La formazione delle parole in italiano [Reprint 2012 ed.] 9783110934410, 9783484507111

This volume presents the first comprehensive description of 20th century Italian word formation in all its non-dialectal

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Italian Pages 679 [680] Year 2004

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Table of contents :
Indice generale
1. INTRODUZIONE
1.1. Presentazione
1.2. Premesse teoriche
2. COMPOSIZIONE
2.1. Composizione con elementi italiani
2.2. Composizione con elementi neoclassici
3. PREFISSAZIONE
3.0. Introduzione
3.1. Differenze tra prefissazione e composizione
3.2. Caratteristiche definitorie dei prefissi
3.3. Identificazione dei prefissi
3.4. Produttività e analizzabilità
3.5. Selezione della base
3.6. Caratteristiche fonologiche
3.7. Funzioni semantiche
4. PARASINTESI
4.1. Verbi parasintetici
4.2. Nomi cosiddetti parasintetici
4.3. Aggettivi cosiddetti parasintetici
5. SUFFISSAZIONE
5.1. Derivazione nominale
5.2. Derivazione aggettivale
5.3. Derivazione verbale
5.4. Derivazione avverbiale
5.5. Derivazione numerale
6. RETROFORMAZIONE
6.1. La retroformazione come fenomeno analogico
6.2. Tipi di retroformazioni in italiano
7. CONVERSIONE
7.1. Introduzione
7.2. Conversione in sostantivi
7.3. Conversione in aggettivi
7.4. Conversione in verbi
7.5. Conversione in avverbi
8. RIDUZIONE
8.1. Introduzione
8.2. Sigle: i tipi Dc, Fiat
8.3. Accorciamenti
8.4. Riduzioni per troncamento di suffisso
9. PAROLE MACEDONIA
9.1. La nozione di «parola macedonia»
9.2. Tipi di parole macedonia in italiano
10. FORMAZIONE DELLE PAROLE NELLE TERMINOLOGIE TECNICO-SCIENTIFICHE
10.1. Introduzione
10.2. Chimica
10.3. Medicina
10.4. Botanica e zoologia
11. FORMAZIONE DELLE PAROLE NELL’ ONOMASTICA
11.1. Antroponimia
11.2. Toponimia
11.3. Econimia
BIBLIOGRAFIA
SIGLE E ABBREVIAZIONI
INDICE DEGLI AFFISSI, INTERFISSI ED ELEMENTI FORMATIVI
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La formazione delle parole in italiano [Reprint 2012 ed.]
 9783110934410, 9783484507111

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La formazione delle parole in italiano

La formazione delle parole in italiano a cura di Maria Grossmann e Franz Rainer

Max Niemeyer Verlag Tübingen 2004

Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.ddb.de abrufbar. ISBN 978-3-484-50711-1 © Max Niemeyer Verlag GmbH, Tübingen 2004 http://www.niemeyer.de Das Werk einschließlich aller seiner Teile ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung des Verlages unzulässig und strafbar. Das gilt insbesondere für Vervielfältigungen, Übersetzungen, Mikroverfilmungen und die Einspeicherung und Verarbeitung in elektronischen Systemen. Printed in Germany. Druck: AZ Druck und Datentechnik GmbH, Kempten Einband: Norbert Klotz, Jettingen-Scheppach

Indice sintetico Indice generale

VII

1. INTRODUZIONE

1

1.1. Presentazione

3

1.2. Premesse teoriche

4

2. COMPOSIZIONE

31

2.1. Composizione con elementi italiani

33

2.2. Composizione con elementi neoclassici

69

3. PREFISSAZIONE

97

3.0. Introduzione

99

3.1. Differenze tra prefissazione e composizione

100

3.2. Caratteristiche definitorie dei prefissi

105

3.3. Identificazione dei prefissi

108

3.4. Produttività e analizzabilità

109

3.5. Selezione della base

Ili

3.6. Caratteristiche fonologiche

118

3.7. Funzioni semantiche

126

4. PARASINTESI

165

4.1. Verbi parasintetici

167

4.2. Nomi cosiddetti parasintetici

182

4.3. Aggettivi cosiddetti parasintetici

183

5. SUFFISSAZIONE

189

5.1. Derivazione nominale

191

5.2. Derivazione aggettivale

382

5.3. Derivazione verbale

450

5.4. Derivazione avverbiale

472

5.5. Derivazione numerale

489

6. RETROFORMAZIONE

493

VI

Sommario del contenuto

6.1. La retroformazione come fenomeno analogico

495

6.2. Tipi di retroformazioni in italiano

495

7. CONVERSIONE

499

7.1. Introduzione

501

7.2. Conversione in sostantivi

505

7.3. Conversione in aggettivi

526

7.4. Conversione in verbi

534

7.5. Conversione in avverbi

550

8. RIDUZIONE

555

8.1. Introduzione

557

8.2. Sigle: i tipi De, Fiat

558

8.3. Accorciamenti

561

8.4. Riduzioni per troncamento di suffisso

566

9. PAROLE MACEDONIA

567

9.1. La nozione di «parola macedonia»

569

9.2. Tipi di parole macedonia in italiano

569

10. FORMAZIONE DELLE PAROLE NELLE TERMINOLOGIE TECNICO-SCIENTIFICHE

573

10.1. Introduzione

575

10.2. Chimica

580

10.3. Medicina

585

10.4. Botanica e zoologia

591

11. FORMAZIONE DELLE PAROLE NELL'ONOMASTICA

599

11.1. Antroponimia

601

11.2. Toponimia

607

11.3. Econimia

609

BIBLIOGRAFIA

611

SIGLE E ABBREVIAZIONI

645

INDICE DEGLI AFFISSI, INTERFISSI ED ELEMENTI FORMATIVI

651

Indice generale 1. INTRODUZIONE 1.1. P r e s e n t a z i o n e

1 MARIA GROSSMANN / FRANZ RAINER

1.2. Premesse teoriche 1.2.1. Delimitazione del campo di ricerca FRANZ RAINER 1.2.2. La nozione di regola di formazione di parole 1.2.2.1. Il lessico mentale come punto di partenza 1.2.2.2. La parola come unità fondamentale 1.2.2.3. La direzionalità delle regole di formazione di parole 1.2.2.4. Testa e modificatore 1.2.2.5. Conclusione 1.2.3. Il significato delle regole di formazione di parole 1.2.3.1. Significato lessicale e significato morfologico 1.2.3.2. Struttura argomentale e sottocategorizzazione 1.2.4. La forma delle regole di formazione di parole 1.2.4.1. Allomorfia: fra variazione allofonica e suppletivismo 1.2.4.2. Allomorfia determinata paradigmaticamente 1.2.4.3. Parola, tema, radice: la natura delle basi 1.2.5. Restrizioni sulle regole di formazione di parole 1.2.5.1. Tipologia delle restrizioni 1.2.5.2. Produttività 1.2.6. C a m b i o s e m a n t i c o e f o r m a z i o n e d e l l e parole

f ANDREAS BLANK

1.2.6.1. Una prospettiva cognitiva dell'innovazione lessicale 1.2.6.2. La conversione nella prospettiva concettuale 1.2.6.2.1. Tipi formali e semantici della conversione 1.2.6.2.2. Conversione ed ellissi 1.2.6.3. Metafora e formazione delle parole 1.2.6.4. Metonimia e formazione delle parole 1.2.6.4.1. Modelli concettuali e derivazione 1.2.6.4.2. La scelta fra metonimia e derivazione 1.2.6.4.3. I tipi CONTENITORE-CONTENUTO/PORZIONE e STRUMENTO-PERSONA

1.2.6.5. Conclusione

Composizione con elementi italiani 2.1.1. Definizione e delimitazione 2.1.1.1. Composti e derivati 2.1.1.2. Composti e sintagmi

4 4 7 7 9 9 11 12 13 13 15 16 17 18 19 20 20 22 23

23 24 24 25 25 26 27 27 29

29

2. COMPOSIZIONE 2.1.

3

31 ANTONIETTA BISETTO

33

33 34 34

VILI

Indice

2.1.1.3. Composti e polirematiche 2.1.2. Composti nominali 2.1.2.1. Composti N+N coordinati 2.1.2.1.1. Composti N+N coordinati esocentrici 2.1.2.1.1.1. Il tipo Emilia-Romagna, centrodestra 2.1.2.1.1.2. Il tipo governo-sindacati 2.1.2.2. Composti N+N subordinati 2.1.2.2.1. Formazioni N+N subordinate con testa a sinistra 2.1.2.2.1.1. Il tipo trasporto latte 2.1.2.2.1.2. Il tipo direzione ufficio acquisti 2.1.2.2.2. Formazioni N+N subordinate con testa a destra 2.1.2.2.2.1. Il tipo calciomercato 2.1.2.2.2.2. Il tipo madrelingua 2.1.2.2.2.3. Il tipo fruttivendolo 2.1.2.3. Composti nominali numerali 2.1.2.4. Composti nominali con aggettivo 2.1.2.5. Composti nominali esocentrici 2.1.3. Composti aggettivali 2.1.3.1. Il tipo altoatesino 2.1.4. Composti numerali 2.1.4.1. Numerali cardinali 2.1.4.2. Numerali ordinali 2.1.5. Composti verbali 2.1.6. Composti avverbiali DAVIDE RICCA 2.1.6.1. Composti veri e propri: il tipo sottobraccio 2.1.6.2. Univerbazioni: i tipi almeno, altrettanto, dappertutto, nondimeno e simili 2.1.7. Composti come basi di derivazione ANTONIETTA BISETTO 2 . 1 . 8 . Polirematiche

MIRIAM VOGHERA

2.1.8.1. Premessa terminologica 2.1.8.2. Caratteristiche generali delle polirematiche 2.1.8.2.1. Morfosintassi 2.1.8.2.2. Semantica 2.1.8.2.3. Uso 2.1.8.3. Tipi di polirematiche 2.1.8.3.1. Polirematiche nominali 2.1.8.3.2. Polirematiche pronominali 2.1.8.3.3. Polirematiche verbali 2.1.8.3.4. Polirematiche aggettivali 2.1.8.3.5. Polirematiche avverbiali 2.1.8.3.6. Polirematiche preposizionali

generale

36 36 37 39 39 39 39 40 41 42 42 42 43 43 43 43 45 47 48 49 49 50 50 51 51 52 53 56

56 56 57 59 61 62 62 65 65 66 67 67

índice generale

IX

2.1.8.3.7. Polirematiche congiunzionali 2.1.8.3.8. Polirematiche interiettive 2.2.

Composizione con elementi neoclassici CLAUDIO IACOBINI 2.2.1. Differenti denominazioni ed eterogeneità degli elementi formativi 2.2.2. Distinzioni all'interno degli elementi formativi 2.2.2.1. Elementi formativi neoclassici 2.2.2.2. Accorciamenti usati in composizione 2.2.2.3. Elementi formati per secrezione 2.2.2.4. Parole modificate e altri elementi non autonomi 2.2.3. Caratteristiche dei composti formati con elementi formativi 2.2.4. Diffusione degli elementi formativi nella lingua comune 2.2.5. Elementi formativi, affissi e parole 2.2.5.1. Differenze tra affissi e elementi formativi 2.2.5.2. Differenze tra parole e elementi formativi 2.2.6. Elementi formativi di tipo lessicale 2.2.7.1 tipi pseudoproblema, equidistante, monocefalo ecc 2.2.8.1 tipi eurocrate, politologo, carnivoro ecc

3. PREFISSAZIONE

CLAUDIO IACOBINI

3.0. Introduzione 3.1. Differenze tra prefissazione e composizione 3.1.1. Prefissazione e composizione neoclassica 3.1.2. Prefissi e preposizioni

68 68 69

70 72 72 73 76 76 79 81 84 85 86 86 88 89 97 99 100 100 101

3.2. Caratteristiche definitorie dei prefissi

105

3.3. Identificazione dei prefissi

108

3.4. Produttività e analizzabilità

109

3.5. Selezione della base 3.5.1. Struttura morfologica della base 3.5.2. Ricorsività: il tipo ex-ex-marito, metametalinguaggio 3.5.3. Sostituzione di prefisso: il tipo svitare, spolverare, postfazione 3.5.4. Fattorizzazione: il tipo pre- e poststrutturalismo

Ili 114 116 117 117

3.6. Caratteristiche fonologiche 3.6.1. Posizione dell'accento 3.6.2. Modifiche dei prefissi 3.6.3. Modifiche della base 3.6.4. Restrizioni 3.6.5. Nessi anomali

118 119 120 123 124 125

3.7. Funzioni semantiche 3.7.1. Posizione

126 128

X

Indice

generale

3.7.1.1. Valori locativi 3.7.1.1.1. "Avanti, prima": ante-, anti-2, avan-, pre-, pro3.7.1.1.2. "Dietro, all'indietro": post-, retro-·, "movimento in senso contrario": anti-1, contro-, re-, retro-, ri3.7.1.1.3. "Di fronte, posizione contrapposta": anti-1, contra-, contro-, ob3.7.1.1.4. "Vicino": giusta-, para-, sub3.7.1.1.5. "Dentro, all'interno, in mezzo": fra-, infra-, inter-, intra-, intro-, tra3.7.1.1.6. "Fuori, al di fuori di, all'esterno": e-, estra-, estro-, extra-, stra3.7.1.1.7. "Sopra": sopra-Isovra-, sor-, su-, super-, sur3.7.1.1.8. "Sotto": infra-, ipo-, so-, sotto-, sub3.7.1.1.9. "Al di là, attraverso, oltre": meta-, oltre-, per-, tra-, trans-, tras-, ultra3.7.1.1.10. "Intorno": circum3.7.1.1.11. "Al di qua": cis-, citra3.7.1.1.12. "Provenienza, separazione, allontanamento": ab-, de-, di-, dis-, e-/'es-, s-, se3.7.1.1.13. "Relazione gerarchica": bis-, contro-, pro-, sotto-, sub-, vice-.... 3.7.1.2. Valori temporali 3.7.1.2.1. "Prima": ante-, anti-2, avan-, ex-, pre-, pro3.7.1.2.2. "Dopo": post-, retro-, sopra-/sovra-, ultra3.7.1.2.3. "In mezzo": infra-, inter3.7.1.2.4. "Nuovo": neo3.7.2. Negazione 3.7.2.1. "Opposizione": anti-1, contra-, contro3.7.2.2. "Contraddizione": non3.7.2.3. "Contrarietà": a-, dis-, in-2, mis-, s3.7.2.4. "Privazione": a-, de-, di-, dis-, e-/es-, in-2, s3.7.2.5. "Reversione": de-, dis-, s3.7.3. Alterazione: valori dimensionali e valutativi 3.7.3.1. Grandezza e quantità 3.7.3.1.1. "Grandezza e quantità maggiore": iper-, macro-, maxi-, mega-, sopra-/sovra-, super3.7.3.1.2. "Grandezza e quantità minore": micro-, mini-, sotto-, sub3.7.3.2. Qualità 3.7.3.2.1. "Qualità maggiore": arci-, extra-, iper-, mega-, sopra-/sovra-, stra-, super-, sur-, ultra- (archi-, oltre-, per-, pre-, ri-, sor-, tra-) 3.7.3.2.2. "Qualità minore": bis-, fra-, infra-, intra-, ipo-, para-, semi-, so-, sotto-, sub3.7.4. Quantificazione "molti, vari": multi-, pluri-, poli3.7.5. "Ripetizione": re-, ri- (retro-, sopra-/sovra-, sotto-, sub-) 3.7.6. "Ingressività": ad-, in-1, ra-, rin-, s-

129 129 129 130 131 131 132 132 133 134 136 136 137 137 138 138 139 140 140 141 142 143 143 144 146 147 149 149 150 151 151 153 154 154 157

Indice generale

XI

3.7.7. "Riflessività": auto3.7.8. "Unione, reciprocità, relazione": co-, con-, inter4. P A R A S I N T E S I

CLAUDIO IACOBINI

159 161 165

4.1. Verbi parasintetici 4.1.1. Distinzione tra verbi parasintetici e verbi a doppio stadio derivativo 4.1.2. Verbi ingressivi ed egressivi 4.1.3. Il doppio valore di s4.1.4. Verbi parasintetici deaggettivali 4.1.5. Verbi parasintetici denominali 4.1.5.1. Significato causativo 4.1.5.1.1.1 tipi accartocciare, incolonnare, inarcare 4.1.5.1.2. Il tipo inviperirsi 4.1.5.1.3.1 tipi affascinare, insaporire 4.1.5.2. Significato locativo 4.1.5.2.1.1 tipi imburrare, incoronare 4.1.5.2.2.1 tipi affossare, infornare 4.1.5.3. Significato strumentale: i tipi accoltellare, scarrozzare 4.1.5.4. Considerazioni quantitative 4.1.6. Altri verbi assimilabili al tipo parasintético

167 168 172 173 174 176 176 177 177 177 177 178 178 179 179 180

4.2. Nomi cosiddetti parasintetici 4.2.1.1 tipi imbiellaggio, decespugliatore 4.2.2.1 tipi ipervitaminosi, endogamia 4.2.3. Il tipo bipartitismo 4.2.4.1 tipi guerrafondaio, fruttivendolo

182 182 182 183 183

4.3. Aggettivi cosiddetti parasintetici 4.3.1.1 tipi assatanato, ammandorlato, deteinato 4.3.2.1 tipi sottomarino, antiparassitario 4.3.3.1 tipi imberbe, informe, bilingue, trireme', immancabile, irrestringibile

183 183 184 186

5. SUFFISSAZIONE

189

5.1. Derivazione nominale 5.1.1. Derivazione nominale denominale

191 191

5.1.1.1. Nomi di agente

MARIA G. LO DUCA

5.1.1.1.1. Il tipo fioraio 5.1.1.1.2.1 tipi campanaro e palazzinaro 5.1.1.1.3. Il tipo barcaiolo / barcaiuolo / barcarolo 5.1.1.1.4.1 tipi barbiere e guerriero 5.1.1.1.5. Il tipo impresario 5.1.1.1.6. Il tipo autista 5.1.1.1.7. Itipi garibaldino, cigiellino, postino

191

194 197 200 202 204 206 209

Indice generale 5.1.1.1.8.

Il tipo capellone

210

5.1.1.1.9.

Il tipo bracciante

213

5.1.1.1.10.

Il tipo manzoniano

214

5.1.1.1.11.

Altri tipi

215

5.1.1.1.12.

Mozione

5.1.1.1.12.1.

Il tipo ragazzo / ragazza

5.1.1.1.12.2.

I tipi infermiere/infermiera,

ANNA M . THORNTON

218

220 accattone/accattona,

tintore / tintora 5.1.1.1.12.3.

221

Nomi di genere comune

222

5.1.1.1.12.3.1. Itipi il cantante/la

cantante,

il preside/la

5.1.1.1.12.3.2. Il tipo il giornalista

/ la giornalista

preside

222 222

5.1.1.1.12.4.

Il tipo scalatore

5.1.1.1.12.5.

I femminili dei maschili in -sore

223

5.1.1.1.12.6.

I femminili in -essa

223

5.1.1.1.12.7.

Il tipo eroina e i femminili in -ina

5.1.1.1.12.8.

I tipi donna poliziotto, volpe maschio

225

5.1.1.1.12.9.

Altri tipi

225

5.1.1.1.12.10.

U s o dei diversi tipi di mozioni al femminile

5.1.1.2. Nomi di strumento

/scalatrice

222

mamma porcospino,

224 ministro

MARIA G. L o DUCA e pallottoliere

donna,

225 227

5.1.1.2.1.

I tipi bistecchiera

5.1.1.2.2.

Il tipo ditale

230

5.1.1.2.3.

Nomi di strumento da procedimenti alterativi

230

5.1.1.2.4.

Altri tipi

233

5.1.1.3. N o m i di luogo

228

234

5.1.1.3.1.

I tipi lebbrosario,

5.1.1.3.2.

I tipi carbonaia

pollaio

epagliaro

e solfara

234 236

5.1.1.3.3.

Il tipo libreria

236

5.1.1.3.4.

Il tipo tintoria

237

5.1.1.3.5.

Il tipo lanificio

238

5.1.1.3.6.

Altri tipi

239

5.1.1.4. Nomi di status

FRANZ RAINER

241

5.1.1.4.1.

Il significato dei nomi di status

241

5.1.1.4.2.

I singoli suffissi

242

5 . 1 . 1 . 5 . N o m i collettivi

MARIA GROSSMANN

244

5.1.1.5.1.

Considerazioni generali

244

5.1.1.5.2.

Nomi collettivi derivati con suffissi collettivi

245

5.1.1.5.3.

Nomi collettivi derivati con altri suffissi

5.1.1.6. Altre categorie

FRANZ RAINER

247 253

5.1.1.6.1.

Il suffisso -ata

5.1.1.6.2.

Il suffisso -eria

253 254

5.1.1.6.3.

Il tipo sinistrese

255

Indice generale

XIII

5.1.1.6.4.

I suffissi -ismo e -esimo

256

5.1.1.6.5. 5.1.1.6.6.

Il suffisso -istica Il suffisso -ite

260 261

5.1.1.6.7. Suffissi improduttivi o poco produttivi 5 . 1 . 1 . 7 . Alterazione LAVINIA MERLINI BARBARESI

262 264

5.1.1.7.1. 5.1.1.7.2.

Paradigma dei suffissi alterativi Base

265 267

5.1.1.7.3.

Categorie del nome

268

5.1.1.7.4.

Regole di formazione

269

5.1.1.7.5.

Restrizioni fonologiche

269

5.1.1.7.6. 5.1.1.7.7. 5.1.1.7.8.

Restrizioni suffissali e blocco Inserzione di affricata Ordine delle regole di suffissazione

270 271 271

5.1.1.7.9.

Mantenimento della categoria sintattica

272

5.1.1.7.10.

Proprietà di testa

272

5.1.1.7.11. 5.1.1.7.12.

Cambiamento di genere Cumulo di suffissi

273 275

5.1.1.7.13. 5.1.1.7.14.

Interfissi Semantica e pragmatica degli alterati

276 279

5.1.1.7.15.

Produttività

280

5.1.1.7.16. 5.1.1.7.16.1.

Suffissi liberamente produttivi Diminutivi

281 281

5.1.1.7.16.1.1. Il suffisso -ino/a 5.1.1.7.16.1.2. Il suffisso -etto/a

281 284

5.1.1.7.16.1.3. Il suffisso -ello/a 5.1.1.7.16.1.4. Il suffisso -uccio/a (variante -uzzo/a)

285 286

5.1.1.7.16.1.5. Il suffisso -otto, 5.1.1.7.16.2. Accrescitivi

287 287

5.1.1.7.16.2.1. Il suffisso-one 5.1.1.7.16.2.2. Il suffisso -otto2

287 289

5.1.1.7.16.3.

Peggiorativi

289

5.1.1.7.16.3.1. Il suffisso -acciol-azzo

289

5.1.1.7.17. 5.1.1.7.17.1. 5.1.1.7.17.2.

290 290 291

Suffissi poco produttivi o improduttivi Diminutivi Accrescitivi / diminutivi

5.1.1.7.17.3. Peggiorativi 5.1.2. Derivazione nominale deaggettivale FRANZ RAINER 5.1.2.1. Nomi di qualità 5.1.2.1.1. Considerazioni generali 5.1.2.1.1.1. Il significato dei nomi di qualità

292 293 293 293 293

5.1.2.1.1.2.

La categoria sintattica delle basi

296

5.1.2.1.1.3.

Struttura argomentale e sottocategorizzazione

297

XIV

Indice

5.1.2.1.2. Descrizione dei singoli suffissi 5.1.2.1.2.1. Nomi di qualità primari 5.1.2.1.2.1.1.1 suffissi -itàe-età 5.1.2.1.2.1.2. Il suffisso -ezza 5.1.2.1.2.1.3. Il suffisso -ia 5.1.2.1.2.1.4. Il «suffisso» -(z)a 5.1.2.1.2.1.5.1 suffissi -aggine e -eria 5.1.2.1.2.1.6. Suffissi improduttivi 5.1.2.1.2.2. Nomi di qualità sostitutivi 5.1.2.1.2.2.1. Nomi d'azione in funzione di nomi di qualità 5.1.2.1.2.2.2. Nomi collettivi in funzione di nomi di qualità 5.1.2.1.2.2.3. Nomi di status in funzione di nomi di qualità 5.1.2.1.2.2.4. Nomi in -ismo e -esimo in funzione di nomi di qualità 5.1.2.1.2.3. Interazioni fra i suffissi 5.1.3. Derivazione nominale deverbale 5 . 1 . 3 . 1 . Nomi d'azione LIVIO GAETA 5.1.3.1.1. Considerazioni generali 5.1.3.1.1.1. Il significato dei nomi d'azione 5.1.3.1.1.2. Estensioni di significato 5.1.3.1.1.3. La categoria sintattica delle basi 5.1.3.1.1.4. Struttura argomentale e sottocategorizzazione 5.1.3.1.2. Descrizione dei singoli suffissi 5.1.3.1.2.1. I suffissi -mento e -zione 5.1.3.1.2.2. I suffissi -tura e -aggio 5.1.3.1.2.3. Il participio passato femminile 5.1.3.1.2.4. Il suffisso -(z)a 5.1.3.1.2.5. Il suffisso -io 5.1.3.1.2.6. Suffissi non produttivi 5.1.3.2. Nomi di agente MARIA G. LO DUCA 5.1.3.2.1. II tipo educatore 5.1.3.2.2. Il tipo amante 5.1.3.2.3. Il tipo spazzino 5.1.3.2.4. Il tipo mangione 5.1.3.2.5. Il tipo abbonato, pentito, deceduto 5.1.3.2.6. Altri tipi 5.1.3.3. Nomi di strumento 5.1.3.3.1. Il tipo lavatrice 5.1.3.3.2. Il tipo frullatore 5.1.3.3.3. I tipi annaffiatoio, binatoia, distillatorio 5.1.3.3.4. Il tipo abbagliante, disinfettante 5.1.3.3.5. Il tipo cancellino 5.1.3.3.6. Altri tipi

generale

298 298 298 301 304 305 306 309 311 311 312 312 312 313 314 314

314 314 316 318 319 321 323 334 338 346 348 349 351 352 357 360 361 363 363 364 365 367 369 371 372 373

Indice generale

XV

5.1.3.4. Nomi di luogo 5.1.3.4.1. I tipi abbeveratoio, accorciatoia, osservatorio 5.1.3.4.2. Il tipo stireria 5.1.3.4.3. Altri tipi 5.1.3.5. Nomi di paziente: i tipi arrestato, battezzando 5.1.3.6. Nomi di beneficiario: il tipo affidatario 5.2. Derivazione aggettivale 5.2.1. Aggettivi denominali

382 382

5.2.1.1. Aggettivi di relazione

ULRICH WANDRUSZKA

5.2.1.1.1. Considerazioni generali 5.2.1.1.2. I singoli suffissi 5.2.1.1.3. Aggettivi di somiglianza 5.2.1.2. Aggettivi possessivi 5.2.1.3. Aggettivi di disposizione 5.2.1.4. Aggettivi di effetto 5.2.1.5. Altri aggettivi denominali 5.2.1.6. Etnici FRANZ RAINER 5.2.1.6.1. Considerazioni generali 5.2.1.6.2. I singoli suffissi 5.2.1.7. Deantroponimici

5.2.1.7.1. 5.2.1.7.2. 5.2.1.7.2.1. 5.2.1.7.2.2. 5.2.1.7.2.3. 5.2.1.7.2.4. 5.2.1.7.3.

CHRISTIAN SEIDL

Considerazioni generali I suffissi più produttivi Il suffisso -iano Il suffisso -ano Il suffisso -esco Il suffisso -ista Suffissi poco produttivi o improduttivi

5.2.2. Aggettivi deverbali

374 374 375 376 376 379

DAVIDE RICCA

5.2.2.1. Considerazioni generali 5.2.2.1.1. Significato degli aggettivi deverbali 5.2.2.1.2. Aggettivi deverbali e participi 5.2.2.1.3. Struttura argomentale 5.2.2.1.4. Restrizioni morfologiche sulla base 5.2.2.2. Descrizione dei singoli suffissi 5.2.2.2.1. Il suffisso -bile 5.2.2.2.1.1. Semantica 5.2.2.2.1.2. Questioni formali 5.2.2.2.2. Il suffisso -evole 5.2.2.2.3. Il suffisso -nte 5.2.2.2.4. I suffissi -(t)ivo e -(t)orio: confronto formale e semantico 5.2.2.2.5. Suffissi minori e improduttivi

382

382 387 394 397 400 400 401 402 402 405 409

409 411 411 412 413 414 416 419

419 419 420 421 422 422 422 422 426 429 430 435 440

Indice

XVI

5.2.2.2.6. Ai margini della categoria 5.2.2.2.6.1. Derivati con suffissi non tipicamente deverbali 5.2.2.2.6.2. Derivati con suffissi non tipicamente aggettivali 5.2.3. Aggettivi deaggettivali LAVINIA MERLINI BARBARESI 5.2.3.1. L'alterazione dell'aggettivo 5.2.3.2. La forma elativa dell'aggettivo: -issimo ed -errimo 5.2.3.3. Il suffisso -oide ed altri suffissi aggettivali

generale

441 442 442 444 444 448 449

5.3. Derivazione verbale 450 5 . 3 . 1 . Verbi denominali M A R I A GROSSMANN 450 5.3.1.1. Considerazioni generali 450 5.3.1.2. Struttura semantica 452 5.3.1.2.1. Ν '+animato' 453 5.3.1.2.1.1. Ν '+umano': i tipi capitaneggiare, bamboleggiare e berlusconizzarsi (C) 453 5.3.1.2.1.2. Ν '-umano': il tipo farfalleggiare 454 5.3.1.2.2. Ν '-animato', '+concreto' 455 5.3.1.2.2.1. Ν oggetto effetto 455 5.3.1.2.2.1.1. Ν parte di un tutto: i tipi barbificare e spumeggiare 455 5.3.1.2.2.1.2. Ν insieme o componente: i tipi antologizzare e quotizzare .... 455 5.3.1.2.2.1.3. Altri verbi con Ν oggetto effetto: il tipo burrificare 456 5.3.1.2.2.2. Ν oggetto affetto 456 5.3.1.2.2.2.1. Ν oggetto localizzato: il tipo vitaminizzare 456 5.3.1.2.2.2.2. Altri verbi con Ν oggetto affetto: il tipo ancheggiare 457 5.3.1.2.2.3. Ν complemento locativo: i tipi ospedalizzare, borseggiare e troneggiare 457 5.3.1.2.2.4. Ν strumento: il tipo pennelleggiare 458 5.3.1.2.2.5. Ν complemento predicativo del soggetto: il tipo torreggiare . 458 5.3.1.2.3. Ν '-animato', '-concreto': i tipi danneggiare, spettacolizzare, fiatizzare (L), ozieggiare 458 5.3.2. Verbi deaggettivali 459 5.3.2.1. Considerazioni generali 459 5.3.2.2. Struttura semantica 461 5.3.2.2.1. Verbi causativi e incoativi 462 5.3.2.2.1.1. Derivati da antonimi: il tipo velocizzare 462 5.3.2.2.1.2. Derivati da complementari non graduabili: il tipo impermeabilizzare 463 5.3.2.2.1.3. Derivati da complementari graduabili: il tipo concretizzare ... 463 5.3.2.2.1.4. Derivati da aggettivi denominali: i tipi problematizzare, teatralizzare e americanizzare 464 5.3.2.2.2. Verbi stativi o continuativi: i tipi zoppicare & folleggiare 465 5 . 3 . 3 . Verbi deverbali PIER M A R C O BERTINETTO 465

Indice generale

XVII

5.4. Derivazione avverbiale

DAVIDE RICCA

472

5.4.1. Sintassi e semantica degli avverbi in -mente 5.4.1.1. Polisemia delle formazioni in -mente 5.4.1.2. Avverbi in -mente e struttura argomentale

473 473 478

5.4.2. Caratteristiche morfologiche della derivazione 5.4.2.1. Allomorfia della base aggettivale 5.4.2.2. La terminalità di -mente e il problema del superlativo 5.4.2.3. Restrizioni fonologiche sulla base 5.4.2.4. Restrizioni morfologiche sulla base 5.4.2.5. Restrizioni semantiche sulla base 5.4.3. Altre formazioni avverbiali

479 479 481 482 482 487 489

5.5. Derivazione numerale

FRANZ RAINER

489

6. R E T R O F O R M A Z I O N E

FRANZ RAINER

493

6.1. La retroformazione come fenomeno analogico

495

6.2. Tipi di retroformazioni in italiano

495

7. CONVERSIONE

499

7.1. Introduzione

ANNA M . THORNTON

7.2. Conversione in sostantivi 7.2.1. Conversione Ν Ν 7.2.1.1. Mozione per conversione di radice 7.2.1.2. Il tipo statistica / statistico 7.2.1.3.1 tipi la mela / il melo, il cedro (frutto) / il cedro (albero) 7.2.1.4. Il tipo mecenate 7.2.1.5. Il tipo gorgonzola 7.2.1.6. Il tipo Albiano (toponimo) - » albiani (etnico) 7.2.2. Conversione A —» Ν 7.2.2.1. Nomi deaggettivali basati su processi di ellissi 7.2.2.1.1. Il tipo fiorentina (squadra di calcio) 7.2.2.1.2. Il tipo francesistica (scienza) 7.2.2.1.3.1 tipi rosacee, bovini, paleozoico 7.2.2.1.4. Il tipo il gotico (stile) 7.2.2.1.5. Il tipo un tranquillante 7.2.2.1.6. Aggettivi sostantivati come nomi d'agente 7.2.2.1.7. Altri tipi 7.2.2.2. Il tipo il Bergamasco (territorio) 7.2.2.3. Il tipo il francese (lingua) 7.2.2.4. Aggettivi sostantivati astratti: il tipo il sublime 7.2.3. Conversione V —» Ν

501

505 505 506 506 506 507 508 508 508 509 510 510 511 511 511 512 512 512 514 515 515

XVIII

Indice

7.2.3.1. Maschili in -o: il tipo acquisto 7.2.3.2. Femminili in -a 7.2.3.2.1. Il tipo sosta 7.2.3.2.2. Femminili in -a nati per troncamento di suffisso 7.2.3.2.2.1. Troncamento di -zione: il tipo revoca 7.2.3.2.2.2. Troncamento di -tura 7.:2.3.2.2.3. Troncamento di -trice 7.2.3.3. Nomi d'agente: il tipo procaccia 7.2.3.4. Infinito sostantivato 7.2.3.5. Participio presente sostantivato 7.2.3.6. Participio passato sostantivato 7.2.3.6.1. Nomi di forma coincidente con il maschile del participio passato 7.2.3.6.1.1. Il tipo ruggito 7.2.3.6.1.2. Il tipo udito 7.2.3.6.1.3. I tipi ammalato, abitato 7.2.3.6.2. Nomi d'azione di forma coincidente con il femminile del participio passato 7.2.3.7. Altro 7.2.3.7.1. «Nomi cartellino»: il tipo credo 7.2.3.7.2. Nomi d'azione composti: il tipo fuggifuggi 7.2.3.8. Il lato formale dei deverbali derivati per conversione 7.2.4. Conversione Avv Ν

generale

516 517 517 518 518 520 520 521 522 522 522 522 522 523 523 523 523 523 523 524 525

7.3. Conversione in aggettivi 526 7.3.1. Conversione Ν -> A 526 7.3.1.1. Il tipo Montalcino (toponimo) —» montalcino (etnico), Pakistan —> pakistano 526 7.3.1.2. Il tipo Ν fascista 527 7.3.1.3. Il tipo socio fondatore, potenze vincitrici 528 7.3.1.4. Il tipo parola chiave, uccello mosca 528 7.3.1.5. Il tipo busta paga 529 7.3.1.6. Il tipo Ν albicocca / ciclamino / salmone 529 7.3.1.7. Altro 530 7.3.2. Conversione V —» A 530 7.3.2.1. Aggettivi coincidenti con participi passati: i tipi ragazzo educato e abito logoro 531 7.3.2.2. Aggettivi coincidenti con participi presenti: il tipo fari abbaglianti 532 7.3.3. Conversione Avv A 533 7.4. Conversione in verbi

MARIA GROSSMANN

7.4.1. Considerazioni generali 7.4.2. Struttura semantica 7.4.2.1. Verbi denominali

534

534 535 535

Indice generale

XIX

7.4.2.1.1. 7.4.2.1.1.1. 7.4.2.1.1.2. 7.4.2.1.2. 7.4.2.1.2.1. 7.4.2.1.2.1.1. 7.4.2.1.2.1.2. 7.4.2.1.2.1.3.

N'+animato' Ν '+umano': i tipi capitanare, ficcanasare, monacare Ν '-umano': i tipi lumacare, salmonare, bacarsi Ν '-animato', '+concreto' Ν oggetto effetto Ν parte di un tutto: il tipo dentare Ν insieme o componente: i tipi catastare e granellare Altri verbi con Ν oggetto effetto: i tipi vellutare, trillare, carezzare, asteriscare, soppalcare ecc 7.4.2.1.2.2. Ν oggetto affetto 7.4.2.1.2.2.1. Ν oggetto localizzato: i tipi salare e squamare 7.4.2.1.2.2.2. Altri verbi con Ν oggetto affetto: i tipi ciabattare, volantinare, spinellare ecc 7.4.2.1.2.3. Ν complemento locativo: i tipi cestinare, salinare e altalenare 7.4.2.1.2.4. Ν strumento: il tipo martellare 7.4.2.1.2.5. Ν complemento predicativo del soggetto: il tipo turbinare .... 7.4.2.1.2.6. Ν soggetto: il tipo nevischiare 7.4.2.1.3. Ν '-animato', '-concreto': i tipi ossessionare, cicchettare e odiare 7.4.2.2. Verbi deaggettivali 7.4.2.2.1. Verbi causativi e incoativi 7.4.2.2.1.1. Derivati da antonimi: il tipo snellire 7.4.2.2.1.2. Derivati da complementari non graduabili: il tipo invalidare . 7.4.2.2.1.3. Derivati da complementari graduabili: il tipo stancare 7.4.2.2.1.4. Derivati da aggettivi denominali: il tipo soggettivare 7.4.2.2.2. Verbi stativi o continuativi: i tipi pazientare e curiosare 7.4.2.3. Verbi deavverbiali 7.4.3. C a m b i a m e n t i di valenza

HEIDI SILLER-RUNGGALDIER

7.4.3.1. Considerazioni preliminari 7.4.3.2.1 tipi di cambiamento di valenza e le rispettive classi verbali 7.4.3.3. La variabilità di valenza, un fenomeno di formazione delle parole? 7.5. Conversione in avverbi 8. RIDUZIONE

DAVIDE RICCA

ANNA M. THORNTON

536 536 537 537 538 538 538 539 539 539 541 541 542 542 542 543 543 544 544 545 545 545 546 546 546

546 547 549 550 555

8.1. Introduzione

557

8.2. Sigle: i tipi De, Fiat

558

8.3. Accorciamenti

561

8.3.1.1 tipi auto, bici, pala8.3.2. Il tipo tossico 8.3.3. Il tipo sub 8.3.4. Il tipo bus

563 564 565 566

XX

Indice

generale

8.4. Riduzioni per troncamento di suffisso

566

9. P A R O L E M A C E D O N I A

567

ANNA M . THORNTON

9.1. La nozione di «parola macedonia»

569

9.2. Tipi di parole macedonia in italiano

569

10. F O R M A Z I O N E D E L L E P A R O L E N E L L E T E R M I N O L O G I E TECNICO-SCIENTIFICHE 10.1. Introduzione

573

MAURIZIO DARD ANO

575

10.1.1. Cenni storici 10.1.2. Il ruolo della formazione delle parole 10.1.3. L'uso del greco 10.2. Chimica

575 577 579

CLAUDIO GlOVANARDI

580

10.2.1. Cenni storici 10.2.2. Nomenclatura chimica e formazione delle parole 10.2.3. Tipi di derivati e composti 10.2.3.1. Suffissazione 10.2.3.2. Prefissazione 10.2.3.3. Composizione 10.3. Medicina

10.3.1. 10.3.2. 10.3.3. 10.3.4. 10.3.5.

LUCA SERIANNI

585

Fonti L'importanza della formazione delle parole Tratti peculiari Varianti formali e suppletivismo Composti

10.4. Botanica e z o o l o g i a

10.4.1. 10.4.2. 10.4.3. 10.4.4.

580 581 582 582 583 584

585 586 587 589 590

FRANCESCO BIANCO

591

Affissazione e gruppi tassonomici Il ruolo delle lingue classiche Il ruolo delle altre lingue Polirematiche, lingua comune e tassonomie locali

11. F O R M A Z I O N E D E L L E P A R O L E N E L L ' O N O M A S T I C A

11.1. Antroponimia 11.1.1. Nomi personali 11.1.1.1. Composizione: i tipi Giancarlo, Anna Maria 11.1.1.2. Parole macedonia: i tipi Marisa, Marilù 11.1.1.3. Suffissazione 11.1.1.3.1. Il tipo Giuliana 11.1.1.3.2. Il tipo Antonino

593 595 595 596 ANNA M . THORNTON

599

601 601 601 602 603 603 603

Índice generale

11.1.1.3.3.1 tipi Giuseppina, Αηηίηο 11.1.1.3.4.1 tipi Roby, Lori 11.1.1.4. Conversione: il tipo Carlo/Carla 11.1.1.5. Ipocoristici e vocativi 11.1.1.5.1. Il tipo Ale, Fede 11.1.1.5.2.1 tipi Sandro, Nino 11.1.1.5.3. Il tipo Titti 11.1.1.5.4. Il tipo Pa\ France' 11.1.2. Cognomi

XXI

603 604 604 605 605 605 606 606 606

11.2. Toponimia 11.2.1. Geotoponimi 11.2.2. Nomi di esercizi

607 607 608

11.3. Econimia

609

BIBLIOGRAFIA

611

SIGLE E ABBREVIAZIONI

645

Autori Fonti Riviste Notazioni convenzionali

645 645 646 649

INDICE DEGLI AFFISSI, INTERFISSI ED ELEMENTI FORMATIVI

651

1. INTRODUZIONE

1 . 1 . P r e s e n t a z i o n e MG/FR

Scopo del libro che qui presentiamo è quello di offrire agli studenti e agli studiosi una esposizione sistematica dei meccanismi di formazione delle parole nell'italiano contemporaneo. L'idea di questo lavoro è nata nel 1998 a Bruxelles, dove noi editori del volume ci siamo incontrati in occasione del XXII Congresso internazionale di linguistica e filologia romanza. Non era, tra l'altro, la prima volta che discutevamo dell'esigenza di un'opera di consultazione per l'italiano paragonabile alla Spanische Wortbildungslehre di Franz Rainer, uscita nel 1993 a Tübingen, sempre presso la casa editrice Niemeyer. Convenivamo anche sul fatto che, per giungere ad un risultato soddisfacente, dovevamo elaborare un piano di lavoro collettivo. Abbiamo dunque invitato 17 colleghi, e cioè Pier Marco Bertinetto (Scuola Normale Superiore di Pisa), Francesco Bianco (Università di Roma Tre), Antonietta Bisetto (Università di Bologna), Andreas Blank (Università di Marburgo), Maurizio Dardano (Università di Roma Tre), Livio Gaeta (Università di Torino), Claudio Giovanardi (Università di Roma Tre), Claudio Iacobini (Università di Salerno), Maria G. Lo Duca (Università di Padova), Lavinia Merlini Barbaresi (Università di Pisa), Davide Ricca (Università di Torino), Christian Seidl (Università di Zurigo), Luca Serianni (Università di Roma «La Sapienza»), Heidi Siller-Runggaldier (Università di Innsbruck), Anna M. Thornton (Università dell'Aquila), Miriam Voghera (Università di Salerno) e Ulrich Wandruszka (Università di Klagenfurt), a collaborare con noi alla realizzazione dell'idea, affidando a ciascuno di essi la stesura di capitoli o sottocapitoli del volume. Pur trattandosi di un'opera con numerosi autori, desideravamo pervenire non ad una raccolta di saggi bensì, partendo dallo stesso corpus (il DISC e diversi dizionari di neologismi) e coordinandone l'impostazione complessiva, ad una presentazione omogenea dei diversi processi morfologici. Auspicavamo che gli autori si collocassero ad un livello teorico il più possibile comune e che mettessero in primo piano la descrizione dei fatti piuttosto che il dibattito teorico. Il lettore noterà che le diverse parti, nonostante le direttive comuni e il lavoro finale di omogeneizzazione, ancora rivelano inevitabilmente le diverse mani, differenze di taglio e di esposizione, nonché inclinazioni teoriche diverse. Questo volume è destinato in primo luogo ad un pubblico universitario italiano e straniero, ma anche agli autori di manuali scolastici, ad insegnanti, lessicografi, terminologi e psicolinguisti, e speriamo che vi possa trovare motivi d'interesse anche un pubblico più ampio. Pur non essendo un'opera teorica, ricapitola nella forma più accessibile possibile i risultati acquisiti dalla ricerca avanzata e, dunque, malgrado l'intento divulgativo, non può non presupporre nel lettore una certa preparazione specifica. Com'è inevitabile in questo tipo di imprese, l'opera ha richiesto da parte dei singoli autori molta pazienza e spirito di abnegazione. A tutti rivolgiamo un caloroso ringraziamento. Siamo grati anche a tutti i colleghi che ci hanno aiutato in varia maniera nel corso della stesura del presente libro e alla casa editrice Niemeyer, e per averne favorito la pubblicazione e per la cura esperta con cui ha contribuito al suo assetto finale. Desideriamo concludere questa presentazione rivolgendo un pensiero alla prematura scomparsa di uno degli autori. Alla memoria di Andreas Blank, che ci ha lasciato a soli 40 anni, dedichiamo il presente volume.

1. Introduzione

4

1.2.

Premesse teoriche

1.2.1. Delimitazione del campo di ricerca FR La morfologia 1 è quel ramo della grammatica che studia le parole motivate, cioè le parole di una lingua che, si potrebbe dire in una prima approssimazione, mostrano un rapporto semantico-formale con altre parole della stessa lingua. Barista, ad esempio, è una parola motivata in questo senso dato che il suo significato è deducibile in base a bar e una lunga serie di parole come elettricista, giornalista ecc. in cui -ista ha un valore semantico identico o per lo meno simile.2 Bar, invece, è una parola non motivata che non rimanda ad altre parole dell'italiano: b, a, r, ba e ar infatti sono solo suoni o sillabe e non morfemi, cioè elementi formali minimi dotati di significato proprio 3 (a, è vero, è una preposizione e un prefisso e dunque un morfema, ma questi morfemi non contribuiscono per niente a spiegare il significato di bar). Il rapporto di motivazione è essenzialmente un rapporto paradigmatico, cioè un rapporto fra una parola motivata e una o varie parole motivanti del lessico. Se spostiamo lo sguardo dai rapporti fra parole del lessico sull'asse sintagmatico, osserviamo che, per lo meno nei derivati finora considerati, le parole motivanti sono anche, integramente o parzialmente, costituenti della parola motivata. Nel nostro esempio, bar è rappresentato integralmente in barista, mentre la serie delle parole in -ista è solo presente attraverso questo stesso elemento comune a tutte. In questa prospettiva sintagmatica, si suol dire che barista è una parola complessa che consta di una base (bar) e di un suffisso (-ista). Nel caso di barista, la base è una parola semplice, ma in altri casi, come quello di giorn-al-ista, si può naturalmente anche trattare di una parola a sua volta complessa. Non tutte le parole complesse presentano però le caratteristiche di barista, in cui tanto la base quanto la parola complessa sono indubbiamente delle parole nel senso più intuitivo del termine. La situazione è già molto meno evidente per una formazione come cambio gomme, anch'essa tradizionalmente ritenuta di competenza della morfologia. Cosa distingue cambio gomme da una costruzione indubbiamente sintattica come cambio delle gomme? Cosa ci permette, in altri termini, di vedere nel primo una parola e nel secondo un sintagma? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo prima cercare di definire il concetto di parola (cfr. in merito Ramat 1990). In genere, l'uso di tale concetto nel linguaggio comune e in linguistica sembra basarsi sui seguenti criteri, non completamente coestensivi. Si ritiene che una parola si riferisca a un concetto unitario, sia modificabile solo globalmente, e che eventuali parti costituenti siano inseparabili e presentino un ordine fisso. A questi criteri in alcune occasioni si aggiungono altri come l'unità accentuale, che però sono più soggetti alla variabilità interlinguistica.

1

2

Sulla morfologia teorica, cfr. Spencer 1991, Scalise 1994, Booij / Lehmann / Mugdan 2000, Spencer 2001, Haspelmath 2002, così come lo Yearbook of Morphology, pubblicato annualmente da G. Booij e J. van Marie presso la casa editrice Kluwer di Dordrecht. Ci sono anche parole motivate isolate, senza serie al fianco. Menzioniamo come esempi cattiveria, ostrogoto e visigoto, o il composto piano-bar.

3

Sulle molte definizioni del concetto di morfema riscontrabili in linguistica cfr. Berruto 1990.

1.2. Premesse

teoriche

5

Nel caso di cui ci stiamo occupando (cft. anche 2.1.2.2.1.1.), i nostri criteri sembrano efficaci. Cambio gomme può certo considerarsi come concetto unitario: l'espressione si utilizza soprattutto per un certo tipo di operazione altamente standardizzata durante una corsa di formula uno, mentre cambio delle gomme è disponibile per qualunque operazione in cui si cambiano delle gomme. L'ordine dei costituenti è fisso (*gomme cambio), mentre il sintagma permette marginalmente l'inversione in un registro poetico (delle gomme il cambio). Il criterio dell'inseparabilità serve più chiaramente a distinguere parola complessa e sintagma ("cambio rapido gomme vs il cambio rapido delle gomme), mentre per la modificabilità del secondo costituente la differenza sembra un po' meno netta ('cambio gomme lisce vs il cambio delle gomme lisce). Tutto sommato, i nostri criteri definitori della parola ci hanno dunque separato soddisfacentemente le sequenze cambio gomme e cambio delle gomme, intuitivamente molto vicine Γ una all'altra. Come vedremo però in 2.1.1.2., 2.1.1.3. e 2.1.8.2.1., la delimitazione della morfologia dalla sintassi è un problema assai complesso. Cambio gomme, contrariamente a barista, ha due basi, cambio e gomme, cioè è costituito da due parole indipendenti. In termini paradigmatici, il nostro composto è motivato dalle due parole indipendenti cambio e gomme, nonché da una serie di parole di simile fattura come trasporto latte, movimento merci, rimborso spese ecc. Questo tipo di parola complessa si chiama parola composta o semplicemente composto, mentre se uno dei due costituenti non è una parola ma un affisso tipo -ista, si parla di parola derivata o derivato. I rispettivi procedimenti formativi si chiamano composizione e derivazione, e ambedue insieme, formazione delle parole. La frontiera con la sintassi non è tuttavia l'unico problema di delimitazione. Mentre in barista e cambio gomme tanto la base / le basi quanto il derivato / il composto sono parole nel senso di concetti lessicali autonomi, in altri casi la struttura morfologica interna non sembra accompagnata da un cambio concettuale così forte. Gomme, ad esempio, è senz'altro una parola complessa come fa vedere l'opposizione con gomma, ma si ritiene che il concetto veicolato dalla -e finale, cioè 'plurale', non crei una parola nuova indipendente ma semplicemente una variante della stessa parola. Tali parole complesse che sono solo varianti di una stessa parola sono chiamate tradizionalmente parole flesse, ed il procedimento corrispondente, flessione. La delimitazione fra derivazione e flessione è fra i problemi più discussi della morfologia (cfr. Booij 1998). Il criterio concettuale utilizzato sopra per distinguere derivazione e flessione, per diffuso che sia, è senz'altro insufficente per definire con precisione il confine fra i due procedimenti. Bellissimo, ad esempio, è tradizionalmente considerato come derivato, anche se "bellissimo" difficilmente si può ritenere concetto indipendente rispetto a "bello" nella stessa maniera in cui "bar" e "barista" costituiscono dei concetti autonomi. Di tutti i criteri proposti per distinguere flessione e derivazione - una cinquantina in tutto! - il più utile è ancora quello della pertinenza sintattica. Secondo questo criterio, un affisso è flessivo solo se è pertinente per il funzionamento di una regola sintattica. Il plurale dei nomi, ad esempio, è sintatticamente pertinente in questo senso perché rende necessaria la concordanza di aggettivi modificatori, articoli ecc. La divisione tradizionale fra derivazione e flessione non è però pienamente coerente con questo criterio. Così molti suffissi cambiano il genere della base e hanno dunque lo stesso effetto sintattico, ma non per questo sono classificati come flessivi. Sembra dunque necessario limitare il concetto di pertinenza sintattica ai soli casi in cui un morfema è indotto da una regola sintattica. Questo è il caso degli aggettivi, in cui gli affissi flessivi sono indotti dalla presenza nel nome modificato

6

1. Introduzione

delle categorie 'singolare' / 'plurale' e 'maschile' / 'femminile'. È stato proposto (cfr. Booij 1996) di distinguere, in questo senso, una flessione inerente (plurale e genere dei sostantivi) e una flessione contestuale (plurale e genere degli aggettivi), di cui la prima sarebbe più vicina alla derivazione della seconda.1 Per quanto riguarda i verbi, infine, la categoria 'tempo-aspetto' è più vicina al polo inerente, perché normalmente non dipende dal contesto sintattico, mentre le categorie 'modo', 'numero' e 'persona' sono contestuali in quanto sintatticamente indotte dal soggetto della frase o dal tipo di costruzione (il congiuntivo dopo certi verbi, ad esempio). Analizzando la distribuzione di morfemi derivazionali e flessivi in italiano, si osserva che questi ultimi, come anche in altre lingue, sono quasi sempre periferici rispetto ai primi. Fra le eccezioni italiane conviene menzionare soprattutto gli avverbi in -mente (cfr. 5.4.2.1.), la cui base è la forma femminile dell'aggettivo (chiar-a-mente), ed il tipo antirughe, dove il suffisso del plurale -e del nome base è nella portata del prefisso derivazionale anti-. Si noti però che in nessuno dei due casi l'affisso flessivo è indotto da una regola sintattica. La generalizzazione della perifericità della flessione rimane dunque valida anche per l'italiano se la limitiamo alla sola flessione contestuale. Il terzo confine poco sicuro - e poco esplorato - è quello con la semantica. La nostra definizione iniziale delle parole motivate come quelle che presentano un rapporto semanticoformale con altre parole della stessa lingua include anche, se applicata meccanicamente, tutte le metafore e metonimie. Anche piede "parte bassa di un tavolo", dopo tutto, presenta un rapporto tanto semantico (similarità) quanto formale (identità) con piede "parte del corpo ecc.". E lo stesso vale per una coppia metonimica come direzione "il dirigere" / direzione "organo direttivo". Per evitare questa eccessiva estensione del campo di ricerca si potrebbe precisare la definizione esigendo che la parola complessa sia più complessa della base anche formalmente. In questo modo elimineremmo elegantemente tutte le metafore e metonimie, dato che esse mostrano, come abbiamo visto, un rapporto di identità formale con la base. Ma con una tale mossa, disgraziatamente, escluderemmo anche tutta una serie di rapporti semantico-formali che tradizionalmente sono considerati di competenza della formazione delle parole. Anche l'aggettivo fisico e il sostantivo fisico "studioso di fisica", ad esempio, mostrano un rapporto di identità formale, ma secondo la tradizione si tratterebbe ciononostante di un rapporto derivazionale di «sostantivazione» o «nominalizzazione». Per escludere le metafore e le metonimie dal campo della formazione delle parole senza escludere esempi come quest'ultimo, si è soliti ricorrere a criteri ulteriori. Il più usuale è quello del cambio della categoria sintattica: in caso di identità formale, si parla di formazione delle parole solo se base e derivato appartengono a categorie sintattiche diverse. In questo modo il sostantivo fisico rimarrebbe di competenza della formazione delle parole, mentre l'uso metaforico di piede e quello metonimico di direzione non supererebbero l'esame di ammissione. Questo criterio ha però lo svantaggio di escludere anche certe metonimie che presentano cambi semantici molto simili a quelli osservabili in procedimenti indubbiamente derivazionali. Così, ad esempio, le metonimie "contenitore" —• "contenuto" tipo bere un bicchiere d'acqua sono semanticamente molto simili a derivati in -ata come bicchierata "quantità di liquido corrispondente a un bicchiere" (DISC, accezione 1.). Di fronte a tali esempi è legittimo domandarsi perché dovremmo esigere il cambio di categoria 1

L'idea di un continuum fra derivazione eflessioneè difesa con forza anche in Dressier 1989.

1.2. Premesse

teoriche

7

solo quando c'è identità formale, e non per tutta la derivazione. Dato che questo problema fondamentale non è mai stato indagato in profondità (cfr. Rainer 1993a, 78-80) ci è parso opportuno includere un capitolo speciale sulla frontiera fra metonimia e formazione delle parole (cfr. 1.2.6.). Un altro capitolo speciale (cfr. 7.4.3.) sarà dedicato a cambi della struttura argomentale indotti da un cambio concettuale, come nel caso dell'uso causativo-transitivo di crescere·, i figli crescono —* crescere i figli. Anche in questi casi, che non sono tradizionalmente considerati come di competenza della formazione delle parole, il cambio semantico è simile a quanto incontriamo nella formazione delle parole al di sopra di ogni sospetto (cfr. hanno accresciuto la produzione) mentre non cambiano né la forma né la categoria sintattica. Concludendo possiamo dunque dire che il campo della formazione delle parole presenta un centro netto in derivati tipo barista e certi tipi di composti, mentre esistono delle zone grigie tanto verso la sintassi quanto verso la flessione e verso la semantica. Queste zone grigie non sono solo dovute a deficienze analitiche ma sono, almeno in parte, inerenti all'oggetto di studio stesso.

1.2.2.

La nozione di regola di formazione di parole FR

Le regolarità semantico-formali che, secondo quanto abbiamo visto in 1.2.1., costituiscono l'oggetto di studio della formazione delle parole sono generalmente descritte mediante regole di formazione di parole, le cui proprietà essenziali saranno sviluppate nel presente paragrafo e in quelli seguenti.

1.2.2.1. Il lessico mentale come punto di partenza FR Il nostro punto di partenza è costituito, in linea di principio, dal cosiddetto lessico mentale, cioè l'insieme delle parole memorizzate dai parlanti, tanto semplici quanto complesse, e delle relazioni che i parlanti stabiliscono fra queste parole memorizzate. Tali relazioni possono essere di tipo formale, semantico, o semantico-formale. Esempi di relazioni puramente formali sarebbero le rime fra serie di parole: osso, grosso, mosso ecc. Anche le assonanze o gli schemi prosodici rientrano in questa categoria. Esempi di relazioni puramente semantiche sono, ad esempio, le relazioni di sinonimia, antonimia, iperonimia ecc. riscontrabili anche fra parole di cui nessuna fa parte dell'altra, com'è invece il caso dei derivati e composti. Alto e basso, ad esempio, hanno certo un rapporto privilegiato nel lessico mentale che non può mancare in una descrizione completa del lessico italiano, ma il rapporto rimane puramente semantico (a prescindere dalla desinenza, naturalmente). L'oggetto di studio della formazione delle parole invece, come abbiamo già avuto modo di vedere, è costituito solo da un certo tipo di relazioni allo stesso tempo semantiche e formali. Sarà il compito di questo volume di fornire una descrizione il più possibile completa e sistematica di queste relazioni semantico-formali riscontrabili nell'italiano moderno. Se si è detto sopra che il lessico mentale costituisce il nostro punto di partenza «in linea di principio», ciò si deve al fatto che siamo ben lungi dall'avere una rappresentazione onnicomprensiva del lessico mentale, benché gli studi di psicolinguistica in materia abbiano

8

1.

Introduzione

fatto progressi notevoli negli ultimi decenni (cfr., per una buona sintesi, Laudanna / Burani 1999). Sfuggendo dunque il lessico mentale all'osservazione diretta, dobbiamo scegliere un'altra base empirica che sia più facilmente accessibile ma ne rispecchi comunque le caratteristiche indispensabili per un'analisi morfologica. Questo surrogato del lessico mentale sarà costituito per noi da un dizionario della lingua italiana moderna, più concretamente il DISC, la cui versione elettronica è di agevole maneggio per lo studioso della formazione delle parole. Il fatto di partire dal lessico mentale ci permette di descrivere adeguatamente alcuni fenomeni strettamente connessi con la formazione delle parole, o più in generale la morfologia, come quello del blocco (cfr. Scalise / Ceresa / Drigo / Gottardo / Zannier 1983, Rainer 1988a). Si osserva frequentemente che una determinata parola che, secondo le regole di formazione di parole della lingua, dovrebbe essere accettabile, è nondimeno evitata o respinta dai parlanti a causa dell'esistenza di un sinonimo ben radicato nella lingua. "Rubatore, ad esempio, sarebbe in tutto analogo alla serie delle parole in -tore come rapinatore ecc. e infatti è anche attestato in italiano antico, ma oggi viene evitato per l'esistenza del sinonimo ladro. Ora, questo fenomeno del blocco di una parola virtuale da parte di un sinonimo usuale è sensibile alla frequenza del sinonimo bloccante: più quest'ultimo è frequente, più il blocco sarà efficace. Mentre, ad esempio, coraggio, un sostantivo relativamente frequente, blocca efficacemente °coraggiosità, acrimoniosità sembra nettamente più tollerabile accanto al raro acrimonia (cfr. Rainer 1989a, 30). Come numerosi studi di psicolinguistica hanno mostrato, la frequenza di una parola rende più facile «ripescarla» dal lessico mentale; una teoria della formazione delle parole basata sul lessico mentale può dunque rendere conto del fenomeno del blocco in maniera del tutto naturale. In concezioni del lessico più astratte, meno direttamente psicolinguistiche, dove la nozione di frequenza non appare, un trattamento adeguato del fenomeno del blocco sembra invece impossibile all'interno della teoria morfologica.1 Quello del blocco, fra l'altro, non è l'unico fenomeno morfologico che consiglia di prendere in considerazione la nozione di parola memorizzata / usuale nello studio della formazione delle parole. Un altro è costituito dall'analogia, cioè la coniazione di un neologismo sul modello di una parola usuale ben determinata o un piccolo gruppo di parole ben determinato. L'analogia è più apparente quando il neologismo riprende da una parola complessa determinata un'idiosincrasia assente dalla serie delle parole complesse comparabili. Il neologismo giornalista squillo di C. Cederna, ad esempio, non rimanda genericamente alla serie di N+N, ma più specificamente al modello ragazza squillo, di cui riprende l'implicazione semantica idiosincratica "che si prostituisce". Analogie di questo tipo, che sono più frequenti di quanto non si pensi, mostrano che lo studio della formazione delle parole deve partire da un lessico costituito di parole memorizzate e dotate di tutte le loro idiosincrasie, come appunto è il caso del lessico mentale.2

2

Si osservi che esiste anche un altro tipo di blocco che non dipende dalla frequenza in quanto è una regola che blocca l'attuazione di un'altra regola. Il suffisso -età, ad esempio, blocca sistematicamente -ità con basi chefiniscononella semivocale [j]: unitario —> unitarietà / *unitarità ecc. Per altri argomenti in merito, cfr. Booij 1987,44-51.

1.2. Premesse

teoriche

9

1.2.2.2. La parola come unità fondamentale FR Nel paragrafo precedente si è detto che il lessico mentale comprende tutte le parole memorizzate più le relazioni fra di esse, e che esso è il punto di partenza ideale dell'analisi morfologica. Ne consegue che l'unità di base di tale analisi deve essere la parola. La scelta della parola come unità di base è ben radicata nella tradizione morfologica occidentale fin dall'antichità, quando i grammatici solevano descrivere i paradigmi flessivi presentando dei casi «paradigmatici» ed invitando gli utenti a seguire tali modelli in tutti i casi analoghi. Lo stesso procedimento veniva applicato anche alla derivazione e alla composizione, un po' come abbiamo fatto anche noi poco sopra nell'analisi di giornalista squillo: anche lì siamo partiti dall'ipotesi che la coniatrice, C. Cederna, abbia avuto in mente il modello ragazza squillo, in cui poi avrebbe effettuato la sostituzione del primo sostantivo lasciando intatto tutto il resto del significato fortemente idiosincratico. Ma anche molti studiosi della formazione delle parole davano e danno per scontato la validità di tale approccio, da Paul 1880 a Becker 1990.1 A questa metafora occidentale della parola-modello e la sua copia si contrappone però la tradizione indiana, ripresa e diffusa nella linguistica moderna da Bloomfield 1933, che concepisce la formazione di parole complesse piuttosto sulla falsariga del gioco delle costruzioni (la metafora tuttavia non è indiana). In questa tradizione, le unità di base o, per riprendere l'immagine, i mattoni corrispondono ai morfemi, e le parole complesse si formano a partire dai morfemi come i mattoncini si mettono insieme per fare una costruzione. Qui si parte dunque dagli elementi minimi per arrivare alle unità più complesse, mentre nella tradizione occidentale, al contrario, l'unità complessa è formata sul modello di un'altra unità complessa preesistente o un insieme di unità complesse preesistenti. La scelta fra queste due concezioni della morfologia non è ovvia. In molti casi, infatti, specie quello delle formazioni pienamente regolari, esse sono più o meno indistinguibili. Per le formazioni idiosincratiche, però, il modello occidentale è chiaramente preferibile, dato che esse per definitionem non sono descrivibili esclusivamente mediante regole. Per salvare il modello indiano, si potrebbe pensare di limitarne la portata alle sole regole produttive. Tale soluzione non sarebbe però senza problemi. Da un lato, la produttività è, come vedremo in 1.2.5.2., un continuum, e dall'altro si osserva che anche formazioni idiosincratiche fungono spesso da punto di partenza per nuove formazioni, come si è già visto nell'esempio giornalista squillo. Altri processi morfologici che presuppongono un lessico costituito da parole complesse memorizzate sono la retroformazione e la sostituzione di affisso, trattate nel prossimo paragrafo.

1.2.2.3. La direzionalità delle regole di formazione di parole FR Fin qui abbiamo parlato di relazioni semantico-formali fra parole, senza pronunciarci sulla direzionalità o meno di queste relazioni. Generalmente si assume che le regole di formazione di parole trasformino una parola meno complessa in una più complessa, che il processo

1

Cfr. anche, da un punto di vista più generale, Skousen / Lonsdale / Parkinson 2002.

10

I. Introduzione

cesso sia dunque orientato (cfr. Iacobini 1996).1 E per la stragrande maggioranza delle formazioni tale assunzione è anche talmente ovvia che non ha bisogno di ulteriori giustificazioni. Chi infatti vorrebbe negare che tazzina è derivato da tazza, e non tazza da tazzina? Nei casi chiari, l'uscita è più complessa tanto formalmente quanto semanticamente. Ci sono però anche dei casi in cui alla complessità semantica non fa riscontro nessuna complessità formale. Dobbiamo menzionare innanzitutto la conversione (cfr. 7.), un processo formativo in cui il cambio di significato è accompagnato da un cambio di categoria sintattica ma non da un cambio formale. Anche in assenza di un indizio formale la direzione della conversione è in generale chiara: il sostantivo un superdotato, ad esempio, deriva senza dubbio dall'aggettivo superdotato, non viceversa. Percepiamo come derivata la parola che semanticamente presuppone l'altra, come aveva già notato Marchand 1964b. Ma l'intuizione non è sempre così netta, per esempio nelle coppie danza / danzare e collasso / collassare. A prima vista sembra altrettanto plausibile definire il sostantivo con il verbo quanto il verbo con il sostantivo: danza "l'azione del danzare", danzare "eseguire una danza", collasso "il fatto di collassare", collassare "patire un collasso". Il criterio semantico è anche l'unico che ci può guidare nella determinazione della direzione della relazione nelle creazioni per sostituzione. Dal campo della composizione potremmo citare di nuovo giornalista squillo, che rinvia a ragazza squillo, non viceversa, e dal campo della derivazione i numerosi casi di sostituzione d'affisso come accelerare —> decelerare ecc.2 La centralità del criterio semantico è ancora più ovvia nel caso della retroformazione (cfr. 6.), termine il cui prefisso allude appunto ad un'inversione della direzione derivativa abituale. La bambina menzionata in 6. che ha ricavato aviare "pilotare un aereo" da aviatore non ha fatto altro che invertire la regola che serve a formare nomi di agente in -tore a partire da verbi. Che anche una regola di conversione possa essere invertita è mostrato da telelavorare, ricavato recentemente da telelavoro secondo il modello di lavorare —* lavoro. Anche l'accorciamento (cfr. 8.3.) è un processo in cui l'uscita, pragmáticamente più complessa, viene sentita come derivata benché sia più breve della base: bicicletta —» bici ecc. Mentre nel caso dell'accorciamento la forma dell'uscita è definita attraverso una caratterizzazione della forma dell'uscita stessa e non della stringa cancellata, in una sottrazione il processo semantico è accoppiato al contrario ad una definizione della riduzione formale da operare. È però dubbio che in italiano esistano autentici casi di sottrazione. Coppie come psichiatria —*• psichiatra "specialista in psichiatria", biologia —• biologo "specialista in biologia" ecc. potrebbero al limite descriversi associando al significato "specialista in" l'operazione di sottrazione di -ia. Per ottenere le uscite corrette, bisognerebbe però ancora aggiungervi un'operazione di velarizzazione e la specificazione della desinenza richiesta nei singoli casi (-a nel caso di psichiatra, -o nel caso di biologo). Siccome dunque una tale regola di sottrazione dovrebbe ad ogni modo far riferimento a elementi formativi come -iatra e -logo, sembra preferibile vedere nelle coppie di questo tipo delle formazioni per sostituzione. La morfologia italiana conterrà così una regola che indica che a un sostantivo in -logia può sempre corrispondere un altro in -logo col senso "specialista in X", e similmente per -iatria / -iatra ecc. Una formazione in -logo si può dunque formare sia aggiungendo -logo a Questa assunzione generalizzata traspare dalla terminologia stessa: entrata e uscita, base e derivato, basi e composto. 2

II fenomeno della sostituzione non si tratterà in un capitolo a parte bensì nei capitoli dedicati ai rispettivi affissi o tipi compositivi.

1.2. Premesse

11

teoriche

una base (°cravattologo "specialista in materia di cravatte", piuttosto che "specialista in °cravattologia" ecc.) sia sostituendo -logo a -logia (microbiologia —* microbiologo "specialista in microbiologia", non "piccolo biologo"! ecc.). Il criterio semantico è dunque quello primario, ma non è sempre molto operazionale. Il seguente criterio distributivo (cfr. Aronoff 1976, 116-121) può essere di grande aiuto per determinare la direzione derivativa nei casi dubbi: se la categoria morfologica Β è derivata dalla categoria A, per quasi ogni elemento b di Β esiste anche una base corrispondente a in A, ma non viceversa. L'applicazione di questo criterio distributivo ci può aiutare, ad esempio, a districare le relazioni morfologiche fra le parole in -crazia, -crate, -cratico (aggettivale e nominale) e -erotizzare della tabella 1. -crazia

-crate

-craticoA

aristo-

+/XVI

-

+/XVII

auto-

+/1819

+/XVIII

buro-

+/XVIII

clepto-

+/1987

demo

+/XVI

-

+XVII

+/?

+/XVIII

euro-

+/1965

+/1963

-

-

-

primo elemento

-craticoN

-cratizzare

+/1807

-

-

+/1907

+/1813

-

+/1884

+/1989

-

-

-

+/1989

fallo-

+/1973

+/1983

+/1978

-

-

fisio-

+/1803

+/1834

+/1937

-

-

geronto-

+/1869

-

+/1952

-

-

merito-

+/1970

-

+/1978

-

-

partito-

+/1950

+/1973

+/1950

-

-

pluto-

+/1835

+/1918

+/1891

-

-

tecno-

+/1935

+/1961

+/1961

-

teo-

+/XVIII

+/1905

+/XVIH

Tabella 1 : Il criterio distributivo e le formazioni in -crazia,

-

-crate, -cratico,



-cratizzare

(legenda: + = attestato nel DISC, - = non attestato nel DISC, /prima attestazione)

Se ci basassimo sul solo criterio di semplicità formale, dovremmo derivare le parole in -crazia, -craticoA e -cratizzare da quelle in -crate. Il criterio distributivo invece ci consiglia di derivare le parole in -crate e -cratico A da quelle in -crazia, mentre per quelle in -cratizzare lascia aperte le opzioni -crazia e -craticoescludendo comunque -crate. Questi risultati del criterio distributivo risultano molto consoni a quelli del criterio semantico: un Xcrate infatti è un membro / seguace della Xcrazia, XcraticoA significa "relativo alla Xcrazia", e Xcratizzare "rendere Xcratico". Anche il criterio cronologico è compatibile grosso modo con i risultati dei criteri distributivo e semantico.

1.2.2.4. Testa e modificatore FR Una parola complessa è spesso l'iponimo di uno dei suoi costituenti: un vagone letto è una specie di vagone, un'autostrada una specie di strada, un elettricista è un tipo di «-ista» ecc. Il costituente iperonimico che, oltre alla categoria semantica, determina anche normalmente aspetti grammaticali della parola complessa come la categoria sintattica, il genere o la classe flessiva, sarà chiamato testa: vagone è dunque la testa di vagone letto, strada la testa di

12

1. Introduzione

autostrada, -ista la testa di elettricista ecc. Il secondo costituente delle formazioni citate, che ha la funzione di modificare la testa, riceverà il nome di modìfìcatore.' Nei nostri esempi il modìfìcatore ha l'effetto di restringere l'estensione della testa aggiungendo ulteriori tratti al suo significato: un vagone letto è una sottoclasse di vagoni forniti di letti ecc. Non in tutti i casi la sua funzione è però quella di definire un sottoinsieme dell'insieme delimitato dalla testa: la classe delle frasi inaccettabili, ad esempio, non è un sottoinsieme delle frasi accettabili, ma l'insieme complementare. La nozione di testa è di grande importanza per la descrizione della formazione delle parole. Nella composizione, essa serve a distinguere composti endocentrici e composti esocentrici (cfr. anche 2.1.). Sono endocentrici quelli in cui uno dei costituenti serve da iperonimo del composto intero, come nel caso di vagone letto, mentre nei composti esocentrici nessuno dei costituenti può fungere da iperonimo: un apribottiglie, ad esempio, è uno strumento, non una bottiglia, un pettirosso un uccello, non un petto ecc. L'esocentricità è un fenomeno presente soprattutto nella composizione, ma marginalmente esiste anche nella prefissazione: anticucina, antipalchetto, e simili, ad esempio, non designano una cucina, un palchetto ecc. ma una stanza, un locale, un ambiente ecc. che si trova all'entrata di una cucina, un palchetto ecc. Questi prefissati semanticamente esocentrici però sono esocentrici solo a metà, dato che il genere è endocéntricamente determinato dal sostantivo: cucina f. —* anticucina f., palchetto m. —» antipalchetto m. ecc. Confrontando il tipo nominale ANTICUCINA con il tipo aggettivale (fari) ANTINEBBIA, anch'esso esocentrico, si vede che le proprietà di un tipo formativo non sono deducibili da quelle dei costituenti in base a principi generali (chiamati nella letteratura principi di «percolazione»). Esistono certo delle tendenze in questo campo: nel caso delle formazioni endocentriche, per esempio, è generalmente la testa a trasmettere le proprietà grammaticali, ma cfr. anche scarpa —> scarpino (indubbiamente un tipo di scarpa, che sarebbe dunque la testa) e casi simili. In fondo tanto il significato quanto il comportamento grammaticale sono delle proprietà idiosincratiche del singolo tipo formativo. La nozione di testa infine è anche utile per formulare certe regolarità molto generiche sulla formazione delle parole dell'italiano. Così si osserva, ad esempio, che un derivato da una parola complessa formata da prefisso + testa sceglie quasi sempre lo stesso suffisso che sceglie la testa: conversione / riconversione, gratitudine / ingratitudine ecc.

1.2.2.5. Conclusione FR Una regola di formazione di parole viene dunque concepita come una relazione - il più delle volte direzionale - fra due (classi di) parole. Questa relazione si articola su vari livelli, di cui i più fondamentali sono quello formale e quello semantico. La regola con cui si descrive il suffisso -bile, ad esempio, è una relazione fra l'insieme delle basi verbali potenziali e l'insieme degli aggettivi corrispondenti in -bile. A livello semantico, la regola menzionerà che gli aggettivi significano "che può essere PP" (es. omissibile "che può essere omesso"), 2 1

Invece della coppia testa / modìfìcatore si utilizzano anche, nella letteratura, testa I non-testa, determinatum / determinans, nucleo / satellite ecc.

2

Per non complicare eccessivamente le cose, prescindiamo qui dal fatto che alcuni aggettivi in -bile presentano invece un significato attivo, come variabile "che varia".

1.2. Premesse teoriche

13

e che questo cambio semantico induce anche un cambiamento nella struttura argomentale (l'oggetto diretto del verbo, per esempio, diventa soggetto dell'aggettivo: X può omettere Y —* Y è omissibile). A livello formale, essa deve menzionare che le basi verbali prendono la forma del tema nella prima e terza coniugazione (compra-bile, fini-bile), che nella seconda invece della [e] finale troviamo una [i] (vende(re) vs vendi-bile), e che in varie forme irregolari la forma della base può anche corrispondere ad un allomorfo identico alla base dei rispettivi nomi d'azione in -ione aumentato della vocale tematica [i] (omette(re) vs omissibile / omiss-ione). Una descrizione completa dovrà poi anche delimitare il dominio della regola, identificando le restrizioni che permettono di delimitare l'insieme delle basi potenziali - essenzialmente i verbi transitivi, nel nostro caso - , e indicare la sua produttività, cioè la probabilità con la quale s'incontrano neologismi formati secondo questa regola. A questi tre aspetti fondamentali - significato / struttura argomentale, forma (allomorfia) e restrizioni / produttività - saranno dedicati i sottocapitoli 1.2.3. a 1.2.5.

1.2.3.

Il significato delle regole di formazione di parole FR

Il significato di una parola complessa regolarmente formata è il risultato dell'applicazione di una regola di formazione di parole a una base o, nel caso della composizione, a varie basi: applicando, ad esempio, la funzione -tore "chi V" alla base portaire) "portare" si ottiene portatore "chi porta", e applicando la funzione "chi V N" (senza riscontro formale) alle basi porta(re) "portare" e borse "borse" si ottiene portaborse "chi porta borse". Il significato di tali formazioni, riconducibile regolarmente a quello della base / delle basi e della regola di formazione di parole, si chiama composizionale. Non tutte le parole complesse sono però composizionali in questo senso. Da un lato (cfr. 1.2.4.2.) esiste, marginalmente, la possibilità che una determinata regola selezioni come base un allomorfo paradigmáticamente determinato. Il caso molto più frequente invece è quello in cui il significato composizionale è stato arricchito di altri elementi semantici non contenuti nella regola o è stato modificato più o meno profondamente. Portatore, ad esempio, significa anche più specificamente "chi porta pesi / carichi" o "chi porta lettere / messaggi", e si può essere portaborse senza portare nessuna borsa. Tali parole complesse il cui significato si distingue da quello regolare in modo non prevedibile si chiamano lessicalizzate. Il significato, composizionale o non, di una parola complessa determinata sarà chiamato significato lessicale, mentre il significato predicibile in base alla regola morfologica sarà chiamato significato morfologico, neologismo col quale traduciamo, in assenza di una terminologia italiana introdotta nell'uso, il tedesco Wortbildungsbedeutung. Trattandosi di affissi, parleremo anche alternativamente di significato derivazionale.

1.2.3.1. Significato lessicale e significato morfologico FR L'opportunità di distinguere in qualche modo fra significato lessicale e significato morfologico è ammessa da tutti gli studiosi della formazione delle parole (cfr. Rainer 1993a, 131— 141). Le prassi descrittive e le opinioni sulla definizione esatta di questi concetti, però, divergono notevolmente. Il seguente esempio servirà ad illustrare la problematica.

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1.

Introduzione

In formazioni come arabista, grecista, italianista, latinista, sanscritista, e simili il suffisso -ista si può parafrasare approssimativamente come "chi studia - scientificamente il/l'N", dove Ν è una variabile per il significato del sostantivo base. Questa parafrasi si può estendere in modo del tutto naturale anche a un certo numero di formazioni in cui la base non designa una lingua: dantista, economista, quattrocentista ecc. Essa si rivela però inadeguata per altre formazioni: pianista, ad esempio, significa "chi suona il N", scacchista "chi gioca a N", latifondista "chi possiede un N", camionista "chi conduce un N", barista "chi serve i clienti in un N", congressista "chi partecipa a un N", cottimista "chi lavora a N", microscopista "chi effettua analisi al N" ecc. Si osserva che le parafrasi contengono due elementi (pro)nominali costanti, "chi" e "N", e un elemento verbale fortemente variabile. La natura dell'elemento verbale, però, è in una certa misura deducibile dalle proprietà più tipiche di N: uno strumento musicale serve innanzitutto ad essere suonato, un microscopio ad effettuare delle analisi ecc. Molti studiosi proporrebbero perciò per tutte le formazioni precedenti come significato morfologico una parafrasi più astratta come "chi svolge l'attività più tipica relazionata con N", affidando alle nostre conoscenze enciclopediche la determinazione esatta della natura di questa attività. La proposta è allettante. Ma a guardarci più da vicino si osserva che non è vero che sia sempre la proprietà più tipica a determinare l'elemento verbale. La funzione principale delle lingue, ad esempio, è quella di servire come mezzo di comunicazione, non come oggetto di studio: ci si aspetterebbe dunque che arabista significasse "chi parla N", non "chi studia scientificamente il/l'N". Per salvaguardare la deducibilità del significato lessicale, potremmo restringere le attività della parafrasi del significato morfologico a attività professionali. Una tale mossa spiegherebbe anche perché usiamo i nomi di musicisti soprattutto per riferirci a musicisti professionali e non a dilettanti: pianista, ad esempio, si riferisce soprattutto a chi suona il pianoforte per professione. Il problema con questa ridefinizione del significato morfologico è però che è valida solo per un sottoinsieme dei nomi in -ista. Dopo tutto, anche un dilettante può chiamarsi pianista, e lo stesso vale per scacchista, ciclista, filatelista, e molte formazioni simili. In altri casi, l'aspetto della professionalità poi è assente del tutto, per esempio nel grande gruppo di nomi parafrasagli con "chi è fautore di N": comunista, irredentista, riformista ecc. Davanti a questi fatti, ci sono, in linea di principio, due soluzioni: o si ammette che -ista è un suffisso polisemico, cioè con più di un significato morfologico, o si cerca un'altra parafrasi unitaria che ricopra tutti i casi menzionati. Non è nostro compito qui decidere quale delle due vie sia quella giusta nel caso di -ista (cfr. 5.1.1.1.6.). Sarà sufficiente indicare qual è il criterio da applicare per individuare la soluzione corretta in questo caso come in casi analoghi. Il livello massimo di astrazione sul quale si collocherà il significato morfologico è quello a partire dal quale sarà possibile dedurre i singoli significati lessicali possibili e solo quelli mediante inferenze automatiche basate sulle nostre conoscenze enciclopediche. Il significato lessicale "chi suona il violino", ad esempio, è deducibile in modo automatico da un significato morfologico "chi svolge l'attività più tipica relazionata con il violino", se ammettiamo che il suonarlo sia più tipico del produrlo, non invece il significato lessicale "chi studia scientificamente l'arabo" dal significato morfologico "chi svolge l'attività più tipica relazionata con l'arabo", giacché parlare una lingua è senz'altro un'attività più tipica che non studiarla scientificamente. La clausola e solo quelli è stata sottolineata apposta per attirare l'attenzione sul fatto che il significato morfologico non dev'essere talmente astratto da permettere anche la deduzione di molti significati lessicali impossibili ("chi parla l'arabo", ad esempio, è un significato

1.2. Premesse

teoriche

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lessicale impossibile di arabista nello stato attuale della lingua italiana). Infatti, l'eccessiva astrattezza di molti significati morfologici proposti accoppiata a una mancata esplicitezza circa le inferenze che permetterebbero la deduzione dei significati lessicali è un difetto molto diffuso delle descrizioni semantiche negli studi di formazione delle parole (come anche, fra l'altro, il suo contrario, cioè l'identificazione fra significato morfologico e significato lessicale). Aggiungiamo ancora che, a causa del fenomeno della lessicalizzazione che pervade il lessico, non si pretenderà che tutti i significati lessicali siano deducibili a partire dal significato morfologico. Il divario fra significato morfologico e significato lessicale è dovuto a varie cause. Una prima causa è costituita dal fatto che le regole di formazione di parole hanno spesso un significato abbastanza generico che viene concretizzato in base a inferenze come quelle che abbiamo osservato nel caso di -ista. In altri casi, la formazione è ristretta a uno di vari significati lessicali potenziali nel momento stesso della coniazione: lavafrutta e lavadita, ad esempio, contrariamente a quanto si osserva con lavapiatti e lavastoviglie, per ragioni referenziali hanno da sempre denotato solo uno strumento e mai una persona, anche se quest'ultimo significato sarebbe possibile in teoria. E per ultimo si deve menzionare il fatto che le parole complesse usuali, come tutte le altre parole del lessico, possono essere soggette a cambiamenti semantici, idiosincratici come nel caso delle lessicalizzazioni, o più o meno sistematici come nel caso delle estensioni semantiche. Con quest'ultimo termine ci si riferisce a regole semantiche più o meno generiche che trasformano un significato in un altro significato. Un caso tipico è costituito dalle estensioni metonimiche che trasformano "qualità x" in "persona x" (Maria è una bellezza) o "qualità x" in "atto, detto x" (coprire qn. di insolenze). Un altro esempio sarebbe quello dell'estensione metonimica che trasforma "carica di N" in "durata della carica di N" (durante il consolato di Cesare). Queste estensioni, che andrebbero ancora descritte esaurientemente, variano fortemente nel loro grado di produttività (cfr. Rainer 1989a, 352-368).

1.2.3.2. Struttura argomentale e sottocategorizzazione FR Con la sola eccezione di alcune categorie puramente trascategorizzatrici come i nomi d'azione o di qualità veri e propri, l'uscita di una regola di formazione di parole è sempre semanticamente più ricca dell'entrata: pubblico "pubblico" —> pubblicare "rendere pubblico"—• pubblicabile "che si può rendere pubblico" ecc. Ora, questi cambiamenti semantici inducono spesso anche cambiamenti nella struttura argomentale dell'uscita e, come conseguenza, cambiamenti nella sua sottocategorizzazione. Per struttura argomentales'intendono generalmente quegli aspetti semantici delle parole che sono pertinenti per il funzionamento della grammatica. "Pubblico", ad esempio, è un predicato che descrive lo stato di un'entità ed è dunque corredato di una posizione nominale, un argomento, chiamiamolo A, con il ruolo semantico di tema e realizzato sintatticamente come soggetto: A è pubblico. Più complessa si presenta la situazione nei verbi. Il nostro verbo pubblicare, ad esempio, ha due argomenti, un agente (il pubblicatore), sintatticamente realizzato come soggetto, e un tema (la cosa pubblicata), che corrisponde al tema 1

Si parla anche, alternativamente, di valenza. Invece di argomenti, in questa tradizione terminologica, si usa aitanti.

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1. Introduzione

dell'aggettivo pubblico ed è sintatticamente realizzato come oggetto diretto: Β pubblica A. Anche il nome d'azione corrispondente a pubblicare, cioè pubblicazione, è corredato degli stessi argomenti, che sono però realizzati diversamente nella sintassi: la pubblicazione di A da parte di B. Lo stesso vale per l'aggettivo pubblicabile: A è pubblicabile da B. Questi esempi mostrano l'importanza di distinguere fra tre livelli di analisi, quello della struttura semantica, quello della struttura argomentale, e quello della sottocategorizzazione, cioè della concreta realizzazione sintattica degli argomenti. Al livello intermedio della struttura argomentale, le posizioni nominali della struttura semantica sono condensate in un piccolo numero di argomenti grammaticalmente pertinenti, come agente, tema, beneficiario ecc. Spesso questi argomenti si suddividono ancora in due gruppi, un argomento esterno, che è quello realizzato come soggetto, e il resto degli argomenti interni. I cambiamenti nella struttura argomentale sono probabilmente una conseguenza automatica dei rispettivi cambiamenti semantici (cfr. Booij 1992, Kiparsky 1997). Riprendiamo, per illustrare questo punto, i nostri esempi. Il predicato "pubblico" ha un solo argomento, realizzato come soggetto nella sintassi, per esprimere ciò che è pubblico: A è pubblico. Il predicato "rendere pubblico" introduce nella struttura semantica il predicato causativo "rendere" e, allo stesso tempo, un nuovo argomento B, che designa l'agente che fa sì che A sia pubblico. Nel passaggio dalla struttura semantica "B fa sì che A sia pubblico" alla struttura argomentale dobbiamo decidere quale dei due argomenti, A ο Β, diventerà l'argomento esterno. Questa decisione si prende in base a una regola molto generale dell'italiano secondo cui, nell'ambito verbale, l'agente ha la precedenza sul tema per la posizione dell'argomento esterno. Secondo un'altra regola dell'italiano, il tema, se non può essere realizzato come argomento esterno, è realizzato nella posizione dell'argomento interno. Nel caso dell'aggettivo pubblicabile, la situazione è diversa in quanto gli aggettivi, per ragioni semantiche, non possono avere un agente come argomento esterno. È dunque il tema che occupa questa posizione. Questi accenni servono solo ad illustrare la tesi secondo cui la struttura argomentale sarebbe deducibile da quella semantica in base a principi abbastanza generali. I dettagli di questi principi sono attualmente oggetto di ricerca e di accesi dibattiti. Anche il passaggio dalla struttura argomentale alla realizzazione sintattica effettiva sembra basato su principi molto generali. L'argomento esterno, come abbiamo visto, è normalmente realizzato come soggetto, l'argomento interno come oggetto diretto. Ma, come tutti sanno, la realizzazione sintattica di certi argomenti può a volte anche essere più o meno arbitraria.

1.2.4. La forma delle regole di formazione di parole FR Con la sola eccezione della conversione, la formazione delle parole si manifesta sempre anche in un cambio formale, sia di aggiunta che di riduzione o di cambio di materiale fonico. Mentre l'aggiunta (cfr. bar —* barista) e la riduzione (cfr. biciletta —• bici) di materiale fonico possono da sole segnalare, in italiano, un processo di formazione delle parole, il cambio di materiale fonico è solo un indizio addizionale che può accompagnare certi processi di formazione delle parole. Questo cambio può toccare sia la base (cfr. luogo —• loc(ale) ecc.) sia l'affisso (cfr. le varie realizzazioni del prefisso in-: in(attivo), imperfetto) ecc.). La natura di questi cambi fonici concomitanti è stata al centro delle discussioni lin-

1.2. Premesse teoriche

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guistiche durante tutto il ventesimo secolo (cfr. Anderson 1985), e ancora oggi le opinioni in merito sono tutt'altro che unanimi. La divergenza delle opinioni si manifesta anche in una certa variabilità terminologica. In questo manuale parleremo di allomorfìa ogniqualvolta una variazione formale indotta da una regola di formazione di parole non sia attribuibile a un processo fonologico completamente automatico. Le varianti formali, conseguentemente, saranno chiamate allomorfi.

1.2.4.1. Allomorfìa: Fra variazione allofonica e suppletivismo FR I risultati della formazione delle parole sono naturalmente, come ogni altra stringa fonica della lingua, soggetti a processi fonologici del tutto automatici. Variazioni foniche dovute a tali processi non verranno perciò prese in considerazione in questo manuale, già che non dipendono crucialmente dalla previa attuazione di regole di formazione di parole. L'italiano conosce, ad esempio, un processo fonologico del tutto automatico che velarizza una /n/ davanti a consonanti velari come /k/: così, ancora si pronuncia [aqkora], in Canada [iq kanada] ecc. La pronuncia del prefisso in- come [iq] in incauto [iqkauto] e simili è dunque dovuta a un processo fonologico generale e non deve essere menzionata nella descrizione della regola di formazione di parole. Altre variazioni foniche sono invece condizionate da determinate regole di formazione di parole. Davanti a basi che cominciano con Irl, per esempio, il prefisso negativo appare nella forma [ir]-: irresponsabile ecc. Contrariamente a quanto abbiamo osservato nel caso di /in/seguito da occlusiva velare (realizzato come [iq]-), l'assimilazione di /n/ davanti a /r/ - o /I/, cfr. in Russia, panrusso, in loco ecc. - non è invece un processo automatico nella sincronia dell'italiano; anche se tale può essere considerato, sia pure con eccezioni lessicali, nel parlato spontaneo, non formale, delle varietà centromeridionali. L'assimilazione Ini > Iii davanti a Irl è dunque una proprietà idiosincratica del prefisso in- (e di alcuni altri prefissi italiani), è, per dirlo in un'altra maniera, condizionata morfologicamente. Menzioneremo perciò, nella descrizione stessa del prefisso in-, che esso appare nella forma ir- davanti a basi che cominciano con Irl, il- davanti a basi che cominciano con IM. L'allomorfìa appena descritta non è dunque pienamente automatica, ma conserva comunque una chiara motivazione fonetica. In altri casi viene meno anche la motivazione fonetica, come nel caso di luogo —> loc{ale) menzionato nel paragrafo precedente. Il grado di disparità formale può aumentare continuamente fino ad arrivare al caso estremo del suppletivismo forte, dove non c'è più nessun rapporto formale fra i due morfemi coinvolti: Bologna —• felsin{eo), Napoli —* partenopeo) ecc. La definizione di allomorfo varia da scuola a scuola e da autore a autore. Alcuni considerano come allomorfi tutti i morfemi sinonimi in distribuzione complementare, indipendentemente dall'esistenza o meno di una similarità fonica. In questa concezione partenopsarebbe un allomorfo di Napoli. Altri invece preferiscono una definizione più restrittiva. Fra i criteri ulteriori che un morfema deve soddisfare per poter essere chiamato allomorfo di un altro si menzionano soprattutto la similarità fonica e a volte anche la distribuzione fonologicamente condizionata. Il suffisso -età soddisfa anche a questa definizione più restrittiva: è chiaramente simile a -ità ed è condizionato fonologicamente dalla presenza di una [j] finale. Si noti però che non sempre tutt'e quattro i criteri sono soddisfatti simultaneamente. Il prefisso vis- di visconte, ad esempio, è in distribuzione complementare con

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1.

Introduzione

vice- e conserva anche una certa similarità fonica, ma non è condizionato fonologicamente bensì lessicalmente e il rapporto di sinonimia forse non è ovvio a tutti i parlanti. Nel caso di -tore / -ore, al contrario, la sinonimia è fuori discussione, ma si osserva che la distribuzione complementare non è perfetta (cfr. lettore / leggitore ecc.). Nel presente manuale, ogni morfema la cui forma non è attribuibile a un processo fonologico completamente automatico è considerato come entità indipendente, anche se chiamato allomorfo o variante. L'importante, da una prospettiva descrittiva, è descrivere esattamente la distribuzione delle forme in questione. Un altro problema spinoso è quello dei cosiddetti interfasi. In molti casi, fra la radice / il tema e il suffisso appare una sequenza fonica la cui appartenenza non è ovvia, come la -udi man-u-ale, la -c- di camion-c-ino, l'-acchi- di ors-acchi-otto, Y-or- di temp-or-ale ecc. A priori, ci sono tre possibilità di analisi: il materiale fonico in questione può analizzarsi come parte di un allomorfo della radice / del tema (manu-ale ecc.) o del suffisso (man-uale ecc.), oppure considerarsi come entità morfologica autonoma, chiamata appunto in parte della letteratura scientifica interfisso. Quest'ultima scelta è giustificata soprattutto quando l'interfisso conserva ancora un valore semantico autonomo, seppur residuale, normalmente di tipo connotativo, come in ors-acchi-otto. In questo manuale, però, la nozione di interfisso a volte si utilizza anche in modo più vago come termine comodo per riferirsi a qualunque tipo di «materiale fonico» fra radicale / tema e suffisso, senza implicazioni semantico-morfologiche.

1.2.4.2. Allomorfia determinata paradigmaticamente FR Oltre ai casi di allomorfia menzionati nel paragrafo precedente si osservano ancora, in italiano, alcuni casi in cui la parola complessa o l'allomorfo della sua base sono sistematicamente identici ad una forma ricorrente in un'altra formazione della lingua (cfr. Rainer 2001a). Il caso più noto è quello dell'avverbio in -mente, che prende come base la forma femminile singolare dell'aggettivo (chiar-a-mente ecc.), senza che il tratto 'femminile' abbia alcuna motivazione semantico-grammaticale in tali formazioni (cfr. 5.4.2.1.). Ben noto è anche il caso dei nomi d'azione del tipo corsa, che coincidono formalmente con la forma femminile singolare del participio passato corrispondente (cfr. 5.1.3.1.2.3.). Anche qui i tratti 'participio' e 'femminile' non hanno nessuna giustificazione semantica nella grammatica sincronica dell'italiano. I seguenti due casi di allomorfia determinata paradigmaticamente invece non sono ancora stati descritti in questi termini nella tradizione grammaticale italiana. Formazioni come camminatore, comunicativo, discriminatorio ecc. sono normalmente considerate, in base al loro significato, come derivate dai temi cammina-, comunica-, discrimina· ecc. per mezzo dei suffissi -tore, -tivo, -torio ecc. Ora, tale soluzione non si applica a tutte le parole complesse con questi suffissi o, più precisamente, con gli allomorfi in -ore, -ivo, -orio ecc. In estorsore, estensivo, dimissorio e molte altre formazioni simili si osserva infatti che la forma della base è identica non al tema ma alla base del nome d'azione corrispondente: estorsione), estensione), dimiss(ione) ecc. Si noti che la base non coincide più, come in latino, con il participio passato lì dove c'è una differenza formale fra queste due categorie: estort- vs estors-, estes- vs estens-, dimess- vs dimiss- ecc.

1.2. Premesse teoriche

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Un altro caso in cui si potrebbe scorgere un'allomorfia determinata paradigmáticamente è costituito dai nomi composti del tipo portabagagli. Si osserva infatti che l'elemento verbale coincide sempre formalmente con l'imperativo informale singolare: Tendi! / tendicinghia, Copri! / copricapo, Pulisci! / puliscipiedi ecc. Siccome l'imperativo non è presente nella struttura semantica di tali composti, si tratterebbe di nuovo solo di un puro fenomeno di allomorfia. L'analisi del primo elemento di questi composti è però sempre molto controversa (eft. 2.1.2.5.).

1.2.4.3. Parola, tema, radice: la natura delle basi FR In 1.2.2.2. siamo giunti alla conclusione che la parola è l'unità fondamentale dell'analisi morfologica. Ciò è certamente vero se parola si definisce come unità concettuale; la formazione delle parole serve infatti soprattutto a derivare nuove unità concettuali da unità concettuali esistenti. Se però affrontiamo la questione dal punto di vista formale, osserviamo che la base di una parola complessa appare raramente nella sua forma completa: il tipo bar —* barista, ad esempio, è molto più raro del tipo latino —* latinista, dove non appare la vocale finale (desinenza) della base latino. Quando si dice che la formazione delle parole dell'italiano è basata sulla parola, si deve dunque intendere il concetto di parola nel senso di lessema, cioè di unità del lessico, di parola senza le desinenze. Un verbo italiano non è mai una forma inanalizzabile. Quelli regolari (cfr. Dressler / Thornton 1991) contengono sempre, oltre alla radice, per lo meno una desinenza e spesso anche una vocale tematica. Per radice s'intende quella parte del verbo che porta l'informazione semantica, come cant- "cantare". In molte forme verbali, la radice porta l'accento ed è seguita immediatamente da una desinenza che esprime categorie come il tempo, il modo, il numero o la persona, spesso cumulativamente: canto, canti ecc. In altre, la radice è atona e seguita da una vocale tematica, che segnala a quale coniugazione appartiene il verbo, seguita a sua volta dalle desinenze: cant-a-re, fin-i-re, ved-e-re (dove -re rappresenta la desinenza dell'infinito) ecc. Una stringa formata da radice e vocale tematica è chiamata tema. Esso, come la radice, non appare mai nella frase come forma libera. Anche nella formazione delle parole ambedue i tipi di base, radici e temi, giocano un ruolo. Il nome d'azione cant-o, ad esempio, è formato sulla base della radice cant-, mentre il nome d'agente canta-nte è basato sul tema canta-. Nel campo dei nomi e degli aggettivi, esistono alcune parole monomorfematiche come bar o blu, ma nella stragrande maggioranza dei casi la radice è seguita da una desinenza che indica la classe flessiva: cas-a, cas-o,fot-o, clim-a, torr-e, bell-o, grand-e ecc. In superficie, la base derivazionale è sempre costituita dalla radice: cas-ereccio, bell-ezza ecc. Perciò, anche in casi come casale, climatico, grandezza ecc. la segmentazione giusta è cas-ale, clim-atico, grand-ezza ecc., anziché casa-le, clima-tico, grande-zza ecc. Quest'ultima segmentazione comporterebbe anche un'inutile inflazione del numero di suffissi o allomorfi di suffissi: -ale / -le, -ático / -tico, -ezza / -zza ecc. L'interpretazione teorica dei fatti appena descritti è molto controversa fra gli studiosi di morfologia italiana. C'è chi pensa che bellezza derivi, come appare in superficie, da una base beli-, mentre altri assumono come base la forma non marcata (maschile singolare) bello, la cui vocale finale verrebbe cancellata nel processo di derivazione (cfr. Scalise 1994). Empiricamente, i due modi di descrivere la derivazione di bellezza sembrano più o

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1.

Introduzione

meno indistinguibili, e si noti che anche nella versione che parte dalla radice la -o finale deve comunque essere presente nella radice stessa sotto forma di un tratto diacritico, sennò il parlante non potrebbe sapere che beli- appare nel maschile singolare come bello e non come belle (cfr. grande). In questo manuale ci atterremo, in linea di principio, alla prima posizione, che assume come basi le forme che appaiono in superficie (cfr. per una posizione simile Crocco Galèas 1998). Per comodità di lettura si utilizzeranno, però, il più delle volte, per riferirsi alle basi, le forme di citazione - l'infinito per i verbi e il maschile singolare per nomi ed aggettivi - ogniqualvolta non sia cruciale per l'argomentazione la distinzione fra radici, temi e parole. Si dirà dunque generalmente che grandezza è derivato da grande per mezzo di -ezza, e non che grandezza è derivato da grand- per mezzo di -ezz-.

1.2.5.

Restrizioni sulle regole di formazione di parole FR

Una regola di formazione di parole non si applica mai indistintamente a tutte le parole di una lingua e nemmeno a tutti i membri di una categoria sintattica. Uno dei compiti principali della descrizione della formazione delle parole di una lingua consiste dunque nella delimitazione del domìnio delle singole regole, cioè dell'insieme di basi alle quali una determinata regola si applica. Nel caso di regole non produttive, il dominio è chiuso e dunque definibile enumerando i singoli membri: nuovi membri possono accedervi tutt'al più per via di analogie molto locali. Il dominio delle regole produttive invece è aperto e va dunque definito indicando la o le proprietà che una parola deve presentare per poter fare da base alla regola in questione. Nel paragrafo seguente, si vedrà che quasi tutte le proprietà di una parola possono essere rilevanti ai fini della delimitazione del dominio nella formazione delle parole.

1.2.5.1. Tipologia delle restrizioni FR Nella letteratura sul problema delle restrizioni nella formazione delle parole si è soliti distinguere fra restrizioni più o meno arbitrarie che valgono per singole regole e restrizioni che si applicano universalmente. Fra le proposte avanzate su presunte proprietà universali delle regole di formazione di parole si possono menzionare le seguenti: tutte le parole complesse avrebbero una struttura interna binaria; la semantica di tutte le parole complesse regolari sarebbe composizionale, cioè deducibile dal significato della base (o basi, nel caso di composti) e quello della regola; tutte le regole di formazione di parole opererebbero su parole (nel senso di lessemi); solo membri delle categorie sintattiche maggiori - nomi, aggettivi, verbi e avverbi - sarebbero delle basi potenziali; le basi dovrebbero sempre avere un tratto definizionale omogeneo; le regole di formazione di parole potrebbero solo «vedere» un insieme abbastanza ristretto di proprietà di parole base complesse, per esempio quelle della testa o quelle introdotte dalla penultima regola; ecc. Lo stato della ricerca su quest'ultimo tipo di restrizioni, chiamate anche a volte condizioni, è sintetizzato in Rainer 1989a, 37-52 e Scalise 1994, 199-227. Si desume da queste rassegne che, più che di universali veri e propri, si tratta di tendenze più o meno diffuse la cui esistenza ed articolazione dovrebbero poter essere spiegate da una teoria completa. Nel contesto del presente manua-

1.2. Premesse

teoriche

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le, che persegue finalità essenzialmente descrittive, sono invece più importanti le restrizioni limitate a singole regole. Cominciamo con le restrizioni fonologiche. In linea di principio, tutti gli aspetti - segmenti, sillabe e accento - della rappresentazione fonologica possono giocare un ruolo nella definizione del dominio di una regola di formazione di parole. Le restrizioni fonologiche sono particolarmente frequenti nella suffissazione. Il suffisso -ità (cfr. 5.1.2.1.2.1.1.), ad esempio, predilige basi che finiscono in determinate sequenze finali come -ale, -ile, -ivo, -oso ecc. Queste sequenze finali hanno spesso lo status di morfemi, ma non è una condizione necessaria per l'aggiunta di -ità: rivalità, senilità, passività, meticolosità ecc. In vista di tali esempi è preferibile parlare di restrizioni fonologiche anziché morfologiche. Mentre in questo caso la presenza di determinati segmenti nella base favorisce l'aggiunta del suffisso, in altri casi si osserva un condizionamento negativo: il suffisso diminutivo -etto (cfr. 5.1.1.7.5.), ad esempio, non si aggiunge a basi la cui ultima consonante è una [t] : fata —> *fatetta ecc. Non è probabilmente un caso che condizionamenti negativi di questo tipo abbiano (quasi) sempre una motivazione eufonica, dissimilatoria. Si noti che c'è anche in italiano, come in altre lingue, una tendenza abbastanza generale a evitare l'aggiunta di un suffisso a una base con una sequenza finale omofona: Cristo —• *cristista, Guareschi —• *guareschesco ecc. Nel caso di restrizioni morfologiche un affisso dev'essere sensibile alla presenza nella base di un certo morfema quale morfema, e non solo quale stringa fonologica, come abbiamo visto appena nel caso di -ità. Come esempio si potrebbe menzionare la predilezione di -ia per basi che finiscono in certi secondi elementi di origine greca come -filo, -fobo, -latra, -mane ecc. Si noti però che anche in questo caso manca la certezza assoluta che abbiamo a che fare con restrizioni morfologiche, dato che l'italiano non dispone di aggettivi di altro tipo con sequenze finali del tutto omofone. Tutt'al più si potrebbe addurre un contrasto come quello fra umano —> umanità e Xmane —> Xmania. Le restrizioni sintattiche comprendono restrizioni formulate in termini di categorie sintattiche come sostantivo, verbo ecc. o di tratti sintattici come 'transitivo' ecc. La straordinaria importanza della categoria sintattica delle basi per la delimitazione del dominio si manifesta nell'alta frequenza di termini come denominale "derivato da un nome", deverbale "derivato da un verbo" o deaggettivale "derivato da un aggettivo", che hanno anche servito come criterio di classificazione nel presente manuale. Molti affissi, infatti, sono sensibili alla categoria sintattica delle basi - più i suffissi che i prefissi, è vero - , ed anche i composti sono generalmente classificati in base alla categoria sintattica delle basi. La pertinenza dei tratti sintattici per la delimitazione del dominio delle regole di formazione di parole è meno evidente, dato che la classificazione di un tratto come sintattico dipende fortemente dalla teoria grammaticale adottata. Così, il tratto 'transitivo' è certamente importante per la delimitazione del dominio degli aggettivi in -bile (cfr. casa abbattibile vs *crollabile), ma il tratto stesso è considerato come sintattico da alcuni e come semantico da altri. Le restrizioni semantiche ci pongono davanti a un problema simile in quanto presuppongono una previa definizione del campo della semantica. Non solo la frontiera fra semantica e sintassi dipende, come abbiamo visto, da scelte teoriche previe, lo stesso vale anche per quella fra semantica e cognizione: alcuni linguisti considerano come semantica tutta l'informazione veicolata da una determinata parola, mentre altri distinguono un nucleo semantico dalla massa delle conoscenze enciclopediche. A seconda della posizione teorica,

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1.

Introduzione

una stessa restrizione potrà dunque essere chiamata semantica o enciclopedica. Un caso tipico di restrizione «enciclopedica» in questo senso sarebbe quello del suffisso -esco nel suo senso di similarità (cfr. 5.2.1.1.3.), che ricorre soprattutto con nomi propri i cui referenti umani destano associazioni di stravaganza, comicità ecc.: aristofanesco, arlecchinesco, dongiovannesco ecc. Sono dunque le nostre conoscenze sulle persone designate dalla base che sono pertinenti per la scelta del suffisso. All'altro estremo si trovano affissi che fanno riferimento a tratti indiscussamente semantici, come quello della graduabilità, che è rilevante per la delimitazione del dominio di -issimo (cfr. 5.2.3.2.): design italianissimo vs Ha rivoluzione industrialissima ecc. Fin qui abbiamo solo dato esempi di restrizioni che fanno riferimento alle basi di una regola di formazione di parole. Ciò vale certamente per la maggioranza dei casi, ma non si deve dimenticare che le restrizioni possono anche essere definite a volte con riferimento all'uscita della regola, specialmente le restrizioni semantiche. Così, i derivati nominali in -ista designano tutti dei ruoli sociali, ma non qualunque tipo di ruolo sociale si può esprimere con questo suffisso. Sono ben rappresentati gli artisti, i giuristi, gli scienziati, gli sportivi, i fautori di determinate concezioni ecc., ma mancano i produttori (cfr. liutista vs liutaio), i commercianti - con l'eccezione di grossista, di probabile origine tedesca - e molti altri ruoli sociali. Questo stato di cose si potrebbe descrivere attribuendo al suffisso lo scarno significato "persona" e corredandolo di una serie di restrizioni che specificassero gli ambiti sociali in cui è adeguato. Alternativamente, però, si potrebbe anche argomentare che il suffisso ormai si è scisso in vari suffissi distinti benché semanticamente affini: -ista1 "musicista", -ista2 "sportivo", -ista3 "fautore" ecc. In tal modo, ciò che nel primo approccio appariva come restrizione semantica o enciclopedica verrebbe integrato direttamente alla descrizione semantica del suffisso. Non è questo il luogo per decidere quale di queste due descrizioni sia preferibile. E sufficiente aver messo in risalto l'intima connessione che esiste fra restrizioni semantiche sull'uscita e descrizione semantica delle regole di formazione di parole. L'ultimo tipo di restrizioni da considerare, le restrizioni pragmatiche, concerne invece quasi sempre l'uscita. Esse specificano in quali situazioni è adeguato l'uso di certe regole di formazione di parole. Alcune sono limitate a certi linguaggi settoriali, altre al gergo, altre ancora alla lingua scritta ecc. Possono però anche essere molto più specifiche: l'uso del suffisso diminutivo -ino (cfr. 5.1.1.7.16.1.1.), ad esempio, è particolarmente adatto quando ci si rivolge a bambini. Le restrizioni pragmatiche sull'entrata si riferiscono al livello stilistico delle basi. Le restrizioni appena elencate non ricorrono normalmente da sole ma in combinazioni a volte molto complesse. Questa complessità aumenta ancora per il fatto che abbiamo a che fare in genere con delle preferenze, con tendenze piuttosto che con frontiere nitide.

1.2.5.2. Produttività FR La nozione di produttività (cfr. Rainer 1993a, 29-34, Plag 1999, Bauer 2001) è intimamente legata a quella di restrizione: ogni restrizione infatti riduce il dominio di una regola di formazione di parole e dunque diminuisce in qualche modo la sua produttività. Ma sarebbe un errore equiparare questi due concetti, essendo le restrizioni solo uno di vari fattori che influiscono sulla produttività di una regola.

1.2. Premesse teoriche

23

Bisogna innanzitutto chiarire cosa s'intende per produttività, dato che questo termine si usa in molte accezioni diverse nella letteratura. Nella sua accezione centrale, il termine di produttività si riferisce alla probabilità con cui s'incontreranno neologismi formati secondo una determinata regola (cfr. Gaeta / Ricca 2003). Non è questa però l'unica accezione in cui s'incontra il termine. A volte esso viene definito attraverso il numero di parole usuali formate secondo una determinata regola. Siccome una regola con alta probabilità di attuazione ha normalmente anche prodotto un gran numero di parole, queste due nozioni coincidono spesso, ma non sono per niente identiche: l'esistenza anche di un gran numero di parole complesse di un certo tipo non è una garanzia di produttività sincronica. La nozione di produttività è a volte anche equiparata al numero di parole possibili formabili secondo una determinata regola, cioè all'estensione del suo dominio. È per questa definizione che vale la proporzionalità inversa fra restrizioni e produttività cui abbiamo accennato sopra. Ma il fatto che ci siano ancora molte caselle vuote da riempire non è una garanzia che i parlanti facciano effettivamente un uso molto frequente di una determinata regola. In studi diacronici, infine, la produttività è spesso misurata sulla base del numero di neologismi apparsi in un determinato lasso di tempo. Questa definizione diacronica è quella che si avvicina di più alla nostra definizione centrale: un rilevamento della frequenza di neologismi nel periodo immediatamente precedente lo stato di lingua analizzato è, infatti, uno dei metodi più efficaci per accertare la produttività in tale stato di lingua. Nel presente manuale, le datazioni del DISC e dei dizionari di neologismi sono state a tale scopo di grande aiuto. Fin qui, abbiamo sempre parlato come se la produttività fosse una proprietà di tutta una regola. In verità si osserva, però, che la produttività può variare nei vari sottodomini di una regola. Il dominio di una regola di formazione di parole, infatti, è raramente omogeneo, cioè delimitabile mediante un unico criterio necessario e sufficiente. Nel caso normale, il dominio si compone di vari sottodomini più o meno autonomi anche se, magari, apparentati da somiglianze di famiglia. Ora, in ognuno di questi sottodomini la produttività può essere diversa. Il dominio può anche essere costituito da uno o vari sottodomini produttivi e un numero più o meno elevato di formazioni isolate. Tal è il caso, ad esempio, del suffisso -ia, che è diversamente produttivo nei sottodomini degli aggettivi in -filo, -mane, -latra ecc., mentre al di fuori di questi tipi di aggettivi ricorre solo in una ventina di aggettivi senza denominatore comune (allegria, pazzia, ritrosia ecc.).

1.2.6.

C a m b i o semantico e formazione delle parole ABL

1.2.6.1. Una prospettiva cognitiva dell'innovazione lessicale ABL La teoria della formazione delle parole si inserisce nel quadro di una teoria dell'innovazione lessicale. Secondo l'approccio proposto in Blank (1999a, e in stampa) ogni innovazione lessicale si compone di un processo formale e di un processo semanticoassociativo. Tutte le associazioni risalgono ai tre principi associativi aristotelici della similarità, del contrasto e della contiguità a cui si aggiunge l'identità concettuale come espressione estrema della similarità (cfr. Blank in stampa per dettagli). L'associazione semantica si impone perché permette al parlante o di sfruttare un rapporto concettuale preesistente o di

24

1. Introduzione

crearne uno convincente. Ambedue le strategie prevalgono su una creazione ex nihilo che nella prassi lessicologica si rivela quasi inesistente. Non è questo il luogo per illustrare in maniera estesa l'applicazione della prospettiva cognitiva alla formazione delle parole (cfr. Blank 1998; Koch 1999a, Gévaudan 1999). La comprensione della formazione delle parole come combinazione di un processo formale e di una o più associazioni semantiche implica che, in principio, la formazione delle parole e il cambio semantico condividono le stesse operazioni associative. Il cambio semantico però lascia intatta la parte formale della parola e si realizza in maniera implicita creando così una parola polisemica o aumentando una polisemia preesistente, mentre nella formazione delle parole la differenza tra il concetto base e il concetto da verbalizzare è di solito reso palese tramite l'affisso o tramite l'associazione di un secondo concetto. Oltre a questa base associativa comune si nota che i due processi lessicali mostrano alcuni punti di intersezione formali e semantici che esploreremo sistematicamente nei paragrafi seguenti.

1.2.6.2.

La conversione nella prospettiva concettuale ABL

1.2.6.2.1. Tipi formali e semantici della conversione ABL La conversione (cfr. 7.) è una categoria problematica della formazione delle parole perché, a prima vista, il risultato del processo sembra essere formalmente identico alla base (cfr. 1.2.2.3.). Ma sarebbe erroneo voler attribuire formazioni come il dovere, tagliente (agg.), il bene, l'arrivo o il giovane al cambio semantico, poiché non ha luogo un cambio semantico, ma soltanto un cambio di categoria sintattica. Dal punto di vista formale si distinguono due tipi diversi: (a) La conversione di una base verbale con una desinenza flessiva (infinito, participio presente o passato) con l'aggiunta di un paradigma flessivo della categoria di arrivo; ne risulta una rianalisi formale, e invece di dove-re (infinito) e taglie-nte (participio presente) la segmentazione del sostantivo è dover-e/i e taglient-e/i, con la desinenza flessiva verbale agglutinata parzialmente alla base. Lo stesso fenomeno di rianalisi si osserva quando da una categoria senza flessione si passa ad una categoria con flessione (bene —» ben-e/i)', (b) La conversione della sola base con l'aggiunta di un paradigma flessivo della categoria sintattica di arrivo (arriv—> arriv-o/i, giovan—) giovan-e/i). Semanticamente ambedue i tipi di conversione si limitano all'intercambio dell'informazione semantica propria della categoria sintattica di partenza con quella della categoria di arrivo. In tal modo giovane (agg.) caratterizza una "persona che è tra l'adolescenza e la maturità", mentre giovane (sost.) significa "persona di giovane età", dovere (vb.) "avere l'obbligo di fare una determinata cosa" e dovere (sost.) "ciò che si è tenuti a fare secondo la legge, la morale, le convenzioni e sim." (cfr. Zingarelli 1993, s.w.). Qualora in questo caso si possa parlare di un'associazione semantica tra base e risultato, questa non può essere che Y identità concettuale. La conversione si inserisce dunque nel quadro delle formazioni basate sull'associazione di identità e appartiene alla categoria che Gauger nella sua teoria semantica della formazione delle parole chiama «Verschiebung» (1971, 74), cioè la traslazione ad un'altra categoria sintattica, tipo frequente anche nella suffissazione (bello —> bellezza, lavare —» lavaggio).

1.2. Premesse

teoriche

25

1.2.6.2.2. Conversione ed ellissi ABL Se abbiamo detto sopra che il cambio della categoria sintattica è escluso dalla semantica storica, abbiamo trascurato un tipo tradizionalmente poco chiaro di cambio semantico, cioè l'ellissi. A prima vista sembra che dalla semplificazione di una parola complessa come caffè espresso a espresso o computer portatile a portatile risulti il cambio di categoria sintattica dell'aggettivo. Ne risulta però anche un cambio semantico considerevole, perché espresso (sost.) non ha il senso di espresso (agg.) con l'aggiunta degli attributi usuali di un sostantivo, ma significa "caffè espresso". Invece di parlare allora di «conversione con cambio semantico», direi che qui abbiamo a che fare con un tipo di cambio semantico specifico che consiste nell'assorbimento di una parola complessa in quella parola che, nel lessema complesso, costituisce il modificatore. Attraverso questo processo di assorbimento la parola semplice prende il significato del lessema complesso ereditandone anche la categoria sintattica e il genere, cioè le categorie grammaticali proprie della testa (cfr. Blank 1997, 288299). Mentre il motivo fondamentale dei parlanti che procedono alla conversione è il cambio di categoria sintattica, l'ellissi è dovuta all'economia linguistica: il cambio di categoria sintattica quindi è un effetto secondario. Quest'interpretazione è rafforzata quando si analizzano esempi dell'assorbimento di parole complesse con due parti di categoria sintattica identica, dove si incontra soltanto il cambio di genere (chiusura lampo > la lampo), o di assorbimenti della parola complessa nella testa (macchina automobile > macchina).

1.2.6.3. Metafora e formazione delle parole ABL Di solito la metafora lessicale poggia su un rapporto di somiglianza tra due sfere concettuali e questo rapporto spesso è convenzionalizzato per tutta la comunità linguistica o per un gruppo preciso di parlanti. Dal punto di vista formale, il concetto che viene verbalizzato attraverso il ponte della similarità concettuale può essere realizzato come innovazione semantica (ariete "maschio della pecora" > "macchina da guerra per sfondare porte o mura"), come formazione (pescecane "squalo") o come locuzione (rimanere con un pugno di mosche in mano "non avere concluso nulla"). Nelle formazioni metaforiche possiamo discernere almeno due tipi diversi: (a) Le metafore integrali, come per es. bocca di leone o lingua di gatto; queste metafore, pur essendo formalmente complesse, sono basate su una sola associazione: il fiore è concepito come una bocca di leone, il dolce come una lingua di gatto, cioè il concetto associato è verbalizzato in maniera complessa e la metafora viene utilizzata in mancanza di una parola semplice per i concetti in questione (cioè il fiore e il dolce); (b) Le metafore complesse a doppia associazione, come per es. pescecane, guerra lampo, braccio di fiume, nave del deserto (cfr. Blank 1998, 19s.): nel caso di pescecane e guerra lampo abbiamo a che fare con la combinazione dell'allontanamento da una concezione prototipica (SQUALO-PESCE, RAPIDA AGGRESSIONE-GUERRA) con un'associazione metaforica propria che unisce due ambiti concettuali diversi (SQUALO-CANE, RAPIDA AGGRESSIONE-LAMPO). Gli esempi braccio di fiume, nave del deserto invece combinano la r e l a z i o n e d i s i m i l a r i t à m e t a f o r i c a (RAMO LATERALE DI UN FIUME-BRACCIO, CAMMELLO-

NAVE) con una relazione di contiguità tra un oggetto e un suo aspetto tipico (RAMO LATERALE DI UN FIUME-FIUME, CAMMELLO-DESERTO). Alcune formazioni metaforiche possono, in certe condizioni, essere sottomesse all'assorbimento (ellissi), mentre altre sembrano esclu-

26

1. Introduzione

dere l'assorbimento perfino in un contesto ben preciso: si ammette allora la frase la barca infila il braccio di sinistra, ma non *nel Mediterraneo i cani sono rari (parlando degli squali). Paragonate alle metafore integrali, le metafore complesse di ambedue i tipi hanno il vantaggio di una certa chiarezza perché introducono o il contesto preciso nel quale funziona la metafora (fiume, deserto), o addirittura un elemento della sfera di destinazione (pesce, guerra) che nelle metafore semplici rimane implicito. È però difficile descrivere le regole esatte per la scelta della metafora complessa. In un primo tempo, questo contesto esplicito favorisce la comprensione della metafora. Si nota anche che la formazione metaforica si impone per tutte le metafore dove l'ellissi è esclusa, cioè quando la sfera di partenza e la sfera di arrivo sono semanticamente troppo vicine l'una all'altra (QUATTROZAMPE-PESCl). Oltre alla composizione, dove occorrono regolarmente, le metafore si incontrano anche nella prefissazione e nella suffissazione; in questi casi però si vedono limitate a casi singoli che richiedono quasi sempre un'interpretazione individuale. Nel caso di ufficiale —> sottoufficiale, per esempio, il prefisso esprime una relazione gerarchica in termini di una relazione spaziale. Le parole suffissate metaforiche sono spesso metafore semplici a base di un senso letterale, come per es. cappuccino "frate appartenente a un ramo dell'ordine francescano" > "bevanda a base di caffè espresso e latte". Esistono però alcuni casi di parole alterate che sembrano esprimere direttamente un concetto metaforico rispetto al senso della parola base con l'aggiunta della nozione di piccolezza, come per es. lat. capitem "testa" > lat. volgare *capitiolu "prominenza dell'areola mammaria" (it. capezzolo)}

1.2.6.4. Metonimia e formazione delle parole ABL Passiamo ora all'interazione della metonimia e di alcuni tipi di formazione delle parole. La metonimia richiede un'associazione di contiguità tra due concetti ma, a differenza della metafora, la metonimia presuppone un rapporto concettuale stabile e lo rende palese tramite l'innovazione semantica (cfr. Blank 2002). Le diverse associazioni di contiguità si dividono in rapporti di copresenza dei concetti coinvolti (vendemmia "raccolta dell'uva" > "il periodo della raccolta") e in rapporti di successione spaziale, temporale o logica dei concetti (lat. parare "preparare, armare" > it. parare "schivare un colpo"). Questi due «domini di contiguità» si suddividono in un numero più vasto di rapporti di contiguità che servono di base concettuale alle metonimie concrete, come per es. ATTIVITÀ-PERIODO nel caso di vendemmia e PRESUPPOSTO-ATTIVITÀ nel caso di parare? Per quanto riguarda la contiguità quale base dell'innovazione metonimica e della formazione delle parole, in questa sede ci interessano soltanto le coppie concettuali che si realizzano con ambedue i processi lessicali o esclusivamente nella formazione delle parole. Come nel caso della metafora, esistono composti che sono interamente metonimici, i cosiddetti composti esocentrici (cfr. 2.1.2.5.), come per es. pellerossa, caschi-blu: questi composti descrivono metonimicamente un tratto saliente (il colore della pelle o del casco) che 1

2

Per i diversi casi «regolari» di lessicalizzazione delle parole alterate attraverso le inferenze pragmatiche cfr. Dressler / Merlini Barbaresi 1994 e Blank 1998, 1 Iss. Una schematizzazione grafica di tutti i rapporti concettuali dei domini della copresenza e della successione è stata elaborata in Blank 1999b, 178-182.

1.2. Premesse

teoriche

27

identifica per eccellenza il referente (l'indiano, i soldati dell'ONU). La metonimia complessa detta «composto esocentrico» realizza quindi la relazione PERSONA/OGGETTOASPETTO SALIENTE (cfr. Blank 1998, 22s.)· 1.2.6.4.1. Modelli concettuali e derivazione ABL Più interessante della composizione è il rapporto tra metonimia e derivazione. Per descrivere i rapporti tra parola base e derivato Schwarze 1988 ha sviluppato un'intera sequenza di modelli concettuali. Nella suffissazione in italiano le relazioni di contiguità costituiscono soprattutto il «modello delle attività» (Tätigkeitsmodell'), ma contribuiscono anche al «modello della costituzione dell'oggetto» (Modell der Gegenstandskonstitution) nonché al «modello dell'avvenimento» (Ereignismodell) e al «modello di causalità» (Verursachungsmodell) per la formazione degli aggettivi. Siamo in grado di riunire tutte le relazioni pertinenti intorno ai due concetti focali dell'ATTIVITÀ/AVVENIMENTO e dell'OGGETTO. La suffissazione basata sulla contiguità realizza delle relazioni concettuali enciclopediche e ha quindi un'impronta molto marcata.1 Alcune relazioni di contiguità si realizzano anche sotto forma di prefissazione, come per es. PERIODO-PERIODO PRECEDENTE o CONSECUTIVO {guerra —> anteguerra / dopoguerra), LUOGHI CONTIGUI (bottega retrobottega),

RELAZIONE RECIPROCA ( a u t o r e —> coautore)

O RELAZIONE GERARCHICA ( v e s c o v o

—» arcivescovo) e altre, ma nell'insieme la situazione è meno chiara che nella suffissazione e richiederebbe ulteriori analisi. 1.2.6.4.2. La scelta fra metonimia e derivazione ABL Il punto essenziale del nostro confronto fra metonimia e derivazione in italiano è quello di stabilire quando i parlanti preferiscono la metonimia e quando preferiscono la derivazione. È difficile formulare regole esatte, ma possiamo tentare di tracciare alcune linee di guida: (a) Quando l'espressione del rapporto di contiguità è accompagnata da un cambio di categoria grammaticale (trasformare —» trasformatore), i parlanti preferiscono chiaramente la derivazione (ma cfr. 1.2.6.2.1.); (b) Alcuni rapporti di contiguità si verbalizzano e per metonimia (semplice o complessa) e per derivazione, ma spesso gli ambiti di applicazione dei due processi lessicali sembrano essere divergenti secondo le relazioni concettuali coinvolte (cfr. più avanti); (c) La derivazione ha il vantaggio di essere più esplicita della metonimia perché l'affisso esprime la differenza semantica tra i due concetti e così limita le possibilità dell'interpretazione (per es. trasformatore non può essere che una persona o una macchina che trasforma); (d) D'altra parte il potenziale della derivazione è limitato dagli affissi e dai loro significati; cioè, se non esiste nessun affisso italiano per verbalizzare un determinato rapporto concettuale, quest'ultimo non può essere realizzato tramite la derivazione. In una prospettiva più onomasiologica possiamo dire che il fatto che un rapporto di contiguità non venga verbalizzato tramite un qualsiasi affisso ci indica che non è necessario esprimerlo in maniera esplicita: basta la metonimia.

1

Ad eccezione delle lingue nelle quali la suffissazione è formalmente bloccata (come in parte accade nel francese) e dove i parlanti preferiscono altri procedimenti (come accade nel tedesco con la composizione).

28

1.

