La fenomenologia in Italia. Autori, scuole, tradizioni

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Buongion10. Costa, l .anfredini 11 rnm ,Il

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La Je110111enolo{?,ia in Italia A11lorl, ),21. È questa la «formula del principio fenomenologico»28, e «per

25. lvi, p. 563. 26. Ibidem.

21. lvi, p. 562. 28. A. Banfì, I.Aferwmenol.oi}a pura dl E. H=erl e l'auumomia Ideale della

sfera teoretica, cit., pp. 221-222.

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l'Husserl il principio d'ogni principio,>29. L'intuizione sensibile è sempre sintetica: il suo contenuto non è una percezione immediata, semplice, di dati "primi" e ontologicamente irriducibili, ma la sintesi unitaria di un insieme di percezioni, ognuna delle quali costituisce a sua volta un'unità sintetica. È questo il decisivo cardine teorico su cui si articola la convergenza tra fenomenologia e pragmatismo e che acquisterà un'importanza centrale nei successivi sviluppi del trascendentalismo italiano. La percezione intuitiva (sensibile o no) contiene qualcosa di già costituito; è una sintesi conoscitiva immediata e a priori, il cui contenuto varia in funzione di determinazioni storiche e culturali: la torre ch'io scorgo elevarsi dinanzi alla mia finestra, o l'edera folta che s'abbraccia al muro o le case lontane nel piano o l'uomo che falcia il campo sotto il sole entrano ciascuno in correlazione con il mio io secondo piani e significati diversissimi, a ciascuno dei quali corrisponde un compimento intuitivo. Ma ciascuna di tali perce7.ioni, nella sua concretezza, costituisce già una sintesi ideale di tali compimenti: essa li raccoglie e li esprime in funzione dell'esigew.a teoretica, li pone secondo un ordine che accenna e rimanda ad una connessione ideale, in cui la loro parzialità si risolva e la loro concretezza valga solo come espressione di rapporti relativi, secondo leggi universali. In altre parole, in ogni percezione l'esigenw teoretica del conoscere, l'esigen7.a cioè che la sintesi conoscitiva valga indipendentemente dalla determinazione parziale del soggetto e dell'oggetto, e si spieghi anzi in una sfera che relativi7.7.a e sistema universalmente tale loro determinazione, si manifesta come un ordine del compimento intuitivo del conoscere stesso, in cui le correlazioni parziali lasciano trasparire e si distendono su relazioni più universali. La "materia" intuitiva è così già tutta pervasa dalla forma dell'esigew.a teoretica: questa sola ne giustifica la caratteri-

29. lvi, p. 212.

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stica unità, secondo cui s'organi:r.r..ano appunto i vari compimenti intuitiv?>.

Che le intuizioni dell'esperienza immediata siano già concrezioni costituite di senso, ossia che portino con sé le condizioni della propria comprensibilità, è l'idea rivoluzionaria su cui poggia l'intera concezione pragmatistadell'a priori; ed è anche, entrandovi con la fenomenologia, uno dei pilastri del trascendentalismo banfìano. Banfì si rende conto della convergen7.a con le teorie dei primi pragmatisti, di cui, scrive in una nota cruciale dei Principi, «è possibile la conffuen7.a nelle correnti trascendentali e fenomenologiche»31; aggiungendo che, nonostante l'importaw.a del pragmatismo per l'impianto trascendentalista, «manca ancora [ ... J un riconoscimento completo della posizione che gli spetta nel pensiero contemporaneo,,;12. Affermando l'autonomia funzionale del contenuto percettivo rispetto al processo psichico della sua acquisizione, Banfì sta dicendo che il contenuto del dato dell'intuizione - l'immediata sintesi cognitiva in cui consiste la percezione- non dipende da una funzionalità percettiva legata alle modalità psicofisiche della sua acquisizione, ma obbedisce ad altre leggi, di natu-

30. A. Banll, Principi muna teoria della ragione, clt., p. 66. 31. Ivi, p. 231. 32. lbidem. Lo stesso giudl7.lo ritorna sul finire del Principi, ove Banll ribadisce che è «il metodo del pragmatismo» a portare alla luce «i momenti pratico-pragmatici di ogni obbiettività concettuale e anche di ogni sintesi 11losollca intuitivamente data», e che questo compito «è non solo pienamente giust!llcato, ma anzi deve svilupparsi universalmente, come forma di risoluzione dell'astratto realismo concettuale, che è il difetto tanto dell'empirismo quanto del razionalismo dogmatico» (ivi, p. 583). e&. A. Banll, Jahrbuchfar Philosophie und Ph4rwmenolcgische Ftmehung. in «Rivista mFilosofia•, XVI (1925), pp. 73-81: 74, ove «idealismo trascendentale, razionalismo ed empirismo sembrano integrarsi» nella dotttina husserliana e, Inoltre, le osservazioni di En7.0 Paci sul «trascendentalismo pragmatico della ragione» di Banll (E. Paci, Vita e ragione in Antonio Banfi, cit., p. 63).

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ra evolutiva, storica e culturale; e anzi, possiamo aggiungere, sono le stesse funzionalità percettive a trasformarsi nel corso del tempo. L'antipsicologismo husserliano si salda qui con la radicale storicità pragmatista delle strutture formali del sapere. I significati della percezione (il fatto di riconoscere immediatamente una torre nella costruzione qui di fronte, o un contadino che coltiva i campi nella figura all'orizzonte) sono frutto del nostro bagaglio storico e culturale, della nostra memoria storica, che (essendo tra l'altro codificata nelle strutture del linguaggio) condiziona le forme stesse della percezione e determina le sintesi originarie dei dati percettivi. In tal modo, nel dato intuitivo gli a priori psico-funzionali (cognitivi) vengono sostituiti con a priori storico-evolutivi (epistemici). Con esplicito riferimento a Husserl e a Meinong, Banfi può allora sostenere che «il carattere d'irrealtà della rappresentazione o del contenuto oggettivo del conoscere esprime semplicemente, in forma negativa, la sua indipendenza essenziale dal!'essere determinato del soggetto e dell'oggetto» 33• Così si spiega l'immanentismo radicale di Banfi. Le condizioni di comprensibilità dell'esperienza immediata - pura, intuitiva o pragmatica che la si chiami - sono immanenti ali'esperienza stessa; esse entrano nel processo conoscitivo insieme all'intuizione stessa: «il dato percettivo risulta già di una connessione di elementi intuitivi secondo un ordine di rapporti indipendente dalla posizione degli elementi stessi e che caratterizza l'ideale obbiettività della percezione»34 • I due momenti

33. A. Banlì, Principi di una teoria della ragume, ctt., pp. 70-71. 34. Ivi, p. 128. E più avanti, sempre a proposito della fenomenologia: «Nella posizione fenomenologica, dunque, è trovato il principio per cui l'oggettività, il trascendente che costituisce il fondo Irrisolvibile della problematicità del conoscere è ripreso come momento dell'lmmane117.a stessa: il compimento della ragione non consiste nella posizione in sé assoluta del trascendente - inteso in senso gnoseologico - ma nella scoperta della sua legge

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dell'intuizione e della razionalità risultano perciò indissolubilmente legati. Nell'atto conoscitivo, determinazione intuitiva e universalizzazione (generaliZ7..azione) razionale sono indissociabili. La loro distinzione, al pari di quella dei poli del conoscere, è sempre e solo funzionale: poiché dunque la sintesi conoscitiva esprime di principio la trasposizione delle parziali relazioni soggetto-oggetto nell'ordine della loro pura universale correlazione, in una sfera cioè in cui le determinazioni dei due termini, cessando di valere come assolute, siano accolte e sistemate nella loro semplice relatività, ogni dato, in quanto s'eleva alla sintesi conoscitiva stessa, vien posto di principio per questo complesso sistema di rapporti, vien riferito agli albi dati e fatto valere non più nel suo immediato essere intuito, ma nella mediazione teoretica universale e infinita con la totalità delle determinazioni intuitive stesse. Questo momento del conoscere, per cui il suo contenuto è universalmente sistemato ed è data quindi unità all'intuizione - ai vari piani cioè di coinciden7.a dell'io e dell'oggetto che gli sta di contro, unità non mai finita e conclusa, ma infinitamente rinnovantesi - è appunto il momento della razionalità~.

Non vi è quindi alcuna intuizione di sensibilia o di dati immediati nel senso di Mach (almeno secondo la lettura tradizionale di Mach) o di Bergson: ma, come nelle scuole neokantiane, intuizione di rapporti che non rimandano ad alcun oggetto primo. Immanentismo e funzionalismo si combinano qui in uno schema che sorregge l'intero razionalismo trascendentale. Ma Banfi sottolinea più volte che la tradizione della filosofia critica (e gestaltista) viene integrata e liberata da ogni residuo dogmatico proprio grazie all'husserliana intuizione delle esImmanente di relatività costitutiva» (ivi, p. 566). Perciò la fenomenologia appare come lascien7.a «della struttura sintetico-trascendentale della realtà» (ivi, p. 567). 35. lvi, pp. 81-82.

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senze, per cui tali sintesi oognitive non sono oggetti del oonoscere ma unità che posseggono già un principio di oostruzione ooncettuale36. Alla fenomenologia si deve infatti lo schema di tale risoluzione trascendentale dell'esperienza pragmatica, per cui la pluralità delle percezioni intuitive viene sussunta in un'universalità significante e sempre passibile di ulteriori trasformazioni: La sintesi eh'essa [la fenomenologia] pone come principio sistematico del sapere non annulla la varietà e la complessità delle posizioni reali o ideali dell'esperienza: essa risolve piuttosto il loro assoluto essere dato, se117.a annullare la validità relazionale della loro determinazione: non le deduce dall'astratto suo concetto, ma le riconduce ali'organicità vivente della sua sistematicità [ . .. ]37.

L'identità dell'impianto fenomenologioo oon il razionalismo trascendentale viene postulata in forma esplicita:18. Anche per questo Banlì segue oostantemente e oon grande attenzione le vicende del movimento husserliano, insistendo sulla pluralità e talora sulla oomplessità delle posizioni che andavano emergendo nella "scuola fenomenologica". Nei Principi troviamo osservazioni, talora critiche, sui lavori di numerosi esponenti del movimento fenomenologico, tra cui Cerda Walther, Hedwig Conrad-Martius, Jean Hering, Roman Ingarden, Max Scheler e Dietrich Mahnke. Alcune note pubblicate sulla Ri36. Si veàa A. Banll, La fenomerwlog)a pura di E. Husserl e l'auununnia ideale della sfera teoretica, cit., In cui si affenna che il neocriticismo ha sl purificato la posizione trascendentale, ma che la necessità di una sfera del pensiero libera dal dogmatismo del piano del reale «è qui semplicemente postulata e tende per ciò, nonostante le affennazlonl In contrario, Invincibilmente a trasporsi dal pensiero in quanto concreto sapere lllosollco, in un essere fondamentale e radicale del pensiero» (p. 211). Sono temi che ritornano in contlnu37.ione nei Principi. 37. A. Banlì, Principi di una teoria della ragione, cit., p. 570. 38. Ivi, p. 571.

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vista di fil,osofia rendono puntualmente conto dei dibattiti e delle ricerche presentate sullo Jahrbuch far Philosophie und Phanomenowgische Forschung39. Nel 1946 Banfi entrerà a far parte del comitato editoriale di Phiwsophy and Phenomenowgical Research40• o

Per Banfi, così sensibile alla funzione culturale e pedagogica della fìlosofìa, l'incontro con la fenomenologia «fu veramente e soprattutto la conquista di una famiglia spirituale,,.41_ E quest'incontro determina irreversibilmente l'assetto teoretico del trascendentalismo italiano◄2. Tuttavia Banfi, con un atteggiamento che gli è proprio, discute in maniera critica se e come la coincidenza ideale tra fenomenologia e trascendentalismo sia effettiva nell'opera husserliana, o se invece si rendano necessarie integrazioni, revisioni o modifiche di quest'ultima.

La principale osservazione critica riguarda l'intuizione husserliana, che proprio per la sua generalità non consente di distinguere la specificità del momento razionale rispetto al dato

39. e&. A. BanR, Jahrbuch far Phuowphie und Pharwmencl.ogische Forschung, ctt., e Id., Ree. aJahrbuch far Philowphie und Phanomenologische Forschung",in «Rivista di FilosoRa», XVII(l926), pp.175-179. 40. e&. R. Salemi, Antonio Banfi, the Fim Italian lnterpreter of Plietunnenology, cit., p.459. 41. A. BanR, Tre maestri, In Id., Umanità. Pagine autobiografiche raccordate da Daria Banfi Mala{gJzzi, Edizioni Franco, Reggio Emilia 1967, pp. 122123. 42. e&. A. BanR, EdmundHusseri, In «Civiltà moderna», XI (1939), pp. 5263, qui p. 52: Husserl «riscopn l'idea stessa della ragione, ne affennò l'asso-

luta validità come criterio della RlosoRa e del sapere in generale, la tradusse in una sistematica aperta a tutta l'esperiell7.a, rivisse per sé e illuminò agli altri il significato e il valore spirituale di tale nuova sagge7.:7.a». Per un'analisi del saggi degli anni '30, e&. M. Mocchi, Le prime inte1pretazioni di Husseri in Italia, cit., pp. 88 sgg.

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sensibil&3. L'attenzione di Banfì si concentra sin dai Princi-pi sul concetto husserliano di coscien7..a. Banfì le rimprovera un'eccessiva schematicità, che le impedisce di fungere da luogo di risolw.ione universale della pluralità delle posi7..ioni eidetiche. Viene da credere, leggendo le pagine banfìane, che l'identificazione tra «la sistematicità autonoma ra7..ionale dell'eidetico» e la «sfera della coscie= pura,>44 conduca per Banfì a un dilemma tra caduta nello psicologismo e rigidità schematica della sistematicità razionale. Si tratta della stessa critica mossa nel secondo saggio del 1923; qui il concetto di intui7..ione determina non solo l'introduzione nel sistema fenomenologico di un elemento estraneo e di troppa marcata origine psicologica, ma di un principio che rende impossibile di concepire fenomenologicamente il rapporto tra determinazione individuale ed essen7.a, oscura il valore di questa e rende difficilmente comprensibile il rapporto e l'unità delle singole sfere eidetiche nella fenomenologia e nella essen7.a della coscien7.a pura-15.

Insomma, la fenomenologia di Husserl mette perfettamente a fuoco il problema gnoseologico cruciale, ossia l'autonomia della sfera eidetica rispetto al piano dell'esistell7.a; costruisce in maniera funzionalista la correlazione tra soggettività e oggettività mediante cui si organi7..7..a l'eidetica; ma non riesce ad articolare l'intrinseca pluralità delle risolw.ioni eidetiche in una sistematicità universale. E infatti il limite principale 43. «SI deve anzitutto rilevare che ti concetto d'lntul7.lone sembra riferirsi tanto al dato sensibile, quanto all'esse07.a razionale, come quella di un'uniforme funzionalità che determina il loro esser dato per la coscien7.a: perciò appunto esso non sembra affatto Indicato ad esprimere nella sua speclllcità il momento razionale» (A. Banll, Principi di una teoria della ragµme, clt.,

p. 571). 44. Ivi, p. 573. 45. A. Banll, La ferurmenowfja pura di E. Husserl e l'auW1W1Tlia ideale della sfem te.>retica, cit., p. 222.

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della fenomenologia appare a Banfì, ancora nel 1926, l'incapacità di passare da una risoluzione non dogmatica della pluralità dell'esperienza a una «universale sistemazione teoretica dell'esperienza,>46. Scrive Fulvio Papi che qui si situa il «punto d'arresto teorico dell'incontro Banfì-Husserl.»47• Siamo d'accordo. Più in generale, tocdùamo qui i limiti di questo primo stadio del trascendentalismo. Sarà il maggiore dei suoi discepoli, Giulio Preti, a fornire la chiave per risolvere l'alternativa indicata da Banfì: mostrando come l'intenzionalità noetica rimandi sempre a un io sociale e storicamente costituito, a un "occhio» per dirla con Baxandall, e sacrificando di conseguen7..a l'universalità formale del sapere sull'altare della determinazione culturale del sapere formale stesso. Per Preti, il discorso razionale non è mai "radicale». Opera sempre in un insieme di dati attuali o già pre-costituiti nell'orir.,.onte intenzionale dei dati attuali. Non solo, ma come abbiamo già più volte ripetuto, opera su segni che hanno con i referenti un rapporto indiretto, mediato, plurisituazionale e convenzionale. Presuppongo-

46. A. Banlì, Principi t.ùuna teoriadellaragj,one, cit., p. 575. «[...) in ciò sta invero il valore della maggior parte delle ricerche fenomenologiche della scuoladell'Husserl: l'oggetto, reale oideale,st scomponee rivelala ricche7r 7.a e l'universalità del suo oontenuto, e l'idealità della sintesi che lo fìssaed ha la sua radice In un porsi lntell7.Ìonale dell'io: I concetti stessi più astratti non sfuggono a tale legge, giacché, in quanto oonoetti, il loro esser dati è correlativo a una tipica posizione del soggetto. Ma è forse raggiunta In tal modo un'universale sistemazione teoretica dell'esperie01.a? O non piuttosto una semplice Jisolu7.ione, nel rapporto della soggettività determinata, della posizione dogmatica delle sue determlna7.ioni intuitive?» (ibidem). La stessa critica viene ripetuta da Banlì nel 1939: cfr. M. Mocchi, Le prime interpretazwni gia puro lascia il termine tedesco. 17. Tale termine è reso più validamente nella lingua spagnola utili7.7.ando vivencia, come ha proposto Ortegay y Gasset, e in quella portoghese con vioencia. 18. E. Stein, Einftlhrung in die Philosophie, Edith Steins Werke, Bd. XIII, Herder, Freiburg i.Br. 1991; tr. it. di A. M. Pe7.7.ella, Introduzione alla fi1.osojia. Città Nuova, Roma 1998, p. 153 (ora nella nuova edi7.lone tedesca ESGA, 8, Einfuhrung, Bearbeitung und Anmerkungen von C. M. Wulf, Herder, Freiburg 2004).

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Inoltre, ella coglie perfettamente la distinzione fra noema e cosa reale, distinzione non compresa da alcuni discepoli di Husserl, ad esempio dalla Conrad-Martius, secondo la quale Husserl corre il rischio di ridurre l'esistenza al noema. L'operazione più interessante compiuta dalla Vanni Rovighi riguardo all'intenzionalità è stata quella di aver rintracciato in modo puntale per quale via tale nozione arriva a Husserl nello studio dedicato a Una fonte remota della teoria husserliana dell'intenzionalità sopra citato. Questo saggio si apre con una considerazione veramente importante che riguarda l'uso del termine teoria attribuito a Husserl. Non si tratta di uno scrupolo fìlologico, ma della precisazione del punto di vista teoretico che caratterizza la fenomenologia husserliana e che consente di individuarne l'originalità rispetto alla storia della filosofia. L'intenzionalità «[ ...] può chiamarsi teoria solo se per teoria» - scrive I'Autrice - 33. Un approfondimento in questa direzione avrebbe condotto la Vanni Rovighi verso quello che io chiamo il "realismo trascendentale" di Husserl, a patto che si voglia mantenere la distinzione fra idealismo e realismo, che, a mio avviso, le analisi husserliane hanno mostrato essere falsa, perché in tal modo si assolutizza di volta in volta il momento soggettivo o quello oggettivo della conoscen?.a contrapponendoli, mentre, al contrario si tratta di una correlazione profonda che nasce da un'originaria indistinzione - come mostrano le Analisi sulla sintesi passiva di Husserl. La Vanni Rovighi ritorna sul tema dell'idealismo-realismo legandolo alla questione dell'intenzionalità in uno dei suoi ultimi scritti, Rileggendo alcuni testi husserliani sull'intenzionalità, pubblicato nella Festschrift dedicata a Gustavo Bontadini:w. In questo testo la sua lettura del pensiero husserliano appare più critica rispetto a quella del 1939; distingue, infatti, più fortemente gnoseologia e metafisica, affermando che l'analisi della conoscenza non è dirimente nei confronti della disputa fra idealismo e realismo, ammettendo, però, che questi due termini sono ambigui. In ogni caso, l'intenzionalità di per sé non consente di stabilire che ci sia una soluzione realistica, perché la consisten?.a dell'oggetto intenzionato non

33. S. Vannì Rovighi, La UOriadell'intenzionalità, cit., p. 203. 34. AA.W., Stum di filosofia in =e di Gustavo Bontadini, Vol. Il, Vita e Pensiero, Milano 1975, pp. 269-279.

52 è determinata. La sua critica si appunta anche sulla nozione

di Erlebnis, questa volta tradotto in modo più valido rispetto alle precedenti sue traduzioni, come "atto intenzionale", ma purtroppo assimilato al modo del viverlo, quindi, considerato come un'entità puramente psichica e non visto nella sua funzione universale, come lo intende Husserl dopo la riduzione fenomenologico-trascendentale.

3. Immanenza o trascendenza? Riprendendo la lettura del libro dedicato a Husserl nel 1939 si nota che le analisi sull'intersoggettività proposte da Husserl costituiscono per l'Autrice una via d'uscita al solipsismo, del cui rischio egli era ben consapevole, anzi le prime obiezioni rivolte alla possibile caduta in esso sono dello stesso Husserl. L'intersoggettività può diventare un nuovo fondamento, un essere in sé primo, come dimostra quella che ritengo sia la "via dell'intersoggettività" proposta da Husserl accanto alle altre. Certamente egli sembra procedere attraverso continue assolutizzazioni: prima la cosciell7..a con i suoi Erlebnisse, poi la pluralità delle coscieme. In realtà, si tratta sempre di punti di partenza. Anche a proposito della pluralità delle coscieme si tratta di stabilire che cosa significhi fondamento. Vanni Rovighi si domanda: «[... ] l'universo delle monadi può essere il fondamento ultimo della realtà?», e risponde: «Evidentemente no»35, risposta che Husserl avrebbe certamente condiviso. Attraverso la mediazione del sopra citato libro di Fink, sembra che la nostra pensatrice ritorni sul rapporto fra l'assoluto immanente, sia della cosciell7..a sia delle pluralità delle cosciell7..e,

35. S. Vanni Rovtght, Lajùosofia dl Edmund Husserl, clt., p. 159.

53 e l'assoluto trascendente. Finalmente attraverso Fink la Vanni Rovighi coglie che «Husserl vuole escludere che la trascenden7..a di Dio sia come la trascenden7..a del mondo,,.16, e in ciò scorge una concordan7..a con l'impostazione realista. Concesso ciò - e tale concessione mi sembra molto valida - ella rileva anche quella che definisco la via soggettiva percorsa da Husserl: «Nell'assoluta corrente di coscien7..a [ ...] debbono esserci altri modi di manifestazione di trascendenze che non siano la costituzione di cose [ .. . ] e debbono essere manifestazioni intuitive alle quali il pensiero teoretico possa adattarsi, che possa ragionevolmente seguire, così da rendere intellegibile l'agire universale del supposto principio teologico. È pure evidente che questo agire divino non potrebbe essere concepito come un'azione causale, nel senso naturalistico della causalità,,:r,. Tuttavia, le sembra che Husserl escluda la via oggettiva, l'unica da lei considerata valida, mostrando «[ ... ] la ripugnanza, molto comune nei filosofi moderni, a risalire a Dio mediante la considerazione della natura e la convinzione che si possa invece ascendere a Dio solo dalla propria interiorità»38•

È opportuno notare che la via seguita da Agostino e da Anselmo è altrettanto una via metafisica che conduce a un Dio trascendente; inoltre, Husserl non esclude la via delle teleologie presenti nel mondo fisico, anzi la propone nel § 58 delle Ideen I, ed essa è proprio la quinta via di Tommaso, prettamente aristotelica. Per tale ragione non mi pare che Dio sia solo presupposto e non dimostrato dal fenomenologo, come sostiene la Vanni Rovighi, anche se l'obiettivo di Husserl non era quello di "dimostrare" Dio contro l'insipiens, quanto di mostrare la necessità del pensiero di risalire ad un principio che possa giustificare tutto. 36. Ivi, p. 161. 37. Ivi, p. 162.

38. Ibidem.

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4. Il fondamento d,ella logica Ciò che colpisce la nostra filosofa è l'affermazione husserliana della razionalità del reale. Ella mette in correlazione le Logische Untersuchungen e Formale und transzendentale Logik rilevando con acutev..a la continuità fra le due. Inoltre, ella apprev..a il fatto che Husserl distingua le ontologie regionali basate sulla riduzione ali'essenza, dalla logica, cosa che gli consente di arrivare ad un'ontologia formale. Tuttavia, Husserl prosegue, secondo la Vanni Rovighi, sulla linea della distinzione-corrispondenza fra la logica e l'ontologia. E commenta: «la logica formale studia le forme di predicazione, stabilisce assiomi, ma non ci dice donde questi assiomi traggano valore, non ci dice se essi siano regole di un puro gioco coerente o condizioni di ogni possibile verità. Solo la fenomenologia "risalendo alle fonti dell'intuizione nella pura coscienza trascendentale"39 ci risolve questi problemi»40. L'aver fatto appello alla soggettività trascendentale non potrebbe significare un ritorno allo psicologismo? L'Autrice esclude che Husserl corra questo rischio perché «con la scoperta della coscienza trascendentale invece si possono considerare gli oggetti logici come costituiti dalla coscien7..a sen7..a tuttavia ridurli a realtà di fatto»41 • Ciò sembra avvicinare il fenomenologo alla metafisica tradizionale, scrive la Vanni Rovighi, appunto perché la verità logica è raggiungibile solo in quanto c'è una verità ontologica; la differenza a suo avviso consiste nella determinazione del pensiero: nella metafisica il pensiero che costituisce l'intellegibilità dell'essere è trascendente, ma è dubbio che anche per Husserl sia così.

39. Cosl scrive Husserl nel § 147 delle Ideen I (p. 364 nella tr. it. a cura di V. Costa, cit.). 40.S. Vanni Rovighi,

41.Ibidem

Lafilcsofiam EdmundHusserl, cit.,p.164.

