La dinamica dei piccoli gruppi 8826305404, 9788826305400

«Questa opera di D. Anzieu e J.Y. Martin, in Francia, e divenuta un "classico": pubblicata nel maggio 1968. ha

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Italian Pages 360 [371] Year 2010

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Table of contents :
Dinamica dei piccoli gruppi
Il concetto di gruppo
Etimologia
Resistenze epistemologiche al concetto di gruppo
Le rappresentazioni sociali del gruppo
Distinzioni delle cinque categorie fondamentali
La storia
Pensatori francesi
Sociologi tedeschi
Cercatori americani
Teorie
La sociometria secondo Moreno
La dinamica dei gruppi secondo Kurt Lewin
L’approccio non direttivo secondo Rogers
Le teorie cognitive
La critica dei presupposti sperimentalisti: S. Moscovici
La prospettiva psicoanalitica
I metodi
Lo studio dei gruppi naturali
L’analisi dell’interazione
Il ricorso ai gruppi artificiali
Potere, strutture, comunicazioni
1. Evoluzione del concetto di potere
2. Il potere nei gruppi naturali
3. Il potere nei gruppi sperimentali
4. Uno schema dinamico di funzionamento dei gruppi ristretti
5. L’assunzione di decisione nei piccoli gruppi
Considerazioni generali
Gli ostacoli alla comunicazione
Le reti di comunicazione e la cooperazione nei piccoli gruppi
6
Altre variabili
Interazione, affettività
Le diverse accezioni del termine «morale»
L’obiettivazione delle reti di affinità in rapporto con il morale
L’evoluzione delle affinità
Alcuni esempi di applicazioni pratiche
Gli stili di comando
Le ricerche sull’influsso
Le norme di gruppo
Il problema della dipendenza
Considerazioni generali: l’inerzia dei sistemi e l’equilibrio quasi-stazionario
Le esperienze in ambiente industriale
Conclusioni
I ruoli
Gli atteggiamenti
Conclusioni: atteggiamenti e ruoli
I. L’emergere di nuove variabili intermedie
II. F. Redi e le «emozioni di gruppo»
III. Il funzionamento del gruppo secondo W. R. Bion: gli assunti di base
IV. Le concezioni di Max Pagès: l’angoscia e il legame
V. J. Luft e l’«habeas emotum»
VI. Le mentalità di gruppo
Elementi di dinamica comparata dei gruppi
Le società animali
I gruppi a confronto con situazioni fisiche estreme
La famiglia
I gruppi di bambini
I gruppi asociali
La «palabre»
Il problema dell’aggressività intragruppo e intergruppo
Applicazioni agli ambienti professionali
I gruppi di negoziazione
La formazione degli adulti in gruppo
L’intervento nelle organizzazioni basato sul gruppo
L’analisi transizionale10
Le psicoterapie di gruppo
La socioterapia
La gruppo-analisi
I gruppi di bambini basati su attività
Le terapie familiari
L’analisi transazionale
Le «nuove terapie»
Il rinnovamento dei metodi di gruppo
Dal gruppo alla comunità: il movimento F.A.R.I.
I. Conduzione e osservazione delle riunioni-discussioni
1. In rapporto al contenuto
2. Rispetto ai partecipanti
3. Rispetto al gruppo in quanto tale
4. Conclusione
I. Ruoli centrati sul compito
II. Ruoli di mantenimento della coesione
III. Bisogni individuali e ruoli «parassiti»
II. Diversi metodi di riunioni-discussioni
Consegne
Conclusione
Il metodo di Osborn
Il metodo di Gordon
I metodi di associazione forzata
Le tecniche analitiche
Il «brainstorming», strumento di formazione
Ambito di utilizzazione della tecnica di «brainstorming»
Commenti
Bibliografia
Indice
BION
E LA PSICOTERAPIA DI GRUPPO
TRA IL SOGNO E IL DOLORE
IL NEONATO, LA MADRE E LO PSICOANALISTA Le interazioni precoci
IL CORPO
TRA BIOLOGIA E PSICANALISI
DOLORE E ANGOSCIA DI MORTE
L’IO-PELLE
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La dinamica dei piccoli gruppi
 8826305404, 9788826305400

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PROSPETTIVE DELLA RICERCA PSICOANALITICA

D. ANZIEU - J. Y. MARTIN

DINAMICA DEI PICCOLI GRUPPI

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BORLA

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prospettive della ricerca psicoanalitica collana diretta da Claudio Neri

della stessa collana

a cura di C. Neri - A. Correale - P. Fadda

Letture bioniane Didier Anzieu

L’Io-pelle Christophe Dejours

Il corpo tra biologia e psicoanalisi a cura di Malcolm Pines

Bion e la psicoterapia di gruppo D. Anzieu - J.Y. Martin

Dinamica dei piccoli gruppi R. Kaës - J. Bleger - E. Enriquez - F. Fornari P. Fustier - R. Roussillon - J.P. Vidal

L’Istituzione e le istituzioni studi psicoanalitici

D. Anzieu - J.-Y. Martin

Dinamica dei piccoli gruppi edizione italiana a cura di Francesca Ortu

boria

Titolo originale: La dynamique des groupes restreints © 1986s, Presses Universitaires de France, Paris © 1990, Edizioni Boria s.r.l. via delle Fornaci 50 - 00165 Roma Traduzione di Francesca Ortu ISBN 88-263-0540-4

Introduzione all’edizione italiana di Nino Dazzi e Claudio Neri

Questa opera di D. Anzieu e J. Y. M artin, in Francia, è di­ venuta un «classico»: pubblicata nel maggio 1968, ha rag­ giunto l'ottava edizione. Nel 1982 gli autori hanno avvertito la necessità di ripen­ sarla profondam ente, secondo la loro espressione, di ri­ fonderla. Un aggiornamento di portata più lim itata viene effettuato nel 1986. La traduzione italiana (condotta sulla più recente edizione francese) colma un vuoto. Vuoto che, almeno in una certa m isura, non è casuale: deriva infatti, a nostro parere, da una specifica incom unicabilità che — con l'eccezione di pochi ricercatori, tra i quali, per la parte psicoanalitica, desideriam o ricordare F. Fornari e F. Corrao — si è stabi­ lita, negli anni sessanta, tra psicoanalisi ed alcune altre discipline (antropologia, psicologia sociale, sociologia, ecc.). Incom unicabilità e scarsità di scambio che, desideriam o sottolinearlo, non era certam ente presente in Freud. Questa incom unicabilità ha reso La dynamique des grou­ pes restreints un libro di difficile collocazione «culturale»: non rientra in nessuna delle abituali partizioni della psico­ logia accademica, né può venire facilm ente assim ilato alla usuale letteratu ra psicoanalitica. La rilevante statu ra di uno dei due autori — Anzieu è tra i più celebri, im portanti ed «ortodossi» psicoanalisti fran­ cesi — invece che costituire una garanzia ha forse accre­ sciuto l'incertezza e le perplessità sul senso dell'im presa, che egli ed il suo co-autore — il neuropsichiatra e psicoso­ ciologo, M artin — si proponevano. I li

* * *

La dynamique des groupes restreintes costituisce, a nostro avviso, un tentativo di preparare il terreno per la fonda­ zione non solo della nozione di gruppo ristretto o piccolo gruppo, m a anche di quella più generale di gruppo. Fonda­ zione che, negli intenti degli autori, può realizzarsi a ttra ­ verso un approccio trans-disciplinare, rompendo con le ri­ gide delimitazioni di campo. Questo obiettivo è avvertibile già nel taglio con cui è stato ordinato ed articolato il m ateriale. Anzieu e Martin — nei capitoli di apertura della prim a parte dell'opera — compiono il lavoro di reperire il senso del term ine gruppo attraverso una ricognizione etimologica. Esaminano le «resistenze epistemologiche» che hanno con­ trastato 1'affermarsi di tale nozione. (Desideriamo segnala­ re che queste sono alcune delle pagine più felici, nelle qua­ li la competenza psicoanalitica ed una acuta attenzione cul­ turale e sociale operano all'unisono, con risultati partico­ larm ente apprezzabili). Distinguono i gruppi ristre tti o piccoli gruppi o gruppi prim ari da altre form e di gruppo: la folla, la banda, il gruppo organizzato, ecc. Negli ultim i tre capitoli di questa stessa parte del volume (Storia, Teorie, Metodi) gli obiettivi ed il progetto si chiari­ scono e prendono consistenza maggiore. Partire da un esame del term ine gruppo per individuare, una volta analizzatolo esaurientem ente, i precursori teori­ ci e lo scenario culturale sia ottocentesco che contem pora­ neo, che vede nascere e svilupparsi le concettualizzazioni sui gruppi, per poi passare al terreno teorico vero e pro­ prio ed ai metodi di indagine sui fenomeni di gruppo, m et­ te molto chiaram ente in luce le opzioni teoriche su cui, secondo Anzieu e M artin, si potrà fondare il corrispettivo concetto teorico-operativo. Così, ricorrere alla grande sociologia francese del secolo scorso (Durkheim) per passare alle riflessioni filosofiche del S artre dialettico (a proposito del gruppo), far riferi­ m ento ad alcune posizioni della sociologia tedesca classica (Toennies) e tener conto di quel complesso clima culturale che nell'America dei prim i decenni del nostro secolo ha perm esso il decollo delle scienze um ane (Mead, Trasher,

Mayo, ecc.) significa rintracciare nella pluralità degli ap­ porti al concetto di gruppo le prem esse per la pluralità delle articolazioni e dei metodi di ricerca e contem pora­ neam ente cercare la giustificazione della validità di quel­ l'approccio complesso, clinico e psicoanalitico nella sostan­ za, ma estrem am ente sensibile al ruolo dei grandi temi teo­ rici (come quello del potere), filosoficamente e antropolo­ gicamente fondati, che è proprio, non solo del tentativo perseguito in questo volume, ma dell'intera opera di Anzieu. * * *

Non ci sem bra peraltro che l'obiettivo possa ritenersi rag­ giunto in modo pienam ente soddisfacente. La vastità del­ l'orizzonte esplorato e quella che riteniamo una voluta eclet­ ticità della fondazione si rivelano infatti una arm a a dop­ pio taglio. I vantaggi sono certam ente num erosi. La rinuncia all'ela­ borazione di una teorizzazione rigorosam ente unitaria ri­ sulta una strategia capace di cattu rare la com plessità dei fenomeni di studio ed è utile per m antenere una attenzio­ ne molto forte sulle determ inanti culturali e su quadri teo­ rici diversi. Attenzione che — vogliamo sottolinearlo — al­ tre trattazioni sui gruppi, volte assai più a privilegiare al­ cuni aspetti salienti della ricerca em pirica in m ateria, ten­ dono invece a relegare in secondo piano (seppure se ne occupano). II collegamento di vari apporti da settori diversi, assunti nel momento stesso della fondazione, garantisce la relati­ va autonomia, se non la totale indipendenza, del settore di indagine. Da segnalare, in coerenza con questo quadro, l'utilizzazione degli studi di autori francesi (vedi ad esem­ pio Muscovici) per evidenziare la riduttività dei presuppo­ sti e delle ricerche puram ente sperim entali sui gruppi. L'ampia rassegna critica delle «fonti classiche» rende espli­ cite le ragioni e la produttività dell'introdurre prospettiva alternative come quella psicoanalitica, sia nella sua ver­ sione bioniana che in quella delle scuole di gruppo france­ si (il libro si può utilm ente leggere anche come un'esposi­ zione «francese» sui gruppi). Per converso, un impianto dell'opera, tanto articolato e V

complesso, com porta il rischio che quanto em ergerà dal lavoro di ricognizione possa essere una «nozione» piutto­ sto che una «idea» di gruppo. Rischio di cui si può constatare la perdurante po rtata in alcuni ulteriori contributi della scuola francese. Intendia­ mo riferirci non tanto ad Anzieu, che riapre continuam en­ te il proprio discorso con intuizioni capaci di cogliere la globalità dei fenomeni e dei vissuti del gruppo (Pillusione gruppale, i fantasm i e le imago, l'analogia tra gruppo e sogno, la m etafora relativa ad una «pelle» di gruppo), ma ad alcuni tra i suoi allievi. Ad esempio, l'elaborazione della nozione di «apparato psi­ chico gruppale» da parte di R. Kaës (1976; tr. it. Roma, Armando, 1983) — il più brillante ed innovativo dei colla­ boratori di Anzieu — è così sfaccettata da costituire un affascinante oggetto di studio ed una straordinaria fonte di suggerimenti e connessioni, m a da risultare nel contem ­ po uno «strumento» la cui applicabilità clinica appare pro­ blem atica. * * *

Abbiamo sinora fatto riferim ento so p rattutto alla prim a parte del volume, aggiungeremo alcuni cenni sulle altre due sezioni. Nella seconda vengono dedicate specifiche trattazioni a te­ mi fondam entali della dinam ica di gruppo, come il potere, i processi di decisione ed i processi comunicativi, le reti ed i circuiti delle affinità, gli stili di comando, l'influenza, la resistenza al cambiam ento, la creatività, le attitudini ed i ruoli. In tali trattazioni, gli autori riescono, in modo suggestivo e sufficientem ente convincente, a riproporre la griglia pre­ cedentem ente elaborata, griglia che nella com plessità dei suoi presupposti teorici e culturali si presta d 'altra parte a m ettere in rilievo ed a collegare tra loro problem atiche di difficile intersezione (vedi, ad esempio, il tem a dell'an­ goscia e del legame visto in uno psicologo sociale come Pagès o la trattazione del tem a classico della m entalità di gruppo). Meno facile appare invece il capitolo introduttivo alla te r­ za parte del libro. Esso è costituito da una rassegna rapi­ da ed un po' appiattente che — sotto il titolo generale di VI

Elem enti di dinamica comparata dei gruppi — compie una veloce carrellata su una serie di fenomeni (le società ani­ mali, la famiglia, i gruppi infantili, ecc.) che avrebbero me­ ritato maggiore approfondimento. Tale capitolo si giustifi­ ca comunque, insieme a quello sulle applicazioni profes­ sionali, come utile introduzione alla parte dedicata alla psi­ coterapia di gruppo. k k k

È questo, come è noto, il settore cui Anzieu ha, successiva­ mente, fornito gli apporti più consistenti ed originali. Desideriamo ricordare alcuni suoi volumi: Le groupe et Vincoscient (1976 e 1981; tr. it. Roma, Boria, 1979) opera in cui egli ricerca con maggiore accuratezza i punti di artico­ lazione con Freud; Le travail psychanalityque dans les grou­ pes (1972; tr. it. Roma, Armando, 1975) testo program m atico scritto in collaborazione con A. Bejerano, R. Kaës, A. Missenard, J.-B. Pontalis; Le Moi-Peau (1985; tr. it. Roma, Boria, 1987) e Les Enveloppes Psychiques (1987) libri non specificamente dedicati ai gruppi, ma dai quali possono essere estratte preziose indicazioni per questo tema. Vorremmo però anche evocare — facendo ricorso alla no­ stra esperienza di lavoro con Anzieu — il suo modo di av­ vicinarsi al gruppo ed agli individui che ne fanno parte. Anzieu ha un dono (che riesce in parte a comunicare e tra ­ smettere): essere ugualm ente attento a quanto accade nel collettivo e a ciò che di personale ciascuno dei mem bri sta vivendo. Alla sua attenzione, ogni persona non si presenta come una monade imm essa o imm ersa nel micro-universo del grup­ po; non vi è però neanche confusione tra «collettivo» ed «individuale». Ascoltandolo, m entre illustra ed interpreta una seduta, è come se si divenisse capaci di vedere come i fili del discor­ so prendono i colori delle emozioni e delle tensioni grup­ pali, attraversano le storie personali e le determ inanti con­ sapevoli ed inconscie di ognuno dei membri, si dispongo­ no secondo le geometrie ed i livelli del sogno, delle libere associazioni, dei pensieri.

VII

* * *

Riteniamo in definitiva che proporre al lettore italiano que­ st'opera abbia un senso in quanto l'attenzione alle esigen­ ze di fondazione teorica (specialmente filosofico-sociale, vedi Sartre), la m essa a punto di una vastissim a e variegata gamma di esperienze di gruppo e l'equilibrato apporto psi­ coanalitico, perm ettono di m ettere in atto criteri di sele­ zione del m ateriale, che pu r senza trascu rare i fondam en­ tali contributi della ricerca em pirica e di laboratorio, non si lim itano tuttavia né ad aride elencazioni dei medesimi, né a minuziose discussioni delle loro attendibilità. Il che vuol dire che la costruzione di uno scenario così ampio è di per sé prem essa indispensabile al ridim ensionam ento di quel particolare tipo di ricerca em pirica sui gruppi, di provenienza essenzialmente statunitense, che ha dom inato le abituali trattazioni sulla m ateria. Non fosse che per que­ sto motivo l'opera si presenta non solo come utile stru ­ m ento di informazione, ma altresì come suggestiva lettu ra di una dinam ica così complessa come quella dei «gruppi ristretti». N. D azzi e C. N e r i Università «La Sapienza» - Roma

V ili

Il piccolo gruppo rappresenta per gli esseri um ani un luo­ go sim ultaneam ente o alternativam ente investito di spe­ ranze e di minacce. Tra la vita intim a (quella della coppia o del raccoglim ento solitario) e la vita sociale (retta dalle rappresentazioni e dalle istituzioni collettive) il piccolo gruppo può fornire uno spazio interm edio che ridà vita ai legami e regola le indispensabili distanze tra Tindividuo e la società. Sem pre più da un secolo a questo parte, il piccolo gruppo è divenuto un oggetto di riflessioni e di osservazioni da parte di specialisti in filosofia politica, sociologia, etnolo­ gia, etologia, psicologia, psicoanalisi. Negli Stati Uniti è nata una scienza sperimentale, scienza per cui K urt Lewin, tra il 1939 e il 1945, ha proposto una metodologia, delle ipotesi ed una denominazione: la dinamica dei grup­ pi. Questa scienza si è sviluppata in modo rapido e ram ifi­ cato. Un filone si è attenuto a ricerche fondate su principi behavioristi e/o cognitivisti. Un altro ha spinto il più lon­ tano possibile l'analogia lewiniana del gruppo psicologico e dei campi di forza in fisica. Un terzo si è am pliato inte­ grando gli apporti dello psicodram m a e della sociom etria di Moreno, riprendendo Tobiettivo lewiniano di fare del piccolo gruppo condotto non direttivam ente (e cioè «de­ m ocraticamente») un «laboratorio di choch» che favorisce il cam biam ento sociale e rende possibile un intervento psi­ cologico nelle organizzazioni economiche e nelle istituzio­ ni educative o di cura. Un quarto filone ha introdotto un lavoro di tipo sistem aticam ente psicoanalitico non solo nei gruppi psicoterapici, ma anche nei gruppi di formazione

tesi alla sensibilizzazione e al perfezionam ento psicologico degli adulti. Uno sviluppo così proteiform e non poteva non suscitare entusiasm i e obiezioni, successi e disillusioni, in­ terrogativi e discussioni che il presente lavoro si propone di riferire nei punti essenziali. Per ironia della sorte, la prim a edizione venne pubblicata nel maggio 1968, nel momento in cui, sotto una form a «sel­ vaggia», la dinam ica dei gruppi veniva ad essere concreta­ m ente scoperta da molti francesi. Questa coincidenza ci ha fatto vedere come fosse ora di pubblicare anche nel nostro paese un resoconto sullo stato di questa scienza che negli Stati Uniti, a partire dal 1953, e in m isura minore in Inghilterra, aveva prodotto un fiorire di pubblicazioni di strum enti di lavoro, di risultati di ricerca, di lavori di sintesi. L'accoglienza incontrata dal nostro lavoro ci ha incorag­ giati a com pletarlo e perfezionarlo nelle diverse successi­ ve edizioni. La prospettiva lew iniana sem brava stagnante. L'indagine psicoanalitica si sviluppava di continuo, gli ap­ procci linguistico e cognitivista, per un momento pieni di speranza, si rivelavano deludenti. Nonostante la mancanza di rigore teorico e tecnico (o forse proprio a causa di que­ sta m ancanza di rigore) nell'E uropa occidentale si diffon­ devano da Esalen, in California, dove la maggior parte di essi erano nati, metodi di gruppo non verbali (espressione corporea, grido prim ario, bio-energia, meditazione trascen­ dentale, ecc.). Si levavano severe critiche sia contro il las­ sismo dei clinici sia contro la ristrettezza di vedute degli sperim entalisti, critiche che nascevano sia da presupposti epistemologici sia da un retro te rra politico. In ogni caso, l'im precisione concettuale, la scarsa validità di molte ipo­ tesi, il pervertim ento degli obiettivi venivano giustam ente denunciati o m eritavano di esserlo. Diveniva necessario ripensare il presente lavoro tenendo conto di una triplice necessità: un aggiornam ento più pre­ ciso, un am pliam ento in un senso pluridisciplinare delle prospettive offerte, un rim aneggiam ento dell'insieme. L'aggiornam ento che qui presentiam o non ha la pretesa di essere esaustivo: non basterebbe un tra tta to di diversi volumi. Invece abbiamo dovuto, per risparm iare spazio, ab­ bandonare a m alincuore una bibliografia sistem atica la cui crescita si faceva esponenziale. D'altro canto, abbiamo cer­ cato di attenerci al maggior rigore semantico possibile nella 6

scelta di una term inologia e nella definizione dei concetti, ad esempio quello di potere. A questo prezzo, abbiam o po­ tuto superare i limiti tradizionali della psicologia sociale e far riferim ento ad altre discipline, quali l'antropologia sociale, la sociologia o la teoria dell'organizzazione. Que­ sto, senza trascu rare le ricerche sperim entali e le critiche salutari di S. Moscovici, raccolte nel suo libro Psicologia delle minoranze attive (1979), di cui ci è sem brato necessa­ rio tener conto in diversi passaggi. Abbiamo così sviluppa­ to ampiamente gli aspetti specifici dell'affettività e dell'ag­ gressività nei gruppi ristretti. Abbiamo aggiunto degli am­ pliam enti più brevi sulle teorie cognitiviste, sulla creativi­ tà del lavoro in gruppo, sulla finestra Johari, sulla natura del dialogo, ecc. Questa concezione allargata imponeva un rim aneggiam en­ to profondo, che ci ha portato a suddividere questa nuova opera in tre parti. La prim a tra tta del gruppo ristretto: concetto, storia, teorie, metodi; vi si troveranno in partico­ lare, esposti nel modo più completo e sistematico, i risul­ tati dell'approccio psiconalitico alla dinam ica dei gruppi. La seconda si collega ai principali fenomeni di gruppo, in quanto oggetto di definizioni operazionali e di studi validati. L'ultim a costituisce una introduzione ad alcuni cam ­ pi di applicazione; anche qui è stato necessario alleggeri­ re, rispetto alle precedenti edizioni, in particolare abolen­ do il lungo paragrafo riguardante il gruppo sociale, per far posto a nuove pratiche in pieno sviluppo: la terapia familiare, la gruppo-analisi, i gruppi Balint, l'analisi tra n ­ sazionale, l'analisi transizionale (da non confondere con la precedente), le «nuove terapie» a base essenzialmente corporea. I due autori si sono suddivisi il compito a seconda della proprie preferenze e delle rispettive esperienze. La prim a parte sul «gruppo» e la terza parte sulle «Applicazioni» sono state principalm ente redatte da Didier Anzieu. La se­ conda parte sui «fenomeni di gruppo», la modificazione della bibliografia sono dovute soprattutto a Jacques-Yves M artin. Ma lo scambio di idee, di informazioni e di criti­ che è stato, nel corso di tutto il lavoro, costante. Jean Muller, Guy Serraf, H ubert Touzard hanno per lungo tem po collaborato con noi in seno al C.E.F.F.R.A.P. nella pratica dei gruppi, nella ricerca attiva e nei compiti di in­ segnamento. Siamo loro debitori di diversi docum enti me-

todologici presentati negli «Allegati» ed esprim iam o loro la nostra riconoscenza per averci autorizzato a proseguir­ ne la pubblicazione. Abbiamo infine semplificato l'apparato bibliografico, to­ gliendo la num erazione decimale ed alleggerendo la biblio­ grafia generale che compare alla fine del lavoro. Una bi­ bliografia speciale è stata invece posta alla fine di ognuna delle tre parti. I riferim enti bibliografici, nel testo, sono di tre tipi: se si tra tta di un riferim ento puntuale, l'indica­ zione bibliografica è posta a piè di pagina, se è più im por­ tante compare sia nella bibliografia speciale (in questo ca­ so il nome dell'autore è seguito, tra parentesi e in caratte­ ri romani, dalla data di pubblicazione) sia nella bibliogra­ fia generale (in questo caso il nome dell'autore è seguito, tra virgolette e in corsivo, dalla data di pubblicazione). Dedichiamo la settim a edizione rivista (1982) alla m em oria di Angelo Béjarano (1909-1981) che fu, per noi due, un col­ lega fidato, un amico prezioso ed una intelligenza stim o­ lante sempre in azione.

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Per questa riedizione, di tre anni successiva alla preceden­ te, gli autori si sono lim itati alle necessarie correzioni e alle indispensabili aggiunte. Inoltre, hanno proceduto ad un aggiornamento dei principali temi presentati e della bi­ bliografia, in rapida evoluzione. Estate 1985 D.A. e J.Y.M.

9

parte prima

Il gruppo e i gruppi

Capitolo primo

Il concetto di gruppo

Etimologia Il term ine francese groupe è recente. Deriva dall'italiano groppo o gruppo. Termine tecnico delle belle arti, che desi­ gna num erosi elementi, dipinti o scolpiti, costituenti un tema. Tale term ine è stato im portato, di ritorno da una perm anenza in Italia, da alcuni artisti francesi, quali un certo M ansart, verso la m età del XVII secolo. Il term ine groupe compare per la prim a volta in un testo scritto nella traduzione (1668), ad opera di R. de Piles, del tra tta to De arte graphica di Du Fresnoy: si tra tta di un term ine di la­ boratorio. Il term ine compare invece per la prim a volta in un testo letterario in uno scritto poco conosciuto di Mo­ lière, il Poème du Val-de-Grace (1669) in cui l'autore comi­ co prende le difese dell'amico defunto, l'architetto Man­ sart e descrive l'affresco della cupola del pittore M ignard piccandosi di impiegare nozioni tecniche: «Una nobile distribuzione di gruppi contrastati che si attribuiscono con equilibrio nel campo del quadro... ma dove, senza premere il gruppo si avvicina e forma un dolce concerto, si costituisce un beH'insieme».

Il term ine si diffonde velocemente nella lingua corrente e designa un insieme di elementi, una categoria di esseri o di oggetti. È soltanto verso la m età del XVIII secolo che groupe desi­ gna una riunione di persone. Due testi di M armontel e di Mme de Genlis citati da Littré, ne costituirebbero le prim e 13

manifestazioni s c ritte 1. Nello stesso periodo, term ini simi­ li si impongono in tedesco e in inglese (gruppe, group). È da notare che le lingue antiche non disponevano di alcun term ine per designare una associazione in num ero ristre t­ to di persone impegnate nel conseguim ento di obiettivi co­ muni. Si pensa facilmente all'opposizione individuo-società; non si pensa naturalm ente invece in term ini di gruppo, m entre poi la vita e le attività si svolgono, il più delle vol­ te, airinterno di agglom erati ristretti. In che modo l'origine del term ine può darci dei chiarim en­ ti circa i suoi significati latenti ? Il significato prim ario dell'italiano groppo era «nodo», prim a di divenire «riunio­ ne» «assemblaggio». I linguisti lo avvicinano all'antico pro­ venzale grop = nodo e suppongono che esso derivi dal ger­ manico occidentale kruppa = m assa arrotondata. Sembra, d'altro canto, che groupe e croupe abbiano come identica origine l'idea di un tondo. L'etimologia ci offre così due linee di forza che ritroviam o durante tu tta la riflessione sui gruppi, il nodo e il tondo. Il senso prim ario di nodo si è a poco a poco trasferito nel gruppo fino a connotare il grado di coesione tra i membri. Tondo, a sua volta ha designato ben presto nel francese moderno, una riunione (questo term ine, più tardo, compa­ re nel XVI secolo) di persone o, per conservare la stessa immagine, un circolo di persone. E. Rostand, nel Cirano di Bergerac, ha abilm ente giustapposto i due term ini: «Attraversando i gruppi e i tondi faccio suonare le verità com e degli speroni».

L'idea forza qui è quella del gruppo di eguali12. Bisogne­ rebbe compiere uno studio sulla sua evoluzione storica e sul suo valore simbolico: si trattereb b e di una tradizione celtica (i cavalieri della tavola rotonda) ripresa dall'ordine dei Tem plari (l'altare delle loro chiese aveva form a circo­ lare, così che tu tti i cavalieri stavano in prim a fila durante la messa, e tu tti alla stessa distanza da Dio). Sarebbe utile 1 Uno studio lessicale e semantico più approfondito del termine grup­ po è contenuto in Anzieu (1964, pp. 399-401 e 422-424). Uno studio dei termini Seminario, Sessione, Stage si trova in Kaës (1974 a). 2 Cf. G. Poulet, Les métamorfoses du cercle (Plon, 1963).

un 'altra ricerca sul term ine groupe nelle lingue non occi­ dentali. Resistenze epistemologiche al concetto di gruppo Il term ine gruppo è uno dei più confusi della lingua fran­ cese; Tinglese e il tedesco non si trovano in un situazione migliore. Abbiamo visto, dalla storia delle lingue, che si tra tta di un term ine recente. Il concetto oggettivo di grup-. po, cioè, fondam ento di una scienza delle associazioni, dei comitati, delle équipe, è emerso lentam ente nella storia del pensiero. Questo lavoro di oggettivazione è disturbato da pregiudizi individuali e collettivi che è utile, in via preli­ minare, cercare di chiarire. Alcuni di questi pregiudizi so­ no di tipo psicologico e psicoanalitico. Una indagine della Association Française pour l'Accroisse­ m ent de la Productivité (1961) sulle rappresentazioni col­ lettive del gruppo ci m ette sulla buona strada: «Il concetto di gruppo è inesistente per la maggior parte delle persone. Il gruppo è effimero, dominato dal caso. Esistono soltanto le relazioni interindividuali». Le relazioni psicologiche spon­ tanee tra le persone, che si instaurano nell'am bito della vita professionale e sociale sono vissute dagli interessati come derivanti essenzialmente dal carattere, buono o cat­ tivo, degli individui. I fenomeni di gruppo vengono misco­ nosciuti nella loro specificità: tu tto viene ricondotto a pro­ blemi di persone. Le relazioni interindividuali vengono per­ cepite in m aniera statica. La soluzione per problem i che sorgono in queste relazioni generalm ente è che gli altri do­ vrebbero m odificarsi. Non viene affatto messo in discus­ sione né m odificare se stessi né analizzare la situazione totale di cui i protagonisti fanno parte né agire sulle varia­ bili di questa situazione. La paura di ripensare la propria situazione in un nuovo quadro di riferim ento, ed essere così messi in discussione, costituisce uno degli aspetti del­ la resistenza epistemologica al concetto di gruppo. Un altro aspetto di questa difficoltà dipende dalla difficol­ tà generale, in ogni essere umano, a decentrarsi. Il gruppo è utile, perfino necessario, dichiarano le persone prese in considerazione dall'inchiesta: si è più efficaci insieme che da soli; il gruppo è l'interm ediario tra l'individuo e la so­ cietà. Ma su un altro piano, dicono le stesse persone, il

gruppo è una alienazione per la personalità individuale: è dannoso per la dignità, la libertà, l'autonom ia personale; rischia di provocare una «violazione» della personalità. I rapporti um ani nei gruppi non possono essere che dei rap­ porti da m anipolatore a m anipolato, cioè secondo una mo­ dalità sado-masochista. Freud amava dire che il narcisism o dell'essere um ano in­ nalza l'ostacolo più solido al progresso delle conoscenze: l'astronom ia, la biologia, la psicoanalisi hanno potuto co­ stituirsi in scienza solo dopo aver superato le credenze spontanee secondo cui la terra è il centro dell'universo; l'uomo, il re del regno animale; l'Io cosciente, il centro della personalità. Scacciato dalle scienze della natura, l'am or proprio si è rifugiato nelle scienze sociali. La psicoa­ nalisi lo ha sloggiato dalla vita psichica. La dinam ica dei gruppi si batte per espellere l'am or proprio um ano da que­ sto nuovo regno. La resistenza epistemologica al concetto di gruppo provie­ ne dalla resistenza dell'uom o contem poraneo alla vita in gruppo. L'indagine della A.F.A.P. porta ad un'analoga con­ clusione: «È possibile classificare i diversi tipi di gruppi su uno stesso continuum i cui livelli sarebbero i seguenti: l'individuo, il gruppo di amici, l'équipe di lavoro, le istitu­ zioni, la società. Le ipotesi fatte a questo proposito sono: un individuo accetta i livelli che precedono quello in cui egli si situa e rifiuta quelli che lo seguono» (per esempio, accetta calorosam ente il gruppo di amici m a subisce come una costrizione il gruppo di lavoro). «Considera il proprio capo come colui che protegge il gruppo dalle influenze del livello successivo, che evita la contaminazione». È un pec­ cato che gli autori di questa indagine non abbiano pensato all'ipotesi freudiana che qui si impone: il gruppo appare ad ognuno dei m em bri che lo compone come un ostacolo al perseguim ento di un rapporto privilegiato a due con il leader o con un altro membro, cioè come un ostacolo alla realizzazione dei desideri incestuosi edipici. Ricordiamo inoltre le angosce prim itive (angoscia di persecuzione, an­ goscia depressiva, angoscia di spezzettam ento del proprio corpo, angoscia nei confronti del desiderio di una fusione sim biotica nel gruppo, annullante per la personalità indi­ viduale) che lo studio psicoanalitico dei gruppi ha posto in evidenza. Altri pregiudizi sono di ordine sociologico. Assumono ca­ lò

ratteristiche particolari a seconda della form a della cultu­ ra in cui vivono i gruppi. Alcune forme della vita in gruppo non risvegliano, nei p ar­ tecipanti, alcuna coscienza differenziatrice di cosa sia un gruppo: il gruppo viene vissuto come dato, come inevitabi­ le, naturale, perm anente, come precedente e superiore alrindividuo; il gruppo è un fatto globale di cui l'individuo è una parte interna, abbastanza indistinta; la parte tende alla fusione con il tutto; l'individuo non si pone quesiti sul gruppo, vive nel, attraverso e per il gruppo. Di questo tipo sono i gruppi in cui si entra per nascita, dove esistono prospettive differenti dalla coabitazione, il lavoro in co­ mune, le distrazioni in comune, la ricerca o la produzione in comune dei mezzi di sussistenza e la difesa del territo ­ rio (famiglia, clan, tribù, villaggio); l'individuo isolato dal gruppo per cause accidentali o per punizione non sa so­ pravvivere e muore. Regole sociali indiscusse stabiliscono le differenziazioni dei ruoli; capi investiti di autorità, an­ ziani, consiglieri dei capi; sciamani, preti e stregoni chia­ m ati a risolvere i dram m i individuali e collettivi. Esse fis­ sano anche la divisione dei compiti economici e sociali: caccia, guerra, agricoltura, allevamento dei figli, ecc. Tali gruppi sono più o meno chiusi su se stessi ed in stato di guerra latente o aperta con gruppi vicini rivali. Regole di scambio fissano la divisione delle donne e delle m erci al­ l'interno del gruppo e portano a diversi tipi di alleanza, di subordinazione e di reciprocità tra i gruppi. Qui si innesta una nuova resistenza epistemologica deri­ vante dal totalitarism o gruppale: un gruppo è fatto per es­ sere vissuto totalm ente, non per essere studiato, cioè per­ ché uno dei suoi m em bri prenda da esso distanza o perché uno straniero vi si introduca per pura curiosità. U n'altra resistenza è legata all'atteggiam ento delle grandi organizzazioni collettive (imperi, Stati, eserciti, ordini reli­ giosi) nei confronti dei piccoli gruppi. Si appoggiano su diversi gruppi che forniscono loro beni e uomini; li favori­ scono, cercando al tempo stesso di minimizzare i partico­ larism i locali, le aspirazioni all'indipendenza i problemi in­ terni tra questi gruppi vicini; ne accentuano inoltre il ca­ rattere sedentario, fissandoli in regioni di coltivazione, di allevamento, di caccia, di pesca, cioè in una form a di vita rurale, ne ordinano le migrazioni massive che come ora sappiamo, erano costituite, anche nelle epoche dette di gran-

di invasioni, da lenti movimenti di spostam ento. Quando una civiltà in espansione ne colonizza delle altre, essa im­ pianta nei territo ri conquistati dei gruppi del tipo: vetera­ ni dell'esercito a cui vengono date delle terre e che si spo­ sano sul posto, famiglie di m odesta condizione, avventu­ rieri, fuori-legge, minoranze, e devianti che partono per scoprire terre nuove, com m ercianti, navigatori e m issiona­ ri che installano delle filiali locali. Al tem po stesso, lo sta­ to vincitore favorisce passivam ente o scatena attivam ente l'indebolimento e la dispersione dei gruppi della civiltà vin­ ta: restrizioni di diritti e di attività, m atrim oni misti, spo­ stam ento delle popolazioni, fram mentazione dei gruppi me­ diante la dispersione degli individui esiliati o fatti schiavi/ Inversamente, in proporzione a quanto i gruppi della civil­ tà si sono m antenuti num erosi e vivaci, un rinnovam ento nazionale può, in seguito, prodursi e scatenare una lotta eventualm ente vittoriosa per l'indipendenza. Quando una società rigetta dal proprio interno una m inoranza razziale, religiosa, socio-economica, ideologica, quest'ultim a riesce a sopravvivere soltanto dando nascita altrove a gruppi del genere. Per la società nel suo insieme, il gruppo ristretto è una forza al suo servizio, ma può rivoltarsi contro di essa. Da cui la diffidenza che la m aggior p arte delle civiltà ha di­ m ostrato nei confronti dei piccoli gruppi spontanei, la dif­ fidenza delle chiese nei confronti delle sette, degli eserciti nei confronti delle bande di franchi tiratori, dei p artiti po­ litici nei confronti delle riunioni di corrente, dei governan­ ti o degli am m inistratori nei confronti dell'autogestione, dei professori nei confronti del lavoro di gruppo: ogni grup­ po che si isola è un gruppo che cospira, o che può cospira­ re. Lo Stato si presenta all'individuo come il vero Bene e gli fa vedere la vita in gruppo autonom o come un danno virtuale. Queste diverse resistenze epistemologiche ad uno studio oggettivo dei gruppi starebbero ad indicare un indirizzo di cui d'altro canto B achelard ha dim ostrato la fecondità: una comprensione psicoanalitica delle rappresentazioni pre­ scientifiche del gruppo. Le rappresentazioni spontanee che ogni individuo ha del gruppo in generale o di un certo grup­ po in particolare sono rappresentazioni im m aginarie, cioè non fondate su un'analisi razionale della realtà. L'indivi­ duo non ha, in genere, coscienza delle proprie rappresen-

tazioni; vi aderisce come ad un credo; sono necessarie espe­ rienze molto particolari come il gruppo diagnostico, per farle venire alla luce. Il loro riconoscim ento viene pagato con un prezzo psicologicamente alto: contrapposizioni e ten­ sioni tra gli individui all'interno di una riunione o di un gruppo, torm enti interiori nell'interessato per giungere a spezzare i propri idoli. Anche se non per questo tali rap­ presentazioni sono meno efficaci: è in funzione di simili rappresentazioni molto più che in funzione della situazio­ ne reale in cui il gruppo si trova ad un momento dato, che i mem bri di questo gruppo reagiscono. Le rappresentazioni sociali del gruppo Così per l'inconscio individuale, il gruppo è una superficie proiettiva per l'inconscio sociale. È uno specchio a due fac­ ce, come l'Io a cui Freud attribuisce un duplice superficie, interna e esterna, che ne fa una m em brana sensibile sia alla realtà m ateriale sia alla realtà psichica. A partire dal 1955, data in cui sono stati sviluppati in Francia metodi di gruppo per la formazione degli adulti, i conduttori di gruppi hanno potuto, ascoltando ciò che veniva spontanea­ m ente detto nelle sedute, rendersi conto meglio che sulla base di sondaggi di opinione, delle linee di forza che anda­ vano determ inando l'evoluzione delle idee e dei costum i nel nostro paese: opposizione alla pena di morte, ostilità crescente alla continuazione della guerra in Algeria, affer­ mazione del diritto delle donne alla contraccezione e all'a­ borto, rivendicazione dell'autogestione e poi all'ecologia, infine esigenza di prendere in considerazione il corpo co­ me sede della soggettività e come strum ento prim ario del contatto e dello scambio con l'altro. Alcune rappresentazioni del gruppo, veicolate dal folklore, dalla letteratura, dalla religione, o ispirate da certe scien­ ze o tecniche, sono divenute dei fatti psichici collettivi, che impregnano il pensiero, orientano l'azione e sottendono le fantasie sui gruppi. R. Kaës (1974b, 1974c, 1974d, 1976) ha proposto analisi di contenuti di documenti in cui si tro ­ vano, allo stato implicito, queste rappresentazioni sociali immaginarie. Anche noi abbiamo dato delle indicazioni in questo senso (Anzieu, 1964), [1981]. Notiamo incidentalmente alcuni dei temi che comporrebbero la preistoria della scien19

