Luiss University Press, Roma 2019, p. 13. 43

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ro: questa sembrerebbe essere la strada intrapresa nel 5G da Huawei, sicuramente con lÊappoggio – e anzi lo sprone – del governo di Pechino.10

Già, il 5G. La tecnologia di trasmissione dati di ultima generazione, la più veloce, quella che renderà possibili scenari finora solo immaginati, sembra essere affare di Stato cinese. ˚ un terreno fondamentale per gli Stati, con innumerevoli implicazioni sul piano bellico e delle telecomunicazioni, su quello del controllo a distanza di cose e del tracciamento delle persone. Ma anche un incredibile affare commerciale, che vede gareggiare i colossi del mercato tecnologico. E su questo la Cina sta più avanti per via della sua azienda più potente – non a caso più volte Huawei è finita nel mirino delle autorità americane. ˚ un terreno di scontro fra potenze sistemiche differenti e di gara fra i moligopoli. Ma ciò a cui rimanda riguarda la vita di gran parte dellÊumanità su questo pianeta. Privacy ovvero privazione Quando pensiamo alla privacy [⁄] attribuiamo anche importanza al controllo soprattutto delle informazioni. Vogliamo poter controllare quali informazioni private vengano messe a disposizione degli altri, chi siano questi altri, come accedano a queste informazioni e che uso intendano farne. [⁄] In internet le questioni della privacy non sono più complesse soltanto per la maggiore facilità con cui è possibile distribuire informazioni e per la moltiplicazione esponenziale dei potenziali fruitori. Le particolarità della rete influenzano il modo in cui ci comportiamo: il mondo online promuove la disinibizione e ci rende più disponibili a rivelare dati sensibili, non solo su di noi stessi, ma anche sugli altri; in molti ambienti, la distanza fisica si combina con la percezione di un maggiore anonimato, favorendo comportamenti tali da far pensare che della privacy online non interessi più nulla.11

Patricia Wallace, autrice de La psicologia di Internet, dedica un intero capitolo al tema della privacy. E inizia a cogliere il 10

Idem, p. 51.

11

Patricia Wallace, La psicologia di Internet, Raffaello Cortina, Milano 2017, pp. 395-398. 44 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

quid di cui stiamo parlando: il web è pensato, progettato e costruito per rappresentare un immenso e deliberato furto continuo di dati, ma tutto questo non sarebbe possibile senza la zelante collaborazione, più o meno consapevole, di tutti i suoi utenti. Ciascuno dei quali – come detto, più o meno volutamente o lucidamente – ha accettato di rinunciare alla propria riservatezza in nome di servizi presuntamente gratuiti, di velocità e comodità ÿofferteŸ dai padroni del web. Sembra proprio un grande affare: posta elettronica gratis, conference call gratis, videochiamate gratis, mappe gratis, messaggi gratis, giochi gratis, musica gratis, video gratis⁄ tutto a portata di mano. E in cambio un semplice click su ÿAccettoŸ, non si sa neppure cosa. Tanto è tutto virtuale, distante, immateriale... Facciamo un piccolo test: pensiamo di trasportare fuori dalla rete i comportamenti che accettiamo passivamente sul web. Ecco, immaginiamo adesso che uno sconosciuto in infradito e maglietta colorata si offrisse gratuitamente di recapitare la nostra posta a chi vogliamo noi, poi sempre gratuitamente proponesse di farci da navigatore per il prossimo viaggio, magari regalandoci i suoi dischi e i suoi film. In cambio vuole solo la nostra carta dÊIdentità, la nostra carta di credito – ma ci giura di non usarla –, la nostra tessera sanitaria e, già che ci siamo, anche quelle dei nostri amici e dei nostri familiari⁄ Chi accetterebbe? Chi non si insospettirebbe? Invece online tutto questo è consentito, legittimo e usuale, accettato e condiviso. Si scrive interattività si legge complicità: è lÊemblema della decadenza ingannevole vissuta dal vecchio mondo e delle trappole sparpagliate sul nostro cammino. [⁄] Finalmente i potentati hanno scoperto la chiave per conquistare i sudditi tramite lÊautoconvincimento e ne traggono tutti i vantaggi possibili in termini di arricchimento economico.12

Già, perché questa, come detto, è la principale fonte di ricchezza dei colossi del web: i nostri dati, cioè le nostre informazioni, i nostri gusti, le nostre idee, le nostre amicizie, i nostri affetti, le nostre parole, le nostre sensazioni, i nostri piaceri, i 12

D. Renzi, ÿGli umanisti ingenui e lÊastuzia della decadenzaŸ, La Comune, n. 230, 7-28 aprile 2014. 45

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nostri amori e i nostri odi, insomma le nostre vite. Glieli concediamo gratuitamente perché ne facciano quello che vogliono. E loro li accumulano, li catalogano, li vendono o li cedono a chi se ne serve per usarci come merce o per controllarci. E nessuno di loro ha intenzione di rinunciare a queste straordinarie risorse e fonti di guadagno. Al di là delle dichiarazioni di intenti, delle belle parole sul rispetto della privacy, sulle garanzie di riservatezza, sulla sicurezza dei dati, i capitalisti della Silicon Valley, così come i tecno-mandarini di Pechino, continuano impunemente a lucrare sulle informazioni che raccolgono sempre più a nostra insaputa. Persino dopo lo scandalo Cambridge Analytica – la web company che attraverso Facebook ha rubato e venduto per fini di propaganda elettorale pro-Trump i profili di 50 milioni di persone – sul sito del social network di Mark Zuckerberg si trova scritto: ÿRaccogliamo, usiamo e condividiamo i dati in nostro possesso secondo necessità per i legittimi interessi nostri o di altriŸ.13 Del resto chi invoca gli Stati e le autorità come risposta a questi soprusi si trova a ricorrere ad una soluzione quasi peggiore del male. Sono proprio gli Stati in Occidente i principali clienti – in Cina come detto le due figure coincidono – dei grandi raccoglitori di dati, per lÊesercizio del controllo, della sorveglianza e della repressione. E per questo al di là delle dichiarazioni di facciata non hanno alcun interesse a contrapporsi alle azioni e allÊavidità dei moligopolisti del web, se non con pretestuose operazioni. E allora chi altro può salvarci da tutto questo, se non noi stessi? La vita non è una merce

Apparentemente non cÊè niente da fare: sono le regole del gioco, vanno accettate perché ÿil prezzo della libertà digitale è la fine della privacy Ÿ,14 sembrano chiosare rassegnati in un pamphlet i componenti di Ippolita, un gruppo di ricerca interdisciplinare sulle ÿtecnologie del dominioŸ. 13

Https://www.facebook.com/about/privacy.

14

Ippolita, ÿLa rete è libera e democraticaŸ. Falso!, Laterza, Roma-Bari 2014, p. 29. 46 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Invece si possono sempre cambiare le regole e giocare a proprio modo o al limite cambiare gioco. La questione della propria riservatezza online, e più in generale quella della mercificazione della propria vita, possono essere affrontate da due angolazioni: o tecnicamente o eticamente. La prima è meramente funzionale, la seconda è potenzialmente benefica. Certamente esistono comportamenti, strumenti e programmi utili, disponibili e accessibili anche per chi non è un tecnico o un esperto, come ricordano ancora gli stessi componenti di Ippolita: La maggior parte degli utenti si dimentica o non ritiene importante effettuare un log out (disconnettersi) dai social a cui è iscritto [⁄]. Così come possiamo ricordarci di disconnetterci, possiamo anche cancellare i cookie: è questo il grado zero dellÊautodifesa digitale. Esistono molti software liberi che possono aiutarci a ottenere una maggiore privacy.15

Semplicemente si possono usare browser che non tracciano le ricerche come DuckDuckGo, o utilizzare regolarmente altri browser in modalità anonima, installare programmi che nascondano lÊIp (cioè lÊidentificativo del computer che si usa) o che lo rendano non localizzabile. Si possono usare servizi di posta elettronica più sicuri o anonimi o infine si può far ricorso a tecniche più elaborate o a protocolli avanzati di sicurezza.16 Sono tutti accorgimenti utili che si possono attivare e imparare in poco tempo, che contribuiscono a rendere più privata la nostra navigazione, ma non affrontano la questione di fondo. Cioè come evitare di trasformare le nostre vite in una merce preziosa e ricercata. Di nuovo si torna alla questione decisiva delle scelte. E quindi allÊidea di ricerca del proprio e altrui bene che le sottende. Davvero non si può evitare di utilizzare, almeno in parte, questi elettrodomestici che crediamo siano al nostro servizio ma che in realtà, grazie alla nostra complicità, ci rubano la vita e la rivendono, cercando costantemente di indirizzare e modificare 15

Idem, p. 28.

16

Si veda a tale proposito Riccardo Meggiato, ÿIl galateo della sicurezzaŸ, in Il lato oscuro della Rete. Alla scoperta del deep web e del bitcoin, Apogeo, Milano 2014, pp. 25 e segg. 47 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

le nostre decisioni? Davvero non possiamo essere più liberi, scegliendo diversamente da quanto ci impongono o vorrebbero imporci? Davvero non è possibile immaginare una vita senza Gafam? Certo è difficile pensare di privarsi del tutto di ogni piccola utilità che internet e i suoi strumenti ci offrono⁄ Ma è così impossibile riandare con la memoria o con lÊimmaginazione a quando tutto questo non cÊera? Pensiamoci: rinunciare a qualche presunta comodità o allÊillusione di velocità in nome dellÊinterezza della propria esistenza e in virtù delle proprie scelte etiche dovrebbe essere tuttÊaltro che spiacevole e certamente non impossibile. Non postare, chattare, messaggiare, condividere, scaricare, ma incontrarsi, parlare, raccontare, ascoltare può essere unÊopportunità straordinaria per riportare al centro lÊumanità, la propria umanità. E può generare un positivo esempio a cui altri intorno a noi possono attingere. E soprattutto pensare può essere fonte di liberazione. Pensare il proprio pensiero, non darlo per scontato, non renderlo meccanico, saperne lÊimportanza, rendersi conto che questo è ciò che ci rende più pienamente umani e sopratutto ci salvaguarda dallÊaffidarci a macchine che non pensano, ma ci usano per il tornaconto dei loro creatori. Per dirla con le parole di Frank Schirrmacher, direttore dellÊinserto culturale del Frankfurter Allgemeine Zeitung, ci sono innumerevoli pensieri che possiamo consultare, in questo preciso istante, solo premendo un tasto del computer. Ma nessun pensiero è così prezioso, nuovo e bello come quello di cui proprio adesso, nella nostra coscienza, sentiamo il primo battito dÊali.17

Torniamo a pensare: così smettiamo di essere più o meno consapevolmente complici delle macchine, reagiamo al loro dominio e iniziamo a liberarci dellÊoppressione e dello sfruttamento di cui siamo vittime.

17

Frank Schirrmacher, La libertà ritrovata. Come (continuare a) pensare nellÊera digitale, Codice, Torino 2010, p. 160. 48 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

LA SOCIALITÀ DISTORTA

Io, tu, noi e lo schermo Ci sono due premesse indispensabili per affrontare qualunque riflessione sulla socialità online, sui pericoli dellÊamicizia virtuale e quantitativa, sugli inganni social, sulle nuove solitudini nel lavoro e nel tempo libero. La prima, per nulla scontata, è che questi strumenti – anche se tale definizione è sempre più riduttiva visto ciò che le tecnologie digitali sono diventate – sono comunque creazioni frutto delle capacità umane e che per ottenere il successo raggiunto devono comunque far leva su caratteristiche profonde e inalienabili delle donne e degli uomini. Provando allora a trattare la dimensione sociale delle tecnologie digitali, mi riallaccio alla teoria generale dellÊumanesimo socialista che fra le spinte intime originarie e proprie di tutti gli esseri umani, cioè tra le tensioni connaturate a noi stessi, inserisce anche una speciale propensione ad andare verso i nostri simili, verso altri esseri umani. Nelle parole di Dario Renzi: Questo io intendo in principio come essenze umane: le tensioni che ci contraddistinguono tutti e tutte, ciascuno e ciascuna. In special modo: la tensione al bene comune, la tensione allÊastrazione, la tensione alla trascendenza (verso il mondo), la tensione verso gli altri, la tensione alla coscienza.1

E più precisamente, ÿnellÊanelito verso gli altri sono comunque impegnato a trovare il benessere e lÊutilità mia, reciproca e 1

Dario Renzi, Corso di teoria generale, libro I, Fondamenti di un umanesimo socialista, Prospettiva Edizioni, Roma 2010, p. 162. 49

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eventualmente comuneŸ.2 Ciascuno di noi è dunque sospinto verso gli altri come parte della sua più complessiva ricerca di bene e ciò trova origine nella tensione propria di ciascun essere umano ad affermare la vita e il bene della vita. Grazie a questa visione dellÊumano, si può intuire come persino le opzioni tecnologiche più dannose si basano sulle nostre caratteristiche più profonde che vengono distorte e minacciate, ma non possono essere ignorate. I social media hanno successo perché nascono dalla creatività di esseri umani, si rivolgono ad altri esseri umani, facendo leva in particolare sulla comune insopprimibile tensione a non essere soli, a cercare gli altri intorno a sé, ad andare verso lÊaltro o lÊaltra da sé. Ma queste stesse caratteristiche sono condizionate e svilite dai media sociali, perché essi, in modo profondo e insidioso, attaccano e depravano la tensione agli altri per come si svolge nel concreto della nostra esistenza e delle nostre esperienze, e in particolare minano una figura chiave della nostra soggettività, cioè la relazionalità. ˚ questo il secondo presupposto importante da tener presente: non siamo riducibili a semplici individui, siamo esseri concreti con una soggettività molteplice e complessa, a volte complicata. Per dirlo con le parole di Dario Renzi: La soggettività molteplice è il modo per pensare concretamente gli esseri umani concreti. Gli esseri umani sono dei soggetti individuali (unità non ulteriormente divisibile) che diventano persone e possono realizzarsi come personalità. [⁄] Gli esseri umani al tempo stesso sono soggetti reciproci, ovvero costantemente interagenti tra di loro e che giungono a relazionarsi in modi e gradi differenti. Inseparabilmente sono soggetti collettivi: ciascuno è parte costitutiva di una soggettività collettiva. [⁄] Ogni soggetto individuale è un soggetto reciproco, interagente con altri soggetti, ed è anche un soggetto collettivo fin dallÊinizio, indipendentemente dalla sua coscienza.3

Se si prova ad assumere uno sguardo che contempli la molteplicità della soggettività negli esseri concreti, lo si scoprirà fondamentale per potere comprendere a pieno come e quanto 2

Idem, p. 309.