OGGETTO COLLETTIVO

SOSTANZA COLLETTIVA

PORZIONE/ CONTENUTO

fogliame pioppo

cucchiaiata bagaglio cucchiaio

bagagliai consolato

Introduzione

OGGETTO atomo

calorifico

foglia calore giornale

trasformatore giornalista

chitarrista

chitarra

Figura 1 : Relazioni di contiguità nella suffissazione italiana È difficile delimitare esattamente l'ambito della metonimia da quello della derivazione basata sulla contiguità, ma tendenzialmente in italiano si usa quasi esclusivamente la metonimia per realizzare le relazioni ATTIVITÀ-PERIODO (vendemmia), OGGETTO-ASPETTO TIPICO (casino "casa di prostituzione" > "confusione, disordine"), PARTE-TUTTO e TUTTOPARTE (tetto "copertura di un edificio" > "casa"; vela "superficie di tela della nave" > "nave a vela"); CAUSA-EFFETTO (spina "formazione vegetale dura e pungente" > "dolore acuto"), ATTIVITÀ-RISULTATO / STATO (carcerazione "atto del carcerare" > "permanenza in carcere") nonché alcune altre (cfr. anche Blank 1999b, 180ss.). La derivazione viene di solito utilizzata per esprimere le relazioni suddette (cfr. figura 1), ma c'è da notare che per quasi tutte le coppie concettuali che non implicano il cambio della categoria grammaticale si possono trovare esempi metonimici, come per es. OGGETTO-SOSTANZA COLLETTIVA (erba "pianta con fusto basso e verde" > "complesso delle piante erbacee che ricoprono un terreno"), ATTIVITÀ-OGGETTO (abbigliamento "atto del abbigliar(si)" > "complesso degli indumenti"), ATTIVITÀ-PERSONA (it. ant. testimonio "testimonianza" > "testimone"), PERSONA-OGGETTO (corriere "incaricato del recapito di lettere ecc. " > "corrispondenza"), CONTENITORE-CONTENUTO (pugno "mano serrata con le dite strette fortemente insieme" > "quantità che può essere racchiusa nella mano chiusa"), LOCALE-PERSONE (gabinetto "ufficio di un ministro" > "l'insieme dei ministri"), STRUMENTO-PERSONA (violino "strumento musicale" > "suonatore di violino"). Si può però accertare che per la gran parte di queste relazioni non è facile trovare esempi e che, tutto sommato, la derivazione è il processo preferito per la sua maggiore chiarezza lessicale e semantica. Inoltre basta guardare altri esempi che riguardano la relazione OGGETTO / ATTIVITÀPERSONA per capire come sia poco stabile la metonimia in questo caso: in italiano antico lo

1.2. Premesse teoriche

29

stesso tipo di polisemia si incontra anche in messaggio "notizia, annuncio" e "messaggero" (ambedue i sensi presi dal ft. ant. message) e che nel secondo senso sostituisce l'antico messo. Il cambio inverso avviene nel portoghese e nello spagnolo antichi (pregäo, pregón "messaggero" > "messaggio"). A lunga scadenza però la polisemia doveva essere scomoda e così, in tutte e quattro le lingue, il concetto di persona veniva poi verbalizzato tramite la suffissazione (it. messaggiere e poi messaggero, port, pregoeiro, sp. pregonero). 1.2.6.4.3. I tipi CONTENITORE-CONTENUTO / PORZIONE e STRUMENTO-PERSONA

ABL

Accanto alle formazioni bicchiere —» bicchierata, cucchiaio —» cucchiaiata, forca —» forcata, secchio —» secchiata, vassoio —> vassoiata la metonimia della parola semplice rimane sempre possibile (un bicchiere di vino, un cucchiaio di zucchero). E ovvio che si tratta qui di un fenomeno produttivo e regolare di «doppioni» tra derivazione e metonimia che esprime lo stesso rapporto concettuale: il DISC elenca una sessantina di parole che si riferiscono a contenitori nel senso largo e che hanno lessicalizzato il derivato con -ata per esprimere il contenuto. La lessicalizzazione però sembra essere limitata: nel DISC troviamo lessicalizzato manata, manciata, bracciata e perfino brancata e ditata, ma non 0 pugnata, mentre il suo doppione pugno fa prova del senso metonimico. Nondimeno il processo è regolare e dobbiamo chiederci perché. Si nota infatti che la descrizione semantica dei doppioni è caratterizzata da una sfumatura divergente: bicchiere nel senso metonimico è definito dal DISC "quantità di liquido contenuta in un bicchiere", mentre bicchierata è la "quantità di liquido corrispondente a un bicchiere", vassoio è "il contenuto di tale piatto" mentre vassoiata è "quanto può essere contenuto in un vassoio" ecc. In altre parole, le metonimie presuppongono più o meno l'esistenza effettiva del contenitore: mangiare un cucchiaio di zucchero vuole dire infatti mangiare una certa quantità di zucchero dal cucchiaio stesso, mentre mangiare una cucchiaiata di zucchero definisce la quantità ma non il mezzo (si può mangiare dalla mano o da un piatto). Il suffisso dunque ha il senso più esatto di "porzione che corrisponde a ... ". La differenza semantica è meno chiara nel tipo STRUMENTO-PERSONA (SUONATORE): le parole che designano strumenti musicali ammettono - oltre la formazione con -ista - anche la metonimia del tipo violino "strumento musicale" > "suonatore di violino". Si aggiunge qui però una restrizione pragmatica che limita la metonimia a certi contesti specializzati come per es. la conversazione tra musicisti (in frasi del tipo il primo violino ha preso un raffreddore). Ambedue i tipi sottolineano come sia necessario fornire per ogni affisso, oltre all'indicazione della relazione concettuale, una descrizione semantica dettagliata.

1.2.6.5.

Conclusione ABL

L'analisi della semantica dei diversi tipi di formazione delle parole e il confronto con il cambio semantico ci mettono in grado di formulare più chiaramente i criteri secondo cui i due processi d'innovazione lessicale si distinguono (cfr. tabella 1). Nella prospettiva semantica il criterio essenziale è la presenza o l'assenza di un'associazione semantica altra che l'identità concettuale. Dalla prospettiva morfologico-sintattica dobbiamo discernere le categorie «assenza di ogni processo formale», «cambio di categoria sintattica» e i soliti

30

1. Introduzione

processi formali della formazione delle parole «suffissazione», «prefissazione», «composizione» (nonché alcuni altri che non figurano nella tabella). I criteri definitori del cambio semantico sono l'assenza di processi formali e l'esistenza di una relazione associativa altra che l'identità. Una piccola eccezione è fatta dall'assorbimento lessicale del tipo ESPRESSO che, pur essendo un tipo di cambio semantico, condivide il cambio di categoria sintattica con la conversione, il quale è però il criterio definitorio per le conversioni di ambedue i tipi. D'altra parte, la conversione condivide il criterio del cambio di categoria sintattica con alcuni tipi di suffissazione e con le formazioni parasintetiche. Come abbiamo visto sopra, molti tipi di suffissazione, prefissazione e composizione si basano su una relazione associativa e mostrano dunque un comportamento semantico paragonabile a quello del cambio semantico, ma a differenza di esso, l'affissazione e la composizione marcano apertamente la differenza tra il concetto base e il concetto da verbalizzare. assenza di ogni processo formale

cambio di categoria sintattica conversione (tipi ARRIVO e

identità concettuale

suffissazione

prefissazione

(tipo

«Verschiebung»

(tipo

composizione

CAFFÈ

CAFFÈ)

BELLEZZA)

DOVERE)

altre associazioni (per es. similarità metaforica, contiguità concettuale)

metafora, metonimia, assorbimento lessicale (tipo MACCHINA)

ecc.

assorbimento lessicale (tipo ESPRESSO)

altri tipi semantici di suffissazione (per es.

tipi semantici di prefissazione (per es. co-

trasformatore, consolato, ragazzino)

autore, prevedere)

Tabella 1: Sinossi dell'interazione fra associazioni semantiche e alcuni processi formali

altri tipi semantici di composizione (per es. pescecane, chiusura lampo)

2. COMPOSIZIONE

2.1.

Composizione con elementi italiani AB

I composti sono costruzioni complesse che si formano a partire da parole che possono appartenere a categorie lessicali diverse oppure alla stessa categoria. La concatenazione dei costituenti del composto è da mettere in relazione con le restrizioni di natura sintattica che vigono tra le categorie lessicali. L'impossibilità di formare parole composte costituite da N+P, ad esempio, è correlata al fatto che nella frase è la preposizione a precedere il nome; anche l'impossibilità di formare parole composte concatenando un verbo ed un aggettivo con l'ordine sia V+A che A+V oppure un aggettivo ed una preposizione con entrambi gli ordini A+P / P+A dipende dal fatto che l'aggettivo è un modificatore del nome e non del verbo e le preposizioni si accompagnano ai nomi e non agli aggettivi. La combinazione di parole appartenenti a due categorie lessicali produce normalmente composti di categoria nome, tranne nel caso in cui entrambi i costituenti sono degli aggettivi, nel qual caso si forma un composto aggettivale (cfr. Scalise 1994, 123-125). I composti si possono classificare, dal punto di vista semantico, in stretti e larghi, endocentrici ed esocentrici, coordinativi e subordinativi. I composti stretti sono composti che hanno subito un amalgama fonologico in conseguenza o del fatto che il significato del complesso non è più quello convogliato singolarmente dalle parole componenti, come in quintessenza e gentildonna che derivano rispettivamente da quinta essenza e gentile donna, oppure come conseguenza della frequenza d'uso come in benarrivato la cui forma originaria è bene arrivato (cfr. Scalise 1994, 125-127). I composti larghi sono quelli nei quali le parole costituenti mantengono la loro individualità fonologica e semantica, come in pescespada e amministratore delegato. In base alla presenza o all'assenza della testa, cioè in relazione al fatto che uno dei costituenti abbia la stessa categoria lessicale del composto e ne possieda anche le stesse proprietà semantiche e sintattiche (funzioni quindi da determinatum nel senso di Marchand 19692, 11), si distingue tra composti endocentrici come vagone letto e composti esocentrici come senza tetto. Se si prende in considerazione il rapporto tra i costituenti si può parlare di composti coordinativi e composti subordinativi.

2.1.1. Definizione e delimitazione AB La definizione di composto come parola complessa formata da (due) parole, pur se può non essere valida per altre lingue come ad esempio, il greco moderno (Ralli 1992, 151) e il tedesco (ten Hacken 2000, 351) in cui il primo dei due costituenti del composto non sempre coincide esattamente con una parola, si adatta abbastanza bene alle costruzioni dell'italiano. In generale, infatti, gli elementi che appaiono nel composto corrispondono a forme che si possono chiamare libere, cioè forme che possono stare in una frase come elementi indipendenti. L'accostamento di due parole non è però sufficiente a fare del complesso una parola composta; è infatti necessario che tra i costituenti ci sia: (a) una relazione semantica possibile, (b) che il complesso denoti un concetto unico, (c) che sia un atomo sintattico (Di Sciullo / Williams 1987), ossia che i due costituenti non possano essere separati e siano inaccessibili, separatamente, alle regole sintattiche. Atomicità sintattica e denotazione di un concetto unico sono state accoppiate nella condizione sull'elemento di discorso unico

34

2. Composizione

(«single discourse element condition», ten Hacken 1994, 73) in base alla quale i composti endocentrici costituiscono un singolo elemento di discorso, proprietà da cui segue che i costituenti non hanno accesso indipendente al discorso. Questa condizione permette di distinguere i composti dai sintagmi mentre la caratteristica di essere formati da (due) elementi liberi permette di tracciare una linea di demarcazione tra composti e derivati. La definizione dei costituenti come parole è rafforzata dal fatto che in italiano i due costituenti rimangono «parole» anche dal punto di vista fonologico. 1 L'accento, spesso invocato in altre lingue come criterio per distinguere i composti dai sintagmi, non è pertanto utilizzabile come test in italiano.

2.1.1.1. Composti e derivati AB La distinzione tra parole composte e parole derivate non è sempre agevole anche se la definizione di composto come parola formata da due costituenti liberi e la definizione di derivato come parola complessa costituita da una forma libera e da un affisso, cioè una forma legata, sembrano suggerire una buona linea di demarcazione tra le due classi di parole complesse. Non è infatti difficile riconoscere nella parola mostra mercato un composto e nella parola allenatore un derivato. Ma se si prendono in considerazione forme quali controfinestra, sopracciglio, sottobicchiere la difficoltà di stabilire se si tratta di composti o di derivati per prefissazione appare chiaramente: il primo costituente di queste formazioni infatti è, apparentemente, una forma libera, ha cioè la parvenza di una preposizione. A favore dell'interpretazione di parole di questo tipo come prefissati (cfr. 3.1.2.) si può sostenere che solo i prefissi si premettono a parole di categoria lessicale differente (contro, sotto e sopra possono essere prefissati anche a verbi: controfirmare, sottomettere, sopraelevare ecc.), mentre le preposizioni possono essere associate solamente a nomi. I composti di tipo P+N possono quindi essere circoscritti alle formazioni esocentriche come senzatetto.

2.1.1.2. Composti e sintagmi AB Stabilire quando una sequenza di due parole forma un composto e non un sintagma sembra relativamente semplice in italiano, almeno nel caso delle formazioni che coinvolgono due nomi. Due nomi in sequenza, senza che tra di essi vi sia la presenza della congiunzione o di una preposizione, non possono generalmente costituire un sintagma nominale. Una nuova coniazione come fiera cavalli,2 ad esempio, si presenta immediatamente come non sintagmatica. La costruzione possiede infatti tutte le caratteristiche definitorie dei composti: indica una unità semantica ed è una unità dal punto di vista sintattico; la parola testa (fiera) è in relazione di iperonimia con il complesso e tra fiera e cavalli può essere costruita una 1

2

Questa proprietà viene dimostrata attraverso i test fonologici seguenti: (a) la mancanza di sonorizzazione di /s/ in posizione intervocalica se la parola è composta (ca[z]a ma spargi[s]ale), (b) il cosiddetto «sollevamento di vocale» che si manifesta in posizione atona all'interno delle parole derivate ma non nei composti (['tolgo] / [to'XXevo] ma [.tosta'pane]), (c) l'allungamento vocalico che si mantiene nelle parole composte ma non nelle derivate ([,ka:po'po:polo] ma [ka'pottja]); cfr. Nespor/Vogel 1986, 126ss. L'espressione è stata utilizzata in un servizio del TG 3 regionale del Veneto Γ 8 novembre 2002.

2.1. Composizione con elementi italiani

35

certa varietà di significati che vanno dalla semplice specificazione (fiera dei cavalli) ad una relazione più ampia (fiera in cui si vendono / si espongono cavalli). Per essere considerata un sintagma l'espressione dovrebbe essere fiera dei cavalli. Il confine tra composto e costruzione sintagmatica appare meno netto quando: (a) la formazione complessa ha la struttura N+N ed è del tipo di trasporto materiali e rimozione auto, (b) si tratta di formazioni con struttura N + A quali capitale sociale, anima gemella, (c) si tratta di costruzioni nominali che contengono un nome in funzione di apposizione come candela mangiafumo. I complessi quali rimozione auto e trasporto materiali differiscono dalle parole composte tipiche in quanto, pur indicando un concetto unico ed essendo la testa (rimozione, trasporto) un iperonimo del complesso, non sono atomi sintattici (non rispettano cioè interamente la «condizione sull'elemento di discorso unico»); ammettono infatti la modificazione interna (rimozione rapida auto, trasporto materiali ingombranti) ed anche il riferimento pronominale al costituente non-testa è talvolta possibile, anche se in costruzioni frasali sovente peculiari come in: in questa città la rimozione auto¡ avviene regolarmente eccetto che per quelle, di grandi dimensioni (cfr. Bisetto / Scalise 1999). Queste costruzioni, inoltre, non manifestano neppure variabilità semantica nella relazione tra i due costituenti in ragione del fatto che il nome non-testa rappresenta l'argomento interno del nome testa. Quest'ultimo è un astratto deverbale e la relazione è tipicamente di specificazione (rimozione delle auto, trasporto dei materiali). Contro l'analisi di tali formazioni quali sintagmi sta, invece, l'assenza dell'elemento di specificazione o assegnatore di caso. I nomi, soprattutto quelli che derivano da verbi e vengono definiti nomi d'azione o nominalizzazioni deverbali, possono essere argomentali, cioè possedere una struttura argomentale (cfr. 5.1.3.1.1.4.) che, come nel caso dei verbi, consiste in un insieme - costituito anche di un solo elemento - di sintagmi la cui realizzazione è obbligatoria affinché l'espressione che contiene il verbo sia grammaticale. Un verbo quale distruggere, ad esempio, deve apparire con entrambi i suoi argomenti, pena la malformazione della frase: gli invasori hanno distrutto la città vs *gli invasori hanno distrutto. È questo il caso anche del nome derivato dal verbo quando sta ad indicare l'attività: la distruzione della città da parte degli invasori vs *la distruzione da parte degli invasori (Graffi 1994, 59; Castelli 1988, 247-352). Possono però essere argomentali anche nomi non deverbali (Giorgi 1988). La difficoltà a distinguere tra composti e sintagmi è sicuramente maggiore nel caso delle formazioni N+A; l'aggettivo manifesta infatti due proprietà sintattiche: l'accordo di genere (ma anche di numero) con il nome e la posizione post-nominale, fenomeni questi, tipici delle costruzioni sintagmatiche dell'italiano. Una formazione come, ad esempio, nave spaziale non sembra però poter essere pacificamente considerata un sintagma nominale contenente un aggettivo: il complesso indica infatti un concetto unico, la relazione tra nome e aggettivo può essere resa in modi diversi, l'aggettivo non ha accesso indipendente al discorso e si tratta di un tipo di nave, anche se non si può parlare di iponimia dell'espressione complessa rispetto alla parola nave ma piuttosto di estensione del concetto. Stabilire il confine tra composti contenenti un aggettivo e sintagmi diventa particolarmente difficile se gli aggettivi sono di tipo relazionale (come appunto spaziale in nave spaziale) dato che, in questo caso, l'atomicità sintattica dell'espressione complessa può anche dipendere dalla natura dell'aggettivo che, essendo di relazione, non ammette modificazione (*molto spaziale).

36

2.

Composizione

2.1.1.3. Composti e polirematiche AB I composti devono essere distinti anche dalle polirematiche (eft. 2.1.8.), almeno da quelle polirematiche che sono formate da due soli elementi. Se si può accettare, con buona convinzione, che le costruzioni a più di due termini del tipo di sacco a pelo e giacca a vento siano considerate polirematiche, non è altrettanto semplice stabilire quale sia la linea di demarcazione tra composti nome-nome e nome-aggettivo e polirematiche con la stessa struttura. Un criterio utile a stabilire se formazioni come amministratore delegato e conferenza stampa oppure capitale sociale e anima gemella sono composti o polirematiche si può costruire sulla base della definizione di composto e di polirematica. Le polirematiche sono considerate l'esito di processi di lessicalizzazione, quindi hanno un significato non composizionale, cioè non desumibile dalla somma dei significati delle parole che le compongono; il loro significato pertanto può essere o figurato oppure non iponimo della testa. Se a tale caratterizzazione delle polirematiche accostiamo le proprietà definitorie dei composti endocentrici possiamo stabilire, con buona approssimazione, quando abbiamo a che fare con un composto e quando con una polirematica. Quindi, le formazioni che manifestano tra il complesso e la sua testa una relazione di iponimia / iperonimia e il cui significato è composizionale possono essere definite composti mentre saranno classificabili tra le polirematiche le formazioni che non manifestano tali proprietà. Questo criterio è applicabile in misura massima ai composti larghi come nave cisterna perché le condizioni di definizione sono rispettate entrambe: si tratta di una nave e la relazione semantica con il costituente non-testa può essere esplicitata in più di un modo e dà sempre un significato composizionale. Quanto alle formazioni che abbiamo chiamato composti stretti (cavolfiore) e a quelle che la frequenza d'uso sta rendendo semanticamente opache (pescecane), possiamo dire che si tratta di composti perché esiste sempre la relazione di iponimia con la testa e le formazioni hanno, comunque, semantica composizionale. Di contro, possiamo includere tra le polirematiche complessi quali conferenza stampa e anima gemella perché in entrambi i casi non si parla di entità iponime della testa: nel primo caso, infatti si fa riferimento ad una intervista e non ad una conferenza mentre Yanima gemella non è un'anima.

2.1.2.

Composti nominali AB

I composti nominali sono formazioni, abitualmente a due costituenti, la cui struttura può essere data da N+N (caposquadra), N+A (vino rosso), A+N (gentildonna), P+N (sottoscala), V+V (saliscendi), V+N (asciugacapelli), V+AVV (buttafuori). I composti con struttura N+N, N+A e A+N sono normalmente endocentrici, anche se non si possono escludere costruzioni N+A esocentriche quali pellerossa e crocerossa. Le strutture P+N, V+V, V+N e V+AVV formano invece composti esocentrici. Le formazioni N+N sono, tra gli endocentrici, quelle massimamente produttive; ad esse seguono, a distanza ragguardevole, i composti con struttura N+A. Le forme con struttura A+N sono considerate non produttive (Scalise 1994, 124). Tra i composti esocentrici le formazioni produttive sono quasi esclusivamente quelle di tipo V+N.

2.1. Composizione con elementi italiani

37

2.1.2.1. Composti N+N coordinati AB Sono abbastanza diffusi a tutti i livelli di lingua, ma soprattutto nello scritto dei giornali. Sono formazioni giustapposte che, seguendo Tollemache 1945, 35-37, possiamo distinguere in apposizionali e copulative. 1 Le prime si hanno quando il nome testa è seguito da un altro nome in funzione di apposizione: edizione pirata (in cui pirata significa "abusiva o non autorizzata"), viaggio lampo (dove lampo significa "di breve durata"), parola chiave (dove chiave significa "fondamentale"), auto civetta, discussione fiume, candela mangiafumo, calcio balilla, battello mosca ecc. Sono caratterizzate da una interpretazione figurata o comunque non letterale della non-testa. E questa caratteristica, a mio avviso, che permette di tracciare il confine tra i coordinati apposizionali, i coordinati copulativi e i composti N+N subordinati. Sono interpretabili come coordinati perché l'oggetto cui fanno riferimento ha le caratteristiche, pur se in senso figurato, come detto, di entrambi i nomi costituenti. Nonostante la coordinazione, accolgono il plurale solo sul costituente in prima posizione (viaggi lampo, edizioni pirata ecc.) proprio in ragione dell'interpretazione figurata del secondo nome. Come, e forse più dei copulativi, ammettono con grande facilità l'interpretazione subordinata: "una discussione lunga come un fiume", "una candela che mangia il fumo" ecc. I coordinati copulativi si hanno quando i due nomi sono legati dalla copula nonostante essa non sia presente (compravendita). Godono della caratteristica di avere due teste: non si può infatti affermare la prominenza semantica di uno dei due nomi e considerare l'altro nome come un modificatore. Possono fare riferimento: (a) a due professioni o ruoli svolti da una persona (architetto-arredatore, studente-lavoratore, scrittore-regista, linguistapsicologo, capocronista ecc.), (b) a due strumenti (pulitore-annaffiatore, misuratore-dosatore, filtropressa), (c) ad un locale che riunisce in sé due attività (bar-pasticceria, ristorante-pizzeria) oppure indicare (d) due attività che si compiono contemporaneamente (compravendita), (e) due concezioni politico-filosofiche (marxismo-leninismo), (f) un contenitore che svolge anche un'altra funzione (cassapanca, cassamadia)·, altre volte indicano (g) un indumento che assomma in sé le caratteristiche di due (calzamaglia) oppure (h) un miscuglio di due alimenti (lattemiele, caffe(l)latte) o altre sostanze (vetroceramica, ceralacca, cartongesso, fluorocarburo, mercurocromo,2 lana-cotone, cremortartaro), (i) l'insieme di due o più conformazioni nuvolose (cirrostrato, cumulonembo, stratocumulo) ecc.

2

La definizione di giustapposto coordinato appositivo e copulativo di Tollemache non coincide con la nozione di composto coordinato appositivo e copulativo proposta in parecchi lavori sull'argomento, in particolare relativamente all'inglese (cfr., ad esempio, Bauer 1988, 30-31 e Spencer 2003). A parte la differenza che Tollemache introduce tra giustapposto e composto che è stata ora cancellata a favore del solo termine composti, Bauer, ad esempio, sostiene che sono composti coordinati apposizionali le formazioni in cui entrambi i costituenti sono testa (quindi del tipo di cantante attore) mentre definisce copulative le costruzioni in cui non vi è relazione di iponimia con uno dei costituenti ma i due nomi indicano due entità che si combinano a formare l'entità definita dal composto (cartongesso, Friuli Venezia Giulia). Adotterò per i composti dell'italiano la definizione proposta da Tollemache che mi sembra meglio riflettere le proprietà delle formazioni italiane, proprietà che suggeriscono anche raggruppamenti ulteriori. In questa parola il primo costituente appare come mercuro anziché mercurio probabilmente perché viene dall'inglese mercurochrome (cfr. Zingarelli 2000).

38

2.

Composizione

Teoricamente, i composti coordinati copulativi possono essere formati a partire da coppie qualsiasi di nomi purché tra essi sia logicamente possibile stabilire un rapporto di coordinazione. Prendono il genere del costituente di sinistra: il ristorante-pizzeria ma la pizzeria-ristorante. Il plurale si trova in entrambi i costituenti quando i due nomi hanno lo stesso genere e sono declinabili (capiredattori, scrittori-registi, cassemadie). Ovviamente rimangono invariati se formati da nomi indeclinabili (i lattemiele) mentre realizzano il plurale solo sul primo costituente quando i due nomi sono di genere diverso: ristoranti-pizzeria e pizzerie-ristorante. Se alla differenza di genere si associa la indeclinabilità del costituente che assegna il genere al complesso (come in bar pasticceria) il composto è invariabile (i bar-pasticceria); non sono pluralizzabili i complessi che indicano un composto chimico (fluorocarburo, mercurocromo) ma anche le formazioni come lana-cotone che indicano un miscuglio non separabile. Il primo costituente può inoltre non accogliere il morfema di plurale se il composto è in via di lessicalizzazione (cassapanche) o lessicalizzato (arcobaleni,, compravendite, chiaroscuri). La presenza del plurale solo sul secondo costituente può essere indice dell'interpretazione non coordinata ma subordinata dei composti. È questo il caso, ad esempio, delle formazioni con la parola capo in prima posizione: i capomacchinisti e i capocamerieri sono "capi dei macchinisti" e "capi dei camerieri" ma non sono a loro volta macchinisti e camerieri. Il fenomeno dello slittamento da una interpretazione copulativa ad una determinativa (cioè subordinata, cfr. 2.1.2.2.1.), non è raro in italiano, come non lo è in altre lingue (cfr. Olsen 2001, 293): architetto-arredatore può essere sia un "architetto che svolge entrambe le attività di architetto e arredatore" sia un "architetto che svolge unicamente attività di arredatore". Il primo costituente di un composto copulativo può manifestare troncamento di suffisso, come macinadosatore, laringe-faringite, cantautore, cesaropapismo, oppure troncamento di una stringa che non è un suffisso come frigobar in cui il troncamento riguarda la stringa -rifero (la parola va interpretata come frigorifero-bar)·, in cartolibraio e cartolibreria, che significano rispettivamente "cartolaio-libraio" e "cartoleria-libreria" il troncamento riguarda i suffissi -aio ed -eria ma coinvolge anche il segmento Ζ che cade nella prima parola dopo il troncamento (carto-l-aio / carto-l-eria). Nella serie ricetrasmissione / trasmittente / trasmettitore il troncamento riguarda la stringa -vitore di ricevitore·, in girobussola "giroscopio-bussola" è l'elemento -scopio ad essere coinvolto nel troncamento e in tragicommedia "tragedia-commedia" il troncamento della sequenza -edia è accompagnato dall'inserzione di una vocale di raccordo (i, in questo caso) che non appartiene a nessuno dei due costituenti. Una vocale di raccordo è anche la vocale finale di laringe e di cesaro in laringo-faringite e cesaro-papismo. In queste formazioni il morfema di plurale appare solo sulla parola di destra (cartolibrai, cantautori, macinadosatori, laringofaringiti, ricetrasmittenti) quando il nome in seconda posizione non è invariabile (i frigobar). La coordinazione copulativa permette la formazione, non usuale per altre strutture compositive, di composti a più di due costituenti: calciatore-attore-cantante, attore-registaproduttore, bar-ristorante-pizzeria, camiceria-calzetteria-guanteria ecc. Questi composti godono anche della caratteristica di non avere ordine fisso in quanto le parole costituenti possono essere invertite.

2.1. Composizione

2.1.2.1.1.

con elementi

italiani

39

Composti N+N coordinati esocentrici AB

I composti coordinati copulativi possono anche essere privi dell'elemento testa. Sono di due tipi, il tipo Emilia-Romagna e il tipo governo-sindacati. 2.1.2.1.1.1. Il tipo Emilia-Romagna, centrodestra AB Indicano una entità che non corrisponde a nessuna delle due componenti prese singolarmente ma l'insieme (distinguibile) di esse. Sono dati dall'accoppiamento di nomi propri (Alsazia-Lorena, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Austria-Ungheria) oppure indicano alleanze politiche (centrodestra, centrosinistra). La caratteristica di queste formazioni, che le differenzia dalle precedenti endocentriche, è data dal fatto che le due entità che entrano in composizione non si fondono a formare una unità inscindibile ma rimangono ben individuabili. Il genere del composto è determinato dalla parola di sinistra, come si può verificare dai composti che contengono due termini di genere diverso: il Friuli-Venezia Giulia. Le formazioni costituite da due nomi propri non sono pluralizzabili; rimangono invariabili anche le formazioni che fanno riferimento ad alleanze politiche: il / i centrodestra e il/i centrosinistra. 2.1.2.1.1.2. Il tipo governo-sindacati AB II secondo sottogruppo di coordinati copulativi esocentrici è dato dalle costruzioni del tipo di governo-sindacati, madre-figlio, polizia-manifestanti, stato-regioni, mente-cervello, scuola-formazione-imprenditoria. Tali costruzioni hanno due particolarità: (a) indicano due (o più) entità che nella formazione composta rimangono separate, (b) non possono mai apparire da sole ma necessitano di un terzo elemento cui appoggiarsi: vertenza governosindacati, relazione madre-figlio, scontro polizia-manifestanti, conferenza stato-regioni, problema mente-cervello, incontro scuola-formazione-imprenditoria. I composti appena elencati sono i rappresentanti di una formazione complessa tra i cui costituenti, cioè tra il composto coordinato copulativo che si trova in seconda posizione e il nome in posizione iniziale (che funge da testa), si instaura una relazione "tra". L'interpretazione di queste costruzioni, che diventano composti nominali di subordinazione, è infatti "vertenza tra governo e sindacati", "relazione tra madre e figlio", "problema della relazione tra mente e cervello" ecc. Questo non è, però, il solo tipo di relazione che si può stabilire: in analisi costi-profitti, ad esempio, la relazione è di specificazione ("analisi dei costi e dei profitti"); si fa riferimento ai due autori con il complesso ipotesi Sapir-Whorf, mentre dipartimento scuola-educazione si interpreta come "dipartimento per la scuola e l'educazione". È particolarmente difficile attribuire categoria lessicale a queste formazioni perché, pur funzionando da modificatori del nome testa non manifestano proprietà aggettivali.

2.1.2.2.

Composti N+N subordinati AB

La caratteristica principale di questi composti è data dalla possibilità di istituire tra le parole costituenti una relazione semantica variabile. Talvolta la relazione è di semplice specificazione, come in capostazione che può essere definito come "capo della stazione" e fondo-

40

2.

Composizione

valle che significa "fondo della valle"; altre volte la relazione deve invece essere resa attraverso una parafrasi che dà conto delle associazioni semantiche possibili, come in pescespada "pesce con il muso allungato in forma di una spada appuntita", giornale-panino "due quotidiani venduti assieme quasi a formare un panino", treno merci "treno adibito al trasporto di merci" ecc. Possono avere la testa a sinistra (nella maggior parte dei casi) e quindi seguire l'ordine romanzo tipico oppure a destra ed assomigliare o alle formazioni delle lingue germaniche oppure a quelle «latine». 2.1.2.2.1. Formazioni N+N subordinate con testa a sinistra AB Sono molto diffuse in italiano le formazioni quali pescemartello, vagone letto, treno merci, centrocampo / classifica, sala giochi, ufficio acquisti. Sono i cosiddetti composti determinativi (ten Hacken 1994, 38; Olsen 2001, 898) che indicano una sottoclasse della classe degli oggetti individuati dalla testa e nei quali il nome di destra si pone come una specificazione restrittiva del nome che lo precede (cfr. Giorgi 1988, 312): il pescemartello è un pesce con determinate caratteristiche di conformazione fisica, il vagone letto è, tra i vagoni di un treno, quello attrezzato con dei letti ecc. Realizzano il plurale nel costituente testa: pescimartello, vagoni letto, sale giochi ecc. Ci sono anche formazioni che realizzano il plurale alla fine o perché sono lessicalizzate (cavolfiore / cavolfiori) oppure in ragione della frequenza d'uso (pescecane / pescecani). I composti con la parola pesce come testa si comportano diversamente quanto al plurale, in genere in relazione al grado di lessicalizzazione che li rende composti stretti: pescecane ha almeno due plurali, pescicani e pescecani,1 pescespada invece fa pescispada. Per pescegatto, un pesce d'acqua dolce conosciuto soprattutto in Veneto, in un volume su Treviso (Stocco, B., Gente delle calli, Sommacampagna, Cierre Edizioni, 2000, 11) vi è il plurale pescegatti. Una eccezione è rappresentata finesettimana, che è un calco dall'inglese, al quale è stato attribuito il genere maschile anche se, nel significato che assume nel composto, la parola fine è femminile (si fa riferimento alla "fine della settimana"). Motivare la discordanza in questo caso non è semplice; in questo composto il genere maschile si spiega solo se si pensa al genere non marcato dell'italiano oppure al (presunto) genere della parola inglese originaria. In linea di principio, composti di questo tipo se ne possono formare piuttosto liberamente purché tra i due costituenti sia possibile stabilire una relazione semantica di un qualche tipo. La libertà di formazione, tuttavia, non può essere paragonata a quella esistente in lingue quali l'inglese, l'olandese o il tedesco che permettono la formazione di composti anche laddove in italiano non è possibile (es. ingl. toyshop, it. negozio di giocattoli). Data la polisemia delle parole, può accadere che il significato del nome testa non abbia sempre, nel composto, lo stesso significato. Nell'insieme dei composti con capo, ad esempio, si possono distinguere due sottogruppi nel primo dei quali il termine capo ha il significato "capo, responsabile" (capodipartimento, capobanda, capomafia, capostazione, caposquadriglia) mentre nel secondo gruppo fa riferimento ad una entità non animata, un "inizio" (capopagina, capolinea) oppure ad una posizione particolare (capotavola "estremità della tavola"). È possibile, ovviamente, trovare formazioni lessicalizzate nelle quali sono formalmente riconoscibili i due costituenti ma non è prevedibile il significato, come in capobastone, capocollo e capocielo. Con il primo composto, che significa "capozona ma1

Le due forme di plurale sono attestate sia nello Zingarelli 2000 che nel DISC.

2.1. Composizione

con elementi

italiani

41

fioso", si fa riferimento ad un individuo che svolge mansioni di capo ma nel quale la relazione con bastone non è chiara; il capocollo è un insaccato e la relazione tra i due nomi non è evidente come non lo è in capocielo, che, in alcune chiese, è un baldacchino sospeso sopra l'altare maggiore. I nomi che formano il composto subordinato possono venire usati metonimicamente, come accade, ad esempio, in capostanza e capoufficio nei quali i costituenti non-testa stanza e ufficio stanno per 1'"insieme delle persone che lavorano in una stanza e in un ufficio" e il rapporto metonimico è quindi del tipo "contenitore per il contenuto". Può anche darsi la situazione opposta, che si verifica ad esempio in vagone letto, la cui interpretazione è "vagone che contiene degli scompartimenti attrezzati con dei letti", per cui letto esemplifica il rapporto "contenuto per il contenitore". La metonimia può riguardare anche la parola testa, come nelle costruzioni del tipo di ufficio vendite / informazioni nelle quali (come nel caso precedente), per ufficio si intende la "persona o insieme delle persone che vi lavorano". Sono costruzioni N+N quelle che si formano dall'unione di un nome di colore in posizione iniziale con un altro nome che funziona da non-testa e che costituisce un termine di paragone. Sono le formazioni come verde bottiglia / mare, giallo limone, nero fumo, grigio perla, rosso fuoco la cui parafrasi è: "verde come (è verde) una bottiglia / il mare", "giallo come (è giallo) un limone" ecc. (cfr. Marchand 19692, 85ss. che analizza le corrispondenti formazioni dell'inglese come composti aggettivali). Questi composti, che hanno funzione di apposizione di nomi, sono indeclinabili (un maglione verde mela, tre sciarpe rosso mattone). 2.1.2.2.1.1. Il tipo trasporto latte AB Sono composti con testa a sinistra anche le formazioni del tipo di trasporto latte, riparazione gomme, asporto rifiuti, controllo passaporti, raccolta francobolli. Si tratta di formazioni la cui peculiarità è data dal tipo di relazione che vige tra i due costituenti, che è argomentale. Queste formazioni si situano, in modo particolare, al confine tra composti e sintagmi in quanto ammettono la modificazione interna (rivendita tabacchi nazionali, trasporto rapido latte) che non è invece accettabile nelle altre forme composte (*treno veloce merci). Quando sottoposte ai test (sintattici) utilizzati per verificare l'appartenenza delle costruzioni complesse ai composti, 1 tuttavia, tali formazioni mostrano un comportamento che dimostra la indisponibilità sintattica del costituente non-testa che ci permette di collocare queste formazioni tra i composti come si può vedere in (1): (1)

a. trasporto latte

- Di quale trasporto ti occuperai oggi? *Di quello latte? - *È latte il trasporto di cui ti occuperai oggi? b. rivendita tabacchi - *È tabacchi la rivendita di via Cartolerie?

Formazioni di questo tipo si trovano soprattutto in intestazioni e costituiscono spesso un gergo che potremmo chiamare delle «etichette».

1

Cfr. ten Hacken 1994.

42

2. Composizione

2.1.2.2.1.2. Il tipo direzione ufficio acquisti AB È dato da strutture, molto vicine anch'esse ai sintagmi e appartenenti al «gergo delle etichette», formate da più di due elementi. In ogni caso la testa della formazione è la prima parola e ciò che segue va visto come un composto: direzione ufficio acquisti è la "direzione dell'ufficio acquisti", divieto scarico materiali va interpretato come un "divieto di scarico materiali". In una sequenza come segreteria direzione ufficio vendite la struttura è la seguente: [segreteria [direzione [ufficio vendite]]] e la testa dell'intero è il primo nome (segreteria). 2.1.2.2.2.

Formazioni N+N subordinate con testa a destra AB

I composti dell'italiano, come si è detto, hanno normalmente testa a sinistra e le formazioni nelle quali la testa non è la parola di sinistra sono o di origine latina (barbitonsore, terremoto, manoscritto, motuleso ecc.) oppure sono calchi / prestiti da altre lingue (cartamoneta, scuola bus ecc.). In genere, queste formazioni sono considerate non produttive (cfr. Scalise 1994, 129ss.), ma a dire il vero attualmente ne esiste un numero notevole e nuove coniazioni si riscontrano ovunque, soprattutto nel lessico pubblicitario. Nonostante le formazioni possano essere raggruppate insieme, presentano differenze che è utile sottolineare. 2.1.2.2.2.1. Il tipo calciomercato AB A questo tipo appartengono composti come calciomercato, cacciabombardiere, piano / acqua bar, vetrocemento, filodiffusione, acquascivolo, cartamodello, gasdinamica, aerosolterapia. Si tratta di formazioni che possono essere coniate con grande facilità e possono essere anche occasionali come sono Auchan-mania / occasioni.1 Copiano la struttura dei composti delle lingue germaniche, in particolare tedesco e inglese, ma per esse non si può parlare di calchi perché etimologicamente non lo sono, non corrispondono cioè ad una parallela formazione straniera. Si interpretano da destra a sinistra e, come anche per i composti con ordine romanzo, la relazione tra i costituenti è variabile: la gasdinamica è la "dinamica dei gas", il vetrocemento è il "cemento in cui sono inserite mattonelle di vetro", Γaerosolterapia è una "terapia effettuata con medicinali allo stato di aerosol", Y acquascivolo è uno "scivolo che fa cadere in acqua". Il genere delle formazioni è dato dal genere del costituente di destra, quindi sono femminili o maschili in accordo con il genere della parola di destra. Sono possibili delle eccezioni, come si riscontra in calcio scommesse che è maschile singolare nonostante il nome testa sia il plurale femminile scommesse. Non è facile comprendere la ragione di questa discordanza, perché l'interpretazione più corretta del composto è "scommesse che si fanno sul calcio" piuttosto che il "(settore del gioco del) calcio (che si occupa) delle scommesse" lettura, quest'ultima, che giustificherebbe la concordanza del complesso con il genere del primo costituente. In questo caso, però, il composto dovrebbe essere collocato tra le formazioni di struttura romanza. Quando possono essere pluralizzati, accolgono il morfema di plurale sulla sola testa. Nella maggior parte dei casi sono formati da due nomi ma se ne possono costruire, anche se con minor facilità, con in prima posizione un costituente che ha valore avverbiale (lungodegente, lungodegenza e Queste due espressioni sono apparse di recente in un dépliant pubblicitario di un supermercato.

2.1. Composizione con elementi italiani

43

chiaroveggente). In alcuni casi il costituente non-testa presenta in posizione finale una vocale di raccordo (lattoalbumina, malarioterapia, musicomania, fluidodinamica) o manifesta troncamento di sillaba (aplologia) come in morfonologia e in musicassetta. 2.1.2.2.2.2. Il tipo madrelingua AB Le formazioni come ferrovia, madrelingua, borgomastro, madrepatria, reginamadre, scuolabus differiscono dalle precedenti per il fatto di essere dei calchi lessicali, di essere cioè formati per «traduzione» delle parti di un composto straniero del quale mantengono l'ordine. Ciò nonostante le formazioni vengono interpretate come formazioni originarie dell'italiano e si può dire che la ferrovia è una "via di ferro", che la regina madre è la "madre della regina", che la madrelingua è la "lingua appresa dalla madre" ecc. 2.1.2.2.2.3. Il tipo fruttivendolo AB Fruttivendolo e la serie di forme che hanno come primo costituente pesci-1 frutti- / stracci/ polli- / penni- / erbi- / latti-, nomi che contengono tutti in posizione finale una i analogica al tipo latino sanguisuga, appartiene ad un gruppo che può essere definito «chiuso» dal punto di vista della composizione. La forma -vendolo, ancor oggi interpretabile come derivato del verbo vendere, non ha infatti utilizzo come parola indipendente ed ha acquistato valore di elemento formativo. L'italiano conosce una sola eccezione alle forme con -vendolo data da panicuocolo che, pur essendo di origine latina medievale, potrebbe essere analizzata come appartenente al tipo in analisi e quindi -cuocolo essere considerato un deverbale di cuocere. L'altra parola che sembra avere la stessa struttura, manutengolo, è data, nel DISC, come un derivato da un antico (e non più attuale) manutenere. La sola probabilità di nuove formazioni è legata alla possibilità di variare il nome in prima posizione, perché non esiste un suffisso '-olo che formi nomi deverbali.

2.1.2.3.

Composti nominali numerali AB

Appartengono ai composti nominali anche formazioni quali seimilioni, quattromiliardi ecc. Nelle costruzioni di questo tipo, infatti, la struttura è NUM+N: il quantificatore numerale precede il nome e poiché si fa riferimento, in entrambi i casi, a milioni e miliardi, che sono nomi, si ha a che fare con formazioni con testa a destra nelle quali il quantificatore numerale funge da costituente non-testa.

2.1.2.4.

Composti nominali con aggettivo AB

Le formazioni nominali che contengono un aggettivo hanno testa a sinistra quando l'aggettivo segue il nome (nave spaziale, camera oscura) e testa a destra quando l'aggettivo precede (altoforno, primo attore). Quando non si tratta di costruzioni lessicalizzate (come gentiluomo, gentildonna), può essere problematico stabilire se l'insieme formato da un nome e un aggettivo è un composto oppure no. Il test più comune cui si fa ricorso per le formazioni N+N, quello della (non) inseribilità di materiale fonologicamente realizzato,

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2.

Composizione

non è valido per le parole complesse con questa struttura in quanto non è decisivo. Anche alcune costruzioni sintagmatiche, infatti, possono non ammettere la modificazione interna;1 si tratta degli insiemi costituiti da un nome e da un aggettivo di relazione che, come si è già accennato (cfr. 2.1.), sono unità sintattiche «chiuse» e, come tali, non permettono inserzione di materiale (ad es. cellula nervosa / *cellula molto nervosa) come accade anche alle formazioni composte: scatola cranica / *scatola davvero cranica. Il criterio cui far ricorso per determinare la natura di composto di una sequenza N+A può però essere individuato in una caratteristica particolare riguardante il funzionamento degli aggettivi nei composti in base alla quale essi devono agire da restrittori del nome, non devono funzionare da aggettivi qualificativi. Una costruzione come sci alpino / nordico, pertanto, può essere collocata tra i composti in virtù del fatto che l'aggettivo funziona in senso restrittivo. Questa non è però la sola funzione che l'aggettivo può svolgere; talvolta esso svolge prima una funzione di espansione del significato del nome e poi una funzione restrittiva. Nel composto scatola cranica ad esempio, che denota l'insieme delle ossa del cranio, l'aggettivo può essere considerato avere due funzioni: la prima è quella di estendere alle ossa del cranio la denotazione scatola mentre la seconda è invece quella di restringere e specificare il significato esteso del nome (cfr. ten Hacken, 1994, 71). Il criterio definitorio di composto con struttura nome + aggettivo sembra quindi stare in questa proprietà dell'aggettivo. È questo duplice comportamento dell'aggettivo a permettere di collocare formazioni quali nave spaziale, sabbie mobili, cartone animato, giochi olimpici, acqua ragia, terraferma ecc. tra i composti. Ovviamente, trattandosi di costruzioni con testa a sinistra, l'interpretazione si sviluppa a partire dal costituente nominale. Le formazioni come mezza festa, bassorilievo, medio borghese, bassopiano, altoforno sono composti con testa a destra che si interpretano, invece, da destra a sinistra. La possibilità di classificare le formazioni di questo tipo tra i composti è da mettere in relazione con il fatto che l'aggettivo, che si trova in posizione prenominale, assume un'accezione particolare; la mezza festa, infatti, non è una "festa a metà" ma significa "festa solo per mezza giornata", il bassorilievo è un "rilievo (scultoreo) in cui le forme sono «basse» cioè poco rialzate dal piano di fondo", un piccolo borghese è un "borghese che appartiene alla borghesia di ceto medio", il bassopiano è un "piano (una pianura) poco elevato sul livello del mare" e Y altoforno è un "forno particolare che si sviluppa in altezza". Si individua quindi in queste formazioni sia la funzione speciale di restrizione / espansione che l'aggettivo svolge all'interno delle forme composte (come in altoforno che significa che il forno è «alto» dal punto di vista della dimensione, ma «essere alto» non è una proprietà prototipica dei forni), sia il significato speciale che gli aggettivi in posizione prenominale sovente manifestano in ragione del fatto che questa è, in italiano, una posizione marcata. L'aggettivo che si trova in prima posizione può subire un processo di cancellazione di vocale (socialdemocrazia), come accade al primo costituente delle formazioni N+N.

Le opinioni sulla natura dei complessi N+A con A di relazione non sono concordi, ten Hacken 1994, ad esempio, sostiene che essendo queste delle costruzioni «chiuse» alla sintassi, essendo cioè delle unità di discorso, debbono considerarsi composti. Per le costruzioni dello stesso tipo del neogreco si veda Ralli / Stavrou 1998.

2.1. Composizione con elementi italiani

45

2.1.2.5. Composti nominali esocentrici AB Le formazioni esocentriche di tipo subordinato maggiormente diffuse sono quelle comunemente definite V+N. Sono composti del tipo di scacciapensieri, spargisale, copri/asce che sono tipici delle lingue romanze e non solo dell'italiano (cfr. Tekavcic 19802, § 1127). La loro caratteristica, che li differenzia dagli altri tipi di composti di subordinazione ma li accosta alle formazioni di tipo riparazione gomme, consiste nell'avere come secondo costituente il nome che il verbo richiede come complemento oggetto. Questi composti sono stati al centro dell'attenzione degli studiosi di lingue romanze fin dalla seconda metà dell'Ottocento, in particolare in ragione del fatto che il costituente verbale ha una forma che può essere giustificata diversamente: scaccia, spargi e copri, rispettivamente in scacciapensieri, spargisale, coprifasce, possono infatti essere interpretate come (a) un imperativo di seconda persona singolare (cfr. Diez 1870-1875 3 , Darmsteter 18942, Meyer-Liibke 1890, 580-581; Prati 1931, 90, lOOss.), (b) un presente indicativo di terza persona singolare (Tollemache 1945, 183; Dardano 1978, 148ss.), (c) un tema verbale (Pagliaro 1930, 158ss.; Hall Jr. 1948, 382ss.; Vogel / Napoli 1995; Gather 2001). Considerare il verbo come un presente indicativo o un tema porta ad una conseguenza: è cioè necessario giustificare la presenza della i, anziché di una e, come vocale tematica dei verbi di seconda coniugazione (il tema spreme di spremere) diventa spremi in spremiagrumi), problema che al contrario non si pone se il verbo viene considerato essere un imperativo. La tesi dell'imperativo, che gli studi di morfologia lessicale contemporanei avevano quasi escluso in ragione del fatto che semanticamente non è più possibile attribuire valore imperativale alle formazioni V+N che indicano degli strumenti (cfr. ad esempio, Scalise 1992a, 192), è stata di recente riproposta e si è sostenuto che il verbo sia un imperativo non «attualizzato» (Di Sciullo / Ralli 1994, 61-75) oppure abbia la forma di imperativo pur se semanticamente non lo è (Rainer 2001a, 389SS.).1 Le formazioni V+N sono state inoltre studiate in relazione al problema della loro nominalizzazione, tentando cioè di dare giustificazione al fatto che queste formazioni esocentriche sono, nella maggior parte dei casi, interpretabili come nomi agentivi o strumentali. In particolare, le proposte sono state di due tipi: si è proposto (a) un processo di nominalizzazione tramite un suffisso zero del complesso V+N che renderebbe in realtà i composti dei derivati (cfr. Scalise 1983, 139), (b) di considerare il verbo come un derivato agentivo / strumentale ottenuto tramite suffissazione zero (Zuffi 1981) oppure tramite il suffisso nominalizzante -tore che verrebbe poi cancellato (Bisetto 1999, 530ss.); queste proposte avrebbero come conseguenza di rendere i composti endocentrici e, almeno la seconda, di giustificare il passaggio, nei verbi di seconda coniugazione, della vocale tematica da e in i come conseguenza della derivazione. La lettura agentiva / strumentale non è sempre realizzabile, nonostante si tratti della maggior parte dei casi; vi sono, infatti, composti che hanno interpretazione di "attività" (ammaina / alzabandiera corrispondono all'ammainare e all'alzare la bandiera), oppure composti che possono essere visti come dei "luoghi" (il puntaspilli, ad esempio, è un oggetto su cui vengono infilzati gli spilli mentre il posacenere è un oggetto nel quale si fa cadere la cenere). Altre volte il nome che segue il verbo e che abitualmente corrisponde al 1

Rainer suggerisce questa soluzione anche per i composti V+N dello spagnolo in cui il verbo ha però la forma (ma non il significato) dell'indicativo.

46

2.

Composizione

complemento oggetto, ne costituisce invece il soggetto come in tornaconto, girasole e batticuore (in batticuore ad esempio, cuore è il soggetto di battere e il composto non può essere interpretato come "battitore di cuore" ma come "battito del cuore"). In queste formazioni, secondo Bisetto 1999, il suffisso non sarebbe l'agentivo / strumentale -tore ma ci sarebbero altri suffissi in grado di dar conto delle nominalizzazioni indicanti rispettivamente "attività" (ammainamento della bandiera, battito del cuore), "luogo" (puntatolo per gli spilli) ecc. In ogni caso si tratta di formazioni non più produttive. Nel gruppo dei composti V+N si possono trovare anche delle formazioni semanticamente lessicalizzate come fabbisogno s falegname. Questi composti esocentrici sono in genere indeclinabili, per cui non è possibile aggiungere il morfema del plurale (gli spazzaneve, gli ammainabandiera, gli spargisale). Non deve essere confuso con il plurale dell'intero composto il plurale che appare sovente nel nome come in spremiagrumi, portalettere, lavastoviglie-, in questo caso si tratta di un «plurale interno» (cfr. Scalise 1983, 228) che non influenza il numero singolare del composto. Ci sono, ovviamente, delle eccezioni che pertengono al parlato: portacenere ha il plurale portaceneri (il nome cenere del composto è un nome indeclinabile; le ceneri sono una entità differente, sono "ciò che resta del corpo dopo la cremazione"), portarossetti deve essere interpretato come il plurale di portarossetto in quanto l'astuccio cui si fa riferimento può contenere un solo rossetto; asciugamani è il plurale di asciugamano (anche se il telo che il composto indica serve ad asciugare "le mani"). I composti che contengono un verbo in prima posizione possono essere seguiti anche da un altro verbo (fuggi-fuggi, pigia-pigia, lecca-lecca, saliscendi, dormiveglia, andirivieni, bagnasciuga, tiramolla) e in questo caso sono interpretabili come forme di coordinazione (esocentrica, ovviamente), da un avverbio o preposizione (buttafuori, posapiano, vogavanti, cacasotto, caricabbasso, corridietro), da un aggettivo / aggettivo indefinito (cascamorto, scassaquindici, tritatutto, passatutto), da un sintagma preposizionale (messinscena, piscialletto)·, si tratta però di formazioni non produttive e talvolta lessicalizzate, nel senso che il loro significato (come in caricabbasso e scassaquindici) non può essere costruito sommando i significati dei componenti. Pochi, e sicuramente non produttivi, sono i casi di composti nominali con struttura AVV+V come benestare e benessere·, si collocano tra i latinismi sanguisuga e parricida cui viene assegnata la struttura N+V ma che sono attualmente inanalizzabili in quanto la segmentazione non produce forme di parola esistenti, ad eccezione di sangui- che è facilmente interpretabile come sangue e in cui appare la vocale di raccordo i. I composti esocentrici di tipo V+N non sono le sole formazioni esocentriche possibili, ve ne sono altre che combinano categorie lessicali con le stesse restrizioni valide per i composti endocentrici. Se ne possono formare abbastanza liberamente con un elemento nominale che non funge però da testa del composto e la cui struttura può essere N+N (nord-est, pallavolo / canestro1), N+A (sanguemisto, visopallido, pellerossa, crocerossa), A+N (purosangue, ottusangolo, obliquangolo, imprisillabo, destrimano - che sono anche nomi - , grandufficiale, mezzomarinaio, dolcevita, biancospino, mezzala), NUM+N (mille / centoEntrambe le parole sono considerate la riduzione di sintagmi, rispettivamente palla a volo e palla a canestro. Questa struttura originaria è attribuita anche agli altri composti con palla come pallanuoto, pallamano, pallamuro ecc. (cfr. DISC). Nonostante siano femminili come il nome in prima posizione, non si parla di "palle" bensì di "giochi / attività sportive che si fanno con la palla".

2.1. Composizione con elementi italiani

47

piedi, millefoglie), N+AVV (centravanti), AVV+N (avantilettera, avanscoperta / corpo / guardia (nei quali avan sta per "avanti"), fuoribordo / busta / campo / classe / gioco). Ci sono infine i complessi formati da P+N (senzatetto / casa / dio / lavoro / patria, sottoascella / scala / vaso / piede, dopofestival / scuola / lavoro / guerra)}

2.1.3. Composti aggettivali AB Appartengono alle formazioni coordinate i composti formati da due aggettivi che possono comparire o nella usuale forma di parola libera come agrodolce, dolceamaro, cecoslovacco, cristiano sociale, dacoromeno, lacero-contuso, sordomuto, oppure con un riaggiustamento interno che può consistere: (a) nella cancellazione di vocale, come in imperial-regio e biancazzurro, (b) nel troncamento di suffisso, come in balt(ic)oslavo, organ(ic)ometallico, dorso(ale)ventrale (in cui appare anche la vocale o di raccordo), ort(icol)ofrutticolo, (c) nell'aplologia (eroi(co)comico, tragi(co)comico), (d) nella cancellazione di una sequenza, come in ferrotranviario in cui è stato cancellato viario che corrisponde ad un aggettivo indipendente. Sono particolarmente produttive le costruzioni formate da due aggettivi di colore, in particolare nel gergo del gioco del calcio, dove stanno ad indicare i colori solitamente caratterizzanti le magliette indossate dai giocatori: bianconero, rossoblu, gialloverde ecc. Le forme vengono interpretate come se tra esse vi fosse la congiunzione e e godono della caratteristica dei composti coordinati di avere due teste, nel senso che l'aggettivo composto indica le due proprietà in modo congiunto. Nonostante non vi sia alcun tipo di restrizione che impedisce di invertire l'ordine dei costituenti, queste formazioni hanno, solitamente, ordine fisso. Sono possibili, anche se non diffuse, formazioni subordinate con un aggettivo in seconda posizione e un nome in prima: occhiazzurro / ceruleo / bendato, chiomazzurro che si interpretano da destra a sinistra ("azzurro / ceruleo di occhi", "bendato agli occhi", "azzurro di chioma"). A dire il vero una interpretazione di direzione opposta - cioè del tipo "con gli occhi azzurri / cerulei / bendati" ecc. - sembrerebbe maggiormente accettabile, ma in questo caso la mancanza di accordo tra il nome e l'aggettivo giustifica la prima lettura. Fanno parte di questo gruppo anche le forme, ormai lessicalizzate, come capinera, codimozzo, pettirosso che sono nomi di uccelli. 2 Sono composte da un avverbio e un aggettivo altre costruzioni sporadiche: mal / beneducato / odorante / fidato / nato / sano / sicuro ecc. che sono interessate dalla cancellazione della vocale e di male / bene, diversamente da chiaroveggente e sempreverde in cui la cancellazione non opera. Si possono formare composti aggettivali anche mettendo insieme un nome di colore e un aggettivo come biancovestito, blucerchiato che vengono quindi ad avere testa a destra.

2

La distinzione tra avverbio e preposizione nel caso di forme come fuori, dopo ecc. è spesso problematica perché la sintassi contemporanea tende a considerare queste parole come preposizioni che possono essere transitive o intransitive. Da qui la possibilità di raggruppare i composti che le contengono in modo diverso. Per la giustificazione di questa vocale si veda Zamboni 1997 e la bibliografia ivi citata.

48

2.

Composizione

Sono composti aggettivali con testa a destra anche vasocostrittore / motore / dilatatore nei quali le parole costrittore, dilatatore, motore sono da considerare aggettivi. Accolgono il plurale nel costituente testa e quindi si accordano con il nome cui si accompagnano {medicinali vasocostrittori). Anche a numerose formazioni V+N come mangiafumo, pigliatutto, lanciamissili, lavatesta, levapunti, mangiasoldi, marcapiano, parafiamma viene attribuita (ad esempio nel DISC) la categoria aggettivo. E dall'uso aggettivale che tali formazioni acquisiscono il genere, in quanto ad essi viene attribuito il genere del nome che accompagnano; è quanto accade ad esempio al composto mangiafumo al quale, oltre a venire assegnata la categoria aggettivo in ragione del fatto che è stato utilizzato sin dalla sua coniazione come una apposizione del nome candela, viene attribuito genere femminile (una mangiafumo) che è il genere del nome candela. Talvolta questi aggettivi di struttura V+N ammettono anche la graduabilità (dalla Torre Eiffel c'è la vista più mozzafiato di tutta Parigi). Sono considerate aggettivi (nello Zingarelli e nel GRADIT) oppure locuzioni aggettivali (nel DISC ma anche nel Devoto-Oli), le costruzioni del tipo di aria-aria, terra-aria, acquaterra che vengono utilizzate insieme al nome missile. Si tratta, come è evidente, di costruzioni esocentriche perché né aria né terra né acqua sono la testa delle costruzioni; questi nomi stanno ad indicare il punto di partenza e di destinazione di un missile (un missile terra-aria, ad esempio, è un "missile che viene lanciato da una postazione a terra per colpire un bersaglio aereo"). A dire il vero è piuttosto difficile attribuire una categoria lessicale a queste formazioni poiché, pur essendo utilizzate come aggettivi, di questi non manifestano le proprietà caratteristiche. Sarebbe quindi forse più opportuno considerarle come costruzioni nominali che fungono da apposizioni del nome missile. In questo caso, quindi, dovrebbero essere collocati tra i composti N+N esocentrici. La loro collocazione tra le forme aggettivali si giustifica con la categoria che viene ad essi attribuita dai dizionari. La possibilità di costruire formazioni come aria-sott'acqua, date da un nome e da un sintagma preposizionale, sembra inoltre metterne in discussione la natura di composti a favore di un'analisi quali polirematiche. Non sono più produttive costruzioni esocentriche quali nullafacente e nullatenente la cui struttura è pronome indefinito+V (participio presente) e che sono sia nomi che aggettivi, e non sono produttive nemmeno formazioni come destro / sinistrógiro. Poiché giro viene analizzato come un tema verbale, le formazioni, cui si attribuisce categoria aggettivo, sono N+V (cfr. DISC). È classificato come aggettivo anche millerighe la cui struttura è NUM+N in quanto utilizzato come modificatore di un nome (coperta millerighe) ma che è anche un nome, quando indica un tipo particolare di maccherone. Sono formazioni esocentriche anche altisonante / tonante la cui struttura è AVV+V (participio presente) e sono utilizzati sia come nomi che in funzione di aggettivi le formazioni esocentriche di struttura P+N doposcì, doposole, dopobarba, dopoteatro, rasoterra.

2.1.3.1. Il tipo altoatesino AB Un commento particolare meritano i composti del tipo altoatesino, centroafricano, estremo / medio orientale, medio palatale, nazionalcomunista, liberalsocialista ecc. la cui caratteristica è data dal fatto che l'aggettivo in posizione iniziale non è legato semanticamente all'aggettivo che lo segue ma al nome da cui tale aggettivo deriva. Detto altrimenti, altoate-

2.1. Composizione con elementi italiani

49

sino non significa "atesino alto" ma "dell'Alta vai d'Adige". Lo stesso vale per le altre formazioni: centroafricano si riferisce al "centro Africa", estremo e medio orientale significano rispettivamente "dell'estremo e medio Oriente", medio palatale fa riferimento al "palato medio" e infine nazionalcomunista e liberalsocialista fanno riferimento al "nazionalcomunismo" e al "liberalsocialismo" rispettivamente. Questi composti, pertanto, pur essendo formati da due aggettivi non possono, come quelli del tipo agrodolce, essere considerati composti di coordinazione ma piuttosto come formazioni con testa a destra.

2.1.4.

Composti numerali AB

2.1.4.1. Numerali cardinali AB I numerali cardinali, che nella tradizione grammaticale sono considerati aggettivi, sono trattati dalla sintassi teorica moderna come quantificatori. Questi quantificatori formano composti cui spetta una menzione particolare in virtù di alcune caratteristiche che non coinvolgono tutte le formazioni ma suggeriscono, al contrario, raggruppamenti distinti.1 Una particolarità dei composti numerali è di non essere formati da due soli costituenti come la maggior parte dei composti italiani. Accanto a formazioni quali ventisei, trentacinque, ottantanove, ci sono infatti formazioni quali centoventisei, millequattrocentodieci, cinquantottomilaseicentoquarantadue il cui numero dei costituenti, come si vede, varia da tre a sette. I composti con il più alto numero di quantificatori coinvolti (nove) sono quelli che vanno da duecentoventunomiladuecentoventuno a novecentonovantanovemilanove-centonovantanove, con l'esclusione dei numeri intermedi che non contengono il numerale per le unità, come duecentoventunomiladuecentotrenta / quaranta ecc. Anche i composti numerali che contengono la parola milione possono essere formati da un notevole numero di termini, ma si differenziano dai precedenti per il fatto che milione è un nome e quindi il composto è di tipo NUM+N (cfr. 2.1.2.3.). Tollemache 1945, 235 sostiene che nei numerali del tipo di duecento, il costituente non-testa precede la testa:2 duecento è quindi una «varietà» di cento. Questa osservazione non vale però per tutte le formazioni perché nel composto numerale settantasei, ad esempio, sei determina un tipo particolare di settanta, e quindi è la parola in seconda posizione a funzionare come non-testa. Lo stesso vale, ad esempio, per milleotto, millequindici ecc. Questo significa, dunque, che nei composti numerali la testa è talvolta il quantificatore di destra e talvolta il quantificatore di sinistra. Vien fatto di chiedersi, però, se ha ragion d'essere stabilire quale è il costituente testa di un composto di questa classe. In venticinquemilaseicentoquarantuno il costituente testa dovrebbe essere il quantificatore mila in quanto seicentoquarantuno è un modificatore di venticinquemila e, in base a quanto si è detto finora, venticinquemila verrebbe interpretato

2

Due raggruppamenti distinti per i numerali sono proposti anche da Tollemache 1945, 71 che compie una separazione tra numerali giustapposti e composti numerali. A dire il vero Tollemache parla di determinante che precede il determinato. Il parallelo è quindi: determinato = testa, determinante = non-testa.

50

2.

Composizione

come un tipo di mille. Ma il numerale mila è un costituente interno al composto e l'ipotesi che una testa sia interna alla formazione composta non sembra accettabile. Si può concludere, dunque, che i composti con i numerali cardinali sono di due tipi: quelli NUM+NUM e quelli NUM+N, in cui Ν sta per milione/i, miliardo/i. Quando però il composto numerale+wí7íone appare all'interno di una sequenza di quantificatori numerali, la proprietà NUM+N si perde e riappare la struttura NUM+NUM del composto: duecentoquarantaseimilioniventottomilacinquecentodieci (oggetti) è un numerale composto.

2.1.4.2. Numerali ordinali AB Anche i numerali ordinali possono dar origine a formazioni composte quando appartengono alla serie dotta (cfr. Tollemache 1945, 73), nel senso che la formazione dell'ordinale avviene attraverso la scomposizione del numero composto e la sua successiva ricomposizione. Ad esempio, l'ordinale di ventitré è vigésimo terzo, in cui vigésimo è una forma dotta, ma può essere anche ventesimo terzo. Le forme ordinali non dotte, come ad esempio ventitreesimo, appartengono alla derivazione da composto (cfr. 2.1.7.).

2.1.5.

Composti verbali AB

La composizione con verbi, in cui il verbo è l'elemento testa, è un procedimento di formazione che, se confrontato con la composizione nominale e aggettivale, può essere definito di scarsa frequenza. 1 I composti di questa categoria sintattica possono avere come costituente non-testa: un nome, un avverbio, un verbo, una preposizione. La non-testa può precedere il verbo, dando così origine a costruzioni con ordine non-testa / testa - ordine opposto a quello sintattico - oppure seguire il verbo, e in questo caso il composto riflette l'ordine sintattico. Nel caso in cui l'elemento non-testa preceda la testa ci si trova spesso di fronte a costruzioni latine o latineggianti il cui significato non è più ottenibile dalla composizione dei significati delle parti costituenti. Si tratta di verbi quali manomettere, capovolgere, calpestare, mantenere, crocesegnare, barcamenare il cui primo costituente è un nome e di formazioni con primo costituente avverbio quali benedire, maledire, malmenare, benvolere i cui significati sono oggi lessicalizzati. Sono possibili anche formazioni in cui il verbo è la testa, è il costituente di destra ed è preceduto da un elemento preposizionale (oltrepassare,2 sottoalimentare, sovracaricare), altre volte da un formante considerato, nel DISC ad esempio, «primo elemento di composto» (controbilanciare, retrodatare) oppure da «accorciamenti» (fotocopiare, motomeccanizzare, radiocollegare). In questi casi, però, si tratta o di costruzioni prefissate oppure di composti che riflettono un ordine non nativo (cfr. 3.1.1.).

1 2

Cfr. Tollemache 1945, 241, Giurescu 1975, 92. Giurescu 1975 sostiene che formazioni del tipo di oltrepassare Verbo e sono veri e propri composti.

hanno la struttura Preposizione +

2.1. Composizione con elementi italiani

51

Sono forme arcaiche e obsolete i composti, assai pochi in realtà, formati da due verbi, il primo dei quali non presenta la desinenza -re dell'infinito (che corrisponde alla forma di citazione del verbo italiano): passa(re)vogare e salta(re)beccare. Sono invece attuali le costruzioni con ordine testa / non-testa che possono avere la struttura verbo+nome (prendere parte, aver torto, aprire bottega), verbo+avverbio (andare su / giù, stare su, buttar via, averne abbastanza) o aggettivo in uso avverbiale (andare forte, mangiare veloce), oppure verbo+preposizione (mettere su, avere su1). Queste formazioni vengono considerate locuzioni verbali, 2 non composti in senso stretto, poiché tra le due parole è possibile inserire del materiale lessicale, anche se la possibilità di allontanare i due costituenti è piuttosto limitata. Non è possibile, ad esempio, inserire in posizione intermedia il sintagma nominale complemento oggetto del verbo: *buttare l'acqua via, *mangiare la pasta veloce, *mettere il caffè su, *avere il cappotto su sono costruzioni mal formate che devono essere sostituite dalle più corrette forme buttare via l'acqua, mangiare veloce la pasta, mettere su il caffè e avere su il cappotto. I due elementi della costruzione ammettono invece, abbastanza facilmente, di essere separati da un avverbio: aprire raramente bottega, (non) andare mai forte, ?metter spesso su l'acqua. Ritengo che le formazioni di questo tipo, che potrebbero anche essere considerate polirematiche, siano da considerare composti quando esprimono un concetto ben preciso dato dalla somma dei significati delle parti componenti, quando cioè si realizza la relazione di iponimia della costruzione con la testa: mettere su è un mettere, mangiare veloce è un mangiare, buttar via è un buttare.

2.1.6.

Composti avverbiali DR

Non sono pochi gli avverbi formati a partire dalla combinazione di più parole, tuttavia non tutti rientrano nella visione prototipica di un composto. In vari casi, in effetti, l'input appare costituito non tanto da due morfemi lessicali, quanto da un vero e proprio sintagma che conserva al suo interno le parole grammaticali (articoli, preposizioni, determinanti, congiunzioni) e i fatti di sandhi (raddoppiamento sintattico, elisioni ecc.); per questi casi (si pensi a forme come allora, almeno, altrettanto, tuttora, pressappoco ecc.) sembra più opportuno fare ricorso al termine di univerbazione. I due fenomeni saranno trattati in due paragrafi distinti, anche se casi di confine sono evidentemente presenti.

2.1.6.1. Composti veri e propri: il tipo sottobraccio DR L'unico schema di composizione che appare produttivo per gli avverbi è quello P+N, dove con Ρ si intende la sottoclasse delle cosiddette «preposizioni improprie», dal contenuto semantico più lessicale e spesso utilizzabili anche in funzione avverbiale. Il DISC segnala complessivamente una settantina di termini, formati a partire da nove preposizioni, alcune

2

Su, in italiano, ha la doppia valenza di preposizione e di avverbio. È questa l'opinione espressa in Dardano 1978 e in Giurescu 1975 ed è sotto questa dicitura che sono elencate nel GRADIT.

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2.

Composizione

solo sporadicamente presenti (anzitempo, dopocena, innanzitutto) mentre produttive anche in tempi recenti risultano contro, fuori, oltre, sotto. Citiamo alcune forme tra quelle che il DISC data alla seconda metà del '900: contromano, fuorimisura, fuoripasto, oltrefrontiera, sottovuoto, sottocosto. Naturalmente la datazione è particolarmente problematica in questi casi, perché il composto P+N, in assenza di lessicalizzazioni molto specifiche, può essere indistinguibile da un sintagma più o meno irrigidito, che i dizionari naturalmente non registrano come lemma autonomo. D'altra parte, formazioni avverbiali ben attestate nella prosa giornalistica odierna (come emerge da un rapido controllo su un corpus di annate della Stampa), come oltreatlantico, sottocasa, sottocosta, sottovetro ecc. non sono registrate dal DISC, il che è un buon segno di produttività del processo. Lo stesso schema forma produttivamente anche nomi e aggettivi, e non di rado lo stesso composto può avere due o tre funzioni, senza che sia sempre ovvio stabilire la direzione in cui la transcategorizzazione abbia avuto luogo. Questo è particolarmente vero nel caso degli usi aggettivali e avverbiali: dato che la struttura P+N è perfettamente idonea a fungere da modificatore sia di nome che di verbo, è anzi possibile che in vari casi non si abbia affatto a che fare con una conversione a partire da una delle due funzioni, ma con una polifunzionalità ab initio del composto. Sarebbe arduo, per esempio, stabilire una priorità tra uso aggettivale e avverbiale in posta fuorisacco / spedire fuorisacco o navigare sottovento / versante sottovento. Naturalmente, per stabilire l'effettiva esistenza dello schema P+N come regola di composizione avverbiale è necessario individuare formazioni di questo tipo con uso esclusivamente (o in grandissima prevalenza) avverbiale. Non sembra peraltro esserci dubbio che tali formazioni esistano: si pensi a controvoglia, contromano, oltremodo, soprappensiero, sottobraccio, sottovoce. I composti con sopra (come soprappensiero, sopravvento) sono problematici per la distinzione tra composti e univerbazioni perché manifestano di solito (almeno nello scritto, non sempre nella pronuncia dei settentrionali) il raddoppiamento della consonante iniziale del secondo termine, che consente un'interpretazione come univerbazioni a partire dalla locuzione sopra a, che induce il raddoppiamento sintattico. Si noti che il DISC non registra nuove formazioni avverbiali con sopra negli ultimi due secoli. Al di fuori del tipo P+N, la composizione avverbiale ha carattere di assoluta sporadicità. Le formazioni realmente in uso si limitano a poche unità, e le categorie sintattiche coinvolte sono le più disparate. Per completezza, elenchiamo qui alcune tra le più familiari: malvolentieri, nottetempo, oggigiorno, rasoterra, sottosopra.

2.1.6.2. Univerbazioni: i tipi almeno, altrettanto, dappertutto, nondimeno e simili DR Se è indubbio che le univerbazioni contribuiscono all'arricchimento del lessico, e probabilmente in particolar modo nel campo degli avverbi, la loro stessa natura inerentemente idiosincratica le rende refrattarie a un trattamento sistematico. Appare comunque evidente che questo tipo di formazione molto raramente entra in competizione con i processi derivazionali. Anche tra gli avverbi, sono le sottoclassi limitate e funzionalmente specializzate quelle che ospitano la stragrande maggioranza di univerbazioni: per la grande classe aperta degli avverbi di maniera, non si trova che un caso indiscutibile, adagio, a cui con un po' di buona volontà si possono aggiungere apposta, appieno, invano. I valutativi sono appena presenti, sia pure con l'importantissimo avverbio purtroppo (e il meno importante gra-

2.1. Composizione

con elementi

italiani

53

zia(d)dio). Molto più numerosi sono invece i rappresentanti tra gli avverbi di tempo e di luogo, e rilevante l'apporto di focalizzatori e avverbi di grado / quantità (tutte classi in cui, come si vedrà in 5.4.1.1., gli avverbi in -mente sono presenti ma relativamente minoritari). Un ruolo assolutamente centrale le univerbazioni lo assumono poi nell'ambito dei connettivi testuali: una sottoclasse al limite tra le due categorie tradizionali delle congiunzioni e degli avverbi, quindi, se si vuole, anche al limite tra lessico e grammatica. A conferma e illustrazione di quanto detto, diamo una lista di univerbazioni che compaiono nel lemmario del DISC (non esaustiva, anzi limitata a termini di uso decisamente corrente) suddivisa secondo le principali funzioni sopra menzionate: (a) focalizzatori: addirittura, almeno, appunto, davvero, finanche, neanche, nemmeno, neppure, perfino, perlappunto, quantomeno; (b) avverbi di luogo: accanto, addentro, addosso, altrove, appresso, attorno, dabbasso, daccanto, dappertutto, dappresso, dattorno, didietro, dirimpetto, incontro, indentro, indietro, indosso, intorno, laggiù, lassù, quaggiù, quassù; (c) avverbi di tempo: allora, appena, dapprima, dapprincipio, finora, giammai, ierlaltro, ognora, pocanzi, sinora, stamattina, stanotte, stasera, stavolta, talora, talvolta, tuttora; (d) avverbi di grado / quantità: abbastanza, affatto, alquanto, altrettanto, piuttosto, pressappoco, pressoché, suppergiù; (e) connettivi testuali: casomai, difatti, dopodiché, ebbene, eppure, frattanto, infatti, infine, inoltre, insomma, intanto, invece, invero, nondimeno, orbene, peraltro, perlomeno, pertanto, tantomeno, tuttavia, tuttalpiù.

2.1.7. Composti come basi di derivazione AB La derivazione dalle parole composte si realizza attraverso gli stessi processi che si applicano nella derivazione dalle parole non composte, ossia utilizzando gli stessi affissi e rispettando lo stesso tipo di selezione categoriale. Ma le parole composte e derivate non sono molte nella nostra lingua. Che la derivazione si applichi ai composti con qualche difficoltà era stato osservato, per il francese, già da Darmesteter 18942, anche se Thomas 1897, 50ss., che ne riporta l'affermazione e gli esempi, elenca una serie di formazioni che «aumentano apprezzabilmente» il numero delle formazioni elencate da Darmesteter. A più di cento anni da queste osservazioni dei grammatici francesi, si può senz'altro notare che la situazione non è cambiata di molto: i derivati da parola composta ci sono ma non sono così numerosi come i derivati da parola semplice o (già) derivata. La ragione di ciò può essere attribuita alle caratteristiche delle parole composte (cfr. Scalise 1983, 217ss.; 1994, 237ss.), cioè al fatto che, come si è visto in 2.1., i composti possono essere stretti e larghi. I composti stretti, lo ricordiamo per comodità, sono quelli formati da parole che la frequenza d'uso e/o la lessicalizzazione hanno reso pressoché inseparabili sia dal punto di vista fonologico (nel senso che si è verificato un amalgama tra le parole componenti) sia dal punto di vista semantico (nel senso che il significato del complesso non è più composizionale), come in cavolfiore, pomodoro, falegname ecc. I composti larghi, invece, sono quelli nei quali le parole componenti mantengono la loro individualità fonologica e semantica in modo evidente, come ad esempio in trasporto merci, trasmissione radio, fondo assistenza ecc. Questa differenza tra i composti fa sì che i composti stretti (e quindi anche i lessicalizzati) ma non i composti larghi, possano essere assoggettati ad un processo derivativo. I composti stretti e lessicalizzati infatti vengono percepiti quali parole semplici e vengono, di conse-

54

2.

Composizione

guenza, trattati come queste ultime. Non è difficile quindi costruire una derivazione: pomodorino, falegnameria, crocerossina, avanguardista. Per i composti larghi, invece, questa possibilità non si verificherebbe perché la testa del composto (che, come sappiamo è la parola in posizione iniziale) si viene a trovare troppo lontana dal suffisso derivativo (cfr. Scalise 1994, 239). Credo che queste osservazioni, pur valide nell'insieme, vadano un po' corrette in base ad altre considerazioni. Pur essendo infatti vero che composti quali assicurazione auto non sono in grado di accettare un affisso derivativo che possa essere interpretato come avente portata sul complesso, non credo sia solamente il fatto che la testa del composto verrebbe a trovarsi lontana dal suffisso a determinare l'impossibilità della derivazione. Ritengo che in casi come questo abbiano una notevole influenza due fattori legati alla semantica: il primo si riferisce alla relazione che si instaura tra i costituenti che è una relazione variabile che, lo sappiamo, lega i due termini ma che, in realtà, li allontana perché li tiene semanticamente ben distinti. Il secondo fattore ha a che fare con la semantica del complesso e quella apportata dal possibile affisso derivativo, come si può verificare con assicurazione auto. Questo composto ha un significato che può essere reso come "assicurazione contro i danni che può subire l'auto(mobile)": le due nozioni di assicurazione e di auto sono ben distinte anche se legate da una relazione semantica che le mette insieme; di conseguenza un processo di derivazione applicato necessariamente su uno solo dei due costituenti avrebbe influenza solo sul costituente interessato, indipendentemente dalla distanza dell'affisso dalla testa. È ciò che accade: riassicurazione auto e coassicurazione auto sono composti non corretti dell'italiano perché non veicolano il significato dato dalla struttura richiesta dalla affissazione del complesso, non sono cioè interpretabili come [ri-/co-[assicurazione auto]] in quanto riassicurazione e coassicurazione non fanno riferimento alla assicurazione (dell'auto) effettuata da un privato cittadino (o da una ditta, un ente ecc.) ma indicano delle "sovra-assicurazioni" nel senso che è l'assicuratore che si co-assicura con altre compagnie (e di solito non per i rischi che può correre un'automobile) e si ri-assicura per la copertura dei rischi derivanti dalla propria attività. Questi significati delle parole prefissate non sono associabili al secondo costituente (auto) con lo stesso tipo di relazione e di conseguenza, pur non essendo gli affissi derivativi lontani dalla testa del composto, la derivazione non ha successo. Mi sembra dunque che si possa affermare che ad impedire la derivazione da un composto largo sono ragioni di tipo semantico che si estendono a tutta la derivazione da composto. Anche i composti lessicalizzati e stretti (in una accezione di «stretto» un po' meno restrittiva di quella riportata qui sopra) sottostanno alla derivazione compatibilmente con il loro significato e con il significato apportato dagli affissi; a dopolavoro, che è un composto nominale esocentrico e lessicalizzato ed indica un "ente che organizza attività culturali e ricreative per il periodo dopo il lavoro dei lavoratori" può essere aggiunto sia il suffisso -ista che -istico: dopolavorista è la "persona iscritta al dopolavoro" mentre dopolavoristico è un aggettivo che significa "proprio del dopolavoro o dei dopolavoristi". Ma un composto simile, come dopocena, che indica il "periodo di tempo che segue il pasto serale, cioè dopo la cena", in virtù del fatto di non indicare anche "un ente che ...", quindi di non avere denotazione simile a quella di dopolavoro, non piò costituire base di una derivazione. Sulla base di queste restrizioni è quindi possibile formare derivati da composti di cui diamo qualche esempio qui di seguito. Il tipo dabbenaggine, quintessenziare, dirimpettaio ecc. ha la particolarità di essere costruito su composti lessicalizzati, indipendentemente dal tipo di affisso e quindi di categoria

2.1. Composizione con elementi italiani

55

lessicale della parola derivata. Fanno parte di questo gruppo anche capitombolare, terramaricolo, guerrafondaio, alfabetizzare, pressapochismo, battibeccare, palafitticolo, dappocaggine, malaccortezza, malagevolezza. Il tipo autoveicolista è relativamente produttivo. Il suffisso -ista forma nomi indicanti "colui che svolge una attività" prendendo a base parole composte (sia con elementi italiani (cfr. 5.1.1.1.6.) che con i cosiddetti elementi formativi (cfr. 2.2.)) il cui significato si presta a questo, è cioè possibile ipotizzare che una persona compia una attività utilizzando l'oggetto indicato dal composto: Y autoveicolista è colui che guida l'autoveicolo. Appartengono alla serie: avanguardista, benestarista, centometrista, centrocampista, deltaplanista, doppiogiochista, elettroterapista, fibrocementista, ipnoterapista, liberoscambista, acquacolturista, agopunturista, agroalimentarista, aliscafista, indoeuropeista, autocisternista, autogruista ecc. Come si può notare, i composti di base possono essere endocentrici (come liberoscambio, acquacoltura, autoveicolo ecc.) oppure esocentrici (come benestare, centometri, deltaplano) ma il derivato indica in ogni caso l'autore di una attività che è in relazione con il nome composto. Nel caso di formazioni come elettroterapista, ipnoterapista, autogruista, agroalimentarista, liberoscambista ci si può chiedere se si tratta veramente di derivati da composti oppure se le formazioni potrebbero essere analizzate come composte da un primo elemento seguito da un derivato, cioè se non si tratti piuttosto di liberoscambista, agro-alimentarista ecc. Ancora una volta è la semantica a fornire aiuto: elettro-, ipno-, auto, agro-, libero sono costituenti che fanno riferimento ai (hanno cioè portata sui) nomi non derivati: il liberoscambista non è uno "scambista libero" ma una persona favorevole al "liberoscambio". E possibile anche la derivazione verbale da composto: aeroso lizzare, chiaroscurare, controsoffittare, paracadutare, telegrafare, rendicontare, vivisezionare ecc. (cfr. 5.3.1.1. e 7.4.1.) Una menzione particolare meritano, a mio avviso, le poche forme derivate da composto V+N; oltre al già visto paracadutare, ci sono paracadutista!ismo e guardarobiere. Guardarobiere è possibile, dal punto di vista semantico, perché la base guardaroba indica un "luogo" e il suffisso aggiunge al composto un significato di agentività: guardarobiere è la persona che si occupa del guardaroba. Quanto alle formazioni con paracadute, la prima di esse, in ordine di tempo (cfr. DISC) è paracadutista: anche in questo caso il derivato si è potuto formare perché la base paracadute indica uno strumento e il valore agentivo viene introdotto dal suffisso -ista. Le altre derivazioni, paracadutare e paracadutismo, come pure paracadutistico, sono state rese possibili da paracadutista: all'agente (paracadutista) è seguita l'attività (paracadutismo), l'azione (paracadutare) e infine anche l'aggettivo (che è semanticamente legato a paracadutismo). Costituiscono derivazioni da composto anche le forme quali ventitreesimo, duecentoundicesimo, novantaduesimo ecc., cioè i derivati formati da un numerale cardinale attraverso l'aggiunta del suffisso -esimo (cfr. 5.5.). Concludendo, si può affermare che nella derivazione dalle parole composte svolge un ruolo non indifferente la semantica. Più il significato dei composti è oscurato, maggiore è la possibilità di costruire dei derivati; ciò non esclude però che si possano formare dei derivati anche da composti la cui composizione semantica è chiara, purché ci sia compatibilità tra il significato del composto e quello apportato dall'affisso di derivazione.

2.

56 2.1.8.

Composizione

Polirematiche MV

2.1.8.1. Premessa terminologica MV In questo capitolo ci occuperemo delle combinazioni di parole che sono sentite dai parlanti nativi come un'unica unità lessicale, senza per questo presentare le proprietà morfologiche tipiche delle parole. Si tratta di sequenze che non superano di norma l'estensione di un sintagma e che presentano una coesione interna maggiore di quella prevedibile sulla base della loro struttura sintattica. Alcuni esempi sono i seguenti: luna di miele, ordine del giorno, macchina da scrivere, acqua e sapone, rendersi conto, dare retta. Si tratta di formazioni, molto varie per composizione interna e per comportamento morfosintattico, che vanno da un massimo ad un minimo di agglutinazione. In questo capitolo descriveremo questo meccanismo di formazione di unità lessicali evidenziando i punti di contatto e i punti di divergenza con la composizione e il processo di univerbazione. Non esiste in italiano un termine correntemente accettato per indicare queste formazioni. Mi pare che tre siano i termini più usati, a seconda dei contesti. In ambito lessicografico (LIP, DISC, GRADIT) si trova il termine (unità) polirematica, che indica una sequenza di parole dal significato unitario; in morfologia (Scalise 1994) troviamo il termine composto sintagmatico, in cui si accentua, pur sottolineandone differenze, la somiglianza tra alcune di queste formazioni e i composti; infine, si trovano i termini lessema complesso (Voghera 1994, De Mauro / Voghera 1996) o unità lessicale superiore (Dardano 1978)1 con i quali viene messo in rilievo l'unitarietà lessico-semantica di queste formazioni, il fatto cioè che si tratta di formazioni che sono percepite, e in parte si comportano, come un unico lessema. 2 Ognuno di questi termini mette in luce un aspetto importante di queste formazioni. In questo capitolo useremo, seguendo la prassi lessicografica recente, il termine polirematica.

2.1.8.2. Caratteristiche generali delle polirematiche MV Come abbiamo detto, le polirematiche costituiscono un insieme dalle caratteristiche molto varie. In primo luogo, possiamo dire che diversamente da ciò che succede nei composti, gli elementi costituenti delle polirematiche non sono solo morfemi lessicali, ma spesso sintagmi e/o frasi. In secondo luogo, gli elementi costituenti delle polirematiche tendono a mantenere una libertà di movimento (cfr. 2.1.8.2.1.) che non hanno gli elementi costituenti né dei composti né delle univerbazioni. 3 Esistono tuttavia molte formazioni ambigue quanto a statuto morfologico. Ciò accade perché, come vedremo, gli elementi potenzialmente definitori di una polirematica appartengono a livelli diversi (De Mauro / Voghera 1996; Bar-

2

3

Dardano 1978, 175-194 assimila tuttavia la maggior parte delle polirematiche ai composti veri e propri. Esistono anche altri termini che possono entrare in concorrenza con quelli qui citati, in particolare i termini collocazione, cliché e idiom; per una discussione terminologica si vedano Casadei 1996 e De Mauro / Voghera 1996. Un caso un po' a sé è rappresentato dalle polirematiche pronominali (cfr. 2.1.8.3.2.), per molte delle quali si può parlare di univerbazione.

2.1. Composizione con elementi italiani

57

kema 1996). Considereremo quindi separatamente gli aspetti morfosintattici, gli aspetti semantici e l'uso: la combinazione di questi tre tipi di criteri permetterà di descrivere le diversità tra i vari tipi di polirematiche. 2.1.8.2.1. Morfosintassi MV Le polirematiche si trovano in un'area dai confini sfumati che possiamo idealmente collocare tra la formazione delle parole e la sintassi. Se immaginiamo una scala che va dalla parola monomorfematica alla frase, cioè dalla minima alla massima mobilità degli elementi costituenti, queste combinazioni di parole si trovano in una posizione intermedia tra i composti e i sintagmi liberi: parola > parola con affissi > parola incorporante > composto > polirematica > sintagma > frase. La loro posizione è determinata dal fatto che possono condividere alcune delle proprietà dei composti, mentre altre si avvicinano per il loro comportamento morfosintattico ai sintagmi. Non è raro, del resto, che alcune polirematiche in fasi diacroniche successive possano dare esito a composti veri e propri o a univerbazioni (cfr. 2.1.8.3.2.). Le polirematiche non sono infatti un insieme omogeneo, ma un insieme di formazioni diverse per la loro composizione interna e per il grado di libertà di movimento manifestato dai loro elementi costitituenti. Ciò dipende da vari motivi. Innanzi tutto, le polirematiche possono appartenere a categorie diverse. In Voghera 1994 si è mostrato che nel LIP non esistono restrizioni categoriali per la formazione delle polirematiche. Si hanno quindi polirematiche nominali (luna di miele, carta carbone), verbali (stare fresco, fare il punto), aggettivali (acqua e sapone, alla buona), avverbiali (così così, a suo tempo), preposizionali (riguardo a, afronte di), congiunzionali (nella misura in cui), interiettive (mamma mia, alla faccia!, apriti cielo), pronominali (che cosa). Esistono tuttavia differenze nella numerosità delle diverse categorie, come si può vedere dalle percentuali riportate qui di seguito: nominali 39,4%, verbali 14,3%, avverbiali 14%, aggettivali 4,2%, congiunzionali 2,3%, preposizionali 2,2%, interiettive 2,5%, pronominali 0,07%. Qualche precisazione richiede la categoria interiezione. E noto che si tratta di una categoria funzionale e non morfosintattica: a rigor di logica qualsiasi elemento può essere usato interiettivamente, cioè può comparire come elemento non integrato in unità di rango maggiore. Tuttavia le polirematiche interiettive mostrano delle proprietà semantiche rilevanti anche sul piano morfosintattico, che giustificano il loro riconoscimento come categoria separata, come vedremo in 2.1.8.2.2. Anche nel GRADIT, il repertorio lessicografico italiano più ampio per le polirematiche 1 , troviamo tutte le categorie. Il GRADIT registra a lemma 63.000 polirematiche, di cui l'84% nominali, il 7% verbali, il 3% aggettivali, il 4,5% avverbiali, lo 0,7% preposizionali e congiunzionali, lo 0,3% interiettive e lo 0,04% pronominali. Colpisce qui la straordinaria numerosità delle polirematiche nominali rispetto a tutte le altre. Le differenze tra LIP e GRADIT dipendono in primo luogo dal fatto che il corpus del LIP è costituito da testi parlati per un totale di 500.000 occorrenze e che, quindi, registra solo le polirematiche di più alta frequenza. In secondo luogo, nel GRADIT si è dato ampio spazio alle polirematiche di tipo

Ho qui considerato per comodità di consultazione solo le polirematiche che il GRADIT porta a lemma; in realtà ben altre 67.000 sono riportate all'interno delle voci.

58

2. Composizione

tecnico-scientifico (amministratore delegato, particella elementare) che da sole costituiscono l'89% delle polirematiche nominali del GRADIT. 1 Il secondo elemento di differenziazione tra i vari tipi di polirematiche è il fatto che le formazioni appartenenti a categorie grammaticali diverse presentano gradi di lessicalizzazione, e quindi di coesione interna, diversi. Il comportamento delle polirematiche appartenenti a categorie diverse è evidente se applichiamo alcune prove per valutare il grado di mobilità e segmentabilità morfosintattica interna di queste formazioni. Le prove che ho applicato sistematicamente sono le seguenti: (a) flessione della testa, (b) inserzione di modificatori della testa, (c) pronominalizzazione della testa; (d) topicalizzazione e dislocazione della testa. L'insieme di queste prove mira a valutare se le polirematiche sono «atomi sintattici», se cioè si comportano come i composti la cui struttura interna è cristallizzata. Qui di seguito sono riportati alcuni esempi delle prove (a)-(d) applicate a polirematiche nominali, aggettivali e verbali. Per una valutazione corretta delle prove bisogna tener presente che è determinante il testo precedente e seguente la frase di cui si vuole decidere la grammaticalità e/o accettabilità: non è raro che cambiando il contesto si cambi anche giudizio. In particolare, si è notato che l'inserzione delle prove in un contesto dialogico tende ad aumentare il livello di accettabilità delle trasformazioni, come si può vedere negli esempi ( l e ) , (2c) e (3c).

1

(1)

luna di miele

(2)

conferenza stampa

(3)

alte sfere

(4)

chiavi in mano

(5)

botta e risposta

(6)

stare fresco

a. lune di miele b. *luna bella di miele c. Di che luna parlavi? - ?Di quella di miele. d. *È di miele la luna di cui parlavi? a. conferenze stampa b. *conferenza affollata stampa c. A quale conferenza vai? - ? A quella stampa. d. *E stampa la conferenza cui sei stato invitato? a. *alta sfera b. *alte e importanti sfere c. A quali sfere alludevi? - ?A quelle alte, naturalmente! d. *Sono alte le sfere di cui ti parlavo. a. *chiave in mano b. *chiavi subito in mano c. *Di chiavi mi hanno dato quelle in mano. d. *In mano le chiavi non te le danno. a. 'botte e risposte b. *botta sicura e risposta, *botta e qualche risposta, *botta e solamente risposta a. Sto, stai, staranno, stavano ecc. fresco/hi. b. stare molto fresco c. *Quello fresco è lo stare che temo di più. d. *È fresco che stai!

Sul ruolo delle polirematiche nella costituzione del lessico settoriale delle diverse discipline, si ir^z-io n a i nnii a ι η

2.1. Composizione con elementi italiani (7)

rendere conto

59

a. rendo, rendiamo, renderanno, renderebbero ecc. conto b. rendere veramente conto d. ?Conto non devi rendere a nessuno!

Dalle esemplificazioni risulta chiaro che le polirematiche verbali mantengono sempre la flessione e permettono quasi sempre la modificabilità attraverso un avverbio. Le polirematiche nominali e aggettivali si comportano variamente, ma la maggior parte di essi perde la flessione e non consente l'inserzione di modificatori o trasformazioni sintattiche. Le polirematiche avverbiali, preposizionali e congiunzionali presentano di norma il massimo grado di agglutinazione e quindi di fissità interna. Queste differenze di comportamento morfosintattico dipendono da molteplici fattori. Dal punto di vista morfosintattico l'elemento che ha il peso maggiore è la struttura sintattica di partenza. Benché tutte le polirematiche siano esiti di processi di lessicalizzazione, esse derivano da strutture che presentano condizioni potenziali di lessicalizzazione diverse. Anche se non esiste una corrispondenza meccanica tra sequenza sintattica e tipo di esito lessicale, è possibile delineare percorsi preferenziali associati all'una o all'altra formazione quanto al grado e al tipo di lessicalizzazione prevedibile sulla base della composizione interna e del grado di coesione morfosintattica della struttura di partenza (Voghera 1994). Le polirematiche verbali, costituite al 100% da SV, sono quelle che presentano la maggiore resistenza alla perdita delle proprie marche categoriali, e la maggioranza di esse assomiglia a sintagmi. Le polirematiche nominali, costituite perlopiù da SN, sono il gruppo più eterogeneo, ma nella maggior parte dei casi presentano una coesione che si avvicina a quella dei composti, ammettendo tutt'al più la flessione della testa. Infine, le polirematiche aggettivali e avverbiali, costituite da SP, e le polirematiche preposizionali e congiunzionali, costituite in prevalenza da costruzioni con complementatore, rappresentano il più alto grado di coesione. Se guardiamo alle strutture che costituiscono le polirematiche, in un'ipotetica scala che va dalle strutture più facilmente lessicalizzabili a quelle meno lessicalizzabili, potremmo avere l'ordine seguente: strutture COMP (in preda a, in modo che) > SP (all'aria aperta, in erba) > SN (luna di miele, alte sfere, conferenza stampa) > SV (stare fresco, rendere conto). Le due categorie di polirematiche più numerose, i nomi e i verbi, sono anche quelle che presentano una maggiore varietà di comportamenti a parità di struttura sintattica. Si può quindi dedurre che i criteri morfosintattici non bastano da soli a spiegare la lessicalizzazione di queste strutture, ma che un ruolo decisivo è svolto dai fattori semantici.

2.1.8.2.2. Semantica MV La principale caratteristica semantica delle polirematiche è che esse non presentano una lettura composizionale del significato pur non presentando strutture anomale o materiale lessicale desueto. Nelle polirematiche registrate nel LIP, è rara per esempio la presenza di parole non più trasparenti (cfr. cilecca in fare cilecca, otta in a bell'otta "proprio al momento giusto", retta in dare retta ecc.). Anche tra le polirematiche registrate dal GRADIT solo Γ 1,3% è classificato come obsoleto, letterario e di basso uso. Ciò che è tipico è caso-

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2.

Composizione

mai una certa opacità o non calcolabilità del significato di queste formazioni.1 La maggior parte delle polirematiche ammette infatti una lettura solo non composizionale del proprio significato (150 ore, anno luce, colonna sonora, luna di miele, punto di vista, fare acqua, mettere a punto), la quale è perlopiù ricostruibile solo etimologicamente. La lettura non composizionale delle polirematiche non dipende quindi dall'opacità semantica dei costituenti, ma dal fatto che esse hanno almeno una delle caratteristiche seguenti (De Mauro / Voghera 1996): (a) un significato figurato, prevalentemente anche se non esclusivamente metaforico, per esempio scala mobile (come meccanismo di adeguamento dei salari), cavallo di battaglia, dare spago-, (b) un significato non iponimo della testa: la colonna sonora non è una colonna, il dare retta non è un dare\ (c) un significato settoriale: amministratore delegato, andare a registro·, (d) un significato formulare che usiamo attribuire più in generale alla fissità delle situazioni d'uso: per favore, porca miseria. Com'è ovvio questi procedimenti possono combinarsi tra loro e non è sempre facile capire qual è stato il fattore semantico che ha maggiormente determinato la lessicalizzazione di queste sequenze. Se non è facile indicare a priori i fattori semantici determinanti per ciascuna formazione, è però possibile, a posteriori, individuare un rapporto costante tra grado di coesione, opacità semantica della polirematica e tipo di significato. Analizzando in dettaglio le polirematiche del LIP (Voghera 1994), si nota che il grado di coesione interna rispecchia alcune differenze nel rapporto tra significato e significante nelle diverse combinazioni, in gran parte legate al diverso tipo di significati espressi. Almeno in prima battuta si può individuare una tripartizione che corrisponde grosso modo alla presenza di polirematiche con significato (prevalentemente) pragmatico, significato (prevalentemente) testuale / grammaticale, significato (prevalentemente) lessicale. Appartengono al primo tipo espressioni cristallizzate formulari come le seguenti: per favore, grazie mille, tante {buone) cose, apriti cielo, mamma mia. Si tratta perlopiù di polirematiche, spesso trasparenti dal punto di vista composizionale (Pitt / Katz 2000), dalla struttura interna molto varia che funzionano come indicatori di atti linguistici. L'uso di per favore nell'enunciato un caffè per favore segnala per esempio una richiesta da parte del parlante anche in assenza di altre marche più esplicite. L'espressione per favore ha un valore pragmatico che non è deducibile dalla sua composizione sintagmatica. Queste polirematiche si identificano dunque per la loro forza pragmatica che finisce col coincidere in sostanza con il loro significato. Un secondo gruppo di polirematiche è quello che esprime significati prevalentemente testuali e/o grammaticali. Si tratta dunque di polirematiche il cui significato è di tipo relazionale e può essere definito solo internamente al testo. Hanno significati prevalentemente grammaticali le polirematiche pronominali, congiunzionali e preposizionali. Dal punto di vista composizionale esse presentano una forte agglutinazione dei membri che le compongono, i quali perdono autonomia funzionale e acquistano una nuova funzione testuale. Si tratta di espressioni che differiscono molto per ciò che riguarda l'autonomia semantica dei loro membri, come mostrano le polirematiche in corsivo negli enunciati seguenti: (8) (9)

E proprio arrivato l'inverno: non per niente oggi piove! Parteciperemo alla trattativa nella misura in cui avremo sufficienti garanzie.

Sorvolo in questa sede sulla problematicità della nozione di calcolabilità semantica, per la quale rimando a De Mauro 1982, e in relazione ai problemi qui trattati a Casadei 1996, De Mauro / Voghera 1996.

2.1. Composizione con elementi italiani

61

Entrambe le polirematiche sono congiunzioni, ma presentano caratteristiche diverse: in (8) i membri della polirematica non conservano autonomia né funzionale né semantica; in (9) invece tutti i costituenti della polirematica sono identificabili sia dal punto di vista categoriale sia semantico. Entrambe manifestano tuttavia un sovrappiù funzionale non deducibile dalla classe grammaticale cui appartengono le parole che le compongono. Il terzo gruppo di polirematiche è quello che esprime significati lessicali. Fanno parte di questo gruppo avverbi, aggettivi, nomi, verbi. In tutti i casi si tratta di espressioni in varia misura agglutinate anche semanticamente, nelle quali ad una maggiore agglutinazione corrisponde una maggiore erosione semantica dei membri della combinazione. Si distinguono tuttavia le polirematiche il cui significato è fortemente determinato dal contesto d'uso: espressioni come campo lungo o carta semplice assumono un significato non composizionale rispettivamente nel linguaggio cinematografico e burocratico, ma possono perdere la loro specificità al di fuori di questi contesti. E proprio questo tipo di lessemi a presentare un minor grado di coesione. I diversi gradi di coesione dipendono quindi anche da caratteristiche semantico-funzionali non casuali: i tre tipi di significato menzionati rappresentano infatti condizioni di lessicalizzazione potenzialmente diverse per le combinazioni di parole. La probabilità che una combinazione di parole diventi una polirematica aumenta man mano che dal significato lessicale si passa a quello pragmatico e a quello testuale e/o grammaticale. 2.1.8.2.3. Uso Mv Un altro dei fattori che è necessario tenere in massima considerazione nella valutazione delle caratteristiche delle polirematiche è la frequenza d'uso. In primo luogo è utile ricordare che il numero delle polirematiche non determina automaticamente la loro frequenza, come si può vedere dalla tabella 1, che riporta il numero delle polirematiche e la loro frequenza media nel LIP. Polirematiche nominali verbali avverbiali aggettivali interiettive congiunzionali preposizionali pronominali

Lemmi 39,4% 14,3% 14,3% 4,2% 2,5% 2,3% 2,2% 0,07%

Occorrenze 25,4% 11,0% 13,4% 3,5% 17,1% 3,9% 4,1% 6,6%

Tabella 1 : Numerosità e frequenza delle polirematiche del LIP In particolare notiamo che le polirematiche interiettive pur essendo solo il 2,5% del totale coprono il 17% delle occorrenze. Ciò significa che un numero basso di polirematiche interiettive è usato molto spesso. E questo un elemento decisivo per la loro cristallizzazione e agglutinazione. Anche le polirematiche congiunzionali e preposizionali presentano una frequenza d'occorrenza doppia rispetto alla loro numerosità, confermando ciò che si verifica per le congiunzioni e preposizioni semplici. Ancora maggiore è la distanza per i pro-

62

2. Composizione

nomi: nel LIP si registra infatti solo una polirematica pronominale (che cosa) che occorre però ben 370 volte. Analizzando in dettaglio la frequenza delle polirematiche del LIP (Voghera 1994), si è potuto constatare che se una polirematica è usata frequentemente è più probabile che presenti una maggiore agglutinazione dei membri costituenti e che la semantica interna si opacizzi. L'alta frequenza d'uso può determinare inoltre il trasferimento del significato complessivo della polirematica alla testa anche quando è usata da sola. Un caso chiaro in questo senso è cartone animato. Inizialmente il significato di cartone animato non era ipónimo del significato della testa: un cartone animato non era un cartone. L'espansione d'uso della polirematica ha però fatto sì che la parola cartone abbia assunto tra le sue accezioni il significato di "cartone animato". I dati usati per la compilazione del Lessico elementare (Marconi et al. 1994)1 mostrano per esempio che i bambini di oggi usano normalmente la parola cartone, e ancor di più il plurale cartoni, nel significato di "cartone animato" tanto quanto la polirematica cartone animato. Dunque se applichiamo la prova dell'iponimia a questa polirematica, la risposta ammette qualche dubbio: il significato di cartone animato non è iponimo del significato di cartone nella sua accezione primaria, ma lo è in un'accezione ormai altamente disponibile che deriva proprio dall'uso ellittico della polirematica. Il GRADIT, infatti, riporta come terza accezione di cartone, appunto, "cartone animato". Un altro elemento connesso alla frequenza è il fatto che le polirematiche più frequenti hanno spesso più di un'accezione polirematica e le varie accezioni possono avere gradi di calcolabilità diversa. Un esempio è mettere da parte, le cui accezioni si possono disporre in ordine di calcolabilità decrescente nel modo seguente: (a) mettere da un lato; (b) eliminare; (c) risparmiare; (d) tener da conto. Una valutazione delle proprietà generali delle polirematiche deve quindi necessariamente prendere in considerazione non solo il rapporto tra significato dei costituenti e significato complessivo, ma anche il rapporto tra quest'ultimo e frequenza d'uso delle diverse accezioni dei costituenti.

2.1.8.3.

Tipi di polirematiche MV

D o p o aver esposto le principali caratteristiche generali delle polirematiche, offriremo nei paragrafi seguenti una descrizione dei principali tipi divisi per categorie grammaticali. I dati sono tratti dal L I P e dal G R A D I T e confrontati, laddove è possibile, con dati di altre fonti.

2.1.8.3.1. Polirematiche nominali MV Le polirematiche nominali sono la stragrande maggioranza. Se consideriamo tutti i nomi a lemma nel G R A D I T , semplici e complessi, le polirematiche costituiscono il 23% circa del totale. Le strutture ricorrenti sono: N+A

anima gemella, anno liturgico, aria aperta, beni culturali, capitale sociale, carro armato, guerra fredda, letto singolo, metro quadro, musica leggera, ora locale, ordine pubblico, parco nazionale, posta aerea, scheda bianca, stato sociale, televisione privata, testo unico, valore reale, voce bianca

Ringrazio Lucia Marconi per avermi fornito dati non ancora pubblicati.

2.1. Composizione con elementi italiani N+SP

A+N

N+N

63

atto d'ufficio, addetto ai lavori, borsa di studio, camera del lavoro, carta di credito, casa di cura, dato di fatto, diritto d'autore, dono di natura, esame di stato, figlio d'arte, giacca a vento, lista di nozze, mal di testa, ora di punta, piano di volo, sala da pranzo, testa di lista, uomo d'affari, unità di misura alta tensione, alte sfere, brutta copia, buona fede, doppio senso, giusta causa, gran premio, ordinaria amministrazione, prima pagina, prima serata, pronta consegna, terza età, terzo mondo, ultima spiaggia bene rifugio, cambio palla, conferenza stampa, effetto serra, fine settimana, giornale radio, lingua madre, piano terra, punto vendita, rimborso spese

L'insieme di questi quattro gruppi costituisce più del 98% delle polirematiche del LIP. Non tutte le strutture sono ugualmente numerose: le formazioni N+A costituiscono quasi la metà di tutte le polirematiche nominali, il 45% circa, le formazioni N+SP sono il 38% circa, quelle costituite da A+N I ' l l % circa e, infine, le formazioni N+N sono circa il 6%. Sono solo 4 su 629 i cosiddetti «binomi irreversibili» (Malkiel 1959): botta e risposta, fuoco e fiamme, va e vieni, alti e bassi. Tutt'e quattro le strutture appaiono produttive, come mostra il fatto che abbiamo formazioni recenti in tutti e quattro i gruppi: per esempio pagine gialle (su cui oggi si è formato Pagine utili), pollice verde (N+A), permesso di soggiorno (N+SP), centocinquanta ore, prima serata (A+N), fine settimana, campo profughi (N+N). Se si confrontano le strutture delle polirematiche con quelle dei composti riportati in Scalise 1994, 124-125, si riscontrano notevoli differenze. Solo uno dei tre tipi di composizione ritenuto produttivo da Scalise compare numeroso nelle polirematiche: si tratta del tipo N+N. Quest'ultimo tipo raggruppa polirematiche che possono assimilarsi ai composti (cfr. 2.1.1.3., 2.1.2.1. e 2.1.2.2.), per esempio giornale radio o nave traghetto, ma anche strutture che si comportano più similmente ai sintagmi, per esempio carta carbone in una frase come: Non voglio la carta velina, ma quella carbone!. Il tipo N+N rappresenta dunque il gruppo di polirematiche con un maggior numero di casi di confine, formazioni cioè che presentano proprietà simili a quelle dei composti e proprietà simili a quelle dei sintagmi. L'ambiguità di queste strutture risulta ancora più evidente poiché la mobilità dei loro costituenti aumenta o diminuisce a seconda dei contesti in modo più netto rispetto ad altre formazioni. Un esempio è dato proprio da nave traghetto, formazione spesso ritenuta un composto, in frasi di parlato colloquiale come È quella traghetto la nave che dobbiamo prendere, 1Dobbiamo prendere quella traghetto? o ancora in È un traghetto la nave che dobbiamo prendere? in cui è difficile decidere se traghetto è un uso ellittico di nave traghetto o è un'inversione di un costituente della formazione nave traghetto. Dobbiamo peraltro ribadire che questa mobilità non si registra nei composti veri e propri, come si vede dall'inaccettabilità delle frasi seguenti, anche in un contesto colloquiale: *È un cane il pesce che hai visto?, *Quello cane è il pesce più pericoloso!. I tipi V+N e A+A sono presenti con una sola occorrenza ciascuno (cessate il fuoco, chiaro scuro). Le altre strutture delle polirematiche non sono ritenute produttive per la forma-

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2. Composizione

zione dei composti (A+N e N+A, N+SP).1 Questo elemento di differenziazione induce almeno due riflessioni. In primo luogo, il fatto che le polirematiche usino strutture possibili, ma non più produttive per la creazione di nuovi composti dà forza all'idea che pur essendo le polirematiche formazioni lessicali distinte dai composti, esse costituiscono «l'equivalente funzionale della composizione verbale e nominale nelle lingue in cui tale procedimento è più attivo che nella tradizione latina e neolatina» (De Mauro 1999, 1177). In secondo luogo, la presenza massiccia di strutture N+SP legittima l'idea che si stia consolidando un procedimento di formazione lessicale nuovo. Dal punto di vista della composizione lessicale, le polirematiche presentano una grande varietà. Su 629 polirematiche nominali del LIP 286 hanno per testa un nome che ricorre almeno due volte e tra queste ben 209 appartengono a usi settoriali. Tra i nomi testa che ricorrono di più abbiamo assemblea, camera, colpo, consiglio, carta, diritto, effetto, ente, gruppo, numero, punto, scuola, tempo, stato. Come è evidente si tratta di parole molto diverse, tutte altamente polisemiche. Anche per quanto riguarda le polirematiche vige infatti il principio che la frequenza d'uso di un'unità lessicale è direttamente proporzionale al suo numero di accezioni. Se si dà un'occhiata alla frequenza dei nomi appena citati nel LIP, si vede che rientrano tutti nei primi 2000 lemmi in ordine di frequenza, nella fascia cioè del vocabolario fondamentale. In particolare nel caso delle polirematiche i nomi testa più ricorrenti sembrano avere tutti la caratteristica di presentare numerose accezioni comuni e settoriali. Complessivamente le polirematiche di uso settoriale sono il 67% del totale e presentano in misura equilibrata tutt'e quattro i tipi di struttura. E utile segnalare infine che anche tra i modifícatori esistono aggettivi o SP ricorrenti. Tra gli aggettivi che ricorrono più frequentemente abbiamo: primo (prima donna, prima linea, prima notte, prima pagina, prima scelta, prima serata, prima visione, primo ministro, primo mondo, primo piano) e pubblico {pubblica amministrazione, pubblica istruzione, pubblico ufficiale, pubblico dipendente, pubblico impiego, pubblico ministero). Anche per gli aggettivi valgono le considerazioni fatte sopra per i nomi. Per quanto riguarda i SP modificatori, nel LIP non sono molti i casi di sintagmi ricorrenti nelle polirematiche nominali. Esistono però casi di questo genere segnalati in Cicalese 1995: per esempio freno a mano, bomba a mano, bagaglio a mano, palla a mano, giacca a vento, mulino a vento, manica a vento. Anche se Cicalese riconduce questo fenomeno alla polisemia del gruppo preposizionale, a me pare più probabile che qui si tratti del fenomeno inverso. La differenza di significato delle varie polirematiche che contengono lo stesso SP (a mano, a vento ecc.) non deriva dal fatto che questi SP possano avere più significati, ma dal fatto che l'esistenza di queste polirematiche ha trasferito su questi SP una pluralità di sensi.

Il tipo N+SP non è considerato in Scalise 1994 come base per i composti; in realtà, esistendo composti come pomodoro, è meglio includere il tipo almeno tra quelli non più produttivi.

2.1. Composizione con elementi italiani

65

2.1.8.3.2. Polirematiche pronominali MV Se consideriamo tutti i pronomi a lemma nel GRADIT, semplici e complessi, le polirematiche costituiscono ben il 12% del totale. Il LIP registra una unica polirematica pronominale: che cosa. Le strutture ricorrenti sono le seguenti PRO+A/A+PRO

PRO+SV

noi altri, voi altri, tal altro, tutt'altro, che cosa, qualche cosa, qual esso, gran che chissà chi, chissà cosa, chissà che,' chissà quale, chi più, che più, chi più chi meno checché sia, che so io, chi capita

ART+PRO P+PRO PRO+CG+PRO

lo stesso, il tal, il tal dei tali di tutto, di molto, di più questo e quello

AVV+PRO/PRO+AVV

Si tratta di polirematiche fortemente agglutinate, per la maggior parte delle quali si può parlare di avanzato processo di univerbazione. La diversità tra queste formazioni e polirematiche si evidenzia anche nel fatto che alcune di esse possono essere scritte come un'unica parola: chicchessia, checchessia, noialtri, voialtri (cfr. Serianni 1988, Cap.VII). E infine interessante notare che si tratta per la quasi totalità di pronomi interrogativi, indefiniti e dimostrativi; gli unici pronomi personali sono noi altri e voi altri.

2.1.8.3.3. Polirematiche verbali MV Se consideriamo tutti i verbi a lemma nel GRADIT, semplici e complessi, le polirematiche costituiscono ben il 17% circa del totale. Le strutture ricorrenti sono le seguenti: V+(DET)+N

V+SP

V+AVV V+A

dare buca, dare i numeri, fare appello, fare causa, fare il punto, fare luce, forzare i tempi, forzare la mano, passare la parola, perdere tempo, perdere la testa, prendere tempo, stendere un velo, tendere una mano, tirare il collo andare in onda, andare in porto, andare in scena, prendere con le molle, dire in faccia, essere di guardia, mantenere in piedi, mettere in moto, piantare in asso, stare in guardia andare via, buttare giù, essere lì lì, fare fuori, tenere dietro, vedere male essere fritto, stare fresco, uscire pazzo

L'insieme di queste strutture copre il 98% circa delle polirematiche verbali del LIP nelle proporzioni seguenti: il 44% circa V+(DET)+N; il 40% circa il tipo V+SP; l'80% circa il tipo V+AVV e infine il 5% circa il tipo V+A. La mancanza di composti verbali produttivi in italiano (Scalise 1994) rafforza ancora una volta l'idea che queste formazioni polirematiche, numerose e produttive, sostituiscano dal punto di vista funzionale la composizione. Alcune polirematiche verbali del tipo V+AVV sono state considerate verbi sintagmatici (Simone 1997) paragonabili per il loro comportamento sintattico ai phrasal verbs inglesi e in parte ai verbi con

Il GRADIT riporta anche la grafia chi sa chi, chi sa cosa, chi sa che, chi sa quale.

2. Composizione

66

particella tedeschi. In particolare si ritiene che tra i verbi sintagmatici ricorrano verbi di movimento o stativi con avverbi che indicano posizione, distanza o direzione: andare su/giù/via, stare accanto/contro/dietro, venire addosso/fuori/indietro. La maggior parte di questi verbi non ha per la verità, a mio parere, un comportamento diverso dalle altre polirematiche verbali, ciò che li caratterizza è casomai il fatto che possano avere molti sensi diversi. Per esempio un verbo come buttare giù, oltre ad avere il significato "gettare dall'alto in basso", può avere vari significati figurati: "mangiare in fretta", "scrivere in fretta", "deprimere".

Nelle polirematiche verbali, molto più che in quelle nominali, troviamo un numero piuttosto alto di verbi ricorrenti. Nel LIP Γ 80,5% delle polirematiche verbali è costituito da una testa che occorre almeno due volte. Anche nel GRADIT esiste un nucleo di verbi che costituisce la testa della maggior parte delle polirematiche verbali. Si tratta di verbi di altissima frequenza, elemento che favorisce la loro combinabilità nelle formazioni polirematiche per vari ordini di motivi. In primo luogo, le parole molto frequenti sono fortemente polisemiche, possono cioè occorrere in contesti molto diversi poiché possono avere molti sensi diversi. Ciò le rende facilmente disponibili per la creazione di nuove polirematiche. In secondo luogo, alla polisemia si accompagna una certa vaghezza semantica che rende molti verbi di alta frequenza suscettibili di essere usati come supporto sintattico, senza fornire un contributo semantico lessicale. E ciò che succede a molte polirematiche che hanno come testa il verbo avere o fare (D'Agostino 1993). Le polirematiche con verbo supporto non sono tuttavia la maggioranza. Ecco il numero di accezioni registrato dal GRADIT per alcuni dei verbi che costituiscono la testa di un gran numero di polirematiche: avere tr. 17, int. 1; essere 9; fare tr. 18, int. 10; dare tr. 5, int. 3; andare 14; mettere tr. 23, int. 24; venire 18; tenere tr. 21, int. 6; tirare tr. 10, int. 6. Si riportano qui di seguito i verbi che nel GRADIT ricorrono più frequentemente come testa di polirematiche verbali: alzare, andarci, andare, aprire, avere, battere, buttare, cadere, cambiare, correre, dare, dire, entrare, esserci, essere, fare, farsi, forzare, gettare, giocare, lasciare, levare, levarsi, mandare, mangiare, mettere, parlare, passare, perdere, perdersi, pigliare, porre, portare, prendere, prendersi, reggere, reggersi, rendere, restare, ridurre, rimettere, rompere, saltare, sapere, saperla, saperne, stare, stringere, tagliare, tendere, tenere, tirare, uscire, vedere, venire.

2.1.8.3.4. Polirematiche aggettivali MV Se consideriamo tutti gli aggettivi a lemma nel GRADIT, semplici e complessi, le polirematiche costituiscono il 3% del totale. Le strutture ricorrenti sono: SP N+CG+N

A+A N+N

a senso unico, di massima sicurezza, fuori stagione, in bollo, in scala, a vista, alla mano, sul campo, in bianco, di comodo acqua e sapone, bianco e nero, andata e ritorno papale papale terra terra

Nel LIP sono registrate 67 polirematiche aggettivali, Γ 80% delle quali ha la struttura SP costituita da P+A (in bianco) o P+N (in bollo), in questo secondo caso il nome può essere preceduto dall'articolo (alla mano) e modificato da un aggettivo preposto (di bassa lega) o posposto (a senso unico). Non è sempre facile distinguere le polirematiche aggettivali da quelle avverbiali poiché, così come accade per gli aggettivi monorematici, anche le formazioni polirematiche agget-

2.1. Composizione con elementi italiani

67

tivali possono svolgere la funzione di avverbio: persona alla mano (A) e essere alla mano (AVV), pasta in bianco (A), mangiare in bianco (AVV). Inoltre essendo gli aggettivi polirematici perlopiù invariabili non è possibile ricorrere a marche morfologiche per distinguere gli aggettivi dagli avverbi. Ciò riguarda prevalentemente le formazioni costituite da SP e A+A. La possibilità che una polirematica abbia valore aggettivale e avverbiale sembra dipendere da fattori squisitamente semantici e non morfosintattici: come vedremo nel paragrafo seguente non tutte le polirematiche avverbiali che presentano la stessa composizione di quelle aggettivali possono automaticamente avere entrambe le funzioni. 2.1.8.3.5. Polirematiche avverbiali MV Se consideriamo tutti gli avverbi a lemma nel GRADIT, semplici e complessi, le polirematiche costituiscono il 32% circa del totale. Le strutture ricorrenti sono: P+(DET)+N/A

P+N+P+N/A

N+SP AVV+P+AVV AVV+AVV AVV+CG+AVV

a caldo, a freddo, a giorno, a monte, a occhio, a rate, al verde, alla pari, al nero, a chiare lettere, a tutta birra, a viso aperto, di cuore, in contante, in caldo, in nero, in proprio, in buona fede, in senso lato, sulla carta di punto in bianco, a portata di mano, in via di sviluppo, a pie' di pagina, in linea di massima, di anno in anno, in fin dei conti, a prezzo di costo pancia all'aria, porta a porta su per giù, lì per lì, giù di lì così così, via via, meno male più o meno, bene o male

Le polirematiche avverbiali costituite da P+A (a caldo, in nero) o da P+N {a tappeto, a monte) costituiscono la stragrande maggioranza. Esse sono infatti il 70% di quelle registrate nel LIP, inoltre si ottiene quasi la stessa percentuale (68%) se si calcola la numerosità di questo tipo di polirematiche avverbiali nel corpus presentato in Elia 1995, costituito da 3086 avverbi polirematici. Questo tipo di polirematiche può presentare qualche variante: nel caso di P+N il nome può essere preceduto, anche se raramente, dall'articolo {al volo), e può essere modificato da un aggettivo preposto (in alto mare) o posposto (a ruota libera). Il tipo P+N+P+N/A costituisce il 10% circa delle polirematiche avverbiali del LIP e circa il 12% del corpus di Elia 1995. Si tratta di strutture molto varie in cui spesso il primo sintagma preposizionale svolge la funzione di una preposizione complessa, come si può vedere dagli esempi seguenti: a contatto di gomito, a dispetto dei santi, in via di sviluppo, a pie' di lista, a fior di pelle, a giro di posta, a portata di mano. Il restante 20% circa è coperto dalle altre strutture in modo relativamente equo. 2.1.8.3.6. Polirematiche preposizionali MV Se consideriamo tutte le preposizioni a lemma nel GRADIT, semplici e complessi, le polirematiche costituiscono ben il 63% del totale. Le strutture ricorrenti sono:

2.

68 P+N+P

Composizione

al punto da, a carico di, a furia di, a norma di, alla luce di, in preda a, nell'arco di

AVV+P

assieme a, prima di

N+P

riguardo a, rispetto a

(P+)PRO+P

quanto a, in quanto a

Il tipo P+N+P copre il 70% circa delle polirematiche preposizionali del LIP, mentre il restante 30% è coperto in modo equilibrato dagli altri tipi. E utile notare che le preposizioni che ricorrono più frequentemente come introduttori sono di e a, cioè le preposizioni semplici più frequenti in italiano. Alcune polirematiche possono essere introdotte da diverse preposizioni senza che cambi il significato (a/in difesa di, a/per opera di) o con significati diversi (a/per/su istanza di). 2.1.8.3.7. Polirematiche congiunzionali MV Se consideriamo tutte le congiunzioni a lemma nel GRADIT, semplici e complesse, le polirematiche costituiscono il 48% circa del totale. Le strutture ricorrenti sono: AVV+che CG +che SP+che F+che SP+REL

dopo che, fin tanto che, prima che, salvo che, tanto che nonostante che a parte che, dal momento che, in modo che, nel caso che fermo restando che, sta di fatto che, stante il fatto che nella misura in cui

(P+)PRO

in quanto, per quanto

In totale nel LIP sono registrate 38 polirematiche congiunzionali, l'81% delle quali è costituito da strutture con il complementatore che, mentre le strutture costituite da SP+REL sono circa l'8%. Il restante 10% si distribuisce su altre strutture come in quanto e per quanto o usi non standard di strutture CG+che, come siccome che, (non) appena che. È noto che la relativizzazione di un complemento obliquo può avvenire sia attraverso l'uso di un pronome relativo sia attraverso il complementatore che. Questo spiega la presenza anche nelle polirematiche di strutture come nel caso che e nella misura in cui. Si osservi tuttavia che nei casi in cui sono possibili entrambe le strutture (per esempio dal momento che / dal momento in cui) le due strutture tendono a distinguersi dal punto di vista semantico: dal momento che ha perso il suo significato temporale per assumere un significato causale più o meno corrispondente a poiché. Ciò dipende dal fatto che in questo tipo di struttura i rapporti sintattici tra i costituenti sono meno trasparenti e ciò rende più agevoli gli slittamenti di significato. Inoltre le strutture con complementatore tendono a essere percepite dai parlanti come più agglutinate. C ' è infine da notare che alcune di queste strutture si possono trovare usate senza il complementatore, come nell'esempio Ti ho lasciato le chiavi nel caso (che) tu venga. 2.1.8.3.8. Polirematiche interiettive MV Se consideriamo tutte le interiezioni a lemma nel GRADIT, semplici e complesse, le polirematiche costituiscono il 30% del totale. Le formazioni interiettive presentano le seguenti strutture:

2.2. Composizione con elementi

A+N N+A N+N I+SP P+N P+N+SP SV V+N

neoclassici

69

buone cose, che palle, porca miseria, questi/'sti cavoli, santo cielo madonna santa, mamma mia mondo boia, mondo cane, puttana èva buonanotte al secchio, buonanotte ai suonatori, grazie a Dio, grazie al cielo alla faccia, al ladro, per carità, per fortuna in bocca al lupo, in nome del cielo, in nome di Dio, per amor di Dio, per amor di/del cielo ben detto, ben fatto apriti cielo

Il LIP registra 39 polirematiche interiettive, Γ 89% delle quali è rappresentato dai tipi A+N, N+A, P+N e P+N+SP. Come abbiamo detto (cfr. 2.1.8.2.2.) si tratta di formazioni fortemente agglutinate e, di fatto, impermeabili a qualsiasi trasformazione.

2.2. Composizione con elementi neoclassici ci Nel corso del Novecento, a seguito del notevole sviluppo della ricerca scientifica e della specializzazione tecnologica, la lingua italiana si è arricchita di decine di migliaia di termini di uso specialistico (avicolo, caudiforme, cianografo, fonologia, idrogamia, ignifugo, splenotomia, tecnocrate) prodotti dalla combinazione di elementi formativi d'origine greca e latina (avi-, caudi-, ciano-, -colo, fono-, -forme, -logia ecc.). La composizione con elementi neoclassici è il tipo di formazione delle parole che utilizza elementi formativi tratti dalle lingue classiche per coniare termini di ambito tecnicoscientifico, usati primariamente con funzioni designative e classificatorie. Gli elementi formativi di cui sono formati i composti neoclassici sono impiegati di norma come elementi non liberi, elementi cioè che non possono occorrere autonomamente in una frase, ma solo all'interno di parole complesse. I composti neoclassici sono anche detti internazionalismi perché compaiono con il medesimo significato e con forma quasi identica in diverse lingue (it. biometria, fr. biométrie, ingl. biometrics, ted. Biometrie, sp. biometria-, it. fitofago, fr. phytophage, ingl. phytophagous, ted. phytophag, sp. fitófago), distinguendosi in ciò dalle parole del lessico comune di ciascuna lingua, le quali sono invece caratterizzate da plurivocità di sensi e da maggiori differenze foniche da una lingua all'altra. Sebbene la gran parte dei composti neoclassici rimanga all'interno dell'ambito d'uso delle terminologie tecnico-scientifiche, alcuni di essi entrano a far parte dell'uso comune di una determinata lingua (it .frigorifero, telefono, termometro). L'immissione nel corpo delle diverse lingue nazionali dei composti neoclassici di origine tecnico-scientifica (favorita dalla diffusione della scolarizzazione e dai mezzi di comunicazione di massa) ha determinato un'interazione con il lessico e con le regole di formazione di parole proprie di ciascuna lingua. Il lessico dell'italiano si è dunque trovato a interagire con elementi allogeni, combi-

70

2.

Composizione

nati secondo regole di formazione di parole in parte diverse rispetto a quelle proprie del lessico di uso corrente. La conseguenza più importante di questo stato di cose è rappresentata dalla coniazione e diffusione nell'uso corrente di composti formati da un elemento formativo e una parola (agriturismo, applausometro, idromassaggio, paninoteca, termocoperta) e non solo in combinazione con altri elementi formativi. L'interazione tra composti neoclassici e lessico comune pone problemi di tipo sia teorico sia descrittivo. Gli elementi formativi e i tipi di formazione delle parole a cui prendono parte presentano infatti diverse peculiarità che ne rendono la classificazione non facile e controversa. In primo luogo si tratta di identificare nel gran numero di elementi formativi impiegati nelle terminologie tecnico-scientifiche quali e quanti sono entrati a fare parte dell'uso corrente della lingua italiana, vale a dire, il cui significato è noto alla generalità dei parlanti, e possono essere usati per formare parole nuove di uso non strettamente specialistico.1 I composti neoclassici poi non corrispondono pienamente né alla definizione di composto né a quella di derivato della lingua italiana: infatti non sono formati né dalla combinazione di due elementi liberi, così come generalmente accade per i composti dell'italiano (pescecane, capostazione), né dalla combinazione di un elemento libero e uno non libero (un affisso), così come accade per i derivati (rifare, barista). Inoltre, le funzioni degli elementi all'interno del composto neoclassico (Determinante+Determinato) sono ordinate in modo diverso rispetto a quello usuale dei composti italiani (Determinato+Determinante), cfr. fruttifero vs portafrutta. Gli elementi formativi sono simili agli affissi in quanto elementi non liberi, ma a differenza dei prefissi e dei suffissi non tutti occupano una posizione fissa (o iniziale o finale). La grandissima maggioranza di essi esprimono tipi di significato più simili a quelli espressi dalle parole che dagli affissi (cardio- "cuore"; oftalmo-, oculo- "occhio"), ma ve ne sono anche alcuni che esprimono significati di tipo funzionale-relazione (ecto- "fuori", endo- "dentro"). A differenza degli affissi, infine, e analogamente alle parole, numerosi elementi formativi sono basi di parole derivate (artro-, dendro-, lipo-, cfr. artrosi, dendrite, lipoma).

2.2.1. Differenti denominazioni ed eterogeneità degli elementi formativi ci Gli elementi che partecipano alla formazione dei composti neoclassici non hanno una denominazione unanimemente accettata. I diversi nomi proposti riflettono le diverse opinioni sia riguardo alla somiglianza di tali elementi con l'insieme degli affissi piuttosto che con quello delle parole, sia riguardo all'interpretazione delle parole in cui appaiono come dei composti o piuttosto dei derivati. La denominazione elemento formativo adottata in questo volume è neutrale rispetto alle opposizioni parola / affisso e derivato / composto, ed è quella che più si avvicina a termini correntemente usati in altre lingue, quali l'inglese combining form e il francese formant.

1

Una stima quantitativa del numero di elementi formativi presenti in dizionari non specialistici dà i seguenti risultati: il GRADIT (al momento la più ampia fonte lessicografica dell'italiano) lemmatizza e definisce circa 2.600 elementi formativi (la maggior parte dei quali di uso esclusivamente tecnico-scientifico), i dizionari dell'uso di media taglia, come lo Zingarelli o il DISC tra i sette e gli ottocento.