za gruppale: l'orda, il villaggio, la comune, l'ultim a cena, la società segreta, la cospirazione, la setta, la corporazio­ ne massonica, la sagra delle streghe o la caccia alle stre­ ghe, la Notte di San Bartolomeo, il Terrore, la Torre di Babele, la locanda spagnola, la capanna dei folli, la corte dei miracoli, la zattera di Medusa, la spedizione degli Ar­ gonauti,. il paradiso dei fum atori di hascisc, ecc. Nelle di­ verse età e nei differenti paesi, si è sem pre parlato del gruppo, ma per m etafore. E quando è stata abbozzata una teoria scientifica del gruppo sono ancora due metafore quel­ le che si sono imposte, che si impongono ancora fortem en­ te: una biologica, l'altra meccanica: il gruppo come orga­ nismo vivente, dove il m orale collettivo è pensato in analo­ gia con l'interdipendenza degli organi e dei tessuti, e il gruppo come m acchina asservita, dove l'autogestione so­ ciale è rappresentata in analogia con il feed-back ciberne­ tico. Queste m etafore non sono prive di senso. Ma non si fonda una scienza su delle semplici comparazioni. I concetti delle scienze sociali corrispondono spesso a ten­ tativi di soluzione delle crisi che sorgono nelle società e nelle loro culture. È quanto si è verificato per il concetto di dinamica di gruppo. Non è un caso che sia stata inventata nel 1944, in piena guerra mondiale, da K urt Lewin, uno psicologo sperim eiitalista tedesco em igrato da circa quin­ dici anni in America. Secondo il suo autore, si trattava della revisione di un postulato individualista: le condotte um a­ ne si rivelano come la risultante del campo non solo delle forze psicologiche individuali — ipotesi su cui Lewin ave­ va lavorato fino alTarrivo di H itler al potere — m a delle forze proprie al gruppo a cui l'individuo appartiene. Per la democrazia am ericana, in lotta per la propria sopravvi­ venza di fronte alle aggressioni tedesche e giapponesi, si trattav a di com prendere come un fenomeno quale il fasci­ smo e il nazismo fosse potuto essere psicologicamene pos­ sibile e come prevenirne il ritorno. La prim a ricerca in laboratorio, su piccoli gruppi artificialm ente creati, realiz­ zata da Lewin e i suoi due collaboratori, Lippitt e White, aveva dim ostrato sperim entalm ente, già dal 1939, la su­ periorità della condotta dem ocratica sulla condotta auto­ cratica o sulla condotta «lassista», sia dal punto di vista dell'efficacia del lavoro che da quello della soddisfazione dei partecipanti a lavorare insieme (cfr. pp. 82 e 225). R ipetuta in altri paesi in epoche diverse, questo tipo di

sperim entazione ha prodotto risultati variabili. Il successo o il fallim ento di alcune esperienze di gruppo dipende in effetti dal loro inserim ento buono o cattivo all'interno di una mitologia sociale spesso inconscia. Sperim entali o cli­ nici, i lavori di ricerca o di applicazione condotti sui pic­ coli gruppi li isolano arbitrariam ente dal tessuto sociale con cui essi si collegano e trascurano le tradizioni cultura­ li di cui coloro che partecipano ai gruppi, coloro che li osservano e li animano, si fanno inconsciamente dei rap­ presentanti a ttiv i3. L'infatuazione am ericana per il picco­ lo gruppo unisce un tem a sociologico (il gruppo appare come l'antidoto alla massificazione sociale) ad un tem a re­ ligioso ereditato dai prim i coloni quaccheri (l'appropria­ zione della verità costituisce un compito collettivo). Durante questo stesso periodo e nonostante la destaliniz­ zazione l'URSS e i paesi adepti della democrazia sociale sono stati molto prudenti nei confronti della dinam ica dei gruppi, sospettata di essere sia una scienza capitalista sia un'arm a nelle mani dei partigiani di una liberalizzazione im prudente del regime comunista. Queste critiche dottri­ nali si radicano su un vecchio fondo di diffidenza persecu­ toria dello stato nei confronti di clan e frazioni4. La Chie­ sa Cattolica, passata l'epoca eroica delle prim e com unità cristiane poi dei prim i m onasteri benedettini, aveva, mol­ to prima, dato prova di un analogo sospetto nei confronti delle sette a cui il protestantesim o si è invece m ostrato più favorevole. La m ancanza di interesse scientifico e p ra­ tico per il piccolo gruppo caratterizza ugualm ente i paesi m usulmani. U n'altra grande rappresentazione sociale del gruppo si in­ scrive nella tradizione anarchica a cui gli avvenimenti del maggio 1968 hanno ridato vigore. Il gruppo è concepito come autoregolantesi e come autogestito. Tutti i mem bri 3 Ne vengono riferiti alcuni esempi nella Introduzione di Anzieu al numero speciale del 1974 del Bulletin de Psychologie, dedicato ai grup­ pi, vedi in particolare pp. 4 e 5. 4 In Francia, una esemplificazione di queste critiche di ispirazione marxista è offerta da G. De Montmollin, Réflexions sur l'étude et l'utilisation dés petits groupes, Bull. C.E.R.P., 1959, 8, 293-310, e 1960, 9, 109-122; J. D. Poitou, La dynamique des groupes, une idéologie au travail, Paris, Ed. del C.N.R.S., 1978; M. Cornaton, Rapports de pou­ voir et rélation d ’a utorìté en matière d ’éducation et de formation, Lyon, ed. L'Hermès, 1976. 21

sono uguali, ugualm ente adatti a tu tti i compiti ed hanno tu tti lo stesso peso. Il gruppo, o piuttosto il «collettivo», è il mezzo per realizzare i desideri su cui i m em bri si sono accordati. Le deleghe che dà ad uno dei suoi m em bri per adem piere determ inati compiti sono provvisorie. L'esper­ to (il m aestro se si tra tta di una classe) è al servizio del collettivo, scelto da questo e può essere revocato. Un tale funzionamento dei gruppi rim anda sia alla democrazia di­ retta sia all'utopia societaria. L'introduzione di gruppi au­ togestiti nelle organizzazioni sociali può esercitare un ef­ fetto di choc che può scuoterli fino a disgregarli: un punto di vista di cui G. L apassade5 si è fatto in Francia prom o­ tore. Il piccolo gruppo è non solo una tecnica di cam bia­ mento controllato ma un esplosivo rivoluzionario. Dal 1960, nella Critica della ragione dialettica, Sartre, analizzando le giornate del luglio 1789, dim ostrava come i popolani, facendo all'interno di raggruppam enti spontanei l'esperien­ za concreta della libertà, uguaglianza e fraternità, avessero saputo improvvisare una sommossa trionfante. Qui ci tro ­ viamo in u n 'altra tradizione culturale, laica e non più cri­ stiana, celto-germanica e non greco-latina, di cui i galli del­ l'antichità, i cavalieri della Tavola Rotonda nel Medio-Evo e i giacobini al lim ite dell'epoca contem poranea rappre­ sentano i derivati. Un'ultim a rappresentazione collettiva im portante del grup­ po è quella di una com unità unita attorno ad un capo, im­ posto ed «eletto» al tem po stesso. È il B und, il capo cari­ smatico caro alla sociologia tedesca. Freud, anch'egli uo­ mo di cultura germ anica, dim ostra, nel 1921, in Psicologia di massa e analisi delVIo, il meccanismo della duplice iden­ tificazione, nell'esercito o nella Chiesa, dei m em bri tra lo­ ro e con il capo come ideale dell'Io comune: versione laica dell'alleanza del popolo eletto con il proprio dio, modello interno con cui l'ebreo Freud si è dibattuto fino alla fine dei suoi giorni e che ha introdotto in modo com pletam ente naturale all'interno dell'organizzazione del movimento psi­ coanalitico. Ma a quale prezzo!

5 Vedi, ad esempio Groupes, organisations, institutions, GauthierVillars, 1967.

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Distinzioni delle cinque categorie fondamentali I fatti di gruppo si distinguono dai fatti psichici individua­ li perché si riferiscono ad una pluralità o ad un conglome­ rato di individui. Sono necessari due individui per fare una coppia e almeno tre per com porre un gruppo. Di fatto non esiste alcuna personalità normale che resti psicologicamen­ te isolata dalle altre e lo studio dei rapporti con l'altro è un capitolo necessario della psicologia individuale. Il gruppo comincia con la presenza di un terzo in una coppia e con i conseguenti fenomeni di coalizione, rifiuto, di mag­ gioranza, di minoranza. I fenomeni di gruppo si m anifesta­ no pienam ente soltanto a p artire da quattro membri: in un gruppo composto da quattro o più componenti il num e­ ro delle possibili relazioni due a due supera il num ero dei mem bri (fra tre persone A B C esistono tre relazioni possi­ bili: AB, AC, BC; tra quattro persone A, B, C, D, esistono sei relazioni possibili: AB, AC, AD, BC, BD, CD). Per altro i fatti di gruppo sono diversi dai fatti sociali per il fatto che la pluralità degli individui è, nel prim o caso, una pluralità di individui che sono presenti insieme (o che lo sono stati e se ne ricordano, o che sanno che lo saran­ no). La copresenza com porta effetti particolari. L'am bigui­ tà del term ine gruppo è d'altro canto rischiosa, poiché i sociologi parlano di gruppi sociali per designare, per esem­ pio, classi sociali o categorie sodali-economiche. Sarebbe auspicabile riservare l'uso scientifico del term ine gruppo a insieme di persone riunite o che possono e vogliono riunirsi. Una riunione o un gruppo di individui può assum ere moK teplici forme e nomi. Tra queste forme, è difficile stabilire distinzioni per il loro accavallarsi, per la dipendenza degli agglom erati um ani e l'im precisione degli strum enti scien­ tifici in questo ambito. Sem bra tuttavia emergere una con­ vergenza tra i lavori più diversi, dalla osservazione di so­ cietà animali fino all'analisi filosofico-politica del gruppo um ano secondo S artre (1960). Tale convergenza ci sem bra che imponga le cinque distinzioni seguenti. La folla. Quando degli individui si trovano riuniti in gran num ero (diverse centinaia o diverse migliaia) nello stesso posto, senza aver cercato esplicitam ente di riunirsi, si ha a che fare con fenomeni di folla. Ognuno tende a soddisfa-

re contem poraneam ente una stessa motivazione individua­ le. Da questa sim ultaneità su grande scala derivano feno­ meni particolari. Si cerca il sole, l'acqua, la sicurezza, la vendetta, la «buona novella» ecc., ci si incontra con altri bagnanti sulla stessa spiaggia, con altri credenti nello stesso luogo sacro, con altre m assaie al m ercato, con altri pas­ seggeri in attesa alla stazione, con altri cittadini ad una riunione elettorale, con altri curiosi ad un avvenimento ec­ citante, con altri spettatori ad una rappresentazione, con altri uomini in collera che linciano un uomo di un altro colore. Si parla di agglomerazione, di coorte, di assem bra­ mento, di concentrazione, di concerto, di concorso, di or­ da, di pellegrinaggio, di tum ulto. Le motivazioni possono essere ugualm ente negative: tu tti questi uom ini si trovano riuniti dalla stessa costrizione. A volte si tra tta di costri­ zioni sociali: contingente di reclute nel cortile di caserma, colonna di prigionieri, campi di persone sospette o depor­ tate, baccano di studenti ad un corso obbligatorio, infor­ nate o carrette di condannati, truppe di schiavi. A volte le costrizioni sono dovute ad avvenimenti: mucchi di so­ pravvissuti da una catastrofe, carovane di fuggiaschi, fiu­ mi di persone circondate da un incendio o da una inonda­ zione, imbottigliam enti, pigia pigia, sommosse spontanee. La situazione della folla sviluppa uno stato psicologico ti­ pico: a) la passività delle persone riunite nei confronti di tutto ciò che non ha a che vedere con la soddisfazione im­ m ediata della loro motivazione individuale; b) assenza o debole livello di contatti sociali e di relazioni interum ane; c) contagio delle emozioni e rapida propagazione all'insie­ me di una agitazione nata in un punto; d) stimolazione la­ tente prodotta dalla presenza dell'altro in dose massiva; e che può esplodere sotto form a di azioni collettive pas­ seggere e parossistiche, segnate dal m archio della violenza o dell'entusiasm o o che può invece indurre un'apatia col­ lettiva im perm eabile a quasi tu tti gli in terventi6. La nostra definizione della folla esclude le manifestazioni preparate in precedenza, che riuniscono dei seguaci inqua6 La psicologia delle folle non viene studiata nel presente lavoro. Ri­ mandiamo al classico e discutibile libro di Gustave Le Bon (1963). Una bibliografia moderna sul problema è contenuta in Stoetzel, La psychologie sociale (Flammarion, 1963, pp. 225-245). Il lavoro più re­ cente è il libro di S. Moscovici, L'âge des foules, Fayard, 1981.

drati da un servizio d'ordine. In questo caso, infatti, è in prim o piano il progetto di riunirsi. Nei partecipanti, e so­ prattutto negli organizzatori, è presente l'intenzione di pro­ vocare e di far esplodere i fenomeni della folla a vantaggio di obiettivi che sono quelli di un gruppo secondario. Si tra tta di un esempio dell'interferenza fra le diverse cate­ gorie gruppali che noi cerchiam o di distinguere. L'orga­ nizzazione delle folle è un problem a fam iliare ai dirigenti di movimenti politici e sociali, ai teorici dell'azione psico­ logica e ai responsabili delle forze di polizia e di sicurezza. W. A. Westley ha distinto, accanto alle folle organizzate, folle convenzionali che si riuniscono ad un'ora e in un luo­ go stabiliti o noto (auditori ed enti assistenziali; pubblico di una riunione, di una rappresentazione, di una m anife­ stazione; plotoni di corridori, bagnanti in una piscina; bal­ lerini in un ballo pubblico) e folle spontanee riunite da un incidente, dalle reazioni improvvise e facilm ente pericolo­ se, in cui all'inizio non esistono né capi, né organizzazione, né regole. I fenomeni di folla sono stati separati dai fenomeni di m as­ sa. Certamente, la presenza massiva di altri esseri umani è una causa essenziale di alcuni dei com portam enti con­ statati nella folla. Ma sarebbe auspicabile far uso del te r­ mine folla per ogni riunione spontanea o convenzionale di un gran num ero di persone e riservare l'espressione m as­ sa a tu tti i fenomeni di psicologia collettiva riguardante un num ero ancora più grande di persone, che non sono fisicam ente riunite né riunibili: la moda, l'opinione pub­ blica, la «voce pubblica», le correnti di pensiero, gli entu­ siasmi, i lettori di un giornale, gli ascoltatori di una tra ­ smissione radiofonica, gli amm iratori ed ammiratrici di una vedette, i lavoratori di una certa categoria, i giovani tra i tredici e i venti anni, gli am anti della musica o del brico­ lage costituiscono masse di questo tipo. Anche in questo caso gli specialisti dell'azione politica, sindacale, comm er­ ciale o pubblicitaria conoscono bene lo sforzo per organiz­ zare tali masse in raggruppam enti e riunirli in folle. La banda. La folla si definisce in base alla psicologia della sim ultaneità. Una folla ha in comune la solitudine. La ban­ da ha, invece, in comune la somiglianza. Quando degli in­ dividui si riuniscono volontariamente, per il piacere di stare insieme, per ricerca del simile, si ha a che fare con una

banda. Questo fenomeno è stato descritto negli animali con il nome di inter-attrazione (cfr. p. 304). Negli esseri um ani consiste nel ricercare nei «congeneri» gli stessi modi di sentire e di pensare che si hanno in sé e di cui non si è necessariam ente coscienti. Le bande di bam bini e di adole­ scenti, norm ali o delinquenti, sono le più conosciute. Il piacere di stare in banda deriva dal fatto che è soppres­ sa o sospesa l'esigenza di adattarsi, a prezzo di una tensio­ ne psichica penosa, ad un universo adulto e sociale e alle sue regole di pensiero e di condotta; la presenza di molte altre personalità omologhe a se stesso — per esempio a causa del sincretism o m entale ed affettivo, del basso livel­ lo intellettuale, del sentim ento di essere incom presi dai genitori o dagli adulti, dell'asocialità, delle tendenze per­ verse — perm ette di abbandonarsi ad essere se stessi sen­ za costrizioni né rim orsi e giustifica il fatto di essere come si è. Inoltre, la banda offre ai suoi membri, che d'altro canto ne sono privi, la sicurezza e il sostegno affettivi, cioè un sostituto dell'am ore. I bam bini trascu rati o abbandonti, le personalità anaffettive o deboli o am orali (bambini e adulti), gli individui privi di legami sentim entali e fam i­ liari, coloro che escono da com unità con forte disciplina in cui i loro bisogni affettivi non vengono soddisfatti (ospi­ ti di pensioni, soldati, m arinai) costituiscono, in modo del tutto naturale, delle bandé. N ell'adulto socialmente adat­ tato, la banda — banda di amici, allegri buontem poni, fe­ staioli, compagnie galanti, gaudenti — autorizza delle a tti­ vità che sono al lim ite delle regole sociali e morali: il gio­ co, il bere, il flirt, la licenza erotica, lo scandalo sulla pub­ blica strada, le canagliate, la distruzione di oggetti, l'oltraggio di certi valori (patriottici, religiosi). Tuttavia, le attività com piute in comune non appaiono come scopo essenziale della banda: lo scopo è quello di stare insieme perché si è simili. Fare qualcosa insieme è soltanto un'oc­ casione, un mezzo per provare intensam ente che si è insie­ me: il che d'altra parte può consistere nell'ascoltare dei dischi, raccontare delle storie, vedersi senza parlare. La banda è molto diversa dalla folla, per il num ero lim ita­ to dei suoi m em bri (alcune unità o alcune decine), per l'a t­ taccam ento dei m em bri alla propria collettività, per la sua maggiore durata. Tuttavia, la banda è fortem ente effime­ ra. Q entra in uno stato di torpore per ricostituirsi in oc­ casione di riunioni episodiche, oppure l'evoluzione psico-

logica individuale dei suoi m em bri la disgrega: alcuni m a­ turano, escono dall'adolescenza, si sposano, iniziano a la­ vorare e la bella somiglianza viene distrutta. Se si tra tta di delinquenti non recidivi, l'arresto dei capi basta in ge­ nere a disperderla. La banda diviene d u ratu ra se si trasform a in un gruppo prim ario ma allora cam bia caratteristiche: afferm a valori comuni (per esempio antisociali), privilegia la lealtà e la solidarietà dei suoi membri, ne differenzia i ruoli, fissa scopi differenti dal compiacimento collettivo a se stessi. La banda dei piccoli delinquenti diventa una gang; la ban­ da di ragazzi, alcuni brutali, gli altri effeminati, diventa una com unità di om osessuali7; la banda di compagni di scuola o di reggimento diventa una società anonim a a re­ sponsabilità lim itata. Negli animali, l'inter-attrazione raduna molti individui della stessa specie (le folle invece comprendono i rappresentan­ ti di molte specie): banchi di pesci, colonie di insetti, orde e truppe di mammiferi, nuvole o nugoli di cavallette o di farfalle, voli o storm i di uccelli. L'attività di queste bande si riduce in genere allo spostam ento in comune, in partico­ lare alle migrazioni. Gli zoologi sono stati colpiti dal fatto che un animale di una data specie, per lo meno tra gli insetti (locuste, caval­ lette) presenti caratteri fisici e psicologici differenti a se­ conda che viva isolato o in bande ed essi hanno chiam ato effetto di gruppo il fatto che nell'individuo isolato che si unisce ad una banda si verifichino cam biam enti di dimen­ sione, di colore e di form a di alcuni organi, cam biam enti che li portano ad assomigliare maggiormente ai propri con­ generi. Un effetto analogo è stato spesso descritto a propo­ sito delle bande umane: i mem bri tendono a m oltiplicare i segni di somiglianza nella postura (ad esempio la sciatte­ ria), l'abbigliam ento (giubbotto), la cura personale (petti­ natura), il linguaggio (gergo) gli oggetti esibiti (catene di bicicletta, autom obili sportive, ecc.). Il fenomeno della banda è stato illustrato nel celebre ro­ manzo umoristico di Jules Romains: Les copains (1913). Set­ te giovani si dedicavano alla gamma delle attività tipiche 7 Una descrizione di questa evoluzione all'interno di una scuola mi­ litare prussiana è offerta dal romanzo di R. Musil, I tormenti del gio­ vane Törless (1906). 27

di una banda normale: i giochi di società, sbevazzate, caro­ gnate, che nelle teorie unanim iste dell'autore sono volte a creare, per poi dissolvere, grandi sentim enti collettivi: m anovra m ilitare n otturna improvvisata, predica licenzio­ sa nella cattedrale, inaugurazione di una falsa statua di Vercingetorige. Gli amici celebrano le loro pittoresche av­ venture in un pic-nic finale. «Erano contenti di essere set­ te buoni compagni che camm inavano in fila, tenendo sul fianco o sulle spalle, da bere e da m angiare... Erano con­ tenti di essere sette buoni compagni, com pletam ente soli, perduti nel crepuscolo in una im m ensità non più um ana, a migliaia di passi dal prim o uomo... Erano contenti di aver agito insieme, di essere insieme in uno stesso posto della terra così da potersene ricordare». Uno di loro b rin ­ da al gruppo descrivendone le caratteristiche: potenza co­ struttiva e distruttiva, atto puro, libertà pura. «Ma non ho finito di dire le vostre qualità. Possedete anche, a p a rti­ re da questa sera, l'Unità suprem a. Essa si è costruita len­ tam ente. Ne ho seguito la gestazione. Questa sera, siete stati un dio unico in sette persone...». Il raggruppamento. Quando delle persone si riuniscono, che siano in num ero ridotto, medio o elevato (diverse decine o centinaia, raram ente diverse migliaia), con una frequen­ za di riunioni più o meno grande, con una perm anenza re­ lativa di obiettivi negli intervalli delle riunioni, costitui­ scono un raggruppamento. Gli obiettivi del raggruppam en­ to rispondono ad un interesse comune a tu tti i membri. Questi ne sono parzialm ente coscienti, m a la maggior p ar­ te non si fa carico attivam ente di questo interesse; ne fan­ no carico ai propri rappresentanti, ai propri dirigenti, per­ sino agli avvenimenti. Al di fuori della realizzazione degli scopi derivanti da questo interesse, i m em bri sono privi di legami e di contatti. Si potrebbe dire che questo loro obiettivo è comune ma che, individualm ente, non hanno nulla in comune; non se ne sono appropriati. La m aggior parte delle associazioni, sono di questo tipo. Potremmo enumerare, in m aniera non limitativa, altri esem­ pi: assemblea, coalizione, collettività, cam erate, colonie (di vacanze), compagnie, confraternite, frazioni, harem , legio­ ni, truppa, unità. A seconda del loro ambito di attività, i raggruppam enti assum ono nomi particolari:

— Ambito intellettuale ed artistico: accademia, cappella, circolo, club, scuola. — Ambito religioso: capitolo, concilio, conclave, confrater­ nita, concistoro, convento, ordine, parrocchia, patronato, sodalizio, sinagoga, sinasse (assemblea dei prim i cristiani), sinodo. — Ambito politico, sociale e corporativo: alleanza, associa­ zione, ufficio, blocco, camera, cellula, classe, comizio, coo­ perativa, corporazione, stati generali, fazione, federazione, confraternita e sorellanza, fronte, lega, milizia, partito, se­ zione, senato, società, soviet, sinarchia, sindacato, unione. A seconda dei casi, questi tipi di raggruppam enti si avvici­ nano sia alle folle, sia al gruppo secondario; possono an­ che essere creati é anim ati da un gruppo prim ario. Il concetto di assembramento, che Jean Paul Sartre, nella Critica della ragione dialettica (1960) contrappone a quello di gruppo, comprende sia la folla sia il raggruppam ento. Le caratteristiche descritte dal filosofo si applicano tu tta ­ via molto bene al raggruppam ento: serialità degli indivi­ dui, sotto-um anità delle loro relazioni, passività nella rea­ lizzazione pratica degli obiettivi (il pratico-inerte), gestione di uno dei conduttori o dei raggruppam enti che impedi­ scono un interesse antagonista. Il gruppo primario o piccolo gruppo. Presenta le caratteri­ stiche seguenti: — num ero ristretto di membri, tale che ognuno possa ave­ re una percezione individualizzata di ognuno degli altri, essere percepito reciprocamente da esso e che possano aver luogo num erosi scambi; — perseguim ento in comune, ed in modo attivo, degli stes­ si obiettivi, dotati di una certa perm anenza, assunti come scopi di gruppo, rispondenti a diversi interessi dei mem­ bri e valorizzati; — relazioni affettive che possono divenire intense tra i m em bri (simpatie, antipatie) e costituire dei sottogruppi di affinità; — forte interdipendenza tra i m em bri e sentimenti di soli­ darietà; unione morale dei m em bri del gruppo al di fuori delle riunioni e delle azioni in comune; — differenziazione dei ruoli tra i membri; — costituzione di norme, credenze, segnali e riti propri al gruppo (linguaggio e codice del gruppo). 29

— Tutte queste caratteristiche non sono necessariam ente presenti contem poraneam ente nello stesso gruppo. Il vo­ cabolario è particolarm ente ricco di term ini che rientrano in questa categoria: pronto-soccorso, areopago, bando, b ri­ gata, cartello, casta, cenacolo, clan, collegio, comitato, co­ mando, commissione e sotto commissione, comunità, co­ mune, consorzio, corpo, consorteria, corte, direttorio, équi­ pe, gruppuscolo, pattuglia, falange, fratria, pleiade, nucleo, setta, tribù, tribunale. Nel gruppo così definito si sviluppano condotte di m ante­ nim ento che tendono alla conservazione del gruppo come realtà fisica e come immagine ideale, e condotte di pro­ gresso, che tendono alla trasform azione: a) dei rapporti tra i membri; b) dell'organizzazione interna; c) del settore del­ la realtà fisica e sociale in cui il gruppo ha scelto i propri obiettivi. La prevalenza del prim o tipo di condotta caratte­ rizza la riunione m ondana o i gruppi di commemorazione. I gruppi di azione privilegiano il secondo tipo di condotta, senza poter tuttavia fare a meno del primo. Quando l'attività del gruppo o del raggruppam ento, intesi nell'accezione precedente, consiste unicam ente in riunioni con dibattiti, il term ine adeguato è quello di riunionediscussione. Anche in questo caso la term inologia è ricca: assise, luogo di incontro, colloquio, comizio, conciliabolo, conferenza, congresso, consiglio, convenzione, intratten i­ mento, «palabre», incontro, seminario, simposio, così come i term ini inglesi: meeting, staff-meeting, brain-trust8. Le caratteristiche del piccolo gruppo o gruppo prim ario, che abbiam o preso in considerazione, stim olano num erose discussioni. Secondo gli autori, Taccento viene posto sulle sue diverse caratteristiche. K urt Lewin definisce il gruppo sulla base di una duplice interdipendenza, tra i m em bri e tra le variabili del campo; Cattell lo definisce in base alla soddisfazione che offre ai bisogni dei suoi membri, Moreno in base alle affinità tra i m em bri stessi; Homans e Bales in base alle comunicazioni alTinterno del gruppo e alla conseguente interazione tra ognuno dei m em bri del gruppo. Ecco due definizioni coniate da questa scuola (in­ terazionista): • «Un piccolo gruppo consistendi un certo num ero di per­ sone che comunicano tra loro per un certo periodo, e così 8 Cf. la tavola di classificazione delle riunioni; Allegato n. 2. 30

poco num erose che ognuna possa comunicare con tu tti gli altri non per interposta persona ma faccia a faccia (Ho­ mans, 1950). • «Un piccolo gruppo si definisce come un certo num ero di persone in interazione ognuna con ognuna delle altre in una riunione o serie di riunioni faccia a faccia. In tali riunioni ognuno dei suoi mem bri riceve, sia al momento stesso, sia informandosi successivamente, una qualche im­ pressione o percezione da ognuno dei m em bri considerati come sufficientem ente distinti, per quanto possibile, dagli altri. Durante questa riunione ognuno emette una qualche reazione nei confronti di ciascuno degli altri, considerato come una persona individuale, a condizione per lo meno di ricordarsi che l'altra persona era presente (Bales, 1950, p. 33). La distinzione tra gruppo prim ario e gruppo secondario è stata form ulata dal sociologo americano C. H. Cooley: • «Per gruppi prim ari intendo quelli caratterizzati da una associazione e cooperazione intim a e faccia a faccia... Il risultato di questa associazione intim a è, dal punto di vi­ sta psicologico, una certa fusione delle individualità in un tu tto comune, in modo che la vita comune e l'obiettivo del gruppo diventano la vita e l'obiettivo di ognuno... Il modo più semplice di descrivere questa totalità è quello di dire che essa è un noi: ciò implica la specie di sim patia e di identificazione m utua di cui noi è l'espressione naturale. Ognuno vive nel sentim ento di questo tutto e trova in que­ sto sentimento gli obiettivi principali che fissa nella sua volontà... I gruppi prim ari sono prim ari nel senso che for­ niscono all'individuo la sua esperienza più prim itiva e più completa dell'unità sociale; lo sono anche nel senso che non sono mutevoli allo stesso grado in cui lo sono le rela­ zioni più elaborate, ma che form ano una fonte relativa­ mente perm anente da cui il resto deriva sempre... Così que­ sti gruppi sono delle fonti di vita non solo per l'individuo ma per le istituzioni sociali»9. Il gruppo prim ario è caratterizzato dai legami personali intimi, calorosi, pieni di emozione tra tutti i membri; la solidarietà e il raggiungimento di vantaggi m utui è in esso spontaneo, non calcolato. Invece, nel gruppo secondario, 9 Social Organisation, 1909, pp. 23-28.

le relazioni tra i m em bri sono fredde, impersonali, razio­ nali, contrattuali, formali; le comunicazioni scritte preval­ gono sugli scambi verbali. Questa distinzione dei gruppi prim ari e secondari si avvicina molto alla distinzione, cro­ nologicamente più tarda, effettuata dal sociologo tedesco Tonnies, tra Gemeinschaft e Gesellschaft (vedi oltre, capi­ tolo II). Da un punto di vista sociologico, questa distinzio­ ne rifletterebbe il contrasto, avvertito nei paesi industrial­ mente sviluppati agli inizi del XX secolo, tra la vita conta­ dina tradizionale e com unitaria e la vita m oderna urbana e impersonale. Per gli intensi scambi affettivi che si stringono tra i mem­ bri la famiglia è l'esem pio stesso del gruppo prim ario. Ma per le istituzioni sociali che la regolano, essa è anche un gruppo secondario. Per il suo scopo, procreazione e alleva­ mento dei figli, la n atu ra dei legami (affinità e consangui­ neità) tra gli individui che la compongono, la famiglia co­ stituisce un agglom erato um ano particolare che potrem o studiare solo brevem ente nell'am bito di questo lavoro (cfr. oltre, III parte, VII capitolo). Come identificare gruppo prim ario e piccolo gruppo? Il gruppo prim ario è generalm ente ristretto, ad eccezione di vaste com unità religiose o tribali. Il piccolo gruppo fa­ vorisce, senza necessariam ente svilupparle, relazioni affet­ tive intense al proprio interno: i gruppi di soluzione di pro­ blemi intellettuali, quali si sono m oltiplicati nei laboratori di psicologia sociale, m anifestano generalm ente una gran­ de cortesia, ma non il sentim ento di appartenenza né la solidarietà tipica del gruppo prim ario. Parlando di piccolo gruppo, si pone l'accento su una dimensione num erica del gruppo che perm ette ad ogni m em bro di percepire ogni membro, di reagirvi, di essere a sua volta percepito, senza che venga pregiudicata la qualità affettiva della loro rela­ zione. Un problem a è quello di sapere a quali condizioni un piccolo gruppo diventa un gruppo prim ario. Tuttavia, a livello delle definizioni generali, e per opposizione alla folla o al gruppo secondario, piccolo gruppo e gruppo p ri­ m ario possono essere riuniti in una stessa categoria. Il gruppo secondario. Il gruppo secondario o organizzazio­ ne è un sistem a sociale che funziona secondo delle istitu ­ zioni (giuridiche, economiche, politiche, ecc.) all'interno di un segmento particolare della realtà sociale (mercato, am32

m inistrazione, sport, ricerca scientifica, ecc.). Una im pre­ sa industriale, un ospedale, una scuola, un partito politi­ co, un movimento filantropico sono delle organizzazioni. L'organizzazione è al tempo stesso: a) un insieme di perso­ ne che perseguono fini determ inati, identici o complemen­ tari. In diritto am m inistrativo si parla di «associazione» se gli scopi sono scopi di lucro, di «società» in caso con­ trario; da questo punto di vista ci troviamo di fronte ad una mescolanza, più o meno complessa, di fenomeni di fol­ la, di gruppo, di gruppo primario; b) un insieme di s tru ttu ­ re di funzionamento che regolano i rapporti delle parti com­ ponenti tra loro (servizi, uffici, laboratori, comitati) e che determ inano in m isura maggiore o minore i ruoli delle per­ sone. Nel gruppo secondario, i rapporti tra gli individui sono spesso più formali, freddi, im personali (burocrazia, ad esempio). Un caso particolare: il gruppo allargato10. Aggiungiamo al­ cuni dati relativi ad una dimensione gruppale interm edia tra il gruppo prim ario e il raggruppam ento e che ha co­ m inciato ad essere studiata soprattutto in un'ottica psi­ coanalitica. Il gruppo allargato è una riunione da 25 a 50 persone invitate a parlare liberam ente su un tem a o un argom ento comune. L'im possibilità di identificare ognuno, il fatto di essere oggetto di sguardi e di ascoltare discorsi senza poter controllare questi sguardi e questi discorsi, rappresentano delle minacce per l'identità personale ed una ricerca di legami con dei partner, per esempio lo stabilire una «pelle comune» con il proprio vicino (Turquet, 1974). Lo spazio del gruppo allargato è vissuto come un'im m agi­ ne dell'interno del corpo della m adre (Kaës, 1974). Di fron­ te all'angoscia del lattante che ha perduto la protezione m aterna, angoscia a cui i partecipanti regrediscono, il con­ duttore deve m anifestare una presenza-sostegno che renda possibile il costituirsi di fenomeni transizionali nell'acce­ zione w innicottiana (Anzieu, 1974). Béjarano (1971, 1974) ha form ulato l'ipotesi che il gruppo allargato favorisca la proiezione sul conduttore del transfert negativo scisso, ma che mobiliti anche una imago fraterna o societaria. Classificazione generale. Se è vero che la scienza dei grup10 Cf. il testo antologico diretto da L. Kreeger, The large group. Dy­ namics and therapy, Londra, Constable, 1975. 33

pi deve diffidare della m olteplicità e confusione dei term i­ ni, è utile invece com pletare la rassegna dei concetti fon­ dam entali che abbiam o appena precisato con due neologi­ smi: gruppale, per qualificare i fenomeni propri al gruppo, in particolare per distinguere le relazioni tra gli individui all'interno del gruppo, dalle semplici relazioni interperso­ nali e dalle relazioni sociali in generale; gruppalità per de­ signare l'insiem e delle caratteristiche interne, essenziali al gruppo. La distinzione delle cinque categorie, folla, banda, raggrup­ pamento, gruppo prim ario, gruppo secondario, non deve m ascherare resistenza di fenomeni gruppali comuni. Tre di essi perlom eno sono stabiliti in modo sicuro e già antico: Temergenza di leader, l'identificazione dei m em bri gli uni con gli altri a diversi livelli; l'adesione inconscia a rappresentazioni sociali imm aginarie, cliché, stereotipi. La tavola 1 riassum e i tra tti propri ad ognuna delle cin­ que categorie. Una tale classificazione sistem atica ha so­ p rattu tto un significato euristico. La tavola m ette in p ri­ mo piano le ipotesi, che l'osservazione quantitativa e la sperim entazione dovranno verificare: — la durata di un gruppo e il suo grado di organizzazione interna variano nello stesso senso; — il num ero dei m em bri del gruppo è massimo alle due estrem ità (folla gruppo secondario). La tavola 2 propone uno schema di classificazione dei grup­ pi in base alla loro dimensione; le ricerche sperim entali su questa variabile hanno dato i seguenti risultati: «Quando la dim ensione del gruppo aumenta, le risorse del grup­ po tendono anch'esse ad aumentare, ma il loro potenziale m assi­ mo non è utilizzabile per la soluzione di problem i a meno che non si produca un aumento corrispondente in alcuni tipi di inte­ razione — in particolare nella forma di una com unicazione — che propongono soluzioni e valutano contem poraneam ente pro­ posizioni già formulate. Le domande di partenza hanno anch'esse tendenza ad aumentare con la dim ensione del gruppo, il che so li­ tamente provoca una caduta del livello di soddisfazione dei m em ­ bri perché la partecipazione da parte di alcuni membri im pedisce la partecipazione di altri. Gli effetti della dim ensione del gruppo — sia sulla ricerca di soluzioni buone sia sulla soddisfazione dei membri — hanno effetto dunque sui tipi e la quantità di intera­ zione che sono facilitati o ostacolati dalla dim ensione del gruppo (Newcomb, Turner, Converse 1970, pp. 479-480). 34

Strutturazio­ ne (grado di organizzazio­ ne interna e d iffe r e n z ia ­ zione dei ruoli)

Durata

Numero di Relazioni tra Effetto sulle Coscienza de­ individui gli individui credenze e le gli scopi norme

Folla

Molto debole Da qualche Elevato minuto a qualche giorno

Banda

Debole

Assem­ bramento

Media

Gruppo pri­ Elevata mario o ri­ stretto

Azioni comuni

Contagio del­ Irruzione del­ Debole le emozioni le credenze latenti

Apatia o azio­ ni p arossi­ stiche

Da alcune Piccolo ore ad alcuni mesi

Ricerca del Rinforzo simile

Media

Spontanee ma poco im­ portanti per il gruppo

Da diverse Piccolo settimane a Medio o diversi mesi Elevato

Relazioni Mante­ umane super­ nimento ficiali

Da debole a R e s i s t e n z a media passiva o azioni li­ mitate

Da tre giorni Piccolo a dieci anni

Relazioni Cam­ umane ricche biamento

Elevata

Gruppo se­ Molto elevata Da diversi Medio condario o mesi a diver­ Elevato organiz­ si anni zazione

o Relazioni funzionali

I n d u z i o n e Da debole a per pressioni elevata

Importanti, spontanee e perfino inno­ vatrici Importanti, abituali e pia­ nificate

TAVOLA 2. Schema di classificazione dei gruppi in base alla loro di­ mensione. — Un gruppo comprende almeno tre persone, condizione necessa­ ria perché si costituiscano delle coalizioni più o meno durevoli. — Da 3 a 5 persone, si parla di piccoli gruppi, generalmente non strutturati, e le cui attività sono il più delle volte spontanee ed informali, ad esempio del tipo «conversazione». — Da 6 a 13 persone, vi è la costituzione di gruppi ristretti, dotati in genere di un obiettivo e che permettono ai partecipanti relazio­ ni esplicite tra loro e percezioni reciproche; si dedicano parzial­ mente o totalmente alla riunione discussione. — Da 14 a 25 persone, si ha a che fare con dei gruppi estesi, quali commissioni di lavoro, gruppi di pedagogisti che praticano metodi attivi. Sono difficilmente guidabili, per la loro tendenza alla suddivisione. — Da 25 a 50 persone, ci si trova in presenza di gruppi allargati, che tendono generalmente alla trasmissione delle conoscenze (classi scolastiche), alla negoziazione sociale (convenzioni collettive, ac­ cordi aziendali), all’informazione reciproca; è possibile istituzio­ nalizzarvi la tendenza alla suddivisione mediante tecniche quali il Phillips 66 o il Panel modificato (cf. Allegati 5 e 6). — Più di 50 persone, si tratta di assemblee che richiedono una struttura permanente (Ufficio, Commissioni) e l'impiego di proce­ dure determinate da un regolamento interno.

— Lo stile delle relazioni interindividuali nel gruppo va­ ria con il modo in cui il gruppo m anipola le rappresenta­ zioni collettive im m aginarie soggiacenti alle sue credenze e alle sue norme, o si lascia m anipolare da cliché e ste­ reotipi. — Lo stile delle azioni del gruppo è, eccetto che per il grup­ po secondario, legato alla coscienza degli obiettivi.