55 Ripercorrendo l'itinerario di ricerca husserliana le appaiono, pertanto, luci e ombre. Se distinguendo l'atto conoscitivo dal suo contenuto ideale, quindi noesi e noema, Husserl è andato più avanti di Brentano e altrettanto l'ha sopravanzato nella constatazione della presenza nell'essere umano della capacità di intuire l'essenza, «[ ... J non sembra però aver veduto chiaramente che conoscere universalizzando non signiJìca poter conoscere direttamente l'essenza specifica delle cose,>42. L'esempio che l'Autrice fornisce a questo proposito stupisce, perché non si tratta più di un'insufficienza dal punto di vista metafisico, ma riguarda la conoscen7..a della natura che ha bisogno di lunghe elaborazioni, le quali possono essere fornite solo dall'induzione scientifica; e l'osservazione che segue è ancora più stupefacente: «Di questo non si sono resi conto quei discepoli di Husserl che hanno sperato di poter costruire accanto alle scienze sperimentali una scienza a priori della natura»43. Mi viene in mente che la Vanni Rovigbi potrebbe riferirsi alle indagini della Conrad-Martius, la quale constata l'insufficienza di una lettura basata su presupposti puramente sperimentali per comprendere a fondo la natura e propone una nuova filosofia della natura che s'ispira proprio a quei pensatori molto amati dalla Vanni Rovighi come ad esempio Aristotele, il quale con le sue nozioni di dynamis, energeia, entekchia coglie I'essenza della natura stessa. Sembra strano che la Vanni Rovigbi non comprenda questo sfo17,0- presente pure in Edith Stein, anche se con una conoscenza delle scienze fisiche e biologiche inferiore rispetto alla Conrad-Martius - di non abbandonare completamente l'indagine sulla natura nelle mani di ricercatori che tendevano e tendono ad assolutiZ7..are una lettura molto lontana dalla filosofia e spesso riduttiva in sede teoretica.

42. lvi, p. 165. 43. Ivi, p. 166.

56 L'ultimo argomento della sua trattazione riguarda l'epoché, filtrata attraverso l'interpretazione data da Fink nel suo articolo Was will die Plutnomenowgie E. HU$Serls?.u. Si tratta del paragone fra il percorso husserliano e quello platonico, particolarmente teoriZ?..ato nel mito della caverna. La stessa obiezione rivolta all'indeterminatezza delle essen7,e si trova nella critica alle idee di Platone, perché quel mito «[ ...] non può insegnarci come sia fatto il mondo delle cose vere,"5; infatti, non abbiamo occhi capaci di contemplare le idee, possiamo solo riconoscere il carattere "umbratile" del mondo sensibile: Aristotele contro Platone? Mondo di ombre sia quello husserliano sia quello platonico? In realtà, non si può uscire dalla caverna, secondo l'Autrice, perché uscirne vuol dire assumere un atteggiamento sovrumano. Ho molto meditato su questo tema e ho sempre pensato al paragone fra I' epoché di Husserl e il mito della caverna di Platone46. Ritengo che colui che esce dalla caverna rimanga umano nella misura in cui compie un'operazione simile a quella descritta da Eraclito nel contrasto fra desti e dormienti; infatti, ci si può destare, il destarsi in questo caso vuol dire assumere un atteggiamento fìlosofico, indicare il mondo delle essenze senza avere la pretesa di mettersi dal punto di vista di un Pensiero trascendente. D'altra parte, anche Edith Stein, ponendosi su questo cammino in Ewiges und endliches Sein e utilizzando le suggestioni agostiniane, descrive questa sfera invisibile come costituita dalle essenzialità, dalle essen7.e e dal quid che si concreti7.7.a nelle cose. Inoltre, l'accusa mossa a Husserl di aver privilegiato le essenze specificando ben poco i problemi costitutivi relativi al mondo,

44. Questo testo si trova in «Dle Tatwelt», 10, (1934), pp. 1:5-32. 45. S. Vanni Rovighi, Lafilosofia tli Edmund Husserl, cit.., p. 167.

46. A. Ales Bello, Il senso delle cose, cit., cap. I.

57 mi sembra che possa essere ridimensionata attraverso la lettura di scritti quali quelli già citati, relativi alle analisi sullo spazio e sulla cosa e quelli sulle sintesi passive ed altri che sono stati pubblicati da già tempo, come quelli sull'intersoggettività o sui problemi di confine: il sonno, la veglia in senso fisico, la vita e la morte'7 • Il 61osofo non deve descrivere dettagliatamente le cose - ad altri spetta questo compito - deve soltanto dare una chiave interpretativa che consenta di comprenderne il senso. Con questo non si vuole sottovalutare il ruolo svolto da Sofia Vanni Rovighi nella lettura della fenomenologia husserliana, anche la sua interpretazione presenta luci e ombre: apprezzamento per la gnoseologia fenomenologica husserliana e anche per la logica, messa in eviden7_.a delle insufficien7..e nei confronti della metafisica, ma soprattutto il peccato originale di Husserl per l'Autrice sembra configurarsi nella sua appartenen7_.a in ultima analisi alla tradizione platonico-agostiniana.

5. Ferwmenologia e tomismo L'adesione alla tradizione aristotelico-tomista della Vanni Rovighi si manifesta, in particolare, nel suo commento a un saggio centrale nella ricerca 61osofica della discepola più diretta di Husserl e, in fondo, la più fedele al maestro: Edith Stein. Si tratta del lungo testo Husserls Phiinomenolcgie und die PhùoSO'phie des hl. Thornas von Aquin pubblicato nella Fest.schrift Edmund Husserl zum 70. Geburlstag gewi.dmet'8. La Vanni 47. E. Husserl, Grenzprobleme der Phanomenologie. Analysen des Unbewusstseim undder Istinkte. Metaphysik. Spate Eth1k. (Texte aus dem Nachlass 1908-1937), hrsg. von R. Sowa, T. Vongehr, Husserliana, 42, Springer 2014. 48. Ora ripubblicato nella versione dialogica originaria in E. Stein, Husserl.s

PhlJrwmenologie und die Philosophie des hl. Tlwrna$ von Aquinc. Versuch

58 Rovighi, in realtà, si riferisce proprio alla Festschrift nella sua recensione che contiene fra gli altri anche i testi di Heidegger, Vom Wesen des Grondes, di R. Ingarden, Bemerlcungen zum Problem"Idealismus-Realismus", e di H. Conrad-Martius, Farben. Ein Kapitel aus der Realontologie; si può supporre che ella scelga di commentare il contributo della Stein proprio perché in esso si ponevano in correlazione Husserl e Tommaso d'Aquino, due pensatori per lei molto importanti. Si nota una straordinaria affinità fra le due 6losofe per lo meno dopo che la Stein si era avvicinata al pensiero medievale e , in particolare, a Tommaso. Tuttavia, rispetto al saggio preso in esame emergono anche le divergenze soprattutto in riferimento alla lettura di questo filosofo.

La Vanni Rovighi è d 'accordo sulla convergew.a fra Husserl e Tommaso riguardo al ruolo della 6loso6a, fondata sulla ragione umana e fondata in modo rigoroso per i due pensatori. La recensione continua con una sintesi chiara e precisa delle argomentazioni proposte dalla Stein. In primo luogo, si fa notare come quest'ultima s'interroghi sui limiti della ragione, la quale è illimitata per Husserl e invece è limitata per Tommaso, perché quest'ultimo la compara con la ragione divina - cosa che il fenomenologo non fa; per tale motivo, secondo la Stein, è necessaria la ragione "soprannaturale", se si vuole elaborare una metafisica valida. In secondo luogo, nella recensione si mostra che la contrapposizione più forte si ha - cosl sostiene la Stein e riferisce la Vanni Rovighi-fra la visione "egocentrica" di Husserl e la visione "teocentrica" di Tommaso. Da tutto ciò la prima conclude che, pur essendo la verità indipendeneiner Gegenabemellung. in Ead, #Freiheit und GnadeMund weiteTe Beitrlige zur Phlincmenol.ogìe und Ontol.ogìe, cit.; La fenl1TTUJ11(J/.ogia tù Husseri e la fil.osofia msan Tommaso d'Aquino. Tentativo tù ronfronto, tr. lt. di A. Ales Bello, in E. Stein, La ricerca della verità. Dallaf=l.ogia alla filoscfia cristiana, a cura di A. Ales Bello, cit., pp. 61-90.

59 te per entrambi i lìlosofì, il punto d'origine e il centro della ricerca lìlosofìca è il soggetto per l'uno e Dio per l'altro. A favore di Husserl, secondo la Stein, gioca il fatto che l'intuizione d'essen7..a rimane un primo passo importante, accettato in fondo anche da Tommaso, quando sostiene che è necessario prescindere dalle note individuali per cogliere l'essen7.a anche nel processo astrattivo. La Vanni Rovighi osserva, perciò, che, secondo la Stein, ci sono affinità e differenze da ricondurre al fatto che entrambi i lìlosofì tendono, da un lato, ad una conoscen7..a del mondo più universale e meglio fondata possibile; d'altro lato, tuttavia, si contrappongono, perché il punto di parten7..a per Husserl è l'immanen7.a dellacoscien7..a, mentre per Tommaso è la Fede.

L'obiezione fondamentale che la Vanni Rovighi muove alla Stein riguarda la sua interpretazione del rapporto fede-ragione in Tommaso, che rischia di ridurre la posizione di quest'ultimo al fìdeismo. Due appaiono le critiche fondamentali proposte dalla nostra Autrice: «[ ... ] se la metafìsica fosse costruita sulla Fede sarebbe perfettamente inutile fare della lìlosofìa, poiché solo la Fede ci dice molto di più della pura ragione naturale»49; inoltre, nel dichiarare la fìlosofìa di Tommaso teocentrica, «[ ... ] parrebbe quasi che ella ritenesse necessario partire da Dio nella ricerca lìlosofìca per costruire una metafìsica teocentrica,,50, e commenta: «Il che contraddice con le affermazioni, sottolineate dall'Autrice stessa» - cioè la Stein - «che ogni conoscen7.a comincia dal senso e che a Dio si giunge soltanto mediante la conosoen7.a del creato»s1_ La Vanni Rovighi chiarisce la sua obiezione sottolineando che la Stein

49. Recensione di S. Vanni Rovighl, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», XXII, 6 ( 1930), pp. 491-494.

50. Ibidem.. 51. Ibidem.

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non distingue la verità logica da quella ontologica, essendo la prima l'adeguazione dell'intelletto alle cose, mentre la seconda è l'adeguazione delle cose all'intelletto divino; inoltre, la esorta a non fabbricarsi un Tommaso ad usum delfini, cioè ai propri scopi. La critica è dura ma vera e si può osservare che successivamente - non credo a seguito di questa critica, di cui probabilmente non ha mai saputo l'esistenza - la Stein nella sua opera Essere finito e Essere etemoS! teorizzerà una filosofia cristiana illuminata sì dalla Fede, ma che non muove dalla Fede e condividerà il procedimento inferenziale di Tommaso per arrivare a Dio, muovendo, però, dalla "mia" esistenza e distinguendo, in tal modo, la via filosofica da quella teologica. Nonostante queste critiche degli anni Trenta, la Vanni Rovighi è trai primi filosofi a far conoscere in Italia il pensiero di Edith Stein, sollecitando la sua discepola, Carla Bettinelli, a studiarne le opere e a raccogliere in un'antologia sotto il titolo Vie della conoscenza di Dio, alcuni testi e brani degli scritti della Stein fra i quali il suo commento alle opere dello Pseudo-DionigiS3. La Vanni Rovighi dichiara nella Prefazione all'antologia di considerare questa l'opera più importante della Stein, perché non si tratta di una rigorosa dimostrazione dell'esisten7.a di Dio, quale quella di Tommaso d'Aquino, ma della ricerca «[ ...] del Deus absconditus di cui aveva parlato Isaia, di quel

52. E. Steln, End/Jches und ewiges Sein. Versuch eines Aufstiegs zum Slnn des Seins, eingefohrt und bearbeitet von A. U. Moller, ESGA, Bd. 11/12, Herder, Freiburg 2006. La traduzione italiana è stata condotta da L. Vìgone sulla precedente edizione delle opere della Stein ESW, Essere finite e &sere eterno, revisione e presentazione di A. Ales Bello, Città Nuova, Roma 1988. 53. E. Stein, Vie della conoscenza di DI.o e altri scritti, Introdll7.ione di C. Bettineili, Presentazione di S. Vanni Rovighi, Edizioni del Messaggero di Padova, Padova 1983.

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Dio che si manifesta in ogni realtà creata, eppure ci sfugge nella sua infinita trascenden7,a,>54.

La lettura delle opere di Husserl - che non si esaurisce nei testi dell'Autrice sopra citati, ma non è possibile esaminarli tutti in questa sede-, il commento a quelle della Stein, il giudizio sugli altri esponenti della corrente fenomenologica consentono di comprendere l'importaw..a della Vanni Rovighi per la conoscell7..a della fenomenologia in Italia, conoscell7..a proposta attraverso un'analisi oggettiva, seria e puntuale, certamente influen7..ata dalla sua posizione teoretica che, però, non è mai usata da lei strumentalmente. Se è possibile, in qualche caso, non essere d'accordo con le sue interpretazioni, non si può certamente negare che il rispetto per i pensatori esaminati costituisca l'elemento distintivo delle analisi di Solìa Vanni Rovighi; si tratta di un'impostazione che ella condivide con Edith Stein.

D'altra parte, ella ha anche accettato alcuni assunti fondamentali della fenomenologia husserliana, soprattutto rispetto al tema gnoseologico e in questo senso si può notare l'influenza esercitata su di lei dal fenomenologo tedesco. In effetti, ella conclude il suo libro dichiarando che il grande fascino da lui esercitato «[ ... ] consiste nella sua umanità, nel suo procedere non per costruzioni ardite, ma per analisi pazienti, nel suo tenace decifrare le ombre sen7..a far passare per teorie scientifiche i miti, siano pure meravigliosi, sul mondo delle cose in sé»ss. Sembra che Husserl abbia trovato in Vanni Rovighi, soprattutto come autrice del libro La .fil,osofia di Edmund Husserl, una interprete che si sia veramente sfor7..ata di com-

54. Ivi, p. 6.

M. S. Vannì Rovighì, La filosofia dl Edmund Husserl, cit., p. 167.

62 prendere la sua proposta teoretica. E ciò è accaduto e accade raramente.

63

Preti e Husserl di Roberto Gronda

Che il percorso filosofico di Giulio Preti presenti tratti di estrema originalità - tanto alla luce del panorama italiano quanto di quello internazionale, e forse addirittura più alla luce del secondo che del primo - è cosa nota e difficilmente contestabile. Come il suo maestro Antonio Banfi, di cui continuò e approfondì il razionalismo critico, Preti ebbe il merito di formulare una proposta filosofica che fosse, al tempo stesso, teoricamente solida e storicamente consapevole, vale a dire consapevole della propria collocazione storica e della propria contemporaneità. E in questo quadro generale Husserl fu uno degli autori che più profondamente ne inffuen7.arono il pensiero; anzi, ancora più radicalmente, si può affermare che Husserl fu, di Preti, l'autore prediletto. È sufficiente un rapido sguardo bibliografico per rendersi conto dell'intensità e della durata di questa inffuen7..a: alla filosofia husserliana, infatti, il filosofo pavese dedicò il proprio lavoro di laurea, discusso con Guido Villa a Pavia nel 1933 e intitolato Sul significato storico di Husserl, così come i primi articoli pubblicati attorno alla metà degli anni '30. E il pensiero di Husserl ricopre un ruolo centrale anche negli ultimi scritti e negli ultimi corsi che Preti tenne all'università di Firen7..e - basti pensare all'ultimo capitolo di Retorica e l.ogica (1968).

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Una presen7..a dunque costante e, cosa ancora più importante dal nostro punto di vista, mai inerte. Esistono certamente delle costanti nella ricezione pretiana del pensiero di Husserl: innanzitutto i testi ritenuti fondamentali e continuamente rimeditati in svariate occasioni, ovvero le Ricerche /,ogiche, Idee I, Logica formale e trascendenta/,e e, infine, le Meditazioni cartesiane; da un punto di vista di contenuti, l'idea di purezza della logica, il concetto di riempimento (E,jùllung), la distinzione fra espressione e significato alla base della teoria del segno formulata da Husserl nella Prima ricerca logica. Ma a partire da questo sotto-testo fondamentale si vengono a delineare delle configurazioni teoriche sempre diverse, in larga parte dovute al contesto concettuale più generale entro cui quelle vengono inserite e fatte interagire con elementi provenienti da tradizioni lìlosofiche eterogenee e non sempre facilmente assimilabili in un quadro coerente. Per ragioni di spazio è impossibile in questa sede rendere conto di tutta la ricchezza di temi husserliani nel pensiero di Preti. In molti casi, infatti, Preti ricorre a intuizioni o tesi elaborate da Husserl per risolvere particolari problemi tecnici dell'argomentazione. Si è preferito quindi privilegiare alcuni, pochi, tratti che potremmo definire strutturali e approfondirne l'analisi in relazione agli orientamenti complessivi del pensiero pretiano, senza peraltro forzare una loro sistemazione coerente all'interno di un'unica immagine armonica. Seguendo una periodiZ7..azione che è ormai divenuta consueta, la produzione lìlosofica di Preti verrà distinta in tre momenti: una prima fase, che comprende tutti gli scritti giovanili fino a Idealismo e positivismo, e che si muove all'interno di coordinate ancora fortemente legate alla lezione di Banfi; una seconda fase che coincide con gli anni '50 e che rappresenta il periodo di maggiore vicinanza al movimento neoilluminista; e infine una terza fase critica caratteriZ7..ata dal ripensamento dei risultati teorici raggiunti nel corso del decennio precedente. Non

65 è necessario ricordare che non si tratta di individuare delle

cesure nella riflessione pretiana perché cesure non ve ne furono; piuttosto una diversa insisten7..a- Parrini ha correttamente parlato di «dosaggio»• - sui motivi empiristici e razionalistici che strutturano e articolano la riflessione di Preti. E la filosofìa husserliana è, insieme alla filosofìa trascendentale a cui in ultima istanza appartiene, il nucleo teorico di quei motivi razionalistici: per questa ragione, ricostruire le forme in cui Preti si appropriò del pensiero di Husserl ha un valore tutt'altro che locale.

l. Principio di immanenza e teoria del simbol,o concettuale Il problema principale attorno a cui ruotano i primi lavori di Preti è quello di identificare una prospettiva teorica nei cui termini impostare in modo coerente le diverse questioni filosofìche che via via si impongono all'attenzione. Ben chiara agli occhi di Preti è, infatti, la ricchezza di posizioni alternative che popolano la fìlosofìa contemporanea: con un atteggiamento che costituirà un tratto distintivo della sua riflessione, Preti cercò fìn dall'inizio di individuare un nucleo comune fra tradizioni di pensiero differenti che ponesse delle basi solide per l'elaborazione di una filosofia costruttiva. Questo nucleo comune è il principio di immanenza. Ciò che Preti mira a chiarire e tenere fermo è che il senso in cui è possibile asserire la trascenden7..a dell'oggetto - intuitivamente, la traduzione filosofica dell'idea di senso comune secondo cui l'oggetto conosciuto è indipendente dal soggetto che lo conosce e quindi non riducibile ad esso - non supporta affatto una 1. P. Panini, Filosofia e scienza nell'Italia del Novecentc. Figure, correnti, battaglie, Guerini e Associati, Miano 2004, pp. 169 sgg,

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concezione realista della conoscen7..a secondo cui quest'ultima si dà quando le rappresentazioni di un soggetto in sé conchiuso e autonomo si adeguano a un oggetto altrettanto conchiuso e autonomo. Il motivo è presto detto, ed è un aspetto che Preti non mancherà di sottolineare in altre opere e lungo tutto l'arco della propria vita: una concezione realista di questo tipo apre le porte allo scetticismo e, così facendo, rende costitutivamente impossibile la conoscen7..a, dal momento che viene a mancare, per principio, ogni possibile criterio di valutazione della corrette7:7..a di quella pretesa adaequatio. In realtà- e qui è vivissima la mediazione di Bann - soggetto e oggetto non devono essere concepiti come cose, ma piuttosto come funzioni della conoscenza: l'idea del conoscere, scrive Preti, è la correlazione di soggetto-oggetto, intesa come «sintesi sempre presente in ogni momento fenomenologico della conoscenza concreta, ma mai in atto come pura sintesi ideale»2. In quella nota programmatica, una delle pagine più importanti della Fenomenologia del valore, Preti rivendicava la propria appartenenza a quella tradizione di interpretazione 'metodologista' e anti-rnetafisica di Kant e Hegel che, inaugurata da Cohen, culminava con Bann. Ora, sebbene in quel passo Husserl non fosse menzionato, nel testo l'influenza di temi husserliani è evidente e fortissima3 • E del resto proprio in quella

2. G. Preti, Fenummowgiadel valore, Principato, Milano 1942, p. 20 (nota). 3. In un altro passo della medesima opera, ad esempio, si può leggere che, «è soltanto grazie a questa posta alterità [fra t due poli distinti dell'autocoscieD?.a] che il soggetto non è soltanto soggetto trascendentale (universalità dell'esperien1.a) e l'oggetto il contenuto (particolarità e Busso vissuto), ma anche Il soggetto è un'oggettiVità particolare che attua la sua universalità In un mondo che gli pone del limiti•. E subito dopo lo stesso concetto è formulato in tennini distintamente husserliani: all'interno della correl37.ione di soggetto e oggetto, continua Preti, «noesi e noema sono concetti conelativi, non sussistenti fuoridi questacorrel37.ione» (ivi, p.80). La possibilità di una traduzione da un linguaggio all'altro è segno di unapiù profonda convergen-

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nota Preti rimandava al suo saggio Difesa del principio di immanenza (1936) in cui, prendendo spunto da un intervento di Carmelo Ottaviano al IX Congresso nazionale di fìlosolìa del 1934, aveva avanzato una proposta di comprensione del significato di quel principio che faceva direttamente riferimento alla fenomenologia husserliana. Esistono due sensi, osservava in quella sede, in cui si può parlare di trascenden7..a e immanen7..a di un oggetto. In un primo senso, trascenden7..a si può intendere come esistenza dell'oggetto exmanente - è questo il modo di concepirla da cui si generano il dogmatismo e lo scetticismo, e in quanto tale è inaccettabile. Ma c'è un altro senso in cui il concetto di trascenden7..a è legittimo, ed è il modo in cui lo pensa Husserl, dove trascendenza si riferisce al fatto che un oggetto non è mai completamente dato in un'esperien7..a e che rimanda a un grado ulteriore di complete7:7..a, secondo una struttura di rimandi. Insomma, in questo senso la trascenden7.a diventa una forma dell'immanen7..a, e più precisamente il modo in cui l'oggettività si costituisce nell'esperien7..a. Grazie alla mediazione della teoria della costituzione dell'oggetto husserliana il principio di immanenza diventava un concetto non più soltanto direttivo ma anche esplicitamente operativo, consentendo la formulazione di risposte specifìche a specifici problemi teorici. E così facendo si apriva alla necessità di ulteriori determinazioni e chiarimenti. A questo approfondimento del significato della posizione immanentistica, peraltro, Preti aveva già rivolto la propria attenzione in due saggi, Filosofia e saggezza nel pensiero husserliano (1934) e I fondamenti della wgica fornude pura nella 'Wissenschaftslehre' di B. Bolzano e nelle 'Logische Untersuchungen' di E.

:>.a di prospettive. Su questo punto, si veda anche ciò che Preti scriverà una ventina di anni dopo in Il mio punto di vista empiristico (1958), in Id., Saggi filosofici. Vol. 1: Empirismo Ùlr}co, epistemoÙ!r}a e Ùlr}co, a cura di M. Dal

Pra, La Nuova Italia, Firen7.e 1976, p. 478).

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Htl$Serl (1935). Nel primo di questi saggi, Preti affrontava la questione dei rapporti fra saggez:r..a e scienza, owero fra quella sfera che preserva la dimensione individuale e un approccio che, per l'appunto, «vuol essere sciero:.a, sciero:..a rigorosa». E la soluzione della tensione veniva riscontrata da Preti proprio nel metodo fenomenologico e in quel percorso di ascesa alla pura teoreticità dell'evidenza assoluta che significativamente chiamava «l'ltinerarium mentis in Deum» husserliano, effettuato «con il veicolo della più pura razionalità>,4• Tenendo ferma la concezione monadologica che Husserl aveva formulato nelle Meditazioni cartesiane e, in particolare, l'idea che «l'esperienza della monade empirica è legata ad un 'orizzonte'», per cui «nessuna esperiero:..a è mai perfettamente intuitiva, ma ha sempre elementi presenti solo simbolicamente, come pure 'intenzioni', compiti che la coscien7..a dovrà reali:r.,..are, per trovarsi poi dinnanzi nuovi oriz7..onti intenzionali, e così all'infinito», Preti osservava che un tale percorso di ascesa - che «segue la dialettica immanente alle strutture dell'esperienza trascendentale» - conduce verso punti di vista sempre meno limitati, fino alla Monade Assoluta che è «immanente potenzialmente» in tutte le monadi empirich&. In questo senso, concludeva Preti, la fenomenologia - intesa come il processo infinito (e l'espressione richiama il razionalismo critico di Banfì) di rP-alizzazi31• Per tale motivo, come avrebbe detto Florenskij, la prospettiva non è soltanto il gioco ottico degli affreschi di Pompei, ma ha in sé la possibilità del suo rovesciamento: è una "tecnica" che sempre svela la propria interna tensione, «esplorazione e violazione insieme della divina natura»32• Tecnica che diviene possibilità progettuale artistica, la cui "freccia" viene «scoccata dal corpo»33•

29. D. Formaggio, La genesi dei mqndi possibili in Paul I, n. 129130, 1972, pp. 104-131, qui p. 135 (poi in Id., Filosofia e pot.ere, cit., pp. 83-118, qui p. 116) [corsivo mio]. 23. Cfr. E. Paci, Funzione dille scienze e significato dell'uomo, Il Saggiatore, Milano 1963 (1970!), pp. 305-466.