3

D. Renzi, Le persone e le idee. Dialoghi umanisti socialisti I, vol. 1, Delle cose prime, Prospettiva Edizioni, Reggello (Fi) 2019, p. 192.

50 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

le nostre vite siano minacciate nella loro interezza dalle nuove tecnologie digitali e del loro uso/abuso/sopruso. A ben guardare, non solo la relazionalità ma tutta la nostra soggettività è sotto attacco: le tecnologie digitali sono fabbriche di solitudine che ci isolano dagli altri, fingendo di avvicinarci; sono strumenti di lacerazione della nostra reciprocità e della relazionalità, illudendoci di offrircene una nuova possibilità; dilaniano la nostra collettività, offrendoci in cambio communities virtuali dove spesso si annida il peggio dei branchi. E non si creda alla prima e consueta obiezione, quella secondo cui sono comunque strumenti e dipende dallÊuso che se ne fa. Ormai sono molteplici le fonti scientifiche, psicologiche, filosofiche, antropologiche, sociologiche e soprattutto umane che dimostrano come i danni per la vita intera – e specialmente sul terreno della soggettività – siano evidenti e inconfutabili. Su tutti spicca da anni il già citato Manfred Spitzer, che fin dal suo primo celebre libro su questo argomento, Demenza digitale, ha sentenziato inequivocabilmente che i media digitali producono perdita di controllo, progressivo declino mentale e fisico, decadenza sociale, isolamento, stress e depressione; la qualità della vita ne risulta limitata e a volte subentra una morte precoce.4

Quanti amici hai?

Cerchiamo di esplorare in profondità queste minacce, assumendo un punto di vista che miri allo sviluppo delle potenzialità umane più positive, della vita e del suo miglioramento. La questione dei social network e della loro pericolosità per la soggettività individuale, relazionale e collettiva, è stata in generale ampiamente trattata, ma merita comunque ulteriore attenzione. Partiamo dalla nostra individualità e da ciò che segnala ancora Spitzer: La connettività digitale non è direttamente proporzionale a un incremento della percezione di connessione sociale. [⁄] i media si 4

Manfred Spitzer, Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, Corbaccio, Milano 2013, p. 256. 51 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

frappongono concretamente tra gli uomini e impediscono i contatti reali producendo a loro volta solitudine.5

Sono in tanti ormai a riconoscerlo: tristezza e angoscia aumentano dopo aver passato del tempo su Facebook o altri social media (la parola sad – triste – è statisticamente fra le più usate su Twitter), paura e solitudine crescono specialmente nelle giovani donne e il rischio di cristallizzare questo isolamento è grande. Infatti lÊillusione di avere tutti vicini, di essere connessi con tutto il mondo, fa perdere di vista lÊesperienza concreta e lo sviluppo coscienziale della propria individualità. Molte e molti sono in realtà sempre più soli e isolati e spesso desiderano restarci, coltivando così lÊillusione di essere con gli altri. ˚ il caso estremo di fenomeni quali gli hikikomori – i giovani iperconnessi e autoreclusi che si contano ormai a milioni in Giappone e in Corea del Sud – o più comunemente di tanti che scelgono lÊautoisolamento; ma anche il disagio quotidiano di chi vede svilita la propria persona e la crescita della propria personalità dal niente virtuale a cui si è esposti. LÊindividuo si intrappola nellÊindividualismo tipico della rete – che accentua il peggio delle già devastate società coatte – a cui si soggiace per trovare un poÊ di ÿfamaŸ nel regno dellÊanonimato competitivo, della performance estrema, dellÊesibizione ossessiva, del selfie come unica immagine di sé: la rete, mentre ci allontana dalla reale identità degli altri, ci allontana anche da quella di noi stessi, ci lacera nella nostra soggettività, a cominciare dallÊindividualità sua prima espressione. Ancora più frontale è lÊattacco alla relazionalità. Sono ormai centinaia gli studi critici su come i social media in realtà compromettano le relazioni tra persone. E non è un caso, sono nati per questo, per un uso strumentale e viscido della possibilità di conoscersi e avere incontri (come denunciato anche da The Social Network, il film sulle origini di Facebook), e su questa falsariga i fondatori hanno continuato, mettendo al centro esclusivamente la propria ricchezza e la propria crescita di influenza, a spese degli utenti. Emblematica in merito la dichiarazione di Chamath Palihapitiya, ex vicepresidente per la crescita degli utenti di Facebook: 5

M. Spitzer, Connessi e isolati. UnÊepidemia silenziosa, Corbaccio, Milano 2018, p. 118. 52 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Mi sento terribilmente in colpa. Penso che tutti in fondo lo sapessimo, ma abbiamo simulato un approccio diverso. Come se non ci fossero conseguenze negative e intenzionali. Ma nei profondi recessi della nostra mente, io credo, sapevamo che poteva uscirne qualcosa di brutto. [⁄] Adesso siamo in una situazione terribile, secondo me, che sta minando le fondamenta dei comportamenti delle persone e tra le persone.6

LÊex dirigente della major di Zuckerberg ammette che le conseguenze non erano impreviste, che in fondo lo sapevano fin da principio, ma hanno scelto ugualmente di farlo. Ovvero di basare la relazionalità su un pericoloso criterio di quantità e strumentalità. Concretamente si illudono gli utenti di essere tanto più capaci di relazioni quanti più ÿamiciŸ hanno, si mente sulla loro reale empatia travestendola da like, si svilisce lo scambio umano di idee ed emozioni nel dialogo virtuale fra post e commenti, si riduce la ricchezza della vita a una lunga serie di eventi slegati, tutti e ciascuno da fotografare e condividere, si impoverisce il linguaggio in sms o tweet, si inebetisce il pensiero a causa di misere simulazioni di conoscenza senza valori. Confrontiamo il genuino desiderio di affetti e di relazioni che in principio ogni persona nutre con la loro squallida espressione sui social network. Non dovrebbe bastare questo a farci disconnettere da Facebook e simili? E così anche la collettività, per come vive sui social media, è una cartina al tornasole dei danni che questi stessi producono: le communities virtuali – dai gruppi su Facebook a quelli su WhatsApp – sono uno specchio e un concentrato della disgregazione sociale che viviamo nelle coatte società decadenti del sistema, aggravata dalla dimensione virtuale. Tra anonimato e logica del branco, si incontra il peggio del peggio: neonazisti e stupratori, pedomani e razzisti, tutti trovano dimora in quel non-luogo perfetto per le brutture che è la rete. Lì si ritrovano e proliferano, straparlano e minacciano, sentendosi a casa. Il web 2.0 – come viene definito, quello aperto a tutti – è lÊemblema della libertà negativa di fare e dire il peggio di sé e degli altri. ˚ una logica che si espande anche inconsapevolmente e contagia, nel micro, molte e molti, arrivando fino alle chat dei

6

Cit. in Jaron Lanier, Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social, il Saggiatore, Milano 2018, pp. 19 e 20. 53

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genitori di scuola o degli amici del calcetto. In ognuna di queste cÊè sempre qualcuno – di solito un maschio – che ÿper scherzoŸ posta immagini pornografiche o non si trattiene dallÊesprimere un commento razzista. Torniamo al paradosso di realtà già usato prima: se entrando in un locale pubblico vi accorgeste che è pieno di gente che grida insulti razzisti, molesta le donne presenti, lancia impunemente slogan neonazisti o infastidisce gli altri, ci restereste? Oppure, comÊè prevedibile, dopo aver espresso in qualche modo il vostro sdegno, ve ne andreste rapidamente da quel girone infernale? Questo sono Facebook e in generale i social network, perciò vanno evitati. Chi voglia veramente cercare unÊalternativa anche dal punto di vista delle comunità e della riaggregazione umana, può solo farlo fuori dalla rete, come ha dimostrato per alcuni mesi in questo paese il caso emblematico delle Sardine, con il loro desiderio di incontrarsi a migliaia nelle piazze e non nei social network. E in questo senso è andata la ultradecennale storia dÊimpegno della nostra Corrente di pensiero e di azione, dei suoi antecedenti e delle organizzazioni che ad essa si richiamano. Giochi pericolosi

NellÊattacco alla nostra socialità, i social network rivestono certo un ruolo negativo decisivo, ma non sono lÊunico pericolo per la soggettività umana. Per i bambini, anche in tenerissima età, e per gli adolescenti una minaccia quotidiana e pressante, cogente e crescente, è rappresentata dalla diffusione massiccia e dal sempre più frequente uso di videogame. Se – e sottolineo se – parecchi adulti e genitori cominciano a rendersi conto di quanto i social possano essere nocivi – per quello che si diceva: adescamenti, furto e riciclaggio di dati, identità nascoste, dipendenza da internet –, è molto minore il numero di coloro che attribuiscono la stessa pericolosità ai videogiochi. Eppure, come giustamente fa notare Spitzer Il modo in cui bambini e i ragazzi occupano le giornate non è indifferente, perché ogni azione lascia una traccia nel cervello. Nei 54 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

giochi per computer si tratta prevalentemente di propensione alla violenza, desensibilizzazione verso la violenza reale, isolamento sociale.7

Un elenco di effetti che non lascia molti dubbi. Analizziamolo in dettaglio: in primo luogo è giusto considerare i contenuti dei videogiochi. Spesso e volentieri sono dedicati ad avventure o performance estremamente violente, ambientati in contesti bellici o criminali, dove la brutalità è allÊordine del giorno, e sono svolti attraverso azioni efferate e gratuite. Giovani e bambini passano ore a sparare, combattere, uccidere, ferire, morire e rinascere per ricominciare da capo. Sono sovente impegnati contro gli altri in una furiosa gara per la sopravvivenza, connessi in piattaforme multigiocatore online, che a propria volta competono in nome del mors tua vita mea. ÿMa è un giocoŸ si dirà: no, non è un gioco quello che esalta la violenza e al contempo la allontana dalla sensibilità umana, perché resa incorporea e virtuale. Non è un caso – coerentemente con lÊorigine bellica di internet, nato nel 1969 per volontà del ministero della Difesa Usa, e assecondando la sua vocazione militaresca – che la guerra vera si svolga sempre più secondo le stesse modalità: piloti di droni, chiusi in un hangar negli Usa, con un joystick in mano, uccidono persone lontanissime che non devono più guardare negli occhi e che vedono – come in un videogioco – solo attraverso uno schermo. Quindi si alimenta la propensione alla violenza – numerosi test psicologici dimostrano che chi usa questi giochi è mediamente più aggressivo di chi non lo fa – ma anche lÊanestetizzazione emotiva ed empatica che rende più difficile sensibilizzarsi di fronte alla sofferenza altrui. Restare indifferenti di fronte alla violenza esercitata è sempre più comune fra le nuove generazioni, cresciute vedendone sugli schermi molta di più di quanta solo pochi anni fa fosse possibile immaginare. Anche di questo trattano le sempre più numerose ricerche scientifiche. Il tutto aggravato dallÊisolamento sociale. Oggi sempre più spesso si passano ore alla console per sentirsi connessi, integrati, collegati agli altri. Le comunità virtuali di videogiocatori – canali YouTube, piattaforme di chat apposite, chat dentro e fuori dal gioco – affascinano e sembrano molto accoglienti e i 7