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Capitolo secondo

La storia

Una storia del gruppo attraverso i paesi e le epoche non è stata scritta mai. Se l'im presa fosse realizzabile, contri­ buirebbe a distinguere e descrivere i diversi gruppi tipici in base al loro funzionamento: la setta religiosa, il com ita­ to di esperti, il cenacolo letterario, l'accadem ia di colti, la pattuglia m ilitare... Una storia della conversazione co­ stituirebbe anch'essa un apporto prezioso1. L'Antichità greca ha cantato in racconti leggendari la fra­ tern ità dei capi guerrieri impegnati nella stessa esperien­ za; la più tipica riguarda la spedizione dei 50 argonauti, com andati da Giasone, alla conquista del favoloso Vello d'Oro. D'altro canto, il passaggio dalla disciplina autorita­ ria in una cittadella guerriera alla vita comune tra uomini liberi nella nuova Città è indicato nel duplice personaggio della dea Atena, donna guerriera per eccellenza ed anche incarnazione della saggezza. I m itografi fissano allora la 1 Gaston Boissier, in La fin du paganisme (Hachette, 1891), ha stu­ diato le fratellanze e le sorellanze religiose (sodalitates) nell'antica Roma. Storici contemporanei hanno cominciato a lavorare in questa prospettiva: cf. Emile Coornaert, Les compagnonnages (Ed. Ouvriè­ res, 1966); M. Agulhon, La sociabilité méridionale (confraternite e as­ sociazioni nella Provenza orientale alla fine del XVIII secolo) (Aix, La pensée universitaire, 1966). La scuola di Max Weber ha studiato il fenomeno della setta. Sui salotti, cf. R. Bray, La préciosité (A. Mi­ chel, 1948); Les salons au XVIII siècle, di M. Glotz e H. Maire (Hachet­ te, 1945); gli scritti di Séché sui Cenacoli romantici; il lournal dei Goncourt; l'opera di Proust. C'è infine forse bisogno di ricordare il tentativo surrealista di una creazione letteraria in gruppo sulla base di libere associazioni collettive? 37

composizione del consiglio dei 12 dei e dee dell'Olimpo, consiglio che doveva curare gli affari superiori e simbolo della gestione dem ocratica della Polis greca. Queste due cifre di 50 e di 12, che ritornano in modo molto rituale nella mitologia greca, lasciano pensare che i greci antichi conoscessero la distinzione tra piccolo gruppo e gruppo allargato. La città, greca, rom ana, cartaginese è un feno­ meno tipicam ente m editerraneo di socialità: si trae piace­ re dal riunirsi, dal deliberare, dallo scam biarsi opinioni, dal contraddirsi e dallo scegliere dei rappresentanti. Nella Provenza francese, la piazza del villaggio ha preso il posto del Foro o dell'Agorà. Le origini del cristianesim o sono legate alla dinam ica dei gruppi. Il gruppo iniziale, com posto da Gesù, dai 12 apo­ stoli e dai prim i 72 discepoli è stato studiato in questa prospettiva (Maguire, 1969). La vita di gruppo e le tensioni di gruppo sono intense nelle prim e com unità di credenti. Nel VI secolo, san Benedetto fonda i prim i m onasteri sulla base di una Regola scritta che regolava nuove forme di vita gruppale: questa Regola stabiliva la situazione ideale in federazioni di 6 unità di 12 monaci (vi si ritrovano le cifre originarie di 12 e di 72). Il mondo feudale vede il regno di signori am anti della far­ sa e brutali nei loro costumi. In che modo le donne riesco­ no a venir prese in considerazione? Alla corte d'Aquitania, nel XII secolo fa la sua com parsa la prim a corte d'amore: le nobili dame si riuniscono per discutere un problem a di casistica am orosa posto da una di loro. Per esempio: una dam a può conservare l'am ore per un cavaliere che ritorna sfigurato dalla guerra? La difficoltà sta nel fatto che l'e­ roe viene allora am ato sia perché è bello sia perché è va­ loroso. Il testo di Andrea Cappellano, De amore libri très, ci ha conservato le cronache di questi dibattiti che diffonderan­ no nei costum i feudali un nuovo tipo di sensibilità. Il Decamerone di Boccaccio nel XIV secolo, YEptameron di Mar­ gherita di N avarra nel XVI secolo ne offrono le varianti più leggere. Nel XVI e XVII secolo, dopo i progressi nell'arte della na­ vigazione e la scoperta di nuove terre, si rafforza il grande commercio m arittim o e con esso le im prese e le banche. Gli storici vedono in esso la fondazione del capitalism o moderno. Il commercio non era più possibile senza la riu-

nione dei com m ercianti in una stessa corporazione, che ne organizzasse gli approvvigionamenti, gli investimenti, le mo­ dalità di vendita, che negoziasse con i concorrenti stranie­ ri, con i m embri delle corporazioni vicine, con i re e le m unicipalità, e che si accordasse con le diverse corpofàzioni. Una celebre tela di Rem brandt, Les syndics des drapiers (1661-1662), ha fissato questo nuovo fenomeno: la com par­ sa dei consigli di amministrazione. E, al tempo stesso, que­ sta tela rinnova anche l'arte del ritra tto collettivo. Fino ad allora, i pittori rappresentavano i m em bri di una confraternita immobili fianco a fianco, su diversi piani, in quella m aniera così poco naturale che viene ancora usa­ ta per la fotografia di una classe o di un matrimonio. Rem­ brandt coglie il gruppo in piena discussione. A sinistra, l'oratore che ha appena term inato si siede stanco, come sconfitto in anticipo. Il suo avversario, sul lato destro del quadro, prepara il documento su cui basare la propria replica. Tra di essi, il presidente si sforza di essere neutrale. All'estrem a de­ stra, il più giovane, impulsivo e privo di esperienza, mal sopporta la tensione che sale e abbozza il gesto di andar via. All'estrem a sinistra, il più anziano assume un'aria an­ noiata, come se rivolgesse al suo beniam ino il seguente discorso silenzioso: «Ti fai salire molto presto la mosca al naso, mio giovane amico; in tu tte le riunioni succede questo; prim a o poi i disaccordi si esprimono con violenza; vi è sempre un momento in cui le cose vanno male». Tutto, fino al servitore in piedi dietro il consiglio, un po' beffar­ do, un po' inquieto, fissa questo breve momento di silenzio prim a dell'uragano2.

2 La storia, se non la preistoria della dinamica dei gruppi deve an­ cora essere scritta. I testi accessibili in francese sono: E. A. Shils, L'Etude du groupe élémentaire, in Lasswell e Lerner (1951); J. Stoetzel, La psychologie sociale (Flammarion, 1963, cap. 14); Olmsted, So­ ciologie des petits groupes (S.P.E.S., 1959); B. Mailhot, Dynamique et genèse des groupes (Epi, 1968). Una rassegna bibliografica delle pub­ blicazioni francesi sulla psicologia dei gruppi è stata raccolta e pub­ blicata da R. Käes e E. Pons (1982). Una rassegna bibliografica della letteratura in inglese è presentata da A. P. Hare, E. Borgatta, R. F. Bales (1962). 39

Pensatori francesi Fourier e il mito del Falanstero. N ell'opera di Charles Fou­ rier (1772-1837), contem poraneo di A. Comte, riform atore sociale e utopista, vengono enunciati, sem bra per la prim a volta, alcuni dei principi essenziali per una scienza dei gruppi. Fourier è colpito sia dall'arm onia universale che regna nel mondo, in conform ità alla legge di attrazione universale scoperta da Newton, sia dalle carenze dell'organizzazione economica e sociale del suo tempo, in particolare da quelle della distribuzione commerciale, di cui aveva fatto espe­ rienza da un punto di vista professionale. Questa d 'a ltra parte non costituisce che uno dei periodi transitori suc­ cessivamente superati dall'um anità. Se l'uom o ha fatto fi­ no ad allora eccezione alla legge dell'arm onia universale è a causa di una erronea educazione m orale, che ha re­ presso in lui le passioni. Ora, la legge dell'attrazione pas­ sionale, quando non ci si opponga al suo funzionamento, può assicurare da sola l'equilibrio deH'organistfto sociale. Questo a sua volta sarà ottenuto nell'èra successiva, quel­ la della civilizzazione societaria. In questa civilizzazione gli uomini seguiranno liberam ente le proprie passioni, il che li condurrà da un lato ad asso­ ciarsi (poiché la partecipazione a gruppi soddisfa alcune tendenze fondam entali dell'essere umano), d 'a ltra parte a lavorare in modo attraente per loro (poiché ciascuno svol­ gerà un lavoro corrispondente alle proprie tendenze per­ sonali). Pascal diceva che da tu tte le concupiscenze riunite nasceva un certo ordine. Fourier si situa in questa stessa direzione: la varietà delle passioni um ane deve perm ettere il compimento naturale di tutti i compiti. D'altro canto l'uo­ mo è, per la propria n atu ra psicologica, un essere sociale, o, per essere più esatti, un essere gruppale. Il problema, che è al tempo stesso quello della riform a m orale e della riform a sociale, sta dunque nello stabilire una organizza­ zione sociale che risponda pienam ente alla psicologia um ana. Questo passaggio può e deve com piersi senza violenza. «È necessario operare contem poraneam ente sulle passioni e sull'industria» (Teoria dell'unità universale, in Opere com ­ plete, t. II, p. Vili). Ogni passione cerca di soddisfare una tendenza. Le ten40

denze sono in num ero di 12. Cinque si riferiscono ai piace­ ri dei sensi (gusto, tatto, udito, vista, odorato). Sono indivi­ duali, se non individualiste; le altre sette sono sociali. Quat­ tro si riferiscono al desiderio di stabilire dei legami affet­ tuosi, dunque ai «gruppi e alle serie di gruppi»; in essi funziona la legge dell'attrazione; le due tendenze maggiori sono l'am icizia (da cui i gruppi di compagni) e l'ambizione (da cui i gruppi corporativi); le due tendenze m inori sono l'am ore (da cui la vita o le vite di coppia) e la paternità (da cui il gruppo familiare); questi quattro tipi di gruppo sono rispettivam ente rappresentati dal cerchio, l'iperbole, l'ellissi, la parabola. Infine tre tendenze — scoperta perso­ nale di Fourier — scatenano i processi della ricerca del­ l'accordo con gli altri; sono le passioni «meccanizzanti», motore del funzionamento dei gruppi: la cabalista (o spiri­ to di partito), la palpitante o alternante (bisogno di cam­ biam ento di compagni e di lavoro), la composita (o entu­ siasmo irragionevole). Queste dodici passioni si combinano differentemente in ogni uomo a seconda delle rispettive intensità. Vi sono così 810 caratteri aritm eticam ente possibili. La comunità ideale riu­ nirà circa 1620 persone, in funzione di un rappresentante dei due sessi per ogni carattere: è la falange. Essa vive nei suoi alloggi e lavora su un territorio, generalmente agri­ colo, che viene chiam ato falanstero. In esso ognuno lavora secondo i propri gusti, ognuno in funzione delle somiglian­ ze e delle com plem entarità di gusti, in funzione anche del­ le proprie sim patie personali, si arruola in serie di lavora­ tori. «I nostri impulsi ci trascinano soltanto al male quan­ do ci si abbandona ad essi individualmente». Invece, in un falanstero «gli impulsi naturali, detti attrattivi, tendono a form are delle serie di gruppi contrastati in cui tu tto por­ ta all'industria divenuta attraente e alla virtù divenuta lu­ crativa» (Il nuovo mondo industriale e societario). «La se­ rie di gruppi è il modo generalm ente adottato da Dio nella distribuzione dei regni e delle cose create». «Dal momento in cui un gruppo diventa numeroso, esso si suddivide in sottogruppi che form ano una serie di partiti scaglionati in sfum ature di opinioni e di gusti» (Trattato dell’associa­ zione domestica agricola). Lasciamo da parte gli aspetti economici del falanstero, coo­ perativa di suddivisione, basato sulla suddivisione del sur­ plus degli introiti per rem unerare il capitale e per ricom41

pensare il lavoro e il talento. Lasciamo ugualmente da parte alcuni aspetti domestici: le famiglie consumano i pasti non più isolatam ente ma in refettorio; la scelta del compagno sessuale è perm anentem ente libera ma deve essere preli­ m inarm ente dichiarata all'ufficio dei «matrimoni». Fourier e soprattutto i suoi allievi sono anche precursori per quanto riguarda una metodologia di una scienza dei gruppi. Nel momento in cui A. Comte fondava la sociologia escluden­ do la possibilità di applicarvi la metodologia sperim enta­ le, Fourier apre u n 'a ltra v ia 3. La Falange è un'esperienza da farsi, un'esperienza che m ette alla prova la psicologia industriale, quale Fourier la concepisce, e che invalida o conferm a le ipotesi sui m eccanismi fondam entali dell'at­ trazione. Nessuno in questo periodo pensa ad una speri­ m entazione rigorosa in questi ambiti. Ma Fourier propone qualcosa di importante: un'esperienza globale, di lunga du­ rata, su una com unità relativam ente ristre tta e creata per l'occasione. Così, anticipa due delle idee essenziali di K urt Lewin: a) la creazione artificiale di gruppi a cui si assegnano com­ piti di gruppi reali, ma ciò può avvenire solo per gruppi di piccole dimensioni; b) l'im possibilità di m ettere alla prova le ipotesi della psi­ cologia gruppale diversam ente che da una certa pratica sociale, l'im possibilità di separare la ricerca e l'applicazio­ ne; vi si riconosce l'idea della action-research, di ricerca attiva. Fourier propone l'esem pio delle «fattorie sperim en­ tali», m ediante cui gli agronomi cercano di innescare la trasform azione dell'agricoltura mediante una trasform azio­ ne puram ente tecnologica, esempio che potrebbe essere esteso dalla tecnologia («l'industria ») alla psicologia grup­ pale («le passioni»). Il fourierista maggiormente conosciuto, Victor Considerant, propose alla Costituente, nell'aprile 1849, il progetto di un «M inistero del Progresso e dell'esperienza» per «l'esame e la verifica di tu tte le invenzioni e innovazioni nell'ambi3 Tutto il passo seguente si riferisce ad un articolo di Robert Pagès, Quelques sources, notamment fouriéristes, de la sociologie spérimentale, Arch. Internat. Sociol. Coopération, 1958, 4, 127-154. Le concezio­ ni di Fourier sulla vita sessuale ed amorosa sono studiate sulla base di inediti, in S. Debout, La Terre permise de Charles Fourier, Temps mod., 1966, 22, η. 242, 1-55. 42

to della tecnica e dell'organizzazione sociale, a condizione che esse si prestino a delle verifiche locali». A partire dal 1840 tu tta una serie di esperienze fourieriste ha luogo ne­ gli Stati Uniti, paese nuovo, alla ricerca della propria or­ ganizzazione sociale e che si prestava in modo compietam ente naturale a tali esperienze (aveva conosciuto, venti anni prim a, l'era delle prove oweniste). La constatazione del fallim ento dei falansteri am ericani — il più longevo non ha superato i 13 anni — deve essere sfumata. Erano stati accettati tutti i volontari, senza curarsi di selezionar­ li per ottenere una gamma abbastanza variata di caratteri. Le risorse del suolo, del finanziamento e delle competenze tecniche erano generalm ente troppo esigue. Ma so p rattut­ to la riuscita dell'esperienza, quando si produceva, era cau­ sa del fallim ento finale: i migliori tra i falansteristi acqui­ sivano una formazione tecnologica, economica e psico­ sociologica che ne accresceva non solo il valore profes­ sionale e umano ma anche le ambizioni: partivano per guadagnare di più altrove, o provocavano la dissoluzione del falanstero per riprenderne la direzione a proprio van­ taggio. Inoltre, dei societari passavano spesso da un falan­ stero all'altro, introducendo così dei disturbi nell'equili­ brio passionale e tecnico dei falansteri, anche se con l'in­ tenzione di confrontare le diverse esperienze in corso. Questo atteggiam ento sperim entale è definito in Francia nell'opuscolo di Pellarin: U expérimentation et Vempirisme en matière sociale (1874). Permea anche, nella stessa epoca il «familistero» che J.-B.-A. Godin organizza a Guise. Si tra t­ ta di un'industria di fabbricazione di apparecchi di riscal­ dam ento e di articoli di chincaglieria, con ubicazione ed educazione «societaria». Per sottrarre all'autorità patronale la determinazione delle capacità, Godin immagina di mi­ surarla m ediante il suffragio dei lavoratori nei confronti dei propri compagni. Per diversi anni, confronta le classi­ ficazioni ottenute in base alla valutazione dei superiori, al voto dei compagni e in base a m isure interessanti i pro­ dotti fabbricati. Godin appare qui come il precursore del­ l'inchiesta sociometrica, della notazione oggettiva e della diagnosi psicosociale dell'azienda. D urkheim e la coscienza collettiva. Senza distinguere tra piccolo gruppo e società globale, Durkheim (1912), fonda­ tore della scuola sociologica francese alla fine del XIX se-

colo, getta le basi di una teoria del gruppo. Il passaggio dal clan alla società è quello dalla solidarietà meccanica alla solidarietà organica fondata sulla divisione del lavo­ ro. Durkheim definisce il gruppo sociale come più della somma dei suoi membri, cioè come totalità (definizione che Sartre, alla luce della dialettica hegeliana, rettificherà: il gruppo è non una totalità, ma una totalizzazione in corso). Egli forgia l'ipotesi di una coscienza collettiva (il gruppo ha le proprie percezioni, sentimenti, volizioni). Abbozza l'analisi delle funzioni psicologiche del gruppo (funzione di integrazione: l'individuo anomico, cioè out-group, è più fra­ gile dell'individuo integrato in una com unità familiare, pro­ fessionale, religiosa ed è, ad esempio, m aggiorm ente espo­ sto al suicidio; funzione di regolazione dei rapporti inte­ rindividuali che, lasciati a se stessi, annegano nella diffi­ denza e nell'ostilità; o ancora funzione idolatrica: un gruppo unito ed efficiente ha tendenza ad adorare, a divinizzare la forza che sente in sé e che non è altro che la propria coesione legata al proprio codice di valori). Molti risultati della psicologia sociale sperimentale nascente negli Stati Uniti verso il 1930-1935 non sono stati che delle riscoperte di lavori disconosciuti della scuola di Durkheim. Sartre e la prospettiva dialettica. Più vicino a noi è un al­ tro autore francese che ha com pletato gli attestati di no­ biltà filosofica del gruppo. Sartre ha pubblicato L ’E ssere e il Nulla nel 1943: vi trattav a dell'individuo um ano nei suoi rapporti con se stesso, con il proprio corpo, con il proprio destino personale e con un altro compagno um a­ no. Il prim o volume della Critica della ragione dialettica (1960) affronta nuovi ambiti: l'uom o di fronte al gruppo e alla storia collettiva. La riflessione sul gruppo è senza dubbio, per Sartre, la risposta alla domanda: Come è stato possibile un fenomeno come lo stalinism o? Vi è un mezzo che possa im pedire un tale pervertim ento della forza viva della Rivoluzione? La dialettica, quale la in terpreta Sartre, è la via del pen­ siero um ano nel suo confrontarsi con la n a tu ra e la socie­ tà per trasform arla: è la logica dell'azione. Essa procede per contraddizioni, negazioni costruttive e sintesi parziali, mai compiute, sem pre rim esse in discussione. Essa si di­ stingue dal ragionam ento scientifico abituale, analitico e determ inista, perché coglie dall'interno il movimento stes44

so degli esseri e delle situazioni. Così, per Sartre, il grup­ po non è un dato statico, m a un «tutto dinamico in movi­ mento, in via di costruzione; con rapporti dialettici di inte­ riorità tra le parti». S artre si oppone così sia ad una con­ cezione organicista che rappresenta il gruppo secondo il modello di un organismo vivente, sia a una concezione ci­ bernetica che lo ricostruisce secondo il modello di una mac­ china a retroazione. La dialettica ha come prim o risvolto, nell'am bito sociale, la lotta contro la scarsezza. Le relazioni um ane si costitui­ scono su questo fondo di lotta contro la scarsezza (penuria di cibo, di donne, successivamente scarsezza di operai, di macchine o di consumatori). Lo scambio (scambio di m er­ ci, scambio di donne tra i clan, ecc.) offre il prototipo es­ senziale di queste relazioni. La violenza è un altro aspetto di questa lotta, in cui ogni individuo è al tempo stesso un possibile sopravvivente ed un qualcuno in più che deve es­ sere soppresso; la violenza è la «scarsezza interiorizzata». La lotta contro la scarsezza è dunque la fonte della storia. Una distinzione fondamentale, in Sartre, è quella dell'assem bram ento e del gruppo. I gruppi non sono dati: pro­ vengono da un assem bram ento e rischiano di tornarvi. Gli assem bram enti, o ancora il collettivo, è, ad esempio, la fila che aspetta l'autobus, l'insieme dei lettori di un gior­ nale, gli ascoltatori di una trasm issione radiofonica, dei consumatori che formano il mercato di un prodotto, la mas­ sa rurale o il proletariato industriale sfruttato. Le persone che si allineano alla ferm ata dell'autobus sono spinte così dalla scarsezza dei mezzi di trasporti e dei po­ sti; essi prendono un num ero che fissa l'ordine con cui saliranno, o aspetteranno, se troppi, l'autobus seguente. Il loro assem bram ento si riduce ad una serie di num eri, rim angono anonimi gli uni con gli altri, raram ente inizia­ no una conversazione se non su argom enti banali; si na­ scondono dietro il giornale; costituiscono una folla passi­ va e rassegnata che subisce il proprio destino, una giu­ stapposizione di solitudini, un'unità seriale, cioè di tipo aritm etico. Essi hanno tuttavia bisogni, interessi, oggetti in comune, si recano al lavoro, a casa o ad uno svago, sono utenti dei mezzi di trasporto, abitanti della città. Ma que­ sto interesse comune resta loro esterno, imposto dall'ester­ no e come estraneo. Uno di essi, a volte, si ribella, prote­ sta contro il traffico, l'organizzazione dei mezzi di traspor-

to, rinuncia al viaggio o ferm a un tassì. Non modifica nul­ la all'interno del sistem a e rim ane persuaso di non poterlo m odificare in nulla. Non accetta di vivere in questo modo ma è colpito da impotenza a cam biare qualsiasi cosa di questo modo di vivere. La stessa analisi si applica ai viag­ giatori saliti su uno stesso autobus, o nello stesso vagone ferroviario (salvo il caso in cui un incidente o un qualche avvenimento cambino bruscam ente la situazione e saldino m om entaneam ente queste solitudini in un gruppo); alla m assa dei lettori, degli ascoltatori, dei consum atori, dei lavoratori. A volte, le ribellioni si fanno collettive: gli utenti si im padroniscono di un autobus vuoto di passaggio che va nella direzione opposta e lo deviano; le rivolte dei con­ tadini nel Medio Evo ne forniscono il modello: effimere, non modificano in nulla la natura profonda della situazione. Perché sia possibile il passaggio dall'assem bram ento al gruppo devono verificarsi tre condizioni: a) È prelim inarm ente utile che l'interesse che i membri han­ no in comune sia sufficientem ente forte per coloro che lo interiorizzano e se ne fanno carico e che, da interesse in comune, divenga interesse comune. Ciò presuppone che i partecipanti scoprano che la loro interdipendenza è neces­ saria per la soddisfazione di questo interesse. Questa sco­ perta è stata registrata nella storia dell'um anità in form u­ le in parte giuste e in parte vuote, del tipo: «L'unione fa la forza», «Tutti per uno, uno per tutti». Non è sufficiente una predica perché questa scoperta avvenga in modo con­ creto ed effettivo. Si compie m ediante un intero processo dialettico. La conoscenza di ognuno da parte di ognuno si diffonde nel gruppo, produce il disgelo delle com unica­ zioni, il passaggio di correnti di sim patia (e di antipatia). La migliore com prensione reciproca di ciascuno fa nasce­ re una stima, ancora ineguale e fragile di ognuno per ognu­ no. È in questo m omento che l'interesse comune può esse­ re realm ente preso in carico da tu tti superando i tentativi da parte di sottogruppi con obiettivi incom pleti o dubbi di im padronirsi del gruppo e la resistenza passiva di alcu­ ne individualità che rifiutano di im pegnarsi in un obietti­ vo comune. In altri term ini la prim a trasform azione inter­ na di un gruppo, quella che condiziona le altre, è che ognu­ no inizi a contare per ognuno. In un gruppo che sta nascendo, ognuno fa l'esperienza del­ l'um anità di ciascuno. 46

b) La seconda condizione, dice Sartre, è quella di passare dalle comunicazioni indirette alle comunicazioni dirette. Gli psicosociologi direbbero piuttosto: dalle comunicazio­ ni unilaterali alle comunicazioni bilaterali, cioè con rito r­ no all'em ittente, con un feed-back. c) L'ultim a condizione è l'esistenza, nella società nel suo complesso, di gruppi che difendono interessi antagonisti e che im plicitam ente chiamano alla lotta tra loro. La na­ scita del gruppo, secondo gli psicosociologi, si inscrive nuo­ vamente in un momento di tensione tra un pericolo comu­ ne ed un obiettivo comune. Sartre giudica questa analisi esatta ma incompleta: i rapporti tra i m em bri sono allora qualitativam ente trasform ati: inoltre, questa nascita si ve­ rifica durante un'azione comune, che esplode liberam ente, da una prassi che riunisce i m em bri in un modo nuovo, che li strappa all'inerzia del collettivo, all'im possibilità di agire, ai rapporti di esteriorità tra di loro, una prassi me­ diante la quale recuperano l'uso concreto della libertà, che li pone in condizione di inventare soluzioni nuove e di tra ­ sform are la realtà invece di subirla. Questa nascita è una sorpresa, anche per gli stessi interessati: il gruppo nascen­ te è un gruppo «in fusione» in cui la serialità del vecchio raggruppam ento è stata liquidata «a vantaggio della omo­ geneità am orfa di un giovane gruppo», in cui il fatto di essere un estraneo per ognuno si fonde al calore dell'espe­ rienza comune. Questa nascita può verificarsi in più modi, ma quella che è più cara a Sartre è la sommossa rivoluzio­ naria. L'analisi delle giornate del luglio 1789 gliene offre un brillante esempio. I m em bri del gruppo in fusione vivono, secondo Sartre, tre esperienze: quella della solidarietà, quella dell'apparte­ nenza o dell'integrazione ad una realtà collettiva nuova, quella dell'altro come terzo regolatore della mia azione nel­ l'azione comune. L'im possibilità di cam biare la vita è ne­ gata e superata: l'azione del gruppo afferm a l'im possibili­ tà di questa impossibilità. Il m otto repubblicano trascrive l'esperienza del gruppo in fusione: prassi comune che rom ­ pe l'im possibilità di agire (libertà); ognuno è equivalente all'altro, suo simile omogeneo (uguaglianza); ognuno ha bi­ sogno di ognuno perché il gruppo esista (fraternità). Il grup­ po in fusione, dice ancora Sartre, è la ragione costituente. Gli stadi ulteriori dell'evoluzione del gruppo, se i gruppi antagonisti non ne hanno avuto ragione con la violenza,

sono un indice della ragione costituita: è il gruppo «pas­ sione». A livello differente si ritrova lo stesso problem a iniziale: il gruppo è dilaniato dalla stessa tensione dialetti­ ca, tra il suo potere creatore (invenzione di nuovi legami tra i membri, scoperte di realtà nuove che devono essere create con la propria azione) che si esaurisce ben presto, e la fa ripiom bare nell'inerzia pratica: l'assem bram ento. Il gruppo non è mai uscito in modo definitivo dall'assem ­ bram ento: il movimento deve sem pre ricom inciare. Ogni gruppo, una volta costituitosi, è dunque obbligato a prendere delle m isure per sopravvivere. Due tipi di m isu­ re, secondo Sartre, e che instaurano degli obblighi. In prim o luogo, il gruppo persegue al proprio interno ogni m em bro sospetto di volersi ritira re dall'azione comune. Ognuno è considerato come un potenziale traditore. Da cui i conflitti, le epurazioni, il «terrore» che tende a «liquida­ re il seriale in ognuno a vantaggio della comunità», che istituisce «l'obbligo della fraternità», da cui il «giuram en­ to» con cui ognuno si impegna a m antenere la propria ap­ partenenza al gruppo. «Siamo fratelli in quanto in base all'atto creatore del giuram ento noi siamo i nostri stessi figli, la nostra comune invenzione». Allo stadio preceden­ te, la fraternità era un'«esperienza vissuta, una invenzione libera sorta nel momento. Ora ognuno l'im pone ad ognuno nella durata. Secondariam ente, il gruppo fissa le proprie regole, si dà una giurisdizione, em ana le proprie procedure, di lavoro e di decisione, em ette o am m ette certe regole comuni. Se ha assunto questi due obblighi, senza ricadere nell'as­ sem bram ento inerte, il gruppo continua. Continua, spiega Sartre, interiorizzando i risultati prodotti (appaiono allora le «strutture del gruppo) successivam ente modificando le proprie stru ttu re per assim ilare questa interiorizzazione, infine superando questa modificazione in direzione di nuo­ vi oggetti: «la prassi del gruppo consiste nel compiere di continuo la propria riorganizzazione, in cui consiste pro­ prio l'essenza del processo dialettico. Il gruppo può supe­ rarsi soltanto riorganizzandosi, cioè dandosi dei compiti precisi e lim itati, collegati ad obiettivi lontani e differen­ ziando al proprio interno funzioni attrib u ite a diversi membri. Il gruppo possiede allora veram ente la p ropria sovranità perché, invece di contem plarla, la esercita. Ma reintrodu-

ce l'alterità, poiché distribuisce dei ruoli ai propri mem­ bri echutilizza necessariam ente per questo le loro compe­ tenze, cioè le loro diseguaglianze. Per ogni gruppo la soluzione consiste nell'invent are una s tru ttu ra che ne concili lo slancio iniziale, la sua direzione e il suo prim o entusiasm o con le necessità pratiche delle azioni da preparare e da realizzare. Il capo è allora Porga­ no di integrazione del gruppo. Quando l'organizzazione è ben rodata, la stessa m inaccia fondam entale dell'inerzia è in agguato del gruppo in una nuova forma: l'organizzazione che funziona troppo bene ten­ de ad assum ere se stessa come fine; è la burocrazia in cui le form alità prevalgono sugli obiettivi, dove i rapporti um a­ ni nuovamente si degradano. Nuovamente i conflitti di com­ petenza o di clan, le iniziative individuali contrarie ai com­ piti fissati e le epurazioni restituiscono al gruppo il potere o ne precipitano la m orte. Proporzionalm ente a questo la­ voro su se stesso, il gruppo reale, proprio m entre si tra ­ sforma, im para a conoscersi; acquista, secondo la bella espressione di Sartre, «una silenziosa conoscenza di se stesso». Il gruppo che è sopravvissuto alla fase di organizzazione si colloca in un altro genere di esistenza. Non è più grup­ po effimero ma gruppo di istituzione. Così, continuam ente il gruppo lotta in se stesso contro l'inerzia pratica che lo colpisce. Così ogni gruppo, a differenza dell'organism o vi­ vente e della m acchina elettronica è una «totalizzazione in corso, ma la sua totalità è fuori di lui nel suo oggetto». Sociologi tedeschi Tönnies, Smalenbach e le categorie sociologiche. Tra le ca­ tegorie sociologiche elaborate all'inizio del XX secolo, al­ cune, applicabili indifferentem ente al piccolo gruppo e al­ la società globale, sono state più o meno chiaram ente uti­ lizzate nel prim o ambito. Tonniés ha definito Gemeinschaft e Gesellschaft nell'opera così intitolata. Sm alenbach vi ha aggiunto B u n d 4. 4 F. Tönnies, Communauté et société (trad. fr. Presses Universitaires de France, 1944); H. Smalenbach, Die soziologisch Kategorie des Bun­ des, Monaco, 1922.

Queste tre categorie appaiono sem pre all'interno di una organizzazione sociale preesistente, di cui costituiscono una differenziazione e in rapporto a cui esse stringono dei rap­ porti di tipo figura-sfondo o di interazione dialettica. D'al­ tro canto, queste categorie costituiscono delle astrazioni m entali, esistono raram ente allo stato puro nel concreto; una realtà sociale singolare le combina più o meno a di­ versi gradi. Gemeinschaft corrisponde ai raggruppam enti di parentela e di località (secondo l'espressione di R. Maunier), cioè ai fenomeni di vicinato imposti (secondo l'espressione di J. Monnerot); l'individuo nasce all'interno di una famiglia, in un certo villaggio già stabilito in precedenza, non da lui scelto, che determ ina la sua partecipazione alla vita com u­ ne e nei cui confronti sviluppa un sentim ento molto vivo di appartenenza. Legami di sangue e di solidarietà del clan sembrano all'orìgine indistinti, soprattutto nelle società no­ madi. Questa indistinzione sussiste nelle com unità conta­ dine. Gemeinschaft è una m aniera di essere che si condivi­ de con la comunità, m aniera di essere autom atica e che esclude la chiara coscienza, la critica, la giustificazione. L'intera com unità è lesa dalla ferita inflitta ad uno dei suoi membri; essa richiede senza discussione possibile la ven­ detta del sangue. Le dichiarazioni di amicizia, di attacca­ m ento sono superflue all'interno di questo tipo di comuni­ tà: la festa porta al parossism o e perm ette di esteriorizza­ re i sentim enti sociali latenti. Gesellschaft è una associazione volontaria, fondata su un contratto, tacito o esplicito, il cui scopo consiste nel pro­ cedere a scambi di m erci e di denaro. La società anonim a per azioni ne offre un esempio. Qui, ogni individuo è isola­ to, indipendente; ricerca il proprio interesse, il proprio van­ taggio: procuro ad un altro un vantaggio che questi desi­ dera soltanto per trovarvi, come contropartita, il mio. Que­ sto è stato sempre l'atteggiamento dei produttori e dei com­ m ercianti. L'estensione del grande commercio e della banca nel Rinascimento, poi la rivoluzione industriale del XVIII e XIX secolo l'hanno generalizzato: ne è derivata la nozio­ ne di homo economicus. Gesellschaft è la socialità contrat­ tuale, conforme ad un ideale giuridico e capitalista, in cui le relazioni tra le persone si spogliano di ogni calore um a­ no, di ogni affettività: contano soltanto il freddo calcolo, l'interesse egoista.

Bund è la lega, l'alleanza a cui l'individuo adolescente o adulto aderisce in modo passionale per perseguire in co­ mune degli scopi fortem ente valorizzati e idealizzati. La «casa degli uomini», la società dei guerrieri in certe tribù prim itive, l'am icizia condivisa, la «comunione» degli ini­ ziati che hanno vissuto insieme la stessa esperienza sopran­ naturale ne costituiscono delle varianti. L'adesione al Bund è una decisione libera che impegna l'individuo, nel senso più forte del termine: ne consegue quindi il fatto che i mem­ bri si riconoscono come eguali. Tra loro si sviluppano fe­ nomeni di affinità, il cui ventaglio va dalla «fraternità viri­ le» che esclude le donne, al m atrim onio d'amore. Il reclu­ tam ento avviene per cooptazione. Periodicam ente, il grup­ po ricrea in sé l'effervescenza dei sentim enti calorosi, in occasione di riunioni piene di m istero e di senso del sacro: la guerra o l'esperienza mistica, o il lavoro, o la carità ne costituiscono gli obiettivi più frequenti. Il Bund presenta alcuni aspetti da società segreta; in esso vige una rigida disciplina; il debole, il traditore, colui che divulga all'esterno i credo o le decisioni fondam entali so­ no condannati a m orte. Il Bund fa dei suoi membri degli eroi, dei m artiri, dei m ilitanti, chiesa nascente, setta, eser­ cito ad alto m orale e che crede nella propria missione, mo­ vimento di giovinezza, grande partito di massa, ordine di predicatori o di assassini. Ma il Bund è precario come tu t­ ti gli stati di entusiasm o, di esaltazione; sopravvive tra ­ sform andosi in una com unità di vita (gemeinschaft) o di interessi (gesellschaft); più che uno stato è un momento: quello del rinnovam ento sociale. Cercatori americani I Quaccheri. Nascono nel XVII secolo in Inghilterra. Sono gli eredi dei «cercatori» che, di fronte alla molteplicità delle sette, praticavano un culto com pletam ente libero, riunen­ dosi in piccoli gruppi in cui ognuno prega e parla su un piano di uguaglianza, senza alcuna organizzazione gerar­ chica. Fox, il fondatore dei quaccheri, predica la resu rre­ zione del cristianesim o primitivo; form are gruppi di cre­ denti uniti organicam ente da legami viventi; m ediante la partecipazione a questi gruppi ottenere che la condotta di ognuno nella vita sia effettivam ente cambiata. Si chiama51

no: Società degli Amici. Le loro riunioni sono basate sulla libertà dell'ispirazione e della preghiera (non ci sono preti, sacram enti, credo stabiliti in precedenza), sulla uguaglian­ za dei partecipanti donne com prese (non vi sono superiori né presidenti, tu tti sono «preti»), sulla ricerca diretta da parte di ognuno della verità divina, sotto il controllo dell'ispirazione collettiva. Le loro riunioni cominciano con il silenzio che dura finché un fedele si sente in condizione di parlare con sincerità assoluta. Ogni partecipante è cor­ responsabile del m antenim ento della disciplina e dell'eser­ cizio delle diverse funzioni necessarie. Le discussioni di ordine pratico sono aperte a tu tti a condizione di parlare con uno spirito di verità e non per imporsi. I gruppi quac­ cheri intrattengono gli uni con gli altri rapporti m oltepli­ ci. L'assem blea dei delegati assicura la direzione collegia­ le del movimento. Num erosi in Inghilterra e nelle colonie am ericane in via di formazione, questi gruppi contribuiscono a diffondere, nel XVIII secolo, le idee di tolleranza religiosa, di giustizia sociale, di anti-schiavismo, di pacifismo, di umanizzazione del sistem a penitenziario, di istruzione delle donne, ecc. La loro realizzazione più spettacolare è stata, in buona in­ tesa con gli Indiani, la fondazione, da parte di William Penn di Philadelphia (Città dell'am ore fraterno) al centro della Pennsylvania, nell'Am erica del Nord. Un altro quacchero, lo psichiatra Tuke, ha avuto nel XIX secolo idea di curare gli alienati aprendo in cam pagna una casa di ritiro che m etteva insieme sani e m alati. Eredi dello spirito quacche­ ro, ma senza rivendicarne la filiazione, i gruppi di Oxford si costituiscono a partire dal 1921 sotto l'im pulso di Franck Buchman. Da qui nasce il «Riarmo morale». La concezione quacchera del gruppo dem ocratico, ferm en­ to di valori m orali e spirituali, agente del cam biam ento individuale e dell'evoluzione sociale, è all'origine dell'ideo­ logia che accompagna negli Stati Uniti la nascita della di­ nam ica dei gruppi. Alexis de Tocqueville: «La democrazia in Am enca ». Influen­ zato dalle pratiche quacchere dei prim i coloni inglesi e dalla volontà di emanciparsi dalla tutela del Vecchio Mondo, cioè dall'Imago paterna, la m entalità am ericana non poteva che essere molto aperta alla vita dei gruppi. L'im portanza del­ la vita di gruppo negli Stati Uniti è stata notata dal viag52

giatore francese Alexis de Tocqueville nel suo libro La de­ mocrazia in America pubblicato dal 1835 al 1840: «Non ho affatto intenzione di parlare di quelle associazioni politi­ che m ediante cui gli uomini cercano di difendersi dal di­ spotismo di una maggioranza o dalle usurpazioni del pote­ re del re. (...) Non si tra tta qui di associazioni che si form a­ no nella vita civile e il cui oggetto non ha nulla di politico. Le associazioni politiche esistenti negli Stati Uniti form a­ no soltanto un dettaglio alTinterno delTimmenso quadro che Tinsieme delle associazioni vi delinea. (...) Gli am erica­ ni di tu tte le età, di tu tte le condizioni, di tu tti gli orienta­ m enti spirituali, si uniscono di continuo. Non soltanto han­ no associazioni comm erciali ed industriali a cui tu tti p a r­ tecipano, ma ne hanno ancora di mille altre specie: religio­ se, morali, serie, futili, di molto generali e di molto specifiche, di immense e di piccolissime; gli Americani si associano per dare delle feste, fondare seminari, costruire alberghi, innalzare chiese, diffondere libri, inviare m issio­ nari agli antipodi; creano in questo modo ospedali, prigio­ ni, scuole. Si tra tta infine di m ettere in luce una verità o di sviluppare un sentimento m ediante Tappoggio di un grande esempio: si associano. In tu tti quei casi in cui si può vedere, in Francia, il governo a capo di una im presa e in Inghilterra un grande signore, bisogna tener presente che in America si troverà un'associazione. Ho incontrato in America dei tipi di associazioni di cui confesso non ave­ vo neppure idea, ed ho spesso am m irato l'arte infinita con cui gli abitanti degli Stati Uniti giungevano a fissare un obiettivo comune per gli sforzi di molte persone e come riuscivano a farle funzionare liberam ente»5. La filosofia sociale: Mead, Cooley. Tra il 1925 e il 1935 ori­ gina negli Stati Uniti una psicologia dei gruppi. Essa è pa­ rallela ad una riflessione filosofica che privilegia la rela­ zione con l'altro nella formazione della personalità um ana (George H. Mead) e il ruolo del gruppo prim ario nella so­ cializzazione degli istinti individuali (Charles H. Cooley). Secondo G. M ead6 la personalità del bambino si sviluppa in rapporto con «altri significativi», m em bri della famiglia e compagni di gioco; il bambino non im para soltanto le 5 Voi. Ill, II parte, cap. 2, p. 175 dell'edizione del 1864. 6 Mind, Self and Society, Chicago, 1934. 53

regole del gioco; egli interiorizza gli atteggiam enti dell'al­ tro a seguito di una disposizione naturale a prendere il ruolo dell'altro e può così prendere coscienza di sé come distinto dall'altro. Con Cooley7 si può dire che l'uomo è definito come anim ale gruppale: «Non si deve credere che l'unità del gruppo prim ario sia fatta soltanto di arm onia e di amore. Questa unità implica sem pre delle differenzia­ zioni e generalm ente delle rivalità; com porta l'afferm azio­ ne di sé e le diverse passioni individuali; ma queste passio­ ni sono socializzate dalla sim patia e si piegano, o tendono a piegarsi, alla disciplina di uno spirito comune. La volon­ tà di un individuo può essere molto ambiziosa, ma l'ogget­ to principale di questa ambizione sarà qualche oggetto de­ siderabile nel pensiero degli altri, ed egli proverà un senti­ m ento di fedeltà verso le norm e comuni che raccom anda­ no il servizio degli altri e il gioco leale». Le prim e indagini scientifiche, condotte sim ultaneam ente, vertono sulla delinquenza giovanile e sui rapporti um ani all'interno dell'azienda. La delinquenza giovanile: Trasher, Whyte. La crim inologia aveva una ragione fondam entale per interessarsi a quella form a di gruppo rappresentata dalla gang: gli individui an­ tisociali sono generalm ente più pericolosi in gruppo che da soli. M entre Aichhorn, in Austria, dim ostrava come un buon uso del gruppo potesse servire a riadattare i delin­ quenti (cfr. oltre, capitolo III) gli autori am ericani cercava­ no di analizzare l'uso pericoloso che i delinquenti lasciati a se stessi facevano del gruppo. Frédéric T rasher (1927) raccoglie osservazioni su 1.100 bande di giovani delinquenti a Chicago, sulla base dei rapporti di polizia e di colloqui con dei vecchi mem bri. «La gang è un gruppo prim ario... ostenta, al proprio interno, com portam enti di tu tti i tipi, delibera e stabilisce dei piani con la più fredda determ ina­ zione. Inoltre, può sviluppare una tradizione elaborata, qua­ si una cultura particolare ed in questo senso è come una società in m iniatura». Trasher nota che la gang ha meno di 20 mem bri, che è soggetta a due tendenze opposte: suddividersi in sotto­ gruppi o cricche, che sono em brioni di nuove gang; fede7 Social Organisation, 1909.