142 tri la sua lettura, su quali nuclei teorici husserliani si fondi la

sua interpretazione. Semerari mostra nei suoi scritti di conoscere ovviamente bene l'intera produzione edita di Husserl, attento alle pubblicazioni della «Husserliana», ma i testi sui quali insiste con maggiore frequenza sono il secondo volume di Ideen e la Krisis: nel primo coglie la tematica dello Ich kann e della "reciproca inerenza io-noi-mondo" quali elementi che destrutturano ogni immagine sostanzialistica dell'Io e lo riconducono al suo concreto rapporto processuale col mondo; nel secondo, privilegia il tema della Lebenswelt24 e della critica della sciew..a che dimentica le sue origini precategoriali e si chiude nel formalismo. Così, il richiamo husserliano alla base oscura di inclinazioni e disposizioni che "viene prima" di ogni comportamento (Hua/ N, pp. 276-279); l'io «in quanto sistema dell'io posso» (Hua/ N, pp. 252-253); il radicamento della coscienza nella sua 27. Di conseguen7.a, il periodo dello Husserl delle Logisclie Untersuchungen del 1900-1901 (Hua/ XIX, 1, 1984 e XIX/2, 1984), della teoria critica della conoscen7.a, della delucidazione delle categorie ultime del discorso scientifico, è interpretato da Semerari come ancora intriso di coscienzialismo e idealismo2B. Di più: uno dei principali "meriti" della fenomenologia husserliana, se così posso dire, owero il suo il "valore" paradigmatico è individuato proprio nel compimento di questo percorso dal coscienzialismo in direzione del materialismo: la sua "conversione materialistica" testimonia, infatti, la insufficienza di ogni riflessione sulla scienza, sull'uomo, sulla ragione che non si concretizzi nella dimensione materialistica, storica e sociale.

27. G. Semerari, Considerazioni sulla rifondazione fenomenologica del mv scendentale, cit., p. 283. 28. e&. G. Semerari, Materialismo e scienza naturale , cit., p. 129 (1973, p. 110).

145 La fenomenologia si qualifica, pertanto, e come critica del dogmatismo sostanzialistico e come "autocritica della ragione borghese", secondo un lessico proprio degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.

3. Con Husserl e con Marx per un ".filosofare dal, basso" Valerio Verra, con la consueta finezza critica e preziosa precisione, individua in Semerari, proprio nella«[ .. . ) sua insisten7..a sulla funzione critica della fenomenologia rispetto al problema della scien7..a [ ... )» la possibilità di «[ ... ) una corretta impostazione anche del rapporto tra fenomenologia e marxismo»29• Per Semerari, infatti, secondo Verra, Non si tratta di dare un'interpretazione fenomenologica del marxismo o marxiana della fenomenologia [ ... ] non è questione di «precorrimento» della fenomenologia da parte del marxismo, né di «superamento» del marxismo da parte della fenomenologia, bensì di riportarli entrambi alla situazione teoretico-esistenziale dell'uomo contemporaneo rispetto al quale "fenomenologia e marxismo reagiscono in modo affine e, nel fondo, concorde"!!O.

Non si tratta, in altri termini, di "fondere" fenomenologia e marxismo nel progetto di un f enmarx o marxfen, cioè nella costituzione di una nuova concezione teorico-pratica di comprensione e trasformazione del!'esistente, come appare negli

29. V. Verra, Esistenzialismo, ferwmenowgia, ermeneutica, nichilismo, in M .W., La fiwsofia italiana dal cJqpo~ ad oggi, Latet7.a, Roma-Bari 1985, p. 402. 30. Ivi, p. 403.

146 ultimi scritti di Enzo Paci31 : e qui è la distan7_.a teorica massima tra i due studiosi circa i rapporti tra fenomenologia e materialismo storico-dialettico. Si tratta, piuttosto, di cogliere nella fenomenologia e nel marxismo quegli elementi teorici, quelle forme di critica che possono restituire all'uomo del presente la sua responsabilità di soggetto tra soggetti, demistificando i processi che tendono a negare la dimensione corporea, sociale, storica dell'uomo, inglobandolo entro schemi che lo rendono un astratto ingranaggio in meccanismi che si presentano con i crismi di una oggettività e di una necessità inalterabili. Né la fenomenologia, né il marxismo costituiscono dei salvacondotti assoluti in questa battaglia per affermare la effettiva e costante capacità di autonormatività del soggetto, che è il cuore della riflessione semerariana: in Husserl non mancano, infatti, "residui coscienzialistici" anche nelle Ideen e in Krisis:rt, nel marxismo è sempre in agguato la possibilità di arroccarsi in una fflosofia di difesa del potere istituzionaliZ7--ato nei suoi apparati burocratici, in nome dei quali mortificare l'individuo33.

È agevole, per altro, constatare come proprio negli scritti, nei quali più forte è la presenza di fenomenologia e marxismo, non solo Marx e Husserl ricorrano, ma Dewey e Hume e Merleau-Ponty e Sartre e, ancora, Erikson e Fromm e Goldstein e Kelsen e Mannheim e Malinowslà e Jung e Perelman e

31. C&. E. Pacì, Fenomenologia e dialettica, Feltrinelli, Milano 1974, come punto di avvio di una bibliografia che non è qui possibile riprendere nemmeno per cenni. 32. e&., a puro titolo di esempio, G. Semerari, Il cof!)t.c mancato. 1A critica di Husserl a Hume, In «Paradigmi», n. 12, 1986, pp. 457-488, ove si preferisce il radicale empirismo humiano alla tematl7.7.azione husserliana del co(!},to . 33. Cli-. G. Semerari, Il marxismo 'aperto' nelle democrazie popolari e Burocrazia, tecnocrazia e libertà, in Id., Filosefia e potere, cìt., pp. 149-198.

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Whitehead e Wittgenstein, a testimonianza di una iniducibile pluralità di referenti e di orizzonti culturali compresi nella prospettiva di una comune lotta contro ogni forma di dogmatismo, reificazione, perdita della soggettività.

È quanto Semerari precisa il 1979 per controbattere alle critiche che sono provenute da autorevoli studiosi italiani di orientamento marxista: [ .. .] il mio problema non era (e non è) quello di fare una miscela di marxismo e fenomenologia, tanto meno quello di 'tradurre' Husserl in linguaggio materialistico e nel linguaggio di quel materialismo sui generis che è il marxismo [ ... ]. Ciò che conta, a mio awiso, è la convergen;,.a oggettiva di marxismo e fenomenologia in ordine alla situazione dell'epoca [... ]. È il comune lottare contro le varie forme di feticismo {economico/sociale/politico/scientilìco) [ ...). È la comune esigenw. di radicali7.7.are la fondazione della oggettività [ ... ) in modo che la soggettività umana costituente non si alieni e non resti definitivamente perduta nel già costituito34 •

Così, Marx può essere un "antidoto" ai residui coscienzialistici di Husserl e Husserl può essere efficace per tener vivo il problema della soggettività in Marx: ma quel che conta è la comprensione del presente e dei suoi meccanismi di oggettivazione e alienazione che richiedono la battaglia filosofica per la autonormatività del soggetto, come singolo e come comunità. E, allora, con Husserl e con Marx, molti altri pensatori, del presente e del passato potranno "convergere", potranno essere accostati, frequentati, studiati per sostenere questa battaglia che è anche la delineazione di un modo di concepire e praticare il lavoro filosofico, il modello del "filosofare dal basso", che così Semerari descrive:

34. C. Semerari, Civiltà dei mezzi, civiltà dei fini. Per un razwnalisnwfilosofico-politico, Bertani, Verona 1979, p. 12.

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Filosofare dal basso significa compiere un'assunzione empiristica per la quale l'uomo nella sua materialità storicamente determinata è il principio della filosofia, la filosofia si esplica come ricerca sostenuta da ipotesi falsificabili [ ... ] e coincide con la descrizione e il progetto delle multiple relazioni transazionali tra uomo e mondo[ .. . ) si mantiene in un permanente stato di domanda nel quale si rispecchia la struttura problematica sia dell'uomo empiricamente osservabile, sia delle sue relazioni transazionali col mondo35•

La lettura semerariana della fenomenologia husserliana è quella di un filosofo teoretico, non di uno storico della fìlosofìa. E fìlosofìa teoretica, per Semerari - come per tanti altri teoreti italiani della sua generazione - è quella che Norberto Bobbio chiamò "filosofìa militante", fìlosofìa che combatte, nel presente per il futuro: quella che, in fondo, Husserl stesso racchiudeva nell'espressione del fìlosofo "funzionario dell'umanità". Rileggere oggi la interpretazione che Semerari ha dato della fenomenologia signifìca non solo, forse, riscoprire potenzialità teoriche di Husserl nascoste e/o obliate, ma anche rivivere e ripensare il signifìcato, i conflitti, i successi e le sconfìtte che la fìlosofìa italiana ha sperimentato nella seconda metà del secolo scorso. Mi pare che le parole del suo amico Fulvio Papi possano meglio di altre chiudere queste mie considerazioni: In un'epoca dove spesso prevale la conservazione della tradizione (qualcosa che può assomigliare alla preziosa copiatura dei testi) o la spettacolariz:7.azione della filosofia, I'esperiell7.a di Semerari sta ad indicare [ .. .] la possibilità positiva di un discorso fìlosofìco che sia, contemporaneamente, nella sua tra-

3:s. G. Semerari, Filosofia e potere, clt., pp. 10-11.

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dizione e nell'invenzione del suo senso e del suo modo nella contemporaneità36•

36. F. Papi.Per Semerari, in AA.W.,Lacerte7.7A incerta. Scritti ru Giuseppe Semerari con dm inediti deJJ.'autore, a cura dì F. Semerari, Guerini e Associati, Milano 2008, p. 14.

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Il percorso fenomenologico di Enzo Melandri di Stefano Besoli

I. Dopo aver approfondito, nel periodo della sua formazione a Bologna, il terreno della fìlosolìa della storia e l'intreccio tra ermeneutica e Lebensphil.osc,phie, l'incontro di Melandri con il pensiero di Husserl avviene essenzialmente all'insegna dell'impronta relazionistica della fenomenologia, impressa da Enzo Paci alla lìne degli anni Cinquanta del secolo scorso. In questo quadro, si era imposta l'esigenza di superare il piano delle aporie etiche e gnoseologiche che permeavano le problematiche dell'esistenzialismo, al lìne di dedicarsi al recupero di una razionalità non più contaminata da accenti dogmatici e da tratti naturalistici. Nella prospettiva dischiusa da tale impegno razionale Melandri riuscì a evidenziare, prima di albi, come la fenomenologia potesse rappresentare il fondamento stesso della logica e come da una fenomenologia dell'esperienza, correttamente intesa, potesse scaturire una sorta di metodo empirico radicale, scevro d'implicazioni naturalistiche e distorsioni di natura psicologica, tale da essere condotto in uno stile d'analisi descrittivo, non pregiudicato sotto il profilo ideologico. In sintonia con le riflessioni di Paci, per il quale nelle Vorlesungen husserliane riguardanti la «fenomenologia della coscie!l7..a interna del tempo» (1904-1905) poteva esse-

152 re rintracciata l'origine di tutto l'esistenzialismo•, consentendo così di avallare la tesi che la fenomenologia ne contenesse già implicitamente l'impianto tematico, anche Melandri abbandonò gli sviluppi irrazionalistici dell'esistenzialismo e, al tempo stesso, di certo storicismo, per testimoniare come un'analisi accurata della fenomenologia avrebbe potuto ambire, sulla linea tracciata da Paci, a una revisione critica dell'intera filosofia hegeliana e, in particolare, del problema cruciale dalla dialettica. Questo mutamento d'indirizzo, espresso con estrema radicalità, s'inscriveva in quella rinascita dell'interesse per la fenomenologia, che si configura come la seconda grande vague di studi husserliani nell'ambito della tradizione fìlosofica italiana, dopo quella che aveva avuto luogo, a partire dagli anni Venti, sotto l'egida di Antonio Banfì. Quasi in corrisponden7..a del centenario della nascita di Husserl, un rinnovato impulso per la ricerca fenomenologica si lega, quindi, alla pubblicazione degli inediti husserliani e ali' avvio dell'iniziativa editoriale destinata a raccogliere il complesso della produzione di HusserJ2. La Husserl-Renaissance, che tradusse l'acquisizione degli inediti husserliani in una fase di studi ali'alte12a del compito di restituire il senso autentico della fenomenologia, contribuì in

1. Cfr. E. Melandri, Logica e esperienza in Husseri, il Mulino, Bologna 1960, p.133. 2. La ricezione degli inediti husserliani è stata accompagnata, nella cultura

fenomenologica di quegli anni, da due lavori particolannente significativi, che hanno esercitato-soprattutto In Italia - un ruolo decisivo nell'orientare l'interpreta7.lone a cogliere l'effettiva portata del dlsoorso fenomenologico husserllano. Si tratta dei volumi di G. Brand, Welt, Ich und Zeit. Nach unoeriJ.ffentli.chten Manuskripten F.dmund Husserls, M. Nijhoff, Den Haag 1955 (Moodn, ic e tempo nei manoscritti inediti@ Husserl, tr. it. di E. Filippini e Introduzione di E. Paci, Bompiani, Milano 1960) e di A. Diemer, Edmund Husserl. Versuch einer sysrematischen Darstellung seiner Philnomenologte, Hain, Meisenheim am Gian 1956.

153 primo luogo a confutare l'idea che il movimento fenomenologico, nella sua progressiva diaspora, si fosse andato esaurendo perché aveva in fondo costituito solo uno stadio preparatorio all'esistenzialismo. Infatti, proprio un certo declino di tale corrente filosofica, cui si accompagnava in quegli anni un affievolirsi della cultura neopositivistica, legittimò un vero e proprio rovesciamento di prospettiva, non potendosi più intendere Husserl come semplice precursore di Heidegger, giacché era semmai l'esistenzialismo - e in primo luogo Essere e tempo come sua opera di maggior rilievo - a costituire un oriz7..onte più ristretto e uno sviluppo per molti versi involontario di quella sterminata ampiezza che il pensiero di Husserl andava gradualmente rivelando. Del resto, a prescindere dalla continuità tra fenomenologia ed esistenzialismo, risultava sempre più evidente come essa non fosse indice di uno svolgimento necessario da una posizione più ingenua a una ritenuta più matura o per cosi dire più avanzata, dato che molti degli aspetti problematici dell'esistenzialismo apparivano sempre più come opzioni interpretative di alcune tra le principali premesse fenomenologiche. In tal senso emerse, con notevole perspicuità, che la fenomenologia husserliana non si era limitata a precedere idealmente l'esistenzialismo, ma che in realtà lo aveva paradossalmente già superato e rivisto nel momento in cui aveva elevato ad oggetto della riflessione le motivazioni profonde, per lo più largamente inconsapevoli, che sottostanno alle più ovvie credenze della vita quotidiana, di cui occorre appunto provocare la crisi tramite una metodica sospensione del giudizio, che rappresenta l'atto inaugurale della fenomenologia e la «porta d'ingresso» per una sterminata analisi intenzionale dell'esperien7.a trascendentale3. Una volta che se ne fosse colto a pieno il senso, il presupposto di una fonda-

3. e&. E. Melandrt, Esistenzialismo, In Filosofia (a cura di G. Preti), voi. XIV dell'Enciclopedia Feltrtnelll F1scher, Feltrtnell!, Milano 1966, pp. 39 sgg.

154 zione fenomenologica del sapere mostrò di essere ineludibile, cosicché apparve difficile rinunciare alla funzione critica della fenomenologia nell'ambito di situazioni culturali minacciate da crude risorgenze, da modi di pensare aprioristici, inconsapevolmente metafisici o di proposito ideologici, quando non addirittura misticheggianti. Rispetto a tali manifestazioni, la fenomenologia si candidò quindi a essere qualcosa più di un semplice antidoto o di una terapia sintomatica, presentandosi invece come una concreta alternativa di pensiero.

2. Al di là dei tratti più strettamente congiunturali, la lettura della 6loso6a husserliana che Melandri ci fornisce fìn dai suoi primi lavori si segnala per la radicalità dell'impegno teoretico e per il carattere inedito degli elementi contenutistici posti in evidenza. Innanzitutto, l'interpretazione che Melandri privilegia spicca per voler essere «filologica», ma per fare al contempo riferimento ai testi husserliani come «ciò-attraversocui» si cerca di pensare le «cose stesse» cui Husserl mirava: di conseguenza, l'oggetto dell'interpretazione fa qui tutt'uno con il nucleo problematico che richiede un «rimando oggettivo o comunque extratestuale»4• L'esegesi che Melandri compie non prescinde perciò dai testi, ma li rende strumenti di una chiarificazione problematica che va oltre, attribuendo loro un senso che essi non paiono sulle prime accreditare, in modo da far dire ai testi ciò che proviene interamente da essi, per quanto non vi sia immediatamente riconoscibile. Ma a parte quest'aspetto di teorizza:zione più generale, è chiaro l'orientamento melandriano ad attenersi al principio fenomenologico (di stampo aristotelico), secondo cui è l'oggetto ad essere preordinato al metodo, non potendosi accettare l'inversa concezione razionalistico-idealistica che individua nel metodo

4. E. Melandri, LorJca, e esperienza in Husseil, clt., p. XI.

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ciò che consente aprioristicamente di realiz1..are ogni determinazione oggettuale. Conoscere che cos'è una cosa non può prescindere dal fatto di sapere che essa è, per cui Melandri mostra - a dispetto di quanto tuttora spesso si sostiene - che il concetto di scienza husserliano ha spiccate ascendenze empiristiche, essendo la peculiarità dell'oggetto a dettare i modi in cui poter essere conosciuto. I principi metodici sono dunque prescritti dall'esseD7~ inerente all'esperieD7~ possibile degli oggetti nella loro peculiarità categoriale, di modo che è il metodo a dover essere posto in funzione della ricerca, alla quale è commisurato un rigore scientifico che non può essere assolutiZ7~to nei termini di una metodologia aprioristica, infallibile e di validità universale. Su questo piano, e in riferimento alla tematica specificatamente fenomenologica, Melandri trae l'ulteriore conclusione che si debba evitare il «pregiudizio dell'esemplarità della matematica e della logica formale» che ricorre in maniera insistente in tutta la filosofia moderna, poiché tali scie07..e «eidetico-"formali"» non possono avanzare un primato fondazionale e una pretesa di priorità trascendentale nei confronti di una «scienza eidetica "materiale"» come la fenomenologia5. L'esattezza di determinate scieD7.e non si addice, infatti, al rigore cui si coniuga la ricerca fenomenologica, che ha sempre a che fare con fenomeni essenzialmente indeterminati (scbiasmi, adombramenti, orizzonti, modi di datità indefiniti o inattuali), per principio non riducibili a una misura di maggiore conclusività e finitezza, ma connaturati al verso dell'indagine fenomenologica che muove sempre dal dato per regredire, in senso genealogico, alle sue «preliminari condizioni costitutive>>6. Proprio il fatto di essere una scienza eidetico-materiale fa sì che Melandri intraveda nella fenomenologia husserliana, pur nella sua costitutiva inesattez5. lvi, p.148, ma cfr. anche pp. 84 sgg. 6. Ivi, p. 149.

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za, la possibilità di assolvere la funzione di prote philosophia, realizzan20, per cui una «logica meramente formale», indipendente dall'esperien7.a, incorre nei limiti di ogni dogmatismo acritico, che Husserl designerebbe come ingenuamente pre-fìlosofìco. Considerare invalicabile l'oriZT..onte empirico di ogni operazione logica significa che la logica del pensiero non può rinunciare alla propria inerenza al mondo e che dunque può trovare fondamento solo nella logica dell'esperienza, cogliendo la strutturazione essenziale propria dell'esperienza stessa, che non si regge su principi proiettati dall'alto come condizioni eteronome della sua mera pensabilità. Assai prima, dunque, che comparissero nella «Husserliana» le Analysen zur passiven Synthesis ( 1966), Melandri aveva 19. lvi, p. 44. 20. lvi, p. 45.

163 già individuato come problematico il concetto di una logica pura priva di una «correlazione col suo senso soggettivo»z•, e cioè di una logica che, per essere compresa nell'inseità tipica di ogni verità di ragione, doveva senz'altro essere reintegrata nell'originaria dimensione esperienziale. Di qui, il riconoscimento più significativo che Melandri attribuisce a Husserl è di essere stato il primo a porsi «esplicitamente il problema del carattere assertorio dello stesso apodittico»zz. Tale rilievo, che registra come alla base di ogni formali7.7..azione logica vi sia un'adeguata chiarificazione di ordine gnoseologico, determina per Melandri il senso trascendentale della fondazione fenomenologica della conosoem.a, che consiste nel «risalire dal pensato al dato, dall'intenzionato all'intenzionale, dal noumeno al fenomeno [ .. . per cui] il senso dell'analitico, dell'apofantico e del formale è da ricercare nell'estetico, nell'attuale e nell'antepredicativo»23. A differe!l7..a però del modo in cui aveva operato Brentano, Melandri rileva che Husserl non cerca di ridurre l'apodittico direttamente all'assertorio, ma aspira a «trovare una correlazione omogenei7.7..atrice» tra tali termini. La mediazione deve per principio poter awenire in entrambi i sensi, e solo assicurando «all'analitica una base estetica» o «fondando empiricamente la logica» si potrà cogliere il «carattere evidenziale delle esse!l7..e» e ammettere che la stessa «apprensione degli oggetti intellettualh, - come in presenza di un'intuizione intellettuale provvista di un «concreto fondamento» - gode di un «genuino momento intuitivo»24.

21. Ibidem 22. lvi, p. 52. 23. lvi, p. 46. 24. lvi, p. 52 (clt. adattata).

164 4. Nel suo ricostruire l'identità della fenomenologia, Melandri si confronta con certi modi d'intenderla alquanto convenzionali, determinati da una lectio facilior di alcuni testi husserliani (con particolare riferimento ai Prolegomena zur reinen Logik e aPhiwsaphie al,s strenge Wissenschaft). Al riguardo, Melandri si sbaraz:;r..a dell'idea che la difesa dell'autonomia della logica, della sua idealità e del rivendicato distacco da ogni forma di contaminazione empirica debba tradursi, necessariamente, nell'esigenza speculativa di una purezza formale fine a se stessa, alimentando la comune opinione che la fenomenologia - in virtù dell'originaria vocazione matematica di Husserl - fosse essenzialmente motivata contro ogni forma di empirismo e da un'opposizione altrettanto radicale nei confronti dello storicismo en phiWsaphe. Al contempo, nella sua accezione di filosofia trascendentale, la fenomenologia avrebbe dovuto senz'altro far parte di quella tradizione di pensiero, in cui il motivo platonico si coniugava a una concezione della logica di stampo assolutistico. Tuttavia, per quanto tale lettura un po' troppo di superficie sia stata ingenerata in parte anche da Husserl, nel suo tentativo di ristabilire i diritti in qualche modo compromessi dell'ontologia formale, per Melandri non vi è dubbio che il cosiddetto essenzialismo husserliano non vada inteso nel senso della completa mancanza di relazione, owero come una forma d'ipostatiz:zazione platonica o di restaurazione di un realismo assoluto. In tal senso, anche gli sviluppi analogici della ricognizione fenomenologico-esperienziale melandriana confermeranno che «il progresso della conoscenza dipende dalla possibilità di ricondurre una differew..a che di primo acchito appare qualitativa e assoluta a una che sia invece relazionale e relativa»2.5.

25. E. Melandri, La linea e il circolo. Studio logìco-filosofico sul/:analogja, clt., p. 792.

165 In altri termini, quella che appare una critica radicale all'empirismo come forma di pensiero storicamente determinata, è solo un prendere le distanz.e da un intero cartello di posizioni gnoseologiche che, nei loro tentativi inadeguati di fondare la logica su base empirica o ipotetico-deduttiva, avevano inevitabilmente spinto a conseguenze relativistiche di natura scettica. La posizione di Melandri è che la fenomenologia rappresenti una critica dell'empirismo per così dire «male inteso», che si regge cioè su un'impostazione a sfondo naturalistico. Di conseguenza, anche la critica husserliana allo psicologismo non significava che la logica potesse fare a meno del tutto della psicologia, con l'esito di dover rinunciare ad essa anche come medium per tematizzare la logica stessa, ma si rivolgeva a quelle forme più estreme di fraintendimento che tendevano a concepire le leggi logiche come forme naturali del pensiero, ricavabili tramite una generalizzazione empirico-induttiva. Del resto, Husserl non avrebbe potuto, secondo Melandri, distogliere definitivamente il terreno della psicologia dall'orizzonte fenomenologico, disconoscendo così l'interesse ereditato da Brentano, il cui ideale di filosofia - come quello di gran parte della filosofia austriaca - si muoveva ben al di fuori dei percorsi battuti dal trascendentalismo kantiano e dall'idealismo tedesco. La negazione husserliana dello psicologismo andava concepita quindi, per Melandri, come una critica a un orientamento confusamente psicologico, incapace cioè d'intendere in maniera autentica il proprio tema. Da qui si capisce perché l'antispicologismo di Husserl non si risolva in un logicismo dogmatico à la Frege, ma persegua il tentativo d'individuare tra gli estremi dell'obiettivismo e dello psicologismo una sorta di terza via, che non vuole però tradursi in una soluzione equivocamente com-

166 promissoriai6. In tal senso è evidente entro quali limiti sia possibile parlare di un platonismo husserliano27, dato che l'intento di Husserl non è mai stato quello di «operare una separazione quasi chimica del pensiero vivente», tale da rendere del tutto irrelate le sue componenti e farlo soggiacere alle aporie del dualismo. In sintonia con alcune indicazioni di Paci sul significato da attribuire al platonismo in Husserl, Melandri spiega in maniera esemplare come nella distinzione tra momento logico e momento psicologico, tra oggetto ideale e contenuto reale, tra soggettività del conoscere e oggettività del contenuto della conoscenza non vada trascurato il significato relazionale che annulla ogni tipo di chorismos. D'altronde, il problema originario affrontato da Husserl è sempre stato quello del rapporto tra esperienza attuale, soggettivamente psicologica, e la realtà in sé colta in essa, per cui occorreva tematizzare in maniera esplicita l'impostazione correlativa, che nell'ambito della fenomenologia manifesta un autentico primato. Per dar seguito a ciò, Melandri si richiama a una «speciale "dialettica dei distintin», nell'ambito della quale l'intenzionalità assume il ruolo di ,,principio di omogeneizzazione dei distinti» stessi9B. Essendo la logica fenomenologica fondata fin dall'inizio sulla correlazione, si capisce facilmente perché il secondo volume delle Logische Unter.suchungen - dedicato in gran parte all'analisi eidetica dei vissuti tramite cui si ha esperienza di ogni tipo di oggettualità - non potesse costituire una «palinodia» dei Prolegomena/19, né tanto meno una ricaduta nello psicologismo, ma andasse inteso come un insieme di ricerche fenomenologiche che miravano a riappropriarsi del tema della soggettività

26. e&. E. Melandri, Logica e esperienza in Husserl, cit., pp. 10 sgg. e 28 sgg. 27. e&. ivi, pp. 30 sgg. e42 sgg. 28. Ivi, pp. 30 sgg. 29. lvi, p. 46.