M. Spitzer, Demenza digitale, pp. 177 e 178. 55

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videogame online permettono di gareggiare o combattere o scontrarsi simultaneamente con un numero infinito di altri videogiocatori. Di più, partecipare è motivo di accettazione sociale. Ma in realtà non ci si avvicina affatto ad altre persone. Chi si piazza davanti allo schermo della PlayStation o della Xbox, del pc o del tablet, è sempre da solo e tende a isolarsi sempre di più. Certo parla – o spesso urla – in cuffia e chatta con altri, ma mentre è rinchiuso nella sua stanza, senza contatti reali, preda di un mondo brutto e immutabile, al quale non riesce a sottrarsi. Le relazioni si diradano, il virtuale allontana dal reale, i nickname sostituiscono le identità delle persone, la distanza dai coetanei si accentua, la socialità si distorce. Il gioco diviene in molti casi lÊoccupazione principale, sottraendo tempo e pensiero a qualsiasi altro impegno. E perciò soprattutto i videogiochi svolgono attivamente una funzione di normalizzazione e di omologazione. Mangiano il desiderio di libertà dei giovani, li introducono e li relegano nel mondo sistemico già preparato per loro, ne smorzano la carica di ribellione e la volontà di autonomia, inducendo viceversa una crescente dipendenza da internet e, attraverso di esso, dai genitori e dalle istituzioni. Giocando insomma si diviene più violenti, più egoisti, più individualisti e più normalizzati. Cioè i cittadini/consumatori/complici perfetti del sistema di controllo, di sfruttamento e di oppressione digitale. Non dovrebbe bastare questo per smettere? Sfruttamento 2.0

Non si tratta di un effetto collaterale. Come abbiamo visto continuare ad arricchirsi, controllare, opprimere e sfruttare con ogni mezzo è frutto della volontà da parte dei padroni del web, privati o di Stato. Questo vale anche per i videogiochi, come si è visto e come conferma Patricia Wallace. Le aziende di videogiochi spesso ricorrono a studiosi del comportamento e statistici per analizzare come la meccanica del gioco influenzi il comportamento delle persone, di solito con lÊobiettivo di spingerle e giocare di più, cliccare su più annunci, portare i propri amici o acquistare più beni virtuali (con soldi reali).8 8

Patricia Wallace, La psicologia di Internet, Raffaello Cortina, Milano 2017, p. 271. 56

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Si torna sempre lì: ciò che muove il web e i suoi strumenti è lÊinsaziabile voracità dei monopolisti della rete. Che a loro volta si sono fatti compartecipi di nuove forme di sfruttamento padronale, anche sul piano del lavoro. ˚ venuto prepotentemente alla ribalta in tempo di Covid-19, durante il lockdown coatto a cui siamo stati sottoposti, il cosiddetto smartworking o telelavoro. Si tratta di un fenomeno chiaro e limpido, così definito da Marco Zamarian dellÊUniversità di Trento: Smartworking è una delle espressioni, emerse negli ultimi anni, per definire una modalità di organizzazione del lavoro fondata su un rapporto immediato tra lavoratore e obiettivi e tesa a una maggiore produttività. Questo rapporto diretto implica maggiore responsabilizzazione al risultato e una generale flessibilizzazione del lavoro rispetto ai tempi, ai luoghi, e alle modalità di coordinamento, resa possibile dallÊadozione delle cosiddette Advanced Information Technologies (AITs).9

Usciamo dal gergo accademico e cerchiamo di capire in profondità che significa: il lavoro si macchinizza, o meglio si ÿinternettizzaŸ, lo si svolge da remoto (leggasi da casa) in modi e tempi differenti da quelli che si usavano in ufficio, per garantire una maggiore resa produttiva per i capi e i padroni. Pur se accolto con favore da tanti lavoratori illusi dalle magnificenze del web e dalla sua apparente comodità – certamente ci sono anche quelli che ne possono aver bisogno per i più svariati motivi, ma sono una minoranza –, a uno sguardo più attento è facile rendersi conto di quanto questo telelavoro sia smart solo per chi opprime. In primo luogo per i soliti moligopolisti del web che continuano a trovare nuove fonti di guadagno nello sviluppo e nella diffusione delle loro piattaforme, ma soprattutto per tutti coloro che lo impongono ai propri dipendenti: si lavora di più, senza sedi, in condizioni peggiori, con minori garanzie, e soprattutto senza orari, esponendosi per intere giornate alla pervasività delle tecnologie leggere. Non ci sono più riposi o interruzioni, non ci sono orari – alcuni studi dicono che 9

Marco Zamarian, Smart working o working smart?, in Smart working: una prospettiva critica, Quaderno del programma di ricerca ÿLÊofficina di organizzazioneŸ dellÊUniversità di Modena e Reggio Emilia, 2017 (http:// amsacta.unibo.it/5717/1/SmartWorking.pdf), p. 48. 57

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la giornata lavorativa si allunga in media di 3 ore –, si deve essere sempre pronti e disponibili, perché costanti sono le esigenze di chi comanda. E questo non ha forse a che vedere con le caratteristiche insite nelle tecnologie a cui si fa ricorso? ˚ più di un dubbio anche per alcuni studiosi come Salvatore Zappalà dellÊUniversità di Bologna. Essere sempre connessi alla rete internet permette di ricevere messaggi elettronici in tutti i momenti della giornata, cui è difficile non rispondere, pena la sensazione di essere in ritardo nel flusso informativo del lavoro. I messaggi elettronici sono diventati il simbolo culturale di un legame con il lavoro che, per quanto smart, non si interrompe mai e che invade anche i momenti di non lavoro.10

˚ evidente: si tratta di una concezione e una pratica del lavoro disumana e disumanizzante, che tende a rendere macchine anche le persone che le usano, ridotte a semplici strumenti a disposizione dei padroni. I ritmi e le ossessioni delle tecnologie digitali si impossessano del lavoro, lo invadono e lo travolgono. Non solo attraverso lÊautomazione, ma principalmente attraverso una crescente azione di meccanizzazione delle persone. Di più, è una modalità che svuota di senso il lavorare, che aliena dalla capacità produttiva più piena degli esseri umani, separandoli ulteriormente dal prodotto della propria opera. E soprattutto – qui veniamo al nesso con il tema di questo capitolo – cÊè un altro grande problema. Lo smartworking isola allontanando dal luogo di lavoro, separa dalle altre e dagli altri, dalle colleghe e dai colleghi, riduce ad un rapporto singolare fra lavoratore e padrone quella che era una ÿcontrattazioneŸ collettiva. Di fatto svuota ogni lavoratore e lavoratrice del potere, e del piacere, della collettività e della vicinanza di altri e altre che insieme a lui o lei lavorano. E così facendo li indebolisce, rendendoli ancora più sfruttati dai padroni e dalle loro macchine. Sarà sempre più difficile ribellarsi, difendere i propri diritti, lottare per un cambiamento o anche solo per una vertenza, sindacalizzarsi, organizzarsi e autorganizzarsi, perché si è sempre più soli. Non si parla più con i colleghi, con gli amici e i compagni sul luogo di lavoro, non si condividono più momenti di aggregazione o di lotta, non si cercano insieme riposte ai soprusi, non si vive più il lavoro come unÊopera umana e quindi ine10

Salvatore Zappalà, Smart working e fattori psico-sociali, in idem, p. 58.

58 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

vitabilmente individuale, relazionale e collettiva. Al contrario si è sempre più soli davanti ad uno schermo, asserviti a esso e a chi lo vuole acceso. Anche qui il nesso tra solitudine, isolamento, impoverimento dellÊindividualità, compromissione della relazionalità, svilimento della socialità, svuotamento della dimensione collettiva da un lato e tecnologie digitali dallÊaltro appare evidente. Anche su questo piano cÊè bisogno di resistere e provare a cambiare, per non essere insieme vittime e complici. Face to face

In conclusione di questa riflessione sulla distorsione della nostra tensione verso gli altri per effetto delle tecnologie digitali e in special modo dei social media è giusto provare a comprendere ciò che è possibile immaginare e sperimentare per fuoriuscire da questa dimensione coatta e pericolosa. Già in tanti stanno riflettendo e dando consigli su questo terreno. Fra questi ancora una volta ci sembrano oculate le parole di Manfred Spitzer: Una realtà diversa è possibile: una realtà in cui (1) non siamo reperibili 24 ore su 24; (2) non abbiamo bisogno di migliaia di amici che non conosciamo e i cui messaggi ci arrivano solo se cÊè un computer che lo desidera; (3) non siamo sotto il controllo di un dispositivo che [⁄] ci dice giorno e notte cosa dobbiamo fare e in più ci spia meglio di quanto possano fare i servizi segreti di tutto il mondo.11

Vero, una realtà diversa è possibile, ma come e, soprattutto, con quali presupposti e per quali fini? Sono queste le domande su cui cercare assieme delle risposte. La ricerca di unÊalternativa su questo piano, per quanto mi riguarda, è imprescindibilmente parte della ricerca di unÊalternativa più complessiva. Se si ritiene – come fa anche lo stesso Spitzer – di poter cambiare solo su questo piano, di modificare le attitudini, di trasformare dallÊinterno (magari da un ufficio della Silicon Valley) il mondo del web e dei suoi strumenti, ci stiamo illudendo e siamo destinati a fallire. Questo in nessun 11

M. Spitzer, Solitudine digitale. Disadattati, isolati, capaci solo di una vita virtuale?, Corbaccio, Milano 2016, p. 323. 59

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modo vuol dire che non si possano mutare i comportamenti, che non si possa scegliere di rispettare alcune norme di autodisciplina o di autoconservazione che limitino o bandiscano lÊuso delle tecnologie digitali, anzi ciò è auspicabile e certamente utile, ma meglio è se queste decisioni diventano parte di scelte più complessive di impegno per il miglioramento che attraversino lÊassieme delle nostre opere e della nostra senti-mentalità. Se si vuole davvero cambiare il modo di rapportarsi agli strumenti tecnologici, bisogna provare a cambiare il modo in cui si pensa al mondo dentro e fuori di noi. Questo significa che si possono sfuggire i rischi e le tentazioni della relazionalità virtuale se si riconcepisce la relazionalità tout court. ˚ consigliato, proficuo, direi obbligatorio disconnettersi, cancellare i propri account social, invitare i propri amici e le proprie amiche a fare altrettanto. Ma soprattutto è importante ripensare a come concepire lÊessere assieme, con e per gli altri e le altre. Faccio ricorso ancora una volta a Dario Renzi per spiegare che ogni aspetto dellÊumanità, ogni aspetto della vita umana così come la percepiamo e la possiamo descrivere, rappresentare, raccontare, da qualsiasi angolazione la rimiriamo e la mettiamo a fuoco [⁄] rimanda alle relazioni fra esseri umani, è concepibile e definibile relazionalmente e, ci azzardiamo a dire, è concepibile e definibile solo grazie o a causa delle relazioni. Conseguentemente, senza eccessivi timori, affermiamo che lÊumanità significa relazionalità, che lÊumano è relazionale, che gli esseri umani sono esseri relazionali per antonomasia.12

˚ una premessa fondamentale che esprime lÊimportanza di questo piano specifico e della centralità dellÊimpegno in proposito per cercare di migliorarsi e migliorare le relazioni, uscendo dalle miserie e dalle storture di Facebook e compari. Meglio allora scegliere di relazionarsi face to face, riscoprire la bellezza e la centralità umana della relazionalità diretta, dello scambio, della vicinanza e della prossimità, dellÊabbraccio, dello sguardo e dellÊascolto, dei sensi primari che si attivano nella reciprocità. Perché così si avvalora la nostra umanità e si comprende più e meglio quella degli altri e delle altre. 12

D. Renzi, Corso di teoria generale, libro II, Esseri relazionali e sentimentali. Dalle conoscenze alle scelte, Prospettiva Edizioni, Reggello (Fi) 2017, p. 350. 60 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Questo mettersi in gioco – uscendo e fuggendo dallÊaccattivante comfort zone dei social media che in realtà tanto disagio producono – può essere difficile, a volte complicato e talora deludente, ma altrettanto possibilmente foriero di incredibili soddisfazioni, di scoperte impreviste e sorprendenti, di arricchimenti significativi. Può nobilitare lÊempatia, restituire valore allÊamicizia, dare un senso alla nostra comunione, farci scoprire un principio di comunanza. Disconnettersi e chiudere gli account social è importante e auspicabile, un primo passo utile e improrogabile. Ma provare a connettersi allÊumanità in virtù delle nostre caratteristiche umane e delle nostre scelte etiche è unÊopportunità straordinaria per avviare un percorso di libertà e di bene per ciascuno, per le persone care intorno a noi, per tutti coloro che condividono queste scelte.