rarsi attorno ad una gang dominante. La natu ra delle im­ prese della gang, in perm anente conflitto con la polizia, la società ed altre gang, la costringe ad una unità di co­ m andi e ad una strettissim a divisione dei compiti; durante queste imprese, i membri della gang acquisiscono degli sta­ tus che stabiliscono determ inati ruoli (il cervello, il buffo­ ne, il cocco, il gradasso, il capro espiatorio); il capo è quel­ lo che con la propria presenza rassicura il gruppo e gli perm ette di superare la paura nei confronti di determ ina­ te azioni; si tra tta di una personalità forte sia sul piano fisico sia su quello morale; è più o meno disposto a condi­ videre onore e responsabilità con le altre personalità forti del gruppo; la base del suo potere è add irittu ra dem ocrati­ ca; rim ane capo soltanto se si adegua ai desideri del grup­ po, da cui i frequenti cambiam enti di capo nelle gang. La coesione del gruppo e la fedeltà dei suoi m em bri è soste­ nuta, più che da punizioni fisiche, dalla costrizione eserci­ tata dall'opinione collettiva del gruppo. William F. Whyte (1943), all'interno della colonia italiana di Boston, indirizza la ricerca su un piccolo numero di ban­ de che studia intensivam ente in qualità di osservatore p ar­ tecipante. Si tratta di bande che si formano agli angoli delle strade, nei quartieri poveri e che non sono necessariam en­ te delinquenti. La banda dei Nortons è caratterizzata da una gerarchia stabile, che si riflette in tutte le sue attività: perfino i risultati al bowling dipendono non tanto dall'abi­ lità personale quanto dal rango all'interno del gruppo: quan­ do un buon giocatore di rango basso gioca contro un me­ diocre giocatore, ma di rango elevato, gli altri m embri del gruppo esercitano, con i loro lazzi, e persino con altri mez­ zi, una pressione sociale che fa perdere al buon giocatore i propri strum enti. Le comunicazioni circolano secondo il canale gerarchico, esattam ente come in un organismo bu­ rocratico; l'inform azione sale al vertice per l'assunzione delle decisioni, la decisione discende come una cascata fi­ no in basso; più esattam ente ogni livello gerarchico è in interazione costante con i due livelli vicini. «Il capo è il nucleo centrale di organizzazione del gruppo. Se è assente, i m em bri della gang sono dispersi in num erose piccole fra­ zioni. Non c'è né attività comune, né conversazione gene­ rale. Non appena fa la sua comparsa... il capo diviene cen­ tro della discussione. Un subordinato inizia a parlare, si interrom pe se nota che il capo non ascolta e riprende quan55

do ha ottenuto l'attenzione del capo... Il capo è colui che agisce quando le circostanze lo esigono. Dispone di mag­ giori risorse dei subordinati. Il passato ha m ostrato che le sue idee sono giuste. Quando dà la sua parola ad uno dei ragazzi, la rispetta. I subordinati ricercano i suoi pare­ ri e incoraggiam enti e riceve più di ogni altro le loro con­ fidenze. Così, più di chiunque altro, sa cosa accade nel gruppo... il capo è rispettato per la sua integrità... Ha i suoi amici (coloro che lo seguono direttam ente nella scala gerarchi­ ca) ed è indifferente nei confronti di molti membri; ma per conservare la reputazione di im parzialità non deve per­ m ettere ad una anim osità personale di ovviare al proprio giudizio... Vi sono cam biam enti nella direzione, non per l'ascesa al potere di un ragazzo di basso rango, m a per le inversioni di rango al vertice. Quando una gang si scin­ de in due, la causa è un conflitto tra un capo ed uno dei suoi precedenti luogotenenti (op. cit., pp. 258-261). Lo sta­ tuto all'interno della banda e quello della società sono le­ gati: il capo della banda è quello che è m aggiorm ente co­ nosciuto all'esterno; inversamente, i subordinati più in bas­ so sono ostacolati dalla loro m obilità sociale, dalla loro stretta dipendenza dalla banda, dalle sue norme, dagli af­ fetti, azioni ed attitudini che essa induce. Whyte nota ugual­ m ente un punto che le molte conferme hanno reso banale: i m em bri di tali bande, il cui am bito è la strada, hanno soltanto pochissimi interessi all'interno della famiglia o del loro mestiere; sono dei «disoccupati» che cercano insieme di ammazzare il tempo, persone senza scopo che si annoia­ no, e per le quali il gruppo, per i piaceri che perm ette loro di condividere, costituisce uno scopo in sé. Le relazioni umane n ell’azienda: Mayo. Elton Mayo (18801950), professore di filosofia australiano, si interessa alla psicologia del· lavoro fino ad occupare diversi posti nell'in­ dustria. Svolge la sua carriera negli Stati Uniti dove diri­ ge, dal 1926 al 1947, il D ipartim ento della Ricerca Indu­ striale dell'Università di H arvard. La prim a ricerca di Mayo in America (settem bre 1923 agosto 1925) verte sulla instabilità del personale (tasso di rotazione 25% per anno) nelle officine di filatura di una officina di Filadelfia (tassi di rotazione m edia dal 5 al 6% nel resto dell'officina). Dopo molte vicissitudini, dovute so-

prattutto all'opposizione feroce dei caporeparto, Mayo met­ te a punto e fa im porre dalla direzione un sistem a di pau­ se regolari di dieci m inuti, due al m attino, due al pomerig­ gio, durante le quali gli operai possono sdraiarsi su dei lettini; queste pause, stabilite all'inizio, sono infine lascia­ te all'iniziativa degli operai, per gruppi di tre. Il tasso di rotazione si stabilizza al 5-6% all'anno; il morale migliora, il rendim ento supera la media, mai raggiunta da questo laboratorio, riuscendo ad ottenere dei premi. In questa fa­ se Mayo dà una interpretazione psicofisiologica dei risul­ tati: la prolungata sorveglianza dei telai è responsabile della fatica sul piano fisico e sul piano mentale, della noia, della dispersione dell'attenzione e delle fantasticherie malinco­ niche; le pause sono state efficaci perm ettendo agli operai di distendersi fisicam ente e psichicam ente. Ritornando su questa esperienza, nella sua opera del 1945: The social pro­ blems of an industrial civilisation (Andower Press), Mayo ne dà allora una interpretazione psicosociologica: l'inte­ resse che la direzione ha m anifestato per gli operai con l'istituzione delle pause nonostante il parere dei capore­ parto, poi la decisione di affidare agli operai stessi l'orga­ nizzazione delle pause, hanno modificato la psicologia del­ l'operaio nei confronti del proprio lavoro e dei compagni: il sentim ento della propria responsabilità nel prim o caso; quella della solidarietà nel secondo sono stati risvegliati. Questa azione, dice Mayo, ha trasform ato «un'orda di soli­ tari in un gruppo sociale». L'esperienza cruciale è condotta da Mayo nei reparti Haw­ thorne della Western Electric Company, vicino a Chicago. Questi stabilim enti fabbricano m ateriale telefonico; impie­ gano 40.000 persone, di cui 29.000 operai. L'azienda è mol­ to avanzata dal punto di vista delle realizzazioni sociali e il clima sociale è in essa favorevole. Una esperienza pre­ cedente sul m iglioram ento dell'illuminazione (novembre 1924 - aprile 1927) ha dato risultati soprendenti: parallelam ente a questo m iglioramento, è aum entato il rendim ento nel gruppo sperimentale, il che è normale, e anche nel grup­ po di controllo, in cui l'illuminazione non aveva subito delle variazioni; inoltre, il rendim ento ha continuato a progredi­ re, anche quando, successivamente, è stata dim inuita l'il­ luminazione in m isura notevole. I dirigenti della fabbrica decidono allora di procedere ad una indagine sul rendi­ mento; più generale, meglio controllata, affidata a Mayo 57

(aprile 1927 - giugno 1929). La sperim entazione ha avuto luogo non più nelle scomode condizioni del reparto ma in una stanza speciale, dotata di tu tti gli apparecchi di regi­ strazione e di m isura che dovevano perm ettere di stabilire l'incidenza dei fattori fisici (umidità, tem peratura) sul ren­ dimento e in cui un osservatore della équipe di Mayo era presente in permanenza: la test-room. La ricerca, prevista per un anno, doveva rispondere ad alcuni semplici quesiti circa la fatica e la noia degli operai e il loro atteggiam ento nei confronti del lavoro: l'em ergere progressivo di ipotesi psicosociologiche allungherà la durata e modificherà il con­ tenuto dell'indagine. Nella test-room lavorano sei giovani operaie esperte; cin­ que sono addette, compito monotono, all'assem blaggio di cavi di telefono; la sesta, in contatto con l'esterno, assicu­ ra l'approvvigionamento. Il capo reparto è sem pre quello del grande laboratorio vicino in cui le ragazze lavoravano precedentem ente; esse sono più libere: possono parlare tra loro; si discute con loro del rendimento ottenuto; ci si preoc­ cupa di m antenere un clima amichevole, si fa attenzione al loro sonno e salute. Le si invita a lavorare norm alm en­ te, senza fretta. Inizialm ente erano state scelte due volon­ tarie, legate da vincoli di amicizia, e che hanno cooptato le loro compagne. La prim a esperienza (15 settim ane) consiste nel confronta­ re il rendim ento delle operaie del reparto, pagate tu tte al­ lo stesso modo, con quello delle operaie della test-room, pagate a cottimo; tu tte le altre condizioni restavano inva­ riate: il rendim ento aumenta; raggiunge i 2.500/relais a set­ tim ana. Nella seconda esperienza (24 settim ane) si saggia­ no diversi sistemi di pause intercalari e si mantengono quel­ le che favoriscono il m iglior rendim ento: una pausa di un quarto d'ora con la colazione servita dall'im presa ed una di dieci m inuti nel pomeriggio. Sono state sostituite le ope­ raie, il cui spirito di collaborazione è stato giudicato insuf­ ficiente; una delle nuove, un'italiana, assum erà la leader­ ship del gruppo. La terza esperienza (32 settim ane) riguarda la riduzione della giornata lavorativa e successivam ente della settim a­ na lavorativa. Anche qui viene adottata la form ula più ade­ guata (aumento del rendim ento senza aum ento della fati­ ca): giornata di lavoro norm ale ma con il sabato m attina libero. Il rendim ento aum enta notevolm ente (2.800).

I ricercatori sono soddisfatti; ma uno dei dirigenti della Compagnia, che ha seguito da vicino le esperienze prelim i­ nari suirillum inazione, propone di procedere alla stessa controprova: sopprim ere i m iglioramenti m ateriali che si ritiene abbiano prodotto l'aum ento del rendim ento e vede­ re se il rendim ento ritorna al punto di partenza o se si m antiene al livello attuale. È il periodo del «grande chiari­ mento» (43 settim ane, fine 1928-inizio 1929). a) Vengono soppresse le pause, la colazione; si ristabilisce la settim ana di 48 ore divise in 6 giorni, ma si m antiene il pagam ento a cottimo; invece di crollare, il rendim ento supera i 2.900 relais. b) Si ristabiliscono le pause, la m attina viene servita sol­ tanto una bevanda calda: il rendim ento raggiunge 3.000. Le operaie, così come anche i ricercatori, sono sorprese; le operaie lo attribuiscono alla scom parsa di costrizioni anonime diffuse che, nel grande laboratorio, frenano la pro­ duzione; esse si sentono «liberate» e psicologicamente più a proprio agio nel lavoro. II m iglioram ento delle condizioni m ateriali di lavoro ha dunque svolto semplicemente un ruolo secondario. Il cam­ biam ento negli atteggiam enti e nelle interazioni psicoso­ ciali si rivela essenziale. Invece di essere degli individui isolati che lavorano ognuno per il proprio interesse, e che subiscono passivamente le condizioni psicologiche e m ate­ riali del grande laboratorio, le operaie della test-room so­ no giunte a considerarsi membrì di un gruppo. Si sono coop­ tate; vengono pagate a squadra; sono state consultate sui cambiamenti sperimentali progettati, discutono tra loro del lavoro, del loro rendim ento, di questi cambiamenti; la li­ b ertà di parlare ha loro perm esso di conoscersi le une con le altre; tra loro si è sviluppata e rinforzata la sim patia che ha portato ad incontri e svaghi comuni fuori dal lavo­ ro; emergono personalità influenti che trascinano le altre: così il ruolo della giovane italiana è stato decisivo nel pe­ riodo del grande chiarim ento. Il sentimento di appartene­ re a questo gruppo è valorizzante per le ragazze: i ricerca­ tori chiedono la loro collaborazione, le circondano di at­ tenzione, di benevolenza; esse ne traggono uno status so­ ciale più elevato ed ogni modificazione sperimentale, invece di indurre resistenze al cambiamento, è stata vissuta come la conferm a della loro promozione sociale; il gruppo aderi­ sce con forza ai propri obiettivi, che consistono nell'aiuta-

re la fabbrica a risolvere alcuni problem i di organizzazio­ ne; questo scopo è chiaram ente percepito da ogni mem­ bro; la vita in questo gruppo ha m odificato la precedente diffidenza di ogni m em bro nei confronti della gerarchia; infine il morale elevato della squadra ne faceva per il gran­ de laboratorio una fonte di dinam ism o esemplare; con l'e­ stensione dei m iglioram enti pratici dalla test-room al labo­ ratorio grande, il rendim ento presenta un analogo progres­ so. Il risultato principale dell'inchiesta è la dim ostrazione che l'individuo reagisce alle condizioni pratiche dell'am ­ biente non per ciò che esse sono ma per il modo in cui egli le sente ed il modo in cui le sente dipende in gran parte dalle norm e e dal clima del gruppo in cui lavora o vive, e dal suo grado di appartenenza a questo gruppo. L'esperienza della test-room prosegue dopo il giugno 1929 ma perde la sua purezza sperim entale a causa della crisi economica che si diffonde negli Stati Uniti; vengono prese in esame nuove durate di lavoro, poiché imposte dalla ri­ duzione di attività della fabbrica. Infine, le cinque operaie deH'assemblaggio vengono licen­ ziate con tutto il personale giovane nell'estate del 1932; le eccezionali condizioni in cui hanno lavorato per cinque anni le ha talm ente segnate che troveranno grandi difficol­ tà a riadattarsi ad un lavoro in condizioni standard. La test-room viene chiusa nel febbraio 1933. Le conclusioni dell'esperienza del 1927-1929 non sono tu t­ tavia com pletam ente probanti per Mayo: 1) Le personalità che componevano l'équipe non potrebbe­ ro essere responsabili del com portam ento dell'équipe nel corso dell'esperienza? Con altre personalità si sarebbero ottenuti risultati differenti? 2) L'introduzione, fin dall'inizio, del salario a cottim o di équipe non potrebbe esser stato l'agente stim olante decisi­ vo? La motivazione al guadagno non potrebbe forse essere la più forte? I fenomeni del gruppo non potrebbero essere semplicemente stati la semplice conseguenza del modo di rem unerazione ? Queste obiezioni vengono confutate da nuove esperienze. Nel Second Relay Assembly Group (settem bre 1928 - marzo 1929) cinque operaie continuano a lavorare nel laboratorio grande m a beneficiando per nove settim ane della m odalità di pagam ento della test-room; il loro rendim ento aum enta

in questo periodo per dim inuire successivamente, ma an­ che qui lo stimolo finanziario è pienam ente efficace solo perché sentito dalle operaie nel contesto di una «situazio­ ne sociale» favorevole: esse costituiscono una équipe spe­ ciale assistita da un osservatore; cercano di rivalizzare con le operaie della test-room (.Mica splitting test-room, agosto 1928 - settem bre 1930) dove cinque operaie, occupate in un lavoro differente (separazione e calibraggio di lamine di mica) passano attraverso le stesse fasi della prim a testroom, ma conservando il tipo di salario del laboratorio; i fenomeni di gruppo si riproducono a poco a poco in m a­ niera identica a quelli della prim a test-room. U n'altra azione viene sim ultaneam ente portata avanti (set­ tem bre 1928 - inizi 1931) questa volta in tu tta la fabbrica, su tu tto il personale, nel periodo dell'addestram ento indi­ viduale (inizialmente diretto e successivam ente non diret­ tivo). Lo scopo è sem pre analogo: conoscere le opinioni e atteggiam enti dei salariati nei confronti dell'azienda, dei superiori, delle condizioni di lavoro. Quando la crisi eco­ nom ica interrom pe questo program m a, erano state inter­ vistate 21.126 persone. Da questa inchiesta si traggono sug­ gerim enti concreti per m igliorare alcuni posti di lavoro ed una documentazione destinata alla formazione dei quadri delle relazioni umane; da tutto ciò deriva rapidam ente un m iglioramento del morale collettivo. Le ipotesi formulate in base alle esperienze delle test- rooms vengono conferm ate e precisate: il significato che per l'uo­ mo assume il lavoro dipende dalla propria storia persona­ le, dalle proprie esperienze presenti e passate in seno a gruppi interni ed esterni all'azienda. «Gli individui che co­ stituiscono un laboratorio al lavoro non sono puram ente e semplicemente individui; form ano un gruppo al cui in­ terno hanno sviluppato abitudini di rapporti tra loro, con i superiori, con il proprio lavoro, con i regolamenti della azienda»8. Viene così com piuta una scoperta: i lavoratori costituisco­ no spontaneam ente tra loro dei gruppi informali, con la propria vita e la propria organizzazione e il cui codice im­ plicito determ ina l'atteggiam ento dei m em bri nei confron­ ti del lavoro. Alcuni di questi gruppi vengono seguiti siste8 Mayo, The human problems of an industrial civilisation, New York, 1933.

m aticam ente dai ricercatori. Uno di essi, ad esempio, è adi­ bito ad un lavoro giudicato particolarm ente difficile; i col­ loqui rivelano che il compito è, di fatto, relativamente facile, ma che il gruppo ha costruito tutto un sistem a destinato a proteggere la sua situazione privilegiata da ogni in tru ­ sione intem pestiva e da ogni controllo: due leaders assu­ mono rispettivam ente il ruolo di m inistro degli Affari esteri (tutti i rapporti del gruppo con l'esterno passano attraver­ so di lui) e quello di m inistro dell'Interno (veglia a che venga m antenuto un com portam ento collettivo di freno nei confronti del compito). Questo fenomeno di freno diviene allora oggetto di una di­ mostrazione scientifica: è la Bank Wiring Observation Room (novembre 1931 - maggio 1932), laboratorio di assem blag­ gio che occupa 14 operai. Un osservatore nota sul posto il com portam ento degli operai e ne condivide in modo ami­ chevole la vita di lavoro; un altro ricercatore esterno al gruppo raccoglie individualmente le confidenze degli operai. L'indagine m ostra che, nonostante un sistem a di salario di équipe a cottim o che avrebbe dovuto stim olare il rendi­ mento, gli operai restringono volontariam ente il proprio rendimento: il gruppo assegna ai suoi m em bri una norm a di produzione che corrisponde al rendim ento norm ale da parte del gruppo e che è inferiore al rendim ento giudicato norm ale o auspicabile dalla direzione. L'operaio che supe­ ra questa norm a è considerato come un «crumiro», un tra ­ ditore e subisce i lazzi e il disprezzo a volte sornione del gruppo. Nel suo resoconto complessivo sulle ricerche condotte alla Western Electric, Roethlisberger 9 descrive, a partire da là, il conflitto tra la «logica del sentimento» propria dell'ope­ raio e la «logica dell'efficienza» propria della direzione. G. Friedm ann (1949) diffonde questi lavori e queste idee in Francia. Inizio della sperimentazione in laboratorio: Sherif. Se la test-room costituisce un laboratorio di studio di un grup­ po su terreno naturale, l'esperienza di M uzafer Sherif, nel 1953, sull'illusione autocinetica è celebre come una delle prim e sperim entazioni di laboratorio su un gruppo artifi9 F.'J. Roethlisberger, W. J. Dickson, Management and the worker, Harvard, U. Press, 1939.

c ia le 10. N eiroscurità totale, le nostre percezioni visive per­ dono il quadro di riferim ento abituale e divengono incer­ te; così un punto luminoso fisso è percepito non soltanto in movimento m a in movimento disordinato: si tra tta del­ l'effetto autocinetico. Lo scopo dell'esperienza era quello di confrontare la valutazione dell'ampiezza del movimento in situazione individuale e in situazione di gruppo. I sog­ getti cominciavano sia con una situazione sia con l'altra. Il soggetto individuale doveva effettuare cento m isurazio­ ni successive; le m isure provano che ogni soggetto si co­ struisce un punto di riferim ento (o norma) ed uno scarto di variazione che gli sono proprie e che egli tende a ripete­ re nei giorni seguenti, se gli si fa ripetere l'esperienza. I gruppi comprendevano due o tre soggetti, ognuno dei qua­ li annunciava ad alta voce il proprio risultato: la situazio­ ne del gruppo produce una convergenza rapida dei punti di riferim ento e degli scarti di variazione propri ad ogni individuo; le norme individuali sono sostituite da una nor­ ma unica comune; nel corso delle sedute, l'individuo modi­ fica, in genere inconsciamente, la propria percezione dello spostam ento illusorio del punto luminoso in modo da avvi­ cinarsi alla norm a del gruppo; se, successivamente, l'indi­ viduo continua a lavorare da solo conserva lo scarto di variazione e la norm a del proprio gruppo. Questa norm a è dunque un «prodotto sociale» che influenza ormai que­ sto tipo di percezione nell'individuo. Si può supporre che la formazione di stereotipi, mode, con­ venzioni, costumi, valori, obbedisca allo stesso processo: formazione di quadri di riferim ento comuni nel corso del­ l'interazione tra individui ma in situazione di gruppo: inte­ riorizzazione, da parte di ognuno, di questo quadro di rife­ rim ento. Una indagine con il metodo dell'introspezione diretta ha perm esso di precisare alcuni aspetti del processo: nella si­ tuazione autocinetica, non strutturata, indefinita, incerta (analoga a quella di un test proiettivo) il soggetto si trova a disagio; lo stabilire una norma ha come funzione la ridu­ zione del malessere; ma nella situazione individuale il sog­ getto conserva dei dubbi sull'esattezza delle proprie valu10 L'articolo di M. Shérif, Influence du groupe sur la formation des normes et des attitudes, è stato tradotto in francese in A. Levy (1965). Dello stesso autore confronta l'opera americana (1936). 63

tazioni, m entre in gruppo la norm a del gruppo dà una mag­ giore sicurezza; quando si sente deviante rispetto alla nor­ ma del gruppo il soggetto ridiventa a disagio; l'angoscia viene così spostata dal problema della conformità alla realtà al problem a della conform ità al gruppo.

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Capitolo terzo

Teorie

La sociometria secondo Moreno Jacob-Lévi Moreno (1892-1974) fu, al tem po stesso, un per­ sonaggio ed un precursore rivelandosi più un inventore che un teorico. «Il suo interesse per i bam bini abbandonati nei giardini di Vienna, per le prostitute respinte dalla società, per i profughi al campo di M ittendorf, la sua esperienza di psichiatra che aveva rotto con la m edicina ufficiale, di attore in conflitto con il teatro tradizionale, di mistico al di fuori delle religioni stabilite, infine la sua esperienza di immigrato, ci sem bra convergano verso il problem a del rifiuto sociale. Moreno è preoccupato per tutti coloro che hanno faticato a farsi accettare da un gruppo: i Neri ri­ spetto ai Bianchi, gli Ebrei nei confronti dei tedeschi, gli isolati all’interno di una classe, di un laboratorio o di uno squadrone. I giochi delle attrazioni e repulsioni interindi­ viduali lo appassionano in modo prim ordiale»1. M oreno inventa a Vienna nel 1923 lo psicodramm a, cioè la psicoterapia dei conflitti interpersonali all'interno della coppia e della famiglia per mezzo deirimprovvisazione dram m atica servendosi di personaggi ausiliari e grazie al­ la catarsi degli affetti «repressi» [Moreno, 1965]. Il piccolo gruppo costituito dalla o dalle persone in con­ flitto, dagli ausiliari e dal direttore di gioco (che non gio­ ca) funziona (eccetto che nel caso di bambini) di fronte ad un ampio gruppo dì spettatori, che traggono vantaggio a1 1 D. Anzieu, Lo psicodramma analitico nel bambino e nelVadolescente (1979, pp. 85-86). 65

loro volta dall'effetto catartico. Poi Moreno, em igrato ne­ gli Stati Uniti nel 1925, am plia la p ortata della sua scoper­ ta; m ette a punto una migliore form azione degli individui nei confronti dei ruoli sociali richiesti nella vita sociale e professionale; e questo m ediante la tecnica del gioco dei ruoli e grazie alla liberazione della spontaneità personale, irrigidita nelle abitudini, le stereotipie, le riserve cultura­ li: si ritiene che l'interazione delle spontaneità produca una migliore comprensione reciproca dell'altro, perché ognu­ no apprende ad esteriorizzare i propri ruoli, a «leggere» i ruoli dell'altro e a dar loro delle risposte di ruoli adeguati. La personalità è da lui concepita come un sistem a di ruoli e come un atomo sociale. Nel corso di una ricerca in una istituzione per adolescenti delinquenti, nel 1930 (l'Istituto Hudson, vicino a New York), Moreno [1959] verifica e m et­ te a punto la tecnica sociom etrica. Gli esseri um ani sono legati gli uni agli altri da tre possibili relazioni: sim patia, antipatia, indifferenza. Le relazioni possono essere m isurate sulla base di un que­ stionario in cui ogni m em bro di un gruppo indica chi, nel gruppo, sceglie e rifiuta come compagno. Lo spoglio delle risposte perm ette di stabilire una sorta di radiografia dei legami socio-affettivi (il tele) all'interno del gruppo: il sociogram m a ne è la rappresentazione grafica. Alcune confi­ gurazioni di questi legami sono esplicative di alcuni feno­ meni del gruppo. Ad esempio, una catena di sim patia co­ stituisce una rete di comunicazione in cui questa circola rapidam ente e discretam ente. Così, all'Istituto Hudson, la diffusione delle chiacchiere e l'evasione dei pensionanti se­ guono. una stessa catena. Un altro esempio: i padiglioni in cui i rieducatori incontrano maggiori difficoltà sono quel­ li in cui esistono antipatie tra i pensionanti di questo padi­ glione. Il quadro sociom etrico dell'istituzione nel suo com­ plesso perm ette di procedere ad una ricomposizione degli effettivi dei padiglioni tale che la coesione dei gruppi, di per sé propizia ad un migliore clima educativo, sia rinfor­ zata dall'avvicinam ento delle «simpatie» e dalla dispersio­ ne delle «antipatie». Ugualmente, l'indicazione di un tra t­ tam ento psicodram m atico diviene più facile quando l'in­ dagine sociom etrica ha posto in evidenza l'esistenza, al­ l'interno di un gruppo, di isolati o di rifiutati. Il m orale e di conseguenza le prestazioni di un gruppo, di un equipaggio, di una équipe di lavoro, dipendono dalla

prevalenza dei rapporti di sim patia tra i mem bri e nei con­ fronti del leader (per uno studio più dettagliato, cf. oltre, VI capitolo). Infine Moreno estende ai rapporti ed ai conflitti intergrup­ po i tre principi fondam entali della spontaneità, della ca­ tarsi e della interazione dei ruoli. È il sociodramma, in cui rappresentanti di ogni sottogruppo o di ogni com unità in conflitto vengono a turno a rappresentare psicodramm aticam ente il modo in cui vivono le situazioni che sono fonte di conflitti con l'altro sottogruppo o con la comunità. La dinamica dei gruppi secondo Kurt Lewin Psicologo della scuola di Berlino, presto emigrato negli Stati Uniti, Kurt Lewin (1890-1947) ha trasposto inizialmente nel­ lo studio della personalità um ana, poi in quella dei grup­ pi, i principi della Gestalttheorie o psicologia della for­ m a 2. Questa aveva dim ostrato che la percezione e Tabitu­ dine vertevano non su elementi ma su strutture, organiz­ zazioni o riorganizzazioni di sensazioni o ricordi. Similmente Lewin spiega l'azione individuale a partire dalla stru ttu ra che si stabilisce tra il soggetto e il suo am biente in un momento dato. Questa s tru ttu ra è un campo dinam i­ co, cioè un sistem a di forze in equilibrio: quando l'equili­ brio è rotto c'è tensione nell'individuo e il suo com porta­ mento ha come scopo il ristabilim ento di questo equilibrio. Lewin e i suoi collaboratori della scuola berlinese hanno studiato più specificamente tre forme di tensione nella per­ sonalità individuale: a) Ogni compito interrotto, prim a di essere portato a te r­ mine, lascia il soggetto in uno stato di insoddisfazione e viene ricordato meglio, di conseguenza, un compito inter­ rotto che un compito simile che sia stato possibile portare a term ine e in cui la tensione sia stata completam ente ri­ solta (effetto Zeigarnik). b) La tensione provocata in un soggetto da una frustrazio­ ne lo conduce sia ad una scarica aggressiva della tensione, sia ad un ritra rsi nei confronti dei bisogni di cui sperava 2 I principali riferimenti alle pubblicazioni di K. Lewin, unitamente allo studio dedicato a Lewin da P. Kaufmann sono reperibili alTinizio della Bibliografia generale posta alla fine del seguente volume. 67

la soddisfazione e che avevano conosciuto un inizio di sod­ disfazione (frustrazione — aggressione o regressione) (espe­ rienze di B arker e Dembo). c) Gli insuccessi o successi incontrati nel corso dell'esecuzione di un compito ripetitivo m odificano il nostro atteg­ giamento dinamico nei confronti di questo compito: si tratta del «livello di aspirazione» che può innalzarsi sia perché il successo dà fiducia sia per com pensare la delusione di uno scacco (può anche abbassarsi per ragioni sim m etri­ che) (cf. F. Robaye, 1956). Giunto negli Stati Uniti nel 1930, Lewin continua le sue ricerche, m a è sempre più influenzato dalla nascente psi­ cologia sociale sperim entale (cf. capitolo II). Lewin utilizza una rappresentazione grafica topologica per spiegare le relazioni che rim angono im m utate all'interno del campo psicologico in perpetua evoluzione dell'individuo; m ette anche in evidenza i concetti di spazio di vita di un individuo, di locomozione dell'individuo attraverso questo spazio verso gli oggetti investiti dai suoi bisogni, di distanza psicologica tra il soggetto e le persone e gli oggetti del campo, di barriere che si interpongono tra gli elementi del campo. A partire dal 1938, Lewin si dedica ad estendere ai piccoli gruppi questa, nozione di campo dinamico, applicando loro in modo rigoroso il m etodo sperim entale, l'unico in grado, secondo lui, di verificare autenticam ente le sue ipotesi. Riu­ nisce artificialm ente dei gruppi di bam bini per una d urata assai lunga e in occasione delle attività di svago che loro sono state proposte, introduce nella situazione delle varia­ bili di cui m isura gli effetti. Questo tipo di esperienza è ripreso e sistematizzato da K urt Lewin, Lippitt e White nel 1939, con la creazione di 5 club di bam bini di età scolare, a cui si propongono come attivi­ tà la fabbricazione di scenari teatrali (cf. Lewin, 1959). In ogni club vi sono 5 partecipanti, un m onitore psicologo addestrato alla conduzione dei gruppi secondo un clima sociale definito e tu tto il m ateriale necessario. I bam bini sono volontari. Vengono con il permesso dei genitori e mae­ stri. Ignorano lo scopo dell'esperienza. Si realizzano così tre climi sociali: a) autocratico, b) demo­ cratico, c) «lassista»3, ognuno dei quali si differenziava 3 Lassismo (laisser-faire). L'espressione francese laisser-fair utilizzata

dagli altri in cinque punti (cf. tavola 8, VI capitolo). I club si riuniscono una volta a settim ana. Dopo 6 settim ane ogni club cambia m onitore e clima. Questi cambiam enti si a t­ tuano secondo un ordine differente per ogni club. Ugual­ mente ogni m onitore cambia, clima e gruppo. L 'apparato di controllo funziona di continuo: ogni bambino è stato sottoposto a test prim a dell'esperienza e ogni settim ana si chiede ai genitori e ai m aestri un resoconto sul com por­ tam ento del bambino. Alla fine dell'esperienza, si organiz­ za una gita durante la quale si chiede ai bambini di esprimere la propria opinione. Ogni seduta del club viene registrata su nastro m agnetico e filmata. Inoltre, due invitati­ osservatori assistono per dare la loro impressione globale sul clima. L'utilizzazione della m assa dei documenti è stata possibile soltanto rispetto ad una ipotesi: la frustrazione porta con sé l'aggressività. Sono stati calcolati i tassi di aggressività per ogni seduta (numero delle parole e dei gesti aggressivi nei confronti delle persone e delle cose) così come la me­ dia di aggressività per ogni clima ed ogni club. Da cui i risultati seguenti: a) Si era previsto che il clima autocratico, molto fru stra n ­ te, facesse apparire un forte tasso di aggressività. Di fatto, sono state poste in luce due tipi di reazioni: sedute prive di aggressività (apatia); sedute nel corso delle quali si sono m anifestate esplosioni di rabbia collettiva con distruzione del m ateriale. Così l'autocratism o induce due tipi di reazioni: sia l'obbe­ dienza passiva in cui l'inerzia è un modo di resistenza nei confronti dell'aggressività, sia rivolte violente in cui l'ac­ cumulo, nel corso della fase precedente dell'aggressività latente (risultante dalla frustrazione dovuta allo stile di comando), raggiunge il suo punto di rottura. b) Si pensava che nel clima dem ocratico l'aggressività fos­ se più debole, come effettivam ente avviene; tuttavia essa non è nulla, ma si scarica progressivam ente, il che pernei testi inglesi originali da K. Lewin e collaboratori è stata ripresa dal «padre deH'economia politica» Adam Smith che l'ha usata nel te­ sto Ricerche sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nazioni (1776). Ricordiamo che nel nostro testo «laissez-faire » non viene usa­ to come sinonimo di anarchia. L'esperienza basilare di Lewin è stata rifatta in Francia con delle varianti da G. Serrai; la riprenderemo in considerazione successivamente. 69

m ette di m antenerla ad un tasso regolare relativam ente basso. Questo modo di tra tta re l'aggressività perm ette al gruppo dem ocratico di essere più produttivo nei suoi compiti. c) Per il clima «lassista» era stato previsto un tasso di ag­ gressività m oderato. Invece vi si trova in m edia il tasso più alto. Di fatto, i bam bini si recavano al club per realiz­ zare un lavoro che richiedeva l'aiuto di un m onitore, su cui essi contavano. Vi era fallim ento a causa dell'abbando­ no da parte del monitore; da questa frustrazione molto forte nasceva una reazione di aggressività m olto intensa tra lo­ ro e nei confronti del monitore. In conclusione, la frustrazione produce reazioni aggressi­ ve, m a queste assum ono sfum ature particolari a seconda dei climi gruppali. Questi climi gruppali dipendono a loro volta dallo stile di comando. Nel m omento in cui inizia la Seconda Guerra Mondiale, questa esperienza conosce ben presto la celebrità. Convalida l'ideale dem ocratico delle na­ zioni che si oppongono alle dittature: nei gruppi condotti dem ocraticam ente la tensione è m inim a poiché l'aggressi­ vità vi si scarica progressivam ente invece di accum ularsi e produrre l'apatia frenante o le esplosioni distruttive, co­ me avviene nei gruppi condotti in modo autocratico o las­ sista; il gruppo democratico, raggiungendo più facilm ente il proprio equilibrio interno, è più costruttivo nelle sue attività. Questa esperienza illustra le ipotesi di Lewin: il gruppo è un tu tto le cui proprietà sono differenti dalla somma delle parti; il gruppo e il suo am biente costituiscono un campo sociale dinamico, i cui principali elem enti sono i sottogruppi, i mem bri, i canali di comunicazione, le b a r­ riere. Modificando un elemento privilegiato si può m odifi­ care la s tru ttu ra d'insieme. La ricerca dei rapporti dina­ mici fra tali elem enti e tali configurazioni d'insiem e divie­ ne, da questo momento, il tem a fondam entale di Lewin e della sua scuola. Le relazioni, scoperte in laboratorio con gruppi artificiali, possono successivam ente essere studia­ te nei gruppi reali, nell'officina, nella scuola, nel quartie­ re. Il piccolo gruppo diviene a sua volta «il laboratorio di choc» che perm ette di superare le resistenze al cam bia­ mento e di innescare l'evoluzione delle stru ttu re in un cam­ po sociale più vasto (officina, m ercato di consum atori, opi­ nione pubblica).