2.2. Composizione con elementi neoclassici

71

Tra le denominazioni che in italiano hanno avuto maggiore fortuna ci sono, da una parte la coppia prefissotele / suffissoide, proposta da Migliorini 19633b, e dall'altra il termine semiparola, coniato da Scalise 1983. Con prefissoide e suffissoide, Migliorini intende evidenziare la somiglianza di alcuni elementi formativi 1 con gli affissi e la loro partecipazione a processi di tipo derivazionale; mentre il termine semiparola evoca la somiglianza degli elementi formativi con le parole e la loro partecipazione a processi composizionali. La coppia prefissoide / suffissoide, spesso accompagnata dall'iperonimo affissoide, ha avuto una discreta fortuna anche nella terminologia linguistica di diverse lingue straniere (si vedano le puntuali indicazioni di Bombi 1993, 162-163). Mentre per quanto riguarda semiparola, lo stesso Scalise usa in testi in lingua inglese la dizione stem. Un'altra denominazione, che mette in evidenza la non-autonomia e l'origine segmentale di questi elementi, è quella di confisso. Questo termine, introdotto in italiano nel 1988 in seguito alla traduzione del libro di André Martinet, Syntaxe générale, Paris, Colin, 1985, è stato di recente ampiamente utilizzato nel GRADIT. Il termine confix, pur se non molto diffuso, è impiegato anche nella terminologia linguistica anglofona (si veda ad esempio Kirkness 1994). La mancanza di un termine corrente per denominare gli elementi formativi salta agli occhi qualora si prenda in esame anche un piccolo insieme di opere di riferimento sul lessico dell'italiano: Dardano 1978 usa la dizione «elementi di forma colta», Serianni 1988 preferisce «elementi formativi scientifici», Tekavöic 19802 la più articolata «elementi formativi scientifici e tecnici di origine latina o greca»; i dizionari della lingua italiana usano di preferenza la denominazione «elemento compositivo», distinguendo spesso tra iniziali e finali; sono ormai poco usati, e teoricamente non giustificati, i termini pseudoprefisso e pseudosuffisso. Le difficoltà di tipo terminologico dipendono in parte dalla ricerca di un termine unico per un insieme di elementi eterogenei particolarmente difficili da classificare, ma dipendono soprattutto da un motivo più profondo. Si tratta di decidere tra due diverse posizioni che dividono gli studiosi, e cioè se gli elementi formativi costituiscano una categoria autonoma, diversa sia dalle parole sia dagli affissi, o siano piuttosto da considerare rappresentanti (non prototipici) dell'una e/o dell'altra categoria. A nostro avviso, gli elementi formativi non sono un insieme omogeneo, né una categoria naturale della lingua. Si tratta di elementi quasi tutti di provenienza allogena, impiegati prevalentemente in registri tecnicoscientifici, il cui motivo di interesse è dato dalla partecipazione a parole di uso corrente e dall'interazione con le regole di formazione di parole dell'italiano. La maggior parte di essi ha caratteristiche di tipo lessicale e solo una piccola parte di tipo affissale. Giova ricordare che da un punto di vista metodologico la proliferazione di categorie non è una buona soluzione ai problemi di classificazione e, nella fattispecie, l'individuazione di una eventuale terza categoria - oltre a quella di affisso e parola - non porterebbe a delimitazioni più nette e coerenti di quelle possibili utilizzando le due categorie naturali di affisso e parola. Riteniamo quindi che non ci siano ragioni teoriche sufficienti per individuare una nuova categoria diversa da quella di parola e di affisso, ma che al tempo stesso ci siano giustificate ragioni di natura descrittiva per utilizzare il termine elemento formativo al fine di denominare gli elementi che partecipano a processi formativi distinguendosi per vari aspetti dalle parole e dagli affìssi tipici della lingua italiana. 1

Viene spesso dimenticato che Migliorini definisce prefissoidi e suffissoidi solo un sottoinsieme del più ampio gruppo di quelli che chiama «elementi di composizione» (cfr. Migliorini 19633b, 127).

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2. Composizione

2.2.2.

Distinzioni all'interno degli elementi formativi ci

Possiamo distinguere all'interno del variegato insieme degli elementi formativi, oltre agli elementi formativi neoclassici, gli accorciamenti usati in composizione, gli elementi formati per secrezione, le parole modificate e altri tipi minori (cfr. anche Fradin 2000).

2.2.2.1. Elementi formativi neoclassici ci Gli elementi formativi neoclassici hanno origine da parole greche e latine impiegate nella forma tematica o nella forma che incorpora la vocale di raccordo usata in composizione nelle lingue classiche. La terminazione regolare degli elementi formativi di origine greca usati in posizione iniziale è -o, quella degli elementi di origine latina è -i, ma vi sono anche elementi formativi di origine greca con altre terminazioni (acu- "uditivo", ali- "mare, salino", bari- "pesante", deca- "dieci", pan- "tutto") e molti elementi di origine latina terminanti in -o, tra cui balneo-, carbo-, digito-. Gli elementi formativi neoclassici sono usati principalmente per formare composti di ambito tecnico-scientifico, ma alcuni di essi sono usati anche per la formazione di parole di uso corrente. Tra i numerosissimi esempi che si potrebbero fare: anemo-, antropo-,1 biblio-, chiro-, crono-, dattilo-, emato-, epato-, eroto-, foro, -grado, morfo- dal greco; arbori-, -cida, igni-, quadri-, -voro dal latino. Gli elementi formativi riconducibili a parole di origine greca sono la netta maggioranza; nel lemmario del DISC la proporzione tra elementi di origine greca e latina è all'incirca di 4 a 1 (dati analoghi sono ricavabili dal GRADIT). La composizione neoclassica si avvale dell'utilizzo in serie di elementi formativi sia in posizione iniziale (angiografla, angiografo, angiolipoma, angiolito, angiologia, angioneurosi, angiopatia ecc.) sia in posizione finale (acromia, bicromia, pleiocromia, stereocromia, tetracromia ecc.). Tra gli elementi formativi neoclassici ve ne sono alcuni che possono essere impiegati sia in posizione iniziale che finale (topologia, biotopo, cronografo, isocrono). La principale ragione d'essere dei composti neoclassici è quella di permettere di designare in modo univoco un significato mediante la combinazione secondo moduli regolari di elementi definiti indipendentemente. Fra i primi esempi del loro utilizzo vi sono i sistemi classificatori di Linneo e Lavoisier (cfr. 10.1.1.), che permettono di formare termini adeguati per denominare non solo le entità già note, ma anche entità prevedibili o possibili. Gli scienziati dei secoli XVIII e XIX, che più hanno contribuito all'introduzione di elementi formativi neoclassici nella terminologia tecnico-scientifica, avevano in genere una buona competenza del lessico delle lingue classiche. Essi scelsero di utilizzare i procedimenti formativi del greco per la maggiore ricchezza e duttilità dei moduli compositivi di questa lingua rispetto a quelli del latino. La duttilità dei procedimenti formativi impiegati nella composizione neoclassica è persino maggiore di quella del greco antico, a cui, ad esempio, è estranea la composizione con più di due elementi tematici. Fra i numerosi esempi: elettroencefalogramma, gastroenterologia, neuroelettrofisiologia, otorinolaringoiatra. Si deve al 1

Usiamo la convenzione di citare gli elementi formativi che possono occorrere in posizione sia iniziale che finale allo stesso modo di quelli solo iniziali. Nei casi in cui è utile distinguere gli elementi biposizionali da quelli solo iniziali o solo finali useremo invece due trattini, es. -antropo-.

2.2. Composizione con elementi

neoclassici

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greco anche il caratteristico ordine dei costituenti (Determinante+Determinato) all'interno dei composti neoclassici. Il primo massiccio apporto nella lingua italiana di elementi formativi neoclassici si è avuto nel Settecento, soprattutto tramite la mediazione della lingua francese. L'attuale prevalenza dell'inglese come lingua internazionale della comunicazione scientifica fa dell'inglese il tramite principale dell'accoglienza di elementi formativi in italiano, ma piuttosto che della mediazione di una lingua specifica, nel caso degli elementi formativi neoclassici è più opportuno parlare di una convergenza interlinguistica di prestiti e calchi, che avviene tramite un circuito comunicativo di dimensione internazionale (cfr. Bombi 1993, 160). L'identificazione della lingua a cui un elemento formativo neoclassico può essere fatto risalire non è una informazione sufficiente: già il latino umanistico e, più ampiamente, il moderno latino scientifico hanno fatto largamente ricorso a elementi di origine greca, favorendo la coniazione di formazioni miste greco-latine. Inoltre, una stessa nozione può essere espressa da più di un elemento formativo, che può essere ripreso anche in tempi diversi sia dal greco che dal latino (dattilo- e digito-, ombro- e pluvio-, seleno- e luni-).

2.2.2.2. Accorciamenti usati in composizione a L'accorciamento (cfr. 8.3.) è un procedimento indipendente dalla formazione di elementi compositivi, ma le caratteristiche fonologiche e prosodiche delle forme accorciate rendono tali forme particolarmente adatte a essere riutilizzate come elementi di un composto, specialmente come elementi iniziali. Vi sono infatti accorciamenti che sono usati principalmente o esclusivamente come elementi formativi. Rispetto alla segmentazione delle parole da cui hanno origine, possiamo distinguere due tipi di elementi formativi ricavati per accorciamento. Nel primo tipo, il risultato dell'accorciamento di un composto coincide con un elemento formativo (eco- da ecologia, foto- da fotografia, tele- da televisione). Così come in tutti gli accorciamenti, l'elemento risultante assume il significato della parola da cui è tratto. Si ottengono in tal modo coppie di omonimi fra gli elementi formativi «etimologici» e le forme accorciate. Eco-, ad esempio, significa "casa, ambiente vitale" in ecofobia, ecofora, ecologia, ma "ecologia" in ecocompatibile, ecodisastro, ecosviluppodemosignifica "popolo" in democrazia, demografia, ma "democrazia, democratico" in democristiano. Meno netta la distinzione semantica tra -plano- "piatto" in planografia, aeroplano, e -plano "piano alare" in deltaplano, eliplano.2 Nel secondo tipo, l'accorciamento non coincide con un elemento formativo della parola di origine, o perché la parola di origine non è un composto dell'italiano if anta- da

Esiste un terzo elemento eco- dal lat. echuim) "eco", che indica la ripetizione di un suono (ecoacusia), ed è impiegato specialmente per denominare strumenti e tipi di analisi che utilizzano la riflessione di energia (ecogoniometro, ecografia, ecosonda), ma può indicare anche la ripetizione inconsapevole di gesti, posizioni, intonazioni della voce di solito dipendente da disturbi della psiche (ιecolalia, 2

ecomimia).

Oltre all'elemento formativo di origine latina, riconducibile all'aggettivo planus, vi è un altro elemento omonimo tratto dal greco planos "errante, vagante", con cui sono formate parole quali biciplano, idroplano,

planofita.

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2. Composizione

fantasia o da fantastico in fantapolitica, fantascienza, fantastoriasocioda sociale in socioculturale, sociologia, sociopolitico·, pubbli- da pubblicità in pubbliredazionale, pubblivoro-, scinti- da scintillazione in scintigrafia, scintigramma; tenso- da tensione in tensocettore, tensostruttura", -bus da omnibus in aerobus, elibus, filobus', -trone da elettrone in positrone) o perché la parola di origine è composta ma l'accorciamento non rispetta la segmentazione etimologica e morfologica (bici- da bicicletta in biciraduno, cine- da cinematografo in cinefilo, cineoperatore, cineromanzo, sincro- da sincrono in sincrociclotrone, sincroscopio). Questo tipo di accorciamenti può provocare solo sporadicamente due elementi formativi omonimi, un esempio è la coppia narco- "sonno, relativo al sonno" (narcolessia, narcoterapia) e narco- accorciamento di narcotico, usato con il significato "droga, relativo alla droga" in composti quali narcoguerra, narcotraffico. La coniazione di elementi formativi ricavati per accorciamento è un procedimento produttivo e vitale (si pensi a formazioni di recente diffusione, quali bioagricoltura, biotecnologia, in cui bio- è ricavato da biologia), ed è correntemente utilizzato anche nella formazione di termini strettamente tecnico-scientifici (streptochinasi, streptolisina, in cui streptoè accorciamento di streptococco-, aneurismografia, arteriografia in cui -grafia è accorciamento di radiografia-, celotelio, endotelio, in cui -telio è accorciamento di epitelio). Gli accorciamenti nascono in ambienti all'interno dei quali è chiara e immediatamente ricostruibile la corrispondenza con la forma piena. È al momento della diffusione in ambiti più ampi di quelli di origine che si possono creare occasioni di confusione nel riconoscimento del significato di un elemento o nella distinzione tra elementi omonimi. Uno dei casi più noti di omonimia è quello di tele-: oltre all'elemento formativo con il significato originario "distante", che è impiegato in molte parole di ambito tecnico-scientifico (teleclinometro, telemetro), ma anche di uso comune (telecomando, telefono, telelavoro, televisione), ci sono altri due elementi distinti formatisi per accorciamento. Uno ha il valore "televisione, relativo alle trasmissioni televisive" (telegiornale, teleannunciatore, telespettatore), l'altro, meno diffuso, il valore "telefono, relativo alla telefonia" (teleselezione, telesoccorso). Elementi formativi come tele- "televisione", eco- "ecologia", bio- "biologia", -plano "aeroplano" possono essere definiti «di seconda generazione». Essi formano composti prevalentemente con parole, ma si possono combinare anche con altri elementi formativi (telecrazia, ecocidio). Oltre ai già ricordati eco- e tele-, gli elementi formativi di seconda generazione più diffusi nell'uso sono: aero- "aeromobile, aeroplano, aeronautica" (aeromodello, aeronavale, aeronavigabilità, aeroporto, aerosbarco, aerospaziale), distinto da aero"aria, relativo all'aria" (aerofono, aerografia, aerostato)-, auto- "automobile, autoveicolo" (autonoleggio, autoradio, autoscuola, autostrada1), distinto da auto- "se stesso, da sé" (autobiografia, autocritica, autogeno, autoritratto)-, moto- "motocicletta, motociclismo" (motoaccessorio, motoalpinismo), distinto da moto- "veicolo, macchina, apparecchiatura

2

Nel caso di fanta- si può notare l'inizio di una divaricazione semantica fra il significato originario "fantasia", in parole come fantaeconomia "economia immaginaria", e il significato "fantascienza" (fantafilm "film di fantascienza"). Nel caso si ritenesse opportuno di riconoscere in fanta- due elementi omonimi, quello con il significato "fantascienza" andrebbe interpretato come un accorciamento del primo tipo. In nomi come autolaghi, autosole, auto- è forma accorciata di autostrada e non può essere usato come forma autonoma. Queste formazioni si distinguono dai composti neoclassici per l'ordine relativo tra i costituenti (Determinato+Determinante): il primo elemento è infatti la testa del composto (ciò si può notare anche dal genere femminile di queste formazioni, es. la autolaghi).

2.2. Composizione con elementi

neoclassici

75

funzionante a motore" (motopompa, motosega, motoveicolo), "operazione eseguita con macchine a motore" (motoaratura, motocoltura, mototrazione), a sua volta il risultato dell'accorciamento della parola motore-, radio- "trasmissione radiofonica, apparecchio radiofonico" (radioascoltatore, radiocronaca), diverso da radio- "energia raggiante" (radioattivo, radiografia, radioisotopo, radioscopia). L'accorciamento può coincidere anche con elementi non derivati dalle lingue classiche. È il caso, ad esempio, di buro- "burocrazia, burocrate", dal francese bureau "ufficio", usato come elemento di seconda generazione in composti quali burolingua, burosauro. Ci sono alcuni pochi casi di accorciamento che hanno come risultato parole omonime di affissi, quali, ad esempio, super "benzina super" e sub "subacqueo". Alcuni fra gli elementi formativi ricavati per accorciamento più usati nella lingua comune (specialmente quelli di seconda generazione) possono acquisire una certa autonomia sintattica ed essere correntemente impiegati come nomi, di norma invariabili, e talora anche con funzione appositiva in posizione postnominale (motore turbo, patente auto, trasmissione stereo), uso che si ricollega al tipo compositivo rappresentato da formazioni quali treno merci (cfr. 2.1.2.2.1.). Gli elementi formativi che, dopo essere stati usati in composti, hanno assunto autonomia sintattica come sostantivi di uso più comune sono: auto (f.), cinema (m.), foto (f.), moto (f.), porno (m.), radio (f.), stereo (m.), turbo (m.), video (m. "videotape", f. "videocassetta"). 1 Non tutti questi elementi formativi hanno uguale probabilità di impiego con funzione appositiva: mentre, ad esempio, pornomessaggio si può alternare con messaggio porno, così come videocassetta con cassetta video, come corrispettivo di motoraduno, raduno motociclistico è preferito a raduno moto. Ulteriori caratteristiche nominali consistono nella possibilità di essere derivati con suffissi (autiere, autista, videata), di essere elementi finali di parole prefissate e composte (maximoto, superporno, turbomoto), di partecipare a composti propri della formazione delle parole dell'italiano, cioè con testa a sinistra (autoblindato, autobotte, autofunebre, autopubblica, motoleggera). In casi come auto "automobile" si è compiuto un movimento spiraliforme di grammaticalizzazione e degrammaticalizzazione (cfr. Ramat 1992), con un passaggio da parola autonoma a elemento formativo e di nuovo a parola autonoma, che può avvenire sia all'interno di uno stesso sistema linguistico, e in un tempo relativamente breve (motore, moto-, la moto) sia nel passaggio tra più lingue (es. dal sostantivo greco phôs, photós "luce", passando per la forma compositiva greca photo- e italiana foto- "luce", per arrivare al sostantivo italiano foto "fotografia", certamente favorito dal precedente francese photo).

La storia formativa di video si differenzia da quella degli altri elementi qui menzionati. Usato nel significato di "apparecchiatura che ha la funzione di riprodurre e diffondere immagini visive, e le immagini così prodotte", video (così come audio) è un prestito dall'inglese accolto in italiano prima come parola autonoma e solo successivamente come elemento compositivo. Gli usi più recenti di video nei significati di "videotape" e di "videocassetta" sono invece il risultato di processi di accorciamento. Il passaggio da parole autonome a elementi formativi ricavati per accorciamento, sebbene infrequente, non è impossibile, si pensi al caso di ferrovia, composto formato sul modello del ted. Eisenbahn e dell'ingl. railway a partire da due parole autonome {ferro e via). Da ferrovia sono stati ricavati due distinti elementi formativi: ferro- ha assunto il valore "ferrovia, ferroviario" ed è impiegato in parole quali ferromodellismo, ferrotranviario', mentre -via è usato con il significato "sistema di trasporto su rotaie, cavi, o simili" in parole quali cabinovia, sciovìa.

2. Composizione

76 2.2.2.3. Elementi formati per secrezione ci

Intendiamo con secrezione (cfir. Warren 1990 e Fradin 2000) l'individuazione di un nuovo elemento formativo ricavato per segmentazione da una parola, il quale, a differenza degli elementi ricavati per accorciamento, non esprime il significato principale della parola da cui deriva, ma un significato secondario (spesso metaforico) che la parola ha acquisito in particolari contesti pragmatici. Così come negli accorciamenti, il risultato della secrezione può coincidere con un costituente morfologico e produrre un elemento omonimo di un altro già esistente, es. -poli "scandalo politico-affaristico" (in parole come affittopoli, concorsopoli, condonopoli, sanitopoli) ricavato da tangentopoli (propriamente "città delle tangenti"), oppure operare secondo criteri primariamente prosodici, come nel caso di -thon, dall'inglese marathon "maratona", usato con il significato "evento pubblico di durata molto superiore al normale" in parole come telethon. Tra i pochi altri esempi di secrezione, -stroika, tratto da perestroïka e usato con il significato "rinnovamento politico" in parole come castrostroika (termine giornalistico riferito alla politica di Fidel Castro), e -gate, tratto da Watergate e anch'esso usato col significato "scandalo politico-affaristico", come in irpiniagate, russiagate. Al pari dell'accorciamento, la secrezione può provocare sia la risemantizzazione di elementi già esistenti (-poli) sia la formazione di elementi non esistenti precedentemente nella lingua (-thon, -stroika), ma, a differenza dell'accorciamento, produce elementi che possono essere usati esclusivamente come forme non autonome. Si tratta di un procedimento del tutto marginale in italiano, che ha prodotto un numero molto ridotto di elementi per lo più dovuti a prestiti, il cui impiego, inoltre, è limitato quasi esclusivamente alla lingua scritta dei media.

2.2.2.4. Parole modificate e altri elementi non autonomi ci Possiamo denominare parole modificate le parole usate come primo membro di composto (di norma nomi) la cui vocale finale è modificata in o oppure in i, così da uniformarsi alle terminazioni caratteristiche degli elementi formativi neoclassici e al loro schema formativo dominante; tra i numerosissimi esempi: aghiforme, alghicida, anguilliforme, bocciofilo,

erbivoro, insetticida, mafiologia, morfinomane, musicomania, parassitologo, tendopoli. La modifica può riguardare anche nomi propri, come in galvanómetro, mariologia "parte della teologia cattolica che riguarda Maria la madre di Gesù". La terminazione in o o in i dipende di norma dall'origine rispettivamente greca o latina dell'elemento formativo finale (cfr. parassitologo e parassiticida);' la modificazione può interessare anche un segmento finale Il fatto che la vocale finale della parola modificata dipenda di norma dall'elemento formativo è ritenuto da alcuni studiosi un argomento valido dal punto di vista strettamente sincronico per ascrivere le vocali o ed i agli elementi formativi, i quali dunque comincerebbero in vocale (es., -icida, -ivoro, -ologia, -ornane). Tale proposta non è priva di problemi. Innanzitutto, una segmentazione diversa da quella etimologica provoca una divaricazione formale tra gli elementi che possono essere impiegati in posizione sia iniziale che finale (es. -metro-, -fago-, che diventerebbero rispettivamente metro-, fago- se impiegati in posizione iniziale, -ofago, -ometro se impiegati in posizione finale) alla quale non corrisponde una altrettanto netta differenziazione semantica; inoltre, nel caso di composizione con due elementi formativi neoclassici la vocale finale dell'elemento ini-

2.2. Composizione con elementi

neoclassici

77

più ampio della vocale (e coincidere pure con un suffisso) determinando talvolta casi di aplologia: cosmetologia (da cosmetica), estetologia (da estetica), lombricoltura (da lombrico), mineralogia (da minerale), planctologia (da plancton), oppure consistere nella inserzione di vocale (filmologia, gasometro, islamologia, merceologia, rockodromo, sciovia, sovietologo, wagnerologo). Le parole modificate condividono con gli elementi formativi neoclassici le terminazioni caratteristiche, restrizioni sulla lunghezza e la partecipazione alla struttura compositiva Determinante+Determinato. Le differenze principali consistono nel fatto che hanno origine da parole di uso corrente e non da elementi di derivazione greco-latina e nell'essere usate solo occasionalmente come elementi di composti, mentre caratteristica degli elementi formativi neoclassici è la possibilità di essere utilizzati ripetutamente in numerose formazioni legate da relazioni di tipo paradigmatico. Perché una parola possa essere usata come elemento iniziale non deve avere accento sull'ultima sillaba e deve preferibilmente essere lunga due o tre sillabe. Sono infatti rari gli esempi di composti con parole modificate quadrisillabiche (parassita, cfr. parassitologo), o con accento sulla terz'ultima sillaba (crimine, demone, estero, cfr. criminologo, demonologia, esteromania). Le parole che rispondono a tali requisiti e terminano in o possono essere impiegate senza necessità di modifiche: cremlinologo, disastrologo, egittologia, futurologia, gattofilo, ufologo. Il fatto che la grande maggioranza dei sostantivi maschili al singolare terminano in o e che gli elementi formativi finali siano per lo più di origine greca neutralizza in molti casi la distinzione tra parole modificate e parole impiegate nella forma di citazione, la quale invece è segnalata da un'indicazione formale nel caso di elementi formativi finali latini (i quali richiedono una i, cfr. bulbiforme, cubiforme) e nel caso di parole terminanti con un'altra vocale o con consonante (cartografo, filmografia, ovaliforme). L'occasionalità dell'impiego delle parole modificate e l'assenza di un'indicazione formale nel caso dei sostantivi maschili in o rendono particolarmente incerto e variabile l'elenco di tali forme. Sono fattori di tipo quantitativo, come la frequenza d'uso e la numerosità dei composti in cui una parola modificata compare ad avvicinarla al rango di elemento formativo: se una parola modificata è usata in un composto fortunato (tangento- in tangentopoli), essa tende a essere riutilizzata in combinazione con altri elementi formativi finali (tangentocrazia, tangentomane, tangentomania) entrando a far parte di serie paradigmatiche (così come normalmente accade per gli elementi formativi neoclassici). Un criterio empirico per determinare l'avvenuto passaggio di una parola da occasionale elemento iniziale di composto a vero e proprio elemento formativo consiste, secondo Antonelli 1996, 288, nella possibilità di formare composti premettendosi a parole (invece che soltanto a elementi formativi). Secondo tale criterio, tangento- continua a essere una forma modificata della parola tangente e non un vero e proprio elemento formativo fino a quando non compaia in composti ziale non è determinata dall'elemento finale (cfr. erbivoro / idrovoro, cronometro / colorimetro, psicogeno / terrigeno). A nostro avviso, la risegmentazione del tipo -icida, -ologia trova giustificazione solo qualora tali elementi siano reinterpretati come suffissi derivazionali, in quanto altrimenti la presenza delle vocali i ed o dovrebbe dipendere da regole di inserzione postulate ad hoc. Tale reinterpretazione, che si configura come il risultato di un processo di grammaticalizzazione, deve essere motivata da accurati lavori che descrivano l'impiego di ciascuno di tali elementi. In 2.2.8. sono elencati e descritti gli elementi formativi che a nostro giudizio si avvicinano in diversa misura alle caratteristiche proprie dei suffissi derivazionali.

78

2.

Composizione

quali *tangentoscandalo, *tangentopolitica. Un altro criterio che non offre risultati univoci, in quanto dipende dalla considerazione di valori quantitativi, riguarda l'utilizzo nelle terminologie tecnico-scientifiche: l'impiego ricorrente di una parola modificata nella formazione di composti tecnico-scientifici tende a equipararla agli elementi formativi neoclassici. Si pensi, ad esempio, a fungi-, latto-, vermi- (originariamente parole modificate), e ora usati come elementi formativi in numerosi composti tecnico-scientifici, nonostante l'esistenza degli elementi sinonimi di origine greca miceto-, galatto-, elminto-. L'impiego di parole modificate in posizione iniziale di composto assieme ad elementi formativi dimostra il forte grado di integrazione nel lessico dell'italiano degli elementi che partecipano a queste strutture, il crescente grado di inserimento del tipo Determinante+Determinato all'interno del sistema compositivo dell'italiano, e l'instabilità del confine che divide le parole modificate dagli elementi formativi. 1 Il ripetuto utilizzo come elemento di composizione favorisce l'avvicinamento di parole autonome allo status di elemento formativo anche quando impiegate in posizione finale. Si pensi al caso di terapia, parola usata per formare numerosi composti in combinazione con elementi formativi iniziali (elettroterapia, elioterapia, fisioterapia, idroterapia, pranoterapia) e che è stata impiegata anche in combinazione con parole (sia parole modificate, cfr. dietoterapia, musicoterapia, sia impiegate nella forma di citazione, cfr. aromaterapia, digiunoterapia). Questo impiego di terapia è stato probabilmente favorito dall'origine greca della parola e dalla terminazione (ia) ricorrente in diversi elementi formativi finali (-scopia, -logia). Ma si può citare anche l'analogo caso di reazione (parola di origine latina), che compare in posizione finale in più di una trentina di composti tecnico-scientifici in combinazione con elementi formativi (diazoreazione, fotoreazione, intradermopalpebroreazione), ma anche con parole modificate (cutireazione, enzimoreazione) e parole (sieroreazione, cerottoreazione). Ricordiamo qui anche una manciata di parole (ectomia, fobia, fonia, gamia, tassi) che hanno una storia per certi versi opposta a quella di terapia. Si tratta infatti di parole attestate in italiano come forme autonome solo dopo la loro apparizione all'interno di composti neoclassici e che esprimono all'incirca gli stessi significati dei corrispondenti elementi formativi (distinguendosi in ciò dagli accorciamenti, i quali invece esprimono il significato proprio del composto da cui sono tratti). Si tratta di un processo formativo ancora marginale, ma interessante, giacché riprende l'ordinamento dei composti neoclassici (Determinante+Determinato) utilizzando però parole della lingua. Fra gli ancora scarsi esempi di questo recente tipo formativo (cfr. 2.1.2.2.2.1.), segnaliamo calciomercato, calcioscommesse. Ricordiamo infine altri tipi di elementi non liberi o solo parzialmente liberi, che vengono da alcuni assimilati agli elementi formativi neoclassici, ma che a nostro avviso è opportuno mantenere distinti: gli elementi iniziali dei composti V+N e gli elementi finali dei composti del tipo parola-chiave. I primi condividono con gli elementi formativi neoclassici il fatto di

1

In un articolo pubblicato sulla rivista Musica n. 242, 10, supplemento del quotidiano La Repubblica dell'8-6-2000, lo scrittore Vincenzo Cerami elenca tra il serio e il faceto alcune discipline dal sapore spiritualistico e orientaleggiante, tra cui: ipnoterapia, ippoterapia, omeopatia, dietologia, naturoterapia, grafologia, erbologia, sognologia, riflessologia, naturopatia, tatuaggiofilia, ago-

puntura, aromaterapia. Un elenco ricco di neologismi in cui si può notare l'omologia funzionale tra parole modificate ed elementi formativi neoclassici all'interno del processo compositivo del tipo Determinante+Determinato.

2.2. Composizione con elementi neoclassici

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essere elementi non liberi, utilizzati in alcuni casi in serie formative piuttosto numerose (es. apri-, taglia-), ma che hanno caratteristiche affatto distinte per origine, ambito d'uso e tipo composizionale (cfr. 2.1.2.5.). Gli elementi finali dei composti del tipo parola-chiave (cfr. 2.1.2.1.) utilizzano la ripetizione in serie di un elemento in una posizione fissa, il quale è impiegato con funzione attributiva, non è declinabile e esprime sensi che coincidono solo parzialmente con quelli della parola usata autonomamente, differenziandosene per una maggiore generalità semantica. Si tratta di un tipo formativo che si distingue nettamente da quello neoclassico per vari aspetti, tra cui i principali sono l'impiego di parole di uso corrente, e soprattutto la struttura di tipo Determinato+Determinante, che consente la possibilità di flessione del primo costituente, la quale avviene regolarmente. Non hanno alcun tratto in comune con gli elementi formativi neoclassici, se non l'origine latina e la riconoscibilità a partire da serie paradigmatiche, le radici lessicali che non sono più disponibili per essere impiegate produttivamente nella formazione di parole nuove e non hanno in sincronia un significato costante, quali ad esempio *durre e *sistere, individuabili a partire da serie di parole come addurre, circondurre, condurre, dedurre, edurre, indurre, introdurre, perdurre, produrre, ridurre, sedurre, tradurre, assistere, consistere, desistere, esistere, insistere, persistere, resistere, sussistere.

2.2.3. Caratteristiche dei composti formati con elementi formativi ci I composti formati con elementi formativi si differenziano dai composti propri dell'italiano oltre che per l'ordinamento dei costituenti (Determinante+Determinato) per alcune altre interessanti caratteristiche. I composti dell'italiano di norma sono non derivabili (cfr. 2.1.7.), i composti con elementi formativi in posizione finale possono invece essere derivati, sia per mezzo di suffissi usati nelle terminologie tecnico-scientifiche (fra quelli più impiegati: -ia, '-ico, -ite, -osi, -oso), ma anche da altri suffissi di uso corrente (microfono —» microfonista, sociologia —» sociologismo), possono inoltre essere base di derivazione per la formazione di verbi (telefono —> telefonare, tecnologia —» tecnologizzare). I composti del tipo Elemento formativo+Parola hanno ancora maggiori possibilità di essere derivati, e con un numero maggiore e più vario di suffissi (biodegradabile —> biodegradabilità·, fotocopia —» fotocopiare —> fotocopiatore / fotocopiatrice, fotocopiatura; cicloamatore —> cicloamatorismo, cicloamatoriale). I composti del tipo Elemento formativo+Parola si differenziano da quelli propri dell'italiano anche per la più ampia disponibilità a impiegare liberamente parole già derivate (aeronavigabilità, autopropulsività, cardiostimolatore, crioconservazione, ecoconservatorismo), e per la possibilità di formare verbi composti (aerotrainare, aerotrasportare, teleabbonarsi, teleguidare). Benché i verbi di questo tipo siano ancora di numero limitato, costituiscono una novità piuttosto importante per il sistema formativo dell'italiano:1 infatti l'esiguo numero di verbi composti presenti in italiano (benedire, maltrattare) sono di origine latina o rifatti su tale modello e a lungo non hanno rappresentato un modello produttivo. I verbi di recente coniazione si distinguono anche per il fatto che l'elemento formativo È possibile ipotizzare per alcuni di questi verbi un'origine per retroformazione (cfr. 6.), ad esempio da aerotrasportato a aerotrasportare.

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2.

Composizione

iniziale oltre a svolgere la funzione di modificatore avverbiale, così come nei verbi di origine latina (teleguidare), può svolgere anche quella di complemento indiretto (dattiloscrivere). La plasticità formativa dei composti con elementi formativi è nettamente superiore a quella dei composti tipici dell'italiano (cfr. 2.1.2.2.1.2.)· Nei composti neoclassici è possibile che un costituente di un composto sia formato da due (o più) elementi formativi in rapporto coordinativo o subordinativo. Strutture del tipo [[oto rino laringe] iatra], [elettro [encefalo gramma]] sono del tutto eccezionali anche per i composti italiani i quali di norma sono formati da due costituenti (cfr. tuttavia [capo [operatori elettricisti]], [gruppo [studenti lavoratori]]). Una conseguenza della grande facilità combinatoria degli elementi formativi è la lunghezza dei composti formati con essi. Nel GRADIT fra le parole con 14, 13, 12 sillabe si trovano solo composti neoclassici di impiego esclusivamente tecnicoscientifico (con 14 sillabe colangiocolecistocoledocectomia, con 13 diacetildiossifenilisatina, pleuroepicheilognatouranoschisi, con 12 occipitoatlantoidofaringeo)·, il famoso precipitevolissimevolmente è lungo 11 sillabe, ma la grande maggioranza delle parole lunghe fino a nove sillabe è rappresentata da composti neoclassici. La gran parte dei composti che hanno un elemento formativo in posizione finale sono accentati sulla penultima sillaba, mai sull'ultima. Vi è anche un certo numero di elementi formativi che assegnano l'accento alla sillaba adiacente dell'elemento che li precede (àfono, telèfono, tedescòfono\ epìgrafo, chirògrafo, commediògrafo) formando così parole accentate sulla terz'ultima sillaba. Tra gli elementi formativi lemmatizzati dal DISC che hanno questo comportamento abbiamo individuato i seguenti: -bio, il quale se pronunciato all'interno di un composto è monosillabico, -cero, -chilo (variante di -cheilo), -colo, -crate, -cromo, -dromo, -fago, -fero, -filo "amore, affinità", -fito, -fobo, -fono, -foro, -fugo, -gamo, -geno, -gero, -gnato, -gono "generazione", -gono "angolo", -grado, -idro, -lago, -latra, -lisi, -lito "che si scompone", -logo, -mane, -mero "parte", -metro "misura", -nomo, -paro, -pede, -peto, -podo, -poli, -poro, -ptero, -scopo, -stato, -stoma, -taco, -tipo, -voro, -xeno, -xilo. La terminazione vocalica della generalità degli elementi formativi in posizione iniziale determina incontri tra vocali all'interno di parola piuttosto atipici per la fonologia dell'italiano, si pensi a parole come bioalimento, elettroencefalogramma, fotoincisione, radiooperatore, radioutente, teleelaborazione, triidrato. Vi sono inoltre elementi formativi che hanno nessi consonantici estranei alla fonologia dell'italiano, e presenti solo in prestiti non assimilati (gimno-, lepto-, oftalmo-, pieno-, xeno-). A differenza di altre lingue, come l'inglese e soprattutto il tedesco, in cui gli elementi formativi neoclassici conservano di norma le caratteristiche fonologiche e grafiche del latino scientifico internazionale, in italiano gli elementi formativi neoclassici hanno in parte subito alcuni fenomeni di assimilazione dei nessi consonantici e di riduzione dei dittonghi analoghi a quelli del lessico latino di tradizione continua. Ciò ha avuto come conseguenza l'esistenza di varianti formali (coino- / ceno- / cheno-, cinesi- / chinesi- / kinesi-, pecilo- / poichilo-) e di casi di omografia. Si pensi all'omografia enantiosemica di eso- dal gr. ékso "fuori" in esocentrico ed eso- dal gr. ésô, eisö "dentro" in esotropia (cfr. ingl. exocentric e esotropia). A partire almeno dalla seconda metà del Novecento, la diffusione della terminologia scientifica internazionale in lingua inglese ha aumentato il prestigio e favorito la diffusione della grafia latineggiante degli elementi formativi neoclassici, determinando la preferenza nella terminologia tecnico-

2.2. Composizione con elementi

neoclassici

81

scientifica italiana di forme come nieto-, dictio-, elaio-, -ptero, -xilo, rispetto a nitto-, dittio-, eleo-, omonimo di eleo- "palude, palustre" (dal gr. heleio-), -ssilo, -itero.

2.2.4. Diffusione degli elementi formativi nella lingua comune ci Il merito di avere richiamato l'attenzione sull'integrazione degli elementi formativi neoclassici nell'uso comune della lingua e sulle conseguenze per i processi formativi dell'italiano va a Bruno Migliorini, il quale già negli anni Trenta ha individuato la presenza nella lingua italiana di questo nuovo tipo di elementi morfologici allora allo stato iniziale di sviluppo (efir. Migliorini 1963 3 b, stesura definitiva di un articolo apparso per la prima volta nel 1935). Migliorini denomina prefissoidi gli elementi non liberi ereditati o ripresi dalle lingue classiche impiegati dapprima nei linguaggi tecnico-scientifici in combinazione con altri elementi non liberi, ma che grazie all'impiego frequente all'interno di parole il cui ambito d'uso si è esteso oltre quello settoriale hanno assunto «un valore quasi di prefissi, hanno acquistato cioè la possibilità di essere preposti a qualsiasi termine del lessico che semanticamente lo consenta» (Migliorini 1963 3 b, 9). Fra i prefissoidi che negli anni Sessanta erano già saldamente entrati nell'uso corrente, Migliorini segnala: aero-, auto-, avio-, cine-, elettro-, fono-, foto-, moto-, radio-, tele-, video-. Si noti che questa lista raggruppa sia elementi formativi usati con un significato che si avvicina a quello che avevano nelle lingue classiche (fono- "voce, suono") sia elementi formativi di seconda generazione (auto- "automobile", tele- "televisione"). Il principale carattere di novità di parole come aeroporto, autolavaggio, fonosimbolo, fotosintesi, fotomontaggio, teleconferenza, telegiornale, sta nel fatto che fino a tutto l'Ottocento era assolutamente marginale per le lingue romanze la formazione di composti in cui un elemento nominale con funzione di determinante è premesso a un sostantivo. Un fattore che ha contribuito a provocare un ambiente favorevole alla diffusione di tali composti è stata la presenza nella lingua sia di composti determinativi in cui sono impiegati elementi formativi che derivano da aggettivi o da avverbi delle lingue classiche (pseudoproblema, pseudoconcetto, protoindustrializzazione, protolingua) sia di composti aggettivali coordinativi (angloitaliano, austrotedesco, agroalimentare, socioeconomico). I primi costituiscono un precedente per la struttura Determinante+Determinato, i secondi per l'impiego come elementi iniziali di composto di forme non libere terminanti in o. 1 Entrambi i tipi formativi, benché preesistenti e più ampiamente attestati di quelli con elemento formativo iniziale di origine nominale, avevano fino all'inizio del Novecento un impiego ristretto ad ambiti tecnico-scientifici e letterari. Alla diffusione nell'uso comune della lingua del tipo compositivo in cui il Determinante precede il Determinato ha certamente contribuito anche l'accoglimento di numerosi prestiti dalle lingue germaniche, lingue in cui i costituenti dei composti nativi sono disposti secondo tale ordine (discomusic, floppy disk, personal computer, videogame). 1

A questo proposito Tollemache 1945, 259 afferma: «Il fatto che in una lingua analitica come l'italiano, possano attecchire composti sintetici e tematici [...] si è potuto avverare, a parer nostro, grazie alla somiglianza che esiste tra questi composti e i composti dotti già tradizionali nella nostra lingua».

82

2. Composizione

I tre tipi formativi si sono rinforzati l'uno con l'altro, in considerazione anche del fatto che uno stesso elemento formativo può partecipare a composti sia determinativi sia coordinativi (socio- in sociolinguisiica e socioculturale, aero- in aeronavigazione e aeroterrestre), che molti composti coordinativi permettono anche una interpretazione semantica di tipo determinativo (si confronti il composto franco-italiano nel contesto il confine francoitaliano che richiede un'interpretazione coordinativa "il confine tra Francia e Italia", e nel contesto un atleta franco-italiano che richiede un'interpretazione determinativa con testa a destra "un italiano di origine francese"),1 e che la funzione di Determinante dell'elemento nominale ne consente una interpretazione semantica di tipo aggettivale (elettrotrazione "trazione elettrica", fotomontaggio "montaggio fotografico"). Gli elementi formativi non vengono accolti nell'uso comune della lingua come elementi isolati, ma vengono estratti e riutilizzati a partire dalle parole composte in cui sono più frequentemente impiegati. La diffusione nell'uso comune di un composto neoclassico di origine tecnico-scientifica non è però condizione sufficiente per l'identificazione degli elementi formativi che lo costituiscono. Parole come citofono, emorragia, frigorifero, microfono non sono pienamente analizzabili in costituenti significativi da parte della maggioranza delle persone che le usano. Il contesto più favorevole all'estrazione di elementi disponibili per essere reimpiegati non è infatti quello costituito da composti formati da due elementi neoclassici, ma quello costituito dai composti formati da un elemento formativo e una parola. Se è vero che all'interno delle terminologie tecnico-scientifiche non vi è distinzione di principio tra elementi lessicali liberi e legati - si possono infatti formare termini tecnico-scientifici combinando sia due elementi formativi (mielocito), sia una parola premessa a un elemento formativo (craniotomia), sia un elemento formativo premesso a una parola (emoterapia) - , la presenza di una parola all'interno dei composti di origine tecnicoscientifica che entrano a far parte dell'uso corrente della lingua è invece un fattore molto importante per l'individuazione dei componenti, specialmente nel caso in cui la parola ha funzione di Determinato. L'identificazione di un elemento noto e ben delimitato, rappresentato dalla parola, facilita la comprensione del significato del composto, e di conseguenza anche l'individuazione dell'elemento formativo con funzione di Determinante, favorendone il successivo impiego in contesti analoghi. Tra le diverse strutture compositive Elemento formativo+Parola, Elemento formativo+Elemento formativo, Parola+Elemento formativo è dunque la prima quella più facilmente segmentabile e interpretabile semanticamente da parte della generalità dei parlanti. Quest'ipotesi interpretativa trova sostegno nelle analisi statistiche basate sui neologismi registrati in dizionari non specialistici nel corso del Novecento, le quali dimostrano come la diffusione degli elementi formativi nella lingua italiana è andata di pari passo con l'incremento del loro utilizzo in formazioni del tipo Elemento formativo+Parola. Il numero di neoformazioni di uso comune di questo tipo ha avuto nel corso del Novecento un forte incremento sia rispetto alle altre strutture compositive che utilizzano elementi formativi sia anche rispetto al complesso dei processi di formazione delle parole dell'italiano (cfr. Iacobini / Thornton 1992, che confermano le analoghe tendenze elaborate per il francese da Dubois / Guilbert / Mitterand / Pignon 1960 e da Peytard 1975). 1

L'interessante volume di Hatcher 1954 mostra come i composti aggettivali coordinativi (un tipo compositivo affermatosi nel latino usato in Europa nei secoli XVI e XVII) abbiano avuto origine da composti di tipo determinativo.

2.2. Composizione con elementi

neoclassici

83

All'inizio del Novecento prevalgono nettamente i composti formati da due elementi formativi (circa Γ 80% dei composti con elementi formativi lemmatizzati in Ρ 19082), ma, via via che gli elementi formativi sono entrati a far parte più stabilmente di parole del lessico comune, la proporzione di composti del tipo Elemento formativo+Parola è aumentata regolarmente, e attualmente rappresenta circa Γ 80% di un corpus costituito selezionando i lemmi che contengono almeno un elemento formativo tra quelli registrati da quattro recenti dizionari di neologismi (CC, F, L, Q). A testimonianza della crescente penetrazione del tipo formativo Elemento formativo+Parola all'interno della lingua corrente, l'analisi del corpus di neologismi evidenzia come gli elementi formativi iniziali che sono usati in combinazione solo con altri elementi (alo-, angio-, scinti-, cfr. alogeno, angiografia, scintigramma) molto raramente compaiono in più di un lemma, mentre gli elementi formativi che si premettono a parole ricorrono di norma in più formazioni: sono circa una trentina gli elementi formativi che sono impiegati davanti a parole in almeno cinque lemmi del corpus. Tra essi vi sono aero-, agri/o-, audio-, auto-, bio-, cine-, crio-, eco-, eli-, euro-, fanta-, filo-, fono-, foto-, mono-, narco-, paleo-, poli-, porno-, psico-, radio-, tecno-, tele-, uni-, video-, in formazioni come audiocassetta, bioalimento, crioconservazione, narcotrafficante, psicofarmaco, videolibro. Gli elementi formativi che si pospongono a parole sono di numero inferiore rispetto a quelli iniziali e formano un minor numero di composti di uso corrente. La ragione di questa minore produttività dipende probabilmente dalla necessità di usare come forme compositive parole modificate, e dalla conseguente difficoltà di selezionare la vocale di raccordo (o oppure i) in ragione della provenienza greca o latina dell'elemento formativo. Nel corpus di neologismi preso in esame, gli elementi formativi che si pospongono a parole sono: -cida, -crate, -cratico, -crazia, -dromo, -geno, -grafia, -grafico, -logia, -logico, -logo, -mane, -mania, -metria, -metro, -nauta, -teca', tra le neoformazioni segnaliamo: spermicida, partitocrate, correntocratico, apparatocrazia, kartodromo, ansiogeno, grammaticografia, futurologia, fumettologo, massmediologico, eroinomane, congressomania, allergometria, redditometro, fumettoteca, acquanauta. Come si può notare, i significati espressi da questi elementi formativi sono più omogenei rispetto a quelli degli elementi iniziali. Gli elementi formativi usati in posizione finale indicano quasi esclusivamente significati di tipo agentivo, strumentale e locativo. Si può inoltre notare che quegli elementi formativi che possono comparire in posizione sia iniziale che finale (-grafo-, -logo-, -nomo), esprimono in posizione finale significati di tipo più generale di quanto non facciano in posizione iniziale (cfr. grafomane, logopatia, nomogramma con geografo, geologo, agronomo). La possibilità che un elemento formativo sia usato in combinazione con parole in composti di uso corrente dipende principalmente dal significato che esprime. La produttività in formazioni di uso corrente può quindi variare nel corso del tempo. Ad esempio, Migliorini 19633b segnala alcuni elementi di composti che riteneva potessero acquisire una possibilità di impiego pari a quella di moto- o tele-. Tra questi, alcuni (ippo-, Steno-, dattilo-) non si sono rivelati granché produttivi nella formazione di composti della lingua corrente, mentre altri, allo stato nascente negli anni Sessanta (bio-, eco-, fanta-, narco-, psico-, tecno-), hanno dato vita a molti neologismi. Si vedano al proposito i dati pubblicati da Antonelli 1996, 259-284, da cui tra l'altro appare evidente come elementi formativi omonimi (foto- "luce" e foto- "fotografia") possono avere una produttività anche notevolmente diversa. Gli influssi extralinguistici sulla diffusione degli elementi formativi si possono notare ad esempio nella fortuna negli anni Cinquanta-Sessanta delle formazioni di uso comune con aero- e

84

2.

Composizione

avio- (aerostazione, aerorifornimento, aerotaxi, aeroturismo, aviolancio, aviorazzo), che sono andate diminuendo a partire dagli anni Ottanta con lo scemare del prestigio della navigazione aerea e del richiamo per la navigazione spaziale; oppure nella fortissima diffusione di tele- e video- a partire dalla fine degli anni Sessanta, e nella recentissima fortuna di euro-, già presente in alcuni composti dai primi anni Sessanta, epoca dell'avvio dell'integrazione politica ed economica dell'Europa.

2.2.5. Elementi formativi, affissi e parole ci Gli elementi formativi che si combinano con parole in formazioni della lingua comune tendono a occupare una posizione fissa all'interno della parola complessa, o finale o, più spesso, iniziale. 1 La tendenza a occupare una posizione fissa, associata alle caratteristiche di non godere di autonomia nella frase e di formare serie di parole secondo un modulo ricorrente, ha fatto propendere alcuni studiosi per l'identificazione dell'insieme degli elementi formativi con gli affissi. Questa identificazione non è giustificata, dal momento che solo un numero limitato di elementi formativi condividono alcune caratteristiche proprie degli affissi, mentre la grande maggioranza ha molte caratteristiche in comune con le parole, tra le principali, quella di poter essere usati sia come elementi iniziali sia come elementi finali di una parola complessa, di essere basi possibili per la derivazione, di esprimere significati di tipo denotativo, di combinarsi tra loro secondo regole di tipo compositivo. Le due principali caratteristiche che contraddistinguono gli elementi formativi neoclassici sono l'ambito d'uso e l'allogenicità. Tali criteri danno conto della familiarità che la generalità dei parlanti ha con il significato e l'impiego degli elementi formativi. Si tratta evidentemente di proprietà di natura graduale, che perdono però la loro capacità distintiva proprio nei casi in cui è più dubbia la decisione se un elemento formativo sia entrato a fare parte organicamente della lingua, cioè quando un elemento formativo si combina con parole o affissi in un certo numero di formazioni di uso corrente. Nessuno di questi due criteri permette inoltre di decidere se un determinato elemento rientri nella categoria di affisso o di parola, né se partecipi a processi di tipo derivazionale o composizionale. Nei prossimi due paragrafi illustreremo brevemente l'insieme delle caratteristiche che descrivono il comportamento degli elementi formativi e permettono di valutarli in relazione con le parole e con gli affissi della lingua italiana.

1

Nei composti neoclassici delle terminologie tecnico-scientifiche vi è invece maggiore mobilità degli elementi formativi. Si prendano come esempio -bio-, -termo-, correntemente impiegati sia in posizione iniziale che finale in composti tecnico-scientifici (biologia, xenobio, termogeno, omotermo), ma usati solo in posizione iniziale (bioalimento, termocoperta) in combinazione con parole in formazioni di uso corrente.

2.2. Composizione con elementi neoclassici

85

2.2.5.1. Differenze tra affissi e elementi formativi ci Le principali caratteristiche che permettono di distinguere gli affissi dagli elementi formativi sono: posizione, derivabilità, semantica, relazione tra i costituenti all'interno della parola complessa, delimitabilità. Posizione: per definizione gli affissi occupano una posizione fissa (iniziale se prefisso, finale se suffisso), mentre vi sono elementi formativi che possono essere impiegati sia in posizione iniziale che finale senza rilevanti differenze di significato o di forma {-cromo- in cromosoma e policromo, -mero- in polimero e meroblastico, -morfo- in isomorfo e morfologia, -podo- in podofillo e scafopodo). Si tratta di un criterio molto forte: un elemento che può essere sia un costituente iniziale che uno finale di una parola complessa non può essere considerato un affisso, ma un lessema. Solo i costituenti di composizione (tipicamente i nomi) possono svolgere la funzione di Determinato all'interno di una parola e quella di Determinante all'interno di un'altra, mentre in derivazione le parole e gli affissi hanno ruoli distinti e non scambiabili. Derivabilità: ogni parola complessa, sia essa derivata o composta, deve contenere almeno un lessema. Se una parola complessa è scomponibile in due elementi, e uno di essi è un affisso (definito in base a criteri indipendenti), l'altro elemento deve essere un lessema e non un affìsso. Dal momento che non è possibile formare parole di soli affissi, un elemento formativo che formi parole con un affisso (cerebro-, etno-, ipno-, cfr. cerebrale, etnico, ipnosi) deve essere considerato un lessema e non un affisso. Semantica: il criterio semantico dà risultati meno netti dei due precedenti. Si può comunque affermare che gli affissi esprimono tipicamente valori di tipo categoriale e relazionale (indicando nozioni quali tempo, spazio, qualità, agentività), che restringono il tipo di basi con cui si possono combinare, e determinano il tipo di significato espresso dalla parola complessa. Non si possono considerare affissi, ma lessemi, gli elementi formativi che esprimono significati di tipo denotativo-lessicale, semanticamente autonomi (-lito"pietra", -zoo- "animale"). Elementi con tali caratteristiche, così come i tipici elementi compositivi, non permettono di formulare restrizioni sul significato degli elementi con cui possono combinarsi. Relazione fra i costituenti: all'interno delle parole formate per mezzo di regole si è soliti distinguere tra formazioni determinative, coordinative ed esocentriche. Di norma gli affissi partecipano esclusivamente a formazioni di tipo determinativo, le formazioni esocentriche costituiscono casi sporadici, mentre non è possibile che un derivato abbia una struttura coordinativa. Tutti e tre i tipi di formazione sono invece possibili in composizione. Al pari delle parole, molti elementi formativi possono partecipare a formazioni di tipo determinativo (osteopatia, psicologia), coordinativo (agroalimentare, sociopolitico, psicosociale, sternocleidomastoideo) ed esocentrico (brachicefalo, decapode, indigeno). Gli elementi formativi che partecipano a composti coordinativi (anglo-italo-sovietico, socioeconomico, psicopedagogico) o che hanno rapporti di tipo coordinativo all'interno di composti subordinanti (elettroencefalogramma, stenodattilografia) si differenziano quindi nettamente dagli affissi. Delimitabilità: mentre gli elementi formativi, così come le parole, costituiscono una lista aperta che può accogliere nuove forme, gli affissi costituiscono un insieme ben delimitabile, se non proprio una lista chiusa.

86

2.

Composizione

2.2.5.2. Differenze tra parole e elementi formativi ci Vi sono tre caratteristiche principali che distinguono le parole dagli elementi formativi: produttività, aspetto fonologico, autonomia sintattica. Le prime due sono caratteristiche di natura graduale. Produttività: uno stesso elemento formativo può essere usato in molte parole composte che possono inserirsi in serie associative e sintagmatiche. Anche gli affissi hanno la capacità di partecipare alla formazione di molte parole complesse, tanto che si può parlare di produttività di un determinato affisso. L'utilizzo di una parola come costituente di composizione è invece meno sistematico e frequente. In composizione si è dunque soliti fare riferimento alla produttività di un tipo compositivo piuttosto che di un costituente specifico. Aspetto fonologico: gli elementi formativi terminano di norma con le vocali o ed i, sono in grandissima parte bisillabici, raramente superano le tre sillabe. Le parole hanno minori restrizioni di questo tipo (cfr. Thornton / Iacobini / Burani 19972, 92-97). Autonomia sintattica: gli elementi formativi sono elementi legati, mentre le parole sono elementi autonomi. Su questa distinzione sono fondati essenzialmente gli argomenti di chi identifica gli elementi formativi con gli affissi. Occorre innanzitutto ribadire che una forma non libera non è necessariamente un affisso. Le radici e i temi sono elementi lessicali non autonomi, ma certamente non identificabili con gli affissi. Molti elementi formativi possono essere definiti sia da un punto di vista etimologico, ma soprattutto in ragione dei tipi di formazione a cui prendono parte e del loro contenuto semantico dei temi, cioè elementi privi dei tratti contestuali necessari per l'impiego nel discorso come parole autonome, e che necessitano quindi di essere impiegati all'interno di parole complesse.

2.2.6.

Elementi formativi di tipo lessicale a

L'applicazione dei criteri esposti in 2.2.5. permette di operare delle discriminazioni all'interno degli elementi formativi distinguendo quelli che si avvicinano alle caratteristiche degli affissi da quelli che manifestano caratteristiche di tipo propriamente lessicale. Questi ultimi sono la stragrande maggioranza, e presentano al loro interno una grande varietà di comportamenti, tale che nessuna delle caratteristiche che li definisce prevale in modo significativo sulle altre. 1 L'insieme di elementi formativi che presenta un maggior numero di caratteristiche convergenti è quello che comprende gli elementi che assomigliano ai prefissi (cfr. 2.2.7.), gli elementi impiegati esclusivamente in posizione finale condividono invece molti tratti con gli elementi formativi di tipo lessicale (cfr. 2.2.8.). Gli elementi formativi in cui le caratteristiche proprie dei lessemi sono espresse in maniera più accentuata sono, da una parte gli elementi impiegati come parole autonome (foto, moto, cfr. 2.2.3.), e dall'altra gli elementi che possono essere impiegati in posizione sia iniziale che finale: possono essere basi di 1

Per più dettagliate proposte di classificazione degli elementi formativi, che mirano a ripartire in gruppi omogenei un ampio corpus di elementi formativi in base al loro grado di somiglianza con le parole o con gli affissi, rimandiamo a Masseroli 1994 e al lavoro basato su tecniche di analisi multidimensionale di Iacobini / Giuliani 2001.

2.2. Composizione con elementi

neoclassici

87

parole derivate, esprimono significati di tipo lessicale, formano di norma composti determinativi ma anche coordinativi (-andrò-, -angio-, -antropo-, -bio-, -cardio-, -cinesi-, -cromo-, -crono-, -dattilo-, -dermo-, -fito-, -geo-, -gioito-, -idro-, -morfo-, -odonto-, -oftalmo-, -rino-, -termo-, -tipo-, -zoo-).1 Accanto ad essi vi è un ampio numero di elementi formativi che rivelano caratteristiche di tipo lessicale distribuite in vario modo. Ve ne sono alcuni che esprimono significati di tipo lessicale, possono essere basi di parole derivate, sono impiegati in posizione solo iniziale, ma hanno una forma corrispondente suffissata impiegata in posizione finale (pato- / -patia)', altri con le medesime caratteristiche tranne quella di non essere basi di parole derivate (algo- / -algia). Altri che esprimono significati di tipo lessicale, sono basi di parole derivate, ma sono impiegati in posizione solo iniziale (etno-, flebo-, talasso-) e non hanno corrispettivi suffissati in posizione finale. Vi sono elementi formativi di origine latina impiegati in posizione solo iniziale, mentre il loro sinonimo di origine greca è usato in posizione sia iniziale che finale (maxillo- e -gnato-, sangui- e -emo-), ma lo stesso può accadere anche tra elementi di origine greca (creato- e -sarco-). Vi sono coppie di elementi formativi sinonimi uno dei quali deriva da una forma tematica (cromato-, dermato-, emato-) e l'altro dalla forma corrispondente a quella del nominativo della parola greca di origine, la cui vocale finale può essere sostituita da una o (croma- / cromo-, derma- / dermo-, ema- / emo-). In coppie come queste gli elementi formativi di origine tematica occupano esclusivamente la posizione iniziale del composto, mentre quelli corrispondenti al nominativo possono essere usati sia in posizione iniziale che finale (cromatoforo, cromosoma, policromo, fotocromia). La determinazione della posizione occupata da un elemento formativo all'interno dei composti dipende anche dal corpus preso in esame, ad esempio vi sono numerosi elementi formativi che nel lemmario del DISC sono usati solo in posizione iniziale (bato-, cheiro-, cino-, copro-, omito-) ma che invece in un lemmario come quello del GRADIT, che comprende un maggior numero di formazioni tecnico-scientifiche, sono attestati anche in posizione finale. Altri elementi di tipo lessicale sono le parole modificate (cfr. 2.2.2.4.) e gli accorciamenti (cfr. 2.2.2.2.). Costituiscono un sottogruppo omogeneo i primi elementi dei composti etnici, premessi di solito a parole (afro-, anglo-, austro-, euro-, franco-, gallo-, indo-, ispano-, italo-, nippo-, in afrocubano, anglofrancese, austroungarico ecc.). Fra gli elementi formativi di natura lessicale che formano più composti di uso comune in combinazione con parole vi sono: aero-, auto-, bio-, cine-, eco-, euro-, fanta-, foto-, moto-, narco-, porno-, psico-, radio-, socio-, tecno-, tele-, video-.

1

Questi elementi formativi se usati in combinazione con parole occupano quasi esclusivamente la posizione iniziale (biocompatibile, biodiversità, cardiochirurgia, cardiostimolante, cromoterapia, dermoabrasione, dermoprotettivo, fitoterapista, fitosanitario, geomagnetismo, geosolare, idromassaggio, idrosanitario, termocoperta).

88 2 . 2 . 7 . 1 tipi pseudoproblema,

2.

equidistante,

monocefalo

Composizione

ecc. ci

Tra gli elementi formativi che occupano esclusivamente la posizione iniziale, ve ne sono alcuni che svolgono unicamente la funzione di determinante in costruzioni sia endocentriche (endocarpo) sia esocentriche (eterodattilo), non sono quindi mai testa (neanche soltanto semantica) e non possono formare composti coordinati. Non possono essere base di derivazione, ed esprimono tipicamente valori semantici di tipo relazionale che danno indicazioni riguardanti la posizione (ecto-, endo-, eso-, meso-, peri-), la temporalità (archeo-, vetero-), la quantità (emi-, equi-, omni-, panto-), il numero (uni-, mono-, bi-, tri-). Gli elementi di questo gruppo derivano da avverbi e preposizioni (ecto-, endo-, emi-, tele-), da aggettivi (equi-, etero-, paleo-) e da numerali. Fra gli elementi formativi che fanno parte di questo gruppo ricordiamo: acro-, allo-, ana-, aniso-, apo-, archeo-, bi-, deca-, deci-, deutero-, di-, duo-, cata-, ceno-, centi-, ecto-, emi-, endo-, epi-, equi-, eso-, etero-, ipso-, iso-, meso-, milli-, mono-, oligo-, olo-, omeo-, omni-, omo-, opisto-, orto-, paleo-, pan-, panto-, penta-, peri-, pleio-, plesio-, pro-, proto-, pseudo-, quadri-, tauto-, tele-, tetra-, tri-, uni-, vetero-. Gli elementi formativi con significato numerale, quali mono-, uni-, di-, bi-, tri-, quadri-, tetra-, penta- ecc., costituiscono un sottogruppo omogeneo. Sono usati nella formazione di sostantivi (spesso esocentrici) e aggettivi (specialmente denominali invariabili) sia di uso comune sia di impiego tecnico-scientifico (monocamera, monolito, unicamerale, unigenito, bidirezionale, diglossia, tricamere, triblastico, quadrireattore, tetracero, pentaedro, pentapartito). Ovviamente, questi elementi non costituiscono un inventario chiuso, essendo la serie dei numeri potenzialmente infinita. Si può comunque notare che la quantità di formazioni di uso comune e di neologismi è in rapporto di proporzione inversa con la quantità numerica espressa dall'elemento formativo: gli elementi più usati per formare parole nuove della lingua comune sono infatti mono-, uni-, bi- e tri-. Vi è anche una correlazione con la lingua di origine: gli elementi di origine greca sono usati di preferenza in formazioni tecnico-scientifiche, ciò si può notare specialmente nel caso di coppie sinonimiche come bi- e di-, quadri- e tetra-. Menzioniamo qui anche un altro insieme di elementi che hanno origine da aggettivi numerali greci e latini. Si tratta degli elementi impiegati nei sistemi di misurazione, quali ad esempio deca / deci, etto / centi, chilo / milli ecc., che rispettivamente moltiplicano e dividono per dieci e multipli di dieci termini che designano unità di misura. Gli elementi formativi di questo gruppo si differenziano per molte caratteristiche dagli elementi formativi di tipo lessicale, e sono quelli che più si approssimano ai prefissi. L'impiego davanti a parole in numerose formazioni di uso comune e il tipo di significati espressi hanno provocato processi di grammaticalizzazione che a nostro avviso giustificano l'inserimento nel novero dei prefissi di elementi come auto- "da sé", iper-, ipo-, macro-, mega-, meta-, micro-, multi-, neo-, para-, pluri-, poli- benché siano impiegati anche in terminologie tecnico-scientifiche e siano attestati in diverse formazioni di tipo esocentrico (cfr. anche, in questo senso, Warren 1990, 124). Fino all'inizio del Novecento, le parole formate da un elemento di derivazione avverbiale o aggettivale premesso a un sostantivo o a un aggettivo erano molto poche, e utilizzate soprattutto in domini specialistici (tra gli esempi di più antica attestazione, si possono citare monosillabo av. 1406 e pseudoprofeta av. 1561). Del resto il tipo formativo non è caratteristico neanche del latino, ha infatti avuto origine dall'accoglimento o adattamento di compo-

89

2.2. Composizione con elementi neoclassici

sti greci di carattere tecnico o di ambito religioso (monopolium, pseudapostolus, multicolor·).' Gli elementi formativi di questo gruppo più diffusi in formazioni di uso comune in combinazione con parole sono pseudo-, mono-, paleo-, possibili futuri candidati allo status di prefisso, meno usati equi- ed etero- (pseudoccupazione, pseudoconcetto, pseudocultura, pseudogravidanza, pseudoproblema, pseudoscientifico, monocamerale, monodose, monomarca, monopartitismo, monoreddito, monoscì, monouso, monovolume, paleoavanguardia, paleocapitalismo, paleocristiano, paleoindustriale, equiprobabile, equidimensionale, equilinguismo, eterodiretto, eterosessuale).

2 . 2 . 8 . 1 tipi eurocrate,

politologo,

carnivoro

ecc. ci

Un altro gruppo piuttosto omogeneo è quello costituito da elementi formativi impiegati esclusivamente in posizione finale nella formazione di composti aggettivali e nominali (sia endocentrici che esocentrici), in cui svolgono la funzione di testa sintattica e/o semantica. 2 Rispondono a queste caratteristiche una serie di elementi formativi di origine verbale già usati come forme compositive nelle lingue classiche, i quali formano nominali (nomi e aggettivi) con significato agentivo e strumentale. Fanno parte di questo gruppo: -cida, -colo, -coltore, -crate, -fago, -fero, -fobo, -foro, -fugo, -geno, -grado, -grafo, -latra, -logo, -mane, -nomo, -paro, -scopo, -voro? Questi elementi formativi danno vita a composti che hanno alcuni tratti in comune con i cosiddetti synthetic compounds delle lingue germaniche e con i composti del tipo V+N delle lingue romanze (cfr. meat-eater e carnivoro, portabandiera e vessillifero): il costituente iniziale è quasi sempre interpretato come un argomento del costituente finale (fruttifero, insettivoro), non può mai essere il soggetto, e può svolgere talvolta la funzione di avverbiale (onnivoro, tardigrado). A riprova del fatto che non è possibile isolare caratteristiche discriminanti all'interno del complesso degli elementi formativi, si può notare che benché gli elementi formativi del tipo -crate, -logo si distinguano per i tratti sopra indicati, essi presentano anche una serie di importanti caratteristiche in comune con altri elementi formativi. Si prendano come esempio i rapporti semantici e formali che vi sono tra le formazioni in -crate / -crazia / -cratico,

1 2

3

Si vedano al proposito Oniga 1988, 128-129 e Robl 1984,134. Sulla distinzione delle nozioni di testa semantica e sintattica in composizione si vedano Crocco Galèas / Dressler 1992,11 e, per quanto riguarda la derivazione, Scalise 1984a, 195-196. Gli elementi formativi -logo, -nomo e -grafo sono usati in posizione iniziale con diverso significato rispetto a quello che esprimono in posizione finale: in posizione iniziale logo- ha il significato "parola" (logopedia), nomo- "legge, regola" (nomografia), grafo- ha il significato "scrittura", mentre in posizione finale -logo e -nomo indicano l'esperto o lo studioso di una disciplina (filologo, agronomo), -grafo indica prevalentemente una persona che scrive o disegna (dattilografo), uno strumento che segnala e registra con segni grafici una serie di dati (cronografo, sismografo), più raramente un tipo di scritto (autografo, olografo). L'elemento formativo -scopo è usato anche in posizione iniziale in un numero limitato di termini di ambito psicologico, con il significato "guardare, osservare" (scopofilia). Gli elementi formativi -fobo, -geno, -nomo sono riconducibili solo indirettamente a verbi.

90

2. Composizione

-grafo / -grafia / -grafico, -logo / -logia / -logico, -scopo / -scopia / -scopico, in parole come burocrate / burocrazia / burocratico, aerografo / aerografia / aerografìco, geologo / geologia / geologico, demoscopo / demoscopia / demoscopico. Si tratta di serie paradigmatiche (ampiamente utilizzate sia nei linguaggi tecnico-scientifici che in parole della lingua comune) nelle quali i nomi non suffissati indicano un agente (burocrate, demoscopo, geologo) o uno strumento (aerografo), quelli suffissati in -ia indicano un'azione, un'attività, uno stato, una qualità (burocrazia, geologia), o anche l'oggetto, il risultato dell'attività (aerografia), mentre gli aggettivi in '-ico si riferiscono di norma ai nomi in -ia (cfr. 1.2.2.3.)· Le stesse relazioni semantiche e formali si possono stabilire anche tra parole formate con elementi formativi di valore agentivo e strumentale che si differenziano per alcune caratteristiche da quelli del tipo -crate, -logo. Si pensi ad elementi formativi come -filo-, -fono-, -metro- (goniometro, goniometria, goniometrico; telefono, telefonia, telefonico), i quali non derivano da verbi, e possono essere impiegati anche in posizione iniziale, mentre non tutti gli elementi formativi del tipo -crate, -logo possono prendere parte a tali serie paradigmatiche (-fugo, -grado, -paro, -voro). Possono inoltre essere suffissati con -ia e '-ico anche un numero indefinito di elementi formativi di origine nominale che esprimono i più diversi significati, e che sono impiegati sia in posizione solo iniziale (algo-, freno-, cfr. nevralgia / nevralgico, schizofrenia / schizofrenico) che in posizione sia iniziale sia finale nella formazione di nomi e aggettivi (-andrò-, -cardio-, -cefalo-, -termo-, cfr. poliandria / poliandrico, bradicardia / bradicardico, macrocefalia / macrocefalico, geotermia / geotermico). Gli elementi formativi con significato agentivo e strumentale (in genere accompagnati dalle corrispettive forme in -ia e '-ico) sono tra gli elementi formativi adoperati in posizione finale quelli più impiegati in combinazione con parole in composti di uso corrente. 1 Qui di seguito ne descriveremo succintamente i tipi di impiego e i significati più diffusi. La coppia -logo / -logia è quella che di gran lunga conta più parole di uso comune. I sostantivi terminanti in -logia indicano una disciplina, una trattazione, uno studio sistematico riguardante l'argomento specificato dal costituente iniziale, quelli in -logo lo studioso, lo specialista di quella disciplina. Tra le numerose formazioni in cui -logo e -logia si combinano con parole: diabetologo / -ia, dietrologo / -ia, infettivologo / -ia, massmediologo / -ia, museologo / -ia, musicologo / -ia, neonatologo / -ia, politologo / -ia, sindonologo / -ia, sovietologo / -ia, tossicologo / -ia, tuttologo / -ia. Si osservi come la struttura morfologica non corrisponda a quella semantica; è infatti il sostantivo suffissato in -ia che di norma costituisce la base semantica del nome di agente o di strumento: un paleoantropologo non è

1

L'impiego e il significato di questi elementi li rende quelli con più caratteristiche in comune con i suffissi derivazionali, tanto che alcuni studiosi, adottando un punto di vista rigorosamente sincronico, considerano tutti o parte di questi elementi formativi come dei veri e propri suffissi. Tra le non poche conseguenze di questa opzione vi è la necessaria integrazione delle vocali o od i nella forma del suffisso (es. -icida, -icolo, -ocrate, -ornane), e, soprattutto, l'onere di giustificare, all'interno delle parole con una medesima terminazione e interpretazione semantica, la distinzione fra composti (sia tratti dalle lingue classiche sia neoclassici), formazioni analogiche sul modello delle lingue classiche, e derivati per suffissazione; l'identificazione di un suffisso richiede inoltre di ricostruire le condizioni che hanno favorito la sua risegmentazione, come pure di descrivere le sue specifiche caratteristiche di impiego.

2.2. Composizione con elementi

neoclassici

91

infatti un "antropologo antico", ma uno studioso di paleoantropologia.1 Esistono anche alcuni neologismi, come culturologo, disastrologo, giocologo, giovanologo, lookologo, per cui non è attestato (ma è comunque parola possibile) il corrispettivo in -logia. La forte produttività di -logo consente di adoperare come costituente iniziale di composto anche aggettivi e avverbi (dietrologo, infettivologo, tuttologo) sia pure usati con valore sostantivato. In un numero limitato di casi l'espressione di agente corrispondente ad alcuni sostantivi in -logia si forma con il suffisso -ista (analogia —* analogista), possono così prodursi coppie di sinonimi, quali ad esempio enologo ed enologista, fonologo e fonologista. Ristretto a termini di ambito prevalentemente specialistico il significato "discorso, espressione, modo di parlare" presente in parole come brachilogia, dittologia, tautologia. Preceduto da un numerale, -logia può indicare l'insieme di più opere artistiche di uno stesso autore affini o collegate tra di loro: trilogia. L'elemento formativo -grafia è impiegato con il significato "descrizione, rappresentazione analitica" nella denominazione di numerose discipline in cui il primo costituente del composto indica l'oggetto a cui si applica la descrizione (geografia, idrografia, lessicografia). Per ciascuna di queste discipline è possibile formare un sostantivo in -grafo che ne indica lo studioso, l'esperto. A partire da bibliografia si è sviluppato un significato secondario "repertorio, elenco" presente ad esempio in filmografia. Con i significati "scrittura, rappresentazione grafica", forma numerosi composti in cui il primo costituente del composto può indicare il mezzo o lo strumento con cui avviene una riproduzione grafica (fotografia, lasergrafia), il modo (calligrafia, crittografia), più raramente il luogo (ceramografia "scrittura sulla ceramica"). Nonostante il gran numero di formazioni e la diffusione di alcune di esse nell'uso comune (fotografia, telegrafo), sono pochi i composti in cui -grafia e -grafo si aggiungono a parole, tra di essi discografia, grammatico grafia, museografia. Le parole in -grafo possono indicare sia uno strumento (sismografo) sia un agente (biografo)·, sono attestati anche una decina di nomi di agente suffissati con -ista che non hanno sinonimi in -grafo (telegrafista). Nei casi in cui -grafia non indica il risultato dell'azione, può essere impiegato con questo significato l'elemento formativo -gramma (cardiogramma, sismogramma). In posizione iniziale, grafo- ha il significato "scrittura" ed è usato solo in combinazione con elementi formativi, le sole parole di ambito comune sono grafomane, grafologia (e derivati). L'elemento formativo -metro forma nomi di strumenti che servono a misurare quanto indicato dal costituente iniziale, mentre -metria ha il valore "misura, attività di misurazione". Entrambi formano un grandissimo numero di composti di ambito tecnico-scientifico in combinazione con altri elementi formativi. Tra i pochi sostantivi di uso corrente: barometro, cronometro, geometria, termometro.2 In combinazione con parole, -metro è attestato nei seguenti neologismi, di cui non sono attestati i corrispondenti in -metria: applausometro, bustometro, parchimetro / parcometro,3 redditometro. L'elemento formativo -metro è

2

3

La stessa dissimetría fra relazione formale e semantica si ripete per tutte le coppie di elementi formativi con significato agentivo strumentale e i corrispettivi suffissati in -ia. I nomi di agente si formano di norma per mezzo del suffisso -ista (cronometrista), mentre geometra rappresenta un caso isolato. L'alternanza della forma si può spiegare anche con il fatto che -metro consente una certa variabilità della vocale finale del primo costituente: in circa tre quarti dei composti attestati è o, mentre nel restante quarto è i (calorimetro, densimetro, esposimetro, voltimetro)·, eccezionale nella forma e nella composizionalità semantica la parola tassametro.

92

2.

Composizione

usato anche in posizione iniziale con il significato "misura, misurazione" in termini esclusivamente tecnico-scientifici. I sostantivi in -fonia fanno riferimento al suono, alla voce, e sono molto numerosi nelle terminologie tecnico-scientifiche. Fra le poche parole di uso comune: dialettofonia, polifonia, radiofonia, stereofonia, telefonia. L'elemento formativo -fono serve a formare numerosi nomi di strumento di ambito tecnico-scientifico, ma anche alcuni di uso corrente (citofono, sassofono, telefono)·, è attestato in combinazione con parole solo in una manciata di formazioni di coniazione recente, in cui indica persona che parla una determinata lingua (dialettofono, grecofono, tedescofono). In posizione iniziale fono- ha il valore "voce, suono", ed è utilizzato principalmente nelle terminologie tecnico-scientifiche, fra le poche parole di uso non specialistico, fonografo e fonovaligia. Le parole terminanti in -fobia (cfr. anche 5.1.2.1.2.1.3.) esprimono paura, ripugnanza, avversione morbosa, antipatia, intolleranza per ciò che è indicato dal costituente iniziale del composto. Tra le parole di impiego corrente vi sono claustrofobia, esterofobia, xenofobia. Le parole in -fobo indicano chi ha paura o chi è contrario, prova avversione per qualcosa o qualcuno, e sono meno numerose di quelle in -fobia. Tra le poche parole autonome con cui -fobo e -fobia si combinano vi sono alcuni aggettivi etnici (slavofobia, tedescofobo). A differenza di -fobo, -filo partecipa a numerosi composti di uso comune in combinazione con parole. Oltre che in posizione finale (bocciofdo, calciofilo, cinefilo, discofilo, gattofilo, idrofilo, russofilo, tedescofilo), è usato anche in posizione iniziale premesso ad aggettivi di relazione e a nomi che si riferiscono per lo più a popoli, a posizioni culturali, ideologiche, politiche, per indicare affinità, simpatia per una posizione, per un principio, o anche chi sostiene tale posizione, tale principio (filoamericano, filocomunista, filoliberale, filonazismo, filonucleare). I sostantivi in -filia (cfr. anche 5.1.2.1.2.1.3.) sono usati quasi esclusivamente nelle terminologie tecnico-scientifiche, fra le poche parole di uso comune: esterofilia, cinefilia, pedofilia. Nelle terminologie tecnico-scientifiche i composti terminanti in -mania (cfr. Fanfani 1986 e anche 5.1.2.1.2.1.3.) superano in numero quelli in -mane. Tra i composti con elementi formativi più diffusi nell'uso: megalomania, ninfomane, piromane. Sia -mania che -mane sono utilizzati in combinazione con parole autonome in composti di uso corrente, in cui -mane indica chi è affetto da una dipendenza patologica o ossessiva, da una forte passione, da un'attrazione irresistibile, ed è quindi usato talvolta per indicare un grado più alto rispetto a quello indicato con -filo (acquamania, farmacomania, convegnomania, fumettomania, calciomane, cocainomane, eroinomane, mitomane, tossicomane). Le parole in -crazia (cfr. anche 1.2.2.3.) superano di numero quelle in -crate sia nei composti con parole autonome sia in quelli con elementi formativi. Indicano l'autorità, il potere esercitati da o per mezzo di quanto specificato dal primo costituente. Molte di esse (a cominciare da democrazia), non hanno un corrispondente in -crate (tra esse: apparatocrazia, correntocrazia, computercrazia, lentocrazia, meritocrazia, partitocrazia, videocrazia), sono invece di norma accompagnate dall'aggettivo terminante in -cratico. Fra le formazioni più recenti con -crate: eurocrate, fallocrate, partitocrate, tangentocrate. Le parole terminanti in -latria (cfr. anche 5.1.2.1.2.1.3.) indicano il culto, l'adorazione di ciò che è denotato dal costituente iniziale. Sono attestati una ventina di composti, tra cui bibliolatria, statolatria. Con -latra si formano aggettivi e nomi di agente (idolatra)', è possibile anche formare aggettivi terminanti in '-ico (idolatrico).

2.2. Composizione con elementi

neoclassici

93

Con il valore "studio dell'insieme di regole che governano un ambito, una struttura, un sistema", l'elemento formativo -nomia è impiegato nella denominazione di alcune discipline (astronomia, economia, gastronomia). Lo specialista di queste discipline è di norma indicato con l'elemento formativo -nomo (astronomo, gastronomo), fa eccezione economista (mentre economo come sostantivo significa "chi amministra le spese" e come aggettivo equivale a "parsimonioso"). Altri significati espressi da questi elementi formativi sono ristretti all'ambito tecnico-scientifico. I composti con -geno sono molto numerosi e diffusi sia nelle terminologie tecnicoscientifiche sia nella lingua comune. Si tratta di aggettivi spesso sostantivati, in cui -geno significa "che genera, che produce" (allucinogeno, cancerogeno, criminogeno, elettrogeno, erogeno, lacrimogeno, riflessogeno, schiumogeno), "che è generato" e quindi "origine, nascita" (allogeno, indigeno)} Gli aggettivi terminanti in -genico, sono in genere sinonimi di quelli in -geno, ad eccezione di transgenico e pochi altri. L'elemento formativo -genico ha sviluppato il significato secondario "che si presta a essere riprodotto" testimoniato da formazioni come fotogenico, telegenico. I sostantivi formati con -genia (cfr. anche 5.1.2.1.2.1.3.) e -genesi sono tutti di impiego specialistico, ad eccezione di fotogenia e telegenia, semanticamente riconducibili ai corrispondenti aggettivi in -genico.2 Ristretti all'ambito tecnico-scientifico i composti con -paro (oviparo, primipara, sudoriparo, viviparo), che forma aggettivi in cui esprime il significato "che genera, che partorisce". L'elemento formativo -grado è impiegato con il valore che cammina, che si muove per mezzo o in direzione di quanto indicato dal costituente iniziale del composto (anterogrado, digitogrado, plantigrade, unguligrado). L'unica parola di uso comune è retrogrado. L'elemento formativo -scopia ha il significato "osservazione, esame" ed è usato in composti di impiego esclusivamente tecnico-scientifico, i cui costituenti iniziali si riferiscono principalmente a fenomeni fisici o a organi del corpo umano (broncoscopia, gastroscopia), gli aggettivi corrispondenti terminano in -scopico. L'elemento formativo -scopo è utilizzato per formare nomi di agente, -scopio per formare il nome dello strumento impiegato per l'osservazione. Fra i pochi composti di uso comune, vi sono caleidoscopio, microscopio, periscopio, telescopio. L'elemento formativo -fero forma numerosi composti di ambito tecnico-scientifico in combinazione con altri elementi, in cui esprime il significato "che porta, che produce". Nonostante le non poche parole di uso corrente (calorifero, fiammifero, frigorifero, mammifero, pestifero, sonnifero, soporifero), non sono attestati neologismi di uso corrente in combinazione con parole. Ancora più ristretto all'ambito tecnico-scientifico, -foro, le cui sole formazioni di uso corrente sono fosforo, necroforo, semaforo. L'elemento formativo -fugo forma una dozzina di aggettivi, alcuni dei quali sostantivati, in cui esprime i significati "che mette in fuga, combatte, elimina" (callifugo, febbrifugo, grandinifugo, ignifugo, insettifugo, tossifugo, vermifugo, zanzarifugo)', ristretto all'ambito tecnico-scientifico il significato "che si allontana, fugge da" (centrifugo, lucifugo, nidifugo). I composti in -fugo non costituiscono base per aggettivi in '-ico né per nomi di qualità suffissati.

2

La forma -gene è usata esclusivamente nei termini tecnico-scientifici, es. collagene. Le forme composizionalmente corrette dovrebbero essere fotogenicità (parola attestata), telegenicità (parola non registrata dai dizionari).

94

2.

Composizione

Con l'elemento formativo -cida si formano nomi e aggettivi il cui primo costituente indica ciò o chi viene ucciso, eliminato. Si possono distinguere due sottogruppi: uno, di ambito giuridico, le cui basi derivazionali sono in grande maggioranza nomi di persone, la parola di uso più frequente è omicida, fanno parte di questo gruppo fratricida, matricida, regicida, uxoricida e anche liberticida, sebbene la base sia un nome astratto. L'altro sottogruppo è formato in prevalenza da termini della chimica, e ha come basi nomi che designano entità concrete (specialmente piante e parassiti): erbicida, funghicida, germicida, spermicida, topicida, zanzaricida. La corrispettiva formazione nominale in -cidio è di norma riservata per indicare un atto criminale o efferato, ed è quindi usata quasi esclusivamente in riferimento agli aggettivi del primo gruppo; non hanno corrispondenti in -cidio quelle formazioni che attraverso la sostantivazione dell'aggettivo indicano una sostanza o uno strumento (insetticida). Il sostantivo genocidio non ha un corrispettivo in -cida. Non sono attestati aggettivi derivati. L'elemento formativo -colo serve a formare aggettivi, alcuni dei quali sostantivati, che designano una persona, un animale o altro organismo che vive nell'ambiente specificato dal costituente iniziale del composto (acquicolo, cavernicolo, nidicolo, palafitticolo, praticolo), oppure, con funzione relazionale, fanno riferimento alla coltivazione o all'allevamento delle piante o degli animali indicati dal costituente iniziale (caffeicolo, cerealicolo, frutticolo, pioppicolo, piscicolo, risicolo). Il nome dell'attività corrispondente si ottiene impiegando l'elemento formativo -coltura (agrumicoltura, fienicoltura) e il corrispettivo nome di agente si ottiene di norma con l'elemento formativo -coltore (apicoltore, anguillicoltore, maiscoltore). L'elemento formativo -voro forma un ridotto numero di aggettivi, alcuni dei quali sostantivati, in cui esprime i significati "che mangia, che si nutre" (carnivoro, erbivoro, granivoro, onnivoro), o anche "che aspira, che assorbe" (fumivoro, idrovoro). E usato in senso figurato nel neologismo pubblivoro (a. 1987) da pubblicità) in contesti come spettatore televisivo pubblivoro. I composti in -voro non costituiscono base per aggettivi in '-ico né per nomi di azione suffissati. Ha significato analogo -fago (con il corrispondente -fagia) il cui impiego è ristretto all'ambito tecnico-scientifico (batteriofago, ematofago, xilofago). L'elemento formativo -mante è usato con il significato "indovino" in una manciata di sostantivi, i più comuni dei quali sono cartomante e chiromante. Poco più numerosi i sostantivi in -manzia, di norma accompagnati da aggettivi terminanti in -mantico. Poco numerosi sono anche i sostantivi formati con -nauta "navigatore": astronauta, cosmonauta, cybernauta, internauta "navigatore in Internet", motonauta. Gli aggettivi corrispondenti terminano in '-ico (aeronautico), da cui si ricava via conversione (cfr. 7.2.2.1.2.) il nome della scienza corrispondente (aeronautica). Fra gli elementi formativi che occupano esclusivamente la posizione finale svolgendo unicamente la funzione di testa ve ne sono alcuni che formano nomi di luogo (cfr. 5.1.1.3.). Tra essi, -comio si combina esclusivamente con elementi formativi (manicomio, nosocomio)·, mentre -teca, oltre a essere impiegato col significato "raccolta, collezione" (cineteca, mediateca, nastroteca, videoteca), ha da un paio di decenni grande fortuna nella formazione di nomi di negozi ed esercizi commerciali (angurioteca, discoteca, minestroteca, paninoteca, scarpoteca). L'elemento formativo -dromo, il quale può essere impiegato anche in termini tecnico-scientifici sia in posizione iniziale che finale con i significati "corsa, movimento, velocità" (anadromo, dromogramma), dal significato originario "luogo dove si effettua una corsa" (ippodromo) ha sviluppato anche quello di "pista" (aerodromo) e re-

2.2. Composizione con elementi

neoclassici

95

centemente un significato più genericamente locativo testimoniato da formazioni come rocciodromo, rockodromo. Con il significato di insieme di alloggi, specialmente di natura provvisoria, -poli è attestato in un piccolo numero di composti posposto a parole: baraccopoli, roulottopoli, tendopoli. Menzioniamo qui anche -dotto, che con il significato "condotto, conduttura" forma una decina di composti, tra cui elettrodotto, metanodotto, oleodotto.

3. PREFISSAZIONE

3.0. Introduzione

I prefissi dell'italiano sono affissi derivazionali che si premettono a parole. Sono usati principalmente per formare parole nuove che si distinguono per significato dalla base, e che appartengono alla stessa categoria sintattica (es. bloccare —» sbloccare, fedele —> infedele, nazionale —> internazionale, conformismo —> anticonformismo)·, possono esprimere anche valori alterativi (sia diminutivi: abito —• miniabito, sia, soprattutto, accrescitivi e intensificativi: schermo —> maxischermo, eroe —> supereroe).' In italiano non ci sono prefissi con funzione flessiva.2 La prefissazione è un procedimento formativo molto produttivo, solo la suffissazione forma un maggior numero di neologismi (cfr. Iacobini / Thornton 1992). Le parole prefissate sono molto numerose, e sono largamente presenti nel lessico comune e in quello di più alta frequenza (ad esempio, circa il 50% dei verbi del vocabolario di base dell'italiano contengono un prefisso, cfr. Thornton / Iacobini / Burani 1994 [1997 2 ]), ma sono impiegate anche in registri elevati e in terminologie specialistiche. Dal punto di vista teorico, la classificazione delle parole prefissate è una questione che presenta tuttora profonde divergenze di opinione. Non vi è infatti un giudizio unanime sul considerare i prefissi come degli affissi derivazionali (così come i suffissi) oppure degli elementi lessicali, e, di conseguenza, nel considerare la prefissazione un processo di tipo derivazionale oppure compositivo. 3 La mancanza di accordo teorico sulla classificazione della prefissazione in relazione agli altri processi di formazione delle parole si riflette anche sul piano descrittivo. Vi sono infatti notevoli discrepanze tra le principali opere di riferimento riguardanti la morfologia e il lessico dell'italiano su quali elementi considerare prefisso; i prefissi indicati in ciascuna opera variano infatti da circa una quarantina a circa una novantina di elementi (varianti incluse), e vi è consenso unanime solo su di una dozzina di essi (cfr. Iacobini 1999, 374-375). Noi riteniamo che i prefissi sono degli affissi (e non delle parole) e che la prefissazione è un procedimento derivazionale (e non compositivo). Nei prossimi paragrafi giustificheremo le nostre affermazioni criticando gli argomenti di chi identifica la prefissazione con la composizione (3.1.-3.1.2.), e, anche grazie a un confronto con la suffissazione, dimostreremo lo status di affissi derivazionali dei prefissi dell'italiano (3.2.-3.2.1.1.).

1 2

3

Per un quadro di insieme dei significati espressi dai prefissi, cfr. 3.7. Le affermazioni e le generalizzazioni contenute in questo capitolo (se non altrimenti indicato) riguardano i prefissi della lingua italiana. Sebbene meno diffusi dei suffissi, ed usati principalmente in lingue con ordine basico VO, in molte lingue i prefissi hanno funzione flessiva (ad esempio nei verbi delle lingue semitiche o nei nomi delle lingue bantu), e possono essere impiegati con funzione derivazionale per formare parole con categoria sintattica diversa da quella della base (cfr. Hawkins / Gilligan 1988; Hall 2000). Per una schematica presentazione delle diverse proposte riguardo alla classificazione della prefissazione all'interno della linguistica contemporanea, cfr. Iacobini 1999, 371-374, dove si evidenzia come vi siano divergenze anche fra studiosi appartenenti a una stessa impostazione teorica.

100

3.1.

3.

Prefissazione

Differenze tra prefissazione e composizione a

Le differenze tra prefissazione e composizione risultano evidenti anche da un'esposizione sommaria dei tratti che caratterizzano i due processi formativi. La composizione combina due parole autonome; uno stesso costituente può essere testa in un composto e non testa in un altro; i costituenti dei composti hanno significato lessicale indipendente; la relazione semantica fra i costituenti di un composto consente un ventaglio di interpretazioni possibili; la composizione ammette oltre al rapporto subordinativo tra i costituenti anche il rapporto coordinativo; i costituenti dei composti sono una lista aperta di elementi; in italiano la testa dei composti endocentrici formati produttivamente è il costituente di sinistra. I prefissi sono invece elementi non liberi che possono occupare solo la posizione iniziale di parola; non possono formare parole insieme con altri affissi; non possono essere base di derivazione o di alterazione; possono instaurare esclusivamente rapporti di tipo subordinativo; predeterminano il significato della parola complessa; costituiscono un inventario ristretto; non sono la testa delle parole prefissate. Dal confronto delle caratteristiche esposte, la prefissazione risulta un procedimento distinto dalla composizione. È dunque legittimo affermare che parole prefissate, come ad esempio disordine, inutile, rifare, sono formate da regole diverse da quelle che danno origine a tipici composti, come divano letto, agrodolce, capogruppo, camposanto, portacenere. Merita invece una più attenta riflessione il confronto fra la prefissazione e due processi formativi che costituiscono tipi meno centrali della composizione dell'italiano: la composizione neoclassica e la composizione per mezzo di preposizioni. Nei prossimi due paragrafi metteremo a confronto la prefissazione con questi due processi formativi.

3.1.1. Prefissazione e composizione neoclassica ci Come abbiamo visto in 2.2.5.-2.2.8., vi sono numerose e importanti differenze tra gli affìssi derivazionali e gli elementi formativi neoclassici, come pure tra i procedimenti derivazionali e quelli composizionali a cui prendono parte gli elementi formativi neoclassici. In conseguenza di ciò non è possibile considerare l'insieme degli elementi formativi neoclassici e i prefissi come facenti parte di una stessa categoria, né è possibile sostenere che vi sia uno stesso processo che dia origine alle parole prefissate e ai composti neoclassici. Le analogie strutturali tra le parole prefissate e i composti neoclassici riguardano solo un sottoinsieme di essi, cioè quelli in cui un elemento formativo si premette a una parola, la quale costituisce la testa semantica e sintattica della parola complessa (es. idromassaggio, psicofarmaco, esoscheletró). Fra gli elementi formativi che sono impiegati in questo tipo di formazione, la stragrande maggioranza si distingue nettamente dai prefissi sia per capacità combinatorie sia per i tipi di significato espressi. Ad esempio, idro- e psico- possono sia essere base di derivazione (idrico, psichico) sia essere usati anche nella formazione di composti coordinati {idrosalino, psicosociale), due tipi di impiego assolutamente estranei alla prefissazione (cfr. 2.2.5.1.). Le somiglianze tra prefissi ed elementi formativi si riducono dunque a quel piccolo numero di elementi che, premessi a parole, occupano esclusivamente la posizione

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iniziale, svolgono unicamente la funzione di determinante (non possono quindi essere la testa della parola complessa, né formare strutture coordinate), non possono essere base di derivazione, ed esprimono significati di tipo relazionale (non lessicale), quali ad esempio la determinazione spaziale e temporale, o la quantificazione. Solo per questo ben delimitato insieme di elementi, la distinzione dai prefissi può presentare alcuni margini di sovrapposizione o di incertezza (per una più ampia argomentazione cfr. 2.2.7.). Riteniamo che elementi come iper-, macro-, mega-, micro-, multi-, neo-, para-, pluri-, possano essere a tutti gli effetti considerati prefissi in ragione del fatto che, sebbene siano impiegati anche in combinazione con elementi formativi nella coniazione di termini tecnico-scientifici, sono ormai entrati a far parte della competenza della generalità dei parlanti, e sono premessi a parole in numerosi neologismi d'uso corrente in costruzioni identiche a quelle a cui partecipano i prefissi di più antica attestazione in italiano, e con i quali intrattengono rapporti di tipo paradigmatico. Altri elementi che sono impiegati solo sporadicamente nella formazione di parole di uso corrente (tra essi allo-, ipso-, endo-, ecto-, peri-) non possono essere considerati parte della competenza attiva della generalità dei parlanti, e quindi vanno tenuti distinti dai prefissi usati produttivamente.1 La decisione sull'inclusione o meno nel novero dei prefissi è più difficile per un numero molto ridotto di elementi di origine aggettivale (fra cui pseudo-, paleo-, equi-, etero-),2 e per i primi della potenzialmente infinita serie dei numerali (in particolare mono-, uni-, bi-, tri-), a causa della loro piuttosto ampia diffusione nell'uso e partecipazione a processi formativi in parte coincidenti con la prefissazione. In conclusione, anche se fra prefissi ed elementi formativi neoclassici vi sono alcuni punti di contatto e un ristretto margine di sovrapposizione, vi è una netta distinzione fra prefissi tipici (affissi che agiscono secondo regole derivazionali) e la gran parte degli elementi formativi (elementi lessicali che agiscono secondo regole composizionali). Il ristretto numero di elementi formativi che si avvicinano per caratteristiche semantiche e funzionali ai prefissi, fino a identificarsi in alcuni casi con essi, rappresenta il risultato finale di processi di grammaticalizzazione, e di certo non legittima l'identificazione né tra gli elementi formativi neoclassici e i prefissi, né tra il processo di derivazione prefissale e quello di composizione neoclassica.

3.1.2. Prefissi e preposizioni ci Le preposizioni si differenziano dalle altre categorie sintattiche che prendono parte a regole di formazione delle parole (nomi, aggettivi, verbi) per diverse caratteristiche che le accomunano ai prefissi: quella di esprimere significati di tipo relazionale, quella di non poter essere base né di derivazione né di flessione, quella di costituire un inventario ristretto, quella di occupare esclusivamente la posizione iniziale all'interno della parola complessa. Le affinità fra preposizioni e prefissi sono evidenti nel fatto che per ben otto delle nove preposizioni cosiddette proprie o monosillabiche dell'italiano (di, a, da, in, con, su, per, tra, fra) c'è un prefisso uguale o simile per forma e paragonabile per significato (cfr. le preposi1 2

Per argomenti a sostegno di tale distinzione cfr. Migliorini 19633e, Nencioni 1987. Si tratta degli elementi che, a nostro giudizio, pur non essendo al momento del tutto assimilabili ai prefissi, sono fra i più probabili candidati ad assumere un tale status.

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zioni a, con, in, per e parole prefissate come accorrere, concorrere, incorrere, percorrere); solo la preposizione da non ha un prefisso corrispondente. Il riconoscimento di alcune innegabili caratteristiche in comune fra preposizioni e prefissi non giustifica a nostro avviso le posizioni di chi, anche recentemente (cfìr. Zwanenburg 1997), restringe a casi marginali (o addirittura nega) l'esistenza dei prefissi, assimilandoli alle preposizioni. Nei moderni studi sulle lingue romanze, l'assimilazione dei prefissi alle preposizioni ha fra i primi e più autorevoli assertori A. Darmesteter, il quale riconosce un ruolo specifico ai prefissi solo nelle formazioni parasintetiche, mentre considera la generalità delle parole prefissate come dei composti (cfr. Darmesteter 18942). Darmesteter arriva a tali conclusioni seguendo un ragionamento che può essere riassunto nei seguenti termini: essendo i prefissi uguali alle preposizioni, essendo le preposizioni delle forme libere, essendo i composti parole formate da due forme libere, allora le parole con prefissi sono dei composti.

Come vedremo, la posizione di chi assimila i prefissi alle preposizioni presenta diversi punti deboli. Le conclusioni a cui arriveremo sono che, nonostante la parentela etimologica fra preposizioni e alcuni prefissi (che determina la condivisione di alcune caratteristiche), i prefissi e le preposizioni formano due categorie distinte, e i processi formativi a cui prendono parte sono diversi: i prefissi formano derivati endocentrici, le preposizioni un particolare tipo di composti esocentrici. Da un punto di vista etimologico, è vero che molti prefissi italiani hanno origine (diretta o indiretta) da preposizioni latine e greche (es. anti-, de-, infra-, meta-, super-), in genere già usate nelle lingue classiche per la formazione di parole complesse. E vero anche che nelle lingue classiche, mentre i suffissi erano elementi che avevano concluso il loro processo di grammaticalizzazione, ed erano quindi usati esclusivamente come forme legate senza equivalenti tra le forme libere della lingua, i prefissi erano meno coesi con le parole a cui si univano,1 e vi erano evidenti rapporti fra le preposizioni correntemente impiegate nella costruzione di sintagmi e alcuni fra i prefissi impiegati nella formazione di parole complesse. Pur rimanendo in una prospettiva etimologica, vi sono però diversi motivi che non permettono l'identificazione fra preposizioni e prefissi dell'italiano: (a) Innanzitutto vi sono diversi prefissi che non sono riconducibili a preposizioni (es. a- "privativo", dis-, ri-, maxi-, mini-, semi-); (b) Vi sono prefissi italiani che sono riconducibili a preposizioni latine o greche (es. anti-, de-, infra-, meta-, pre-, post-), ai quali non corrisponde alcuna preposizione italiana; (c) Se è vero che vi sono prefissi italiani riconducibili a preposizioni greche o latine, non necessariamente è vero il contrario: diverse preposizioni delle lingue classiche non sono mai state impiegate in italiano per formare parole di uso comune; tuttalpiù

Si veda Cuzzolin 1995, che reinterpreta fenomeni del verbo latino tradizionalmente spiegati con la figura della tmesi come il residuo di una situazione arcaica, in cui il processo di grammaticalizzazione consistente nella riduzione di sintagmi con originario valore spaziale ad adposizioni e poi ad affissi non aveva ancora raggiunto il suo stadio conclusivo. Sull'origine dei prefissi verbali si vedano anche Miller 1993, specialmente 117-140, e Rousseau 1995.

3.1. Differenze tra prefissazione e composizione

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sono state impiegate in combinazione con elementi formativi neoclassici nella formazione di termini di ambito tecnico-scientifico (es. anfi-, cata-, peri-), anche nei casi in cui esprimessero tipi di significato espressi anche dai prefissi (cfir. rispettivamente apo- e opistocon i prefissi dis- e retro-). Ancora più probanti sono i fattori di ordine sincronico che determinano la distinzione fra le due categorie: (a) I prefissi omografi delle cosiddette preposizioni proprie sono di scarsa o nulla produttività nell'italiano contemporaneo. I prefissi di-, per-, fra-, tra- non sono più produttivi; ad- e in- sono usati esclusivamente per la formazione di verbi parasintetici (nei quali peraltro l'originario valore locativo è assente o assolutamente marginale, cfr. 4.1.4.4.1.5.); su- è quasi del tutto improduttivo e si premette unicamente ad aggettivi deverbali, non a nomi (es. suddetto, summenzionato)', il prefisso con- è scarsamente usato, gli è preferito co-; (b) Le preposizioni normalmente precedono un sintagma nominale, mentre i prefissi (anche quelli di origine preposizionale) sono premessi oltre che a nomi, ad aggettivi e a verbi (es. ammettere, contendere, internazionale, percorrere, superdotato). L'uso dei prefissi davanti a parole di categoria diversa da nome distingue quindi nettamente le capacità combinatorie dei prefissi da quelle delle preposizioni; (c) I tipi di significato espressi dalle preposizioni e dai prefissi coincidono solo parzialmente. Il punto di contatto è dato dai significati locativi e temporali, ma sia le preposizioni sia i prefissi esprimono tipi di significato che l'altra categoria non può esprimere. Ad esempio, le preposizioni italiane esprimono significati come quello strumentale o agentivo estranei alle possibilità dei prefissi, mentre questi ultimi (a differenza delle preposizioni) possono esprimere la quantificazione (semi-, multi-), l'intensificazione (iper-, super-), la dimensione (mega-, maxi-), la ripetizione (ri-). A riprova della differenziazione semantica fra prefissi e preposizioni, è interessante notare che alcuni prefissi di origine preposizionale (es. de-, s-) hanno sviluppato (a partire da originari valori locativi) significati di tipo privativo, negativo, reversativo; (d) I prefissi a cui corrisponde una preposizione omografa hanno caratteristiche semantiche e distribuzionali del tutto analoghe a quelle dei prefissi a cui non corrisponde alcuna preposizione (si pensi ai prefissi di- e de-, sotto- e sub-, tra- e inter-Untro-, contro- e contra-, sopra- e sovra·). E opportuno ricordare che i prefissi intrattengono una fitta serie di relazioni sinonimiche e antonimiche, e sarebbe quindi implausibile distinguere i prefissi in due diverse categorie in relazione alla corrispondenza o meno con una preposizione. Prendiamo ora in esame la relazione fra la prefissazione e la formazione di parole tramite le cosiddette preposizioni improprie o polisillabiche. Si tratta di un numero circoscritto di elementi bi o trisillabici per lo più di origine avverbiale (dentro, fuori, dietro), ma anche aggettivale (lungo) e verbale (mediante) che possono essere usati con valore preposizionale direttamente premessi a sintagmi nominali (es. mettere le mani dentro le tasche, passeggiare lungo gli argini), cfr. Rizzi 1988, 521-522; Serianni 1988, 354-356. Alcune tra queste preposizioni si possono univerbare con il nome da esse retto (es. dopocena, entrobordo, fuorisede, lungotevere), altre invece (es. durante, mediante, verso) non hanno questa possibilità. Il tipo di relazione fra gli elementi che li compongono differenzia i composti preposizionali dalle parole prefissate: i primi, infatti sono strutture esocentriche, mentre la tipica parola prefissata è endocéntrica (cfr. Scalise 1983, 142-147). Di conseguenza le parole prefissate conservano i tratti della parola di base, mentre nei composti preposizionali può cambiare il genere: dal genere femminile verso quello (non marcato) maschile (es. il dopocena,

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3.

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il dopoguerra).' La prefissazione non influisce sulla formazione del plurale, mentre i composti preposizionali tendono a essere invariabili al plurale (es. sing, il senzatetto, pl. i senzatetto), e lo sono sempre quando c'è cambio di genere rispetto alla parola di base (es. sing. il sottogola, pl. i sottogola, *i sottogole).2 A partire da tali considerazioni possiamo distinguere i prefissi sopra-, sotto-, contro- dalle omofone preposizioni. La distinzione fra il tipo compositivo preposizionale esocentrico (rappresentato da parole quali sottoscala, sottobosco) e la derivazione prefissale endocéntrica (es. sottocommissione, sottocultura) si riflette nella parafrasi semantica: "N che sta sotto (a N)", "N di minore importanza" nel caso delle parole prefissate, "qualcosa che sta sotto N" nel caso dei composti preposizionali. La distinzione fra i prefissi sopra-, sotto-, contro- dalle corrispettive preposizioni trova giustificazioni anche nella possibilità che i prefissi hanno di premettersi a verbi (sopraelevare, sottoesporre, controbattere) e ad aggettivi di relazione (sottomarino, controrivoluzionario, soprannaturale), e alla non totale coincidenza di significato con le preposizioni: ad esempio, il prefisso sopra- (e non la preposizione) può indicare "posteriorità temporale" (sopravvivere, sopraggiungere), "eccesso, superamento di un limite" (soprannumero, sopravvalutare)? Un ulteriore motivo di distinzione risiede nel fatto che le parole prefissate possono essere ulteriormente derivate (es. sopraelevare —»· sopraelevazione), mentre ciò non è di norma possibile con i composti preposizionali. Concludiamo questo paragrafo menzionando un'altra zona di parziale sovrapposizione fra prefissazione e composizione, cioè l'impiego di avverbi premessi a verbi o a nomi e aggettivi deverbali. Si tratta di un processo formativo marginale e scarsamente produttivo, se non del tutto improduttivo, i cui rappresentanti principali sono costituiti dalle formazioni con gli avverbi bene e male, e il cui modello formativo risale al latino, lingua in cui, a differenza dell'italiano, la sequenza normale degli elementi della frase era quella in cui l'avverbio precede il verbo, un ordinamento che consente l'univerbazione fra avverbio e verbo.4

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A proposito di parole come il dopoguerra, Migliorini 1963 3 c, 220 osserva che le lingue romanze utilizzano per questo tipo di formazione «la sostantivazione al maschile (vorremmo dire al neutro)». Un ristretto numero i prefissi, specialmente fra quelli che esprimono valori posizionali, possono formare, accanto ai normali derivati endocentrici, anche alcuni nomi esocentrici (es. antibagno, avanspettacolo, interlinea, preistoria)·, si noti che in queste formazioni il genere del nome di base rimane inalterato, e il plurale è regolare. Sulla distinzione fra il prefisso sotto- e la preposizione sotto-, cfr. Montermini in stampa. Tra le parole composte con gli avverbi bene e male registrate nei dizionari dell'uso i verbi sono meno di un terzo (es. benedire, benvolere, malgiudicare, malmenare, maltrattare), la maggioranza è costituita da aggettivi e da nomi deverbali di cui non è attestato il verbo complesso corrispondente (es. benefattore, benemerenza, benpensante, benservito, malaccorto, malfidato, malinteso, malridotto, malvivente). Sui verbi composti del tipo aerotrainare, cfr. 2.2.3.

3.2. Caratteristiche

definitorie dei prefissi

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3.2. Caratteristiche definitorie dei prefissi α

Dopo aver definito i limiti tra prefissazione e composizione neoclassica, e mostrato le differenze fra prefissi e preposizioni, passiamo ora ad elencare le caratteristiche che definiscono i prefissi dell'italiano, e ne determinano lo status di affissi derivazionali. I prefissi sono affissi (quindi elementi non liberi) privi di una propria categoria sintattica, che si premettono a una base lessicale con lo scopo di modificarne il significato. Le eccezioni al criterio di non autonomia sintattica sono rappresentate dai seguenti due casi. Alcuni prefissi, specialmente bisillabici (es. macro-, maxi-, mini-), ma anche monosillabici (es. sub-, trans-), possono essere usati come accorciamenti, mantenendo il significato dell'intera base (macroistruzione, maxigonna, minigonna, subacqueo, transessuale), cfr. 8.3.3. Alcuni prefissi valutativi possono essere usati con funzione appositiva in posizione postnominale {pizzeria mega, gonne micro, auto mini, iniziativa maxi, sconto super) con lo stesso significato che hanno nella loro posizione canonica (microgonna, supersconto ecc.). Formano parole nuove premettendosi a parole; non possono formare produttivamente parole in combinazione con affissi, non possono cioè costituire base di derivazione, né possono essere flessi. Si distinguono un ristretto numero di prefissi che nelle formazioni di uso comune si premettono a parole, ma hanno una certa disponibilità a premettersi anche a elementi formativi per formare termini impiegati in linguaggi tecnico-scientifici (es. neo- in neonato, neorazzismo, ma anche in neologia', micro- in microcriminalità, ma anche in microfono-, a- in amorale, ma anche in amorfo)·, si noti che tali prefissi si combinano con elementi formativi di tipo lessicale (non di tipo affissale), per tale distinzione cfr. 2.2. Costituiscono un inventario tendenzialmente chiuso, e dai confini chiaramente individuabili. Possono essere impiegati esclusivamente in posizione iniziale di parola. In seguito a processi derivazionali ulteriori, può accadere che un prefisso si premetta a una parola già prefissata (decongelare, preriscaldare, reintrodurre·, cfr. 3.5.1.), o anche, meno frequentemente, che una parola prefissata sia utilizzata come costituente finale di un composto (es. batteria anti-missili). Stabiliscono un rapporto di subordinazione con la base lessicale, rispetto alla quale svolgono la funzione di determinante; a differenza dei composti non possono avere rapporti di tipo coordinativo con la parola cui si premettono. Selezionano le basi secondo criteri rappresentati solo parzialmente dalla categoria sintattica delle stesse (cfr. 3.5.): più di un quarto dei prefissi impiegati produttivamente si possono infatti premettere sia a nomi sia a verbi sia ad aggettivi, mentre la percentuale dei prefissi che si premettono a basi appartenenti a una sola categoria sintattica è al di sotto di un quinto del totale dei prefissi; un ruolo importante nella selezione delle basi è svolto da criteri semantici e, nel caso di basi predicative, da caratteristiche azionali e argomentali. I prefissi esprimono significati di tipo funzionale-relazionale, non esprimono valori di tipo lessicale, né di natura flessiva. Il significato dei prefissi è noto alla generalità dei parlanti, e di norma non è necessario per l'interpretazione delle parole prefissate fare ricorso a conoscenze di tipo pragmatico o enciclopedico, in quanto il risultato dell'interazione fra i

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Prefissazione

significati espressi da ciascun prefisso e quelli della base selezionata è predeterminato dalla regola di formazione delle parole a cui partecipano. 1 I prefissi formano di norma parole di tipo endocéntrico, in cui non svolgono mai la funzione di testa, quindi la categoria, il genere e altri tratti inerenti della parola prefissata (es. categoria flessiva, animatezza) sono gli stessi della parola di base. 2 La struttura argomentale delle parole derivate non è determinata dal prefisso, e di norma la struttura argomentale della parola prefissata rimane invariata rispetto a quella della base. Alcuni prefissi possono tuttalpiù ridurre il numero di argomenti rispetto a quelli della base (cfr. (1)), oppure richiedere la realizzazione di un argomento che può essere omesso nel verbo di base (cfr. (2a) e (2b)): 3 (1)

(2)

Fluire verso un luogo Fluire da un luogo Venire da Roma Venire a Roma a. Carlo vive a Roma b. Carlo vive a Roma con Giulia

'Defluire verso un luogo Affluire da un luogo Provenire da Roma *Provenire a Roma ? Carlo convive a Roma Carlo convive a Roma con Giulia.

A differenza dei corradicali non prefissati, gli aggettivi deverbali prefissati con in- "negativo" perdono la possibilità di reggere un sintagma nominale con funzione agentiva (cfr. (3), e Gaatone 1987): (3)

La telefonata è stata interrotta da me Un apparecchio utilizzabile da tutti

La telefonata è stata ininterrotta *da me Un apparecchio inutilizzabile *da tutti.

Esempi come quelli riportati in (4) non hanno invece alcuna sistematicità, e riguardano verbi di origine latina o formazioni lessicalizzate: (4)

*Carlo ruba Giulia Carlo ruba i risparmi di Giulia *Carlo scrive Giulia

Carlo deruba Giulia *Carlo deruba i risparmi di Giulia Carlo descrive Giulia.

Esempi di apparente modifica della costruzione verbale come quelli in (5) riguardano un numero limitato di verbi in cui il prefisso esprime valore preposizionale: (5)

a. Il chiodo passa attraverso la parete a. L'aereo vola sopra la valle

b. Il chiodo trapassa la parete b. L'aereo sorvola la valle.

Si noti che nelle frasi in (5a) e in (5b) il numero degli argomenti, i ruoli tematici e quelli semantici sono gli stessi, ciò che cambia è unicamente la realizzazione del complemento interno, realizzato con un complemento diretto nei verbi prefissati, mentre negli esempi in (5a) da sintagmi preposizionali in cui la preposizione esprime gli stessi valori indicati dal

2

3

Interessanti considerazioni sulle conoscenze pragmatiche ed enciclopediche coinvolte nell'impiego del prefisso pre- e nell'interpretazione delle parole con esso formate, in Amiot 1997. Sulla presunta capacità dei prefissi dell'italiano di determinare la categoria sintattica della base, cfr. 4.1. Sull'influsso dei prefissi dell'italiano sulla struttura argomentale cfr. Bisetto / Mutarello / Scalise 1990.

3.2. Caratteristiche

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definitorie dei prefissi

prefisso preverbale di (5b).1 Analogamente alle altre lingue romanze, in italiano l'utilizzo di prefissi preverbali con valore locativo è un procedimento che ha perso molte delle possibilità proprie della lingua latina (cfr. Lüdtke 1996), di conseguenza verbi come quelli degli esempi riportati in (1) e in (4) non sono più producibili tramite regole di formazione delle parole. L'interazione fra alcuni prefissi e la struttura argomentale della base è esemplificata da auto-, che nell'impiego riflessivo (cfr. 3.7.7.) richiede basi biargomentali e ne determina la coreferenza dei ruoli di agente e paziente, cfr. (6a) e (6b): (6)

a. L'avvocato difende l'imputato

b. L'imputato si autodifende.

Un altro esempio è fornito dal prefisso co-, che può essere impiegato a condizione che l'argomento esterno del verbo sia morfologicamente o semanticamente plurale (i miei amici coabitano-, Carlo e Giulia coabitano), oppure che l'argomento esterno sia in relazione con un argomento indiretto comitativo (Carlo coabita con Giulia). Relativamente all'aspetto fonologico (cfr. 3.6.), i prefissi presentano restrizioni per quanto riguarda la lunghezza, non influiscono sulla posizione dell'accento primario, provocano limitate modifiche di tipo fonotattico; il loro impiego è solo marginalmente condizionato dalle caratteristiche fonologiche della base, tanto da poter determinare la formazione di nessi normalmente non ammessi all'interno di parola. Le caratteristiche esposte nel paragrafo precedente giustificano appieno la collocazione della prefissazione all'interno della derivazione. Le caratteristiche più importanti al fine di considerare i prefissi come affissi derivazionali e di distinguerli dalle parole sono: la posizione fissa all'interno della parola complessa, l'impossibilità di essere derivati o flessi, la relazione (esclusivamente di tipo determinativo) con la base; altri criteri rilevanti sono la semantica di tipo relazionale espressa dai prefissi, la posizione della testa della parola prefissata (a destra, così come le parole suffissate, anziché a sinistra come molti dei composti produttivi), il fatto di costituire un inventario tendenzialmente chiuso, di essere elementi legati, di essere elementi mediamente più brevi delle parole.2 Pur partecipando a pieno titolo alla derivazione affissale, la prefissazione è considerata un processo meno tipicamente derivazionale della suffissazione (cfr. Mel'cuk 2000, 530, che dispone i procedimenti affissali secondo il seguente ordine di prototipicità: suffissazione, prefissazione, infissazione, transfissazione o circonfissazione). Tale affermazione si fonda sia su motivi morfosintattici sia su motivi fonologici; entrambi gli ordini di motivi possono essere interpretati in prospettiva psicolinguistica in relazione con la facilità di processing delle parole derivate, un'interpretazione che permette anche di motivare la preferenza nelle lingue per la suffissazione rispetto alla prefissazione pur in contesti non favorevoli dal punto di vista tipologico. Dal punto di vista morfosintattico i prefissi dell'italiano si differenziano dai suffissi essenzialmente per l'incapacità di determinare la categoria sintattica della parola derivata e per il fatto di imporre minori restrizioni di tipo categoriale alle basi. Dal punto di vista fonologico, i prefissi mostrano un minor grado di coesione con la base: a differenza dei suffissi, i prefissi dell'italiano non determi-

2

Si noti che quando i prefissi deverbali con valore locativo ammettono anche un uso con valore intensificativo, questo impiego non provoca modifiche nella struttura argomentale del derivato (cfr. pagare un lavoratore / sottopagare un lavoratore). Per una proposta di ordinamento gerarchico dei criteri che permettono di distinguere gli affissi derivazionali dalle parole dell'italiano in base alla loro capacità distintiva, cfr. Masseroli 1994, 198-200.

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3. Prefissazione

nano la posizione dell'accento della parola derivata, possono produrre la formazione di nessi normalmente non consentiti all'interno di parola, l'incontro di vocali fra base e prefisso determina solo opzionalmente la cancellazione di vocale (e limitatamente ai prefissi bisillabici, cfr. 3.6.). Il minor grado di coesione fonologica dei prefissi, e il maggiore ricorso alla suffissazione per la determinazione dalla categoria dei derivati, è una tendenza comune a molte lingue (segnalata già da Saussure 19222, 257), che trova interessanti motivi di spiegazione in studi di ambito psicolinguistico (cfr. Cutler / Hawkins / Gilligan 1985, Wandruszka 1992, Stump 2001). È stato dimostrato che nel processo di comprensione è la parte iniziale della parola quella più importante per il compito di riconoscimento e per la determinazione della sua identità lessicale.1 Le parole in cui il tema precede gli affissi sono quindi meglio analizzabili, mentre nel caso di parole prefissate (cioè in cui gli affissi precedono il tema) la corretta segmentazione e il riconoscimento della parola è reso più agevole da una non totale coesione fonologica tra prefisso e base. Queste considerazioni psicolinguistiche offrono una giustificazione al fatto che nelle lingue il cui ordine basico è OV, che strutturalmente favoriscono la suffissazione, i prefissi sono praticamente assenti, mentre nelle lingue con ordine basico VO, favorevoli strutturalmente alla prefissazione, i suffissi siano comunque ampiamente diffusi.

3.3. Identificazione dei prefissi a

Le caratteristiche elencate in 3.2. rappresentano un quadro di insieme del comportamento dei prefissi e permettono quindi di identificare gli elementi che vi si conformano. Nei prossimi paragrafi ritorneremo su alcune di esse e mostreremo più in dettaglio il comportamento dei singoli prefissi, e quindi anche eventuali scostamenti dai tratti che caratterizzano l'insieme della categoria. Prima di proseguire, elenchiamo qui di seguito quelli che consideriamo i prefissi usati produttivamente nella formazione delle parole dell'italiano: a-, ad-, ante-, anti-1, anti-2, arci-, auto-, avari-, circum-, cis-, co-, con-, contro-, de-, dis-, ex-, extra-, iη-1, in-2, infra-, inter-, intra-, iper-, ipo-, macro-, maxi-, mega-, meta-, micro-, mini-, multi-, neo-, non-, oltre-, para-, pluri-, poli-, post-, pre-, pro-, ra-, re-, retro-, ri-, rin-, s-, semi-, sopra-lvra-, sotto-, stra-, su-, sub-, super-, sur-, trans-, ultra-, vice-. Accanto ai prefissi usati produttivamente, riteniamo opportuno indicare anche i prefissi che non sono più usati produttivamente per formare parole nuove dell'italiano (o lo sono solo sporadicamente), ma che sono presenti in parole del lessico corrente, e che all'interno di esse possono essere identificati dai parlanti con diversi gradi di motivazione: 2 ab-, archi-, bis-, circom-ln-, citra-, contra-, di-, e-les-, estra-, estro-, fra-, giusta-, intro-, mis-, ob-, per-, se-, so-, sor-, tra-, tras-.

2

Alterazioni della parte iniziale di parola pregiudicano in misura maggiore la comprensione e sono notate con più facilità dal percipiente rispetto ad alterazioni della parte finale o centrale della parola; esperimenti sulla percezione uditiva hanno dimostrato che perché avvenga il riconoscimento non è sempre necessario ascoltare una parola per intero (cfr. Cutler 1981). La produttività è un concetto di tipo scalare, ed è soggetta a restrizioni di tipo diverso. Alcuni fra i prefissi che non sono più usati produttivamente nell'uso comune della lingua sono tuttora usati, nei significati etimologici o con valori derivati da estensioni semantiche, nella formazione di termini di ambito tecnico-scientifico (fra essi ab-, e-, ob-, per-).

3.4. Produttività e analizzabilità

109

Aggiungiamo alcune osservazioni che permettono di individuare i prefissi omografi distinti tramite esponenti, e alcuni altri prefissi la cui identificazione può non essere evidente. 1 Le due coppie di prefissi omografi ariti-1 e anti-2, in-[ e in-2 sono formate da prefissi che si distinguono per etimo e per significato: anti-1 esprime principalmente negazione oppositiva (antieroe, antifascismo), mentre anti-2 indica precedenza nel tempo o nello spazio (anticamera, antidiluviano); con in-1 indichiamo il prefisso impiegato nella formazione di verbi parasintetici (inceronare, ingrandire), mentre con in 2 il prefisso usato principalmente con valore contrario (indeciso, ingiusto). Con aindichiamo il prefisso negativo (apolitico, asessuale) che davanti a vocale assume la forma an(anabbaglianté). Indichiamo invece con ad- il prefisso impiegato nella formazione di verbi parasintetici (addolcire, avvelenare), per quest'ultimo prefisso riteniamo più giustificata la forma ad- (piuttosto che a-) sia per il sistematico raddoppiamento della consonante iniziale della base (abbellire, accalorare, addomesticare ecc.) sia per la forma dei derivati la cui base comincia con vocale (adagiare, adescare, adirare ecc.). Non abbiamo indicato nell'elenco le varianti allomorfiche (quali ad es. il-, im-, ir- rispetto a in-) se non nei casi in cui vi sia una differenziazione di senso o di produttività (come ad es. fra trans- e tras-, sub- e so-).

3.4. Produttività e analizzabilità ci

I prefissi impiegati produttivamente si premettono a parole per formare derivati il cui significato è composizionale, cioè interamente predicibile a partire dai loro costituenti (es. antifascismo, autoritratto, coautore, minigonna, supereroe; disonesto, ingiusto, interregionale; deumidificare, disfare, rivendere, smontare). La permanenza nell'uso di una parola può determinare processi di lessicalizzazione che ne alterano la trasparenza semantica. La maggiore opacità si ha di norma in parole formate con prefissi non più produttivi e basi che non sono parole autonome (es. perpetuo, perplesso, prosecutore, secernere, segregare, sommergere, sopprimere), si tratta nella maggior parte dei casi di verbi (e loro derivati) di origine latina le cui basi non sono state accolte in italiano, ma permangono solo all'interno di parole prefissate. L'alto numero di verbi prefissati di origine latina attualmente in uso in italiano fa sì che circa la metà dei 600 verbi prefissati di più alta frequenza hanno basi che non corrispondono a una parola autonoma (es. accendere, avvertire, conquistare, decidere, digerire, discutere, emergere, escludere, illudere, incidere, interrogare, introdurre, opprimere, persuadere, presumere, proibire, resistere, ripetere, scorgere, scuotere, separare, sostituire, succedere, tradurre, trasferire). Tra le parole in uso occorre quindi distinguere fra quelle formate secondo regole produttive e le parole ereditate. Una differenza che però non si identifica con quella fra parole con prefissi produttivi e parole con prefissi non produttivi, né con quella fra basi autonome e non. Oltre ai casi già visti (parole formate secondo regole produttive, e parole con prefissi improduttivi e basi non autonome), vi sono anche casi intermedi rappresentati da parole di formazione italiana con prefissi non più produttivi la cui base è libera (sorvolare, travol-

ger la descrizione dei valori semantici di tutti i prefissi elencati si rimanda a 3.7.

110

3.

Prefissazione

géré), da parole ereditate che hanno base non autonoma ma prefissi ancora produttivi (rimanere, risolvere), da parole ereditate che hanno prefissi produttivi e basi autonome (decolorare, infrequente, innaturale, riscrivere, rivincere) e non si distinguono quindi dalle parole di nuova formazione. Perché si abbia una piena composizionalità semantica occorre che la base sia una parola autonoma e il prefisso sia produttivo,1 ma, dal momento che la trasparenza semantica è una nozione di tipo graduale, i parlanti possono ricostruire il significato e segmentare i costituenti di una parola morfologicamente complessa a diversi livelli (da ipotesi sul significato complessivo della parola, all'attribuzione di significato ad almeno un costituente, alla sua mera individuazione ecc.), anche qualora la parola contenga prefissi non produttivi, basi non autonome, o vi sia stata un'alterazione formale dei costituenti. All'interno dei prefissi non produttivi ce ne sono alcuni il cui significato è conosciuto dai parlanti o facilmente ricavabile dalle parole in cui compare (es. contra-, estro-, fra-), per altri è possibile individuare un gruppo di parole in cui il prefisso esprime un significato identificabile (si pensi al valore locativo "attraverso" di per- in percorrere, percutaneo, perforare) mentre l'apporto semantico del prefisso nelle altre parole non è sistematizzabile in modo coerente (cfr. perdere, perdonare, persuadere). Vi sono poi altri prefissi a cui non è possibile attribuire un significato costante in sincronia a partire dalle parole in cui compaiono (es. ob-, cfr. occludere, occorrere, offrire, opporre, osservare, ottenere), ma che possono essere riconosciuti grazie all'esistenza di verbi che hanno le stesse basi e diversi prefissi (cfr. concludere / precludere, concorrere / decorrere, comporre / deporre, conservare / riservare, contenere / trattenere). La probabilità che una parola sia analizzabile in costituenti da parte dei parlanti (e quindi risulti motivata) è tanto più elevata quanto più la parola è inserita in serie sistematiche. La possibilità di commutare la parola prefissata con base non autonoma con altre parole prefissate, permette di distinguere tre sottogruppi (disposti in ordine decrescente di motivazione paradigmatica): (a) parole prefissate che possono essere commutate con diverse altre parole prefissate che condividono la stessa base (es. abduzione, conduzione, deduzione, induzione, produzione, seduzione; desistere, insistere, persistere, resistere)', (b) parole prefissate che non possono essere commutate direttamente (es. considerevole, ma non *persiderevole, *residerevole), ma che appartengono a una serie il cui capostipite è in rapporto di commutazione con altre parole prefissate (considerevole è derivato da considerare, che può essere commutato con assiderare, desiderare); (c) parole che entrano in un rapporto di commutazione (es. allocuzione / elocuzione), ma sono isolate, cioè non appartengono a una serie derivazionale i cui membri siano in rapporto di commutazione per quanto riguarda il prefisso. Vi sono infine parole, come perdere, propalare, ridondare, che da un punto di vista strettamente etimologico si possono definire prefissate, ma che non hanno parole con cui entrare in commutazione, e non appartengono a una serie come quella di considerevole.

Non costituiscono ovviamente un controesempio parole che abbiano subito deriva semantica come disperdere, prescrivere, ricavare.

3.5. Selezione della base

111

3.5. Selezione della base α La restrizione secondo cui un affisso derivazionale si può aggiungere a basi appartenenti a una sola delle tre principali categorie sintattiche (cioè o a nomi, o ad aggettivi, o a verbi, cfr. Aronoff 1976, 48), generalmente valida per i suffissi derivazionali dell'italiano, nel caso dei prefissi si rivela al tempo stesso troppo restrittiva e troppo permissiva (per un inquadramento critico di questa restrizione, cfr. Rainer 1993a, 110-111). Troppo restrittiva perché più di un quarto dei prefissi impiegati produttivamente (auto-, co-, contro-, dis-, inter-, iper-, post-, pre-, retro-, s-, sopra-lvra-, sotto-, stra-, sub-, super-, sur-) si possono premettere a parole appartenenti a tutte le tre principali categorie sintattiche. Troppo permissiva perché alcuni prefissi impongono restrizioni all'interno della singola categoria sintattica a cui si premettono: ad esempio meta- si può premettere a nomi astratti (metadiscorso, metateoria), ma non a nomi concreti, mentre maxi- si premette di norma a nomi che designano un referente concreto o quantificabile (maximoto, maxischermo), ma non a nomi animati; il prefisso co- (che si può premettere, oltre che a nomi, anche a verbi e ad aggettivi) si premette a nomi di agente (coautore), a nomi di azione (coproduzione), ma non a nomi designanti entità concrete (*coscarpa) o esseri animati non agenti (*cotopo). La violazione da parte di una percentuale rilevante di prefissi della restrizione della base unica può essere ricondotta al fatto che i prefissi non modificano la categoria sintattica della base a cui si uniscono. 1 1 suffissi che invece determinano la categoria delle basi a cui si uniscono sono più facilmente classificabili in relazione alla categoria sintattica delle basi, e dei derivati che essi formano. Per quanto riguarda i prefissi si pone quindi l'esigenza di individuare restrizioni sulla selezione delle basi che siano più fini di quelle esprimibili in termini di categorie sintattiche, e che tengano quindi conto di tratti semantici e (per i predicati) di caratteristiche azionali e argomentali. 2 Non bisogna dimenticare che la classificazione dei suffissi derivazionali fatta in termini di categoria sintattica della base è utile solo per fornire una prima approssimazione del loro comportamento (ad esempio i suffissi agentivi deverbali richiedono come base verbi che abbiano nella propria struttura tematica un ruolo di agente). La nozione di categoria sintattica è comunque tuttora un'indicazione di primaria importanza, dal momento che, benché molti studiosi ritengano che se sia possibile dedurre la categorizzazione sintattica da caratteristiche semantiche, non disponiamo di una teoria semantica sufficientemente sviluppata da poter evitare di fare ricorso alle tradizionali distinzioni in parti del discorso; quindi a queste abbiamo fatto riferimento nel compilare la tabella 1 che indica le categorie delle basi alle quali ciascun prefisso si può premettere produttivamente.

' 2

Sulla presunta capacità dei prefissi dell'italiano di determinare la categoria sintattica della base, cfr. 4.1. Si vedano ad esempio le restrizioni espresse in termini di struttura lessico-concettuale da Lieber / Baayen 1993 per i prefissi dell'olandese, o, per l'italiano, l'individuazione delle caratteristiche azionali e della struttura argomentale delle parole prefissabili con auto- in Mutz in stampa.

3.

112

Prefìssazione

N

A

Arel

N

A

a-

+

+

+

-

meta-

+

-

+

-

ad-

+

+

-

-

micro-

+

-

-

-

ante-

+

-

+

-

mini-

+

-

-

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anti-' .2 anti-

+

+

+

-

multi-

+

+

+

-

+

-

+

-

neo-

+

+

+

-

arci-

?

+

-

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non-

+

-

-

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auto-

+

+

-

+

oltre-

+

-

+

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avan-

+

-

-

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para-

+

?

+

-

circum-

-

-

+

-

pluri-

+

+

+

-

cis-

?

-

+

-

poli-

+

-

+

-

co-Zcon-

+

+

+

+

post-

+

-

+

7

+

+

pre-

+

+ +

+

controde-

-

-

-

+

pro-

+

+

-

dis-

+

+

-

+

ra-

7

-

?

estro-

-

-

-

?

retro-

+

+

+

+

ex-

+

?