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CONTROLLO REMOTO

Un sistema di sorveglianza e di oppressione

Una questione ha percorso trasversalmente la riflessione proposta finora. Quello che si sta costituendo – in Occidente come sotto il segno del dragone – è un sistema digitale di oppressione, sfruttamento e controllo, e proprio questÊultimo argomento risulta particolarmente importante in tempi recentissimi, non solo per ragioni di attualità. Infatti, il tema dellÊutilizzo delle tecnologie digitali ai fini di controllo e sorveglianza, di identificazione e repressione è al centro di una riflessione più ampia sulla libertà o, meglio, sulla sua negazione attuata proprio attraverso quegli stessi dispositivi che per anni sono stati propagandati, dai loro apologeti e dai loro padroni, come la soluzione per ottenerla facilmente e definitivamente. La rete era stata raccontata come il simbolo della libertà, come un Eden a cui aspirare per cercarla e trovarla. Oggi, per chi vuole vedere, appare chiaro esattamente il contrario: il web è il principale strumento di controllo utilizzato tanto dai moligopolisti quanto dai principali istituti repressivi e oppressivi, quello che meglio funziona per i loschi scopi di Stati, governi e polizie. Privati e Stati svolgono funzioni simili con modalità simili: raccolgono dati in quantità enorme, li analizzano, li filtrano e con questi raggiungono i loro obiettivi, che siano commerciali o repressivi. I big data, come abbiamo già detto, servono a indirizzare le scelte di tutti, a vantaggio tanto di coloro che hanno da propinare la pubblicità di un nuovo forno a microonde quanto di quelli che vogliono impedire che qualcuno cerchi la libertà o metta in discussione il loro ordine costituito. 63 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Esempi delle due diverse interpretazioni sono offerti da un lato da Shoshana Zuboff, professoressa dellÊHarvard Business School, autrice de Il capitalismo della sorveglianza, che definisce questÊultima come ÿil burattinaio che impone la propria volontà attraverso lÊapparato digitaleŸ.1 DallÊaltro, ancora da Patricia Wallace che spiega il vantaggio del controllo per le istituzioni: Anche i governi lanciano programmi di raccolta di enormi quantità di dati, benché per ragioni diverse. Gli interessi di un governo sono molteplici e variegati. [⁄] I social media rappresentano un terreno particolarmente fertile per la sorveglianza governativa. Le autorità egiziane, per esempio, hanno emesso un bando di gara per un nuovo sistema di sorveglianza che dovrebbe monitorare sistematicamente le attività su Facebook, Twitter, Skype e YouTube, nonché su popolari applicazioni per cellulari come WhatsApp, al fine di identificare le comunicazioni che promuovono atteggiamenti antireligiosi, manifestazioni illegali, scioperi, sit in e violenza.2

La sintesi perfetta di questo sistema di controllo (e di manipolazione/modificazione del comportamento che è addirittura previa al controllo) si realizza nel modello cinese. La Cina, ci dice ancora Zuboff, rappresenta un vivido esempio [⁄] dei mezzi di modificazione del comportamento di massa propri delle economie capitaliste della sorveglianza. Lo scopo è automatizzare la società [⁄] per dare vita a comportamenti predefiniti, ritenuti desiderabili dallo Stato [⁄]. In altri termini lo scopo è [⁄] raggiungere risultati garantiti a livello sociale e non di mercato.3

Insomma – come vedremo – le forme attraverso cui questa sorveglianza si attua sono molteplici: individuali e collettive, personali e sociali, fisiche e psicologiche; ma è comune la volontà di perseguire a ogni costo il proprio fine, sia esso lÊarricchimento smodato sia il tentativo affannoso di mantenere il proprio decadente potere negativo. Da sempre ciò accomuna tutti gli 1 Shoshana

Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dellÊumanità nellÊera dei nuovi poteri, Luiss University Press, Roma 2019, p. 393.

2 Patricia Wallace, La psicologia di Internet, Raffaello Cortina, Milano 2017, p. 407. 3

S. Zuboff, op. cit., p. 406.

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istituti oppressivi, ma oggi questi dispositivi tecnologici, la rete, i suoi strumenti e i suoi programmi si rivelano particolarmente adatti per tale finalità. Lo sono per una loro caratteristica, un presupposto che non dobbiamo mai scordare: perché – differentemente da altri tentativi sistemici di controllo nel passato – mai come adesso i controllori possono contare su unÊadesione massiccia ed entusiasta alle loro azioni da parte dei controllati. Quello digitale è diventato un immenso panopticon dove ci si rinchiude volontariamente, come nota Byung-chul Han, professore di filosofia dellÊUniversità delle arti di Berlino. La società della sorveglianza digitale presenta una peculiare struttura panottica [⁄]. Gli abitanti del panottico digitale si connettono e comunicano intensamente lÊuno con lÊaltro: il controllo totale è reso possibile non dallÊisolamento spaziale e comunicativo bensì dalla connessione in rete e dallÊiper-comunicazione. Gli abitanti del panottico digitale non sono prigionieri, vivono nellÊillusione della libertà. Nutrono il panottico digitale di informazioni, esponendo e illuminando volontariamente se stessi [⁄]. La società del controllo si compie là dove i suoi abitanti si confidano non per costrizione esterna, ma per un bisogno interiore [⁄]. Ossia dove libertà e controllo diventano indistinguibili.4

I padroni del web hanno persuaso i fruitori di offrire loro la libertà, proprio mentre stanno operando attivamente per sottrargliela. ˚ in atto – attraverso dispositivi che stanno comodamente nelle tasche o sulle scrivanie di gran parte dellÊumanità – unÊimmensa autodelazione, unÊinfinita ÿservitù volontariaŸ che facilita e permette gli scopi oppressivi e repressivi di padroni e istituzioni statali. Sono le stesse persone, coinvolte e travolte dal fascino perverso delle tecnologie leggere, a farsi carico dellÊimmane processo di autoschedatura indispensabile per avvincerci o convincerci. Capirlo meglio è il primo passo per provare a sottrarvisi. Dimmi chi sei...

Come viene costruito questo immenso schedario? Innanzitutto – come detto – attraverso la volontaria opera di collaborazione della grande maggioranza delle persone. Ma ciò 4 Byung-chul

Han, Nello sciame. Visioni del digitale, Nottetempo, Roma 2015,

pp. 89 e 90. 65 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

non basterebbe, se non si accompagnasse ad una massiccia opera di indagine, raccolta dati e catalogazione, che chiama in causa direttamente gli istituti oppressivi. Questa combinazione fra aziende private e agenzie repressive statali genera una possibilità di controllo pressoché totale, così vasta e così profonda da non avere precedenti nella storia dellÊumanità. Non cÊè archivio di un servizio segreto del passato che possa reggere il confronto con la quantità di dati oggi a disposizione di Stati, governi e polizie. Lo ammette candidamente Christopher Sartinsky, allÊepoca vicedirettore della Cia, in unÊaudizione al Congresso nel 2011. Siamo rimasti sbalorditi dal fatto che così tante persone pubblicizzassero volentieri dove vivevano, le loro opinioni religiose e politiche, elenchi in ordine alfabetico di tutti i loro amici, indirizzi e-mail personali, numeri di telefono, centinaia di foto di se stessi e persino aggiornamenti di stato di ciò che stavano facendo momento per momento: è davvero un sogno diventato realtà per la Cia.5

E se lo dicono loro, verrebbe da dire⁄ Ma allora tutto il lavoro sporco lo fanno le grandi aziende e invece le istituzioni repressive statali si limitano a ricevere informazioni di seconda mano? No, come abbiamo già visto nellÊesempio egiziano citato da Patricia Wallace, gli Stati continuano incessantemente la loro azione di sorveglianza e oppressione, utilizzando autonomamente le nuove tecnologie digitali e gli strumenti informatici. Intercettazioni di ogni tipo, hacking di computer o programmi, furti di database, malware e spyware: ormai ogni Stato, nel proprio apparato repressivo, ha esperti di queste tecnologie che vengono comunemente impiegati per i fini più svariati. Carola Frediani, giornalista de La Stampa, lÊha riassunto così: La diffusione di tecnologie per raccogliere o intercettare comunicazioni di ogni tipo, anche cifrate, è un dato di fatto che accomuna dittature e democrazie. [⁄] Tutti dicono di usarle come strumento investigativo contro criminali e terroristi. Alcuni lo fanno, altri le 5 La citazione è presa dal documentario Terms and Conditions May Apply, di Cullen Hoback, con Orson Scott Card, Raymond Kurzweil, Joe Lipari, Moby, Mark Zuckerberg, Usa 2013.

66 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

sfruttano per spiare giornalisti o politici scomodi, per reprimere il dissenso, per stroncare mobilitazioni. [⁄] Perché le strade per ottenere dati utili dai nostri dispositivi sono tante, molte di più di quelle che normalmente immaginiamo.6

E ancora, citando le parole di un esponente dei servizi segreti degli Emirati Arabi Uniti (ma potrebbe essere del Mossad, della Cia, del Fsb o del Mi6): ÿLÊobiettivo del governo, quindi il nostro, è di prendere il controllo di ogni dispositivo elettronicoŸ.7 E su questo piano non sembra esserci una particolare differenza fra i regimi dittatoriali o quelli autocratici, tra le democrazie occidentali e il governo di Pechino, se non che questÊultimo sta rapidamente conquistando una supremazia netta anche su questo piano, grazie proprio alla coincidenza fra dimensione statale e privata del controllo. Che invece, ad esempio, negli Usa ogni tanto entrano in conflitto, per il semplice fatto che mercato e interessi di Stato non sono certamente la stessa cosa. CÊè poi unÊulteriore questione: quello della produzione di strumenti di controllo e sorveglianza è a propria volta un settore di mercato, lucrativo e occulto, in grande espansione. Così le multinazionali del web si arricchiscono anche indirettamente attraverso la loro capacità di raccogliere dati: cioè non solo vendendo ai governi quelli raccolti in prima persona, ma anche inventando nuovi modi, cioè fornendo programmi per ottenere informazioni allÊinsaputa della gente. Il caso più famoso, che introduce un tema altrettanto peculiare, è quello di Rekognition, il sistema di riconoscimento facciale creato da Amazon, che lÊazienda di Jeff Bezos vende alle polizie di mezzo mondo, fra le proteste di organizzazioni per i diritti civili, ma anche dei lavoratori e più recentemente degli azionisti della stessa multinazionale. Il riconoscimento facciale è uno strumento di repressione principe, ma ha bisogno di una grandissima quantità di dati. E anche da questo punto di vista il governo cinese è allÊavanguardia. Lo ha dimostrato con il proprio modello nella gestione dellÊemergenza Covid-19, proprio grazie allÊuso massiccio e combinato di controllo militare e tecnologico. Ma Pechino va oltre: sta inaugurando una nuova forma di auto6

Carola Frediani, Guerre di rete, Laterza, Roma-Bari 2017, pp. 132 e 133.

7

Idem, p. 120. 67

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sorveglianza, lanciando un programma per il cosiddetto ÿcredito socialeŸ come racconta Simone Pieranni, giornalista de il manifesto: Lo scopo finale del Partito comunista è la creazione di un unico gigantesco database nazionale nel quale ogni cittadino e ogni azienda avranno un punteggio sociale determinato dal proprio comportamento in termini di affidabilità economica (pagamento di multe, restituzioni di prestiti), penale, amministrativa (dipendente anche da comportamenti di natura civica come ad esempio suonare il clacson, effettuare una buona e diligente raccolta differenziata, ecc.). Se una persona sarà considerata affidabile avrà dei vantaggi, altrimenti avrà degli svantaggi (ad esempio, non poter viaggiare, penalità che pone il problema di una sproporzione tra ÿazione inaffidabileŸ e punizione conseguente). Esistono anche meccanismi di ÿrecuperoŸ dei crediti: lÊassistenza agli anziani è un esempio, attività di volontariato del Partito, un altro.8

Il controllo è già diventato un sistema per definire virtù e peccati che lo Stato conosce attraverso i dispositivi tecnologici e che generano premi o punizioni. Aumentano sempre di più i motivi per disconnettersi. ...e dove vai

Per affrontare lÊepidemia di Coronavirus in Cina, e sulla base del modello di Pechino anche in Corea o a Singapore, è stato fondamentale anche un altro tipo di controllo sociale: il tracciamento degli spostamenti e la geolocalizzazione grazie ai dispositivi tecnologici. Anche questa è una novità relativa (lo è nella misura in cui così evidentemente e smaccatamente se ne è fatta pubblicità), ma chi pensasse di essere immune a questa pratica in Occidente, certamente si illuderebbe. Google Location History – usiamo questo come esempio, ma anche Apple ha un servizio analogo – è la cronologia degli spostamenti registrata sui nostri dispositivi connessi a Google. Lo stesso servizio la presenta così:

8 Simone

Pieranni, ÿCodice-salute e crediti sociali: cosa ci racconta la Cina del futuroŸ, il manifesto, 17 aprile 2020.