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in chiave non naturalistica, lasciando già trasparire un abbozzo di fenomenologia trascendentale che porta a rulettere sulla natura degli «atti costitutivi dell'oggettività»30• L'inteipretazione che Melandri offre di tale nucleo problematico della fenomenologia chiarisce, in modo del tutto originale, come il rifiuto husserliano dello psicologismo riguardi solo l'accezione naturalistica di tale fenomeno, ma non coinvolga quella definita «attualistica» che, seguendo la «dottrina del dato immediato» avanzata da Wolfgang Metzger, postula di considerare le leggi logiche nella loro «motivazione immanente di esperienze vissute»31, stabilendo che nessun concetto possa essere accettato senza poterne mostrare la «genesi empirica per astrazione da intuizioni sensibili»32• Liberare la psicologia e l'evidenza attualistica da ogni rivestimento naturalistico, dall'intellettualismo e, più in generale, dal modo d'impostare i problemi in termini psicologistici vorrebbe dire svelarne la «motivazione immanente», ovvero la «segreta nostalgia» di tradursi in una fenomenologia scevra di presupposti speculativi33• In ragione di questo programma da realiz:zare, Melandri sostiene che, lungi dal costituire una critica radicale dell'empirismo, la fenomenologia si candidi autorevolmente a essere la forma più autentica di «empirismo radicale»:w, ovvero la posizione d'ispirazione jamesiana in cui si è consapevolmente orientati a superare la distinzione tra verità di ragione e verità di fatto'JS, al pari dell'opposizione tra soggetto e oggetto36. 30. Ivi, p. 27. 31. lvi, pp. 33 sgg.

32. lvi, p. 35. 33. lvi, p. 34. 34. e&. ivi, pp. 72e 247.

35. e&. E. Melandri, La linea e il cirrolo. Studw lopfilosoficc sull'analcgia, ctt, pp. :S72 sgg. 36. e&. E. Melandri, Logica e esperienza in Husseri, ctt., p. 31.

168 5. Il richiamo all'esperienza, nella veste di riferimento costante e di criterio assoluto, deve liberarla però da ogni rivestimento naturalistico, non limitandola a una mera connotazione atomistica o a un associazionismo sensistico. L'impostazione antinaturalistica della fenomenologia, che Melandri coglie nella critica alla falsificazione dell'esperien7..a originaria, si radica dunque in un empirismo affrancato da infrastrutture metafisiche. Lungo tali coordinate, la lettura che Melandri offre del percorso della riffessione husserliana riesce a mostrare come per essa non rappresenti più un'illegittima trasgressione il tentativo di fondare la logica sulla psicologia, a patto che la radicalità di tale impegno sia tale da trasformare la psicologia - che per Husserl costituisce il «campo delle decisioni» - in una fenomenologia trascendentalmente compiuta. In questo quadro, la fenomenologia si pone ben al di là del grado di riflessione attuato dalla psicologia descrittiva brentaniana, dato che il fine della descrizione fenomenologica non è di cogliere ciò che di fatto accade nel soggetto, ma di rilevare i tratti essenziali e le strutture invarianti di ogni singola esperien7.a37. Al contempo, nell'opporsi con radicalità al prevalere delle interpretazioni idealistiche del pensiero husserliano, Melandri riporta le radici della fenomenologia all'interno della tradizione empiristica, in cui Husserl era apparso come il vero ,precursore» della fenomenologia, al punto che nello stesso rimando husserliano al trascendentale, «l'idea di una kopemikanische Wendung, così come si ripropone nella "riduzione fenomenologica", reca più un'impronta humiana che kantiana,>38, poiché anche Husserl- pur non volendo piegarsi alle distorsioni dello psicologismo sensistico - persegue con il suo metodo fenomenologico-trascendentale le vecchie intenzioni della ftloso6a

37. Cfr. E. Melandri, Sul concetw di descrizione nella psicologia ferumumo-

logica, in «lnterse7.ioni», IX, 1-2, pp. 285-303. 38. E. Melandri, Logica e esperienza in Husseri, clt., p. 109.

169 empiristica, analizzando il senso delle strutture che operano, sul versante della soggettività, in tema di genesi costitutiva39• Nella sua pregevole ricostruzione del periodo della filosofia husserliana spesso impropriamente definito come pre-fenomenologico, Melandri indica come già nella Phiwsophie der Arithmetik (1891) Husserl trasgredisca i limiti della psicologia empirica brentaniana, non solo attraverso la distinzione qualitativa tra significato e fenomeno, tale da delineare un senso differente della nozione d'intenzionalità, ma tramite un peculiare approfondimento che supera il carattere classificatorio della psicognosia di Brentano, introducendo «categorie "organicistiche"» al posto di quelle «atomistiche» fin nprevalenti'°. Tale incremento di prospettiva è servito ad ovviare all'elementarismo associazionistico, dischiudendo quella dimensione sintetica che Brentano stentava a concepire e che invece ha consentito a Husserl di affrontare, in termini risolutivi, ciò che per Melandri rappresenta il «più importante problema della fenomenologia», dal quale «dipende la sua stessa esistenza,,•1: vale a dire l'intuizione eidetica, la visione evidente delle essenze. Melandri punta qui a «difendere l'intuizionismo del pensiero "naturale" contro l'artificiosità del procedimento simbolistico»42 e scorge nelle analisi riguardanti l'origine del concetto di numero cardinale e la nozione di molteplicità la via che conduce a scoprire la presenza di «momenti figurali», «quasi-qualitativi» o gestaltici che - nelle distinte modalità dell'eidos, del Wesen e del Typos - scandiranno l'approfondimento delle riHessioni husserliane dalla Phiwsophie der

39. Melandri affenna che lo scopo principale del suo volume è «mostrare il profondo senso empiristico della fenomenologia» (lvi, p. 7:5). 40. Cfr. E. Melandri, Logica e esperienza in Husseri, clt., pp. 21 sgg. 41. lvi, p. 48. 42. lvi, p. 2:5.

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Arithmetik a Erfahrung und Urteil. Dal punto di vista empiristico, l'origine del concetto di numero è spiegata attraverso una duplice operazione: la negazione o astrazione, con cui si prescinde dalle particolarità o differew,e individuali dei singoli elementi, e la congiunzione attraverso cui si ricollegano tali unità discrete e omogenee nella «superiore unità concettuale del numero,>43. Ogni molteplicità risulta così costituita dagli elementi di cui si compone e dalla relazione collettiva che li riunisce in un insieme. La difficoltà in cui s'imbatte tale concezione empiristica è che tale relazione va necessariamente concepita come esterna agli elementi stessi, per cui come il numero ci riporta ali'atto del numerare, nel caso della nozione di molteplicità si rimanda all'«atto psicologico dell'associazione», che rappresenta qualcosa di estrinseco rispetto agli elementi collegati tra loro, con l'esito sconveniente che il fondamento del concetto di molteplicità andrebbe ricercato nella «sfera soggettiva delle associazioni di idee»-".

Ma a ben vedere, schemi di carattere più strutturale s'insinuavano anche in matematica, nelle operazioni simboliche più astruse, dando prova della presenza in esse di una «specie (metaforica) di concretezza» o di una «pregnan7..a semi-intuitiva», che lasciava trapelare come questi momenti figurali fossero portatori di una «speciale intuizione intellettuale»45• Con estrema netteZ7..a, Melandri giudica che l'esito fenomenologicamente più maturo della riflessione sull'aritmetica condotta da Husserl consista nel «riconoscimento implicito che non esistono mai "mere somme"», anche se ciò non va inteso dal pun-

43. Ivi, p. 19. 44. lvi, p. 20. 45. E . Melandri, I paradossi dell'infinito nell'orizzonte fenomenologico, clt, p.98.

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to di vista strettamente logico o psicologico46. La dirompente scoperta dei momenti figurali scombina il programma husserliano iniziale, dirottando la fenomenologia lungo un percorso speculativo del tutto nuovo. La scoperta di parti non-indipendenti di un tutto, contraddistinte da un carattere relazionale, descrivibile e qualitativamente afferrabile in maniera quasiintuitiva, decretava il crollo dell'associazionismo, nell'ambito del quale non comparivano aspetti strutturali legati alla relazione collettiva, poiché solo i singoli elementi potevano dirsi propriamente dati. La scoperta dei momenti figurali legittima dunque la portata teorica di un'intuizione intellettuale messa letteralmente al bando da Kant. Prescindendo dal campo dell'aritmetica, nell' «apprensione momentanea» e immediata d'insiemi illimitati tale molteplicità non viene colta sommando, in maniera progressiva, le unità indifferenziate, ma è afferrata di colpo, in un solo sguardo, intuendo la qualità globale di un tutto che trascende, in forma gestaltica, gli elementi che lo costituiscono, senza però sussistere separatamente da essi. La presenza di un terzo fattore costitutivo della molteplicità, di un momento figurale che qualifica l'apprensione sensibile dei fenomeni consente a Husserl di mostrare come per la fenomenologia, sotto questo profilo, non esistano fenomenicamente datità assolute, assunte in maniera finzionale nella loro natura atomica o irrelata, e cioè come singolarità davvero indipendenti, ma solo configurazioni dotate di una struttura pregnante. Al riguardo, Melandri illustra, con indubbia maestria, come Husserl sia giunto quasi inconsapevolmente, attraverso un tragitto diverso rispetto alla via sperimentale percorsa da von Ebrenfels47 - ma sfruttando ugualmente le osseivazioni

46. Ibidem. 41. e&. E. Melandri, Logjca e esperienza in Husserl, cit., pp. 24 sgg.; Id., I paradossi dell'tnfiniw nell'orizzonte fenumencwgico, clt., pp. 97 e 113; Id., Alla ricerca dell'oggetto inesistente, in A. Meìnong, Gli oggetti d'ordine su-

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già svolte da Mach nei suoi Beitrage zur Analyse der Empfindungen (1886) e da Stumpf nel secondo volume della Tonpsychologie (1890) - a render conto di come, al di là dei rigidi presupposti empiristici, relazioni connettive si fondino in una totalità unitaria, il cui carattere non è più meramente simbolico, ma per l'appunto «semi-intuito», in ragione del modo in cui le relazioni tendono a congruire nell'aspetto figurale. La funzione e la portata operativa delle Gestalt.puzlitaten ha guidato Melandri a stabilire, in maniera definitiva, la differenza che intercorre tra la strutturazione rivendicata dalla fenomenologia per l'esperienza e quella attribuitale invece sia nella concezione empiristica, sia nel trascendentalismo kantiano. Il materiale sensibile, infatti, non riceve forma e ordine da un intervento intellettuale, ma si organizza in proprio nelle unità di sintesi che hanno un fondamento contenutistico, ovvero nel decorso di sintesi passive interne al materiale stesso. Di conseguell7.a, il momento figurale registra un «effetto sintetico» già implicito in una percezione figurale.a, nella quale inizia a profilarsi quella tensione tra contenuto e oggetto, che porterà Husserl a distanziarsi dal tipico empirismo brentaniano. All'interno di un confronto legato alle «analogie dell'esperienza>> kantiane, Melandri nota come la configurazione dei dati sensibili non si debba solo a una matrice di ordine intellettuale, poiché esiste anche una «forma della sensazione» inerente alle sue variazioni intensive. In altri termini, l'oggettivazione

peribre in rapporto alla percezione interna, Faen7.a Editrice, Faenra 1979 e Ch. von Ehrenfels, Le qualitàJir!;rali, Faenm editrice, Faen7.a 1980, pp. 11-29; Id. (con lo pseudonimo di Anonimo Salisburgese), Sulle proprietà percettivamente vuote ovvero prive cU qualità m!J.lf'Oli (1979], in Id., Sette oal'ÙJZWlri in tema cU psicologia e scienze sociali,-Pitagora editrice, Bologna 1984, pp. 17~249. 48. C&. E. Melandri, Sulle proprietà percettivamente vuote ovvero prive cU qualità figurali, cit., pp. 181 sgg.

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dell'esperienza non avviene, come in Kant, tramite le funzioni dell'intelletto e cioè attraverso le condizioni categoriali che inseriscono il dato sensibile in un giudizio di esperienza, ma occorre prendere atto che la sensazione fomisoe anche il «contesto della sua relazione con gli altri dati». A questa dimensione contestuale, cui appartengono le forme della sensazione - che per Kant rappresenterebbero una controdi.ctio in adiecto al pari della nozione fenomenologica di esperienza trasoendentale - è riconducibile la disposizione ordinata dei dati, che appalesa il modo in cui la «materia si fa tematica e s'impone all'intelletto. La materia è il polo opposto dell'intelletto: ma è meno passiva e molto più intelligente di quanto non supponesse Kant»•9 • In tale veste, la materia non è astrazione, ma è un sostrato vivente, che funge addirittura da matrioe o da principio della forma, nella misura in cui - come Husserl stesso riconosoe - la sensibilità manifesta le «sue regole intellettuali della concordall7..a e della discordanza», proprio come uno «strato di ragione latente». È nell'innesto di tale problematica che si fa largo la questione della Wesensschau, che opera una generalizzazione di portata logica del momento figurale, rendendo esplicito come in ciò si annidi un problema di estetica trasoendentale che prelude a una neoessaria riformulazione dello schematismo, non più conoepito in chiave kantiana. La scoperta husserliana secondo cui tali forme sensibili sono per l'appunto intuite e non meramente pensate o frutto di una costruzione intellettuale mette in luoe la pregnan7..a strutturale di un determinato rilievo intuitivo. Lo sviluppo teorico di tale problematica si traduoe direttamente nel procedimento dell'intuizione eidetica, e dunque nella realizzazione di un empirismo eidetico, che però non colloca la fenomenologia

49. E. Melandri, La linea e il circolo. studio logico-filosofico sull'anolo(!ja, cit., p. 589.

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husserliana sul piano del ben noto realismo fenomenologico, poiché in questo il principio della correlatività tra intenzionalità e oggetto, tra le strutture eidetiche delle oggettualità intenzionali e quelle delle esperienze vissute in cui esse giungono a datità, era assunto in maniera alquanto statica. Viceversa, il momento descrittivo dell'essenza, dell'eidos, in virtù del momento figurale che lo rende intuitivamente dato, è l'espressione o, se si vuole, il precipitato, di una dinamica operativa che ha nel Wesen il proprio contrassegno. Con notevole profondità Melandri sottolinea come il Wesen sia un concetto operativo, per cui «I'essew~ non è una rappresentazione statica, ma un complesso dinamico di relazioni. Essa si potrebbe definire come l'operazione attraverso cui il dato empirico viene pensato come oggetto sub specie universalis, owero sussunto al concetto»50• Tenendo saldi i fili che legano intenzionalità e trascendentale, Melandri riconosce nell'analisi intenzionale il metodo di esplicitare l'operatività implicita in ogni conoscere o forma d'esperienza. Tuttavia, poiché tale funzione operativa è per lo più anonima, passiva e inconsapevole, ecco che occorre temati7..zarla, owero esplicitare il senso del trascendentale nella sua operatività recondita. A partire da qui, anche il W esen può essere inteso come «filo conduttore trascendentale per ogni analisi fenomenologica dell'esperienza», senza togliere però che tale procedimento abbia nell' eidos il «momento descrittivo dell'essenza, la quasi-oggettività della sua dinamica e fungente struttura relazionale»s1. Pertanto, l'analisi intenzionale ha il compito di tematizzare i processi costitutivi di ordine trascendentale in genere latenti, che solo la riduzione fa emergere come presupposti non ancora esperiti dell'atteggiamento naturale, e cioè della nostra stessa esperienza, riconoscendoli compiutamente nel loro statuto trascendentale. ~ -E. Melandri, Logica e esperienza in Husserl, ctt., p. :51.

51. lvi, p. :SS.

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Quale vero e proprio organon della fenomenologia, il metodo dell'intuizione eidetica si compone di tre momenti: formalizzazione, variazione e scoperta di un'unità a carattere semiintuitivo, tale da attraversare la serie delle variazioni introdotte in qualità di «struttura invariante» o «forma necessaria,,S2. Nel formalizzare in maniera astraente si libera l'universale immanente a ciò che è dato in maniera empirica, rendendo l'individuale una sorta di apeiron, mentre con la variazione si opera una trasformazione di ogni oggetto reale in una molteplicità infinita di oggetti possibili. Da ultimo, la serie di forme originate dalla libera variazione si scopre attraversata da un'intrinseca unità strutturale che traduce in evidew.a intuitiva le proprietà omogeneizzatrici e schematiche di tale momento figurale. I.:eidos è dunque la resa figurativa di uno stato di cose, tale però da includere la regola di formazione delle variazioni ottenute, essendone cioè in tal senso la «matrice teleologica,,53• Come tale, l'eidos è dunque l'unità di possibilità che co-appartengono a una determinata cerchia di fenomeni singoli. Per questo, la visione fenomenologica non rappresenta un esperire in senso ingenuo, ma un'esperien7.a che si rivolge ali'esperienza, e che rende la regola esperienziale oggetto di un'esperienza qualificabile come trascendentale. L'intuizione d'essew.a non fornisce quindi una necessità assoluta, ma coglie una forma di generalità del dato, ricavabile dalle sue particolarità. Su queste basi, l'a priori fenomenologico mostra i tratti di un'evidenza estetica, che rende visibili nella realtà i significati che restano per lo più celati nell'ingenuo atteggiamento naturale. Ciò vuol dire che per Melandri non solo «le idee si vedono»54, ma anche la dottrina dello schematismo

52. lvi, p. 56. 53. lvi, p. 57. 54. lvi, p. 54.

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inizia con ciò ad assumere contorni più definiti e riffessi assai meno kantiani.

6. Con il tema dell'apprensione intuitiva del molteplice e la scoperta dei momenti figurali giungono a delinearsi, in termini melandriani, le peculiarità dell'estetica fenomenologica, che rimanda costantemente a un alone d'indeterminatez:r..a, esemplarmente rappresentato dalla nozione d'infinito. Al riguardo, Melandri ha sviluppato, infatti, una riflessione assai incisiva per ovviare al tenore aporetico delle interpretazioni che da sempre si sono confrontate sulla natura dell'infinito e della sua discussa datità. Al centro di tale questione di estetica trascendentale c'è l'urgen7.a di chiedersi cosa significhi dato e quale sia l'estensione del concetto di datità e dei relativi modi, poiché il campo della fenomenologia trascendentale che Melandri definisce anche «fenomenologia della fenomenologia» - non riguarda l'oggetto in quanto tale, ma appunto i suoi modi di datitàS.S. La declinazione trascendentale della fenomenologia non è il frutto di un'improvvisa conversione, ma è sistematicamente connesso al senso di una problematica delineata da Husserl fin dal 1898. Il concetto di datità presenta, infatti, un rimando intrinseco alla fonte soggettiva dell'esperienza, per cui ogni ricerca esteticamente orientata in senso fenomenologico riguarda il modo in cui il dato si manifesta alla soggettività. In tal senso, per la fenomenologia l'interesse prevalente attiene alle diverse «modalizzazioni del dato originario» e alle sue «connotazioni differenziali»56, cosicché diviene determinante per la fenomenologia trovare le categorie che assolvano al compito di descrivere i modi indiretti o inattuali di datità. Su questo piano, il fatto che non si dia

5:5. e&. 1v1, p. 68. 56. Ibidem.

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un' ,69 e di esplicitare le sintesi passive da cui scaturiscono le operazioni intellettuali sovraordinate. La «funzione mediatrice» dello schema si scopre, dunque, improvvisamente «reversibile», owero «transitiva nei due sensi», cosicché lo schema non è più-come nella versione dimidiata di Kant-la 68. E. Melandri, Log)ca e esperienza in Hus.serl, cit., p. 72. 69. lvi, p. 131.

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«condizione formale della sensibilità» che consente di pensare i dati tramite l'applicabilità delle categorie, ma è in parallelo anche la «condizione materiale della pensabilità», restituendo cos1 alla gnoseologia fenomenologica il suo incedere dal basso70. Nell'approfondire l'identità del momento figurale si giunge quindi a cogliere come l'inereD7..a tra analitica ed estetica ritrovi la sua simmetria, nel segno di quello schema correlativo che emerge per riflessione dall'esperiem:a stessa, stabilendone la proprietà più strutturale. Venuto meno il mito della sensazione e della materia come alcunché privo di relazioni e di forme, attraverso la pregna117..a figurale Melandri tematizza l'operatività recondita che smaschera il «falso dualismo antitetico di empirico e trascendentale»71 , rendendo palese che la fenomenologia husserliana non ha semplicemente attuato una congiunzione tra gli argomenti del cogito cartesiano e i motivi del trascendentalismo kantiano. Con Husserl, l'analisi trascendentale cambia infatti registro e, nel caso esemplare costituito dal momento figurale, mostra come la sintesi tra sensibile e intelligibile si cristallizzi in una struttura invariante. Ciò consente a Melandri di ribadire che Kant non aveva affatto superato Hume, non avendone tra l'altro nemmeno colto il «problema». Questo rilievo comporta che, in chiave fenomenologica, la sintesi a priori «deve risolversi in intuizione eidetica, deve lasciarsi vedere e fondare esteticamente»72. Realiz:1..are quest'ambizioso programma voleva dire porsi di nuovo sulle orme di Hume, superando al contempo il limite di una mera sensibilità empirica attraverso il richiamo al carattere strutturale della sensazione che rende visibile come il «salto

70. e&. ivi, pp. 53 sgg. 71. lvi, p. 188. 72. lvi, p. 248.

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qualitativo sussistente tra impressions e ideas non costituisca più uno scandalo della ragione» 73.

7. Se nella sua fase iniziale l'opera di Enzo Melandri ha avuto per intero a che fare col pensiero di Husserl e con i risvolti teoretico-fondazionali della fenomenologia, per lungo tempo tali interessi sono sembrati inabissarsi o restare quantomeno sotto traccia. Dopo un lungo periodo dedicato allo studio del tema dell'analogia, come strumento di mediazione e principio di simmetria che regola i rapporti tra logica e dialettica, l'impulso per gli studi fenomenologici è però riaffiorato, disponendosi in una serie di molteplici direttrici di ricerca. Tra queste si segnalano le indagini che approfondiscono le tematiche della cosiddetta Scuola di Brentano, con particolare riguardo alla questione dell'evidenza nella sua accezione più dispiegata74, a quella dell'«oggetto inesistente» di stretta osservan7.a meinongiana75 e, più in generale, alle ricerche sul tempo, sul Husso temporale e la durata condotte dagli psicologi sperimentali della Scuola di Graz, nell'ambito della quale - con il concorso di una più rigorosa empiria e di una sperimentazione di nuovo tipo - si realizzò una dettagliata stratigrafia del processo di oggettivazione della conoscenza empirica, tesa a mostrare l'esistenza di un «momento figurale» distinto o comunque non facilmente esplicabile a partire dal continuo sensoriale1s. Contro il prevalere della psicologia associazionistica,

73. Ivi, p. 131.

74. e&. E. Melandri, Emozione, sentimento e conoscenza dal. punto di vista ferwmencl.ogjct>, in AA.W., La scuola di Brentano, suppi. 2 di «Topoi», Kluwer, Dordrecht 1988, pp. 93-116. 75. e&. E. Melandri, Alla ricerca dell'oggetto inesistente, cit. 76. Sugli aspetti più propriamente fenomenologici del tema della temporalità, si veda E. Melandri, Tempo etempornlità nell'orizzonte ferwmencl.ogjct>,

183 e in particolare contro l'assunto atomistioo e la presunta passività delle sensazioni77, l'indiriz7..o gestaltioo sviluppatosi a ridosso delle concezioni psioologiche di Brentano individuò infatti, nel rilievo figurale, la «forma immaterial,e che si dà a rioonoscere in se stessa oon un repentino stacco percettivo dalla sua materia»1s. L'investimento teorico melandriano riguardante la «teoria dell'oggetto» si proponeva di continuare a riJlettere sul contrasto tra due presupposti diametrali in ordine al problema della conoscen7_.a: da un lato, una fondazione ontologica dell'Erkenntnistheorie che procede dal «basso in alto»; dal!'altra l'idea di una sintesi funzionale dall'«alto in basso» che riduce l'oggetto a suo argomento. Nella oontrapposizione tra oggettività ontologica e oggettivazione categoriale si consumava per Melandri lo scarto tra un'ontologia rinnovata, che oontempla «oggetti di ordine superiore» fondati su altri preesistenti, e una lìlosofia di stampo trascendentale che risolve l'oggettività in argomento di una funzione sintetica sovraordinata, riducendone razionalmente la datità. Questo modo di radicalizzare la fondazione ontologica, che Melandri persegue sulla soorta di Brentano e Meinong, porta a stabilire che l'ontologia non va precostituita razionalmente. In altri termini, ali'opposto del punto di vista trascendentale, non si tratta di oggettivare il fenomeno inserendolo in un ordinamento razionale, né di farlo rientrare nell'intreccio categoriale disposto da una superiore funzione intellettuale che riduce il dato empirioo attraverso modifiche che lo rendono omogeneo all'intelletto. In tal senso, un'«ontologia» che voglia dirsi davvero «fondamentale»

In «Discipline &losoliche», I (1991), 2, pp. 255-288 (che è anche l'ultimo saggio pubblicato dall'autore). 11. C&. E. Melandri, Alla ricerca dell'oggetto inesistente, clt.; Id., Sulle proprietà percettivamente vuote ovvero prive lÙ qualitàfigurali , clt. 78. E. Melandri, Le "Ricerche logiche" di Husserl. lntroduzione e commento a1Ja prima ricerca, il Mulino, Bologna 1990, p. 31.