Il gruppo è concepito da Lewin come una realtà sui gene­ ris, irriducibile agli individui che lo compongono, e alla somiglianza dei tem peram enti. Il gruppo è un chiaro siste­ m a di interdipendenza: a) tra i m em bri del gruppo; b) tra gli elementi del campo (scopi, norme, percezione dell'ambiente esterno, divisione dei ruoli, status, ecc.). Il sistem a di interdipendenza, proprio ad un gruppo in un m omento dato, spiega il funzionamento del gruppo e la sua condotta, così come il suo funzionamento interno (sot­ togruppi, affinità, ruoli) e Fazione sulla realtà esterna. In questo consiste la forza del grùppo o piuttosto il sistem a di forze che lo fanno agire o che gli impediscono di agire: Da cui l'espressione dinamica dei gruppi, per designare que­ sto metodo di studio. Lewin la utilizza per la prim a volta nel 1944 in un articolo, nella stessa accezione con cui in fisica si distingue la statica e la dinam ica di un sistema. L'espressione, per il suo potere di immagine, avrà fortuna. Per Lewin essa aveva una accezione più ristretta: in un am biente definito, una certa distribuzione di forze deter­ m ina il com portam ento di un oggetto che possiede caratte­ ristiche definite. I successivi lavori di Lewin riguardano il suo cam biam en­ to sociale. Definisce il concetto di stato quasi stazionario: si tra tta di uno stato di equilibrio tra forze uguali in gran­ dezza ed opposte in direzione; questo stato non è rigorosa­ m ente costante; m anifesta fluttuazioni attorno ad un valo­ re medio, vi è dunque un m argine di vicinanza all'interno del quale la s tru ttu ra del campo di forze non si modifica. È la definizione più generale di resistenza al cam biam en­ to. L'accrescersi di forze opposte non modifica l'equilibrio ma produce un aumento della tensione nel gruppo. Per mo­ dificare la stru ttu ra del campo di forze, è necessario au­ m entare molto fortem ente una delle forze opposte o dimi­ nuire l'intensità dell'altra. Il cambiamento, una volta che sia andato oltre il m argine di vicinanza, tende a prosegui­ re da solo verso un nuovo equilibrio e a divenire irrever­ sibile. Come superare la resistenza iniziale che tende a riportare l'equilibrio al livello precedente? «Decristallizzando» a po­ co a poco le abitudini m ediante metodi di discussione non direttivi, fino al punto di rottura, di choc, in cui può ope­ rarsi una ricristallizzazione differente. In altri term ini, ab­ bassare la soglia di resistenza e condurre il gruppo ad un 71

grado di crisi che produce un m utam ento di abitudini nei suoi membri, poi, per influenza, nelle zone vicine del cor­ po sociale. Una esperienza del 19434 sulla modificazione delle abitu­ dini alim entari illustra le sue concezioni. Si tra tta di un intervento su gruppi di casalinghe am ericane, volontarie della Croce Rossa per l'assistenza a domicilio. Questi grup­ pi, da 13 a 17 persone, sono legati da forte solidarietà. I collaboratori di Lewin dispongono di una d u rata di 45 mi­ nuti per 6 di questi gruppi. Lo scopo è aum entare il consu­ mo di alcune frattaglie (cuore, rognone, anim ella di vitel­ lo) oggetto di avversione. Vengono tra tta ti tre gruppi con il metodo classico della conferenza: una casalinga esperta tiene una interessante conferenza sull'utilità di consum a­ re queste parti (vantaggi dietetici e partecipazione allo sfor­ zo bellico del paese) e sull'arte di prep ararli in modo da evitare alcune caratteristiche, di odore, ad esempio, respon­ sabili dell'avversione. Soltanto il 3% delle partecipanti so­ no convinte al punto da servire effettivam ente in tavola queste «frattaglie». Gli altri tre gruppi sono guidati da Bavelas, secondo un altro metodo: una breve conferenza affronta il problem a alim entare nella duplice prospettiva dello sforzo bellico e della dietetica. Viene successivam ente aperta una discus­ sione libera per vedere «se delle casalinghe potrebbero par­ tecipare ad un program m a di cam biam ento delle abitudini alim entari senza ricorrere ai metodi di vendita a forte pres­ sione: imm aginate delle casalinghe come voi...». Gli scam ­ bi di punti di vista pongono in evidenza i pregiudizi che ostacolano il cam biam ento (odori durante la cottura, con­ sistenza ripugnante di queste parti, disgusto provato dai mariti). Un esperto propone allora rim edi e ricette, come nei tre gruppi precedenti, ma li propone soltanto quando il gruppo è m otivato a conoscerli. Una votazione per alza­ ta di mano inquadra la discussione: si chiede inizialm ente quante partecipanti abbiano già servito tali alimenti; alla fine quante pensano di servirli. Il controllo degli effetti m ostra che il 32% lo faranno effettivam ente nelle settim a­ ne seguenti. Da dove deriva la superiorità del secondo m etodo? L'im­ plicazione delle casalinghe è più elevata, poiché discutono 4 Trad, francese in A. Lévy (1965).

«come se» si trattasse di altre casalinghe ed esse fossero libere nella loro decisione finale. Una decisione assunta in gruppo impegna Fazione più di una decisione individua­ le. I mem bri di un gruppo sono pronti ad aderire a nuove norm e se il gruppo vi aderisce. «L'esperienza in fatto di comando, di formazione, di cam biam enti delle abitudini alim entari, di rendim ento al lavoro, di alcolismo, di pre­ giudizi, tutto dim ostra che è più facile cam biare degli in­ dividui costituiti in gruppo che cam biare ciascuno di loro separatam ente». La conform ità al gruppo è uno degli ele­ m enti della resistenza interna al cambiamento: è necessa­ rio riorientare questa forza al servizio del cambiamento. D 'altro canto, per m odificare un equilibrio quasi staziona­ rio è possibile sia accrescere le forze che spingono nella direzione desiderata sia dim inuire le forze opposte. La p ri­ m a procedura determ ina un gruppo in uno stato di tensio­ ne elevato, con aggressività aum entata, reazioni emotive, abbassam énto dell'azione costruttiva; si avvicina alla con­ dotta autocratica dei gruppi, che si tra tti della costrizione esercitata da un individuo dom inante o di quella di una maggioranza su una minoranza. La seconda procedura, al contrario, facilita il cam biam ento per riduzione della ten­ sione interna. Infine, per sciogliere pregiudizi càrichi di affettività, è necessario produrre un ribaltam ento emoti­ vo, «una catarsi» che rompe la compiacenza per il pregiu­ dizio e sgela l'abitudine. Da cui le tre tappe del cam bia­ mento sociale: a) sgelare (unfreezing); b) cambiare (moving); c) cristallizzare (freezing) il nuovo equilibrio in modo che esso tenga. Vedremo in seguito (capitolo IV) come il metodo del T-group (o gruppo di diagnosi, o gruppo di espressione verbale li­ bera) sia stato scoperto a partire dalle concezioni lewiniane e quali ne siano stati gli sviluppi. L’approccio non direttivo secondo Rogers Con Kurt Lewin lo scopo della dinam ica dei gruppi è al tempo stesso formativo e di ricerca, e in questo senso è una chiara esemplificazione della «ricerca attiva»: m ani­ polando correttam ente alcune variabili, perm ettere a degli individui di conoscere meglio in gruppo e sui gruppi — un sapere personalm ente assim ilato e che porta ad agire 73

di conseguenza. Per Carl Rogers (1966, 1970) lo scopo del consiglio psicologico e del gruppo di formazione o di psi­ coterapia è quello di portare le persone a provare — a pro­ vare i propri sentim enti autentici, volontariam ente dissi­ m ulati o inconsciam ente rifiutati — e a stabilire con gli altri delle relazioni più umane, fondate sullo scambio di sentim enti simili. In questa prospettiva, ogni sapere prece­ dentem ente stabilito è dannoso; la ricerca teorica, inutile, il gruppo, privo di specificità particolare; ciò che conta, che l'anim atore funzioni con una o più persone, è il suo orientamento non direttivo. Per l'animatore, come per i par­ tecipanti, lo scopo rim ane la verbalizzazione, a condizione che essa riguardi qualcosa di profondam ente sentito. Ma Rogers confessa con m olta onestà il suo ridotto interesse per la riflessione astratta, per l'interpretazione psicoanali­ tica come per gli esercizi non verbali e corporei. L'approc­ cio non direttivo attenua le differenze tra la formazione, la psicoterapia ed alcune forme sociali di cambiamento: si partecipa ad un gruppo di parola libera per incontrare l'altro in quanto «persona» e diventare noi stessi m aggior­ m ente una persona. L'anim atore utilizza soltanto delle tec­ niche di incitazione (mediante rilanci) e di com prensione (mediante la riform ulazione dei sentim enti espressi). Ro­ gers si basa su un postulato ottim ista: ogni essere umano, bambino o adulto, tende a svilupparsi e basta po'rlo in una situazione di libertà perché compia le esperienze utili per realizzare le proprie possibilità, acquistare una migliore conoscenza di sé e degli altri, per ritrovare i legami affet­ tivi fondam entali tra esseri u m a n i5. Le teorie cognitive La psicologia sperim entale, individuale e sociale, si è svi­ luppata per un quarto di secolo a p a rtire da un modello behaviorista di ricerca delle correlazioni tra uno stimolo 5 In Francia, Max Pagès ha fatto conoscere il non direttivismo rogersiano (L’orientation non directive en psychothérapie et en psycho­ logie sociale, Dunod, 1965) e a svilupparne l’applicazione teorica e pratica al gruppo (cf. M. Pagès, 1968). La bibliografia della seconda parte di questo nostro volume contiene il riferimento ad un lavoro di Rogers e Kinget (1962). Citiamo anche A. de Peretti, Pensée et vénté de Cari Rogers, Toulouse, Privat, 1974.

controllabile ed una risposta com portam entale m isurabi­ le. Il modello cognitivo che diviene dom inante alla fine de­ gli anni 606 riguarda ciò che accade tra lo stimolo e la risposta all'interno di quella «scatola nera», che i behavioristi volevano ignorare. Essa contiene di fatto due tipi di «informazioni», fornite rispettivamente dalle immagini men­ tali e dagli enunciati del linguaggio, e che i progressi con­ cettuali e tecnici perm ettono orm ai di studiare rigorosa­ mente. A somiglianza del cervello da cui dipende strettam ente e delle macchine ad intelligenza artificiale sul cui schema di funzionamento il cervello è attualm ente conce­ pito, lo psichismo in questa nuova prospettiva è conside­ rato come l'apparato che nell'uom o è deputato a raccoglie­ re, immagazzinare, trasform are e trattenere l'inform azio­ ne, dove quest'ultim o term ine è considerato nell'accezione che supera am piam ente la definizione m atem atica origina­ ria di «quantità di informazione». Ciò che è psicologico, cioè mentale, sono i com portam enti che perm ettono le co­ noscenze. Le immagini mentali e gli enunciati del linguag­ gio possiedono due organizzazioni distinte (sembra che ognuno dei due emisferi sia specializzato nel trattam ento di uno di questi «format») ma essi sono fino ad un certo punto traducibili l'uno nell'altro. Da cui, per spiegare co­ me lo psichismo possa trad u rre il linguaggio in immagine e l'immagine in linguaggio, il ricorso ad un trattam ento proposizionale dell'informazione e ad una teoria componenziale del significato. Da cui anche, per la diversità dei modelli m atem atici e linguistici utilizzati, il fatto che esi­ sta non una teoria cognitiva m a diverse teorie. Applicate al piccolo gruppo, queste teorie hanno preso in considera­ zione soprattutto le comunicazioni intragruppo e intergrup­ po, le norme di gruppo, la creatività, la soluzione di pro­ blemi in gruppo, la decisione di gruppo. Uno dei pionieri in m ateria, Festinger, ha derivato la sua teoria della dissonanza cognitiva dalla osservazione parte­ cipante su piccoli gruppi naturali, quali sette religiose, i cui credo si trovavano ad essere paradossalm ente non già distrutti ma rinforzati da informazioni che venivano a smen­ tirle (vedi oltre, capitolo IV). Confermando o contestando l'ipotesi secondo cui l'innovazione nei gruppi tenderebbe 6 Con la pubblicazione nel 1966 di L'image mentale chez l'enfant di Piaget e Inhelder e nel 1967 di Cognitive Psychology di Neisser. 75

a rid u rre la dissonanza cognitiva tra i pregiudizi e le cono­ scenze dei fatti, sono state sviluppate ricerche sull'influenza sociale, sulle pressioni airuniform ità, sulla conformità, l'or­ todossia, la devianza, suH'equilibrio cognitivo m antenuto dalle maggioranze conservatrici, sul ruolo innovatore del­ le m inoranze attive all'interno dei gruppi. Per quanto ri­ guarda i rapporti intergruppi, studiati soprattutto in Bel­ gio da W. Doise (1976), l'aspetto più im portante è stata la m essa in luce dei processi di «categorizzazione sociale», cioè della classificazione delle persone in categorie, del suo im patto sul com portam ento di coloro che em ettono queste classificazioni come di coloro che ne sono oggetto. T utta­ via, il term ine di gruppo è qui ambiguo perché, se a volte designa delle riunioni di persone, il più delle volte si rife­ risce a classi o categorie sociali (storiche, geografiche, re­ ligiose ecc.) a cui gli interessati si trovano ad appartenere: questa seconda accezione, che non rien tra evidentem ente nell'ambito del presente lavoro, dovrebbe spesso essere me­ glio distinta dalla prim a. Lo studio delle rappresentazioni sociali (nelle immagini m entali individuali) ha portato, m ediante la riform ulazio­ ne dei concetti di abitudini e di opinione, una migliore va­ lutazione dei m eccanism i di elaborazione cognitiva della condotta in situazione di gruppo e di quelli della com uni­ cazione. C^F lam ent .(1965) ha proposto una teoria dei tre sistejni in gioco nello stabilim ento di un equilibrio gruppale dina­ mico favorevole all'attivazione dei canali di comunicazio­ ne tra i mem bri. Il prim o sistem a è quello dell'esigenza del compito che si può form alizzare nelle esperienze di la­ boratorio o che si può descrivere nei gruppi di formazione (eliminazione degli stereotipi, passaggio ad un linguaggio personale, ecc.). Il secondo è il sistema sociale stabilito nel gruppo (Flament riprende in questo caso i lavori di Lewin, Lippitt e White sui gruppi autocratici e lassisti). Il terzo infine è quello dei bisogni interpersonali. Ogni partecipan­ te prova, secondo Schutz7, bisogni di inclusione nel grup­ po, di controllo sul gruppo, e di affetto da parte degli al­ tri; tu tto ciò è implicito nel percorso seguito per parteci­ pare ad un gruppo. Ognuno cerca la soddisfazione di que7 Citato da Mailhot, Dynamique et genèse des groupes, L'Epi, 1968, p. 93.

sti bisogni; questa ricerca interferisce con quella degli altri all'interno di un insieme di comunicazioni. Questo sistema dei bisogni interpersonali è in tensione con l'insiem e delle esigenze del compito, lo scarto tra i due può essere regola­ to dal sistema sociale o può invece a sua volta disturbarlo, il che provoca allora una modificazione della rete di co­ municazione che può alterarsi in rete a catena (lassismo) o in rete verticale (autocratica). C. Flament (1963) aveva in precedenza sistematizzato l'impiego e il ricorso della teo­ ria m atem atica dei grafi per spiegare i diversi tipi di rete. Lo studio delle particolarità degli enunciati del linguaggio in situazione di gruppo cerca una sua metodologia e resta ancora agli esordi. Andrée Tabouret-Keller (1966) ha dimo­ strato che l'impiego dei sostantivi evolveva nella vita di un gruppo: è possibile vedere, attraverso il loro impiego, momenti in cui le persone si ascoltano e momenti in cui non si ascoltano più (termini più personali o invece più astratti). Mette anche in luce, m ediante lo studio delle fre­ quenze e delle distanze di frequenze, un altro criterio: quello dell'uso degli stereotipi. Si può pensare che la loro abbon­ danza segni un debole grado di m essa in comune; la loro scarsità, un incontro delle persone ed un maggiore adatta­ m ento alla realtà del compito e della situazione. L'impiego del linguaggio in prim a persona, che ha come contenuto l'esperienza personale, l'espressione di un desiderio o di una paura o di una proposizione, denota un grado di co­ municazione più elevato del linguaggio in terza persona o di una form ulazione generale, che denota una riserva. Moscovici e Plon (1966), in uno studio sperim entale delle situazioni colloquio, dim ostrano che la relazione sociale determ ina il repertorio dei term ini che devono essere usa­ ti. Inoltre, il quadro sociale dà una colorazione differente al tem a della discussione. Nelle loro esperienze, i soggetti in situazione abituale affrontano il tem a in modo più sog­ gettivo e più emozionale m entre gli altri lo trattavano in modo più oggettivo e più statico. In una pubblicazione successiva, Moscovici e Malrieu (1968) dim ostrano che il carattere vincolante del canale favorisce la com parsa di frasi più lunghe, più complesse e meno ste­ reotipate. Qui, vengono presi in considerazione l'organiz­ zazione dei canali di comunicazione e la stru ttu ra sintatti­ ca del discorso. Quando le costrizioni aumentano, il lin­ guaggio orale si avvicina m aggiormente al linguaggio scritto. 77

I lavori di Lamarche e collaboratori8 a M ontreal sono vol­ ti a costruire un modello form alizzato sim ulabile su calco­ latore e che spieghino al tem po stesso le stru ttu re m entali cognitive e i processi o strategie che sono fonte dei com­ portam enti. Gli autori accettano come punto di partenza che le conoscenze di un individuo sono stru ttu ra te sotto form a di rete semantica. Il loro m etodo è quello dell'analisi dei protocolli verbali: «Se si vuol sapere cosa passa nel­ la testa di un soggetto quando si sta form ando una im ­ pressione di una persona fino a quel m om ento sconosciuta o che resiste ad un messaggio incom patibile con il suo si­ stem a di credenze, il metodo migliore è ancora quello di chiederglielo. Certam ente, i protocolli verbali così ottenu­ ti non sono tu tti ugualm ente accessibili. I vantaggi del me­ todo compensano am piam ente i suoi inconvenienti. Di fat­ to, si tra tta molto spesso dell'unica porta d'accesso ai com­ plessi processi m entali di un soggetto». Anche qui, le ricerche, lim itate alle relazioni interpersona­ li, non hanno ancora potuto affrontare tu tta la com plessi­ tà dei rapporti intragruppo. Diamo un esempio ripreso da questi autori: «L'analisi dei nostri prim i protocolli ci ha perm esso di identificare una regola onnipresente, che ab­ biamo chiam ato regola dell'appaiamento. Si tra tta per il soggetto di confrontare l'inform azione presentata con le sue credenze per vedere se vi sia o meno equivalenza. Que­ sto confronto può portare a tre soluzioni differenti: accor­ do, disaccordo o interrogazione. «Quando l'inform azione data non contraddice le credenze del soggetto, quest'ultim o può sia dichiarare che è d'ac­ cordo, senza aggiungere altro, sia spiegare quest'accordo, andando così oltre l'inform azione trasm essa. L'espressio­ ne di un disaccordo è accom pagnata più spesso ancora da una giustificazione». «Tra l'accordo e il disaccordo si offe al soggetto una terza via. Egli, può, in effetti rispondere che trova “possibile" l'inform azione comunicatagli. In questo caso può sentire il bisogno di polarizzare la propria opinione, e cioè invece di contentarsi di una risposta provvisoria può cercare di

8 L. Lamarche, I. Gascon, H. Thibault, La pensée sociale dans une perspective de traitmente de l'information, Recherches de psycholo­ gie sociale, 1980, 2, pp. 115-126.

approfondire il problem a facendo appello a regole diverse dairappaiam ento. «Si sarà compreso che questo pensare "al di là" al fine di polarizzare una risposta costituisce per noi la situazio­ ne più interessante. Ci dà maggiori chiarim enti sui mecca­ nismi di assimilazione dell'informazione o su quelli del­ l'accomodazione del sistema di credenze. «La regola di appaiam ento fa appello a processi comples­ si. Il processo più semplice consiste indubbiam ente nel ri­ trovare nella rete i nodi e la(le) relazione(i) implicati nel­ l'inform azione e nel com porre i loro valori di verità. Se questa operazione non è sufficiente, il soggetto può fare appello ad altre operazioni più complesse ma che hanno lo stesso obiettivo: esam inare la rete per trovarvi l'equiva­ lente dell'informazione presentata. Per ciò, bisogna fare intervenire delle operazioni che hanno come effetto, per esempio, quello di attribuire ad un elemento di una classe le proprietà di questa classe. Le operazioni della regola di appaiam ento possono così im plicare degli schemi anco­ ra più complessi come le ricognizioni. «Oltre la regola di appaiam ento ogni individuo ha a pro­ pria disposizione un repertorio di regole che gli perm etto­ no di valutare l'informazione contraddittoria. Alcune di que­ ste regole sono state già identificate in lavori precedenti in psicologia sociale. Così, un modo per rifiutare o accet­ tare un'informazione consiste nel valutare la credibilità del­ la sua fonte o ancora nel fare una selezione percettiva del­ l'informazione. Ma esistono ancora altre regole da identi­ ficare, descrivere e situare nell'am bito del processo cogni­ tivo globale». La psicologia sociale cognitiva, più ancora in Francia che nei paesi anglosassoni, si è rivolta ai gruppi e si è interes­ sata soprattutto delle interazioni tra un piccolissimo nu­ m ero di persone (2 o 3). Indubbiam ente, essendo la psico­ logia cognitiva inseparabile dal metodo sperimentale, le dif­ ficoltà di puntualizzazione e di m iniaturizzazione in m ate­ ria di gruppi fanno arre tra re gli sperim entatori. Senza dubbio le resistenze epistemologiche indicate all'inizio del presente lavoro (vedi capitolo I) si ripresentano in occasio­ ne di blocchi metodologici, a cui si aggiungono in questo caso incertezze concettuali. Di fatto non si è im posta nessuna teoria per il campo so­ cio cognitivo considerato in complesso e i ricercatori sono 79

condotti ad accontentarsi di modelli locali adeguati al loro am bito di studio ristretto. Come vedrem o nel paragrafo successivo, le ricerche più recenti di Serge Moscovici han­ no interessato le relazioni tra i diversi sottogruppi intera­ genti nello stesso campo sociale e la critica dei pregiudizi sperim entalisti riguardanti l'influenza sociale di tipo mag­ gioritario. Conviene ricordare anche i lavori di Gérard Lem aine9 sulla «adifferenziazione» (cioè suiroriginalità so­ ciale), quelli di J. Paul C odol101 sul confronto sociale e quelli di Claude D escham p11 sull'identità sociale. Come abbiamo precedentem ente indicato (capitolo I) il pic­ colo gruppo o gruppo allargato, può essere un mezzo per studiare le rappresentazioni sociali proprie della cu ltu ra a cui questo gruppo appartiene. Può dunque offrire una m iniaturizzazione sperim entale m anipolabile del funziona­ m ento socio-cognitivo specifico di vaste collettività di cui è m aterialm ente im possibile riunire tu tti i membri. Tra queste rappresentazioni, le credenze religiose rappresen­ tano un oggetto di studio particolarm ente interessante, pro­ prio perché i fedeli le conservano m algrado l'assenza di prove logiche o em piriche decisive, nonostante i fatti e le conoscenze scientifiche che li contraddicono, proprio per­ ché la credenza riguarda non soltanto un insieme di enun­ ciati costituiti in dogma m a riguarda e interessa anche la necessità ed il valore del quadro gerarchico e rituale del­ l'istituzione che serve a difendere questo dogma. In altri term ini, per un fedele, e ancora di più indubbiam ente per un cattolico (ma anche per un m ilitante politico e più in generale per coloro che si schierano a favore di una ideo­ logia) vi è una duplice credenza nelle verità «rivelate» da un lato, dall'altro in una Chiesa (o il Partito, lo Stato) che si afferm a come depositario. Jean Pierre Deconchy12 ha studiato sperim entalm ente il concetto di ortodossia ideo­ logica, evitando un modello del genere puram ente confor9 Sociale differentiation and social originality, Europ. J. soc. Psychol, 1974, 4, pp. 17-52. 10 On the so-called «Superior Conformity of the Self Behavior» Twen­ ty experimental investigations, Europ. J. soc. Psychol. 1975, 5, pp. 457-501. 11 L'identité sociale et les rapports de domination, seguito da Répon­ ses, commentaires et critiques, Revue suisse de Sociologie 1980, 6, 109-140 e 265-285. 12 Orthodoxie religieuse et sciences humaines, Mouton, 1980.

m ista o m aggioritario (e cioè funzionalm ente pensato in term ini di dissonanza da ridurre, di congruenza da stabili­ re o di equilibrio da reinstaurare). Ha lavorato, d'accordo con la gerarchia, su vasti gruppi di cattolici appartenenti «alla frangia inferiore dell'appa­ rato di potere» (ecclesiastici, sem inaristi, catechisti, reli­ giose e religiosi) e riuniti, per iniziativa della gerarchia, in sedute di lunga durata con lo scopo di adeguarne la peda­ gogia catechistica ai bisogni contem poranei e agli apporti delle scienze umane. Il periodo (1966-1972) che ha perm es­ so queste sedute e le concomitanti esperienze non era in­ differente: la Chiesa cattolica viveva «una crisi di coscien­ za, di identità, di parole e di controllo» che dava provviso­ riam ente ai gruppi che ne dipendevano una grande fluidi­ tà di funzionamento. Deconchy parte dalle seguenti definizioni prelim inari: «Di­ ciamo che una persona è ortodossa se accetta e persino richiede che il proprio pensiero, linguaggio, comportamento siano regolati dal gruppo ideologico di cui fa parte e in particolare dagli apparati di potere di questo gruppo. Di­ ciamo che un gruppo è ortodosso se assicura questo tipo di regolazione e se la base tecnologica ed assiologica di queste regolazioni fa essa stessa parte della dottrina atte­ stata del gruppo. Chiamiamo sistem a ortodosso l'insiem e dei dispositivi sociali e psicosociali che regolano l'attività del soggetto ortodosso nel gruppo ortodosso». Ί1 sistem a ortodosso oscilla a sua volta tra l'ortodossia pro­ priam ente detta, isterilente a lungo term ine, e momenti di «effervescenza profetica o messianica» che rinnovano alla fine il sistem a dando una nuova vita alle credenze fon­ dam entali, che sono paradossalm ente riferite dal sistem a ortodosso ad un'«epoca che si dice esemplare proprio quan­ do se ne proclam a il superamento». Una prim a esperienza di questo autore è stata quella di presentare ai soggetti una lista di 18 proposizioni riferite alle loro credenze e nel chiedere loro di assum ere indivi­ dualm ente, per ognuna di esse, una posizione che trad u ­ cesse nei fatti un giudizio di tipo ortodosso, eretico o libe­ rale. Successivamente si presentava ad una m età dei sog­ getti un documento, dicendo che era s'tato stabilito da teo­ logi (argomento di autorità) e all'altra m età i risultati di un preteso sondaggio di opinione sui cattolici francesi (ar­ gomento empirico); documento e sondaggio derivavano da 81

posizioni nettam ente m aggioritarie rispetto ad ognuna delle 18 proposizioni. Invitati a riform ulare le proprie proposi­ zioni sulla base di queste, i soggetti avevano la tendenza a rinforzare le posizioni estrem e (ortodosse o eretiche) e ad abbandonare le posizioni liberali, e ciò qualunque fosse l'argom ento presentato (l'autorità o l'empirismo). Ma veni­ va constatata una certa dissim etria. Per il soggetto sem­ brava più urgente rifiutare ciò che adottava e che era sta­ to dichiarato «eterodosso» piuttosto che adottare ciò che egli rifiutava e che era stato definito «ortodosso». Il che si spiega sulla base di un modello di «conformizzazione», come anche in base al «rilancio» o all'«irrigidim ento». In ogni caso, «dal m omento in cui un accordo inizialmente estrem o si trasform a in un rifiuto sulla base dell'interven­ to dell'uno o dell'altro dei centri di program mazione, que­ sto rifiuto è di per se stesso il più delle volte espresso in form a estrema»: vi è dunque «prossim ità di integrali­ smi». Il m antenim ento del sistema di controllo sociale sem­ bra più im portante per il credente del significato che egli attribuisce all'inform azione considerata. Altre esperienze, che non è possibile riferire qui più dettagliatam ente, han­ no riguardato il confronto tra situazioni di ortodossia: a) calma, b) m inacciata, c) pacificatale sulle reazioni dei sog­ getti «credenti» ad informazioni autenticam ente «scientifi­ che» (rinforzo delle tendenze all'utopia, all'escatologia, al misticismo; ricorso ad una pedagogia audio-visiva o più gestuale o mimica, afferm azione del prim ato dell'affettivi­ tà e dei fattori inconsci sulla razionalità; ruolo decisivo accordato alle piccole com unità inform ali e fraterne). La critica dei presupposti sperimentalisti: S. Moscovici È giunto il momento di attribuire un'im portanza partico­ lare alla riflessione po rtata avanti da Moscovici per più di un decennio sui fenomeni di influenza e sviluppata nel­ la Psicologia delle minoranze attive (1979); inizialmente pub­ blicata in lingua inglese (1976) quest'opera non sembra aver risvegliato in Francia un sufficiente interesse, il che costi­ tuisce un nuovo esempio di resistenza epistemologica al gruppo. In una prim a fase (1972) l'autore ha raggruppato dei lavori condotti con Faucheux dopo il 1967 e li ha confrontati es-

senzialmente con lavori francesi ed europei. Pone in guar­ dia contro le limitazioni derivanti dal «legame troppo stret­ to ed unilaterale che alcuni hanno cercato di stabilire tra influsso da un lato, conform ità e devianza dall'altro». Così ha iniziato a «designare alcuni degli elementi concet­ tuali e sperimentali in grado di far progredire l'analisi dell'influsso nelle sue diverse modalità: normalizzazione, con­ form ità, innovazione ». In questa occasione, gli è stato possibile dim ostrare «l'importanza dello stile di comportamento (cfr. capitolo VI) in quanto fonte dell'influsso e in quanto dotato di un caratte­ re di generalità sufficiente al di fuori degli attrib u ti ester­ ni del suo agente». In una seconda fase (1979) Moscovici si è dedicato ad uno studio critico dell'influsso sociale, fino ad allora conside­ rato dal solo punto di vista funzionalista. La sua linea consiste nell'affrontare im m ediatam ente un punto di vista nuovo centrato non più sui fenomeni di conformità-devianza ma sull'esistenza di «minoranze con­ siderate come fonti di innovazione e di cam biam ento so­ ciale». Nello stesso movimento, «costruisce un nuovo mo­ dello dell'influsso sociale, che sarà al tempo stesso oppo­ sto al modello precedente e più generale di quest'ultim o». Ciò lo porta a m ettere in luce i presupposti sperimentalisti tradizionali, basati sul triplice postulato della necessi­ tà del controllo sociale, dell'esigenza di conformità, della ricerca sistem atica del consenso. Da questo postulato de­ rivano un certo num ero di proposizioni, esplicite o impli­ cite, considerate abitualm ente dai ricercatori come condi­ zione del buon funzionamento dei gruppi. Tali proposizio­ ni sono le seguenti: 1. «In un gruppo, l'influsso sociale è inegualmente rip arti­ to e si esercita in modo unilaterale». 2. «L'influsso sociale ha come funzione quella di m antene­ re e rinforzare il controllo sociale». 3. «I rapporti di dipendenza determ inano la direzione e l'im portanza dell'influsso sociale esercitato in un gruppo». 4. «Le forme assunte dal processo di influenzamento sono determ inate da stati di incertezza e dal bisogno di ridurre l'incertezza». 5. «Il consenso a cui tende lo scambio di influssi si basa sulla norm a dell'obiettività». 83

6. «Tutti i processi di influsso sono considerati sotto Γan­ golo del conformismo, e il conform ism o di per sé, come riteniam o, ne sottende le caratteristiche essenziali. Senza negare l'interesse pratico di queste proposizioni e il loro accordo con il buon senso, Fautore ne dim ostra la po rtata e i limiti, in particolare riguardo allo studio della devianza e dell'innovazione alTinterno di un gruppo. Ugual­ mente, soprattutto a proposito dei paradigm i sperim entali di Asch (cfr. capitolo VI) e di Sherif (cfr. capitolo I) conte­ sta la posizione centrale occupata dall'incertezza nel mo­ dello teorico e si chiede «se sia legittim o continuare a u sa­ re indifferentem ente il concetto di potere e il concetto di influsso». Queste considerazioni portano a sottolineare Yimportanza del conflitto, fattore di evoluzione sociale, come anche il concetto di innovazione e di riconoscimento sociale, ele­ m enti tu tti e tre derivanti da una concezione genetica del­ l'influsso sociale. Questa concezione implica l'esistenza di sei nuove propo­ sizioni, la cui validità sem bra a Moscovici am piam ente di­ m ostrata sulla base, di diverse esperienze; una parte di que­ ste vengono da lui reinterpretate m a la maggior parte so­ no originali. Ecco l'enunciato di questi principi, elaborati sulla base del­ la discussione dei risultati: 1. «Ogni m em bro del gruppo, indipendentem ente dal pro­ prio rango, è una fonte ed un recettore potenziale di in­ flusso». 2. «Il cam biam ento sociale, così come il controllo sociale, costituisce un obiettivo di influsso». 3. «I processi di influsso sono direttam ente legati alla pro­ duzione e al riassorbim ento dei conflitti». 4. «Quando un individuo o un sottogruppo influenza un gruppo, il principale fattore di riuscita è lo stile di com­ portam ento». 5. «Il processo di influsso è determ inato dalle norm e di obiettività, le norm e di preferenza e le norm e di origi­ nalità». 6. «Le m odalità di influenza includono, oltre la conform i­ tà, la normalizzazione e l'innovazione». Esam inando infine in che modo il fatto di essere differen­ te costituisca un ostacolo, S. Moscovici descrive i fenome84

ni di ricerca del riconoscimento sociale e gli effetti che ne derivano, form ula a questo proposito sottili considera­ zioni, che non possiamo esam inare in dettaglio nell'am bito imposto al presente lavoro. Concludendo, riassum e i contrasti tra il modello funzionalista e il modello genetico nella seguente tavola 3. Pur tenendo presente questi contrasti, è possibile interpre­ tare i concetti e i dati esistenti, in particolare quelli ri­ guardanti la devianza e la conform ità, all'interno di que­ sta nuova cornice. Il modello perm ette inoltre di affronta­ re nuovi problem i gruppali e di risolverli «quando non si confonde più potere e influsso, si considera il cam biam en­ to come obiettivo del gruppo e si riconosce il carattere attivo degli individui e dei sotto gruppi». Così Moscovici propone un'altra percezione dei gruppi um a­ ni e del loro funzionamento, percezione che sem bra essere feconda, rispetto a concezioni in qualche modo irrigidite da quel dogmatismo che trova la propria fonte nella cultu­ ra nord-am ericana. TAVOLA 3. L ’influsso sociale secondo il modello funzionalista e il mo­ dello genetico (Da Moscovici, Psicologia delle minoranze attive, p. 238, fig. 3) Modello funzionalista Natura dei rapporti Asimmetrici tra fonte e obiettivo

Modello genetico Simmetrici Cambiamento sociale

Scopi dell'inte­ razione

Controllo sociale

Fattore di inte­ razione

Incertezza e riduzio­ Conflitto e negozia­ zione del conflitto ne dell'incertezza

Tipo di variabili in­ dipendenti

Dipendenza

Stili di compor­ tamento

Norme determinanti l'interazione

Oggettività

Oggettività, prefe­ renza, originalità

Modalità di influsso

Conformità

Conformità, norma­ lizzazione, inno­ vazione.

85

Dovrebbero derivarne dispositivi sperim entali innovatori, perm ettendo ai ricercatori di uscire dagli schemi in cui rischiano di rim anere im pantanati. La prospettiva psicoanalitica Freud. Sigmund Freud, tra il 1895 e il 1900 ha inventato la psicoanalisi ripiegandosi in se stesso di fronte ad un am biente intellettuale e professionale ostile e confrontan­ do le osservazioni dei pazienti isterici e ossessivi con l'autoanalisi dei sogni. Così non sorprende che la sua prim a teoria riguardi soltanto l'apparato psichico individuale (Con­ scio, Preconscio, Inconscio). Tre fattori lo hanno successi­ vamente condotto a prendere in considerazione il ruolo del­ l'inconscio nella vita collettiva: i lavori dei sociologi dell'e­ poca sul totemismo, l'orda prim itiva, la folla; l'esperienza della vita di gruppo e dei conflitti con i prim i seguaci e tra di essi all'interno delle nascenti istituzioni psicoanali­ tiche, infine, il ricordo ritrovato, nel corso della autoanali­ si, della vita di gruppo intensa e ricca nei prim i tre anni della sua esistenza a Freiburg, la sua città natale, in Moravia, a quel tempo provincia dell'Im pero Austro-Ungarico. Là, tra il 1856 e il 1859 tre famiglie vivevano in simbiosi: quella di Jacob Freud, di cui Sigmund era il figlio minore, quella del fratellastro di Freud, Em manuel, che aveva ven­ ti anni più di lui, nato da un prim o m atrim onio del padre (in queste due famiglie ebree si parlava yiddish e tedesco) e quella del fabbro Zajic che affittava a Jacob, nella pro­ pria casa, una stanza ed un negozio. A quest'ultim a fam i­ glia, di religione cattolica e di lingua ceca apparteneva Nan­ nie, la nurse che, prim a di venire licenziata per furto, alle­ vò Freud. Tra il 1912 e il 1922 la duplice intuizione fondam entale della solidarietà ma anche dell'am bivalenza dei m em bri del gruppo tra di loro, e della diversità dei codici a cui essi fanno riferim ento, fa in qualche modo ritorno nel pensiero di Freud a p a rtire da questo fondo personale molto antico e contribuisce alla modificazione della sua teoria dell'apparato psichico. Totem e Tabù (1912-1913), scritto in occasione delle controversie che portarono ad escludere Jung dal movimento psicoanalitico, generalizza la scoperta contenuta nell'Interpretazione dei sogni (1900): il conflitto edipico non si trova soltanto al centro del con86

flitto nevrotico delPindividuo; esso costituisce anche il nu­ cleo dell'educazione e della cultura. L'apporto essenziale di Freud sta in un mito che egli ha inventato e che si è rivelato corrispondere spesso ad una fantasm atica latente nei gruppi ristretti e nelle collettività più ampie. All'origi­ ne sarebbe esistita l'orda prim itiva, com andata da un Vec­ chio, tiranno brutale che avrebbe riservato per sé il pos­ sesso delle donne e che avrebbe scacciato i figli che, ormai cresciuti, potevano trasform arsi in suoi rivali. I fratelli si uniscono un giorno per assassinare insieme il padre e per il festino in cui se ne dividono il corpo, assassinio e ban­ chetto a cui nessuno di loro può sottrarsi. Questa comu­ nione totem ica realizza l'identificazione con il padre m or­ to, tem uto ed am m irato, cioè diventa la legge simbolica. Questa identificazione e questo accesso alla legge fondano la società come tale, con la sua morale, le sue istituzioni, la sua cultura. I due prim i tabù: non uccidere il totem (so­ stituto del padre), non sposarsi con dei parenti (tabù del­ l'incesto) costituiscono la trasposizione sociale del comples­ so edipico. L'assassinio del padre fondatore è un lavoro psichico interno che ogni gruppo deve effettuare sul piano simbolico (e a volte sul piano reale) per poter accedere al­ la propria sovranità e divenire il proprio legislatore. Il di­ vieto dell'incesto è la legge che, regolando i rapporti tra i sessi e le generazioni, fonda la vita sociale (gli psicoanali­ sti di gruppo si sono recentem ente accorti che esso fonda­ va anche i rapporti all'interno di piccoli gruppi informali). L'assassinio collettivo del padre — ritenuto reale all'origi­ ne, simbolico successivamente — rende possibile, nei mem­ bri di una comunità, l'idealizzazione dello scomparso, amato e odiato, e l'incorporazione della sua immagine che divie­ ne allora la base della legge comune. Questa inizia con il divieto di uccidere il proprio simile; la definizione del simile può qui essere più o meno ampia o restrittiva a seconda delle civiltà e delle situazióni. Sot­ tolineiamo incidentalmente la preoccupazione costante delle collettività e dei gruppi di scacciare dal proprio interno l'eterogeneità, sentita come una minaccia nei confronti della coesione: le differenze sono ritenute fonte di controversie. Riconoscerle e tollerarle, invece di tem erle e cercare di ridurle ad ogni costo, può costituire, rispetto a questo pun­ to, un risultato possibile del lavoro psicoanalitico nei gruppi. 87