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La Cronologia delle posizioni è unÊimpostazione a livello di Account Google che salva i luoghi in cui ti rechi con tutti i dispositivi mobili in cui: Hai eseguito lÊaccesso al tuo Account Google Hai attivato la Cronologia delle posizioni La funzione Segnalazione della posizione è attivata. Se attivi la Cronologia delle posizioni, riscontrerai numerosi vantaggi nei prodotti e servizi Google, tra cui mappe personalizzate, consigli basati sui luoghi visitati, aiuto per trovare il tuo telefono, aggiornamenti in tempo reale sul traffico lungo il tuo tragitto giornaliero e annunci più utili.9

Ora, se si esce dalla definizione asettica e normativa del linguaggio da ÿtermini e condizioni di usoŸ, appaiono evidenti alcuni aspetti inquietanti. In primo luogo il fatto che ovunque ti rechi con il cellulare – se, come molte persone, vi hai configurato un account Google, pressoché indispensabile ad esempio per far funzionare gli smartphone Android, dotati cioè di un sistema operativo fornito dalla stessa Google – il tuo spostamento sarà registrato, al dettaglio, nei tempi e nei luoghi frequentati. In secondo luogo che la tracciatura degli spostamenti, così come lÊidentificazione geografica della connessione attraverso il protocollo Ip, servono a identificare con certezza dove si trova un utente e quindi a offrirgli un migliore servizio ÿad personamŸ, ma anche a fornire informazioni più dettagliate a chi se ne serve per i propri scopi. Come sempre chi si autodenuncia ha lÊillusione di averne dei vantaggi, ma in realtà questi sono tutti e solo per lÊazienda. Infatti più precisi sono i dati sugli utenti maggiore valore hanno, e quindi aumentano anche il valore intrinseco e di mercato della società che li possiede e li vende. Immaginiamo ora tutto questo in mano a istituti oppressivi. Sapere sempre dove sono i propri ÿsudditiŸ è il sogno di ogni apparato repressivo e per le persone invece un incubo degno del più spaventoso Grande fratello. E questo si sta già realizzando. Nel frattempo inoltre si sono moltiplicati anche gli strumenti collaterali di raccolta dati, che funzionano grazie alla rete, ma sono esterni ad essa, come ad esempio i droni. Questi apparecchi di nuova generazione, ovviamente in primo luogo quelli

9

Https://support.google.com/accounts/answer/3118687?hl=it. 69

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militari, non solo spiano dallÊalto, ma lo fanno autonomamente, guidati da algoritmi che elaborano i dati raccolti in precedenza in un circolo tanto vizioso quanto minaccioso. Scriveva il sociologo Zygmunt Bauman: Non ci sarà più dove rifugiarsi per non essere spiati: per nessuno. Persino i tecnici che inviano i droni rinunceranno a controllarne i movimenti [⁄] saranno concepiti per volare per proprio conto. Seguendo itinerari a loro scelta, in momenti a loro scelta. Una volta messi in esercizio nelle quantità previste, non ci sarà limite alle informazioni che forniranno.10

La combinazione di tutti i dati così raccolti genera un infinito database, e permette un controllo su tutti gli aspetti della vita, a cui non ci si può sottrarre neppure fisicamente quando si sceglie di stare in questo sistema. Chi porta uno smartphone in tasca dovrebbe sapere di diventare totalmente al servizio di una continua e incessante raccolta di dati, effettuata ben al di là dei momenti in cui in modo esplicito venga formalmente accordata la facoltà, come quando consultiamo il cellulare per trovare un ristorante, un cinema o una farmacia. ˚ vero semmai il contrario: che sempre più spesso saranno il cinema, il ristorante e la farmacia a sapere in tempo reale che siamo in zona e che potremmo aver bisogno di loro, per offrirci per primi i loro servigi, prevedendo e prevenendo le nostre necessità. O in modo molto più inquietante Stati e polizie potranno sapere dove e quando ci siamo incontrati con i nostri amici e le nostre amiche o i nostri compagni e le nostre compagne, per spiarci, intercettarci, controllarci o al peggio impedire che ci si incontri nuovamente. Anche gli spazi sono corrotti e contaminati dalle tecnologie informatiche. Per riprenderceli è inevitabile farlo fuori e contro il sistema di controllo e oppressione digitale. Internet è politica

Come vengono legittimati tutto questo controllo e questa sorveglianza? La prima risposta che gli Stati forniscono è del tutto simile a quella che i grandi monopoli del web danno a chi chie10 Zygmunt

Bauman-David Lyon, Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2014, p. 5. 70

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de il conto per i dati raccolti e poi ceduti o utilizzati per i propri scopi: ÿ˚ per il vostro bene!Ÿ. In un caso – dicono loro – si tratta di offrirci servizi sempre più ÿmiratiŸ, in un altro di garantirci maggiore sicurezza o ancora, come nel corso della recente pandemia di Covid-19, di difendere la salute. Rinunciare alla privacy in nome di questi benefici dovrebbe perciò essere accettabile e addirittura conveniente. Ma lo è davvero? Vale davvero la pena di vendersi, denunciarsi, offrire la propria interezza, in nome di qualcosa che non è in realtà né utile né benefico, che non garantisce affatto una vita migliore, non dà maggiore sicurezza, non difende la nostra salute, anzi, come si vedrà, peggiora qualitativamente e complessivamente la vita di tutti e tutte? Di più, quello che non ci dicono è che la raccolta massiccia e occulta dei dati avviene comunque, che lo si voglia o no, a prescindere dallÊaccordo o meno di ogni utente, perché è quello che normalmente fanno Stati e padroni: cercano di raggiungere i propri scopi e i propri profitti, lucrando sulla vita delle persone. La questione del controllo e della sorveglianza appare come una delle facce del rapporto dalle molteplici sfaccettature che si è instaurata fra il web e la politica, specialmente in Occidente. A ben guardare, se si assume un punto di vista attualistico e storico sullÊumanità, la politica sta dimostrando sempre più apertamente di essere una copertura logora allÊesercizio della violenza concentrata da parte di un potere oppressivo dalla radice congenitamente bellica e non rappresenta in alcun modo una possibile via di miglioramento per gli esseri umani. In questo assomiglia proprio al web, che nasce da e per la guerra, offre agli esseri umani relazioni negative e non è certo utile a offrire una vita migliore. La similitudine permette di capire meglio il nesso fra questi due strumenti di oppressione, che cercano di compenetrarsi, ma entrano anche in competizione. In primo luogo vale la pena prendere in considerazione i tentativi reciproci da parte di istituzioni e major di influenzare vicendevolmente o usare a proprio vantaggio lÊaltro campo. Come si diceva il sistema di controllo, sfruttamento e oppressione digitale è funzionale ma anche alternativo al sistema democratico globale. E quindi come tale lo accompagna ma entra anche in concorrenza con esso, così come fa dal canto suo la politica. Ovviamente ognuno agisce per i propri fini, come fa notare Jonathan Taplin, professore dellÊUniversità della California del Sud: 71 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Google ha perseguito una linea del doppio binario, sfruttando sia unÊopera di lobbismo politico che una ragnatela di pubbliche relazioni, al fine di rafforzare la propria straordinaria influenza.11

Mentre dallÊaltro versante si evidenzia come il ricorso ai dati forniti dal Capitalismo della sorveglianza – per dirla ancora con le parole di Shoshana Zuboff – sia visto comunque come unÊopportunità per gli Stati di rafforzare il proprio dominio. ˚ possibile così dimostrare che lo Stato richieda una produzione sempre maggiore di potere strumentalizzante da parte del capitalismo della sorveglianza [...] per risolvere al meglio i problemi di crisi sociali, sfiducia e incertezza.12

Ecco, di fronte ad unÊirreversibile decadenza della politica, sempre più distante e lontana dalle persone, essa stessa – nella sua forma più cristallizzata, lo Stato – prova a fare ricorso alle nuove tecnologie per ammantarsi di credibilità e di novità. Quindi non solo controllo, ma anche ÿpolitica 2.0Ÿ fatta di tweet, post e algoritmi – basti pensare a Trump, ai suoi ininterrotti cinguettii e a come la sua elezione sia stata condizionata dai social media. Internet usa la politica per garantirsi lÊarricchimento, la politica fa ricorso a internet per provare a ritardare il proprio inevitabile tramonto. In che modo il web e la politica si integrino è verificabile ancora su un altro piano: quello dellÊimpegno politico virtuale. Per molti – singoli o gruppi più o meno effimeri, dai no gobal agli indignados, da Occupy Wall Street ai 5Stelle in Italia – il web rappresenta uno strumento attraverso il quale si cercherebbero strade alternative di sopravvivenza della politica, illusi dalla presunta ÿdemocraticitàŸ di uno strumento in realtà fatto, gestito e condotto da una manica ristrettissima di superborghesi e mandarini. Convinzioni in realtà sempre meno solide alla luce dei colossali inganni che si stanno svelando. Ma i miti sono duri a morire e quello di una rete libera è uno dei più pervicaci. A ben guardare la rete è veramente democratica, cioè come la democrazia effettiva (e non quella propagandata e inesisten11 Jonathan Taplin, I nuovi sovrani del nostro tempo: amazon, google, facebook. Macro, Cesena (Fc) 2018, p. 121. 12

S. Zuboff, op. cit., p. 401.

72 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

te) è escludente, razzista, patriarcale e divisionista, tuttÊaltro che libera. E suonano quanto meno ipocrite, se non peggio, le ambizioni di chi crede di poterla usare per far finta di cambiare il mondo. Come dice Ippolita, ÿcercano di abbattere le tecnoburocrazie statali appoggiandosi a forma di tecno-burocrazie digitali, i cui meccanismi di funzionamento sono ancora più oscuriŸ.13 Nella politica non cÊè risposta alle esigenze e alle aspirazioni di chi cerca una vita migliore, tanto meno cÊè nel web. Figuriamoci in un web che fa politica. La strada da cercare è decisamente unÊaltra. La libertà di disconnettersi Ormai cÊè internet, bisogna conviverci, non possiamo tornare al medioevo⁄ Certamente non possiamo tornare nel medioevo, e nemmeno lo vogliamo. Vogliamo invece imparare la libertà.14

Non è un caso che a scrivere queste parole sia stato un sacerdote e teologo come Jonah Lynch. Perché, pur con tutte le differenze che ci dividono da una visione religiosa del mondo dentro e fuori di noi, è evidente che la risposta alle ipotesi sistemiche di controllo, per quanto investa questioni tecniche, non è eminentemente affare di ÿsmanettoniŸ, ma ha piuttosto a che fare con questioni valoriali: e più in particolare con un valore fondante come la libertà coniugata al bene, inteso nel senso più ampio e condiviso possibile. ˚ la volontà di liberarsi che motiva quella di sottrarsi a questa continua e ossessiva sorveglianza; è in nome della libertà orientata in senso benefico che rifiutiamo la logica e la pratica soffocante dei differenti sistemi di controllo privati e di Stato. Proprio per questo non possono essere gli stessi apparati che minacciano costantemente la nostra libertà a garantircela, né tanto meno cÊè da sperare che possa esserci una ÿliberazione via webŸ dalle brutture degli Stati. Tutto quanto accadu13 Ippolita,

ÿLa rete è libera e democraticaŸ. Falso!, Laterza, Roma-Bari 2014,

p. XIII. 14

Jonah Lynch, Il profumo dei limoni. Tecnologia e rapporti umani nellÊera di Facebook, Lindau, Torino 2012, p. 121. 73

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to finora, ma soprattutto la natura stessa di questi strumenti, la loro origine, quella di chi li controlla e li gestisce, sono inconciliabili con qualunque aspirazione di maggiore libertà benefica sia individuale che relazionale e collettiva. Non cÊè nel web alcuna possibilità di libertà dal controllo esercitato dal web stesso, anzi: ÿLÊautomazione – ironizza Nicholas Carr, autore fra lÊaltro di Internet ci rende stupidi? – ci libera da ciò che ci fa sentire liberiŸ.15 E allora come si può cominciare a cercare la libertà su questo terreno? La prima risposta, tanto diretta quanto parziale, rimanda proprio alla natura degli strumenti di sorveglianza: disconnettendosi. Non è una panacea ma è quanto di più semplice e immediato possiamo fare per iniziare a ÿnasconderciŸ agli occhi tecnologici di chi pretende di controllare e indirizzare il nostro comportamento, le nostre decisioni e le nostre scelte. Delle indicazioni in questo senso sono comunque utili e si collocano pienamente nellÊintento di fornire insieme consigli pratici e spunti di riflessione più complessivi sul tema. Ecco che allora si può subito suggerire di chiudere i propri account – o come minimo uscirvi al termine dellÊutilizzo – per evitare di essere geolocalizzati; così come di non aderire spontaneamente a programmi statali di autodelazione – ad esempio le applicazioni per il tracciamento dei contatti sviluppate in epoca di Coronavirus – che aprono la strada a una vera e propria mappatura delle conoscenze e degli spostamenti di ciascuno e ciascuna. Sono solo incipit per avviare una piccola ma significativa opera di autotutela verso la ricerca di una possibile liberazione. Che non è la libertà tout court, ma un suo primo importante presupposto. Perché sapere dei rischi che si corrono, della pervasività di questi strumenti di controllo, dellÊinvadenza di Stati e governi nella nostra vita attraverso le tecnologie digitali, può aiutarci se diventa parte della consapevolezza più ampia indispensabile nella ricerca di una vita migliore. Una vita che ha bisogno di essere immaginata e concepita nella sua interezza, quella stessa che le tecnologie digitali minacciano costantemente, come possibilità concreta, praticabile e sperimentabile. 15

Nicholas Carr, La gabbia di vetro. Prigionieri dellÊautomazione, Raffello Cortina, Milano 2015, p. 32. 74

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Quindi disconnettiamoci come atto di difesa, fuori e contro gli apparati repressivi degli Stati, ma non accontentiamoci di questo. Sappiamo che non basta e non può bastare. Perché la libertà, coniugata al bene, è molto altro. Così mentre tappiamo gli occhi ai controllori della rete, apriamo i nostri allÊumanità: anche così comincia la libertà di essere persone migliori.