184 non deve inventare nuove categorie, poiché queste non fanno che formalizzare, dal di fuori, sempre lo stesso rapporto di estrinsecità ali'essere. Insieme a questi interessi più apertamente fenomenologici, che Melandri tendeva a rubricare sotto il titolo di «fenomenologia dell'oggettività», vanno anche ricompresi i lavori rivolti al metodo delle scienze sociali, all'universo di discorso designato come «pragmatologia» e all'analisi del rapporto tra comprensione, verità e significato in comparti del sapere non inclini al naturalismo79 - studi critici che nel complesso appartengono a una sorta di esercizio fenomenologico a spettro ampio o di fenomenologia applicata. Un ,(l',uriick zu Husserl» si registra invece nell'ultima monografia di Melandri, scaturita come commento alla Prima delle sei Ricerche logiche, owero a quella che ha per tema il rapporto tra pensiero e linguaggio e la chiarificazione fenomenologica della natura del significato. A prescindere dal legame con tale ricerca husserliana, il volume di Melandri non si limita a fornirne un commento piano, ma propone una sinossi delle tesi che qualificano l'idea di logica pura avanzata nei Prolegomena, sfruttando la formula dei «quattro autori di» (Bolzano, Lot7..e, Frege e Brentano) per analizzare il milieu in cui la fenomenologia si è venuta formando e dal quale Husserl ha tratto spunti significativi. Prima di entrare nel merito di una questione di ordine linguistico, Melandri esamina come Husserl - per sottrarre il proprio radicalismo logico alle secche del relativismo e dell'assolutismo fregeano - rinunci a tematizzare la logica tramite il linguaggio o l'assetto normativo della morale, ma si serva a tale scopo della tematica psicologica, trascurando l'aspetto della formali7..zazione, e dunque l'istituzione di un rapporto stretto tra cal-

79. e&. E. Melandri, Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali, cit.

185 colo e significato, ancorché Husserl fosse consapevole che al concetto di logica inerisce quello del linguaggio in cui poterla esprimere, e cioè delle espressioni linguistiche che formano un'unità fenomenologica con i concreti vissuti psichici (nella loro funzione d'«intenzione significante» e di «riempimento di significato»). L'impostazione dell'indagine melandriana porta innanzitutto a chiedersi se via sia in Husserl una filosofia linguistica. Per molti filosofi (Descartes, Berkeley o Kant, tra gli altri) è lecito assumere che essi non abbiano una filosofia del linguaggio, nemmeno implicita, poiché tali autori sembrano presumere un'identità tra pensiero ed espressione linguistica, che forse di fatto non è mai perfetta ma che - date certe condizioni può essere portata al limite di una completa intesa. Laddove pensiero ed espressione fanno tutt'uno o con qualche accorgimento potrebbero farlo, non sembra emergere un problema di linguaggio. Questo può scaturire solo se diventa tematica l'opacità del medium, che è il linguaggio stesso, e ciò dipende a sua volta dal fatto che il presupposto della trasparew.a nell'espressione risulti non solo in qualche caso, ma per principio inaffidabile. Il sospetto che la lingua medi, ma in maniera sovradeterminata, si diffonde nella filosofia moderna e contemporanea fino a tradursi nella tesi opposta, riguardante l'opacità del medio sia linguistico sia coscienziale. Nel caso di Husserl, egli non si attiene, in linea di principio, al presupposto della trasparew.a della cosciew.a a sé medesima, giacché la continua rimozione dei «complessi operativi inconsci» che «limitano la funzione integratrice della totale presa di coscienza fa della fenomenologia una specie di "psicoanalisi" trascendentale [ .. .] in grado di risolvere il conflitto tra "spirito" e "materia" in modo che la completa accettazione del proprio condiziona-

186 mento naturale non si risolva in abdicazione morale»80 • Nella fenomenologia husserliana c'è dunque un inconscio, anche se non di natura freudiana, per cui la mancata trasparen7..a della coscienza a se stessa, o dell'autocoscien7.a, implica un venir meno della trasparen7..a del pensiero e dell'intenzione significante nelle forme dell'espressione linguistica. Ma a parte ciò, il fatto che la fenomenologia o la logica pura non richiedano come condizione del loro esserci, secondo Husserl, l'apoditticità di un linguaggio opportunamente formalizzato, non significa che l'assen7..a di una filosofia del linguaggio di tipo dimostrativo - non importa se formalistica o costruttivistica - sia contrastiva alla presenza in Husserl di spunti che alludono, in maniera più o meno implicita, a una determinata teoria linguistica. Nella sua ricognizione, Melandri ricorda che per lo stesso Husserl è indispensabile, per poter parlare di logica, prender le mosse da considerazioni linguistiche, poiché è solo tramite il medio linguistico che si può parlare dell'intero significato proposizionale, oltre che di quello della singola parola. Una difficoltà si profila però nel fatto che, sotto il profilo teoretico, Husserl propende per una «logica del concetto», che contrasterebbe con il richiamo al primato della «semantica proposizionale». Al riguardo, una mediazione è però offerta dalla nozione di «categoria semantica», attraverso cui si affronta il problema del diverso modo di significare delle varie parti del discorso81 • Passando in rassegna la genesi del significato, che risiede in una «dimensione semiologica» anteriore rispetto ad ogni logica presupposta, Melandri sottolinea come il significato sia già di per sé multivalente, il che equivale a dire che il «significato del "significato" si dice in molti sensi e non tutti

80. E . Melandri, Logica e esperienza in Husserl, cit., p. 158. 81. e&. E. Melandri, Le "Ricerche 'logicheN di Husserl. Introduzione e cq,n,. mento alla prima ricerca, cit., pp. 147 sgg.

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equivalenti»82• Il senso più primitivo della nozione di significato è quella di designazione o, più specificatamente, di denotazione, ma non è difficile cogliere come esso si dibatta già in una sorta di circolo semantico. Nel regredire alla sua origine semiologica, Husserl richiama il fatto che ogni segno (7.eichen) è segno di qualcosa, sta per qualcosa, anche se non si può dire che ogni segno abbia un significato, ovvero un senso che per esso si esprime. Di qui l'esigen7..a husserliana di restringere la questione ai due casi estremi, e precisamente alle espressioni (Ausdriicke), in qualità di segni provvisti di significato, e ai segnali o indici (Anzeichen) come segni che - pur non avendo un significato - denotano in virtù di un rimando estemo83. Anche a questo livello, dove il significare non è una specie dell'esser segno, mentre all'inverso esser segno - anche solo come indice (o segnale) - costituisce già una sorta di significazione, Melandri sottolinea come non sia in questione per Husserl il discorso comunicativo, riguardante cioè la maggiore o minore resa della comunicazione stessa. D 'altronde, la concezione che Husserl ha dell'espressione mette in luce l'autonomia del significato rispetto ad ogni tipo di rimando, sia esterno sia interno (vale a dire come richiamo autoreferenziale). In fondo per Husserl le espressioni hanno una funzione significante anche nella vita psichica isolata, laddove non valgono più come segnali o indici dell'esisten7..a di atti psichici, poiché questi sono vissuti da noi nel medesimo istante in cui si usano parole nel discorso fonologico. Detto altrimenti, l'espressione è una formulazione di qualsiasi tipo con cui anche un io solitario obiettiva un certo significato tramite una combinazione o disposizione di segni significanti che rappresentano una semplice segnatura.

82. lvi, p. 156. 83. Ibidem.

188 Per Husserl, l'essen:za del significato dell'espressione non s'identifica, dunque, con la sua funzione informativa, per cui - come Melandri rileva in maniera puntuale - non vi sono «implicazioni comunicative» in una «teoria logica dell'espressione» che si piega ad ammettere la rilevan7..a del «solipsismo» riguardo ali' «esplicazione del significato»84 • Del resto, l'intento della semiotica fenomenologica di Husserl è manifesto nella sua linearità: si tratta di attuare una chiarificazione della logica regredendo agli atti psichici nei quali si danno i significati ideali distinti da essi. In ciò si appalesa, tra l'altro, una sorta di chiasma che qualifica la fenomenologia rispetto al realismo di senso comune, giacché per essa sono gli atti intenzionanti - come vissuti psichici dotati di un proprio senso noetico - ad essere considerati reali, mentre si accreditano come ideali gli oggetti che si danno in essi come individuati, dato il loro permanere identici nel significato. Husserl opera quindi una dissociazione tra il «significato puro dell'espressione» e ogni tipo di rimando che renda espressivo il «discorso comunicativo»ss. Attraverso tale astrazione, Husserl si attiene, in chiave logica, allo studio dei soli enunciati assertivi, nell'ambito dei quali il significato viene a configurarsi - nella sua invarian7..a o unità ideale - come qualcosa di puro, sottratto al variare approssimativo della comunicazione, che fonda la possibilità di dar luogo a un'intenzione idealmente identica. Il significato è dunque, per Husserl, il momento invariante che anima la coscien:za di chi pronuncia o ascolta una determinata espressione, e ciò a prescindere dalle funzioni che essa può assolvere in un contesto dialogico o monologico, nonché da quella serie di rimandi che ancorano il discorso comunicativo a un piano eminentemente espressivo. Con tale separazione dai risvolti comunicativi del linguaggio 84. Cfr. lvi, pp. 164 sgg.

85. lvi, p. 166.

189

e dall'alterità che manifesta nei confronti dell'oggetto e della relativa percezione, la sfera del significato rivela una natura meramente cognitiva - tipica del linguaggio assertorio - che in larga parte coincide con quella del pensiero, del concetto e dell'intenzionare vuoto, cosicché significare e pensare possono dirsi, dal punto di vista fenomenologico, termini del tutto equivalenti. Cosi come nel pensiero, infatti, ci rivolgiamo a oggetti, anche se in maniera ancora vuota o non intuitiva, la stessa cosa avviene nella sfera del significato, poiché è solo in virtù di esso che ci si può riferire a un oggetto, che lo si può intenzionare o intendere: vale a dire, è solo tramite il significato che accade di poter concepire un oggetto come qualcosa di determinato. L'irrilevan7.a dell'apporto comunicativo per le conclusioni che Husserl trae in ordine allo statuto della logica rimanda al legame che intercorre tra la fondazione della logica e lo sviluppo di una grammatica pura del signillcato, di cui Husserl traccia i lineamenti nella Quarta ricerca logica, ma soprattutto attesta che le diverse forme del significato, e dunque del pensiero, rappresentano il fondamento soggettivo e psicologico della logica stessa, senza però che tale approccio - come ripetutamente evidenziato da Melandri - rischi di compromettere il carattere di oggettività che essa rivendica con assoluto rigore. Nondimeno, anche sul piano dell'attività esegetica Melandri era abituato a pensare a "testa alta", per cui egli ambisce a insinuarsi in alcune indecisioni che Husserl stesso mostra trattando delle «espressioni fluttuanti» in relazione all'unità ideale del significato. Nell'ipotesi che Melandri cerca di sviluppare si tratta di approfondire, in chiave aporetica e in contrasto con la soluzione solipsistica o monologica che Husserl sembra privilegiare, se l'aspetto comunicativo non sia essenziale per definire la problematica del significato (per quanto ristretta alla sua valenza gnoseologica), e se non lo sia al contempo per ampliare la portata di una logica idealmente pura, che si vuo-

190 le solo dotata di un linguaggio direttamente assertivo. Nello svolgimento della Prima ricerca, Husserl sembra quasi imbattersi, in maniera fortuita, in un tema che non ha rilevanza per il linguaggio cosiddetto logico, ma che è centrale per la comunicazione linguistica: owero il problema del fluttuare del significato delle parole e dell'idealità che spetta invece all'unità di significato. In qualità di veicolo delle espressioni, le parole possono avere un significato obbiettivo, come nel caso dei nomi dotati di un riferimento per così dire rigido, ma vi sono anche parti del discorso che hanno un significato oscillante in relazione al contesto di riferimento, che può essere interno o esterno al discorso stesso. A fronte di «espressioni per eccellen7..a obbiettive» vi sono anche «espressioni occasionali» il cui significato dipende dalle circostanze, owero dalla situazione comunicativa in cui avviene l'atto illocutorio, ma che possono altresì dipendere da un uso ellittico, allusivo o impreciso. Esemplari, in tal senso, sono i termini deittici, che presentano ostensivamente il rimando ad altro. Husserl riconosce, al riguardo, che vi sono espressioni occasionali che possono risolversi in espressioni obbiettive, non mettendo in discussione, quindi, la convinzione riguardante l'idealità del significato, ma ve ne sono altre - «essenzialmente occasionali» - che non consentono di ovviare alla loro plurivocità, limitando cioè l'espressione a un solo significato86• Le espressioni essenzialmente occasionali sono quelle cui inerisce un gruppo concettualmente unitario di significati possibili, di modo che per tale espressione diviene essenziale orientare il proprio attuale significato in base ali'occasione, alla persona che parla e alla rispettiva situazione. Così facendo Husserl, malgré lui, è «costretto a riprendere in esame la funzione comunicativa del linguaggio»87, creando 86. Ivi, pp. 213 sgg. 87. Ivi, p. 218.

191

un evidente attrito tra la «finzione euristica» dell'«io solitario» e del conseguente solipsismo e un'«oggettività allargata del significato»88, che non vige solo da «strumento di obiettivazione dell'esperienza»89, ma ricopre anche funzioni comunicative, facendosi carico del significato fluttuante delle espressioni essenzialmente occasionali. In contrasto con l'univocità della logica, si apre l'opportunità di descrivere fenomenologicamente il campo di una dialettica tra pensiero e realtà demandata al linguaggio e ai suoi compiti di mediazione. La traccia sulla quale Melandri investe va quindi al di là, in modo certamente originale, dei più ristretti obiettivi perseguiti dalla Prima ricerca husserliana, in cui le osservazioni intorno alla funzione comunicativa del linguaggio assumono un aspetto periferico e per così dire tangenziale. Husserl sembra infatti limitarsi a sostenere che, solo nella misura in cui è in grado di assolvere alla primaria funzione rappresentativa, il linguaggio potrà poi assolvere anche a quella derivata di natura comunicativa. Da parte sua, Melandri-richiamandosi in primo luogo alla Sprachtheorie di Karl Buhler e alla sua teoria linguistica riguardante l'anafora, nonché alla distinzione operata da Hjemslev tra paradigma e sintagma00 - inverte la prospettiva dell'intera problematica. Anche un termine fluttuante può giungere a una fissazione del significato che ne stabilisca conclusivamente l'identità, ma ciò può avvenire solo in funzione di un procedimento sintagmatico, e cioè in un processo che esprime l'esito totali7.7.ante «dell'intera successione dei paradigmi di base»91 • Con l'inclusione del problema fenomenologico della temporalità nella dimensione dell'atto comunicativo anche Husserl sembra cogliere, dietro a un ampliamento della

88. Ivi, p. 221. 89. lvi, p. 222. 90. e&. lvi, pp. 219 sgg,

91. lvi, p. 220.

192 nozione di significato alle espressioni fluttuanti, «l'intera potenzialità espressiva della lingua», di cui la logica sarebbe in fondo solo un linguaggio parziale92. Tuttavia, nel programma della Prima ricerca logica la nozione di sintagma - che sarà consapevolmente approfondita in Formal,e und transzendenta/,e Logik - ha ancora la connotazione di «variazione inessenziale del più inamovibile paradigma,>93. Viceversa, nella prospettiva delineata da Melandri, ,,il significato riafferma la propria identità anche in un contesto sintagmatico, nel quale può a certe condizioni essere evidenziato in un senso paradigmatico e anticipato in quanto unità ideale»94 • Affrancare il linguaggio da ogni limitazione gnoseologica comporterebbe, in base alle assunzioni per nulla "inconcludenti" di Melandri, portare a oompimento una dottrina della natura sintagmatica del significato, in cui tale sintagma non può mai acquietarsi e trovare «oompleta attualiZ7..azione» nel «corrispondente paradigma»95• D'altronde, lo stesso richiamo all'«idealità» del significato è la spia di un indebolimento del contrasto tra la «fluttuazione dell'espressione e l'unità prefissata del significato»96, per cui operare tale conversione sintagmatica consentirebbe di rendere esplicito ciò che ancora trattenuto in una specie di latenza, liberando l'immagine di Husserl da una presunta aderenza al platonismo e dai rischi di un solipsismo che per alcuni si sarebbe ulteriormente gravato di requisiti trascendentali.

92. Cfr. ivi, p. 221. 93. Ivi, p. 222. 94. Ivi, p. 221. 95. lvi, p. 223.

96.lbidem.

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La fenomenologia sperimentale di Paolo Bozzi di Roberta Lanfredini

Non cercare niente dietro i fenomeni: essi stessi sono la teoria. (Paolo Bozzi)

1. Premessa Paolo Bozzi (Gorizia 1930- Bol7..ano 2003), allevo di Gaetano Kanit7.sa e di CesaTe Musatti, ha contribuito a sviluppaTe la tradizione della Gestaltpsychologie (in particolaTe quella della scuola di Graz di Alexius Meinong e, in Italia, di Vittorio Benussi) e la tradizione fenomenologica mitteleuropea. Queste due tradizioni vengono interpretate da Paolo Bozzi in senso sperimentale, con un atteggiamento che si ispira alla cosiddetta scuola di Berlino, quella di Wolfgang Ktjhler e Max Wertheimer, ma anche a Emst Mach, Charles Peirce, Cari Stumpf, William James e Ludwig Wittgenstein. È lo stesso Bozzi a definire la sua prospettiva come una "fenomenologia sperimentale". L'esperimento, che secondo Piana può apparire come un apparato dentro il più ampio apparato della scien7.a, «una sorta di maTchingegno interno ad un maTchingegno

194 più ampio» 1, si presenta inveoe come un modo per stabilire un contatto con l'esperienza, per saggiarla e metterla alla prova. In questo senso, anche il semplice osservare è uno sperimentare, in quanto «sguardo che fruga il reale come quello di un botanico», interrogazione nella quale è presente quella «gioia immediata di vedere e di comprendere» di cui parla Einstein facendo riferimento a Mach. «Nello sperimentare - continua Piana - c'è invenzione e immaginazione, c'è il progettare e il costruire, c'è meraviglia e passione; c'è soprattutto la tensione osservativa attraverso la quale dobbiamo talvolta accorgerci di ciò che abbiamo sempre veduto e di cui non ci siamo mai accorti,>2. In questo senso, tutto il lavoro di Bozzi può essere letto come una costante esplicitazione di che cosa significa percepire e osservare qualcosa.

2. La "stoffa" dell'osseroazwne A questo proposito si può facilissimamente respingere un'obiezione facilmente prevedibile, benché insulsa: "che cioè con l'idealità dello spazio e del tempo l'intero mondo sensibile verrebbe trasformato in pura parven7.a". Dacché, in questo modo, è stata distrutta ogni comprensione filosofica della natura della conoscew.a sensibile - avendo posto la sensibilità semplicemente in una specie di rappresentazione confusa, grazie alla quale tuttavia conosceremmo ancora le cose come sono, sen7.a peraltro aver la facoltà di portare tutto a chiara consapevole7:7.a in questa nostra rappresentazione [ ... ). Giacché io lascio la loro realtà alle cose che ci rappresentiamo mediante i sensi e limito soltanto la nostra intuizione sensibile di queste cose, dicendo che essi in se stessi non rappresentano

1. G. Piana, Intervento sul libro -Fisica ingenua" di Poow Bozzi, In http:// www.lìloso6a.unimi.it!piana/.

2. Ibidem.

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in nessuna parte, neppure nelle intuizioni pure di spazio e di tempo, qualcosa di più del semplice fenomeno di quelle cose ma la costituzione di esse così come sono in sé stessé'.

In questo noto passo dei Prolegomeni di Kant sono contenute due tesi che confluiranno poi nella fenomenologia di Husserl e che possono essere viste come l'avvio teorico della ricerca sperimentale di Paolo Bozzi•. Denomineremo la prima tesi del carattere non privativo del fenomeno. Secondo questa tesi, la nozione di fenomeno non può essere ricondotta a quella di parvenza (Schein), intesa come apparenza illusoria; qualcosa che si contrappone, in quanto parvenza appunto, alla realtà. Il fenomeno (Erscheinung), o manifestazione, gode di una piena effettività e positività che in alcun modo può essere ridotta, come una lunga tradizione fìlosofìca vorrebbe, a una dimensione oscura e ingannevole, mera ombra della realtà effettiva delle cose. Chiameremo la seconda tesi del carattere non concettuale della percezione. Ali'esperien7..a spetta di constatare ciò che si manifesta esattamente come si manifesta ed è fuorviante leggere il rapporto fra fenomeno e concetto, o fra apparire e pensare, nei termini di una differen7..a fra oscurità e chiarezza. Tale rapporto può essere infatti correttamente interpretato come una differen7..a di funzione e destinazione, oltre che di origine. Ciò significa riconoscere alla percezione come tale una sua struttura e dignità. E anche, come l'ontologia e la fisica del senso comune

3. I. Kant, Prolee.omeni ad ogni futura metafisica che possa presentarsi come scienza, La Scuola, Milano 2016, p. 111. 4. Del resto, è lo stesso Bo7.7.1 a ticonoscere come l'opera di Kant sia «costellata di analisi fenomenologiche finissime» (Dal noumeno ceroel1o ai fenomeni o dai fenomeni al noumeno cervello, in «Il problema mente-corpo. Atti del Convegno organiz:,.ato nell'ambito del tema per l'assegnazione del Premio Cortina - Padova 19-20 aptile 1991, Ulisse 1991», Cedam, Padova 1992, pp. 39-57; poi in P. Bo7.7.1, Un mondo sotto osservazwne. Scritti sul realismo, Mimesis, Milano 2007).

196 hanno tentato di mostrare molti anrù dopo Kant5, una sua stabilità, autonomia e non emendabilità6 • Sono queste caratteristiche che permettono alla percezione di diverùre oggetto di una disciplina a sé stante, che potremmo denominare fisica ingenua o, come preferiremmo dire, fisica fenomenologica. L'autonomia dell'osservazione rispetto alla dimensione concettuale nasce, in Bozzi, da un profondo confronto con l'empiriocriticismo di Ernst Mach; uno degli autori che maggiormente lo hanno influenzato. Il nucleo forte del pensiero di Mach prevede due componenti nella costituzione dei fatti: a) gli osservabili allo stato puro (elementi, sensazioni) e b) le integrazioni concettuali, che da tale materia immediatamente data si applicano. Nel discorso scientifico già paradigmatiz7.ato i due componenti sono sempre compresenti e non separabili (i "fatti", tra i quali i corpi summenzionati - i corpi come li pensa il fisico); nel discorso psicologico ed epistemologico i due componenti sono tenuti distinti, e l'attenzione teoretica è rivolta con cura particolare al primo di essi, che diventa come tale, e liberato dalle integrazioni concettuali, oggetto di analisi scientifìca7•

L'idea di Mach, stando alla quale l'esperienza cresce per adattamento progressivo delle idee ai fattis, viene fatta propria da Bozzi senza riserve. Esistono infatti, per Bozzi come per Mach

:S. SI veda, ad esempio B. Smlth, The Structures of Common-Sense Worid, in «Acta Philosophica Fennica,., Voi. 58, 1995, pp. 290-317 e, per quanto riguarda Bor.7.i, P. Bo77.i, Fisica Ingenua. Studi cu psiccl.ogia della percezione, Gal7.llllti, Milano 1990e Id., Experimentain visu.Rkerchesullapercezione, Guertnl e Associati, Milano 1993. 6. M. Ferrarts, Manifeste delnuooo realismo, Laterni, Roma-Bari 2012. 7. P. BoT.ll, Mach e I fatti, In «Nuova civiltà delle macchine», VIII, 1 (29), 1990, pp. 49-54; poi In Id., Un mondo sotto osservazione. Scritti sul reali-

smo, cit., p. 31. 8. E. Mach, Ccnwscenza ed errore, Mimesis, Milano 2017. Si veda anche, su questo punto, l'IntrodU7.lone di P. Panini, In particolare le pp. 29 sgg.

197 (e per Husserl) osservabili puri (oolori, suoni, spazi, tempi) evidenti, stabili, indipendenti, non condizionati da istanze teoriche, categorie, schemi concettuali, ipotesi antecedenti. Nel trattare l'integrazione concettuale esercitata sulla sensazione Bozzi, riprendendo Mach, parla di un adattamento delle rappresentazioni ai fatti senza mai prendere in considerazione il caso inverso, cioè quello di una «trasformazione delle sensazioni o degli elementi o delle strutture osservabili sotto l'azione di rappresentazioni o di integrazioni concettuali più o meno ben organizzate»9. La teoria, quindi, non agisce sugli osservabili. Il motivo risiede nel fatto che, contrariamente a quanto sostenuto dai teorici del carattere theory laden dell'osservazione, il piano dell'osservabile non è amorfo e indifferenziato ma ha una struttura autonoma e ben stabile. Nessuno può ingannarsi sull'azzurro del cielo, anche quando la mente sia attraversata da perplessità lìsicalistiche: questo campo totale omogeneamente colorato è (verrebbe quasi da dire) di una insuperabile attendibilità10 •

3. Stabilità e differenziazione sufficiente La pureZ7.a del dato non deve essere confusa con la sua semplicità. La ooncezione che Bozzi ha del dato osservabile riflette, oon buona probabilità inconsapevolmente, quella che nella fenomenologia di Husserl è la riduzione eidetica applicata al "materiale sensibile".