Il m ito freudiano cerca di spiegare come la famiglia da un lato, la società dall'altro si sarebbero differenziate a partire da una realtà gruppale prim aria, il clan. Esso tra ­ duce di fatto il fantasm a di un gruppo originario. Diviene l'eco di diverse componenti delle relazioni um ane messe in luce dall'esperienza psicoanalitica: ambivalenza (e cioè intreccio di amm irazione e di gelosia) dei bam bini nei con­ fronti dell'imago paterna, dei subordinati nei confronti di coloro che esercitano l'autorità, identificazione piena di pen­ tim enti con questa immagine un tem po rifiutata; idealizza­ zione del padre m orto, divinizzato e che diviene oggetto di culto, tentativo di una società dem ocratica in cui tu tti gli uomini figli di questo padre divenuto simbolico, cioè legislatore, sarebbero fratelli ed eguali, inventerebbero la giustizia reciproca ed il m utuo rispetto della vita, effica­ cia dell'assassinio compiuto in comune per saldare un grup­ po; virtù del pasto consum ato in comune per placare i sen­ si di colpa, per realizzare l'identificazione di ognuno con il personaggio così com m em orato e per incarnare l'unità di azione del gruppo. Il m ito freudiano risponde al problema: esiste, dal punto di vista psicologico, u n 'a ltra fonte di au to rità e di organiz­ zazione del gruppo diversa dall'autorità patriarcale? Si può forgiare un'organizzazione sociale rispettando la giustizia senza che questa sia indotta dall'im ago paterna? Questa organizzazione — Freud lo dim ostra nel suo secon­ do scritto sulla psicologia collettiva (letteralm ente Psicolo­ gia delle masse) nel 1921 — esiste sem pre là dove individui che si trovano in situazioni di rivalità trasform ano la pro­ pria gelosia in solidarietà, rinunciando ognuno al dominio sugli altri e rendendo così impossibile ad ognuno degli al­ tri aspirare a questo dominio. Freud segnala l'em ergere di questo nuovo modo di organizzazione nella famiglia nu­ m erosa (l'amore uguale dei genitori per tu tti i figli, il van­ taggio per i figli di costituire un fronte comune contro le esigenze dei genitori, conducono i figli a trasform are la na­ turale rivalità fratern a in com unità fraterna), nella scuola (poiché non si può essere il preferito dell'insegnante è ne­ cessario che tu tti stiano nella stessa b arca e che nessuno goda di favori o di privilegi), nei club di am m iratrici (non sono gelose le une delle altre poiché, a causa del loro nu­ m ero e dell'im possibilità in cui ognuna si trova di im pa­ dronirsi per sé sola dell'oggetto di amm irazione, tu tte vi

rinunciano, e divengono solidali dividendosi autografi e re­ liquie della loro vedette). Lo spirito di corpo deriva dal ribaltam ento della gelosia in solidarietà. La molla della psi­ cologia gruppale è dunque l'identificazione. Così l'esercito: il generale ama tu tti i suoi soldati; ogni capitano è il padre della propria compagnia, come il co­ lonnello lo è del reggimento, il maggiore della sua sezione. Lo stesso per le chiese: Dio ama i suoi fedeli senza eccezio­ ne e senza distinzione; i preti o i pastori sono i padri della parrocchia, come Dio lo è dell'intera com unità dei fedeli. E così per ogni grande organizzazione. Si può cogliere qui l'origine del culto della personalità. Nell'evoluzione del pensiero di Freud Totem e tabù svolge un ruolo,decisivo; anticipa il concetto di Super-Io, che di­ verrà uno degli elementi essenziali della seconda topica e che sostituirà le due censure (tra l'inconscio e il precon­ scio, tra il preconscio e la coscienza) della prim a topica. Con Psicologia delle masse e analisi delVIo (1921) Freud porta a term ine la ridiscussione da cui nasce la sua secon­ da teoria dell'apparato psichico (l'Es, l'Io, e il Super-Io). Questo apparato non è più concepito, come nel 1900, se­ condo un modello per m età ottico (produzione di immagi­ ni reali e virtuali) per m età elettroneurologico (trasporto di energia da un luogo ad un altro). Il modello è ora cercato nella vita di gruppo, con i suoi sottogruppi, i suoi leader, le sue affinità, alleanze o con­ flitti interni, tensioni tra i membri, la negoziazione di per­ petui compromessi in vista di obiettivi provvisoriam ente accettabili per gli uni e per gli altri. Il funzionamento men­ tale è individuale solo a prim a vista ed al term ine di una lunga evoluzione. Si tra tta inizialmente del teatro interno in cui si confron­ tano personaggi che sono al tempo stesso immagini inte­ riorizzate dei genitori o degli educatori, e dei rappresen­ tanti delle pulsioni, degli aspetti e dei meccanismi di dife­ sa; questi personaggi divengono il veicolo degli investimenti psichici ed agiscono sia isolatam ente sia raggruppati in sotto-sistemi. Alcuni processi psichici, di cui tali sono le raffigurazioni, si organizzano allora sotto form a di messe in scena imm a­ ginarie e inconsce, le fantasie, in cui il soggetto si attrib u i­ sce spesso un semplice ruolo di spettatore da cui un punto chiave per la comprensione dei rapporti tra gli individui, 89

in particolare nei gruppi: un soggetto um ano tende a far entrare gli altri nei diversi ruoli che costituiscono una del­ le sue fantasie inconsce. L'apparato psichico individuale deriva dalla interiorizza­ zione della vita gruppale di cui il soggetto fa esperienza nella famiglia e poi in altri luoghi. I principali sotto-sistemi psichici derivano dalle identifica­ zioni e dalle proiezioni. Il Super-Io (sistema delle regole e delle proibizioni) deriva dall'interiorizzazione delle rela­ zioni, sul piano dell'autorità, tra genitori e figli. L'Ideale dell'Io (sistema di valori personali) deriva dall'interiorizza­ zione dei rapporti, sul piano della stima, tra genitori e fi­ gli. L'Io ideale (ideale infantile di onnipotenza narcisistica) perpetua l'identificazione arcaica con il seno della m adre onnipotente. In Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Freud confronta l'identificazione con la suggestione ipnotica e con l'inna­ m oram ento. Nelle grandi organizzazioni come l'esercito e la Chiesa funzionano due tipi com plem entari di identifica­ zioni. Da una parte, il capo è interiorizzato, la sua immagi­ ne si sostituisce all'Ideale dell'Io di ognuno. La costituzio­ ne, grazie a questa operazione, di un Ideale dell'Io comune a tu tti i m em bri assicura l'unità della collettività. D 'altro canto si stabiliscono delle reti di identificazioni recipro­ che dei m em bri l'uno con l'altro, identificazioni che fun­ zionano questa volta a livello dell'Io e che assicurano non più l'unità ma la coesione dei m em bri del gruppo. Inoltre m entre l'identificazione con il capo in quanto padre buono e onnipotente è una identificazione im m aginaria (vi si tro ­ va il tem a di Totem e Tabù) l'identificazione dei m em bri l'uno contro l'altro è simbolica, sentendosi tu tti fratelli in quanto figli dello stesso padre. Il destino di questi due tipi di identificazione è diverso. L'identificazione m utua pro­ tegge il gruppo dai rischi di esplosione m antenendo a li­ vello più basso l'aggressività intra-gruppo. Invece l'im ago am m irata del capo buono e potente, che fa regnare la con­ cordia in seno alla collettività e che chiam a alla lotta con­ tro un nemico comune all'esterno, diviene, presto o tardi, oggetto di un ribaltam ento di segno perché tu tte le imago, in quanto bivalenti, hanno una faccia positiva e una nega­ tiva. L'imago del padre provvidenziale tende a ribaltarsi in quella, temibile, del padre indifferente e crudele. Questa seconda faccia dell'imago paterna mobilita l'aggres90

sività, che fa allora ritorno al gruppo. L'unità del gruppo può allora essere m antenuta soltanto a prezzo di un sacri­ ficio interno, quello del suo capo, o quello, sostitutivo, di un capro espiatorio, di un deviante, di una minoranza. La storia e la leggenda sono piene di esplosioni più o me­ no brutali dell'ostilità accum ulata contro il capo ideale ed adorato (si brucia ciò che è stato adorato): profeta assassi­ nato, re ghigliottinato, generale fucilato, professore conte­ stato, uomo di stato esiliato, Socrate condannato a bere il veleno, ecc. In alcune società arcaiche, il prete divino veniva tagliato a pezzi e divorato. I prim i re delle tribù latine erano degli stranieri: venivano sacrificati solenne­ m ente in un determ inato giorno di festa. I sacrifici di ani­ mali o di simulacri sembrano proprio azioni sostitutive del sacrificio del capo, anche questo simbolo di quel sacrifi­ cio del padre segretam ente desiderato. I pensieri latenti e raram ente confessati, che sottendono simili azioni sono: (per il maschio) mio padre mi impedisce di diventare un uomo: potrò diventarlo soltanto quando egli sarà scompar­ so; il capo impedisce ai cittadini di diventare liberi: sba­ razziamocene. Il progresso sociale sem bra rappresentato dal passaggio del gruppo sociale fondato sull'autorità del padre e sull'i­ dentificazione con il capo (questo gruppo sarebbe a sua volta un progresso nei confronti di un'organizzazione so­ ciale precedente, di tipo m atriarcale) alla società dei fra­ telli basata sull'identificazione reciproca, la solidarietà, il reciproco impegno di rispettarsi e di aiutarsi, la rinuncia all'onnipotenza, al possesso esclusivo dei beni, cioè fonda­ ta su tendenze realm ente sociali. Ma questo progresso non si compie una volta per tutte. Da una parte, le immagini arcaiche sussistono, con tu tta la propria forza, nell'inconscio individuale e collettivo, e il ritorno inevitabile del rimosso si compie: culto dell'eroe ucciso dai suoi, bisogno di un capo, desiderio di divinizza­ re gli individui superiori, ritorno di regimi forti. D'altro canto, se l'organizzazione fondata su u n'autorità di tipo paterno cela una fonte di instabilità, che è il risentim ento nei confronti di quelli che comandano a causa della loro severità, crudeltà o più semplicemente a causa del loro potere, l'organizzazione fraterna è m inata dal ritorno del­ le rivalità, dalla sopravvivenza dell'am or proprio e dei de­ sideri di dominio e dalla fragilità delle tendenze sociali,

nate più tardivam ente nell'individuo. Da cui, per i gruppi e le società, una evoluzione a ritm o ciclico degli stili di comando e delle forme di potere politico come Aristotele aveva già form ulato: la m onarchia si corrom pe in tiran ­ nia; l'aristocrazia in oligarchia, e la dem ocrazia in anar­ chia. Si potrebbe com pletare l'analisi proposta da Freud facendo notare che queste tre form e di organizzazione po­ litica corrispondono a tre fantasie gruppali originarie. Nel prim o caso, il gruppo e la società sono rappresentati co­ me generati da un eroe fondatore, e i m em bri si vivono come i suoi figli, in un prim o tem po reali e successiva­ m ente spirituali: «Tutti gli individui vogliono essere ugua­ li, ma dom inati da un capo. Molti uguali, capaci di identi­ ficarsi gli uni con gli altri, ed un solo superiore. Questa è la situazione che viene ad essere realizzata in ogni collet­ tività piena di vita» (Freud). Nel secondo caso, è un picco­ lo gruppo (i dodici dei dell'Olimpo; i dodici apostoli del Cristo, ecc.) che è rappresentato come origine d o come fer­ m ento del gruppo allargato della collettività. Nel terzo ca­ so, il gruppo come la società si basa su una fantasia di autogenerazione: il gruppo è il proprio genitore, il proprio legislatore, il proprio giustiziere; sfuggirebbe così la con­ catenazione genealogica che viene sentita come troppo di­ pendente dalle necessità biologiche della conservazione del­ la specie. Aichhorn. La psicoanalisi applicata ad una pratica gruppa­ le è stata inizialmente il compito di genitori, m aestri, inge­ gneri che, dopo aver ricevuto una form azione psicoanaliti­ ca, ne trassero delle conseguenze per l'educazione dei bam ­ bini, la vita di una classe, l'organizzazione di una colletti­ vità. La prim a realizzazione fu indubbiam ente quella di August Aichhorn (1878-1949). Pedagogo di professione, aveva protestato contro l'introduzione del regolam ento m ilitare nell'insegnam ento austriaco ed aveva deciso di organizza­ re una casa di rieducazione per ragazzi, a Oberhollabruner, vicino Vienna. Dopo aver provato invano i metodi al­ lora preconizzati, trovò nella psicoanalisi la guida per un'a­ zione riform atrice sui giovani delinquenti. Questa esperien­ za servì da modello a num erosi tentativi successivi e inaugura il trattam ento vero e proprio della delinquenza giovanile. L'autore riferisce di questa esperienza in Jeu­ nesse à l'abandon (1925). 92

Per lui, non esiste un modo di rieducazione diverso dalla manipolazione del transfert e i buoni risultati ottenuti da educatori non psicoanalisti provengono, di fatto, da un im­ piego abile, ma non cosciente, del transfert. In prim o luo­ go, nei soggetti in cui prevalgono i fattori nevrotici, o dove il Super-Io è severo, il transfert è in genere spontaneo ma negativo. È necessario renderlo positivo il prim a possibile e Aichhorn elenca a proposito alcune regole: non ripetere Patteggiam ento dei genitori, che ha prodotto proprio quel­ lo che si dovrebbe chiam are una «reazione educativa nega­ tiva»; placare il senso di colpa del ragazzo; non adottare mai Patteggiam ento che egli potrebbe attendersi, parlargli non di ciò che ha commesso m a di ciò che gli interessa, ecc. In secondo luogo, con i giovani delinquenti asociali e narcisisti, che Aichhorn è condotto, un po' a tentoni, a differenziare dai precedenti, il tran sfert in generale è ine­ sistente e allora la prim a condizione consiste nel provo­ carlo. Non basta il rigido atteggiam ento psicoanalitico; gli educatori devono regolare Pam biente in modo che il tra n ­ sfert si produca da solo. Il successo di Aichhorn fu quello di trasporre Pesperienza psicoanalitica individuale nelPorganizzazione di una scuola di rieducazione. I principi di­ rettivi di questo trattam ento attraverso Pambiente sono i seguenti: bandire le punizioni fisiche, e, per far ciò, elimi­ nare i casi psicopatologici che richiedono il ricorso alla forza; separare i ragazzi in gruppi i più piccoli possibile e riunire i soggetti che presentano lo stesso tipo di diffi­ coltà; lasciar loro il perm esso di entrare e uscire dato che essi non hanno la possibilità interna di controllarsi; accor­ dare loro interesse e affetto; guadagnare la loro fiducia con una tavola ben apparecchiata, un'atm osfera ottim ista, trovare per ognuno Poccupazione adeguata, ridurre i con­ flitti portando il ragazzo, m ediante la conversazione, a la­ sciar esplodere le proprie emozioni. Una delle m em orabili esperienze di Aichhorn è stato Pinstaurazione del transfert alPinterno di un «gruppo aggressivo», costituito dai ragaz­ zi rifiutati da tutti gli altri gruppi: si lasciò che si picchias­ sero e rom pessero tutto, senza alcun intervento direttivo da parte degli educatori e senza punirli, il che provocò in loro una frustrazione intollerabile e li fece uscire dalla loro indifferenza affettiva; sperim entarono la loro prim a emozione collettiva: una delusione rabbiosa per non aver attirato l'attenzione degli adulti. Gli educatori erano così

riportati al caso precedente, quello di un gruppo a tra n ­ sfert negativo, tran sfert che doveva allora essere reso po­ sitivo. L'odio infine espresso da questi delinquenti anaffettivi appariva proprio come l'inverso di quell'am ore che sa­ rebbe stato loro sottratto. La scuola kleiniana: gli assunti di base secondo Bion. È alla scuola psicoanalitica inglese che si deve una decisiva evoluzione della psicoanalisi gruppale di cui Freud aveva gettato le basi. Melanie Klein, che non ha scritto nulla sui gruppi, è il punto di partenza di un contributo teorico, cli­ nico e tecnico fondam entale riguardante i processi incon­ sci che vi si svolgono. Oltre alle distinzioni delle imago della m adre buona e della m adre cattiva, o ancora dell'i­ dentificazione e della proiezione, alle sue descrizioni delle angosce psicotiche di spezzettam ento e di divoramento, al­ le sue ipotesi sulla successiva prevalenza, durante il pri­ mo sem estre di vita, di una posizione schizoide, poi di una posizione paranoide e in seguito di una posizione depressi­ va e di una fase quindi di restaurazione riparatrice dell'Io e dell'oggetto, l'accento che essa ha posto sulla ricerca pri­ m aria del legame e sulla scissione precoce del seno perse­ cutore e del seno idealizzato, scissione che perm ette di dis­ sociare la libido dall'aggressività, rappresenta il filo con­ duttore per osservare nei gruppi dei fenomeni che, pro­ prio perché non potevano essere concettualizzati, non erano stati nettam ente riconosciuti. Si vide allora che, se l'imago paterna e la problem atica edipica svolgevano proprio un ruolo decisivo nelle organizzazioni sociali, come Freud ave­ va giustam ente messo in evidenza, invece, nei gruppi occa­ sionali e non direttivi di formazione o di psicoterapia, la regressione, sia topica che cronologica, conduceva i sog­ getti a risperim entare angosce di tipo psicotico e a vivere la situazione gruppale come una duplice m inaccia di per­ dita dell'identità personale e di liberazione dell'odio invi­ dioso e distruttivo. Come gli individui, le collettività incor­ porano 1'«oggetto buono» per averlo per sé e in sé e re­ spingono all'esterno 1'«oggetto cattivo»; l'idealizzazione ri­ chiam a sempre una controparte di persecuzione: è questo un esempio della scissione del seno idealizzato e del seno persecutore, scissione che Melanie Klein ha scoperto nel lattante. Per le collettività come per gli individui, il buono è facilm ente perduto; il cattivo, che fa ritorno, è più o me94

no velocemente invadente; e il gioco dei loro scambi non ha fine: è un aspetto della identificazione proiettiva — al­ tro im portante contributo concettuale di Melanie Klein. L'influsso kleiniano, considerevole in diversi analisti inglesi, si è unito ad un altro influsso, quello della Tavistock Cli­ nic e del Tavistock Institute di Londra dove, a p artire dal 1935, sotto la spinta di Rickmann, sono stati messi a pun­ to metodi di gruppo, terapeutici e di formazione. Il lettore troverà più oltre indicazioni sul tentativo di Bion di organiz­ zare in tempo di guerra, sulla base di principi psicoanalitici, un ospedale psichiatrico (cap. VI), sul ruolo difensivo del­ l'istituzione nei confronti di angosce arcaiche secondo Ja ­ ques (cap. VI), sulle nozioni di risonanza inconscia secon­ do Foulkes e di tensione comune ai fantasm i inconsci del gruppo secondo Ezriel (cap. IX). Dopo la guerra (1962) Bion si occupa del riadattam ento dei veterani e dei vecchi prigionieri di guerra alla vita ci­ vile, con un metodo di psicoterapia di gruppo molto vicino al T-Group (cap. IV) che era stato allora appena messo a punto negli Stati Uniti. Cercando di com prendere le ten­ sioni che si m anifestano nel corso delle sedute è giunto a due enunciati fondamentali: — Prim o enunciato: Il com portam ento del gruppo si com­ pie a due livelli, quello del compito comune e quello delle emozioni comuni. Il prim o livello è razionale e conscio: ogni gruppo ha un compito che riceve dall'organizzazione in cui si inserisce o che si dà autonom am ente. La riuscita di questo compito dipende dall'analisi corretta della real­ tà esterna corrispondente, dalla distribuzione e dall'atten­ to coordinam ento dei ruoli all'interno del gruppo, dalla re­ golazione delle azioni m ediante la ricerca delle cause degli insuccessi e dei successi, dal collegamento dei mezzi pos­ sibili con gli scopi presi di mira. I processi psichici in gio­ co sono quelli che Freud ha chiam ato secondari: percezio­ ne, memoria, giudizio, ragionamento. Costituiscono delle condizioni necessarie. Ma è sufficiente la condizione di gruppo per far sì che persone che, da sole, di fronte ad un problema, si comportano in modo razionale, divengano dif­ ficilm ente capaci di una condotta razionale collettiva. Il fatto è che interviene il secondo livello, affettivo e fantasmatico, caratterizzato dalla prevalenza di processi psichi­ ci «primari». In altri termini, la cooperazione cosciente dei

m em bri del gruppo, necessaria alla riuscita dei loro obiet­ tivi, richiede tra loro una circolazione emotiva e fantasmatica inconscia. Essa è a volte paralizzata e a volte stim ola­ ta da questa. — Secondo enunciato: gli individui riuniti in un gruppo si combinano in modo istantaneo e involontario per agire in base a stati affettivi che Bion chiam a «assunti di base». Questi stati affettivi sono arcaici, pregenitali: risalgono al­ la prim a infanzia, li si ritrova allo stato puro nelle psicosi. Bion (1961) descrive tre assunti di base a cui un gruppo senza riconoscerli si assoggetta alternativam ente: Dipendenza. Il gruppo chiede di essere protetto dal leader da cui sente di dipendere per il proprio nutrim ento intel­ lettuale o spirituale e può esistere senza conflitti solo se il leader accetta il ruolo che gli si attribuisce e il potere, così come i doveri, che questo implica. Il risultato può al­ lora non essere cattivo in apparenza, m a il gruppo non pro­ gredisce in modo proficuo. Si compiace nell'euforia e nel­ la fantasticheria e trascu ra la dura realtà. Se il leader si tira indietro, il gruppo si sente fru stra to e abbandonato. Un sentim ento di insicurezza si im padronisce dei parteci­ panti. Questa dipendenza nei confronti del leader si m ani­ festa spesso in un gruppo diagnostico con un lungo silen­ zio iniziale e con la difficoltà di trovare un argom ento di discussione, dato che il gruppo attende i suggerimenti del conduttore. La dipendenza è una regressione alla situazio­ ne antica in cui il bam bino è controllato dai genitori e in cui spetta a loro, e non al bambino, agire sulla realtà ester­ na. La dipendenza risponde ad un sogno eterno dei gruppi, il sogno di un capo intelligente, buono e forte, che si fa carico, per loro, delle responsabilità. Attacco-fuga (fight-flight). Il rifiuto dell'assunto di dipen­ denza da parte del leader, il m onitore, l'anim atore, costi­ tuisce un pericolo per il gruppo, che non crede di poter più sopravvivere. Di fronte al pericolo i partecipanti, in genere, si riuniscono sia per com battere sia per fuggire. In questo senso, l'atteggiam ento attacco-fuga è un segno di solidarietà del gruppo. Il nemico comune avvicina i mem­ bri. Prendiam o un esempio. Un gruppo di discussione libe­ ra assum e come tem a di discussione «i bam bini abbando-

nati». La seduta è noiosa, prevale l'atteggiam ento di fuga, poche persone partecipano al dibattito. Poi il gruppo valu­ ta il proprio lavoro: piovono le critiche: «non si è fatto niente», ed era «futile», «non ci si capisce niente». Il con­ duttore dichiara allora che si trattava di una fuga: il grup­ po ha voluto dim ostrare di essere incapace di cavarsela da solo. I partecipanti ridono, segue una discussione ani­ m ata in cui le critiche abbondano: alla fuga fanno seguito degli attacchi contro la situazione e contro il monitore. Accoppiamento. A volte, l'atteggiam ento attacco-fuga por­ ta alla formazione di sotto-gruppi o di coppie. Per esem­ pio, in un gruppo diagnostico si discute dei «colpi di ful­ mine» nelle scuole femminili. Solo le donne discutono, gli uom ini tacciono, dicendo che il fenomeno non si verifica tra i maschi. Nella seduta successiva, parlano soltanto gli uomini. Vi è stata dunque una separazione tra gli uomini e le donne. Infine, nella riunione successiva, un uomo e una donna si punzecchiano sulle discussioni precedenti: si assiste ad una vera e propria seduta di «flirt aggressi­ vo» (non parla nessun altro). Si era così form ata una cop­ pia, che può cercare di rifondare il gruppo intero (Bion parla allora di una speranza messianica suscitata dalla cop­ pia), ma la coppia rappresenta un pericolo per il gruppo, perché tende a form are un sotto-gruppo indipendente. I tre assunti di base non fanno la loro com parsa contem ­ poraneam ente. L'uno prevale e m aschera così gli altri, che tuttavia sussistono in potenza. Togliendo all'assunto di ba­ se dom inante il suo peso attuale, l'interpretazione ne por­ ta alla luce, al tem po stesso, un altro e perm ette al gruppo di funzionare differentem ente. Benché Bion stesso non faccia l'accostam ento, gli assunti gruppali inconsci si collegano a loro volta ai tre tipi di pulsioni messe in evidenza dalla psicoanalisi e alle tre for­ me di organizzazione sociale studiate da Freud. L'assunto di base di dipendenza sem bra corrispondere all'organizza­ zione fam iliare e alla pulsione di attaccam ento (che un al­ tro psicoanalista inglese, Bowlby, propone, seguendo alcu­ ni etologi, di distinguere dalla pulsione libidica). L'assunto di base di attacco-fuga riguarda la pulsione aggressiva e l'organizzazione m ilitare. Infine, l'accoppiam ento e la sua conseguenza, la speranza messianica, esprim erebbe la pul97

sione sessuale e sottenderebbe l'organizzazione religiosa. Pierre Turquet (1974) ispirandosi non solo a Melanie Klein ma anche a Bowlby e a W innicott, ha posto in luce, nel gruppo allargato in opposizione al piccolo gruppo, la fru ­ strazione molto forte e prolungata della pulsione di attac­ camento e il bisogno di stabilire, m ediante lo sguardo e la postura, una «pelle comune» con il proprio vicino. Da questo deriva la necessità, per i m onitori dei gruppi allar­ gati, di una condotta di presenza-appoggio (nel senso winnicottiano di holding) nei confronti dei partecipanti e del­ la creazione di uno spazio transizionale tra i m em bri del gruppo e il o i m onitori, così come tra il gruppo e la realtà sociale esterna. È qui una delle origini del concetto di «ana­ lisi transizionale» (cf. cap. VJII) inventata da René Kaës [1979] e che costituisce uno dei contributi originali di quella che si può chiam are una «scuola francese» di psicoanalisi gruppale. Una scuola francese di psicoanalisi gruppale. Non tu tti gli psicoanalisti di gruppo francesi si basano sui punti di vi­ sta di Melanie Klein. S. Lebovici, R. Diaktine e collabora­ tori hanno lavorato secondo una prospettiva strettam ente freudiana, com pletata dalla Ego-Psychology am ericana di Kris, H artm ann e Loewenstein. Limitano le loro teorie ai gruppi occasionali di psicoterapia e di formazione, aste­ nendosi da ogni estrapolazione ai gruppi sociali n a tu ra li13. Invece, a p artire dall'influsso post-kleiniano, J.-B. Pontalis (1963) ha descritto, nelle situazioni di gruppo non d iretti­ vo, la lotta dei partecipanti per im porre, ognuno agli altri, la propria rappresentazione ideale inconscia della vita, del­ l'organizzazione e del funzionamento di un gruppo. Il grup­ po può così divenire, come lo psicoterapeuta, un oggetto, nel senso psicoanalitico del term ine, cioè un oggetto di in­ vestim ento delle pulsioni libidiche, aggressive o di autodi­ struzione e un luogo di proiezione dei fantasm i individuali inconsci. I sogni notturni dei partecipanti che vengono ri­ feriti successivam ente al gruppo ne sono esempio (Ponta-*I, 13 Cf. D. Braunschweig, R. Diatkine, E. Kestemberg, S. Lebovici, A propos des méthodes de formation en groupe, Psychiat. enfant. 1968, II, η. I, 71-180. J. Kestemberg, S. Decobert, Approche psychanalytique pour la compréhension de la dynamique des groupes thérapeutiques, Rev. fr. Psychanal, 1964, 28, n. 3, 393-418. Cf. anche, per altri riferi­ menti, la nota 2 del capitolo IX. 98

lis, 1972). D. Anzieu (1964, 1966a) ha decifrato, nelle usuali metafore sul gruppo (il gruppo rappresentato come un «cor­ po» di cui i partecipanti sono i «membri»), una difesa con­ tro l’angoscia di spezzettamento. Ha ugualm ente constata­ to che finché un gruppo non si è costituito secondo un ordine simbolico, funziona come una sorta di folla in cui ognuno rappresenta per ognuno una m inaccia di divo­ ram ento. t Successivamente, prendendo a modello la prim a topica freu­ diana (il Conscio, il Preconscio, l’Inconscio e le due censu­ re), D. Anzieu (1966b) ha proposto l'analogia del gruppo e del sogno. Gli individui chiedono al gruppo una realizza­ zione im m aginaria dei loro desideri rimossi; da cui la fre­ quenza nei gruppi dei temi allegorici del Paradiso perdu­ to, della scoperta di un Eldorado, della riconquista di un Luogo santo, di partenza per Citera, in una parola di Città utopica. Parallelam ente si intensificano l’angoscia e i sen­ tim enti di colpa nei confronti della trasgressione del divie­ to. Da cui il silenzio paralizzante così frequente nelle si­ tuazioni in cui i partecipanti sono invitati a parlare libera­ mente, sottinteso: a parlare dei loro desideri repressi. Ciò ha portato D. Anzieu (1971) a denom inare illusione grup­ pale la ricerca, nei gruppi, di uno stato fusionale colletti­ vo; «stare bene insieme» «siamo un buon gruppo, con un buon leader». A questo contenuto m anifesto corrisponde il seguente contenuto latente: incorporazione del seno co­ me oggetto buono parziale, partecipazione di tutti all'idea­ le di onnipotenza narcisistica proiettata sul gruppo-madre, difesa ipocondriaca contro la paura arcaica, di distruzione dei bam bini rivali nell’utero m aterno. Appare allora neces­ sario lavorare in gruppo con la seconda teoria freudiana e m ostrare in cosa ogni gruppo, a p artire dal momento in cui si costituisce come tale $ cessa di essere un agglo­ m erato di individui, sia una proiezione ed una riorganizza­ zione delle topiche soggettive dei partecipanti. Nell’illusio­ ne gruppale, il gruppo prende il posto dell'Io ideale di ognu­ no dei membri, così come Freud aveva m ostrato che, nelle organizzazioni collettive gerarchizzate, l’imago paterna del capo prende il posto dell'Ideale dell'Io di ognuno. Secondo la concezione lew iniana del gruppo, il gruppo deve assu­ mere, al posto dell'Io dei* partecipanti, le funzioni di anali­ si della realtà e di compromesso tra la realtà esterna (fisi­ ca e sociale) e la realtà interna (i desideri dei membri). 99

Un gruppo può organizzarsi attorno ad un Super-Io al tem ­ po stesso persecutorio e seduttivo: è la fantasia del gruppomacchina. Può organizzarsi attorno alla pulsione orale e al legame di dipendenza sim biotica del bam bino dalla m a­ dre: è la fantasia del gruppo seno-bocca, con la sua varian­ te di gruppo «seno-toilette». Può organizzarsi attorno alla pulsione di distruzione dell'oggetto (sono le fantasie di rom­ pere) o di quella di autodistruzione (si tra tta della resi­ stenza paradossale). L'istanza dom inante in quello che Kaës [1976] ha chiam ato «l'apparato psichico gruppale» determ ina, sempre secon­ do D. Anzieu, la struttura inconscia dei gruppi, m entre lo studio delle formazioni fantasm atiche specifiche delle si­ tuazioni gruppali m ette in evidenza l'esistenza di organiz­ zatori psichici inconsci, interm ediari tra la s tru ttu ra topi­ ca e queste formazioni fantasm atiche. Nella seconda edi­ zione del suo libro Le groupe et Vinconscient (1981) Didier Anzieu descrive cinque organizzatori: il fantasm a indivi­ duale, l'imago, i fantasm i originari, il complesso edipico, l'imago del proprio corpo. Propone anche tre principi del funzionam ento psichico gruppale: principio di indifferen­ ziazione dell'individuo e del gruppo, principio di autosuf­ ficienza del gruppo, principio di delimitazione dell'interno e dell'esterno del gruppo. A. Béjarano (1971) ha visto il ritorno della scissione preco­ ce, descritta da Melanie Klein tra l'oggetto buono e l'og­ getto cattivo, nella scissione del tran sfert che si presenta sem pre prim a o poi nelle situazioni di piccoli gruppi (da 8 a 12 persone) e ancora di più in quella di gruppi allarga­ ti (da 30 a 60 persone). I sentim enti positivi tendono a con­ centrarsi nell'illusione gruppale vissuta in un piccolo grup­ po. I sentim enti negativi, scissi dai precedenti, tendono a cristallizzarsi su un individuo particolare (leader, capro espiatorio), su un gruppo nemico, o sul gruppo allargato a cui la persona appartiene o sulla realtà esterna, per esem­ pio sulla società nel suo insieme. Ciò lo ha condotto a pre­ cisare (Béjarano, 1972) che, nelle situazioni gruppali, il tran­ sfert poteva fissarsi su uno o più dei quattro oggetti se­ guenti: il monitore-psicoanalista, il gruppo, un mem bro del gruppo, Yout-group. Ha anche ugualm ente proposto l'ipo­ tesi di una imago fratern a e societaria, che la situazione del gruppo attiverebbe in modo particolare. A. M issernard (1971) ha studiato il lavoro psichico che si

compie nei mem bri di un gruppo di formazione condotto psicoanaliticam ente. Questo lavoro consiste in una perdi­ ta, per il soggetto, delle identificazioni imm aginarie anti­ che, perdita sentita come una m inaccia alla propria inte­ grità psichica e vissuta nella depressione e nella paura di scompenso. Parallelam ente si compie in lui, in relazione agli altri membri del gruppo, una ricostruzione di identifi­ cazioni simboliche nuove che gli rendono possibili nuovi atteggiam enti nella vita privata e sociale. A partire da ciò, M issenard (1972, 1976, 1979) ha distinto il lavoro psichico che poteva compiersi nei partecipanti, dal lavoro «psicoa­ nalitico» dei m onitori o degli psicoterapeuti. Ha precisato il gioco delle identificazioni-proiezioni in gruppo. Ha de­ scritto il polo narcisistico del gruppo e la sua dinam ica tra il narcisism o prim ario prefusionale e il narcisism o se­ condario successivo all'esperienza di defusione e di costi­ tuzione di un doppio speculare immaginario. Un gruppo può così organizzarsi nell'identificazione eroico-masochista con un leader idealizzato o nel reciproco appoggio che as­ sicuri la restaurazione narcisistica dei m em bri o può di­ sorganizzarsi infliggendo ai propri m em bri delle esperien­ ze ripetute o traum atizzanti di discontinuità, di lesione, di rottura. Ogni gruppo tende a costituirsi un involucro narcisistico. Jean Claude Ginoux (1982) ha dim ostrato che la ripetizio­ ne dei passaggi all'atto nei gruppi di libera espressione verbale poteva provenire da un traum a verificatosi nella preistoria o nella m essa a punto del gruppo, traum a su cui conduttore e partecipanti tacciono, fino al momento in cui può essere sciolto da una interpretazione che ne per­ m ette la verbalizzazione. René Kaës (1973, 1975, 1976a) ha dim ostrato che ogni atti­ vità di formazione è sottesa da una fantasm atica incon­ scia; egli ha descritto delle fantasie di autoformazione e di onnipotenza orale o anale che si ritroverebbero nella formazione degli adulti, nella pedagogia scolastica e nei riti di iniziazione. Ha messo in evidenza nei term ini di «se­ minario», «sessione» «stage» dei campi differenti di riso­ nanza fantasm atica (Kaës, 1974a). Ha studiato nella pittu ­ ra, nel romanzo, nella pubblicità, nel disegno spontaneo dei bambini, le rappresentazioni collettive immaginarie del gruppo [Kaës, 1976]. Ha introdotto, a proposito di queste rappresentazioni, il concetto di organizzatore, facendo rife-

rim ento da un lato a Spitz (che lo aveva trasposto dall'embriologia alla psicologia genetica ed applicato alle crisi di sviluppo nella prim a infanzia), dall'altro a Lacan (con i suoi lavori sui complessi fam iliari e sulla rivalità edipica come organizzatore della famiglia), e infine alla teoria dei siste­ mi e delle organizzazioni. Kaës ha precisato che questi or­ ganizzatori sono di due tipi, psicologici e sociali, e che or­ ganizzano non solo delle rappresentazioni di gruppo ma anche il processo gruppale. Ha collegato organizzatori e proto-gruppo (1972); ha analizzato il corpo immaginario co­ me organizzatore del gruppo allargato (1974b); ha descrit­ to la fantasia di gruppo trafitto (1974c) e di «gruppo arcai­ co» (1974d). Kaës (1971) ha form ulato per altro l'ipotesi che le form a­ zioni di compromesso assumano nei gruppi delle forme spe­ cifiche: sono i miti, le utopie, le ideologie; i piccoli gruppi non direttivi perm ettono di osservarle allo stato nascente. Classifica le ideologie in base all'istanza psichica che le organizza. Le ideologie provenienti dall'Io ideale si suddi­ vidono in due tipi: alcune sono persecutorie (lotta contro un'im m agine di m adre divoratrice p roiettata sulla natura, la citta, la società; idealizzazione della causa alla quale ci si vota e sulla quale è p ro iettata un'im m agine di onnipo­ tenza narcisistica); altre sono depressive (nostalgia di un paradiso perduto, senso di colpa per aver distru tto ciò che era buono, negazione della differenza tra gli esseri umani). Soltanto le ideologie derivanti dall'Ideale dell'Io indicano il passaggio dell'apparato psichico alla posizione di ripa­ razione, alla sublimazione delle pulsioni parziali, all'ordi­ ne simbolico. L'ideologia svolgerebbe nel pensiero lo stes­ so ruolo che l'oggetto feticcio ha nell'econom ia del deside­ rio nei perversi. Kaës (1980) è stato condotto a fare l'ipote­ si di una «posizione» ideologica, interm ediaria, nello sviluppo psichico, tra le posizioni paranoide-schizoide e de­ pressiva. Ha insistito sulla necessità di prendere in consi­ derazione, nei gruppi a conduzione psicoanalitica, non so­ lo il transfert e il controtransfert ma anche l'intertransfert tra gli psicoanalisti che conducono il gruppo. L 'intertran­ sfert può proteggerli difensivamente da questo; la sua chia­ rificazione li illum ina sulla dinam ica gruppale spostata su di loro, da cui la necessità dell'analisi intertransferale (Kaës, 1976b). Più in generale, il dispositivo stabilito dai m onitori di un gruppo, le loro disposizioni interne, il loro .102

sistem a di interpretazione, tendono a instaurare una area transizionale, nell'accezione di W innicott, perm ettendo ai partecipanti di superare la fra ttu ra con le abituali condi­ zioni di vita, di vivere la crisi interiore e interpersonale che ne deriva, di operare in loro e tra loro dei cam biam en­ ti individuali ed eventualm ente istituzionali, persino libe­ rare la creatività individuale e gruppale: è «Tanalisi tra n ­ sizionale» [Kaës, 1979] (cf. il paragrafo dedicato a questo concetto, cap. Vili). Il contributo teorico indubbiamente più im portante di Käes (1976) resta la sua ipotesi di un apparato psichico gruppa­ le, che am plia ed approfondisce un'ipotesi originariam en­ te form ulata da André M issenard e che fa del fantasm a individuale il prim o degli organizzatori inconsci del grup­ po. Un gruppo è una realtà psichica transindividuale da costruire. I m em bri lo costruiscono m ediante un appog­ gio, d'altro canto reciproco, sui propri apparati psichici individuali, in una tensione tra una tendenza alla omomorfia, che si realizza pienam ente nella famiglia psicotica e che tende alla fusione degli apparati psichici individuali tra di loro e con l'apparato gruppale), ed una tendenza al­ la isomorfia, (che introduce una distanza creativa tra gli apparati individuali e l'apparato gruppale). Una delle dif­ ferenze fondam entali è che gli apparati individuali si ap­ poggiano sui rispettivi corpi degli individui m entre l'appa­ rato gruppale sente come un deficit im portante la m an­ canza di un corpo ed ha bisogno di forgiarsene dei sostitu­ ti; l'identificazione delle reazioni a questa mancanza costituisce uno dei compiti della psicoanalisi gruppale. In­ vece l'apparato gruppale cerca e trova degli appoggi su realtà sociali (le istituzioni in particolare). H ector Scaglia (1974a e b, 1976a e b) ha dim ostrato che ogni gruppo non direttivo vive all'inizio una fase persecu­ toria. Successivamente l'angoscia persecutoria tende ad es­ sere deposta nell'osservatore non partecipante, la cui pre­ senza è allora dim enticata, «resa implicita». Egli ha anche constatato che tendono a form arsi delle coppie tra i tre term ini, il gruppo, il m onitore, l'osservatore; due di questi term ini tendono ad entrare in collusione e ad escludere il terzo; da cui tre configurazioni possibili dove il gruppo, l'osservatore e più di rado il conduttore sono rispettiva­ m ente rigettati dallo scambio libidico tra il conduttore e l'osservatore, tra il m onitore e il gruppo, tra l'osservatore e il gruppo. 103

Roland Gori (1972, 1973a e b, 1976, 1978) ha posto in evi­ denza una resistenza particolare da parte dei partecipanti a. vivere l'esperienza del gruppo che viene loro proposta: interpongono tra il gruppo e loro un sapere prelim inare. L'utilizzazione di una parola a stra tta e disincarnata ha co­ me corrispettivo la resistenza inversa: una parola in grup­ po così vicina al corpo e agli affetti che non lascia posto né agli altri né al pensiero. Parlare per parlare, per far volume, è u n 'a ltra form a di resistenza, quella delle «m ura­ glie sonore». Roger Dorey critica il concetto di fantasm a di gruppo. P. Dubuisson (1971) e J. M uller (1971) descrivono dei mecca­ nismi di difesa gruppale. J. M uller (1974) denuncia anche alcuni «miti» veicolati dalla m oda di m etodi di formazione in gruppo. E. Pons (1974) m ostra il ruolo stru ttu ra n te del fantasm a di scena prim aria in un gruppo istituzionale. M. N etter (1974) confronta gli interventi di tipo psicologi­ co e di tipo psicoanalitico nei gruppi di formazione 14.

14 La teoria psicoanalitica del gruppo della scuola francese è stata esposta in tre numeri speciali della rivista Perspectives psychiatrìques (1971, 1973, 1976), in due numeri speciali del Bulletin de Psychologie (1974, 1983), in un numero di L'Evolution psychiatrique (1976) e svi­ luppata in una serie di volumi diretti da Didier Anzieu e coll. (1982) e da René Kaës e coll. (1973, 1976; 1979; 1982) nella collana «Incon­ scient et Culture» dell'editore Dunod.