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DIFENDERE LE FACOLTÀ

Il mondo interno sotto attacco

Diminuzione dellÊudito, miopia, dolori articolari e muscolari, disturbi del sonno, tunnel carpale, aumento della pressione arteriosa, perdita di peso o obesità, trascuratezza dellÊigiene personale, mal di testa, stress, stati di ansia, fobie, aggressività, isolamento sociale, depressione⁄ LÊelenco è lungo, ma certamente non esaustivo. Perché i danni che le tecnologie digitali causano alla salute fisica e psichica delle persone sono molti e ormai acclarati da numerosi studi e pubblicazioni. ˚ riconosciuta anche lÊinsorgenza diagnostica – pur con tutti i distinguo necessari di fronte alle storture che la psichiatria attua con la medicalizzazione e la patologizzazione dei comportamenti – di una nuova forma di dipendenza (lÊIad, Internet Addiction Disorder) ormai evidente, così come lo sono i suoi effetti. Una forma di abuso-dipendenza da Internet – scrivono gli psicologi Raffaella Perrella e Giorgio Caviglia – che come tutte le forma di dipendenza genera problemi sociali [⁄] e una sintomatologia fisica invalidante.1

Le minacce alla nostra esistenza sono quindi tante e su più piani: biologico, materiale, sociale, culturale, ma ancor di più sembrano essere quelle alla coscienza e alle nostre essenze. Sotto attacco – proprio perché gli esseri concreti sono insepa-

1

Raffaella Perrella-Giorgio Caviglia, Dipendenza da Internet. Adolescenti e adulti, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (Rn) 2014, p. 30. 77

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rabilmente psiche e soma – non è solo il nostro corpo, ma profondamente e intimamente il nostro mondo interno. Pensiamo alle nostre tensioni, alle facoltà, al pensiero, alle intenzioni e subito ci renderemo conto della loro crescente compromissione a causa dellÊabuso di tecnologie digitali. Gli esseri umani hanno tensioni e facoltà che vengono continuamente verificandosi e arricchendosi con le esperienze nel corso della vita e che i danni prodotti dalle tecnologie leggere al contrario frenano e condizionano. In pratica impediscono un pieno dispiegamento delle qualità umane e rappresentano un ostacolo alla nostra ricerca di miglioramento della vita. Le tensioni vengono svilite: ogni essere umano tende al bene, a cercarlo in libertà, per sé e per gli altri, con gli altri – anche se non sempre nel modo migliore o più benefico. E questa ricerca è impegnativa e complessa nella vita, ma pressoché impossibile nella rete. Nella dimensione virtuale, nella relazionalità distorta dei social network, nellÊoppressione digitale del controllo e della sorveglianza, nella violenza originaria e diffusa dallÊodio online, essa si arena, si invalida e si avvizzisce. Sono strumenti che vanno bene per il male: sono oppressivi per origine e sviluppo, separano e isolano, sgretolano la nostra relazionalità, alimentano la negatività. Non si può tendere al bene con strumenti malefici, non si può essere liberi né offrire la libertà rinchiusi nelle gabbie della virtualità, non si può andare verso gli altri mentre si è isolati e catturati dalla rete, non si può guardare al mondo incollati davanti a uno schermo, non si può cambiare in meglio se non ci si sottrae al peggio. Anche le nostre intenzioni migliori risultano così deviate, indirizzate in senso opposto alla possibile espressione benefica. Perché, come vedremo, il peggio primeggia: ÿmuoveŸ molto di più la rete e i suoi utenti. E non si può ragionare meglio abusando di strumenti che sono fatti apposta per non farci pensare. Il pensiero con le sue implicazioni emotive e sentimentali, le sue straordinarie possibilità, la riflessività sono sostituiti dagli algoritmi, dallÊaccumulo di dati che incasella e cataloga lÊumanità, offrendole risposte già pronte e confezionate. Le nostre modalità di pensiero sono inibite, frenate e rese aride dallÊossessione numerica e dallÊillusione della comodità di far pensare degli elettrodomestici al posto nostro. Anche sul piano facoltativo i colpi assestati dalle tecnologie digitali sono pesanti. 78 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

La memoria si inaridisce: lÊuso dei supporti in cui si archiviano dati e delle cosiddette ÿnuvoleŸ sembrano liberare il cervello dalla fatica di immagazzinarli, ma in realtà rendono sempre più difficile esercitare questa facoltà così preziosa. Ricordare non è stipare su un hard disk: è immaginare il passato, è rielaborare, risentire, riattivare la propria sensorialità e al contempo la propria senti-mentalità. E Google lo rende ogni giorno più difficile perché non concede tempo né spazio alla memoria, le nega il piacere dellÊesercizio e del ricordo, in nome del ÿtutto e subitoŸ. La creatività si impoverisce: non si immagina più, non si fantastica più, piuttosto si cerca rifugio negli avatar della realtà virtuale – che con un ossimoro viene definita ÿaumentataŸ quando invece ne è una scarna e vuota riduzione – per cercare mondi alternativi già pronti. Si vuole provare una cosiddetta second life quando la prima è ancora tutta da scoprire, inventare, costruire, condividere, scegliere, migliorare. E tutto questo ci impedisce di farlo. LÊintelligenza si avvizzisce: sembra sublimata dalle capacità computazionali dei processori sempre più veloci, ma in realtà subisce anchÊessa un attacco. Non siamo più abituati a esercitare le nostre capacità analitiche, perché tutto è già segmentato e scomposto, quantificato e numerato dal computer. In un periodo di esaltazione dellÊIntelligenza artificiale – disumana e disumanizzante – sembra non importare che quella umana sia sempre più minacciata. La ragione si inebetisce: un mondo di webeti si profila allÊorizzonte. Non si prova più a collegare i nessi, a ricomporre le idee, a sviluppare i concetti, dando per assodato che questo lavoro tocchi a qualche pezzo di silicio che lo farebbe in modo infinitamente più celere. Ancora una volta è la quantità che si sostituisce alla qualità e allÊumanità. La coscienza si indebolisce: in tutti i sensi. Si è meno svegli, perché si perdono ore di sonno. Si è meno presenti a se stessi, come dimostrano le tante forme di distrazione indotte da telefonini e tablet. Soprattutto si ha meno senso di sé, perché la propria identità si smarrisce nel mare magno della rete, e si ha meno senso degli altri e delle altre e del mondo, perché li si guarda solo attraverso lo schermo. Si è meno coscienti, cioè più asserviti e asservibili.

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Giga Emozioni

Un discorso a parte lo merita certamente il sentimento, sia per la sua importanza da un punto di vista umano essendo la nostra facoltà principale che colora e si intreccia a tutte le altre, sia dal punto di vista della abiezione di esso che viene ogni giorno perpetrata sulla rete. Partiamo da un presupposto. Internet è il luogo privilegiato delle emozioni: è immaginato, programmato e costruito per favorire il diffondersi e il riverberarsi di unÊemozionalità incontrollata e imperniata sulla negatività. ˚ così per scelta esplicita dei padroni del web, che hanno trovato una formula magica per il loro successo in quello che viene comunemente chiamato ÿciclo della dopaminaŸ, prendendo il nome dal neurotrasmettitore che nel cervello favorisce il rilascio di endorfina nel lobo frontale e provoca così sensazioni positive. I programmatori e i padroni del web hanno appreso questa straordinaria opportunità di ingenerare costantemente il bisogno di piacere, attraverso piccole gratificazioni, e hanno così strutturato volutamente il web, specialmente i social network. CÊera bisogno di dare un piccola dose di dopamina ogni tanto – sono parole di Sean Parker, il primo presidente di Facebook –, per esempio se qualcuno metteva un like alla tua foto o al tuo post [⁄] è un loop di feedback e validazione sociale [⁄] esattamente quello che un hacker come me cerca, perché sta sfruttando una vulnerabilità della psicologia umana. [⁄] E noi, gli inventori, i creatori di questa cosa – cioè io, Mark [Zuckerberg], e Kevin Systrom su Instagram, insomma tutti noi – lo comprendevamo pienamente. E lÊabbiamo fatto lo stesso.2

Una vera e propria ammissione di colpa, ma anche un manifesto dellÊavidità e del cinismo che fin dal principio ha animato i pionieri del web, quegli stessi guru della Silicon Valley che oggi si vantano della loro filantropia e magnanimità. Ma il vero cambio si è dato quando nelle aziende californiane dei colossi del web ci si è accorti che le emozioni negative funzionano ancora meglio per i loro scopi, che le persone si attivano di più, che si mobilitano di più per un dislike o 2 Cit.

in Jaron Lanier, Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social, il Saggiatore, Milano 2018, p. 19. 80

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per un commento negativo che per un like o un apprezzamento positivo, che lo fanno di più, più velocemente e più assiduamente. Duplice movente: non solo le emozioni sono più immediatamente consumabili dei sentimenti ma il male è più facile, più comodo, meno impegnativo e più superficiale. E più click sono sempre più soldi per chi governa il web. Come dice ancora Jaron Lanier, è il feedback negativo che fa guadagnare: è la scelta migliore per il business, quindi nei social media compare più spesso. [⁄] Funziona ancora di più nella visione appiattita degli algoritmi.3

Ciò spiega anche il proliferare dei discorsi dÊodio sul web. Questi attecchiscono perché affascinano, creano emozioni negative e le alimentano costantemente, danno voce e spazio a chi sceglie costantemente di muovere e muoversi in nome dellÊodio verso gli altri. Violenza, bullismo, razzismo, maschilismo, discriminazione, omofobia, pedomania⁄ lÊodio assume tantissime forme sulla rete. Come evidenzia Giovanni Ziccardi, professore di Informatica giuridica allÊUniversità statale di Milano: ÿTale potere diffusivo e di pubblicità dellÊodio è indiscutibile: è proprio della natura stessa della reteŸ.4 Soprattutto quello che appare evidente è che in questa predominanza delle emozioni, per lo più negative, sembra disperdersi il sentimento, certamente colpito e dimidiato dalle tecnologie digitali. I sentimenti più nobili, come lÊamicizia e lÊamore, sono sviliti e svuotati dallÊabuso quantitativo dei social media, dalla mercificazione e oggettivazione dei soggetti capaci di amare. Non cÊè dimora sulla rete per una ricerca sentimentale né per una sentimentalità più veritiera. Occultati fra i meandri del web, travolti da una tempesta emozionale, rischiano di essiccarsi ancor più di quanto non lo siano già nella nostra società coatta e disgregata. Eppure il sentimento è ciò che ci sospinge verso gli altri e verso il mondo. LÊamore di sé, intrecciato a quello per le per3

J. Lanier, idem, p. 31. Giovanni Ziccardi, LÊodio online. Violenza verbale e ossessioni in rete, Raffaello Cortina, Milano 2016, p. 215. 4

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sone care, incastonato nellÊamore per la specie, in quello per la natura e le altre specie, è un grande movente della nostra vita e dellÊimpegno per migliorarla. Invece sul web lÊamore è inesistente, sostituito in toto da una sua parziale componente, quella sessuale, peraltro ridotta a pornografia. LÊaffettività che ci conduce verso le altre persone si deturpa in strumentalità, predazione, molestia, adescamento, di cui donne e bambini sono le prime vittime. Eppure la senti-mentalità è fondamentale per una vita migliore. Che quindi non può che essere cercata fuori dalla rete e dai suoi incubi emozionali. Più poveri e più deboli umanamente

Dovrebbe apparire evidente che la nostra umanità rischia di impoverirsi e di indebolirsi: è già così per milioni di persone e sarà sempre più così se non si provvede. Quello che subisce la nostra specie è un attacco quotidiano di enorme portata e di indubbia pervasività. Che comincia molto precocemente: i più esposti e vulnerabili infatti sono i bambini e gli adolescenti. Le minacce portate allÊinfanzia e al suo sviluppo sono tante e di varia natura e hanno a che vedere con più piani. In primo luogo sono minacciati i sensi primari dei piccoli. Guardare costantemente uno schermo indebolisce la vista, ascoltare suoni forti in cuffia danneggia lÊudito, toccare la superficie fredda di uno schermo rallenta lo sviluppo della pienezza del tatto, rinchiudersi in una stanza e alienarsi in un monitor allontana dal piacere di un profumo o di un sapore. E danneggia anche la loro salute, tra posture errate e inattività fisica che generano sovrappeso e dolori anche in giovanissima età. Ma soprattutto è a rischio la loro crescita, da tanti punti di vista. Da quello dello sviluppo del linguaggio per esempio, a quello ancora più problematico del pensiero. Molto interessante quello che scrive Manfred Spitzer a tale proposito: ˚ solo attraverso lÊinterazione tra la vista (e tutti gli altri sensi) e la mano (intesa come senso tattile e come organo preposto alla manipolazione degli oggetti) che [⁄] si com-prende letteralmente il mondo. Un tablet non ci permette tutto questo.5 5