?

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ri-/re-

-

-

-

+

extra-

+

+

+

-

rin-

?

?

-

7

in-'

+

+

-

-

s-

+

+

-

+

in-2

?

+

-

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semi-

+

+

-

?

infra-

+

+

+

-

sopra-/vra-

+

+

+

+

inter-

+

+

+

+

sotto-

+

+

+

+

intra-

+

-

+

+

-

-

-

-

strasub-

?

intro-

? 7

+

+

+

+ +

iper-

+

+

?

+

super-

+

+

+

+

sur-

V

Arel

;

? ? ?

V

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ipo-

+

+

+

?

+

-

+

+

macro-

+

-

-

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trans-

+

-

+

-

maxi-

+

-

-

-

ultra-

+

+

+

-

mega-

+

-

-

-

vice-

+

-

-

-

Tabella 1 : Categoria sintattica delle basi a cui si premettono produttivamente i prefissi. A titolo di esempio, si può notare che i prefissi che esprimono valore reversativo (de-, dis-, s-) e il prefisso iterativo ri- selezionano all'interno dei verbi quelli che descrivono azioni perfettive teliche (verbi risultativi e trasformativi nella terminologia di Bertinetto 1986, es. destabilizzare, disunire, scucire, ricomporre, rifare, riscrivere), questo perché sia l'azione reversativa che quella iterativa presuppongono il risultato di un'azione previa. 1 Dal punto di vista della struttura argomentale, si tratta di verbi con due argomenti, uno agente e l'altro paziente. Il prefìsso ri- si può premettere anche a verbi con un solo argomento, a condizione che sia non agentivo (riaccadere, riapparire, rinevicare·, fra le poche eccezioni riabbaiare,

Per verbi che permettono sia un'interpretazione telica che atelica, come calcolare, il prefisso ri- si può usare solo quando il verbo è inteso nell'accezione telica "eseguire operazioni matematiche" (es. Anna ricalcola il quoziente dell'equazione), e non nell'accezione atelica "prevedere" (es. *Anna ricalcola che verranno cinque invitati a cena); cfr. Martín García 1998, 192.

3.5. Selezione della base

113

riscappare). I prefissi alterativi si premettono di preferenza ad aggettivi qualificativi (la categoria che meglio si presta alla graduazione) e a nomi, possono essere prefissati solo i verbi che descrivono azioni durative, non è invece possibile impiegare prefissi alterativi con verbi che esprimono eventi puntuali, che si producono cioè senza lo svolgimento di un processo. Le caratteristiche aspettuali delle basi influiscono anche sull'interpretazione semantica del prefisso, ad esempio il prefisso dis- premesso a verbi non telici non perfettivi ha valore oppositivo (disapprovare, disobbedire). Ancora più evidente è l'interazione dei significati espressi dai prefissi in relazione alla categoria sintattica delle basi. Ad esempio, il prefisso anti- davanti a nomi può esprimere sia il valore antonimico parafrasabile "il contrario di N " (antimateria) sia quello antagonistico parafrasabile "contro N" (antifascismo), mentre davanti ad aggettivi di relazione esprime il solo valore antagonistico (antisismico). I prefissi che esprimono valori sia posizionali sia alterativi (sopra-Isovra-, extra-) esprimono sistematicamente valore posizionale premessi ad aggettivi di relazione (extraurbano, sovranazionale), riservano agli aggettivi qualificativi quello alterativo (extrapiatto, sovrappieno), nel caso di aggettivi che possano essere usati in senso sia qualificativo sia relazionale, come provinciale, il prefisso può esprimere valori diversi in relazione all'interpretazione dell'aggettivo di base (extraprovinciale "al di fuori della provincia", "di mentalità molto ristretta"). Il comportamento dei prefissi che esprimono valori locativi e di quelli che esprimono negazione oppositiva evidenzia la pertinenza della distinzione all'interno della categoria aggettivo fra aggettivi qualificativi e aggettivi di relazione. 1 La rilevanza di questa distinzione per la derivazione prefissale, oltre alla differenziazione di significato segnalata, si manifesta nel fatto che alcuni prefissi (ante-, anti-2, circum-, cis-, intra-, meta-) si possono premettere ad aggettivi di relazione ma non ad aggettivi qualificativi, mentre per altri (auto-, dis-, in-2, semi-) vale l'inverso; inoltre, nonostante la grande affinità fra i nomi e gli aggettivi di relazione, numerosi prefissi si possono premettere a nomi, ma non ad aggettivi di relazione (auto-, avan-, dis-, iper-, ipo-, macro-, maxi-, mega-, micro-, mini-, s-, semi-), e si danno anche casi della situazione opposta (circum-, cis-). Prefissi che pur rispettano restrizioni categoriali (es. ri-, che può essere usato solo davanti a verbi, e in-2, che può essere usato solo davanti ad aggettivi), in seguito alla suffissazione delle parole in cui sono presenti, possono venirsi a trovare all'inizio di parole di categoria diversa da quella a cui si possono premettere (es. ricostruzione, rientrato, ingiustizia, immobilizzare). Un esempio di come il prefisso non sia un buon indicatore della categoria della parola a cui partecipa è fornito dai verbi riutilizzare e inutilizzare, che a dispetto delle somiglianze hanno strutture derivazionali diverse: [ri-[[utile]-izzare]], [[in-[utile\\-izzare\. Per i prefissi che si possono premettere a basi di diversa categoria la situazione è più complessa, ad esempio per parole come preselezionare e sgonfiare, in linea di principio è possibile ipotizzare sia la prefissazione da verbi (selezionare, gonfiare) sia la suffissazione da nomi o aggettivi (preselezione, sgonfio).

1

Per una caratterizzazione degli aggettivi di relazione e delle loro potenzialità derivazionali, cfr. Grossmann 1999 e 5.2.1.1.1.; per gli aggettivi prefissati del tipo sottomarino, antiparassitario cfr. 4.3.2.

114

3. Prefìssazione

3.5.1. Struttura morfologica della base ci L'impiego di un prefisso può essere condizionato dal suffisso della base. Ad esempio, tra i tre prefissi con valore reversativo (de-, dis- s-), è de- quello a essere usato in più del 70% dei casi fra i verbi suffissati con -izzare lemmatizzati nel DISC, il restante 30% è diviso fra dis- e s- con una prevalenza di quest'ultimo. 1 Scalise 1994, 204 osserva che gli aggettivi deverbali che terminano in -to possono essere prefissati sia con dis- che con in-2 (es. disabitato, impreparato), mentre quelli che terminano in -bile possono essere prefissati solo con in-2 (es. immangiabile / *dismangiabile). L'argomento merita studi più approfonditi, che permettano di discriminare i casi in cui l'impiego di un prefisso sia condizionato dalla presenza di un determinato suffisso, da altri dipendenti da più generali caratteristiche della base, ad esempio di natura semantica. Si veda a riguardo Fradin 1997, che spiega la preferenza del prefisso francese anti- (con il valore "contro N") a premettersi ad aggettivi deverbali terminanti nei corrispettivi dell'it. -nte e -ivo piuttosto che a quelli terminanti nei corrispettivi dell'it. -bile e -to, perché i primi esprimono significati di tipo attivo (e quindi possono fare riferimento a qualcosa a cui opporsi) mentre i secondi, esprimendo significati di tipo passivo, non si prestano a questa determinazione prefissale. Di norma la suffissazione non pare condizionata dalla presenza di un prefisso, ad esempio l'aggettivo abile viene derivato con lo stesso suffisso anche quando è prefissato (abile —• abilità, inabile —> inabilità, cfr. Scalise 1983, 115-118). Lo stesso accade per i suffissi flessivi: i verbi prefissati (anche irregolari) si flettono allo stesso modo delle loro basi non flesse. Fra le pochissime eccezioni (probabilmente dovute a ragioni fonologiche): vedrò / prevederò (ma rivedrò), fai / disfi (ma rifai). La maggiore disponibilità degli aggettivi deverbali prefissati a costituire base per la derivazione avverbiale rispetto ai corradicali non prefissati (es. qualificabile / * qualificabilmente, inqualificabile / inqualificabilmente) va ricondotta alla loro lessicalizzazione come aggettivi. Come dimostrato in Frigeni 1998, 109-111, diversi test sintattici (pronome clitico (7), uso di venire come ausiliare (8), reggenza (9), costruzione impersonale (10)) dimostrano come gli aggettivi deverbali prefissati si comportino in maniera analoga agli aggettivi qualificativi e perdano le proprietà verbali dei corradicali non prefissati: (7) a. L'argomentazione contestata / L'argomentazione contestatale b. L'argomentazione valida / *L'argomentazione valídale c. L'argomentazione incontestata / *L'argomentazione incontestatale (8) a. Il campione era battuto / Il campione veniva battuto b. Il campione era enorme / *I1 campione veniva enorme c. Il campione era imbattuto / *I1 campione veniva imbattuto (9) a. La prova confutata (dall'avvocato difensore) b. La prova decisiva (*dall'avvocato difensore) c. La prova inconfutata (*dall'avvocato difensore) (10) a. Il teorema era dimostrato / Si era dimostrato il teorema b. Il teorema era facile / *Si era facile il teorema c. Il teorema era indimostrato / *Si era indimostrato il teorema La prefissazione di una parola già prefissata non è molto frequente (Montermini 2002, 156 stima che, includendo anche basi lessicalizzate e prefissi non produttivi, i lemmi del GRA1

L'impiego del prefisso non dipende da motivi fonologici, come potrebbe far pensare il fatto che dis- si premette quasi esclusivamente a basi comincianti in vocale, in quanto de- può essere usato negli stessi contesti.

3.5. Selezione della base

115

DIT che contengono due prefissi non superano il 6% del totale dei prefissati, e quelli con più di due prefissi costituiscono una percentuale insignificante). I verbi che meglio si prestano a essere ulteriormente prefissati sono i parasintetici: il valore risultativo della maggior parte di queste formazioni costituisce base ideale per i prefissi che esprimono valori reversativi e iterativi. I prefissi ri- e dis- sono quelli più usati in posizione esterna (riaccartocciare, riaccorpare, disaccoppiare, disintossicare), il contesto prevocalico impedisce l'impiego di s- (cfr. 3.6.4.), che è invece il più usato in casi di sostituzione di prefisso (cfr. 3.5.1.2.). Il prefisso iterativo può avere come basi anche verbi prefissati con reversativi (mentre non è possibile il contrario). Anche il prefisso pre- è impiegato davanti a verbi prefissati con una certa libertà (preannunciare, predisporre, preiscrivere, preriscaldare). Per quanto riguarda la prefissazione nominale e aggettivale, i prefissi che appaiono più spesso in posizione esterna sono gli intensificativi (senza particolari restrizioni sulle basi se non quella della loro graduabilità). Nel caso in cui in una parola vi siano più prefissi intensificativi, quello che esprime un grado più alto tende a occupare la posizione più esterna.' Riportiamo qui di seguito una selezione dei verbi con più di un prefisso fra quelli lemmatizzati nel DISC attestati per la prima volta nel ventesimo secolo: autodistruggersi, autoeccitarsi, autoescludersi, autoincensarsi, autosuggestionarsi, cointeressare, coinvolgere, condeterminare, contrattaccare, controindicare, controreplicare, deconcentrare, decongelare, decontrarre, deprogrammare, deregolamentare, disallineare, disassociare, disattendere, disconnettere, disimballare, disinserire, disintossicare, precomprimere, precostituire, preraffreddare, preriscaldare, reimmatricolare, reincaricare, reinscrivere, reinserire, riaccadere, riaccasare, riacclimatare, riacutizzare, riadagiare, riaffiorare, riaffondare, riagganciare, riappropriarsi, riattraversare, ricomprimere, ricospargere, rideterminare, ridistaccare, ridistruggere, rieccitare, riemettere, riescludere, riotturare, ripercorrere, rispolverare, ristirare, risurriscaldare, ritraboccare, ritrasmettere, scongelare, soprelevare, sovraffaticare, sovrainnestare, sovreccitare, sovresporre, surriscaldare.

La prefissazione di composti è una costruzione atipica e ancora piuttosto rara per l'italiano, ma che si va diffondendo a partire dalla prosa giornalistica. I seguenti esempi attestano la possibilità di impiego di alcuni prefissi (specialmente quelli che indicano relazione gerarchica, disposizione favorevole o contraria, gli estremi dell'asse temporale, alterazione) davanti a composti nominali e anche a sintagmi nominali privi di determinanti: provvedimenti anti-ladri di acqua, controcerimonia inaugurale, ex-parlamentare europeo, maxi-concorso truffa, megasfilata di moda, neo-sindaco neofascista, eventi post-muro di Berlino, postConcilio di Trento, pre-rivoluzione industriale, aiuti pro-allevatori di mucche, supercentro carni, vice-campione del mondo.

Ordinamenti estrinseci come quelli proposti da Siegel 1979 in relazione ai confini fonologici dei morfemi non sono applicabili all'italiano (oltre che superati dal punto di vista teorico); è di scarsa utilità dal punto di vista descrittivo (e di non ovvia applicazione) la proposta di ordinamento reciproco dei prefissi basata sulla individuazione di significati di tipo preposizionale vs avverbiale (cfr. Di Sciullo 1997).

116

3. Prefissazione

3.5.2. Ricorsività: il tipo ex-ex-marito, metametalinguaggio ci Un caso particolare di prefissazione di una parola prefissata è la ricorsività, cioè l'impiego ripetuto di uno stesso prefisso (anti-antimissile, ex-ex-marito, micromicrospia, pre-prenotazione, ri-riempire, ririregistrare, sotto-sottocommissione), come si può immaginare dagli esempi, si tratta di parole usate più nella lingua parlata e in quella dei media che non nello scritto formale. La possibilità di impiego ricorsivo distingue la maggioranza dei prefissi dai suffissi derivazionali, che invece non possono essere usati ricorsivamente (ad esempio il suffisso -ezza non può avere come base una parola già suffissata con -ezza: bellezza —* *bellezzezza). Le restrizioni dell'applicazione di un medesimo affisso derivazionale alla propria uscita sono facilmente spiegabili se si tiene conto del fatto che la suffissazione di norma modifica la categoria e i tratti di sottocategorizzazione della base, è perciò altamente improbabile per un suffisso creare le condizioni per la sua ulteriore applicazione. I prefissi invece, non provocando di norma tali restrizioni, non formano basi incompatibili con il loro ulteriore utilizzo. Non c'è quindi bisogno di ipotizzare restrizioni di carattere generale all'impiego ricorsivo degli affissi (come quelle che impediscono alle regole di formazione delle parole di applicarsi alla propria uscita, cfr. Lieber 1981, 172-173; o quelle basate sull'ordinamento per blocchi di regole), di cui i prefissi costituirebbero comunque un'eccezione, 1 quando è sufficiente fare riferimento alla compatibilità di un affisso con la propria base (utilizzando quindi criteri giustificati da motivazioni indipendenti). A riprova di questa affermazione vi è l'impossibilità dei prefissi che esprimono antonimia, privazione, reversione a essere utilizzati ricorsivamente (*inincapace, * dedemilitarizzare, *disdisfare),2 diversamente dalla generalità dei prefissi che esprimono opposizione (anti-, contro- ), valori locativi e gerarchici (ex-, para-, post-, pre-, sub-), alterativi (arci-, extra-, iper-, maxi-, micro-, mini-, super-, ultra-), iterativi (ri-) che possono invece essere usati ricorsivamente, così come accade anche per i suffissi alterativi (es. bellissimissimo). L'interpretazione semantica della reiterazione di uno stesso affisso può sia rispettare la normale natura composizionale binaria della derivazione (es. metametalinguaggio "il metalinguaggio che ha come oggetto un metalinguaggio", ex-ex-marito), o anche assecondare un principio di iconicità, che fa corrispondere all'aumento di forma un'intensificazione del significato dell'affisso (es. metametametalinguaggio "metalinguaggio di estrema astrazione e potenza", miniminibikini "bikini estremamente ridotto"; si pensi anche a espressioni colloquiali come gliel'ho detto, ridetto e riridetto di chiudere la porta). L'impiego ricorsivo di un affisso non va di norma oltre la seconda ripetizione, questa limitazione, piuttosto cha da motivi formali dipende da fattori pragmatici e cognitivi, secondo i quali la complessità della struttura morfologica della parola tende a non superare i limiti imposti dalla sua interpretabilità nel normale scambio comunicativo.3

2

3

Per una rassegna critica delle diverse ipotesi teoriche proposte per spiegare le restrizioni sull'impiego ricorsivo degli affissi cfr. Rainer 1986, dove viene anche ampiamente motivata ed esemplificata l'interpretazione qui adottata. Come è noto almeno a partire da Zimmer 1964, indipendentemente dalla struttura morfologica della base, i prefissi che esprimono negazione non si premettono a basi di polarità negativa. Lo stesso tipo di limitazione si verifica in altri fenomeni ricorsivi della lingua, come ad esempio il numero di frasi relative incassate.

117

S.S. Selezione della base

3.5.3. Sostituzione di prefisso: il tipo svitare, spolverare,

postfazione

ci

La prefissazione di una parola già prefissata può dare luogo anche a casi di sostituzione di prefisso. Il fenomeno avviene specialmente a partire da verbi parasintetici (sui verbi parasintetici vedi 4.), il cui prefisso viene sostituito da un prefisso che esprime valore privativo o reversativo, determinando la costituzione di coppie di opposti con il verbo parasintético (accelerare —• decelerare, assetare —> dissetare, avvitare —» svitare, impolverare —» spolverare)} In tali coppie il verbo parasintético descrive un'azione il cui svolgimento crea le condizioni per l'azione reversativa o privativa (ciò si riflette spesso nella precedenza dell'attestazione del verbo parasintético). Il prefisso più usato in questo tipo di costruzione è s- (ingrassare —* sgrassare, impolverare —* spolverare, attaccare —> staccare). La strategia della sostituzione di prefisso (es. sballare, scrostare) invece che della prefissazione di un verbo ingressivo (es. disimballare, disincrostare) «può dipendere dall'intenzione dell'emittente di rappresentare una situazione egressiva in quanto tale e non come conseguenza di un evento precedente» (Grossmann 1994, 19). Oltre al tipo che ha come punto di partenza un verbo parasintético, vi sono anche altri casi sporadici di sostituzione di prefisso, fra cui: anticipare —» posticipare, avanguardia —*• retroguardia, esplosione —> implosione, impubere —» prepubere, prefazione, prefatore —* postfazione, postfatore.2

3.5.4. Fattorizzazione: il tipo pre- e poststrutturalismo

ci

La fattorizzazione è una struttura in cui due elementi fanno riferimento a una stessa base. Nel caso dei prefissi, vi è in genere un rapporto semantico di opposizione locativa (sub- e superstrato, pre- e postromanticismo) o concettuale (pro- e antigovernativo), meno spesso un rapporto di gradazione sinonimica (iper- e supermercati, pre- e protostrutture).3 L'utilizzo di prefissi in questo tipo di struttura non è molto diffuso in italiano (si prestano maggiormente a questo impiego elementi formativi all'interno di composti di ambito tecnico-scientifico, es. endo- e esoscheletrico, ecto- e endoparassita), ma è attestato ed in espansione, probabilmente anche per influsso delle lingue germaniche dove la fattorizzazione è un procedimento più frequente. 4 La restrizione proposta da Nespor 1985 basata sulla nozione di parola fonologica, che impedisce ai prefissi monosillabici terminanti in consonante di essere impiegati in modo fattoriale (cfr. 3.6.), è contraddetta da esempi come post- e preconsonantico, trans- e cisalpino, sub- e superordinato, e necessita comunque di integrazioni di tipo semantico che spieghino i motivi per cui prefissi come de- e ri-, che, secondo i

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I verbi risultanti sono del tutto analoghi sia nella semantica sia per la non attestazione del verbo non prefissato ai verbi a doppio stadio derivativo, cfr. 4.1.1. Relazioni semantiche sistematiche come quelle fra imporre / deporre, contrarre / distrarre fanno parte del lessico, ma non sono più generabili per mezzo di regole produttive. Rainer 1993b, 36, richiamando l'attenzione sul fatto che la parte tematica non è sempre un costituente immediato (cfr. eso e endocentricità), critica l'ipotesi che fa derivare la costruzione da una cancellazione del nucleo lessicale della prima di due parole morfologicamente complesse in rapporto di coordinazione. Interessanti considerazioni sulla gradualità della distinzione fra prefissi e elementi formativi in relazione al loro impiego fattoriale in ten Hacken 1994,135.

118

3.

Prefissazione

criteri fonologici di Nespor potrebbero essere usati fattorialmente, di fatto non lo sono per assenza di elementi con cui entrare in relazione.

3.6. Caratteristiche fonologiche ci

I prefissi usati produttivamente sono in maggioranza bisillabici (circa il 60%), tutti gli altri sono monosillabici, ad eccezione del prefisso s-. Circa il 67% dell'insieme dei prefissi produttivi termina in vocale (le vocali finali presenti in un maggior numero di prefissi sono a, o, i, segue la e, mentre la m è presente in un solo prefisso di scarsa produttività), le consonanti che appaiono più volte in posizione finale sono n, r, s. Vi è una forte tendenza fra i prefissi bisillabici a terminare in vocale (circa 85%), mentre fra i prefissi monosillabici prevalgono, anche se di poco, quelli che terminano in consonante (circa 57%). Da un punto di vista fonologico, i prefissi si distinguono quindi dalle parole perché mediamente più brevi, e perché ammettono in posizione finale consonanti e nessi consonantici normalmente non ammessi in posizione finale nelle parole dell'italiano (es. dis-, post-, sub-, trans-). La fonologia dei prefissi dell'italiano è stata affrontata da M. Nespor e I. Vogel in diversi lavori (cfr. Nespor 1985; Nespor/Vogel 1986, 127 sgg.; Vogel 1991; Nespor 1993, 171176; Vogel 1994) che hanno avuto un'ampia eco anche al di fuori del modello di fonologia prosodica in cui sono stati formulati. Le due studiose distinguono da una parte i prefissi che formano un'unica parola fonologica assieme con la base (i prefissi monosillabici terminanti in consonante, e quelli non più analizzabili come tali in sincronia), e dall'altra parte quelli che costituiscono insieme alla base un'unità prosodica più ampia, in quanto meno integrati fonologicamente con la base. 1 Vengono considerati esterni alla parola fonologica costituita dalla base, in primo luogo i prefissi bisillabici terminanti in vocale, ma anche i prefissi monosillabici terminanti in vocale e quelli bisillabici terminanti in consonante, pur se entrambi questi tipi di prefissi hanno caratteristiche non del tutto conformi alla tipica parola fonologica dell'italiano, la quale è come minimo bisillabica, trocaica, terminante in vocale (cfr. Thornton 1996). L'appartenenza all'una o all'altra classe di prefissi, ha secondo Nespor e Vogel conseguenze su fenomeni di assimilazione fonetica che intervengono fra prefisso e base. La classificazione operata esclusivamente in relazione ai domini prosodici (che in sostanza distingue i prefissi monosillabici terminanti in consonante da tutti gli altri prefissi) non permette di dare conto adeguatamente dell'insieme dei comportamenti fonologici dei prefissi italiani. Alcuni lavori pubblicati negli ultimi anni (basati anche su dati ricavati sperimentalmente) hanno individuato altri aspetti rilevanti per il comportamento fonologico dei prefissi e preso in considerazione fenomeni finora trascurati, come il trattamento degli incontri vocalici o la risillabificazione (cfr. Bertinetto 1999a, Gili Fivela / Bertinetto 1999,

Non è chiaro se il prefisso che non forma un'unica parola fonologica con la base sia attualmente considerato una parola fonologica autonoma (come in Nespor / Vogel 1986), oppure il costituente di un gruppo clitico insieme alla base (come prospettato in Vogel 1994); sull'argomento, si vedano le critiche all'applicabilità della categoria gruppo clitico all'italiano in Loporcaro 1999.

3.6. Caratteristiche

fonologiche

119

Baroni 2001); critiche all'analisi basata su domini prosodici sia dal punto di vista dell'impostazione teorica che da quello dell'analisi empirica sono state mosse da Loporcaro 1999, che delinea un modello alternativo, in cui i processi fonologici sono messi in relazione con un ordinamento lungo una scala di salienza di confini morfologici. Non essendo questa la sede in cui confrontare gli obiettivi privilegiati e i risultati raggiunti dai lavori condotti secondo diverse prospettive teoriche,1 esponiamo qui di seguito i principali fenomeni fonologici riguardanti la prefissazione, che saranno trattati nei paragrafi successivi (3.6.1.-3.6.5.): (a) i prefissi non influiscono sulla posizione dell'accento primario di parola; (b) le modifiche fonotattiche che riguardano i prefissi consistono nell'assimilazione (parziale o totale) della consonante finale al luogo ed eventualmente al modo di articolazione della consonante iniziale di parola (es. affaticare, compresenza, irreale), nella riduzione della vocale finale a semivocale (es. antieroe /an.tje.'ro.e/), o nella cancellazione della vocale finale dei prefissi bisillabici (es. contraltare, sovrumano)·, (c) le modifiche che riguardano la base consistono nella risillabificazione della sillaba iniziale (specialmente se cominciante in vocale, cfr. interrato e seminterrato), o nel raddoppiamento della consonante iniziale (es. contraccolpo. frapporre, sopravvalutare)', (d) le restrizioni di carattere fonologico nella selezione delle basi riguardano un numero di prefissi molto ristretto (es. s- non si usa davanti a parole che cominciano in vocale); (e) la prefissazione può determinare la formazione di nessi normalmente non ammessi all'interno di parola (es. antiinfluenzale, subtropicale, transfrastico).

3.6.1. Posizione dell'accento ci La posizione dell'accento primario della parola di base non subisce mutamenti nella parola prefissata (a differenza della suffissazione, che invece determina la posizione dell'accento). Le pochissime eccezioni sono rappresentate da parole prefissate di origine latina che rispettano le regole di accentuazione proprie del latino (es. dedito, impari, improbo, prodigo, prologo, retrogrado, transito). I prefissi possono essere portatori dell'accento secondario, ma solo in ragione del fatto di essere all'inizio di parola, posizione privilegiata per l'accento secondario, e a condizione che non vi sia contiguità con l'accento primario (cfr. /i'nutile/ e /.inutilmente/). 2 In parole cominciami con i prefissi extra-, mega-, meta-, poli-, post-, pro-, retro- è possibile che la vocale iniziale sia pronunciata come medio-bassa anziché medio-alta, pur non essendo portatrice dell'accento primario di parola; tale pronuncia è più probabile in parole composizionalmente trasparenti (cfr. Montermini 2002, 68-69). Il fenomeno è interessante in quanto di norma in italiano le vocali medio-basse sono presenti solo nelle sillabe con accento primario di parola.

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Un primo bilancio si può trovare in Montermini 2002, 62-76; 111-140. Uno studio di insieme sulle caratteristiche fonologiche della derivazione affissale italiana secondo il modello della optimality theory è in Peperkamp 1995. All'interno dello stesso modello opera Van Oostendorp 1999, che critica la classificazione dei prefissi di Nespor / Vogel 1986. Sulla posizione dell'accento secondario in italiano (considerata anche in rapporto con la struttura morfologica della parola), cfr. Bertinetto 1976, Vogel / Scalise 1982, Lepschy 1992.

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3. Prefissazione

3.6.2. Modifiche dei prefissi a Fra le modifiche fonotattiche che riguardano i prefissi, si possono distinguere quelle che riguardano la consonante finale, e quelle che riguardano la vocale finale. I prefissi principalmente interessati alle modifiche della consonante finale sono ad-, e quelli terminanti in Ini o in Is/.1 II prefisso ad- rimane invariato davanti a vocale, si assimila invece obbligatoriamente al luogo e al modo di articolazione davanti a parole che cominciano con consonante (es. abbattere, accaldare, affaticare, aggravare ecc.). L'assimilazione di /n/riguarda principalmente i prefissi in-\ in-2 e con-. L'assimilazione della nasale è un fenomeno importante perché è un indizio dell'integrazione del prefisso nella parola fonologica, in quanto l'assimilazione di norma non ha luogo fra due parole diverse (cfr. in rima e irrimediabile, in molti e immalinconire).2 L'assimilazione è totale davanti a consonante sonorante (es. illogico, immagazzinare, corresponsabile), si ha invece assimilazione del solo luogo di articolazione davanti a ostruenti; solo nel caso di consonanti bilabiali l'assimilazione ha un riflesso grafico (es. combaciare, imburrare, impagabile), davanti invece a labiodentali (es. confinare, infangare, invalido) e a velari (es. concatenare, incauto, ingoiare) la grafia rimane invariata (si ricorda che in italiano le nasali labiodentale e velare non sono fonemi autonomi ma varianti combinatorie). Davanti a parole che cominciano con Isl + consonante la Ini del prefisso tende a cadere, soprattutto in parole di largo uso, il nesso Insl + consonante non è infatti proprio delle parole di uso più comune (es. ispettore, istituto, istruire). In caso di coppie come installare / istallare, instaurare / istaurare, instillare / istillare, la forma con Ini è impiegata prevalentemente nell'uso scritto e nel registro parlato alto, quella con cancellazione della nasale è usata in contesti meno formali. In pochi casi le due forme si sono differenziate semanticamente (cfr. inscrivere e iscrivere, inspirare e ispirare). Questo comportamento accomuna i prefissi in-1 e con- (cfr. cospirare, costringere, costruire), mentre il prefisso negativo in-2 non subisce mutamenti davanti al nesso Isl + consonante (es. inscusabile, inspiegabile, insradicabile, instancabile).3 Il prefisso con- si differenzia dagli altri due perché la Ini cade davanti a vocale (es. coabitare, coevo). Questo fenomeno (già del latino), insieme alla riduzione davanti al nesso Isl + consonante, ha dato origine al prefisso co-, il quale nato come variante combinatoria è ora usato produttivamente in tutti i contesti fonotattici a scapito di con- (anche grazie all'influsso di prestiti dall'inglese, cfr. Väänänen 1979, Iacobini in stampa), dando vita anche a una serie di coppie minime, quali condominio / codominio, congestione / cogestione.

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Gli altri prefissi terminanti in consonante rimangono di norma invariati, anche nel caso che formino nessi atipici unendosi con le consonanti iniziali delle basi (cfr. 3.6.5.). Per una problematizzazione del fenomeno si rimanda a Loporcaro 1999, 124—135, che mette in relazione dati diacronici e dialettali, e fa notare come la scrittura (che solo nel caso dei prefissi riproduce sistematicamente l'assimilazione) abbia contribuito a determinare nei parlanti settentrionali l'impressione di una differenza fra quanto accade in prefissazione rispetto ad altri contesti che non rappresenta adeguatamente le effettive realizzazioni foniche dello standard su base toscana. Un altro fenomeno fonologico che distingue i due prefissi in- riguarda il raddoppiamento della nasale davanti a vocale (es. innalzare, innamorare, innescare). Si tratta di un fenomeno non più produttivo, che non riguarda il prefisso negativo (cfr. inabile, ineducato), e che può essere spiegato con l'influenza della pronuncia fiorentina (si pensi a immagine, cfr. lat. imaginem).

3.6. Caratteristiche fonologiche

121

Per quanto riguarda gli altri prefissi terminanti con Ini, avari- subisce l'assimilazione del luogo di articolazione (es. avambraccio) e rimane invariato davanti a parole comincianti con Isl + consonante (es. avanspettacolo); rin- subisce l'assimilazione del luogo di articolazione (es. rimborsare) e non è attestato davanti a parole comincianti con /s/ + consonante; non- rimane invariato in tutti i contesti fonologici. Le modifiche fonotattiche della /s/ riguardano la sua sonorizzazione davanti a consonante sonora o in posizione intervocalica. La sonorizzazione della /s/ davanti a consonante sonora riguarda tutti i prefissi che terminano in /s/ (cis-, dis-, s-, trans-), ed è un fenomeno regolare che è in accordo con le regole fonotattiche di tale fonema in italiano (indipendentemente dall'essere prefisso). La sonorizzazione in posizione intervocalica è un processo che ha attirato l'attenzione di diversi studiosi (Vogel 1994, Peperkamp 1995 e 1997a, Kenstowicz 1996, Bertinetto 1999a, Loporcaro 1999, Baroni 2001), dopo che Nespor / Vogel 1986, a partire dall'osservazione che il fenomeno avviene all'interno di parola, ma non al confine fra due parole, lo hanno usato come strumento diagnostico per distinguere tra i prefissi che fanno parte della parola fonologica (quelli terminanti in /s/ davanti a parola che comincia in vocale (es. dilzlabile)/, e quelli lessicalizzati terminanti in vocale davanti a parola cominciante in /s/ + vocale (es. relzlistenza) da quelli esterni alla parola fonologica, i quali non creano un contesto adeguato alla sonorizzazione (es. pre/s/alario, ultra/s/ensibile). Come si può notare, già in Nespor / Vogel 1986 il contesto di sonorizzazione viene fatto dipendere, oltre che da motivi fonologici, anche da ragioni di tipo semantico. L'analisi sperimentale condotta da Baroni 2001 su prefissi terminanti in vocale premessi a parole comincianti in /s/ + vocale ha confermato la rilevanza del grado di trasparenza semantica della parola prefissata, ma anche la pertinenza di altri fattori che interagiscono in maniera complessa, fra i quali uno dei principali è la lunghezza del prefisso. 1 I dati elicitati da Baroni 2001 mostrano come vi siano oscillazioni nella realizzazione della fricativa alveolare come sorda o sonora riconducibili sia a caratteristiche della parola sia a variazioni individuali (anche nella ripetizione della pronuncia di una stessa parola). Nel campione analizzato vi sono parole in cui prevale la pronuncia /si, altre con prevalente pronuncia /z/, altre ancora in cui le due pronunce sono equamente distribuite. Secondo Baroni, che interpreta la realizzazione sorda come indizio dell'analizzabilità da parte del parlante della parola prefissata, e la realizzazione sonora come conseguenza della sua non decomponibilità, la scelta fra le due possibili pronunce si dispone lungo una scala di probabilità determinata dall'interazione di numerosi fattori, 2 i quali, ad esempio, fanno sì che anche parole scarsamente trasparenti dal punto di vista semantico siano pronunciate con s sorda dalla grande maggioranza dei soggetti analizzati (es. ante/siignano, pre/s/idio, ri/s/oluto). La cancellazione della vocale finale è un fenomeno che riguarda i prefissi bisillabici premessi a parole comincianti in vocale, mentre i prefissi monosillabici ne sono immuni (con una sola parziale eccezione rappresentata da ri-, cfr. infra). La cancellazione è deter1

2

La rilevanza della lunghezza del prefisso come criterio che favorisce l'analizzabilità in costituenti morfologici di una parola, è un dato che emerge anche da esperimenti psicolinguistici sul riconoscimento di parole scritte prefissate e pseudoprefissate, cfr. Burani / Thornton / Iacobini / Laudanna 1995. I fattori presi in esame sono: lunghezza (di parola, tema, radice, prefisso); frequenza (di prefisso e radice); rapporto in termini di numero di types e frequenza fra prefisso e pseudoprefisso, fra radice e pseudoradice; trasparenza semantica; autonomia del tema e sua frequenza.

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3.

Prefissazione

minata dalla velocità di eloquio, è favorita dall'incontro di vocali dello stesso timbro, ed è più probabile nel caso di parole poco trasparenti dal punto di vista semantico; è invece inibita nel caso in cui possa provocare incontri accentuali fra sillabe adiacenti (es. controesodo, miniabito). Gili Fivela / Bertinetto 1999 argomentano in modo convincente che la cancellazione della vocale finale del prefisso non è un fenomeno a sé stante, ma il risultato estremo di un processo di riduzione vocalica che può determinare nella sua fase intermedia la creazione di un dittongo. L'incontro tra la vocale finale del prefisso e quella iniziale di parola può dunque avere tre esiti: (a) iato (es. co.abitare, ultra.ortodosso) che rappresenta la soluzione canonica, non marcata, in una pronuncia accurata; (b) formazione di un dittongo (es. dei.dratare, antie.roe, teleo.biettivo), soluzione molto frequente nel parlato spontaneo di stile informale; (c) elisione della vocale finale del prefisso (es. autipnosi, soprintendente, sovreccitabile), un fenomeno che può accadere nel parlato veloce informale, di norma reversibile, tranne nel caso di parole lessicalizzate (es. seminterrato, sopruso).1 L'elisione si verifica più di frequente con i prefissi che terminano in /a/ e in loi, mentre per quelli che terminano in IH «la dittongazione rappresenta un processo stabile e non bisognoso di ulteriori restauri data la convergenza con le normali tendenze fonologiche dell'italiano» (Gili Fivela / Bertinetto 1999, 156); davanti a basi comincianti in li/ ci possono essere casi di cancellazione (antincendio, antinduttivo). Il prefisso ri- è l'unico prefisso monosillabico che può subire cancellazione di vocale. Il contesto è di tipo fonomorfologico, in quanto la cancellazione avviene solo davanti a verbi prefissati con ad- e in-1, specialmente se parasintetici (raccostare, ragguppare,

rimpiccolire,

rinverdire), ma non davanti ad

altri verbi comincianti con lai o con HI (riavere e non *ravere, reidratare e non *ridrataré). La scarsa rilevanza semantica dei prefissi ad- e in-1 ha probabilmente influito sulla possibilità della cancellazione del prefisso con valore iterativo davanti a verbi con valore ingressivo (cancellazione che comunque non è obbligatoria, cfr. riabbassare,

riaffermare, reincarnare, reinsediare)

determinando la forma-

zione dei prefissi ra- e rin-, impiegati nella formazione di verbi di tipo parasintético, cfr. 4.1.6. Il mantenimento dello iato è la situazione meno marcata perché è quella che esprime la maggiore trasparenza morfotattica e morfosemantica: nel caso di parole che permettono sia un'interpretazione lessicalizzata sia una regolare (es. riassumere "sunteggiare, assumere di nuovo") il significato lessicalizzato è di norma espresso tramite una maggiore coesione fonica che può comportare il passaggio da vocale a semivocale, mentre l'espressione del significato composizionale avviene tramite una maggiore distinzione tra i componenti. Lo stesso accade per la pronuncia di parole come riscuotere, in cui l'interpretazione semantica iterativa "scuotere di nuovo" può essere distinta nella pronuncia da quella idiosincratica "incassare" sia grazie all'enfatizzazione dell'accentuazione del prefisso sia grazie a una pausa tra prefisso e radice verbale (nella grafia, la distinzione può essere espressa utilizzando un trattino). 2 Le caratteristiche fonologiche della base e del prefisso non sono quindi sufficienti a predire i fenomeni di riduzione e di cancellazione vocalica. Da quanto emerge

2

Sia la formazione di un dittongo che la cancellazione della vocale del prefisso hanno evidentemente conseguenze anche sulla base, in quanto ne modificano la sillaba iniziale (cfr. 3.6.3.). L'esistenza di una base libera non prefissata favorisce questa possibilità, ma l'accento contrastivo sul prefisso può essere sfruttato anche quando la base non è una parola autonoma (es. l'esportazione

deve essere privilegiata sulla

importazione).

3.6. Caratteristiche fonologiche

123

in Gili Fi vela / Bertinetto 1999, il prodursi di tali fenomeni è condizionato anche dal contesto diafasico in cui la parola è pronunciata, dal grado di familiarità e di trasparenza semantica della parola in questione, e anche dalla varietà regionale di pronuncia. Le conclusioni a cui arrivano Gili Fivela / Bertinetto 1999, pur condizionate dalla difficoltà di distinzione fra dittongo e iato (su questa distinzione, cfr. Maratta 1987), e dalla complessa interazione dei fattori presi in considerazione, appaiono più adeguate a dare conto del fenomeno della cancellazione della vocale rispetto all'ipotesi finora più diffusa (proposta da Scalise 1983) basata sulla supposta tonicità dei prefissi monosillabici. Scalise 1983, 295-299, partendo dall'osservazione che nella suffissazione derivazionale si ha di norma cancellazione della vocale finale di parola nel caso in cui il suffisso cominci per vocale, a meno che la vocale finale di parola sia tonica {cit. fama —• famoso e virtù —» virtuoso), ipotizza che la mancata cancellazione della vocale dei prefissi monosillabici dipenda dalla loro tonicità: la cancellazione sarebbe impedita dalla tonicità della vocale per quelli monosillabici, mentre sarebbe possibile per la vocale finale dei prefissi bisillabici, in quanto atona. L'ipotesi di Scalise si presta a diverse obiezioni. La principale parte dal fatto che mentre in suffissazione si ha la caduta della vocale finale della base, in prefissazione cade quella dell'affisso. Di conseguenza, nel caso di prefissi monosillabici, la caduta della vocale finale determinerebbe l'asillabicità del prefisso e un'automatica risillabificazione, poiché la parte consonantica del prefisso diventerebbe l'attacco della sillaba iniziale della base. La preservazione della vocale finale dei prefissi monosillabici si può dunque meglio spiegare con esigenze funzionali e percettive di individuazione dell'elemento affissale e di riconoscimento della radice della parola prefissata (cfr. Iacobini 1992, 159-161). Questa ipotesi (che trova sostegno in Peperkamp 1995, 234, che parla di minimal size condition; e in Bertinetto 1999a, che indica strategie adottate dalle lingue per proteggere segmenti iniziali di morfema da processi fonologici che potrebbero alterarne l'identità) permette anche di spiegare le restrizioni di impiego del prefisso s-, che non può essere premesso a parole che cominciano per vocale (cfr. 3.6.4.), come anche della preferenza, per i prefissi che ne dispongono, dell'utilizzo di varianti per evitare incontri di vocali omorganiche (le più facilmente esposte all'elisione). Ulteriori critiche alla proposta di Scalise sono formulate da Montermini 2002, 128 dove si osserva che non ci sono restrizioni a premettere prefissi monosillabici a basi comincianti con una sillaba accentata (cfr. cotesto, prebellico), e da Peperkamp 1995 secondo cui l'ipotesi di Scalise predirebbe erroneamente la cancellazione sistematica della vocale finale dei prefissi bisillabici.

3.6.3. M o d i f i c h e della base a Le modifiche che riguardano la base consistono nella risillabificazione della sillaba iniziale (es. u.tile —» inutile, u.nire —> disunire, e.roe —» su.pe.re.roe), e nel raddoppiamento della consonante iniziale (es. contraccolpo. frapporre. sopravvalutare) La risillabificazione della base dipende dalla tendenza della sillaba ad avere un attacco ottimale, e ha come conseguenza una più forte integrazione del prefisso nella struttura fonologica della parola derivata. La risillabificazione è particolarmente favorita nel caso in cui il prefisso termina in consonante e la base comincia in vocale (possono provocarla sia i prefissi monosillabici che quelli bisillabici), 1 ma si può verificare (come abbiamo visto in

La risillabificazione provocata da prefissi bisillabici è un fenomeno che mette in contraddizione i criteri adottati da Nespor 1985 per la definizione di parola fonologica, in quanto in tale modello i prefissi bisillabici non fanno parte della parola fonologica.

124

3. Prefissazione

3.6.2.) anche con prefissi che terminano in vocale, qualora vi sia formazione di un dittongo o elisione (l'elisione è limitata ai prefissi bisillabici, con l'eccezione di ri-). Per alcuni prefissi (in primo luogo dis-, in-1, in-2) l'esito naturale in contesto prevocalico sembra essere la risillabificazione, anche se l'esigenza di marcare il confine morfologico fra prefisso e base può avere la priorità sul processo di integrazione fonologica. La difficoltà di determinare la scansione sillabica e la variabilità delle possibili realizzazioni provoca inevitabili incongruenze nelle indicazioni della sillabazione da parte dei dizionari dell'uso (analogamente a quanto accade per i dittonghi e gli iati). In assenza di lavori sistematici sulla risillabificazione dei prefissi italiani (alcune osservazioni sull'argomento in Montermini 2002, 116— 123), è del tutto plausibile ipotizzare che criteri non fonologici, come la trasparenza semantica e la familiarità abbiano un ruolo anche nel determinarsi di questo fenomeno: tanto più una parola ha significato idiosincratico ed è di uso comune tanto più probabile è la risillabificazione. Il raddoppiamento della consonante iniziale di parola è provocato da un piccolo numero di prefissi terminanti in vocale, tutti di limitata o nulla produttività, a eccezione di sopraIsovra-. I prefissi che provocano regolarmente il raddoppiamento sono: contra- (contrappeso, contrassegno, contrattempo),1 fra- (frapporre), ra- (rabbrividire, rattoppare), so- (sobbalzare, soppalco, sorreggere), su- (succitato, suddetto). Le due forme sopra- e sovra- si alternano nella lingua senza una regola individuabile, se non quella dell'uso. Entrambe possono provocare il raddoppiamento, specialmente nelle parole di uso comune (sopracciglio, sovrapporre), mentre nelle neoformazioni e in termini tecnico-scientifici prevale la forma non raddoppiata (soprarenale, sovratensione), in diverse parole sono possibili le due realizzazioni (sopralluogo / sopraluogo, soprattassa / sopratassa).2 Alcune parole si formano esclusivamente con sopra- (sopraffare, soprannome), altre con sovra- (sovrumano, sovrapporre)·, in alcune coppie di parole una può essere preferita all'altra (es. soprattassa a sovrattassa, sovrapporre a soprapporre). Alcuni esempi isolati di raddoppiamento sono rappresentati da inframmischiare, trattenere, intrattenere.

3.6.4. Restrizioni ci L'impiego dei prefissi non è in genere condizionato da motivi fonologici. La gran parte dei prefissi si può premettere a basi anche quando tale combinazione provochi nessi che non sono propri della fonologia dell'italiano (cfr. 3.6.5.). La tendenza ad evitare alcuni incontri vocalici determina l'impiego di un piccolissimo numero di varianti: an- davanti a vocale, invece che a- (anabbagliante, analfabeta), re- davanti a HI invece che ri-.

2

Il prefisso contro- invece non provoca il raddoppiamento. Da dati raccolti da Montermini 2002, 112 a partire dai lemmi del GRADIT, risulta che circa il 40% delle parole con sopra-hra- hanno raddoppiamento, altrettante no, e circa il 20% sono attestate in entrambe le forme.

3.6. Caratteristiche fonologiche

125

Il prefisso re- è usato prevalentemente come variante di ri- premesso a verbi che cominciano con /i/ (reidratare, reimbarcare, reimpiegare, reindustrializzare); è presente anche in numerose parole di formazione latina di tradizione dotta (recidere, recitare, replicare, resistere); si può trovare in concorrenza con ri- in alcune parole di origine latina, in questi casi la forma con re- è sentita come più dotta (recuperare / ricuperare, remunerare / rimunerare). In alcune coppie si ha specializzazione di significato, in questi casi le forme con re- hanno significato lessicalizzato, mentre quelle con ri- hanno significato più regolare (reagire vs riagire, respingere vs rispingere). L'influsso convergente esercitato sia dalla terminologia del latino scientifico sia da terminologie di lingue moderne, favorisce l'impiego di re- anche davanti a parole che cominciano con un fonema diverso da /i/ (recalcificare). La restrizione fonologica più importante nell'impiego di un prefisso riguarda s- che, oltre alle restrizioni valide per la fricativa alveodentale in posizione iniziale,1 non può essere premesso a parole comincianti in vocale (es. *sagevole, *silludere, *sonesto, *sunire). Tale restrizione si spiega con il fatto che s- è l'unico prefisso che non costituisce una sillaba: l'essere premesso a una base cominciante in vocale provocherebbe la formazione di una sillaba con la vocale iniziale di parola e di conseguenza una scarsa o nulla riconoscibilità del prefisso (e dell'inizio di parola). 2 Nei contesti prevocalici s- è di solito rimpiazzato da dis- (disagevole, disilludere, disonesto, disunire), in altri contesti possono essere impiegati in-2 e de- (incivile, ingiusto, decerebrare, decespugliatore). Per quanto riguarda le restrizioni che interessano altri prefissi (es. ad- non usato davanti a nasale palatale, avan- non usato davanti a vocale, cfr. Thornton 1998b, 106), l'assenza di studi specifici e la marginalità dei fenomeni non permettono al momento di determinare se si tratta di lacune accidentali o di restrizioni sistematiche. Si distinguono dai precedenti i prefissi che da un punto di vista diacronico possono essere considerati varianti di prefissi di origine latina, la cui forma dipende dall'integrazione nel sistema fonologico dell'italiano (circón- rispetto a circum-, so- rispetto a sub-, moltirispetto a multi-, estra- rispetto a extra-)·, tutte queste varianti «adattate» sono improduttive, mentre le forme etimologiche sono usate correntemente.

3.6.5. Nessi anomali a La prefissazione può determinare la formazione di nessi non ammessi (o non usuali) all'interno di parola, sia vocalici (es. antiintrusione, cooccorrente, extraatmosferico, neoaccademico, neoindustriale, preesistente) sia consonantici (avanscoperta, avanspettacolo, inscrutabile, inspiegabile, interclassista, interglaciale. interfriulano. interscambio, interspaziale, postbellico, postclassico. postglaciale, transfrastico, transplacentare).

1

2

La fricativa alveodentale non si può premettere a parole comincianti in sibilante (cioè le fricative e le affricate prodotte nella zona che va dagli alveoli al palato duro: /s/ /z/ /ts/ /dz/ /tj/ /ds/ /[/) e alle sonanti palatali /ji/ e /λ/. L'impossibilità del prefisso s- a essere premesso a parole cominicianti in vocale può essere considerato un argomento a favore dell'eterosillabicità in contesti preconsonantici (sulla sillabazione dei nessi /s/ + consonante cfr. Maratta 1995, Bertinetto 1999b e la bibliografia contenuta in questi lavori). Si noti che le (pochissime) violazioni alle restrizioni fonologiche dell'impiego del prefisso sriguardano contesti preconsonantici (scentrare, sgelare) e mai prevocalici.

126

3.

Prefissazione

Si tratta di una tendenza innovativa, dal momento che in epoche precedenti vi era maggiore ricorso all'assimilazione, si confrontino gli esempi riportati in ( I l a ) con quelli più recenti in ( l i b ) : (11)

a. soccombere, soccorrere, suddividere, soffocare, suffisso, supporre, sovvertire; traboccare, trascorrere, trasferire, trapiantare b. subconscio, subcontinente, subdesertico, subfornitore, subpolare, subvedente; transbalcanico, transcaucasico, transfrontaliera, transpolare.

Un altro esempio è fornito da dis-, per cui non si ha più assimilazione del luogo di articolazione davanti a fricativa labiodentale sorda (cfr. diffidare e disfidare, difficile e disfare). La tendenza al mantenimento della forma analitica del prefisso ne migliora la riconoscibilità e lascia inalterato anche l'inizio di parola. 1 Come abbiamo visto, anche altri fenomeni che determinano un'integrazione fonologica tra prefisso e base (es. il raddoppiamento fonosintattico) sono in regresso. I prefissi si distinguono quindi dai suffissi in quanto questi ultimi non determinano incontri consonantici non ammessi, e anche perché la prefissazione non richiede fenomeni di inserzione fonologica. La prefissazione si distingue anche dalla composizione perché in prefissazione non si ha aplologia, cioè la cancellazione della sillaba finale davanti a parola che cominci con una sillaba che abbia attacco identico (polilineare, pluriricercato, ultratragico), mentre ciò può avvenire in composizione (esentasse, mineralogia, ostricoltura, cfr. Scalise 1994, 160-163). Un'altra differenza dai suffissi, riguardante questa volta la grafia, consiste nel fatto che i prefissi possono essere distinti dalla base mediante un trattino, e anche talvolta essere scritti separatamente dalla base a cui si riferiscono (es. ante guerra), le tre possibili grafie possono coesistere in una stessa formazione (neoeletto, neo-eletto, neo eletto). L'impiego del trattino è piuttosto oscillante: è sempre impiegato davanti a parole scritte in maiuscolo, come i nomi propri (una legge pre-Ciampi), spesso davanti a sintagmi nominali (maxi-aumento di capitale, mini-rassegna cinematografica) e a nomi al plurale (una legge anti-immigrati). Il trattino è usato principalmente nel caso di neologismi, probabilmente per sottolineare il carattere di novità di una certa formazione, mentre non è in genere determinato da ragioni fonotattiche; è usato di preferenza con basi nominali e con aggettivi qualificativi, ma si può trovare anche con verbi e aggettivi di relazione.

3.7. Funzioni semantiche ci I prefissi esprimono significati di tipo relazionale, la loro funzione principale è quella di determinare il significato della base a cui si premettono. I significati espressi dai prefissi si possono ricondurre alle seguenti categorie: posizione (al cui interno si distinguono valori locativi e temporali), negazione (suddivisa in opposi-

Fra i pochi aggiustamenti recenti: postonico, transahariano.

3.7. Funzioni

semantiche

127

zione, contraddizione, contrarietà, privazione, reversione), alterazione (con cui indichiamo l'espressione sia di valori dimensionali che valutativi), quantificazione, ripetizione, ingressività, riflessività, unione, reciprocità. Il tipo di significato che conta un maggior numero di prefissi e una maggiore articolazione interna è quello locativo: oltre alle posizioni estreme (es. pre-lpost-, sopra-I sotto-) è possibile anche indicare posizione esterna (es. extra-), interna (es. intra-), intermedia (es. inter-), e diverse altre localizzazioni (es. circum-, cis-, contro-, extra-, trans-), comprese anche indicazioni dinamiche (es. de-, dis-, retro-). I significati temporali sono di norma espressi da prefissi che indicano primariamente valori locativi, alcuni di essi (es. pre-, post-) sono attualmente utilizzati più con valore temporale che locativo. Anche la gran parte dei prefissi negativi e molti degli alterativi derivano semanticamente da valori locativi, anche in questi casi vi sono prefissi che sono attualmente impiegati più nei significati derivati (negazione: dis-, s-, alterazione: iper-, super-) che non nell'originario valore locativo. L'espressione di valori locativi, anche se veicolata da molti prefissi, e presente in molte parole della lingua (e, come abbiamo appena ricordato, alla base di altri importanti raggruppamenti semantici), è in regresso nella lingua contemporanea, specialmente per quanto riguarda la prefissazione verbale: l'ampia gamma di prefissi locativi preverbali propria del latino (più di una ventina di prefissi) si è molto ridotta in italiano (così come è accaduto anche nelle altre lingue romanze, cfr. Alien 1981, Liidtke 1996), ad esempio prefissi come ob-, per-, pro-, se-, non possono essere più impiegati in posizione preverbale, e relazioni sistematiche come quelle espresse in latino da verbi come contraho "raccogliere" / distraho "separare" non possono essere più realizzate tramite prefissazione in italiano; rimangono discretamente produttivi i prefissi sopra-, sotto-, mentre i prefissi che indicano movimento sono improduttivi o solo raramente impiegati per formare neologismi. Normalmente i prefissi non esprimono un unico significato, ma un insieme di significati, in genere riconducibili a un significato più astratto che li comprende; oltre a fenomeni di estensione semantica vi sono anche casi di frammentazione del significato, ad esempio, nel caso del prefisso ri- sia il significato parafrasatole "ritorno a uno stato precedente" (es. ricomporre, ricostruire) sia quello di "movimento in senso contrario" (es. rispedire, rivendere) possono essere ricondotti al significato principale iterativo, mentre il significato "intensificativo" (es. ribollire, ricercare), per quanto imparentato con quello iterativo, non può essere derivato da inferenze pragmatiche o estensioni semantiche regolari motivate indipendentemente (cfr. 3.7.5.). Uno stesso significato può essere espresso da più di un prefisso (cft. ante-, anti-2, avan-, pre-), numerose anche le relazioni che determinano opposizioni binarie (es. anti- /pro-, cis-ltrans-, pre-lpost-, intra-lextra-), possibile anche la gradazione, specialmente tra prefissi intensificativi (es. mini-, micro-·, super-, iper-). Alcuni significati sono espressi unicamente o preferibilmente in relazione a basi di una determinata categoria: la negazione contraria, come anche l'intensificazione, si esprime tipicamente con basi aggettivali, i significati iterativo e reversativo sono riservati ai verbi, la quantificazione ai nomi, i prefissi con valore locativo si uniscono specialmente a nomi e ad aggettivi di relazione. I prefissi più disponibili a essere impiegati sia con nomi sia con aggettivi sia con verbi sono quelli che esprimono negazione oppositiva, unione, riflessività, reciprocità.

128

3.

Prefissazione

Uno stesso prefisso può esprimere produttivamente un determinato significato ed essere presente in parole prefissate con significati non più produttivi. Ad esempio, il prefisso de- è impiegato produttivamente con valore privativo e reversativo {decaffeinare, demilitarizzare'), raramente impiegato nella formazione di verbi come depistare, deviare, in cui indica separazione, allontanamento, e non più usato produttivamente in verbi come degustare, detenere, in cui esprime un valore che può essere definito intensificativo. L'impiego di un prefisso in una particolare formazione può determinarne la fortuna e modificarne in parte il significato (si pensi ai casi di minigonna per mini-, superuomo per super-, metafisica per meta-; cfr. Bombi 1995a sulla risemantizzazione di iper-)·, analogamente, la diffusione nell'uso dei prefissi mini- e micro- ha favorito l'impiego anche degli antonimi maxi- e maero-, Alcuni prefissi esprimono, oltre ai significati usati nella lingua comune, altri significati il cui impiego è ristretto all'ambito delle terminologie tecnico-scientifiche: ad esempio, in chimica, meta- indica i composti meno idrati (acido metafosforico), nella terminologia delle unità di misura, mega- esprime il valore "moltiplicato per un milione" (megabyte, megahertz). Nei prossimi paragrafi forniremo una dettagliata descrizione dei significati espressi dai prefissi, accompagnata da indicazioni sulla produttività dei prefissi nei diversi significati e sul tipo di basi a cui si premettono. La classificazione è di tipo onomasiologico, quindi uno stesso prefisso può essere trattato in più di un raggruppamento semantico. 1 Nei titoli dei paragrafi i prefissi descritti sono elencati in ordine alfabetico per favorirne la reperibilità, mentre l'ordinamento all'interno dei paragrafi è motivato principalmente dalla produttività dei prefissi e dalla numerosità delle formazioni a cui prendono parte.

3.7.1. Posizione ci L'insieme dei valori semantici che raggruppa un maggior numero di prefissi è quello posizionale. Al suo interno si possono distinguere valori locativi e valori temporali, a loro volta suddivisibili secondo l'asse posizionale avanti-dietro e quello temporale prima-dopo. Molti prefissi possono esprimere sia valori locativi sia valori temporali (es. ante-, anti-2, avan-, inter-, post-, pre-) mentre altri solo valore locativo (es. circum-, inter-, intro-, sub-, super-). Fra quelli che esprimono entrambi i valori si possono notare alcune preferenze per l'impiego locativo (es. avan-, anti-2) o per quello temporale (es. ante-, post-, pre-).

1

Oltre alle sezioni dedicate alla prefissazione nelle grammatiche e nei dizionari dell'italiano, descrizioni dell'insieme dei significati espressi dai prefissi dell'italiano sono fornite da Tollemache 1945, Junker 1958, Vuòetic 1976, Dardano 1978, Iacobini 1992; utili indicazioni si possono trarre da lavori dedicati ad altre lingue romanze, come Rainer 1993a e Varela / Martín García 1999 per lo spagnolo, o Peytard 1975 e Weidenbusch 1993 per il francese. Nei prossimi paragrafi forniremo indicazioni delle (non molte) opere dedicate ai singoli prefissi dell'italiano.

3.7. Funzioni

3.7.1.1.

semantiche

129

Valori locativi a

3.7.1.1.1. "Avanti, prima": ante-, anti-2, avan-, pre-, pro- ci Avan-1 premesso a nomi, ha valore di precedenza nello spazio in una decina di parole di formazione moderna (per la maggior parte prestiti dal francese). Forma derivati perlopiù esocentrici il cui genere è determinato dalla base (avamposto, avancarica, avancorpo, avanguardia, avantreno).2 È di scarsa produttività. Anti-1 si premette a nomi (antibagno, anticamera, anticarrello, anticucina, antipurgatorio)·, nonostante si tratti di derivati esocentrici, il genere è determinato dal nome di base. La produttività è scarsa, probabilmente anche a causa dell'omonimia con il più usato prefisso anti-1. Ante- con il significato "davanti nello spazio, parte anteriore", è presente in meno di una decina di parole d'origine latina, tra cui anteporre, antesignano. Si premette a nomi nella formazione di parole d'ambito prevalentemente tecnico-scientifico (anteipoflsi). E di scarsa produttività. Pre- esprime il valore spaziale "prima, avanti" in un numero ridotto di formazioni. I verbi sono in grandissima maggioranza d'origine latina (precedere, precorrere, prefissare, premettere, preporre). Si premette produttivamente a nomi e ad aggettivi di relazione per formare parole d'ambito prevalentemente tecnico-scientifico (preaddome, Prealpi, Preappennino, prefaringe, prefrontale). Anche nei derivati esocentrici il genere del nome derivato è lo stesso di quello della base. In linguistica, ha valore analogo al non più produttivo pro- (pretonico / protonico) e si contrappone a post- (prenominale vs postnominale). E di scarsa se non nulla produttività con valore locativo. Non più produttivi i valori "altezza maggiore, superiorità, eccellenza" (prediligere, predominio, preminente, prevalere), e l'impiego con valore superlativo davanti ad aggettivi (preclaro). Pro- è presente con i significati "in avanti, in fuori" in verbi (e nei loro derivati) di formazione latina (procedere, progredire, prolungare, promuovere, propendere, protrarre). Non è più produttivo con valore locativo. Discretamente produttivo è l'impiego nel significato "che favorisce, che sta dalla parte di", premesso ad aggettivi di relazione (progovernativo, prorusso). Può formare anche aggettivi invariabili premesso a nomi che non hanno un aggettivo di relazione corrente o disponibile (dichiarazione pro-Ira, iniziativa pro-immigrati). Con questo significato si contrappone a anti-1. 3.7.1.1.2. "Dietro, all'indietro": post-, retro-·, "movimento in senso contrario": anti-1, contro-, re-, retro-, ri- ci Retro-3 è il prefisso più impiegato per esprimere i valori "dietro, all'indietro, movimento in senso contrario". È presente in diverse parole d'origine latina (retrocedere, retrogrado, retroverso). Premesso a nomi, forma produttivamente derivati sia endocentrici (retrocarica, retromarcia, retrorazzo) sia esocentrici (retrobottega, retrocucina, retropalco, retroscena,

1 2 3

Su avan- si veda Thornton 1998b. La neoformazione avantielenco può essere spiegata con il fatto che avan- non si può premettere a parole che cominciano con vocale. Sul prefisso retro- si veda Rainer 1999c.

130

3.

Prefissazione

retrovia). In questo tipo di formazione si può opporre a anti-2. È usato davanti a nomi e aggettivi deverbali di cui può essere non attestato il verbo prefissato corrispondente (che è comunque una forma possibile): retroflesso, retroflessione, retroformazione, retroilluminato, retrostante, retrovisivo, retrovisore. Si premette raramente ad aggettivi (retroattivo) e ad aggettivi di relazione (retromammario, retrosternale), impiegato specialmente in termini d'ambito tecnico-scientifico. Post- è utilizzato con il significato locativo "dietro" quasi esclusivamente nella formazione di termini tecnico-scientifici, premesso produttivamente ad aggettivi di relazione e a nomi in costruzioni esocentriche il cui genere è determinato dal nome di base (postipofisi, postorbitale). È presente in un numero limitato di parole d'origine latina (posteriore). Alcune formazioni possono esprimere sia valore locativo sia il più diffuso valore temporale (posporre). Nella terminologia linguistica, oltre che con significato spaziale (postdentale, postvocalico), è usato anche con il significato "derivato da" (postnominale). Il significato di "movimento, direzione in senso contrario" è espresso in un numero ristretto di nomi e aggettivi dai prefissi contro- e anti-1 (controcorrente, controforza, controrotante, controspinta; antialiseo, antiorario), che esprimono prevalentemente valore contrario, e di verbi dai prefissi ri- e re-, che esprimono prevalentemente valore iterativo. Tra i verbi prefissati con ri- in cui accanto al significato principale di "ripetizione" è presente anche quello di "movimento in senso contrario" vi sono: ributtare, ridare, rifluire, rigettare, rimandare, riportare, rispedire-, quest'ultimo significato si differenzia da quello iterativo anche per il fatto che l'agente e il destinatario del verbo prefissato possono non essere gli stessi di quelli del verbo di base (es. Carlo spedisce una lettera a Pietro, e Pietro la rispedisce a Carlo "la manda indietro"). Tra i verbi prefissati con re- che esprimono il significato di "movimento in senso contrario": recedere, regredire, respingere, restituire, revocare. 3.7.1.1.3. "Di fronte, posizione contrapposta": anti-1, contra-, contro-, ob- ci Si tratta di prefissi il cui attuale impiego principale è quello di negazione oppositiva, ma che possono essere usati marginalmente anche con valore locativo. Contro- più frequentemente usato con il valore "contrasto, opposizione", è usato produttivamente anche con il significato "posizione contrapposta" per formare parole usate prevalentemente in ambiti tecnico-scientifici, premesso a nomi che designano oggetti concreti (contropunzone, controriva, controtesta), e in un minor numero di casi premesso ad aggettivi di relazione (controlaterale). Dal significato "posizione contrapposta" deriva quello di "rinforzo, aggiunta" presente in parole come controcassa, controchiglia, controfinestra, contropalo. Contra- non è più produttivo, ma è presente con significato e funzioni analoghi a quelli di contro- in parole come contrafforte, contrappeso, contrapporre, e in diversi termini dell'araldica (contrabastone, contrafasciato,

contrasaltante).

Anti-1 è impiegato con il significato "di fronte, posizione contrapposta" nella formazione di termini tecnico-scientifici (anticatodo, antimeridiano, antiparallelo), l'unica parola d'uso corrente con questo significato è antipode.

Ricordiamo qui anche il prefisso ob- non produttivo nella lingua comune, e a cui non è possibile attribuire un significato costante in sincronia, ma presente in un discreto numero di verbi (e loro derivati) di formazione latina (obbligare, occludere, occorrere, offrire, opporre, osservare,

ottenere),

3.7. Funzioni

semantiche

131

ed impiegato in poche formazioni aggettivali d'ambito tecnico-scientifico, in cui esprime il valore "inversione, forma o posizione rovesciata" (obconico, obcordato, obovato). 3.7.1.1.4. "Vicino": giusta-, para-, sub- ci Il significato "vicino" si può esprimere solo marginalmente tramite la prefissazione. Giusta- è presente con il valore "vicino, presso" in un ristretto numero di parole d'origine francese (giustacuore, giustapporre, con i derivati giustapposizione e giustapposto). Non è produttivo nella lingua comune. Nelle terminologie tecnico-scientifiche è usata la forma latineggiante iuxta- (attestata anche nella variante insta-): iuxtaglomerulare. Para- è usato per indicare "vicinanza" solo in termini tecnico-scientifici (parabasale, parauretrale). Premesso ad aggettivi di relazione e a nomi, è usato produttivamente nella lingua comune in un discreto numero di formazioni con i due significati derivati "affine, simile, che affianca" (parabancario, paramedico, paramilitare, parastatale), "marginale, qualitativamente inferiore" (paraletteratura, parapolitica, parascientifico). Sub- può esprimere sporadicamente il valore di vicinanza (subumano). 3.7.1.1.5. "Dentro, all'interno, in mezzo": fra-, infra-, inter-, intra-, intro-, tra- ci Intra- con il significato "dentro, all'interno", è impiegato produttivamente davanti ad aggettivi di relazione (intracontinentale, intraorbital, intrauterino). Si contrappone a extraintracellulare vs extracellulare, intracomunitario vs extracomunitario, intrauterino vs extrauterino). Inter- si premette produttivamente ad aggettivi di relazione per indicare "posizione intermedia" fra due oggetti, fra due limiti di spazio denotati dal nucleo nominale dell'aggettivo (interarticolare, intercellulare, interconsonantico, intercostale, interdentale, intervertebrale). Si può premettere anche a nomi in costruzioni esocentriche il cui genere è determinato dal nome di base (interbinario, interferro, interlinea, interponte, intertempo). Il valore di posizione intermedia veicolato da inter- implica una relazione tra due< o più elementi indicati dal nominale di base, ciò determina la principale differenza di significato rispetto ai derivati con intra-, che invece fanno riferimento a fenomeni che avvengono all'interno di quanto indicato dal nucleo nominale dell'aggettivo. 1 Intro- esprime il valore "dentro, all'interno" in verbi e nominali deverbali di formazione latina (introdurre, introito, intromettere), ed è usato con lo stesso valore, in un ristretto numero di formazioni di ambito prevalentemente tecnico-scientifico (introflessione, introflettersi, introiezione). Infra- ha il valore "tra, in mezzo" in un numero ristretto di parole (infradito, inframmettere, inframmischiare). Non è produttivo con questo significato. Fra- è presente in un numero limitato di verbi di formazione italiana (e nei loro derivati), con il valore principale "in mezzo, posizione intermedia" (frammettere, frapporre), da cui derivano il valore

1

Cfr. Migliorini 1968b, 109-110, che mette a confronto i due prefissi per mezzo del seguente esempio: un'iniezione intramuscolare avviene nell'interno di un muscolo, mentre un legamento intermuscolare collega due muscoli.

132

3. Prefissazione

di "eterogeneità" (frammescolare, frammischiare), e il valore concettuale peggiorativo "a metà, parzialmente" {fraintendere).1 Non è produttivo. Tra- esprime i valori "in mezzo" (tramettere, tramezzare, traporre, traseminare), "tra più cose" (tralasciare, tramescolare, trascegliere) in verbi e loro derivati. Non è produttivo. La preposizione entro si premette a nomi per dare vita a un limitato numero di composti esocentrici invariabili, di genere maschile indipendentemente dal genere del nome di base, in cui ha il valore "dentro, interno": entrobordo (sul modello di fuoribordo), entroterra (sul modello del tedesco Hinterland, cfr. anche retroterra), entrovalle. Hanno significato analogo anche gli elementi formativi endo-, ento- (endogeno, endogamia, entozoo) ed eso- dal gr. ésô, éisô presente in esoterico.

3.7.1.1.6. "Fuori, al di fuori, all'esterno": e-, estra-, estro-, extra-, stra- ci Extra- è il prefisso più usato di questo gruppo, si premette produttivamente con il valore "fuori, al di fuori di" ad aggettivi di relazione in un discreto numero di formazioni (extra-

comunitario, extraconiugale, extracorporeo, extracontrattuale, extraeuropeo,

extraistitu-

zionale, extraparlamentare, extrasensoriale, extraurbano). A partire dal valore locativo, derivano il significato "estraneo, anomalo" presente in un piccolo numero di parole (extrasistole), e quello valutativo (cfr. 3.7.3.2.1.), più largamente impiegato. Si oppone semanticamente a intra- (extracomunitario vs intracomunitario). Estra- è una variante non produttiva di extra-. Molte parole formate con estra- sono state rimpiazzate da formazioni con extra-, specialmente a partire dalla metà del diciannovesimo secolo. Rimane presente in una dozzina di parole di scarso impiego, tra cui estragiudiciale, estrapolare. Premesso a nomi, ha il valore "parte esterna" in poche formazioni esocentriche appartenenti a terminologie tecnico-scientifiche (estracarcere, estradosso). Altra variante di extra- è stra-, di cui sono attestati pochissimi derivati con valore locativo, tra cui stradotale, stramurale (i più sono stati rimpiazzati da formazioni moderne con extra-). Non è produttivo in questo impiego. Estro- appare con il valore "fuori, all'esterno" in un ristrettissimo numero di verbi di formazione italiana (e nei loro derivati), tra cui estroflettersi, estromettere, estrovertere, che costituiscono l'antonimo delle corrispondenti formazioni con intro- (cfr. estrospezione vs introspezione, estroverso vs introverso). Non è produttivo (o lo è solo sporadicamente) in parole della lingua comune. E- è impiegato produttivamente con il valore "fuori, esterno" esclusivamente nella formazione di termini tecnico-scientifici (ezoognosia). La preposizione fuori forma un numero ridotto di composti esocentrici, alcuni dei quali sono graficamente univerbati (fuoribordo, fuoribusta, fuoriclasse, fuorigioco, fuoriporta, fuoristrada). Si tratta di nomi di norma invariabili, di genere maschile indipendentemente dal genere del nome di base, spesso usati con funzione aggettivale. Gli unici due verbi di uso corrente (fuoriuscire e fuorviare) risalgono al quattordicesimo secolo. Esprimono il significato "fuori, esterno" anche gli elementi formativi ecto- e eso- dal gr. éksô: ectoblasto, ectoplasma, esogamia, esotico.

3.7.1.1.7. "Sopra": sopra-I sovra-, sor-, su-, super-, sur- ci I prefissi che indicano i limiti posizionali esterni superiore e inferiore sono tra i prefissi locativi quelli più usati anche con valore valutativo, in seguito a un'estensione metaforica che identifica la posizione superiore con l'intensificazione e quella inferiore con la diminuzione.

Su questo impiego di fra-, si veda Salverda de Grave 1934.

3.7. Funzioni

133

semantiche

Sopra- (con la variante sovra-) è il prefisso presente in un maggior numero di formazioni e il più produttivo del gruppo. Si premette a verbi (sopraelevare, sovrapporre, sovrastampare),1 e a nomi di norma concreti (sopracciglio, soprammobile, sopravveste), anche nel caso di derivati esocentrici il genere della parola prefissata è di norma lo stesso di quello del nome di base. Premesso ad aggettivi di relazione, esprime il superamento di determinati caratteri, indicati dal nucleo nominale, e può manifestare valore sia inclusivo sia esclusivo (soprannaturale, soprasensibile, sovraregionale, sovrumano). Premesso ad aggettivi di relazione, il cui nucleo nominale è un nome concreto, indica "posizione superiore" (soprarenale), con valore analogo a quello di sur-. Premesso ad aggettivi deverbali, ha il valore "prima, in precedenza", riferito specialmente a un testo scritto (sopraccennato, sopraindicato, soprammenzionato), con valore analogo a quello di su-. Si contrappone a sotto- (sopravveste vs sottoveste, sovrastare vs sottostare) e a sub- (sovraordinato vs subordinato). Super-2 in un numero esiguo di formazioni indica "posizione superiore, sovrapposizione" premesso produttivamente a nomi di norma concreti (superattico, superstrato). Premesso produttivamente ad aggettivi di relazione, esprime il superamento di determinati caratteri indicati dal nucleo nominale dell'aggettivo (superconfessionale, superpartitico, supersonico). Sur- premesso ad aggettivi di relazione il cui nucleo nominale denota un oggetto concreto, ha il valore "sopra", ed è impiegato prevalentemente nella formazione di termini tecnico-scientifici (surrenale). Su- con il valore "sopra, prima, in precedenza", è premesso ad aggettivi deverbali in un numero limitato di formazioni, delle quali non è usato correntemente, né sembra molto plausibile, alcun verbo prefissato corrispondente. I dizionari registrano una dozzina di lemmi tra cui: suaccennato, succitato, suddetto, suesposto, suindicato, sullodato, summenzionato, sunnominato, surricordato. Così come gli analoghi aggettivi formati con sopra-, l'impiego prevalente degli aggettivi formati con su- è riferito a parti di testo, specialmente scritto. Data la forte restrizione dell'ambito d'uso e il numero di parole già formate, la produttività di questo tipo di formazione è quasi nulla. Sor- ha il significato "sopra", premesso a verbi in una ventina di parole della lingua comune, molte delle quali sono prestiti dal francese (sormontare, sorpassare (con i derivati sorpassato, sorpasso), sorprendere (con il derivato sorpresa), sorvolare). Non è produttivo.

Ha il significato "posizione superiore" anche l'elemento formativo epi- presente in alcune parole di uso comune, quali epicentro, epidermide, epigono, epigrafe,

epilogo.

3.7.1.1.8. "Sotto": infra-, ipo-, so-, sotto-, sub- a Sotto- si premette produttivamente ad aggettivi di relazione per indicare qualcosa che sta sotto ciò che è designato dal nucleo sostantivale dell'aggettivo (sottolinguale, sottomarino, sottomascellare). Premesso a verbi non è produttivo con valore locativo, sono però corren-

Riconducibili a significati locali, ma ormai lessicalizzati sono verbi come sopraffare, soprassedere. 2

Sul prefisso super- cfr. Migliorini 19633e.

134

3.

Prefissazione

temente usate formazioni come sottolineare, sottoscrivere.' Molte formazioni con sotto- si contrappongono a quelle di identica base con sopra- e sovra-. Sub- indica "posizione sottostante" premesso produttivamente ad aggettivi di relazione (subacqueo, subepidermico, subnasale). In alcuni derivati (es. subalpino, subartico) sono compresenti sia il valore locativo sia quello attenuativo (per quest'ultimo valore cfr. 3.7.3.2.2.). Si può opporre a sopra-lsovra- (subordinato vs sovraordinato). Premesso a nomi (in genere non animati), esprime i valori "importanza minore, subordinazione gerarchica", ai quali può essere associata una connotazione svalutativa (subagenzia, subdeposito), "grado, livello inferiore alla norma" (subfertilità). In termini appartenenti prevalentemente ai linguaggi giuridico ed economico, è premesso a verbi o a nomi deverbali senza che sia necessariamente attestato il verbo corrispondente; in questo tipo di formazione indica "trasmissione ad altri di un diritto, di una condizione": subaffittare (con il derivato subaffitto), subappaltare (con il derivato subappalto), subfornitore, subfornitura, sublocare (con il derivato sublocazione). Infra- ha il valore spaziale "sotto" in un numero ristretto di parole di ambito prevalentemente tecnico-scientifico, premesso a nomi e ad aggettivi di relazione (infracrostale, infradurale, infraorbitale, infrastruttura). Ipo- indica posizione inferiore o interna premesso a nomi in termini di ambito tecnicoscientifico (ipoderma, ipoglottide). So- non è produttivo, ed è difficilmente identificabile, o non identificabile, per il parlante comune. È presente in una quarantina di parole in cui esprime valore locativo (soccoscio, soppalco, sostrato) o attenuativo (cfr. 3.7.3.2.2.). Esprime il significato "giù, in basso, sotto" anche l'elemento formativo cata-, presente in una decina di parole di formazione greca e latina di uso corrente, tra cui cataclisma, catalogo, catarro, catastrofe.

3.7.1.1.9. "Al di là, attraverso, oltre": meta-, oltre-, per-, tra-, trans-, tras-, ultra- a I prefissi che esprimono il valore "al di là", oltre all'impiego nella formazione di parole con valore locativo, si prestano ad esprimere significati più astratti che indicano la trasformazione, il cambiamento di stato, il superamento di un limite. Da un unico elemento latino (trans-), l'italiano ha derivato tre prefissi (tra-, trans-, tras-), i quali, nati come varianti condizionate da contesti fonologici, si sono poi in parte differenziati nell'uso e nel significato. 2 Trans- è l'unico attualmente produttivo. Conserva la forma e i significati latini "al di là, attraverso, oltre" in alcune parole di origine e trasmissione dotta, soprattutto verbi e nomi deverbali di ambito giuridico e commerciale (transazione, transigere, transito, transizione), e aggettivi di relazione specialmente di ambito geografico (transalpino, transpadano, transtiberino). La maggior parte delle parole di for-

Indicano un qualcosa identificato tramite una collocazione spaziale i composti esocentrici in cui la preposizione sotto si premette a un nome (sottobicchiere,

2

sottopancia, sottopiede, sottosuolo)·, tali

formazioni sono di genere maschile indipendentemente dal genere del nome di base e, di norma, invariabili al plurale; la natura del referente deve essere conosciuta enciclopedicamente o determinata pragmáticamente (cfr. 3.1.2.). I contesti fonologici che determinavano le diverse forme del prefisso non hanno più effetto, cfr. trafiggere, trasfondere,

transfrontaliera.

3.7. Funzioni semantiche

135

mazione latina sono state adattate già nell'italiano trecentesco (quando non già in latino) nelle forme in tra- e tras-. Si premette produttivamente ad aggettivi di relazione e a nomi specialmente d'ambito geografico (transaortico, transappeninico, transcorticale, transdanubiano, Transgiordania);1 alcuni di questi aggettivi sono sostantivati (il transatlantico), formano un sottogruppo omogeneo nomi di genere femminile che denominano importanti vie di collegamento (la transamazzonica, la transiberiana). E impiegato con valore più astratto in numerose neoformazioni per indicare qualcosa che è al di là di quanto denominato dal sostantivo o dal nucleo nominale dell'aggettivo di base (transavanguardia, transdisciplinarità, transeconomia, transgenetico, transnazionale, transpartitico).2 Non è produttivo davanti a verbi. Tra- non è produttivo. Le parole lemmatizzate più recenti sono tramandare (a. 1598) e tracimare (a. 1840). E presente davanti a verbi con i valori "al di là, oltre, da un luogo a un altro" (traboccare, tramontare, trapiantare, trascendere, travalicare, travasare)·, "attraverso, da parte a parte" (tracannare, trafiggere, traforare, trapelare, trapungere, trasudare); da questi valori si è sviluppato quello di "trasformazione, cambiamento di stato, di condizione" presente in verbi quali tradurre, tralignare, travestire, travolgere, e quello "attenuativo" presente in trasognare. È usato in alcune formazioni sia con valore locativo "in mezzo" (cfr. 3.7.1.1.5.) sia con valore intensificativo (cfr. 3.7.3.2.1.). Tras- è presente davanti a verbi con i valori "al di là, oltre, da un luogo a un altro" (trasferire, trasfondere, trasgredire, traslocare, trasmettere, trasvolare)·, con gli stessi valori è documentato anche davanti ad aggettivi di relazione (traspadano·, trasteverino invece, da un punto di vista sincronico, è derivato da Trastevere). Esprime il valore "attraverso, da parte a parte" in traslucido, trasparire. Indica "trasformazione, cambiamento di stato, di condizione" in trasfigurare, trasformare, traslitterare. Non è produttivo, ma talvolta utilizzato nell'adattamento di prestiti dall'inglese (trasdurre, trasversione). Ultra- esprime valore locativo in un numero molto ridotto di formazioni premesso ad aggettivi di relazione (ultraprovinciale, ultraterreno)', riconducibili al valore locativo sono anche ultrasuono e ultravioletto. E più usato con valore temporale (cfr. 3.7.1.2.2.), e soprattutto con valore intensificativo (cfr. 3.7.3.2.1.). Oltre- è la variante di tradizione diretta di ultra-, rispetto al quale forma un maggior numero di derivati con valore locativo. Con il significato "al di là, dall'altra parte", si premette produttivamente ad aggettivi di relazione e a nomi in formazioni di ambito prevalentemente geografico (oltremarino, oltremontano; oltralpe, oltrecortina, oltremanica, oltrepò, oltretomba). I nomi sono esocentrici, invariabili, di genere maschile indipendentemente dal genere della base, si possono quindi considerare composti preposizionali. Può indicare "superamento di un limite", premesso produttivamente ad aggettivi di relazione (oltrenaturale, oltreumano). Premesso ad aggettivi, ha valore intensificativo in un ristretto numero di formazioni obsolete (cfr. 3.7.3.2.1.). Non è produttivo davanti a verbi, l'unico verbo di uso corrente è oltrepassare, attestato già nel 1292.

In questo uso si oppone a cis- (transalpino vs cisalpino). Hanno significato idiosincratico le due neoformazioni transcontainer "container per trasporti internazionali" e transessuale "persona che ha cambiato il proprio sesso"; con quest'ultimo significato trans può essere usato come nome invariabile o con funzione appositiva in posizione postnominale.

136

3. Prefissazione

Meta- è presente in parole di origine greca non analizzabili (o difficilmente analizzabili) in costituenti significativi da parte del parlante comune (metafora, metamorfosi, metastasi). Premesso a un piccolo numero di aggettivi di relazione, ha il valore "oltre, al di là", riferito al nucleo sostantivale dell'aggettivo (metapsichico). La fortuna di meta- è dovuta alla reinterpretazione del termine metafisica, è infatti usato per indicare un tipo di espressione o una disciplina che si occupa della natura, della forma e dei limiti della disciplina o dell'espressione artistica indicata dal nome cui è premesso (metalinguistica, metamatematica, metapoesia, metaromanzo, metateoria). Con questo valore si può usare ricorsivamente per indicare gradi di astrazione maggiori (metametateoria), oppure, con valore iconico, per indicare un alto grado di astrazione, o il più alto grado di astrazione possibile (metametametaletteratura). Esprime diversi significati specifici in terminologie tecnico-scientifiche. Per- è presente in numerosi verbi (e nei loro derivati) di formazione latina (perdere, perdonare) e in alcuni aggettivi (perfido, perpetuo), in genere non analizzabili in costituenti semantici dal punto di vista sincronico. Non è produttivo nella lingua comune, è invece usato nelle terminologie tecnico-scientifiche sia con valore "intensificativo" (pertosse), sia più diffusamente con il valore originario "attraverso", premesso ad aggettivi di relazione (percutaneo, perlinguale). Tra i verbi di origine latina in cui è identificabile il valore locativo "attraverso": percorrere, perforare, perseguire. In altri verbi il prefisso esprime valore "intensificativo": perlustrare, permanere. Esprime il significato "attraverso" anche dia-, presente in diverse parole di uso corrente (specialmente nomi) di origine greca e latina (diadema, diaframma, diagnosi, diagonale, dialogo, diametro, diavolo), ed impiegato produttivamente nella formazione di termini di ambito tecnico-scientifico. La fortuna del termine diacronia in linguistica ha favorito la formazione della serie costituita da diafasico, diamesico, diastratico, diatopico e di altri termini quali diasistema. 3.7.1.1.10. "Intorno": circum- ci Circum- è presente con il valore "intorno" in un piccolo numero di parole di origine latina (circumnavigare), la sua produttività è limitata alla formazione di aggettivi di ambito geografico (circumlunare, circumterrestre, circumvesuviano). Sono di origine latina, una dozzina di parole, tra cui circondare, circonferenza, circonvallazione, in cui il prefisso compare nella forma adattata circom-ln-. Il valore "intorno" è espresso anche dagli elementi formativi peri- e anfi-, presenti in alcune parole di uso corrente di origine classica (anfibio, anfiteatro, periferia, perimetro), ed impiegati produttivamente nella formazione di termini di ambito tecnico-scientifico. 3.7.1.1.11. "Al di qua": cis-, citra- ci La produttività di cis- è limitata ad alcuni aggettivi di relazione di ambito geografico in cui indica posizione "al di qua" del punto di riferimento costituito dal nucleo nominale dell'aggettivo (cisalpino, cislunare), pochissime le basi nominali (Ciscaucasia, Cisgiordania)·, si oppone a trans- (cisalpino vs transalpino, cispadano vs transpadano). Ha significato e funzioni analoghi l'improduttivo e poco impiegato citra- (citramontano).

3.7. Funzioni

137

semantiche

3.7.1.1.12. "Provenienza, separazione, allontanamento": ab-, de-, di-, dis-, e-les-, s-, se- ci De-\ il valore locativo di "separazione, allontanamento" è presente in parole di origine latina (decadere, deportare, detrarre, deviare), e in verbi, per lo più di origine francese, di cui non è attestato il verbo denominale non prefissato (depistare, deragliare)·, è praticamente improduttivo in questo impiego. Poco produttiva è anche la prefissazione di aggettivi di relazione documentata da termini linguistici come denominale, deverbale, in cui il prefisso esprime valore di "provenienza". Dis- con il valore di "separazione, allontanamento" è presente in numerose parole di origine latina (specialmente verbi e loro derivati), motivate in diverso grado per il parlante comune (discernere, discutere, disgiungere, dislocare, disperdere, disseminare, disporre, distrarre). Pochissime le parole di formazione moderna con questo significato (disarcionare, discostare), così come gli analoghi derivati con de-·, si tratta di verbi di cui non è attestato il verbo denominale non prefissato. Ab- è presente in un piccolo numero di parole di origine latina scarsamente analizzabili in costituenti significativi da parte del parlante comune (abortire, abrogare, assorbire), ed è usato produttivamente con il significato "da, via da" solo per la formazione di parole di ambito tecnico-scientifico (abdurre, con i derivati abduttore e abduzione, ablazione). Nei prefissi riconducibili al latino ex-, cioè s-, e-les-,1 la nozione di "separazione, allontanamento" si accompagna con quella di "movimento da dentro verso fuori". Il prefisso s- è presente in numerose formazioni, e si premette produttivamente a verbi parasintetici tramite sostituzione di prefisso (sbarcare, sfornare, scarcerare, sloggiare, snidare, svasare) e, in un numero minore di casi, a verbi denominali in genere non attestati (sdoganare, sfoderare, spostare, sviare). Il prefisso e-les-, improduttivo in parole della lingua comune, esprime il significato di "separazione, allontanamento" in pochi verbi, quasi tutti d'origine latina, non necessariamente motivati semanticamente per il parlante comune (emanare, emarginare, emergere, emigrare, eruttare, espatriare, espettorare, esumare, evadere). Di-: variante di tradizione diretta del prefisso de-, è presente con il valore di "separazione, allontanamento" in pochi verbi (e loro derivati), tra cui dipartire, dirottare. Non è produttivo. Se- non è produttivo. È presente con il valore "separazione, allontanamento " in verbi (e loro derivati) di origine latina non analizzabili in costituenti significativi da parte del parlante comune (secernere, secessione, sedurre, selezione,

separare).

Costituiscono casi isolati, e non sono il risultato di regole di formazione di parole produttive, i verbi straripare e tracimare.

3.7.1.1.13. "Relazione gerarchica": bis-, contro-, pro-, sotto-, sub-, vice- a È riconducibile all'espressione di valori locativi anche l'impiego dei prefissi per esprimere posizione all'interno di una gerarchia. Vice-, con impiego analogo a quello di pro-, si premette produttivamente, con il valore "in vece di, che fa le funzioni di", a nomi che indicano professione, carica, ufficio, per indicare chi è autorizzato a sostituire il titolare in caso di sua assenza o impedimento, (vice1

Insolitamente ricca la bibliografia su questi prefissi: Devoto 1939, Br0ndal 1940-1941, Marchand 1953, Gatti / Togni 1991, Mayo et al. 1995, Schepping 1996b, Ernst 1997.

138

3.

Prefissazione

comandante, viceré, vicesindaco)·, oppure, con impiego analogo a quello di sotto-, chi ha grado o funzioni immediatamente inferiori a quelli indicati dal nome di base (viceammiraglio, vicepretore, vicesegretario). Pro- è usato produttivamente, con impiego analogo a quello di vice-, premesso a nomi che indicano professione, carica, ufficio, per indicare chi è autorizzato a sostituire il titolare in caso di sua assenza o impedimento (prorettore, pro-Segretario di Stato, prosindaco). Sul modello rappresentato da pronome, sono stati formati alcuni termini della linguistica, tra cui proavverbio, proforma. Premesso a nomi di parentela, indica ascendenza o, anche, discendenza diretta o indiretta (proavo, pronipote, prozio). Sotto- è usato produttivamente, con impiego analogo a quello di vice-, premesso a nomi che indicano professione, carica, ufficio, per indicare chi ha grado o funzione immediatamente inferiori a quelli indicati dal nome di base (sottocapo, sottocuoco, sottosegretario, sottotenente). Premesso a nomi inanimati, può indicare una delle parti in cui un insieme è diviso o distinto (sottocommissione, sottodialetto, sottogruppo). Sub- premesso a nomi, può indicare subordinazione gerarchica (subagente, subcomandante). Bis- premesso a nomi di parentela, indica il grado immediatamente successivo a quello indicato dal nome di base (bisnonno, bisnipote), ma anche grado genericamente lontano (biscugino). Non è produttivo. In alcune terminologie tecnico-scientifiche indica il grado successivo di una serie (biscroma, bisdrucciolo). Contro-, ristretto al caso di contrammiraglio, ha il significato di subordinazione all'interno di un ordine gerarchico. Nella terminologia della musica, indica voce o strumento dal suono più grave di quello indicato dal nome di base (contralto, controfagotto, controviolino).

3.7.1.2.

Valori temporali ci

I prefissi usati per esprimere valori temporali derivano il loro significato da una metafora che reinterpreta l'opposizione direzionale con lo scorrere del tempo: l'anteriorità posizionale viene reinterpretata come precedenza nel tempo, mentre la posizione posteriore con il futuro. 3.7.1.2.1. "Prima": ante-, anti-2, avan-, ex-, pre-, pro- a Pre- è il prefisso più impiegato con valore di precedenza temporale, si premette produttivamente a verbi, aggettivi di relazione, nomi. I verbi sono numerosi (preavvisare, preconfezionare, predeterminare, predire, predisporre, preesistere, prefabbricare, premeditare, presentire)', si può premettere anche ad aggettivi participiali senza che sia necessariamente attestato il verbo prefissato corrispondente (precotto, precucinato, preindicato, preselezionato), i verbi prefissati sono comunque possibili, e talvolta successivamente attestati. Premesso a nomi, forma derivati endocentrici ed esocentrici. I nomi prefissati esocentrici hanno di norma come base un nome non deverbale (preallarme, preistoria, presalario), mentre le basi dei derivati endocentrici sono in maggioranza deverbali (precompressione, precottura, prelavaggio, prepagamento, preriscaldamento), per essi è ipotizzabile anche la derivazione per suffissazione da verbi prefissati, benché il verbo prefissato corrispondente sia

3.7. Funzioni

semantiche

139

attestato solo per una minoranza di tali nomi. Premesso a nomi che indicano una tendenza artistica o una corrente di pensiero, può indicare la fase che la precede, condividendone alcune caratteristiche identificati ve {preidealismo, preromanticismo). Molto numerose le formazioni con aggettivi di relazione (prebellico, preindustriale, prematrimoniale, preolimpionico, prescolare), spesso in opposizione semantica con i derivati in post-, È presente in numerose parole d'origine latina, alcune delle quali non del tutto motivate per il parlante contemporaneo (precauzione, precetto, precoce, predicare, preferire, prenotare, preoccupare, preparare, prepotente). Ante- è presente in una quindicina di formazioni correnti, ed è di scarsa produttività. Si premette ad aggettivi di relazione (antebellico, antelunare) e a nomi in formazioni esocentriche, dando luogo ad un piccolo numero di aggettivi e nomi invariabili di genere maschile indipendentemente dal genere del nome a cui è premesso (anteguerra, antemarcia). E attestato davanti a verbi solo in parole di origine latina (antecedere, con i derivati antecedente, antecedenza), sono pure di origine latina parole motivate in diverso grado per il parlante comune (antefatto, antemeridiano, antenato). Anti-2 è presente in pochi verbi (e loro derivati) di formazione latina, fra cui anticipare, ed è impiegato in uno scarso numero di formazioni moderne di uso corrente premesso a nomi e ad aggettivi di relazione (antidiluviano, antipasto, antivigilia). Nonostante che i derivati nominali siano esocentrici, il genere di questi nomi è determinato da quello della base, il plurale è quindi regolare. È di scarsa, se non nulla, produttività in questo impiego. Ex- è impiegato produttivamente soprattutto davanti a nomi, in particolare davanti a quelli che designano una carica, un mestiere, un ruolo sociale, per indicarne la cessazione, la perdita (ex-combattente, exministro, exterrorista). Si premette a nomi che denotano una persona o un oggetto concreto per indicare qualcosa che non si ha, non si usa o non si frequenta più, qualcuno con il quale non si hanno più determinate relazioni (un ex-amico, la mia ex-automobile, la excasa di Carlo, un ex-giocatore della Roma). Può essere usato davanti a sigle, nomi propri, composti e anche a sintagmi nominali (ex-DC, ex Repubblica Democratica Tedesca, ex nave traghetto, ex-capitano del SID)\ il prefisso può fare riferimento sia all'intero sintagma nominale che al solo sostantivo, ad esempio, un ex-giocatore romanista può essere sia un calciatore passato a un'altra squadra ("ex-romanista") sia un calciatore che ha smesso di giocare ("ex-giocatore"). Meno frequente, ma produttivo, l'uso davanti ad aggettivi di relazione (territori ex-italiani, calciatore ex-interista). Avan- si premette a nomi, e forma pochi derivati esocentrici (avanscoperta, avanspettacolo)·, è di scarsa o nulla produttività in questo impiego. Pro- non è produttivo con valore temporale. È presente in verbi (e nei loro derivati) di formazione latina scarsamente motivati, o non motivati per il parlante comune (proclamare, proferire, progettare, pronunziare, propagare). Tra i pochissimi verbi di formazione italiana: procacciare, profilare. 3.7.1.2.2. "Dopo": post-, retro-, sopra-I sovra-, ultra- ci Post- è il prefisso più impiegato di questo gruppo, premesso a nomi forma derivati, prevalentemente di tipo esocentrico, il cui genere è determinato dalla base (postadolescente, postcomunismo, postconsumismo, postriunifìcazioné). Il maggior numero di basi è rappresentato da aggettivi di relazione (postbellico, postelettorale, postoperatorio, postprandiale)·, si premette soprattutto ad aggettivi che si riferiscono a una corrente di pensiero, una ten-

140

3. Prefissazione

denza artistica, un periodo storico (postcrepuscolare, postcristiano, postindustriale, postkantiano, postminimalista, postmoderno, postnucleare). Si contrappone a pre- e a anti-2. È usato produttivamente nella formazione di aggettivi invariabili la cui base è un nome che non ha un aggettivo di relazione corrente o disponibile (specializzazione postdiploma, era postkaraoke, periodo postparto)\ è attestato anche premesso a sigle (scrittore postCCCP), e a cifre (movimenti post-68). È presente in un numero limitato di verbi (e loro derivati) di formazione latina {posporre, posticipare), ma non è produttivo con basi verbali.1 Retro- è usato con valore temporale in pochissime parole, premesso a verbi e ad aggettivi deverbali (retroattivo, retrodatare, retrospettivo). Sopra- (con la variante sovra-) indica posteriorità temporale premesso a un piccolo numero di verbi (sopraggiungere, sopravvenire, sopravvivere). Ultra- premesso ad aggettivi, ha il valore "oltre, al di là" (ultracentenario, ultrasettantenne, ultratrentennale). 3.7.1.2.3. "In mezzo": infra-, inter- ci Inter- è usato per indicare "posizione intermedia nel tempo" in un numero ristretto di formazioni premesso ad aggettivi di relazione, nomi e verbi (intercedere, intercorrere, interglaciale, interludio, interlunio, interregno, interscuola). Infra- esprime il valore temporale "tra, in mezzo", in un numero limitatissimo di parole, tra cui infrasettimanale. Non è produttivo con questo significato. 3.7.1.2.4. "Nuovo": neo- ci Neo-2 premesso produttivamente a nomi che designano una corrente di pensiero, una teoria artistica, una posizione politica, ha i valori "nuovo, ripresa" in numerose formazioni (neoavanguardia, neocattolicesimo, neodarwinismo, neoecologismo, neofascismo, neogarantismo, neorazzismo, neorinascimento, neoscolastica). Per ognuno di questi nomi è attestato o è possibile il nome formato per conversione da un aggettivo (spesso suffissato con -ista) che denota il seguace, il sostenitore di tali teorie o ideologie (neordawinista, neofascista, neoscolastico). Esprime gli stessi valori premesso produttivamente ad aggettivi di relazione (neocrepuscolare, neoindustriale, neoliberale). La relazione morfologica fra aggettivi come neoliberale e nomi derivati come neoliberalismo è problematica: infatti, mentre liberalismo è un derivato di liberale, la parafrasi semantica di neoliberale fa riferimento al neoliberalismo·, dal momento che le regole di derivazione per sottrazione (neoliberalismo —* neoliberale) sono rare e non rispondenti al principio di corrispondenza tra forma e contenuto, si può ipotizzare per forme come neoliberalismo casi di motivazione doppia, considerando cioè possibili sia la struttura [neo- + [liberalismo]n]n sia [[neoliberale]A + -¿.smo]N. Premesso a nomi e ad aggettivi che indicano una condizione, un ruolo sociale, ha il valore "da poco tempo" (neoambasciatore, neocandidato, neodeputato, neogenitore, neonato, neopatentato, neosottosegretario)·, in questa accezione si può premettere anche a sintagmi nomi-

2

li verbo postdatare, attestato in italiano intorno al 1950, è un latinismo accolto in italiano molto probabilmente tramite l'inglese. Sul prefisso neo-, cfr. Rainer 1989b.

3.7. Funzioni

semantiche

141

nali (neo capo della polizia, neo-Ministro degli Esteri)·, si oppone a ex- (neopresidente vs expresidente). Premesso a nomi che indicano popoli, lingue, ha il valore "ultima fase, fase più recente" (neoaramaico, neogreco, neoitaliano). Lo stesso valore si ha in diverse terminologie tecnico-scientifiche (neocorteccia, neoglaciale), in cui può essere usato anche premesso a elementi formativi.

3.7.2. Negazione ci I prefissi che esprimono valori di tipo negativo1 si possono raggruppare in cinque tipi, a seconda della relazione che determinano tra la base e la parola derivata. Distinguiamo quindi i prefissi che esprimono: opposizione, contraddizione, contrarietà, privazione, reversione. I prefissi che esprimono "opposizione" e il prefisso non- che esprime "contraddizione" non sono impiegati con altri significati di tipo negativo. Fra i prefissi che esprimono "opposizione", anti-1 è il prefisso più usato davanti a nomi e ad aggettivi (ma non può essere usato davanti a verbi), mentre contro- si può premettere anche a verbi. Più complessa è la distinzione tra gli impieghi dei prefissi che esprimono "contrarietà", "privazione" e "reversione". Limitandoci agli impieghi produttivi, i prefissi a-, in-2, dis- possono esprimere sia valore contrario sia privativo, i prefissi de-, dis-, s- possono esprimere sia valore privativo sia reversativo. L'impiego dei prefissi nei diversi valori negativi è anche connesso con la categoria delle basi. Il significato di contrarietà, definibile come la relazione tra due elementi tale che la negazione dell'uno non implica l'affermazione dell'altro (es. utile / inutile), viene espresso tipicamente con basi aggettivali, ma anche con verbi non telici, mentre il significato privativo, cioè l'espressione della mancanza o della carenza di quanto denotato dalla base (es. ordine / disordine) richiede tipicamente basi nominali, e quindi in primo luogo sostantivi, ma anche verbi denominali. La differenza di scopus semantico distingue l'impiego con valore privativo da quello con valore reversativo dei prefissi de-, dis-, sdavanti a verbi. La reversione, essendo il processo di ristabilimento delle condizioni precedenti a quelle risultanti da una determinata azione, è espressa con basi verbali. L'azione semantica dei prefissi con valore reversativo riguarda il complesso dell'azione espressa dal verbo, mentre l'impiego con valore privativo ha come scopus semantico il nucleo nominale del verbo, si pensi alla differenza tra stappare nel senso di "togliere il tappo" (valore privativo) e nel senso di "aprire una bottiglia" (valore reversativo), cioè l'azione che ristabilisce le condizioni precedenti all'azione di tappare. Di conseguenza numerosi verbi denominali (es. scartare, sgrassare) possono avere sia interpretazione privativa sia interpretazione reversativa. L'interpretazione privativa è la sola possibile nel caso in cui il verbo non prefissato descriva uno stato intrinseco o una condizione normalmente inalienabile (deteinare, diserbare, sbucciare), ma non tutti i verbi denominali prefissati permettono un'interpretazione privativa (es. sfiorire, non significa "togliere i fiori").

1

Sulla prefissazione negativa, cfr. Tekavòié 1970; 1974-1975. Dedicati al prefisso s-: Devoto 1939, Br0ndal 1940-1941, Marchand 1953, Gatti / Togni 1991, Mayo et al. 1995, Schepping 1996b, Ernst 1997.

142

3.

Prefissazione

3.7.2.1. "Opposizione": anti-1, contra-, contro- ci Anti-1 è usato produttivamente in numerose formazioni, ed esprime due significati principali: un significato antonimico parafrasabile "il contrario di N" (antieroe, antimateria), e un significato antagonistico parafrasabile "contro N" (anticlericale, antifascismo, antinebbia), in cui Ν rappresenta il nome di base o il nucleo nominale dell'aggettivo di relazione. Nel primo significato si premette a nomi, in genere non derivati, per formare parole che denotano caratteristiche opposte o contrarie a quelle espresse dalla base nominale (antiarte, anticinema, anticultura, antidivo, antieroe, antifilm, antilingua, antinarrativa, antistato, antiteatro, antivacanza); ad esempio, un antiromanzo è un romanzo che ha caratteristiche opposte a quelle tipiche di un romanzo tradizionale. In queste formazioni il genere del nome prefissato è determinato da quello del nome di base e il plurale è regolare. Il valore semantico "antonimico" è collegato con quello "antagonistico", rappresentato da nomi come antifascismo, antipapa e aggettivi come anticostituzionale, antimacchia. L'interpretazione semantica antonimica non esclude, infatti, una possibile lettura antagonistica: un antieroe può essere sia la persona che ha caratteristiche opposte a quelle dell'eroe sia colui che si oppone all'eroe; l'antiarte è l'arte con caratteristiche opposte a quelle tipiche dell'arte tradizionale, ma con provvedimento antiarte si intende un provvedimento contrario all'arte. Perché sia possibile passare da un'interpretazione antonimica a una antagonistica è necessario che la parafrasi semantica sia di tipo endocéntrico, "Ν contro Ν", mentre nel caso di parafrasi esocentriche "X contro N" l'interpretazione antagonistica è la sola possibile, come pure nel caso in cui il derivato sia un aggettivo di relazione. Nel secondo significato "contro N" si premette a nomi (anticonsumismo, anticonformismo, anticristo, anticritica, antifascismo, antimarxismo, antipapa, antirealismo, antisemitismo, antiterrorismo) e soprattutto ad aggettivi di relazione riferito al nucleo nominale dell'aggettivo (antiatomico, anticellulitico, anticlericale, anticoncezionale, anticostituzionale, antidemocratico, antidivorzistico, antifamiliare, antinfortunistico, antinucleare, antiparlamentare, antipartitico, antipopolare, antirivoluzionario, antisismico), questo secondo significato, oltre alla semplice opposizione, può comportare l'annullamento o la prevenzione di quanto denotato dal nome di base, ad esempio un massaggio antistress è un massaggio che elimina lo stress, un vaccino antitetanico è un vaccino che previene le conseguenze del tetano. La grande maggioranza dei nomi sono suffissati con -ismo, e di norma a ciascuno di essi corrisponde un aggettivo in -ista (es. anticonformismo / anticonformista, antifascismo / antifascista), che a sua volta può essere usato anche come nome. L'interpretazione semantica dei derivati in -ista è in genere duplice: l'aggettivo antifascista può significare sia "contro chi / ciò che è fascista" sia "contro il fascismo"; in alcune formazioni quest'ultima interpretazione è la sola corrente, ad esempio il significato usuale di antialcolista è "chi è contro l'alcolismo", e non "chi è contro l'alcolista o gli alcolisti". Sono molto numerosi gli aggettivi da basi sostantivali che non hanno un aggettivo di relazione corrente o disponibile (crema antirughe, dispositivo antifurto, faro antinebbia, protezione antigrandine, squadra antidroga). In questo tipo di formazione anti-1 può essere preposto anche a un nome proprio (una legge anti-Berlusconi, la guerra anti-Iraq)', a un nome di origine straniera (antidoping, antiskating)·, a nomi al plurale (provvedimento anti-immigrati)·, a un sintagma nominale (una posizione anti-Presidente della Repubblica, un farmaco anti-fame di dolci). Tra le numerosissime neoformazioni: anticaos, anticarie, anticrisi, antifatica, antifila, antifumo, antifurto, antigelo, anti-invecchiamento, antimacchia, antimafia, antimissile, antinarcos, antineri, antisfonda-

3.7. Funzioni semantiche

143

mento, antisofisticazione, antistress, antiterrorismo, antitruffa, antiurto, antivirus. Si può premettere anche ad aggettivi deverbali (antiabbagliante, antiappannante, anticoagulante, anticongelante, antinnovativo), tale valore si riferisce al nomen actionis del verbo, es. anticongelante "contro il congelamento". Esistono casi di formazioni parallele che formano coppie sinonimiche generate da basi nominali e aggettivali, ad esempio antiblocco / antibloccante, anti-Gorbaciov / anti-gorbacioviano, antimissile / antimissilistico, antisdrucciolo / antisdrucciolevole. Contro- premesso produttivamente a nomi, indica azione contraria dello stesso tipo (contrattacco, controffensiva, controquerela, controriforma, controspionaggio). Dal significato principale derivano quelli di "annullamento, modificazione" (contrordine), "verifica, riscontro" (contromarca, controprova), "scambio, sostituzione" (controfigura), e quello più diffuso e produttivo di "tendenza, posizione contraria a quella ufficiale, dominante" (controcultura, controinformazione, contropotere). Forma produttivamente aggettivi da basi sostantivali che non hanno un aggettivo di relazione corrente o disponibile (contraereo, controcarro) con funzione analoga al più usato anti-1. Si premette produttivamente a verbi, in genere per esprimere un'azione che ha lo scopo di opporsi, ribaltandone i risultati, a quella indicata dal verbo di base (controbattere, controindicare)·, da questo significato si può sviluppare il valore di "reciprocità" (controbilanciare). Poche le basi costituite da aggettivi o da aggettivi di relazione (controfattuale, controrivoluzionario). Contra- ha significato e impieghi analoghi a contro-. Non è produttivo, ma è presente in più di un centinaio di parole di origine latina o di formazione italiana (contrabbando, contrabbasso, contraccambiare, contraccolpo, contraddire, contraffare, contrassegno, contrattempo).

3.7.2.2. "Contraddizione": non- a La negazione contraddittoria è una relazione tra due elementi tale che la negazione dell'uno implica l'affermazione dell'altro in un rapporto di mutua esclusione. Non- è l'unico prefisso che esprime tale relazione, si premette principalmente a nomi di azione o di qualità, ma anche a nomi di agente (non-belligeranza, nonconformismo, non-docente, nonesistenza, non-intervento, non-menzione, non-residente, nonsenso).1 Premesso a nomi concreti, può designare un oggetto, una sostanza che ha alcune caratteristiche simili a quelle indicate dal nome di base, ma diversa composizione (non-metallo, non-sapone, non-tessuto). Premesso a nomi astratti, può indicare un qualcosa caratterizzato dall'assenza di alcune sue caratteristiche prototipiche (un non-film, una non-storia), con significato simile al valore antonimico di anti-1.

3.7.2.3. "Contrarietà": a-, dis-, in-2, mis-, s- ci In-1 esprime il valore "contrarietà" premesso produttivamente a numerosi aggettivi (illegittimo, illimitato, illogico, imbattibile, immobile, implausibile, incapace, incerto, incompleto,

Ha valore eufemistico in alcune neoformazioni, come non deambulante, non udente, non vedente, esprimendo al contempo il proprio valore fondamentale di negazione contraddittoria.

144

3.

Prefissazione

indeciso, indegno, indisboscabile, indiscutibile, indisgiungibile, inefficace, inesistente, inespresso, infedele, ingiusto, insalubre, intrasportabile, irrazionale, irriverente, irriferito). In alcune formazioni (es. immancabile, infaticabile) la base non è una parola usuale o attestata dai dizionari, ma è comunque una parola possibile (cfr. 4.3.3.). Si usa molto raramente premesso a nomi (illiceità, insuccesso, irrealtà), tanto da far dubitare che si tratti di un vero e proprio processo derivazionale; i numerosi nomi in -ione e -(z)a (impreparazione, inadempienza, incompetenza, insoddisfazione) sono riconducibili ai corrispettivi aggettivi in -nte o in -to, mentre sono di origine latina nomi come incuria, inedia, inimicizia, insipienza. Non si premette a verbi: formazioni come immobilizzare, inutilizzare, sono il risultato della suffissazione di aggettivi prefissati. A- è impiegato produttivamente in un numero limitato di formazioni premesso ad aggettivi di relazione (acattolico, aconfessionale, acomunista, apartitico, apolitico), dal momento che si tratta di aggettivi denominali, non è sempre possibile distinguere il significato di contrarietà da quello di privazione. Dal confronto degli aggettivi prefissati con a- (es. amorale, areligioso) con le formazioni corradicali con anti-1 e in-2 (antireligioso, immorale), si nota che le formazioni con a- tendono verso una negazione di tipo complementare, in una relazione tale per cui la negazione implica l'asserzione del termine non prefissato (e viceversa) in un universo semantico di tipo dicotomico. Di qui l'assenza di sfumature connotative dei prefissati con a- rispetto a quelli con anti-1 e in-2, i quali ultimi sono usati per esprimere rispettivamente contrasto e una connotazione avversativa. Questa specializzazione di senso è confermata anche nelle neoformazioni: si confronti alegale con illegale. Non si premette a verbi; i pochi esempi attestati sono frutto della suffissazione di aggettivi prefissati {anestetizzare, asettizzare, atrofizzare). Dis- si premette produttivamente ad aggettivi (disabitato, disadorno, disagevole, disattento, disavveduto, discontinuo, disonesto, disumano), le neoformazioni aggettivali non sono numerose (disabile, disadattato, disalienante), in questo uso gli è infatti preferito in-2, ma sono possibili anche coppie sinonimiche o quasi sinonimiche derivate con i due prefissi dalle stesse basi (disabitato / inabitato, disumano / inumano). Si premette produttivamente a verbi non telici non perfettivi (disapprovare, disattendere, disinteressarsi, disobbedire).1 S- si premette con valore di negazione contraria a una dozzina di aggettivi (scomodo, scontento, scorretto, scortese, sfavorevole, sgradevole, sleale, spiacevole). Non è più produttivo in questo impiego. Mis- esprime valore contrario con connotazione peggiorativa in un ristretto numero di formazioni per lo più di origine francese, le più diffuse delle quali sono misconoscere, miscredente, misfatto, misleale. Le rare neoformazioni sono dovute all'influsso dei termini analogamente prefissati in lingue straniere moderne (miscalcolare, misinterpretare).2

3.7.2.4. "Privazione": a-, de-, di-, dis-, e-les-, in-2, s- ci I derivati con significato privativo esprimono la mancanza o la carenza di quanto denotato dalla parola di base, di conseguenza possono veicolare una connotazione peggiorativa.

2

Le formazioni di questo tipo sono di numero minore rispetto a quelle di valore reversativo, che hanno invece come basi verbi trasformativi e risultativi, cfr. 3.7.2.5. Su mis-, cfr. Staaff 1927, Meier 1980.

3.7. Funzioni

semantiche

145

De- ha significato privativo in numerosi derivati, la maggior parte di recente formazione, premesso a verbi denominali attestati o possibili (decaffeinare, decongestionare, defogliare, dequalificare, detassare). Ha valore e funzioni analoghi a quelli di s-, esistono quindi formazioni parallele (degusciare / sgusciare, demagliare / smagliare), in queste coppie i derivati con de- appartengono di norma a un registro più elevato o a un ambito tecnicoscientifico; sono possibili specializzazioni semantiche (cfr. defogliare / sfogliare). Sono riconducibili a verbi possibili ma non attestati anche un piccolo numero di aggettivi, quali decerato, deteinato (cfr. 4.3.1.)· Sono di origine latina un limitatissimo numero di aggettivi denominali (deforme, demente). Di- è la variante di tradizione diretta del prefisso de-. È presente in alcuni verbi di formazione latina (discendere, disperare). Non è produttivo; in italiano è stato impiegato con valore privativo nella formazione di un piccolo numero di verbi con base sostantivale di cui non è attestato il verbo non prefissato (diraspare, dirozzare, dirugginire). Dis- premesso produttivamente a nomi, esprime i valori "privazione, mancanza" (disaccordo, disagio, disamore, discredito, disgrazia, dislivello, disonore, disordine, disuguaglianza, disunità); in casi come disillusione, disinteresse non è sempre possibile decidere se si tratti della prefissazione di nomi o della derivazione di verbi prefissati. Si premette produttivamente a verbi denominali, per lo più possibili ma non attestati (disalberare, diserbare, disossare, dissalare, dissanguare)', tra i verbi che permettono sia interpretazione privativa sia reversativa: disarmare, disossidare, dissellare. S- si premette produttivamente a verbi denominali attestati (smacchiare, smascherare, stappare) o possibili ma non attestati (sbarbare, sbucciare, scortecciare, smembrare, spellare), numerosi anche i casi di formazione per sostituzione di prefisso a partire da verbi parasintetici (schiodare, sterrare, svitare); nei casi di verbi di base attestati (denominali formati per conversione o parasintetici) è possibile anche un'interpretazione reversativa. Premesso a nomi, ha valore privativo con connotazione peggiorativa in un ristretto numero di formazioni (sfiducia, sfortuna, sproporzione, sventura); in aggettivi come sfortunato, smisurato, screanzato, il prefisso esprime valore privativo se riferito al nucleo nominale ("privo di fortuna"), valore contrario se riferito all'aggettivo suffissato ("non fortunato"). Ha valore peggiorativo premesso a verbi in un ristretto numero di formazioni (sgovernare, sparlare, sragionare, svendere). E-les- esprime valore privativo in verbi denominali di origine latina (enervare, eradicare, evirare). E impiegato produttivamente, premesso a nomi e ad aggettivi di relazione, solo in termini di ambito tecnico-scientifico (evertebrato). A- ha significato privativo premesso ad aggettivi di relazione la cui base è costituita nella generalità dei casi da un nome astratto (acritico, adimensionale, asessuale, asistematico, atemporale); è usato, in un numero minore di formazioni, anche premesso a nomi (asimmetria), e ad aggettivi (atossico). In-2: i derivati con valore privativo si contano sulla punta delle dita di una mano (incultura, inesperienza). Esprimono valore privativo anche i nomi derivati tramite suffissazione da aggettivi prefissati in cui il prefisso esprime valore contrario (incertezza, insicurezza). Ha valore privativo anche in alcuni aggettivi denominali di formazione latina (imberbe, implume, incolore, incoloro, inerme, inerte, inodore, inodoro, insapore, insaporo), cft. 4.3.3.

146

3.

Prefissazione

3.7.2.5. "Reversione": de-, dis-, s- a La reversione è la possibilità di ristabilire le condizioni precedenti a quelle risultanti da un'azione determinata. Se il risultato dell'azione può essere visto come l'entrata in uno stato, la reversione può essere vista come l'uscita da quel determinato stato: non a caso i prefissi che esprimono la reversione sono gli stessi che esprimono significati locativi di separazione e allontanamento. Il rapporto reversativo può esser indicato anche da un'opposizione lessicale (es. entrare / uscire), ma è tramite la prefissazione che è più tipicamente espresso, anche perché in questo caso è chiaramente segnalata la relazione tra i due verbi: il verbo non prefissato esprime l'azione che porta a uno stato risultante, il verbo prefissato invece indica l'azione reversativa (es. fare / disfare), mentre in coppie come entrare / uscire la relazione di reversione non è necessariamente orientata, anche se la tendenza è quella di considerare il verbo avente polarità positiva come basilare e quello con polarità negativa come reversativo. L'azione reversativa non implica necessariamente lo svolgimento all'inverso dell'azione di cui annulla gli effetti: se, per esempio, l'azione di slegare può essere svolta con un processo all'inverso di quella di legare, non è lo stesso per quella di disincrostare rispetto ad incrostare. I prefissi reversativi hanno di norma come basi verbi che indicano un processo telico: perché si possa avere un'azione reversativa occorre che il verbo di base descriva il raggiungimento di uno stato, con la restrizione ulteriore che possano essere ristabilite le condizioni precedenti (non sono, ad esempio, possibili formazioni come *dismorire); costituiscono casi marginali verbi che descrivono processi durativi non telici (es. crescere / decrescere). La stretta relazione fra il verbo di base e il prefissato con valore reversativo favorisce le formazioni con sostituzione di prefisso, soprattutto nel caso dei derivati con s- (scoraggiare vs incoraggiare, sparire vs apparire), ma anche, seppure in un minor numero di casi, nei derivati con de- e con dis- (decelerare vs accelerare, decentrare vs accentrare-, dissetare vs assetare, districare vs intricare). S- esprime produttivamente valore reversativo in numerosi verbi (sbloccare, sburocratizzare, scaricare, scongelare, scristianizzare, scucire, sgonfiare, slegare, smagnetizzare, smitizzare, spettinare, sprovincializzare, svestire). Molto numerose le formazioni con sostituzione di prefisso, specialmente a partire da verbi parasintetici (sbottonare vs abbottonare, scatenare vs incatenare, scartare vs incartare, schiodare vs inchiodare, scorporare vs incorporare, screditare vs accreditare, sganciare vs agganciare, sgrassare vs ingrassare, spolverare vs impolverare, srotolare vs arrotolare, staccare vs attaccare, svitare vs avvitare). De- ha valore reversativo in numerosi verbi {decodificare, decomporre, decomprimere, decongelare, decontaminare, demilitarizzare, denasalizzare, depolarizzare, destabilizzare), la sua produttività è nettamente cresciuta a partire dal secondo dopoguerra, specialmente davanti a verbi suffissati con -izzare (decontestualizzare, deresponsabilizzare), tanto che Dardano 1978, 132-133 considera un evento centrale della formazione delle parole dell'italiano contemporaneo lo sviluppo del microsistema che vede il verbo prefissato con de-, con valore reversativo, ad esempio demagnetizzare, come fase intermedia fra l'azione espressa dal verbo di base (magnetizzare) e la sua ripetizione o ristabilimento (rimagnetizzare). La stretta relazione fra i verbi in -izzare e i derivati in -zione fa sì che siano attestati nomi deverbali prefissati con de- senza che sia necessariamente attestato il verbo prefissato corrispondente; le neoformazioni sono molto numerose (tra queste: denuclearizzare, depe-

3.7. Funzioni

semantiche

147

nalizzare, deprogrammare, deregolamentare, de ritualizzare, desacralizzare, descolarizzare) e molte delle lacune accidentali tendono a colmarsi. Dis- esprime produttivamente valore reversativo premesso a verbi (disatomizzare, disconnettere, diserotizzare, disfare, disidratare, disincentivare, disinquinare disossidare, disseppellire, disunire).

3.7.3. Alterazione: valori dimensionali e valutativi a L'alterazione può essere espressa tramite l'affissazione per mezzo sia di prefissi sia di suffissi (cfr. 5.1.1.7. e 5.2.3.), ma anche con altri procedimenti non affissali, quali l'uso di avverbi (es. molto, poco ecc.) e la ripetizione (es. piccolo piccolo, vicino vicino).11 prefissi con valore alterativo possono modificare la parola di base secondo due polarità: una positiva tendente verso l'accrescimento, e una negativa tendente verso la diminuzione. I limiti dell'intensificazione sono costituiti nel polo positivo dal grado superlativo che può sconfinare nell'eccesso, mentre il limite della diminuzione è la negazione. Sebbene l'alterazione non modifichi sostanzialmente la semantica della base, le relazioni fra prefissi e basi hanno un certo livello di complessità. Da un lato i tratti semantici della base determinano quali caratteristiche siano modificate dal prefisso alterativo: ad esempio, se la base denota un oggetto concreto, allora il prefisso modifica le dimensioni, se invece denota una proprietà allora il prefisso modifica l'intensità della proprietà, se un evento, allora il prefisso può modificare l'intensità, la qualità o la durata dello stesso. Dall'altro lato vi sono prefissi che fanno riferimento solo a valori quantitativi (es. maxi-), altri solo a valori qualitativi (es. extra-), altri ancora, pur potendo modificare le dimensioni quantitative e i tratti qualitativi, svolgono primariamente una funzione piuttosto che l'altra (es. super- primariamente qualitativo, mega- primariamente quantitativo). Per quanto riguarda le categorie sintattiche delle basi, gli aggettivi sono la categoria che si presta meglio alla graduazione; sono quindi numerosi i prefissi alterativi che si possono premettere ad aggettivi (arci-, extra-, iper-, ipo-, para-, semi-, sotto-, stra-, sub-, super-, ultra-).2 I nomi costituiscono la categoria che intrattiene le relazioni più complesse con i prefissi alterativi. Si possono distinguere due gruppi principali: i nomi di cui può essere alterata la dimensione del referente (es. minigonna), e quelli di cui possono essere alterati alcuni tratti delle qualità che li caratterizzano (es. supereroe), ma vi sono anche casi in cui entrambe le funzioni possono essere presenti in una stessa parola prefissata (es. megaconvegno, miniriforma). I prefissi alterativi si premettono di norma a verbi durativi non telici, preferibilmente a verbi continuativi, che esprimono cioè azioni durative ateliche (sovrastimare, sottovalutare, ribollire), ma si possono premettere anche a verbi stativi (risapere, 1

2

Intendiamo per alterazione l'espressione di valori sia dimensionali che valutativi. Sull'intensificazione in italiano cfr. Rainer 1983a, Sabetay-Schapira 1980; sui prefissi valutativi Grandi 2002, 192-208. Lavori dedicati a un particolare prefisso sono: Ageno 1950, Avalle 1979, De Boer in stampa, Fabi 1968, Haller 1988, Migliorini 1963 3 e, Zingarelli 1975. Gli aggettivi alterabili sono di norma quelli qualificativi; costituiscono una piccola eccezione gli aggettivi che fanno riferimento a movimenti politici, religiosi, artistici, i quali pur esprimendo valori relazionali (e quindi non essendo di norma graduabili) possono essere prefissati con super-, ultra-, iper-.

148

3. Preflssazione

sovrabbondare), solo raramente a verbi risultativi (iperridurre, sovrasfruttar e). Perché un verbo possa essere prefissato con alterativi, deve avere aspetto durativo; il prefisso influisce sulla realizzazione del processo o, più raramente, sullo stato, non è dunque possibile impiegare prefissi alterativi con verbi che esprimono eventi puntuali, che si producono cioè senza lo svolgimento di un processo (es. apparire, scoppiare, smettere). In nessun caso i prefissi alterativi modificano la struttura argomentale della base. Rispetto a quelli che si premettono a basi nominali e aggettivali, i prefissi alterativi che si combinano con verbi sono una minoranza (intra-, iper-, sopra-, sotto-, stra-, super-, sur-), e il numero di formazioni a cui danno vita è piuttosto ridotto. La somiglianza degli avverbi di modo o maniera con gli aggettivi fa sì che talvolta possano essere prefissati con alterativi, sono preferiti i prefissi accrescitivi a quelli diminutivi (in particolare iper-, stra-, super-, ultra-: superbene). I prefissi accrescitivi sono di numero maggiore rispetto a quelli diminutivi. Fra gli accrescitivi si possono distinguere due livelli di intensità, quello alto (espresso dai prefissi macro-, maxi-, mega-, ri-, sopra-, stra-, super-, sur-) e quello massimo (espresso dai prefissi arci-, extra-, iper-, ultra-). Fra prefissi di una stessa polarità e livello di intensità vi sono numerose relazioni di sinonimia nell'uso comune della lingua, mentre gli impieghi in linguaggi tecnico-scientifici di alcuni di essi comportano specializzazioni di senso, e più precise relazioni semantiche (ad esempio mega-, nella terminologia delle unità di misura, esprime il valore "moltiplicato per un milione": megabyte, megahertz, nella terminologia della medicina, può significare "sviluppo superiore al normale")- Molti prefissi con valore alterativo traggono il loro significato da una reinterpretazione metaforica dell'originale valore locativo che identifica la posizione superiore con l'intensificazione e quella inferiore con la diminuzione (solo i prefissi macro-, maxi-, mega-, micro-, mini-, semi- non hanno origine da valori locativi). I prefissi alterativi sono quelli che hanno avuto un maggiore apporto di nuovi elementi rispetto alle (scarse) possibilità di prefissazione alterativa della lingua latina, e un maggiore ricambio all'interno della storia della lingua italiana rispetto agli altri prefissi. Alcuni prefissi alterativi sono usati solo a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo (maxi-, mega-, mini-), altri, usati nell'italiano trecentesco (oltre-, per-, tra-), non sono più produttivi. L'utilizzo di prefissi alterativi è un procedimento che ha vissuto una forte espansione nel corso del ventesimo secolo, ne è esempio la diffusione nell'uso di super-, già attestato in latino come prefisso alterativo, ma che ha avuto una fortuna internazionale in seguito al calco semantico del termine nietzschiano Übermensch; si veda al riguardo Migliorini, 19633e, dove si mostra come la diffusione nell'uso dei prefissi alterativi nel Novecento ha avuto come punto di partenza termini di ambito tecnicoscientifico e letterario, per poi diffondersi nei mass media attraverso il linguaggio pubblicitario. Nonostante l'utilizzo in molti termini di uso comune, i prefissi di origine greca (iper-, macro-, mega-, micro-, para-) sono usati in un minor numero di neoformazioni correnti rispetto a quelli di origine latina, mentre sono più impiegati in termini di ambito tecnicoscientifico, anche in combinazione con elementi formativi di tipo lessicale. Abbiamo scelto di trattare i prefissi alterativi separando gli usi dimensionali (grandezza e quantità) da quelli qualitativi, e distinguendo all'interno di ciascun gruppo i valori accrescitivi da quelli diminutivi. A differenza degli altri raggruppamenti semantici, non abbiamo potuto basare le stime valutative sull'impiego dei prefissi alterativi su dati tratti da inventari lessicografici per la ragione che solo una piccola parte delle parole alterate sono lemmatizzate dai dizionari; per valutare l'estensione d'uso e la produttività dei prefissi alterativi,

3.7. Funzioni

semantiche

149

abbiamo quindi fatto ricorso a corpora formati principalmente da linguaggio giornalistico scritto.

3.7.3.1.

Grandezza e quantità ci

L'espressione di grandezza e di quantità richiede tipicamente come base un nome concreto graduabile non animato. Fra i prefissi accrescitivi è più chiara la distinzione fra grandezza e quantità, mentre i diminutivi formano derivati che esprimono principalmente grandezza minore, e solo marginalmente quantità. 3.7.3.1.1. "Grandezza e quantità maggiore": iper-, macro-, maxi-, mega-, sopra-/sovra-, super- ci Tra i prefissi che esprimono grandezza o quantità maggiore non sempre è possibile stabilire un preciso ordine gerarchico. In diversi contesti i vari prefissi sono sinonimi. Se usati in contesti oppositivi, quello che esprime grado più alto è iper-, mentre maxi- può indicare grandezza o quantità maggiore di quella espressa da super-, si pensi alla serie ipermercato, maximercato, supermercato. Maxi- e macro- indicano esclusivamente valori quantitativi (e non qualitativi), mega- prevalentemente valori quantitativi, iper-, super- e sopra- prevalentemente qualitativi. Maxi- è il prefisso più impiegato per esprimere grandezza o quantità maggiore (maxicamion, maxiconcorso, maxicono, maxidiscoteca, maxigonna, maxiingorgo, maximoto, maxirissa, maxischermo, maxisconto, maxisequestro, maxitangente), è attestato anche premesso a sintagmi nominali (maxi-aumento di capitale). Il valore intensificativo di maxi- può fare riferimento solo a valori riguardanti le dimensioni e la quantità di quanto denominato dal nome a cui si premette, e in ciò si distingue da super-, che è invece usato di preferenza per indicare l'accrescimento qualitativo; un esempio di tale specializzazione funzionale e semantica si ha in espressioni come maxiprocesso con supertesti, che non sarebbe possibile con prefissi invertiti (superprocesso con maxitesti, cfir. Haller 1988, 87). Mega- indica grandezza superiore al normale (più che quantità) in un discreto numero di formazioni (megaapparato, megadepuratore, megastadio, megatelevisore)', è attestato anche davanti a sintagmi nominali (megacasa editrice, mega-agglomerato urbano, megaparco archeologico). E impiegato in terminologie tecnico-scientifiche anche con significati specifici. Macro- indica grandezza superiore al normale (non quantità) in un numero limitato di formazioni nominali (macrofoto grafia, macrosisma). Il suo impiego principale è quello di indicare un insieme di elementi considerati nel loro complesso (macrocosmo, macroeconomia, macrosistema)-, in diverse formazioni si contrappone a micro- (macrocosmo vs microcosmo, macrostruttura vs microstruttura). E impiegato in terminologie tecnicoscientifiche anche con significati specifici. 1

La forma accorciata macro è impiegata anche come nome femminile invariabile con il significato "macrofotografìa", e, più recentemente, nella terminologia informatica, con il significato "macroistruzione".