Capitolo quarto

I metodi

Lo studio dei gruppi naturali Approccio clinico. Lo studio dei gruppi naturali si compie sul campo, cioè nel luogo abituale delle attività proprie di questo gruppo: la classe, l'officina, l'ufficio, il terreno incolto, il campo. L'approccio clinico suppone che lo psi­ cologo acquisti uno statuto di osservatore partecipante: par­ tecipa come ogni altro m em bro alle attività del gruppo, dopo essersi fatto accettare dal gruppo o essendone già fin dall'inizio membro; approfitta, d'altro canto, della pro­ pria partecipazione per osservare il gruppo in qualità di psicologo e per annotare regolarm ente e sistem aticam ente le sue osservazioni. Si presentano qui due possibilità: a) L ’inchiesta di tipo sociometrico: il gruppo sa che uno dei suoi m em bri è uno psicosociologo e si presta alle sue osservazioni. È il processo dell'inchiesta etnologica. Que­ sto processo è stato quello maggiormente utilizzato per co­ noscere dall'interno le bande in generale, per esempio le bande di delinquenti. Tale metodo deve far fronte a due difficoltà: da una parte, il gruppo che sa di essere osserva­ to può presentare reazioni persecutorie o depressive e mo­ dificare le sue condotte abituali; dall'altra, l'obiettività dello psicologo può esser m essa a dura prova e il suo duplice ruolo divenire un doppio gioco. Lo psicologo si prem unisce nei confronti di questa secon­ da difficoltà adottando tecniche di osservazione lim itate, standardizzate e quantitative, che sono l'equivalente degli strum enti clinici in psicologia individuale. Devono ancora essere trovati dei metodi compatibili sia con la n atu ra dei 105

fenomeni di gruppo sia con lo statuto di osservatore p arte­ cipante. Un esempio dim ostrativo è offerto dal test socio­ metrico di Moreno (cf. capitolo III). Chi promuove il test è conosciuto dal gruppo e (condizione indispensabile) ne ottiene raccordo; si tra tta del m aestro in classe, del medi­ co in una istituzione di rieducazione, del superiore gerar­ chico in un gruppo m ilitare o industriale. L'applicazione del test si effettua nel contesto sociale quotidiano del grup­ po. L'indagine verte sul sentim ento soggettivo (simpatia, antipatia, indifferenza) che ogni m em bro prova nei con­ fronti degli altri mem bri in occasione di una determ inata attività (lavoro, svago, coabitazione). «Infine, è stato con­ venuto in anticipo che si terrà conto delle preferenze espres­ se nella m isura del possibile, cioè che non si tra tta di un gioco platonico. I soggetti infatti non saprebbero essere sufficientem ente motivati se non avessero la prospettiva di una futura applicazione»l. Una buona osservazione è atten ta nel notare i propri effet­ ti sulla situazione osservata. In psicologia dei gruppi, que­ sta osservazione sta alla base della ricerca attiva («action research»). Moreno fa riferim ento sia a Freud che a Marx: la conoscenza e la prassi sociale gli sem brano indissociabi­ li. M ediante il suo intervento, cioè m ediante l'osservazione di se stessi a cui egli li porta, a condizione che essa sia probante, opportuna e assim ilata, lo psicologo rende pos­ sibile a dei piccoli gruppi, e da qui ad una collettività inte­ ra, il superam ento di alcuni pregiudizi. Un gruppo portato a riconoscere le ragioni profonde delle proprie azioni (e inazioni) si trova cambiato, proprio per questo, nella sua stru ttu ra psicosociologica e nel suo rapporto con il mondo. Con l'inchiesta sociometrica, la radiografia delle interrela­ zioni affettive vissute all'interno del gruppo è l'operazione tecnica essenziale, che com porta dei calcoli precisi: la ridi­ stribuzione dei m em bri in gruppi composti diversam ente è una conseguenza eventuale e quasi un sottoprodotto; si possono iniziare altre azioni a p artire dalle indicazioni for­ nite dal sociogramma: ad esempio degli psicodram m i de­ stinati ad integrare gli isolati o a far esplodere e superare i conflitti riguardanti i rifiu ta ti12. 1 J. Maisonneuve, La sociométrie et l'étude des relations préféren­ tielles, in P. Fraisse, J. Piaget (1965) P.U.F., t. IX, p. 220. 2 II presente lavoro contiene diversi riferimenti alla sociometria. Vedi

b) L'osservazione partecipante: il gruppo ignora la presen­ za di uno psicologo al proprio interno. Costui si trova per caso nel gruppo (prigionieri di guerra, persone trasferite, riunioni professionali diverse) e ne trae vantaggio per com­ piere osservazioni che permettano una descrizione del grup­ po o di alcune delle sue condotte tipiche. È il caso di A. Lévy nel suo Portraits de m eneurs3. Se si tra tta di un gruppo molto chiuso, del tipo società segreta, lo psicologo non ha altra risorsa che quella di dissim ulare la propria qualità e ricorrere a tu tta la propria abilità per farvisi am ­ m ettere. L’esempio scientificamente più riuscito è stato offerto dal­ la partecipazione di Festinger alla vita e al dram m a di una setta religiosa che attendeva la fine del mondo che non si decideva ad arrivare. Anche in questo caso il risultato è una descrizione; ogni obiettivo di intervento psicosocio­ logico nel gruppo scompare; invece lo psicologo deve pos­ sedere all'inizio una o più ipotesi direttrici che ne orientino le osservazioni. Nel caso di Festinger [1953] si trattava di verificare la sua teoria della dissonanza cognitiva4. Cosa accade quando i m em bri di un gruppo sono portati ad accorgersi che i fatti sono in disaccordo con le proprie credenze e con le condotte che ne derivano? Quando si m a­ nifestano tali relazioni, che Festinger chiama «dissonan­ ti», le persone provano il bisogno di ridurre questa disso­ nanza. I due principali tipi di fenomeni da studiare sono: l'intensità di questo bisogno e il tipo di com portam ento che il gruppo adotterà per ridurre la dissonanza. Festinger e collaboratori si erano così im battuti in un li­ bro di Clara Endicott Sears, intitolato The days of delu­ sion. L'autrice vi descrive la vita di un gruppo fondato da un certo William Miller, fattore del New England, che do­ po aver studiato per 12 anni la Bibbia credette di scoprire nel 1840 che la seconda venuta del Cristo e la fine del mon­ do si sarebbero verificare nel 1843. All'inizio del 1843, riuil capitolo III per quanto riguarda la sua scoperta e il capitolo VI sulle reti di affinità e il morale. Cf. anche J. Maisonneuve, Psycosociologie des affinités, P.U.F., 1966. 3 Portraits de meneurs et psychologie du group, Enfance 1949, 2, n. 1, 7-41, ripubblicato in Bull. Psychol. 1953, 7, n. 1, 34-51. 4 Cf. J. P. Poitou La dissonance cognitive, A. Collin, 1974. Una reinterpretazione della dissonanza cognitiva si trova in Beauvois e Joule Soumission et idéologies, P.U.F., 1981. 107

ni attorno a sé un folto gruppo di adepti che tenevano del­ le riunioni, diffondevano la buona novella e, preparandosi effettivam ente alla fine del mondo, abbandonavano i pro­ pri affari e distribuivano i propri beni. Giunse la fine dell'anno 1843, m a non la fine del mondo. Tuttavia la fede dei «Milleriti» non venne affatto scossa: M iller rifece i calcoli e si accorse che la fine del mondo avrebbe dovuto verificarsi alla fine dell'anno biblico, cioè il 21 marzo 1844. Dato che l'avvenim ento non si presentò all'appuntam ento, M iller si rim ise allo studio e si accorse che una co rretta interpretazione dei testi biblici portava a ritard are di sei mesi la data precedentem ente fissata per il grande avvenimento: che avrebbe dovuto verificarsi il 22 ottobre 1844. Soltanto dopo questo terzo scacco il grup­ po perse la propria fede e i suoi m em bri finirono per. di­ sperdersi. Commentando questi fatti, Festinger m ostra che, durante le prim e delusioni, vi erano stati per il gruppo due modi di abolire il disaccordo tra la credenza e i fatti. Il mezzo più semplice sarebbe stato quello di rinunciare alla cre­ denza, ma si è verificato il fatto contrario. Il gruppo ha stabilito la «consonanza» reinterpretando i testi e intensi­ ficando il proselitism o per m oltiplicare gli adepti al suo credo. In seguito Festinger è giunto a studiare dal vivo un feno­ meno dello stesso tipo. È riuscito, con due dei suoi colla­ boratori, a farsi accettare in un gruppo di persone che si preparavano alla fine del mondo. Nel mese di settem bre del 1954 un giornale pubblicava che una donna, chiam ata M arian Keech, della periferia di Salt Lake City, prediceva la distruzione della città a causa di un diluvio, che avreb­ be dovuto somm ergere tu tta l'America. La catastrofe do­ veva verificarsi il 21 dicem bre 1954. La donna diceva di ricevere, sotto form a di sc rittu ra autom atica, dei messag­ gi provenienti da un pianeta chiam ato Clarion, attraverso dei dischi volanti. Si form ò attorno a lei un gruppo, all'ini­ zio non molto numeroso, di circa venticinque persone, che accordava fede al suo messaggio. Il gruppo non era segre­ to, ma non si dedicava ad alcuna propaganda. I suoi mem­ bri condividevano un certo num ero di credenze ispirate dalla teosofia ed osservavano delle regole di condotta; in particolare era loro prescritto di essere vegetariani. Pre­ parandosi sinceram ente alla fine del mondo, m isero in or-

dine gli affari, abbandonarono il lavoro, distribuirono i pro­ pri beni e dispensarono i propri soldi. Si può immaginare come dopo tali fatti non sarebbe stato per loro facile ri­ nunciare in seguito al credo che ne aveva indirizzato le azioni. Alcuni giorni prim a della data prevista, il gruppo fu infor­ mato, dai messaggi di Mme Keech, che un disco volante sarebbe venuto a prenderli quattro giorni prim a del dilu­ vio, alle 4 del pomeriggio, nel cortile posto dietro la casa in cui si riunivano. Con i soprabiti sul braccio gli adepti attesero invano. Giunse un nuovo messaggio, secondo cui il disco volante sarebbe arrivato a mezzanotte. In gran se­ greto gli adepti attesero nella neve e nel vento. Niente di­ sco volante. Alle 3 del m attino rinunciarono ma non senza interpretare questa notte in bianco: doveva trattarsi di una prova di preparazione per la grande partenza. Per tre giorni attesero febbrilmente un messaggio, che giun­ se alla vigilia della data fissata per il cataclisma. Un uomo sarebbe venuto a cercarli a mezzanotte e li avrebbe con­ dotti al disco volante che doveva salvarli. Quel giorno, dal 20 al 21 dicembre, fu loro inviata una serie di messaggi che precisavano la parola d'ordine e il com portam ento da tenere: togliere dagli abiti quanto di m etallico vi fosse, di­ sfarsi delle carte di identità, conservare il segreto, ecc. Da mezzanotte alle cinque attesero il loro salvatore... che non venne. Se non veniva, senza dubbio ci si doveva aspettare che il diluvio non ci sarebbe stato. E il gruppo ne cercò la spiegazione. Alle cinque meno un quarto Dio mandò loro un nuovo mes­ saggio: il gruppo aveva dim ostrato una tale fede e tali vir­ tù che Egli aveva deciso di ferm are il diluvio e di salvare il mondo. E fu allora che si produsse Γavvenimento forse più inte­ ressante di tu tta la storia: questi credenti che fino ad allo­ ra non avevano fatto alcuna pubblicità al movimento si m isero a cercarla avidamente. Per quattro giorni di segui­ to fecero venire dei giornalisti per rilasciare loro delle di­ chiarazioni, invitarono la gente a visitarli e ad istruirsi, reclutarono dei nuovi adepti. Il quarto giorno vi erano 400 persone, radunate dentro casa, venute per vederli cantare. Questo passaggio dal segreto alla pubblicità si spiega in m aniera soddisfacente m ediante il bisogno di ridurre la dissonanza: di fronte al fatto che non si era poi prodotto

— la fine del mondo — il gruppo adottò due mezzi per difendere il proprio credo: da un lato reinterpretò il fatto: la fine del mondo diveniva la salvazione del mondo, come ricom pensa delle virtù del gruppo, d 'altra parte il gruppo moltiplicava gli adepti: quanto più numerosi sarebbero stati i credenti tanto più il suo credo sarebbe stato giustificato. E d'altronde il gruppo sussistette parecchi mesi ancora do­ po la m ancata fine del mondo. L'approccio clinico ai gruppi naturali non è privo di in­ convenienti. La prova che una determ inata variabile è cau­ sa di un certo fenomeno di gruppo è difficile da stabilire m ediante la semplice osservazione. Il m etodo di osserva­ zione può funzionare come sostituto del metodo sperim en­ tale se il gruppo osservato si trova in una situazione ecce­ zionale che am plifica o sopprim e questa variabile abituale dell'esperienza di gruppo: catastrofe (per esempio te rre ­ moti, esplosioni accidentali), isolamento fisico e sociale (sta­ zione di sverm am ento in zona artica o antartica, sottom a­ rino nucleare in immersione, religiosi o prigionieri reclu­ si), prospettive di una m orte prossim a (carestia, guerra, rivoluzione). La difficoltà viene ad essere spostata: come sapere con sufficiente anticipo che un certo gruppo è in una situazione eccezionale, se questa è dovuta al caso, e come raggiungerla? E se si tra tta di una situazione norm a­ le per questo gruppo, in che modo riuscire a farvisi am­ m ettere? In m ancanza di osservazioni dirette, la raccolta di testim onianze e di documenti, se è sistem atica, varia e accurata, può perm ettere di ricostruire a posteriori i fe­ nomeni di gruppo e proporne delle spiegazioni. È in que­ sto modo che ha proceduto T rasher (cf. cap. II) a Chicago, per studiare le bande di delinquenti. M arianne Hosenlopp5, in Francia, ha utilizzato lo stesso metodo nello stes­ so campo. Edgard Morin (1970) ha descritto come giornali­ sta e come sociologo le com unità di giovani che si diffon­ devano da alcuni anni sulla costa Est degli Stati Uniti. Ta­ li testimonianze e documenti possono essere raccolte molto facilm ente dagli interessati. Come spesso accade, in que­ sto campo l'arte ha superato la scienza. Sono state realiz­ zate sulla base di testim onianze di questo tipo buone ope­ re letterarie e artistiche. Citiamo il film am ericano Dodici 5 Essai psychologique sur les bandes de jeunes voleurs, Belles-Lettres, 1943. 110

uom ini in collera di S. Lumet (1957) (che si presenta come la registrazione audiovisiva integrale del verdetto della giu­ ria di corte d'assise) il romanzo di W. Golding (1954) e il film inglese II Signore delle mosche che descrivono la vita di un gruppo di giovani ragazzi naufraghi su un'isola de­ serta e il conflitto tra un leader dem ocratico e un despota sadico), il romanzo di Robert Merle L ’ìle (1962) sulla stessa situazione tra adulti, i romanzi di F. Wälder, Saint Ger­ main ou la négociation (1958) e di Bourbon-Bus set, La gran­ de conférence (1962) (in cui gli autori condensano la pro­ pria esperienza di negoziatori in resoconti fittizi di nego­ ziazioni storiche)6. Approccio psicoanalitico: Bion. Lo psicoanalista di scuola inglese, Bion [1961], ha applicato le regole della cura anali­ tica individuale alla direzione di un ospedale psichiatrico m ilitare durante la seconda guerra mondiale. Bion ha in carico 400 uomini che è impossibile trattare individualmen­ te e tra cui regna l'indisciplina e la pigrizia. Egli vi vede una resistenza collettiva e decide di attenersi, nei rapporti con loro, unicam ente a scambi verbali. Promulga un rego­ lamento, equivalente delle regole della psicoanalisi indivi­ duale: gli uomini si divideranno in gruppi; ogni gruppo avrà una attività differente; ciascuno è libero di form are un gruppo o di aderire ad un gruppo; si può cessare di p arte­ cipare all'attività di un gruppo a condizione di dichiararlo al capo reparto prim a di tornare nella propria stanza; ogni giorno, a mezzogiorno, la situazione verrà esam inata nel corso di una riunione generale. Im pegnarsi in un'attività di gruppo libero equivale per la com unità all'impegno dell'analizzando nelle libere associazioni; l'obbligo m orale di venire in un caso alle sedute e nell'altro alle riunioni è simile; infine, l'invito a restituire ciò che si pensa e ciò che si sente nella situazione così definita (cioè l'espressio­ ne delle fantasie, degli affetti e del transfert) è im plicita nella pratica delle riunioni quotidiane che fornisce l'occa­ sione al m edico-direttore di dare eventuali interpretazioni sul senso di ciò che è vissuto progressivam ente dalla col­ lettività. La riuscita di questa esperienza pilota (la colletti­ vità si fece rapidam ente carico dei propri interessi, si in6 La sezione d della Bibliografia generale contenuta alla fine del pre­ sente volume comprende molti altri riferimenti.

gegnò ad organizzare dei gruppi attorno ad attività desti­ nate ad innalzare la dignità personale e accelerò il riadat­ tam ento m ilitare di questi com battenti disadattati) ha incoraggiato diversi tentativi di terapia m ediante le attivi­ tà di gruppo (socioterapia) negli ospedali psichiatrici. Ma la sua portata è più generale: ogni gruppo istituzionale può essere tra tta to sulla base di una com prensione psicoanali­ tica, a condizione di instaurare un setting specifico ade­ guato (vedi oltre). Approccio sperimentale. L'approccio sperim entale ai grup­ pi reali è stato inaugurato da Elton Mayo (cf. cap. II). Ma la test-room sollecita due considerazioni. Si tra tta in quel caso di un laboratorio installato sul campo, nelle abituali condizioni di lavoro per gli operai: si mescolano l'inchiesta sul campo e la sperim entazione di laboratorio. Ugual­ mente, metodo clinico e m etodo sperim entale agiscono di fatto insieme. La presenza perm anente di un osservatore nella test-room, la discussione con le operaie dei risultati del loro compito e l'esperienza, creano nel gruppo un cli­ ma nuovo che, a sua volta, produce degli effetti sul compi­ to: la sperim entazione che si voleva pura ha dunque inne­ scato il processo, descritto sopra, della ricerca attiva; e lo ha fatto non di per se stessa m a per lo spirito clinico dei ricercatori. Le sperim entazioni più recenti sui gruppi naturali sono re­ lativam ente poco num erose e conferm ano le osservazioni precedenti: l'esperienza ha luogo sul campo ed un orienta­ mento clinico si associa alla ricerca sperimentale. Un esem­ pio è costituito dall'esperienza che riferiam o più avanti (cf. cap. VI) di Coch e French: la discussione libera in gruppo, seguita da una decisione collettiva, si rivela più efficace della decisione gerarchica, anche accom pagnata da succes­ sivi scambi di opinioni, per superare la resistenza ai cam­ biam enti tecnologici in una officina tessile am ericana. La quasi totalità di queste esperienze è stata realizzata da al­ lievi di K urt Le win (Likert, Floyd, Mann); esse derivano dalla ricerca attiva; si lim itano alla psicologia industriale e commerciale; estendono ai gruppi di p roduttori e di con­ sum atori i concetti teorici e la m etodologia pratica elabo­ rate da Lewin in occasione delle ricerche sui gruppi a rti­ ficiali. La distinzione tra l'inchiesta sul campo su gruppi naturali

e la sperimentazione in laboratorio su gruppi artificiali vie­ ne, da*\m po' di tem po a questa parte, sempre più rim essa in discussione. Assicurando determ inate condizioni tecni­ che, accordo epistemologico prelim inare da parte dei re­ sponsabili dei gruppi naturali e spiegazione finale rivolta agli interessati degli scopi e dell'indirizzo della ricerca com­ piuta su di loro, il metodo sperim entale può essere appli­ cato ad am biti particolari della vita sociale: abbiamo in precedenza analizzato le ricerche sperim entali di J. P. Deconchy (cf. cap. Ili) sul trattam ento delPinformazione nei gruppi «ortodossi» com prendenti preti, religiosi e religio­ se, catechisti, sem inaristi riuniti da parte della gerarchia cattolica in vista del perfezionam ento della loro pedagogia catechistica. Willem Doise7 propone di distinguere piut­ tosto quattro livelli di spiegazione in psicologia sociale, a seconda che le ricerche, di laboratorio o sul campo, studi­ no processi intraindividuali (livello 1), dinamiche intraindividuali ma intrasituazionali (livello 2), l'effetto delle po­ sizioni sociali in una interazione situazionale (livello 3) e l'intervento delle credenze generali (livello 4). Una caratte­ ristica im portante del lavoro sperim entale è la possibilità di articolare differenti livelli di analisi in una stessa ricerca. L’analisi dell’interazione Prim a di passare ai modi di approccio dei gruppi artificia­ li, dobbiam o segnalare un metodo, né clinico né sperim en­ tale, ugualm ente utile con i gruppi naturali o artificiali che tale metodo rifiuta di distinguere. Si tra tta dell'analisi delle interazioni, la cui classificazione più celebre, a cui ci limi­ teremo, è quella di Bales [1950]. Notiamo velocemente che i metodi di tipo Bales si applicano unicam ente a riunionidiscussioni di cui essi prendono in considerazione soltan­ to il fenomeno delle comunicazioni (ivi comprese le mimi­ che) cioè il com portam ento osservabile; essi sono dunque differenti dai metodi sociometrici, clinici, e psicoanalitici che cercano di cogliere, dietro le condotte espresse, i desi­ deri, le angosce, le emozioni e le fantasie che si suppongo­ no responsabili dei fenomeni di gruppo. 7 Levels of explanation in «European Journal of social Psychology Europ. J. soc. Psychol, 1980, 10, 213-231. 113

TAVOLA 4. Categorie di Bales per l'osservazione delle interazioni in un gruppo.

I.

Γ L

R e a z io n i p o s itiv e

Γ L Γ L

R is p o s te

II.

D om ande

III.

Γ L

R e a z io n i n e g a tiv e

a) Problemi di b) problemi di c) problemi di

1. Solidarietà: d à p r o v a d i s o lid a r ie ­ tà, in c o r a g g ia , a iu ta , v a lo r iz z a g li a ltr i. 2. Distensione: c e r c a d i d im in u ir e la te n s io n e ; s c h e r z a , r id e , si d ic h ia r a s o d d is fa tt o 3. A c c o r d o : d à il p r o p r io a c c o r d o , a c ­ c e t ta ta c ita m e n te , c o m p r e n d e .

4. Offre suggerimenti, in d ic a z io n i, ri­ s p e tta n d o la lib e r tà d e g li a ltr i. 5. E s p r i m e il proprio parere, a n a lizz a , e s p r im e s e n tim e n t i, d e s id e r i. 6. D à u n o r i e ntamento, in fo r m a , r ip e ­ te, c h ia r is c e , c o n fe r m a .

1a

d e f

7. C h i e d e u n o r i e n t a m e n t o , in fo r m a ­ z io n e , r ip e tiz io n e , c o n fe r m a . 8. C h i e d e u n ’opinione, a n a lis i, e s p r e s s io n e

v a lu ta z io n e , di un se n ­

tim e n to . 9. C h i e d e s u g g e r i m e n t i , d ir e ttiv e , m e z z i d i a z io n i p o s s ib ili. 10. Disaccordo: d is a p p r o v a , r ifiu ta p a s ­ s iv a m e n te , r ifiu ta l'a iu to . 11. Tensione: m a n ife s t a u n a te n s io n e , r ic h ie d e a iu t o , s i r itr a e d a lla d i­ s c u s s io n e . 12. A n t a g o n i s m o : d à p r o v a d i o p p o s i­ z io n e , d e n ig r a g li a ltr i, a ffe r m a se

comunicazione valutazione influsso

I. — Zona socio-emotiva positiva IL — Zona neutra del compito IL — Zona socio-emotiva negativa

d) problemi di decisione e) problemi di tensione f) problemi di integrazione

Le dodici categorie di Bales (cfr. tavola 4) riassum ono l'e­ sperienza dell'autore come osservatore delle discussioni di gruppo. Connotano il comportamento dell'emittente di ogni comunicazione. Si raggruppano secondo tre zone e secon­ do 6 tipi di problemi. L'analisi delle interazioni com porta anche il m ettere in ri­ lievo il num ero delle unità di comunicazione emesse da ogni soggetto: a) in direzione di ognuno degli altri; b) in direzione del gruppo in generale. I risultati sono iscritti in una tabella a doppia en trata con n righe (dove n è il num ero dei membri del gruppo), una per emittente, ed n + 1 colonne, una per recettore ed una per il gruppo. Questa griglia delle comunicazioni presenta assai spesso la strut­ tura detta di Bales, o ancora struttura centralizzata: la clas­ sificazione dei soggetti in ordine decrescente dà la stessa lista, che questa classificazione venga effettuata sulla base del num ero totale di emissioni in direzione degli altri mem­ bri, sulla base delle emissioni in direzione del gruppo o sulla base del num ero delle ricezioni. In altri termini, in questo caso, più un individuo ha uno statuto elevato nel gruppo, più egli em ette e riceve comunicazioni. Flam ent8 ha costruito un modello m atem atico che rende conto di questa struttura: se a m isura la tendenza ad em ettere e b la tendenza a ricevere, la curva che collega a a b è una «funzione monotona crescente ad accelerazione crescente» (cf. fig. 1). Il m etodo di Bales ha conosciuto il suo momento di cele­ brità. Ha perm esso lo sviluppo di una scuola interazioni­ sta e di una teoria del gruppo faccia-a-faccia illustrata da H om ans9 [1950]. Attualmente, abbandonata dal suo auto­ re, conserva una utilità pedagogica: coloro che vogliono iniziarsi alla psicologia dei gruppi sono costretti, utilizzan­ dola, ad un rigore e ad una precisione sconosciuta ai sem­ plici «amatori». Ma sperim entalisti e clinici concordano nel trascurarla. I prim i la trovano pesante da maneggiare, inoltre non si interessano a tutto ciò che accade o potreb8 I processi di comunicazione, in Fraisse e Piaget, (1965) t. IX, p. 180-183. 9 Una buona esposizione dei lavori della scuola di Bales e di Homans è contenuta nel volume inglese, tradotto in francese, di Joséphine Klein, La vie intérieure des groupes, E.S.F., 1970. Il Manuel de Psychologie sociale di Newcomb, Turner e Converse (1970) è dedicato al gruppo nella prospettiva dell'interazione.

id

b

be accadere nel gruppo, m a agli effetti sulle comunicazio­ ni di variabili sperim entali lim itate. I clinici sono d istu r­ bati da ogni guida di osservazioni a «priori» che volendo ratificare sistem aticam ente i fenomeni rischia di lasciar sfuggire ad un certo m omento il fenomeno più im portante che nella guida non poteva essere previsto; il clinico prefe­ risce essere recettivo, m antenendo l'atteggiam ento di pre­ senza e di disponibilità definita da Freud «attenzione flut­ tuante».

Il ricorso ai gruppi artificiali Approccio spedmentale. Sperimentalisti e clinici hanno fatto ricorso a gruppi riuniti artificialm ente per diverse ragio­ ni. Per i primi, la costituzione di piccoli gruppi o laborato­ rio è la condizione necessaria per applicare il metodo spe­ rim entale allo studio del com portam ento gruppale. Prim a di Lewin, si confronta in tal modo la prestazione di un individuo isolato a quella di individui che lavorano sim ultaneam ente gli uni in presenza degli altri e in équi­ pe. Il retro terra teorico è sapere se il lavoro in gruppo è superiore o meno al lavoro individuale. I compiti scelti sono quelli fam iliari allo psicologo quando fa sperim enta­ zione nel campo della psicologia individuale. L'esperienza di Sherif (cf. cap. II) ne fornisce un tipico esempio. In altri term ini, questi lavori non studiano il piccolo gruppo di per sé, m a lo trattano come una variabile indipendente di cui si studia l'influsso sul com portam ento di un individuo; la psicologia dei gruppi rim ane un annesso della psicologia, individuale. Inoltre, i piani sperim entali sono poveri: vie­ ne m anipolata una sola variabile. Nessuna teoria di insie­ me sta alla base dell'interpretazione. K urt Lewin compie un progresso decisivo. Il gruppo è con­ siderato come una totalità dinam ica che determ ina il com­ portam ento degli individui che ne sono membri: è il cam ­ po delle forze al cui interno si producono i fenomeni di influsso, coesione, di norma, di tensione, di attrazione; tutti questi fenomeni sono differenti da quelli della psicologia individuale e su di essi verterà la sperimentazione. Il com­ pito dato ai soggetti non ha importanza: è un pretesto per far funzionare il gruppo; è sufficiente scegliere un compi­ to che motivi realm ente i soggetti (fabbricazione delle sce­ ne e delle quinte teatrali per i club di bambini, partecipa­ zione delle Dame della Croce Rossa allo sforzo bellico del paese in m ateria di consumo alim entare da parte dei civi­ li) e sia adeguato a produrre il voluto fenomeno di gruppo. La sperimentazione non va più a tentoni m a segue uno sche­ m a ipotetico-deduttivo: dalla teoria dinam ica del gruppo, si deduce che una certa modificazione della variabile indipendente (che è un fenomeno di gruppo) eserciterà una cer­ ta conseguenza sulla variabile dipendente (che è anche un fenomeno di gruppo); così, la modificazione dello stile di comando fa variare in un senso preciso il tasso di aggres117

sività, e dunque il clima sociale del gruppo. L'esperienza si propone di conferm are la validità della deduzione o, in caso di divergenza, costringere ad affinare la teoria in mo­ do che predica più esattam ente il risultato sperim entale trovato. Si è anche dim ostrata in grado di utilizzare lo sche­ ma di Lewin, Lippitt e W hite come dimostrazione speri­ m entale particolarm ente probante in un sem inario di for­ mazione psicosociologico o di fronte a degli studenti (cf. l'esperienza di S errai che riferiam o in seguito, cap. VI). Dopo Lewin, la sperimentazione su gruppi artificiali ha co­ nosciuto grossi ostacoli nei laboratori e per rispondere al­ le difficoltà incontrate finiva per divenire complessa o di difficile manipolazione, se non a d d irittu ra riduttiva. I pia­ ni sperim entali perm ettono di m anipolare sim ultaneam en­ te diverse variabili indipendenti, il che richiede l'impiego di un num ero crescente di soggetti e il trattam ento dei risultati m ediante l'analisi della varianza, se non addirit­ tu ra con la costruzione di modelli m atem atici su m isura. Così Schächter, nel 1951101, studia l'influsso: a) della coe­ sione di gruppo, b) della pertinenza del tem a di discussio­ ne relativa agli obiettivi del gruppo, c) delle divergenze di opinione su a ' l'evoluzione delle comunicazioni, e b ’ l'at­ teggiamento nei confronti degli oppositori. Recluta degli studenti per com porre 4 tipi di Club a seconda che la per­ tinenza e la coesione siano rispettivam ente forti o deboli. È necessario far funzionare 8 club in ciascuno di questi tipi, cioè 32 club e quasi 300 soggetti. Costruisce in prece­ denza le 4 curve teoriche di variazione della quantità di comunicazione secondo i 4 tipi di club. Le curve corrispon­ dono alle sue ipotesi: la quantità di comunicazione cresce con la coesione, cresce poi diminuisce con la divergenza di opinione, ecc. L'esperienza grosso modo le conferma. L'ingegnosità degli sperim entatori per im m aginare tecni­ che che producano chiari fenomeni di gruppo e le possibi­ lità di m isura indiscutibili è stata molto elevata. Lim itia­ moci ad alcuni di loro. H arold L eav itt11 inventa un tipo di schema geometrico che m ette in evidenza le differenze tra le comunicazioni uni e bi-laterali rivolte ad un gruppo. Claude Faucheux e Serge Moscovici (1958, 1960) utilizzano 10 Déviation, rejet e communication in A. Lévy (1965). 11 Quelques effects de divers réseaux de communication sur la per­ formance d'un groupe, in A. Lévy (1965).

alcune figure dell'algebra topologica per confrontare la creatività individuale e in gruppo. Alex Bavelas m ette a punto un dispositivo (perfezionato in Francia con il nome di sinergom etro12) che isola fisicam ente i m em bri di un gruppo e li costringe a comunicare tra loro m ediante mes­ saggi scritti secondo canoni che si tengono aperti o chiusi imponedo così in gruppo tale stru ttu ra di reti di comuni­ cazione. In Francia, Roger Lam bert (1957, 1960, 1965) per m isurare le stru ttu re di influenza nei piccoli gruppi di la­ voro «ha realizzato un apparecchio che perm ette di ese­ guire in comune un compito del tipo velocità-precisione (fig. 2). Esso consiste nel chiedere a 6 soggetti, riuniti at­ torno ad un tavolo circolare, di spostare un mobile me­ diante un dispositivo a carrucole, il più rapidam ente pos­ sibile e senza toccare i bordi del circuito, accordando an­ che la stessa im portanza alla velocità e alla precisione ... Il lavoro doveva essere eseguito in formazione di 5 sogget­ ti nel corso della fase sperimentale: il dispositivo a c arru ­ cole è costituito da cinque settori circolari identici, di mo­ do tale che tu tti gli itinerari possibili siano equivalenti. Ogni soggetto comanda lo spostamento del mobile mediante un cavo di nylon m a questo spostam ento può essere effet­ tuato correttam ente soltanto m ediante l'azione com binata di più soggetti... La presentazione circolare m antiene una ripartizione sim m etrica dei soggetti attorno al tavolo, sen­ za creare dei posti privilegiati. Un dispositivo elettrico per­ m ette il controllo del num ero e della durata degli errori... Dopo un breve periodo di apprendim ento ognuno dei 6 sog­ getti è alternativam ente elim inato ed ogni formazione di 5 soggetti esegue 3 andate e ritorno» [1977, pp. 367-368]. Confrontando la prestazione media realizzata da ognuno delle 6 formazioni possibili di 5 soggetti, scelta all'interno del gruppo iniziale di 6, si ottiene la m isura dell'influenza relativa sulla prestazione di un individuo nel gruppo. Un secondo dispositivo (ogni formazione vota per designare uno dei suoi membri) perm ette di stabilire la stru ttu ra di influenza del gruppo. Le due difficoltà di ogni sperimentazione: m antenere co12 L'articolo di Bavelas (1951) è citato nella Bibliografia della secon­ da parte. Sul sinergometro, cf. F. Avril, Manuel du synergomètre, In­ stitut des Science et Techniques humaines, Parigi, 1967, e R. Mucchielli. Modèles sociométrique et formation des cadres, P.U.F., 1963. 119

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Fig. 2. — Tavola di Lambert

stanti le variabili che si vogliono studiare, m anipolare in modo controllato le variabili indipendenti, sono più elevate con gruppi che con soggetti individuali. Sempre più gli sperim entatori hanno cercato di risolvere questa difficoltà non soltanto effettuando delle registra­ zioni ad insaputa del gruppo, come Lewin aveva già fatto, ma «truccando» il gruppo per prem unirsi da ogni evolu­ zione spontanea in direzioni diverse da quella che si vole­ va studiare. Vengono in precedenza im pegnati due colle­ ghi, in un ruolo definito; Lewin lo aveva fatto per i moni­ tori dei suoi club di bam bini o in questo caso dei visitatori

con il compito di intervenire intempestivamente; ormai, al­ l'interno del gruppo stesso, falsi partecipanti si mescolano ai veri partecipanti che vengono allora tra tta ti come vere e proprie cavie. Nella già citata esperienza di Schächter, destinata tra l'altro a m isurare le pressioni che si esercita­ no in un gruppo rispetto ai devianti per assicurare l'uni­ form ità delle opinioni, ogni gruppo (da otto a dieci mem­ bri) cela 3 compari; uno esprim e l'opinione m aggioritaria, due hanno il compito di esprim ere inizialmente un punto di vista m inoritario, poi uno si riavvicina alla m aggioran­ za e l'altro rim ane divergente in modo estremo. Altre ri­ cerche utilizzano montaggi sonori che si fanno ascoltare ad un soggetto m ediante degli auricolari facendogli crede­ re che si tra tti di una discussione reale che avviene nella stanza vicina (tecnica del «gruppo simulato») o ancora, ogni soggetto isolato in un stanza risponde a domande poste su una lavagna lum inosa e la sua risposta è vista da tu tti gli altri sulle loro lavagne luminose; di fatto, soltanto lo sperim entatore dispone dei comandi e fa apparire su ogni lavagna luminosa la risposta prevista per quel momento secondo il piano di insieme della esperienza; le risposte vere dei soggetti sono per altro registrate autom ati­ cam ente 13. Nonostante la diversità delle esperienze riferite come esem­ pio nei m anuali di Newcomb e coll. [1970] o di G. e di J.-M. L em aine14, la sperimentazione sui gruppi artificiali rim a­ ne segnata da una sproporzione tra l'im portanza dei mezzi m ateriali e intellettuali messi in opera e la relativa esigui­ tà dei risultati ottenuti. Due obiezioni fondam entali sono state form ulate da Ro­ bert Pagès 15. 1. La posta di un gruppo sperim entale e di un gruppo rea­ le non si situano sullo stesso piano. La sperimentazione non impegna gli sperim entatori; costa loro poco dal punto di vista umano, suppone che gli uni e gli altri ritornino 13 Crutchfield (1955), citato da G. de Montmollin, L'interazione so­ ciale nei piccoli gruppi, in Fraisse e Piaget (1965, IX). 14 Psychologie sociale et expérìmentation, Mouton-Bordas 1969; 2 a parte «Les problèmes de l'expérimentation sur les groupes». 15 L'expérimentation en sociologie (Ciclostile del laboratorio di Psi­ cologia sociale della Sorbonne, 1959; pubblicato in tedesco in R. Koe­ nig, Handbuch der empirìschen Socialforschung, t. I, Stoccarda, En­ ke, 1962. 121

al proprio punto di partenza una volta finita l'esperienza. L'impegno in un gruppo reale possiede un significato dif­ ferente: da questi gruppi ci si aspetta un m iglioramento delle proprie condizioni di vita, del proprio statuto socia­ le; ci si aspetta il trionfo delle idee a cui si aderisce, una riform a o una trasform azione radicale della n atura della società, l'instaurazione della Città di Dio sulla terra, ecc. Un tale impegno non perm ette di fissare in anticipo limiti di tempo, opta per un avvenire incerto, che rende possibi­ le ad un tem po la fede e il fallim ento, si assum e dei rischi, cam bia chi vi si impegna in tal modo, attenua lo spirito critico, lo spirito di osservazione e di controllo rispetto a ciò che accade nel gruppo, qualità necessarie alla speri­ mentazione, nocive per l'azione. La differenza delle poste in gioco è responsabile della differenza nella natu ra stessa dei fenomeni di gruppo. Non si può quindi estrapolare dal gruppo sperim entale al gruppo reale. M ettere tra parente­ si il compito costituisce un errore: i fenomeni di gruppo variano a seconda del senso che assum ono per i m em bri gli scopi del gruppo. Inoltre, potrem m o aggiungere come nostro punto di vista, l'esperienza dei gruppi non direttivi ha m ostrato che il com­ pito scelto dal gruppo in un certo m omento è simbolico e costituisce per lui un legame che gli perm ette di affron­ tare il suo problem a attuale. 2. In un gruppo sperim entale, i soggetti sentono la pro­ pria situazione come quella di cavie. Reagiscono a questa impressione mediante resistenze, m ediante un atteggiamen­ to non naturale di aspettativa riservata, «stanno sulla di­ fensiva» ricorrendo persino a scherzi, falsificazioni, che al­ terano l'esperienza. Il fatto di sentirsi osservati non solo da p arte dello speri­ m entatore m a anche dagli altri m em bri del gruppo, modi­ fica il com portam ento, in generale lo inibisce o lo altera. Lo psicosociologo sperim entalista ha, certam ente, delle tec­ niche a propria disposizione per alleggerire queste reazio­ ni, ma esse introducono nuove difficoltà, per lo meno del­ la stessa dimensione di quelle che sopprim e. «Si è dunque pensato di annullare l'effetto di queste reazioni m ediante trucchi, tra cui l'uso di “com pari" dello sperim entatore o di “specchietti per le allodole" costituisce il duplice e a volte discutibile sìmbolo. La psicosociologia sperim enta­ le incontra qui degli ostacoli deontologici complessi çhe 122

si traducono, al limite, con un esoterismo essenziale. In effetti, se uno studio sull'uom o ha come condizione quella di non venir conosciuto dai soggetti studiati, si vede a qua­ le restrizioni la sua diffusione è soggetta». Spingiamo l'o­ biezione fino alla caricatura: lo psicosociologo dovrebbe non avvertire i soggetti dello scopo, e neppure dell'esisten­ za dell'esperienza, dovrebbe riunirli a sorpresa, osservarli senza che lo sappiano, tenere per sé i risultati, per evitare che la conoscenza delle leggi dei fenomeni di gruppo, nei futuri soggetti, produca un disturbo nella realizzazione in­ genua di questi fenomeni. Il chimico che sperim enta su di un corpo ne trae un sape­ re che non esisteva in precedenza. Lo psicosociologo si trova in una posizione differente: il sapere sui gruppi preesiste in modo intuitivo, confuso, parziale e di parte proprio nei partecipanti al gruppo. Questo sapere latente deve essere messo in luce, decantato, form ulato, analizzato, verificato, ma non m algrado i m em bri di questo gruppo, tenuti a di­ stanza e nell'ignoranza, ma con la loro cooperazione a tti­ va, comunicando loro questo sapere al fine di saggiarne, m ediante una prim a valutazione dinamica, la validità. «Da questo punto di vista, la preistoria fourierista della psico­ logia sperim entale offre per lo meno il modello intenzio­ nale di una autosperim entazione in cui i soggetti stessi del­ l'esperienza contribuiscono alla sua concezione, sono inte­ ressati ai suoi risultati, e costituiscono tra loro l'apparato di ricerca» (vedi Pagès, p. 149). Si pone allora il problem a di realizzare una esperienza di gruppo, intensam ente vissuta, in cui l'esperienza venga tra ­ sform ata in conoscenza non dall'esterno, ma m ediante un lavoro di elaborazione psichica interna al gruppo e all'in­ terno di un setting, uniform e e specificamente adatto ad innescare il processo gruppale. Approccio clinico: il T-group o il gruppo diagnostico. Quat­ tro mesi dopo la m orte di Lewin, nell'estate 1947 i suoi allievi inventarono un metodo rispondente a queste esigen­ ze: il T-group o gruppo di base o gruppo di evoluzione o gruppo centrato sul gruppo, o gruppo di sensibilizzazione, o gruppo di espressione verbale o gruppo diagnostico, espe­ rienza privilegiata di iniziazione alla dinam ica dei gruppi. Il racconto di questa scoperta si trova nel 4° capitolo, re­ datto da K. D. Benne, del libro di Bradford, Gibb e Benne