Manfred Spitzer, Solitudine digitale. Disadattati, isolati, capaci solo di una vita virtuale?, Corbaccio, Milano 2016, p. 207. 82 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Se non si prende in mano non si inizia a com-prendere; senza una crescita delle esperienze, complessa e ricca come quella a cui i bambini e le bambine ambiscono, non cresce neanche la loro coscienza e non si sviluppano pienamente le loro facoltà. E purtroppo ciò è tanto noto quanto occultato da chi ha tutto lÊinteresse a spacciare tecnologie digitali anche ai bambini e perciò spesso ignorato da coloro che di essi dovrebbero prendersi cura. Nella decadente società coatta i genitori usano le tecnologie digitali alternativamente come sedativi o come status symbol, per ÿtenere buoniŸ i bimbi o per sentirsi ÿorgogliosi della loro bravura con il tabletŸ; allo stesso tempo la scuola – di Stato e privata – celebra le classi 2.0 e nellÊemergenza si bea di una soluzione molto dannosa quale lÊalienante e disturbante ÿdidattica a distanzaŸ. Come giustamente sostiene Chiara Raineri, ispiratrice della Corrente umanista socialista e de La Comune, si continua a credere alle menzogne sulle tecnologie leggere, che tra lÊaltro vengono messe in mano a bimbi sempre più piccoli e non ci si rende conto dei danni enormi che queste provocano in persone in crescita.6

Le cose non vanno di certo meglio per gli adolescenti, che sono protagonisti sempre meno consapevoli della propria rovina nella loro iperconnessione. Passano intere giornate altalenando tra social network, videogame, chat, smartphone e così facendo si negano sempre più la possibilità di coltivare a pieno le straordinarie risorse e opportunità di libertà e di vita che sarebbero loro offerte. Oltre a danni spesso irreversibili al fisico o alla psiche – fino a fenomeni estremi come il suicidio o il lasciarsi morire per incuria personale – vengono attaccate le loro prospettive di vita migliore. Subiscono un incessante battage da parte dei media secondo i quali lÊunica realtà concepibile e a cui si è ammessi sia quella virtuale, che garantisce infinite possibilità, quando invece le limita in continuazione. Il loro big bang coscienziale – quella straordinaria esplosione piena della coscienza di sé, degli altri e del mondo che ad un certo punto 6

Chiara Raineri, LÊinfanzia della nostra vita, Prospettiva Edizioni, Reggello (Fi) 2020, p. 96. 83

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si accende – viene ritardata o obnubilata dalla distorsione della soggettività che i media digitali rappresentano. Ma lÊindebolimento e lÊimpoverimento di cui si diceva, riguardano più complessivamente tutti e tutte coloro che si espongono in modo più o meno volontario alle tecnologie digitali e informatiche. Tutti e tutte siamo minacciati, come si è visto, nelle nostre esistenze e nelle nostre essenze, nella nostra soggettività e nel mondo interno; siamo limitati nelle esperienze e indirizzati nelle decisioni, costretti e deprivati. Leggere e scrivere, ascoltare e guardare, sentire e toccare, raccontare e ricordare, immaginare e sperimentare. Nelle piccole come nelle grandi opere della nostra vita, essa è interamente minacciata: lÊumanità di ciascuno e di ciascuna è a rischio, fra fughe nel virtuale e dipendenza da internet. Google e Facebook, gli e-book e i tablet, gli smartphone e le loro app, lÊinternet delle cose e le nuvole di memoria, i programmi per la ÿcreativitàŸ e quelli per il lavoro, i droni e le telecamere, il navigatore satellitare e le notifiche per il traffico, le chat e i blog⁄ ogni giorno siamo accerchiati e assediati da una realtà che è pensata e fatta per andare contro la nostra umanità. Eppure ogni giorno molti vi aderiscono entusiasticamente, illudendosi di operare una scelta di miglioramento della propria vita – confondendo il comodo e il veloce con il bene e lÊutile – quando invece stanno agendo in prima persona per rovinarsela. Rischiamo, come dice la neuroscienziata Susan Greenfield ÿdi diventare mentalmente flaccidiŸ7 o, ancor meglio, come sostiene Dario Renzi, ÿdi ritrovarci più poveri e più deboli umanamenteŸ,8 se non riscopriamo invece le meravigliose possibilità di emersione positiva della nostra specie. , Dalla parte dell umanità che emerge

Già, lÊemersione affermativa. Un processo costante e quotidiano ha permesso lÊaffermarsi originario della nostra specie e di ciascun individuo e continua senza sosta. Le persone cerca7 Susan Greenfield, Mind Change. Cambiamento mentale, Fioriti Editore, Roma 2016, p. 33. 8

Dario Renzi, ÿFronteggiando il virus. Ragione sentimentale versus ragione di StatoŸ, La Comune, n. 356, 6 aprile-4 maggio 2020. 84 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

no continuamente strade per fuoriuscire dalle difficoltà; di più: per migliorare la propria vita e provare a realizzare i propri sogni mentre tentano di soddisfare i propri bisogni. E lo fanno coraggiosamente e convintamente, opponendosi alla decadenza inarrestabile da cui sono affetti i poteri oppressivi. Tracce di emersione si intravedono anche su questo campo, nel tentativo di liberarsi dal dominio tecnodecadente di Stati e padroni del web. Ma non si possono considerare credibili le ipotesi di autoriforma di internet e dei suoi strumenti a opera dei colossi del web o quelle di contenimento statale della rete. Non saranno Mark Zuckerberg o Bill Gates a fermare i pericoli delle nuove tecnologie, contro i loro stessi interessi, su questo non ci sono dubbi. Come giustamente segnala Domenico Barillà, ne I superconnessi: Possiamo stare certi che ogni qualvolta si porrà un conflitto tra gli interessi del business e quelli dei nostri figli, le piattaforme risponderanno con lÊeterno riflesso condizionato. Prima il danaro.9

Così come non appartengono a un orizzonte affermativo i tentativi di riforma del web provenienti da parte di chi ci lavora e gravita intorno a quel mondo. I pentimenti – in verità tardivi e un poÊ ipocriti – da parte di ex dipendenti e dirigenti dei giganti del web sono sempre più numerosi e gran parte della letteratura che proviene da loro va in questo senso (fra quelli che abbiamo citato è il caso di Jaron Lanier, informatico della Silicon Valley, che propone oggi di chiudere gli account social, ma solo per riaprirli domani una volta migliorate le piattaforme, senza violazioni della privacy o algoritmi invadenti). Ma sono, appunto, tentativi di riforma, che partono dal presupposto dellÊesistenza di un nocciolo ÿbuonoŸ di internet da salvare dalle brutture evitabili che gli si sono stratificate addosso. Illusione e menzogna insieme: come è stato invece ampiamente dimostrato, lÊintera esistenza di internet e dei suoi strumenti, dallÊorigine bellica agli approdi più recenti, ha un unico segno negativo, inequivocabile e quindi irriformabile. Più in generale tante persone sentono che qualcosa non va, cominciano a cercare strade di sottrazione a questo meccanismo perverso, alla macchinazione del sistema che le ingabbia e 9 Domenico

Barillà, I superconnessi. Come la tecnologia influenza le menti dei nostri ragazzi e il nostro rapporto con loro, Feltrinelli, Milano 2018, p. 34. 85

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le disumanizza. E allora, dal momento che questa riflessione ci riguarda tutti e tutte, è importante cercare di trovare insieme strade per provare a fuoriuscire dallÊincubo tecnologico. Non si tratta di dare lezioni o meno che mai offrire dogmaticamente risposte facili o scontate, che risulterebbero ideologiche e spesso difficili da praticare proprio per la pervasività di questi strumenti che ormai hanno un peso molto grande nella vita di ciascuno e ciascuna. Sono dispositivi che sono entrati nella nostra quotidianità e appare sempre più difficile rinunciarvi. Eppure bisognerebbe avere il coraggio, assieme, di provare a farne a meno sempre un poÊ di più, riducendone lÊuso al minimo indispensabile, con accortezza e attenzione, con saggezza e prudenza, perché maneggiarli è pericoloso. Possiamo scoprire – anche questo è il senso di questo libro – che si possono cominciare a compiere dei passi, a volte molto semplici e concreti, per ÿdisintossicarsiŸ e iniziare a liberarsi della servitù più o meno volontaria a cui ci si è sottoposti. Sarà inevitabile accettare dei compromessi, sarà importante saperlo prima e pensarli bene. Sarà impossibile rifiutare in toto le nuove tecnologie, sarà fondamentale capirne la pericolosità per provare a cambiare. E sarà più facile farlo se si riconoscono tanto i propri limiti quanto le proprie potenzialità, se si sa che è difficile ma possibile mutare il proprio rapporto con il web e i suoi elettrodomestici, cercando così di far emergere, ripensare e riaffermare la propria umanità. Qualcuno ci sta provando. Per questo, proprio perché guardiamo allÊumanità e alla sua ricerca di bene, è utile guardare anche ai segnali di emersione che possiamo riconoscere pure in questo ambito: significative proteste che arrivano dal di dentro, gruppi sempre più numerosi interni alle stesse aziende della Silicon Valley e del distretto elettronico cinese si mobilitano contro lo sfruttamento e lÊingordigia dei signori della rete. Solo nellÊultimo anno gli esempi sono tanti: 4.200 dipendenti donne citano in giudizio il colosso del software Oracle per discriminazioni salariali nei confronti del genere femminile. Scioperano per la prima volta i riders di Deliveroo, lÊapp delle consegne di cibo, per ottenere diritti e salari, seguiti poi da molti altri, fra cui spiccano gli omologhi cinesi di Meituan e Ele.me. Significativa è la protesta interna dei dipendenti di Microsoft contro i vertici dellÊazienda che hanno firmato un ricco contratto con lÊesercito americano (quasi mezzo miliardo di dollari) per fornire tecnologie per armi e strumenti bellici. Contro Amazon, oltre alle più note lotte dei lavoratori dei magazzini per le condizioni di lavoro disumane, è 86 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

importante la protesta da parte di diversi dipendenti ma non solo, affinché lÊazienda non venda più Rekognition, la già citata tecnologia per il riconoscimento facciale. E mentre i lavoratori di Facebook protestano contro gli ingiusti licenziamenti, in Cina, nelle fabbriche della produzione hi-tech si sono avviate decine di lotte contro il ÿ996Ÿ, cioè lÊorario di lavoro di 72 ore settimanali (dalle 9 di mattina alle 9 di sera per 6 giorni). Se partiamo da uno sguardo complessivo sullÊumano, ci interessano soprattutto le coscienze e le scelte delle persone. E quindi ci è utile conoscere e valorizzare come cresce sempre più il numero di coloro che scelgono attivamente e consapevolmente di disconnettersi. Lo fanno per le ragioni più svariate e perlopiù difensive: per la difesa della privacy, per ragioni economiche, perché delusi o insoddisfatti, perché si sentono soli e depressi, perché le loro relazioni erano compromesse, perché iniziavano a sviluppare una dipendenza, perché diventati ludopatici o maniaci del cybersex⁄ Ma a ben guardare dietro questi no, ci sono dei sì: senso di libertà, voglia di giustizia, desiderio di relazioni autentiche, amore di sé, interesse verso il mondo, rispetto degli altri. Tutti aspetti impossibili da trovare nella ragnatela del world wide web. Poi ci sono disconnessioni esplicitamente affermative, perché ci si comincia a rendere conto che fuori dalla rete si respira meglio e quindi si vive meglio, si incontrano persone migliori e si può provare a essere persone migliori. Ecco che emersione – questa è per me la scelta più giusta, la più radicale e quindi la più benefica – può far rima con disconnessione, non temporanea né estemporanea, ma meditata e motivata, scelta consapevolmente come affermazione di sé e degli altri, come proposta da condividere, come esperimento da avviare, come alternativa da offrire. Fuori dalla rete esistono strade possibili molto più affascinanti e ricche: scoprirle e percorrerle insieme sarà la grande sfida della prossima fase. Fuori dalla rete: ragione sentimentale e comunanza