150

3. Prefissazione

Iper-, premesso a nomi, indica quantità superiore al normale più che grandezza; può talvolta esprimere eccesso, e di conseguenza assumere una connotazione negativa (iperalimentazione, iperdosaggio, ipernutrizione, ipertensione). E impiegato in terminologie tecnico-scientifiche anche con significati specifici. Super- indica grandezza maggiore in pochi derivati (superbombardiere, supercinema, supermercato). Anche premesso a nomi concreti tende a fare riferimento a caratteristiche qualitative piuttosto che quantitative (cfr. supercarcere, che significa "carcere estremamente sicuro", non "carcere molto grande"). È usato sporadicamente con il valore di "eccesso" (superaffollamento, superallenamento), o di "eccezionalità, episodicità" (superbollo). È impiegato in terminologie tecnico-scientifiche anche con significati specifici. Sopra- (con la variante sovra-) indica quantità maggiore (non dimensioni) a cui spesso si accompagna l'idea di "eccesso, superamento di un limite" (soprannumero, sovraccarico, sovrappeso), o anche di "aggiunta, supplemento" (soprammercato, soprannome, soprappaga, soprattassa). 3.7.3.1.2. "Grandezza e quantità minore": micro-, mini-, sotto-, sub- a I prefissi più usati per esprimere valori dimensionali di grado minore sono micro- e mini-. Il primo può esprimere una grandezza inferiore rispetto a mini-, che si usa di preferenza in parole di uso corrente, mentre la provenienza di micro- dalle terminologie tecnicoscientifiche fa sì che sia più usato davanti a sostantivi che denominano oggetti tecnologici o meccanici. Entrambi i prefissi fanno di norma riferimento alle dimensioni fisiche e non alla quantità di quanto indicato dal nome di base. Il concetto di quantità inferiore al normale può essere marginalmente espresso da sotto-. Secondo Grandi 2002, 196 i prefissi diminutivi fanno di norma riferimento alle dimensioni fisiche senza implicare particolari connotazioni affettive, distinguendosi in ciò dai suffissi diminutivi, tramite i quali è invece possibile esprimere una maggiore risonanza emotiva. Mini- si premette produttivamente a nomi per indicare grandezza minore, in numerosissime formazioni (miniabito, miniappartamento, minibasket, minibikini, minibus, minicorteo, minigolf, minilavatrice, minisopravveste, minisottomarino, minispazzolino, minitelevisore, minitennis)·, si può premettere anche a basi con suffisso diminutivo, più o meno lessicalizzate (minibicchierino, minitelefonino, minivilletta), e a sintagmi nominali (minimacchina da cucire, miniscala mobile, mini-serie televisiva). Esprime valore temporale in minicorso, minidiscorso, minivacanza; in minibandito e miniscippatore il prefisso fa riferimento alla giovane età del criminale. E marginalmente impiegato per indicare "qualità minore", "importanza secondaria" (minirecord, miniriforma, mini-rimpasto governativo, miniscissione). Si oppone semanticamente a maxi-; frequenti, nel linguaggio giornalistico e pubblicitario, le locuzioni che utilizzano la funzione contrastiva dei due prefissi. Micro- si premette produttivamente a numerosi nomi (microcamera, microcassetta, microfilm, microillegalità, microimpresa, micromotore, microrganismo, microprocessore, microregistratore, microsolco, microspia, microtelecamera). In parole come microchirurgia, microbiologia, il prefisso non ha l'usuale funzione di alterare le dimensioni del referente del nome a cui si premette, quanto piuttosto quello dell'oggetto di studio della disciplina in questione; il fenomeno appare in tutta la sua evidenza nei nomi che individuano gli specialisti delle rispettive discipline: un microbiologo non è infatti un biologo molto pie-

3.7. Funzioni

semantiche

151

colo. Si contrappone a macro-. È impiegato in terminologie tecnico-scientifiche anche con significati specifici. Sub- in un piccolo numero di formazioni di ambito tecnico-scientifico, indica dimensioni inferiori a quelle indicate dall'aggettivo denominale a cui si premette (submicroscopico). Sotto- premesso produttivamente a verbi e a nomi deverbali, può indicare quantità inferiore al normale (sottoesporre, sottopagare·, sottoalimentazione, sottoproduzione).

3.7.3.2.

Qualità a

L'alterazione qualitativa ha come base tipicamente aggettivi, ma può riguardare anche nomi e verbi. Nella gradazione positiva, le formazioni prefissate riguardano tutte o alcune delle qualità espresse dalla base, in quella negativa di norma tutte. 3.7.3.2.1. "Qualità maggiore": arci-, extra-, iper-, mega-, sopra-Isovra-, stra-, super-, sur-, ultra- (archi-, oltre-, per-, pre-, ri-, sor-, tra-) a Nell'intensificazione qualitativa si possono esprimere due livelli: il livello alto (tramite i prefissi mega-, sopra-, stra-, super-, sur-) e l'intensificazione massima (tramite i prefissi arci-, extra-, iper-, ultra-)·, vi sono poi alcuni prefissi non più usati produttivamente con funzione intensificativa (oltre-, per-, pre-, ri-, sor-, tra-). Sebbene non esprima il più alto grado di intensificazione, è super- il prefisso più usato di questo gruppo. I prefissi iper-, mega-, sopra-, super- possono alterare sia valori quantitativi sia qualitativi, mentre i prefissi arci-, extra-, stra-, sur-, ultra- intensificano di norma solo valori qualitativi. I prefissi arci-, iper-, stra-, sur- e sopra- sono i più impiegati per indicare eccesso e talvolta coloritura negativa. Iper- si premette produttivamente ad aggettivi (ipercritico, iperdotato, ipereccitabile, ipernutrito, iperpresidenzialista, ipersensibile) e meno frequentemente a nomi (iperinflazione, iperspecialismo, iperrealismo), in entrambe le costruzioni può esprimere una connotazione di eccesso (iperberlusconizzato)·, può essere premesso anche ad aggettivi derivati da nomi propri per indicare un seguace entusiasta (iperdalemiano). I verbi attestati sono molto pochi (iperalimentare, ipernutrire, ipersostentare, ipervalutare). La scarsità degli esempi e il tipo di basi (che possono far pensare a retroformazioni da prefissati nominali, cfr. ipernutrizione, ipervalutazione) non permettono di affermare che la prefissazione verbale sia, allo stato attuale, un processo derivazionale produttivo e regolare, anche se è plausibile una sua diffusione nell'uso. Arci- si premette produttivamente ad aggettivi e, occasionalmente, a nomi (arciconvinto, arcinoto, arcioccasione, arcistufo)·, in alcuni casi può assumere connotazione ironica o spregiativa (arcicattolico, arciprudente). Le neoformazioni sono poche. Non è più usato produttivamente con verbi o avverbi (arcicredere, arcicerto). Extra- si premette produttivamente ad aggettivi (extrapiatto, extrarapido, extrasensibile, extrasottile, extravergine). Ultra-, originariamente premesso ad aggettivi di ambito politico-ideologico (ultraclericale, ultraortodosso), si è esteso largamente anche in altri ambiti (ultracivilizzato, ultracomico, ultraintensivo, ultramoderno, ultrapenetrante, ultrapotente, ultrarapido, ultrasensi-

152

3.

Prefissazione

bile, ultrasuscettibile). È talvolta usato anche davanti a nomi (ultracontestazione, ultrasinistra). Super- si premette produttivamente a nomi, aggettivi, verbi. Le basi nominali e aggettivali sono numerose (supercarburante, supercentrifuga, superconsulente, supereroe, superlatitante, supermercato, superpotenza, superstrada, supertestimone, superuomo, supervigile; superaccessoriato, superdissetante, superdotato, superimbottito, superprotetto, supersexy, supervitaminizzato).1 I verbi prefissati con super- sono pochi, tra essi supercaratterizzare, superpagare. È raramente usato con valore ironico o spregiativo e solo sporadicamente può indicare "eccesso". Mega- si premette produttivamente a nomi; è attestato in un numero ridotto di derivati in cui non è sempre possibile distinguere l'intensificazione qualitativa da quella quantitativa {megaconcerto, megacomputer, megaconvegno, megadirigente). Stra- si premette produttivamente ad aggettivi e a verbi (strabello, strabuono, stracolmo, stragrande, strapieno, straricco, stravecchio-, stragodere, stralodare, stramaledire, stravincere). Solo sporadicamente è usato davanti a nomi (stracittà, strapaese), e ancor più raramente ad avverbi (strabene). Esprime il valore di "eccesso, superamento di un limite", premesso a verbi (strafare, strapagare, straparlare) e ad aggettivi (stracarico, strapieno). Sopra- (con la variante sovra-) premesso a verbi, indica "eccesso, superamento di un limite" (sopravvalutare, sovrabbondare, sovraccaricare, sovreccitare). Non è più produttivo davanti ad aggettivi (un tipo di formazione molto diffuso nei primi secoli dell'italiano, cfr. Ageno 1950); rimangono nell'uso poche formazioni, fra cui sopracuto, sopraffino. Sur- indica "intensificazione" e spesso "grado eccessivo", premesso a verbi e a nomi (specialmente deverbali) di formazione recente, in gran parte prestiti dal francese (suralimentazione, surclassare, surcompressione, surcontrare, surgelare, surrealismo, surriscaldare, survoltare). È scarsamente produttivo. Ri- esprime valore intensificativo in un numero ristretto di verbi (ribollire, ricercare, riempire, ripulire, riscaldare), si tratta di un uso improduttivo. I verbi con valore intensificativo permettono di norma anche l'interpretazione iterativa (es. ricercare "cercare attentamente" / "cercare di nuovo", richiedere "chiedere insistentemente" / "chiedere di nuovo"). I prefissi pre- e per- esprimono valore intensificativo in diversi verbi di uso comune di origine latina o ispirati a tale modello (percepire, prediligere, prescegliere, prevalere). I prefissi oltre-, sor- e tra- non sono più usati produttivamente con valore intensificativo, e i loro derivati (oltremirabile, oltrepossente, sorbello, sorgrande, tracapace, trafreddo) sono ormai obsoleti. Ricordiamo qui anche archi- presente in nomi e aggettivi di formazione greca e latina, scarsamente motivati, o non motivati, per il parlante comune, in cui indica "superiorità, grado più alto, comando" (archiatra, architetto). Non è produttivo nella lingua comune; fra le pochissime formazioni italiane: archicembalo, archidiocesi, forse architrave. È impiegato in terminologie tecnico-scientifiche con il valore "primitivo, primario", in senso cronologico o filogenetico (archianellide, archipallio). 1

Come osserva Rainer 1993a, 371, super- tende a fare riferimento ai tratti positivi presenti nel nome, ma per sapere quale sia la qualità intensificata dal prefisso bisogna spesso fare ricorso a conoscenze enciclopediche, cfr. superprezzo "prezzo molto basso" visto dalla parte di chi compra, "prezzo molto alto" visto dalla parte di chi vende.

3.7. Funzioni semantiche 3.7.3.2.2. "Qualità minore": bis-, fra-, infra-, intra-, ipo-,para-,

153 semi-, so-, sotto-, sub-

a

Sotto- è usato produttivamente in numerose parole, in cui può assumere anche connotazioni svalutative. Si premette a nomi, a verbi e ad aggettivi participiali senza che il verbo corrispondente sia sempre attestato o plausibile (sottoccupazione, sottocultura, sottodimensionamento, sottogoverno, sottoprodotto·, sottostimare, sottovalutare-, sottoalfabetizzato, sottoccupato, sottosviluppato). Semi- a partire dal significato etimologico "metà, mezzo", presente in parole come semicerchio, semitappa, è impiegato produttivamente, con valore attenuativo, premesso a nomi (semiconduttore, semidio, semilibertà, semioccupato, semiperiferia, semivocale) e ad aggettivi. Premesso ad aggettivi, indica il grado intermedio della qualità espressa (semiacerbo, semianalfabeta, semiautomatico, semifluido, semipieno)·, premesso ad aggettivi participiali indica il mancato raggiungimento dello stato indicato dall'aggettivo (semidistrutto, semiprecluso, semiraffinato). È sporadicamente attestato davanti a verbi usati quasi esclusivamente all'infinito (semiconvincere, seminascondere), si tratta di parole che possono essere plausibilmente considerate retroformazioni a partire dalle forme prefissate dei rispettivi aggettivi participiali (semiconvinto, seminascosto). Sub- si premette produttivamente ad aggettivi e in minor misura a nomi per indicare "grado o livello inferiore alla norma" (subacuto, subcosciente, subnormale, subumano, subvedente-, subcultura, subpolitica). Para- analogamente a sub-, si premette produttivamente a nomi e ad aggettivi per indicare "grado o livello inferiore alla norma" (paraletteratura, parapolitica, parascientifico). Ipo- si premette produttivamente ad aggettivi e a nomi in formazioni prevalentemente di registro elevato o di ambito specialistico per indicare "grado o livello inferiore alla norma" (ipoacidità, ipocalorico, ipodotato, ipoproteico, ipotensione, ipovedente), può anche indicare mancanza (ipovitaminosi)-, sporadico l'uso davanti a verbi (iponutrirsi). E impiegato in terminologie tecnico-scientifiche anche con significati specifici; nei termini medici, è in stretta correlazione e contrapposizione con parole prefissate con iper- (ipoglicemia vs iperglicemia, ipotiroideo vs ipertiroideo). Infra- è usato con valore svalutativo in poche neoformazioni premesso a nomi: infracultura, infragiornalismo. Intra- si premette a pochi verbi di percezione (intraudire, intravedere) per indicare che l'azione espressa dal verbo non si compie interamente, e quindi per significare percezione poco chiara, incerta. Fra- ha valore analogo a intra- (fraintendere), ma non è produttivo. So- è attestato con valore attenuativo in una trentina di parole (sobbalzare, socchiudere, soffermare, soffriggere, soppesare). Non è produttivo, ed è difficilmente identificabile, o non identificabile, per il parlante comune. Bis- è attestato in poche parole in cui esprime intensificazione con connotazione peggiorativa (bislungo, bistrattare). Non è produttivo. L'avverbio quasi premesso a nomi (e raramente ad aggettivi) ha valore attenuativo (un quasi-gol, una quasi fidanzata, quasicristallino) ed è usato per indicare la parziale realizzazione delle caratteristiche proprie del nome a cui si premette. Come si vede dagli esempi, è possibile la scrittura univerbata e anche l'impiego del trattino unificatore.

154

3.

Prefissazione

3.7.4. Quantificazione "molti, vari": multi-, pluri-, poli- a Multi- è impiegato produttivamente con i valori "con molti, che ha molti, che riguarda molti" premesso principalmente ad aggettivi di relazione (multietnico, multilaterale, multinazionale, multipartitico, multirazziale, multizonale). Con lo stesso significato forma aggettivi anche da basi nominali che non hanno un aggettivo di relazione corrente o disponibile (multicanale, multigriglia, multilingue, multipiano, multiprodotto, multirischio, multiuso). Esistono casi di formazioni parallele con nome e con aggettivo di relazione (multimedia / multimediale). Premesso produttivamente a nomi può esprimere i valori "con più di uno, composto, complesso, che serve a più scopi" (multielaboratore, multipendolo, multiprogrammazione, multipunta). Può essere premesso anche ad aggettivi di tipo deverbale (multiaccessoriato, multipremiato) benché non siano attestati verbi prefissati con multi-. Pluri- è impiegato produttivamente con il significato "più di uno, composto da più di un N, relativo a più di un N", in cui Ν rappresenta il nome o il nucleo nominale dell'aggettivo di relazione a cui pluri- è premesso. Il maggior numero di formazioni ha come base aggettivi di relazione (pluriatomico, pluridecennale, pluridimensionale, plurilaterale, plurinazionale, plurinominale, plurioculare, pluripartitico, plurisecolare). Può formare aggettivi anche da basi nominali che non hanno un aggettivo di relazione corrente o disponibile (plurilingue, plurimotore, pluriposto, plurireddito pluristadio, pluriuso). Si premette produttivamente a nomi (pluricampione, pluricapacità, pluricoltura), e anche a un discreto numero di aggettivi di tipo deverbale (pluriaggravato, pluridecorato, plurinquisito, plurivalente) benché non siano attestati verbi prefissati con pluri-. Poli- è impiegato produttivamente davanti ad aggettivi di relazione e meno frequentemente a nomi in numerose formazioni usate prevalentemente in ambiti tecnico-scientifici, in cui indica "che ha più N, che riguarda più N", in cui Ν rappresenta il nome o il nucleo nominale dell'aggettivo di relazione a cui poli- è premesso (policlinico, policromatico, polifunzionale, polimaterico, polisettoriale, polispecialistico, polisportivo, polistrumentista, politossicodipendente). E presente in parole di formazione greca, scarsamente motivate, o non motivate, per il parlante comune (policromo, polifonia, poligamia, poliglotta, poligono). E utilizzato in diverse terminologie tecnico-scientifiche anche in combinazione con elementi formativi.

3.7.5. "Ripetizione": re-, ri- (retro-, sopra-I sovra-, sotto-, sub-) ci Oltre che mediante la prefissazione, l'iterazione può essere espressa sia tramite perifrasi (tornare a, ricominciare a, riprendere a ecc.) sia tramite locuzioni (di nuovo, un'altra volta, una seconda volta, per la seconda volta ecc.). Nel caso della prefissazione, la ripetizione dell'azione ha luogo a partire dallo stato risultato dell'azione indicata dal verbo di base, quindi i prefissi con valore iterativo selezionano di norma verbi telici o perfettivi. I prefissi iterativi sono tipicamente impiegati per indicare un'azione successiva a una di tipo reversativo (es .fare —* disfare —> rifare). Grossmann 1994, 20-21 evidenzia un rapporto di asimmetria fra azioni reversative e iterative: mentre le azioni reversative determinano il ritorno allo stato da dove parte l'azione denotata dalla base (fare / disfare), le azioni iterative hanno origine dallo stato risultato della prima azione (si può cioè rifare a partire dal risultato del

3.7. Funzioni semantiche

155

fare o del disfare) per dare luogo a uno stato risultato che può essere identico a quello precedente, modificato o anche del tutto nuovo (fare, disfare / rifare). Di conseguenza, i verbi che possono essere derivati con un prefisso iterativo indicano di norma azioni il cui risultato determina l'esistenza di un'entità, si tratta quindi di verbi transitivi con soggetto agente o di intransitivi con soggetto non agentivo. L'anomalia di un verbo come *rimorire si spiega con il fatto che l'azione indicata dal verbo morire determina l'annullamento dell'entità interessata, e di conseguenza l'impossibilità della ripetizione dell'azione. Ri-1 è il prefisso più usato con valore iterativo, ed è impiegato produttivamente davanti a verbi in un gran numero di formazioni (riaccendere, riascoltare, riattaccare, richiedere, ricomporre, ricomprare, ricongiungere, rieducare, rieleggere, rifondere, rimacinare, ripiantare, riproporre, riscrivere, rispolverare, ritentare, riverniciare, rivuotare),1 numerosi anche i neologismi (ricapitalizzare, ricontattare, riescludere, rifinanziare, rimasterizzare, riraccomandare, risocializzare, ritassare). Si premette quindi di preferenza a verbi transitivi con valore telico o perfettivo, ma si può premettere anche a verbi intransitivi (riabbaiare, ribussare, ricamminare, riemergere, riesplodere, ripiovere) e pronominali (riaccorgersi, riaddormentarsi, riammalarsi), e sporadicamente a verbi stativi (riabitare). In verbi come concepire che permettono sia un'interpretazione imperfettiva "provare un sentimento" (12) sia una perfettiva "essere fecondata" (13) il verbo prefissato con ri- privilegia l'interpretazione perfettiva: (12) a. Giulia non concepisce affetto per nessuno b. ^Giulia non riconcepisce affetto per nessuno (13) a. Giulia ha concepito un figlio b. Giulia ha riconcepito un figlio.

Oltre al valore iterativo, il prefisso ri- può esprimere anche altri valori: "ritorno a uno stato precedente" (rialzare, ricomporre, riconquistare, ricostruire, riguadagnare, risanare, ritrovare),3 "movimento in senso contrario" (ridare, rispedire, rivendere), "reciprocità" (riabbracciare, ribaciare), "intensificazione" (ribollire, ricercare, riempire, ripulire, riscaldare). Il significato principale del prefisso non esclude la compresenza di uno o più degli altri significati (es. riabbracciare "abbracciare di nuovo", "abbracciarsi reciprocamente"; ricercare "cercare di nuovo", "cercare attentamente"; richiedere "chiedere di nuovo", "chiedere insistentemente"). L'interpretazione "iterativa" è possibile anche con verbi che abbiano un significato lessicalizzato (riassumere, riaversi, ricadere, riconoscere, rifinire, rilasciare, rimandare, rimettere, riportare, risaltare, risapere, riscaldare, riscuotere, risentire, rivolgere, rivoltare).4 Sono di uso molto frequente alcuni verbi di formazione latina 1 2

3

4

Sul prefisso ri-: Schultz 1925, Castelfranchi / Fiorentino 1974-1975. In alcuni verbi è associato al significato di "ripetizione" quello di "correzione, miglioramento", ad esempio in ricatalogare, ridistribuire, riorganizzare. Vi sono tra questi, verbi prefissati che indicano la reintegrazione in uno stato originario senza che abbia avuto luogo l'azione indicata dal verbo di base, cfr. il fisioterapista riabilita un arto dopo un 'operazione ortopedica, con la banca riabilita un bancomat che era stato temporaneamente disabilitato. L'interpretazione semantica iterativa può essere distinta, nella pronuncia, da quella idiosincratica sia grazie all'enfatizzazione dell'accentuazione del prefisso (di solito luogo dell'accento secondario di parola) sia grazie a una pausa tra prefisso e radice verbale; nella grafia, la distinzione può essere espressa utilizzando un trattino tra prefisso e radice verbale.

156

3.

Prefissazione

scarsamente motivati, o non motivati, per il parlante comune (ricettare, ricevere, ridurre, riflettere, rimanere, rinunciare, riparare, ripetere, risolvere, rispettare, rispondere, risultare). Nei verbi prefissati con ri- l'interpretazione usuale riguarda una sola ripetizione dell'azione, mentre una ripetizione molteplice (come ad esempio in rigirare, ripiegare, riverberare) è eccezionale e dipende di norma dal significato della base, mentre nelle costruzioni del tipo V e ri-V (es. dire e ridire) il valore reiterativo è determinato dalla costruzione stessa più che dal prefisso. Rainer 1993a, 361, cercando di individuare la massima generalizzazione semantica dei significati espressi dal prefisso spagnolo re-, dimostra che sia il significato reintegrativo parafrasabile con "ritorno a uno stato precedente" sia quello di "movimento in senso contrario" possono essere ricondotti al significato principale "ripetizione", a patto che si accetti che l'agente e il destinatario non siano necessariamente gli stessi di quelli del verbo di base, mentre il significato "intensificativo" non può invece essere sussunto a quello iterativo. Anche per l'italiano si possono distinguere due raggruppamenti semantici principali: "iterativo" e "intensificativo". Solo il primo è produttivo, mentre il significato "intensificativo", che conta un numero di formazioni notevolmente inferiore, è di fatto improduttivo. Non produttiva è la derivazione di verbi di tipo parasintético, in cui ri- esprime valore ingressivo (cfìr. 4.1.6.). I verbi di questo tipo di uso corrente non superano la decina (riciclare, rimarginare, rimodernare-, risalgono al latino ricapitola-, re e ripristinare). Ri- è attestato anche davanti ad alcuni nomi di azione e aggettivi deverbali di cui i dizionari non lemmatizzano il verbo corrispondente; fra le neoformazioni di questo tipo: riaccorpamento, riallineamento, ricentralizzazione, riforestazione, rilottizzato, rioccidentalizzazione, ririempibile, riterritorializzazione; per ciascuna di queste parole è possibile ipotizzare un verbo di base prefissato perfettamente regolare, è quindi più opportuno considerarli suffissati da verbi prefissati possibili ma non attestati, piuttosto che prefissati di nomi o aggettivi. Il prefisso ri- di norma non è impiegato davanti a parole che cominciano con li/, in questo contesto gli è preferito re-. Davanti a parole che cominciano con i prefissi ad- o in-, si può avere troncamento della vocale di ri- (rassicurare, rinsecchire, rinviare), di alcuni verbi sono attestate sia la forma con cancellazione sia quella analitica {raffermare / riaffermare, raggirare / riaggirare), in questi casi è la forma analitica ad esprimere valore iterativo. La cancellazione di vocale davanti a verbi prefissati con i prefissi ad- o in- (specialmente nel caso di verbi parasintetici) ha favorito la fusione dei due prefissi e la formazione dei prefissi ra- e riti- (cfr. 4.1.6 e 3.7.6.). Re- è presente in numerosi verbi di formazione latina di tradizione dotta, molti dei quali sono scarsamente motivati, o non sono motivati, per il parlante comune (recidere, recitare, reclutare, reperire, replicare, resistere, restaurare, restituire, retribuire, revocare). Attualmente è usato principalmente come variante di ri-, premesso produttivamente a verbi che cominciano con /il (reidratare, reimbarcare, reimpiegare, reincarnare, reindustrializzare, reinserire, reintegrare, reinventare, reinvestire).' È impiegato anche davanti a un piccolo numero di nomi deverbali dei quali non è attestato il verbo prefissato corrispondente (reingaggio, reingresso). È in concorrenza con ri- in alcune parole di origine latina (recezione / ricezione, recuperare / ricuperare, reputare / riputare), di norma la forma con re- è considerata di registro più elevato; in alcune coppie si ha specializzazione di signifi1

In alcuni neologismi è attestata la forma ri- anche davanti ad IH (riibernare, riincentivare, riinterfacciare), in questi casi nella pronuncia vi è una piccola pausa fra la vocale del prefisso e quella iniziale di parola.

3.7. Funzioni

semantiche

157

cato; in questi casi, le forme con re- hanno significato lessicalizzato, mentre quelle con n'hanno significato composizionale regolare (respingere / rispingere, reagire / riagire). A causa dell'influsso convergente esercitato dalla terminologia del latino scientifico e di lingue moderne (specialmente inglese e francese), può essere impiegato produttivamente nella formazione di termini tecnico-scientifici anche davanti a parole che cominciano con un fonema diverso da IM (recalcificare, retrarre). Valore iterativo può essere espresso marginalmente anche dai prefissi sotto-, sopra-, sub- in un ristretto numero di formazioni verbali (sottodelegare, sovrastampare, suddividere). Un uso marginale con valore di ripetizione si ha anche in retro- (cfr. Rainer 1999c, 82); ad esempio, in retrovendere, così come in rivendere, si ha un secondo atto di vendita, ma «la differenza fra i due verbi sta nel fatto che il primo implica che il venditore del primo atto sia identico al compratore del secondo e viceversa», mentre in rivendere una simile identità non è esclusa ma non è necessaria.

3.7.6. "Ingressività": ad-, in-1, ra-, rin-, s- ci Raggruppiamo in questo paragrafo i prefissi che contribuiscono a formare verbi parasintetici (più ampiamente trattati in 4.), il cui impiego principale è quindi quello di partecipare alla derivazione di verbi che esprimono valori ingressivi.1 Ad- è usato produttivamente nella formazione di verbi parasintetici (cfr. 4.1.-4.1.5.4.) ed è presente in numerosi verbi e loro derivati di origine latina. Non è impiegato produttivamente davanti a verbi; tra i pochissimi esempi di formazione italiana: accondiscendere, acconsentire, arrischiare, attirare. Nelle formazioni parasintetiche concorre a formare verbi deaggettivali e denominali che esprimono l'acquisizione di uno stato (parafrasabili "far diventare, rendere (più) A": abbassare, addensare, addolcire, afflosciare, alleggerire, appesantire-, "(far) diventare (un) N": accoppiare, addottorare, ammucchiare, asservire-, "(far) diventare come (un) N": accanirsi, accapponare-, "causare, produrre, suscitare, (far) prendere, (far) acquisire N": addebitare, adirarsi, affaticare), con basi nominali può concorrere a formare verbi anche di valore locativo (parafrasabili "mettere Ν in/su/intorno X": acciottolare, ammobiliare-, "mettere X in/su/tra N", "avvicinare X a N": abbracciare, accerchiare, accodare, affossare, alloggiare) e strumentale (parafrasabili "fare qualcosa mediante l'uso di N": accoltellare, addentare, avvelenare). I verbi di origine latina non sono generalmente scomponibili in costituenti significativi, in alcuni di essi si possono riconoscere l'originario valore locativo del prefisso (sia nel senso stativo di prossimità, sia, in un maggior numero di casi, nel senso direzionale di avvicinamento, unione) da cui deriva un valore genericamente rafforzativo di tipo attributivo (abbattere, accedere, accendere, accettare, accorrere, addurre, adorare, adottare, affluire, aggiungere, aggredire, ammettere, apporre, assistere, attrarre, avvertire). L'identificazione del prefisso da parte del parlante comune nei verbi di origine latina può essere favorita: (a) dall'esistenza di un verbo corrente non prefissato (i due verbi possono essere sinonimi adornare / ornare, ma si possono Usiamo ingressivo nel senso definito da Grossmann 1994, 3-16, cioè come denominazione di un componente semantico di tipo azionale proprio di quei verbi che designano una transizione da uno stato a un altro.

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3. Prefissazione

distinguere per specializzazioni di registro, di ambito d'uso, ma anche di senso: accedere / cedere)·, (b) dall'esistenza di uno o più verbi prefissati con altri prefissi la cui base non è un verbo usato in italiano (ad esempio addurre, rispetto a condurre, dedurre, ridurre)·, (c) dalla possibilità di individuare il nome o l'aggettivo di base (ad esempio sicuro in assicurare)} Compare inoltre in un piccolissimo numero di aggettivi di forma participiale per i quali non è attestato un verbo corradicale né l'aggettivo non prefissato (ammusonito, assatanato, cfr. 4.3.1.). In terminologie tecnico-scientifiche è impiegato in un numero limitato di formazioni davanti a verbi, nomi e aggettivi di relazione: è usato in linguistica (adnominale, adstrato, con sostituzione di prefisso, cfr. substrato, sostrato), in chimica (adsorbire, diverso da assorbire), in zoologia (adorale); come è evidente dagli esempi, sia il tipo di basi, sia la semantica (che subisce l'influenza della preposizione latina ad nel valore stativo "vicino, presso"), sia il comportamento morfofonologico (che non prevede assimilazione) si distinguono dall'uso nella lingua comune. In-1 è usato produttivamente nella formazione di verbi parasintetici (cfr. 4.1.—4.1.5.4.) ed è presente in numerosi verbi e loro derivati di origine latina. Non è impiegato produttivamente davanti a verbi; tra i pochissimi esempi di formazione italiana: imbattersi, incogliere, incominciare. Nelle formazioni parasintetiche concorre a formare verbi denominali e deaggettivali che esprimono l'acquisizione di uno stato (parafrasabili "far diventare, rendere (più) A": impreziosire, incurvate, innervosire, insudiciare, inzuppare, irrobustire·, "(far) diventare (un) N": impastare, impilare, inarcare, incenerire, incolonnare, intrecciare·, "(far) diventare come (un) N": imbombolare, incartapecorire, inviperirsi-, "causare, produrre, suscitare, (far) prendere, (far) acquisire N": impaurire, impossessarsi, incapricciarsi, indispettire, inguaiare, innamorare, insaporire, intimorire), con basi nominali può concorrere a formare verbi anche di valore locativo (parafrasabili "mettere Ν in/su/intorno X": imbandierare, imburrare, impagliare, impataccare, impolverare, incappucciare, inceronare, insabbiare, insaponare-, "mettere X in/su/tra N", "avvicinare X a N": imbucare, immagazzinare, imprigionare, infornare, intascare, intavolare) e strumentale (parafrasabili "fare qualcosa mediante l'uso di N": imbullonare, impallinare, incornare). I verbi di origine latina non sono generalmente scomponibili in costituenti significativi, in alcuni di essi si possono riconoscere l'originario valore locativo del prefisso "in, verso, sopra" e vari sensi derivati (immergere, immettere, immigrare, implicare, implorare, imporre, imprimere, imputare, incidere, includere, incombere, inseguire, insistere, intingere, intuire, invadere). L'identificazione del prefisso da parte del parlante contemporaneo nei verbi di origine latina può essere favorita: (a) dall'esistenza di un verbo corrente non prefissato (i due verbi possono essere sinonimi intessere / tessere, ma si possono distinguere per specializzazioni di registro, ambito d'uso, ma anche di senso: irrompere / rompere); (b) dall'esistenza di uno o più verbi prefissati con altri prefissi la cui base non è un verbo usato in italiano (ad esempio invadere, rispetto a evadere, pervadere)-, (c) dalla possibilità di individuare il nome o l'aggettivo di base (ad esempio carne in incarnare).2 Di formazione latina sono anche alcuni nomi e aggettivi di origine deverbale, motivati in diverso grado per il parlante contemporaneo, il cui verbo di origine non è attestato o è difficilmente identificabile in sincronia (implicito, inflazione, involucro, involuzione). Compare inoltre in un piccolissimo nu1

2

L'interpretabilità dei verbi deaggettivali e denominali è rafforzata dalla produttività in italiano del tipo parasintético. Si veda la nota precedente.

3.7. Funzioni

semantiche

159

mero di aggettivi di forma participiale per i quali non è attestato un verbo corradicale né l'aggettivo non prefissato (imbraccialato, insatirito, inturbantato, cfr. 4.3.1.). S- concorre produttivamente a formare verbi parasintetici deaggettivali e denominali (cfr. 4.1.-4.1.5.4.) che esprimono l'acquisizione di uno stato (parafrasabili "far diventare, rendere (più) A": scaldare, smagrire, smezzare, spianare, sprofondare, svilire-, "(far) diventare (un) N": sbocciare, sbranare, sbriciolare, spezzare·, "(far) diventare come (un) N": scamosciare; "causare, produrre, suscitare, (far) prendere, (far) acquisire N": sfuriare, spaurire), con basi nominali può concorrere a formare verbi anche di valore strumentale (parafrasabili "fare qualcosa mediante l'uso di N": sbandierare, scarrozzare, sforbiciare, strombazzare). Alcune formazioni parasintetiche denominali possono indicare un comportamento esibito, eccessivo (sdottorare, spoliticare). Premesso a verbi ha un valore solitamente definito "intensificativo", probabilmente derivato dal valore aspettuale di compimento e di esaustività presente in alcuni verbi di origine latina (cfr. 4.1.3.), come ad esempio lat. exhaurio "vuotare" rispetto ad haurio "attingere" (si pensi anche a verbi di origine latina come smuovere, spremere, stendere, storcere),1 sono di formazione italiana: sbofonchiare, scacciare, scambiare, scancellare, sgraffiare, sgridare, sgualcire, slanciare, sparlare, strascinare, stroncare, svuotare; non è produttivo con questo impiego. In alcune basi si può individuare un certo grado di espressività, si tratta di basi suffissate con valutativi (sbevazzare, sbocconcellare, sculacciare, sculettare, sforacchiare, sgambettare, sghignazzare, sgranocchiare, strombettare, svolazzare), oppure di origine onomatopeica (sbiascicare, sbuffare, scricchiolare, scrosciare, sfrusciare). Ra-, rin-: si tratta di due prefissi originatisi dal troncamento della vocale del prefisso ripremesso a verbi parasintetici prefissati con ad- o con in- (cfr. ammodernare —» rammodernare, insecchire —* rinsecchire, cfr. anche 4.1.6.), ed usati prevalentemente con valore ingressivo nella formazione di verbi di tipo parasintético (rammentare, rannicchiare, rattoppare, rimboschire, rinfacciare, rinfrescare, rintracciare), e meno frequentemente davanti a basi verbali (raccontare, rapprendere, rinchiudere, rincorrere). Entrambi i prefissi sono raramente impiegati per formare neologismi.

3.7.7. "Riflessività": auto- ci Auto- è il solo prefisso che esprime valore riflessivo. Si premette produttivamente a nomi, ad aggettivi e a verbi. Benché i derivati verbali siano in numero minore (circa una ventina) rispetto a quelli aggettivali (una trentina) e nominali (un centinaio), il prefisso agisce su tratti tipicamente verbali della base, di conseguenza i nomi e gli aggettivi ai quali si premette sono nella grandissima maggioranza deverbali, in prevalenza nomi di azione derivati da verbi transitivi. Si possono individuare tre valori principali del prefisso: riflessivo (autodistruzione), anticausativo (autoaccensione), focalizzante (autogestione)? Il valore riflessi-

2

In verbi come scorgere, spedire, il prefisso è identificabile solo grazie al confronto con altri verbi prefissati, quali accorgersi, impedire. Riprendiamo questa classificazione e diverse altre indicazioni da Mutz in stampa, che mostra convincentemente anche gli elementi in comune ai diversi sensi del prefisso, e la conseguente possibilità di interpretare alcuni derivati in auto- secondo l'uno o l'altro senso del prefisso.

160

3. Prefissazione

vo è quello che conta il maggior numero di formazioni. In questo impiego il prefisso è parafrasatale "di se stesso, da sé", e i nomi deverbali prefissati hanno significato e funzioni corrispondenti alla costruzione riflessiva del verbo di base non prefissato (cfr. l'autodifesa dell'imputato e l'imputato si difende). I derivati con auto- esprimono infatti la coreferenza dei ruoli di agente e paziente (o di esperiente), il cui referente extralinguistico è tipicamente un essere umano in quanto agente intenzionale che controlla l'azione; fra i numerosi esempi: autoaccusa, autocastrazione, autocompiacimento, autocontrollo, autocorrezione, autodifesa, autodistruzione, automutilazione, autoritratto, autosuggestione; autoportante, autopunitivo, autoreferenziale; autodefinirsi, autodenunciarsi, autodominarsi, autoeccitarsi, autoescludersi, autonominarsi, autoproclamarsi, autosospendersi. La non attestazione di molti verbi prefissati con auto- corrispondenti ai nomi in esame si può spiegare con il fatto che il nome prefissato con auto- corrisponde sia nella struttura argomentale sia nei ruoli semantici al verbo riflessivo non prefissato allo stesso modo in cui il nome d'azione corrisponde al verbo nella forma attiva; la prefissazione con auto- di un verbo riflessivo è dunque di norma ridondante.1 Auto- si può premettere con valore riflessivo anche a nomi non deverbali (autocoscienza, autogoal, autoipnosi, autoironia, autoresponsabilità), la parafrasi semantica del derivato è "N di se stesso, a se stesso". I nomi di base fanno di norma riferimento a entità astratte che implicano una relazione o un'azione tra almeno due soggetti. I derivati con auto- indicano la coreferenzialità dei ruoli tematici richiesti dal nome di base, che può essere sia tra agente e paziente (autoipnosi) sia tra azione e meta (autotrapianto). Nel secondo impiego, i derivati con auto- esprimono un'azione che avviene senza l'intervento di un agente, si tratta quindi di costruzioni di tipo anticausativo (autoaccensione, autocombustione, autoestinguente, autossidazione). L'evento descritto dal verbo da cui il nome di azione è derivato riguarda un solo referente extralinguistico che svolge il ruolo di tema o paziente. La derivazione con auto- segnala che l'azione indicata dal nome di base si compie senza l'intervento di un agente. Il nome derivato con auto- regge un complemento preposizionale (es. l'autoaccensione del fieno) che corrisponde al soggetto non agenti vo di una frase costruita con si con valore anticausativo {il fieno si accende), il referente del complemento preposizionale è tipicamente un'entità non animata. Nel terzo impiego, autosegnala che l'agente implicato nell'azione indicata dalla base a cui si premette non è quello tipico o atteso (es. l'autogestione della scuola da parte degli studenti), il prefisso svolge la funzione di focalizzazione del soggetto agente (autocertificazione, autoconsumo, autoconvocazione, autofinanziamento, autoregolamentazione", autoadesivo, autopulente·, autodiagnosticarsi, autofinanziarsi, autogestire, autogovernarsi, autoridurre, autosponsorizzarsi, autotassarsi). Questo impiego di distingue da quello anticausativo in quanto prevede l'intervento di un agente, e da quello riflessivo in quanto l'agente non è quello prototipico dell'azione indicata dalla base, ma soprattutto perché di norma non coincide con il paziente o esperiente (es. a differenza della autodistruzione, l'autoconsumo non è "il consumo di se stesso", ma "l'utilizzo parziale o totale di beni o servizi da parte dei produttori", invece che dei consumatori). Anche se non c'è identità, il prefisso può però servire a indicare contiguità fra le entità che svolgono il ruolo di agente e quello di paziente; dal confronto degli esempi (14) e (15):

1

Considerazioni diverse riguardano l'impiego del prefisso con valore focalizzante, cfr. infra.

3.7. Funzioni

semantiche

161

(14) L'autofinanziamento della macchina da parte di Gianni (15) Ilfinanziamentodella macchina da parte di Gianni Mutz in stampa dimostra che (14) implica una relazione di possesso tra Gianni e la macchina, mentre in (15) tale relazione non è necessaria: Gianni può finanziare l'acquisto di una macchina che sarà di proprietà di un'altra persona. A differenza dei derivati con valore riflessivo e anticausativo, i nomi derivati con auto- con funzione di fecalizzazione hanno due argomenti (es. l'autoconvocazione dell'assemblea da parte dei delegati, cfr. l'autoaccusa dell'imputato *da parte dell'imputato, l'autoaccensione del fieno *da parte della siccità). L'attestazione di verbi riflessivi (come autogovernarsi, autotassarsï) a fianco di altri non pronominali (autogestire, autoridurre) appare giustificata dal fatto che in tutti questi verbi il prefisso svolge la funzione contrastiva di indicare un'azione svolta da un agente non prototipico, e non il mero rinforzo dell'indicazione di riflessività. Tutti i verbi prefissati con auto- sono tipicamente transitivi così come lo sono anche i verbi dà cui derivano i nomi e gli aggettivi deverbali prefissati con auto-. Perché si possa avere l'unificazione dei ruoli di agente con quello di paziente o di esperiente (valore riflessivo) serve infatti che il verbo di base sia almeno bivalente, lo stesso requisito è necessario perché si possa avere l'eliminazione del ruolo di agente nel caso dell'impiego del prefisso con valore anticausativo, mentre nell'impiego con valore focalizzante sono necessari almeno due partecipanti distinti, uno con il ruolo di agente (anche se non quello atteso) e l'altro con il ruolo di paziente o esperiente. Premesso ad aggettivi e nomi (specialmente deverbali) che denotano o fanno riferimento a una macchina, a un dispositivo meccanico, auto- può avere il valore "automatico" (autoanalizzatore, autocercante, autofocus, autofrenante, autopulente, autoregolante, autorespiratore), tali derivati fanno riferimento ad azioni che vengono eseguite senza intervento esterno. L'impiego preverbale con valore reciproco è molto raro: i due concorrenti si autointralciano "intralciano l'uno con l'altro". E presente in parole di formazione greca (autoctono, autografo, autonomia), e può essere usato con valore riflessivo in termini tecnico-scientifici premesso anche a elementi formativi (autofagia, autolisi).

3.7.8. "Unione, reciprocità, relazione": co-, con-, inter- ci Co- in parole di origine latina, è la variante di con- davanti a parola che comincia con vocale, o con /s/ seguita da consonante (es. lat. construo, it. costruire)', risalgono al latino formazioni motivate in diverso grado (coadiuvare, coagulo, coetaneo, coscrivere, cospirare, costituire). In sincronia non può essere considerato una variante di con-, in quanto co- è impiegato produttivamente in tutti i contesti fonotattici, mentre con- è ormai impiegato solo sporadicamente nella formazione di parole nuove. È usato produttivamente, con i valori "unione, partecipazione, simultaneità, uguaglianza", premesso a verbi, a nomi, ad aggettivi e ad aggettivi di relazione. Le formazioni verbali prefissate con co- (coabitare, coeditare, coinvolgere, cointeressare, copartecipare, copresiedere) hanno valore comitativo in quanto esprimono un'azione compiuta da due o più soggetti nello stesso tempo, nello stesso luogo o con pari impegno o efficacia, oppure una relazione di tipo simmetrico fra due o più entità. Dal momento che lo svolgimento dell'azione riguarda più partecipanti, l'argomento esterno del verbo deve essere semanticamente o morfologicamente plurale (Carlo e Giulia coabita-

162

3.

Prefissazìone

no), oppure essere in relazione con un argomento indiretto di tipo comitativo (Carlo coabita con Giulia).1 In alcune formazioni nominali, specialmente nel caso di nomi d'azione e nomi di agente, sono egualmente plausibili sia la prefissazione del nome sia la derivazione suffissale di un verbo prefissato attestato, o possibile ma non attestato (coconduttore, codecisione, codetenzione, codistribuzione, cofondatore, cofondazione, cogestione, coistruzione, coproduttore, coproduzione, cotraduttore). Casi indubbi di prefissazìone nominale sono: coautore, codrammaturgo, cofattore, coinquilino, copilota, coproprietario, coprotagonista, cotesto. Le formazioni con aggettivi e aggettivi di relazione sono poche (coassiale, cobelligerante). Con- è presente in numerosissime parole per lo più di formazione latina in cui esprime i valori "unione, partecipazione, simultaneità, uguaglianza" (combaciare, combattere, combinare, combustibile, compagno, comparire, compatire, compensare, competere, comporre, comportamento, comprendere, compressa, compromettere, comprare, concatenare, concausa, concetto, concludere, condurre, confetto, conflitto, congresso, connaturale, conseguire, contendere, contenere, correggere, corrodere, corrompere, corrugare). È praticamente improduttivo, nelle neoformazioni gli è preferito co-. Le formazioni più recenti (conurbamento, conurbazione, correlare), apparse tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio dei Sessanta, si spiegano, le prime due con prestiti dall'inglese, mentre correlare è una retroformazione da correlazione (av. 1600) o correlativo (1477-78). Può esprimere il valore di "unione, contemporaneità" anche l'elemento formativo sin-, presente in alcune parole di uso corrente non motivate, o scarsamente motivate, per il parlante comune (sindrome, sinfonia, sintassi, sintesi,

sintonia).

Inter- ha il valore "reciprocità" premesso produttivamente a verbi (interagire, intercomunicare, interconnettere), a nomi e aggettivi deverbali (interallacciamento, intercambiabile, interdipendente, interdipendenza, interscambio) il cui verbo prefissato corrispondente non è sempre attestato, ma è comunque possibile. Nelle formazioni verbali il prefisso esprime una relazione di reciprocità simmetrica fra gli argomenti della base, e si premette quindi di preferenza a basi transitive. La relazione di reciprocità può instaurarsi tra l'argomento esterno e uno retto dal verbo (es. un dirigente che interagisce con i suoi collaboratori) o, più frequentemente, tra gli argomenti retti dal verbo (interconnettere i computer, interconnettere il computer e la stampante), oppure riguardare il solo argomento esterno (le due cause si interrelazionano), in tutti i casi gli argomenti devono essere morfologicamente o semanticamente plurali. La relazione di reciprocità fra due argomenti esterni richiede la costruzione con il si pronominale; fanno eccezione le poche formazioni con verbi intransitivi (interagire). Il prefisso inter- può rafforzare il valore di relazione simmetrica dei verbi reciproci (interassociarsi, intergemellarsi), ma è più correntemente usato per formare i derivati nominali dei verbi reciproci formati con si, che altrimenti non avrebbero un esponente morfologico per esprimere la reciprocità (interallacciamento, interannullamento,

1

Nel caso di soggetto singolare l'impiego del prefisso rende di norma obbligatoria la realizzazione del complemento comitativo che è invece opzionale se il verbo non è prefissato: Carlo dirìge una rivista, Carlo dirige una rivista con Giulia, Carlo codirige una rivista con Giulia, 1Carlo una rivista.

codirige

3.7. Funzioni semantiche

163

interassistenza, intercomprensione).' Il tipo di formazione attualmente più vitale e che conta il maggior numero di formazioni è quello in cui inter- esprime il valore "relazione, collegamento", premesso ad aggettivi di relazione, riferito al nucleo nominale dell'aggettivo (interaziendale, interbancario, intercontinentale, intercorrentizio, interdialettale, interetnico, intergenerazionale, intermediterraneo, internazionale, interpartitico, interraziale, intersindacale). A questo significato si possono ricondurre alcuni aggettivi formati a partire da basi sostantivali che non hanno un aggettivo di relazione corrente o disponibile (interarme, interarmi, interfacoltà, interforze, intersquadre, interzona)·, si noti in questo caso la possibilità di usare basi al plurale, dipendente dal fattto che il prefisso esprime una relazione fra più entità.

Un nome come intercomprensione è in rapporto con il verbo reciproco comprendersi, così come comprensione lo è con il transitivo comprendere.

4. PARASINTESI

4.1. Verbi parasintetici ci

Sono definiti parasintetici verbi come accorpare, allentare, imburrare, ingiallire, cioè verbi denominali e deaggettivali prefissati di cui non sono attestati né il verbo non prefissato ottenuto per conversione (corpare, lentare, burrare, giallire) né il nome o l'aggettivo di base prefissato (accorpo, allento, imburro, ingiallo). L'introduzione del termine parasintético nella linguistica moderna si deve ad A. Darmesteter (cft. Darmesteter 1877, 129; 18942, 96-103). Il termine è stato immediatamente accolto nello studio delle lingue romanze, ed è tuttora impiegato dai diversi indirizzi teorici della morfologia contemporanea. 1 All'unicità della denominazione non corrisponde però un'interpretazione univoca né riguardo al processo che porta alla formazione dei verbi parasintetici né riguardo alla delimitazione di tali verbi. Le principali proposte sull'iter formativo possono riassumersi nei seguenti tre schemi: 2 (1)

prefissazione e suffissazione simultanee (cfr. Darmesteter 1877, 129; Tollemache 1945, 111): [pref.[X] N/A suff.] v

(2) (3)

cambio di categoria dovuto al prefisso (cfr. Corbin 1987,121-39): [pref. [X] ] prima suffissazione poi prefissazione (cfr. Scalise 1994, 218-22): [pref. [[X]N/A suff.] v ] v

I sostenitori della prima proposta, tra i quali ci ascriviamo, attribuiscono (in maniera esplicita o implicita) al suffisso 3 la responsabilità del cambio di categoria del nome o dell'aggettivo di base in verbo. Le altre due proposte di fatto negano la specificità del processo formativo parasintético: Corbin 1987 attribuisce al prefisso il cambio di categoria della base nominale o aggettivale, negando l'intervento di un suffisso; Scalise 1994 ipotizza la successione di due stadi derivativi: il primo stadio consiste nell'aggiunta di un suffisso che determina il passaggio della base nominale o aggettivale a verbo (che rimane una parola possibile ma non attestata), il secondo stadio consiste nell'aggiunta di un prefisso. La proposta in (2) è la più discutibile, considerata la generalizzata incapacità che i prefissi delle lingue romanze hanno di cambiare la categoria della base; essa inoltre, postulando una netta distinzione tra l'iter formativo dei verbi parasintetici rispetto ai verbi denominali e deaggettivali formati per conversione, non permette di spiegare le numerose caratteristiche in comune tra i due tipi di verbi. La proposta in (3) riconduce a uno stesso iter formativo tutti i verbi prefissati di cui non è attestato il corradicale non prefissato; ma, come vedremo nel paragrafo successivo, tali verbi non costituiscono un insieme omogeneo né per quanto riguarda il processo derivativo per mezzo di cui sono formati né per quanto riguarda i tipi di significato espressi. 1

2

3

II significato corrente del termine si differenzia da quello elaborato dai grammatici greci e latini (e fatto proprio dai moderni studiosi di indoeuropeistica e germanistica), per i quali parasyntheton (da cui il latino decompositum) indica le parole composte o derivate formate a partire da una base già composta o derivata, quali ad esempio il sostantivo latino magnanimitas derivato dall'aggettivo composto magnanimus. Un'ampia e aggiornata rassegna delle diverse proposte teoriche e descrittive sulla parasintesi è fornita da Serrano Dolader 1995, 23-74. È importante notare che nella formazione dei verbi parasintetici non interviene un vero e proprio suffisso derivativo dotato di corpo fonico (quali, ad esempio, -izz-,-eggi-) ma un processo di conversione.

168

4. Parasintesi

4.1.1. Distinzione tra verbi parasintetici e verbi a doppio stadio derivativo ci Tra i prefissi attualmente impiegati nella formazione di verbi denominali e deaggettivali di cui non è attestato il corradicale non prefissato vi sono importanti differenze. In prima approssimazione, si possono distinguere da una parte i prefissi ad- e in-, che sono impiegati esclusivamente nella formazione di verbi parasintetici a cui concorrono senza apportare uno specifico valore semantico rispetto ai verbi formati per conversione (cfr. innervosire e calmare, imburrare e zuccherare, immagazzinare e stivare),1 e dall'altra i prefissi de- e dis-, che sono invece dotati di un proprio valore semantico e possono sia formare verbi di cui non è attestata la forma non prefissata (derattizzare, disossare) sia premettersi a verbi di uso corrente (decolorare, disarmare). Più complessa la situazione del prefisso s-, per il quale in sincronia si possono distinguere due impieghi distinti: da una parte la derivazione di verbi a partire da nomi e aggettivi analoga a quella dei prefissi ad- e in- (cfr. appianare e spianare, imbiancare e sbiancare), dall'altra un impiego davanti a verbi attestati o possibili ma non attestati in cui esprime valori di tipo privativo e reversativo (analogamente ai prefissi de- e dis-, es. sbottonare, sbudellare, scucire, smacchiare)} I prefissi ad-, in- (e accanto ad essi il prefisso s- impiegato nella formazione di verbi con valore ingressivo o strumentale) si differenziano dagli altri prefissi verbali per tre caratteristiche peculiari: (a) non si premettono produttivamente a verbi; (b) non hanno un significato definibile in sincronia; (c) possono formare verbi della coniugazione in -ire. Per quanto riguarda la caratteristica (a), osserviamo che normalmente i prefissi verbali si premettono indifferentemente a verbi il cui tema è verbale (cfr. dire, disdire, ridire) e a verbi denominali e deaggettivali formati sia per suffissazione (cfr. politicizzare, depoliticizzare, ripoliticizzare) sia per conversione (cfr. attivare, disattivare, riattivare). Lo stesso non si può dire di ad- e in-, i quali formano produttivamente solo verbi parasintetici direttamente da basi nominali e aggettivali. Se accettassimo l'ipotesi che questi prefissi formino verbi attraverso un doppio stadio derivativo - così come in (3) - dovremmo conseguentemente postulare una restrizione ad hoc secondo la quale i prefissi ad- e in- non potrebbero essere premessi: a verbi non denominali, a verbi non deaggettivali, a verbi denominali e deaggettivali formati per suffissazione. 3 Rimarrebbero inoltre da spiegare i motivi della non attestazione dei verbi formati per conversione nel primo stadio derivativo. Si noti che dalla consultazione dei dizionari di neologismi successivi a Migliorini 1963 risulta che ai circa 70 verbi prefissati con ad-, in- e s- con valore ingressivo o strumentale presenti in tali opere (.accorpare, incremare, infasullire) non corrisponde nessuna neoformazione verbale corradicale formata per conversione (°corpare, °fasullire ecc.) né alcuno di tali verbi è attestato come di uso corrente nei dizionari della lingua italiana. Nello stato attuale di lingua è dunque ragionevole ipotizzare una tendenza alla distribuzione complementare che fa sì che da una stessa base non derivino verbi sia per conversione sia per parasintesi. Al di fuori dei

2

3

Il prefisso parasintético in- ha un prefisso omonimo, ma diverso per origine, semantica e tipi di formazione a cui partecipa, il quale si premette produttivamente ad aggettivi ed esprime valore privativo-negativo, per esempio in incapace, inutile (cfr. 3.3. e 3.7.2.). Sullo sviluppo semantico a partire da uno stesso prefisso di valori antitetici di tipo sia ingressivo sia egressivo, e per la definizione delle nozioni di ingressività ed egressività, cfr. 4.1.2. e 4.1.3. Nel DISC e nel GRADIT vi sono pochissimi verbi prefissati con ad- o in- che siano anche suffissali. Sono tutti obsoleti o di basso uso, come accaneggiare o intronizzare.

4.1. Verbi

parasintetici

169

neologismi, è però possibile trovare diverse coppie costituite da verbi formati per parasintesi e per conversione da una stessa base. Di norma si tratta di parole che si distinguono per frequenza d'uso (cfr. abbassare di uso corrente e bassare obsoleto), ambito settoriale (cfr. pianare, termine tecnico e spianare, di uso comune), restrizioni selettive, significato. Differenze che però non sono riconducibili sistematicamente al tipo di formazione (cfr. anche 7.4.). Quanto a (b), i prefissi dell'italiano modificano il significato della parola a cui si premettono, contribuendo con uno specifico valore semantico (cfr. fare e rifare, abitare e coabitare). La particolarità dei prefissi ad-, in- e s- con valore ingressivo o strumentale consiste nel fatto che i verbi che essi concorrono a formare produttivamente non hanno caratteristiche semantiche peculiari rispetto a quelle esprimibili tramite conversione. La funzione principale di tali prefissi è piuttosto di tipo azionale (nel senso definito in Bertinetto 1986), essi infatti concorrono di norma a formare verbi che indicano l'acquisizione di uno stato (addolcire, ingrandire, scaldare), oppure l'impiego di uno strumento (accoltellare, sforbiciare). Per quanto infine riguarda (c), delle tre terminazioni verbali (-are, -ere, -ire), quella in -ere è del tutto improduttiva, quella in -are è l'unica completamente produttiva, la classe dei verbi in -ire (oltre alla prefissazione di verbi già in uso, alla sostituzione di prefisso, ai prestiti dal latino) si può arricchire produttivamente di nuove formazioni solo tramite l'impiego dei prefissi ad- e in- in formazioni parasintetiche (appiattire, appuntire, innervosire, ingrigire). Le eccezioni si contano sulle dita di una mano (cfr. anche 7.4.1.), fra queste, snellire (da snello), che si può spiegare con l'influsso di verbi come sfoltire e sfinire, i quali sono però formati tramite sostituzione di prefisso a partire dai verbi parasintetici infoltire e infittire, che li precedono diacronicamente e ne sono il presupposto semantico. Considerazioni del tutto diverse richiedono i prefissi de-, dis- e s- con valore egressivo. I tre prefissi contribuiscono a modificare la semantica del verbo con cui si combinano esprimendo principalmente valori di tipo privativo, reversativo, di allontanamento, e sono produttivamente impiegati davanti a temi verbali (disfare, deflettere, slegare), a verbi denominali e deaggettivali formati sia per suffissazione (disindustrializzare, decalcificare, sdrammatizzare) sia per conversione (decolorare, disonorare, smascherare), e anche a verbi prefissati (decongelare, disaccoppiare, disinnamorare, scomporre).1 La formazione di verbi come decaffeinare, deforestare, disossare, scortecciare, di cui non sono attestati i verbi non prefissati corradicali, rappresenta dunque solo un aspetto dell'impiego di tali prefissi. Come fa notare Grossmann 1994, 17-18, non è sempre necessario presupporre un evento che abbia provocato lo stato di cose di cui i prefissi con valore privativo o reversativo indicano l'annullamento: si può infatti dissalare il baccalà che è stato precedentemente salato, ma anche l'acqua del mare, si possono dissotterrare le radici di una pianta sia che siano state interrate da un giardiniere sia che non lo siano state. E dunque del tutto plausibile che verbi come °caffeinare e 0 forestare, che verbalizzano l'evento di cui i prefissi con valore privativo o reversativo indicano l'annullamento, non siano necessariamente attestati. Ciò avviene quasi senza eccezioni nel caso di verbi come disossare, sbudellare, snocciolare, che descrivono un evento che annulla uno stato intrinseco o una condizione normalmente inalienabile dell'entità che ne è affetta, come, per gli esseri umani, avere ossa, budella ecc. I prefissi dis- e s- si possono premettere con valore peggiorativo e negativo anche a nomi e ad aggettivi, come in disamore, disattento, scorretto, sfortuna (cfr. 3.7.2.4.).

170

4.

Parasintesi

La non attestazione di verbi denominali e deaggettivali non prefissati come °caffeinare o °ossare si spiega dunque con la non necessità pragmatica di tali verbi, che sono comunque possibili nel sistema, e talvolta sono realizzati successivamente a quelli prefissati, ne sono esempio verbi come dentare, nazificare, nuclearizzare, umidificare, vitalizzare tutti attestati successivamente ai corrispettivi verbi prefissati sdentare, denuclearizzare, deumidificare, denazificare, devitalizzare. La plausibilità della ricostruzione di verbi che costituiscono uno stadio derivativo intermedio tra la base nominale (o aggettivale) e il verbo prefissato con significato privativo o reversativo trova supporto anche nelle proprietà combinatorie dei prefissi, si noti l'analogia di funzione del prefisso dis- nei verbi disancorare, disincrostare, disossare, le cui basi sono rispettivamente un verbo formato per conversione (ancorare), un verbo parasintético (incrostare), e lo stadio derivativo non attestato (°ossare) formato a partire dalla base nominale osso. L'iter formativo di verbi come deforestare, disossare, scortecciare ecc. è dunque adeguatamente rappresentato dalla struttura indicata in (3). Per questi verbi proponiamo la denominazione di verbi a doppio stadio derivativo. La denominazione evidenzia la plausibilità della ricostruzione di uno stadio intermedio (costituito dal verbo denominale o deaggettivale formato per conversione o suffissazione), rispetto al quale il verbo prefissato si distingue semanticamente (esprimendo di solito valori privativi o reversativi) grazie all'apporto del prefisso. Il significato del verbo prefissato appare di norma come antitetico rispetto alla parafrasi del verbo denominale o deaggettivale non prefissato. I prefissi che partecipano a questo tipo formativo possono essere impiegati (con le stesse funzioni semantiche) anche davanti a verbi attestati. Proponiamo invece di riservare la denominazione di verbo parasintético ai verbi formati dai prefissi ad-, in- e a quelli in cui il prefisso s- contribuisce al valore ingressivo o strumentale del verbo. In tali verbi il prefisso e il processo di conversione agiscono simultaneamente come un unico affisso. La particolarità dei verbi parasintetici rispetto ad altri casi di affix-cluster, è che i due elementi derivativi (il prefisso e il processo di conversione) formano un morfo discontinuo, un circonfisso.1 Il ruolo del prefisso nel circonfisso dei verbi parasintetici è essenzialmente quello di segnalare con una marca esplicita la trasformazione categoriale da nome o aggettivo in verbo data dal processo di conversione. I motivi a favore dell'ipotesi circonfissale sono molteplici. Come abbiamo visto, i prefissi ad-, in- e s- nell'uso ingressivo e strumentale possono essere usati produttivamente solo in concomitanza con il processo di conversione, e non contribuiscono con uno specifico significato alla semantica del verbo. L'ipotesi del circonfisso dà conto anche della non autonomia della conversione nei parasintetici e dell'impossibilità di premettere i prefissi parasintetici a basi verbali. Inoltre, da un punto di vista teorico, considerare la formazione di verbi parasintetici come generata da un'unica regola derivativa (il circonfisso) rispetta la natura binaria dei processi derivativi senza il bisogno di postulare stadi non attestati. In conclusione, la caratteristica distintiva dei verbi parasintetici non consiste tanto nella non attestazione del verbo formato per conversione, quanto nell'impiego di un circonfisso a partire direttamente da basi nominali e aggettivali. Il circonfisso è formato dal processo di 1

La proposta della derivazione circonfissale per i verbi parasintetici dell'italiano, come anche l'elaborazione della nozione di verbo a doppio stadio derivativo sono state formulate in Crocco Galèas / Iacobini 1993a.

4.1. Verbi parasintetici

171

conversione e d a prefissi il cui impiego è ristretto a questo particolare tipo derivativo e il cui contributo semantico consiste essenzialmente in un'indicazione di tipo azionale di cambiamento di stato. I verbi a doppio stadio derivativo rappresentano invece un tipo particolare di verbo prefissato, caratterizzato dal fatto di avere come base un verbo possibile ma non attestato, rispetto al quale il verbo prefissato si distingue semanticamente. La definizione di verbo parasintético qui proposta può apparentemente essere contraddetta dall'esistenza di un certo numero di verbi come accadere, apporre, immettere, influire, in cui i prefissi parasintetici sono premessi a temi verbali, come anche da un ristrettissimo numero di verbi, quali delucidare, denudare, dimagriredisseccare, in cui i prefissi de- e dis- non esprimono valore privativo. A questo proposito occorre sottolineare che i verbi appena citati sono di formazione latina (o rifatti su tale modello), e soprattutto che non sono ricavabili da regole produttive di formazione di parole dell'italiano. Per comprendere meglio l'origine del processo di parasintesi ed alcune particolarità d'uso dei prefissi verbali che esprimono di norma valore privativo, riteniamo opportuno fare un passo indietro e riportarci brevemente alla situazione del latino. II tipo di formazione verbale parasintético, presente in tutte le lingue romanze, è un processo che si è affermato nella tarda latinità, e di cui abbiamo numerose attestazioni soprattutto nei testi più inclini ad accogliere termini della lingua parlata o di uso tecnico (cfr. Malkiel 194la, Alien 1981, Crocco Galèas / Iacobini 1993b, Brächet 1999). È a partire all'incirca dal terzo secolo d.C. che, soprattutto grazie alla progressiva desemantizzazione di alcuni prefissi locativi (in particolare ad-, in-, ex-, i prefissi latini che sono gli antecedenti degli italiani ad-, in-, s-), la parasintesi si è differenziata dal complesso della prefissazione verbale e ha assunto un forte rilievo quantitativo. La desemantizzazione di tali prefissi e l'aumento del numero di formazioni parasintetiche è una tendenza che si è attuata progressivamente nel corso della latinità, ma ancora in periodo tardo i prefissi dei parasintetici hanno potuto essere impiegati con l'originario valore locativo anche preposti a temi verbali (lat. adcurro "correre verso" vs curro "correre", includo "rinchiudere" vs claudo / eludo "chiudere"), così come era di norma nel latino classico.2 La nascita del tipo parasintético si deve a un processo che trae origine dalla reinterpretazione di verbi denominali e deaggettivali prefissati. La numerosità e la frequenza d'uso di verbi denominali e deaggettivali prefissati in cui il prefisso non contribuisce alla semantica del derivato con un significato specifico (lat. accumulo, incurvo, intitulo) e che quindi non si distinguono per significato dai corrispettivi verbi denominali e deaggettivali (lat. cumulo, curvo, titulo) ha favorito la formazione di verbi prefissati aventi per base un sostantivo o un aggettivo privi di un corrispondente verbo denominale o deaggettivale corradicale. Ad esempio, un verbo come incurvo è stato reinterpretato come una derivazione di primo grado, riconducibile direttamente a una base aggettivale. Una tale interpretazione, ignorando lo stadio intermedio rappresentato dal verbo denominale o deaggettivale, ha imposto una nuova relazione derivativa, e ha reso in tal modo possibile la formazione di verbi come lat. adunco "curvare a forma di uncino", emanco "rendere monco", inesco "adescare", derivati direttamente da un sostantivo o da un aggettivo (lat. uncus "uncino", mancus, -a, -um "monco", esca "cibo, esca") saltando il passaggio del verbo non prefissato. Il processo di formazione parasintética si è imposto in un periodo di progressiva disgregazione della norma della lingua latina e di individuazione di nuovi equilibri nella creazione dei sistemi morfologici delle lingue romanze. Tra i motivi del suo successo vi è il maggiore grado di iconicità rispetto alla semplice conversione: la presenza del prefisso nel parasintético segnala in maniera più evidente di quanto non accada per la conversione il cambio categoriale e la trasformazione semantica della

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II prefisso di- è la variante di tradizione diretta del prefisso di tradizione colta de-, I verbi di formazione italiana in cui ad- e in- sono premessi a temi verbali sono molto pochi (e quasi tutti risalgono al XIV secolo), tra questi: addivenire, arrecare, attorcere, impigliare, incominciare.

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4. Parasintesi

base nominale o aggettivale, garantendo una maggiore omogeneità tra complessità del significante e complessità del significato. Accenniamo soltanto ad altri tre fenomeni che hanno certamente influito positivamente sull'affermazione del processo di parasintesi: (a) il ricorso nel latino tardo alla prefissazione verbale col fine di aumentare il corpo fonico dei verbi (si pensi a casi di superprefissazioni come adagnosco, adalligo)·, (b) la marginalità nel sistema derivativo del latino della formazione di verbi denominali e deaggettivali tramite suffissazione; (c) il progressivo impoverimento nel passaggio dal latino alle lingue romanze del sistema di relazioni e opposizioni locative e temporali proprie della prefissazione verbale del latino classico.

4.1.2. Verbi ingressivi ed egressivi a I prefissi parasintetici e quelli a doppio stadio derivativo condividono un'importante caratteristica, quella di esprimere originariamente significati di tipo locativo, anche se orientati in senso contrapposto: moto a luogo i prefissi parasintetici, moto da luogo quelli a doppio stadio derivativo. Sappiamo che la nozione di movimento verso un luogo può essere reinterpretata nella nozione di cambiamento di stato, nella transizione da uno stato a un altro, secondo un'analogia che si può instaurare da un lato tra l'occupare una posizione e l'essere in un determinato stato e dall'altro tra il cambiamento di luogo e il cambiamento di stato. Lo sviluppo semantico dei prefissi ad- e in- è andato proprio in questa direzione: essi hanno perso progressivamente la possibilità di essere usati produttivamente come prefissi locativi e hanno acquisito la funzione di segnalatori di ingressività. Usiamo ingressivo (e il suo contrario egressivo) nel senso definito da Grossmann 1994, 3-16, cioè come denominazione di un componente semantico di tipo azionale dei verbi che designano una transizione da uno stato ad un altro. Verbi ingressivi come addolcire e ingrandire indicano l'acquisizione di uno stato, e presuppongono che, precedentemente al cambiamento di stato, le entità a cui si riferiscono fossero rispettivamente "non dolci" o "meno dolci", "non grandi" o "meno grandi". I prefissi che formano verbi a doppio stadio derivativo concorrono invece alla formazione di verbi egressivi, che esprimono valori di tipo reversativo (decontaminare, disfare, snodare, sbottonare), privativo (diserbare, sbrinare), oltre a indicare separazione e allontanamento (disarcionare, sbarcare). La predicazione egressiva verbalizza il passaggio dallo stato che rappresenta il risultato della verbalizzazione ingressiva a uno stato opposto, in genere, ma non necessariamente, coincidente con lo stato precedente alla predicazione ingressiva. I prefissi con significato egressivo permettono quindi di formare coppie di opposti con verbi parasintetici corradicali, cfr. innescare e disinnescare, allacciare e slacciare, impolverare e spolverare. Si noti come il prefisso egressivo può sia aggiungersi al prefisso parasintético (disinfiammare) sia, più frequentemente, sostituirsi ad esso (distaccare da attaccare, disgregare da aggregare, scorporare da incorporare, sloggiare da alloggiare).

4.1. Verbi

parasintetici

173

4.1.3. Il doppio valore di s- ci Vediamo ora come è stato possibile che da uno stesso prefisso si siano potuti sviluppare valori antitetici di tipo sia ingressivo sia egressivo (cfr. sgrossare "rendere meno rozzo" e sfittare "rendere più fine", sfiammare "lenire un'infiammazione" e sfiammare "divampare", sfilare "togliere dalla sua sede ciò che vi è infilato" e sfilare "procedere in fila"). Anche in questo caso bisogna rifarsi al latino. Il punto di passaggio fra l'originario valore egressivo e la nuova interpretazione ingressiva del prefisso latino ex- può essere individuato in una serie di verbi causativi tratti da aggettivi e sostantivi,1 tra cui segnaliamo alcuni fra quelli ancora in uso in italiano: effeminare, essiccare, evaporare, esacerbare, esasperare. Tali verbi predicano l'uscita da uno stato che non viene menzionato in quanto considerato normale o intrinseco per l'entità a cui sono riferiti (l'essere maschio, l'essere umido, l'essere liquido ecc.). Verbi come effeminare, evaporare o essiccare possono infatti essere riferiti rispettivamente solo a persone di sesso maschile, a liquidi, o a cose e persone bagnate o umide. 2 Questi verbi si prestano quindi a una reinterpretazione di tipo ingressivo consistente nell'omissione del concetto di uscita da uno stato di cose, e nell'espressione del passaggio allo stato indicato dal nominale di base. Le loro parafrasi "diventare femmina o simile a una femmina", "diventare secco, o più secco", "diventare vapore" risultano di fatto del tutto equivalenti a quelle dei verbi parasintetici con ad- e in- (ammorbidire, ingrossare) e dei verbi formati per conversione, si pensi a coppie sinonimiche quali allargare e slargare, chiarire e schiarire. Lo sviluppo del valore ingressivo del latino ex- è stato favorito anche da altri fattori, tra cui i principali sono l'impiego di tale prefisso nella formazione di verbi incoativi, come ad esempio lat. effervesco, evanesco (da cui it. effervescente e evanescente), e dal riconoscimento del valore aspettuale di compimento e di esaustività presente in alcuni verbi come lat. exhaurio "vuotare" rispetto ad haurio "attingere". Un interessante collegamento fra valori egressivi e ingressivi espressi dal prefisso s- si ha in verbi come sbranare, sbriciolare, sfrangiare, smembrare, spezzare, che possono essere parafrasati "rompere X in N", "ridurre X a N". Come osserva Grossmann 1994, 71, tali verbi descrivono eventi irreversibili interpretati dal punto di vista della conoscenza delle cose come aventi polarità negativa, in quanto tendenti verso l'annullamento di uno stato preesistente. Si tratta quindi di verbi apparentemente egressivi, in quanto presuppongono l'allontanamento da uno stato precedente, ma di fatto ingressivi in quanto predicano il costituirsi di un nuovo stato di cose. L'esistenza di verbi prefissati con dis- e de- con valore ingressivo (delucidare, denudare, dilatare, dimagrire, disseccare) ha motivazioni analoghe a quelle viste per il prefisso s-, ma a differenza di quest'ultimo, i prefissi de- e dis- non sono utilizzati produttivamente con

1

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Dal prefisso latino ex-, l'italiano ha derivato, oltre al prefisso s-, anche il prefisso e-/es-, non più produttivo nell'italiano corrente, ma sporadicamente utilizzato nelle terminologie tecnicospecialistiche con valore privativo e locativo (espettorare, evertebrato). Lo stato preesistente alla verbalizzazione egressiva è ricostruibile anche grazie al fatto che per molte delle basi nominali è immediata l'individuazione del termine complementare o antonimo (maschio ! femmina, alto / basso, giovane ! vecchio, amico / nemico). Sulle origini di questi verbi

cfr. Brächet 1999.

174

4. Parasi/itesi

valore ingressivo, e i verbi di uso corrente con valore ingressivo formati con questi prefissi non superano la ventina di unità.

4.1.4. Verbi parasintetici deaggettivali ci Abbiamo sin qui definito le caratteristiche generali dei verbi parasintetici e di quelli a doppio stadio derivativo. Abbiamo poi delineato l'origine dei verbi parasintetici e distinto il valore ingressivo da essi espresso rispetto a quello egressivo, tipico dei verbi a doppio stadio derivativo. Passiamo ora a vedere più da vicino i verbi parasintetici, cominciando da quelli con base aggettivale. La classificazione semantica dei verbi parasintetici qui proposta si basa su quella elaborata da Grossmann 1994 per i verbi del catalano. Il valore ingressivo del circonfisso parasintético si manifesta appieno nella formazione di verbi da basi aggettivali, in tali verbi infatti l'originario valore locativo dei prefissi non gioca più alcun ruolo. La parafrasi della generalità dei verbi parasintetici aventi come base un aggettivo è "far diventare, rendere (più) A", per esempio abbassare "rendere basso" o "più basso", ammorbidire, indebolire, insudiciare, scaldare, smagrire. Si tratta quindi di verbi causativi, cioè verbi transitivi in cui il referente del soggetto dell'enunciato è di norma causa intenzionale di un cambiamento di stato o di proprietà subito dal referente del complemento oggetto, e in cui l'aggettivo costituisce il nucleo semantico della predicazione (il marinaio allenta il nodo, i dolci ingrassano Gianni). Gli stessi verbi possono di norma essere usati anche in costruzioni intransitive con valore incoativo.1 Tale valore può essere espresso nella forma attiva, o nella forma pronominale con un clitico in funzione anticausativa (il nodo si allenta, Gianni (si) ingrassa). La maggioranza dei verbi parasintetici deaggettivali presenta un'alternanza tra forma attiva con valore causativo e forma pronominale con valore incoativo. Tra i molti esempi possibili: abbassare, abbreviare, accertare, accomunare, addensare, addestrare, addolcire, afflosciare, aggiustare, alleggerire, allentare, allietare, ammollare, appesantire, appianare, appiattire, approssimare, assodare, avverare, avvilire, impietosire, impreziosire, incivilire, incurvare, infradiciare, innervosire, insudiciare, intossicare, inumidire, inzuppare, irrobustire, isterilire, sbizzarrire, sbollentare, smezzare, svilire. Un discreto numero di verbi può essere impiegato nella forma attiva sia con valore causativo nella costruzione transitiva sia con valore incoativo in quella intransitiva, quest'ultimo valore può essere espresso anche tramite la forma pronominale;2 un elenco pressoché esaustivo dei verbi di uso corrente comprende: ammorbidire, ammutire, annerire, arricchire, arrugginire, avvizzire, azzittire, illividire, imbarbarire, imbastardire, imbellire, imbestialire, imbiancare, imbiondire, imbizzarrire, imborghesire, imbrunare, imbrunire, imbruttire, impazzare, impiccolire, impigrire, impoverire, inacidire, inasprire, incuriosire, indebolire, indolenzire, indurire, inferocire, infiacchire, infittire, infoltire, ingelosire, ingiallire, ingrandire, ingrassare, ingrigire, ingrossare, insecchire, intenerire, intimidire,

2

Intendiamo per verbo incoativo quello in cui il referente del soggetto dell'enunciato è affetto, indipendentemente dalla propria volontà, da un mutamento di stato. Sulla doppia possibilità d'uso transitivo e intransitivo dei verbi parasintetici deaggettivali e denominali nell'italiano del Due-trecento, cfr. Brambilla Ageno 1964,97-115.

4.1. Verbi

parasintetici

175

intristire, invecchiare, involgarire, irrigidire, istupidire, scaldare, slargare, spianare, sprofondare. Un numero ristretto di verbi esprime unicamente valore incoativo, la loro parafrasi è "diventare (più) A"; questi verbi possono essere usati sia nella forma intransitiva attiva sia in quella pronominale, tra essi: ammattire, arrossire, imbolsire, impallidire, impazzire, infracidire, intumidire, inviscidire, irrancidire. Si contano sulla punta delle dita di una mano i verbi di cui è attestata la forma attiva e non la pronominale (infetidire, svanire), oppure la pronominale e non l'attiva (intestardirsi). I verbi parasintetici con base aggettivale descrivono l'acquisizione o l'aumento di grado di una certa proprietà o qualità (l'essere bello, feroce, triste ecc.) lo stato iniziale dell'azione rimane inespresso e il grado dello stato risultante rimane indeterminato. Tutto quello che possiamo dire sullo stato iniziale è che si situa a un grado inferiore in rapporto allo stato risultante; quest'ultimo si può trovare o all'interno dei limiti della qualità espressa dallo stadio iniziale (da meno bello a più bello) o al di fuori (da non bello a bello). Di conseguenza, possiamo ad esempio dire di allungare una cosa che rimane corta, o che è già lunga, di ingiallire una cosa che non è gialla o che è già un po' gialla o ingiallita, o di ingrassare pur rimanendo magri (cfr. Castelfranchi 1979). Per un ristretto numero di verbi (tra i quali accertare, affrancare, aggiustare, annullare, appurare, assicurare, assodare, inumidire) è possibile verbalizzare soltanto l'acquisizione di uno stato, e non l'aumento di grado. Gli aggettivi di base sono generalmente non derivati, tra le poche eccezioni vi sono alcuni aggettivi che derivano da participi presenti (appesantire, arroventare, impuzzolentire, sbollentare) e alcuni aggettivi derivati da nomi (impietosire, involgarire).' Dei circa 210 verbi parasintetici deaggettivali lemmatizzati nel DISC, i più numerosi sono quelli prefissati con in- (53%), seguono quelli prefissati con ad- (39%), poco numerosi quelli con s- (8%). Non vi sono relazioni sistematiche tra da una parte l'impiego di un determinato prefisso anziché un altro e dall'altra il significato della base o del verbo parasintético. I significati espressi dai verbi parasintetici deaggettivali possono essere espressi anche da verbi formati per conversione o suffissazione (cfr. addolcire e calmare, affaticare e stancare, accertare e verificare, irrobustire e fortificare, incivilire e civilizzare). Per quanto riguarda le classi flessive, prevalgono i verbi in -ire (56%) su quelli in -are (44%). Un'importante differenza tra le due classi flessive consiste nel fatto che i verbi che permettono un impiego intransitivo nella forma attiva appartengono nella quasi totalità alla classe in -ire, mentre tra quelli della classe in -are l'opposizione causativo-attivo / incoativo-pronominale si manifesta con maggiore regolarità.2 La tabella 1 riporta la distribuzione percentuale dei prefissi per ciascuna classe flessiva. In essa si può notare che circa tre quarti dei verbi in -ire sono prefissati con in-, mentre la maggioranza dei verbi in -are è prefissata con ad-.

1

2

Così come è di norma anche per altre regole di formazione di parole, gli aggettivi derivati da nomi sono basi possibili di derivazione solo se usati con significato qualificativo e non classificante (cfr. Grossmann 1999 e 5.2.1.1.1.). Tra le pochissime eccezioni: allargare, allungare, e alcuni verbi quali accecare, aggravare, ammosciare, assordare, il cui uso intransitivo è molto poco frequente o obsoleto.

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4. Parasintesi

prefisso

-are

-ire

ad-

57% 29% 14% 100%

23% 73% 4% 100%

ins-

totale

Tabella 1 : Verbi parasintetici deaggettivali - prefissi e classi flessive La produttività dei verbi parasintetici deaggettivali è in una fase calante. Ciò può essere in gran parte spiegato con la concorrenza del suffisso -izz- che, a differenza della parasintesi, può avere come basi aggettivi suffissati; tra i poco numerosi neologismi: asserìarsi, infasullire, sgigionare. Sono molto pochi i verbi che presentano modificazioni nella base rispetto agli aggettivi a cui sono riconducibili, tra essi: abbonire, abbreviare, indolenzire, inebriare, innovare.

4.1.5.

Verbi parasintetici denominali a

I tipi di significato espressi dai verbi parasintetici denominali sono più vari rispetto a quelli espressi dai verbi deaggettivali. I nomi possono essere definiti da un insieme di tratti semantici anche molto diversi tra loro, e il referente che essi designano può essere coinvolto in una grande varietà di situazioni. Il processo di verbalizzazione seleziona i tratti che sono prevalenti nelle attività normalmente associate al referente in un determinato contesto culturale. Di conseguenza, il significato del verbo denominale dipende molto dalle conoscenze enciclopediche dei parlanti, e da quale (o quali) fra i tratti semantici che compongono il significato del nome di base sia preso in considerazione nel processo di verbalizzazione. Ad esempio, un verbo come accanirsi non significa "diventare un cane" o "simile a un cane", ma "impegnarsi con tenacia" o "infierire rabbiosamente" così come tipicamente fanno i cani. Questo insieme di fattori rende difficile e incerta la classificazione semantica dei verbi parasintetici denominali, 1 è però possibile individuare alcune parafrasi a cui possono essere ricondotti. I tipi di significato principali che possono essere espressi dai verbi parasintetici denominali sono due: causativo e locativo, a cui si possono aggiungere il significato strumentale e quello ornativo. Nessuno di questi tipi di significato è specifico dei verbi parasintetici, dal momento che gli stessi significati possono essere espressi anche da verbi formati per conversione (cfr. 7.4.2.1.) o suffissazione (cfr. 5.3.1.2.).

4.1.5.1. Significato causativo α I verbi con significato causativo sono i più numerosi, costituiscono infatti circa il 50% dei verbi parasintetici denominali. All'interno di essi si possono distinguere tre sottotipi principali. La classificazione più dettagliata dei significati espressi dai verbi parasintetici italiani è fornita da Reinheimer-Rìpeanu 1974.

4.1. Verbi

parasintetici

177

4.1.5.1.1. I tipi accartocciare, incolonnare, inarcare ci I verbi di questo tipo hanno come parafrasi "(far) diventare (un) N", per esempio accartocciare, accatastare, acciambellare, accomunare, accoppiare, addottorare, affettare, affratellare, aggomitolare, aggrumare, ammucchiare, ammuffire, appallottolare, asservire-, impadronirsi, imparentare, impastare, impilare, inarcare, incarnare, incenerire, incolonnare, incrostare, infilzare, intrecciare-, sbocciare, sbranare, sbriciolare, spezzare. I nomi di base sono per la maggior parte concreti. La verbalizzazione può dare luogo al porre in essere di Ν (come in accartocciare, incenerire, sbriciolare), oppure nel far diventare qualcosa o qualcuno parte di Ν (come in accatastare, ammucchiare, impilare, incolonnare), o anche nel (far) prendere forma di Ν (come in acciambellare, inarcare). 4.1.5.1.2. Il tipo inviperirsi ci I verbi di questo tipo hanno come parafrasi "(far) diventare come (un) N", per esempio accanirsi, accapponarsi', imbombolare, impaperarsi, incartapecorire, inviperirsi, ischeletrire:; scamosciare. Si tratta del tipo meno numeroso, le basi sono costituite in buona parte da nomi animati. In questi verbi è particolarmente evidente che la verbalizzazione seleziona alcuni tratti semantici delle basi, ad esempio inasinirsi significa "comportarsi manifestando alcune delle qualità attribuite all'asino", come l'ignoranza e la stupidità. 4.1.5.1.3. I tipi affascinare, insaporire ci Sono riconducibili alle parafrasi "causare, produrre, suscitare, (far) prendere, (far) acquisire N" verbi quali: accalorare, addebitare, addottrinare, adirarsi, affascinare, affaticare, aggraziare, ammorbare-, imbandalzire, immalinconire, impaurire, impensierire, impestare, impossessarsi, incapricciarsi, indispettire, indottrinare, infervorare, infuriare, inguaiare, innamorare, inorgoglire, insaporire, intimorire-, sbavare, sfavillare, sfuriare, smaliziare, spaurire. Le basi di tali verbi sono costituite principalmente da nomi astratti, molti dei quali indicano stati psicologici. Sono numerosi i verbi che hanno un'evidente affinità semantica con i verbi parasintetici deaggettivali (cft. aggraziare, immalinconire, impensierire, inorgoglire)-, infatti, per le loro parafrasi sono normalmente usati aggettivi, "rendere grazioso, malinconico, pensieroso, orgoglioso". L'utilizzo di nomi invece che di aggettivi si può spiegare con la preferenza per l'impiego di basi non derivate.

4.1.5.2.

Significato locativo ci

All'incirca il 40% dei verbi denominali esprime significato locativo. All'interno di tale significato si può operare una distinzione in due sottotipi principali, a seconda che il referente del nome di base svolga il ruolo di oggetto che viene posto in un qualche luogo (oggetto localizzato, es. ammobiliare, incoronare, innevare) oppure rappresenti il luogo dove qualcosa o qualcuno viene posto (spazio di localizzazione, es. accasare, infornare, intavolare).

178

4. Parasintesi

4.1.5.2.1.1 tipi imburrare, incoronare ci I verbi in cui il nome di base ha il ruolo di oggetto localizzato sono parafrasabili "mettere Ν in/su/intorno X" (acciottolare, ammantare, ammobiliare-, imbalsamare, imbandierare, imbavagliare, imbellettare, imbiaccare, imbrillantinare, imburrare, imparruccare, impataccare, impagliare, impellicciare, impennacchiare, impepare, impiantare, impollinare, impolverare, incamiciare, incappucciare, incapsulare, incerare, inceronare, incipriare, incoronare, infagottare, infarinare, infiocchettare, infiorare, inghiaiare, inghirlandare, ingioiellare, innevare, insabbiare, insalivare, insaponare). La grande maggioranza dei verbi con questo significato sono prefissati con in-, quelli prefissati con ad- sono molto pochi.1 Le forme pronominali di questi verbi hanno valore riflessivo, esse indicano la coincidenza tra l'agente e il luogo in cui o su cui viene posto il referente del nome di base (imbrillantinarsi, incappucciarsi). Alcuni di questi verbi, possono essere considerati anche come "ornativi", in quanto l'avvicinamento di Ν a X può essere reinterpretato dal punto di vista del risultato come l'aggiunta di un qualcosa; essi sono dunque parafrasabili "munire, fornire, dotare X di N" (acciottolare, incoronare, ingioiellare). 4.1.5.2.2.1 tipi affossare, infornare ci I verbi in cui il nome di base ha il ruolo di spazio di localizzazione sono parafrasabili "mettere X in/su/tra N", "avvicinare X a N, stabilendo o meno un contatto": abbracciare, accasare, accentrare, accerchiare, accodare, accollare, affossare, allettare, alloggiare', imbarcare, imbeccare, imbottigliare, imbucare, immagazzinare, imprigionare, impugnare, incarcerare, incardinare, incartare, incassare, infornare, ingozzare, insaccare, inscatolare, intascare, intavolare, intrappolare, invasare. La maggior parte delle basi nominali denominano spazi destinati a esseri umani o ad animali, o anche oggetti che servono a conservare, trasportare. In alcuni di questi verbi si può notare una relazione piuttosto stretta tra la costruzione parasintética e il sintagma preposizionale che ne costituisce la parafrasi, tanto che per alcuni è plausibile un'origine sintagmatica, cioè la verbalizzazione da un sintagma come a letto per allettare, in barca per imbarcare, così come è avvenuto per alcuni nomi originati dalla univerbazione di sintagmi preposizionali, es. acconto, affare, affresco, allarme, avvenire, i quali possono fungere da base di derivazione, cfr. affrescare, allarmare. E però opportuno ricordare che il processo che porta alla formazione di un verbo è altra cosa dalla sua parafrasi. Un esempio evidente è dato dai casi in cui sia l'oggetto sia lo spazio di localizzazione sono costituiti da entità mobili, es. incartare un regalo, incorniciare un quadro. In questi casi vi sono almeno due parafrasi possibili: una in cui il nome di base ha il ruolo di oggetto localizzato "mettere Ν intorno a X", l'altra in cui ha il ruolo di spazio di localizzazione "mettere X in N". L'ipotesi dell'origine preposizionale dei verbi parasintetici in cui il nome di base ha il ruolo di spazio di localizzazione non è sostenibile per tutti quei verbi in cui il prefisso non corrisponde alla preposizione impiegata per descriverne la parafrasi (cfr. affossare "mettere in una fossa", accantonare "mettere in un cantone"). Più

1

Tra i verbi parasintetici con significato locativo non abbiamo considerato i verbi prefissati con s-, poiché tale prefisso esprime valori locativi di tipo egressivo: "separazione", "allontanamento". Per la descrizione dei verbi prefissati con s- con valore locativo cfr. 3.7.1.1.12.

4.1. Verbi

parasintetici

179

in generale, occorre notare che le preposizioni a e in possono esprimere valori estranei a quelli dei prefissi parasintetici (si pensi all'uso stativo), e che tali prefissi non permettono l'espressione di opposizioni come quella di moto verso una superficie vs moto verso l'interno di un volume (normali per le preposizioni) al di fuori di un ristrettissimo numero di casi, quali atterrare / interrare, a cui però si affiancano coppie di verbi che non presentano alcuna sistematicità nell'indicazione di tipo spaziale, cfr. abbarcare / imbarcare, abbracciare / imbracciare. Il significato dei verbi la cui base denota uno spazio di localizzazione è dunque più opportunamente ed economicamente interpretabile tramite il residuale valore locativo dei prefissi piuttosto che con la presunta origine sintagmatica. Si noti infine che in tali verbi il prefisso ha un ruolo marginale nell'espressione del valore locativo, ne è prova la possibilità di formare verbi denominali in cui la base ha il ruolo di spazio di localizzazione anche non prefissati (archiviare, cerchiare, depositare, internare, memorizzare, ospedalizzare, stipare, stivare; cfr. 5.3.1.2.2.3. e 7.4.2.1.2.3.).

4.1.5.3. Significato strumentale: i tipi accoltellare, scarrozzare ci Vi sono verbi che permettono, oltre a un'interpretazione locativa, anche un'interpretazione di tipo strumentale es. incapsulare "mettere una capsula in/intorno a qualcosa" / "chiudere con una capsula", intelaiare "mettere, tendere sul telaio" / "sostenere, armare con un telaio", incartare "mettere nella carta" / "avvolgere con la carta". L'interpretazione strumentale è resa possibile da un cambio di prospettiva: invece che dal punto di vista dell'azione, il verbo è considerato dal punto di vista del risultato. I verbi con significato strumentale esprimono il compimento di un'azione ottenuto mediante l'uso di un oggetto impiegato come strumento: abbottonare, ammanigliare, accoltellare, addentare, additare, agganciare, allacciare, ammanettare, annodare, appuntare, avvelenare-, imbrigliare, imbullonare, impalare, impallinare, impuntare, inanellare, inceppare, incornare·, sbandierare, scarrozzare, sforbiciare, spifferare, strombazzare, sviolinare. L'identificazione di un tipo semantico autonomo è giustificata da verbi come addentare, impallinare, sforbiciare, nei quali, a differenza di verbi come imbrigliare, impalare, non è rintracciabile alcun valore locativo. L'insieme di tali verbi costituisce circa il 10% del totale dei parasintetici denominali.

4.1.5.4. Considerazioni quantitative ci I verbi parasintetici denominali lemmatizzati nel DISC sono circa 660, i più numerosi sono quelli prefissati con in- (46%), seguono quelli con ad- (38%) e quelli con s- (16%). Prevale nettamente la classe flessiva in -are (90%) su quella in -ire (10%). Tra i verbi in -are, il 44% è prefissato con in-, il 41% con ad- e il 15% con s-, mentre tra quelli in -ire il 76% è prefissato con in-, il 20% con ad- e il 4% con s-. Anche se in- è di gran lunga il prefisso più usato con i verbi in -ire, appartiene a tale classe flessiva solo un verbo su dieci tra quelli prefissati con in-. I verbi usati solo nella forma pronominale intransitiva sono una quarantina, quasi tutti finiscono in -arsi, tra essi: accanirsi, adirarsi, attendarsi, impaperarsi, incavolarsi, infognarsi, intestardirsi, sbracciarsi, prevalgono i causativi sui locativi, assenti gli strumentali. I verbi usati nella forma attiva esclusivamente in costruzioni intransitive sono circa una ventina, tra essi: ammarare, ammuffire, annottare, approdare, imbietolire, imbu-

180

4.

Parasintesi

falire, improsciuttire, incartapecorire, intirannire. La tabella 2 indica l'impiego percentuale dei prefissi nei significati principali espressi dai verbi parasintetici denominali. In essa si nota che circa tre quarti dei verbi di significato causativo sono prefissati con ad- o con in-. Tra i verbi di significato strumentale i prefissi ad- e s- prevalgono nettamente su in-, il quale invece forma da solo circa tre quarti dei verbi con valore locativo. Occorre sottolineare che si tratta di indicazioni di massima, dal momento che non vi sono distinzioni nette tra i significati, al contrario, vi sono sovrapposizioni e passaggi da un significato all'altro, ed è dunque possibile che uno stesso verbo possa essere ricondotto a più di un tipo semantico. significato

ad-

in-

s-

causativo

40

36

24

locativo

24

76

strumentale

45

16

-

39

Tabella 2: Verbi parasintetici denominali - prefissi e significati

La formazione di verbi parasintetici a partire da nomi dimostra una discreta produttività. Prevalgono i prefissi in- e s- su ad-, e la classe flessiva -are su quella -ire. I neologismi superano la cinquantina, tra essi: accorpare, acculturare, ammanicarsi, imbustare "stringere in un busto", impasticcarsi, impetroliare, impoltigliare, incaprettare, incasinare, incernierare, infialare, involgarire, inzitellirsi, scammellare, sdottrinare, slinguare, smanettare, spernacchiare, spupattolare. Non sembra produttiva la formazione di verbi usati nella forma attiva solo come intransitivi, fatta eccezione per la serie analogica allunare, ammartare ecc. rifatta sul modello di atterrare, ammarare. Sono molto pochi i verbi che presentano modificazioni nella base rispetto ai nomi a cui sono riconducibili, tra essi: accapigliarsi, affusolare, arrotare, insanguinare, inoculare. Ricordiamo infine un ristretto numero di verbi parasintetici che hanno come base avverbi, pronomi e numerali. Si tratta di formazioni marginali e non produttive, tra cui quelle di uso più comune sono: allontanare, annientare, arretrare, avvicinarsi, immedesimarsi, inoltrare. Nonostante il prestigio conferito loro dall'essere stati coniati da Dante, sono rimasti di ambito esclusivamente poetico, o sono del tutto usciti dall'uso verbi quali atterzare, indovarsi, inforsarsi, immiarsi, inleiarsi, inluiarsi, intrearsi, intuarsi.1

4.1.6. Altri verbi assimilabili al tipo parasintético ci Come abbiamo visto in 4.1.2., il processo di parasintesi si è affermato nel tempo tramite la concomitante specializzazione di significato di alcuni prefissi e la loro progressiva restrizione all'impiego parasintético, ma trae origine dalla reinterpretazione di verbi prefissati denominali e deaggettivali. Altri prefissi che potevano essere premessi a verbi denominali e deaggettivali, sono stati marginalmente impiegati nella formazione di verbi a partire direttamente da nomi o aggettivi, partecipando in diversa misura al significato complessivo del verbo. Si tratta per lo più di verbi di origine latina, o rifatti sul modello di quelli latini. Qui di seguito elenchiamo, suddivisi per prefisso, i verbi denominali e deaggettivali di uso più frequente di cui non è attestato il corradicale non prefissato, e che possono 1

Per considerazioni quantitative sulle basi e le classi flessive dei verbi parasintetici nella Divina Commedia, cfr. Tollemache 1960.

4.1. Verbi parasintetici

181

quindi essere avvicinati al tipo parasintético. Nel caso di con-, sono di origine latina concatenare, condensare, conglobare, conglomerare, consolidare e contristare, di formazione italiana invece compaginare (a. 1830) e concentrare (sec. XVI). Per- appare solo in pernottare, che è di formazione latina e deriva dall'aggettivo pernox, -noctis "che dura tutta la notte". Pro- ricorre in prolungare, che è di formazione latina, e profilare, che è di formazione italiana (a. 1313-19). So- appare nel verbo sobbarcare (a. 1313-19), che è probabilmente formato tramite sostituzione di prefisso da imbarcare. I verbi con stra- sono di formazione italiana: stralunare (av. 1313), stramazzare (sec. XIV), strapazzare (av. 1566), straripare (sec. XIV), stravaccarsi (a. 1878). Nel caso di tra-, è di formazione latina trapiantare. Sono invece di formazione italiana tracannare (av. 1484), tracimare (a. 1805), tracollare (a. 1503), tralignare (a. 1313-19), tramontare (a. 1304-08), tramortire (a. 1294), trapelare (a. 131319), travasare (av. 1320) e traviare (a. 1313-19). Trans- appare solo in transumare (a. 1909), un prestito dal francese. Nel caso di tras-, il verbo trasfigurare è di formazione latina. Sono invece di formazione italiana trasbordare (av. 1877), trascolorare (av. 1321) e traslocare (a. 1812). Come si potrà notare dalle date di attestazione e dall'eterogeneità dei significati espressi dai verbi, in nessun caso si può parlare di processi produttivi. I dati sull'italiano confermano dunque le affermazioni di Alien 1981, 80 a proposito del passaggio dei verbi parasintetici dal latino alle lingue romanze: in italiano, come nelle altre lingue romanze, si è avuta una diminuzione della varietà dei prefissi impiegati e una parallela espansione dell'uso di quelli che sopravvivono. Considerato anche il basso numero di verbi interessati, l'attribuzione di alcune (o dell'insieme) di queste formazioni ad aree marginali della prefissazione verbale o della parasintesi è una scelta che ha scarse conseguenze e comporta ampi margini di arbitrarietà. Un discorso più lungo meritano invece i prefissi ri-, ra-, rin-. Il significato principale del prefisso ri- è quello di ripetizione. Tale prefisso può quindi essere usato per indicare il ritorno a uno stato precedente a quello modificato da un'azione di tipo egressivo (stabilizzare, destabilizzare, ristabilizzare; abbottonare, sbottonare, riabbottonare). Oltre al valore reingressivo e a quello intensivo (cfr. ricercare, richiedere, riempire), ri- può esprimere talvolta anche un semplice valore ingressivo, cfr. ribassare, rimodernare, verbi che per semantica e processo formativo sono del tutto analoghi ai parasintetici abbassare e ammodernare. I verbi di tipo parasintético formati direttamente con il prefisso ri- non superano la decina (ai due citati si possono aggiungere riciclare, rimarginare e pochi altri), più numerosi sono quelli prefissati con ra- e rin-. Si tratta di due prefissi originatisi dal troncamento della vocale del prefisso ri- premesso a verbi parasintetici, cfr. raccorciare, rammodernare, ravvicinare, rinsecchire, rintontire, rinvigorire. Nei due prefissi il valore ingressivo prevale su quello iterativo. Sono stati usati sia davanti a basi verbali, per un totale di una ventina di formazioni (raccontare, rapprendere, rassomigliare, rimpiangere, rinchiudere, rincorrere), sia in quantità più ampia nella formazione di verbi a partire direttamente da basi nominali e aggettivali (raffermare, rallentare, rammentare, rannicchiare, rattoppare, rimbambire, rimboschire, rimpatriare, rincarare, rincasare, rinfacciare, rinfrescare, ringiovanire, rinsaldare, rinsavire, rintracciare). Non è possibile stabilire con precisione quale sia il numero di queste formazioni, dal momento che non è sempre possibile distinguere in sincronia i verbi parasintetici prefissati con ri- (con troncamento della vocale) rispetto ai verbi formati direttamente con ra- e rin-} Una stima approssimativa è di una trentina di verbi prefissati con rin- e di una ventina prefissati con ra-. Entrambi questi prefissi sono praticamente improduttivi.

Anche l'indagine etimologica non aiuta molto nella comprensione del fenomeno: ci sono verbi come rabbrividire e rafforzare che sono attestati prima di rispettivamente abbrividire e afforzare, altri come rinsecchire e raggirare che sono posteriori a insecchire e aggirare, molti altri come aggruppare e raggruppare, aggomitolare e raggomitolare che sono coevi.

4. Parasintesi

182

4.2.

Nomi cosiddetti parasintetici a

I termini nome parasintético e aggettivo parasintético sono utilizzati per indicare un insieme eterogeneo di formazioni, le cui caratteristiche comuni sono di essere prefissate e di presentare lacune nell'iter formativo (imbiellaggio, assatanato) o non corrispondenza fra struttura formale e struttura semantica (bipartitismo, sottomarino). Non esiste un lavoro né di taglio teorico né di taglio descrittivo sull'insieme dei nomi o degli aggettivi cosiddetti parasintetici dell'italiano.1 Faremo quindi qui di seguito riferimento ai diversi tipi di formazione che in varie pubblicazioni sono stati definiti parasintetici. Come si potrà vedere nei paragrafi seguenti, si tratta di nomi e di aggettivi la cui struttura morfologica non giustifica l'ipotesi dell'aggiunta simultanea di un prefisso e di un suffisso, e tanto meno quella di un circonfisso, essi si distinguono quindi nettamente dai verbi parasintetici. Non è neanche possibile identificare un unico procedimento derivativo comune a tali formazioni.

4.2.1.1 tipi imbiellaggio,

decespugliatore

ci

Si tratta di un gruppo che conta più di una trentina di elementi costituito da nomi derivati da verbi non attestati, tra essi: affogliamento, attralciatura, conurbamento, deasfaltizzazione, decanapulazione, decartellizzazione, decespugliatore, deculminazione, deferrizzazione, defibrinazione, demielinizzazione, demuscazione, deossigenazione, deospedalizzazione, depolpaggio, depolpatore, deruralizzazione, desegregazione, disassamento, disinsettazione, imbiellaggio, inarniamento, inculturazione, insemenzamento, ricentralizzazione, riforestazione, rioccidentalizzazione, riterritorializzazione, scoccolatura, scollettatura, slanatura. Come si può notare dagli esempi, si tratta per la grande maggioranza di nomi di azione e di qualche nome di strumento del tutto analoghi a nomi derivati regolarmente da verbi attestati. La mancata attestazione dei verbi da cui questi nomi sono derivati è accidentale. I verbi in questione sono perfettamente ricostruibili sia nella forma che nel significato, e la lacuna può essere colmata in qualsiasi momento nell'uso linguistico. Non si può quindi parlare per questi nomi di un processo formativo distinto da altri esempi di derivati da verbi possibili ma non attestati (basculaggio, cantonalizzazione, tascabilizzazione), la loro unica particolarità consiste nel fatto che si tratta di nomi derivati da verbi possibili prefissati.

4.2.2.1 tipi ipervitaminosi,

endogamia ci

Sono talvolta definiti parasintetici termini d'uso o di provenienza tecnico-scientifica (iperostosi, ipetricosi, ipervitaminosi, endofasia, endogamia, endoscopia), in cui è possibile riconoscere strutture formative ricorrenti (iper-...-osi, endo-...-ia). Si tratta di strutture formative estranee all'uso comune, la cui serialità è da attribuire all'utilizzo in sistemi classificato1

Alcuni riferimenti all'italiano si possono trovare in Reinheimer-Rìpeanu 1974,139-148.

4.3. Aggettivi cosiddetti

183

parasintetici

ri. In tali nomi non vi è alcun legame necessario fra l'elemento iniziale e quello finale (cfr. endocitosi. ipercromia), e gli stessi elementi possono anche essere usati indipendentemente l'uno dagli altri (endocarpo. iperacuto, onicosi, bizzarria).

4.2.3. Il tipo bipartitismo

a

In un ristretto numero di nomi astratti, tra cui bipartitismo, interclassismo, monoteismo, preraffaellismo, il prefisso o l'elemento iniziale con valore numerale si riferiscono semanticamente al sostantivo di base non suffissato (partito, classe ecc.) e non a quello suffissato (partitismo, classismo ecc.). I nomi di questo tipo sono stati talvolta denominati parasintetici per via della parziale non corrispondenza fra struttura formale e struttura semantica. Non è chiaro quali siano i motivi per cui l'ipotesi dell'affissazione simultanea dovrebbe spiegare tale asimmetria. E interessante notare che i nomi suffissati (partitismo e gli altri) sono parole correnti, e che è possibile formare parole in cui l'elemento iniziale si riferisce all'intera parola suffissata con -ismo, es. monosillogismo, preromanticismo, postimpressionismo.

4.2.4.1 tipi guerrafondaio,

fruttivendolo

ci

Alcuni studiosi (cfr. Tollemache 1945, 47, 187-188) considerano parasintetici anche nomi in cui non compare alcun prefisso. Composti di origine sintagmatica suffissati (guerrafondaio) sono definiti parasintetici per il fatto che il composto non suffissato non è una formazione corrente, a differenza di composti come pallacordista, considerati derivati perché la loro base (pallacorda) è una parola attestata.1 Probabilmente per motivi analoghi vengono considerati parasintetici anche alcuni nomi composti suffissati con '-olo, tra cui la serie dei nomi terminanti in -vendolo (erbivendolo, fruttivendolo, pescivendolo·, cfr. 2.1.2.2.2.3.) e altri nomi non più in uso, come coditremola "cutrettola" o canapiendola "altalena".

4.3.

Aggettivi cosiddetti parasintetici a

4.3.1.1 tipi assatanato, ammandorlato,

deteinato ci

Consiste di un piccolo numero di aggettivi la cui forma corrisponde a quella di participi passati di verbi prefissati non attestati. All'interno di tali aggettivi è opportuno distinguere quelli con significato risultativo (che presuppongono il verificarsi di un'azione verbale) da Si noti che secondo l'accezione del termine in uso presso i grammatici greci e latini, dovrebbero essere considerate parasintetiche tanto parole come guerrafondaio che come pallacordista.

4. Parasintesi

184

quelli che esprimono una qualità o una somiglianza, e non lasciano quindi presupporre un'azione di cui siano il risultato. Tra gli aggettivi participiali con significato risultativo vi sono: affebbrato, affnittato, ailog liato, ammalorato, ammusonito, assatanato, azzancato, dealbuminato, decerato, deteinato, inturbantato, inzoccolato, indaffarato, incamerellato, immanicato, imbraccialato, incuffiato, insatirito, rilottizzato, slampadato. Per ciascuno di essi è del tutto convincente ipotizzare la derivazione da un verbo la cui mancata attestazione è accidentale. Tra gli aggettivi la cui semantica rende implausibile la derivazione da un verbo non attestato vi sono i seguenti, nessuno dei quali è di uso corrente: aggigliato "simile a un giglio", allombato "che ha buoni lombi", allucciato "che ha bocca di forma simile a quella del luccio", ammandorlato "che ha forma di mandorla". A differenza dello spagnolo, lingua in cui vi sono molti aggettivi denominali formati secondo lo schema a-N-ado, tanto da giustificare uno specifico processo derivativo di tipo parasintético (cfr. Malkiel 1941b, Rainer 1993a, 72-73, 300-301), l'italiano preferisce la semplice suffissazione denominale, e utilizza due suffissi di origine participiale (cfr. anche 5.2.1.2.). Il più usato è -ato, che indica la presenza, come tratto tipico o distintivo, del referente del sostantivo di base (cabinato, chiomato, dentato, fortunato, togato), o anche somiglianza con il referente del sostantivo di base (ambrato, flautato, vellutato). L'altro è -uto, che indica notevole o rilevante presenza di ciò che è espresso dal sostantivo di base ( b a f f u t o , linguacciuto, nasuto, panciuto, ricciuto). Ricordiamo infine una serie di aggettivi prefissati con s- la cui parafrasi rende implausibile la derivazione da un verbo non attestato: sfacciato, sgraziato, spensierato, spietato, spudorato, svergognato. Di nessuno di essi è attestata la forma non prefissata. Si tratta di un insieme ridotto che può essere ricondotto alla serie derivativa di aggettivi come sfortunato, smisurato, scostumato, screanzato, per ognuno dei quali è attestato l'aggettivo non prefissato, e in cui il prefisso esprime valore privativo se riferito al nucleo nominale ("privo di fortuna") o negativo se riferito all'aggettivo suffissato ("non fortunato"). 1

4 . 3 . 2 . 1 tipi sottomarino,

antiparassitario

ci

La particolarità degli aggettivi di questo tipo consiste nel fatto che il prefisso si riferisce semanticamente non all'intera base, costituita da un aggettivo di relazione, ma al suo nucleo nominale: sottomarino non significa infatti "sotto a ciò che è marino" ma "sotto al mare", così antiparassitario si riferisce a ciò che è contro i parassiti, e bicilindrico a ciò che è formato da due cilindri. Si tratta di un gruppo molto numeroso a cui prendono parte prefissi ed elementi formativi che esprimono significato spazio-temporale, valore contrario, valore quantitativo. Tra i molti esempi possibili: adimensionale, anficromatico, antelunare, antiatomico, anticlericale, antidemocratico, antipopolare, antirivoluzionario, antimissilistico, antitaliano, antidiluviano, bifacciale, circumvesuviano, cisalpino, citramontano, coassiale, connaturale, controciclico, controfattuale, deverbale, endocranico, endovenoso, epicontinentale, estradotale, extraconiugale, extracomunitario, filonucleare, filosovietico, infraclinico, infrascapolare, intercutaneo, interbancario, intercontinentale, interconsonantico, 1

Altri aggettivi talvolta indicati come parasintetici (sgrammaticato, svogliato) sono più semplicemente interpretabili come forme participiali del verbo corrispondente.

4.3. Aggettivi

cosiddetti

parasintetici

185

intracellulare, ipotiroideo, multietnico, multimodulare, multizonale, neotestamentario, paramilitare, parastatale, percutaneo, perlinguale, peribranchiale, pluridimensionale, plurisecolare, polimaterico, polisettoriale, postindustriale, precolombiano, prematrimoniale, progovernativo, quadrifamiliar e, soprannaturale, sovraregionale, sottolinguale, sottomarino, stragiudiziale, stramurale, sublinguale, supernazionale, superpartitico, surrenale, transalpino, transamazzonico, transatlantico, transiberiano, tridimensionale, ultracentenario, ultraterreno, unicellulare. Secondo l'interpretazione tradizionale (cft. Darmesteter 1877, 129, e per l'italiano Tollemache 1945, 110-112, 252), questi aggettivi sarebbero di tipo parasintético, cioè derivati tramite l'aggiunta simultanea del prefisso e del suffisso alla base nominale (sotto- e -ino nel caso di sottomarino, anti- e -ario nel caso di antiparassitario, bi- e -ico nel caso di bicilindrico). Questa interpretazione si presta a diverse obiezioni, la principale delle quali è che essa non spiega perché il suffisso dell'aggettivo cosiddetto parasintético coincide sempre con quello dell'aggettivo non prefissato (cfr. costituzionale e anticostituzionale e non °anticostituzionario, rivoluzionario e antirivoluzionario e non °antirivoluzionale)\ un'altra difficoltà è data dalla possibilità che uno stesso prefisso ha di combinarsi con aggettivi derivati con diversi suffissi (intercutaneo, interbancario, intercontinentale, interconsonantico). L'ipotesi della derivazione parasintética è stata criticata da Corbin 1980 e 1987, 121139; in questi lavori viene proposta una derivazione in due tappe. La prima consiste nella prefissazione della base nominale, la seconda nella suffissazione attraverso un procedimento di copia del suffisso dell'aggettivo di relazione del nome usato come base. 1 A sostegno di questa ipotesi, Corbin indica la parafrasi dell'aggettivo prefissato (la quale fa riferimento al nome) e la sinonimia di formazioni suffissate e non suffissate come antimissile e antimissilistico. Anche la proposta di Corbin, al di là di problemi di ordine più propriamente teorico, non è priva di inconvenienti sul piano descrittivo. Essa non è in grado di spiegare i casi di suppletivismo o allomorfia dell'aggettivo (atemporale, antebellico, antibritannico, denominale, extracorporeo, extraurbano, filonipponico, interdigitale, intracerebrale, multilaterale, perorale, postelettorale, postoperatorio, prescolare, presenile, subacqueo, suburbano, transtiberino), inoltre non tutti i prefissi che si premettono ad aggettivi di relazione si possono premettere anche a nomi (tra essi circum- e cis-). La soluzione più convincente (cft. Rainer 1993a, 103-104) è quella proposta da Durand 1982, secondo cui queste formazioni derivano semplicemente dalla prefissazione di un aggettivo di relazione. La particolare interpretazione semantica di queste formazioni dipende dalla specificità degli aggettivi di relazione, il cui ruolo abituale è appunto quello di indicare nella costruzione sintattica in cui sono impiegati una relazione tra il nome testa del sintagma e il nome da cui derivano, che svolge una funzione classificante. La proposta di Durand permette di assimilare alle formazioni con aggettivi di relazione anche le formazioni con base nominale non suffissata (es. antidroga, antifurto, antigrandine, antinebbia, antirughe, contraereo, controcarro, multiuso) analoghe per semantica e per impiego a quelle suffissate. Queste forma-

Secondo Corbin il suffisso non è necessario all'interpretazione semantica della parola complessa, ma ne favorisce l'integrazione paradigmatica all'interno della categoria degli aggettivi.

186

4. Parasintesi

zioni, al pari di quelle con aggettivi di relazione, sono non graduabili, non sono impiegabili in posizione predicative, e si distinguono essenzialmente per il fatto di essere invariabili.1

4.3.3.1 tipi imberbe, informe, bilingue, trireme-, immancabile,

irrestringibile

ci

Aggettivi come informe o bilingue sono talvolta considerati parasintetici probabilmente per il fatto che, una volta rimosso l'elemento iniziale, la parte residua non è una parola autonoma dell'italiano e vi si può riconoscere una terminazione ricorrente. L'interpretazione parasintetica di tali aggettivi identifica un elemento iniziale di valore negativo o quantificativo, e un elemento finale -e aggiunti a una base nominale (es. in- + forma + -e, bi- + lingua + -e). Come vedremo, si tratta di un'interpretazione inadeguata, perché ipotizza un modello regolare di formazione italiano, mentre in realtà abbiamo a che fare con parole di origine latina (peraltro di numero modesto), a cui si accompagnano casi isolati di creazione analogica in italiano. Il latino, già in epoca arcaica, poteva formare regolarmente aggettivi esocentrici denominali con il prefisso negativo in- (o con un numerale) inserendoli nella classe flessiva con tema in -i-\ si vedano alcuni esempi in (4): (4)

barba, -ae "barba" forma, -ae "forma" color "colore"

—• —* —•

imberbis, -e "privo di barba, imberbe" informis, -e "senza forma, informe" incolor, -oris "privo di colore, incolore"

In seguito, il latino ha fatto ricorso anche ad altri prefissi per formare aggettivi dello stesso tipo (es. lat. deformis, demens, exsanguis, abnormis, da cui gli aggettivi italiani deforme, demente, esangue, abnorme). La -e finale di aggettivi come it. imberbe, informe non può quindi essere considerata un affisso derivazionale dell'italiano (che peraltro non avrebbe altri impieghi al di fuori di questo, a differenza ad esempio di -ato, presente in parole come sbarbato, sdentato, ma anche in chiomato e dentato), quanto piuttosto l'esito fonologico di un affisso che in latino segnalava il passaggio del nome ad aggettivo della seconda classe (tema in -i-).2 Inoltre, l'ipotesi parasintética potrebbe applicarsi solo ad aggettivi come quelli in (5): (5)

bicolore, bilingue, bifronte, degenere, esangue, incolore, infame, informe, insonne, tridente, trireme, unanime

per i quali sarebbe possibile individuare in sincronia un nome di base, ma non a quelli in (6), per i quali non è possibile partire da basi italiane come piede, capo, piuma ecc.: 1

2

In un recente articolo dedicato alla lingua spagnola, Martín García 2003 evidenzia le notevoli somiglianze (e alcune marginali differenze nell'impiego) tra gli aggettivi di relazione prefissati (es. antimissilistico, multidisciplinare) e formazioni come antiaereo, multiuso, che vengono considerate prefissati nominali impiegati con funzione appositiva. Su questo tipo di formazione aggettivale latina, si vedano le indicazioni bibliografiche in Tekavëic 1974—1975, dove tra l'altro si nota che il latino aveva accanto a questo procedimento anche la possibilità (seppure poco sfruttata) di formare analoghi aggettivi tramite i suffissi derivazionali -i- ed -e-, es. unicorporeus "che ha un solo corpo", indolorius "non doloroso", cfr. lignum "legno" —> ligneus "ligneo", noxa "danno" —» noxius "dannoso".

4.3. Aggettivi cosiddetti (6)

parasintetici

187

bipede, bicipite, implume, indenne, inerme, inerte, tripode.

Occorre però notare che la distinzione tra le parole in (5) e (6) è fittizia, in quanto dovuta a puri accidenti di fonologia storica: infatti, sia gli aggettivi in (5) che quelli in (6) sono tutti di origine latina. Non c'è quindi motivo di ipotizzare un modello produttivo regolare, che dovrebbe essere rappresentato da parole come incolore o informe (le cui basi sarebbero rispettivamente colore e forma), e dall'altra parte parole con modificazioni più o meno forti (si pensi a imberbe rispetto a barba, o a implume rispetto a piuma).1 Ci sono ovviamente alcune formazioni italiane di tipo analogico, quali quadrilingue (cfr. bilingue e trilingue già latini), oppure insapore (cfr. incolore), come è anche possibile l'individuazione di elementi formativi a partire da serie ripetute (es. -forme), ma nel complesso il fenomeno è di modesta produttività, e non si è espanso oltre gli ambiti già latini della prefissazione negativa e della qualificazione quantitativa. Sono pure di origine latina, aggettivi terminanti in -o, come la serie di parole che indicano il numero di sillabe, quali monosillabo, bisillabo ecc., e poche altre, quali inodoro (attualmente usata insieme ad insaporo e incoloro, come varianti di inodore, insapore, incolore). Per alcune formazioni prevale l'uso sostantivale rispetto a quello originario aggettivale, il genere della parola complessa è indipendente da quello del nome di base (es. il tridente, la trireme). Ricordiamo che la semantica di tutti gli aggettivi sin qui menzionati è di tipo esocentrico, e che la parte iniziale della formazione indica o l'assenza di quanto denotato dal nome di base (es. imberbe), o la sua quantificazione (es. bicolore, plurisillabo). La non attestazione degli aggettivi non prefissati si può spiegare con ragioni pragmatiche, consistenti nel fatto di non esprimere qualità rilevanti dal punto di vista comunicativo, perché indicanti o stati considerati normali (es. "l'avere forma") o condizioni inalienabili (es. "l'avere sangue"). Il criterio della scarsa rilevanza comunicativa permette anche di spiegare l'apparente eccezionalità di aggettivi come quelli elencati in (7): (7)

immancabile, inappurabile, incrollabile, inessiccabile, insormontabile,

irrestringibile.

Anche per aggettivi come immancabile e irrestringibile è stata proposta una struttura formativa di tipo parasintético a partire dal verbo di base (mancare, restringere), motivata con la contemporanea non attestazione di aggettivi come °mancabile o 0 restringió ile, e dalla presenza di un prefisso. A nostro avviso, anche in questo caso l'ipotesi parasintética appare inutile. La non attestazione di parole del tutto analizzabili semanticamente e perfettamente ben formate, quali °mancabile o °restringibile, si spiega con il fatto che tali aggettivi esprimono una qualità considerata normale e non particolarmente meritevole di una specifica denominazione, mentre la qualità espressa tramite l'aggettivo prefissato con valore negativo è verbalizzata perché considerata più rilevante o saliente dal punto di vista comunicativo.2 La nostra argomentazione trova ulteriori motivi di sostegno in esempi come quelli in (8):

1 2

Un'ipotesi che avrebbe tra gli altri l'onere di motivare la funzione del presunto suffisso italiano -e. Si vedano per analoghe considerazioni basate su esempi del tedesco e dell'inglese Zimmer 1964, 59, e più recentemente Dierickx 1991.

188 (8)

4. Parasintesi inamovibile, inappuntabile, incontrovertibile,

inesorabile, innegabile, inservibile,

invar-

cabile.

Si tratta di aggettivi di cui è attestata la base non prefissata (per i quali, quindi, non è sostenibile un'ipotesi di formazione parasintética), ma la cui frequenza d'uso e varietà di impiego sono maggiori rispetto a quelle delle rispettive basi. Aggettivi come controvertibile, servibile sono infatti usati meno frequentemente e in un numero di contesti più ristretto dei corrispettivi prefissati incontrovertibile, inservibile. A riprova dell'inconsistenza dell'ipotesi che prevede due processi formativi diversi per parole come immancabile da una parte e incontrovertibile dall'altra (giustificata in definitiva con il criterio dell'attestazione delle rispettive basi aggettivali), si può osservare, oltre alla criticabilità sul piano teorico di un tale criterio, che i dizionari dell'uso sono in genere concordi nella lemmatizzazione di aggettivi come immancabile o inamovibile, mentre presentano discordanze nella registrazione dei corradicali non prefissati. Ad esempio sia il DISC sia il DM lemmatizzano inattingibile e inaffondabile, ma il DISC lemmatizza anche attingibile (e non affondabile), mentre il DM ha a lemma affondabile e non attingibile. A nostro avviso, non vi sono quindi ragioni di ipotizzare un processo parasintético per giustificare l'esistenza di parole come immancabile, la cui struttura, significato e impiego non si distinguono da altre come inamovibile. La particolarità che accomuna le parole in (7) e in (8), e le distingue da aggettivi come indesiderabile o insuscettibile (il cui impiego è più ristretto e meno frequente delle rispettive basi non prefissate desiderabile e suscettibile), è il fatto che negli aggettivi in (7) e in (8) il concetto negativo è più saliente e informativo rispetto al corrispondente termine positivo. Osserviamo in conclusione che casi come immancabile o inappurabile si differenziano da altri aggettivi di cui non è correntemente usato il termine positivo. Come nota Tekavöic 1970, 295, in casi come anomalo, inetto, ignobile, insoluto, insulso, in cui è correntemente usato soltanto il termine etimologicamente negativo, tale termine, in assenza di un corrispettivo positivo a cui opporsi, cessa di essere una vera e propria negazione, assumendo piuttosto connotazioni di tipo peggiorativo: si confrontino esempi come quello di importuno rispetto all'opposizione non connotata opportuno / inopportuno, inetto rispetto a inadatto / adatto, inerme rispetto a armato / disarmato.1

1

L'aggettivo prefissato può assumere connotazione peggiorativa anche in casi in cui non è interpretabile come il contrario del termine di base, es. indolente vs dolente, indifferente vs differente.

5. SUFFISSAZIONE

5.1.

Derivazione nominale

5.1.1.

Derivazione nominale denominale

5.1.1.1. Nomi di agente

MGLD

Tradizionalmente nella derivazione denominale dell'italiano vengono elencati come tipicamente agentivi i seguenti suffissi (prendiamo l'elenco da Dardano 1978, 82-85): -aio, -aro, -ario, -aiolo, -iere, -ante, -ente, -ino, -ista, -ano. Tali suffissi costituirebbero un insieme coerente, perché sia le entrate (categoria lessicale e semantica delle parole di base) sia le uscite (categoria lessicale e semantica delle parole derivate) delle regole relative sarebbero ampiamente coincidenti. Più in particolare, la base sarebbe costituita da un nome col tratto '-animato', il derivato da un nome col tratto '+animato' parafrasabile grosso modo con "persona che svolge un'attività connessa con il nome di base", e questo basterebbe per fare di questo gruppo di regole una categoria derivazionale unitaria. Tuttavia, volendo tentare una definizione più rigorosa della categoria «agente», ci si imbatte in non poche difficoltà. Al di là infatti di una prima approssimazione, cui facilmente si approda sulla base di concetti ingenui e intuitivamente plausibili che vedono nell'agente il soggetto umano votato ad una certa funzione o professione, o anche l'istigatore / protagonista di un evento, diventa subito più difficile fissare i tratti caratterizzanti tale categoria, individuati da alcuni autori in 'animato', 'intenzionale', 'causa', 'controllo' e forse altri (Cruse 1973, Givón 1979, Schlesinger 1989). A tale proposito Grossmann 1998, 383-384 dà della categoria in questione la seguente definizione: «Per agente si intende normalmente il ruolo semantico dell'iniziatore intenzionale, dunque tipicamente '-i-umano', di un'azione cui corrisponde in un enunciato la funzione sintattica di soggetto», definizione che trasferisce in ambito morfologico alcune suggestioni che hanno interessato la categoria dell'agente in ambito sintattico. Dopo di che, per rendere conto di tutte le formazioni considerate tipicamente agentive, adotta un modello tripartito che attribuisce a Laca 1986, in cui si distingue tra denominazioni agentive classificanti («indicano la funzione dell'agente nella divisione sociale del lavoro», dunque le professioni), denominazioni caratterizzanti (quelle che all'agente «assegnano un comportamento abituale», dunque non necessariamente professionale) e infine formazioni in cui «l'agente viene identificato come l'iniziatore di un evento contingente, precedente o simultaneo al momento dell'enunciazione» (appartengono a questa categoria probabilmente solo derivati deverbali). Sulla base di questa tripartizione che, è importante notare, non si appoggia a procedimenti formali diversi (le regole di formazione dei tre tipi individuati sono sostanzialmente le stesse) Grossmann descrive alcune delle possibilità del catalano. Nonostante abbiamo tenuto presente questa proposta nella descrizione delle possibilità derivative dell'italiano, non l'abbiamo fatta nostra al punto da disporre e suddividere i diversi procedimenti nei tre tipi individuati, anche se a questi faremo spesso e volentieri riferimento. Il nostro punto di vista è infatti più vicino al punto di vista tradizionale, che non ha mai distinto tra tipi diversi di agenti, nonostante le sollecitazioni provenienti da un saggio famoso che Benveniste scrisse proprio sui nomi di agente e di azione nell'indoeuropeo (Benveniste 1948). In quel saggio Benveniste notava due diverse modalità dell'agente, che avevano, in tre lingue indoeuropee (il vedico, l'avestico e il greco antico), esiti morfologici

192

5. Suffissazione

diversificati: l'agente votato ad una funzione o professione (corrispondenti ai primi due tipi della sistemazione Laca-Grossmann) e l'agente autore di un atto (corrispondente al terzo tipo). Questa differenza semantica era segnalata, come si è detto, nelle tre lingue antiche da marche morfologiche diverse. Non così in latino, che usava indifferentemente un unico suffisso, -tor, per formare da verbi i due tipi di agente, e questa soluzione unitaria è stata poi ereditata dalle lingue romanze. Dovremo aggiungere che non propriamente di soluzione unitaria si tratta, dal momento che certamente molte lingue romanze hanno a disposizione ben più di un procedimento derivativo per formare nomi di agente. Tuttavia la molteplicità delle regole non individua insiemi differenziati e semanticamente omogenei. Al contrario, commistioni, travasi e parziali sovrapposizioni sono la norma. Quanto infine al mantenimento della categoria unitaria dell'agente, ne vediamo l'unica ragion d'essere nel fatto che, in uscita, tutte le formazioni che tradizionalmente vi sono incluse sono dotate del tratto '+umano', e sono parafrasabili con "persona che...", indipendentemente dal fatto che questa persona si renda effettivamente responsabile di un atto o svolga una certa attività professionale (uniche accezioni che giustificano, ci pare, il nome di «agente»), o semplicemente simpatizzi con una certa ideologia, o appartenga ad un gruppo, o sia iscritta ad un'associazione, o più semplicemente faccia uso frequente di qualcosa, o ami e desideri qualcosa. La scelta unitaria della morfologia classica era dunque basata su un assunto non detto, che vede il soggetto umano tipicamente impegnato in azioni delle quali è spesso istigatore e protagonista: la persona «agente» è dunque centrale nell'immaginario umano, e statisticamente più frequente. All'idea che «l'agente più tipicamente agente è umano», che ritroviamo in molta riflessione contemporanea sulla categoria dell'agente (su questi temi torneremo tra breve), si potrebbe dunque aggiungere che «l'umano più tipicamente umano è agente», viene cioè «sentito» prima di tutto come agente. Questo spiegherebbe l'estensione della categoria fino a comprendere derivati quali pastasciuttaio, legatolo, gruppettaro, vacanziere, pattista che, pur costruiti con suffissi considerati tipicamente agentivi, e designando sicuramente degli umani, difficilmente potrebbero essere definiti «nomi d'agente». Su questa soluzione unitaria la morfologia classica si incontra con alcuni filoni del generativismo, che hanno avanzato la cosiddetta ipotesi dell'uscita unica. Ragionando su dati dell'italiano, e proprio su alcuni nomi in -aio ed -ista, Scalise 1990a, 247-248 e 1994, 186187 sostiene che si può ragionevolmente supporre che ogni regola abbia «un suo contenuto costante indipendente dalle informazioni associate alla base» (Scalise 1994, 187), e questo contenuto costante sarebbe dato dal suffisso ed ereditato dal derivato, qualunque sia la parola di base. Esemplifica poi questo ragionamento proprio con i nomi in -aio ed -ista: indipendentemente dalle caratteristiche semantiche dei nomi di base (che, lo vedremo meglio in seguito, possono essere animati o non animati, concreti o astratti, numerabili o non numerabili e per -ista anche comuni o propri), i derivati presentano comunque i tratti '+umano', '-i-comune' e *+numerabile', e sono sempre parafrasabili con "persona che...". 1 1

Vorremmo far notare come questa proposta si accordi molto bene con le categorizzazioni della morfologia tradizionale. Tuttavia, a differenza di questa, ha l'accortezza di non usare mai la parola «agente», utilizzata solo a proposito dei deverbali. È una prudenza terminologica che non cambia la sostanziale omogeneità dei criteri descrittivi adottati, ma che riesce ad evitare i molti equivoci che la terminologia tradizionale si porta con sé.