9. P. Bor.r.i, Mach e i fatti, cit., p . 35. 10. P. Bor.r.i, .Ale.tius Meinong: attualità ed errorifecoom di una distinzione fra ordine inferiore e ordine superiore degli oggetti, In «Rivista di psicologia», Nuova serie, LXXVII (1), 1992, pp. 3:5-48; poi In Id., Un monilo sotto osseroaztone, clt., p. 126.

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La proposta che Husserl sviluppa sulla base della critica alla concezione empirista dell'astrazione si fonda infatti sulla constatazione che per parlare di dato, o di similarità fra i dati, è necessario presupporre un processo ideativo sottostante11. Per Husserl ciò che è fenomenologicamente rilevante non è il fatto, inteso come hic et nunc, ma il dato, inteso come il campo di variazione eidetica di un individuale. Sen7..a essere sottoposto a riduzione eidetica, fenomenologicamente intesa come unificazione della possibilità delle sue variazioni, il dato non potrebbe essere discriminato, quindi inteso. L'atteggiamento sperimentale di Bozzi conferma pienamente l'ipotesi husserliana stando alla quale il fenomeno è segnato da confini che Husserl definisce eidetici e che qui divengono "operazionalmente fissabili", cioè determinabili. La determinazione, che corrisponde all'idea fenomenologica di confine eidetico (il confine, cioè, oltrepassato il quale una nota o qualità sensibile si trasforma in una nota o qualità distinta), è qui riconducibile allasoglia differenziale. Il significato del termine "sensazione" oscilla tra due poli: da una parte il "minimum visibile", dall'altra il campione omogeneo. Una sensazione di rosso può essere intesa oome un punto piccolo di quel colore tra gli albi minuscoli punti variamente colorati [.. .] e un campione, nel senso in cui si dice "campione di stoffa"; una pomone di sensazioni simili tali da poter essere esplorate come una superficie omogenea. Lo "stimolo" della psicofisica è pensato come un continuo di valori operazionalmente fissabili (intensità di una luce, pure7.7.a di un colore, alte= di un suono, fon.a di una pressione) e

11. Il che non signilìca tuttavia aderire, è importante sottolinearlo, né a una ipostatizzozùme metafisica dell'essen7.a, secondo la quale la specie gode di una esisten1.a reale fuori dal pensiero, né a una ìpostanzzozùnle psicologica dell'essen7.a,secondo la quale la specie gode di unaesisten1.a reale nel pensiero. Si veda, per una presa di dlstan1.a da entrambe le pos17.ionl, E. Husserl, Ricen:he lo{!}che, Il Saggiatore, Milano 2005 (in particolare la Se.conda ricerca logica).

199 posto in relazione biunivoca con la sua sensazione, la quale non varia col suo variare entro un certo ambito di valori, ma appare in trasformazione non appena si oltrepassi operazionalmente quell'ambito12•

La traduzione sperimentale della riduzione eidetica sta quindi nella congiunzione del principio di stabilità e di differenziazione sufficiente. Sono questi principi che ci permettono di dire che «un colore, visto sotto certe defirùte variazioni di illuminazione, non varia percettivamente»J3 o di identificare «un impasto sonoro timbricamente ricco ma percettivamente omogeneo»14 come una «quarta armonica». Stabilità e differenziazione sufficiente garantiscono, nella percezione, identità e omogeneità, esattamente come in Husserl la riduzione eidetica.

Oltre alle soglie differenziali si collocano le soglie assolute, intese come il confine estremo della sensibilità, «di là del quale non c'è più esperienza sensoriale in atto, ma solo possibilità di firùssime misuraziorù fisiche, e dove forse esiste lo psichico subliminale»15• Anche in questo caso, Bozzi propone una traduzione sperimentale dell'ontologia regionale di Husserl: la soglia assoluta può esser vista conispondere, infatti, a ciò che è extra-regionale, cioè a ciò che non è più immediatamente percepibile. La differenza fra soglia differenziale e assoluta pennette una lettura fenomenologica della relazione fra cosa percepita (o intuita) e cosa della fisica. Per Bozzi, come per Mach e per Husserl, il fisico conisponde a ciò che non è percepibile, in quanto svuotato di contenuto intuitivo. La cosa della fisica è un caso limite, non una motivazione nascosta, di per sé inaccessibile, di ciò che è percepito. 12. P. Bozzi, Mach e i fatti , clt., pp. 28-29. 13. lvi, p. 34.

14. lvi, p. 35. 15. lvi, p. 29.

200 Ancora una volta è Husserl a offrire, anche se non esplicitamente, il quadro teorico alla pratica sperimentale di Bozzi. Per Husserl infatti l'identità dell'oggetto dipende dal legame motivazionale fra apparenza originaria e apparenze successive: in questo senso, ciò che attualmente si dà motiva le ulteriori apparbioni della cosa, da quelle sensibili (il lato non visto della cosa) fino a quelle più astratte e concettuali, sancendo una sintesi o integrazione fra le apparenze. Il poter essere esperita non allude a una vuota possibilità logica, ma a una possibilità motivata dalla connessione dell'esperienza. Questa è un'intera concatenazione di motivazioni che integra continuamente in sé nuove motivazioni e trasforma quelle già formate 16•

4. L'errore dello stirrwÙ> La netta critica che Bozzi rivolge alla psicofisica ricalca esattamente la distinzione husserliana fra causalità e motivazione. La tesi principale della psicofisica, la cosiddetta ipotesi della costanza, stando alla quale «le sensazioni sono funzione degli stimoli, e dunque nessuna variazione degli stimoli, nessuna variazione della sensazione; a stimoli uguali sensazioni uguali»17 ha, com'è facile intuire, innumerevoli falsificatori potenziali, una «popolazione di mostri»•s che occorre tenere a bada ricorrendo a ipotesi ad hoc. Basti pensare a tutti quei 16. E. Husserl, Idee per una fenomenolofja pura e per una filosofia feno-

menologica, Voi. I, Einaudi, Torino 2002, p. 117. In questo senso sembra quindi lecito contrappone il nesso genetico-motivvionale al nesso causale: -è quindi contraddittorio connettere causalmente le cose dei sensi e quelle della lìsica,, (ivi, p. 132). 17. P. Bozzi, Mach e i fatti, cit., p. 29. 18. Ivi, p. 30.

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casi di "illusione" in cui le proprietà del percepito non sono affatto riducibili alla proprietà degli stimoli. La vera a propria ossessione che i gestaltisti mostrano nei confronti del cosiddetto «errore dello stimolo»l9 sta per un awertimento o, più precisamente, per un comando: quello di non confondere le nostre conoscenze relative alle condizioni fisiche del!'esperienza sensoriale con l'esperien7.a sensoriale. Questo comando si manifesta, in Bozzi, in una riluttaw.a generale nei confronti della nozione di stimolo. Va aggiunto a ciò anche un certo fastidio per la parola "stimolo", che ancora oggi awerto a ogni piè sospinto, associata com'è a consigli medici come «cerchi di mangiare non appena sente lo stimolo», «questo sciroppo sopprime gli stimoli della tosse, non le cause»; o a certe pesantezze pedagogiche del tipo «occorre stimolarlo a fare, a scrivere, ecc>; fastidio che diventava insofferen7.a quando un collega [ ... ] ti dice frasi come: "quando il gatto vede gli stimoli" o "il soggetto, appena vede lo stimolo"»20•

La drastica soluzione di Bozzi è, a questo proposito, quella di credere (contrariamente a molti gestaltisti, fra i quali Kani7.sa)21 che «l'errore dello stimolo [ .. .] stia tutto nel fatto di credere che esistano stimoli»22.

19. Si veda la seguente affermazione di K!lhler riportata da Bom: «In psychology we have often been wamed against the stimulus error, I.e. against the dangerof confuslng ourknowledge about the physical conditlons of sensoiy experience with the experience as such» (P. Bom, Considerazìonì eccentriche sull'errore dello stimow, in «Giornale italiano di psicologia», XXY, 1998, pp. 239-252; poi In Id., Un mondo sott() osservazione, clt., p. 171). 20. lvi,pp.177-178. 21. Il quale, come ricorda lo stesso Bor.,;i, invitava a non commettere l'enore dello stimolo non tanto nel senso di credere che gli stimoli non esistono, bensl nel senso di non confondere fra «aspetti percettivi» e «aspetti della situazione oggettiva». 22. Ivi, p. 184.

202

L'atteggiamento deflazionistico nei confronti della nozione tradizionale di stimolo e l'ipotesi di una scienza degli osservabili fondata su basi epistemologicamente autonome ha due conseguen7..e teoriche, una critica e l'altra costruttiva. Cominciamo dalla prima. Essa risiede nel superamento, proprio a partire dall'"errore dello stimolo", di ogni ipotesi teorica che operi un'inferen7.a indebita dalla manifestazione, o dal!'osservabile, a ciò che ne sarebbe la causa nascosta. Sono quindi nel mirino della fenomenologia sperimentale di Bozzi sia le teorie causali della percezione sia l'ipotesi, di stampo riduzionistico, o addirittura eliminativistico, che considerano i meccanismi cerebrali condizione ineludibile, o base di riduzione, della percezione effettiva. Nei confronti di queste teorie, che manifestano un evidente pregiudizio lìsicalista, la posizione di Bozzi è facilmente identificabile come una forma di anti-riduzionismo radicale. L'esempio suggerito da Bozzi è quello dello schema S-1)23. Si tratta di uno schizzo che pone idealmente sulla sinistra tutto ciò che rientra nell'ambito del fisico, sorgente degli stimoli (onde elettromagnetiche, onde sonore, ecc.) e sulla destra il mondo dei fenomeni. Questo schema generale «trae origine dal!'esperienza di vedere di fronte a noi qualcosa e non dall'esperien7,a di guardare noi stessi qualcosa,µ. Tuttavia, come afferma Wittgenstein, «nulla nel campo visivo permette di concludere che esso è visto da un occhio»2S. Inoltre, e questa è l'obiezione principale che Bozzi rivolge a ogni teoria causale della percezione (e all'ipotesi della costanza), «in via del tutto teorica potremmo immaginare,

23. Si veda P. Bo77.1, Dal noumeno cervello iu fenomeno noumeno cervello, cit., p. 142.

o dm fenomeni al

24.lbidem. 25. Per la recezione di Wittgenstein da parte di Bo7.7.i si veda P. Bo7.7.i, Vedere ccme. Commenti ai §§1-29 delle ·osseroazwni sulla Filosofia dilla psicologia dì Wittgenstein•, Guerini e Associati, Milano 1998.

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senza contraddizione, due osservatori dotati di modi percettivi identici sotto ogni aspetto [ ... ] e però dotati di meccanismi sottostanti diversi» 26• Il risultato è la negazione della visione del cervello come noumeno, entità sottostante che determinerebbe in modo necessario il mondo dei fenomeni, riducendoli alla stregua di meri epifenomeni, o addirittura di illusioni, al pari del flogisto o delle streghe21. Delle due una, quindi: o il cervello viene trattato alla stregua di un fenomeno tra gli altri, e allora la teoria causale entra in crisi, oppure il cervello viene considerato alla stregua di un noumeno, ma in questo caso è l'intellegibilità della relazione fra esso e i fenomeni a risultare indecifrabile. Il cervello, per Bozzi (come per ogni fenomenologo) è semplicemente un fenomeno fra gli altri. Non uncervello-noumeno, quindi, ma un cervello-fenomeno. È owio che quel complicato pe7.7.o di materia che chiamiamo cervello è un fenomeno traglì altri, cioè-sottiglieZ7,e a parte - è un pe7.7.o di materia osservabile come la macchina di un orologio, il frutto di una pianta o un qualunque sistema fisico semplice o complesso [ ...]. Ma questo cervello, visibile in ogni scala digrandeZ7.a consentita dagli strumenti approntati dall'uomo, è muto alla domanda che concerne il suo rapporto con i fenomeni. L'osservazione del cervello fenomeno non conduce a quel mondo dei fenomeni che ci proponiamo di considerare come il frutto della sua attività: la relazione ipo-

26. lvi, p. 147. Un argomento, questo, molto simile a quello dell'inversione dei qualia proposto da N. Block in Troubles with Functionalism, in C. Savage (ed. by), Perception and Cognitwn. lssues in the Foundotìons of Psychowgy, in «Minnesota Studies In the Philosophy of Sclence», voi. IX, Universlty ofMlnnesota Press, Mlnneapolls 1978, pp. 261-325. 27. Si veda, su questo punto, P. Churchland, Eliminative Materialism and the ProposUìonalAttitucles, in «The Joumal ofPhilosophy», 78 (2) 1981, pp. 67-90 e Id., Reduction, Qualìa, andthe Dlrect lntrospectwnofBralnStates, in «The Joumal of Philosophy», 82 (1), 1985, pp. 8-28.

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tizzata tra questi e quello resta assolutamente nell'indeterminato e nell'inattingibile'-8.

L'unico dato certo, contro la teoria causale della percezione e a favore della descrizione fenomenologica, è la priorità e ineludibilità «dell'evento qualitativo immediatamente osservabile, in carne ed ossa,>29. Per quanto si assottigli l'interfaccia fra la dimensione dei quali a e quello che Kant nell'Opus Postumum chiama l'Erscheinung einer Erscheinung, inteso come trascrizione ideale dei fenomeni in vista dell'unificazione concettuale dell'esperienza (ad esempio un campo di forza in fisica), resterà sempre, nel passaggio dall'uno all'altro, quella «pausa di silenzio»30 tra ciò che è direttamente e immediatamente manifesto e ciò che è manifesto, sì, ma solo indirettamente. Il problema dei "qualia", o forse lo psudoproblema dei "qualia" e della loro inimmaginabile genesi, è comunque la spia di qualcosa che non funziona. E il guasto sta nel fatto che non si parte da là per arrivare qua, ma si parte da qua per andare Jà31 _

La domanda su come il colore rosso possa generarsi da un processo elettrochimico, o il suono da un processamento di informazioni nei circuiti neuronali è, per Bozzi, un autentico «passo falso»32, per il semplice fatto che non ci sarà mai modo di scrutare quello stesso "generarsi", di colmare quella "pausa di silenzio" che intercorre fra l'immediato e il mediato. Il vero passo, cioè il passo metodologicamente corretto, non è quello di proiettare il quantitativo nel qualitativo ma viceversa, «poi-

28. P. Bo7.7.1, Dal ncumeno ceroello al fenomeni o dal fenomeni al noumeoo ceroello, cit., p. 148. 29. lvi, p. 1:50. 30. Ivi, p. 151. 31. Ivi, p. 151. 32. Ibidem.

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ché in realtà ogni mossa del nostro gioco è sempre una proiezione del qualitativo nel quantitativo»33. Abbiamo però accennato anche a una conseguenza costruttiva della teoria bozziana del rapporto fra osservabile e stimolo. Questa consiste in un'interpretazione operazionista della nozione di stimolo, il suo configurarsi cioè come «fatto operazionalmente ricostruito,,.,._ Si tratta di un'ideache Bozzi riprende esplicitamente da Bridgman e che permette di fare un ulteriore passo nell'esplicitazione di quel nesso motivazionale che secondo Husserl sussiste fra ciò che si dà in modo immediato e diretto e ciò che si dà solo in modo mediato e indiretto, cioè fra fenomeno e cosa della lìsica. La lettura che Bozzi dà della motivazione è di tipo operazionale ed è questa lettura che gli permette di attenuare la tesi deflazionistica nei confronti dello stimolo e di parlare, più che di «errore dello stimolo», di «errore dell'immagine logica di uno stimolo,,:is, a indicare che forse non è tanto l'abolizione della nozione di stimolo a dover essere perseguita quanto una sua giusta interpretazione. Prendiamo, ad esempio, la famosa illusione di Muller-Lyer. I due segmenti, che si offrono alla percezione come inequivocabilmente diversi per quanto riguarda la loro lunghezza, risultano uguali se misurati. Non possiamo aprire una porta nel fenomenico per vedere le cose in realtà, e non possiamo sorprendere le cose nell'atto di farsi illusorie rispetto a un loro ipotetico stato reale:16.

L'unico modo di aggirare il problema è di interpretare tale "ipotetico stato reale" come un insieme di operazioni (in que-

33. lbidem.

34. lvi, p. 150. 35. P. Bo7.7.I, Considerazioni eccentriche sull'errore dello stimolo, cit., p. 181.

36. lvi, p. 186.

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sto caso di misurazione37) su osservabili. Questa scelta, secondo la quale «lo stimolo è un cattivo riassunto per buone operazioni»38, ha il merito di mantenere l'analisi all'interno del regno dell'osservabile, evitando l'ipostatiZ7.azione di misteriose entità collocate al di là di quel regno: «durante l'operazione di misura non siamo mai usciti dal campo degli osservabili in presa diretta»39. Al tempo stesso, essa ha il merito di dare un senso legittimo a nozioni come "stimolo", "inosservabile", "illusione", "apparente" che, se non fossero così interpretate, rimarrebbero semplici «Ratus vocis»"°.

5. Realismo empirico La critica che Bozzi rivolge alla nozione di stimolo solleva, su un piano più generale, la questione dell'oggettivismo e del realismo. Le possibili obiezioni ali'errore dello stimolo non riescono ancora a risolvere, infatti, uno dei principali problemi sollevati dal concetto di osservabile e cioè la sua privatezz,a. La tradizionale distinzione fra osservazione e protocollo (comportamento inter-osservabile, misurabile, descrivibile) è stata storicamente proposta per arginare il problema del carattere privato dell'osservazione, nel tentativo di offrire una controfigura oggettiva di quello che i fìlosofì della mente chiamano tesi dell'accesso privilegiato, o carattere "in prima persona" dell'osservazione, racchiusa nel motto «a nessuno consta il

37. Aggiunge Bo7.zi, in modo opportuno: «trascurando ogni problema concernente la non contra7.ione o espansione del righello durante ti traspono» (ivi, p. 186).

38. lvi, p. 184. 39. lvi, p. 187. 40. lvi, p. 187.

207 constatare altrui»41 • Consideriamo, a questo proposito, due personaggi, li chiameremo Rino e Quirino, e immaginiamoli discutere «del loro modo di percepire il rosso in campo blu. O un accordo di tonica dopo una settima diminuita»◄z. Il solipsista sa con certe7.7,a che per quanto essi discutano, a Rino non constaterà mai il modo di apparire di una coppia di colori o un grappolo di suoni a Quirino, né a Quirino le rispettive sensazioni di Rino, poiché per definizione non c'è alcun modo percettivo privato a disposizione dell'uno o dell'altro.c.1.

Alla tesi del carattere privato dell'osservazione (o dell'accesso privilegiato), dalla quale discendono la maggior parte dei problemi relativi ai qual,ia, Bozzi propone da un lato la tesi del carattere non ineffabile, pubblico, indipendente dalla concettualiZ7..azione (compresa quella basilare espressa dai protocolli) del dato e dall'altro la negazione della tesi del carattere oggettivo e neutrale dei protocolli. Quando affermiamo uvedo un cerchio" stiamo parlando di qualcosa di indipendente da affermazioni come uluogo di tutti i punti equidistanti da un punto dato". L'osservazione, lo abbiamo detto, ha una usolidità" e una struttura ed è su questa che si fonda l'intesa, quindi il linguaggio, non viceversa. Gli eventi percettivi non sono «ornamenti solipsisticamente distribuiti nei mondi privati del!'osservatore e dello sperimentatore ali'opera»'"; al contrario, «è

41. P. Bo7.7.I, Su alcune aporie e alcuni paralogismi che stanno alla base delle ron-enti teQrie psicologiche della percezwne, In «Atti del Congresso: Nuovi problemi della logica e della filosofia della scie117.a, Viareggio, 8-13 gennaio 1990», Clueb, Bologna 1991, pp. 49-54; poi in Id., Un modo sotto osservazione, cit., p. 43.

42. Ibidem. 43. Ibidem. 44. P. Bo7.7.i, Sulle descrizioni degli eventi percettivi sotto osseroozwne, in

«Intersezioni», XI, (1), 1991, pp. 75-85; poi in Id., Un mondo sotto osservazione, cit., p. 51.

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la microstruttura degli oggetti osseivati che si impossessa della parola»45; sono gli osseivabili che si "attaccano" alle etichette. D'altro canto, i protocolli dei soggetti sperimentali non sono affatto inappellabili. Contra Wittgenstein Il mondo percettivo, con le sue peculiarità constatabili, con il suo campionario di componimenti discernibili e in più modi indicabili è di dominio comune, è radicalmente intersoggettivo, costituisce un punto saldo esterno agli osservatori; mentre gli universi linguistici in cui gli osservatori si muovono possono all'inizio essere molto "privati", idiosincratici-16.

Quello proposto da Bozzi è un realismo empirico (e non metafisico)"7 che intende superare due tipi di a priori.ii: il primo è un modello intellettualistico, stando al quale sono le attività soggettive superiori {memoria, giudizio, attenzione, ecc.) a costituire la concreta situazione osseivativa; il secondo è un modello fisiologico, stando al quale è l'attività neivosa dell'organismo a essere prioritaria rispetto a quanto è osseivabile. Entrambi gli atteggiamenti, allontanandosi da ciò che si manifesta, devono essere, per Bozzi, "disinnescati". Parlare di soggettività in riferimento all'osseivazione può significare due cose, entrambe contenute nell'espressione berkeleyana "Esse estpercepi". Stando alla prima, più forte, l'esse

45. lvi, p. 54. 46. lvi, p. 58.

47. Bo7.7.i usa spesso il tennine "esterno" (e&. ivi, p. 58), ma riguardo a questesso attribuisce a Mach. 48. L'espressione "a priori" è usata esplicitamente da Bo7.7.1, ad esempio In Id., Considerazioni inattualifra io e non io, in «Rivista di psioologia», Nuova serie, LXXVI, 1-2, pp. 19-33; poi in Id., Un mondo sotto osseroazione, cit, sto uso si potrebbe attribuirgli la stessa ambiguità che egli

p.68.

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è contenuto nel percepì. Stando alla seconda interpretazione, più debole, l'esse è dipendente dal percepì: gli oggetti e

le loro proprietà rimandano essenzialmente a percezioni, ma non sono in esse contenuti. Ora, delle due interpretazioni la prima è senz'altro rifiutata da Bozzi («il rosso - egli afferma - non è interno alla mia mente»~9), così come era stata esplicitamente rifiutata da Husserl, proprio in riferimento a Berkeleyso. Rifiutare la prima tesi non significa tuttavia, per Bozzi come per Husserl, rifiutare anche la seconda. Infatti «l'oggetto va guardato com'è, ed esso è come sembra. Nell'osservazione fenomenologica éè una perfetta coinciden7..a fra "esse" e "percepi",,s,_ L'oggettività-soggettiva (la trascendew..a-immanente di cui parla Husserl), anche se inevitabilmente legata agli atti della percezione, non perderà per questo niente della sua potenza d'attrito. Al contrario, essa ha il potere di imporsi, soddisfacendo così al requisito della fantomatica "cosa in sé": «il mondo osservabile non è affatto un'apparew..a» e «tutte le cose sono ben oggettive, visibilmente e palpabilmente oggettive, indipendenti dai conati solipsistici degli osservatori e raggiungibili da chi le osserva,,s2_ Quello di Bozzi non è un soggettivismo, in quanto i fenomeni non sono affatto contenuti negli atti percettivi. Ma non è nemmeno un realismo metafisico, in quanto i fenomeni non sono 49. P. Bo7.7.I, Parlare di ciò che si vede, In «Versus, Quaderni di studi semantici», 59/60, 1991, pp.107-119; poi in Id., Un mmuJo suttc osseroazione, cit., p.87.

50. SI veda, a questo proposito E. Husserl, Idee peruna fil.osofia pura e per

una fil.osofia fenomencl.ogj,ca, cit. 51. P. Bo7.7.1, Sull'epistemol.o(!)a che sta alla base della teoria dei colori di Goethe, in «Rivista di Psicologia», nuova serie, LXXVI 0-2), 1991, pp. 81-89; poi In Id., Un mmuJo suttc osseroaziooe, p. 103. 52. P. Bo7.zl,Pariare di ciò che si vede, cit., p. 90.

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indipendenti dagli atti percettivi. In questo delicato equilibrio fra il non essere effettivamente contenuto (reel, nel senso di Husserl) e l'essere dipendente dal "percepi- risiede il realismo empirico di Bozzi. L'oggetto fenomenico costituisce quindi «una regione d'esperienza a sé», da non confondersi con il mito della cosa in sé o di un "al di là" (in questo Bozzi recepisce senza riserve la posizione kantiana), senza tuttavia prestare il fianco al mito dell'ineffabilità e della privatezza. Chiunque ha pratica del lavoro sperimentale sa bene che gli eventi sottoposti ali'osservazione dei soggetti sono pubblici: non solo il quadrato, il biangolo, il maggiore di o il più vicino di, ma anche il movimento naturale, il movimento passivo, il rosso di superficie e quello di volume, o addirittura il rosso più allegro di un altro rosso meno carico 53•

Tale oggettività è garantita dall'esperienza stessa. Ad esempio, le modifiche ambientali o le alterazioni del mez:;r.o non condizionano l'invarian7.a delle proprietà fenomeniche. I cambiamenti non vengono cioè awertiti come cambiamenti degli oggetti osservati, ma come cambiamenti del campo visivo. In questo senso è lecita la distinzione (proposta anche da Gibson) fra campo visivo (il nostro punto di vista ottico) e mondo visivo. Se osserviamo il paesaggio fuori dalla finestra mentre i vetri sono rigati dalla pioggia, non abbiamo di solito l'impressione che le deformazioni visibili provocate dall'acqua che scende sui vetri siano deformazioni delle cose che compongono il paesaggio. Non solo, il campo dell'esperienza attuale del mondo "esterno" è fenomenologicamentepiù ampio dell'insieme di tutte le cose mostrabili o raggiungibili con lo sguardo, con l'udito, ecc. e «lo spazio fuori dell'ambiente delimitato dalle pareti è uno spazio altrettanto direttamente

53. P. Bo7.7.i, Sulle descriztoni di eventì percettloi s(Jtf,(J osseroazione, cit.; poi in Id., Un mondo s(Jtf,(J osseroazione, cit., p. 47.