Eh sì, possono aprirsi strade benefiche verso il futuro, dipende da che rotta si sceglie e con chi si decide di percorrerla. Per quanto mi riguarda la riflessione critica – e autocritica – sullÊuso 87 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

e lÊabuso delle tecnologie digitali assume più senso e diviene più impellente alla luce delle opzioni di fondo che si scelgono per la vita, delle coordinate ideali, analitiche ed etiche che si considerano, delle soggettività che si inanellano, della vita che si vuole. Fuori dalla rete, inizialmente liberi dallÊinsidiosa ragnatela di internet, contrapposti alla vorace avidità dei suoi padroni, lontani dal decadente orizzonte statale, esistono possibilità di riscatto e di reazione, di realizzazione e di miglioramento che vale la pena provare a esplorare. Pensiamo a quanto detto finora e a quanto invece cÊè ancora da scoprire fuori dai circuiti della digitalizzazione delle esistenze, dellÊinformazione corrotta, della socialità distorta, del controllo ossessivo, delle minacce al mondo dentro e fuori di noi. Possiamo provare a rispondere alla povertà e allÊindebolimento umano mettendo al centro la nostra ragione sentimentale. Valorizzando cioè ciò che più ci caratterizza come donne e uomini, la volontà di provare, assieme, a essere persone migliori, a partire dallÊimportanza del nostro pensiero e della nostra senti-mentalità. Al dominio delle emozioni incontrollate e per lo più negative, al trionfo virtuale dellÊeffimero, allo svilimento del pensiero sostituito dagli algoritmi, possiamo provare a contrapporre la centralità della riflessività, la volontà di rivalutare il pensiero e le sue modalità, il pensiero di sé e delle proprie scelte, degli altri e del mondo, della natura e dellÊambiente. Contro la velocità ossessiva e faticosa della rete possiamo provare a riscoprire il tempo necessario per la riflessione: la distensione del pensiero è un antidoto al multitasking parossistico che spezzetta e frammenta la nostra riflessività. E recuperarne il valore vuol dire inseparabilmente operare una valorizzazione anche del sentimento, che lÊaccompagna e la completa. Altro che ÿciclo della dopaminaŸ! Si tratta di provare a rimettere al centro lÊamicizia e lÊamore, lÊidea di un bene comune e duraturo da contrapporre alla velocità perversa della rete e dei suoi meccanismi. Appunto, non sottomessi alle macchine ma amanti dellÊumanità, non vincolati agli artifici della rete ma artisti della propria vita, non avatar digitali connessi ma esseri umani concreti, non numeri, chat e virtualità ma persone che sono, rappresentano e agiscono. E che possono iniziare a farlo meglio assieme, a sentirsi ed essere principio di comunanza. Si tratta di dispiegare a pieno la propria soggettività nella molteplicità. Sapere di sé e delle pro88 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

prie relazioni per comprendere il noi più ampio che può arrivare a identificarsi con la famiglia umana può rappresentare una sfida complessa ma straordinaria. Non annullare lÊumanità nella massa di dati che ci trasforma tutti in numeri – in questo la logica degli algoritmi non è tanto diversa da quella che ispirava i carnefici di Auschwitz e Birkenau – è indispensabile per provare a pensare agli altri come nostri simili, ciascuno unico a suo modo, tutti differenti, ma inseparabilmente tutti appartenenti alla stessa unitaria specie umana. E allora coltiviamolo questo ÿassiemeŸ che ci può riservare sorprese inattese. Proviamo a sperimentare lÊimportanza dellÊunione fra persone che condividono idealità e scelte di azione. Ma che communities virtuali! ˚ il momento di provare a immaginare una sottrazione affermativa da questo sistema di controllo, oppressione e sfruttamento digitale, così come da ogni altro decadente sistema di dominio, in nome della possibilità di cercare con gli altri percorsi di impegno e di vita nuovi e radicali, perché basati su una ricerca di bene in libertà completamente alternativa a tutto quello che è stato ÿpreparatoŸ per noi. Non ho la pretesa di riassumere in poche righe una teoresi, una storia e un progetto, quello dellÊumanesimo socialista e delle organizzazioni che vi si ispirano, che si vengono facendo da decenni; mi basta dare il senso di quanto tutto questo è possibile, è agente ed è una concreta possibilità benefica. Ma soprattutto è importante capire – insisto – come la riflessione specifica sul terreno importante ma parziale delle tecnologie digitali e dei loro danni allÊumanità sia tuttÊuno con quella più ampia su una prospettiva di autoemancipazione e quindi di liberazione più complessiva. Perché imparare a vivere meglio passa anche per ridefinire consapevolmente il nostro rapporto coatto con queste tecnologie, imparando a gestirle, a difendercene, a usarle meno e con più accortezza e infine, laddove possibile – anche se adesso alcune cose ci sembrano irrinunciabili –, a rinunciarci. Per essere persone migliori.

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CONCLUSIONI ATTENTI AL WEB

10 consigli per ragionarci su e non andare «in automatico»

Più che tirare una somma delle questioni trattate – peraltro i problemi mutano e peggiorano costantemente, ampliandosi nel numero e nella portata – cerco di sintetizzare alcune norme di comportamento e alcuni presupposti teoretici, morali e umani per un uso saggio e moderato del web e dei suoi dispositivi, per provare a offrire una via dÊuscita ai soprusi e alle ingerenze di internet nella vita di ciascuno e dellÊumanità tutta. Non un decalogo di imperativi ma di consigli che possano servire a chiunque – come detto a cominciare da me e dalle persone intorno a me – per non soggiacere alle perverse e dannose logiche e pratiche della rete e degli strumenti che la veicolano. Quindi anche per provare a vivere meglio, contro e fuori i pericoli delle nuove tecnologie e del sistema digitale di controllo, di oppressione e di sfruttamento.

1. Noi siamo, le macchine no Ricordiamocene ogni volta che utilizziamo un dispositivo. Noi siamo parte della natura e siamo umani, pensiamo e agiamo, scegliamo e ci esprimiamo, abbiamo facoltà e tensioni che si sviluppano nel corso della vita, sentimenti che coltiviamo e che ci muovono, intenzioni a cui diamo compimento, insomma viviamo e siamo in grado di pensare la vita. Le macchine invece eseguono, compitano, accumulano dati, li elaborano. E sono accese o spente. 91 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

2. Noi possiamo/dobbiamo controllare le macchine e non il contrario Può sembrare banale, ma è decisivo. Troppe volte le decisioni che prendiamo sono frutto di condizionamenti che ci arrivano dagli strumenti tecnologici. Che sempre più hanno la pretesa e lÊinteresse, attraverso app e big data, di controllare e modificare il nostro comportamento. E invece sta a noi essere consapevoli della capacità/possibilità di spegnere le macchine, di decidere se e che uso farne, di sottrarci intenzionalmente al loro dominio per riaffermare la nostra volontà. ˚ tuttÊaltro che semplice e scontato: nella decadente società disgregata e coatta dei nostri tempi, è un elementare, coraggioso e indispensabile atto di affermazione di sé, premessa necessaria ad una vita che inizi ad essere più consapevole e pienamente degna di essere vissuta. 3. Il mondo è quello che cÊè tutto intorno allo schermo; dentro ce nÊè solo unÊimmagine distorta La curiosità per le vicende umane può diventare interesse per lÊumanità e schieramento con la sua maggioranza e maturare sfociando coscientemente in amore per la specie. Ma anche i più sensibili e impegnati su questo tema possono a loro volta cadere nellÊinganno tecnologico di sentirsi più prossimi allÊumanità illudendosi di guardarla più da vicino e conoscerla meglio attraverso lo schermo. Che invece ci isola e ci allontana dagli altri, contorce e distorce la realtà, manipola e disinforma, esalta e sublima drammi, occultando la vita e le sue straordinarie possibilità. 4. Connettiamoci solo quando è indispensabile Non procediamo meccanicamente. Il profluvio informativo, il fascino perverso dei social, la falsa comodità e velocità del web, lÊillusione di conoscenza⁄ i motivi di attrazione della rete sono tanti e generano e alimentano la ÿservitù volontariaŸ. La pervasività degli smartphone e dei tablet hanno poi completato lÊopera negativa rendendo possibile – anzi pressoché obbligatoria – la connessione infinita. E invece connettersi deve essere sempre una possibilità, o meglio una necessità, a cui accedere se – e solo se – ce nÊè un bisogno reale e 92 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

inevitabile. Una vita senza connessione permanente alle macchine è una vita più intrecciata – cum-nectere significa esattamente questo, intrecciare – allÊumanità, alla natura, agli altri. Ed è una vita più libera, nei modi e nei tempi, negli spazi e nelle scelte, per sé e per le altre persone.

5. Informiamoci, cioè verifichiamo e scegliamo Nel delirio informativo della nostra era, nel mare magno delle news e dei dati che ci circondano, non risiede una maggiore possibilità di accedere ai fatti e meno che mai alla verità possibile dellÊumanità. Viceversa ci si annidano bugie e distorsioni, fake news e complotti, logiche di violenza e di morte. Per questo è sempre più importante provare a selezionare bene le proprie fonti e a verificarle; meglio uno sforzo previo di ricerca di verità, piuttosto che uno che potrebbe risultare enorme per fuoriuscire dalle sabbie mobili delle bugie. 6. Diffidiamo degli account social Facebook in primis, ma anche Instagram, TikTok, Google+, LinkedIn, Twitter – e se si ha coraggio anche la messaggistica istantanea di WhatsApp o Messenger – dovrebbero essere evitati. Perché sono fabbriche di relazionalità distorta e di falsa amicizia, illudono di avvicinare agli altri e alle altre e invece isolano, rinchiudendo in una realtà virtuale e separata. Sono una minaccia alla nostra soggettività: favoriscono lÊisolamento sociale e alimentano lÊindividualismo, corrompono la relazionalità, creano mostruosità collettive negative. Meglio tenersene lontani. 7. Evitiamo i tentativi di profilazione dei nostri dati Preserviamo le nostre identità. Non cediamo tanto facilmente il ÿconsensoŸ ai siti che ce lo chiedono: dietro formule semplici si nascondono i tentativi di quantificare le nostre vite per rubarcele. Appropriarsi dei nostri dati per rivenderli è la principale forma di guadagno dei colossi del web: veramente vogliamo offrire loro, più o meno consapevolmente, la possibilità di arricchirsi a nostre spese, mentre le nostre vite vengono manipolate e condizionate dai dati che contribuiamo a raccogliere per loro? Meglio cercare di essere quanto più possibile anonimi. 93 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

8. Nascondiamoci dalla rete dei sorveglianti Stati e governi – in Occidente come in Cina, nelle diversità fra i due sistemi – vogliono sapere tutto di noi per controllarci e sorvegliarci, opprimerci e soffocare la ricerca di libertà. E gli strumenti tecnologici gliene offrono la possibilità: intercettazioni, spionaggio, compravendita di dati, videosorveglianza, riconoscimento facciale, geolocalizzazione. Viviamo permanentemente sotto gli occhi e gli orecchi di Grandi fratelli pericolosi e prepotenti. Anche per questo è importante cercare di starsene il più possibile nascosti: se non esistiamo sulla rete, siamo più difficili da controllare. 9. Relazionalità è face to face, non Facebook Curiamo la nostra relazionalità nutrendola di scambi umani, di vicinanza, di sguardi e di ascolti, di incontri e di confronti, di abbracci e di carezze (diretti o immaginati). LÊamicizia e lÊamore, la sentimentalità, sono straordinarie espressioni del nostro mondo interno e della nostra tensione al bene e agli altri. Sono opportunità (talvolta meravigliose) per poter entrare in contatto con altri soggetti e quindi con altri mondi, scoprendoli insieme e insieme migliorandoli. Tutto questo richiede attenzione, conoscenza, sincerità, reciprocità. Impossibile online. 10. Il bene virtuale è virtuale, il male virtuale è male Questi strumenti sono fatti per il male. Sono nati con e per la guerra, sono violenti e pericolosi, incolti e disumani. Sono dannosi per il fisico e per lo spirito, danneggiano i nostri sensi e le nostre essenze. Ci illudono di farci del bene, di offrirci comodità e velocità, vicinanza e comunità, ma tutto questo è solo illusorio e menzognero, virtuale ed effimero. Quello che è drammaticamente vero è il male che sono capaci di fare e che stanno sempre più facendo a tutti e tutte, principalmente alle nuove generazioni. Per loro e per tutti e tutte noi è invece importante cercare il bene e cercarlo bene. Provando insieme a costruire strade complessivamente alternative di libertà e di affermazione, di riscatto e di emancipazione umana. Fuori dalla rete.

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Osmarino Amancio Rodrigues Amazzonia. Grida dalla foresta (1998) Lucia Cerzeto Quel che resta della notte (1999) Mario Guarino L’impero del male (2000)

Fedora Raugei Bologna, 1980. Vent’anni per la verità (2000) Michelangelo Severgnini Good Morning Pristina! (2000) Marco Grazia Emergenza Palestina (2001) Aa.Vv. Not in our name! (2002) Luca Leone Infanzia negata (2003)

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Fabio Beltrame 33 Parole-chiave sull’Islam (2003)

Fabio Beltrame Ancora una volta, Palestina ai palestinesi (2005) Aa.Vv. You can stop war (2007)

Renato Scarola Brigate rosse: nel cuore dello Stato (2009)

Gianluca Petruzzo Sant’Antimo, Rosarno... Nessuno è straniero (2010) Aa.Vv. Vince l’umanità solidale (2011)

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