5.1. Derivazione

nominale

193

Dunque l'unico dato certo sarebbe dato dal suffisso (ma «certo» solo per modo di dire, visto che molti suffissi sono, lo vedremo, polisemici): per il resto sembra una condizione costante delle formazioni denominali agentive (e non solo agentive) una certa indeterminatezza del loro significato complessivo (cfr. anche Mayo et al. 1995, 889), il quale non è univocamente determinato, come nei derivati deverbali, dal significato del verbo di base, che non c'è. Il tipo particolare di «azione» messo in atto dagli agenti denominali sarà infatti di volta in volta determinato dalla, e adattato alla, semantica dei nomi di base: così un fioraio è una persona che vende fiori, mentre un camionista guida camion, un campanaro suona campane, un boscaiolo lavora nei boschi, uno stagnino ripara e costruisce oggetti di stagno e così via. Ma ove nulla sapessimo delle abitudini di vita della comunità linguistica che usa queste parole, in nessun modo potremmo ricostruirne con certezza il significato sulla base dei soli indizi linguistici. Sono state considerazioni di questo tipo che hanno portato qualcuno ad affermazioni anche troppo categoriche, come quella, riportata e discussa da Mayo et al. (1995, 889), secondo cui «a semantics specific to derivational processes does not exist». Un'altra difficoltà si incontra quando si vogliano fissare in modo preciso i confini di questa categoria rispetto ad altre categorie concettualmente vicine, prima fra tutte lo strumento, di cui è stata da più parti notata la stretta affinità, documentata in modo vistoso proprio sul piano morfologico (Booij 1986, Dressler 1986): non c'è dubbio infatti che varie lingue (tra cui sicuramente anche l'italiano) usino gli stessi procedimenti derivativi per formare sia nomi di agenti che di strumenti e qualche volta, ma in modo meno generalizzato, anche di luoghi. Per descrivere e giustificare questa polisemia ricorrente Dressler parla di una strutturazione gerarchica dei significati (agente > strumento > luogo) che documenta in vari modi, ad esempio col ricorso alla diacronia o alla priorità, nell'acquisizione, della categoria dell'agente. Tale gerarchia poggerebbe su basi concettuali tendenzialmente universali e quindi in larga misura indipendenti dalle lingue storicamente determinate, sul fatto cioè, di comune e banale esperienza, che «most central events of human life prototypically have a human agent» (Dressler 1986, 527). A questo schema Booij 1986 aggiunge, tra l'agente e lo strumento, la categoria dell'agente inanimato, corrispondente, grosso modo, allo strumento o mezzo dotato di movimento automatico. Quanto poi alla esatta delimitazione delle categorie coinvolte, e di cui si tenterà di fornire una descrizione nei paragrafi che seguono, rimandiamo alla cosiddetta teoria del prototipo, che ha ormai da tempo sostituito la teoria classica della categorizzazione, basata sull'assunto che le categorie siano chiaramente riconoscibili e delimitabili sulla base delle proprietà condivise. Prenderemo dalla teoria del prototipo l'idea che alcuni membri di una categoria possano essere migliori esempi di quella categoria rispetto ad altri o, il che è lo stesso, l'idea che i membri, o le sottocategorie, che sono chiaramente entro i confini di una certa categoria possano essere più o meno centrali; ancora, l'idea dell'esistenza di una scala, o gradualità per cui i diversi membri di una categoria si dispongono lungo un continuum, in posizione più o meno vicina al prototipo; infine l'idea che tra categorie possano non esservi confini chiaramente delimitati, e che la zona di passaggio da una categoria all'altra si presenti sempre come una zona irta di insidie e di difficoltà (cfr. anche Lakoff 1987 e Schlesinger 1989). Passeremo adesso in rassegna i diversi tipi presenti nell'italiano contemporaneo per la formazione dei nomi d'agente. Cominceremo con il presentare i derivati in -ario, -aio,

194

5. Suffissazione

-aiolo/-aiuolo/-arolo, -aro, -iere ed -iero, che per ragioni storiche possono essere considerati come facenti parte di un unico sottogruppo: si tratta infatti di suffissi che derivano da un capostipite comune, il latino -arius. Tuttavia quello agentivo non è stato l'unico esito semantico di -arius, il quale già in latino serviva a formare anche nomi di strumenti e di luoghi, caratteristica questa che, come si vedrà meglio in seguito, verrà ereditata in varia misura da quasi tutti gli epigoni italiani del suffisso. Passeremo poi alla descrizione di altri procedimenti, dai più produttivi (-ista, -ino) ai meno produttivi (-ano, -otto), riservando la dovuta attenzione anche alle corrispondenti uscite femminili, che, lo vedremo, non sempre danno in uscita nomi di agente «al femminile», come si ci potrebbe forse troppo semplicisticamente aspettare. 1 Nel descrivere le varie possibilità proveremo a chiederci se la distribuzione dei diversi procedimenti nell'italiano contemporaneo avvenga secondo criteri riconoscibili, ed eventualmente quali essi siano; se le lontane origini di alcuni dei procedimenti sotto osservazione influenzino le preferenze dell'oggi, ed eventualmente in che senso e in che misura; se siano rintracciabili differenze sistematiche tra i vari procedimenti; quale sia oggi la loro produttività, dunque l'incidenza nella formazione di nuove parole.

5.1.1.1.1. Il tipo fioraio

MGLD

Come abbiamo già detto, -aio è uno degli esiti del latino -arius, suffisso originariamente aggettivale (caprarius "che è in relazione con la capra"), ma che si nominalizzò già in latino per omissione del nome, dando luogo a formazioni quali asinarius (it. asinaio) o vinarius (it. vinaio), che designavano persone impegnate in attività lavorative connesse con il nome di base (Tekavöic 19802, 28, Rohlfs 1969, 392). La naturale evoluzione fonetica di -arius in Toscana diede poi luogo ad -aio, che è stato probabilmente l'erede di -arius più prolifico nella formazione di nomi d'agente, mentre in Italia meridionale e in alcune zone dell'Italia settentrionale aveva maggior fortuna l'esito in -aro (su cui cfr. il 5.1.1.1.2.). Tuttavia la vicinanza dei due suffissi era tale che «in italiano antico il plurale di -aio era regolarmente -ari, per esempio i sellari, fornari, carbonari. Solo più tardi, dal Trecento in poi, per analogia con fornaio si è formato il plurale i fornai, i carbonai, che in Toscana e nella lingua scritta è oggi la forma normale» (Rohlfs 1969, 392-393). In tutto il corso della nostra storia le due forme hanno poi pacificamente convissuto, presentando molte parole Nella quasi totalità dei casi i dizionari pongono a lemma e descrivono le uscite maschili dei nomi di agente, limitandosi a dare l'informazione morfologica della corrispondente uscita femminile. In questo lavoro abbiamo però tentato di controllare sistematicamente tutte le uscite femminili dei suffissi agentivi, per rintracciare le formazioni femminili eventualmente messe a lemma dal DISC. Il controllo ha consentito di ritrovare alcune parole designanti agenti femminili di cui non esiste il corrispondente maschile (crocerossina, mondina), o di cui il corrispondente maschile è meno frequente o ha sviluppato significati in parte diversi, dal momento che certe professioni sono tradizionalmente considerate appannaggio delle donne (cfr. ad esempio lavandaia, passeggiatrice e lavandaio, passeggiatore). In qualche caso, poi, la forma maschile è più recente, essendosi formata successivamente, a partire dalla forma femminile già attestata (battone ponghista, pongista-, rubrica —* rubrichista, rubricista.

209

5.1. Derivazione nominale 5.1.1.1.7.1 tipi garibaldino, cigiellino, postino

MGLD

Dall'originaria funzione del latino -inus, che era quella di formare aggettivi denominali «esprimenti appartenenza, relazione, provenienza, nonché etnici» (Tekavéic 19802, 69), e dall'evoluzione del suffisso verso il senso diminutivo, che si pone verso il tardo latino e si attua pienamente solo in periodo romanzo, si è sviluppata la variegata casistica dell'italiano -ino,1 che qui ci interessa solo per gli esiti esemplificati nel titolo di questo paragrafo, gli agenti denominali. Un primo esito è esemplificato dai tipi garibaldino e cigiellino, che sono una filiazione diretta della formazione, da nomi, di aggettivi di partecipazione e appartenenza, che possono sempre subire processi di nominalizzazione. Il nome di base è per lo più un nome proprio (di una persona, di un'associazione, di un movimento, di un quartiere, di un locale, di una squadra di calcio). Sul piano dell'uscita semantica i derivati in -ino sono in questo caso nomi di agente caratterizzanti, vale a dire designano persone che in qualche modo si riconoscono nel pensiero o aderiscono ai progetti religiosi o politici del personaggio cui si riferisce la base: camillino, garibaldino, maurino "monaco benedettino appartenente alla congregazione di san Mauro", tifino (da Tito, Q); condividono gli obiettivi delle organizzazioni sindacali o politiche cui rimanda la base, espressa in sigle: cobassino (da COBAS, F 117), ciellino (da CL, sigla di Comunicazione e Liberazione), figiccino, missino, pidiessino·, partecipano, in modo stabile o occasionale, ai riti o adottano i modelli di comportamento di un movimento, di un quartiere, di un gruppo, di un locale alla moda: cantagirino (da Cantagiro, Q), focolarino, leoncavallino (da Leoncavallo, C 1993-94), pariolino, piperino (da Piper, Q), sanbabilino, sessantottino; tifano per una squadra e se ne sentono in qualche modo membri: iuventino, interino. In tutti i casi documentati, come si vede, il tratto comune è il senso di adesione ideale o la vera e propria militanza di questi soggetti umani in gruppi, organizzazioni, movimenti di varia entità e consistenza, anche culturale. La produttività del suffisso in questione per questo tipo di formazioni è oggi molto alta. Si consideri che delle 12 formazioni agentive denominali in -ino datate dal DISC a partire dal 1950, 10 sono di questo primo tipo, che potremmo definire caratterizzanti, e solo 2 appartengono al tipo postino (che vedremo subito dopo). Anche i DPN documentano un dilagare di formazioni in -ino, alcune delle quali, specie quelle più legate alla dialettica politica contemporanea, riescono a comunicare un tratto ironico-spregiativo che nasce forse dal contrasto tra la «piccolezza» insita nel suffisso e la presunta «grandezza» di certi programmi e uomini politici (almirantino, Q, tognolino, F 197, berluschino, C 1993-94, craxino e dipietrino, C 1995, predino, C 1996). Il tipo postino, la cui base è un nome con tratto '+comune', dà in uscita nomi di agente per lo più classificanti, indicanti mestieri e professioni in genere considerati umili 2 (ma non mancano, neppure in questo sottogruppo, i caratterizzanti, come ad esempio zazzerino "chi porta i capelli a zazzera"). Su questo esito deve avere influito l'uscita diminutiva del suffisso (Tekavcic 19802, 70), mentre in altri casi sembra sia piuttosto «l'antica funzione aggetti-

2

Ricordiamo rapidamente che -ino dà luogo ad aggettivi denominali (cfr. 5.2.1.), diminutivi (cfr. 5.1.1.7.16.1.1. e 5.2.3.1.), nomi di agente e di strumento denominali e deverbali (cfr. 5.1.1.2.3., 5.1.3.2.3. e 5.1.3.3.5.). A questo proposito Pasquali 1948, 42, notava che scopino (che all'epoca era a Roma più comune di spazzino) non era ammesso alla Corte Pontificia «che conosce solo lo scopatore segreto, nome foggiato con un suffisso antichissimo di nome di agente».

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5. Suffissazione

vale, a farne un suffisso che indica un mestiere» (Rohlfs 1969, 413). Alcuni esempi di questa possibilità sono bracino "venditore di carbone, di legna e di brace", celerino, ciabattino, contadino, fantino, fattorino, fiocinino "pescatore abile nell'uso della fiocina", naccherino "chi suona le nacchere", questurino, stagnino, stallino, tabacchino, vetturino, tutte parole ben motivate in italiano, mentre per altre formazioni dobbiamo mettere in conto una certa opacità dovuta a fatti formali, come in spadaccino (con doppio procedimento derivativo), damerino e peperino "persona molto vivace e briosa" (con interfisso -er-), netturbino (da nett(ezza) urb(ana)ino, con base polirematica e caduta delle sillabe finali delle due parole di base); a fatti di evoluzione diacronica della lingua, come in cittadino-, a prestiti da altre lingue, come in aguzzino, clandestino e galoppino; a fatti semantici e pragmatici che hanno reso col tempo indecifrabili certi rapporti tra base e derivato: è quanto accade per codino "persona rigidamente conservatrice, così detta dall'abitudine dei legittimisti francesi di acconciarsi col codino come prima della rivoluzione" o secondino "addetto alla sorveglianza dei detenuti nelle carceri", così detto perché un tempo aiutante del custode carcerario. Non è mai stata, comunque, una opzione molto produttiva, visto che le formazioni citate corrispondono quasi dell'intero corpus del DISC, 1 mentre per gli anni più recenti, dal 1950 ad oggi, il DISC riporta solo 2 neologismi, fanghino (a. 1956) e lavaggino (a. 1957). Quanto ai DPN, a fronte del fantasioso proliferare dei tipi garibaldino e cigiellino, il tipo postino si ritrova solo in due neoformazioni, neomodini, "giovani stilisti mossi da una gran voglia di emergere e di farsi notare" (L) e siringhino, "tossicomane che si inietta, o si fa iniettare da un siringhiere, la droga con una siringa" (CC). Quanto all'uscita femminile del suffisso, non sono molte le formazioni che designano agenti. Tra queste ricordiamo chellerina, forma italianizzata di kellerina (dal tedesco Kellnerin "cameriera"), crocerossina, con base polirematica, filandina, sinonimo di filandaia, madrina, sgualdrina (la cui base non è riconoscibile), speakerina, e le designazioni di ordini religiosi orsolina e vincenzina. 5.1.1.1.8. Il tipo capellone

MGLD

Deriva dal tipo latino in -o, -onis, che «serviva a formare nomi che caratterizzavano una persona in base alla sua appartenenza a certi gruppi (commilito, companio [...]), o per le sue abitudini, ma sempre in senso negativo (bibo "beone", epulo "crapulone, mangione" [...]), oppure ancora per una sua particolarità fisica vistosa (naso "nasuto" [...])» (Tekavcic 19802, 100). Dalle due ultime possibilità, che costituiscono quella che è per Rohlfs 1969, 416 la funzione più antica del suffisso, sicuramente più antica della funzione accrescitiva (sulla quale si veda 5.1.1.7.16.2.1.), si sviluppa quello che è uno dei maggiori esiti italiani del suffisso: il valore agentivo caratterizzante, che consiste nel designare una persona sulla base di particolari qualità, o forse sarebbe meglio dire difetti fisici e morali, modi di essere, comportamenti visibili e abituali. Una caratteristica interessante del suffisso è quella di selezionare sia basi nominali e aggettivali (rispettivamente baffone, mammone, patatone e facilone, grassone, sciattone) sia basi verbali (arruffone, brontolone, guardone): questa doppia possibilità non ha tuttavia, come vedremo in dettaglio, delle conseguenze importanti sulla semantica delle formazioni che ne risultano. Qualunque sia la base selezionata infatti, 1

Abbiamo escluso dal conto i derivati per i quali era comunque rintracciabile una base verbale, quindi ad esempio bagnino o ballerino.

5.1. Derivazione nominale

211

un tratto che accomuna tutti i derivati in -one è quello che potremmo definire della grandezza esagerata e inopportuna, dell'eccesso negativo, tali da sfiorare il ridicolo o da suscitare il disprezzo. L'uscita semantica comune a denominali e deverbali crea talvolta problemi nella esatta individuazione della base: ciabattone, civettone, imbroglione, pasticcione derivano da ciabatta, civetta, imbroglio, pasticcio o dai rispettivi verbi? La questione non è di facile soluzione, e dunque in questa sede ci limitiamo a porre il problema. Ad un esame superficiale, infatti, la produttività e la frequenza dei due procedimenti, denominale e deverbale, sembrano ugualmente alte, e dunque non è in base a considerazioni di questo tipo che possiamo risolvere il problema. Né ci può essere di aiuto il ricorso alla competenza dei parlanti nativi, che non individuano in questi casi una direzione unanime nella derivazione. Non risulta neppure che la questione sia mai stata affrontata in letteratura: Dardano distingue tra il suffisso -one che, a partire da verbi, forma nomi di agente (1978, 54), e il suffisso accrescitivo denominale e deaggettivale (ivi, 104); ma mentre non dedica una attenzione particolare a quest'ultima funzione del suffisso, cita tra le formazioni accrescitive anche qualche deverbale (accattone, chiacchierone). Tekavòic dal canto suo nota l'esistenza di derivati in -one che non possono essere definiti degli accrescitivi delle parole di base: tuttavia non distingue tra i derivati denominali / deaggettivali e i derivati deverbali, e mette in uno stesso elenco buffone, ciarlone, ghiottone, imbroglione, sporcaccione, strillone, testardone (1980 2 , 101). È una scelta che evidentemente si lascia guidare da ragioni semantiche, nella fattispecie dalla semantica dei derivati, più che da considerazioni formali, relative allo statuto grammaticale della parola di base. Per quanto ci riguarda, vista la scelta generale di presentare denominali e deverbali in capitoli separati, abbiamo deciso di presentare qui i derivati sicuramente denominali e deaggettivali, rimandando a 5.1.3.2.3. tutti i derivati di cui sia possibile rintracciare una base verbale plausibile. Un'altra questione correlata ma anch'essa di difficile soluzione riguarda il rapporto tra procedimento accrescitivo e procedimento derivativo: siamo di fronte a due procedimenti diversi e paralleli, o piuttosto si tratta di uno dei tanti fenomeni di conversione? E in questo secondo caso, quale sarebbe la direzione della conversione: dall'esito accrescitivo a quello derivativo, o viceversa? Le ricostruzioni storiche ci dicono che l'esito accrescitivo è più recente, sviluppatosi non solo in italiano ma anche in portoghese e spagnolo dal tipo naso "persona con un naso particolare, caratteristico". «Caratteristico è sempre ciò che è vistoso. Da qui dev'essersi sviluppata ben presto l'idea d'una grossezza inconsueta, dal momento che naso prendeva sempre più a significare un naso insolito o particolarmente grosso» (Rohlfs 1969, 414). E tuttavia, una volta formatosi e stabilizzatosi, l'esito accrescitivo di -one diventa una risorsa semplice e sempre a portata di mano per ingrandire persone, oggetti, qualità. Da qui all'uso figurato, metaforico o metonimico, il passo è breve. Il percorso comune a tutti i denominali in -one sarebbe grosso modo quello che sembra prefigurare il DISC per barbone, quando descrive le prime tre accezioni del lemma in questi termini: «1. Nel significato dell'accrescitivo di barba 2. estens. Chi porta una lunga barba 3. Vagabondo, mendico; persona sporca, paria». E una sistemazione lessicografica ragionevole che ritroviamo in decine di altre formazioni e che sembra prefigurare una conversione dall'esito accrescitivo all'esito derivativo. E tuttavia non è detto: è difficile pensare che parole come buontempone, parruccone, tabaccone, terrone abbiano sviluppato il loro significato agentivo caratterizzante da un precedente valore accrescitivo, né il dizionario fa di questi accostamenti.

212

5. Suffissazione

Abbiamo detto che i derivati in -one danno vita a nomi di agente caratterizzanti, i quali, proprio perché designano soggetti umani a partire da certe qualità e caratteristiche, possono avere, in qualche caso, anche una funzione aggettivale. Questo è vero non solo, com'è ovvio, per molti deaggettivali ma anche per alcuni denominali: anche qui, dobbiamo supporre per i deaggettivali un processo di conversione nominale e per i denominali un processo di conversione aggettivale? E come mai questo processo ha luogo solo con alcuni derivati e non con tutti? O non sarebbe più semplice ipotizzare che in realtà il procedimento interessa solo nomi, e semmai aggettivi già nominalizzati, e dà in uscita nomi, che possono talvolta, ma abbastanza eccezionalmente, essere usati anche in funzione aggettivale? Anche in questo caso, non è possibile risolvere adesso tutti questi complicati problemi (su cui comunque cfr. 7.2. sulla conversione). Diciamo solo che la soluzione qui adottata, di accorpare in un unico sottogruppo denominali e (apparenti) deaggettivali, ci pare una sistemazione intuitivamente plausibile dei dati. Si è fin qui parlato di nomi di agente caratterizzanti, non classificanti. Se si eccettuano infatti alcune poche parole di antica formazione ed oggi poco trasparenti (garzone, penetrato dalla Francia nel XIII secolo; cozzone e scozzone "allenatore o domatore di cavalli"; pizzardone, nella Roma dell'Ottocento, "guardia municipale", oggi, "vigile urbano"), il procedimento non dà luogo a parole che designano mestieri e attività lavorative, ereditando anche in questo le assenze e le possibilità già attestate in latino. Una delle opzioni più frequenti, che continua in italiano il tipo naso del latino, è quella per cui il derivato in -one designa una persona a partire da una caratteristica fisica particolarmente evidente, che viene in tal modo notata e messa in ridicolo: dunque un mascellone è "chi ha le mascelle molto evidenti e pronunciate", un panzone o un trippone è una "persona grassa, con una pancia particolarmente prominente". La lista potrebbe continuare con baffone, basettone, dentone, ricciolone e così via. Se escludiamo cervellone, il cui nome di base rimanda ad una parte da sempre considerata «nobile» del corpo umano, tutte le formazioni di questo sottogruppo hanno un tratto più o meno accentuatamente negativo, aggiungendosi sempre alla caratteristica della grandezza tratti spregiativi spesso ricavati, attraverso procedimenti metaforici o metonimici, dai rispettivi nomi di base: così capone, testone, zuccone designano persone che hanno teste grosse e che sono soprattutto vuote, lente, testarde; un midollone eredita dal nome di base la caratteristica dell'inerzia, della passività; un capellone è una persona con i capelli lunghi ma anche sporchi, arruffati, disordinati; un barbone è certo chi porta una lunga barba ma è, soprattutto, un vagabondo, un mendicante che lascia a desiderare quanto a pulizia e igiene personale; per non parlare dei più volgari cozzone, fregnone, minchione che designano tutte persone molto stupide, irrimediabilmente screditate dalla parentela morfologica con i rispettivi nomi di base. Un altro fertile terreno di ispirazione per la formazione di derivati in -one è il mondo naturale, le piante e soprattutto gli animali cui certi umani sono accostati per le loro caratteristiche fisiche e soprattutto psicologiche e morali. Si ispirano al mondo vegetale baccellone, bietolone, broccolone, giuggiolone, pisellone che hanno sviluppato un significato di lentezza e apatia mentale probabilmente derivato dalla pretesa insensibilità del mondo vegetale: tali parole designano infatti individui generalmente poco perspicaci per non dire ottusi. Più variegata la gamma dei derivati da zoonimi, che ereditano dai rispettivi nomi di base le caratteristiche che gli umani riconoscono negli animali di volta in volta implicati: così un farfallone è una "persona inaffidabile e incostante", un lumacone è una "persona lenta e goffa nel muoversi e nell'agire", un pecorone è una "persona servile, passiva, con-

5.1. Derivazione

nominale

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formista", un volpone è una "persona particolarmente astuta e furba"; la lista continua con bufalone, caprone, cicalone, maialone, porcellone, talpone, vitellone, tutti dal significato abbastanza facilmente prevedibile e comunque sempre negativo. La caratteristica umana più spesso stigmatizzata attraverso i derivati in -one è la stupidità, la lentezza nel capire e nell'agire. Ai casi già visti si potrebbe aggiungere una lunga lista: credulone, gnoccolone, grullone, lasagnone, marmittone, mestolone, polentone, tontolone. Molto nutrita anche la schiera dei derivati che segnalano la sporcizia e la trasandatezza nella cura della persona e del vestiario: bracalone, brindellone, caccolone, gocciolone, moccicone, frittellone, pataccone, sciattone, straccione, zaccherone, zozzone. Ma a dire il vero non c'è forse difetto o comportamento umano riprovevole che non abbia un derivato in -one per designare gli individui che se ne ammantano: chi pecca di pigrizia, di lentezza eccessiva è un pelandrone, un poltrone', chi di ignoranza, cattiva educazione e goffaggine è un bozzone, un cafone, un villanzone, uno zoticone·, chi tenta di raggirare il prossimo con l'inganno o di derubarlo è un forchettone, un ladrone, un lazzarone, un soppiattone, un tatticone, un trappolone', chi si macchia di superficialità e faciloneria è un bombinone o, peggio, un bambolone, un buffone, un facilone, un leggerone, un pacioccone, uno zuzzerellone-, chi parla troppo, a voce troppo alta o racconta fandonie è un caciarone, un chiassone, un cialtrone, un fanfarone, un frottolone, un farabolone, un trombone; chi si dà da fare in modo scomposto e senza frutto è un faccendone, un guazzabuglione -, chi infastidisce il prossimo con la sua insistenza o petulanza è un piattone, un tormentone. Per non parlare dei difetti sentiti forse come più lievi, o meno diffusi, che hanno a disposizione un solo derivato: è il caso di bacchettone, o di mammone, o di parruccone "persona, per lo più anziana, con idee arretrate e nemica del progresso". Sul piano formale colpisce la regolarità di costruzione della quasi totalità dei derivati in -one, con una base quasi sempre facilmente riconoscibile. Segnaliamo solo alcune basi già suffissate o con interfissi (pazz-ar-ell-one, sporc-acci-one, tont-ol-one, villan-z-one), una base polirematica (buontempone), un prestito adattato dall'inglese con doppio procedimento derivativo (fricchettone, da freak), una strana parola macedonia (farabolone, da fa(vola) (pa)rabol-one). In altri casi la base non è più riconoscibile dalla sensibilità moderna: così è ad esempio per briccone, lazzarone, lenone, mascalzone, nebulone, paltone, pelandrone, poltrone. 5.1.1.1.9. Il tipo bracciante MGW Nonostante il procedimento in -nte sia sicuramente e prima di tutto un procedimento deverbale (vi torneremo infatti in 5.1.3.2.2.), non si può ignorare il fatto che molte formazioni mostrano una indubbia base nominale, o molto più raramente aggettivale, e che questa opzione è moderatamente produttiva. Vale la pena dunque di presentare più da vicino questo tipo. Secondo Tekavcic 19802, 46, l'esistenza di «triangoli» del tipo cantare / canto / cantante o aiutare / aiuto / aiutante avrebbe favorito il contatto diretto tra i due nomi (canto / cantante, aiuto / aiutante), generando per analogia degli agentivi denominali del tipo barellante (*— battello), bracciante ( "sede del titolare della carica", ad esempio, è realizzata nel caso di vescovado, ma non lo è in quello del sinonimo episcopato. Quest'ultimo derivato, invece, presenta il terzo tipo d'estensione che incontriamo con i nomi di status, cioè quello collettivo (una riunione dell'episcopato italiano ecc.), a sua volta non realizzato nel caso di vescovado.2 La possibilità o l'esistenza di un'estensione collettiva dipende di nuovo da fattori extralinguistici: se chiericato, diaconato, episcopato, monacato o prelatura hanno un significato collettivo usuale, sarà perché questi collettivi sono concettualmente salienti, mentre l'assenza di estensione collettiva per papato o priorato sarà dovuta al fatto che di papa o priore c'è ne solo uno in un determinato periodo o luogo. Tali considerazioni non hanno,

1

2

Settennato, prestito dal francese, è un caso anomalo in quanto la base non designa il titolare della carica (cioè, il presidente). La distribuzione complementare, in questo caso, può essere dovuta a un criterio di economicità.

242

5. Suffissazione

però, una forza predittiva assoluta come mostra l'assenza di significato collettivo usuale per cardinalato, malgrado la salienza del sacro collegio dei cardinali, o per noviziato. La ragione per l'assenza di un'estensione collettiva in quest'ultimo caso va forse cercata nella prominenza dell'estensione temporale, che può aver esercitato un'influenza inibitiva (blocco omonimico). Le estensioni infatti sono spesso più frequenti del significato centrale, e a volte il significato centrale è anche assente, per lo meno nell'uso moderno. Così, secondo il DISC, comitato "territorio del conte", despotato e educandato hanno solo il significato locativo, interinato solo quello temporale. Tali parole possono naturalmente dar luogo qua e là a delle formazioni analogiche dirette, senza passare per il significato centrale, ma fino adesso non ci sono segni sufficienti per l'italiano che tale possibilità abbia dato luogo a varianti suffissali temporali, spaziali o collettive autonome e produttive. Accanto a questi tre tipi di estensioni rimane ancora da menzionare il significato "attività", come in apostolato, patronato, volontariato o, con un significato un p o ' diverso, campionato, oppure nelle formazioni in -aggio o -ia che si menzioneranno più avanti. In nessuno di questi casi esiste, però, un rapporto semantico sincronico con il significato centrale (e forse nemmeno in diacronia). Un altro caso speciale è costituito da formazioni c o m e avuncolato (a. 1955; su base latina), caporalato (a. 1978), levirato, maggiorascato / minorascato (a. 1978), matriarcato (a. 1927) / patriarcato, meticciato (a. 1938), padrinato, patronato (riferito al mondo romano) o seniorato, che non si riferiscono a cariche o condizioni bensì a istituti giuridici o costumi sociali. Si tratta di un tipo ormai indipendente e moderatamente produttivo. 5.1.1.4.2.1 singoli suffissi FR La categoria dei nomi di status è realizzata da più di una dozzina di suffissi, dei quali però solo uno, cioè -ato, è sincrónicamente produttivo nel senso pieno del termine. Fra i suffissi marginali, alcuni sono identici a suffissi la cui funzione principale consiste nella derivazione di nomi di qualità o nomi d'azione. Nella trattazione seguente, cominceremo con i suffissi marginali, seguendo un ordine alfabetico. Il suffisso -ado, dal punto di vista diacronico una variante settentrionale di -ato, è presente in (arci)vescovado e (vis)contado. Contado si riferisce solo al territorio del conte; oggi è più frequente nel senso lessicalizzato "zona di campagna intorno a una città". Parentado poteva designare, anticamente, il legame di parentela, ma ormai sussiste solo il senso collettivo. Le formazioni in -aggio sono, da un lato, termini del sistema feudale: baliaggio, baronaggio, servaggio (lett.), vassallaggio. L'altro gruppo si riferisce a rapporti privati: comparaggio (antiquato) / madrinaggio (a. 1957), parentaggio; concubinaggio. Il gallicismo pulzellaggio ha dato luogo a un neologismo recente: zitellaggio (a. 1983). Gemellaggio è un gallicismo (a. 1958). Malgrado l'esistenza di alcune formazioni analogiche, il suffisso non si può considerare produttivo per formare nomi di status, mentre deriva produttivamente a partire da nomi animati dei sostantivi che designano le attività tipicamente associate a tali nomi, come in attacchinaggio, brigantaggio ecc. (cfr. 5.1.3.1.2.2.). Anche -anza si è specializzato nei legami di parentela: cuginanza (a. 1941), figliolanza (più comune in senso collettivo), fratellanza, gemellanza (a. 1956), sorellanza (a. 1950; non com.), vedovanza. Come mostrano le date, si possono registrare tre formazioni analogiche verso la metà del secolo XX. Un secondo gruppo è costituito dalla coppia cittadinanza / sudditanza. Il terzo sottogruppo si riferisce a rapporti di lavoro: maestranza, manovalanza (oggi solo collettivo), padronanza (non com.). Forse anche discepolanza (a. 1949; non com.) va aggiunto a questo gruppetto. L'unico nome di status in -atico è comparatico, l'unico in -atura nunziatura (ma cfr. più avanti il gruppo dei sostantivi in -ura). Con -ea ne contiamo tre: con-

5.1. Derivazione nominale

243

tea, duchea e viscontea. Il suffisso -eia designa un vincolo di parentela in parentela, che ha anche un senso collettivo. Clientela nella lingua comune è solo collettivo, mentre in un testo storico si può riferire anche al rapporto tra cliente e patrono nell'antica Roma. Il suffisso -enza (o -(z)a) forma il nome di status di alcuni nomi in -ente semanticamente abbastanza omogenei: (co-, vice-presidenza (anche da preside), dirigenza, gerenza, (soprintendenza ; (luogotenenza; supplenza (che tuttavia esprime piuttosto un'attività che uno status). Discendenza è più comune come nome collettivo, ma può designare anche un rapporto di parentela. Possidenza denota anche, nel linguaggio giuridico, la condizione del possidente. I nomi di status in -eria sono quattro e tutti limitati alla terminologia storica: capitaneria, castalderia, paggeria, podesteria (da podestà). Più frequenti sono quelli in -ia. Malgrado il numero abbastanza elevato di formazioni usuali, il suffisso è essenzialmente improduttivo. La distribuzione del suffisso non è predicibile, ma si osservano due tendenze formali. Una prima nicchia formale seleziona basi in -ore: assuntoria (a. 1955), coadiutoria, conservatoria, esattoria, fattoria (non com.), mallevadoria (non com.), procuratoria (non com.), signoria.1 Ma anche in questa nicchia formale -ia è sopraffatto da -ato: assessorato, cantautorato (a. 1982), cantorato, censorato, coadiutorato, confessorato, dottorato, elettorato (cfr. Rainer 2002c), governatorato, ispettorato, lettorato, monsignorato, priorato, procuratorato, professorato, protettorato, provveditorato, rettorato, senatorato, superiorato, uditorato. Un'altra piccola nicchia formale di nomi di status in -ia deriva da basi in -an-: cappellania (loc.), castellatila, decanía (loc.), forania (a. 1965; da [vicario] foraneo), guardiania (loc.), pievania. Anche qui, però, -ato è il suffisso predominante: anzianato, artigianato (a. 1907), capitanato, cappellanato, decanato, diaconato, guardianato, inumato, khanato (a. 1952), piovanato, sultanato. Il resto delle formazioni in -ia sfida ogni raggruppamento: abbazia (da abbate), baronia, curazia (a. 1951; da [parroco] curato, secondo il DISC «sul modello di abbazia»), dataria, diaconia, legazia (da legato), notaría, procuratia (da procuratore), satrapía (loc.), (vice)segreteria (da (viceSegretario), vicaria. Pederastia stona un po' su questo sfondo. L'unico derivato in '-io è sacerdozio (da sacerdote), che designa però piuttosto un'attività che una dignità, l'unico in -ione è legazione, la carica di legato. Con -Uà, si possono menzionare edilità e deità (da dio) così come fraternità, maternità, paternità e regalità, che presentano come allomorfo della base - determinato paradigmaticamente (cfr. 1.2.4.2.) - l'aggettivo di relazione corrispondente a fratello, madre, padre e re rispettivamente. Solo due esempi si possono trovare per -itù: schiavitù e servitù. L'uso di -itudine come suffisso per formare nomi di status è partito da negritudine (a. 1972), a sua volta calcato sul fr. négritude. Sulla sua scia, s'incontrano ogni tanto dei neologismi analogici, come casalinghitudine (a. 1987), sarditudine (Internet) o sicilitudine (Bocca, G., Italiani strana gente, Milano, Mondadori, 1997, 90; da Sicilia, non siciliano!), che prendono normalmente come base un sostantivo indicante un membro di un collettivo che si sente socialmente o politicamente svantaggiato e rivendica la sua identità. L'ultimo suffisso non produttivo da menzionare è -ura: magistratura, prefettura, prelatura, pretura (da pretore), questura (da questore).

L ' u n i c o suffisso veramente produttivo, come già detto, è -ato. La sua produttività, però, è piuttosto moderata, dato che il fabbisogno di nuove designazioni di cariche nell'ambito della politica, dell'amministrazione, della chiesa e dell'esercito non è molto elevato e che in altri campi l ' u s o di questo suffisso è piuttosto limitato. Per farsi una idea della sua produttività attuale, il metodo più conveniente è forse quello di elencare i neologismi del secolo X X : artigianato (a. 1907), bracciantato (a. 1918), avventiziato (a. 1928), sottosegretariato (a. 1934), beilicato (a. 1939; da bey), assistentato (a. 1942), praticantato (a. 1942), stu-

A questi nomi di status, potremmo aggiungere alcune formazioni di senso (ormai) solo spaziale: cantoria (anche collettivo), rettoria, ricevitoria; nel caso di sartoria e trattoria il senso centrale non è mai esistito, perché né il sarto né il trattore sono basi potenziali per un nome di status. Sono da collegare piuttosto con il gruppo editoria, imprenditoria, legatoria, tessitoria, tintoria, che esprime un'attività e si collega alle formazioni corrispondenti in -eria (cfr. 5.1.1.3.4. e 5.1.1.6.2.).

5. Suffissazione

244

dentato (a. 1942; temp.; loc.), supplentato (a. 1942), nubilato (a. 1950),1 portierato (a. 1950), khanato (a. 1952), voivodato (a. 1961), castaldato (a. 1962), primariato (a. 1963), sceiccato (a. 1963), provicariato (a. 1970), rabbinato (a. 1970), notabilato (a. 1971; collettivo), precariato (a. 1974), gregariato (a. 1975), cantautorato (a. 1982), capocomicato (a. 1990), ambulantato (Paci, M., Il mutamento della struttura sociale in Italia, Bologna, Il Mulino, 1992, 294), l'utilizzo del coadiuvantato familiare (Pellegrini, L. (a cura di), La distribuzione commerciale in Italia, Bologna, Il Mulino, 1996, 58). Quest'elenco mostra che il suffisso, da un lato, è rimasto produttivo nei suoi campi tradizionali (sceiccato, rabbinato ecc.),2 anche se bisogna aggiungere che molte di queste formazioni hanno delle corrispondenze francesi anteriori e sono dunque probabilmente da considerare come prestiti. La novità più cospicua consiste nell'estensione dell'ambito d'uso del suffisso fuori dei quattro campi tradizionali della politica, dell'amministrazione, della chiesa e dell'esercito, fino ad arrivare a delle formazioni semiserie come cantautorato o capicomicato.

5.1.1.5.

Nomi collettivi3 MG

5.1.1.5.1. Considerazioni generali MG Il termine collettivo ha avuto diverse definizioni nella letteratura scientifica. Questa divergenza è dovuta sia a differenze teorico-metodologiche tra i lavori in questione, sia alla diversità delle manifestazioni della categoria nelle varie lingue. Si considerano collettivi i nomi che designano al singolare insiemi di entità dello stesso tipo, in altri sensi isolabili, percepiti come un'unità, cioè come una nuova entità costituita da una pluralità di entità. Questi nomi possono riferirsi a gruppi / classi di persone della stessa etnia o con un'attività comune o con un comportamento simile, a insiemi della stessa specie zoologica o botanica, a insiemi di oggetti che hanno in comune alcune caratteristiche, come, ad esempio, il materiale di cui sono fatti, a insiemi di un numero illimitato di singoli eventi dello stesso tipo ecc. Si tratta di una categoria semantica, talvolta con implicazioni sintattiche, che può essere realizzata sia con mezzi lessicali (bosco, clero, esercito, fauna, flotta, folla, gente, gregge, gruppo, senato ecc.) che con mezzi morfologici (aneddotica, avvocateria, borghesia, canzoniere, cittadinanza, duetto, faggeta, filosofume, immigrazione, manualistica, marcime, mondanità, ossatura, pentolame, soldataglia ecc.). La categoria derivazionale dei nomi collettivi è realizzata mediante un gran numero di suffissi diversi. Tuttavia solo per pochi la formazione di collettivi è la funzione primaria, la maggioranza di essi formano nomi d'azione, nomi di qualità, nomi di status, nomi di luogo ecc. con estensioni semantiche collettive. Molti suffissi occorrono in pochi derivati, inoltre è ridotto anche il numero dei suffissi che sono sincrónicamente produttivi.

2

3

Sul modello di celibato. Ambedue le formazioni sono deaggettivali e si possono anche interpretare come dei nomi di qualità (cfr. anche anonimato). Anche nei quattro campi tradizionali si notano però delle lacune, come "ministrato, °ricercatorato, "parrocato o "colonnellato. II corpus dei collettivi analizzati è stato ottenuto mediante lo spoglio esaustivo del DISC e di alcuni dizionari di neologismi (BC, C, CC, F, L, Q). Ringrazio Livio Gaeta per avere messo a mia disposizione alcuni esempi tratti da un corpus testuale costituito da due annate de La Stampa (1996-1997). La fonte degli esempi citati, se non diversamente indicato, è il DISC.

5.1. Derivazione

nominale

245

La categoria sintattica della base può essere nominale (discepolanza, filosofume, governime, pollame, ragazzaglia, rosaio, utenza), aggettivale, presumibilmente risultato dell'ellissi del nome in un sintagma N+A (biancheria, biancume, marcime, minuteria, mollame, squallidume (F), stupidario, tritarne), verbale (accozzaglia, appiccicume, cascame, doreria, mangime, miscuglio, sfasciume, spruzzaglia) o numerale (sestina, terzetto, terziglia, ventennio). I casi di troncamento sono piuttosto rari (cavaliere (incrociato con cavallo) —* cavalleria, maceria —* macereto, segretario —* segreteria). La base può essere costituita anche da una parola già derivata (autoveicolistica (F), castagnoleta, cespuglieto, cittadiname, componentistica, democristianeria (F), figliata, figliolanza, francesume, fumetteria (L), gallettame, impiegatume, manualistica, medievistica, moschetteria, olivastreto, palettatura, palificata, portelleria, scatolameria, scemenzaio (F), sciocchezzaio, servitorame, sfasciume, spicciolarne, tiranteria), da un composto o da un'unità polirematica (mezzacalzetteria (F), mezzobusteria (F), piccoloborghesume (La Stampa 18-3-97, 26)) oppure da una sigla (vipperia (F)). A loro volta i nomi collettivi sembrano costituire solo eccezionalmente ulteriori basi di derivazione (duettare, granagliare, verduraio, vocabolarista, vocabolarizzare). Dal punto di vista semantico la base si riferisce a una pluralità di entità animate o inanimate, concrete o astratte; può occorrere con un significato metaforico (pecorume "gruppo di persone dal comportamento servile", polverume), metonimico (argenteria "insieme di oggetti d'argento", carnaio, cristallame, cuoiame, ferrame, ottoname, fiaccolata, fucileria, paesaggistica), generico (pollame "insieme delle razze di gallinacei da allevamento (galli, galline, oche ecc.)", tovagliato, valigeria) oppure, raramente, già collettivo (fasciname, gentaglia, macchieto, marmagliume, scatolameria (Q), vocabolaristica). Per quanto riguarda la semantica dei derivati, va sottolineato che diversi suffissati collettivi implicano un giudizio o un atteggiamento negativi da parte del parlante. Questa connotazione peggiorativa può essere già presente nel significato delle basi (canagliume, ciarpame, ciurmaglia) oppure può essere apportata dai suffissi (avvocateria, dottorame, impiegatume, pretaglia, uccellaia). Il significato collettivo è percepito come spregiativo, forse in quanto spersonalizzante (cfr. 5.1.1.7.17.3.), soprattutto nel caso delle formazioni che designano gruppi o classi di persone. Dal punto di vista sintattico alcuni derivati collettivi rientrano nella categoria dei nomi di massa, altri in quella dei nomi numerabili. In questa sede non ci soffermeremo comunque sui fenomeni sintattici coinvolti nel loro uso. 5.1.1.5.2. Nomi collettivi derivati con suffissi collettivi MG I nomi collettivi in -ame, derivati da basi nominali con il tratto '+umano', designano gruppi di persone valutati spregiativamente (comparsame (Q), cittadiname, contadiname, culturame "il mondo della cultura", dottorame, fratellame, gentame (ant.; derivato da una base già collettiva), grattaculame (lui fa parte del grattaculame dei cattolici conservatori, La Stampa 18-2-97, 2), ragazzame, scelbame (Q), servitorame, viciname). Prive di valutazione negativa sono invece le formazioni che si riferiscono a gruppi formati dagli animali designati dai nomi base (bestiame, novellarne, pecorame, pollame, uccellame). Il suffisso può selezionare anche basi che designano parti del corpo animale e/o umano (budellame, carname, costolame, mollame, muscolame (L'ismo che ha fatto crescere i ragazzi dell'epoca come individualisti persi, quello che ci ha dato il muscolame da superomismo reaganiano, La Stampa 30-12-97, 23), ossame, pelame, pellame) oppure parti di vegetali (fiorame, fogliame, frascame, sterpame). Per quanto riguarda gli insiemi di entità inanimate, ci sono

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5. Suffissazione

diversi derivati in -ame che designano un assortimento o un ammasso di oggetti, in genere di uso comune (bottame, brecciame, broccame, bullettame, chiodame, collettame, coltellame, cordame, corniciame, foderame, funame, manigliame, mestolame, opuscolame ([...] tutta la produzione letteraria e giornalistica indirizzata all'infanzia e all'adolescenza (libri illustrati, opuscolame di edificazione e di educazione catechistica, «giornalini», fumetti). La Stampa 13-11-97, 22), pellicciame, pentolame, pezzame, pietrame, scatolame, spicciolame, tavolame, tendame, ferrame, valvolame, vasame, vasellame, velame, vetrame, vitame·, cfr. anche 5.1.1.2.4.)· I derivati da basi con il tratto '-animato' sono, in genere, privi di connotazione spregiativa salvo i casi in cui già la base sia valutata negativamente (ciarpame, cianfrusagliame (Certo, in questa difficoltà di accreditamento gioca un pregiudizio spiega l'ex-dc Gustavo Selva, approdato nelle file di AN dopo aver fatto il corrispondente della Rai all'estero - ma credo che non sarà sfuggito all'intelligence tedesca il ripetersi di certe nostalgie e di certo cianfrusagliame, La Stampa 8-5-97, 6)). La base può essere metonimica (cristallame "assortimento di oggetti di cristallo", cuoiame, ferrame, ottoname) e, di rado, già collettiva (fasciname). Il suffisso seleziona raramente basi non nominali; ad esempio, minutame e tritarne sono derivati da basi aggettivali nominalizzate, mentre accozzarne, brulicame, cascame sono deverbali. Il suffisso -urne si aggiunge a basi nominali o aggettivali nominalizzate con il tratto '+umano' che, spesso, indicano già a loro volta una condizione o delle qualità considerate di scarso valore o socialmente stigmatizzate; una connotazione peggiorativa assumono anche i derivati da basi non connotate negativamente, indicando un gruppo di persone che presenta determinate qualità in eccesso. Ad esempio: bastardume, becerume, borghesume, canagliume, criticume, filosofume, forestierume, impiegatume, letteratume, nobilume, pettegolume, ragazzume, tedescume, tisicume. Un gruppo di derivati si riferisce anche ad insiemi di atteggiamenti, abitudini, ragionamenti, modi di dire considerati di scarso valore e collegati ad insiemi di persone connotate negativamente (forestierume, francesume, pateticume, pettegolume, piattume (L), retoricume, romanticume, scolasticume, selvaticume, squallidume (F), tedescume, vietume). Il numero di neologismi è indicativo della produttività del suffisso in questo tipo di formazioni (biondume (L), piattume (L), politicume (L), squallidume (F); gerarcume (Costa, «espressione del puro volontarismo italiano», dimostra una gande ostilità verso il «gerarcume del passato», La Stampa 5-5-97, 16), piccoloborghesume (Per di più la regia è piatta, sciatta: in tanto piccoloborghesume, il solo vantaggio [...] sta nella presenza di due attori autenticamente belli, La Stampa 18-3-97, 26), vippume (L'età media del vippume in sala e la noiosità media dei libri in gara, La Stampa 6-7-97, 20). La base può essere già collettiva (marmagliume) o risultato di una metafora o di una metonimia (carnume, pecorume). Le formazioni che si riferiscono a gruppi formati dagli animali designati dai nomi base (porcume) oppure ad insiemi di vegetali (fiorume, frascume) sono piuttosto rare. Anche la maggioranza dei derivati da basi con il tratto '-animato' è connotata negativamente (cenciume, ciarpume, fecciume, grinzume, lezzume, polverume)·, sono piuttosto rare le formazioni in cui -urne non ha valore spregiativo (cenerume, cerume, mollicume). Si noti, a proposito degli esempi precedenti, che, se derivate da basi non enumerabili, le formazioni in -iime possono avere un significato piuttosto accrescitivo che non collettivo. Alcune formazioni deaggettivali possono designare sia una qualità astratta, in genere considerata negativamente, sia un insieme di entità che manifestano la qualità in questione (per l'uso dei nomi collettivi in funzione di nomi di qualità cfr. 5.1.2.1.2.2.2.). Può trattarsi di sapori (acidume, frittume, rifrittume, salsume), di odori (feti-

5.1. Derivazione

nominale

247

dume, mucidume), di colori (biancume, lividume, nerume, pallidume, verdume), di consistenza (mollume, morbidume, radume, rosume, seccume, tenerume, tritume, viscidume), di gusti e stili artistici (baroccume, goticume), di condizioni igieniche (laidume, lereiume, lordume, luridume, sudiciume) e di diverse altre qualità concrete e/o astratte (fradiciume, marciume, putridume, torbidume, vanume, vecchiume). Il suffisso seleziona solo raramente basi verbali (appiccicume, leccume, sfasciume). Anche i collettivi in -agita, derivati da basi nominali o nominalizzate con il tratto '+umano', presentano una connotazione spregiativa (cialtronaglia, frataglia, furfantaglia, poveraglia, pretaglia, ragazzaglia, ribaldaglia, sbirraglia, soldataglia). La base stessa può essere costituta da un nome collettivo e, se è già connotata negativamente, l'aggiunta del suffisso ne rafforza il valore peggiorativo (ciurmaglia, gentaglia, plebaglia, teppaglia, truppaglia (Ormai lui fa parte dell'esercito di Franceschiello, la truppaglia del nazionalsindacalismo e dei vescovoni guidata da D'Alema, La Stampa 15-8-97, 8)). I derivati da basi con il tratto '-animato' sono anche essi, in genere, connotati negativamente (ferraglia, granaglia, minutaglia, nuvolaglia, pietraglia (Ma dietro, il cortile, è solo pietraglia percorsa da randagi affamati, La Stampa 5-4-97, 5), ramaglia, siepaglia). Sono ben pochi i derivati da basi verbali (accozzaglia, minuzzaglia, spruzzaglia). I suffissi -ime, -tiglio, -iglia e -iglio occorrono con valore collettivo in un numero molto limitato di sostantivi denominali o deaggettivali (governime, ingombrime, marcime, postime (tose.); cespuglio, rimasuglio·, graniglia, mondiglia, terziglia-, terziglio) e deverbali (becchime, mangime-, miscuglio). I casi di derivati dalla stessa base con diversi suffissi collettivi e/o altri suffissi sono pochi e poco significativi. I derivati in questione si possono distinguere per la presenza / assenza di significati metaforici (ciarpame / ciarpume, pecorame / pecorume), per l'appartenenza a varietà regionali oppure a epoche diverse (cenciume / cenciaia (tose.), seccume / seccata (tose.); gentame (ant.) / gentaglia), per la presenza / assenza di una connotazione negativa (cittadiname / cittadinanza, viciname / vicinato), per la presenza / assenza di altri significati (cristallame / cristalleria, lordume / lordura, pollame / pollaio, sbirraglia / sbirreria) oppure si riferiscono a insiemi di entità diverse (biancume / biancheria, fasciname / fascinata, marcime / marciume, minutame / minuteria, mollame / mollume, ossame / ossatura, pietrame / pietraia, tavolame / tavolato, tendame / tendaggio, vecchiume / vecchiaia, verdume / verdura). In alcuni casi si tratta di varianti sinonimiche o parzialmente sinonimiche (carname / carnume / carnaio, costolame / costolatura, ferrame / ferraglia, frataglia / frateria, ragazzume / ragazzaglia, ramaglia / ramatura, tedescume / tedescheria, uccellame / uccellaia / uccelleria, velame / velatura). 5.1.1.5.3. Nomi collettivi derivati con altri suffissi MG I collettivi in -erta (cfr. 5.1.1.6.2. e 5.1.1.3.3.) derivati da basi nominali con il tratto '+umano' non sono tutti connotati negativamente e presentano, in genere, oltre al significato collettivo "insieme di N", anche altri significati metonimicamente collegati. La maggioranza di essi designa anche azioni, atteggiamenti, modi di pensare o di comportarsi tipici della classe dei referenti designati dalla base (avvocateria, fucileria "insieme di persone armate di fucili", guapperia, tedescheria, zerbineria), altri si riferiscono anche alla carica delle persone in questione nonché al luogo e alla durata del loro incarico (paggeria, segreteria), altri ancora sono anche nomi di luogo (sbirreria) oppure nomi che indicano una

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5. Sujfissazione

qualità o una condizione (cavalleria, naneria). Non mancano comunque le formazioni attestate nelle fonti lessicografiche con significato solo collettivo (cadetteria, consorteria, democristianeria (F), fanteria, frateria, mezzacalzetteria (F), mezzobusteria (F), moschetteria, rimeria "insieme di verseggiatori", tifoseria, vipperia (F)). Il suffisso seleziona molto raramente basi con il tratto '-umano' (uccelleria (BC)). A insiemi di entità di vario tipo, collezioni, raccolte, assortimenti, si riferiscono diversi derivati da basi nominali con il tratto '-animato' (aguglieria, argenteria, ciabatteria, fumetteria (L), gadgetteria (Q), palería, posateria, quaderneria, quadreria, raccorderia, rivisteria (F), rubinetteria, scatolameria (sinonimo della base già collettiva; Q), tiranteria, tuberia, viteria). Talvolta i derivati indicano anche il luogo dove le entità in questione vengono realizzate e/o riparate, conservate, vendute (arazzerla "arte di lavorare gli arazzi" o "luogo in cui essi venivano preparati" o "insieme degli arazzi di un'abitazione", armeria, attrezzeria, bottiglieria, bulloneria, corsettcria, cristalleria, giocheria, occhialeria, passamaneria, stoviglieria, utensileria, valigeria, veleria). Da notare, nel caso di alcune formazioni, la presenza di un significato metonimico (ad es.: argenteria "insieme di oggetti d'argento") oppure generico (ad es.: valigeria "insieme di valigie, borse e affini") della base. Le formazioni connotate negativamente, come rimeria "insieme di versi di scarso valore artistico", sono piuttosto rare. Da basi aggettivali nominalizzate sono derivate biancheria e minuteria, mentre doreria è deverbale. Il suffisso -istica forma produttivamente dei nomi collettivi ai quali in genere corrisponde un aggettivo in -istico/a, anche se non attestato nelle fonti lessicografiche (cfr. 5.1.1.6.5.). Dal punto di vista semantico il significato collettivo riguarda la base nominale mentre l'aggettivo, secondo le definizioni del DISC, può essere connesso alla base (manuale + -istico —*• manualistico ecc.) o al derivato in -istica (componentistica —• componentistico ecc.) o ad ambedue (annali + -istico —> annalistica, annalistica —• annalistice ecc.), oppure, ancora, alla base nominale e a un derivato in -ista {pamphlet + -istico —> panflettistico, panflettista + '-ico —• panflettistico ecc.), alla base nominale e a un derivato in -ismo (Oriente —> orientale + -istico —> orientalistico, orientalismo + -istico —> orientalistico ecc.), o solo ad un derivato in -ista (vocabolarista + '-ico —* vocabolaristico ecc.). Molte formazioni indicano sia un complesso di attività nel campo dell'industria, della tecnica e, in genere, della produzione e del commercio, connesse ai referenti delle basi nominali, sia l'insieme dei referenti in questione (accessoristica "settore dell'industria che si occupa di produrre accessori" o "il complesso degli accessori prodotti", autoveicolistica (F), componentistica, computeristica, convegnistica, elicotteristica (F), gadgettistica, guidistica, hobbistica, oggettistica, regalistica, sloganistica). Altre si riferiscono per lo più ad ambiti di studio e all'insieme degli oggetti di studio oppure ad attività di scrittura o artistiche e all'insieme dei prodotti delle attività stesse (annalistica "genere storiografico degli annali" o "il complesso degli annali scritti in una data epoca", casistica, corsivistica, cronachistica, enigmistica, fiabistica, italianistica, manualistica, medievalistica, medievistica, modulistica, orientalistica, paesaggistica, panflettistica, precettistica, ritrattistica, saggistica, soggettistica, trattatistica, vignettistica, vocabolaristica). A formazioni collettive può portare in alcuni casi anche l'uso sostantivato della forma femminile di alcuni aggettivi in -(ar)esco, -(atletico e -(at)ivo. Ad esempio, marinaresca (ant.), scolaresca, soldatesca, studentesca e rappresentativa designano insiemi di persone, mentre aneddotica, apologetica, emblematica, epigrammatica, problematica, segnaletica, tematica e normativa si riferiscono ad insiemi di entità di vario tipo. Alcune tra le formazioni di quest'ultimo tipo, come aneddotica, apologetica, epigrammatica, designano anche l'attività collegata con la base

5.1. Derivazione nominale

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nominale, cioè quella di scrittura o di studio oppure ancora un genere letterario. Le nominalizzazioni degli aggettivi in -iccio, derivati da aggettivi deverbali o da temi verbali (imparaticcio, raccattaticcio, raccogliticcio, seccaticcio), designano un insieme di entità di scarso valore. Un numero cospicuo di nomi collettivi presenta dei suffissi la cui funzione primaria è la formazione di nomi d'azione (cfr. 5.1.3.1.). Nel caso della maggioranza dei derivati si tratta di estensioni semantiche dei nomi d'azione che si riferiscono, oltre che all'evento stesso, anche ad un insieme di entità che svolgono il ruolo di agente o di strumento o di paziente o di risultato nello stato di cose rappresentato linguisticamente. Ad un gruppo di persone che eseguono l'azione designata dalla base verbale, ad esempio, si riferiscono diversi suffissati in -mento (accompagnamento, ammassamento, intruppamento, raggruppamento), in -zione (immigrazione), in -nza (adunanza), in -ata (imbarcata, radunata) oppure formati mediante conversione o troncamento della base verbale oppure ancora sulla base della forma del participio passato (corteggio, passeggio, scorta; solo collettivi sono congrega e accol(i)ta). Le estensioni semantiche di altri nomi d'azione, formati con gli stessi procedimenti, si riferiscono, oltre che all'evento stesso, anche all'insieme dei risultati che ne conseguono (incastellamento, ordinamento, regolamento', produzione, programmazione, votazione', piantata', fruttato "il complesso dei frutti prodotti da un campo, da un albero ecc.") oppure al complesso degli strumenti (attrezzature, materiali, edifici ecc.) necessari per eseguire l'azione designata dalla base verbale (accampamento, accasermamelo, allestimento, arredamento, attrezzamento, munizionamento, velamento-, decorazione, palificazione, regolamentazione, segnalazione', addobbo, arredo, carreggio) oppure ancora all'oggetto affetto dall'attività in questione (allevamento "l'insieme degli animali o delle piante allevate, dei terreni o degli impianti che li accolgono"; importazione, spedizione', stipa', stesa). Significato soprattutto collettivo hanno invece baraccamento, segnalamento e dotazione, i derivati in -ata come chiocciata, covata, figliata, infilzata, grigliata, palificata, nonché alcune formazioni denominali (palamento "insieme dei remi di un'imbarcazione o complesso delle pale di un'elica"; nervazione, strumentazione, tubazione', emittenza', cucciolata). La stragrande maggioranza dei collettivi deverbali in -tura indicano il risultato (fognatura, foracchiatura, macchiettatura, pieghettatura, postillatura, punteggiatura, puntellatura, rigatura, sbriciolatura, scarabocchiatura, segatura, sminuzzatura, spezzatura, spezzettatura, stritolatura, trivellatura) oppure l'oggetto affetto o lo strumento (abbottonatura, alettatura, attrezzatura, cerchiatura, chiodatura, corazzatura, fasciatura, foderatura, gommatura, imperniatura, incannucciatura, incordatura, lardellatura, mobiliatura, pannellatura, spazzatura, titolatura) dell'azione designata dalla base verbale. Le basi nominali selezionano -atura e i derivati si riferiscono ad una serie o ad una struttura composte dalle entità designate dalle basi (costolatura, dentatura, finestratura, mosaicatura, muscolatura, nervatura, ossatura, palettatura, ramatura, scaffalatura, tubatura, tubolatura (tubulatura), velatura). Tra le formazioni in -aggio con significato collettivo sono deverbali frenaggio "l'insieme dei congegni che hanno il compito di frenare una macchina" e guidaggio, mentre banchinaggio, casermaggio "l'insieme dei mobili e degli oggetti di arredo di caserme e di uffici militari", cortinaggio, tendaggio sono denominali. Si può considerare collettivo anche il significato di alcuni nomi d'azione derivati, in genere, da verbi reiterativi con i suffissi -mento (luccicamento, rubacchiamelo, sbadigliamento), -aia (chicchiriata "serie continuata di chicchirichì") e soprattutto con -io (borbottio, brontolio, chioccolio, cigolio, formicolio, frullio, fulminio, gracchio, gracidio, lamentio, luccichio, miagolio, mormorio, pette-

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5. Suffissazione

golio, pigolio, scintillio, sdrucciolio, sfarfallio, sparpaglio, strascichio, sussurrio, tentennio, tremolio) che indicano una serie di azioni ripetute o prolungate, connotate talvolta negativamente e con riferimento per lo più ad effetti sonori; significato analogo presentano anche alcune formazioni denominali in -io, come, ad esempio, brividio, fracassio, gemitio, passerio. Oltre a designare una dottrina, un'ideologia, una corrente di opinione, una propensione ecc. (cfr. 5.1.1.6.4.), taluni nomi astratti in -ismol-esimo possono indicare anche l'insieme di coloro che si riconoscono in esse (collezionismo, discesismo, fascismo, volontarismo·, cattolicesimo, gentilesimo (ant.)) oppure l'insieme dei referenti designati dalle basi nominali (associazionismo, simbolismo). Consonantismo e vocalismo sono solo collettivi. Sono abbastanza numerose anche le estensioni collettive dei nomi di status che, oltre ad indicare una carica, una funzione, una dignità o una condizione sociale e, in alcuni casi, l'ambito, il territorio, la sede in cui tale carica è esercitata oppure la sua estensione temporale (cfr. 5.1.1.4.1.), designano anche la classe o il gruppo sociale oppure la categoria dei referenti del nome che costituisce la base. Si tratta di formazioni in -aggio (baronaggio, malandrinaggio), in -anm (cittadinanza, discepolanza, figliolanza, maestranza, manovalanza), in -(z)a (concorrenza, convivenza, dirigenza, discendenza, militanza, possidenza, rappresentanza, ripetenza, utenza), in -fa (baronia (ant.), borghesia, cantoria, compagnia, goliardia), in -ura (avvocatura, magistratura, prelatura) e soprattutto in -ato (avventiziato, bracciantato, chiericato, diaconato, elettorato, episcopato, indigenato, laicato, marchesato, meticciato, monacato, notabilato, padronato, precariato, proletariato, rabbinato, vicinato, volontariato). Oltre che un insieme di persone, editoria e imprenditoria designano anche l'attività collegata con la base, mentre malvivenza si riferisce a un modo di agire; artigianato e cantautorato indicano anche l'insieme dei prodotti dell'attività svolta dagli artigiani o dai cantautori, mentre assessorato, sottosegretariato e presidenza (come anche segreteria, menzionato sopra) si riferiscono per metonimia all'insieme del personale che fa capo a un assessore ecc. Committenza è solo collettivo. Collettivo e nome di status è nobilea, derivato in -ea; un suffisso -eia è identificabile in clientela e parentela, quest'ultimo anche nome di status, ambedue di origine latina; sempre di origine latina è servitù, nome di status in -itù, usato anche con significato collettivo. Alcuni nomi di qualità designano, oltre alla qualità designata dalla base aggettivale, anche l'insieme delle persone o delle cose che la presentano (cfr. 5.1.2.1.1.1.). Si tratta di estensioni collettive di talune formazioni in -aia (vecchiaia), in -anza (vicinanza), in -ura (lordura, verdura). Per quanto riguarda le formazioni in -ità (cattolicità, criminalità, feudalità, gestualità, grinzosità, imprenditorialità, ispanità, mondanità, modernità, ritualità, sfarzosità, umanità, vertenzialità) è da notare che talvolta il valore collettivo riguarda i referenti dei nomi dai quali derivano gli aggettivi, basi di derivazione dei nomi di qualità in questione (come, ad esempio, imprenditorialità "la categoria degli imprenditori"). Diverso è il caso di ufficialità "il complesso degli ufficiali di un reparto o di un presidio" che deriva direttamente dal sostantivo ufficiale, formato mediante la conversione dell'aggettivo corrispondente. Per ulteriori esempi del tipo balnearità "bagni", conflittualità "conflitti", progettualità "progetti", vanità "vanitosi" cfr. 5.1.2.1.1.1. Un sottogruppo di collettivi, abbastanza omogeneo dal punto di vista semantico, è costituito dai derivati da fitonimi. Di fatto si tratta di nomi che si collocano a metà strada tra nomi di luogo (cfr. 5.1.1.3.) e collettivi, indicando la presenza di organismi vegetali (erbacei, arbustivi o arborei) o parti di essi in grande quantità e, in genere, anche i luoghi in cui

5.1. Derivazione

nominale

251

essi di norma si trovano, vivono, crescono o sono riposti. Questo tipo di basi è selezionato da diversi suffissi, tra cui alcuni già menzionati sopra: -eto1 (agrumeto, albicoccheto, aranceto, bananeto, canapeto, carrubeto, castagneto, cespuglieto, ciliegeto, elceto, faveto, ficheto, frassineto, fruticeto, gelseto, ginestreto, lariceto, limoneto, luppoleto, macchieto, mandorleto, meleto, noccioleto, olivastreto, pereto, pescheto, plataneto, rovereto, scirpeto, scopeto), -aia (abetaia, bambusaia, canapacciaia!-ara, cocomeraia, fustaia, risaia, tartufaia, zuccaia), -età (carpineta, castagnoleta, felceta), -aio (cipollaio, marrucaio, ovolaio, rosaio), -agita (granaglia, ramaglia, siepaglia), -ame (fiorame, fogliame, frascame, sterpame), -urne (fiorume, frascume), -iera (cedriera), -iccio (sterpiccio), -ina (abetina), -ata (barbata), -uglio (cespuglio). Sono numerose le coppie sinonimiche in -etol-eta (albereto / albereta, carpinete / carpineta, cerreto / cerreta, faggeto / faggeta, leccete / lecceta, marroneto / marroneto, ontaneto / ontaneta, sughereto / sughereto), in -etol-aia, -etol-aio, -aiol-aia, -etol-etal-aia, -etol-aial-aio (acereto / acereta / aceraia, asparageto / asparagiaia, carciofeto / carciofaia / carciofaio, cavolaio / cavolaia, cipresseto / cipressaia, fragoleto /fragolaia, giuncheto / giuncaia, marrucheto / marrucaio, pioppeto / pioppaia, pruneto / prunaia / prunaio, vigneto / vignaio, vincheto / vincaia) oppure derivate con altri suffissi (abetina / abetaia, cedreto / cedriera, frascame / frascume, sterpato / sterpata / sterpeto / sterpame / sterpaglia / sterpiccio). Alcuni derivati dalla stessa base con i suffissi -eto e -aio, rispettivamente -aia, si distinguono per la possibilità del derivato in -aio o -aia di avere anche un significato figurato (fungheto / fungaia, ginepreto / ginepraio, pruneto / prunaio). Come si può notare, a differenza dei derivati da basi con il tratto '+umano', le formazioni connotate negativamente sono molto rare (siepaglia). Da segnalare ancora che la base può essere collettiva a sua volta (macchieto). A metà strada tra nomi di luogo (cfr. 5.1.1.3.1. e 5.1.1.3.2.) e collettivi si collocano anche dei derivati da zoonimi con i suffissi -aio e -aia che designano sì una moltitudine di animali, ma in primo luogo indicano i piccoli fabbricati e recinti in cui essi vengono tenuti (gallinaio, pollaio), le tane, i nidi o le cavità naturali che servono loro come rifugio (formicaio, polipaio), le costruzioni e gli impianti adibiti al loro allevamento (anguillaia, colombaia, piccionaia) oppure porzioni di terreno dove essi abbondano (serpaio!-aro, vermicaio). La connotazione peggiorativa, come nel caso di uccellaia, è poco frequente per quanto riguarda i derivati da questo tipo di basi. Gli stessi suffissi aggiunti a zoonimi formano dei nomi che designano dei versi / rumori emessi contemporaneamente da gruppi di animali (cagnaial-ara "l'abbaiare di molti cani insieme", cornacchiaia "gruppo di cornacchie che gracchiano contemporaneamente", passeraio "pigolio di molti passeri"). Alcune formazioni in -aio e in -aia si riferiscono ad un accumulo di entità con il tratto '-animato' e, in genere, anche al luogo dove esse si trovano (ghiacciaio, letamaio, mondezzaio!-aro, nevaio', cenciaia, pietraia, sassaia)·, altri indicano raccolte, repertori e simili (sapienzaio (BC), sciocchezzaio, scemenzaio (F)). Diversi derivati in -ario (cfr. 5.1.1.3.1.) designano per lo più insiemi di documenti scritti come repertori, raccolte, liste, elenchi (blasonario, frasario, glossario, gridario, incipitario, indirizzario, lemmario, massimario, minutario, notiziario, rimario, siglario, stemmario) e, talvolta, anche i contenitori che li contengono / racchiudono / raccolgono (casellario, ossario, ricettario, schedario, vocabolario)·, altri indicano insiemi di entità diverse (campionario, fascettario, macchinario, sceccario ( pelletteria, ragioniere —* ragioneria ecc. In coppie del tipo falconeria / falconiere, gioielleria / gioielliere ecc. poi sono pensabili ambedue le analisi. Non è comunque possibile, senza inutili complicazioni formali, ridurre tutti i casi a derivazioni da basi che sono

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Si confronti anche covata, chiaramente deverbale. Forse conviene mettere qui anche casata. In falconeria non è un prodotto, bensì l'animale al centro dell'attività del falconiere.

5.1. Derivazione

nominale

255

nomi d'agente, come mostrano le seguenti coppie: conceria / conciatoreliuteria / liutaio, orologeria / orologiaio, pellicceria / pellicciaio ecc. Oltre che con i nomi d'agente in -iere, il tipo FALCONERIA mantiene anche uno stretto rapporto con i nomi di luogo in -eria. Ci sono, infatti, molte coppie metonimiche del tipo gioielleria "arte di lavorare i gioielli" / "negozio di gioielli". Si potrebbe dunque essere tentati di assumere l'esistenza di un'estensione semantica "attività" —* "luogo dove si esercita questa attività" e di fare a meno di un suffisso locativo -eria indipendente. Tale ipotesi non sembra però giustificata, dato che molti nomi locativi in -eria sono, per lo meno in sincronia, senza nome di attività corrispondente: birreria, gelateria, libreria, pizzeria ecc. Il secondo tipo denominale in -eria che rimane da trattare è il tipo DIAVOLERIA, che esprime un atto tipico della persona designata dalla base. Questo tipo è strettamente imparentato con i nomi di qualità in -eria (cfr. 5.1.2.1.2.1.5.), che possono anche avere basi nominali ed essere soggetti ad estensioni semantiche "qualità" > "atto" tipo la sua asineria "ignoranza" > le sue asinerie ecc. Per la maggior parte dei nomi d'atto in -eria quest'analisi è sufficiente. Non sembra però raccomandabile trattare tutti i nomi d'atto come delle estensioni semantiche a partire da nomi di qualità, dato che per parecchi non è attestato nessun nome astratto corrispondente: animaleria, birichineria, clowneria (L), diavoleria, filosoferia, matteria, metafisicheria, snobberia (L) ecc. Casi di questo tipo sembrano indicare che una rianalisi delle estensioni semantiche in -eria abbia dato luogo alla creazione di un tipo indipendente in cui il significato "atto" è legato direttamente al suffisso -eria. Oltre a questi due tipi rimangono solo da menzionare alcune formazioni denominali isolate con il significato "entità di stile X" come cineseria o giapponeseria, oppure, nel campo immateriale, fiorentineria, franceserta o tedescheria. Queste ultime esprimono anche, spregiativamente, l'adesione al modo di parlare, pensare ecc. del popolo designato dalla base, significato molto vicino a un nome di qualità. 5.1.1.6.3. Il tipo sinistrese FR A partire dalla seconda metà degli anni Settanta, il suffisso -ese, presente in molti nomi di lingue come francese, inglese, portoghese ecc., si utilizza anche, sotto la spinta dell'analogo uso inglese (cfr. Bauer 1983, 250-253), per designare il gergo di un determinato gruppo, ambito o medium. Stando alla cronologia delle attestazioni nel DISC, il capostipite di questo nuovo uso di -ese sembra essere stato sinistrese (a. 1976),2 che si riferiva al linguaggio impenetrabile della sinistra italiana di quel periodo. Per gli anni immediatamente seguenti sono attestati sindacalese (a. 1977), femminese (cfr. Stauder, R., Il femminese. Guida serissima al linguaggio della moda nelle riviste femminili, Legnano, Landoni, 1978), giornalese (a. 1978), burocratese (a. 1979), sanremese (a. 1979; CC), stupidese (a. 1981; Q), politichese (a. 1982), titolese (a. 1982; CC) e computerese (a. 1983). Nel frattempo, il tipo SINISTRESE si è affermato definitivamente nella lingua, soprattutto nel linguaggio giornalistico e saggistico: i dizionari di neologismi contengono più di settanta creazioni, per lo più effimere, degli ultimi due decenni.

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La base di conceria, eccezionalmente, è rappresentata dal rispettivo nome d'azione, cioè concia. Traslatorese, è vero, è già attestato nel 1963 (CC), ma si tratta di un calco precoce ed isolato dell'inglese translatorese rimasto senza seguito. È certamente significativa l'assenza del tipo da Dardano 1978, manuale generalmente attento alle innovazioni.

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5. Suffissazione

Il suffisso si applica soprattutto a basi nominali. Le poche basi aggettivali sono o aggettivi di relazione (cfr. sindacalese, aziendalese (L) ecc.) o aggettivi qualificativi che denotano la proprietà criticata del gergo in questione (cfr. stupidese, difficilese (Q), facilese (Q) ecc.). Fra le basi nominali, possiamo distinguere nomi comuni e nomi propri. Di quest'ultimo gruppo, abbiamo già citato sanremese, il «linguaggio banale e artefatto delle canzoni presentate al festival di Sanremo» (CC), al quale potremmo aggiungere cossighese (BC; da F. Cossiga), freudese (F), il linguaggio non di Freud stesso ma dei suoi discepoli, leghese (F) ecc. I nomi comuni designano molto spesso un determinato gruppo sociale, normalmente una categoria professionale: burocratese, filosofese (Q), giovanese (Q), mafiese (BC), medichese (BC), paninarese (BC), poetese (L) ecc. Invece dei membri di un gruppo, la base può anche designare un campo di attività, rappresentato magari dall'oggetto più saliente: calcese (BC), computerese, droghese (BC), economese (Q), pallonese (BC), pedagogese (F), semiologese (Q), sociologese (Q) ecc.1 Per alcune formazioni, è possibile interpretare la base in ambedue le maniere appena esposte: critichese (Q), informatichese (BC), politichese ecc. Più raramente, la base denota il medium di cui è caratteristico il gergo: giornalese, quotidianese (L), telegiornalese (F), titolese ecc. Rarissimamente infine, la base sta per una caratteristica linguistica: gerghese (Q), siglese (BC). Il dominio di -ese si presenta dunque alquanto eterogeneo tanto rispetto alla categoria sintattica delle basi (nomi, aggettivi) quanto alla categoria semantica dei nomi base. Ma si noti che tutti i tipi di base sono legati da rapporti metonimici abbastanza stretti. Mentre le denominazioni di lingue tipo il francese (cfr. 7.2.2.3.) sono da considerarsi come conversioni degli aggettivi corrispondenti (francese —• il francese', cfr. la lingua francese), l'uscita del tipo SINISTRESE è direttamente nominale. L'uso aggettivale di tali formazioni, attribuibile a una conversione Ν —• A, è estremamente raro: sintassi e costruzione del periodo leghese vanno a orecchio (F, 149). 5.1.1.6.4.1 suffissi -ismo e -esimo FR Il suffisso -ismo è fra i suffissi più produttivi dell'italiano moderno e ricorre in un gran numero di significati diversi non sempre nitidamente delimitabili fra di loro. Nel presente paragrafo, utilizzeremo come criterio principale di classificazione la categoria semantica del derivato in -ismo, mentre la relazione semantica fra base e derivato o la categoria sintattica della base avranno un'importanza secondaria. Quest'approccio permette di raggruppare, malgrado le divergenze nella categoria sintattica delle basi (sostantivo, aggettivo e verbo) e nelle relazioni semantiche fra base e derivato, mitterandismo "concezione politica di F. Mitterand", assolutismo "concezione politica favorevole al potere assoluto" e trasformismo "concezione politica favorevole ad una continua trasformazione", mentre mitterandismo, dantismo "studio delle opere di Dante" e daltonismo "malattia descritta da J. Dalton" saranno attribuiti a tre gruppi differenti malgrado l'identità del tipo di base (nome proprio). Il gruppo di gran lunga più importante è quello delle concezioni di ogni tipo: politiche, filosofiche, scientifiche, religiose, artistiche ecc. Come abbiamo già visto comparando mitterandismo, assolutismo e trasformismo, la relazione fra base e derivato è molto varia1

In queste quattro formazioni si cancella Y-ia della base: economia —» economese ecc. Altre cancellazioni sono più sporadiche: televisione —• televísese (Q), psicanalisi —• psicanalese (BC) ecc.

5.1. Derivazione

nominale

257

bile: sembra infatti che la base possa designare qualunque elemento saliente della concezione designata. Particolarmente frequenti come basi sono, in questa categoria semantica, i nomi propri, dato che una determinata concezione è spesso stata ideata da una sola persona. Invece del nome proprio può anche apparire l'aggettivo di relazione corrispondente, senza che la scelta fra queste due possibilità sia ovvia: ciceronianismo, hegelianismo, malthusianismo, paolinismo ecc. Dal campo politico o politico-economico menzioniamo: annessionismo, aperturismo, attendismo, bolcevismo, capitalismo, carrismo "atteggiamento politico favorevole all'intervento dei carri armati" (Q), castrismo, dirigismo, divorzismo "politica favorevole al divorzio" (Q), gollismo, gorbaciovismo, hitlerismo, imperialismo, leghismo, liberalismo, marxismo, mercantilismo, monetarismo, socialismo, terzomondismo ecc. Alcune di queste formazioni designano anche, oltre che delle concezioni politiche, dei sistemi di governo: assolutismo, castrismo, colonialismo, dispotismo, fascismo, imperialismo, zarismo ecc. Avendo i sistemi di governo in genere un inizio e una fine, queste formazioni possono anche riferirsi metonimicamente al tempo in cui questi sistemi erano in vigore: durante il fascismo ecc. Siccome varie concezioni politiche si ispirano a sistemi filosofici (cfr. marxismo) o scientifici (cfr. monetarismo), le frontiere fra questi campi sono fluide. Dal campo filosofico menzioniamo: atomismo, cartesianismo, empiricismo, esistenzialismo, kantismo, marcusismo (Q), platonismo, positivismo, schopenhauerismo (Panorama 26-3-1989, 18) ecc. Senza soluzione di continuità entriamo nel campo delle scienze dell'uomo: behaviorismo, connessionismo, costruttivismo, darwinismo, generativismo, strutturalismo ecc. In questo gruppo è interessante notare che in tutta una serie di parole -ismo denota una versione abusiva della scienza designata con -ia: biologia vs biologismo, economia vs econom(ic)ismo, filologia vs fìlologismo, psicologia vs psicologismo, sociologia vs sociologismo ecc. Può darsi che quest'uso peggiorativo di -ismo si debba al fatto che questo suffisso designa spesso sistemi di credenza: ateismo, calvinismo, deismo, induismo, integrismo, khomeinismo, quaccherismo, quietismo, totemismo ecc. Oltre alle religioni, troviamo anche molte denominazioni di correnti artistiche in -ismo·. antonionismo "moda cinematografica che si ispira ai film di M. Antonioni" (Q), burrismo "imitazione dello stile di A. Burri" (Q), classicismo, eclettismo, ermetismo, espressionismo, fellinismo "ammirazione per F. Fellini" (Q), futurismo, picassismo (Panorama 26-4-1987, 13), simbolismo ecc. Infine c'è da menzionare una lunga serie di concezioni, disposizioni e atteggiamenti individuali, non costituiti necessariamente in sistema: altruismo, arrivismo, campanilismo, cinismo, conformismo, cosmopolitismo, dilettantismo, disfattismo, egoismo, facilismo, familismo, leccapiedismo (Q), con ottuso sergentismo (Le commedie di Dario Fo, II, Torino, Einaudi, 1977, 125) ecc. Il grande gruppo delle designazioni di concezioni si distingue da altri usi di -ismo per il fatto che, in linea di principio, è quasi sempre possibile formare un prefissato con neo- (cfr. neohegelianismo, °neobehaviorismo ecc.) o un sostantivo corrispondente in -ista designante il fautore della concezione in questione (cfr. positivismo —* positivista ecc.). Le formazioni in -ista, tuttavia, possono essere bloccate se esiste un'altra designazione per la persona favorevole alla concezione in questione: ateo / *ateista, hegeliano / *hegelianista ecc. Un altro fatto che contraddistingue questo gruppo è che solo le concezioni si esprimono anche, sotto determinate condizioni, con il suffisso -esimo, etimologicamente identico a -ismo. Fra le formazioni tradizionali, dominano le denominazioni di concezioni religiose. La base è in genere un aggettivo di relazione in -ano: anglicanesimo, confucianesimo, cristianesimo, francescanesimo, luteranesimo, paganesimo, puritanesimo ecc. Ma ricorrono occasionai-

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5. Suffissazione

mente anche altri tipi di base: cattolicesimo, monachesimo, protestantesimo o, da un altro campo concettuale, feudalesimo. Nel suo uso produttivo, -esimo è tuttavia limitato ad aggettivi deantroponimici che terminano in -ano e denota concezioni filosofiche, scientifiche, letterarie o artistiche (manca la politica): carduccianesimo (a. 1973), crocianesimo (a. 1950), gramsciane simo (a. 1963), hegelianesimo (a. 1956), newtonianesimo (Ingrao, B. / Israel, G., La mano invisibile, Roma / Bari, Laterza, 1987, 33), palladianesimo (Bellavitis, G. / Romanelli, G., Venezia, Roma / Bari, Laterza, 1985, 108), vichianesimo (a. 1987), volterrianesimo (a. 1987) ecc. Mentre le formazioni tradizionali in -esimo derivate da aggettivi di relazione in -ano bloccano assai efficacemente le formazioni rivali in -ismo (cfr. cristianesimo / *cristianismo ecc.), fuori del campo religioso la concorrenza di -ismo è più forte: cartesianismo (sec. XVIII), ciceronianismo (sec. XVIII), copernicanismo (a. 1956), maltusianismo (a. 1905), mazzinianismo (a. 1907) ecc. Non mancano nemmeno i doppioni: dannunzianesimo (a. 1926) / dannunzianismo (a. 1918) ecc. Se la base non è un aggettivo deantroponimico, -ismo sembra regnare incontrastato: l'«africanismo» d'inizio secolo (Panorama 22-5-1988, 16), forlanismo (Panorama 26-3-1989, 53), reaganismo (a. 1984) ecc.1 La seconda grande categoria semantica delle formazioni in -ismo è quella delle designazioni di fenomeni sociali: abusivismo, analfabetismo, assistenzialismo, associazionismo, autostoppismo (Q), banditismo, brigatismo, burocratismo, camorrismo, cannibalismo, clientelismo, gallismo, giornalismo, mammismo, mecenatismo, nomadismo, nonnismo (a. 1986), nudismo, pendolarismo (a. 1975), pentitismo (a. 1987), play-boysmo (Q), prossenetismo, termalismo "cura a mezzo di acque termali" (Q), travestitismo, yuppismo (a. 1986) ecc. Un sottogruppo ben delimitato di questa categoria è costituito dalle attività sportive: alpinismo, atletismo, automobilismo, canoismo, ciclismo, discesismo, escursionismo, kartismo "lo sport del go-kart" (Q), motocrossismo, paracadutismo ecc. Anche il linguaggio della critica conosce formazioni che si riferiscono a delle attività, come dantismo "studio dell'opera di Dante" o belcantismo (a. 1990), liederismo (Panorama 26-4-1987, 31), sinfonismo (a. 1963), violinismo (Panorama 26-4-1987, 30). Come nel gruppo delle concezioni, anche queste formazioni sono spesso fiancheggiate da nomi in -ista, che però non designano il fautore di una concezione bensì colui che eserce l'attività. I derivati in -ismo e -ista sono derivati paralleli da una stessa base, ma non sembra escluso, in alcuni casi, interpretare il sostantivo in -ismo come nome d'attività o forse persino come nome collettivo corrispondente al nome in -ista: Dante —* dantista "specialista di Dante", Dante —* dantismo "studio di Dante", con eventuali relazioni secondarie: dantista —> dantismo "attività, insieme dei dantisti", dantismo —* dantista "esercente il dantismo" ecc. Se colui che eserce l'attività è già espresso da un'altra parola, la formazione in -ista può essere bloccata: atleta / *atletista, bandito / *banditista ecc. Il terzo grande gruppo è costituito da termini medici che designano malattie o comunque stati in qualche modo anomali (cfr. 10.3.3.): alcolismo (cfr. Rainer 2001b), ambidestrismo, astigmatismo, cretinismo, daltonismo, ebetismo, ermafroditismo, idiotismo, infantilismo, irsutismo, isterismo, mongolismo, nottambulismo, plurilinguismo, rachitismo, reumatismo, senilismo, tabagismo (da tabacco) ecc. Queste formazioni sono normalmente senza nomi corrispondenti in -ista (eccezioni: alcolista, tabagista). Le formazioni di questo tipo derivate da aggettivi sono semanticamente molto vicine a nomi di qualità (cfr. 5.1.2.1.2.2.3.), Rimangono da menzionare due nomi d'azione in -esimo (cfr. 5.1.3.1.2.6.): battesimo e incantesimo, da relazionare rispettivamente con i verbi battezzare e incantare.

5.1. Derivazione

nominale

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ma se ne differenziano per la prospettiva medica: cretinismo vs cretinaggine, idiotismo vs idiozia, senilismo vs senilità ecc. Anche altre discipline conoscono quest'uso di -ismo per riferirsi a determinati fenomeni scientifici, ma in misura molto più ridotta: asincronismo, iconismo, isomorfismo, magnetismo, parallelismo, trisillabismo, vulcanismo (meno comune: vulcanesimo) ecc. Anche alcuni di questi sostantivi sono molto simili semanticamente a dei nomi di qualità. Il quarto grande gruppo infine si riferisce a particolarità linguistiche: anglicismo, arabismo, arbasinismo "parola coniata da Arbasino" (L), bizantinismo, catalanismo, dantismo, dialettalismo, eufemismo, gallicismo, idiotismo, ipercorrettismo, lusismo, occasionalismo, solecismo, stranierismo (Todisco, Α., Ma che lingua parliamo, Milano, Longanesi, 1984, 56), tecnicismo ecc. Solo molto raramente si tratta di particolarità non linguistiche: il regista sembra sposare tutti i godardismi possibili (Panorama 6-7-1986, 15). L'anglicismo truismo e sillogismo intrattengono un rapporto piuttosto vago con questo gruppo. Questi quattro grandi gruppi coprono la quasi totalità degli usi di -ismoZ-esimo. Rimangono solo da menzionare alcune formazioni isolate: i nomi collettivi consonantismo e vocalismo, nonché i nomi d'azione (cfr. 5.1.3.1.2.6.) battesimo e incantesimo, già menzionati, nonché esorcismo e gargarismo, riferibili a esorcizzare e gargarizzare. Per terminare, focalizzeremo la nostra attenzione ancora su alcune proprietà generali delle formazioni in -ismo. Per quanto riguarda la categoria sintattica delle basi, abbiamo già menzionato che troviamo, in quest'ordine di importanza, sostantivi, aggettivi - inclusi l'aggettivo indefinito qualunque (qualunquismo) e l'aggettivo possessivo altrui (altruismo) - e verbi. Di quest'ultima categoria ce ne sono molto pochi: attendismo, continuismo, (in)determinismo, dirigismo, entrismo, garantismo, illuminismo, trasformismo, eventualmente integrismo e migliorismo. C'è infine ancora una base avverbiale: dietrismo. La relazione semantica fra base e derivato è anch'essa molto varia, persino all'interno delle singole categorie sintattiche: l'interpretazione si basa fortemente sulle conoscenze enciclopediche. Un'altra manifestazione della grande flessibilità di questo suffisso risiede nell'uso come basi di composti e unità polirematiche: leccapiedismo, menefreghismo, perbenismo, fuoricorsismo (Simone, R., L'università dei tre tradimenti, Roma / Bari, Laterza, 1994, 114), doppiogiochismo (Grazia 7-12-1986), secondo-lavorismo (Simone, op. cit., 143), terzaforzismo (Q), terzomondismo ecc. La sintassi esterna delle formazioni in -ismo invece è molto semplice. Solo se la base è un verbo o un nome d'azione si può sporadicamente osservare la trasmissione dei complementi: collaborazione con i tedeschi —• collaborazionismo con i tedeschi, ma annessione dell'emirato (tema) vs annessionismo dell'emirato (agente) ecc. Dal punto di vista formale si osservano varie irregolarità, dovute in gran parte all'origine straniera di molte formazioni. In alcuni casi la base è sincrónicamente ininterpretabile: deismo, egoismo, nichilismo, sciovinismo, sillogismo, truismo, turismo ecc. Altri presentano interfissi imprevedibili: assenteismo, consumerismo. In maoismo e titoismo invece la non cancellazione della vocale atona finale della base può servire a facilitare il recupero del nome proprio base. Il raddoppiamento della consonante finale di basi che finiscono in consonante si osserva soprattutto con le occlusive sorde (cfr. Rainer 1996d): autostoppismo, B. Bardot —* bardottismo ecc. vs cineclubismo (Q), snobismo ecc. Rari sono i cambiamenti consonantici: esofago —* esofagismo, famiglia —• familismo (Q), tabacco —> tabagismo. Più frequenti sono i troncamenti. Del tutto regolare è la caduta di -ia: ecologia —* ecologismo, sinfonia —» sinfonismo ecc. La caduta di '-ico invece non sembra soggetta ad alcuna regola

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5. Suffissazione

fissa. In molte parole questa sequenza finale rimane intatta: agnosticismo, bellicismo, classicismo, gallicismo, misticismo, praticismo, scolasticismo, storicismo ecc. In altre invece cade: Patto atlantico —• atlantismo (Q), arcaismo, cristocentrismo, dinamismo, dogmatismo, patetismo, patriottismo ecc. Ed anche i casi di oscillazione non mancano: didatt(ic)ismo, eclett(ic)ismo, esot(ic)ismo, matemat(ic)ismo ecc. In bolscevismo cade Y-ico di bolscevico. 5.1.1.6.5. Il suffisso -istica FR In 5.2.1.1.2. si vedrà che -istico è un suffisso molto produttivo per la formazione di aggettivi di relazione. Accanto a questo suffisso aggettivale -istico, nell'italiano odierno esiste però anche un suffisso nominale -istica che si può ormai aggiungere a basi nominali per formare direttamente nomi di vario significato, senza passare per uno stadio aggettivale. 1 A riprova dell'esistenza di un suffisso -istica indipendente si può addurre l'osservazione distribuzionale che, stando alle indicazioni del DISC, circa la metà dei sostantivi in -istica è senza un corrispondente aggettivo di relazione usuale in -istico. Ciò è un indizio abbastanza sicuro che la loro formazione non sia passata attraverso uno stadio aggettivale, anche se va rilevato che tutti gli aggettivi corrispondenti sono delle formazioni potenziali, dato che da un sostantivo in -istica si può sempre ricavare mediante conversione un aggettivo di relazione in -istico (cit. 7.2.1.2.): linguistico, ad esempio, non significa solo "relativo alla lingua" (discussioni linguistiche ecc.) ma anche "relativo alla linguistica" (scuole linguistiche ecc.). Ad una serie derivazionale francese —• "francesistico —* francesistica (conversione o ellissi), con stadio intermedio virtuale, preferiamo dunque la serie francese —•francesistica —> "francesistico (conversione), che fa a meno di stadi intermedi virtuali problematici (cfr. Rainer 1997) nella misura in cui la loro non-attestazione non è dovuta, nel nostro caso, a lacune accidentali nella documentazione. Il gruppo più cospicuo di formazioni in -istica è costituito da denominazioni di discipline accademiche. Predominano le scienze umane: africanistica, americanistica, arabistica, biblistica (da riferire a bibbia), dantistica, francesistica, germanistica, indoeuropeistica, iranistica, islamistica, ispanistica, mediev(al)istica, orientalistica, patristica (da riferire ai padri della Chiesa), romanistica, russistica, semitistica, slavistica, stilistica ecc. Ma le scienze umane non sono le uniche a servirsi del suffisso -istica, come mostrano atomistica, balistica, faunistica, impiantistica, infortunistica, insiemistica, oculistica, radaristica, statistica, strutturistica ecc. A prima vista, la nostra affermazione che le basi di questo tipo di formazioni siano nominali sembra contraddetta da questa lista. Infatti sono relativamente pochi i casi in cui la base è un sostantivo incontrovertibile: dantistica, stilistica ecc. Ma si noti che in altri è altamente plausibile che si tratti dell'aggettivo sostantivato riferito alla lingua: (il) francese —* francesistica ecc. E in altri casi infine si potrà pensare a basi polirematiche con caduta della testa nominale: lingue indoeuropee —*• indoeuropeistica ecc. In germanistica, iranistica, ispanistica, semitistica, e simili cade il suffisso '-ico della base. La 1

D'avviso contrario è Tekavôic (19802, § 1035), che rispetto a germanistica ecc. parla di un «femminile sostantivato». Il suffisso è assente da Dardano 1978. Dal punto di vista diacronico, il suffisso nominale -istica è il risultato sia di ellissi e rianalisi a partire da sintagmi come chimica atomistica o simili sia di calchi di formazioni analoghe di altre lingue europee (ted. Statistik > it. statistica ecc.), oppure di ambedue le cose alla volta.

5.1. Derivazione

nominale

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caduta della [dz] finale in romanistica "studio delle lingue e letterature romanze" è del tutto immotivata sullo sfondo della lingua italiana e si deve al fatto che si tratta di un calco del tedesco Romanistik, dove la caduta di -iseh di romanische (Sprachen und Literaturen) è invece regolare. Anche la stragrande maggioranza delle altre formazioni in -istica sono naturalmente, dal punto di vista diacronico, calchi e non formazioni autoctone. Il secondo gruppo più importante, accanto alle denominazioni di discipline accademiche, è costituito dalle denominazioni di generi letterari: annalistica, cronachistica, favolistica, fiabistica, fumettistica (Q), manualistica, novellistica, saggistica ecc. A volte, attraverso un'estensione semantica, queste formazioni assumono valore collettivo (cfr. 5.1.1.5.3.), riferendosi (anche) all'insieme della produzione letteraria in questione. Dal campo scientifico, l'uso di -istica si è poi anche esteso al campo affine dell'arte: cembalistica, citaristica "l'arte di suonare la cetra", luministica "arte di illuminare la scena teatrale". Un'altra estensione ha toccato diverse attività economiche: accessoristica, cantieristica, cartellonistica, componentistica, computeristica, impiantistica (Q), mercatistica, missilistica (Q), motoristica, progettistica, vetrinistica ecc. Come nelle altre serie, la base designa l'oggetto dell'attività (in cantieristica si tratta piuttosto del luogo che del prodotto). Più lontane dal campo semantico originario sono alcune designazioni di discipine sportive (cfr. anche agonistica, che è già del secolo XVIII): attrezzistica, pesistica, tuffistica. 5.1.1.6.6. Il suffisso -ite FR Il suffisso -ite ricorre innanzitutto in un gran numero di termini scientifici: in mineralogia designa minerali e rocce (clorite, labradorite ecc.), in chimica alcoli polivalenti (quercite ecc.), in medicina infiammazioni (amigdalite, appendicite, congiuntivite, gastrite ecc.; cfr. 10.3.3.). Come mostra Schweickard 1993b, a partire dal gruppo medico si è sviluppato, sul finire del secolo XIX, un uso scherzoso tuttora produttivo che si riferisce a qualche «malattia» in senso metaforico. Nelle due formazioni più antiche, poltronite (a. 1891) e spaghite (a. 1891), la base si riferisce a una disposizione e a uno stato che, attraverso il suffisso, acquisiscono carattere patologico. Lo stesso vale anche per i più recenti zuzzurrellonite (a. 1963), fiacchite (a. 1970), e simili. In genere, però, la base designa piuttosto l'oggetto o la persona che è al centro di una disposizione «patologica»: aggettivite (a. 1931), ad esempio, designa l'uso eccessivo di aggettivi, neologite (a. 1942) una tendenza smodata alla neologia, convegnite (a. 1985) una eccessiva frequenza o frequentazione di convegni, lollite (a. 1966) l'ammirazione fanatica per l'attrice Gina Lollobrigida, gattopardite (a. 1966) l'imitazione endemica del romanzo lampedusiano, pertinite (a. 1990) il culto della personalità dell'ex-presidente della repubblica Pertini ecc. Casi in cui la relazione fra derivato e base sia di natura diversa sono molto rari: con genitorite (a. 1978; L), ad esempio, ci si riferisce all'eccessivo amore dei genitori (per i figli), non per i genitori. Come si vede, questi occasionalismi implicano sempre una valutazione negativa. Il suffisso è parzialmente in concorrenza con formazioni in -(o)mania e -(o)latria: bondite ~ bondomania ~ bondolatria ecc.

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5. Suffissazione

5.1.1.6.7. Suffissi improduttivi o poco produttivi FR Accanto a questi suffissi produttivi rimane ancora da menzionare una serie di suffissi improduttivi o poco produttivi. Il più importante di questi è il suffisso -ale, che ricorre in una quarantina di sostantivi denominali come ditale, messale, pugnale ecc. Come rilevato dagli storici della lingua (cfr. Rohlfs 1969, § 1079), questo suffisso nominale -ale è originato dalla rianalisi di sostantivazioni ellittiche di aggettivi di relazione in -ale. Messale, ad esempio, era un aggettivo di relazione corrispondente a messa che si utilizzava anche in tale funzione nel sintagma libro messale, successivamente accorciato in (un) messale. La rianalisi come suffisso nominale si ebbe al più tardi quando messale uscì dall'uso come aggettivo e perciò il sostantivo messale venne riferito direttamente a messa. In casi come (un) confessionale, in cui il sostantivo in -ale coesiste ancora con un aggettivo di relazione in sincronia senza che sia ovvio quale sia stato il sostantivo testa del sintagma (mobile!), decidere se ci si trovi di fronte a un sostantivo denominale o a un aggettivo sostantivato non può che rimanere più o meno arbitrario. Questa rianalisi comunque non ha dato luogo a un tipo sincrónicamente produttivo e ben definito: tutt'al più si può constatare qualche formazione analogica tipo occhio —> occhiale (s. XIV) : orecchio —• orecchiale (s. XVII). Con l'eccezione di speziale "venditore di spezie", vetturale "conduttore" e dentale "dentice" (un pesce con denti vistosi), il derivato designa sempre una cosa, che sta con la base in un rapporto metonimico o, più raramente, metaforico e/o iponimico. Quest'ultimo tipo di rapporto è presente in circa un terzo delle formazioni, generalmente rare e parafrasabili molto vagamente con "una specie di X" (dove X rappresenta la base): assale "organo non rotante degli autoveicoli, che trasmette il carico del telaio alle ruote", bancale "lungo banco in legno a più posti con schienale", casale, cascinale, pianale "superficie piana delimitata, adibita a una specifica funzione tecnica", piazzale, portale, puntale "elemento appuntito di metallo [...] che riveste l'estremità di alcuni oggetti", segnale, staffale "in una vanga, ferro sporgente dal manico su cui si appoggia il piede", tendale (non com.) "grande tenda", usciale (non com.) "grande porta a vetri", viale. In alcune di queste parole il suffisso ha valore accrescitivo. Il gruppo metonimico invece è raggruppabile sotto la parafrasi "oggetto in rapporto con X", designando spesso una specie di nomi di strumento (cfr. 5.1.1.2.2.). Il gruppo più omogeneo designa oggetti che ricoprono ecc. parti del corpo: barbazzale (da riferire a barbozzo), bracciale, cosciale, ditale, fiancale, gambale, grembiale, guanciale, manale "guanto di cuoio che lascia libere le dita", occhiali, orecchiale, schienale. Pedale e pugnale, pur avendo come base una parte del corpo, sono semanticamente un po' diversi. Il resto è molto eterogeneo: arcale, band(i)erale, benedizionale, bottale "macchina rotante di forma cilindrica usata nella concia delle pelli", dossale "panno lavorato usato per ricoprire libri ecc.", fondale, giornale, girale (architettura) "motivo decorativo costituito da elementi vegetali ritorti su se stessi", grippiale (marina) "segnale galleggiante unito alla grippia (cavo che unisce l'ancora affondata e il grippiale)", messale, orinale, pancale "ricco panno con cui un tempo venivano ricoperte le panche", sagginale, semenzale. In davanzale, la base è un avverbio, in governale "impennaggio fisso che assicura la stabilità di proiettili ecc. durante la caduta" e penetrali, nell'antica Roma, "le stanze più interne", un verbo. Come si vede, parecchie di queste parole sono molto rare o limitate ormai al linguaggio storico. A parte i suoi molteplici usi trattati in 5.1.1.5.3. e 5.1.3.1.2.2., nel linguaggio storico -aggio è presente anche in un certo numero di nomi di tributi, tasse ecc.: alberaggio, fenestraggio, pedaggio, pontaggio ecc. Questo stesso senso si ha anche metonimicamente a partire da nomi di attività: ancoraggio "tassa pagata per l'ancoraggio", magazzinaggio "somma pagata per il magazzinaggio", zatteraggio "prezzo che si paga per lo zatteraggio" ecc. Etimologicamente questo suffisso risale - per via di fr. -age - a lat. -aticu(m), la cui variante colta italiana è -atico, utilizzato anch'esso nel linguaggio storico per designare tributi, tasse ecc.: ancoratico, campatico, casatico, erbatico, focatico, ghiandatico, legnatico, macchiatico, maggiatico, pensionatico, pescatico, plateatico, pontatico ecc. Queste formazioni sono in parte latinismi e in parte fondate su basi indigene; baciatico "donazione del promesso sposo alla fidanzata, sancita mediante un bacio" sembra essere una formazione recente (a. 1955). Originariamente, -atico era un suffisso formante aggettivi di relazione, ma, come -ale, è stato rianalizzato poi come suffisso con il significato dell'originario nucleo sintattico tributo (o tributum).

5.1. Derivazione nominale

263

La variabilità semantica fra base e suffisso rispecchia la variabilità delle relazioni semantiche fra nucleo nominale e aggettivo di relazione. Anche -oide è un suffisso primariamente aggettivale, che serve a derivare aggettivi di somiglianza (cfr. 5.2.1.1.3.): amigdaloide, antropoide, criminaloide ecc. Molti di questi aggettivi si possono usare anche ellitticamente come sostantivi: un antropoide ecc. Da aggettivi sostantivati in -oide si è poi anche ricavato, via rianalisi, un suffisso denominale col significato "N simile a Ν base": la chimica conosce alcaloide, metalloide ecc., l'astronomia asteroide, planetoide, satellitoide ecc., la linguistica prefissoide, suffissoide ecc., la geometria cilindroide, conoide, romboide ecc. Nelle formazioni della geometria è però molto difficile decidere nei singoli casi se si tratta di un'ellissi o di una formazione denominale diretta, già che in alcuni casi è anche attestato l'aggettivo corrispondente (es. trapezoide). Il linguaggio filosofico conosceva da tempo alcune formazioni in -ema di origine greca, ma motivate anche in italiano, come categorema o filosofema.1 Nel ventesimo secolo, la linguistica, specie quella di orientazione strutturalista, cominciò a servirsi di questo suffisso per creare delle denominazioni di unità linguistiche minime: fonema (a. 1910), morfema (a. 1931), semantema (a. 1937), grafema (a. 1956), semema (a. 1960), lessema (a. 1966), monema (a. 1966), glossema (a. 1969), tonema (a. 1979), prosodema (Lingua e Stile 31,1996, 219) ecc. Con la moda dello strutturalismo, questo suffisso si è poi anche esteso ad alcune scienze affini quali l'antropologia o la critica letteraria: mitema (a. 1978), antropema (a. 1991), stilema (a. 1980), rimema (a. 1987) ecc. Come si vede, le basi erano originariamente degli elementi formativi di origine greca, ma successivamente il suffisso si è attaccato anche a basi indigene. Quasi tutte le formazioni elencate sono, fra l'altro, dei prestiti, ma il suffisso è ormai anche disponibile per creazioni autoctone. Il resto dei suffissi è limitato a pochi casi, spesso molto eterogenei tra di loro. Si elencheranno qui di seguito in ordine alfabetico. Un suffisso -acciàio è presente in mostacciolo "dolce costituito da farina impastata con mosto ..." e vinacciolo "seme contenuto nell'acino dell'uva". Il suffisso -aggine, ancora produttivo per formare nomi di qualità peggiorativi (cfr. 5.1.2.1.2.1.5.), ricorre anche in un numero chiuso di nomi di piante, per Io più erbacee: capraggine (gradita alle capre), favaggine, fusaggine (usata per fare fusi), lentaggine, piantaggine, piombaggine, tossilaggine (usata contro la tosse). Lombaggine designa un dolore muscolare nella regione lombare, il raro ventaggine una folata di vento, e mucillaggine forse è ancora riferibile a muco. Di -aggio abbiamo menzionato poco sopra il significato "tributo"; le restanti formazioni denominali sono dei casi isolati: carriaggio "capace carro a quattro ruote usato un tempo negli eserciti", erbaggio "erba commestibile", linguaggio, ortaggio, paesaggio, personaggio. Un suffisso -agna ricorre solo in campagna e montagna, così come nel regionale e scherzoso pedagna "piede" e nel letterario seccagna "secca molto estesa". I sostantivi denominali in -ana sono in genere degli aggettivi sostantivati dove l'aggettivo originario non esiste più nella lingua attuale: argentana "lega simile all'argento", collana, fiumana, fontana, fumana "nebbia non fitta", tose, lampana "lampada", region, mammana "levatrice". Casi come ventisettana e quarantana, denominazioni delle edizioni dei Promessi sposi rispettivamente del 1827 e del 1840, e molti casi simili, possono considerarsi ancora come dei casi di conversione o ellissi. I suffissi -aia e la sua variante regionale -ara servono innanzitutto a formare nomi di strumento (cfr. 5.1.1.1.2.5.) e di luogo (cfr. 5.1.1.3.2.), ma ci sono anche alcune formazioni con significato diverso (cfr. anche 5.1.1.5.3.): cagnaia / cagnara "rumore fastidioso di più cani che abbaiano contemporaneamente",2 fiumara, lampara "grossa lampada usata di notte nella pesca", levantara "forte vento di levante". Oltre ai nomi di strumento (cfr. 5.1.1.1.2.5.), il suffisso -aiola e la sua variante regionale -arola sono ancora presenti in barcarola, boccarola "eruzione cutanea che si sviluppa agli angoli della bocca", fumarola "emissione di gas dal cratere", e in alcuni termini zoologici come rapaiola (farfalla), salciaiola (uccello), fienarola (rettile) o sterparola (uccello). In alcuni casi come linaiola (pianta), marzaiola (anatra) o prataiolo (pianta) il DISC registra anche l'aggettivo di relazione corrispondente in -aiolo, così che si potrebbero trattare anche sincrónicamente come dei casi di ellissi o conversione. 1 2

Marginalmente motivate sono anche le due formazioni settecentesche glossema e patema. Cfr. anche: cornacchiaia "gruppo di cornacchie che gracchiano contemporaneamente", passeraio "pigolio di molti passeri". Si tratta dunque di estensioni semantiche a partire da usi locativi o collettivi. In gallinaio e pollaio i due sensi sono ancora usuali.

264

5. Suffissazione

Un suffisso -arizzo si osserva nel termine nautico barcarizzo "apertura nel parapetto delle navi". Con base nominale, -asco solo ricorre nei due termini giuridici maggiorasco e minorascoOltre ai nomi di status contea e viscontea (cfr. 5.1.1.4.2.), un suffisso -ea si può isolare in canea "l'insistente abbaiare di cani che inseguono la selvaggina", marea, nomea e il non comune nobilea "gruppo di nobili o arie da nobile", il termine architettonico scalea "scalinata monumentale", nonché i due gallicismi letterari fumea e vallea. Alcuni nomi di piante, come ninfea, paradisea ecc., presentano un suffisso '-ea, che risale alla forma femminile dell'aggettivo corrispondente, non più registrato dal DISC. Il suffisso -ia è essenzialmente deaggettivale (cfr. 5.1.2.1.2.1.3.); le formazioni denominali sono poche ed eterogenee: caloria, mercanzia, oroscopia, prigionia, profezia, rapsodia, telefonia, telegrafia. Il suffisso -iade designa un avvenimento sportivo in olimpiade, modello di Universiade "olimpiade per studenti universitari", da analizzare forse come parola macedonia (cfr. 9.).2 Un suffisso '-ice appare in dentice (nome di pesce con denti vistosi) e gattice (varietà di pioppo i cui amenti ricordano una coda di gatto). Le poche formazioni con il suffisso -iglio sono abbastanza frammentate semanticamente; nel nostro contesto vanno menzionati il termine zoologico barbiglio "appendice sensoriale cutanea che alcuni pesci hanno all'angolo della bocca", il termine pittorico cartiglio "raffigurazione di un rotolo di carta", cordiglio "cordone di certi monaci", fondiglio, naviglio "canale navigabile" e ventriglio "parte dello stomaco di uccelli" ecc. Un suffisso -igno/a ricorre nella coppia patrigno / matrigna·, in vitigno invece -igno induce un cambio di genere. Il suffisso -ime ha innanzitutto valore collettivo (cfr. 5.1.1.5.2.), ma sono da segnalare anche due altre formazioni: lattime "malattia dei lattanti" e piantime "piantina pronta per essere trapiantata". Nel seguente gruppusculo di formazioni si può scorgere un vago suffisso -imonio: mercimonio, testimonio, il deverbale prestimonio "rendita ecclesiastica senza titolo di beneficio".3 A parte i diminutivi (cfr. 5.1.1.7.16.1.1.), le mozioni (cfr. 5.1.1.1.12.7.) e i nomi di sostanze chimiche tipo chinina, ci sono solo pochi casi, per di più abbastanza eterogenei, di sostantivi denominali in -ina: carneficina, cotonina "tessuto leggero di cotone", dentina "tessuto osseo del dente", faggina "seme di faggio", medicina, pettorina "pezzo di stoffa per ricoprirsi il seno", spallina, tonnina "carne di tonno", zoppino "una malattia che rende zoppo". In casi come marina, in cui esiste un aggettivo di relazione parallelo in -ino, è spesso difficile dire se siamo di fronte a una formazione per ellissi o conversione oppure a una derivazione con un suffisso nominale -ina. Un suffisso denominale -izio si ha in palmizio "albero della palma" o "ramo di palma". Limitato a due formazioni è -izza'· canizza "l'insistente abbaiare di cani che inseguono la selvaggina", manizza "impugnatura del timone". Un suffisso -ule è presente in tre formazioni semanticamente dispari: canapule "ciò che resta del frutto della canapa una volta privata delle fibre", grembiule (da grembo, con interfisso -/-) e pedule "parte della calza che copre la pianta del piede dalla punta al calcagno".

5.1.1.7. Alterazione IMB In italiano il fenomeno dell'alterazione non interessa soltanto il nome, ma è in questa categoria che se ne ha la massima applicazione, per ampiezza e varietà di realizzazioni. Si considerano alterate quelle basi, per lo più lessicali, contrassegnate dai suffissi chiamati appunto alterativi o valutativi, ed anche, recentemente, modificativi (cfr. Mutz 2000), come ad

esempio in ragazzino, libretto, bambinello, gattone, cagnaccio, avvocatuccio,

attorucolo

ecc. Questi suffissi hanno la capacità di modificare il significato denotativo della base in termini di dimensione (diminutivi e accrescitivi) o di qualità (peggiorativi), e si considerano 1

2 3

Maggiore e minore sono degli aggettivi, ma in queste formazioni è più probabile che abbiamo a che fare con le sostantivazioni il maggiore e il minore. Diade e triade invece contengono una base legata -ade combinata con i prefissi di- e fri-. Anche pinzimonio sarebbe stato derivato da pinzare con questo suffisso! Matrimonio e patrimonio non sono motivati sincrónicamente.

5.1. Derivazione

nominale

265

valutativi in quanto implicano un tipo di giudizio o atteggiamento del parlante. La suffissazione alterativa può, inoltre, conferire alla base e all'intero enunciato una ricca gamma di significati connotativi e pragmatici che variano a seconda della situazione comunicativa e che si offrono a svariati usi discorsivi (cfr. Dressier / Merlini-Barbaresi 1994). La modificazione di significato, seppure limitata, è uno dei motivi adducibili per considerare il fenomeno morfologico dell'alterazione in italiano come un tipo di derivazione, seppure non prototipica (cfr. Dressler / Merlini-Barbaresi 1994, 92, Grandi 2000, 149, anche Scalise 1984a, 131-133 per un parere diverso). 5.1.1.7.1. Paradigma dei suffissi alterativi LMB Il paradigma derivazionale dei suffissi alterativi comprende almeno tre categorie semantiche, identificabili come diminutivi, accrescitivi (detti anche aumentativi), peggiorativi (detti anche dispregiativi), 1 ma solo a grandi linee si può procedere ad un'assegnazione dei suffissi alterativi all'una o all'altra categoria. I più produttivi fra questi, ad esempio i diminutivi -ino, -etto, -uccio, l'accrescitivo -one, il peggiorativo -accio, possono condividere, perlomeno a livello di connotazione e di effetti pragmatici, significati di altre categorie, anche assommandoli a quelli prototipici della propria. Un alberguccio è un piccolo albergo scarsamente attraente, nasoni, gambone, casone sono entità di grosse dimensioni, negative per aspetto esteriore, la zampaccia del principe di Salina (Tornasi di Lampedusa, G„ II Gattopardo, Milano, Feltrinelli, 1959, 31) è una mano spaventosa per la sua grandezza e possanza. Il suffisso -astro,2 dai tratti chiaramente peggiorativi in poetastro, ha un uso vezzeggiativo o ludico in appellativi come cuginastro, bambinastro (segnalati da Serianni 1988, 550), topastro, gattastro (espressioni correnti nei fumetti) ecc. A questo proposito Dardano / Trifone 1985, 538 preferiscono ridurre le categorie semantiche a due, diminutivi e accrescitivi, includendo il valore peggiorativo ora nell'una ora nell'altra, insieme ai valori vezzeggiativo e attenuativo. Qui si distinguono le categorie degli alterativi per i loro significati denotativi prototipici e si identificano quindi tre gruppi principali di suffissi: diminutivi, accrescitivi e peggiorativi. Un trattamento a parte sarà riservato all'elativo -issimo (normalmente aggettivale ma anche nominale), che condivide con gli alterati la natura quantitativa della modificazione semantica (intensificazione) operata sulla base (cfr. 5.2.3.2.). I suffissi alterativi sono i seguenti: (a) diminutivi: -ino/a, -etto/a, -ello/a, -uccio/a, -uzzo/a, -otto/a, -(u)olo/a, -icci-(u)olo/a,

-iolo/a,

-acci-olo, '-olo/a, -àtt-olo/a, -onz-olo/a, -usc-olo, -agn-olo, -ign-olo/a, -occ-olo, -isc-olo, -ùgiolo/a, -icola/o, -occhio/a, -occio/a, -ozzo/a, -atto/a, -acchio/a, -icchio/a, -ulo/a, -iggine, -iglio, -ecchio, -ischio, -ottero/a; (b) accrescitivi: -one/a, -otto/a, -ozzo/a, -asso;

2

Categorie semantiche denominabili come «vezzeggiativi» e «attenuativi» non sono qui formalmente distinte all'interno del paradigma dei diminutivi in quanto si ritiene che tutti i suffissi diminutivi, in contesti adeguati, siano in grado di svolgere sia l'una sia l'altra funzione. L'uso diminutivo, come in pollastro, o riduttivo (per precisione e completezza), come in fratellastro, figliastro non sono più produttivi.

266

5. Suffissazione

(c) peggiorativi: -accio/a, -azzo/a, -ucolo/a, -astro/a, -ame, -urne, -aglia, -iglia, -ardo/a, -occherà, -accolo/a, -upola/-ipola, -ercolo, -offia.

-ùncolo,

Nelle liste si sono inclusi sia i suffissi molto produttivi e diffusi (-ino, -etto, -uccio, -elio, -otto, -one, -accio) sia i suffissi scarsamente produttivi oppure ormai fossilizzati in termini lessicalizzati. La ragione per questa scelta ampia sta nel fatto che proprio questi ultimi possono essere oggetto di un processo di recupero in occasionalismi ludici, giornalistici, pubblicitari e in neoformazioni gergali. Sono anche protagonisti di certi usi idiolettali o creativi con cui il parlante opta per un particolare impegno elaborativo uscendo da schemi e formule comuni. Si attestano allora combinazioni con suffissi inconsueti come amorucolo (Serianni 1994, 262), occhierugioli (Gadda, C. E., Quer Pasticciaccio brutto de via Merulana, Milano, Garzanti, 1991, 37), cagnolazzo e scaltrigno (D'Arrigo, S., Horcinus Orca, Milano, Mondadori, 1975, 970 e 1124), folenotteri (termine ludico indicante i seguaci di Gianfranco Folena, L; per analogia con balenotteri) che si affiancano a combinazioni con basi inconsuete come subcoscientino (Guareschi, G., Diario clandestino, Milano, Rizzoli, 1972, 83). Analizzando tutta la vasta gamma dei suffissi, è possibile constatare che gli alterativi appartengono all'area derivazionale secondo un andamento graduale e non binario. Alcuni di essi partecipano più di altri delle caratteristiche prototipiche della derivazione, pur ammettendo usi alterativi. È il caso del suffisso -aglia, per esempio, che forma normalmente derivati nominali collettivi, ma che può assumere valore alterativo (cfr. 5.1.1.7.17.3.) come nell'appellativo (in uso in Emilia) piccinaglia, scherzosamente peggiorativo, rivolto ad un bambino, o bambinaglia, rivolto ad un gruppo di piccoli. Il doppio uso, prototipicamente derivativo vs prototipicamente alterativo, è comunque possibile per quasi tutti i suffissi menzionati. Per esempio, a fronte dell'alterato «vivo» (terminologia di Serianni 1988) manina, un derivato (alterato apparente) come locandina "cartello publicitario", ormai opaco nel suo legame semantico con l'attuale senso di locanda, si colloca all'altro polo di un continuum che prevede diversi stadi e diversi gradi di lessicalizzazione. A gradi intermedi si collocano, per esempio, formazioni come leoncino, posticino (nel suo uso eufemistico per "toilette"), giubbino ecc., il cui valore oscilla tra alterativo vivo e derivativo lessicalizzato anche in dipendenza della situazione d'uso. Si confronti il diverso status di leoncino in la leonessa coi suoi leoncini "cuccioli di leone", rispetto all'ironico lui vive in Africa in mezzo ai suoi amati leoncini, serpentelli, scimmiotti. Gli alterati del secondo esempio esprimono, da parte del parlante, un'affettività ironicamente empatica con il referente (cfr. Dressler / Merlini-Barbaresi 1994, 206), ma potrebbero essere tranquillamente sostituiti dalle rispettive basi, a differenza di quelli del primo esempio. Certi suffissi, inoltre, come appunto -ino (cfr. 5.1.1.7.16.1.1.), presentano una grande frammentazione semantica ed hanno impieghi molteplici, e, almeno in prospettiva sincronica, si hanno dubbi se siano casi di polisemia o di omofonia. Il suffisso -ino non è solo alterativo, ma anche formativo di derivati prototipici, come aggettivi di relazione, nomi di mestieri, nomi di strumenti (in genere di piccole dimensioni), nomi e aggettivi etnici e relativi toponimi. In questi casi il suffisso è artefice di un processo che possiede le proprietà prototipiche della derivazione: cambia categoria sintattica e significato della base, assume le proprietà di testa e, all'interno di ogni tipo di funzione, rispetta l'unità categoriale della base. Esiste tuttavia un'area intermedia in cui le formazioni sono di ambigua collocazione,

5.1. Derivazione nominale

267

perché il processo derivativo sembra passare, in vario modo, attraverso l'alterazione o comunque assumerne alcuni significati. E il caso di certi nomi di mestieri, come il diminutivo lessicalizzato piccinina "apprendista di una sarta o modista", i diminutivi traffichino, fognino (uso popolare in Lombardia), probabilmente forme attenuate dei rispettivi accrescitivi trafficone e fognone "persona che confonde o nasconde i fatti"; i nomi degli strumenti, come tronchese —> tronchesina, telefonino, videotelefonino, spazzolino, radiolina-, e aeropianino, automobilina (intesi come modellini). Riprendendo un uso latino, si denominano anche membri giovani di una famiglia, come le sandrelline mezzamanichina; (d) V+N sing.: asciugamano —» asciugamanino, portafoglio —• portafoglio·, (d') V+N pl.: cavatappi —* cavatappino, battipanni —* battipannino; (e) Prep+N: fuoribordo fuoribordino, sottopasso —> sottopassino (in un'intervista televisiva, 15-12000, a proposito della scena finale di Tosca, magari c'era un comodo sottopassino per Tosca che si butta). Si osservino due esempi letterari marciapiedino (Pasolini, P. P., Ragazzi di vita, Milano, Garzanti, 2000, 116) e grattacieletto (Pasolini, P. P., Una vita violenta, Milano, Garzanti, 1973,109). 5.1.1.7.4. Regole di formazione LMB In italiano la base di una formazione alterativa non è la parola, a differenza di lingue come l'inglese e il francese, bensì la radice o il tema, come si vede in libr(o)-ino, poet(a)-ucolo, gent(e)-aglia, cant(are)-icchiare. La vocale finale rimane in ossitoni e in monosillabi, dove la vocale è tonica, come caffè, tè, tribù, re, gnu, in cui l'alterazione dà luogo a caffeino, teino, tribuiría, reuccio, gnuino, ma anche caffe-tt/r-ino, papa-r-ino, gaga-r-ino, palto-n-cino, como-n-c-ino (per l'inserzione di interfisso e sue restrizioni, cfr. 5.1.1.7.13.). Un caso particolare di ricorsività, cioè di applicazione consecutiva della regola, il tipo piattino-inoino, fettona-ona-ona, vestituccio-uccio, ha base radicale per la prima applicazione del suffisso, ma nella seconda e terza applicazione la base è la parola. 5.1.1.7.5. Restrizioni fonologiche LMB Vari studiosi (Serianni 1988, Rainer 1990) ravvisano una restrizione nel fatto che le formazioni alterative evitano analogia fra certe sequenze fonetiche della base e del suffisso. E il caso di parole terminanti in -tV, che tendono ad evitare, perlomeno oggi, combinazioni con il diminutivo -etto, oppure terminazioni in -inV che scoraggiano suffissazioni col diminutivo -ino. Non si tratta comunque di una restrizione assoluta, si attestano formazioni recenti, come ad esempio, pastetta, gentetta (in Pavese, segnalata in Serianni 1988, 549), mentre

270

5. Suffissazione

nel caso di -ino, si notano cucinino, rondinini, pettinino, piccinina ed anche parole con ricorrenza dello stesso suffisso -ino, come, tantinino, pochinino, pancinino. Più rigida appare la restrizione quando l'analogia riguarda una sequenza più ampia, come nel caso di terminazioni -ettV che sfocerebbero in alterati inaccettabili come *lettetto, *fazzolettetto, *tettetta. Anche la sequenza -trV- (segnalata da Rainer 1990) tende a bloccare il costrutto con -etto, come in *teatretto,Ί lastretta.1 La tendenza ad evitare analogie di suono tra terminazione della base e suffisso non è comunque prevedibile. Anche formazioni col suffisso elio, come *solello, *vallella, *ballello, *bollello, vengono evitate o modificate con l'aggiunta di un interfisso (cfr. 5.1.1.7.13.), come in sol-ic-ello, vall-ic-ella, ma sequenze come pasticciaccio, facciaccia, versucciacci sono perfettamente accettabili. Un'ampia scelta di suffissi sinonimi, come è il caso tra i diminutivi, d'altra parte, permette all'italiano di prediligere combinazioni eufoniche o forse più naturali (che comportino cioè minore sforzo articolatorio).

5.1.1.7.6. Restrizioni suffissali e blocco LMB Osserva Serianni 1988, 549: «Le modalità di alterazione non sono prevedibili: data una certa base non possiamo indicare astrattamente quali alterati - tra i vari tipi virtualmente disponibili - siano effettivamente in uso». E riporta gli esempi muso —• musino / musetto, caro —* carino, ma *caretto (possibile nel senso di "dispendioso"), muro —• muretto, ma *murino; maschietto e femminuccia, ma non viceversa Queste preferenze, in realtà, sono spesso naturali selezioni (per esempio, tra omofoni, come nel caso dell'aggettivo di relazione, di differente etimologia, murino "relativo a topo") e non limitano il potenziale di accettabilità e la possibilità formale di occorrenza degli alterati.2 Secondo vari studiosi (cfr. Dardano 1978, 100, Serianni 1988, 549), le formazioni alterative subiscono un vero blocco in presenza di lessicalizzazioni omonime. Assumono valore alterativo, ad esempio, cavallino, cavalluccio, ma non cavalletto, bocchina, boccuccia, ma non bocchetta, o bocchino, spinirta ma non spinotto, spinello, spinetta, spinone, spinola "spigola", spinarello "pesce con spine sul dorso", porcello, porcetto, porcone, ma non porcino "fungo commestibile pregiato" (anche l'aggettivo porcino, come in faccia porcina, può indurre a preferire le forme alternative, v. sotto). In presenza di sinonimi, si può avere un blocco nei riguardi di una delle alternative, come nel caso di matto, cui viene preferito pazzo per le forme alterate (pazzerello, pazzerellinoZ-one), data la presenza di più forme con base omonima a quella di matto (mattino, mattone, matterello, mattonella), che, tuttavia, si recupera nella forma matt-acchi-one, con cumulo di suffissi. 3 Ma, come osserva Rainer 1 2

3

Quest'ultimo è attestato nel DISC, che riporta anche pilastr-etto. Seguendo Rainer 1990, si è tentato di verificare se la scelta tra due suffissi sinonimi come -ino ed -etto sia effettivamente in qualche modo condizionata dalla sequenza finale della radice, ma il DISC non conferma molte delle tendenze rilevate da Rainer (relativamente a 500 vocaboli e sulla base dei responsi di 4 informanti). Non costituisce necessariamente un blocco per l'alterazione con -ino la forma omofona del corrispondente aggettivo di relazione, per esempio cavallino, come in denti cavallini, cipollina come in erba cipollina, corallino, volpino, corvino ecc. Rimane tuttavia, anche in questo caso, la tendenza generale a differenziare i suffissi, specializzandone l'uso. Si hanno molti casi, infatti, come agg. nervino e sost. dim. nervetto, agg. montanino e sost. dim. monticello, agg. carnicino e sost. dim. camina.

5.1. Derivazione

nominale

271

1990, 211, non sempre si attuano queste restrizioni, per esempio banchetto mantiene l'accezione di diminutivo oltre a quella di "pranzo importante". 5.1.1.7.7. Inserzione di affricata LMB Nel caso di basi plurisillabiche terminanti in -one/a, sia esso il suffisso accrescitivo o sequenza asemantica della parola, una regola allomorfica inserisce l'affricata /tJ7 prima dei suffissi diminutivi -ino, -elio, e accrescitivo -one, come in cordon-c-ino, piccion-c-ino, ambizion-c-ella, mangion-c-ino/-ello, pallon-c-ino, bastón-ci-one, maglion-ci-one\ cfr. anche poltron-c-ina, coron-c-ina, le cui basi finiscono in -ona. Non appare probabile nei rari casi in cui la terminazione -one è atona, come in làppone, bretone, cànone, dèmone. Sfugge alla regola anche la formazione aggettivale con suffisso -ino, del tipo di leone —> leonino, montone —> montonino ecc. La regola, tuttavia, non è assoluta, specie quando la terminazione -one non è suffissale, avendosi vari casi come cotonina, saponino, pattonino "frittella di farina di castagne" (dim. di pattona "torta di farina di castagne"), rondonino, carbonella. Nei rari casi in cui la base in -one sia seguita dal suffisso accrescitivo -one, la forma con l'affricata è più produttiva, ma forme alternative sono possibili, per esempio poltronona (udito pronunciare da un mobiliere). 5.1.1.7.8. Ordine delle regole di suffissazione LMB I suffissi alterativi si collocano all'esterno (Scalise 1984a, 132-133) rispetto ad eventuali altri suffissi derivazionali, ad esempio rischi-os-etto, imbottit-ur-ina, cucit-ur-ina, fasc-istone, art-ist-ucolo ecc. L'osservanza di tale regola mette in luce lo status variabile o talvolta ambiguo delle formazioni alterative. Mentre derivati come bamb-in-aia, pan-in-eria, porchett-aio, mul-att-iere, punt-igli-oso, volant-in-aggio, i recenti romaneschi grupp-ett-aro e pass-ett-aro "coreografo", nonché rock-ett-aro "membro di gruppo musicale", forma forse dovuta a rianalisi della sequenza suffissale -ett-aro come -ettaro, dimostrano l'avanzato stadio di lessicalizzazione delle basi - per -ett-, in bilico tra suffisso e interfisso, cfr. 5.1.1.7.13. - altri esempi, come il recentissimo ribalt-on-istal "politico che per opportunismo ha cambiato alleanza politica" (Foglio 28-2-96), che cioè ha compiuto un ribaltone, dal verbo ribaltare, mostrano come aree periferiche del fenomeno alterativo, spesso fonte di coniazioni espressive, rendano labile questa regola. Altri derivati che limitano il rigore della regola sono forme come lingu-acci-uto "persona che parla troppo e a sproposito", corp-acci-uto "persona con un corpo grosso, tozzo". Si veda anche il gaddiano nocchi-erell-uto nocchie "nocciole" (Gadda, C. E., op. cit., 217). Un ordine anomalo di suffissazione, cioè la precedenza del suffisso flessivo plurale rispetto alla suffissazione alterativa, si riscontra in plurali (non prototipici) che comportano cambio di genere (cfr. 5.1.1.7.10. per un più dettagliato resoconto), per esempio sing, braccio —> pi. braccia, che ha due possibili forme alterate plurali: braccìni e braccine (entrambe nel significato di "arto"). E evidente in braccine che l'alterazione si basa e segue il cambio

Da notare che sostantivi deverbali in -one indicanti l'azione, come ribaltone, ruzzolone, sdrucciolone, scivolone ecc. bloccano analoga formazione indicante colui che compie tale azione in modo esagerato, come in *sei uno scivolone per intendere persona che scivola troppo.

272

5. Suffissazione

di genere operato dall'applicazione della regola del plurale. Analogamente, in composti N+N, come terrecottine, acquefortine. 5.1.1.7.9.