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constatabile»54• Così «quando si vede un uomo passare dietro a una colonna, al di là della colonna non vi è solo quel tanto di spazio che basta a lasciar passare quell'uomo: ve ne può essere molto di più e normalmente è così»; analogamente «quando infiliamo un giornale nella tasca del cappotto [ ... ] nessuno al mondo vede il giornale progressivamente annullarsi, mentre entra in tasca: si vede il giornale che si infila dentro, essendo la parte nascosta tanto reale quanto quella ancora visibile»s.s. Esiste, cioè, uno spazio, che Bozzi definisce spazio amoda,. k, cioè oltre i limiti dell'ostensibile, che è parte integrante e essenziale del mondo fenomenico. Si tratta di uno spazio molto più ampio di quello occupato dai corpi effettivamente visti: «al di là della porta c'è in realtà spazio constatabile,>56. La proposta di uno spazio amodale, oltre il quale si collocherebbe lo spazio ideale inteso come spazio fisico, ripropone in una terminologia sperimentale la distinzione fenomenologica fra esperiew..a attuale e inattuale. Tale distinzione, analogamente a quella fra spazio direttamente constatabile e amodale, conferma il carattere pubblico e "reale" (anche se non in senso metafisico) del mondo osservabile. Gli oggetti d'esperiew..a non sono soggettivi. La distinzione, interna all'esperiew..a, fra campo visivo e mondo visivo, cosl come la distinzione fra spazio modale e spazio amodale, conferma il loro essere «presupposti»57, al contrario degli oggetti della fisica che sono a tutti gli effetti delle costruzioni a partire dal!'esperiew..a. In questo senso, e solo in questo senso, «il mondo osservabile non è affatto un'apparew..a,>58.

54. P. Bo7.Zi, Considerazioni inattuali sul rapporto •10-non lo", cit., p. 78.

:S:S. Ibidem 56. lvi, p. 80. 57. lvi, p. 81. 58. P. Bo7.Zi, Parlare di ciò che si vede, cit., p. 90.

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6. Onto'logia dell'osseroabùe Quella di Bozzi è una fenomenologia del «fenomeno puro»59 laddove il termine puro sta non per ineffabile, ma per originario, indipendente dalla concettualizzazione e dal giudizio. Abbiamo visto infatti come la nozione di fenomeno sottintenda una costante unificazione o sintesi delle oscillazioni, e delle apparenze. Il fenomeno è, fenomenologicamente, un invariante nelle variazioni. Concepire il fenomeno oome invariaw..a nella variazione comporta aderire a una certa ontologia fenomenologica. La definizione di osservabile non è univoca. Esistono infatti almeno due interpretazioni di tale nozione compatibili oon l'atteggiamento fenomenologico. La prima, quella inaugurata da Stumpf e Meinong e completata da Husserl, è un'interpretazione mereologica dell'osservabile. La seoonda, inaugurata da Bergson e completata da Deleuze e Merleau-Ponty, è un'interpretazione continuista dell'osservabile. Per la prima, l'esperienza è naturalmente divisibile in parti; per la seoonda è oontinua e inframmentabile. I due approcci si differenziano per il ruolo che le nozioni di fissità, invariaw..a e indipendenza giocano all'interno della descrizione fenomenologica: nel primo caso si tratta di nozioni costitutive; nel seoondo di nozioni derivate. Il primo approccio dà luogo a una teoria fenomenologica che possiamo definire del mosaico, o delle tessere. Il seoondo approccio una teoria che possiamo definire dellaforza. Nel primo caso abbiamo a che fare con un mondo che non è affatto identificabile con un Russo d'esperien7,e interconnesse o legate da "ubiquitous relations", per usare un'espressione di James, e meno che meno con un mondo fluttuante per continui gra-

59. P. Bom, Sull"epist,emologia che sta alla base della teoria dei colori di Goethe, cit, p. 108.

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dienti, che mai separano un accadimento da un altro né mai si contraggono in definiti confini tra una cosa e l'altra, come avviene nella metafisica di Bergson - il quale lascia ai bisogni e alle esigenze puramente pragmatiche il compito di ritagliare in "fattin questo indistinto BuireEO.

Per Bozzi, come per Husserl e prima di lui per Stumpf, è l'indipendenza a essere primaria. Il mondo, nel momento in cui si osserva e ancor di più in cui se ne parla, è inventariabile e il materiale di base non è fluido, ma costituito da «cubetti di mondo variamente assemblati,iB•. In contrasto con la «concezione romantica della realtà»sz proposta da Bergson, secondo la quale «la percezione sarebbe fatta di cose fluttuanti ed elastiche, dotate di contorni inde6nibili e contenutisticamente mutevoli»63, il regno dell'immediato, o dell'osservabile, ha delle leggi staticamente concepite64• Quindi: primitiva è l'indipenden7.a dei sistemi che occupano a vario titolo lo spazio del mondo, e derivata la non-indipenden7.a di numerosi osservabili facenti parte di qualche sistema&S.

60. P. Bo7.7.I, Alerius Meincng: attualità ed errorifecondi di una distinzione fra inferiore e superiore deglioggetti, cit., p. 116.

ormne

orcune

61. P. Bozzi,Parlare di ciò che si vede, cit., p. 92. 62. P. Bo7.7.i, Tempo e ripetfbilità degli eventi sotto osseroazione, in L. Albertazzl, C. Cimino, S. Cori-Savelllnl (a cura di), Francesco De Sarlo e il laboratbric fan-entino di psicologìa, Università degli studi di Bari, Collana

del Seminario di Storia della scieR7.a, Bari 1999; poi in Id., Un monde sotto osseroazione, cit., p. 207.

63. Ibidem.

64. In questo senso la psicofisica e la prospettiva di Bergson costituiscono per Bo7.l.i due poli opposti e entrambi erronei: «Esattamente come la psicofisica classica trascura la fenomenologia dell'esperienza Immediata del mondo esterno per mettere discontinuità [... ] anche dove non c'è, Bergson la trascura per mettere la continuità anche dove sono presenti le divisioni» (ibidem).

M. P. Bo7.7.I, Alerius Meincng: attualità ed errorifecondi di una distinzione fra orcune inferiore e orcune superiore degli oggetti, cit., p. 117.

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Il mondo, per Bozzi, è fatto di tessere e le tessere possono comporsi in un mosaico. Vi sono le tessere, vi è il mosaico compiuto. Vi sono le regole da scoprire per procedimenti empirici e osservativi di vario tipo, le quali connettono in modo definito il mosaico compiuto agli elementi visibili in cui esso è scomponibile. Vi è, in quale modo, un rapporto di 'produzione' che parte dagli elementi e converge sul prodotto lìnito. Sembra ovvio che le noci e le tessere siano gli 'inferiora' e le organi7.7.azioni di elementi siano i 'superiora' formati di relazioni che variamente collegano tra loro gli 'inferiora'66•

Il superamento di Meinong risiede nel fatto che gli inferiora (cioè le tessere) possono mutare nel momento in cui entrano a far parte di un sistema di relazioni, cioè di superiora (il mosaico). Ciò permette a Bozzi di superare il riduzionismo fenomenista, proprio in nome di quelle leggi percettologiche le quali indicano l'errore operazioflakln che consiste nel ridurre le strutture complesse alle operazioni di costruzione impiegate a partire dagli ingredienti che le compongono. Tali strutture complesse sono infatti «irriducibili ai punti materiali in gioco e alle loro relazioni posizionali»68. Esiste inoltre un'importante distinzione, per Bozzi, fra quelli che egli definisce oggetti trattuali e oggetti puntuali. I primi introducono il fattore tempo, più specificamente il "tempo in presenza", cioè quello che Bergson denominerebbe la durata reale. Al contrario, gli oggetti puntuali «cadono nel tempo di presenza tutti interi, e con tutte le loro caratteristiche, anche quando sono un poco più estesi del 'tié prodotto da una mati-

66. lvi, p. 119. 67. lvi, p. 124.

68. Ibidem.

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ta che batte sul piano del tavolo,~; quindi possono essere concepiti come frazioni della durata nella quale essi sono inseriti. Ma gli oggetti trattuali sono importanti anche, e soprattutto, perché riconsiderano, sia pure in modo indiretto, quell'ontologia del continuo che Bozzi, sulla scia di Meinong e Stumpf, tende a rifiutare radicalmente. Nel caso degli oggetti trattuali, come ad esempio una melodia, si verifica infatti la «scomoda circostan7..a»70 per cui i superiora sono già presenti anche quando gli inferiora non hanno fatto la loro comparsa. Così una melodia non sarà costituita dall'apparire di una nota e dalla memoria delle note che l'hanno preceduta, bensì dal fatto che «le cinque o sei note che riempiono in quest'attimo il mio ascolto musicale sono tutte ugualmente presenti ed è impossibile dire quale di esse sia più presente delle rimanenti»71 . Al tempo stesso è innegabile che in una melodia le note vengono una dopo l'altra e «il senso della melodia sta proprio in ciò, esse sono necessariamente in successione, cioè non compresenti»72.

La mesta conclusione di Bozzi è che «occorre accettare questo paradosso, o piuttosto inghiottire questa contraddizione»73. Bozzi, oltre che un fenomenologo sperimentale, era anche un violinista. Come musicista, non poteva negare il paradosso ontologico che risiede in ogni melodia, cioè quello di far convivere elementi che si presentano al tempo stesso come compresenti e in successione. In realtà, la stessa definizione di struttura come qualcosa di non riducibile allo schema in-

69. Ivi, p. 128. 70. Ivi, p. 129.

11. Ibidem. 12. Ibidem. 73. Ibidem.

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feriora-superiora74, unitamente alla constatazione che in alcuni casi i superiora sono già presenti quando gli inferiora non ci sono ancora, come nella melodia, introduce nell'ontologia dell'osservabile di Bozzi la dimensione della durata. Quella stessa durata che è l'oggetto principale dell'analisi continuista di Bergson.

14. lvi, p. 126.

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Carlo Sini, una f eno~nologia della distanza di Federico Leoni

l. L'inizio Iniziamo dall'inizio. Carlo Sini esordisce, dopo aver pubblicato vari articoli, con una coppia di libri che escono in contemporanea nel 1965. Uno dedicato a Edmund Husserl, uno ad Alfred N. Whitehead. Si intitolano rispettivamente Introduzione alla fenomenologia come scienza e Whitehead e la funzione dellafilosofia1. La scelta dei due autori documenta un'impronta chiara. È l'impronta del suo maestro Enzo Paci, ideatore e protagonista di una «ripresa della fenomenologia», come lui stesso la de6nì2, destinato a influire in profondità per una lunga stagione sulla filosofia e in generale sulla cultura italiana. Sia Husserl sia Whitehead sono autori che appartengono a pieno titolo all'insegnamento di Paci. Più in generale appartengono a quel movimento di pensiero che trovò espressione tra l'altro sulle l. C. Sini, Introduzione alla filosofia come scienza, Lampugnani Nigri, Milano 1965; C . Sini, Whiteheade la funzione dilla filosofia, Marsilio, Padova 1965. 2. E. Pacl, Diano fenumenolcgico, Bomplani, Milano 1961, p. 12 (annotazione del 14 mll17.o 1956).

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pagine della rivista "aut aut", fondata da Paci all'inizio degli anni Cinquanta. Ma tutto questo richiede una precisazione. Husserl è senz'altro al centro della scena disegnata da Paci, Whitehead è un riferimento costante ma marginale. Sarà così anche per Sini. Whitehead sarà una linea carsica. Come tutte le linee carsiche, spiega molte cose dell'orografia visibile. Curioso e interessante, si potrebbe aggiungere, che qualcosa di simile awenga in Maurice Merleau-Ponty, amico e corrispondente di Paci, invitato da Paci a Milano sul finire degli anni Cinquanta per una lezione a cui era seguita una serata memorabile. Decenni più tardi Sini ricordava ancora quella serata come un grande evento per la cultura del tempo. E anche come un incontro personale impressionante per l'ampiezza e la profondità con cui Merleau-Ponty dominava l'intera tradizione filosofica e se ne serviva per discutere con grande libertà tutto lo spettro dei suoi problemi più attuali. Anche per Merleau-Ponty sia Husserl sia Whitehead erano riferimenti rilevantissimi, benché Husserl fosse decisamente centrale, mentre Whitehead avesse guadagnato il proscenio solo lentamente. Chissà che cosa sarebbe accaduto, in prospettiva, se questo emergere di Whitehead all'attenzione di Merleau-Ponty, o forse della fenomenologia contemporanea, avesse avuto il tempo di fare il suo corso, come suggeriscono in qualche misura gli ultimi corsi di lezioni da lui tenuti al Collège de Frane&.

2. L'inizio già iniziato Iniziare dall'inizio non è, però, solo un modo per evocare queste prime prove. È anche un modo per entrare in medias res.

3. Cfr. soprattutto M. Merleau-Ponty, La naturo. Cor.10 al Collège de France, a cura di M. Carbone, Cortina, Milano 1996.

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Il libro su Husserl prende avvio ponendo la questione dell'inizio in maniera tematica, sistematica. È una movenza che ha qualcosa di hegeliano o di 6chtiano. Il che da un lato non è senza rapporti con quella vena di idealismo che più volte è stata isolata e studiata in Husserl. Dall'altro non è senza rapporti coi primissimi studi di Sini, dedicati all'altra grande fenomenologia, quella di Hegel◄, e svolti prima dell'incontro con Paci, ancora sotto l'influsso di Giovanni Emanuele Barié. Il quale dell'idealismo italiano e delle sue venature kantiane e fìchtiane era stato un interprete originalissimo, anche se oggi quasi dimenticat5.

I.: Introduzione alla ferwmenowgia come scienza inizia appunto riflettendo sul problema dell'inizio, in particolare dell'inizio di una scienza rigorosa, di una indagine che si voglia "rigorosa" nel senso che Husserl aveva rivendicato con tanta forza e con tanto pathos6 • Questo tratto non lo troveremmo in Paci. Concluderà il suo cammino, Paci, con un libro di impronta dichiaratamente enciclopedica, senz'altro inteso a mettere la fenomenologia al centro di un ampio ventaglio di discipline, dall'economia all'antropologia, dalla psicoanalisi alla cibernetica. Ma l'andamento dell'enciclopedia fenomenologica di Paci è molto più oriz:wntale che verticale, molto più incline alla moltiplicazione dei punti di tangenza della fenomenologia con le tante scienze umane fiorite in quegli anni, e molto meno all'insisteD7..a su qualcosa come il centro del cerchio, il perno del suo movimento7• E neppure troveremmo qualcosa 4. Si veda tra gli altri testi C. Sini, Per una rilettura della fenonerwlogia hegeliana, in «aut aut», n. 65, settembre 1961, pp. 449-459. 5. G. E. Barié, Il concetto troscendentale, Veronelll, Milano 1957. 6. C&. per es. E. Husserl, La fil,osofia ccme scienza rigorosa, Paravia, Torino 1958, p. I . 7. E. Pacl, ltùe per un'enciclopedia fenomenowgu;a., Bompiani, Milano 1973.

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di simile in Merleau-Ponty. Molto più che come un metodo esplicito e rigorosamente applicato, la fenomenologia merleau-pontyana si presenta da subito come uno stile, una sensibilità, un insieme di esigenze e uno spettro canonico di ambiti d'indagine: il soggetto, il corpo, la percezione, l'espressione, il linguaggio. Come si inizia? Tutta l'esigen7..a di rigore che muove Sini si tocca con mano a partire dall'inquietudine martellante con cui questa domanda risuona nelle prime pagine dell'Introduzione. Sfogliamo queste pagine. «Si potrebbe fìngere di non presupporre nulla e partire, come si dice, da 7.ero». Ma questo «sarebbe non soltanto assurdo, ma anche inutile, perché la tradizione opererebbe egualmente in noi»8 • «Supponiamo dunque di essere nel giusto quando indichiamo il problema del cominciamento come risultato di un rapporto comunicativo con l'altro». Ma «la domanda pone di fronte nuovamente a strane complicazioni», «nasce il sospetto che la domanda proposta sia stata formulata male e che addirittura non sia correttamente formulabile,>9. Così, «il problema proposto si rivela a sua volta così problematico da lasciarci smarriti» 10• I riferimenti si potrebbero ancora moltiplicare. Con questa domanda si toccano con mano anche tutte le conseguen7..e, tutte le diramazioni anche lontane di questa prima mossa sulla natura della prima mossa. Si inizia, per riassumere i primi dieci paragrafì di questo libro, nel momento esatto in cui ci si rende conto che si è già iniziato, e che la domanda sull'inizio è ingannevole, se l'inizio vi risuona come un inizio da zero. Nessuna cosa e nessun progetto inizia mai dal nulla, siamo già sempre affaccendati in tante altre cose, le quali a

8. C. Slni, Introduzione allafil.osofia come scienza, cit., p. 11. 9. lvi, p. 14. 10. Ivi, p. 15.

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loro volta avevano il loro inizio in tante altTe ancora. Per porre il problema dell'inizio, ad esempio, è chiaro che ci si sta chiedendo come iniziare, si sta parlando tTa sé e sé, si sta tentando di sgombrare il campo dal già iniziato e dal già saputo, si stanno esaminando una serie di opzioni già note e disponibili, e così via. Il che significa d'altTa parte che tutto questo lo si sta facendo, appunto, facendo leva sulla materia e sugli strumenti della nostTa esperiew.a pregressa, sulla nostTa esperiew.a già iniziata, sul mondo già dato. Chi vede tutto questo, vede anche che il progetto della fenomenologia non porta, secondo il detto socratico, a sapere di non sapere, ma tutto al contrario. Porta piuttosto a sapere che non sappiamo di sapere.

3. Il corpo dei corpi Dunque l'inizio non è dell'ordine della decisione ma della situazione. Non si inizia nella discontinuità ma nella continuità, nella continuazione. Iniziare significa prolungare, declinare, inclinare in modo nuovo qualcosa che stava già facendo il suo corso. Questo punto nel quale iniziamo è in effetti un fascio di operazioni già in corso, e fare fenomenologia significa portare alla luce tutto ciò che costituisce quella luce normalmente confinata nel buio dell'impensato. Significa portare alla luce tutte quelleoperazioni che un soggetto, come Husserllo chiama, e come anche Sini a quest'altezza ancora lo chiama, compie continuamente, e che portano con sé, letteralmente, la luce, la luce in cui quel soggetto si rende visibile a sé, intanto che rende visibile un mondo. Significa però, anche, impiegare tutte quelle operazioni, piegare tutte quelle operazioni diversamente. Ripiegarle su se stesse, in modo che illuminino il loro movimento anziché le cose a cui conduce il loro movimento. In modo da poterle

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guardare anziché lasciarsi portare a guardare attraverso di esse, verso i loro risultati. Far luce su ciò che fa luce sul mondo, ecco un primo modo di leggere la parola "fenomenologia", per come la fenomenologia viene praticata in queste pagine. Come se Sini assumesse che "tornare alle cose stesse", celebre motto husserliano, non significasse affatto descrivere un certo fenomeno, magari nella maniera più fedele, più libera da pregiudizi. Qualcosa del genere Paci dichiarava programmaticamente, in una pagina del Diario fenomenologico, di aver appreso da Antonio Ban6. «Vede quel vaso di fiori?», avrebbe chiesto Ban6 al giovane Paci. «Provi a dire, a descrivere quello che veramente vede»11 • Tutt'altro ha in mente Sini quando scrive questa Introduzione alla fenomenologia come scienza. Forse perché transitato attraverso il trascendentalismo di Barié, forse perché formato a un certo idealismo 6chtianohegeliano, Sini accentuerà sempre in Husserl la presen7.a di un altro Husserl. Uno Husserl non humeano ma radicalmente kantiano. Tornare alle cose stesse significa tornare alle operazioni (Leistungen è un termine tecnico di Husserl) attraverso cui le cose stesse si costituiscono. Dunque significa tornare a descrivere tutte quelle operazioni che sono dell'ordine della percezione, del ricordo, dell'immaginazione. Ma poi anche dell'espressività, della motilità, della gestualità complessiva di un corpo, dell'insieme di pratiche che un corpo compie costantemente per stare al mondo. Se appena si prolunga questa linea, tutto questo mostra un altro genere di continuità. Mostra che il corpo stesso continua in tanti altri corpi e in tante altre cose, tanto che isolare qualcosa come il corpo proprio, rispetto a tutta questa sfera di cosiddette improprietà, è in fondo del tutto arbitrario e tradisce l'evidenza dell'inizio già sempre iniziato, dell'inizio come con11. E. Pacl, Diario fenomenoÙJr)co, clt., p. 84 (annota7.lone del 30 ottobre 1958).

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tinuità e continuazione. Le cose e i corpi iniziano a profilarsi ali'oriz7..onte di questi primi paragrafi dell'Introduzione allafenomenologia come scienza come il campo trascendentale stesso. L'inizio è il fatto che l'inizio è già sempre iniziato da tanti altri inizi e in tanti altri inizi, che il corpo è vissuto anche nel senso che è vissuto da infiniti altri corpi e in infiniti altri corpi, che ogni operazione dispone le sue circostanze e produce le sue oggettivazioni intanto che è disposta e circostanziata e oggettivata da infinite altre operazioni e in infinite altre operazioni. Il trascendentale è questa empiria di tante empirie implicate, concorrenti, confliggenti. L'istanza della costituzione è essa stessa costituita dall'infinità del costituito e dalla misteriosa consisten7..a del costituito, passivamente attiva, oggettivamente soggettiva, materialmente spirituale. Whitehead indubbiamente pulsa sottotraccia con la sua cosmologia leibniziana. L'ultimo corso di lezioni di Paci, alla metà degli anni Settanta su Leibniz e Husserl 12, sarà tutto incentrato, non a caso, sull'idea di una vocazione monadologica di ogni cammino fenomenologico. È un punto che qui si annuncia appena ma che non smetterà di essere al centro degli interessi di Sini.

4. Il segrw, la distanza Gli anni Settanta e gli anni Ottanta sono anni di allontanamento da Husserl e da Paci13• Più esattamente, ciò da cui Sini prende le distanze è il soggettivismo o il coscienzialismo di Husserl, tutto ciò insomma che poteva lasciare intendere che 12. e&. E. Paci, Il problema della TIUJfladolcgia da Leibniz a Husserl, Uni-

copli, MIiano 1978. 13. C&. C. Sini, 1A f encnnenowgja ccrne esisrenzwlismo positioo in Enzo

Paci, In AA.W., Vita e verità. Interpretazume del, pensiero di Enz.o Paci, a cura di S. Zecchi, Bompiani 1991; in part. pp. 148 sgg.

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il senso dell'esperienza e l'oggettività del mondo si costituissero nel chiuso di un trascendentale inteso come una sorta di officina interiore. Ci si potrebbe chiedere se il suo Husserl non fosse in fondo già uscito dal chiuso della coscienza, se il suo modo di pensare l'esperienza non mettesse già l'esperienza tra le cose e grazie alle cose, se non ne affidasse la vita a quella sorta di spettrale intenzionalità o trascendentalità che è l'intenzionalità e la trascendentalità delle cose. Sì e no. Si stava senz'altro aprendo in quella direzione, ma al contempo proprio la potente gravitazione del problema dell'inizio aveva mantenuto al centro della scena il problema della costituzione. Dunque il problema di un centro che, per dirla in una battuta, è molto più il centro di tutti i centri, che non la periferia di ogni periferia.

Di fatto Heidegger fa da ponte verso questa nuova stagione accanto a Charles S. Peirce, che sin dalla fìne degli anni Sessanta era stato al centro degli studi pionieristici di Sini sulla stagione del pragmatismo americano1•. L'allea117~ tra Heidegger e Peirce viene pazientemente coltivata nel tempo. Viene annunciata in Semiotica e.filosofia, esplorata in Kinesis. Saggio di interpretazione, ripercorsa e sistematiZ7~ta in Passare il segno. Semiotica, cosmologia, tecnica 15• Quest'ultimo è un libro clùave rispetto a tutto il percorso di Sini. In queste pagine lo Heidegger di Essere e tempo serve appunto a uscire una volta per tutte dal chiuso della coscienza, a porre con forza la questione dell'essere nel mondo, ma più nel profondo a isolare nel fenomeno dell'essere del mondo qualcosa come un momento rigorosamente non antropocentrico, radicalmente co-

14. C. Sini, Il pragmatismo americano, Laterza, Bari 1972. 15. C. Sin!, Semiotica efilosofia, li Mulino, Bologna 1978; Id., J(jnesis. Sag-

gj.o di interpretazione, Spirali, Milano 1981; C. Sini, Passare il segno. Semi-otica, cosmologia, tecnica, il Saggiatore, Milano 1981.