Mantenimento della categoria sintattica LMB

Secondo la definizione tradizionale, le regole alterative non cambiano la categoria sintattica della base, né il quadro delle sottocategorizzazioni (cfr. Scalise 1990a) e, quanto a significato denotativo, il cambiamento è solo di quantità o di valore. Rimangono quindi stabili gli aspetti morfosintattici come il genere, e i tratti lessicali come 'astratto', 'numerabile', 'comune', 'animato', 'umano'. Ma queste caratteristiche si applicano rigidamente solo ai casi prototipici dell'alterazione. Per esempio, il suffisso -one in derivati del tipo degli esoforici piedone, dentona, occhialona "persona caratterizzata da grandi piedi ecc.", di antico uso latino, ha la proprietà di conferire alla base, per via metonimica, il tratto lessicale di persona. La prima funzione del suffisso è tipicamente quella derivativa (cit. 5.1.1.1.8.), ma la modificazione alterativa (accrescitiva) tra base e forma suffissata, come in piede —» piedone, è normalmente attuata ed è necessaria al processo formativo del derivato esoforico (e alla sua modificazione categoriale).1 Si tratta di casi in cui le funzioni del suffisso (prototipicamente derivativo vs prototipicamente alterativo), distintesi nel processo evolutivo, riconvergono. Il parlante nativo, infatti, sente questi derivati come alterati vivi, nel loro significato accrescitivo e/o spregiativo. Un recente esempio ne è l'epiteto Piedone, lo Sbirro, personaggio di una serie di film, interpretato da un attore di amplissima taglia. Anche il suffisso -ello/a, preceduto da interfisso -er/ar-, può formare nomi o aggettivi da base tematica verbale, come rid-ar-ella "bisogno irrefrenabile di ridere", nascond-er-ello "gioco a nascondersi" (anche nascond-ino), acchiapp-ar-ello "gioco ad acchiapparsi" e agg. rid-ar-ello "facile al riso", brill-ar-ello, e il proverbio II matrimonio non è bello se non è litigarello ecc., che mantengono uno stretto legame con i significati "poco importante, ludico" del suffisso alterativo diminutivo. 5.1.1.7.10. Proprietà di testa LMB Si ravvisano, inoltre, due proprietà di testa: (a) i suffissi alterativi possono cambiare la classe flessiva della base; (b) la desinenza flessiva del plurale segue e si adegua alla classe del suffisso. Nelle formazioni diminutive, le basi maschili si trasformano tutte nella classe flessiva più stabile, con desinenza in -o, pi. -i, come il poeta —> poetino/i / poetucolo/i / poetastro/i, il poema —» poemetto/i, il pianeta —* pianetino, seme —> semino/i, un vip (pi. vip) —• vippino/-etto e vippinU-etti, il bar (pi. bar) —» barino/-etto e barinU-etti, lo gnu (pi. gnu) —> gnuino/-i, brindisi (pi. brindisi) —> brindis ino/-i. Anche le basi femminili si volgono nella classe flessiva più stabile, in -a con pi. -e, come in la mano (pi. mani) —• manina/e o manotta/e, rete (pi. reti) —• retina/e, la gru (pi. gru) gruina/e, la crisi (pi. crisi) —> crisetta/e. E in secondo luogo, come si è visto sopra, i plurali

Si confronti questo uso con quello sostantivale di certi aggettivi, come bionda, mora: anch'essi possono, per via metonimica, designare persone, e al pari di esse anche le loro forme alterate biondina, morettina, biondone, ma il suffisso alterativo non è di per sé coinvolto nella modificazione categoriale.

5.1. Derivazione nominale

273

si formano seguendo la classe flessiva instaurata dal suffisso diminutivo, quindi manine, e non *manini. Le basi che al plurale cambiano genere, come braccio —• pi. braccia, dito —• dita, ginocchio —• ginocchia, osso —• ossa, lenzuolo —> lenzuola, corno —• corna ecc., hanno un plurale basato sul singolare diminutivo, come braccio —> braccìno —* braccìni (con entrambi i significati di "arti" e "prolungamenti di oggetti, di lago ecc.") e similmente ditini, ginocchini, ossicini, lenzuolini, cornini, oppure, meno frequentemente, mantengono il genere femminile acquisito nella forma plurale e formano un diminutivo plurale sulla base della classe flessiva più stabile al femminile plurale, quella con desinenza in -e, come braccio —• braccia —• braccine e ditine, ginocchine, e, meno probabili, ossicine, cornine, lenzuoline, escludendo, in ogni caso, i plurali con la desinenza in -a, le *braccina, le *ginocchina ecc. Nel caso dei composti, l'alterativo si aggiunge sempre e soltanto al membro più esterno, anche nel tipo in cui i componenti sono singolarmente oggetto di flessione plurale, come acquaforte (pi. acque/orti) —» acquefortine e non certo *acqu-ine-fort-ine o *acqu-ine-forti, e similmente terracotta (pi. terrecotte) —> terrecottine. Anche con composti di tipo determinativo, in cui sia il primo membro ad avere proprietà di testa, come capostazione, pi. capistazione, un'improbabile ma possibile suffissazione interesserebbe solo il secondo membro, quindi un °capostazioncino striminzito, alto uno e cinquanta e non *capinostazione. La regola alterativa, cioè, non sembra sensibile al tipo di relazione che intercorre fra i membri del composto, che percepisce come unità formale-semantica, come è anche provato dall'impossibilità, per esempio, di formare un *capostazioncina, con alterazione autonoma del secondo membro. Per contro, si osservano alcune restrizioni che sembrano contraddire tale concezione. Se una parola nella sua forma alterata si è lessicalizzata, ad esempio tovagliolino (in genere di carta) scalone, groppa —• groppone, spinta —> spintone, muraglia —* muraglione. In grande maggioranza (cfr. DISC) è la forma che ha subito cambio di genere a seguire la strada della lessicalizzazione, mentre la versione corrispondente al genere della base mantiene la normale funzione alterativa. Si vedano gli esempi qui di seguito, tutti derivati da basi femminili: calzino, boccino, bocchino, botteghino, bottiglino, briciolino, camerino, cartellino, cedolino, centralino, cicalino, codino, cordino, figurino, misurino, frustino, fughinoAone (fare fughino/one "marinare la scuola"), listino, pallino, pennino, pentolino, provino, seggiolino, sellino, spallino, spazzolino, stanzino, taschino, tavolino, terrazzino, tesserino, tombino; con altri suffissi diminutivi: borsetto, brachetto, calzetto, giubbetto, panchetto (anche panchetta), polacchetto, seghetto, campanello, cannello (cannellone), cruschello, portello, righello, spinello, camiciotto, candelotto, cappotto, cerotto, chinotto, cipollotto, cosciotto, gabellotto "ufficiale del dazio", galeotto, isolotto (anche isoletta), lunotto, manicotto, panciotto, pellicciotto, pistolotto, salotto, salsicciotto "dinamite" o "piega di grasso", spallotto, zuccotto; con l'accrescitivo: costoneAolone, alettone, barbone, calzettone, calzone, cannone, capannone, cartone, cenone, cerone, cornicione, forcone, frontone, lastrone, paginone, pastone, pennone, portone, rosone, scalone, seggiolone, spadone, spallone, squadrone, tabellone, telone, tendone, trombone-, con cumulo di suffissi: forch-ett-one, pal-ett-one, polp-ett-one, scop-ett-one; con altri suffissi: predicozzo, cartoccio, crepaccio ( casone, casino, casotto, casello ma non *casetto, donna —• donnine, donnone ma non *donnetto. La preferenza è comunque per le formazioni in -ino e -one. Il processo di lessicalizzazione accomuna questi vari tipi alla derivazione prototipica (Dardano 1978, 98-99), in cui le proprietà lessicali della base non sono necessariamente trasferite nel derivato. Ma la regola alterativa con cambio di genere è sempre viva e frequente e non porta necessariamente a lessicalizzazione, come si può notare, ad esempio, nel recente ha debuttato male questo monetone [l'euro] che va a sostituire la liretta (intervista televisiva, aprile 2000) e nel titolo (Il Tirreno 20-5-00) Il tappone delle Dolomiti abulico, non abulico —» abulia. A questo male è endemico, ad esempio, non possiamo far corrispondere un nome di qualità * l'endemia di questo male. Vari di questi tipi aggettivali, essendo maggiori di due sillabe e stilisticamente elevati, soddisfano anche alle esigenze di -ità. Gli aggettivi in -nimo, per esempio, somigliano da vicino ad aggettivi in -imo come legittimo, che prendono -ità: legittimità ecc. L'uso di -ità è qui bloccato dalla restrizione morfologica più specifica che lega -ia ad aggettivi in '-nimo (blocco da regola a regola). Il fatto che per lo meno alcuni di questi tipi aggettivali appartengano anche al dominio di -ità è provato da neologismi occasionali come anonimità (BC), comedogenità (Gente 26-4-1990, 13) o idrofilità (GDLI). Dal punto di vista formale, bisogna menzionare alcuni casi di palatalizzazione: idiota —* idiozia, ipocrita —• ipocrisia, pulito —• pulizia, '-fago —> -fagia e '-logo —* -logia. 5.1.2.1.2.1.4. Il «suffisso» -(z)a FR Le formazioni in -(z)a non contengono un suffisso esplicito - la -a è una semplice desinenz a - , per cui alcuni potrebbero voler trattarle come casi di conversione. Un processo di conversione un po' atipico comunque nella misura in cui induce l'affricazione della Iti finale della base in /ts/, che appare nella scrittura come : forte —* forza. Alternativamente, si potrebbe anche vedere nel cambio M —> /ts/ stesso l'esponente formale del processo derivativo. Altri ancora vorrebbero considerare l'affricata /ts/ come il risultato di un processo fonologico indotto da un suffisso astratto '-ia /-ja/, con cancellazione simultanea dello /j/ del suffisso, analisi che rispetterebbe certamente la diacronia, ma poco giustificata in sincronia, mi sembra. La quarta possibilità infine sarebbe quella di vedere all'opera in coppie del tipo distante / distanza e corpulento / corpulenza una specie di sostituzione suffissale, forse la soluzione più plausibile, anche se non copre il caso - isolato, è vero - di forte /forza. Dei dodici aggettivi in -lento, dieci hanno un nome di qualità usuale in -lenza: corpulenza, fraudolenza, macilenza, opulenza, sonnolenza, succulenza, turbolenza, vinolenza e virulenza. Ed anche sanguinolenza e truculenza sarebbero senz'altro neologismi accettabili. Molto più intricato è il caso degli aggettivi in -nie. Questi aggettivi sono in parte noncomplessi (decente ecc.) e in parte deverbali (abbondante ecc.), con una larga zona grigia fra questi due poli. Fanno parte della zona grigia aggettivi la cui base verbale è o molto rara (equidistare / equidistante ecc.) o semanticamente più o meno discosta (riconoscere / riconoscente ecc.). Gli aggettivi che intrattengono un rapporto regolare con il verbo base normalmente non formano il nome di qualità in -(z)a, a meno che il nome d'azione corrispondente non finisca in -(z)a. Questo allora può fare le veci del nome di qualità perché i verbi base sono in genere stativi (cfr. 5.1.3.1.2.4.): predominare, ad esempio, significa "essere predominante", perciò predominanza "il predominare" è anche sinonimo di "l'essere predominante". Se il verbo non ha il nome d'azione in -(z)a, l'aggettivo corrispondente in -nte rifiuta anche in genere -(z)a: aberrare / aberrazione / aberrante / *aberranza, assordare / assordamento / assordante / *assordanza, incoraggiare / incoraggiamento / incoraggiante / *incoraggianza ecc. I neologismi sono piuttosto rari: assorbire / assorbimento / assorbente / assorbenza (BC), lussureggiare / lussureggiamento / lussureggiante / lussureggianza (Papini; GDLI), prorompere 1*1 prorompente / prorompenza (F). Man mano che i verbi

306

5. Suffissazione

base spariscono dall'uso o che verbo e aggettivo si differenziano semanticamente, quelli che originariamente erano nomi d'azione diventano nomi di qualità veri e propri: equidistanza "l'essere equidistante", riconoscenza "l'essere riconoscente" ecc. Spostandoci verso il polo opposto degli aggettivi non complessi in -nte, troviamo un gran numero di nomi di qualità usuali in -(z)a, circa 100 in tutto: adiacenza, ambivalenza, arroganza, assenza, attinenza, avvenenza ecc. E attestato anche un numero cospicuo di neologismi: aitanza (Baldini; GDLI), astanza (L), cogenza (U. Eco), eclatanza (Q), idrorepellenza (P), indisponenza (Panorama 21-2-1988, 168), ingenza, ininfluenza (Santoro, F., L'Iva e gli scambi internazionali, Milano, 1998, 259), insignificanza (BC), invarianza (Q), ossequenza (U. Eco), salienza. Questi neologismi provano che -(z)a è ancora produttivo con questa classe di aggettivi, ma sarebbe un errore pensare che lo fosse illimitatamente. Parecchi aggettivi in -nte infatti rifiutano questo suffisso, a volte anche quando esiste un modello analogico immediato: l'evidenza / *la potenza delle sue intenzioni ecc. L'unico sottogruppo di aggettivi in -nte con cui il nostro suffisso è pienamente produttivo sono quelli in -scente: acquiescenza, appariscenza, arborescenza, convalescenza ecc. Neologismi: albescenza (BC),fatiscenza (BC), metallescenza (BC). Alcuni casi di inaccettabilità di -(z)a con aggettivi in -nte possono essere dovuti al blocco da parte di formazioni sinonime, ma questa spiegazione certamente non vale per tutti. Dei suffissi rivali -ia è solo presente in valentia. Il suffisso -ezza ricorre in correntezza, lucentezza e pesantezza. Sul modello di lucentezza è attestato il neologismo analogico brillantezza (Alvaro; GDLI). Le formazioni potenzialmente deaggettivali usuali in -eria sono galanteria, pedanteria, saccenteria e zelanteria, quelle in -aggine birbantaggine, furfantaggine, ignorantaggine e pedantaggine. 5.1.2.1.2.1.5.1 suffissi -aggine e -eria FR I nomi di qualità in -aggine e -eria hanno una serie di proprietà in comune e allo stesso tempo si discostano dai nomi di qualità ordinari, per cui verranno qui trattati insieme. Contrariamente ai quattro suffissi trattati fin qui, -aggine e -eria non si limitano alla pura transcategorizzazione ma aggiungono al nome di qualità un giudizio peggiorativo. Questa peggioratività intrinseca si manifesta in una marcata preferenza per basi semanticamente negative e nella scelta dell'accezione negativa di basi polisemiche (cfr. la curiosità / *curiosaggine è la madre della scienza). Tale affinità non può non manifestarsi in un certo numero di doppioni come buffonaggine / buffoneria ecc. Questa coppia illustra anche il fatto che ambedue i suffissi possono ugualmente prendere come basi dei sostantivi che designano prototipicamente una qualità umana: bacchettoneria, castronaggine / castroneria, cialtroneria, dottoraggine, mulaggine, ocaggine, pecoraggine ecc. La delimitazione del dominio dei due suffissi deve prendere in considerazione fattori tanto formali quanto semantici. Riguardo alla forma, si nota una netta predilezione di -aggine per aggettivi in -ato e -oso e di -eria per quelli in -one, senza che tuttavia l'altro suffisso sia escluso. Per quanto riguarda le restrizioni semantiche, è chiaro che ambedue i suffissi sono limitati, con poche eccezioni, a basi che esprimono una disposizione psichica1 negativa. Come appare dall'inaccettabilità dei seguenti esempi, tale caratterizzazione non Fra le formazioni non psichiche bisogna menzionare innanzitutto una piccola nicchia di parole in -aggine, ormai tutte rare, che siriferisconoa malattie o difetti, come zoppaggine ecc.

5.1. Derivazione nominale

307

costituisce però una condizione sufficiente per l'aggiunta dei due suffissi: *beonaggine, *chiassosaggine, *fariseeria, *impreparataggine, *menzognereria, *noiose-ria, *pauro saggine, *scrocconaggine, *spietataggine, *vanesieria ecc. Come si può vedere nella tabella 4, in cui ci limitiamo ad elencare le formazioni più correnti, la distribuzione di -aggine e -eria è determinata, in parte per lo meno, da nicchie semantiche più circoscritte (si includono le estensioni qualità —• atto): Nicchia

-aggine

-eria

"stupido"

asinaggine balordaggine castronaggine citrullaggine

asineria

citrulleria coglioneria cretineria

dabbenaggine fesseria imbecillaggine minchionaggine ocaggine scempiaggine

minchioneria

semplicionerìa stupidaggine zucconaggine "birbante"

birbantaggine birbonaggine bricconaggine

avaro

avventato

birbanteria birberia birboneria birichineria bricconeria ciarlataneria fiirberia furfanteria monelleria ribalderia ruffianeria meschineria piccineria pidocchieria pitoccheria spilorceria taccagneria tirchieria

avventataggine sbadataggine scapataggine

308 -aggine

Nicchia

-eria (continua)

spensierataggine storditaggine "goffo"

cafonaggine goffaggine sgraziataggine

"cocciuto"

caponaggine cocciutaggine mulaggine testardaggine

"pedante"

cafoneria

cineseria grammaticheria meticolosaggine minuziosaggine pignolaggine

pigro

pedanteria pignoleria

infingardaggine oziosaggine scioperataggine

orso

musonerta orsaggine ritrosaggine scontrosaggine

"bizzarro" fantasticaggine

bislaccheria fantasticheria stramberia

"trasandato"

cialtroneria sciatteria sudicieria

"galante"

civetteria galanteria

"ridicolo"

buffonaggine ridicolaggine

"poltrone"

pecoraggine poltronaggine

"bigotto"

poltroneria vigliaccheria bacchettoneria bigotteria

Tabella 4: Restrizioni semantiche di -aggine e -er

5.1. Derivazione nominale

309

Le formazioni della tabella 4 mostrano in parte una distribuzione complementare: tutti gli aggettivi che significano "avaro", per esempio, prendono -eria, mentre quelli che significano "avventato" o "pigro" prendono uniformemente -aggine. In alcuni casi questa distribuzione non aleatoria può probabilmente essere spiegata come effetto secondario di altre restrizioni (la quasi totale assenza di -eria con basi in -ato, ad esempio, potrebbe essere responsabile per la predominanza assoluta di -aggine nella nicchia "avventato"). I neologismi seguono in gran parte questi condizionamenti semantici e formali: burinaggine (Calcagno, G., Bianco, rosso e verde, Roma / Bari, 1993, 19) ha il suo modello probabile in cafonaggine, ciabattoneria (Marchi, C., Impariamo l'italiano, Milano, 1984, 19) in sciatteria, furbastreria (BC) e marpioneria (Calcagno, G., op.cit., 22) in furberia, sbrujfoneria (BC) in spavalderia, sgangherataggine (BC; detto di U. Bossi) in sguaiataggine ecc. Carogneria (BC) entra nella nicchia "birbante", cretinaggine (BC) in quella ben fornita della stupidità, fannullonaggine (Simone, R., L'università dei tre tradimenti, Roma / Bari, 1993, 120) in quella della pigrizia, dominata da -aggine ecc. Ma non tutti i neologismi mostrano condizionamenti così ovvi. Quelli in -eria soprattutto possono anche formarsi senza modello o gruppo analogico immediato, pur rimanendo quasi sempre nell'ambito semantico delle disposizioni umane negative: la cieca canaglieria di Saddam (BC), un decennio abbondante di parole d'ordine quali Contestazione, Trasgressione e Devianza e Freakkeria (Arbasino, Α., La Repubblica 15/16-3-1981, Q), piagnoneria (BC), selvaggeria (BC), sgobboneria (F), schizzinosela (Todisco, Α., Ma che lingua parliamo, Milano, 1984, 88), sfigaggine (BC) ecc. E invece piuttosto raro che un neologismo non si riferisca a una disposizione psichica negativa: la fasulleria delle notizie dei concorrenti (Eco; BC) ecc.

5.1.2.1.2.1.6. Suffissi improduttivi FR La maggioranza dei suffissi formanti nomi di qualità sono improduttivi, cioè applicabili a nuove basi tutt'al più attraverso analogie molto puntuali. In questi casi, il dominio è normalmente solo definibile enumerando le basi potenziali, anche se non si esclude che alcune possano essere imparentate da qualche proprietà comune. Un primo gruppo di formazioni finisce in -lai (scritta dopo ): calma e la serie di derivati da basi in -ace e -oce: audacia, contumacia, efficacia, fallacia, perspicacia, pertinacia, pervivacia, sagacia, tenacia "perseveranza" (vs tenacità "resistenza"), ferocia. Con quest'ultimo tipo di basi rivaleggia con -ita. Le formazioni similari in -a con affricazione della Ιϋ finale, come in forza, evidenza o corpulenza, sono già state trattate in 5.1.2.1.2.1.4. Data l'eterogeneità del dominio, non è chiaro fino a che punto i parlanti identifichino un'unica regola in tutte queste formazioni. Siccome la /a/ finale è la tipica desinenza femminile, si potrebbero anche vedere in queste formazioni, da un punto di vista strettamente sincronico, delle conversioni A —• N, anche se tale interpretazione è antietimologica. In questa stessa prospettiva, quiete potrebbe essere descritta come una conversione anomala inserita nella classe flessiva in -e/-i. II suffisso -à ricorre in cinque parole usuali: gratuità, impunità, infinità, onestà e unità. Quest'ultima parola deriva da uno in l'unità e la trinità di Dio, in l'unità dei lavoratori invece niente vieta di associarlo, antietimologicamente, con unito. Anche la relazione impunito —• impunità è antietimologica (cfr. lat. impunis —• impunitas). Questo suffisso sembra una variante aplologica di -ità, tale processo aplologico non è tuttavia produttivo sul piano sincronico (cfr. indefinito — conditura. Contro l'ipotesi del participio passato come base di derivazione valgono le stesse obiezioni che sono state sollevate in 5.1.3.1.2.1. Innanzitutto, l'ipotesi del participio passato non copre casi di derivati come frangitura ( pagli-er-ino, pepe —• pep-er-ino, dama —> dam-er-ino, uomo —*• om-ar-ino). L'uscita semantica dei V-ino, sempre parafrasarle con "persona che V", è duplice, potendo essi designare sia mestieri e professioni considerati, come i corrispondenti denominali in -ino, piuttosto umili, cfr. ad esempio arrotino, spazzino, imbianchino, sia comportamenti abituali, atteggiamenti e modi di essere non sempre esemplari, come nel caso di lecchino, litighino, strozzino, traffichino. Sembra invece esclusa, o è molto rara, per questi derivati la possibilità di designare agenti di cui si voglia predicare un'azione singola, non iterata e già data per avvenuta: a differenza dei derivati in -tore che possono riferirsi anche ad una predicazione attuale e semelfattiva (!'accusatore o il vincitore possono designare

Ma dobbiamo segnalare il caso di rompine, che però il DISC presenta non già come deverbale da rompere nell'accezione, tipica del linguaggio familiare, di "seccare, infastidire, importunare", ma come diminutivo di rompi, nel senso di "rompiscatole, seccatore".

361

5.1. Derivazione nominale

persone che hanno accusato o vinto in una sola e particolare occasione), i deverbali agentivi in -ino fanno riferimento ad una predicazione virtuale, non necessariamente realizzata, ma abituale, tipica del soggetto della predicazione. Questo comportamento è condiviso dai deverbali in -one (su cui cfr. 5.1.3.2.4.). Sono infatti sinonimi i pochi casi in cui i due suffissi rivali -ino ed -one selezionano la stessa base: chiacchierino / chiacchierone, ciampichino / ciampicone, traffichino / trafficone. 5.1.3.2.4. Il tipo mangione

MGLD

Sulla storia del suffisso -one denominale e deverbale abbiamo già scritto (cfr. 5.1.1.1.8.). Ricordiamo solo che una delle sue funzioni anche in latino era quella di formare nomi che designavano una persona sulla base dei suoi comportamenti e delle sue abitudini ritenute esagerate ed eccessive: quindi bibo "beone", o crapulo "crapulone, mangione" (Rohlfs 1969, 414). In italiano il suffisso ha mantenuto questa possibilità, dando luogo a decine di formazioni agentive: accattone, arraffone, bighellone, brontolone, chiacchierone, ciarlone, dormiglione, imbroglione, mangione e così via. Come si vede dagli esempi, anche la derivazione deverbale dà in uscita parole aventi un tratto negativo, al pari delle corrispondenti formazioni denominali e deaggettivali: anche a partire da verbi si possono infatti formare parole che stigmatizzano individui che presentano comportamenti per una qualche ragione ritenuti riprovevoli. Alla perifrasi di base, comune a tutti i nomi di agente deverbali, dobbiamo aggiungere per i V-one un tratto che potremmo definire dell'eccesso e della ripetizione. E infatti un mangione non è solo una "persona che mangia", ma una "persona che mangia in abbondanza, voracemente e avidamente", così come un imbroglione è "chi vive di imbrogli, di truffe". Questo tratto negativo è stato in parte imputato alla «semantica del verbo di base: sicché si può concludere che in italiano alcuni verbi, che possono essere connotati negativamente, hanno un nomen agentis in -one» (Dardano 1978, 54). È un'osservazione che i dati confermano ampiamente: verbi che designano azioni o comportamenti non proprio esemplari come abborracciare, armeggiare, blaterare, buggerare, cianciare, ciondolare, pasticciare, trafficare, urlare, danno luogo a formazioni in -one. Tuttavia un tratto negativo è veicolato comunque dal suffisso, come dimostrano i casi in cui verbi «neutri» diventano negativi quando assumono il suffisso -one. Questa particolarità diventa subito evidente nei casi in cui suffissi verbali agentivi selezionano la stessa base verbale, di significato neutro: si vedano ad esempio le coppie beone / bevitore, dormiglione / dormiente, guardone / guardatore. Delle affinità con i V-ino si è invece già detto nel paragrafo precedente. Gli esempi di V-one fatti fin qui documentano ampiamente che il suffisso -one, come il suffisso deverbale -ino trattato nel paragrafo precedente, ha la caratteristica di «attaccarsi» alla radice del verbo, secondo il modello trafficare) —• trafficone. Sul piano dell'uscita semantica, il procedimento non dà luogo a nomi di agente che implicano una predicazione attuale e semelfattiva, né a nomi classificanti, designanti mestieri o professioni: il suffisso si è specializzato nella formazione di nomi di agente caratterizzanti, persone cioè che ricevono una particolare denominazione a partire da un comportamento abituale normalmente considerato eccessivo. Quali poi siano questi comportamenti, è presto detto. Ritroviamo infatti nei derivati deverbali più o meno la stessa povera casistica umana già incontrata con i denominali: coloro che amano perdere tempo e girare in tondo senza costrutto: bighellone, ciondolone, fannullone, girandolone, piaccicone', coloro che lavorano con sciatteria, in

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5. Suffissazione

fretta e male: acciarpone, arruffone, ciabattone, cianfruglione, pasticcione; chi, al contrario, lavora o studia troppo per, forse, scarsa intelligenza: faticone, sgobbone-, chi imbroglia e inganna il prossimo: armeggione, buggerone, imbroglione, raggirone, trafficone, truffane; chi lascia a desiderare quanto a cura dell'igiene e della persona: brodolone, lezzone, puzzone, scarmiglione; chi si perde in inutili fantasticherie: abbacane, almanaccone, fantasticone•; chi ha fastidiosi difetti di pronuncia e si fa capire con difficoltà: balbettone, barbuglione, ciancicone, cianciuglione·, chi parla troppo e a vanvera: blaterone, chiacchierone, ciarlone; chi parla a voce troppo alta: bercione, urlone, o a voce troppo bassa, per fare pettegolezzi o lamentarsi: bisbiglione, borbottone, brontolone, sussurrone·, chi spende e spreca senza criterio: scialone, spendaccione, sciupone, scialacquone, sprecone; chi facilmente attacca briga e litiga con gli altri: intrigone, litigone; chi piange e si lamenta ad ogni possibile occasione: frignone, lagnone, piagnone, piagnucolone; per non parlare della lunga serie di parole che designano coloro che assolvono alle loro fisiologiche necessità in modo esagerato, senza ritegno e misura: beone, trincone, ubriacone; crapulone, mangione, pappone, strippone; dormiglione; piscione; cacone. Ma qui ci fermiamo: la serie dei difetti umani è ancora molto lunga, e lo è parallelamente la serie dei derivati deverbali in -one (ιarraffone, burlone, civettone, esagerone, fracassone, praticone, scroccone, spaccone). Dunque, a giudicare dalla nutrita serie di parole attestate, la produttività di questo procedimento deve essere stata abbastanza alta nel passato, ed anche oggi la sua vitalità è dimostrata da due diversi ordini di fatti: i neologismi prodotti dai bambini che, sembra, ricorrono con una certa frequenza a questa regola per coniare parole in grado di designare persone, animali o anche giocattoli che «fanno», ripetutamente ed esageratamente, una certa azione (Lo Duca 1990a, 115): dormone che regolarizza dormiglione, perdone di orologi, suonone, rompone, passeggione; i dizionari di neologismi che attestano l'esistenza di neoformazioni, del tipo pappone "sfruttatore di prostitute" (da pappare "guadagnare con mezzi illeciti"; Q) o smanettone "uomo che allunga facilmente le mani su una donna o ragazza" (L) o l'uscita maschile del già consolidato battona, vale a dire battone "chi batte" (cioè "prostituto, peripatetico"; Q): tutte parole che esibiscono ampiamente il tratto negativo tipico di questo procedimento. Sul piano formale, a fronte di decine di formazioni tutte regolari, si segnalano dormiglione, in cui la sensibilità moderna «vede» uno strano interfisso, che va invece interpretato come l'esito regolare dell'antico verbo dormigliare, e fannullone, per cui dobbiamo pensare ad una base polirematica, (non) fa nulla. Un'altra irregolarità formale si ritrova in spendaccione, che va forse fatto risalire ad un verbo oggi caduto in disuso, spendacchiare.' La palatalizzazione subita dal derivato potrebbe essere stata favorita dall'esistenza della piccola serie di derivati denominali e deaggetivali in acci-one: beccaccione "marito cornuto", bonaccione, mollaccione, porcaccione, sporcaccione. A questo proposito si vorrebbe far notare come il procedimento che dà luogo a nomi di agente in -one, abbiano essi una base nominale, aggettivale o verbale, potrebbe essere considerato come un procedimento unitario, che a partire da basi diverse forma nomi di agente caratterizzanti aventi tutti almeno un tratto di significato comune, il tratto dell "eccesso negativo'. Questo spiegherebbe la relativa frequenza di piccole serie sinonimiche di derivati 1

Oltre a spendacchiare, il GDLI riporta anche un altro derivato del verbo, spendacciamento, che presenta, rispetto alla base, lo stesso fenomeno di palatalizzazione dell'occlusiva velare /k/ presente in spendaccione.

5.1. Derivazione

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nominale

denominali, deaggettivali e deverbali: ad esempio sono certo sinonimi, e spesso la segnalazione è già nel DISC, crapulone, mangione (deverbali), ghiottone, golosone (deaggettivali); ronzone (deverbale) e moscone (denominale), il cui significato è per entrambi "corteggiatore, innamorato petulante, che non si scoraggia facilmente"; sbruffone, spaccone (deverbali), fanfarone, trombone (denominali); sbrodolone (deverbale), pataccone, zaccherone (denominali); blaterone (deverbale) e caciarone (denominale) e così via. E forse, in questa prospettiva, non sarebbe più così importante decidere, nei casi dubbi, se la base di una formazione in -one sia il nome o il verbo morfologicamente relato (su questo problema e la soluzione adottata per questo studio cfr. 5.1.1.1.8.). Si segnala infine l'unica formazione al femminile registrata dal DISC, battona (a. 1959), che designa un mestiere tipicamente femminile, recentemente ereditato, nel mondo reale e nelle modalità di designazione, anche dal mondo maschile: battone (Q). 5.1.3.2.5. Il tipo abbonato, pentito, deceduto

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Come per altri tipi di formazioni deverbali, anche il tipo qui presentato non esibisce un suffisso derivazionale autonomo rispetto a forme del paradigma verbale: si tratta in questo caso di forme nominalizzate, di conversioni di participi passati che presentano un'uscita agentiva, almeno nel senso adottato nel presente lavoro. Alcuni esempi dei moltissimi che si potrebbero fare sono i seguenti: abbonato, affamato, alcolizzato, alleato, ammalato, annegato, astenuto, caduto, congiurato, convertito, deceduto, dissociato, divorziato, drogato, emigrato, evaso, infiltrato, intervenuto, laureato, morto, pentito, rifugiato, rimbambito, sopravvissuto, sottoposto, travestito e così via. Come si vede, i verbi di base appartengono a tutt'e tre le coniugazioni e presentano tutti una semantica di tipo risultativo. Inoltre, coerentemente con il significato grammaticale originario del participio passato, queste formazioni presentano tutte un tratto temporale di Spassato' e un tratto aspettuale di '+compiuto', per cui la perifrasi che le rappresenta, piuttosto che essere "persona che V", potrebbe essere qualcosa del tipo "persona che è/ha/si è PP". Vale tuttavia la pena di notare che, data la doppia natura del participio passato italiano, attiva con i verbi intransitivi (anche nella loro forma riflessiva), passiva con i verbi transitivi, possono formare nomi di agente da participio passato solo i verbi intransitivi, come sono infatti tutti i verbi di base delle formazioni sopra riportate. Le nominalizzazioni da participio passato dei verbi transitivi danno luogo invece a formazioni aventi una semantica passiva, che faremo rientrare nel sottogruppo dei nomi di paziente (su cui cfr. 5.1.3.5.). 5.1.3.2.6. Altri tipi

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Sugli agentivi deverbali che si presentano privi di suffisso, e che coincidono formalmente con il tema dei rispettivi verbi della I coniugazione (il tipo guida, procaccia, scaccia "nelle battute di caccia, persona incaricata di deviare la selvaggina verso la posta", spia ecc.), rimandiamo senz'altro al capitolo sulla conversione (7.2.3.3.) e all'elenco che ne fa Tollemache 1954,146-156. Segnaliamo poi come degne di interesse alcune formazioni deverbali che assumono suffissi tipicamente nominali per formare nomi di agente: apprendista, attendista, convertista "chi converte le azioni in titoli", dirigista, draghista "addetto a scavi subacquei o su terreni asciutti, dragatore", trasformista, già citati in 5.1.1.1.6.; begolardo (da begolare) "chiacchierone, fanfarone", infingardo (da infingere) "persona poco incline al lavoro, all'operosità", leccarde (da leccare) "persona ingorda", formazioni in cui il suffisso -ardo mantiene il tratto negativo già esibito nelle formazioni denominali

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5. Suffissazione

(cfr. 5.1.1.1.11.); battezziere, corriere, moviere, tappezziere, cui abbiamo già rapidamente accennato (in 5.1.1.1.4.); cardatolo "cardatore", fregarolo (da fregare) "ladruncolo, borsaiolo", guidatolo "in un

branco, la bestia che guida le altre", e il recentissimo rifondarolo "aderente al Partito della Rifondazione Comunista o suo simpatizzante" (C); scrivano (da scrivere), che però è un adattamento da una formazione latina.

5.1.3.3. Nomi di strumento

MGLD

Per la definizione della categoria, rimandiamo a quanto detto in 5.1.1.2. Aggiungiamo solo che, come per tutti i deverbali, l'uscita semantica di queste formazioni è più prevedibile che per i denominali, nel senso che la specifica funzione svolta da questi strumenti è evidentemente «data» dal verbo di base: dunque una smerigliatrice o una stampante o un macinino sono strumenti costruiti perché smeriglino, o stampino, o macinino qualcosa. La complessità, come pure le modalità e l'ambito di utilizzazione di ciascuno di questi strumenti sono, quelli sì, condizionati dalle particolari conoscenze tecniche e dalle abitudini di vita e di lavoro della comunità che ne fa uso, e dunque non sono immediatamente ricavabili su basi solo linguistiche. Ciò non toglie che la perifrasi definitoria che supporremo comune a tutte queste formazioni è, grosso modo, "oggetto che V", dove per "oggetto" si può, a seconda dei casi, intendere macchina, attrezzatura, congegno, strumento, utensile, arnese, in una scala che va dagli strumenti ideati per eseguire operazioni complesse, agli strumenti ed agli oggetti che consentono di eseguire le più semplici operazioni della vita quotidiana, come annaffiatoio, o strofinaccio o raschietto. Va pure segnalata la disponibilità di alcuni dei procedimenti deverbali qui riuniti a formare nomi di luoghi (su cui cfr. 5.1.3.4.), per la facilità di slittamento semantico da "oggetto che V", a "luogo in cui si V", e viceversa. Come per i nomi di agente, anche per i nomi di strumento la morfologia dell'italiano presenta una certa ricchezza di mezzi, e anche in questo caso ai suffissi propriamente derivativi (-tore, -trice, -torio/-toria, -toiol-toia, -inol-ina) dobbiamo aggiungere almeno una uscita verbale, quella del participio presente, «prestata» alla derivazione anche in questo settore, potendo dare in uscita formazioni strumentali quali lampeggiante o ammorbidente. Una domanda cui si è tentato di rispondere nel corso dei paragrafi che seguono è se, a fronte di tante diverse opzioni, sia possibile rintracciare delle differenziazioni regolari, ad esempio ambiti diversi di applicazione dei diversi procedimenti, o esiti semantici anche parzialmente diversificati. Vedremo che, mentre è senz'altro possibile individuare delle tendenze o delle preferenze per ciascuno dei suffissi esaminati, tuttavia nulla è rigidamente determinato, e si danno praticamente tutte le possibilità: uno stesso suffisso può dare in uscita diversi tipi di strumenti, mentre lo stesso tipo di strumento può essere reso attraverso più di un procedimento. Né è escluso il caso in cui un certo suffisso selezioni una certa base verbale per designare più strumenti, vale a dire arnesi, o dispositivi, o apparecchi diversi, spesso adoperati in ambiti lavorativi differenti. Ovviamente queste sovrapposizioni complicano il quadro rendendo spesso difficile identificare delle regolarità convincenti. Volendo tentare comunque di individuare una qualche differenziazione funzionale tra i diversi procedimenti che formano nomi di strumento da verbi, si potrebbe dire che sul piano della complessità dell'oggetto designato e del suo funzionamento i V-trice designano oggetti complessi, spesso dotati di funzionamento automatico, e per lo più definiti "macchine"; i V-tore designano apparecchi più piccoli anche se non necessariamente semplici,

5.1. Derivazione

365

nominale

singoli dispositivi o ingranaggi che sono spesso parti di macchinari più complessi; i V-toio e i V-i'no designano preferibilmente gli strumenti più semplici, quelli del lavoro domestico o delle attività tradizionali per il cui funzionamento opera, esclusivamente o quasi, l'energia rappresentata dal lavoro umano; i V-nfe designano piccoli congegni e, soprattutto, sostanze. Così ad esempio una asciugatrice è una "macchina per asciugare tessuti, biancheria ecc.", un asciugatore è un "apparecchio elettrico che emette aria calda per asciugare le mani", un asciugatoio è un "asciugamano"; un accenditore è un "dispositivo che provoca l'accensione di sostanze combustibili", un accendino è un "accendisigari", un accenditoio è un'"asta recante in cima uno stoppino, usata per accendere candele e, un tempo, lumi a petrolio"; un condensatore è un "apparecchio nel quale avviene la condensazione del vapore", condensante è invece una "sostanza che facilita la condensazione". Ma a questo punto è meglio passare alla presentazione dei singoli procedimenti. 5.1.3.3.1. Il tipo lavatrice

MGLD

Il suffisso -trice, femminile del corrispondente -tore, formava in latino nomi di agente femminili (cantator, cantatrix). In italiano tuttavia questo esito è sempre stato «poco popolare», sostanzialmente limitato alla lingua letteraria (Rohlfs 1969, 459), anche se i dizionari registrano sempre, accanto alle formazioni agentive in -tore, la possibilità del corrispondente femminile in -trice. Il DISC ad esempio riporta sempre questa possibilità, ma pone direttamente a lemma le parole in -trice che hanno acquisito una loro autonomia. Oggi il procedimento in -trice è di gran lunga il più produttivo per la formazione di nomi che designano macchine e congegni anche molto sofisticati, in grado di svolgere le azioni più o meno complesse previste dal verbo di base. Ritroviamo chiaramente rappresentata la storia di questo procedimento se guardiamo le date di prima attestazione delle parole riportate dal DISC: quasi tutte le (poche) formazioni in -trice anteriori al XVIII secolo sono nomi di agente, alcuni di formazione romanza (allattatrice, levatrice, direttrice), altre ereditate direttamente dal latino (meretrice, fattrice). Successivamente la produttività e gli esiti del suffisso in questione sono i seguenti (dal conteggio sono state escluse le parole date dal DISC come ereditate dal latino o da altre lingue): sec. XVIII: 1 nome di strumento (il primo attestato di formazione italiana: sgranatrice), 1 nome di agente (corredentrice, attributo della Madonna); 1800-1849: 5 nomi di strumento (accoppiatrice, cernitrice), 1 nome con doppio significato di agente umano e macchina (stiratrice); 1850-1899: 20 nomi di strumento (falciatrice, piallatrice, seminatrice), 1 nome con doppio significato di agente umano e macchina (pettinatrice); 1900-1949: 83 nomi di strumento (affettatrice, cucitrice, sagomatrice) e due nomi di agente (indossatrice, visitatrice)·, 1950-1988 (ultima data attestata): 223 nomi di strumento (imbustatrice, sabbiatrice, scortecciatrice), 2 nomi di agente (massaggiatrice, passeggiatrice). Come si vede, i numeri dimostrano una progressione costante, che diventa sempre più rilevante man mano che ci si avvicina ai giorni nostri, allorché il procedimento in questione ha rappresentato una possibilità linguistica «facile», sempre a portata di mano, per designare i complessi macchinari delle attività industriali moderne:1 non è un caso infatti che nei Vale la pena di ricordare che per formare nomi di strumento l'italiano possiede anche il procedimento compositivo V+N (su cui cfr. 2.1.2.5.): essendo più descrittivo rispetto alla derivazione, tale procedimento risulterebbe, a detta di Crocco Galèas e Dressier, favorito oggi nel mondo del mer-

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5. Suffissazione

dizionari le definizioni della stragrande maggioranza delle parole in -trice inizino con la formula "macchina che" o, più raramente, con "apparecchio che". Non è neppure un caso che sul piano formale il procedimento di derivazione si presenti sempre molto trasparente e regolare: essendo infatti per la stragrande maggioranza di coniazione recente, i nomi di strumento in -trice non esibiscono le oscillazioni e le irregolarità formali tipiche dei procedimenti diacronicamente più stratificati. Al contrario di alcuni nomi di agente in -trice, più antichi, e quindi ampiamente «segnati» dall'influsso del latino (attrice, direttrice, fattrice, meretrice), i nomi di strumento presentano sempre una base facilmente riconoscibile rappresentata dal tema del presente del verbo, vale a dire la radice + la vocale tematica: dunque addizionatrice, cernitrice, diraspatrice, fonditrice, impaginatrice, rammagliatrice, riunitrice, seminatrice, timbratrice, parole che esibiscono tutte un significato molto trasparente. Se necessario, il procedimento di derivazione si accompagna a forme compositive diverse, che hanno lo scopo di rendere anche linguisticamente la complessità delle operazioni che le macchine così designate devono compiere. Tra le formazioni datate a partire dal 1950 abbiamo conteggiato 12 parole composte con elementi formativi propri del linguaggio tecnico, quali turbo- (turboperforatrice), vibro- (vibrofinitrice), termo- (termosaldatrice), moto- (motofalciatrice). Dal momento che non esistono né sembrano immediatamente accettabili i verbi corrispondenti Cturboperforare, vibrofinire, termosaldare, motofalciare), per tutte queste parole dobbiamo pensare ad una regola di formazione del tipo: [Elemento formativo + [V-ír¡ce]N]N (cfr. 2.2.7.). Risultano anche nel nostro elenco 6 formazioni composte aventi la struttura: V^irice)V2-trice, del tipo falciacaricatrice, mietitrebbiatrice, pigiadiraspatrice, sfogliasgranatrice. Gli esempi dimostrano, ci pare, un buon livello di descrittività delle complesse operazioni che questi strumenti sono deputati a compiere (cfr. 2.1.2.5.). Come per i derivati agentivi in -tore, anche per i derivati in -trice dobbiamo segnalare una discreta presenza di formazioni denominali: sui 223 nomi di strumento in -trice datati dal DISC a partire dal 1950, 26 (vale a dire più dell' 11%) risultano avere una base nominale. Un controllo attento di tutti i lemmi ha infatti escluso la presenza di un eventuale verbo di base, che non risulta né alla nostra competenza, né al lemmario del DISC: è il caso di capsulatrice, compressatrice, pistatrice, polveratrice, sacchettatrice, tortellinatrice e così via. In qualche rarissimo caso è rintracciabile un verbo morfologicamente ma non semanticamente relato: ad esempio per stradatrice "macchina per allicciare i denti della sega" lo stesso DISC segnala la derivazione da strada, nel senso di "disposizione dei denti della sega", non da stradare "far avviare, instradare qualcuno", che si connette evidentemente ad un altro senso di strada. Come già per i derivati agentivi denominali in -tore, pensiamo che queste formazioni derivino in realtà da un verbo virtuale, non attestato ma possibile, che avrebbe fatto da «ponte» dal nome al derivato strumentale: quindi una derivazione del tipo di polvere —> 0polverare —• polveratrice, raviolo —> °raviolare —> raviolatrice e così via.

cato, soprattutto «nel caso di strumenti e oggetti d'uso comune» (1992, 17). «Se, viceversa, si osserva la situazione dei neologismi nella lingua tecnica specializzata, si nota che la presenza dei suffissati (es. in -tore, -trice) è assoluta: non si danno casi di nomi di strumento di sofisticata tecnologia formati come composti V+N», e dunque «è assai probabile che la trasparenza morfosemantica, in quanto descrittività, sia meno necessaria per esprimere nozioni specialistiche e tecnologiche che non per soddisfare esigenze di mercato» (18).

367

5.1. Derivazione nominale

Le ragioni di questa convinzione si possono sintetizzare in tre punti: (a) frequenza del procedimento, che ha dato in italiano numerose serie a tre termini del tipo falce —• falciare —> falciatrice, sagoma —> sagomare —» sagomatrice, catrame —> catramare —• catramatrice e così via; (b) regolarità di formazione su verbi virtuali della prima coniugazione, che lasciano al derivato in -trice, come segno tangibile di questo passaggio, la vocale tematica -a-: tutti i derivati denominali in -trice infatti, qualunque sia la vocale finale del nome di base, presentano l'uscita -atrice; (c) presenza di serie derivative in cui compaiono altri suffissi che selezionano tipicamente basi verbali, come in stradatrice / stradatura, barilatrice / barilatura, raviolatrice / raviolatore, cesoiatrice / cesoiatore e così via. Rispetto agli altri procedimenti derivativi deverbali esaminati in questa sezione, il suffisso -trice veicola, come abbiamo già detto, il significato prioritario di "macchina che". Dunque il rapporto prevalente con i derivati in -tore che selezionano la stessa base è quello di agente vs strumento: così l'aratore è "chi ara la terra", l'aratrice è la "macchina agricola che ara"; o, anche più spesso, il referente del derivato in -tore è l'addetto alla manovra della macchina designata dal derivato in -trice: così è in dentatore / dentatrice, garnettatore / garnettatrice, impacchettatore / impacchettatrice e in molte altre coppie dello stesso tipo. Naturalmente questo non significa che non possano trovarsi derivati strumentali in -tore (su cui cfr. 5.1.3.3.2.) che selezionano la stessa base: esistono ad esempio un allargatore e un'allargatrice, un asciugatore e un'asciugatrice che designano quattro strumenti diversi, spesso adoperati in attività lavorative diverse. Ugualmente sono attestati numerosi derivati in -toio (su cui cfr. 5.1.3.3.3.) che presentano la stessa base verbale di derivati in -trice, e danno in uscita nomi di strumento: così ad esempio affilatrice / affilatoio, ribaditrice / ribaditolo, incorsatrice / incorsatolo ecc. Rispetto ai procedimenti rivali, sempre comunque i derivati in -trice designano strumenti complessi, macchinari legati per lo più ad attività industriali o alla moderna agricoltura, mentre i derivati in -tore e in -toio designano strumenti più semplici, definiti per lo più "utensili" o "arnesi", tipici delle attività artigianali tradizionali o dei lavori della casa: così ad esempio lo sminuzzatoio è definito "utensile da cucina che serve per ridurre in minuscoli pezzi verdure o altri alimenti", la sminuzzatrice è la "macchina usata per ridurre in piccoli pezzi materiali vari, soprattutto il legno da cui si estrae la cellulosa".

5.1.3.3.2. Il tipo frullatore

MGLD

Per una presentazione generale del procedimento rimandiamo a quanto detto in 5.1.3.2.1., in cui è stato presentato l'esito agentivo del suffisso. In questa sede ci limiteremo a ragionare sull'esito semantico di tipo strumentale, che è evidentemente molto vicino, sul piano concettuale, all'esito agentivo. A questo proposito Scalise scrive che «il confine tra questi due tipi di uscite non è netto», ed arriva ad affermare che mentre uno strumentale come contatore può sempre essere interpretato, in un contesto adeguato, come un agentivo («nulla impedisce di immaginare situazioni in cui una persona è addetta alla conta di qualcosa»), analogamente «per quasi qualsiasi forma è possibile creare una contestualizzazione che favorisce la lettura strumentale [dei derivati in -tore], basta aggiungere per esempio l'aggettivo automatico» (1996, 297). Ed infatti molti W-tore hanno sia un'uscita agentiva, sia un'uscita strumentale. Ciò detto, rimane il fatto che l'uscita agentiva è molto più frequente, con una proporzione che si aggira, grosso modo, intorno a 1 a 5: per ogni 5 V-tore nomi di agente, troviamo

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5. Suffissazione

un Ν-tore che ha assunto un significato anche o esclusivamente strumentale. Né sono rari i casi in cui, avendo il derivato in -tore un chiaro e univoco significato agentivo, il compito di veicolare un significato strumentale viene assunto dal derivato in -trice: è quanto avviene per fresatore, friggitore, infialatore, tranciatore, vangatore (agenti) rispetto a fresatrice, friggitrice, infialatrice, tranciatrice, vangatrice (strumenti). Naturalmente si tratta di una tendenza, subito smentita dai numerosi casi di perfetta sinonimia, come ad esempio escavatore ed escavatrice, entrambi definiti "macchina per scavare", o fotocopiatore e fotocopiatrice, obliteratore (in senso strumentale in CC) ed obliteratrice e così via. Infine, segnaliamo il caso davvero curioso di alternatore e escavatore, che, avendo selezionato un chiaro significato strumentale, hanno dato luogo a derivati agentivi assumendo il suffisso nominale -ista: dunque l'alternatore (a. 1905) è un "generatore di corrente alternata", Yalternatorista (a. 1991) è l'"addetto alla manutenzione e riparazione degli alternatori"; Y escavatore (sec. XVIII), come peraltro Y escavatrice, è la "macchina che viene usata per scavare", Y escavatorista (a. 1956) è l'"addetto alle macchine escavatrici". La stragrande maggioranza dei Ν-tore designa apparecchi, congegni, dispositivi che la tecnica pone a disposizione delle molteplici esigenze delle società industriali e postindustriali moderne: aspiratore, condizionatore, dializzatore, digitalizzatore, inceneritore, irrigatore, lampeggiatore, nebulizzatore, radiatore, vibratore sono solo alcuni tra i moltissimi esempi che si potrebbero fare, senza contare i vari composti con elementi formativi propri del linguaggio tecnico come auto- (autoreattore, autorecettore, autorespiratore, autospurgatore, autotrasformatore), radio- (radioindicatore, radiolocalizzatore, radiooscillatore, radioregistratore), tele- (telecopiatore, telemanipolatore, teleripetitore, teletrasmettitore), vibro- (vibrocoltivatore, vibrocostipatore, vibromassaggiatore) (cfr. 2.2.7.). Non mancano però le formazioni che designano strumenti più semplici, quali dosatore, evidenziatore, riduttore, riflettore-, recipienti generici (quale contenitore) o più spesso adibiti a particolari operazioni, quali bollitore, catalogatore, classificatore, colatore, decantatore, miscelatore·, sostanze: così correttore, sia nel senso di "prodotto di cancelleria, di solito sotto forma di liquido bianco coprente, che consente di fare correzioni su un dattiloscritto", sia nel senso di "cosmetico destinato a coprire piccoli difetti della pelle" (BC), o ancora fissatore nel senso di "cosmetico cremoso o liquido, spruzzato con un nebulizzatore, che serve a dare compostezza e fissità alla capigliatura". Infine è da segnalare l'uso frequente di questo procedimento nel linguaggio informatico. Su un totale di 405 lemmi registrati dal DISC con l'indicazione di uso settoriale relativo, circa 20 sono derivati in -tore che designano: dispositivi di cui è dotato un computer e che ricevono il nome dalla specifica funzione cui sono preposti (diagrammatore, memorizzatore, perforatore, sintetizzatore, tracciatore, visualizzatore)·, simboli e contrassegni vari usati nella tecnica informatica per segnalare operazioni o riconoscere e richiamare insiemi di dati, parti di testo o programmi (identificatore, marcatore, operatore)·, programmi informatici in grado di svolgere particolari operazioni (assemblatore, caricatore, compilatore, emulatore, traduttore). Si noti come molte di queste parole sono in realtà degli adattamenti al linguaggio informatico di preesistenti derivati deverbali in -tore aventi un significato agentivo o strumentale più «tradizionale», che per lo più continua a coesistere con la nuova accezione. Gli esempi fin qui riportati dovrebbero a questo punto aver documentato il fatto già in precedenza notato che, nonostante la parziale sovrapposizione col suffisso -trice, il procedimento in -tore con esito strumentale si è ricavato una sua nicchia abbastanza ben definita nel mondo della denominazione tecnica, designando per lo più piccoli apparecchi e dispo-

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5.1. Derivazione nominale

sitivi in grado di procedere a certe operazioni - quelle cui rimandano i rispettivi verbi di base - che mettono in grado anche le più complesse delle apparecchiature di funzionare. La produttività del procedimento è buona, e sembra in crescita negli ultimi anni, come documentano le date di prima attestazione riportate nel DISC (ad esempio, negli anni 19901992 sono segnalate 12 nuove formazioni strumentali in -tore). Ricordiamo brevemente che anche nella categoria dei nomi di strumento si ritrovano alcune formazioni con base nominale (cloratore aforistico.

5.2. Derivazione aggettivale

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Il suffisso relazionale -ino si aggiunge principalmente a nomi di animali: bue / bovino, caprino, cervino, cavallo / equino (accanto al meno usato cavallino), gatto / felino, pecora / ovino, porcino, maiale / suino, vacca / vaccino, vitellino ecc. Dato che gli aggettivi hanno uno spiccato carattere tecnico-scientifico, le basi nominali sono in genere dotte o latine. Oltre il settore dei nomi di animali, il suffisso -ino forma termini geografici come alpino, marino o montanino (per gli etnici del tipo parigino cfr. 5.2.1.6.). Un piccolo sottogruppo è costituito da aggettivi derivati da nomi di mesi marzolino (con interfisso -ol-), settembrino, ottobrino e dicembrino. Oltre a ciò troviamo esempi da qualsiasi ambito, come per esempio corallino, cristallino, fungine, adulterino, papalino (da papa, con interfisso -al-), truffaldino (con interfisso -aid-). Oggigiorno, però, la produttività di questo suffisso è piuttosto bassa. È molto più produttivo il suffisso -ivo in aggettivi come televisivo, che è stato derivato, per mezzo di sostituzione suffissale, dal nome televisione e il cui significato può essere esplicitato con "della televisione" in contesti come programma / spettacolo televisivo. Storicamente, le basi derivazionali degli aggettivi, come i nomi in -ione, presentano di regola forme participiali come espresso, nutrito, amministrato, che però non corrispondono sempre (pienamente) a quelle dell'italiano moderno (cfr. visum / visto vs visione, o emissum / emesso vs emissione). Nonostante questo dato morfologico, gli aggettivi di relazione, denominali per definizione, non vengono riferiti al verbo bensì al rispettivo nome deverbale in -ione. Così, per esempio, il significato dell'aggettivo produttivo con funzione relazionale corrisponde a "della produzione" in sintagmi come fattori produttivi o ciclo produttivo (cfr. anche la discussione più ampia in 5.2.2.2.4., dove peraltro si propende per una derivazione deverbale nel caso di forme come amministrativo, produttivo). In alcuni casi, in assenza di un verbo corrispondente, l'analisi denominale è anche l'unica concepibile: inflazione —• inflat(t)ivo, deflazione —* deflativo ecc. Il suffisso -ivo, però, è usato prevalentemente per la formazione di aggettivi qualificativi: scrittore creativo, prefisso produttivo; alimento nutritivo, sguardo espressivo. Non di rado si fanno derivare, secondariamente, dai nomi in -ione aggettivi esclusivamente di relazione: nutritivo / nutrizione / nutrizionale, decisivo / decisione / decisionale ecc. Oltre a ciò vengono formati anche aggettivi evidentemente denominali a cui non corrisponde un nome in -ione, come ad esempio sportivo nei sintagmi impianti / articoli sportivi - a differenza dell'uso qualificativo in giovane sportivo -, vegetazione boschiva, terreno vallivo, fiori prativi, stagione estiva o chiusura festiva. Formazioni più recenti sono accentuativo (a. 1963; cfr. metrica accentuativa), agentive (a. 1979; cfr. caso agentivo), arbustivo (a. 1955; cfr. vegetazione arbustiva), organizzativo (a. 1953; cfr. fase organizzativa), involutivo (a. 1963; cfr. fenomeno involutivo) oppure contestativo (a. 1968). Il suffisso -orto è simile a -ivo. Produce in primo luogo degli aggettivi deverbali, molte formazioni hanno però (anche) una funzione relazionale: arte navigatoria "arte della navigazione" ecc. In alcuni casi, la derivazione denominale è l'unica possibile: moto —*• motorio, senso —* sensorio, mora —* moratorio (con interfisso -ai-; cfr. interessi moratori) o, con sostituzione di suffisso, aviazione —* aviatorio, secrezione —> secretorio, scultura —• scultorio ecc. Nelle poche derivazioni da nomi in -ore è probabilmente preferibile parlare di un suffisso -io: gladiatore —• gladiatorio, oratore —» oratorio, pescatore —> piscatorio, pretore —• pretorio, procuratore —• procuratorio.l Un po' diversi sono: tintorio "della tintura" e tutorio "della tutela".

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5. Suffissazione

Il suffisso -esco produce - come vedremo sotto - in primo luogo aggettivi denominali usati in senso qualificativo e tendenzialmente peggiorativo. Frequentemente essi si trovano in opposizione a derivazioni formate con un suffisso relazionale tipico, come per esempio nel caso di artigianesco vs artigianale (cfr. produzione artigianale) oppure baronesco vs baronale (cfr. titolo baronale) o dottoresco vs dottorale (cfr. toga dottorale). In pochi casi, il contenuto della derivazione è, in linea di massima, assolutamente neutro, come per esempio quello di studentesco nei sintagmi movimento / gergo studentesco, di temporalesco in cielo temporalesco, di marinaresco in tradizione marinaresca o di aggettivi derivati da designazioni di secoli del tipo duecentesco, quattrocentesco, cinquecentesco (cfr. palazzo cinquecentesco). Questo vale anche per i derivati da nomi propri come dantesco in bibliografia / critica dantesca o in studi danteschi. Normalmente, però, questi aggettivi possono essere usati anche in senso figurato: un'immaginazione dantesca e simili. Entrambe le possibilità d'impiego s'incontrano anche con poliziesco in indagini poliziesche vs metodi polizieschi, fiabesco in mondo fiabesco vs vista fiabesca, farsesco in teatro farsesco vs situazione farsesca e romanzesco in produzione romanzesca vs vita romanzesca. Tuttavia la maggior parte degli aggettivi in -esco viene usata, almeno tendenzialmente, se non esclusivamente, in senso figurato, come ad esempio animalesco, avvocatesco, bambinesco, militaresco ecc. (cfr. 5.2.1.1.3.). Oggi, neologismi come gauchesco "dei gauchos" (a. 1970; cfr. sp. gauchesco) sono piuttosto rari, ma possono sempre incontrarsi in diversi ambiti, soprattuto in senso figurato, come per esempio mecenatesco (a. 1965; cfr. comportamento mecenatescó), cartolinesco (a. 1987; cfr. quadro/film cartolinesco) oppure padrinesco (a. 1991). Oltre che in aggettivi etnici del tipo bergamasco (cfr. 5.2.1.6.), troviamo il suffisso -asco anche nell'aggettivo rivierasco "della riviera" (cfr. clima rivierasco o regioni rivierasche). Il suffisso relazionale -iero, come in industria profumiera, è abbastanza produttivo. Accanto agli aggettivi c'è spesso un nome corrispondente in -iere che indica o una persona che ha qualcosa a che fare, professionalmente, col referente del nome base o un contenitore per l'oggetto in questione (cfr. 5.1.1.4.). Per esempio, profumiere ovvero profumiera col significato "chi fabbrica o vende profumi" - una variante più moderna è profumista (a. 1958) - e "vaso per profumi". Questo modello morfo-semantico è caratteristico di -iero e i suoi vicini suffissali: metaniero (cfr. operaio metaniero) / metaniere / metanista, laniero (cfr. industriale laniero) / laniere, bananiero (cfr. repubblica bananiera) / bananiera "nave", baleniero / baleniera, petroliero / petroliera / petroliere, cotoniero / cotoniere ecc. Altri esempi: orologiero, alberghiero, ospedaliero, costiero in navigazione costiera, carovaniero ecc. Un esempio semanticamente peculiare è salottiero in contesti come nobilita salottiera o discorso salottiero. La produttività del suffisso -izio è invece piuttosto ristretta. Si osserva una certa preferenza per la combinazione con nomi in -ale (cfr. regali natalizi, casa generalizia; in vitalizio, invece, -al- ha status di interfisso) e per la combinazione con nomi in -ato (cfr. carriera impiegatizia, funzione legatizia, dignità prelatizia). I nomi base provengono di preferenza dall'ambito dell'amministrazione e della politica statale ed ecclesiastica: cardinalizio, prefettizio, intendentizio, delegatizio, magnatizio - una formazione più recente è correntizio "che concerne le correnti di partito" - o anche dall'ambito della medicina: congestizio, trasudatizio, escrementizio, dall'ambito dei corsi d'acqua: sorgentizio, torrentizio, deltizio\ inoltre possono provenire anche da altri settori referenziali: creditizio, cognatizio, cementizio.

5.2. Derivazione aggettivale

393

Lo stesso vale per il suffisso -aceo, che non viene usato che di rado per la formazione di aggettivi di relazione, come per esempio in vegetazione arbustacea (anche: arbustiva), sapore agliaceo, minuzzoli cartacei, periodo cretaceo. La funzione centrale di questo suffisso consiste piuttosto nella formazione di aggettivi qualificativi col significato "che ha l'aspetto di", come ad esempio in coriaceo "duro come il cuoio" (cfr. 5.2.1.1.3.). Alcuni aggettivi di relazione, anzitutto dall'ambito della medicina, sono derivati per mezzo del suffisso '-eo, che corrisponde al lat. -ëum, come etereo in narcosi eterea, laringeo in cavità laringea o tendineo m fibra tendinea. Anche la derivazione mediante il suffisso tuttora produttivo -eo, che corrisponde storicamente al suffisso gr. -aios, viene applicata prevalentemente nel campo della medicina (cfr. esofageo, da esofago, con palatalizzazione, ecc.). Questo suffisso mostra una preferenza per la combinazione col suffisso nominale -oide, come per esempio in deltoideo "del muscolo deltoide" o steroideo (a. 1987) "relativo allo steroide", e per la combinazione con il semplice '-ide: carotideo "della carotide", clitorideo "della clitoride". Un altro campo di applicazione è la derivazione di aggettivi di relazione da nomi propri del tipo edipeo (cfr. 5.2.1.7.3.) ossia raguseo (eft. 5.2.1.6.). Un altro suffisso il cui campo di applicazione centrale è la formazione di aggettivi qualificativi, è -oso, come in muscoloso "pieno di muscoli" (cfr. 5.2.1.2.). In parecchi casi, invece, produce anche aggettivi di relazione; così per esempio in sintagmi come cellule / fibre nervose o centro nervoso con il significato "relativo ai nervi", vicenda / poesia amorosa, raggio / fenomeno luminoso, canceroso in cellule cancerose, processi cancerosi. Altri aggettivi, come arterioso (cfr. sangue arterioso, pressione arteriosa) o venoso (cfr. valvola venosa) non si usano che con funzione relazionale. Concludendo facciamo un breve accenno ad alcuni suffissi di relazione marginali che, a quanto pare, oggi non sono produttivi, a prescindere da poche eccezioni. Ne fa parte, per esempio, -iaco, corrente nell'ambito della medicina: cardiaco, con base greca, in ritmo cardiaco, o anche emofiliaco, elefantiaco-, oltre a ciò, anche in altri settori: genere idilliaco, verso elegiaco, industria ardesiaca; anche in combinazione con nomi propri (cfr. 5.2.1.6.): austriaco, niliaco (accanto a nilotico). Il suffisso -aneo, oggi quasi improduttivo, non fornisce che una manciata di aggettivi di relazione: pelle / cutaneo, litorale / litoraneo, limitáneo (cfr. soldato limitáneo "del confine"), terraneo.1 Foraneo ha una base avverbiale. Il contributo del suffisso -igno per la formazione di aggettivi di relazione è ancora meno importante. Uno dei pochi derivati attinenti è cancerigno (a. 1955) in sintagmi come cellule cancerigne (accanto a cellule cancerose). Nel caso dell'aggettivo sanguigno, in contesti come circolazione / pressione sanguigna, si tratta in realtà della variante popolare della voce dotta sanguineo. Anche -areccioZ-ereccio, che in genere non è molto produttivo, è un suffisso di scarsa importanza per la formazione di aggettivi di relazione. Sarebbe da menzionare boscareccio / boschereccio in contesti come fiore boschereccio, funghi boscherecci, casereccio in prodotto casereccio o peschereccio in flotta peschereccia, porto peschereccio, inoltre stallereccio "di stalla". Con -atile finiscono le derivazioni acquatile e fluviatile "che si riferisce a un fiume" (accanto a fluviale). Il suffisso -escente è da analizzare soprattutto come deverbale (cfr. 5.2.2.2.5.), ma alcune formazioni sono passibili anche di un'analisi denominale: arbor-escente (da albero),fiuor-escente,fosfor-escente. Il suffisso aggettivale -ingo non compare che in casalingo: scena casalinga, piatto casalingo. Esiste però una variante -engo che produce derivati come invernengo "invernale", lugliengo "lugliatico" (cfr. uva luglienga) e maggengo "di maggio". Il suffisso dotto -ense, che in trasmissione popolare diventò -ese, si trova ancora in derivati come circense, forense, ortense, castrense, curtense, pratense, ripense. Anche il suffisso -erno è di tradizione dotta e si aggiunge di conseguenza a basi dotte negli aggettivi del grupMediterraneo in flora mediterranea ecc., invece, è da considerarsi piuttosto come caso di conversione: "del mare Mediterraneo".

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5. Suffissazione

po paterno / materno / fraterno, accanto alla serie meno comune paternal / maternale / fraternale col suffisso relazionale supplementare -ale. Un suffisso -urno ricorre in notturno e diurno. Il suffisso -este si trova in agreste e celeste (cfr. corpi celesti, volta celeste). Il suffisso -estre compare in derivati che si riferiscono soprattutto a formazioni geografiche: paesaggio, fauna silvestre (con base dotta), campestre, terrestre e rupestre. Accanto a terrestre esiste anche, con un senso leggermente diverso, l'aggettivo di relazione terreno (cfr. esistenza terrena), derivato mediante un suffisso -eno. Il suffisso -ustre ricorre solo in lacustre e palustre (con troncamento di -ude). Il suffisso -(u)olo produce pochi aggettivi di relazione come montagnolo e campagnolo (cfr. costumi campagnoli o topo campagnolo) e marzuolo. Questo suffisso appare anche fuso con il suffisso -aio nella forma -aiolo: fungo prataiolo. Con funzione relazionale, il suffiso -ifìco non compare che nell'aggettivo scientifico (cfr. però 5.2.1.4.): ricerca scientifica o liceo scientifico. In marittimo si può individuare un suffisso -ittimo: stazione marittima. Un suffisso -agno in grifagno "del grifo", un suffisso -ide in negride, -ardo in dinamitardo (cfr. attentato dinamitardo).

5.2.1.1.3. Aggettivi di somiglianza uw Certi tipi di aggettivi di relazione si usano occasionalmente anche in senso figurato e con funzione qualificativa. In questo caso, un aggettivo formato per mezzo di un nome Ν non si riferisce più a un'entità che, in senso molto generico, ha qualcosa a che fare col referente di questo nome, ma si riferisce ad un'entità che ha qualcosa a che vedere con una certa proprietà tipica del referente di N, cioè a un'entità che possiede una tale proprietà. In altre parole, un aggettivo del genere non indica semplicemente il referente del suo nome base, ma designa una sua proprietà, che può essere staccata e trasferita in un altro settore della realtà. Così, per esempio, l'aggettivo teatrale, in sintagmi come compagnia / rappresentazione / arte teatrale, si riferisce a delle entità, che hanno in concreto qualcosa a che fare col teatro e non solo con una sua proprietà. In sintagmi del tipo scenata / gesto / tono teatrale, invece, l'aggettivo significa "come al teatro" / "plateale" e il referente del nome testa non deve avere, oltre a ciò, un rapporto diretto e concreto col teatro come tale. Dal momento che in questi casi teatrale designa una proprietà, cioè ascrive una proprietà al referente del nome testa, in linea di principio tutte le restrizioni morfosintattiche dell'uso degli aggettivi di relazione non sussistono più. Adesso, l'aggettivo di relazione può essere usato anche con funzione di predicato ed essere modificato da avverbi di quantità: Il tono era un po' / troppo / veramente teatrale, mentre il sintagma nominale una compagnia teatrale non è riducibile a un'espressione predicativa come una compagnia che è teatrale. Non è più esclusa la posizione prenominale dell'aggettivo con funzione attributiva: una teatrale scenata di gelosia o con un teatrale gesto di diniego. Ormai, l'aggettivo può essere coordinato con altri aggettivi qualificativi: con un gesto teatrale e altezzoso. Da aggettivi di relazione usati con funzione qualificativa possono derivare anche avverbi modali in -mente come in gesticolare teatralmente. E perfino possibile la negazione morfologica mediante un prefisso privativo, come nel caso degli antonimi popolare e impopolare. Così, un ministro impopolare è un ministro che non è popolare e una decisione impopolare è una decisione che non è popolare, e analogamente, un trattamento inumano è un trattamento che non è umano e un comportamento immorale è un comportamento che non è morale; altri esempi sono inurbano, incorporeo. Da aggettivi di relazione con funzione qualificativa possono derivare, per di più, dei nomi e dei verbi. A differenza di una formazione inaccettabile come *muscolarità (cfr. 5.2.1.1.1.), esiste un nome teatralità col significato "carattere di ciò che è teatrale", spe-

5.2. Derivazione

aggettivale

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cialmente nel senso di "enfasi, pomposità" per esempio in teatralità dei gesti ossia popolarità in godere di larga popolarità e umanità in essere pieno di umanità, che equivale a "essere molto umano". Possono derivare perfino dei verbi causativi, che per definizione implicano l'uso predicativo della loro base aggettivale: teatralizzare col significato "rendere teatrale qualcosa" in teatralizzare un incontro-, allo stesso modo ad esempio popolarizzare "rendere qualcosa popolare" oppure americanizzare, drammatizzare ed altri. Tuttavia il carattere qualificativo, non relazionale dell'aggettivo base non è sempre così evidente. Il verbo provincializzare, per esempio in provincializzare una scuola, non significa propriamente "rendere provinciale una scuola" ma piuttosto "trasferire una scuola all'amministrazione provinciale" (cfr. Grossmann 1999). La possibilità di usare un aggettivo di relazione in senso qualificativo, non relazionale è, in linea di massima, indipendente dal suffisso come tale. Cioè, con tutti i suffissi relazionali importanti si possono formare aggettivi qualificativi ossia aggettivi usabili anche con funzione qualificativa. Dunque, oltre a aggettivi in -ale, -are, -ano, anche formazioni in '-ico come in bellezza atomica nel senso di "stupefacente, esplosiva" oppure in modi aristocratici nel senso dell'aggettivo di relazione signorile usato ugualmente in modo figurato. Corrispondentemente -istico in atteggiamento idealistico e -ostico in preparazione scolastica di una studentessa o -ino, dove abbiamo una serie di aggettivi derivati da nomi di animali che si usano anche con funzione qualificativa come in intelligenza bovina, faccia cavallina, coraggio leonino, forza taurina. Inoltre -iero in un sintagma come chiacchiera salottiera oppure -izio in mentalità impiegatizia, poi -iaco in burocrazia elefantiaca e -estre in silvestre nel senso di "aspro, selvaggio". La disponibilità di un aggettivo di relazione per l'uso figurato dipende in primo piano dal significato del rispettivo nome base. Anzitutto i nomi base ricchi di connotazioni semantiche, specialmente sul piano affettivo, sono adatti a una tale funzione. Questo vale, ad esempio, per nomi di persone e di animali come in materno, paterno, fraterno, infantile, umano ma anche in maschile, femminile e per designazioni di funzioni come in regale, baronale, diplomatico o professorale e, come già detto, in derivati del tipo bovino, leonino, leporino, serpentino ecc. La funzione qualificativa di tali aggettivi risulta da un trasferimento referenziale del sintagma, come per esempio in gesti materni, che può essere parafrasato con "gesti comparabili ai gesti di una madre". In certi casi si tratta piuttosto di un paragone diretto fra il referente della base derivazionale nominale e quello del nome testa, come in insegnante paterno, che può essere esplicitato attraverso "(un) insegnante che è come un padre". Non di rado, tuttavia, si sono sviluppate certe costanti semantiche, cioè, dei significati lessicalizzati il cui rapporto col significato dell'aggettivo con funzione relazionale non può più essere esplicitato mediante un semplice paragone. Così per esempio cordiale nel senso di "affabile, caloroso" o familiare nel senso di "intimamente conosciuto" o popolare nel senso di "famoso" o parziale nel senso di "fazioso" o intellettuale in un sintagma come amici intellettuali. Se una derivazione ormai si usa soltanto in senso qualificativo, come per esempio cordiale, si deve introdurre un doppione - in questo caso cardiaco - che assuma la funzione relazionale. Alcuni suffissi aggettivali denominali hanno di per sé, indipendentemente dal significato del loro nome base, una funzione qualificativa, anche se, a certe condizioni, possono essere usati in modo puramente relazionale. Un rappresentante tipico di questi suffissi è -esco, che si combina anzitutto con nomi di persone e che, tendenzialmente, presenta una connotazione spregiativa: artigianesco nel senso di "rudimentale" oppure avvocatesco, bambinesco,

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5.

Suffissazione

bersaglieresco, femminesco, scolaresco (cfr. Malkiel 1972, Björkman 1984). Visto il suo valore tendenzialmente peggiorativo, questo suffisso si aggiunge di preferenza a nomi che possiedono già, come tali, un significato del genere, come in furfantesco, bricconesco, ciarlatanesco, ladresco, vampiresco. Un altro campo di applicazione è costituito dai nomi di animali: comportamento anguillesco oppure animalesco nel senso di "bestiale, brutale", poi in puntiglio asinesco o una frase maialesca e violenza tigresca, agilità gattesca ecc. Troviamo anche doppioni in -ino (v. sotto): leonesco / leonino, lupesco / lupino, serpentesco / serpentino, asinesco / asinino, pecoresco / pecorino. Oltre a ciò il suffisso si aggiunge a nomi provenienti da diversi altri ambiti, come per esempio nel neologismo vocabolariesco (a. 1983) in contesti come usare un linguaggio vocabolarìesco ossia in sessantottesco (a. 1977): spirito sessantottesco (esiste, anche qui, un doppione sessantottino). Un altro suffisso che costituisce un rapporto di somiglianza tra il referente del nome testa e quello del nome base, è -oide, di origine greca, il cui significato è equivalente a "affine" o "dalla forma simile". I derivati, che si trovano quasi esclusivamente nel linguaggio scientifico, sono normalmente utilizzabili tanto con funzione aggettivale quanto con funzione nominale. Così per esempio cristalloide o discoide (anche in combinazione col suffisso -ale\ discoidale) oppure ovoide in frutto ovoide (in forma allungata, ovoidale). In questi due ultimi casi si potrebbe anche ammettere un suffisso complesso -oidale. Dall'ambito dell'antropologia provengono gli aggettivi derivati da nomi propri del tipo europoide e il neologismo cromagnoide (a. 1987; accanto a cromagnoniano). Anche gli aggettivi comunistoide e socialistoide, che fanno parte del lessico politico, sono da menzionare in questo contesto. Molti aggettivi formati col suffisso -oso, che innanzi tutto sono possessivi (cfr. 5.2.1.2.), possono esprimere anche l'idea di somiglianza, come in caramella gommosa, liquido acquoso col significato "che si presenta come una gomma", rispettivamente "simile all'acqua". In questo senso anche bituminoso in terreno bituminoso, gessoso, cotonoso, cremoso, dunoso, filoso, polveroso, roccioso (per esempio in avere un fisico roccioso), inoltre schiumoso, vetroso ed altri. Alcuni derivati, però, non vengono usati in senso possessivo. Così per esempio caseoso "simile al cacio" e cipolloso, fienoso, fulminoso, gelatinoso, liquoroso, saponoso, spugnoso', vale a dire che la relazione di somiglianza è uno dei significati primitivi di -oso. Il significato centrale di -aceo, che produce anche aggettivi di relazione (cfr. 5.2.1.1.2.), equivale a "che ha l'aspetto di". Così per esempio coriaceo in carattere coriaceo - accanto esiste un doppione di tradizione popolare cuoiaceo (a. 1925). Altri esempi sono lardaceo (cfr. tessuto lardaceo), legnaceo, madreperlaceo. Questo suffisso è tuttora produttivo, come dimostra, fra l'altro, il neologismo porcellanaceo (a. 1991). In vari casi coesistono derivati più o meno sinonimici in -oso, come per esempio farinaceo / farinoso, legnaceo / legnoso, cotonaceo / cotonoso, setaceo / setoso oppure in sostanza saponacea / saponosa. Un altro gruppo di aggettivi denominali in questo quadro semantico viene formato per mezzo del suffisso -ato\ periato significa "che ricorda le perle", per esempio in colori periati, inoltre lionato nel senso di "fulvo" oppure mielato (anche melato) in discorso mielate o argentato accanto a argenteo e pagliato "di colore giallo come quello della paglia". Una creazione più recente è salmonato (a. 1967) in trota salmonata. Una relazione di somiglianza viene costituita anche mediante il suffisso -igno, per esempio vetrigno "simile al vetro", ferrigno accanto & ferreo, lupigno, in sguardo lupigno, nonché lupesco e lupino, dunque tre varianti derivazionali più o meno sinonimiche. In più tro-

5.2. Derivazione aggettivale

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viamo marmorigno e marmorino, olivigno accanto a olivastro oppure pietrigno, saligno, serpigno, terrigno accanto a terroso e volpigno accanto a volpino. La derivazione vespigno (a. 1961) dimostra che anche questo suffisso è tuttora marginalmente produttivo. I nomi base indicano in maggioranza degli animali o delle materie naturali. Lo stesso vale per -ino, dove predominano le materie naturali: argentino (accanto a argentato e argenteo) in voce argentina ossia cristallino in coscienza cristallina e, con interfisso, paglierino da paglia (accanto a pagliato) e carnicino (da carne), poi vetrino, corallino, opalino, ametistino, smeraldino, arancino. Corvino è derivato da un nome di animale. In vaccino, invece, il suffisso produce un puro aggettivo di relazione, come ad esempio in latte / formaggio vaccino o carne vaccina. Si aggiungono a questo gruppo gli aggettivi denominali in '-eo, per esempio ferreo in sintagmi come regola / disciplina ferrea o anche bronzeo in carattere bronzeo o argenteo in un argenteo spicchio di luna oppure sfingeo in volto sfingeo. Anche il suffisso possessivo -uto (cfr. 5.2.1.2.) esprime in certi casi una relazione di somiglianza, come in lanuto "di aspetto simile alla lana" in barba lanuta o forcuto in coda forcuta, riccioluto in foglie ricciolute e steccuto "a forma di stecco". Si potrebbero infine menzionare alcuni casi isolati: demoniaco, con -iaco, civettuolo, con -uoìo, e tre aggettivi di colore: uno in -astro, olivastro, uno in -one, arancione, e uno in -ognolo, cenerognolo.

5.2.1.2. Aggettivi possessivi uw Come abbiamo detto all'inizio, gli aggettivi denominali si riferiscono a entità che hanno qualcosa a che fare con il referente del loro nome base. Abbiamo potuto vedere che nel caso degli aggettivi di relazione questo rapporto semantico non è specificato, ma è, per così dire, neutralizzato. A differenza di un derivato come muscolare, per un aggettivo possessivo come muscoloso il rispettivo rapporto è lessicalmente specificato e fissato nel senso di "dotato di muscoli". In altre parole, il suffisso -oso ha la funzione di formare con la designazione di un'entità X un aggettivo con il significato "pieno / dotato / munito di X". Questa è la funzione fondamentale di questo suffisso, che oltre a ciò, in contesti come cellule nervose o sangue arterioso, viene usato per la formazione di aggettivi di relazione e, in sintagmi come mani gelatinose o pietra spugnosa, per la formazione di aggettivi di somiglianza. Quindi, i sintagmi nominali esprimono una relazione di «dotazione», cioè, l'entità caratterizzata mediante un tale aggettivo è dotata di quanto designa la base di derivazione. La parafrasi "pieno di X", tuttavia, indica che non si tratta semplicemente del fatto che un'entità sia dotata di Χ o che contenga X, ma piuttosto del fatto che questa entità è dotata di X in misura, almeno tendenzialmente, superiore alla media. In ogni caso, questa dotazione è in qualche modo vistosa o per lo meno caratteristica del referente del nome testa. Così per esempio una zona boscosa è una "zona coperta, ricca di boschi", un mese piovoso è un "mese caratterizzato da abbondanti e frequenti piogge" e un appartamento rumoroso è un "appartamento pieno di rumore". Spesso, questi aggettivi indicano parti del corpo oltremodo vistose; anzitutto le formazioni in -uto, come barbuto col significato "che ha una folta barba". Questo vale specialmente per gli aggettivi la cui base derivazionale designa una parte che appartiene normalmente, per natura, alla rispettiva entità. Così, un uomo nasuto non rappresenta semplicemente il caso normale di un uomo che ha un naso, ma di un "uomo che ha un naso particolarmente vistoso". Tuttavia, quest'eccezionalità non è un eie-

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5. Suffissazione

mento obbligatorio del significato di tali derivazioni, come mostra l'esempio dell'aggettivo cornuto, che significa semplicemente "che ha le corna"; in un caso come beccuto, tutt'e due i significati sono possibili: "provvisto di becco o di un becco particolarmente lungo" (cfr. Wandruszka 1976,72). Il suffisso centrale di questa categoria derivazionale è -oso. I nomi a cui si aggiunge designano non solo sostanze materiali, numerabili o non numerabili, come negli esempi già menzionati oppure in derivati come cannoso, sassoso, serposo, burroso, fangoso, caccoso, ghiaioso, ma anche delle sostanze immateriali, spesso delle qualità o condizioni psichiche, con valore positivo o negativo. L'ultimo però, predomina nettamente: pauroso "che ha / fa paura", angoscioso, capriccioso, pericoloso, chiassoso, costoso, tormentoso, velenoso ossia ardimentoso, coraggioso, spiritoso, talentoso, armonioso, fascinoso, gustoso. Appartengono all'area negativa anche aggettivi la cui base nominale indica una malattia, come ad esempio gottoso nel senso di "malato di gotta", che viene usato anche con funzione relazionale col significato "di gotta" e, corrispondentemente, anginoso con i significati "di angina, a essa relativo" e "affetto da angina pectoris", poi aftoso in animale aftoso, inoltre canceroso, coleroso, edematoso, tubercoloso o in modo generico difettoso. Questo suffisso si aggiunge normalmente a nomi di tradizione popolare, ma ogni tanto s'incontrano doppioni del tipo pescoso e piscoso, periglioso e pericoloso o pioggioso e piovoso. Fra le altre irregolarità formali, menzionamo: difficoltà —• difficoltoso, sonno —• sonnacchioso, varice —• varicoso, volontà —* volenteroso. Anche se la maggioranza delle formazioni è di vecchia data, il suffisso è ancora produttivo, come dimostrano gli esempi seguenti: dunoso (a. 1956), viticcioso (a. 1961) oppure caramelloso (a. 1962), fibromatoso (a. 1968), omertoso "che si basa sull'omertà" (a. 1983), per esempio in complicità omertosa, e pedicelloso (a. 1987). Un altro suffisso importante, sebbene non molto produttivo, in questo ambito funzionale è -uto, il cui campo d'applicazione preferito sono i nomi che indicano parti del corpo. Come s'è detto, può trattarsi di una parte del corpo sviluppata in misura superiore al normale come in capelluto "che ha tanti capelli", cervelluto, cicciuto, cigliuto, dentuto, gambuto "che ha gambe particolarmente lunghe", naticuto, orecchiuto, panciuto, schienuto, unghiuto. Tuttavia, anche nel caso di un semplice possesso, l'aggettivo evoca l'idea di una proprietà caratteristica del rispettivo referente. Questo vale, oltre alle formazioni già menzionate cornuto e beccuto, anche per derivati come baffuto "che ha i baffi" o lanuto, pennuto, occhialuto. Gli aggettivi formati attraverso il suffisso -uto designano in prima linea proprietà di persone, di animali o di piante, come in fogliuto, fronduto / fronzuto, in altre parole, quasi esclusivamente proprietà di esseri viventi. Ciò non significa che non possano riferirsi a sostanze inorganiche come in ferro puntuto. Un campo d'applicazione particolare è costituito da aggettivi che si riferiscono a entità abbondantemente provviste di bernoccoli, bitorzoli e simili: bernoccoluto, bitorzoluto, bozzoluto, gibbuto, gobbuto, nocchiuto, tubercoluto. Per una notevole parte dei derivati in -uto esistono doppioni più o meno sinonimici in -oso: fogliuto / foglioso, fronduto / frondoso, carnuto / carnoso, barbuto / barboso, ossuto / ossoso, fioccuto / fioccoso, gibbuto / gibboso ed altri. Vanno menzionate ancora alcune varianti formali di -uto con interfisso, come -(e)ruto e -(o)ruto in nocchieruto (accanto a nocchiuto), pettoruto (da petto) e ramoruto (da ramo, accanto a ramuto e ramoso), o -acciuto in corpacciuto. Un suffisso possessivo meno specializzato in parti del corpo, ma produttivo fino ad oggi, è -ato come in copertinato (a. 1965) col significato "di libro fornito di copertina"; di data più recente sono mansardato (a. 1975) in contesti come attico mansardato o vallonato (a.

5.2. Derivazione

aggettivale

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1990) in tappa vallonata. Formazioni meno recenti sono fincstrato "munito di finestre" o pergolato in giardino pergolato, inoltre cinturato, diamantato, ermellinato, mosaicato, peduncolato, rotato (da ruota), titolato, unghiato (accanto a unghiuto), vetrato, timorato. Come altri aggettivi del genere, questi derivati si usano anche in senso figurato. Nel sintagma la pelle vellutata dei bambini, l'aggettivo significa "liscio, morbido come un velluto". L'aggettivo pergolato non significa solo "fornito di pergola", ma anche "costruito come una pergola", finestrate significa "munito di finestre" e in più "di stoffa con disegni a grandi riquadri". La formazione vinato "di una tinta di rosso simile al colore del vino" non viene usata che in questo senso figurato. Una formazione curiosa è forsennato, derivato dal sintagma fuori senno. Al margine di questo settore semantico sono situate certe formazioni col suffisso '-ico, che abbiamo già conosciuto con funzione relazionale. Soprattuto nell'ambito della chimica, tali aggettivi caratterizzano, tra l'altro, delle entità che contengono ciò che indica la rispettiva base derivazionale. Così, per esempio, alcolico col significato "che contiene alcol" in bevanda alcolica oppure asfaltico "che contiene asfalto", inoltre carbonico o cortisonico in farmaco cortisonico, anche caseinico, feldspatico, iodico, proteico in alimento proteico, vitaminico in verdura vitaminica o aromatico. La base derivazionale, normalmente di origine greca, di un altro gruppo di formazioni designa una malattia e l'aggettivo derivato significa "che ha una malattia / soffre di una malattia", come abulico "affetto da abulia" in persona abulica, similmente apatico "che denota apatia", poi arteriosclerotico, bronchitico, diabetico in paziente diabetico, anche encefalitico, psicotico, schizofrenico, nevrotico in soggetto nevrotico o paranoico in paziente paranoico. Famelico, con interfisso -el-, denota uno stato fisiologico transitorio. Aggettivi come entusiastico o euforico, invece, indicano stati d'animo positivi. In questo contesto possiamo ricordare ancora alcune derivazioni col suffisso -ario, come milionario, miliardario in sintagmi del tipo uno zio milionario / miliardario oppure concessionario "che ha ricevuto una concessione" in impresa concessionaria (cfir. anche 5.1.3.6.). È possessivo anche il tipo centenario "che ha cento anni", che presenta una variante -enario. Oltre a ciò va menzionato il suffisso '-eo in casi del tipo calcareo "contenente calcare", poi siliceo "contenente silice" in roccia silicea e, con base di derivazione dotta, sulfiirico "contenente zolfo", spumeo, terreo e terráqueo (con interfisso -aqu-), marmoreo (con interfisso -or-), ferrugineo (con interfisso -ugin-) ed altri. Se, attraverso una sostituzione di suffisso, l'aggettivo splendido viene messo in relazione con il nome splendore e fervido con fervore, potremmo ammettere un suffisso denominale '-ido (cfir. anche 5.1.2.1.2.1.6.). Accanto a ciò esistono i rispettivi verbi splendere e fervere, che dispongono, tuttavia, con le forme participiali splendente e fervente, di derivati aggettivali specifici. Da aggettivi come polverulento o sanguinolento, come in mani sanguinolente, si può ricavare un suffisso denominale -ulento/-olento. Ci appartengono anche gli aggettivi corpulento, feculento "pieno di feccia", inoltre flatulento, lutulento, succulento, sonnolento "pieno di sonno", fraudolento, vinolento. Certi derivati formati col suffisso -ino si avvicinano semanticamente agli aggettivi in -ifero\ troviamo perfino doppioni come corallifero e corallino. Possessivi e denominali sono anche alcuni aggettivi in -bondo come furibondo o sitibondo "che ha molta sete, assetato". Per concludere, menzioniamo ancora alcuni casi isolati: piovorno (lett.) "piovoso" (da piova "pioggia"), salmastro, riferibile - però solo in sincronia - a sale, solatio "esposto al sole", testardo, sterpigno "pieno di sterpi" e verace.

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5. Suffissazione

5.2.1.3. Aggettivi di disposizione uw Gli elementi di un piccolo gruppo di aggettivi in -(i)ero, che attribuiscono al referente, perlopiù umano, del nome testa una tendenza o inclinazione per l'entità designata dalla base di derivazione, possono essere denominati «aggettivi di disposizione» in senso lato (cfr. Rainer 1999b, 29). Così, ad esempio, manzognero, burliero, che significa "ben disposto a combinare burle, a scherzare", oppure battagliero "pronto alla lotta, combattivo", anche avventuriero "chi va in cerca di fortuna accettando rischi e facendosi pochi scrupoli" o mattiniero "che si alza di buon mattino" in persona mattiniera, eventualmente anche veritiero col significato "che dice la verità" in giornalista veritiero. In derivati come bananiero o laniero abbiamo incontrato questo suffisso con funzione relazionale (cfr. 5.2.1.1.2.). Il suffisso -ardo può svolgere una funzione comparabile in formazioni del tipo beffardo "che si fa beffe di qlcu. o di qlco." in un sintagma come uomo beffardo, oppure in bugiardo o patriottardo, da riferire forse - in sincronia - a patriottismo. Di questo gruppo fanno parte anche certi aggettivi formati col suffisso -ista, che abbiamo già conosciuto, anche esso, come suffisso relazionale (cfr. 5.2.1.1.2.). Questi aggettivi indicano delle disposizioni, soprattutto in formazioni sulla base di un nome proprio che designa gli aderenti a un partito, come in peronista o gollista; oltre a ciò in derivati sulla base di un nome comune, come in abortista (a. 1974) nel senso di "favorevole alla legalizzazione dell'aborto", per esempio in movimento abortista, in più scissionista nel sintagma ala scissionista. Spesso però, i derivati in -ista si usano, in italiano, soltanto con funzione nominale, come per esempio, nel nostro contesto, centometrista o cruciverbista (cfr. 5.1.1.1.6.). Per la formazione di aggettivi si preferisce il suffisso -istico: effettistico "che ricerca l'effetto" in messa in scena effettistica. Non di rado, una tendenza o una propensione per qualcosa viene espressa tramite un aggettivo in -oso, come in cerimonioso oppure bellicoso col significato "che propende verso la guerra", fazioso (da fazione), freddoloso e frettoloso, ambi con interfisso -ol-, poi catarroso, avventuroso nel senso di avventuriero "che ama, ricerca l'avventura", iroso (accanto a iracondo) "incline all'ira" in carattere iroso-, corrispondentemente languroso "incline alla languidezza" oppure lagnoso in bambino lagnoso, pauroso nel senso di "che si spaventa facilmente", puntiglioso "incline a fare le cose solo per puntiglio" o scherzoso "propenso allo scherzo". L'ultimo esempio mostra che la base nominale non designa esclusivamente entità di valore negativo. Il suffisso -oìde, che esprime soprattutto somiglianza (cfr. 5.2.1.1.3.), si può anche interpretare come suffisso disposizionale in anarcoide o sinistroide. Casi completamente isolati sono irascibile e maligno.

5.2.1.4. Aggettivi di effetto uw Con un altro piccolo gruppo di suffissi si formano aggettivi che indicano il suscitamento dello stato (in senso lato) designato dal nome base, come per esempio con -bondo in nauseabondo "che provoca nausea". Si può ammettere un suffisso -endo con lo stesso significato, se derivati come stupendo "che desta stupore per la sua bellezza" vengono messi in relazione con il nome stupore attraverso una sostituzione di suffisso; lo stesso vale, analogamente, per orrendo "che fa orrore" in un assassinio orrendo, inoltre pudendo da pudore e tremendo "che provoca tremore" in un giudice tremendo. In questo contesto occorre menzionare anche il suffisso '-ico in derivati come simpatico e antipatico "che ispira simpatia /

5.2. Derivazione

aggettivale

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antipatia". Il suffisso dotto -ifìco è specializzato in questa funzione semantica. Così per esempio in calorifico "che produce, che dà calore"; accanto esiste il neologismo calorigeno (a. 1955). Inoltre dolorifico, onorifico in titolo onorifico, poi sudorifico come sudorifero e fruttifico accanto & fruttifero e fruttuoso. L'aggettivo pacifico è lessicalizzato nel senso di "caratterizzato da spirito di pace", per esempio in protesta pacifica. Siccome gli aggettivi possessivi sono semanticamente vicini agli aggettivi di effetto non è sorprendente che anche in questo campo si trovino derivati in -oso, che non di rado possono assumere tutt'e due i significati: affannoso nel senso di "che procura affanno" in corsa affannosa oppure angoscioso "che provoca angoscia", appetitoso "che stuzzica l'appetito" in cibo appetitoso, inoltre brividoso, disgustoso, faticoso, penoso "che suscita pena", pietoso (da pietà), rincrescioso, sbadiglioso. I nomi fungenti da base derivazionale designano tendenzialmente delle entità con caratteristiche negative. Come casi isolati, menzioniamo ancora confusionario, con il suffisso -ario, orrido e orribile, ambedue riferibili a orrore.

5.2.1.5. Altri aggettivi denominali uw Concludendo aggiungeremo ancora alcuni suffissi più o meno marginali, spesso con significati alquanto specifici oppure esclusivi, che non rientrano facilmente in uno dei gruppi funzionali presi in considerazione finora. Procedendo in ordine alfabetico, cominciamo con il suffisso -abile/-ibìle ossia -evole con funzione denominale, il quale, essendo in fondo un suffisso deverbale (cfr. 5.2.2.2.2.), è riferibile in certi casi anche a una base di derivazione nominale. Così per esempio confortabile oppure confortevole col significato "che rasserena, che dà conforto e consolazione", che è da ricondurre, storicamente, a una derivazione dal verbo confortare. Similmente si presenta il caso di favorevole nel senso di "che approva, che è a favore" come in essere favorevole a qualcuno, la cui base di derivazione è il verbo favorire. Nettamente denominale è ragionevole "dotato di ragione" per esempio in l'uomo è un animale ragionevole, anche l'aggettivo di registro letterario salutevole da salute oppure amorevole "che esprime o denota amore", caritatevole e compassionevole "che suscita compassione" o pregiudizionale in comportamento pregiudizionale. Mentre questi esempi appartengono piuttosto alla categoria degli aggettivi possessivi oppure a quella degli aggettivi di effetto, il derivato tascabile "che può essere tenuto in tasca" corrisponde piuttosto agli aggettivi di disposizione deverbali del tipo rimediabile "che si può rimediare". Tascabile può essere messo in relazione con il nome tasca, dal momento che un verbo *tascare non esiste (c'è soltanto intascare). Indubbiamente denominali sono bancabile "che può essere scontato da una banca", camionabile "camionale", carrozzabile "predisposto per il passaggio di carrozze" o radarabile (a. 1974) "che può essere rilevato da un radar". L'aggettivo papabile col significato "che ha molte probabilità di essere eletto papa" costituisce un tipo particolare, scarsamente produttivo (cfr. tuttavia azzurrabile "che potrebbe essere selezionato per la squadra nazionale"). Ancora un'altra sfumatura semantica si trova nel derivato maestrevole da maestro, che significa "fatto con maestria"; similmente amichevole "da amico" o signorevole "da signore". Molto sorprendente, dal punto di vista della formazione delle parole, è l'aggettivo futuribile. Il suffisso nominale -ese che produce nomi di gerghi (cfr. 5.1.1.6.3.) in alcuni casi si usa anche con funzione aggettivale, come per esempio in termine sindacalese o linguaggio sinistrese. In questi casi tuttavia si potrebbe anche trattare di conversioni con il significato

5. Suffissazione

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"del sindacalese, del sinistrese". Gli unici aggettivi in -orso sono destrorso "che procede da sinistra verso destra" e sinistrorso "procedente da destra verso sinistra". In sonoro si potrebbe ammettere l'esistenza di un suffisso -oro in combinazione con il nome suono.

5.2.1.6.

Etnici FR

5.2.1.6.1. Considerazioni generali FR Gli aggettivi etnici costituiscono una delle categorie morfologiche più nutrite dell'italiano. Il DETI, il repertorio più completo di toponimi ed etnici del territorio italiano, ad esempio, ne registra più di 8.000, e a questo numero dovremmo aggiungere ancora un numero elevatissimo di derivati da toponimi non italiani sfortunatamente non ancora inventariati.1 Come nel caso degli aggettivi deantroponimici (eft·. 5.2.1.7.), il gran numero delle formazioni, ovviamente, è una conseguenza diretta del gran numero di basi potenziali, teoricamente l'insieme dei nomi - passati, presenti e futuri - di continenti, stati, regioni, città, paesi, frazioni di paesi, fiumi, montagne ecc. In realtà, però, solo una piccola parte di tutti gli etnici attestati è davvero di uso corrente: la competenza in merito dipende fortemente, per il livello locale, dall'origine del parlante e, per quello nazionale ed internazionale, dal suo grado di cultura. Un'altra particolarità ben nota degli etnici italiani, come di quelli romanzi in genere (cfr. Rohlfs 1968), è il gran numero di suffissi che concorrono ad esprimere questa categoria morfologica. Crocco Galèas 1991a, nel suo fondamentale studio sugli etnici dell'Italia (cfr. pp. 29-39), ne elenca ben 34, numero che aumenta ancora se includiamo gli etnici extraitaliani. Questa profusione di suffissi sinonimi si deve innanzitutto al fatto che la categoria degli etnici è sempre stata particolarmente aperta all'influenza di altre lingue, specialmente quella dalla cui area di uso proveniva il toponimo base. Come conseguenza di questo fatto, la distribuzione di alcuni suffissi è ancora oggi determinata essenzialmente da fattori geografici. Così il suffisso -asco di bergamasco ecc., di provenienza ligure (cfr. Rohlfs 1969, § 1120), è diffuso quasi esclusivamente nell'Italia settentrionale (oltre che nella Francia meridionale), mentre il suffisso -oto di liparioto ecc., per la sua origine greca (cfr. Rohlfs 1969, § 1139), si trova esclusivamente nel Meridione. L'altro fattore che ha contribuito notevolmente all'eterogeneità formale di questa categoria morfologica è una forte tendenza latineggiante. Molti toponimi italiani, ma anche stranieri, infatti, hanno un etimo antico che poi è stato utilizzato a volte in epoca più recente come base di derivazione per formare l'aggettivo etnico, oppure ci si è avvalsi direttamente dell'aggettivo etnico latino ove questo esisteva. La motivazione per questo ricorso al latino è da cercarsi senz'altro nell'intento di conferire alla propria città o paese una dignità superiore mettendo in risalto la sua antichità. Normalmente, accanto al latinismo, esisteva o esiste anche una forma autoctona di uso in qualche modo meno nobile (cfr. Crocco Galèas 1991a, 236-238). A volte il latinismo ha completamente soppiantato il derivato autoctono (cfr. chietino, sostituito da teatino < lat. teatinus, da Teate) o lo ha relegato all'uso popolare 1

Per la storia degli etnici, l'italiano dispone anche di un repertorio eccezionale, cioè il Deonomasticon Italicum di Schweickard, il cui primo fascicolo è uscito nel 1997. Lo stesso studioso ha anche offerto un buon panorama dei suffissi etnici italiani nel suo studio panromanzo sulle formazioni deonimiche (cfr. Schweickard 1992).

5.2. Derivazione

aggettivale

403

o degli anziani (cfr. todino accanto a tuderte < lat. tuders, -tis, da Tuder). In altri casi invece ambedue gli aggettivi sono usati nella lingua standard, ma in condizioni pragmatiche diverse. L'etnico suppletivo, in questi casi, si adopera soprattutto in denominazioni di istituzioni, agenzie, riviste ecc. (cfr. Caffarelli 2000d): padovano vs Quaderni patavini di linguistica, bolognese vs Pasticceria Felsinea ecc. Nel linguaggio giornalistico, la variante aulica appare preferibilmente al secondo posto in catene anaforiche, come nel seguente esempio tratto dalla Gazzetta dello Sport (Crocco Galèas 1991a, 238): «Lo scorso anno, il tecnico non fece mistero di puntare allo scudetto. 'Perché il Napoli aveva appena vinto l'Uefa', spiega Bigon. Quest'anno, volendo fare lo stesso ragionamento, la squadra partenopea dovrebbe puntare a vincere il massimo torneo europeo.» Fin qui abbiamo parlato solo dell'uso aggettivale degli etnici. In verità, però, gli etnici italiani possono usarsi sia in funzione aggettivale che nominale: un italiano / la squadra italiana. Per una piccola minoranza di casi però, in cui l'etnico si forma per semplice conversione perché il toponimo termina in una sequenza formalmente identica o simile a un suffisso relazionale, è attestato solo l'uso nominale: Albiano —* gli albiani / *la squadra albiana, Brésimo —*• i bresimi / *la squadra bresima ecc. Il gruppo intero, secondo Crocco Galèas 1991a, 176-177, comprende 44 membri, di cui ben 35 sono toponomi di secondaria importanza della provincia di Trento. La ragione per cui questi etnici non possono usarsi in funzione aggettivale, secondo l'autrice (cfr. p. 13), sarebbe che essi possono usarsi solo al plurale. Da questo fatto, poi, Crocco deduce che nell'italiano moderno la funzione nominale degli etnici sia primaria e quella aggettivale dovuta a conversione: «Il carattere nominale di pluralia tantum blocca la conversione in funzione aggettivale, poiché impedisce la formazione parallela di singolare e di genere femminile che consente l'impiego dell'etnico in senso aggettivale. L'unica spiegazione plausibile di questo stato di cose relativo agli etnici per conversione è che gli etnici nella fase sincronica dell'italiano moderno siano dei sostantivi e solo per una forma di economia grammaticalizzata dell'italiano assumano anche il valore di aggettivi di relazione.» Questo ragionamento non mi sembra molto convincente. Utilizza, per decidere un problema grammaticale dell'italiano standard, evidenza tratta da un manipolo di formazioni marginali sconosciute praticamente tutte all'utente normale. L'uso esclusivamente nominale descritto da Crocco infatti è doppiamente limitato: da un lato concerne solo una parte del piccolo gruppo degli etnici per conversione, e dall'altro, come abbiamo già osservato, mostra una concentrazione geografica estremamente spiccata nella provincia di Trento. Queste due circostanze, mi sembra, inviterebbero piuttosto a cercare una spiegazione per il loro comportamento eccezionale in una di queste circostanze particolari oppure in entrambe. La questione della priorità dell'uso nominale o aggettivale nella lingua standard, dove tutti gli etnici, con pochissime eccezioni (cfr. ebreo Ν / ebraico A e p. 404, η. 1), permettono ambedue gli usi, dovrebbe essere risolta sulla base di argomenti che fanno riferimento solo al comportamento nella lingua standard e alla competenza del parlante medio. Le ipotesi da prendere in considerazione, a rigor di logica, sono tre: (a) l'etnico nominale e l'etnico aggettivale sono formati da regole indipendenti, (b) l'etnico aggettivale è derivato da quello nominale per conversione o (c) viceversa. L'ipotesi della derivazione parallela ed indipendente è senz'altro quella più problematica, dato che non spiega perché il suffisso scelto dalle due regole e le allomorfie dei derivati sono sempre identici negli etnici aggettivali e nominali, fatto ancora più sorprendente alla luce della grande varietà di suffissi utilizzati e

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5. Suffissazione

della grande diffusione delle allomorfie e persino del suppletivismo. Se le due regole fossero davvero indipendenti, ci aspetteremmo di trovare per lo meno qualche minima spia di una evoluzione indipendente. L'ipotesi (b) è quella difesa da Crocco, come abbiamo visto. L'unico criterio per decidere la questione della direzionalità di una regola di conversione da un punto di vista sincronico è, come già rilevato da Marchand 1964b, la semantica: è da considerare derivato l'uso che logicamente presuppone l'altro. Consideriamo, ad esempio, che pep(are) è derivato da pep(e) e non viceversa, perché "condire con pepe" presuppone "pepe", ma non viceversa. Applicando questo criterio al nostro caso, dobbiamo domandarci se l'uso nominale presuppone quello aggettivale o viceversa. Il significato di un etnico nominale è "abitante di X", dove X sta per il toponimo base. Se l'aggettivo, come nell'ipotesi (b), fosse derivato dal sostantivo, la parafrasi dell'aggettivo dovrebbe incorporare, in qualche modo, il significato "abitante di X". In una frase come la puntualità svizzera, la parafrasi richiesta dall'ipotesi (b), cioè "la puntualità degli abitanti della Svizzera", sarebbe certamente plausibile. La sua plausibilità, però, dipende fortemente dal contesto. Una macchina italiana, ad esempio, non è parafrasatale con "una macchina degli/prodotta, utilizzata dagli abitanti dell'Italia", né il mio viaggio parigino con "il mio viaggio degli/agli abitanti di Parigi". Ora, gli esempi in cui è impossibile includere gli abitanti nella parafrasi dell'aggettivo etnico sono molto più frequenti di quelli in cui tale inclusione è possibile. Il criterio semantico sembra dunque parlare contro l'ipotesi della conversione sostantivo —* aggettivo. Rimane l'ipotesi (c) di una conversione aggettivo —» sostantivo. Regge di fronte al criterio semantico? Il significato di un aggettivo di relazione viene descritto spesso come identico a quello del sostantivo base, mentre tratti semantici addizionali che normalmente sono presenti nelle parafrasi secondo questa concezione sarebbero delle inferenze contestuali. Che parigino in viaggio parigino significhi "a Parigi" mentre in sindaco parigino significa "di Parigi", infatti, non è determinato dal suffisso relazionale -ino bensì dal contesto, più specificamente dal fatto che il concetto di "viaggio" implica una destinazione e quello di "sindaco" una città o un paese dove la carica viene esercitata. Se dunque accettiamo che il significato morfologico di un aggettivo di relazione è semplicemente "X", possiamo dire che il significato dell'uso nominale, cioè "abitante di X", presuppone effettivamente il significato dell'uso aggettivale corrispondente. Proponiamo dunque di adottare l'ipotesi (c) di una conversione aggettivo —» sostantivo come quella più plausibile.1 Qualcuno potrebbe sostenere che in una lingua come il tedesco, dove i nomi di abitanti e gli aggettivi etnici si formano secondo regole anche formalmente distinte, la direzionalità vada dal nome all'aggettivo: Bergamo / {ein) Bergam-ask-e "(un) bergamasco" / bergamask-isch "bergamasco", China "Cina" / (ein) Chin-es-e "un cinese" / chin-es-isch "cinese", Florenz "Firenze" / (ein) Florent-in-er "(un) fiorentino" / florent-in-isch, Neapel / (ein) Neapol-itan-er "(un) napoletano" / neapol-itan-isch "napoletano" ecc. Come si vede, l'aggettivo etnico si forma aggiungendo il suffisso -isch alla base del nome di abitante corrispondente senza il suffisso -e o -er. Se dunque in tedesco l'aggettivo è derivato dal nome, perché non anche in italiano? La ragione è che in tedesco la dipendenza dell'aggettivo dal nome è puramente formale: il nome d'abitante determina l'allomorfia dell'aggettivo etnico, ma non il suo significato che, esattamente come in italiano, fa riferimento direttamente al Si potrebbe anche addurre come argomento il fatto,ricordatoda Migliorini 1957c, 143, che alcuni etnici conoscono solo un uso aggettivale: Vaticano / biblioteca vaticana / *i vaticani, Appenini /

«da le selve appennine» (Carducci) / *gli appennini ecc.

5.2. Derivazione aggettivale

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toponimo. Siamo dunque di fronte a un caso di allomorfia determinata paradigmáticamente (cfr. 1.2.4.2.), e non di derivazione vera e propria: bergamaskisch deriva da Bergamo, ma prende come base la forma del nome di abitante meno il suffisso, come il nome d'azione latino in -io concessio "l'azione di concedere" deriva da concedere ma prende come base la forma del participio passato concess(us). Oltre a quello del rapporto fra aggettivo di relazione e nome di abitante, gli etnici presentano ancora un altro problema interessante di direzionalità. Nella stragrande maggioranza delle formazioni non c'è dubbio che l'aggettivo di relazione è derivato dal toponimo, come suggerisce anche il fatto che il derivato aggettivale ha un suffisso in più rispetto alla base: tirol-ese, molis-ano, romagn-olo ecc. Esiste però anche un numero non irrilevante di casi in cui a un toponimo in -ia, accentato o non, corrisponde un aggettivo etnico meno lungo: Bulgaria / bulgaro, Campania / campano, Dalmazia / dalmata, Irpinia / irpino, Iugoslavia / iugoslavo, Lombardia / lombardo, Morlacchia / morlacco, Pomerania / pomerano, Russia / russo, Sassonia / sassone, Serbia / serbo, Svevia / svevo, Umbria / umbro, Vallonia / vallone ecc. Se guardiamo queste coppie sullo sfondo dell'intera categoria morfologica degli etnici, la soluzione più naturale sembra essere quella di derivare l'aggettivo etnico dal toponimo via un processo di sottrazione di -ia: Bulgaria bulgaro ecc. Tale soluzione però non è senza inconvenienti. Il problema minore sarebbe il fatto che la sottrazione è un processo piuttosto marginale dal punto di vista tipologico. Più grave è il fatto che la sottrazione non permette di predire, in tutti i casi, l'accentazione, la categoria flessiva e l'allomorfia (cfr. bulgaro, dalmata o sassone). L'unica maniera di scrivere una regola sottrattiva dall'uscita uniforme sarebbe di dichiarare esempi come questi come delle eccezioni. Ora, si noti che assumendo la direzione opposta, cioè bulgaro —> Bulgaria ecc., diventa possibile dare alla regola una grande uniformità. Sembra parlare a favore di questa ipotesi anche il fatto che -ia è un suffisso locativo che ha conservato una certa produttività fino al giorno d'oggi (cfr. 11.2.1.). Ma questo suffisso locativo -ia utilizzato per formare toponimi si aggiunge oggi preferentemente a nomi e non a aggettivi (cfr. Carbonia, Mussolinia, Berlusconia ecc.) e ha una connotazione di artificialità o ludicità del tutto assente dai toponimi citati sopra. Sono perciò dell'avviso che una regola di aggiunta di -ia, benché corretta da un punto di vista diacronico, non abbia più una grande plausibilità da un punto di vista sincronico, dove sembra prevalere, per i parlanti, il criterio dell'uniformità della categoria morfologica. L'inversione della regola, comunque, non ha portato ad un rapporto derivazionale produttivo. 5.2.1.6.2.1 singoli suffissi FR Come abbiamo già detto, la categoria morfologica degli etnici è espressa, in italiano, da non meno di 35 suffissi per il solo territorio italiano. Fra questi 35 suffissi, però, uno ha una posizione privilegiata di suffisso di default e unico suffisso veramente produttivo: -ese.1 Secondo la statistica elaborata da Crocco Galèas 199la, 27-28 sulla base degli etnici del territorio italiano, -ese da solo forma il 68% degli etnici, seguito a grande distanza da -ino e 1

La strutturazione interna della categoria degli etnici italiani si differenzia dunque nettamente da quella degli etnici spagnoli (cfr. Rainer 1999b, 4622-4623), dove non esiste nessun suffisso di default, bensì mezza dozzina di suffissi che godono di una certa produttività di fronte a 43 suffissi non produttivi.

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5. Suffissazione

-ano con, rispettivamente, il 7,8 e il 7,6%. Dei 32 suffissi restanti, solo -ense, la variante latineggiante di -ese, riesce, con Γ 1,26%, a superare la soglia dell'I%. La conversione è utilizzata nell'I % dei casi. Questi dati si riferiscono alla lingua standard, mentre a livello dialettale le proporzioni sono in parte diverse. Va menzionato ancora che per l'8% dei toponimi nello standard e il 22,39% a livello dialettale non è attestato nessun etnico di tipo morfologico: le funzioni degli etnici, in questi casi, sono svolte da perifrasi sintattiche del tipo uno di X, quelli di X ecc. Nei paragrafi seguenti, descriveremo individualmente, basandoci essenzialmente su Crocco Galèas 199la, 29-39 e gli etnici del DISC, i vari suffissi in ordine di frequenza decrescente. Il suffisso -ese , come abbiamo visto, è quello di gran lunga più importante per la formazione di etnici: cinese, francese, olandese, viennese, amburghese, pugliese, bolognese, torinese ecc. È l'unico produttivo e tende a sovrapporsi ad altri suffissi nei processi di sostituzione. Oltre che nella sua forma semplice ricorre anche in combinazione con interfissi: Albenga —> albeng-an-ese, Ardea —• arde-at-ese, Sesto Campano —• Sest-ol-ese, Narcao —• narc-ar-ese, Atene • aten-i-ese, Albi —» albi-g-ese, Bali bali-n-ese vs Bari —> barese, Forlì —*• forli-v-ese ecc. Anche la base derivazionale può subire dei cambi formali: Albania —*• albanese, Catania —• catanese (la caduta di -i(a), accentato e non, è regolare davanti a -ese), Siena —> senese vs Vietri sul Mare —* vietrese, Orgosolo —» orgolese, Portogallo —* portoghese, Inghilterra —» inglese ecc. Il secondo suffisso per ordine di importanza è -ano: africano, americano, andorrano, italiano, mozambicano, friulano, molisano, romano, veneziano, ampezzano ecc. Anche qui osserviamo parecchie formazioni con interfissi: Salerno —* salern-it-ano (tipo molto frequente), Napoli —• napol-et-ano (anche, sebbene molto più raramente, napol-it-ano), Asti —> ast-igi-ano (anche questo un tipo frequente), Valle Agricola —• vall-egi-ano, Calci —* calc-is-ano ecc. La variante -iano, tanto frequente con i nomi propri di persona (cfr. 5.2.1.7.2.1.), è molto meno frequente con toponimi. Si trova raramente in territorio italiano (cfr. Lesa —* lesiono; italiano e formazioni simili sono da segmentare come itali-ano), un po' più frequentemente all'estero: bostoniano, singaporiano, Perù —• peru-v-iano ecc. Si noti poi che questa variante ha il monopolio con i pianeti: gioviano, marziano, saturniano, venusiano (ma: terrestre). Il suffisso -ino ha quasi la stessa frequenza di -ano: brabantino, levantino, trentino, parigino, bolzanino, Reggio Calabria reggino vs Reggio Emilia —> reggiano, poi con diverse allomorfie: Alessandria —> alessandrino, Piacenza —> piacentino, Firenze —> fiorentino, Arezzo —* aretino, Elba —• elb-ig-ino, Gubbio —> eugubino ecc. Come si desume anche da questi esempi, il suffisso -ino ricorre con particolare frequenza con basi che finiscono in -ntV. A grande distanza, ma con una frequenza ancora superiore all' 1%, segue -ense, la variante dotta di -ese: Capo di Buona Speranza —* capense, comense (accanto a comasco e comàcino), copenaghense, estense, ostiense, panamense, parmense (accanto a parmigiano) ecc. Per la sua origine dotta, è particolarmente frequente con basi suppletive: Buenos Aires —> bonaerense, Udine —• utinense (accanto al più comune udinese), Subiaco —ι• sublacense, Ivrea —> eporediense ecc. Il resto dei suffissi, tutti improduttivi, si elencherà qui di seguito approssimativamente per ordine decrescente di importanza. Il suffisso -oto, come abbiamo già osservato, è di origine greca e perciò limitato all'Italia meridionale (con l'eccezione di Veglia —» vegliotó): Lipari —» liparioto, Squillace

—* squillacioto ecc. La forma -oto è un adattamento della forma greca originaria -(i)ota, che appare anche in alcuni etnici dell'Italia meridionale (cfr. Maratea —* marateota ecc.) oltre che in un certo numero di etnici greci o più generalmente orientali: Cipro —> cipriota, Epiro

epirota, Cairo —•

5.2. Derivazione aggettivale

407

cairota ecc. Il suffisso -otto serve normalmente a formare diminutivi (cfr. 5.1.1.7.16.1.5.), ma secondariamente è anche attestato, nell'Italia settentrionale e centrale, nella funzione di suffisso etnico: badiotto (anche badioto, secondo la pronincia locale), chioggiotto, rovigotto, varesotto ecc. Ma si osserva anche fuori del territorio italiano: Candia —• candiotto ecc. Come abbiamo già osservato, -asco è di origine preromana e limitato all'Italia settentrionale e alla Francia meridionale: bergamasco, comasco, monzasco, vigevanasco, Monaco —» monegasco ecc. Il suffisso -ate ricorre soprattutto nell'Italia centrale: aquinate, assisiate, cassinate, ravennate, urbinate ecc. Anche il mondo greco conosceva un suffisso etnico -ate: Elea —* eleate ecc. In una sola formazione il suffisso prende la forma -(i)ata: Crotone —» crotoniata. Successori del suffisso latino -arius sono ben rappresentati nei dialetti sotto varie forme fonetiche, soprattutto -aro, la variante settentrionale e meridionale (Bianchi —> biancaro, Fontecchio —• fontecchiaro ecc.), ma anche -are (San Basile —> sanbasilare), -ere (Masi —• masiere), -aio (Buggerru —> buggerraio) e -ero (Transaqua —* transaqueró). Il suffisso diminutivo -(u)olo è utilizzato anche nella formazione di etnici: Bastia —• bastiolo, romagnolo, Ceraso —• cerasuolo, sardegnolo (in riferimento ad animali) ecc. Da luoghi esterni al territorio italiano l'esempio più noto è spagnolo. Anche -aiolo/-arolo da un punto di vista diacronico contengono il suffisso -olo: Macchia d'Isemia —• macchiarolo, Costa Vescovato —» costatolo ecc. Anche -atto, diffuso soprattutto nell'Italia settentrionale, è un suffisso originariamente diminutivo: Bieno —» bienatto, Posino —• posinatto, Vernio —> verniatto ecc. Il suffisso -eo ricorre con toponimi del Medio Oriente antico e in poche formazioni italiane: Micene —> miceneo, Saba —» sabeo, Ragusa —> raguseo (accanto a ragusano), Erma —* enneo, Napoli —• partenopeo ecc. In Bologna —* felsineo ricorre il suffisso atono '-eo. Il suffisso atono '-ero è un adattamento del suffisso tedesco -er, ricorre in alcune formazioni delle province di Trento e Bolzano: Lauregno —* lauregnero, Luson —• lusonero ecc. Il suffisso -esco è presente in pochi etnici: Barberia —> barbaresco, Mezzano —> mezzanesco, Pantelleria —• pantesco ecc. Romanesco è derivato dal sostantivo etnico romano e si usa in funzione aggettivale, accanto a romano aggettivo, per riferirsi alla città di Roma e ai suoi abitanti (dialetto romanesco ecc.). Il suffisso -ita è di origine greca e perciò s'incontra in parecchi etnici del mondo antico: Betlemme —> betlemita, Ebla —> eblaita, Moab —* moabita, Stagira —> stagirita ecc., ma anche nell'Italia meridionale (Adrano —> adranitd) e in altre parti del mondo {Kiev —> kievita. Mosca —> mosc-ov-ita, vietnamita). Nell'Italia meridionale s'incontra anche la sua variante italianizzata -ito: Ciminna —> ciminnito ecc. Il suffisso '-ico si usava già in funzione etnica in latino: asi-at-ico, britannico, iberico, libico, Albavilla —* albavillico, Cesena —* cesen-at-ico, Livorno —* Labronico (accanto al più comune livornese). Anche -eno è ancora fortemente legato al mondo antico: antiocheno, damasceno ecc.; in Italia ricorre solo in formazioni dotte: Caltanissetta —* Nisseno, Lonigo —» Leoniceno ecc. In altri esempi è l'adattamento del suffisso spagnolo -eno (cileno < sp. chileno) o -eño: Madrid —» madrileno (cfr. sp. madrileño), santiagheno ecc. Foneticamente più fedele è il calco Caracas —» carachegno, con suffisso -egno. Di origine germanica è -ardo, che è tipico dell'Italia nordoccidentale e della Francia meridionale: Baia e Latina —> baiardo, Nizza Monferrato —» nizzardo, Savoia di Lucania —• savoiardo ecc. Solo tre volte ricorrono i suffissi -ato (cfr. Bevagna —• bevenato), -ertel-urte (cfr. Todi —* tuderte, Tivoli —• tiburté), -ingol-engo (cfr. Abbadia San Salvatore —> abbadingo, Rorà —* rorengo), -ente (cfr. Iglesias —* iglesiente), -one (cfr. Montagna in Valtellina —» montagnone; ma cfr. anche fuori d'Italia: borgognone, Frisia —» frisone ecc.1), -erno (cfr. Velletri —» Veliterno). Solo due volte ricorre, nel corpus di Crocco, -ale (cfr. Badia Tedaldo —> badiale), che però è anche presente in laziale, provenzale e nel gruppo omogeneo orientale, occidentale, meridionale e settentrionale, una sola volta -oo (cfr. Gela —• geloo), -elio (cfr. Centa San Nicolò —• centarello), -inco (cfr. Bosa —> bosinco), -occo (cfr. Busto Arsizio —» bustocco), -ore (cfr. Cursi —* cursore) e -uso (cfr. Secli —• secluso), -àcino (cfr. Como —> comacino), -àcolo (cfr. Fiera dì Primiero —• fieracolo), -ertinoAurtino (cfr. Todi tudertino, Tivoli —• tiburtinó). Rari sono anche i seguenti suffissi di origine greca che s'incontrano solo in formazioni da luoghi esterni al territorio italiano e perciò non menzionate da Crocco: '-io (cfr. Corinto —• corinzio, Mileto —* milesio ecc.), -iaco (cfr.

Diverso è il caso del suffisso atono '-one di Bretagna —* bretone e sassone, l'etnico corrispondente a Sassonia.

5. Suffissazione

408 peloponnesiaco,

austriaco ecc.), -dico (cfr. Cirene —> cirenaico ecc.). Un suffisso -acco si può identi-

ficare solo in Polonia —«• polacco. Per terminare, rimane ancora da trattare il caso interessantissimo, «scoperto» da Migliorini 1957c e più recentemente descritto in Crocco Galèas 1991a, 171-228, degli etnici formati via conversione. Crocco ne distingue due gruppi, uno in cui l'etnico funge tanto da aggettivo di relazione quanto da nome di abitante e un secondo gruppo, al quale abbiamo già accennato in 5.2.1.6.1, in cui l'etnico si usa solo come sostantivo al plurale (cfr. 7.2.1.6.). Esempi illustrativi di questi due gruppi sono ordinati alfabeticamente nella tabella 1 secondo lo pseudosuffisso che contengono. La tabella dà un solo esempio per ogni pseudosuffisso, per cui va aggiunto che -ano e -ino sono quelli di gran lunga più rappresentati. 1 Minucciano Castrovìllari Terzolàs

minucciano castrovillàro terzolasio

Trambileno Villa Estense

trambileno estense

Chiesina Matetica

chiesinauzzanese matetico

Montalcino Terragnolo

Uzzanese

montalcino terragnolo

Albiano Dimaro Cavaso Novaledo Massimeno

gli albioni i dimari i cavasi i novaledi i massimeni

Sover Termini Imerese Aviatico Brésimo Bosentino

i soveri gli imeresi gli aviatici i bresimi i bosentini

Padergnone Siror Commezzadura

i padergnoni i sirori i commezzaduri

Tabella 1 : Etnici per conversione (inibizione della suffissazione) Si tratta, tuttavia, di un tipo di conversione molto particolare nella misura in cui essa, con poche eccezioni, si applica solo a basi che terminano in una sequenza che è identica o per lo meno simile a un suffisso reale. Più che di conversione, perciò, converrebbe forse parlare di inibizione della suffissazione a causa della presenza nella base di una sequenza pseudosuffissale. Parla a favore di quest'ultima interpretazione anche un caso come Castrovìllari —• castrovillàro, dove lo spostamento dell'accento mostra che i parlanti vedono in castrovillàro un suffisso -aro. Comunque sia, si tratta di un tipo di formazione in regresso ed estendibile tutt'al più per via di analogie molto locali (cfr. Crocco Galèas 199la, 173 e 185).

Agli esempi di Crocco si dovrebbero ancora aggiungere esempi italiani la cui base è uno stato {Vaticano —» vaticano) o una regione come Toscana —• toscano o Lunigiana —* lunigiano ed

esempi da luoghi esterni al territorio italiano come Galilea —» galileo, Indostan —> indostano ecc. Non si scorge nessuna coincidenza con una sequenza suffissale dell'italiano standard per coppie come Frigia —> frigio, Svizzera —* svizzero ecc.

5.2. Derivazione

5.2.1.7.

aggettivale

409

Deantroponimici CHS

5.2.1.7.1. Considerazioni generali CHS In questo capitolo verranno trattati gli aggettivi deantroponimici, cioè quelli derivati da nomi propri di persona. Rispetto ai derivati da nomi comuni si osservano due differenze che giustificano pienamente un trattamento particolare: da un lato, i suffissi utilizzati coincidono solo in parte e dall'altro anche la loro produttività è alquanto differente. Oltre a ciò, la formazione di aggettivi deantroponimici ubbidisce a una serie di condizioni che consigliano di trattarli separatamente. Come per gli etnici, anche per i deantroponimici vanno distinti i derivati da nomi propri italiani dai derivati da nomi esteri giacché in quest'ultimo caso, l'italiano non di rado si orienta ai modelli alloglotti (cfr. gr. sokratikós > it. socratico, spagnolo cervantino > it. cervantino, inglese blairite > it. blairita ecc.). Un'altra particolarità consiste nella scarsa frequenza di molte formazioni. Come si è detto in 1.2.2.1., la forza del blocco esercitato da una parola esistente su una parola complessa virtuale ben formata dal punto di vista morfologico dipende dalla frequenza della parola bloccante. Per la loro scarsa frequenza molti derivati deantroponimici hanno dunque una capacità molto ridotta di bloccare la creazione di aggettivi derivati per mezzo di suffissi sinonimi. Il nome del filosofo greco Epicuro, ad esempio, secondo il GRADIT ha dato luogo ai derivati epicuro, epicuraico, epicureico e epicurèo, di cui solo l'ultimo si caratterizza come «comune», mentre gli altri vengono rispettivamente considerati come «obsoleto», «di uso solo letterario» oppure «di basso uso». Non avendo memorizzato la forma usuale e volendo usare un aggettivo deantroponimico, i parlanti si vedono dunque spesso obbligati a ricorrere a modelli analogici scelti secondo affinità sia formali sia enciclopediche (epoca o paese in cui viveva il personaggio denominato dal nome proprio, il suo campo di attività ecc.). Per quanto concerne l'asse temporale, il nostro studio, pur basandosi su un corpus fondamentalmente sincronico di derivati attestati nel '900, acquisisce nondimeno una dimensione diacronica perché include derivati creati secoli fa secondo le regole dell'epoca e non più in vigore al giorno d'oggi. Siamo partiti da un campione costituito di circa 3000 antroponimi appartenenti a tutte le epoche, originari di tutti i continenti e, nella misura del possibile, un po' di tutti i domini professionali. Per tutti questi antroponimi sono stati poi cercati aggettivi deantroponimici corrispondenti (2035 in tutto). Molto presto è risultato che i derivati da antroponimi sono trascurati dalla vocabolaristica ancora più di quelli da toponimi. Infatti vi sono registrati soprattutto i derivati da nomi di personaggi considerati come «classici», mentre pure nei grandi dizionari come il GRADIT e il GDLI si cercano invano derivati anche molto usuali corrispondenti a personaggi moderni, come berlusconiano o wojtyliano. Risultava dunque necessario allargare il corpus e prendere in considerazione innanzitutto il linguaggio giornalistico, che dà prova di una particolare predilezione per formazioni del genere. A questo scopo ci siamo serviti degli archivi di alcuni giornali italiani disponibili su Internet, come per esempio quelli della Gazzetta dello Sport, del Corriere della Sera o de la Repubblica. Inoltre ci sono stati utilissimi come fonti sia Schweickard 1992 che il motore di ricerca Google.1

Per escludere derivati formati da parlanti non italofoni, siamo ricorsi al tipo di ricerca che permette di limitare la ricerca alle sole pagine strettamente italiane.

410

5. Suffissazione

Siccome i nomi propri spesso non hanno la forma canonica di parole italiane, si possono osservare alcune particolarità formali nella derivazione deantroponimica: (a) Di solito una vocale finale accentata della base è conservata, cfr. deandreano ( A, processo inverso del più comune A —» V: sono i «participi accorciati» toscani oggi solo aggettivali, come adorno, avvezzo, carico, colmo, frusto, gonfio, guasto, logoro, pesto, scemo, storpio, stufo, sveglio, tocco e altre formazioni analoghe (ma non riconducibili a participi) come brillo, sdrucciolo, spiccio. Su questo cfr. 7.3.2.1.1.

5.2.2.2.6. Ai margini della categoria DR Esistono alcuni suffissi dallo status tutt'altro che marginale nella morfologia italiana, che però entrano solo marginalmente in considerazione qui, perché formano aggettivi deverbali

442

5. Suffissazione

solo sporadicamente, essendo di norma caratterizzati da una diversa categoria d'ingresso (cfr. 5.2.2.2.6.1.) o di uscita (cfr. 5.2.2.2.6.2.). 5.2.2.2.6.1. Derivati con suffissi non tipicamente deverbali DR Tra i numerosi suffissi aggettivali denominali, l'unico che si applica con una frequenza non trascurabile anche a basi verbali è -oso (cfr. 5.2.1.2.), che viene così a costituire un sia pur limitato controesempio all'ipotesi modificata della base unica (per cui cfr. Scalise, 1984, 138-146). Tra le più comuni formazioni di questo tipo - una quindicina nel DISC - si possono citare appiccicoso, desideroso, dubitoso, incazzoso (datato dal GRADIT al 1982), pensoso, piagnucoloso, piovigginoso. Neoformazioni giornalistiche dalla Stampa: dittatura urlata, agitosa e gesticolante (30-12-98, 28), borbottoso reazionario (9-12-98, 24), automobile luccicosa (21-2-98, 39), ragazzo punzecchioso (29-8-98, 22), in vena sbaciucchiosa (11-8-97, 13). E probabile che questo slittamento di categoria sia fortemente agevolato dalla mediazione di derivati categorialmente ambigui. Dalle molte formazioni ineccepibilmente denominali per forma e semantica come contagioso, franoso, giocoso, gustoso, minaccioso, sospiroso, che però potrebbero altrettanto bene essere analizzate come deverbali, grazie all'esistenza dei corrispondenti verbi convertiti franare, giocare ecc., si passa (per rianalisi dei precedenti?) ad aggettivi in cui la derivazione denominale è ancora formalmente praticabile, ma semanticamente meno plausibile di quella deverbale: costoso / ringhioso/spaventoso sono meglio parafrasabili con "che costa / ringhia / spaventa" piuttosto che "pieno di, caratterizzato da costo / ringhio / spavento", anche perché i nomi in questione sono conversioni dei rispettivi verbi e non viceversa. Passando per casi come scivoloso, ancora più sbilanciati in direzione deverbale (essendo il significato di scivolo concreto e ristretto rispetto al verbo), si arriva alle formazioni inequivocabilmente deverbali citate sopra. Parimenti deverbali potrebbero considerarsi alcune formazioni in -istico (attendistico, deterministico, dirigistico, garantistico, trasformistico), che possono però anche essere forse più plausibilmente - derivate dai nomi/aggettivi in -ista con -ico, o dai nomi in -ismo con cambio di suffisso. Con '-tico sono deverbali erratico, iniziatico e in sincronia forse anche statico', con -aneo sono analizzabili come deverbali (anche se si tratta di formazioni già latine) almeno consentaneo e succedaneo. Infine, con -ardo si possono citare infingardo, l'antiquato leccarde (entrambi ormai alquanto opachi) e capitolardo, apparentemente novecentesco ma già obsoleto. 5.2.2.2.6.2. Derivati con suffissi non tipicamente aggettivali DR Il principale suffisso deverbale che forma in primo luogo nomi e solo secondariamente aggettivi è senz'altro -(t)ore/-trice. Il suffisso ha un tale rilievo nel lessico che lo si potrebbe anche considerare un formante aggettivale tout court, al fianco di -nte, -(t)ivo e -(t)orio, con la stessa semantica di base individuata dalla parafrasi "che V": non c'è dubbio infatti che molti derivati agentivi (cfr. 5.1.3.2.) o strumentali (cfr. 5.1.3.3.) in -(t)ore possano essere usati con funzione aggettivale: popoli colonizzatori, apparecchio registratore ecc. Tuttavia, in grande maggioranza gli usi aggettivali (oltre ad essere molto più rari nei testi di quelli nominali) possono essere considerati dipendenti semanticamente da un corrispondente uso nominale e sono perciò meglio trattabili in termini di conversione Ν —» A (cfr.

5.2. Derivazione aggettivale

443

7.3.1.3.). Estremamente indicativo in questo senso è un conteggio complessivo (analogo a quello riportato nella tabella 2 per -nte) del numero dei derivati in -(t)ore da base italiana registrati dal DISC. Dei 1716 derivati (formazioni non trasparenti incluse), ben 1694 (il 98,7%!) sono nominali, e per meno di un terzo di questi (553) è dato anche l'uso aggettivale. Quindi i derivati esclusivamente nominali sono 1141, a fronte di appena 22 derivati esclusivamente aggettivali: con un quadro così sbilanciato, è ragionevole pensare che anche le parole per le quali sono registrati come possibili entrambi gli impieghi siano per lo più da considerare prioritariamente nomi. E indiscutibile, peraltro, che ci siano formazioni in -(t)ore con carattere unicamente o prioritariamente aggettivale: cfr. chiarificatore, civilizzatore, conservatore, risolutore, rivelatore, vivificatore ecc. Per questi casi, per quanto limitati di numero, la descrizione in termini di conversione Ν —» A appare controintuitiva, il che conduce ad ammettere l'esistenza (sia pure sporadica) di un vero e proprio suffisso -(t)ore aggettivale - con il corrispondente femminile -trice - ed è in definitiva la ragion d'essere di questo paragrafo. Contrariamente a quel che ci si potrebbe aspettare, gli aggettivi in -(t)ore/-trice - sia quelli formati per derivazione sia quelli formati per conversione - sono usati prevalentemente, molto più spesso che per riferirsi a nomi animati o indicanti strumenti, come modificatori di nomi astratti indicanti azioni (opera risanatrice, impegno riformatore, furia devastatrice ecc.) oppure qualità e stati d'animo, visti come forze all'origine dell'azione (furberia calcolatrice, delirio restauratore, ansia moralizzatrice ecc.). In questi usi il parallelismo con le formazioni in -(t)ivo, -(t)orio e anche -nte può essere molto stretto, come si vede bene nei casi di loro impiego coordinato: una violenza a suo modo «costruttiva», non quella distruttrice che si moltiplica [...] (La Stampa 18-2-96, 17); politica [...] dilapidatrice, distruttiva del bilancio domestico (La Stampa 29-3-96, 1); funzione conservatrice e ricattatoria (La Stampa 2-11-96, 1); potenza destabilizzante e distruttrice della guerra (La Stampa 9 - 8 - 9 8 , 19). Questo non significa però che gli aggettivi in questione siano completamente sinonimi di quelli in -(t)orio e -(t)ivo: infatti, non ne condividono assolutamente l'accezione di relazione, ma solo quella propriamente eventiva (estesa tutt'al più, e con qualche difficoltà, ai casi intermedi parafrasatali con "di V", dopo nomi come capacità e sim.). Si confrontino la sostanziale equivalenza di macchina organizzativa / organizzatrice, organo articolatore / articolatone, sguardo inquisitore /inquisitorio con l'impossibilità di *difficoltà organizzatrici, *fonetica articolatrice, *processo inquisitore. Il comportamento appare notevolmente diverso da quello dello spagnolo -dor, oggi molto produttivo anche con il valore di relazione (cfr. Rainer 1993a, 451). Manca per -(t)ore anche ogni traccia della connotazione negativa spesso associabile a -(t)orio. Da un punto di vista teorico, gli aggettivi in -tore/-trice sono interessanti perché istituiscono per così dire una classe flessiva a sé e contemporaneamente forniscono un incontrovertibile esempio di morfemi che cumulano una funzione derivazionale con una flessiva. Infatti, negli aggettivi l'accordo di genere ha certamente carattere flessivo, ma negli aggettivi in -tore l'opposizione di genere si realizza unicamente attraverso il contrasto -tor-/-tric(cfr. uno sguardo rivelatore vs una risposta rivelatrice), cioè con gli stessi morfemi portatori dell'informazione derivazionale V —> A (o V -+ N). 1

1

Per una lettura un po' diversa del fenomeno cfr. Dressler 1989, 7 e Dressler / Doleschal 19901991.

5. Suffissazione

444

Considerazioni analoghe a quelle fatte per -(t)ore valgono per altri deverbali d'agente prioritariamente nominali. In particolare, per quanto riguarda -ino (cfr. 5.1.3.2.3.), soltanto chiacchierino, sbarazzino, sparagnino (qui per di più la base è di uso solo regionale) sono chiaramente aggettivali. Altrettanto orientato in prevalenza su formazioni nominali è il deverbale -one (cfr. 5.1.3.2.4.); del resto, in questo caso anche -one deaggettivale ha caratteristiche nettamente nominali (cfr. Dressler / Merlini Barbaresi 1994, 432). Largamente usate come aggettivi sono formazioni come brontolone, pasticcione, piagn(ucol)one, sciupone, sprecone, benché non sia facile dire se siano da considerare prioritariamente tali. Si noti che solo la funzione attributiva è possibile: rabbia piagnono (La Stampa 22-5-97, 7), una Fiorentina bella e sciupona (La Stampa 6-4-97, 31); altrimenti si preferisce ricorrere a una sintassi nominale (è un piagnone, non *è piagnone). Formanti alterativi, con l'ulteriore presenza di interfissi, si trovano anche in ballerino (discutibile se sia prioritario Ν o A), canterino, salterino, cantatolo, litigarello, ridarello: si tratta di tipi attestati anche nei deverbali nominali, specie strumentali (cfr. 5.1.3.3.6.). Infine, -ista cumula i due tipi di marginalità visti in questo e nel precedente paragrafo, poiché non è prioritariamente deverbale e nemmeno prioritariamente aggettivale. Ciononostante, formazioni come attendista, dirigista, entrista, garantista, trasformista, tutte necessariamente deverbali a meno di derivarle dai rispettivi nomi in -ismo con cambio di suffisso, sembrerebbero proprio da descrivere come prioritariamente aggettivi, per lo meno nell'uso contemporaneo.

5.2.3.

Aggettivi deaggettivali LMB

5.2.3.1. L'alterazione dell' aggettivo LMB Come si è osservato in 5.1.1.7.2.,' la base aggettivale, semplice o derivata, occupa il secondo posto, dopo il sostantivo, nella gerarchia di applicazione dei suffissi alterativi, ma all'interno della categoria, sono alterabili solo gli aggettivi la cui semantica ammette una modificazione di grado, suscettibile di valutazione. Rimangono pertanto esclusi gli aggettivi determinativi, se si eccettuano i pochi casi di indefiniti, come pochini, troppini, di solo uso predicativo. Sono invece tipicamente inclusi gli aggettivi qualificativi in senso stretto, come aitino, piccoletto, grassotto, belloccio, giallognolo. L'alterazione imprime alla base aggettivale un mutamento nel grado di intensità della qualità attribuita, in direzione attenuativa ovvero rafforzativa. Tra i suffissi aggettivali, alcuni, tipicamente, derivano aggettivi graduabili. Per esempio, -oso attribuisce al derivato aggettivale una qualità della base nominale (meno spesso, verbale), e forma pertanto aggettivi liberamente alterabili, come spiritosone, spinosetto, piagnucolosino, stizzosetto, maliziosetto, altezzosino, vanitosetto. Anche gli aggettivi di origine participiale o nominale in -ato, -ito, -uto favoriscono l'alterazione, come in attempateli, bruciacchiatino, svanitello, sfacciatona, saputello, sbarbatello ed anche in -nte, come interessantino, sapientone, negligentello. Gli aggettivi denominali di relazione ammettono l'alterazione solo quando un uso traslato li renda graAnche per l'analisi generale dei fenomeni alterativi delle varie categorie sintattiche e per un dettagliato resoconto sui singoli suffissi alterativi si rimanda a 5.1.1.7.

5.2. Derivazione aggettivale

445

duabili; è il caso, per esempio, di paesanotto, mondanetta (come in è un po' paesanotto, ha un'aria mondanetta). Solo raramente modificabili sono gli aggettivi in -abile ed -evole, in cui il suffisso alterativo ottiene un'attenuazione (spesso ironica) della qualità negativa espressa dalla base, per esempio in è solo un po' insopportabiluccio. Si sottraggono all'alterazione gli aggettivi formati con i suffissi '-ico, -ivo, -izio, -oide, -ario, -(t)orio, -istico. Non si modificano neppure gli aggettivi etnici, a differenza dei nomi corrispondenti. Gli aggettivi di relazione formati con -ino, -igno e -(u)olo come caprino, volpigno, settembrino, campagnolo ecc. non sono graduabili e quindi non ammettono alterazione. Non si verificano, pertanto, incompatibili sequenze di suffissi della stessa classe aventi funzioni diverse. A parziale differenza di quanto riscontrabile nell'alterazione del nome, le basi aggettivali ammesse all'alterazione sono di preferenza connotate negativamente, nel qual caso i suffissi diminutivi hanno la funzione di attenuare la negatività. L'attenuazione può, naturalmente, anche interessare una qualità positiva. Ciò che non sembra verificarsi è un rafforzamento della qualità positiva. I suffissi accrescitivi, infatti, come in grondone (è insito un senso di esagerazione), intelligentone (epiteto un po' irridente per intellettuali oppure di frequente uso ironico per intendere "poco intelligente"), sapientone ("che ostenta la sua scienza") aumentano gli eventuali tratti negativi della base ma non aumentano una qualità positiva, conferendo alla base un significato comunque peggiorativo, allo stesso modo dei suffissi più specificamente preposti a questa funzione. Non appare opportuno, pertanto, fare una distinzione tripartita, essendo sufficienti due raggruppamenti, attenuativi e rafforzativi. Anche questa distinzione, tuttavia, non ha confini precisi, e si neutralizza di fronte a certe funzioni pragmatiche dell'alterazione. E il caso, per esempio, di poverino/-etto/-elio e poveraccio, in cui i suffissi alterativi si equivalgono, in quanto non fungono da attenuatori / rafforzatori del tratto semantico 'povero', ma esprimono la partecipazione empatica del parlante. Si sottraggono parzialmente ai condizionamenti lessico-semantici degli altri aggettivi graduabili, quelli indicanti colore, in cui i suffissi diminutivi indicano qualità più sbiadita o meno netta del colore, come giallino, marroncino, violetto, quelli accrescitivi indicano una qualità più intensa e forse più scura, come verdone, giallone, mentre quelli peggiorativi ne segnalano la cattiva qualità estetica, come neraccio, giallastro. Neppure in quest'area lessicale, però, i confini sono netti. Spesso diminutivi e peggiorativi si confondono nel segnalare una condizione imperfetta, approssimata del colore (un colorino, si direbbe).1 Il paradigma dei suffissi alterativi degli aggettivi non coincide del tutto con quello dei nomi, soprattutto nell'area dei suffissi poco produttivi, dove troviamo -iccio, -occio, -igno, -ognolo che si aggiungono soprattutto ad aggettivi, e, per contro, -ucolo, -onzolo, -attolo ed altri che si aggiungono solo a nomi. I suffissi molto produttivi, invece, mantengono lo stesso grado di applicabilità, con qualche riscatto di -elio e di -etto rispetto a -ino. Si deve sottolineare, tuttavia, che le preferenze dettate dalla categoria della base non cambiano sostanzialmente il grado di produttività dei suffissi. Il suffisso -occio, per esempio, che viene descritto da tutte le grammatiche come specifico per basi aggettivali, di fatto si riscontra solo in due aggettivi in uso, belloccio e grassoccio, e appare di poco probabile applicazione

1

Sugli aggettivi di colore, cfr. Grossmann 1988, più particolarmente le pagine 63-74, 160-161, 202, 206-208 e 231-240.

446

5. Suffissazione

con altri. Neppure -iccio, più produttivo, può competere con i suffissi liberamente produttivi, -ino, -etto, -elio, -uccio. I suffissi accrescitivi e peggiorativi, come -one, -accio, -ardo, e in minor misura -astro, applicati all'aggettivo, comportano, per la maggior parte dei casi, una sostantivazione dell'alterato (cfr. Mutz 2000, 28), come in bellona, morettona, biondone, grassone, riccastro, poveraccio, mattacchione, nei quali si perde traccia della modificazione di grado, a favore, piuttosto, di un valore fisso, emblematico, che spesso si cristallizza in forme lessicalizzate (la bellona mi sorrideva, ho visto un poveraccio). Questo fatto limita l'impiego di tali suffissi in aggettivi aventi funzione attributiva, come una signora bellona, e soprattutto li blocca nella funzione predicativa (*la signora è bellona-, si confronti con una signora bellina / belloccia o la signora è bellina / belloccia), riservandoli invece alla funzione identificativa tipica del nome ed eventualmente alle funzioni pragmatiche di cui si è detto sopra (a proposito di povero). La restrizione tuttavia non è assoluta, essendovi casi di accrescitivi perfettamente accettabili, come in due gambe grossone / le gambe sono grossone e storte. In espressioni scisse del tipo Curiosone che non sei altro! oppure in appellativi del tipo Curiosone!, la categoria sintattica è coperta e oscillante fra l'interpretazione sostantivale e aggettivale. Comunque, come vedremo, l'italiano preferisce esprimere con altre forme l'intensificazione di grado, con modificatori avverbiali o, per i gradi alti, con l'elativo {una signora bellissima, la signora è bellissima). Più rare forme di lessicalizzazione con cambio di categoria sintattica si hanno anche con suffissi diminutivi, come rossetto, bianchetto, neretto, bassotto, sofficini "frittelle di pesce", amaretto ecc. Sono suffissi attenuativi 1 produttivi i seguenti: -ino di magrolino, novellino, ricciolino, ridicolino ecc.; -etto di aspretto, bassetto, grassetto, larghetto, piccoletto, rotondetto ecc. (si veda anche il pascoliano giganti giovinetti)·, -elio di grandicello, paffutello, picchiatello, vecchierello, viziatello; -uccio di borghesuccio, caruccio, deboluccio, pettegoluccio, piccantuccio ecc.; -uzzo di malignuzzo, pedantuzzo, saccentuzzo, tisicuzzo ecc.; -otto di allegro tto, anzianotto, bassotto, grassotto, pienotto, sempliciotto, vecchiotto ecc. Sono da poco produttivi a improduttivi i seguenti: -astro di biondastro, giallastro, grigiastro, rossastro, sordastro; -iccio di alticcio, arsiccio, biondiccio, malaticcio, molliccio, pallidiccio, sudaticcio, umidiccio ecc.; -ozzo di largozzo, pienozzo', -occio di belloccio, grassoccio-, -occhio di santocchio-, -occhio di far bacchio, verdacchio-, -acchi-one di mattacchione-, -acchi-otto di furbacchiotto-, -icchio di mollicchio-, -ecchio di rubecchio-, -igno di agrigno, asprigno, dolcigno, gialligno, rossigno-, -ign(-acc)-olo di rossignolo, stortignaccolo; -ognolo di amarognolo, azzurrognolo, cenerognolo, giallognolo, verdognolo-, -uolo di tristanzuolo-, '-ulo di acidulo. Tra i suffissi rafforzativi, il più produttivo è -one: contentone, curiosone, fiirbone, ghiottone, grassone, con variante improduttiva -igli-one di grandiglione e con vari possibili cumuli, come -acci-one di sporcaccione (si veda anche quello zelo un tantino fresconcello in Gadda, C. E., Quer Pasticciaccio brutto de via Merulana, Milano, Garzanti, 1991, 176).

1

II suffisso diminutivo polare -ino può produrre un effetto di intensificazione se apposto alle basi piccolo e piccino sulle quali la diminuzione quantitativa operata dal suffisso apporta ulteriore piccolezza, come in un appartamentino piccolino "minusculo"; se tuttavia l'uso di -ino ha uno scopo pragmatico (per esempio, espressione di tenerezza, come in piccinina mia), l'effetto di intensificazione fa riferimento all'emozione del parlante e non alla qualità espressa dall'aggettivo. L'effetto di intensificazione semantica non è altrettanto evidente con gli altri suffissi diminutivi.

5.2. Derivazione

447

aggettivale

Il suffisso -otto e il poco produttivo -igno di babbigno, fortigno presentano entrambi una semantica ambiguamente oscillante tra attenuativo (vedi sopra) e rafforzativo (cfr. 5.1.1.7.16.). I suffissi alterativi peggiorativi hanno pure funzione rafforzativa e la loro semantica influisce scarsamente sul significato della formazione. Il più produttivo è -accio: avaraccio, poveraccio, riccaccio ecc., con la variante meno frequente -azzo (cfr. anche il cumulo -onazzo di infamonazzo in D'Arrigo, S., Horcinus Orca, Milano, Mondadori, 1975, 94). Scarsamente produttivi sono -astro (biancastro, dolciastro, pallidastro) e -ardo {patriottardo, sessantottardo, vecchiardo).

Bianco Nero Rosso Verde Giallo Grigio Marrone Rosa Viola Biondo Bruno Azzurro Celeste Bigio Blu Turchese Turchino Vermiglio Beige Cenere Arancione Porpora Indaco

-(ol)ino -(c)ino + + + + + (-e-) + +

-etto

-igno

L L L

+

+ +

-ognolo

+

+

+

+ + +

-astro

-accio

+ + + + + +

+ + + + + +

+

+ -aceo*

+

+

+ +

+ +

+

+

+ + +

-occhio

-iccio

-one

+ + +

+

+ +

+ + +

+ + +

+

+ +

-ette** ' +

+

+

(-ol-) + +

Tabella 1: L'alterazione degli aggettivi di colore (L = lessicalizzato; * = solo in questo termine, con significato attenuativo; ** = suffisso francese) Merita di nuovo soffermarsi sull'alterazione degli aggettivi di colore, che condividono una specifica gamma suffissale, con alcune selezioni operate dalle basi, come si vede dalla tabella 1 (contenente, oltre ai colori di base, una scelta di altri termini designanti colori, rappresentativi dei vari comportamente morfologici). In generale, dalla tabella si evince che solo una parte dei suffissi alterativi aggettivali si adatta ai colori; che il suffisso -ino è anche negli aggettivi di colore quello più produttivo, seguito da -astro', che giallo è la base che ammette il maggior numero di suffissi alterativi; che i termini originati da similitudine o metafora, spesso invariabili, sono anche scarsamente alterabili. I termini di colore invariabili per genere e numero - rosa, viola - diventano variabili nella forma alterata, come in le pareti rosine, le nuvole violette, i fumi violetti. I termini

448

5. Suffissazione

arancione, il cui suffisso -one è derivazionale piuttosto che alterativo (del tipo di argentone) e turchese sono invariabili solo per genere, come si vede in le maglie arancioni / turchesi. Il termine turchino, come in la fata dai capelli turchini (personaggio della favola di Pinocchio), è variabile ed implica un processo di troncamento turch(ese) con aggiunta di -ino alterativo che non impedisce la suffissazione ulteriore (normale cumulo), per esempio, buttata nell'acqua che diventava turchiniccia (Fucini, R., Le veglie di Neri). I termini beige e cenere sono invariabili per genere e numero e sono scarsamente alterabili, mentre indaco e porpora e, analogamente, acquamarina, fucsia, malva ecc. sono invariabili e inalterabili.1 Vermiglio è variabile per genere e numero ma non alterabile. Il suffisso -one comporta spesso, anche nei colori, una sostantivazione dell'alterato. Anche il suffisso -accio seleziona di preferenza l'uso sostantivale del colore (è di un verdaccio /giallaccio /neraccio orribile), normalmente sostituito da -astro per l'uso aggettivale. Gli aggettivi alterati in posizione attributiva sono sempre posposti al nome, se si eccettuano usi letterari celebri, come il giovanetto anno di Dante, le giovanette menti del Petrarca o la pargoletta mano del Carducci, nonché il più recente gaddiano bianco-azzurrini finocchi (Gadda, op. cit., 241). La doppia attribuzione del suffisso all'aggettivo e alla testa del sintagma ottiene in genere connotazioni irridenti o tenere, come in femminuccia borghesuccia, mogliettina perfettina, bimbolino sciocchinino ecc. ed è evitata in situazioni riormali, in quanto una forma suffissata è sufficiente ad alterare l'intero enunciato (cfr. Dressler / Merlini Barbaresi 1994, 218-221).

5.2.3.2. La forma elativa dell'aggettivo: -issimo ed -errimo LMB L'elativo (cfr. Dressler / Merlini Barbaresi 1994, 491), detto anche superlativo assoluto, è un'operazione morfologica che fa uso del suffisso -issimo2 per intensificare la qualità espressa da una base aggettivale. Con l'elativo si esprime il grado più elevato di intensità su una scala che vede valori alti ma non polari (cfr. Rainer 1983b, 3) espressi anche per mezzo di avverbi di quantità (per esempio, molto, assai), ripetizione giustappositiva (bello bello) o alterazione accrescitiva (coi suffissi -one, -otto). La modificazione quantitativa e non categoriale operata sulla base non è dissimile da quella ottenuta dai suffissi alterativi. L'aggettivo qualificativo semplice o derivato è la base prototipica, come in bellissimo, rossissimo, grazio sissimo, simpaticissimo, ma frequentemente anche aggettivi di relazione o normalmente non graduabili, participi passati, nomi, avverbi ed espressioni avverbiali (esclusi i derivati in -mente) e indefiniti fungono da basi, come rispettivamente in italianissimo, sposatissimo, frequentatissimo, occasionissima, benissimo, prestissimo, in frettissima, indietrissimo, (mirare) altissimo, nessunissimo, nientissimo ecc. Tutte le categorie sintattiche devono comunque possedere una qualità intensificabile al massimo grado, o intrinseca

1

2

Le sfumature del colore sono anche rese da espressioni del tipo di (color) lavanda, prugna, salmone, pesca, sabbia, corda, fumo di Londra, cioccolata ecc., oppure da aggettivi denominali, come corvino, porporino, cinerino, roseo, argenteo ecc., che non ammettono alterazioni. E marginalmente di -errimo ed -entìssimo, come rispettivamente in acerrimo, asperrimo, celeberrimo, integerrimo, miserrimo e beneficentissimo, benemerentissimo, benevolentissimo, magnificentissimo, maledicentissimo, maleficentissimo, malevolentissimo, munificentissimo.

5.2. Derivazione

aggettivale

449

o secondaria (di carattere metaforico o contestuale). Nel caso di aggettivi di relazione come italianissimo, tedeschissimo, per esempio, la qualità è ravvisabile in una somma di caratteristiche comunemente attribuite ai membri di quelle etnie, che nello specifico caso si identificano come presenti al massimo grado: cognome italianissimo ma cuore tedeschissimo ecc. Con altri aggettivi di relazione, l'intensificazione elativa è possibile, in realtà, solo in quanto ammettono anche un uso qualificativo, come è il caso di naturale in comportamento naturalissimo, e similmente di umano, infantile, economico, selvatico ecc. Negli elativi derivati da aggettivi non graduabili, come sposatissimo, addormentatissimo e sveglissimo (usati in senso proprio), solissimo, primissimo, ultimissimo, vivissimo, mortissimo ecc. la qualità intensificata fino al massimo grado è ravvisabile nel valore estremo, inappellabile dello stato o condizione espressa dalla base. Nel caso del nome (cfr. Medici 1959), come campionissimo, finalissima, offertissima si deve immaginare una graduatoria qualitativa o quantitativa in cui l'entità intensificata occupa una posizione conclusiva, che non può essere oltrepassata da altre entità della stessa specie. Il significato appare molto vicino a quello del superlativo relativo latino espresso da -issimus, grazie al riferimento implicito ad un termine di paragone. In alcune lessicalizzazioni (nomi deaggettivali), tale funzione è mantenuta in modo più preciso; La Serenissima, il Santissimo, la direttissima L'intensificazione assegnata dall'elativo al participio passato (in funzione aggettivale) assume diversi aspetti condizionati dalla semantica delle basi (cfr. Rainer 1983b) e dal loro uso contestuale. Un gruppo, come frequentatissimo, ricercatissimo, studiatissimo, visitatissimo, assume come qualità intensificata un dato quantitativo, riferito alla valenza agentiva del verbo sottostante o alla frequenza dell'azione, per esempio, una mostra visitatissima (da molti appassionati), un fenomeno studiatissimo (da molti scienziati), ma anche un ristorante frequentatissimo (frequentato spessissimo da Mario) ecc. Altre basi participiali danno luogo a forme che assommano il dato quantitativo a quello qualitativo, come in una persona amatissima "intensamente amata" oppure "amata da molti". Similmente affollatissimo, ammiratissimo ecc. Il discorso pubblicitario, stilisticamente enfatico, tipicamente dilata l'applicabilità dell'elativo a basi non intensificabili, come in appartamento ristrutturatissimo, auto accessoriatissima (la semantica dell'elativo fa qui riferimento a dati quantitativi). Talvolta, nel discorso, una base non intensificabile assume l'elativo per segnalare un contrasto o un potenziale dissenso, come in Ma è fattibile? - Fattibilissimo, oppure semplicemente per fungere da olofrastico positivo, come in Sei pronto? - Prontissimo. In questi casi, l'elativo descrive il grado massimo di personale sottoscrizione del parlante alla sua affermazione, non suscettibile di ulteriore «negoziazione», ed è parafrasarle con espressioni modificate da avverbi non quantitativi, quali perfettamente fattibile, assolutamente sì {pronto).

5.2.3.3. Il suffisso -oide ed altri suffissi aggettivali LMB Il suffisso multifunzionale -oide, mediamente produttivo, nella sua funzione aggettivale si avvicina ai suffissi alterativi, per esempio -astro, -iccio, in quanto ottiene una modificazioMerita una menzione anche l'aggettivo viciniore, burocratico per "limitrofo", dal comparativo latino, in cui il suffisso comparativo -iore non viene più percepito come tale e appare piuttosto come formativo aggettivale (deaggettivale o deavverbiale).

5. Suffissazione

450

ne di significato in direzione attenuativa o approssimativa. Si trova in aggettivi come anarcoide (forma troncata di anarchico + -oide), comunistoide, cretinoide (nel senso di "stupidotto"), criminaloide, genialoide, intellettualoide, liberaloide, fascistoide, negroide, pazzoide, mattoide, sentimentaloide, socialistoide, viriloide, parecchi dei quali sono di produzione relativamente recente. Le formazioni in -oide (specie quelle nominali) sono nate in ambito scientifico (medico, geometrico, antropologico) ma si sono estese al linguaggio comune, assumendo una funzione peggiorativa (derivata dal significato di condizione imperfetta rispetto alla base). Altri suffissi, vicini agli alterativi ma ormai improduttivi, sono -agno di seccagno e -ingo di solingo, che ottengono una modificazione semantica della base aggettivale in direzione rafforzativa Alcuni suffissi multifunzionali, come -caio di primario, secondario, -iano di episcopaliano, mammaliano "relativo a mammiferi", -ano di gallicano, nostrano (variante toscana nostrale), rusticano, -aneo di subitaneo (di diretta origine latina), -ivo di tardivo sono improduttivi nella funzione di formativi aggettivali.

5.3.

Derivazione verbale1

5.3.1.

V e r b i d e n o m i n a l i 2 MG

5.3.1.1. Considerazioni generali MG La derivazione dei verbi da basi nominali avviene produttivamente mediante i suffissi -eggi-, -ific- e -izz-, seguiti dai morfi flessivi della prima coniugazione. Il suffisso -eggi- è produttivo, in particolare nei registri informali, nella formazione di verbi soprattutto intransitivi, ma anche di verbi solo transitivi oppure transitivi e intransitivi, perlopiù non pronominali, a partire da tutti i tipi di basi, derivate o meno. I derivati in -eggi- rappresentano circa il 47% dei verbi denominali suffissati, ma a giudicare dal numero relativamente basso delle neoformazioni, circa il 19% dei verbi denominali suffissati attestati dopo gli anni '50, la produttività del suffisso non sembra molto alta. Il suffisso -eggi- porta al troncamento della sequenza finale della base se questa è -ία (ironeggiare, simoneggiare).

1

2

I verbi suffissati derivati da basi avverbiali, in considerazione dell'esiguità del loro numero, non verranno trattati in un capitolo a parte. Si veda al riguardo p. 546 η. 1. L'analisi muove da un inventario di circa 500 verbi ottenuto mediante lo spoglio esaustivo del DISC e di alcuni dizionari di neologismi (BC, C, CC, F, L, Q; solo per gli esempi tratti da questi si indica tra parentesi la fonte). Non abbiamo preso in esame i verbi che sono non trasparenti dal punto di vista sincronico, nella misura in cui non è possibile isolare mediante commutazione una base formalmente e semanticamente identificabile. Abbiamo escluso anche quelli che, secondo il DISC, non sono formati in italiano. Il modello dell'analisi è quello già adottato in Grossmann 1989 e 1994 per la descrizione dei verbi derivati in catalano.

5.3. Derivazione verbale

451

Il suffisso -ific- è produttivo, nei registri colti e in particolare in quelli tecnico-scientifici, nella formazione di verbi soprattutto transitivi, ma anche di verbi solo intransitivi oppure transitivi e intransitivi, pronominali e non pronominali, a partire da basi in genere non derivate. I derivati in -ific- rappresentano circa l'8% dei verbi denominali suffissati; anche le neoformazioni con questo suffisso sono poco numerose, costituiscono solo Γ 8% circa dei verbi denominali suffissati attestati dopo gli anni '50. Il suffisso -izz- è produttivo, sia nei registri informali che in quelli colti, anche tecnicoscientifici, nella formazione di verbi soprattutto transitivi, ma anche di verbi solo intransitivi oppure transitivi e intransitivi, pronominali e non pronominali, a partire da tutti i tipi di basi, derivate o meno. I derivati in -izz- rappresentano circa il 40% dei verbi denominali suffissati e, a giudicare dal numero relativamente alto delle neoformazioni, circa il 73% dei verbi denominali suffissati attestati dopo gli anni '50, la produttività del suffisso sembra piuttosto alta.1 Il suffisso -izz- porta al troncamento della sequenza finale della base se questa è -esi (diefizzare, diagenizzare, ipotizzare),2 -ía (enciclopedizzare (L), teorizzare, vasectomizzare), -is (diesizzare), -ist (idrolizzare, pirolizzare, psicoanalizzare), -ismo (rotacizzare, solecizzare), -ite (satellizzare), -osi (anastomizzare). Nel caso delle basi in -ma occorre l'allomorfo in -mat- (assiomatizzare, lemmatizzare, schematizzare)·, le basi in -asi possono occorrere sia con l'allomorfo in -at- (ipostatizzare, metastatizzare) che con quello in -as- (metastasizzare (Panorama 6-07-1986,44)). Oltre a -eggi-, -ific- e -izz-, possiamo identificare nel nostro corpus altri morii, come -azz- (starnazzare), -eft- (tacchettare, ticchettare), -ic- (barbicare, ciancicare, vermicare), -icchi- (denticchiare, morsicchiare), -in- (ranghinare), -ol- (brancolare, chiocciolare, prezzolare, spigolare), che occorrono in alcuni verbi trasparenti dal punto di vista morfologico e semantico, ma che non sono produttivi.3

Tra le basi nominali già a loro volta derivate ci sono tanto dei nomi formati mediante suffissazione o prefissazione o composizione (soprattutto con elementi neoclassici), quanto mediante conversione. Vediamo qui solo alcuni esempi per i numerosi tipi possibili: (a) basi suffissate: fiscaleggiare, manualizzare·, birbanteggiare; archettizzare (L), villettizzare (Q); cheratinizzare, gelatinizzare; birboneggiare; riflettorizzare; miniaturizzare; (b) basi prefissate: copolimerizzare; sottoproletarizzarsi (Q); (c) basi composte: cineclubizzarsi (Q); etimologizzare, laringectomizzare, metastatizzare; (d) basi formate mediante conversione: idealeggiare, mensilizzarsi (F), novelleggiare, particolareggiare, particolarizzare, pedaleggiare, settimanalizzarsi, spumantizzare (L), taglieggiare, verbalizzare "mettere a verbale". La base può essere costituita anche da una sigla (cobasizzare (L), diditizzare (Q), fiatizzare (L), igeizzare (Q), irizzare) o da un elemento formativo (saccarificare). In molti casi si tratta della ricategorizzazione di un nome proprio come nome comune, lessicalizzato (berteggiare, catoneggiare, ciceroneggiare (L), elzevireggiare (F), gigioneggiare, maramal1 2

3

Cfr. Radtke 1994. Per la diversa produttività dei tre suffissi si veda anche Thornton 1997. Cfr. anche parentizzare (Antelmi, D., SLeI 9, 1987, 360) con °parentesizzare, possibile base di parentesizzazione (DISC). Lo status di questi morii non sarà ulteriormente approfondito; alcuni di essi occorrono anche in verbi deaggettivali e in verbi deverbali (cfr. 5.3.2.1. e 5.3.3.). Per quanto riguarda le possibilità di nominalizzazione dei verbi suffissati rimandiamo a 5.1.3.1.2. (cfr. anche Thornton 1988, 314— 318).

452

5. Suffissazione

deggiare) o non lessicalizzato (arboreggiare "imitare lo stile e gli atteggiamenti propri dello showman Renzo Arbore" (F), berlusconizzarsi (C), /anfaneggiare (Q), gorbaciovizzare (F), lialeggiare (L), mikeggiare (Q), mineggiare (Q), stalinizzare (Q); algerizzare "rendere simile all'Algeria, durante la lotta per l'indipendenza, tormentata dalla guerriglia, dagli attentati, dalla paura" (Q), congolizzare (Q), coventrizzare, rapallizzare; adelfizzare (F)). Lo stesso nome può costituire la base di verbi derivati con suffissi diversi oppure formati mediante conversione. Un primo esame delle numerose coppie minime ci offre dei risultati abbastanza eterogenei. I verbi in questione si possono distinguere: (a) per il ruolo diverso svolto dal referente della base nella situazione verbalizzata (metaforeggiare / metaforizzare; eterificare / eterizzare', dottorare / dottoreggiare, fiancare / fiancheggiare, fosforare / fosforeggiare', carbonare / carbonizzare, carnevalare / camevalizzare (L); cementare / cementificare, resinare / resinificare, salare / salificare', dentare / denticchiare)', (b) per essere derivati da significati diversi della base (vampireggiare / vampirizzare; damare / dameggiare, maschiare / maschieggiare (Q), volpare / volpeggiare', periodare / periodizzare); (c) per significati metaforici diversi o perché solo uno dei due sviluppa un significato metaforico (prosare / proseggiare, remare / remeggiare). In molti casi si tratta di varianti sinonimiche (,marmoreggiare / marmorizzare, satireggiare / satirizzare', mostrificare (F) / mostrizzare (BC), suberificare / suberizzare, tipificare / tipizzare', morseggiare / morsicchiare; barbicare / barbificare', capitanare / capitaneggiare, questionare / questioneggiare, sorsare / sorseggiare', diesare / diesizzare, Jumettare (Q) / fumettizzare (Q), igeare (Q) / igeizzare (Q); plasticare / plastificare; chiocciare / chiocciolare; filosofare / filosofeggiare / filosofizzare) o parzialmente sinonimiche (personeggiare / personificare; idealeggiare / idealizzare, moraleggiare / moralizzare, vandaleggiare (C) / vandalizzare (BC); favorire / favoreggiare, ombrare / ombreggiare, rimare / rimeggiare, tamburare / tambureggiare; monitorare (L) / monitorizzare, quotare / quotizzare).

5.3.1.2. Struttura semantica MG Partiamo dalla premessa che una situazione, designata da un verbo e da altri elementi contestuali in un enunciato, può essere statica o dinamica. Nel primo caso il predicato indica una condizione nella quale si trova il referente del soggetto dell'enunciato, cioè uno stato di cose continuo che non cambia durante la sua durata. Nel caso di una situazione dinamica, invece, si tratta della rappresentazione linguistica di un evento che implica un mutamento, momentaneo o duraturo, nel tempo. In funzione della natura dell'evento indicato dal predicato distingueremo, adottando il modello vendleriano (cfr. Vendler 1967, Bertinetto 1986), tra verbi di azione risultativa ('+durativo', '+telico'), trasformativa ('-durativo', '+telico'), continuativa ('•+durativo', '-telico') e puntuale ('-durativo', '-telico'). Il verbo denominale suffissato è potenzialmente in grado di designare una grande varietà di situazioni, nelle quali il referente della base potrà avere diversi ruoli. Questi possono dipendere dalle attività normalmente associate al referente in una determinata comunità culturale. Nell'interpretazione del verbo derivato peserà dunque la conoscenza generale e particolare delle cose, comune all'emittente e al ricevente del messaggio (cfr. Clark / Clark 1979, Aronoff 1980). Il nome incorporato è non flesso, può riferirsi a una o più entità della stessa classe, e può essere presente anche solo con il suo significato metaforico (cornificare pop. "mettere le corna, tradire il proprio coniuge", mammoleggiare "fare la mammola, bamboleggiare"). I verbi derivati hanno spesso un significato più generico rispetto alle costruzioni analitiche corrispondenti e tendono a sviluppare dei significati secondari. Si può borseggiare qualcuno prelevandogli soldi o altro anche dalle tasche, dallo zaino ecc.: dall'insieme dei tratti

5.3. Derivazione verbale

453

semantici di borsa solo quelli gerarchicamente superiori sono presenti nel verbo derivato.1 La base nominale, se accompagnata da una determinazione specificante, può occorrere ulteriormente nell'enunciato, del tipo: per carteggiare bene si deve usare una carta più abrasiva. Da questo punto di vista il comportamento dei verbi denominali è analogo a quello delle parole che presentano una «solidarietà lessicale» come, ad esempio, quella tra vedere e occhi (l'ha visto con i propri occhi, ma non *l'ha visto con gli occhi).2 Vediamo ora più dettagliatamente fino a che punto i tratti semantici dominanti del nome incorporato possano avere un valore prognostico per la struttura semantica del verbo derivato. 5.3.1.2.1.

Ν '+animato' MG

Se la base nominale appartiene alle classi lessicali caratterizzate dai tratti '+animato', '+umano' oppure '+animato', '-umano' il significato dei verbi derivati sarà interpretabile secondo i tipi che seguono. 5.3.1.2.1.1. Ν '+umano': i tipi capitaneggiare, bamboleggiare e berlusconizzarsi (C) MG La verbalizzazione di uno stato di cose non telico avviene mediante verbi continuativi o stativi dal punto di vista azionale, suffissati, nella stragrande maggioranza, in -eggi- e, molto più raramente, in -izz-· Si tratta di verbi, parafrasabili come "essere (come un) [fare da, fare il, agire in qualità di, comportarsi come un ecc.] N", che attribuiscono a X uno stato generico dal punto di vista temporale o predicano una sua attività in corso di svolgimento. Può trattarsi di una situazione in cui si classifica qualcuno secondo il mestiere o l'occupazione abituale oppure di una situazione in cui lo si qualifica in funzione del suo comportamento. Nel primo caso possiamo avere dei verbi intransitivi, che ascrivono un attributo essenziale a qualcuno, oppure dei verbi - transitivi oppure usati transitivamente o intransitivamente in funzione del carattere attuale o non attuale della predicazione - che designano le azioni tipiche eseguite in qualità di Ν da un agente (capeggiare "essere il capo", capitaneggiare, ciceroneggiare (L), ladroneggiare, padroneggiare, puttane g giare, sovraneggiare, tiranneggiare). Nel secondo caso, invece, si tratta di verbi intransitivi, che designano mediante un attributo contingente il modo di essere o di comportarsi di qualcuno che, senza esserlo, assomiglia a, fa o dice cose caratteristiche proprie del prototipo referenziale di N. Predicando di X che baritoneggia "canta o parla con voce da baritono", diveggia, dottoreggia, filosofeggia, poeteggia, tenoreggia oppure che filosofizza "si atteggia a filosofo", pedagogizza, gli si ascrivono, in modo ironico e scherzoso, tutte le proprietà caratteristiche della classe dei baritoni, dei filosofi ecc., salvo l'appartenenza alla classe stessa. Può trattarsi anche di derivati da basi qualificative (cfr. anche 5.3.2.2.2. e 5.2.2.2.3.), in alcuni casi categorialmente ambivalenti, che possono cioè comportarsi sintatticamente tanto come nomi quanto come aggettivi e che, nella loro stragrande maggioranza, designano insiemi di qualità stigmatizzate (bambineggiare "assumere atteggiamenti infantili in situazioni che richiedono invece un comportamento maturo", bamboleggiare, birbanteggiare, buffoneggiare, furfanteggiare, gigioneggiare, mammoleggiare, pargoleggiare, poltro1 2

Cfr., tra gli altri, Karius 1976,64-66, Karius 1985,43-57, Dik 1980, 39-50, Plank 1981, 107-114, 120-124 e soprattutto Clark / Clark 1979,788-792. Si vedano anche Kastovsky 1982, 68-69,91 e Bogacki 1988, 16.

454

5. Suffissazione

neggiare, ribaldeggiare, ruffianeggiare). Caratteristiche simili hanno anche i verbi derivati da nomi / aggettivi etnici (bizantineggiare "imitare l'arte bizantina" / "cavillare, ragionare con argomentazioni estremamente sottili su temi di scarsa rilevanza", fiorentineggiare, italianeggiare, provenzaleggiare, spagnoleggiare, tedescheggiare, toscaneggiare-, francesizzare, orientalizzare, toscanizzare) che ascrivono a X un modo di comportarsi, di pensare, di esprimersi ecc., considerato tipico della classe dei referenti designata dalla base. È simile la struttura semantica anche dei derivati, in parte occasionalismi, da basi originariamente nomi propri di personaggi mitologici, di scrittori e di artisti, nonché di politici ecc., come: arboreggiare "imitare lo stile e gli atteggiamenti propri dello showman Renzo Arbore" (F), baccheggiare, burchielleggiare, catoneggiare, dannunzieggiare, danteggiare, /anfaneggiare (Q), mikeggiare (Q), mineggiare (Q), petrarcheggiare, pilateggiare. Da notare che questo tipo di verbi designa eventi inerentemente reiterativi e che il componente qualificativo del loro significato rende possibile anche la loro graduabilità: questo collega buffoneggia troppo. La verbalizzazione di una situazione telica avviene mediante verbi che designano un evento, agentivo o non agentivo, di transizione reale o metaforica di un'entità X da uno stato-origine ad uno stato-meta. Diversi derivati di questo tipo sono caratterizzati dall'alternanza causativo-incoativa: lo stesso verbo può occorrere in una costruzione transitiva con un soggetto (rappresentante la causa esterna, animata o inanimata, del mutamento) e con un complemento oggetto, oppure in una costruzione intransitiva (in forma attiva o con un clitico in funzione «anticausativa») nella quale agente e paziente-sede del processo coincidono. Si tratta di verbi parafrasatali come "(far) diventare (come un) N", dove la base nominale indica lo stato-meta: X diverrà o sarà fatto divenire Ν o simile a N, acquisirà o gli saranno fatte acquisire le qualità di Ν ovvero delle qualità simili a N. Per es.: idoleggiare "trattare qualcuno o qualcosa come se fosse un idolo"; mostrificare (F); demonizzare, sottoproletarizzarsi (Q), vittimizzare, yuppizzare (L). Ν può essere anche in questo caso un nome proprio ricategorizzato come nome comune (berlusconizzarsi "adeguarsi al modello costituito da Silvio Berlusconi; imitare la sua tattica propagandistica" (C), gorbaciovizzare (F), stalinizzare (Q)). Sono pochissimi i verbi che designano situazioni nelle quali il referente della base ha altri ruoli. Tra X e Ν può esserci, ad es., un rapporto soggetto - oggetto affetto (dameggiare "frequentare luoghi e compagnie femminili") oppure un legame di appartenenza (prefettizzare "attribuire la competenza al prefetto" (Q)). 5.3.1.2.1.2. Ν '-umano': il tipo farfalleggiare MG Se Ν ha i tratti '+animato', '-umano' i derivati rappresenteranno generalmente una situazione non telica con un significato analogo a quello dei verbi esaminati in 5.3.1.2.1.1., qualificheranno cioè in generale un animale, ma anche una persona o una cosa, mediante un paragone con le caratteristiche fisiche salienti o con il modo di comportarsi tipico degli animali designati dalla base. Ad es.: asineggiare "comportarsi da asino, da villano o ignorante", farfalleggiare, gatteggiare, pavoneggiarsi, scimmieggiare, serpeggiare, tortoreggiare, volpeggiare-, starnazzare-, chiocciolare. Il grado di statività del verbo sarà maggiore, data la mancanza di intenzionalità, se il soggetto si riferisce ad un'entità inanimata.

5.3. Derivazione verbale 5.3.1.2.2.

455

Ν '-animato', '+concreto' MG

Analizzando la struttura semantica dei numerosi verbi derivati da una base nominale con i tratti '-animato', '+concreto' si constata che la maggior parte di essi si riferisce ad uno stato di cose dinamico. Possiamo distinguere tipi diversi in funzione del ruolo del referente della base nella situazione verbalizzata. 5.3.1.2.2.1.

Ν oggetto effetto MG

La base può rappresentare il risultato dell'evento stesso, agentivo o non agentivo, designato dal verbo. Per «risultato» intendiamo qui il porre in essere, l'esistenza stessa di un'entità oppure la disposizione, in una forma nuova, di qualcosa di preesistente. 5.3.1.2.2.1.1. Ν parte di un tutto: i tipi barbificare e spumeggiare MG Una piccola classe è costituita dai verbi intransitivi derivati da nomi che designano una parte di un tutto X (corpo umano o animale, vegetali) corrispondente (frondeggiare "ricoprirsi di fronde", nodeggiare; barbificare·, barbicare), parafrasagli come "fare [mettere, ricoprirsi di ecc.] N". Si potrebbero includere qui anche i derivati da basi che indicano secrezioni ed emanazioni. Verbi quali, ad es., fiammeggiare "mandare fiamme", fumeggiare, latteggiare, spumeggiare', resinificare, sanguificare, sono parafrasatali come "fare [emettere, mandare, formarsi, produrre ecc.] N". I derivati da parti del corpo umano o animale possono avere anche una matrice semantica diversa. Come vedremo più avanti, la parte designata può essere vista in qualità di «mezzo» mediante il quale si esegue abitualmente un'azione (maneggiare; denticchiare) o in quanto luogo in cui avviene l'azione di colpire, ferire (gambizzare) oppure ancora come qualcosa che viene mosso reiteratamente (aleggiare, ancheggiare, boccheggiare, diteggiare, labbreggiare, zampeggiare). 5.3.1.2.2.1.2. Ν insieme o componente: i tipi antologizzare e quotizzare MG Un altro gruppo di verbi designa uno stato di cose che riguarda la relazione tra un insieme e i suoi membri (particolareggiare "descrivere con abbondanza di particolari"; classificare "suddividere più elementi di un inseme in parti", "ordinare in classi"; antologizzare "raccogliere in un'antologia", atomizzare, categorizzare, lottizzare, periodizzare, quotizzare, zonizzare·, ranghinare). La base nominale Ν può riferirsi al risultato della segmentazione di una sostanza X vista come un insieme, omogeneo o meno, oppure ad un insieme, ordinato o meno, in cui vengono raggruppate delle entità X. In entrambi i casi la relazione tra X e N, siano queste classi / gruppi oppure membri / elementi costitutivi, è analoga a quella tra parte e tutto esaminata nel paragrafo precedente. Se Ν designa l'insieme e X il/i componente/i i verbi sono parafrasabili come "(far) diventare [riunire(si), raccogliere(si), disporre(si) ecc. formando] un N". Il risultato degli eventi in questione consisterà da una parte nell'esistenza stessa dell'insieme N, dall'altra nel diventare X parte di Ν. I verbi parafrasabili come "(far) diventare [disfare(si) in, ridurre(si) in, dividere(si) in, separare(si) in ecc.] N", invece, indicano lo smembramento di un insieme X nei suoi componenti N.

456

5. Suffissazione

5.3.1.2.2.1.3. Altri verbi con Ν oggetto effetto: il tipo burrificare1 MG L'evento, agentivo o non agentivo, di trasformazione designato da questo tipo di verbi ha come risultato anche in questo caso il referente della base o qualcosa di simile ad esso, nel senso che X ne acquisisce i tratti caratteristici (materia, aspetto, forma, consistenza, qualità ecc.). Si tratta di verbi, in genere appartenenti ai registri tecnico-scientifici, parafrasabili come "(far) diventare (come) [mutare(si) in, disporre(si) in forma di, (far) prendere forma di, (far) prendere aspetto di ecc.] N", caratterizzati dall'alternanza causativo-incoativa, che presentano una matrice semantica analoga a quella che abbiamo visto nel caso dei verbi derivati da basi con il tratto '-i-animato' (cfr. 5.3.1.2.1.1.). Per es.: archeggiare "piegare qualcosa ad arco", marmoreggiare, verseggiare-, burrificare "trasformare la panna del latte in burro" / "rendere un prodotto simile al burro", eterificare, gassificare, gelificare, gessificare, ossificare, pastificare, pietrificare, resinificare, salificare, saponificare, suberificare, vetrificare', cheratinizzarsi, fistolizzarsi, gelatinizzare, ionizzare, linizzare, magnetizzare, marmorizzare, ozonizzare, polimerizzare, spumantizzare (L), vaporizzare. 5.3.1.2.2.2.

Ν oggetto affetto MG

La base può designare un'entità preesistente all'evento designato dal verbo e che ne viene affetta. 5.3.1.2.2.2.1. Ν oggetto localizzato: il tipo vitaminizzare MG Una parte dei verbi presi in esame designa uno stato di cose che consiste nella localizzazione spaziale di due entità Ν e X. Si possono distinguere due gruppi in funzione dell'entità che viene focalizzata: il referente di Ν svolge il ruolo di oggetto localizzato e quello di X costituisce lo spazio di localizzazione o, al contrario, il referente di Ν è il luogo e quello di X l'oggetto localizzato (v. 5.3.I.2.2.3.).2 Nel primo gruppo di verbi la base designa un'entità (una o più, se numerabile) che un agente avvicina a oppure mette su/in X. Le forme pronominali, riflessive in questo caso, segnalano la coincidenza tra l'agente, causa intenzionale dell'evento, e lo spazio di localizzazione. Dagli eventi designati dai verbi, parafrasabili come "mettere(si) [coprire(si) con, munire(si) di, provvedere di, dare ecc.] N", conseguirà che Ν si troverà a/in/sopra X oppure, dal punto di vista di quest'ultimo, che X avrà un/del/dei Ν. I referenti delle basi possono essere prodotti commestibili (brandizzare "profumare, aromatizzare con brandy" (F), luppolizzare, vitaminizzare), elementi chimici e sostanze varie (vetrioleggiare "sfigurare qualcuno rovesciandogli addosso del vetriolo"; calcificare-, cloroformizzare, diditizzare (Q), digitalizzare, eterizzare, fluorizzare, metanizzare, ottanizzare), accessori di abbigliamento (drappeggiarsi "avvolgersi in una veste o in un mantello", stelleggiare), materiali edilizi (cementificare "ricoprire di nuove costruzioni un territorio"), impianti e congegni (monitoriz1 2

Un ulteriore tipo è costituito dall'isolato tueggiare, che indica un atto performativo. «Locatum» / «location» secondo Clark / Clark 1979, «objet localisé» / «objet localisateur» per Bogacki 1988.

5.3. Derivazione

verbale

457

za re "dotare qualcosa di monitor", motorizzare, semaforizzare, sensorizzare, transistorizzare) ecc. Nel caso di verbi come semaforizzare il ruolo del referente della base potrebbe essere interpretato non solo come quello di un'entità, oggetto affetto, che un agente avvicina a oppure mette su/in X, ma anche come quello di uno strumento. La prima definizione del DISC, «fornire una strada di semafori», ci presenta l'evento con Ν avente la funzione di oggetto affetto, mentre la seconda, «regolare il traffico per mezzo di semafori», ci indirizza verso un'analisi di Ν come strumento. L'interpretazione della base nella situazione verbalizzata come strumento, con l'aiuto del quale si esegue abitualmente una determinata azione, a differenza delle situazioni con Ν oggetto affetto, rende generalmente impossibile l'esistenza di un verbo privativo con il significato "togliere N", dovuto a volte all'irreversibilità dell'evento, a volte alla mancanza della causazione di un risultato. L'evento inverso, cioè quello di allontanare un'entità da X, oppure toglierla da sopra/dall'interno di X, non sembra verbalizzabile mediante la suffissazione di una base nominale (per la sua verbalizzazione mediante conversione o prefissazione si vedano 7.4.2.1.2.2.1. e 3.7.2.4.). 5.3.1.2.2.2.2. Altri verbi con Ν oggetto affetto: il tipo ancheggiare MG La base, con funzione semantica di oggetto affetto, può designare, oltreché un'entità localizzata, come nel caso dei verbi esaminati in 5.3.1.2.2.2.1., anche un'entità (una o più, se numerabile) che un agente muove (aleggiare "muovere leggermente le ali", ancheggiare, archeggiare, boccheggiare, dardeggiare, labbreggiare, palleggiare, pinneggiare, zampeggiare-, tacchettare), raccoglie (spigolare "raccogliere le spighe") e così via. I verbi di questo tipo, derivati in -eggi-, designano in genere eventi inerentemente reiterativi. 5.3.1.2.2.3.

Ν complemento locativo: i tipi ospedalizzare, borseggiare e troneggiare MG

Analogamente ai verbi esaminati in 5.3.1.2.2.2.1., i derivati di questo tipo designano uno stato di cose che consiste nella localizzazione spaziale di due entità Ν e X. In questo caso la base nominale designa un'entità (o anche più, se numerabile) in quanto luogo verso il/sul/nel quale qualcuno o qualcosa viene mosso o da cui viene allontanato / tolto. Dagli eventi designati dal primo tipo di verbi, parafrasabili come "mettere(si) [collocare(si), (far) entrare, chiudere(si) ecc.] a/in/su N" conseguirà che X si troverà a/in/su N, oppure, dal punto di vista di quest'ultimo, che a/in/su Ν ci sarà un/del/dei X. Le basi nominali designano generalmente degli spazi destinati ad entità animate o inanimate {posteggiare "disporre un veicolo in sosta in un luogo"; museificare·, ghettizzare, manicomizzare, ospedalizzare) o anche degli oggetti che servono a trasportare o a conservare qualcosa (containerizzare "sistemare le merci in container", pal(l)ettizzare), nonché liste, inventari (eneiclopedizzare (L) "registrare informazioni in un'enciclopedia", vocabolarizzare). Anche la parte di un corpo umano può essere vista in quanto luogo in cui avviene l'azione di colpire, ferire (gambizzare "ferire qualcuno alle gambe"). Il secondo tipo di verbi, che designa cioè l'allontanamento di un X da N, è molto raro (borseggiare "derubare qualcuno prelevandogli soldi o altro dalla borsa o dalle tasche", staffeggiare ant. "far uscire il piede dalla staffa"), cfr. anche 7.4.2.1.2.3. e 3.7.1.1.12.

5. Suffissazione

458

Da basi nominali con funzione locativa possono derivare, generalmente con il suffisso -eggi-, anche dei verbi stativi o continuativi, parafrasabili come "stare a/in/su N" (alpeggiare "detto di animali, trascorrere il periodo estivo in alta montagna", fiancheggiare, troneggiare-, usciolare) oppure come "muoversi [andare, passeggiare ecc.] in/su/per/vicino a N " (barcheggiare "andare in barca per passatempo senza meta fissa", costeggiare). 5.3.1.2.2.4. Ν strumento: il tipo pennelleggiare MG Alcuni verbi, derivati, nella stragrande maggioranza, con -eggi- e, molto raramente, con -izz- o con altri suffissi, intransitivi oppure usati transitivamente o intransitivamente in funzione del carattere attuale o non attuale della predicazione, designano uno stato di cose in cui il ruolo semantico del referente della base può essere interpretato come quello di uno strumento con il quale si esegue un'azione o si ottiene il risultato dell'azione stessa. Può trattarsi di basi che designano utensili, strumenti, apparecchi semplici e complessi, ma anche parti del corpo, con cui si esegue abitualmente una determinata azione (canneggiare "misurare il terreno con la canna metrica", carteggiare, maneggiare, paleggiare, pennelleggiare, timoneggiare-, radarizzare (Q); zappettare-, denticchiare), armi in senso lato, ivi compresi oggetti con cui si danno uno o più colpi ripetutamente (cannoneggiare "colpire insistentemente qualcosa con tiri di cannone, sparare col cannone", stoccheggiare, vergheggiare), mezzi di trasporto e di spostamento (carreggiare "trasportare qualcosa con il carro"), strumenti musicali (arpeggiare "suonare l'arpa o altri strumenti a corda", tambureggiare, timpaneggiare) ecc. La verbalizzazione di un nome con funzione di strumento è molto più frequente, come si vedrà in 7.4.2.1.2.4., mediante conversione. 5.3.1.2.2.5. Ν complemento predicativo del soggetto: il tipo torreggiare MG Abbiamo pochi esempi di verbalizzazione, in -eggi-, di una situazione non telica (cfr. anche 7.4.2.1.2.6. p. 543, η. 1). Si tratta, analogamente ai casi visti in 5.3.1.2.1.1. e 5.3.1.2.1.2., di ascrivere ad un'entità X una o più caratteristiche considerate tipiche - forma, consistenza, sapore, odore, colore ecc. - del referente della base (fosforeggiare "emanare luce fosforica, essere forforescente", maestraleggiare, mareggiare, torreggiare "dominare dall'alto come una torre"). I derivati di questo tipo sono parafrasabili come "essere [mostrarsi, muoversi ecc.] (come) N", dove Ν svolge il ruolo di complemento predicativo del soggetto. 5.3.1.2.3.

Ν '-animato', '-concreto': i tipi danneggiare, fiatizzare (L), ozieggiare MG

spettacolizzare,

Vediamo ora i verbi derivati da basi nominali che appartengono alla classe lessicale caratterizzata dai tratti '-animato', '-concreto'. Anche in questo caso possiamo distinguere diversi tipi, in funzione del ruolo del referente della base nella situazione verbalizzata. Nella maggioranza dei casi la base ha la funzione di oggetto effetto, rappresenta cioè il risultato dell'evento stesso, agentivo o non agentivo, designato dal verbo parafrasabile come "fare (subire) [causare, produrre, suscitare, provocare ecc.] N". Diversi derivati di questo tipo sono caratterizzati dall'alternanza causativo-incoativa. La base può designare uno stato psicologico o fisico che trae origine da una causa esterna o interna all'esperiente-

5.3. Derivazione verbale

459

paziente dell'evento stesso (danneggiare "causare danni a qualcosa o a qualcuno", furoreggiare; armonizzare, atrofizzare, metastatizzare) oppure una condizione economica o politica (autarchizzare "portare all'autarchia", egemonizzare). Può rappresentare anche un'azione (gareggiare "partecipare ad una gara, fare a gara con qualcuno", guerreggiare, saccheggiare), il prodotto scritto o parlato di un'attività linguistica (elzevireggiare (F) "scrivere su un argomento usando i modi e lo stile tipici dell'elzeviro", iperboleggiare, metaforeggiare, papereggiare (BC), proseggiare, sermoneggiare, sloganeggiare (BC); apologizzare, neologizzare), il risultato di un'elaborazione mentale (conteggiare "fare dei calcoli"; assiomatizzare, chimerizzare, concettizzare, ipotizzare, mitizzare, teorizzare) o di un attività professionale (alchimizzare "praticare l'alchimia", anatomizzare, ovariectomizzare, tracheotomizzare) ecc. Un altro gruppo di verbi, causativi o incoativi, designa un evento agentivo o non agentivo, di transizione reale o metaforica di un'entità X da uno stato-origine ad uno stato-meta Ν ed è parafrasatale come "(far) diventare (come / conforme a / simile a) [trasformare(si) in, (far) prendere forma di ecc.] N" (simboleggiare "rappresentare qualcosa per mezzo di simboli", sunteggiare; cosificare (F), massificare, mercificare, museificare; algerizzare (Q), bestsellerizzare (F), carnevalizzare (L), cineclubizzarsi (Q), clinicizzare, cooperativizzare, coventrizzare, entizzare (Q), finlandizzare, metaforizzare, mitizzare, percentualizzare, riminizzare, satellizzare, schematizzare, simbolizzare, spettacolizzare, tabuizzare, telenovelizzare (F)). Pochi i verbi che indicano il porre in essere di un legame di appartenenza tra Ν e un X (,adelfizzare (F) "(far) diventare dell'editore Adelphi",fiatizzare (L), irizzare, statizzare). Da basi che designano entità astratte possono derivare anche dei verbi intransitivi (generalmente in -eggi- e parafrasagli come "avere [essere in, provare, mostrare ecc.] N") che verbalizzano delle situazioni non teliche. Per es.: amoreggiare "detto di due persone, avere una relazione amorosa", ozieggiare, pompeggiare, vigoreggiare; armonizzare.

5.3.2.

Verbi deaggettivali 1 MG

5.3.2.1. Considerazioni generali MG La derivazione dei verbi da basi aggettivali avviene produttivamente mediante i suffissi -eggi-, -ific- e -izz-, seguiti dai morii flessivi della prima coniugazione. I tre suffissi presentano caratteristiche molto simili a quelle già osservate in 5.3.1.1. Il suffisso -eggi- è produttivo, in particolare nei registri informali, nella formazione di verbi soprattutto intransitivi, ma anche di verbi solo transitivi oppure transitivi e intransitivi, perlopiù non pronominali, a partire da basi in genere non derivate. I derivati in -eggirappresentano circa il 21% dei verbi deaggettivali suffissati; le neoformazioni sono relativamente poche, costituiscono solo il 2% dei verbi deaggettivali suffissati attestati dopo gli anni '50. 1

II corpus dell'analisi, ottenuto mediante lo spoglio esaustivo del DISC e di alcuni dizionari di neologismi (BC, C, CC, F, L, Q; solo per gli esempi tratti da questi si indica tra parentesi la fonte), è costituito da circa 350 verbi. Cfr. anche p. 450 n. 2.

460

5. Suffissazione

Il suffisso -ific- è produttivo, nei registri colti e in particolare in quelli tecnico-scientifici, nella formazione di verbi soprattutto transitivi, ma anche di verbi transitivi e intransitivi, perlopiù non pronominali, a partire da basi in genere non derivate. I derivati in -ific- rappresentano circa il 6% dei verbi deaggettivali suffìssati; anche le neoformazioni con questo suffisso sono poco numerose, costituiscono solo circa il 4% dei verbi deaggettivali suffissali attestati dopo gli anni '50. Il suffisso porta al troncamento della sequenza finale della base se questa è '-ico (autentificare, tecnificare, caustificare). Il suffisso -izz- è produttivo, sia nei registri informali che in quelli colti, anche tecnicoscientifici, nella formazione di verbi soprattutto transitivi, ma anche di verbi solo intransitivi oppure transitivi e intransitivi, pronominali e non pronominali, a partire da basi, derivate o meno. I derivati in -izz- rappresentano circa il 70% dei verbi deaggettivali suffìssati e, a giudicare dal numero elevato delle neoformazioni, circa il 94% dei verbi deaggettivali suffìssati attestati dopo gli anni '50, la produttività del suffisso sembra molto alta.1 In combinazione con -izz-, alcune basi in '-ico presentano un allomorfo troncato (aristocratizzare, burocratizzare, diplomatizzare, emblematizzare, mimetizzare, nevrotizzare, problematizzare, psicosomatizzare, romantizzare, sistematizzare, telematizzare), altre invece quello non troncato (anglicizzare, automaticizzare, elettronicizzarsi (L), elasticizzare, eroicizzare, liricizzare, miticizzare, poeticizzare, storicizzare, tecnicizzare, tipicizzare, turisticizzare). In alternanza con -isticol-ismo, oppure con -istal-isticol-ismo, -izz- occorre in verbi formati sul modello dei prestiti latini o greci, senza un altro morfo identificabile come base (anacronizzarsi (BC) / anacronistico / anacronismo, antagonizzare (BC) / antagonista / antagonistico / antagonismo). Oltre ai suffissi -eggi-, -ific- e -izz- possiamo identificare nel nostro corpus altri morfi: -ic- (biancicore, nericare, rossicare, verzicare, zoppicare e la serie regolare di verbi quali decuplicare, quintuplicare, sestuplicare, settuplicare), -it- (capacitare, facilitare, inabilitare), che occorrono in alcuni verbi trasparenti dal punto di vista morfologico e semantico, ma che non sono produttivi.2

Quasi la metà delle basi sono a loro volta già derivate. Ci sono tanto degli aggettivi formati mediante suffissazione, prefissazione o composizione (con elementi neoclassici), quanto mediante parasintesi o conversione. Diamo qui solo alcuni esempi per i diversi tipi possibili: (a) basi suffissate: aziendalizzare, contestualizzare, dialettalizzare, funzionalizzare, istituzionalizzare, manicomializzare (BC), marginalizzare, nasalizzare, pedonalizzare, semestralizzare, statalizzare, strumentalizzare, tropicalizzare·, americanizzare, italianizzare, sicilianizzare (BC); spirantizzare; elementarizzare-, libanesizzare·, piacevoleggiare·, automaticizzare, elettronicizzarsi (L), emblematizzare, nevrotizzare, tecnologizzare, turisticizzare·, femminilizzare; alcalinizzare·, fascistizzare·, calcistizzarsi (F);3 (b) basi prefissate: acromatizzare·, corresponsabilizzare-, impermeabilizzare, insonorizzare; (c) basi composte:

1 2

3

Cfr. Radtke 1994. Per la diversa produttività dei tre suffissi si veda anche Thornton 1997. Lo status di questi morfi non sarà ulteriormente approfondito; -ic- occorre anche in verbi denominali e in verbi deverbali (cfr. 5.3.1.1. e 5.3.3.). Per quanto riguarda le possibilità di nominalizzazione dei verbi derivati rimandiamo a 5.1.3.1.2. (cfr. anche Thornton 1988, 314-318). Numerosi verbi di questo tipo, trasparenti dal punto di vista morfologico e semantico rispetto ad una base aggettivale, sono di origine tardolatina o presi in prestito dal francese e non formati in italiano.

5.3. Derivazione

461

verbale

liofilizzare, psicosomatizzare; (d) basi parasintetiche: consapevolizzare; mediante conversione: charterizzare (CC), porporeggiare, socialistizzare,

(e) basi formate telematizzare.

Lo stesso aggettivo può costituire la base di verbi derivati con suffissi diversi oppure formati mediante conversione. Un primo esame delle numerose coppie minime ci offre i seguenti risultati: i verbi possono distinguersi: (a) per la funzione semantica diversa della base (anticheggiare / antichizzare (CC), paganeggiare / paganizzare, radicaleggiare / radicalizzare, toscaneggiare / toscanizzare; azzurrare / azzurreggiare, lentare / lenteggiare-, italianare, italianizzare / italianeggiare); (b) per

essere derivati da significati diversi della base (fiscaleggiare / fiscalizzare; largare / largheggiare; vanire / vaneggiare / vanificare)·, (c) per restrizioni di selezione diverse (attivare / attivizzare,

massi-

mare / massimizzare; umidire / umidificare). In molti casi si tratta di varianti sinonimiche (ridicoleggiare / ridicolizzare; negreggiare / nericare, rosseggiare / rossicare, zoppeggiare / zoppicare; pettegolare / pettegoleggiare, verdire / verdeggiare; concretare / concretizzare, ottimare / ottimizzare) o parzialmente sinonimiche (classicheggiare / classicizzare, fiorentineggiare / fiorentinizzare; pareggiare / parificare; tecnicizzare / tecnificare; stancare / stancheggiare, fondare / tondeggiare; sterilire / sterilizzare).

5.3.2.2. Struttura semantica MG Se il referente del soggetto dell'enunciato è affetto, indipendentemente dalla propria volontà, da un mutamento di proprietà, avremo un processo rappresentato da un verbo incoativo; se invece ne è causa intenzionale, si tratterà di un'azione designata da un verbo causativo. Numerosi verbi presi in esame sono caratterizzati dall'alternanza causativo-incoativa: lo stesso verbo può occorrere in una costruzione transitiva con un soggetto (rappresentante la causa esterna, animata o inanimata, del mutamento) e con un complemento oggetto, oppure in una costruzione intransitiva (in forma attiva o con un clitico in funzione «anticausativa») nella quale agente e paziente-sede del processo coincidono. All'opposizione causativo / incoativo corrisponde generalmente la forma non pronominale usata transitivamente / forma pronominale (il presidente ha normalizzato la situazione vs la situazione si è normalizzata; altri esempi: complessificare (F), intensificare; acutizzare, assolutizzare, attualizzare, autonomizzare (Q), colpevolizzare, concretizzare, cronicizzare, formalizzare, globalizzare (F), industrializzare, interiorizzare, internazionalizzare, ispanizzare, istituzionalizzare, laicizzare, lessicalizzare, mimetizzare, nasalizzare, nevrotizzare, occidentalizzare, opacizzare, ovalizzare, politicizzare, professionalizzare, provincializzare, radicalizzare, responsabilizzare, sensibilizzare, sincronizzare, sindacalizzare, somatizzare, sonorizzare, stabilizzare, territorializzare, universalizzare, urbanizzare, velocizzare, virilizzare, vivacizzare; capacitare). Molto rari sono nel corpus gli altri due comportamenti possibili, e cioè: (a) causativo transitivo / incoativo intransitivo tanto non pronominale quanto pronominale, dove le due forme incoative possono essere equivalenti (socializzare(si), solidificare(si); ad es.: il freddo solidifica l'acqua / l'acqua solidifica o l'acqua si solidifica) oppure parzialmente equivalenti (ad es.: la bomboletta spray volatilizza il profumo / il profumo volatilizza, * Piero è volatilizzato vs il profumo si volatilizza, Piero si è volatilizzato); (b) causativo transitivo / incoativo intransitivo non pronominale (ad es.: i batteri acidificano il vino / il vino acidifica). I verbi attestati nel corpus solo con significato incoativo sono tutti pronominali (corneificarsi; anacronizzarsi (BC), calcistizzarsi (F), elettronicizzarsi (L), finanziarizzarsi, terziarizzarsi).

5. Suffissazione

462

Come vedremo più avanti da basi aggettivali possono derivare, oltre ai causativi e agli incoativi, anche dei verbi stativi o continuativi che designano una situazione non telica (folleggiare, zoppicare). Si tratta di verbi intransitivi non pronominali il cui soggetto manifesta, in grado maggiore o minore, la proprietà in questione. Il verbo derivato può corrispondere a più significati della base (solidificare "far diventare solida una sostanza" / "rendere qualcosa più solido, più sicuro"; meccanizzare "innovare un'attività prevalentemente manuale, introducendovi l'uso delle macchine" / "rendere un comportamento meccanico, senza spontaneità e individualità", sterilizzare "rendere un essere vivente incapace di procreare" / "privare qualcosa di germi patogeni e di altri microorganismi") o anche ad uno solo (largheggiare "essere generoso", lenteggiare "essere male avvitato; stare troppo lento, non ben teso"). 5.3.2.2.1.

Verbi causativi e incoativi MG

I verbi causativi e incoativi designano un cambiamento di stato, cioè una transizione dell'entità affetta dall'evento da uno stato ad un altro stato specifico opposto. Le loro caratteristiche semantiche possono essere messe in relazione con le proprietà delle basi aggettivali. In genere, se si tratta di un aggettivo graduabile, che è in rapporto di antonimia con un altro aggettivo, il significato del verbo sarà parafrasabile come "(far) diventare [rendere(si)] (più) A", se invece è non graduabile, in rapporto di complementarità con un altro aggettivo, sarà parafrasabile come "(far) diventare [rendere(si)] A". Si tratta di verbi che si riferiscono, nel primo caso, ad un mutamento tra due stati relativi, nel secondo, ad una transizione tra due stati assoluti. 5.3.2.2.1.1. Derivati da antonimi: il tipo velocizzare MG Nel caso dei verbi derivati da aggettivi antonimi il paziente del mutamento passa dall'avere un grado minore della proprietà all'averne un grado maggiore, lungo il continuum che intercorre tra i due poli.1 Può trattarsi tanto di proprietà la cui graduazione è misurabile oggettivamente con delle unità di misura, tanto di proprietà la cui graduazione è valutabile solo con criteri soggettivi. Quando si velocizza il passo lo stato iniziale, il punto di partenza, è indeterminato, l'azione può partire da qualsiasi velocità; come sarà indeterminato anche lo stato finale, che potrà essere relativamente veloce o relativamente lento, rispetto a una norma implicita, ma in ogni caso sarà più veloce rispetto allo stato iniziale. Si pensi, per esempio, all'accettabilità di un enunciato del tipo: ha velocizzato il passo, ma è ancora troppo lento. Il significato della base aggettivale è quello che appare anche nelle domande come quanto è veloce? oppure nella nominalizzazione velocità, dove l'opposizione veloce / lento è neutralizzata.2 Se l'aggettivo è sincategorematico, come ad es. veloce, cioè non ha un significato definibile indipendentemente dal significato dei termini ai quali si riferisce, la norma intermedia rispetto alla quale si effettua la comparazione è suscettibile di variazione in funzione dell'entità qualificata e corrisponde al valore medio della classe di referenti alla 1

Cfr. tenta di terribilizzare una blasfemia già terribile (Il Messaggero 26-05-1990).

2

Comportamento simile hanno anche alcuni verbi parasintetici (allontanare(si), awicinare{si), dimagrire(si),

ingrassare(si))

o non derivati (crescere, decrescere, diminuire). Per le caratteristi-

che azionali dei verbi «incrementativi» si veda Bertinetto / Squartini 1995.

5.3. Derivazione verbale

463

quale l'entità appartiene. La tendenza a polarizzare l'esperienza ha spesso come conseguenza che gli antonimi graduabili vengono utilizzati, piuttosto che per denominare i poli opposti di una scala con un intervallo fra di essi, come se fossero dei complementari, cioè in rapporto di disgiunzione esclusiva. Dipenderà dal contesto l'interpretazione del verbo come "(far) diventare A" o "(far) diventare più A", cioè la considerazione come punto di partenza del polo opposto oppure di una delle zone intermedie della proprietà graduata.1 Altri esempi: molleggiare·, intensificare, rarificare·, acutizzare, antichizzare (CC), comicizzare, cretinizzare (Q), mediocrizzare (Q), rapidizzare (F), sensibilizzare, terribilizzare (F), vivacizzare, facilitare. L'aggettivo incorporato può essere anche una forma graduata sintetica (massimizzare, ottimalizzare, ottimizzare). 5.3.2.2.1.2. Derivati da complementari non graduabili: il tipo impermeabilizzare MG Nel caso dei derivati da complementari non graduabili il paziente del mutamento passa dal non avere la proprietà in questione all'averla: un enunciato come hanno impermeabilizzato il tessuto presuppone che precedentemente a tale evento il tessuto era permeabile e implica che ora non è (più) permeabile. Impermeabilizzare si potrebbe dunque definire come "passare dallo stato di non essere impermeabile allo stato di essere impermeabile". Analogamente: privatizzare un'impresa ha come punto di partenza un'impresa pubblica, sonorizzare un film un film che è muto ecc. Altri esempi: pareggiare-, autentificare, parificare·, acromatizzare, cronicizzare, digitalizzare, eternizzare, fede ratizzare (L), globalizzare (F), insolubilizzare, insonorizzare, interiorizzare, internazionalizzare, liofilizzare, pluralizzare, potabilizzare, secolarizzare, sincronizzare, solubilizzare·, inabilitare.2 Sempre da aggettivi non graduabili sono derivati alcuni verbi, come annualizzare (Q), mondializzare, quotidianizzare-, non si tratta tuttavia di complementari, bensì di membri di opposizioni scalari. Ad esempio, hanno quotidianizzato i controlli presuppone che i controlli prima erano o settimanali o mensili o annuali e implica che ora sono quotidiani. 5.3.2.2.1.3. Derivati da complementari graduabili: il tipo concretizzare MG I verbi derivati da complementari graduabili possono ammettere due interpretazioni in funzione del contesto. Questo tipo di aggettivi si differenzia dai complementari per la possibilità di graduazione di uno o di tutti e due i membri della coppia, ma è diverso anche dagli antonimi in quanto non esiste un intervallo tra di essi; generalmente uno dei due designa il punto zero di una scala, cioè l'assenza della proprietà indicata dall'altro (cfr. Cruse 1979, 965; 1980; 1986, 202-204, Lehrer / Lehrer 1982, 493-495). Consideriamo, per esempio, il significato di concretizzare(si), derivato da concreto in opposizione con astratto, in il progetto si è concretizzato e in il progetto si è concretizzato ancora di più. Il primo enunciato presuppone che il progetto prima era astratto e implica che ora è concreto-, il secondo invece presuppone come punto di partenza un grado minore 1

2

Si vedano Gsell 1979, 73-76, Stati 1979, 57-64, nonché p. 545 n. 1 per le differenze tra costruzioni sintetiche e costruzioni analitiche. Da notare, a proposito di acromatizzare, impermeabilizzare, inabilitare, insonorizzare, che il mutamento è orientato verso uno stato semanticamente negativo e comporta di fatto la perdita di una proprietà.

464

5. Suffissazione

della proprietà concreto. Esempi di questo tipo di verbi sono: stancheggiare; chiarificare, umidificare-, assolutizzare, astrattizzare (Q), attualizzare, civilizzare, colpevolizzare, consapevolizzare, elasticizzare, omogeneizzare, opacizzare, relativizzare, responsabilizzare, stabilizzare. 5.3.2.2.1.4. Derivati da aggettivi denominali: i tipi problematizzare, teatralizzare e americanizzare MG I verbi derivati da aggettivi denominali sono, nella loro stragrande maggioranza (cfr. anche 7.4.2.2.1.4.), suffissati in -izz-, e le loro basi mostrano una preferenza per certi suffissi aggettivali come -ale, -ano e '-ico. Dal punto di vista sintattico e semantico gli aggettivi denominali possono essere qualificativi, di relazione o avere un uso sia relazionale che qualificativo.1 Gli aggettivi qualificativi caratterizzano o qualificano il referente della testa nominale, mentre la funzione degli aggettivi di relazione è quella di classificarlo o identificarlo. Gli aggettivi di relazione, a differenza di quelli qualificativi, non designano qualità o proprietà dei referenti delle teste nominali, bensì stabiliscono delle relazioni tra queste entità e altre entità, o classi di entità, esterne. L'analisi della struttura semantica dei verbi del nostro corpus ci mostra che un aggettivo denominale è verbalizzabile solo se può occorrere con funzione predicativa. Avremo dunque verbi derivati da aggettivi denominali che occorrono in contesti caratterizzanti (casualizzare, contestualizzare, idealizzare, marginalizzare, regolarizzare, ritualizzare, semestralizzare, sensazionalizzare (BC), ufficializzare), ma non da aggettivi di relazione che occorrono solo in contesti classificanti (*lanierizzare l'industria, * salarializzare le rivendicazioni). Solo nei contesti che ammettono la predicatività sono invece verbalizzabili gli aggettivi che occorrono sia con funzione caratterizzante che con funzione classificante (commercializzare il prodotto / * commercializzare la corrispondenza, statalizzare una scuola / *statalizzare il bilancio, teatralizzare un discorso / * teatralizzare un ente, vitalizzare il dibattito / Vitalizzare le esigenze', altri esempi: elementarizzare, governativizzare (BC), istituzionalizzare, nevrotìzzare, normalizzare, professionalizzare, provincializzare, radicalizzare, storicizzare, strumentalizzare, turisticizzare). Gli aggettivi, formati in italiano o meno, che indicano l'appartenenza ad un gruppo, come gli etnici ecc., consentono la posizione predicativa e sono verbalizzabili. I derivati indicano l'acquisizione da parte di un X di una proprietà designata dalla base, o a quella simile, che può riguardare il modo di comportarsi, di pensare, di esprimersi, l'adesione religiosa, politica ecc. (nazificare, russificare; anglicizzare, arabizzare, balcanizzare, cattolicizzare, europeizzare, fascistizzare, francesizzare, ispanizzare, italianizzare, libanesizzare, meridionalizzare, occidentalizzare, romanizzare, sicilianizzare (BC), slavizzare, socialistizzare, sovietizzare, toscanizzare).2

1

2

Cfr. 5.2.1., Grossmann 1999 e, per le caratteristiche analoghe degli aggettivi che occorrono nei composti N+A del tipo acqua pesante, camera oscura, 2.1.2.4. Cfr. il tipo algerizzare (Q),fìnlandizzarein 5.3.1.2.3.

5.3. Derivazione

verbale

465

5.3.2.2.2. Verbi stativi o continuativi: i tipi zoppicare e folleggiare MG Da basi aggettivali si possono formare anche, con un procedimento piuttosto produttivo, dei verbi intransitivi o usati intransitivamente, stativi o continuativi dal punto di vista azionale, il cui soggetto designa un'entità che manifesta / possiede, in misura variabile e/o ad intervalli nel tempo, la proprietà in questione. Predicando di X che zoppica gli si attribuisce o uno stato generico dal punto di vista temporale oppure un'attività in corso di svolgimento in quel momento. 1 Se il soggetto si riferisce ad un'entità animata il verbo può, in presenza di volontarietà, ammettere tanto l'interpretazione attitudinale stativa quanto quella continuativa agentiva: X zoppica in quanto attributo, equivalente a X è zoppo, vs X zoppica in quanto attività, equivalente a X sta zoppicando (ma non *Maria sta tondeggiando, privo di volontarietà). Se il soggetto si riferisce invece ad un'entità inanimata, il verbo ammette in generale solo la lettura stativa (I campi verdeggiano / */ campi stanno verdeggiando, La strada pianeggia / *La strada sta pianeggiando). Si tratta di verbi derivati perlopiù con il suffisso -eggi- e parafrasabili come "essere [mostrarsi, tendere a ecc.] più o meno [un po', poco, abbastanza, piuttosto, molto, spesso ecc.] A". Ad es.: aspreggiare, biancheggiare, biondeggiare, grandeggiare, largheggiare, lenteggiare, nereggiare, pareggiare, porporeggiare, rosseggiare, rotondeggiare, scarseggiare, spesseggiare, zoppeggiare;2 razionalizzare, solidarizzare·, biancicare, nericare, rossicare. Se la base denota delle proprietà comportamentali, il verbo è parafrasabile anche ricorrendo all'aggettivo nominalizzato con un identificatore: "fare il [comportarsi come un, fare atti tipici di un ecc.] N", oppure con l'aggettivo avverbializzato in -mente: "fare una cosa [comportarsi ecc.] Amente". Ad es.: birboneggiare, bricconeggiare, bulleggiare, fiscaleggiare, frivoleggiare, mondaneggiare, pazzeggiare, pedanteggiare, pignoleggiare, romanticheggiare, villaneggiare·, sottilizzare (cfr. anche 5.3.1.2.1.1.). Come si evince dagli esempi precedenti, diversi verbi continuativi di questo tipo sono inerentemente reiterativi e designano la manifestazione di proprietà in genere socialmente stigmatizzate.

5.3.3.

Verbi deverbali 3 PMB

Per verbi deverbali si intendono, in base ai comportamenti morfologici dell'italiano, verbi formati a partire da una base verbale mediante opportuni suffissi (con l'eventuale concomitante comparsa del prefisso s-, che connota come parasintético il prodotto dell'operazione). Poiché non si ha transcategorizzazione, si può restare nel dubbio circa lo statuto morfologico da assegnare a queste formazioni: autentici casi di derivazione, ovvero processi alterativi (o modificativi), con ciò che ne consegue circa l'ambiguità intrinseca a tale categoria morfologica (che si può ritenere un caso di derivazione non prototipica). D'altra parte, il criterio della stretta composizionalità semantica appare piuttosto suggestivo

2

3

Per l'affinità tra verbi stativi e verbi continuativi e per la distinzione stativo-attitudinale / continuativo si vedano Vendler 1967, 108-109, Bertinetto 1986, 96-97, 139-152, 250-264, 294-296. Sui numerosi aggettivi, come dialettaleggiante, liberaleggiante, popolareggiante ecc., senza basi verbali in -eggi- attestate, ancorché possibili, si veda 5.2.2.2.3. Ringrazio Maria Grossmann e Livio Gaeta per i loro preziosi consigli.

466

5. Suffissazione

che non autenticamente dirimente, anche vedendolo in rapporto a quanto accade nel comparto degli alterati (o modificati) nominali; sia perché neppure tra i nomi alterati mancano esempi di specializzazione idiosincratica del significato (cfr. cassetto da cassa-, casino da casa-, mostrina "risvolto del bavero di una giacca" da mostra), sia perché tra i verbi deverbali non sono certo assenti i casi di trasparenza semantica (bevicchiare, canterellare, fischiettare ecc.). Ci si dovrà dunque arrestare alla semplice constatazione che la composizionalità semantica sembra nel complesso caratterizzare meglio il comparto degli alterati nominali che non quello degli alterati verbali (sempre ammesso che l'etichetta di «alterazione» sia considerata appropriata per tutti i verbi deverbali). Prima di passare all'analisi, è opportuno fornire una breve descrizione del corpus di cui ci si è avvalsi. I materiali sono stati tratti soprattutto dal DISC, con l'aggiunta di ulteriori entrate lessicali derivanti da altre fonti, in particolare da Buetti-Ferrari 1987 (ma si vedano anche Schafroth 1998, le osservazioni contenute in Borgata 1976, 144-150, e soprattutto i manuali di Rohlfs 1969 e Tekavòic 1972). Ciò ha permesso di raccogliere un corpus di 170 verbi. Sono stati ovviamente scartati tutti i casi certi di derivazione denominale (come ad es. dentellare daltonismo, Parkinson —» parkinsonismo. Tipicamente connessi con la patologia sono i suffissi -ite, -osi, -orna.1 In un certo numero di casi, il termine così affissato implica rispettivamente un processo infiammatorio (bronchite), una condizione patologica di tipo regressivo-degenerativo (arteriosclerosi), un tumore (sarcoma). In realtà, come è stato notato più volte (Altieri Biagi 1974, 79-80, Vitali 1983, 194), in molti casi il derivato ha significati impredicibili. Può essere utile qualche esempio. I derivati in -ite indicano in genere un processo infiammatorio che interessa il distretto anatomico indicato dalla base (artrite, blefarite, epatite)·, ma in difterite e piodermite la base esplicita già il processo morboso in atto (rispettivamente la pseudo-membrana che ricopre le tonsille (gr. diphtéra) e i germi patogeni responsabili della dermatite: l'elemento pio- (gr. pyon "pus") allude genericamente a un'infezione). I termini in -osi possono indicare patologie infiammatorie (adenovirosi, legionellosi: ci aspetteremmo piuttosto *adenovirite e Hegionellite), ma soprattutto hanno spesso valore iperonimico: l'avitaminosi è la carenza di una o più vitamine non specificate, la dermatosi è una generica malattia della pelle, la rickettsiosi abbraccia l'insieme delle malattie trasmesse all'uomo dagli insetti del genere Rickettsia ecc. Il suffisso -orna non allude a nessun processo tumorale in termini come ateroma, ematoma, glaucoma, granuloma, scleroma, scotoma, tracoma.

1

Concorrenti rispettivamente con 1 '-ite di chimica e mineralogia (fluorite) e della stessa medicina (dendrite "cilindrasse") e con 1 '-orna di biologia e botanica (rizoma).

10.3. Medicina

589

10.3.4. Varianti formali e suppletivismo LS Mentre il latino è ben rappresentato nella terminologia anatomica, il greco domina nella patologia (Mazzini 1989, 23): ciò ha favorito un alto tasso di suppletivismo latino-greco con coppie come vertebra / spondilite, rene / nefrite. Assai elevato nella formazione delle parole del linguaggio medico è un fenomeno che potremmo definire di «ridondanza formativa», dovuto sia alla stratificazione nel tempo di tecnicismi relativi a un medesimo designatimi, sia alla tendenza degli scienziati a introdurre nuove denominazioni, anche per marcare il proprio contributo originale alla ricerca, sia all'alta disponibilità di elementi formativi greco-latini, che si prestano ad essere variamente combinati tra loro. Possiamo distinguere almeno due tipologie. Lo stesso elemento formativo di origine classica, perlopiù greca, può essere rappresentato da varianti formali diverse (cfr. Mazzini 1989, 33-34). Ad esempio: emo- (dal tema dei casi retti del gr. âima: emocromo, emodialisi, emofilia, emoglobina) e emaio- (dal tema dei casi obliqui aimat-: ematocrito, ematologia, ematoma, ematuria-, l'intercambiabilità tra i due elementi emerge da coppie come emofobia / ematofobia (Garnier), emopoiesi / ematopoiesi (Garnier e Dorland)); dermo- (gr. dèrma: dermotomo, dermoide) e dermato(gr. dermal·: dermatologia, dermatite; si oscilla tra dermofita e dermatofita, dermografismo e dermatografismo (Dorland)). Nel secondo caso, si ha concorrenza di distinti elementi formativi, che possono anche essere tratti da diverse lingue. Ad esempio: (a) italiano e latino, con alternanza tra base di trafila popolare e derivato dotto: ciglio —> ciliare, labbro —> labiale", (b) italiano e greco: fegato —> epatico, cuore —> cardiaco, tosse —> bechico, polso —> sfigmico; inoltre, in riferimento al "polmone": polmon- (polmonite), pneumon- (gr. pnêumon "polmone": pneumonorrafia "sutura del polmone"), pneum- (gr. pnêuma "aria": pneumocele, pneumococco; quest'ultimo elemento crea paronimia con altri termini in cui significa appunto "aria": pneumotorace, pneumocolangia "presenza di aria nelle vie biliari");1 (c) greco e latino: oftalmo- (oftalmico, oftalmologia, oftalmoplegia) e oculo- (oculare, oculogiro, oculomicosi): (d) latino, greco, italiano antico e moderno (e forse francese): sopra-, con valore quasi sempre locativo (sopraorbitale, sopraventricolare; cfr. Cassandre 1996, 332-334), così come avviene per epi- (che infatti entra «in coppie oppositive come epifisi / ipofisi, epigastrio / ipogastrio, epispadia / ipospadia, epitalamo / ipotalamo» (Cassandre 1996, 304)), sovra-, variante arcaica di sopra che, più spesso del valore locativo (sovraombelicale), ha significato valutativo, indicando l'eccesso rispetto a una norma (sovratrasfusione, sovraventìlazione), così come avviene normalmente per iper- (ipertensione, iperespanso; cfr. Cassandre 1996, 303-305); sur- e super-, entrambe di origine latina (ma la prima varie volte sarà d'intermediazione francese; cfr. Marcovecchio 1993, 835) hanno significato valutativo: super- può implicare l'idea di un processo fisiologico o patologico che si sovrappone a un processo già in atto (suralimentazione, surreflettività,2 superinfezione, superfecondazione, superossigenazioné)·, (e) soltanto greco, ma rappresentato da temi distinti: mega- (spesso seguito dal sostantivo che indica una parte anatomica: megacapillare, megacolon, megaesofago), megalo- (megaloblasto, megalojtalmia) e macro-, con slittamento rispetto al significato originario di "lungo"

2

Solo ad "aria" fa riferimento pneumat- in pneumatocele "tumore gassoso", pneumaturia "emissione di gas con l'urina" ecc. Su questa intricata famiglia di elementi formativi cfr. Folena 1961. Garnier lo pone a lemma dando come sinonimi iperreflettività e iperreflessia "esagerazione dei riflessi".

590

10. Formazione delle parole nelle terminologie

tecnico-scientifiche

(macrodattilia, macroglossia\ cfir. Marcovecchio 1968, Janni 1986, 121-123) 1 o per metro- e istero(gr. métra e hystéra entrambi "utero": metrite, isterectomia·, varianti equivalenti: metrocele / isterocele, metralgia / isteralgia).

Talvolta lo stesso elemento formativo rimanda a significati diversi, come avviene per leuco-, che vale ora "bianco" (leucocito, leucoma, leucoplasto) ora "leucocito" (leucemia, leucopenia, leucopoiesi).

10.3.5. Composti LS È un settore particolarmente vivace nella formazione delle parole d'àmbito medico; è caratterizzato da notevole libertà formativa, con forte propensione al neologismo e spiccata varietà nella combinazione delle singole parti. Nei composti copulativi non è raro il caso che l'ordine delle componenti sia oscillante (cfr. Mazzini 1989, 33): in Chiarioni 1981a ricorrono sia [colonna] lombo-sacrale sia [promontorio] sacro-lombare;3 in Garnier si registrano megalosplenia e megalochiria (patrocinandone l'uso per entrambi: «Termine corretto che dovrebbe essere sostituito a» splenomegalia e chiromegalia, rispettivamente), mentre per megalepatia c'è un semplice rinvio a epatomegalia. La vocale connettiva dei composti tende a essere -o sia nel caso di radici greche (cardiovascolare, etio-patogenetico), sia nel caso di radici latine (lombo-sacrale, digiuno-ileale).4 Molto frequente la decurtazione del primo elemento. Distinguiamo: (a) il primo elemento ripropone la parola originaria con vocale fissa -o in composti determinativi come protrombinogenesi, vitamino-terapia, [attività] capillaro-protettiva e in composti copulativi formati con un aggettivo in '-ico: [patologia] biochimico-metabolica, [fase] anemicotachicardica; (b) il primo elemento viene variamente decurtato: '-ico —> -o (anatomopatologico, entero-epatico, allergo-dermatosi), -ale —> -o (ano-genitale, maniacodepressivo, [ferita] addomino-toracica (Bernier 1988, 204)), -are —> -o ([area] muscolocutanea (Piccolo 1979, 51)), -oso —> -o ([manifestazioni cutanee] eritemato-bollose), -itario

1

2

3

4

Un'isolata specializzazione all'interno della serie si potrebbe cogliere in macrocita "globulo rosso il cui diametro raggiunge gli otto o nove micron" e megalocito "globulo rosso il cui nucleo sorpassa i 12 micron" (Garnier; Dorland, pur confermando la sequenza quantitativa macrocito (questa è la forma ivi lemmatizzata) - megalocito, definisce il primo termine in modo un po' diverso: «eritrocito abnormemente grande, p. es. uno da 10 a 12 micron di diametro»). D'altra parte, non mancano varianti del tutto equivalenti come macrocardia, megacardia e megalocardia (in Zingarelli 2000) o - in Garnier - megacefalia e megalocefalia, megalopodia e macropodia, megagastria, megastomaco, megalogastria. È lo stesso fenomeno che avviene nella lingua comune in casi come /e/e-1 "a distanza" (è il valore originario: telecomunicazioni), tele-2 estratto da televisione (telegiornale) e tele-3 estratto da telefono (telesoccorso); cfr. Antonelli 1996, 271-275. Anche gli altri esempi addotti in questo paragrafo saranno ricavati da Chiarioni 1981a e 1981b, tranne che non sia diversamente indicato. Ma nei primi elementi di origine greca si ha generalmente -i in corrispondenza del gr. -y (pachidermia) e -u in corrispondenza del greco -u (= ou: acufene): cfr. Mazzini 1989, 37. Sulla o come vocale connettiva dei composti cfr. soprattutto Migliorini 1963 3 b e anche Janni 1986, 172.

10.4. Botanica e zoologia

591

—> -o ([forme] eredo-costituzionali, [cellule] immuno-competenti), -atico —> -o ([insufficienza] enzimo-secretiva), -otico —> -o ([epatite] sclero-gommosa).1 Talvolta si ha semplice giustapposizione di due aggettivi: [anemia] ipercromica-megaloblastica, [dermatite] seborroica-desquamativa. Caratteristica la riduzione al primo elemento di una parola composta seguita da un altro composto che presenti il secondo elemento in comune: [a livello] macroe/o microscopico, [cistifellea] normo- od ipotonica, [trattamento] chemio- o immunoterapico (Piccolo 1979, 39). Tra i composti determinativi sono notevoli quelli formati con elementi moderni (non neoclassici), tutti di diffusione recente e spesso di irradiazione angloamericana. La prima componente può restare invariata ([meccanismo] aldosterone-sensibile (Cecil 1997, § 34); e, necessariamente, con sigle: [sindromi] B¿ dipendenti, [rachitismo] D-resistente, [farmaci] ACE-inibitori (Cecil 1997, § 230)), ma in genere esce in -o: [attività] capillaro-protettiva, [bilirubina] non glicurono-coniugata. Con simil(e), accanto all'ordine modificatore-testa ([farmaci] aspirino-simili (Cecil 1997, § 19), papaverino-simili ecc.) si ha anche l'ordine inverso: [quadro] simil-reumatico.

10.4. Botanica e zoologia FB Uno dei compiti più importanti della botanica (detta anche fitología) e della zoologia è la classificazione degli esseri viventi; a tale obiettivo è dedicata un'apposita disciplina, detta sistematica, la quale, sulla base di informazioni desunte da altre branche delle due scienze, si occupa di denominare i viventi e ordinarli entro un sistema organico (tassonomia).2 La sistematica zoologica, che studia gli animali sotto l'aspetto descrittivo classificandoli secondo le affinità, si divide in vari rami: mammalogia (studio dei mammiferi), ornitologia (uccelli), erpetologia (rettili e anfibi), ittiologia (pesci), entomologia (insetti), malacologia (molluschi) ecc. I dati per la classificazione dei «tipi animali» o phyla sono principalmente morfologici; contributi importanti, tuttavia, vengono anche dall'anatomia comparata e dalla fisiologia. La sistematica botanica ha un

2

Da segnalare casi di base modificata (appendic(e) —> appendicopatia, torac(ico) —» toracoaddominale Piccolo 1979, 36; dall'affricata palatale alla velare, che, nel secondo caso, può dipendere direttamente dal gr. thórax, -akos) e di probabile blocco (da anemico non parrebbe essersi tratto anemo- per la collisione con l'elemento formativo "vento": anemometro ecc.). La distinzione fra sistematica e tassonomia non è molto chiara. Si registra, nell'uso degli studiosi come nei lessici, una certa oscillazione semantica. Secondo alcuni la tassonomia sarebbe la disciplina che stabilisce, su un piano teorico, il criterio di classificazione; come tale essa farebbe parte della sistematica, la quale, più in generale, si occupa di ordinare e classificare i viventi. Ciò non ostante non manca, fra gli studiosi, chi considera la sistematica parte della tassonomia (cfr. Heslop-Harrison 1975, 537). Secondo altri l'obiettivo della sistematica è la messa in evidenza di caratteri per raggruppare oggetti in una categoria; quello della tassonomia è invece l'attribuzione di un oggetto rinvenuto a una precisa categoria. Le due branche, in ogni caso, sono in stretto contatto, tant'è che non pare opportuno, in questa sede, prendere alcun partito. Ci serviremo di entrambi i termini in riferimento allo studio dei viventi in vista della loro classificazione e in riferimento al relativo sistema di classificazione.

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10. Formazione delle parole nelle terminologie

tecnico-scientifiche

compito del tutto analogo: i dati presi in considerazione sono i caratteri morfologici e contributi importanti li fornisce pure la paleobotantica (o paleontologia vegetale).

fisiologici;

Il carattere tassonomico di tali discipline impone frequenti e rigorose applicazioni dei meccanismi di formazione di parole. Prefissazione, suffissazione e composizione sono largamente usate per formare fitonimi e zoonimi trasparenti. L'obiettivo è quello di ottenere una nomenclatura sempre più precisa e semplice, utilizzabile dagli studiosi di tutti i paesi; nel Preambolo del Codice di Tokyo (botanica) si dichiara esplicitamente «lo scopo di fornire un metodo stabile per la denominazione dei gruppi tassonomici evitando e rigettando l'uso di nomi che possano causare errore o ambiguità o indurre la scienza in confusione» (Greuter et al. 1997,15). Ciò non impedisce che, accanto alla nomenclatura ufficiale, rigorosamente stabilita dagli organismi preposti a tale scopo e codificata in latino (lingua che affianca e in parte sostituisce l'inglese nella comunicazione fra gli studiosi: cfr. 10.4.2.), si sviluppino o si mantengano denominazioni alternative, proprie delle diverse scuole e tradizioni. Nomi italiani (sintagmi N+A) sono frequentemente usati accanto a quelli scientifici per indicare le diverse specie: (Pinus pinea vs pino domestico, Carcharodon carcharías vs squalo bianco)} Legate ad un uso ancor più circoscritto e riferito al territorio sono poi le denominazioni locali, italiane o dialettali: rispetto alla sistematica vera e propria si tratta di un'area di confine o addirittura di un'area del tutto estranea; tuttavia, come spesso accade, la tradizione popolare rivela una finezza e un'attenzione che talvolta non hanno nulla da invidiare alla cultura «ufficiale» (Beccaria 1995). Il sistema di classificazione in uso oggi è essenzialmente quello della nomenclatura binomia di Carlo Linneo.2 Alla base di tale classificazione vi sono tre condizioni: (a) l'accertamento delle famiglie naturali (i tipi); (b) l'identificazione del criterio di riconoscimento (indice tassonomico); (c) la possibilità di dedurre, in base alle presenze contenute nella tavola, altre specie dotate di forme e proprietà ancora ignote. Per designare le specie, la nomenclatura binomia si serve di due parole latine: la prima, riferita al genere, è un sostantivo con la maiuscola iniziale. Ad esso si aggiunge il nome specifico (in botanica chiamato epiteto): un sostantivo o, più frequentemente, un aggettivo scritto con la minuscola iniziale.3 Subito dopo si trova il nome (abbreviato: l'iniziale oppure le prime tre o quattro lettere) del primo autore che ha scoperto la specie: Rana esculenta L. (L. = Linneo), Abies alba Mill. (Mill. = Miller), Pinus nigra Arn. (Arn. = Arnold). Per le sottospecie si usa una nomenclatura trinomia: Rana esculenta marmorata. Un'ulteriore complicazione di tale sistema classificatorio può venire dalla presenza, fra il nome generico e quello specifico, di un nome sottogenerico, indicato fra parentesi tonde: Fundulus (Zygonectes) nottii nottii.

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In botanica questi nomi sono spesso riferiti a specie presenti sul territorio (Eurasia, America, Oceania, Africa) della scuola che li conia: la conifera americana Pinus resinosa è detta red pine dai botanici americani; la denominazione pino rosso non esiste in italiano. Fra il XVI e il XVII secolo Andrea Cisalpino (1519-1603) e J. Bauhin (1560-1624) avevano già proposto sistemi di classificazione delle piante, cominciando a introdurre la terminologia binomia. In questo senso Linneo non è da considerarsi l'inventore del metodo, quanto piuttosto colui che lo ha perfezionato e generalizzato, consegnandolo ai secoli futuri come un'imprescindibile acquisizione culturale (cfr. Gerola 1988 2 ,5-9; Biichi 1994). Qualora l'epiteto sia costituito da due parole si usa il trattino: per es. Adiantum capillus-Veneris (Greuter et al. 1997, 43); nel nome specifico la minuscola iniziale, assolutamente obbligatoria in zoologia, è ammessa in alcuni casi in botanica.

10.4. Botanica e zoologia

593

Il sistema di Linneo presenta due fondamentali difetti: (a) un'eccessiva rigidità, per la quale specie che differiscono solo per pochi tratti sono inserite in categorie diverse; (b) si fonda sul fissismo, principio secondo il quale sulla Terra si troverebbero attualmente le stesse specie create da Dio. Nonostante tali «difetti», i principi di Linneo sono ritenuti ancora del tutto validi. Su di essi infatti si fondano il Codice internazionale di nomenclatura botanica e il Codice internazionale di nomenclatura zoologica, i quali sono riesaminati e ridiscussi periodicamente nel corso di convegni specialistici.1

10.4.1. Affissazione e gruppi tassonomici FB Tanto in botanica quanto in zoologia i gruppi tassonomici {taxa) sono ordinati in ranghi consecutivamente subordinati; ogni individuo, pertanto, appartiene a un numero di taxa indefinito. I ranghi necessari all'identificazione dell'individuo sono due: genere (lat. genus) e specie (lat. species), secondo i principi di Linneo. Gli altri ranghi principali, in ordine ascendente, sono: famiglia (lat. familia), ordine (lat. ordo), classe (lat. classis), divisione (lat. divisio o phylum), regno (lat. regnum).2 L'appartenenza di ciascun taxon al proprio rango è segnalata da un apposito suffisso: nel regno vegetale -phyta è il suffisso per la divisione (lat. Bryophyta > it. briofite; lat. Chlorophyta > it. clorofite; lat. Phaeophyta > it. feofite)? per la classe si hanno tre suffissi: (a) -phyceae per le alghe (lat. Chlorophyceae > it. cloroficee-, lat. Schyzophyceae > it. schizoficee)·, (b) -mycetes per i funghi: (lat. Basidiomycetes > it. basidiomicetv, lat. Ascomycetes > it. ascomiceü)\ (c) opsida4 negli altri gruppi di piante (lat. Cycadopsida > it. cicadopside\ lat. Coniferopsida > it. coniferopside)·, meno regolare è la formazione dei nomi degli ordini: alcuni di essi (detti tipificati) sono creati sulla base del nome di una famiglia ad essi appartenente, sostituendo la terminazione -aceae con -ales: Fucales, Polygonales, Ustilaginales;5 altri (detti descrìttivi), per i quali non si può stabilire una regolarità morfologica, descrivono caratteri distintivi del taxon: 1

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Non è facile seguire tutte le evoluzioni di un sistema che, pur ancorato da secoli alle sue basi, varia continuamente nei particolari. Ci riferiremo per lo più al Codice di Tokyo (Greuter et al. 1997), adottato a partire dal quindicesimo Congresso Internazionale di Botanica, svoltosi a Yokohama fra l'agosto e il settembre del 1993. Il materiale tratto da altri articoli, manuali e saggi, può differire in particolari che sono da considerarsi comunque poco significativi. I criteri della classificazione degli animali sono basati su principi analoghi, anche se sono applicati con minor rigore: accade infatti che i medesimi suffissi ricorrano nelle denominazioni di taxa appartenenti a ranghi diversi (cfr. p. 593 n. 4). Come punto di riferimento per la classificazione si è fatto ricorso a Gerola 1988 , integrandone i dati, quando è sembrato necessario, mediante l'ausilio di alcuni dizionari (Villani, Leftwich, DB, ABG) e di altre opere di riferimento (Gellini / Grassoni 1996/1997). Per la lessicografia specialistica riguardante la botanica cfr. Vignoli 1971 e 1973. Sui problemi generali della formazione delle parole cfr. Dardano 1978. Per una classificazione più accurata anche botanici e zoologi si servono di ranghi secondari: tribù (lat. tribus), sezione (lat. sectió), serie (lat. series),forma (lat.forma). Fanno eccezione i funghi, la cui terminazione regolare è -mycota. II medesimo suffisso ricorre nella sistematica zoologica, sia pure con minor rigore. Esso caratterizza tanto famiglie (lat. Termopsidae > it. termopsidi) quanto generi (lat. Ichtyopsidae > it. ittiopsidi). I sottordini di questa seconda categoria sono caratterizzati dal suffisso -inae: Malvinae.

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Centrospermae, Parietales, Farinosae-, il suffisso delle famiglie è -acee (lat. scient. -aceae)\ come base si usa oggi il nome di un genere appartenente alla famiglia, privato della desinenza: Rosacee, Salicacee, Rhodophyllacee, Sclerodermatacee (lat. scientifico Rosaceae, Salicaceae ecc.). La tipificazione (estensione della base di un taxon alla denominazione di un taxon superiore), come nel caso degli ordini, contribuisce a dare regolarità al sistema, in conformità con gli obbiettivi dei tassonomi; negli ultimi anni molte denominazioni di famiglie sono state sostituite con nuove formazioni di questo tipo (N generico + -acee)·, alcune di esse, tuttavia, in uso da lungo tempo, si sono mantenute, e quindi convivono accanto alle nuove: Palmae vs Arecacee (tipo Areca L.), Gramineae vs Poaceae (tipo Poa L.), Leguminosae vs Fabaceae (tipo Faba Mill.), Compositae vs Asteracee (tipo Aster L.), Guttiferae vs Clusiaceae (tipo Clusia L.). Genere e specie, i taxa fondamentali, sono soggetti a norme assai meno vincolanti; sebbene si tenda ad usare la lingua latina o a servirsene come modello cui adattare basi di origine diversa, la scelta resta arbitraria e può differire dall'uso consueto: Ifloga (nome di genere ottenuto anagrammando il nome Filago), (Acer) monspessulanum (dal nome della città di Montpellier), (Atropa) bella-donna, (Spondias) mombin (indeclinabile), (Connochaetes) gnu (adattamento di una voce boscimana). Frequentemente si incontrano denominazioni risalenti a nomi propri di persona (cfr. 10.4.3.). Come già accennato, l'esigenza di una classificazione più accurata di una determinata categoria di esseri viventi può richiedere la formazione di nuovi ranghi, intermedi a quelli principali e secondari. Tali «sottoranghi» (costruiti, attraverso la formazione delle parole, partendo dai ranghi principali e secondari) sono prodotti semplicemente premettendo alla base di un rango principale o secondario preesistente il prefisso sub- (it. sotto-). Tale espediente, che permette di raddoppiare il numero dei ranghi, presenta due evidenti vantaggi: (a) evita una scomoda ma altrimenti necessaria memorizzazione dei ranghi tassonomici; (b) rende manifesto il rapporto fra i ranghi stessi: che sottordine sia un rango inferiore all'ordine è facilmente comprensibile; ciò non accade per famiglia·, quest'ultimo termine non ha nessun legame morfologico con ordine. La ricerca della trasparenza è evidente anche nella scelta dei suffissi di alcuni di questi sottoranghi: cfr. -phytina e -mycotina, suffissi delle sottodivisioni, rispettivamente da -phyta e -mycota. Come appare, si aggiunge -ina al suffisso caratteristico dell'ordine: in tal modo si manifesta apertamente il rapporto con i taxa del rango superiore. Analogamente si formano i suffissi delle sottoclassi: -phyceae —» -phycidae, -mycetes —• -mycetidae. La struttura dei termini e il loro rapporto reciproco ripropongono iconicamente quelli delle categorie ad essi soggiacenti, aumentando la coerenza del sistema e la sua facilità d'uso. La prefissazione è assai produttiva anche al di fuori dei nomi dei ranghi e dei taxa: tipo, ad esempio, può essere preceduto da numerosi prefissi o prefissoidi (di origine classica), anche più d'uno contemporaneamente: lectotipo, paratipo, paralectotipo. Si ottengono così, partendo da parole più generali, termini con un maggior grado di specializzazione (apantotipo, per esempio, è un vocabolo specializzato per gli insetti); resta da vedere in che modo si siano formati i termini che hanno come secondo elemento tipificazione: a prima vista parrebbe di trovarsi di fronte a un prefissato ledo- + tipificazione-, la presenza di lectotipo, tuttavia, può far pensare a una diversa soluzione: lectotipo —* °lectotipificare —* lectotipificazione.

10.4. Botanica e zoologia

595

10.4.2. Π ruolo delle lingue classiche FB La botanica e la zoologia sono due discipline in cui il latino ha un ruolo fondamentale. Questa lingua, lungi dall'essere un semplice serbatoio di formanti, è ancora oggi usata per produrre veri e propri testi. Infatti tutt'altro che superata è l'usanza di descrivere le nuove specie (animali e vegetali) in latino. In definitiva si ha una vera e propria lingua franca in uso presso la comunità scientifica (Dardano 1994, 510ss.). A parte i problemi (difficoltà interpretative da parte dei parlanti di lingue non romanze, tentativo di sostituzione con l'inglese) che un simile uso comporta, appare chiaramente il ruolo dominante del latino. Possiamo distinguere tre livelli dell'uso del latino: (a) la nomenclatura latina relativa alla classificazione delle specie: nomi dei ranghi e dei taxa; gli adattamenti (facilitati dalla stretta parentela e affinità delle due lingue) alla lingua italiana sono da considerarsi operazioni successive alla formazione di tale nomenclatura; ad esempio Rosali, nome dell'ordine delle Rosacee, sarà un adattamento da Rosales più che una formazione italiana a partire da Rosa + -ali < lat. -ales·, (b) prestiti di formanti o vocaboli (adattati) che arricchiscono la terminologia (si escludono qui i nomi dei ranghi e le basi dei taxa) tecnica; il numero di questi ultimi è assolutamente inferiore a quello dei grecismi: -forme (cimbiforme, reniforme), cuticola, spatolata; (c) latinismi: nomen novum "nuovo nome esplicitamente pubblicato come sostitutivo di un nome anteriore", nomen conservandum "nome da conservare non ostante la sua irregolarità", facies "formazione vegetale che si diversifica dal tipo fondamentale per la presenza di alcune specie particolari che la caratterizzano". Sebbene il latino sia la lingua ufficiale della tassonomia (e, seppur limitatamente a situazioni specifiche, dello scambio di conoscenze), è il greco la lingua che ha fornito il maggior numero di prestiti. Formanti greci sono presenti innanzi tutto nei nomi dei taxa: affissi come -poda (Arthropoda), syn- (Syncarida) o basi come Aestoxicon (Aestoxicacee), Potamogeton (Potamogetonaceé), Scleroderma (Scleratodermatacee). Un interessante caso di alternanza fra greco e latino è rappresentato da formanti come -formes (it. -formi) e -morpha (it. -morfi)\ Coraciformes (it. coraciformi), Piciformes (it. piciformi), Passeriformes (it. passerìformi) vs Lagomorpha (it. lagomorfî), Phragmomorpha (it. frammomorfa); interessante è pure il caso di due famiglie, le Rhodophyllacee e le Rhodophyllidacee, la prima risalente al lat. Rhodophyllus, la seconda al gr. Rhodophyllis.

Al di fuori della nomenclatura dei taxa la presenza del greco si fa ancora più imponente; composti greci formano microsistemi, come: olotipo, lectotipo, isotipo, paratipo, sintipo, epitipo, neotipo, apantotipo; i formanti possono combinarsi fra loro oppure con elementi alloglotti, per esempio, latini: si confronti anamorfo, pleomorfo con morfogenere (dove si registra, fra l'altro, la posizione iniziale dell'elemento morfo; così anche in morfotaxon).

10.4.3. Il ruolo delle altre lingue FB Contrariamente a quanto accade in altre discipline, il ruolo dell'inglese è di secondo piano: l'apporto di questa lingua è per lo più limitato, nell'uso, a sigle universalmente accettate come DNA1 o riguardanti tecnologie o esami specialistici, come PCR (polymerase-chain-reaction). 1

Cfr. invece il fr. ADN (acide désoxyribonucléique) e il ted. DNS (Desoxyribonukleinsäure).

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10. Formazione delle parole nelle terminologie tecnico-scientifiche

È interessante invece, benché quantitativamente limitato, l'apporto alloglotto nella tassonomia; nomi di famiglie possono venire costruiti con basi appartenenti a lingue di origine non classica: Nelumbo (parola singalese latinizzata) —• Nelumbonacee, giapponese Ginkgo —> Ginkgoacee-, i nomi di genere si possono ottenere combinando formanti di lingue diverse: Sequoia (voce latinizzata dall'ingl. sequoia, a sua volta adattamento del nome Sequoyah, studioso amerindio che inventò l'alfabeto cherokee) + gr. dendron —> Sequoiadendron} Quest'ultimo esempio ci riporta al particolare uso di formare denominazioni a partire da nomi propri di persona:2 oltre a sequoia, possiamo ricordare: (a) per i nomi specifici: Lawson —> (Chamaeciparis) lawsoniana, Douglas —> (Pseudotsuga) douglasit, (b) per i nomi generici: Bouganville (navigatore francese, 1729-1811) —Bouganvillea (it. buganvillea), Wellington (generale e uomo politico inglese, 1769-1852) -* Wellingtonia, Gerber (naturalista tedesco) —> Gerbera. I nomi propri con cui si formano i nomi specifici non vanno confusi con quelli degli studiosi che hanno scoperto la nuova specie (indicati con le iniziali del cognome); si tratta, piuttosto, di nomi di colleghi cui lo scopritore decide di dedicare la specie. Un nome proprio può essere presente nella forma del genitivo, come Douglas > °Douglasius —• douglasii, oppure nella forma di aggettivo denominale: Lawson —* lawsoniana.

10.4.4. Polirematiche, lingua comune e tassonomie locali FB Possiamo distinguere due tipologie fondamentali: (a) N+di'+N: principio di priorità, sottodivisione di genere, suddivisione di famiglia-, (b) N+A: epiteto finale, specie standard, diagnosi differenziale.3 Assai ricca di polirematiche è pure la terminologia dell'anatomia:4 canale di suzione, muscolo nototrocanterico, tubi malpighiani, palpi labiali, catena ganglionare ventrale, seno pericardiale. Il tipo N+A trova largo uso nelle denominazioni comuni delle specie (in lingua italiana), ottenute italianizzando il nome del genere combinato con un aggettivo o sintagma preposizionale; spesso si tratta di pura e semplice traduzione del sintagma originario: lat. Abies alba > it. abete bianco;1 in botanica l'aggettivo può discostarsi dall'epiteto scientifico, riferendosi ad altri caratteri della pianta (come il suo habitat: montano, marittimo, campestre): lat. Pinus pinea vs it. pino domestico, lat. Pinus pinaster vs it. pino marittimo, lat. Ulmus aria vs it. olmo montano, lat. Acer pseudoplatanus vs it. acero di montagna, lat. Acer platanoides vs it. acero riccio.6

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Il genere Sequoiadendron nasce dalla separazione fra la Sequoia gigantea e la S. sempervirens, i due rappresentanti del genere S. Sequoiadendron giganteum, pertanto, è sinonimo di S. gigantea. Dai quali si possono trarre aggettivi anche al di fuori della sistematica: Darwin —> darviniano, darvinista', Mendel —* mendeliano. Quest'uso è per altro assai comune e non può considerarsi una peculiarità della botanica e della zoologia. Alcune polirematiche possono avere un sinonimo monorematico: albero filogenetico = fìlogramma. L'espressione polirematica, più trasparente, può essere usata (in particolare in manuali o testi divulgativi) accanto al termine monorematico, come una sorta di glossa esplicativa. Nell'ambito delle scienze biologiche si distinguono l'anatomia comparata (che si occupa degli animali) e l'anatomia vegetale (detta anche morfologia vegetale). Qui e altrove si noti, nel passaggio dal latino all'italiano, il metaplasmo di genere. Le voci comuni possono anche non avere alcun legame col nome scientifico latino: it. ginestra dei carbonai vs lat. Sarothamnus scoparius, it. germano reale vs lat. Anas boschas.

10.4. Botanica e zoologia

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Denominazioni di questo genere sono frequenti nell'ambito delle piante coltivate: l'aggettivo campestre, ad esempio, caratterizza alberi molto comuni in ambiente agrario: acero campestre, olmo campestre. Le piante coltivate vengono classificate ulteriormente, per lo più in base alle caratteristiche del loro frutto: la distinzione in varietà è affidata ancora ad aggettivi o sintagmi riferiti a caratteri morfologici o, maggiormente, all'area di diffusione. Per il castagno abbiamo, tra l'altro: marrone rosso, nero, pistoiese, fiorentino', castagna pistoiese, castagna di Montella (nella provincia di Avellino); ricordiamo ancora: noce di Sorrento, bleggiana,feltrina. La relazione che intercorre fra denominazione latina (scientifica) e corrispettivo italiano (comune) è difficile da inquadrare entro categorie precise. Il processo di semplificazione operato dal linguaggio della divulgazione (la manualistica per le scuole, ad esempio) e dei media produce terminologie che sono più o meno vicine alla terminologia ufficiale, rispetto alla quale presentano in genere una minore precisione. Il problema è arduo e non può essere risolto accusando gli usi linguistici della divulgazione di essere «non scientifici»: come si è visto, in Italia come in altri paesi, anche presso la comunità scientifica sono in uso terminologie alternative (pino marittimo, maritime pine) più o meno prossime alla lingua comune. Concludiamo con un cenno sui fitonimi popolari: denominazioni bizzarre, fantasiose, legate a immagini, riti e tradizioni delle regioni italiane; tralasciando l'analisi semantica ed etimologica, ci limitiamo a fornire alcuni esempi, tratti da Beccaria 1995, 173-280, ordinati secondo i meccanismi che sono alla base della loro formazione (cfr. anche Zamboni 1976): (a) tipo V+N: pasturavacche "biscione che succhia il latte alle mucche" (Calabria),fugademoni "Hypericum perforatum" (Piemonte); (b) tipo N+N (o A): ava sucona "ape zuccona" (Verona), pesce diavolo (denominazione di diversi pesci in varie zone d'Italia), (pesce) vescovo "Mobula mobular" (Trieste); (c) tipo N+Prep+N (+A): formiga del diàolo "formica rossa" (Verona), (anima del) diavolo "calabrone" (Vicenza), siigalin dai corni "cicalina" (Verona), rospo di fango "rana pescatrice" (Chioggia), baol del diaol "scarafaggio" (Bergamo), diavolo di mare "vipera di mare, sagri nero, pesce lanterna" (vari dialetti d'Italia), falchetto dai piedi rossi "falso cuculo" (Lombardia e Veneto), erbai fiore di S. Maria "Hypericum perforatum" (Sardegna). Come appare in pesce vescovo, nel tipo (b) il primo sostantivo può essere omesso; un processo di semplificazione analogo avviene anche nel tipo (c), con la caduta della testa del sintagma e conseguentemente della preposizione (anima del diavolo)·. in tal caso, uno slittamento semantico attribuisce al sostantivo rimasto il significato dell'intera espressione.

11. FORMAZIONE DELLE PAROLE NELL'ONOMASTICA

11.1.

Antroponimia AMT

11.1.1.

Nomi personali AMT

Una tipologia dei nomi personali italiani basata sui processi morfologici utilizzati nella loro formazione non è, a mia conoscenza, ancora stata tentata. Si illustrano qui di seguito i fenomeni più rilevanti in questo settore. Tra i tipi principali di processi di formazione di parole, risultano utilizzati nella formazione di nomi personali soprattutto la suffissazione e la composizione. Sembrano mancare del tutto esempi di prefissazione. Sono rappresentati invece, seppure marginalmente, altri processi, quali la formazione di parole macedonia. Saranno trattate in questo paragrafo anche la formazione di ipocoristici tramite accorciamento (cfr. 8.3.) o altri processi di riduzione del significante, e l'utilizzazione di suffissazione o conversione nella mozione di nomi personali.

11.1.1.1. Composizione: i tipi Giancarlo, Anna Maria AMT I più frequenti nomi personali composti hanno come basi, soprattutto come primo elemento, alcuni tra i più frequenti nomi semplici. Tra i nomi femminili, Maria (rango 1 secondo De Felice 1982)1 e Anna (r. 2) sono i nomi più utilizzati nella formazione di composti: possono essere composti tra di loro, dando luogo ad Anna Maria (r. 10) o Annamaria (r. 84) e Marianna (r. 109), o utilizzati come primo membro di altri composti. Tra i primi 150 nomi femminili in ordine di rango nel corpus di De Felice si hanno i seguenti composti con primo membro Maria·. Maria Teresa, Maria Luisa, Maria Grazia, Maria Rosa, Maria Pia', Caffarelli 1996a, 62, segnala, per Roma, una «moda insorgente dei nomi doppi con Maria prima forma» a partire dagli anni '20 e fino agli anni '50: in questo quadro hanno alta frequenza, oltre ai già citati, M. Antonietta, M. Cristina, M. Laura, M. Rita, M. Rosaria. Combinazioni frequenti con Maria secondo elemento sono Bianca Maria, Rosa Maria. Tra i composti con Anna primo elemento il più comune è Anna Maria; attestati con frequenze decrescenti Anna Rita, Anna Lisa, Anna Paola, Anna Rosa (Caffarelli 1996a). Come secondo elemento, Anna compare soprattutto in Marianna, Rosanna, e più raramente in Pieranna. Anche Rosa (r. 4) è usato spesso in composizione, per esempio in Rosalba, Alba Rosa, e nei già citati Rosa Maria, Rosanna e Anna Rosa.

D'ora in poi, tutti i riferimenti al rango occupato da determinati nomi nell'universo dei nomi personali italiani si intendono basati sui dati contenuti in De Felice 1982, salvo diversa specificazione della fonte. I dati di De Felice, basati sull'universo degli abbonati telefonici in tutta Italia nel 1981, sono tali da sottorappresentare le donne, i giovani, e gli abitanti di piccoli centri (cfr. Caffarelli 1996a, 29); qui se ne fa uso soprattutto per indicazioni sui nomi di più alta frequenza, per i quali la stima è più attendibile. Per l'esemplificazione, si attinge anche al documentatissimo Caffarelli 1996a.

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11. Formazione delle parole nell'onomastica

Tra i nomi maschili le più frequenti basi utilizzate come primo membro di composti sono Giovanni (r. 2), soprattutto nella forma ridotta Gian-, e Pietro (r. 9; cfr. anche Piero, r. 48) nella forma ridotta Pier-, Tra i primi 150 nomi maschili in ordine di rango nel corpus di De Felice 1982 si hanno Giancarlo (r. 33) e Gianfranco (r. 45); gli studi di Caffarelli 1996a, 1996b registrano l'emergere di Gianluca tra i nomi con più alto rango di frequenza nella città di Roma (r. 12 tra i nati nel 1976, r. 16 tra i nati nel 1994) e una buona frequenza di Giampiero, Pierluigi, Gianluigi e Giampaolo. Composti con primo elemento Pier- non compaiono tra i primi 150 in ordine di rango nel corpus di De Felice 1982; sono comuni Pierpaolo, Piergiorgio, Pierluigi. Tra i composti maschili con altri elementi sono comuni Francesco Saverio, Francesco Paolo, Francesco Giuseppe, diffusi in quanto legati al culto di santi o nomi di personaggi celebri. La stessa motivazione è alla base del nome personale composto Giordano Bruno. Rari, ma attestati, composti con vari nomi semplici liberamente combinati: ad esempio, Carlo Azeglio (Ciampi), Oscar Luigi (Scalfaro). Questo tipo, in cui «la combinazione di due elementi non ha tradizione d'occorrenze né d'uso nel processo formativo» è denominato «nome multiplo» invece che composto da Caffarelli 1996a, 38. È attestato anche l'uso di Maria come secondo o ultimo elemento di un nome personale composto maschile: comune Gianmaria, attestati, per esempio, Enrico Maria (Salerno, attore), Angelo Maria (Ripellino, slavista). De Felice 1982, 186 osserva che per i nomi personali composti maschili è più comune la forma graficamente unita (con l'eccezione dei nomi con primo elemento Francesco o Franco), per i femminili quella separata. Tale tendenza andrà messa in relazione con il fatto che il primo elemento dei più frequenti composti maschili è spesso una forma ridotta terminante in consonante, non conforme alle restrizioni fonotattiche sulla parola italiana (benché Gian in uso assoluto sia attestato, almeno come ipocoristico, nel Nord Italia; si pensi ad esempio al duo comico Rie e Gian).

11.1.1.2. Parole macedonia: i tipi Marisa, Marilù AMT Tra i nomi personali composti un sottogruppo particolare, a quanto pare limitato a nomi femminili il cui primo membro è Maria, è costituito da parole macedonia formate dalla parte iniziale del primo elemento e dalla parte finale del secondo, come le seguenti: Marisa ma', zio/zia zi' ecc.) e altre forme (titoli professionali o di cortesia, designazioni di classi d'età) utilizzate come allocutivi (dottore —> dotto', signora —> signo', romano ragazzino —» ragazzi', cfr. Schmid 1976).

11.1.2.

Cognomi AMT

L'Italia si distingue nel panorama europeo per l'alto numero di cognomi in uso per la sua popolazione (Caffarelli 1999, 7 stima a circa 350.000 le forme diverse attestate). I cognomi italiani hanno origine da quattro fonti principali: nomi personali (usati come patronimici), toponimi e etnici, soprannomi (basati su aggettivi indicanti caratteristiche fisiche, o su composti verbo-nome indicanti azioni caratteristiche) e nomi di mestiere. Una tipologia dei cognomi italiani sub specie morfologica comprenderebbe quindi una ricapitolazione della trattazione dedicata a queste diverse categorie. Ci limitiamo qui a segnalare alcuni aspetti essenziali, rimandando per una documentazione completa alla bibliografia descrittiva sui cognomi italiani, dalla quale sono agevolmente desumibili anche le principali caratteristiche

11.2. Toponimia

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morfologiche (cír. almeno De Felice 1978, De Felice 1980, D'Acunti 1994, § 6, Caffarelli 1999, e le elaborazioni regolarmente pubblicate dalla Rivista italiana di onomastica). Particolarmente diffusi sono cognomi comprendenti suffissi diminutivi, quali Martinelli, Moretti, Bellini, Mattioli, Colucci (si indica per ogni suffisso il cognome più frequente tra quelli che lo comprendono; i dati sono tratti da elaborazioni non pubblicate gentilmente messe a disposizione da Enzo Caffarelli). Molti cognomi di origine patronimica derivano da un ipocoristico del nome base: ad esempio, Bucci, Bini, Betti e Belli risalgono a diversi ipocoristici di una base Jacopo. Dai cognomi possono formarsi ipocoristici per accorciamento, come dai nomi personali (cfr. 11.1.1.5.1, 8.3.1.): Ciarra Ciarrapico, Diba