225 pemicano16• Curioso che proprio Husserl avesse letto Essere e tempo con viva preoccupazione per la deriva antropologistica, come la definiva, di quello che considerava il più brillante dei suoi allievi11. È forse una preoccupazione analoga a far sì che nell'analitica heideggeriana dell'essere nel mondo, Sini metta al centro la questione del segno, del rinvio, della presen7..a differita. Proprio per questo Peirce diventa un potente liquido di contrasto, iniettato nell'analitica heideggeriana, attraverso il quale far emergere uno Heidegger semiologico, e per quella via quasi strutturalista, contro uno Heidegger fenomenologico, e per quella via quasi esistenzialista. Le analisi di Essere e tempo sono ben note. Essere nel mondo, mostra Heidegger, significa essere affidati al rinvio di ogni cosa ad altre cose. L'analitica esistenziale è in questa prospettiva una pragmatica dell'esperienza. Essere nel mondo signifìca essere presi in una serie di pratiche concrete, ed è per questo che nessuna presenza è mai semplice presen7..a, che ogni presenza è sempre e soltanto segno di un'altra presenza. Il martello significa il chiodo, il chiodo signifìca il quadro, e così via. Ogni cosa è un segno, e da un certo punto di vista anche l'esserci è un segno, anche l'esserci è collocato tra le cose che rinviano ad altre cose o sono rinviate da altre cose. Salvo che Heidegger, denuncia Sini, «crede, col segno, di sbrigarsela a buon mercato», «confonde i segni comuni, già empiricamente stabiliti, con la relazione segnica»; mentre «il problema essen-

16. Non è un caso che in queste pagine un'ampia analisi dell'antropologia e della cosmologia di Giordano Bruno si intrecci alla rivisita7.ione dell'analitica esistell7.lale di Hetdegger. Rinvio a F. Leoni, 1A memoria dell'infinito, In F. Cambria (a cura di), Il pensiero in pratica. Perccrsie prospettive sulla filosofia di Cario Sini, Jaca Book, Milano 2014. 17. E. Husserl, Glosse a Heidegger, a cura di C. Sinigaglia, Jaca Book, Milano 1997.

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ziale è chi istituisce un segno come segno», «su che base ciò può accadere»•s. Appunto: su che base accade la relazione segnica? È una relazione, l'accadere di una relazione? È un segno, l'evento del segno? Sì e no, evidentemente. È un segno che funziona come qualcosa di più e d'altro da un segno, è una cosa che segna allo stesso tempo una distanza tra cose, è una distanza che pone le cose a distanza avvicinandole, annodandole. Peirce è il grande teorico della relazione segnica. La sua semiotica offrirà una sorta di supplemento d'indagine all'analitica di Heidegger, consentirà di isolare non la questione del segno ma la questione dell'evento del segno. Se la formula del segno è che qualcosa sta per qualcos'altro, secondo la canonica definizione medievale, ci dovrà essere una molla segreta capace di istituire quel movimento, di far sl che qualcosa possa effettivamente valere per qualcos'altro. Quella molla è ciò che Peirce chiama "interpretante". Più di tutto Sini sottolinea in Peirce che l'interpretante è quel movimento per il quale interpretare significa aver già interpretato. È il problema fenomenologico dell'inizio, ma ritradotto in termini semiotici. Ogni interpretazione accade sulla base di infinite altre interpretazioni già accadute, così che tutte le interpretazioni passate insistono sulla soglia di ogni interpretazione attuale. Ogni interpretazione attuale, più esattamente, è tutte le interpretazioni passate in quanto rese passate e rese il proprio passato da nient'altro che dal loro attuale rilancio, dalla loro inflessione attualmente in atto. Sicché è ogni singola interpretazione a far passare, per dire così, tutte le interpretazioni attraverso di sé, in vista di una futura interpretazione che si sta già affacciando e che è a suo modo tutte le interpretazioni future e tutto il futuro. Di fatto l'intero universo è l'interpretante, l'intero universo interpretando "si"

18. C. Sinl, Passare il segno, cit., p. 25.

interpreta in questo punto, in questo istante, dandosi se stesso come provenien7_.a e dandosi, insieme, se stesso come destinazione. Sorta di immobile ma metamorfìca pulsazione ermeneutica, di simultanea messa di sé sulle tracce di sé. «Ogni inferen7--a, ogni logica, deve essere connessa con una lìlosofia dell'universo», scriveva Peirce e ricorda Sini19 •

È un punto decisivo. La semiosi non è una facoltà umana, non è una prestazione del soggetto, ma una potenza anonima, un evento cosmologico. È un punto guadagnato in queste pagine nel corso di un attentissimo corpo a corpo col testo peirceano, e sottotraccia con le sue letture più propriamente semiologiche e in fin dei conti antropologiche. Prima fra tutte, quella che Umberto Eco aveva condotto in parallelo agli studi di Sini sul pragmatismo americano, e consegnato alla metà degli anni Settanta al suo celebre Trattatoro. Per Sini la rete dei segni produce ordine, dispone le cose e gli uomini, crea significati e corrisponden7..e girando su se stessa, a partire da quella sua soglia silenziosa che è la soglia interpretante ogni volta unica di tutte le infinite altre soglie interpretanti. In fondo tutta la storia della lìlosofia, e tutta la straordinaria varietà di risultati delle scieD7..e umane, non hanno fatto altro che nominare quella soglia, dirne in ultima analisi la natura, significarla. Ma appunto, l'uomo a cui le scienze umane mettevano in conto il gioco semiotico, così come l'essere a cui Heidegger affidava il compito di "inviare" l'ente cancellandovisi, iniziano ad apparire come altrettanti feticci. Feticci del segno, o più esattamente del!'evento del segno. Cioè dell'universo che in ogni punto accade a distanza di sé, in un segno o come un segno.

19. C. Slni, Passare il segno, clt., p. 63. 20. U. Eco, Trottato di semiotica generale, Bomplani, Milano 1975.

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5. Il gesto, il ritmo Scorriamo le dispense dei corsi della metà degli anni Ottanta, o la serie di libri che Sini pubblica dalla metà degli anni Ottanta in poi, esaurita tutta una fase di lavoro dedicata a preparare, precisare, sviluppare la svolta semiologica-oosmologica di Passare il segno. La fenomenologia torna in primo piano. E con lei il corpo. Incontriamo un corso intitolato Dal simbolo all'uomo21, un corso dedicato a Il tempo e l'esperien7#-, un corso su La fenomenologia e la filosofia dell'esperienzlfl3. Sul 6nire del decennio, ritroviamo questi corsi più o meno profondamente rielaborati in un due o tre libri importanti: Il siùmzio e la paro/a24 e soprattutto I segni dell'anima. Saggio sull'immagin#. Sulla soglia del decennio successivo esce un testo che per tanti versi chiude e ricapitola il ciclo: Il simbolo e l'uomo26. Sin dal titolo della Fenomenologia e la filosofia dell'esperienza, la fenomenologia viene opposta o almeno giustapposta alla 6loso6a dell'esperien7_.a_ La fenomenologia non vale più, in modo ovvio, come "la" ftlosofia dell'esperienza. La ftlosofia dell'esperien7_.a, dopo la fenomenologia, è un'altra cosa dalla fenomenologia. Il motivo heideggeriano e peirceano della distruzione del soggettivismo e del coscienzialismo continua a fare da bussola in questa ripresa del problema fenomenologico dell'esperienza. Tutta la sfera della corporeità, che era 21. C. Sini, Dal simbolo all'uomo, Unicopli, Milano 1984. 22. C . Sini, Il tempo e l'esperienza, Unicopli, Milano 1985. 23. C . Sini, 1A f=lo{ja e la filosofia dell'esperienza, Unicopli, Milano 1987. 24. C . Sini, Il silenxio e la parola, Marietti, Genova 1989. 25. C. Sini, I segni dell'anima. Saggio sull'immagine, Late17.a, Roma-Bari 1989. 26. C. Sini, il simbolo e l'uomo, EGEA, Milano 1991.

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stata al centro della fenomenologia di Husserl ma anche di Merleau-Ponty, viene riletta ora come un tracciare segni e un segnare distanze, come uno sperimentare la vacuità del nulla scrivendolo nel mondo e iscrivendo il mondo stesso nello spazio di quel nulla e sul supporto di quel vuoto. È il problema dell'accadere della relazione segnica, di cui Passare il segno intendeva andare a fondo, e di cui tutto sommato neppure Peirce - sembra ora di capire - ha attinto la natura ultima. «Noi vogliamo vedere il tracciarsi della traccia», scrive Sini in La fenomenologia e la filosofia dell'esperienza~- È un annuncio simile al grido di battaglia di Husserl: "torniamo alle cose stesse". Del resto, questo tracciarsi della traccia è con ogni evideT17.a la "cosa stessa" di Sini, ea quest'altezza Sini pensa da tempo che la cosa stessa a cui Husserl di fatto è ritornato non è una cosa ma un'operazione, non è un oggetto ma la prestazione "fungente", per parlare husserliano, di un trascendentale. È forse il termine di trascendentale, che ormai non può più avere corso. Del resto già dirlo fungente, strapparlo a ogni egologia, sprofondarlo in una sfera di assoluta attualità "stanteHuente", come faceva l'ultimo e l'ultimimissimo Husserl caro a Paci, significava mettere il trascendentale fuori corso, o rinnovarne completamente il significato. Proprio per questo Sini aveva dovuto cercare "fuori", via Heideggere attraverso la sua analitica che dall'essere nel mondo conduceva a un'ontologia dell'essere barrato e inviantesi, via Peirce e attraverso la sua semiotica che conduceva a una faneroscopia e per quella via a una inevitabile cosmologia dei segni. L'uno e l'altro portavano in primo piano la questione del segno, l'uno e l'altro lasciavano intendere che l'accadere del segno contenesse il segreto non semplicemente semiotico del segno. Che anche il segno fosse un feticcio? Quest'esigenza di vedere il tracciarsi della trac-

27. C . Sini, I.A fencnneruiwgia e la fil.osc,Jia dell'esperienza, cit., p. 208.

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eia, di ritrovare l'operazione che plasma e intesse il feticcio, si tradurrà d'ora in poi in due distinte linee di indagine, in due distinte versioni di questo trascendentale fuori dalla logica del trascendentale, di questo trascendentale che in ultima analisi coincide con qualcosa come un fuori, con la sua spettrale produttività e creatività. Una prima linea è quella che mette al centro dell'indagine il problema del tracciarsi della traccia come questione di una fenomenologia della gestualità. È appunto la linea inaugurata da La ferumumowgia e la.filosofia dell'esperienza. Ogni corpo si muove e si sente, dunque produce distanza. E ogni distanza fa apparire qualcosa in avanti, in una lontananza, dalla quale il corpo che si muove e si sente può infine sentire sé come altro da ciò che gli sta divenendo altro, e può muovere sé secondo una certa intenzionalità, che appunto gli va ritornando da fuori e gli risulta perciò interiori7.7.abile, gli inizia ad apparire come la propria intenzionalità. La vasta, anonima stoffa dell'esperienza diventa laggiù mondo di cose per una cosciew.a, quaggiù cosciew..a come coscienza di cose. La voce evoca il mondo disponendo un mondo evocato e come coagulato nella intensità di un suono e delle risposte che esso suscita. È una voce senza soggetto e senza oggetto, una voce assoluta. Ma chi grida viene investito da quel grido e rispecchiato in una labile presen7..a della labile intensità di quel gridare che fa da specchio a se stesso. Lo sguardo fa qualcosa di simile, benché fotografando il mondo in una peculiare fissità, che a rovescio è anche quella del soggetto che guarda e che si ritrova riguardato, fissato dalle cose che ha scandito nella sua veduta, fotografato da essa. Le nostre mani afferrano cose, i nostri corpi camminano disegnando un paesaggio, ogni volta che si incontra in un modo o nell'altro un mondo lo si perde nella peculiare distanza e fisionomia di quell'incontro, e ogni volta perdendolo lo si trova e ci si trova in esso, come la peculiare controfigura di quella figura che si sarà tracciata.

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Una seconda linea è quella che vede in campo il problema del tracciarsi della traccia come problema di una fenomenologia del ritmo. Se ogni gesto è il tracciarsi della traccia, secondo le tante dinamiche specifiche di cui si è detto, è però secondo un unico schema che Sini chiarisce il tracciarsi della traccia. La traccia si traccia ritmicamente. La traccia è un ritmo. Sono le tesi di Il tempo e l'esperienza. La fenomenologia dovrà farsi fenomenologia di questo ritmo, indagine di questa consisten7.a ritmica del tracciarsi. Ma appunto il ritmo non è che il ritmo della distanza, e la distanza stessa non è che il suo stesso distanziarsi e attraversarsi, il suo protendersi in un esterno o meglio come un esterno e un'alterità, e il suo riprendersi da quel!'esterno e da quel!'alterità come un suo contraccolpo, un suo segno. Più in generale, ogni ritmo si traccia in se stesso e si sedimenta in se stesso come la propria stessa scrittura di spazio e di tempo, si dipana a partire da sé in una topografia e in una cronologia. In esse si dà a vedere ma anche si cancella, si oggettiva e si rende leggibile ma anche si inabissa e perisce. «Ciò che accade è sempre il medesimo: il provenire dello stesso che si dirige verso l'altro, che è poi l'altro dello stesso, la sembianza d'altro del medesimo, in una parola il segno,>9-8.

6. La scrittura di Dio Da qui in avanti, si diceva, il cammino di Sini batterà costantemente queste due vie. Per un verso si farà ricorrente fenomenologia di quel ritmo intemporale, sorta di spinozismo della causa sui, che pulsa e che pulsando si divide in sé e si dispone

28. C. Sini, Il tempo e l'esperienza, cit., p. 144. Sul nesso ritmo-tempo in questo corso chiave, cfr. le belle pagine di R. Ronchi, Un filosofo •nunore•, In AA.W., Il pensiero in pratica, cit., pp. 93-101.

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via da sé e depone quel via da sé in nient'altro che in se stessa. È in questo quadro che vanno collocati il corso su Spinoza di pochi anni più tardi, poi riversato quasi letteralmente in forma di libro29. Nella lingua di Spino7.a, quel puro battito del ritmo, quel ritmico accadere della distanza in se stessa e via da se stessa, non è che l'eternità, il punto di assorta beatitudine della causa di sé, il suo intrattenersi in un'eterna causazione immanente. Di Dio si daranno in6niti modi, cioè nella lingua di Sini in6nite e inesauribili gestualità, pratiche, trascrizioni, oggettivazioni, tutte ugualmente vane, tutte ugualmente essenziali. La fenomenologia sarà in ultima analisi fenomenologia di questa beatitudine. Beatitudine di ogni modo, cioè di ogni ritmo: Se il fondamento è unico, se il mondo è l'evento del mondo stesso, allora ogni esisten7.a, ogni modo è ancora uno con la sostan7.a. È solo l'immaginazione che separa le durate, che dice qua e là, io sono più vecchio, tu sei più giovane, io sono il padre, tu sei il figlio. Se si pensa nel suo profondo, ogni immaginazione si scopre una con la sostan7.a30•

Per altro verso, il cammino di Sini si farà minuta fenomenologia di ciascuno dei tanti modi di quella sostanza ultima che è il ritmo, di ciascuno dei tanti modi in cui essa si produce, cioè si iscrive in se stessa e dunque in altri in6niti ritmi, catturata e rilanciata in altri in6niti corpi anch'essi ritmicamente pulsanti, owero in altri in6niti supporti anch'essi dotati di un proprio ritmo, di una propria speci6ca inclinazione, di una propria speci6ca produttività. Va collocata in questo quadro una lunga stagione, dagli anni Novanta per un ventennio circa, di indagini di natura genealogica, come Sini le de6nisce. Si considerino

29. C. Sini, La verità pubblica e SpinmA, Cuem, Milano 1991; poi col titolo Archivio Spinoza. La verità e la vita, Ghibli, Milano 2005.

30. lvi, p. 293.

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due libri come Etica della scrittura e Filosofia e scritturdl1• Un certo popolo stravagante e influentissimo, i Greci, inizia a oggettivare la voce in segni peculiari e inizia a pensare il mondo attraverso quella sorta di specchio deformante che è la scrittura che hanno ereditato dai fenici, la scrittura alfabetica. Il luogo manifestativo del linguaggio si traduce nella griglia idealizzante e atomizzante di quei piccoli segni. Ed ecco che uno sguardo educato a questo tipo di lettura inizia a decifrare il mondo secondo il modello dell'identità immobile di ogni segno con se stesso, inizia a ragionare sulle cose secondo il paradigma di questa scomposizione del complesso in elementi semplici, della processualità in una serie di stati non contraddittori. Ci sono cose perché evocate, inscritte nella distanza vacillante del gesto vocale, aveva mostrato Sini anni prima. Ma ci sono idee soprasensibili e oggetti sensibili, e in generale esiste una "mente logica", come la definisce, e una serie di oggetti logicamente indagabili, solo perché quella voce rivelativa e veritativa viene immobiliZ7.ata in un testo, e quel testo diventa il corpo trascendentale nel quale si iscrive e si trascrive ogni altro corpo e ogni altro incontro col mondo. L'alfabeto è il trascendentale dell'Occidente metafisico e poi scientifico, platonico e poi galileiano.

È una movenza husserliana, anche se profondamente rivisitata e straordinariamente approfondita. La celebre Appendice III della Crisi delle scienze europee, ultima opera e testamento spirituale di Husserl32, diviene a un certo punto una vera e propria pièce de résistance dell'insegnamento di Sini. Tutta

31. C. Sini, Etica della scrittura, il Saggiatore, Milano 1992; Id., Filosofia e scrittura, Late17.a, Roma-Bari 1994. 32. E . Husserl, L'origine della geometria, "Appendice III" a La crisi del,. le scienze europee e la fenomenologia trnscendentale, il Saggiatore, Milano 1961. Tra i tanti testi in cui Sini rivisita il problema, e&. C. Sini, Scrivere il fenomeno, Morano, Napoll 1997.

234 una serie di corsi e poi di testi vi individuano il luogo canonico di un'intuizione radicale quanto incompiuta. Si tratterà di dame adeguato sviluppo. È perché i Greci erano agricoltori, mostra Husserl, che tracciavano sulla terra i confini dei loro campi e calcolavano le superfici dei loro appeZ7.amenti. Quei geniali agrimensori hanno poi iniziato a trasferire su un supporto ulteriore quelle stesse tecniche e quegli stessi oggetti, facendo di un appev.amento di terra un rettangolo tracciato su una tavola di cera, di un blocco di mondo una figura puramente geometrica. Che cosa ci mostra tutto questo? Che l'idea, la figura pura, il significato coincidente con se stesso, sono il frutto dello sganciamento di certi oggetti dalle pratiche in cui si sono costituiti, sono il risultato preterintenzionale della loro riconstestualiZ7.azione entro nuove pratiche e della loro trascrizione su nuovi supporti. L'idealità ha un segreto e il suo segreto sta tutto in questo gioco di deterritorialiZ7..azioni e riterritorializzazioni. Il trascendentale non è che questo trascorrere da una pratica a un'altra pratica contigua, questo concretizzarsi di oggetti e soggetti nel breve precipitare di una figura da un certo supporto a un altro supporto, simile ma anche dissimile. Il trascendentale è la babelica, ordinatissima inclusione di ogni pratica in ogni altra pratica, di ogni corpo in ogni altro corpo, di ogni ritmo in ogni altro ritmo. Whitehead ha incontrato Lévi-Strauss. Il concetto di natura ha fatto tesoro di Il erodo e il cotto, o viceversa. Nel decennio successivo a Etica della scrittura Sini farà esplodere questa indagine lungamente dedicata a una singola pratica, quella della scrittura alfabetica, in una raggiera di indagini incentrate sulle tante pratiche che incontriamo nel mondo, sulle tante discipline che le pongono al centro del loro sapere. La metafisica, la psicologia, l'etologia, l'antropologia, la cosmologia, la pedagogia diventano oggetto di altrettanti corsi e poi di altrettanti libri. Ne nasce un imponente progetto speculati-

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vo ed editoriale che Sini intitola Enciclopedi5. Volendo usare le parole di Walter Benjamin, «compito del traduttore è di trovare quell'intenzione rispetto

3. La prima opera husserliana tradotta in Italiano furono, nel 1950, i due volumi delle Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, tradotti da Giulio Alliney (a cura di Enrico Filippini) per Einaudi (Torino 1950). Segul la traduzione della Filosofia come scienzangorsa a cura di Filippo Costa (Paravia, Torino 1958; rivista da Corrado Sinigaglia. con Introduzione di Giuseppe Semerari, nel 2001 per l.ate17.a). Appena un anno prima dell'uscita in italiano della Krisis. era inoltre apparsa la traduzione delle Meditaziom cartesiane a opera dello stesso Filippo Costa. 4. E. Paci, Aooertenza a E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trasc.endentale, cit., p. l. 5. Ibidem.

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alla lingua di arrivo dove si ridesti l'eco dell'originale»6. Questa osservazione non è affatto triviale, se si pensa che si era all'inizio del!'attività di traduzione dei testi fenomenologici in Italia: si trattava in primo luogo, dunque, di stabilire uno stile e un vocabolario della traduzione husserliana che avrebbero inevitabilmente costituito un precedente (una sorta di "canone") per le successive opere di traduzione1. Con ciò, Enzo Paci dava il via a «[ ... ] quella generazione di allievi [ ... ] che ha tradotto Husserl e Merleau-Ponty in anni in cui quei fìlosofì venivano scoperti in ltalia,,s, ossia a una vera e propria operazione culturale nella quale l'attività di traduzione era funzionale a una precisa interpretazione della fenomenologia husserliana. Veniamo così al piano della ricezione e interpretazione: la Cri-si delle scienze europee, si è detto, fu inserita nel quadro di un programma culturale unitario. Osserva giustamente Francesco Saverio Trincia nella sua Guida alla lettura della "Crisi

delle scienze europee di Husserl": Fu appunto nel nostro paese che la Cri.si conobbe una vera e propria "fortuna", intendendo con questo termine non solo la generica discussione del testo recepito entro il dibattito culturale di riferimento, ma soprattutto il suo impiego sistematico nella cornice di un programma e di un movimento filosofico coerente, che aspirava a un consapevole indiw.amento della cultura italiana del periodo. In questo senso, è utile distinguere tra quella che fu una ricezione più o meno diffusa dell'opera husserliana, progressivamente tradotta nel-

6. W. BenJamln, Il compito del traduttore (1921), In .aut aut», 334 (2007),

pp. 7-20: 14. 7. È indubbiamente anche per questo motivo, oltre che per la sua qualità, che la traduzione di Filippini del 1961 ha resistito sino ad oggi a una revisione e a un'eventuale aggiornamento alla luce dell'ingente mole di tradU7.ioni app= successivamente. 8. L. Boella, Traduttori per caso, in «aut aut», cit., pp. 114-117: 114.

289 le maggiori lingue europee, e la sua "fortuna», che appare a tutti gli effetti una peculiarità soprattutto italiana9•

Si trattava, com'è noto, dell'impiego dell'ultimo Husserl in funzione di una tradizione di pensiero precisa e, in quegli anni, determinante nel contesto storico italiano, vale a dire la teoria marxista, nel tentativo di fondare un "marxismo fenomenologico" imperniato sulla nozione husserliana di teleologia storica. Nel 1960, appena un anno prima che uscisse la traduzione della Crisi, veniva pubblicato un testo a cura dello stesso Enzo Paci, intitolato Omaggio a Husserl•o e contenente una serie di contributi, raccolti nel centenario della nascita del filosofo tedesco, scritti da importanti filosofi e interpreti - quali Enzo Melandri, Guido D. Neri, Giuseppe Semerari, Franco Bosio, Franco Voltaggio, Mario Sancipriano, Ren7..o Raggiunti - i quali, pure, tentavano di centrare la loro riflessione sul tema storico e di awalorare la tesi di Paci, secondo cui quando le prime due parti dell'opera uscirono nella rivista "Philosophia" di Belgrado, nel 1936, si poteva ancora credere che l'interesse di Husserl per la storia fosse marginale e secondario. Ora il testo completo della Krisis mostra proprio il contrario: il terna della storia è un terna essenziale. Non è un terna "aggiunto" ma è un terna che inerisce alla fenomenologia necessariamente e sen7.a il quale la fenomenologia non avrebbe potuto essere quella che è stata e non potrebbe essere quella che è11 •

9. F. S. Trincia (oon F. Buongiorno), Fortuna dell'opera, in F. S. Trincia, Guida alla lettura della ·cmi delle scienze europee· di HtJSSeri, Late17.3, Roma-Bari 2012, pp. 186-207. 10. e&. E. Paci (a cura di), Omaggio a HtJSSeri, il Saggiatore, Milano 1960. 11. E. Paci, Aooertenza a E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la ferwmenologja trascendentale, clt., p. 2. Alcune oscillazioni sono presenti nel contributi presentati in Omaggio a HtJSSeri dai vari autori coinvolti: in partioolare, si osserva una tenden1.a a fanisultare il problema della storia da una rulessione critica sulla IOgica husserliana, peroome essa si struttura sin

290 Paci precisava ulteriormente questa sua interpretazione, avanzando l'ipotesi che la fenomenologia consentisse «una possibile e libera revisione critica di tutta la filosofia hegeliana e, in particolare, del problema della dialettica [ .. . ]. È chiaro fin dall'inizio che l'intenzionalità implica il problema della dialettica e cioè il problema più impegnativo del pensiero moderno»12. Le iniziative d'inizio anni Sessanta (la traduzione della Crisi e il volume in Omaggio a Husserl) suggellavano un periodo di sistematico rilancio degli studi fenomenologici in Italia, le cui tappe fondamentali erano state il convegno di Gallarate del 1955 (da cui risultò il volume di atti I.A fenome.nologia, pubblicato nel 1956), i due fascicoli di «Archivio di filosofia» su Il compito dellafenomenologia (1956) e su Tempo e intenzionalità (1960), la monografia di G. Pedroli dedicata a I.A fenomenologia di Husserl, pubblicata nel 1958.

La funzionalità immediatamente storica dell'interpretazione paciana dell'ultimo Husserl si rende ancor più evidente nella Prefazione alla terza edizione italiana della Crisi, scritta nel fatidico 1968, nella quale Paci afferma con radicalità: «[ ... ] la storia della filosofia italiana sarà divisa in due parti. La prima parte comprenderà le opere scritte prima della traduzione della Crisi, la seconda quelle scritte dopo»•3. La profezia paciana non si è evidentemente awerata nella misura epocale auspicata, che giungeva a riconoscere nella combinazione di marxismo e fenomenologia un nuovo potenziale rivoluzionario, il quale avrebbe reso possibile «[... ] una trasformazione radicale che instaurerà, positivamente, una società nella qua-

dalla prima fase del pensiero di Husserl. Per un approfondimento di questi aspetti, mi permetto di rinviare al mio saggio Husserl in Italia (1955-1967), in