[1964]: a) introduzione casuale di partecipanti alle riunioni dello staff di un seminario, nell'estate 1946, a New Bri­ tain: il seminario, composto di 3 gruppi di 10 persone fun­ ziona sulla base di discussioni libere e giochi di ruolo; il suo obiettivo consisteva nel rinforzare l'azione locale dei m em bri in favore della legislazione che sosteneva l'ugua­ glianza razziale nei confronti del lavoro; i gruppi erano anim ati da Benne, Bradford e Lippitt. K. Lewin vi aveva preparato un program m a di ricerche; le discussioni che sorsero tra lo staff e i partecipanti, su quanto era acca­ duto nelle sedute, si rivelarono alla fine la cosa più utile per condurre i partecipanti ad una migliore comprensione di se stessi e dei gruppi; b) m essa alla prova, nel corso di sem inari di formazione alle relazioni um ane e al cam­ biam ento sociale, a Bethel, nelle estati 1947 e 1948, del Basic Skills Training Group; un osservatore, m em bro del­ lo staff viene sistem aticam ente incaricato di rim andare un feed-back al gruppo, feed-back che successivam ente il gruppo analizza grazie all'aiuto dell'anim atore; è lo stesso staff del 1946, m a ampliato, come anche identiche sono le tecniche di discussione libera e di giochi di ruolo; c) m essa a punto definitiva, a p artire dal 1949, del sem inario di tipo Bethel da parte del N.T.L. (National Training Laboratory in Group Development): d u rata da due a tre settim ane; ripartizione differente dei partecipanti a seconda che si tratti del T-group o dei gruppi di esercizi e di applicazioni (in cui i giochi di ruolo rim angono essenziali); eliminazione dell'osservatore incaricato di rim andare al gruppo il feed­ back; si aggiunge al m onitore di gruppo un associato che viene per form arsi alla conduzione del gruppo diagnostico e che serve al m onitore come regolatore; introduzione di riunioni generali di valutazione. L'approccio clinico era già stato applicato ai gruppi artifi­ ciali, perché ci si era accorti, a partire dagli anni 1930, che tali gruppi costituivano uno strum ento efficace per rag­ giungere degli scopi educativi o psicoterapici. Qui i p arte­ cipanti vanno ad un gruppo «per davvero». La terapia di gruppo non si riduce ad un trattam ento sim ultaneo di di­ verse persone disadattate socialm ente o m entalm ente: il gruppo stesso, se condotto in modo adeguato, è terapeuti­ co. Al tempo stesso, la form azione degli adulti alle relazio­ ni umane, all'esercizio di responsabilità, del rinnovam ento si sviluppa grazie al ricorso a tecniche differenti: scambi, 124

confronti di esperienze, studio dei casi, analisi di proble­ mi, giochi di imprese, brain-storming, panel, Phillips 66 (vedi negli Allegati 4, 5, 6, 7 le note informative su molte di que­ ste tecniche) che riuniscono i partecipanti in gruppi a rti­ ficiali. La form ula del T-group (abbreviazione di Basic Skills Training-group) rinnova l'approccio clinico ai gruppi a rti­ ficiali. Vengono sottolineate in esso le variabili seguenti: — l'assenza di legami precedenti tra i partecipanti (ciò ren­ de possibili i fenomeni di gruppo che raram ente fanno la loro com parsa tra persone che si conoscono o abituate a lavorare e vivere insieme); — la diversità dei partecipanti (partecipanti omogenei — per età, sesso, professione, livello di responsabilità, cultu­ ra — come avviene in genere nel caso di lavori sperim en­ tali, trovano facilm ente tra loro una intesa esterna, fonda­ ta sugli interessi che hanno in comune; il compito che ne deriva e che li assorbe m aschera la dinam ica di gruppo); — un gruppo ottim ale di partecipanti, tra otto e dodici circa (in modo che ogni m em bro possa percepire ognuno degli altri ed entrare in interazione con lui, non deve tro ­ varsi di fronte ad un num ero di persone che ecceda le pos­ sibilità del suo campo di apprensione; la tabella 5 m ostra secondo quale legge il num ero delle relazioni interperso­ nali possibili cresce in funzione del num ero dei membri); — l’obbligo di scambi verbali e la libertà com pleta di que­ sti scambi; — un num ero relativam ente elevato di riunioni consecuti­ ve di questo gruppo artificiale, una dozzina almeno (l'oriz­ zonte tem porale ed il livello di impegno non sono gli stessi quando si partecipa ad una o due riunioni o ad una attivi­ tà verbale collettiva prevista per più giorni, persino per più settimane). A seconda delle teorie e del carattere dei clinici, la condu­ zione del gruppo diagnostico presenta una grande diversi­ tà i cui casi estrem i sono i seguenti: a) il monitore, che ha una duplice formazione, psicoanalitica individuale e di gruppo, compie in esso un lavoro di interpretazione della resistenza e del transfert; b) il gruppo funziona senza mo­ ni umane, all'esercizio di responsabilità, del rinnovamento, si sviluppa grazie al ricorso a tecniche differenti: scambi,

(a) Numero di membri del gruppo 2 3 4 5 6 7 8 9 10 12 14 16 18 20 30 40 50 80 100

(d) (b) (c) Numero di cana­ Numero di rela­ Quoziente c/a li di comuni­ zioni interindi­ cazione viduali 1 3 6 10 15 21 28 36 45 66 91 120 153 190 435 780 1 225 3 160 4 950

2 6 12 20 30 42 56 72 90 132 182 240 306 380 870 1 560 2 450 6 320 9 900

1 2 3 4 5 6 7 8 9 11 13 15 17 19 29 39 49 79 99

1 1

Commenti — un canale di comunicazione tra due membri A e B permette due relazioni interindividuali: da A e B, e da B ad A. — la formula n (n-1), dove n è il numero dei membri del gruppo, indi­ ca il numero delle relazioni interindividuali possibili tra tutti i membri. — mentre il numero dei membri del gruppo cresce secondo una pro­ gressione aritmetica, il numero delle relazioni possibili cresce in pro­ gressione geometrica. I fattori di quest'ultima progressione sono in­ dicati dalla colonna (d). Così, per un gruppo di 3 membri, il numero delle relazioni interindividuali possibili è il doppio dei membri; per 8, è di sette volte maggiore; per 12, è di 11 volte più grande; per 20, 19 volte, ecc.

mem bri, per innescare un feed-back, delle liste di fenome­ ni di gruppo da indicare quando si verificano, dei fogli di valutazione cifrati da riem pire e che vertono su alcuni fenomeni del gruppo (coesione, riuscita) e su tra tti di com­ portam ento di se stessi e degli altri. Il gruppo diagnostico è praticato in Francia dal 1956. Il lettore troverà, nell·Allegato 8, una form ulazione ad orien126

tam ento psicoanalitico delle consegne del gruppo dia­ gnostico 16. Se il monitore ha un orientam ento psicosociologico, il grup­ po diagnostico sensibilizza i partecipanti ai principali fe­ nomeni di gruppo quali vengono studiati nei capitoli V e VI. Dal punto di vista dell 'autorità, il gruppo diagnostico si caratterizza per una vacanza di potere; ciò perm ette di os­ servarvi tutte le forme di leadership (autocratica, demo­ cratica, lassista), tu tti gli stili di leader, i m omenti cruciali della vita del comando (l'assunzione, l'affermaziope e il crol­ lo del potere), i problem i di legittim ità e di usurpazione, di acquiescenza, di obbedienza, di rivalità, di resistenza passiva e di rivolta aperta, le rappresentazioni immagina­ rie suscitate dall'esercizio dell'autorità e l'ambivalenza for­ zata degli atteggiam enti derivanti da queste rappresen­ tazioni. Dal punto di vista delle comunicazioni il gruppo diagnosti­ co costituisce una vera rassegna delle difficoltà di comuni­ care, da quelle dovute all'egocentrism o um ano fino a quel­ le inerenti alle am biguità semantiche e alle sottigliezze re­ toriche; pone i partecipanti a confronto con le operazioni richieste per l'elaborazione di un linguaggio comune: ri­ corso al feed-back, chiarim ento dei quadri di riferimento, adozione di un lessico, adattam ento reciproco degli s tili17. Dal punto di vista delle affinità il gruppo diagnostico m et­ te in luce i motivi di sim patia e di antipatia, i loro movi­ menti, i loro effetti sul clima, il morale, la solidarietà e il lavoro del gruppo. In Francia, le concezioni degli obiettivi e della conduzione 16 I riferimenti essenziali ai lavori americani sono rappresentati da Bradford et al. (1964) e da Thelen (1954). L'opera di Rice Learning for leadership (Londra, Tavistock pubi., Sweet Maxwell, 1962) presen­ ta il punto di vista inglese del Tavistock Institute. Il numero 1-2 di Connexions (1972) è dedicato ai «gruppi di evoluzione». R. Kaës e D. Anzieu (1976) hanno pubblicato l'osservazione, commentata da un punto di vista psicoanalitico, delle 12 sedute di un gruppo diagnostico, Cronique d ’un group. Cf. anche Anzieu (1964), (1981); Anzieu et al. (1972), Faucheux (1959), Maisonneuve (1980), Max Pagès (1968) e ancora J. Ardoino, Propos actuels sur Véducation, Gauthiers-Villars, 1965; e R. Meigniez, L'analyse de groupe, Ed. Universitaires, 1967. 17 Un approccio alle comunicazioni nei gruppi a partire dalla teoria dell'informazione è contenuto in G. Amado, A. Guittet, La dynamique des communications dans les groupes, A. Colin, 1975. 127

del gruppo diagnostico si sono diversificati. Per gli psico­ sociologi che hanno introdotto questo m etodo verso il 1955-56, l'obiettivo era l'apprendim ento della negoziazio­ ne, della capacità di decidere e di im pegnarsi al lavoro in gruppo; la tecnica consisteva essenzialmente, da parte del monitore, nell'identificare i fenomeni di leadership, di scissione in sottogruppi di lotta per il potere, nell'invitare i partecipanti alla esplicitazione reciproca delle motivazio­ ni, della percezione del com pito e dei ruoli, nel facilitare l'assunzione dem ocratica di decisioni m ediante la ricerca del consenso, nell'aiutare a com prendere come si possa mi­ gliorare il clima e il m orale e superare la resistenza al cam biam ento nei gruppi e nelle organizzazioni. Per reazione contro questa ideologia qualificata come «ame­ ricana», una corrente anim ata da G. Lapassade (vedi cap. I) ed ispirantesi alla ideologia anarchica ha cercato di fare del gruppo diagnostico una tecnica di contestazione inter­ na delle istituzioni sociali utilizzabile per instaurare uno spontaneism o basato sull'autogestione. U n'altra corrente ha adottato l'orientam ento non direttivo di Rogers (cf. cap. III). La pratica del gruppo diagnostico è stata frenata dal successo delle tecniche corporee di grup­ po. Invece, sul piano teorico, il metodo del gruppo di espres­ sione verbale libera ha perm esso lo sviluppo di una scuola francese di psicoanalisi gruppale (vedi cap. III). Approccio psicoanalitico: regole e obiettivi. Gli psicoanali­ sti di gruppo si sono im pegnati a definire le variabili e le variazioni necessarie del setting psicoanalitico per tra ­ sporlo dalla cura individuale alla situazione del gruppo di formazione o gruppo terapeutico (cf. D. Anzieu, 1971). La regola delle libere associazioni diviene una regola di di­ scorso libero e più in generale di libera simbolizzazione (il che ingloba ad esempio la condotta dei sim ulacri corpo­ rei propri allo psicodramma). Ciò implica due conseguen­ ze. Da un lato, ognuno è im plicitam ente invitato ad essere attento alla espressione verbale spontanea e autentica de­ gli altri e a far attenzione al suo ascolto così come ad espri­ m ersi liberam ente. D 'altro canto, le eventuali attività in rapporto con degli oggetti m ateriali e con il corpo (ad esem­ pio il rilassam ento) sono considerate come sistem i di co­ municazione infra-linguistici e devono, prim a o poi, essere elaborate in parole significanti. 128

La regola di astinenza non com porta soltanto la proibizio­ ne dei rapporti sessuali e di atti di violenza tra lo o gli psicoanalisti, da un lato, i m em bri del gruppo dall'altro; essa è estesa a tutte le attività diverse dagli scambi verba­ li durante le riunioni e da quegli scambi di convenevoli derivanti dalla vita collettiva al di fuori delle sedute. Così lo psicoanalista si astiene dal condividere i pasti con i par­ tecipanti (cioè di entrare nel gioco deH'illusione gruppale) o di avere conversazioni private con questo o quel mem­ bro del gruppo. Una terza regola fondamentale, im plicita nella cura indivi­ duale, deve essere direttamente enunciata in gruppo: si tra t­ ta della regola della discrezione. Si applica sia agli psicoa­ nalisti che ai partecipanti e definisce un limite, che è an­ che una b arriera di protezione, tra il gruppo e l'esterno: ognuna delle persone presenti, se parla all'esterno di quanto è accaduto nel gruppo, deve farlo proteggendo l'anonim a­ to delle persone in questione. Se il gruppo è composto da persone che lavorano insieme nella stessa istituzione, que­ sta regola impegna a non utilizzare nella vita professiona­ le, nei confronti di un collega, quanto è stato possibile sa­ pere di lui nel corso delle sedute di un gruppo di for­ mazione. L'osservazione psicoanalitica dei fenomeni di gruppo si cen­ tra sulle resistenze (ad esempio la com parsa di una leader­ ship spontanea o di una scissione in sotto-gruppi) e sulle diverse forme di transfert attivate dalla presenza di uno o più psicoanalisti che si presentano come tali (transfert centrale) e particolarizzate dal desiderio comune di fare un gruppo (transfert sull'oggetto gruppo), dalla copresenza di altri m em bri (transfert laterali) e dalla presenza più o meno discreta di altri gruppi rivali o complementari, co­ sì come quella, diffusa, della società globale (transfert su\Yout-group). Come nella cura individuale, lo psicoanali­ sta di gruppo ha un atteggiam ento di attenzione fluttuante e di benevola neutralità. L'interpretazione individuale è ge­ neralm ente compito dei m em bri del gruppo che funziona­ no allora come eventuali terapeuti gli uni nei confronti de­ gli altri. Gli psicoanalisti gruppali danno interpretazioni da un lato in rapporto «con il qui ed ora» e dall'altro cen­ trate sul gruppo, non su un individuo, il che lascia ad ogni m em bro libero spazio di procedere ad un lavoro di elabo­ razione psichica personale. Se il gruppo è condotto da una

coppia o da una équipe di psicoanalisti, l'interpretazione è polifasica (R. Kaës) cioè a voce m ultipla, dato che ogni psicoanalista interpreta il processo inconscio a cui è sensi­ bile. Se vi è un unico psicoanalista, questi pratica la multiinterpretazione, nel senso che tenta cioè di esplorare me­ diante interpretazioni diversificate, la com plessità dei pro­ cessi inconsci che si m anifestano nel g ru p p o 18. La spiegazione psicoanalitica dei fatti osservati richiede un quadruplice appròccio: dinam ico (quali desideri sono in conflitto con quali difese?), economico (quali identifica­ zioni e proiezioni, quali investim enti e controinvestim enti sono in gioco?), topico (quale istanza psichica Io, Super-Io, Ideale dell'Io, Io ideale sta funzionando?), genetico (a quali stadi di sviluppo dell'apparato psichico e delle pulsioni vi è regressione?). I metodi di formazione di gruppo, se applicati secondo un* ottica psicoanalitica, tendono soprattutto ad ottenere una maggiore libertà interiore dei partecipanti, una migliore realizzazione delle loro possibilità, una accresciuta dispo­ nibilità di ascolto dei moti inconsci che circolano nell'uo­ mo, un miglior rispetto delle regole simboliche che pre­ m uniscono contro l'accecam ento o l'alienazione da parte di questi movimenti inconsci. II piccolo gruppo inform ale perm ette ai partecipanti, se condotto psicoanaliticam ente, di essere sensibilizzati all'e­ sistenza, in loro è negli altri, di quelle che Melanie Klein ha chiam ato le posizioni psicotiche, con le angosce, le fan­ tasie, i meccanismi di difesa ad esse legati. Può in questo senso innescare un duplice effetto, form ativo e terapeuti­ co. Il lavoro psicoanalitico nei gruppi è particolarm ente adeguato al perfezionam ento psicologico delle persone che lavorano in istituzioni educative e terapeutiche per bam bi­ ni o adulti disturbati, in particolare psicotici. Il lavoro psicoanalitico in piccolo gruppo può anche offri­ re una esperienza arricchente del narcisism o um ano (e dei vissuti depressivi derivanti dalle faglie narcisistiche): di­ versità delle forme, dei livelli di strutturazione e delle mo­ dalità di investim ento dell'Io e del Sé; fluttuazione dei li­ m iti tra Io psichico e Io corporeo, tra Sé e l'altro; fragilità narcisistica di ognuno e il pericolo che la sua ridiscussio18 Cf. il capitolo di D. Anzieu (1972) sulla funzione interpretante del monitore.

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ne fa sorgere; predisposizióne alla ferita o alla rabbia narcistica e i loro contro-investimenti difensivi; gioco delle identificazioni immaginarie, proiettive, speculari, ideali, eroico-masochiste, simboliche, ricerca di un narcisismo pri­ m ario collettivo ecc. Gli individui chiedono ai gruppi naturali di cui fanno p ar­ te una sicurezza narcisistica di base, in alcuni casi la tro ­ vano. Il gruppo ad orientam ento psicoanalitico può non solo garantirla e perm ettere al partecipante di ritrovarla e di afferm arla, ma può fargli riconoscere e rispettare que­ sto bisogno negli altri, m entre alleggerisce in lui il costo dei meccanismi di difesa contro il suo difetto fondam enta­ le o le sue angosce prim arie. Una identica esperienza di gruppo non può perm ettere il relativo superam ento di de­ ficit narcisistici differenti per particolarità e gravità. Una sessione intensiva di alcuni giorni può essere sufficiente per alcuni, altri hanno bisogno di esperienze di gruppo ri­ petute o alternate ad una psicoterapia personale; altri an­ cora traggono vantaggio soltanto al term ine di una parte­ cipazione continua per più anni ad uno slow open group (gruppo parzialm ente aperto). Modificando un setting che, con il suo dispositivo, le regole, lo stile delle interpretazio­ ni crea un'area transizionale nel gruppo, il o gli psicoana­ listi che lo conducono giungono ad assicurare questa sicu­ rezza narcisistica: il gruppo diviene un contenente delle pulsioni, degli affetti, dei fantasmi che circolano tra i mem­ bri; facilita la costituzione di un involucro psichico che ognuno può interiorizzare al posto di un Io-pelle (D. Anzieu, 1981), troppo rigida o troppo bucata o troppo incon­ siste n te 19. D 'altro canto i partecipanti possono rivivere e ritrovare, in rapporto agli altri, allo psicoanalista, al grup­ po, i legami umani fondamentali; il legame della bocca con il seno (fantasia del gruppo-bocca), il legame della perse­ cuzione e della seduzione, quando si sia in stato di dipen­ denza (fantasia del gruppo-macchina), il legame tra l'ester­ no che comprende e l'interno che si sente riconosciuto, il legame tra il simbolizzante e il simbolizzato, ecc. Il lettore troverà oltre, nel capitolo IX, delle informazioni sull'approccio psicoanalitico ad orientam ento terapeutico dei gruppi di adulti («la gruppo-analisi»), dei gruppi di bam19 Cf. D. Anzieu, L ’Io-Pelle (1985), trad. it. Boria, 1987. 131

bini, («gruppi di bam bini m ediante attività») e delle fam i­ glie («le terapie familiari»). Il setting spazio-temporale proprio al lavoro psicoanaliti­ co nei gruppi suscita l'esplorazione, orm ai ben conosciuta, di spazi im m aginari interni. Più di recente, la dimensione tem porale ha cominciato ad essere studiata secondo i suoi principali livelli di a-cronia e di sincronia, con i loro effet­ ti di intertem poralità e di discronie20.

20 Cf. il numero dedicato a «Le temps et les groupes» (a cura del C.E.F.F.R.A.P.) della rivista Psychothérapies (1985, 5, n. 1) che contie­ ne i contributi di A. Missenard, R. Kaës, E. Gilliéron, ecc.

parte seconda

I fenomeni di gruppo

Capitolo quinto

Potere, strutture, comunicazioni

A. P otere

e strutture

Affrontando i principali fenomeni di gruppo, dobbiamo in­ sistere sulla necessità che la giovane disciplina della psi­ cologia sociale introduca nei nostri discorsi un qualche chiarim ento semantico. Questo chiarim ento è ancora più indispensabile nell'am bito della dinam ica di gruppo m en­ tre, ad esempio per i politologi, la confusione frequente tra i concetti di potere e di autorità è priva di conseguenze pratiche. Così, la delimitazione del concetto di piccolo gruppo (cap. II) ci perm ette di prenderne in considerazione l'essenziale, e cioè «un insieme di individui il cui. num ero è tale da perm etter loro delle comunicazioni esplicite e delle perce­ zioni reciproche, nel perseguim ento di obiettivi comuni». Questo riassunto ci facilita un accostam ento con un p ara­ digma relativam ente recente, quello di sistem a; si intende generalm ente con questo term ine «un insieme di elementi di interazione dinamica organizzati in funzione di un obiet­ tivo comune» (J. De Rosnay, 1975). Un tale omomorfismo ci spinge ad applicare ai piccoli grup­ pi un approccio sistemico, necessariam ente interdiscipli­ nare. Questo ci porta ad esam inare successivamente: — l'evoluzione del concetto di potere nei gruppi; — le caratteristiche del potere nei gruppi naturali; — le sue m anifestazioni nei gruppi sperimentali; — uno schema dinamico di funzionamento dei piccoli gruppi; — l'assunzione di decisioni nei piccoli gruppi. 135

1. Evoluzione del concetto di potere Riprenderem o m odificandola leggermente, la definizione di Ph. S ecretan 1. Nella prospettiva adottata da questo au­ tore, converremo che il potere è «un principio stru ttu ra n ­ te, inerente alla famiglia, alla società e alle organizzazioni, imposto dalla repressione e/o l'interiorizzazione delle nor­ me comunemente ammesse. Si traduce all'interno dei grup­ pi um ani in diverse form e di au to rità e all'esterno di que­ sti in m anifestazioni di potenza». Siamo costretti a risalire a Durkheim (1912) per trovare una traccia di coscienza collettiva che appare come una proprietà nuova del sistema costituito dai membri del grup­ po e che è il risultato della «totalizzazione in corso» (cf. cap. II). Per il vero fondatore della sociologia, l'esperienza di partecipazione, simbolizzata dal totem, corrisponde ad un «potere indefinito, forza anonim a la cui im personalità è confrontabile alle forze fisiche», che rappresenta il sacro incarnato nel sociale: a questo potere Durkheim ha a ttri­ buito il nome m elanesiano di mana. A sua volta Marcel Mauss aveva ripreso lo studio di questa rappresentazione collettiva nella sua Teoria generale della magia (1902). Più tardi, dal 1925 al 1935 gli sviluppi della Gestaltheorie, da W ertheim er a Koffka, hanno nuovam ente sottolineato che «il tutto è diverso dalla somma delle p arti che lo costi­ tuiscono» e ne hanno intuito l'applicazione alla vita dei gruppi. Queste considerazioni sono state riprese da K. Lewin e dalla sua scuola, i cui lavori inaugurano la dinam ica dei gruppi. Riferendosi così ad un modello fisico, Lewin postulava im plicitam ente l'esistenza di un potere specifico dello stato gruppale (cf. cp. Ili) considerato come sistema; tra le altre cose, il m antenim ento di un equilibrio quasistazionario (cf. infra) è uno degli effetti di questo potere di autoregolazione. Fin dai suoi prim i lavori nel 1962, P. Clastres m ostrava che nei gruppi detti prim itivi il potere era indifferenziato e così «privato delle sue m inacce e dei suoi pericoli» (G. Balandier); le società che egli ha studiato (assimilabili a piccoli gruppi) erano prive di Stato, il che — lo vedremo successivam ente — non escludeva l'attribuzione tempora1 Ph. Secretan, Autorité, Pouvoir, Puissance, Losanna, L'Age d'Homme, 1969.

nea ad alcuni delle funzioni di coordinam ento e di coman­ do eventualm ente indispensabili per la sopravvivenza del gruppo. Questi brevi cenni mostrano, per lo meno per quanto concer­ ne lo studio dei piccoli gruppi, che è necessario per ognu­ no fare uno sforzo per dom inare la propria propensione airetnocentrism o. Ciò fatto, possiamo abbandonare il mo­ dello classico del gruppo gerarchizzato (che potrebbe non essere altro che un accidente storico di tu tta l'um anità) e considerare il potere come emanazione del gruppo consi­ derato nella sua totalità. È una idea vicina a quella che in altro contesto ha svilup­ pato R. Kaës (1974) con il suo concetto di gruppo origina­ rio allargato successivamente (1976) a proposito dell'Appa­ rato Psichico Gruppale; la coscienza collettiva di Durkheim sarebbe in esso il Super-Io gruppale. Resta da esam inare che ruolo abbiano i meccanismi di po­ tere nei gruppi naturalm ente costituiti, poi nei gruppi spe­ rim entali. 2. Il potere nei gruppi naturali Il più antico di tu tti è certam ente la famiglia, di cui l'isti­ tuzione che m aggiormente ha lasciato il segno e che è du­ rata di più è stata la famiglia rom ana nell'epoca repubbli­ ca n a *2. Il potere della gens si incarnava allora nella per­ sona del pater familias e si m anifestava nella p atria pote­ stà (concetto da cui il Diritto francese appena ora si libera) conferendole u n'autorità assoluta. D 'altro canto, detentori in Senato dell’auctoritas, i padri coscritti potevano soltanto avallare (cioè aumentare, da auc­ tor, augere) le decisioni del popolo (populus = insieme di cittadini costituiti in comizi, escludente la plebe, e deposi­ tario del potere) e renderli esecutivi. A questo modello della società patriarcale, fece seguito una società patrim oniale, la cui caricatura, im posta dalla rivo2 L'approccio psicoanalitico alla famiglia è trattato nei capitoli III, VII e IX. 2 bis Secondo questa concezione il padre non è necessariamente il ge­ nitore (genitor) ma il capo della famiglia; può essere impubere, senza figli, celibe...

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luzioni e dai cam biam enti economici, divenne la società paternalista. Senza per altro ricostituire la sottom issione al potere assoluto del pater familias, la famiglia presto o tardi pone a confronto il bam bino con la «legge del pa­ dre»: il padre detiene il potere che gli è stato trasm esso, insieme al nome, dal proprio padre, inoltre dispone della forza fisica e del possesso esclusivo della m adre. È a ttra ­ verso il riconoscim ento della legge nella sua n atu ra sim­ bolica che il bam bino potrà accedere alla vita sociale ed incam m inarsi verso «l'indipendenza affettiva nell'interdipendenza delle persone» (Didier Anzieu). Ma sono i recenti progressi dell'antropologia politica che gettano una nuova luce su alcuni gruppi naturali, che vi­ vono ancora oggi fuori dalla storia. Già a partire dal 1944, Claude Lévi-Strauss aveva descritto, a proposito dei Nambikwara, delle società i cui capi erano senza potere. P. C lastres3, prem aturam ente scomparso, ha esplorato questa via di ricerca. Egli ha perfettam ente descritto il fun­ zionamento del potere in gruppi detti prim itivi, in società senza Stato, più precisam ente le trib ù amerindiane. In que­ ste, il capo designato ha il dovere di provare il suo domi­ nio sulle parole, ma il «suo discorso è vuoto perché non è il discorso del po tere» 3bis... «Un ordine, ecco quello che il capo non saprebbe dare, è proprio questo il genere di pienezza rifiutato alla sua parola. Al di là del rifiuto di obbedienza che sicuram ente provocherebbe un simile ten­ tativo di un capo dimentico del suo dovere, non tard ereb ­ be a porsi il rifiuto del riconoscim ento. Il capo tanto folle da pensare non tanto all'abuso di un potere che non pos­ siede quanto all'uso stesso del potere, il capo che voglia fare il capo, lo si abbandona: la società prim itiva è il luogo del rifiuto di un potere separato, perché essa stessa, e non il capo, è il luogo reale del potere». «È il corpo sociale stesso che lo detiene [il potere] e lo esercita come unità indivisa. Questo potere non separato dalla società si esercita in un solo senso, anim a un solo progetto: m antenere nell'indivisione l'essere della Società, 3 P. Clastres, La société contre VEtat, Paris, Ed. de Minuit, 1974; Re­ cherches d'anthropologie politique, Parigi, Ed. du Seuil, 1980. 3 bis Osservazione fatta già nel 1963, riferita dall'autore in Chroni­ que des Indiens Guayaki, Parigi, Ed. Plon, 1972.

im pedire che l'ineguaglianza tra gli uomini installi la divi­ sione nella società. Ne consegue che questo potere si eser­ cita su tutto ciò che è in grado di alienare la società, di introdurvi l'ineguaglianza: si esercita tra le altre sulla isti­ tuzione da cui potrebbe sorgere la presa del potere, i sotto-capi». Una recente testimonianza etnologica ha il vantaggio di con­ ferm are in un altro continente le concezioni di P. Clastres. L'autore si riferisce all'Africa centrale, negli anni 1966-1980, a 60 km da Bangui, in parte sotto il regno di Bokassa I il cui potere [diremmo più volentieri l'autorità] era vera­ mente molto, molto lontano: «Noi stessi vivevamo tra le popolazioni che non hanno ca­ po (e ciò riguarda praticamente tutte le popolazioni sulla riva dellOubangui). Solo quando dovevano intraprendere . una spedizione guerriera, si sceglieva il più adatto alla guer­ ra, quando si trattava di una spedizione di caccia, si pren­ deva quello maggiormente abile nella caccia. La lingua era tuttavia priva di termini per indicare il capo. Se ve ne era veramente bisogno la si prendeva a prestito dal Ungala, lin­ gua del vicino Zaire. All'inizio della colonizzazione, l'am­ ministrazione coloniale aveva voluto trovare dei capi come interlocutori. Queste popolazioni avevano risposto designan­ do degli uomini di paglia, cioè dei prigionieri che si erano integrati nel villaggio, ma che avevano conservato uno sta­ tuto inferiore»4. D 'altro canto, Maurice G odelier5 descrive la tribù dei Baruya (Nuova-Guinea) incontrata per la prim a volta nel 1967. La presenta come una società basata sui clan, senza pote­ re politico centralizzato, per lo meno fino alla sua pacifi­ cazione intrapresa nel 1960, seguita dal suo inserim ento in uno stato indipendente nel 1975. Ha potuto ricostruirne la stru ttu ra nel suo aspetto tradizionale, mentre i suoi mem­ bri «si governavano senza classe dirigente e senza Stato». Ma questa società non era per questo meno elitaria e ge4 Intervista di Lue Bouquiaux, in Les Nouvelles littéraires, η. 2845, 15-21 luglio 1982, p. 53. Cf. dello stesso autore, Des chercheurs sans chaise longue, Parigi, Atelier Alpha bleue, 1982. 5 M. Godelier, La production des grands hommes, Parigi, Fayard, 1982. 139

rarchizzata. Da un lato si trovano gli «uomini Kwaimatnié», possessori di oggetti sacri, «donati direttam ente dal sole dalla luna agli antenati patrilineari di coloro che at­ tualm ente li possiedono»; questi oggetti conferiscono ai le­ gittim i detentori il diritto esclusivo di compiere i diversi rituali necessari al m antenim ento dell'ordine sociale e del­ l'ordine economico. D 'altra parte, certi individui hanno de­ gli statuti attribuiti e conferm ati dai precedenti, che di­ stinguono uom ini dotati di capacità eccezionali, necessari alle attività della tribù. Sono essenzialmente: — Vaoulatta o grande guerriero, detentore dell'autorità in tempo di guerra e garante della concordia in tempo di pace; — il koulaka, o grande sciamano, al tem po stesso veggen­ te, stregone malefico e guaritore; — il kayareumala o grande cacciatore di casuari. M ettendo tra parentesi la dominazione assoluta esercitata dagli uomini sulle donne, caratteristica fondam entale di questa tribù, prenderem o qui in considerazione un feno­ meno isomorfo a quelli che sono stati osservati nelle due altre aree geografiche in precedenza ricordate. In effetti, i Baruya cercano di evitare, con adeguati processi difensi­ vi, il rischio che un solo individuo, quali che siano la sua funzione o il prestigio che si è guadagnato nello statuto che gli è stato conferito, possa accaparrarsi il potere. D'un lato: «Gli uomini kwaimatnié non potevano comportarsi come se disponessero di un potere da rendere loro possibile im­ porre la propria volontà in ambiti differenti da quelli delriniziazione — la guerra, per esempio. Il loro prestigio rea­ le non poteva trasform arsi in potere politico generale e an­ cor meno aprire la possibilità di reclamare vantaggi mate­ riali o di altro tipo come prezzo dei loro servizi. Invece, di continuo i possessori di kwaimatnié proclamano di non far altro che rispondere all'appello dei padri e madri Ba­ ruya desiderosi di vedere i loro figli divenire al più presto degli uomini». D all'altro lato: «in tempo di guerra, l'autorità [dell’aoulatta] era naturale. In tempo di pace la sua funzione scompariva, ma il suo

prestigio, la riconoscenza degli altri membri della tribù nei suoi confronti rimanevano. [...] Era circondato di rispetto, veniva ascoltato, e aveva i suoi partigiani. [...]» Il che gli perm etteva eventualm ente di svolgere una fun­ zione di conciliatore. «La sua autorità trovava quindi la fonte nel suo coraggio e nel timore che questo ispirava, e così il prestigio si tra­ sformava in potere sociale. Ma questo potere aveva dei li­ miti che era pericoloso oltrepassare. [...] Esistono numero­ si esempi di aoulatta che oltrepassarono ogni limite e che sicuri della propria superiorità nel combattimento, scivo­ larono poco a poco nei piaceri del dispotismo. [...] La mor­ te del tiranno era dunque espiazione del dispotismo. Ricor­ dava chiaramente a tutti che le differenze tra gli individui, nei Baruya sono permesse e ricercate solo per quanto ri­ spondono al vantaggio generale». Aggiungiamo ancora che «tra i Baruya, la guerra poteva essere decisa soltanto dall'assem blea di tu tti gli uomini di tu tti i villaggi della tribù». Constatiamo di nuovo in questo esempio la differenza esi­ stente tra il potere tribale originario, eredità degli antena­ ti, e l'autorità tem poranea delegata tem poraneam ente ad alcuni «grandi uomini». Questa ipotesi, di un potere originario del gruppo (il grup­ po come origine del potere, il potere come origine del grup­ po) converge con il prim o dei principi di funzionamento dell'apparato psichico gruppale proposto da Anzieu (1981) e che è un principio di indifferenziazione: analogamente al principio del Nirvana che secondo Freud tenderebbe a ridurre nell'apparato psichico individuale le tensioni fino ad un livello zero, esisterebbe nei gruppi una tendenza fon­ dam entale all'indifferenziato, alla sim ilitudine e all'inter­ cam biabilità, non solo dei m em bri tra loro ma dell'indivi­ duo e del gruppo, cosicché tu tti i m em bri condividono un apparato psichico individuale. Così il potere appare come imm anente ai gruppi natu ra­ l i 5bis. Nei gruppi sperim entali si verifica la stessa si­ tuazione ? 5 bls Questo carattere di immanenza del potere nei diversi gruppi so-

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3. Il potere nei gruppi sperimentali a) Citiamo prelim inarm ente, come transizione, i lavori di Crockett (1955) riferiti da R. D aval*6. Riguardano gruppi reali, funzionali, osservati a fine di ricerca nel corso di sedute di lavoro che hanno come obiettivo il prendere del­ le decisioni. In questi casi, il presidente di seduta era designato in anti­ cipo dairistituzione per il cui conto si riuniva il gruppo di lavoro. Questo presidente designato appariva come il detentore del potere. Ma è accaduto che, in 44 su 72 grup­ pi osservati, un altro m em bro del gruppo «prendesse pro­ gressivamente o improvvisamente la direzione effettiva del­ la seduta, come se il presidente designato fosse più o me­ no velocemente spogliato del proprio potere. Questo nuo­ vo capo, non previsto in quanto tale dall'organizzazione superiore, faceva la sua com parsa all'interno della seduta di gruppo come se em anasse dal gruppo stesso; così i ri­ cercatori lo hanno caratterizzato con il term ine di presi­ dente emergente». Così, anche nei gruppi istituzionali, possiam o ancora con­ statare che è il gruppo in se stesso che si costituisce in quanto detentore di potere e che lo delega a quello dei suoi m em bri che gli appare il più delle volte particolar­ mente efficace. b) Ci riferirem o quindi ai lavori di Cl. Faucheux7 che ha dato un grosso contribuito allo sviluppo in Francia del Gruppo Diagnostico (cf. p. 146). Descrivendo gli stadi di sviluppo del gruppo di diagnosi, egli distingue quattro momenti di questo sviluppo: all'in­ certezza iniziale fa seguito la risoluzione di problem i posti dalla relazione del gruppo con il m onitore; risolti questi problem i , viene in piena luce il potere interno del gruppo. Diviso tra il tim ore dell'anarchia e i rischi che la d ittatu ra di uno dei suoi farebbe correre a tutti, il gruppo cerca di determ inare quali dei suoi bisogni non sono stati soddi­ sfatti; definisce successivam ente «il o i ruoli che se venisciali era stato analizzato da M. Foucault in La volontà di sapere (1976, trad. it.). Il fenomeno del potere è stato anche l’oggetto della tesi sostenuta da E. Enriquez, De la horde à l’E tat, Parigi, Gallimard, 1983. 6 R. Daval, Logique de l ’action individuelle, Parigi P.U.F., 1981. 7 Confronta la Bibliografia generale.

sero ricoperti, potrebbero soddisfare questi bisogni, infine attribuisce questi ruoli ad uno o a più dei suoi mem bri e delega loro l'autorità sufficiente perché possano assu­ merli. Di fatto, tra i gruppi e i (il) m em bri (o) così designa­ ti si stabilisce un contratto di n atura precaria e costantem ente revocabile: il gruppo è e rim ane l'unico detentore del potere. Dopo un certo num ero di difficoltà derivante da questa nuova pratica del potere, il gruppo accede, nel migliore dei casi, allo stadio di condotta riflessa: prende a poco a poco coscienza delle sue determ inazioni interne ed esterne e si sforza di controllarle invece che subirle. Si può paragonare questa evoluzione a quella del bambino che, per diventare adulto, attraversa successivamente lo stato di dipendenza, contro-dipendenza adolescenziale, in­ dipendenza oggettiva e m aturità crescente. Questa breve sintesi m ostra come il potere, sia casualm en­ te che per vocazione, sia imm anente nei gruppi. 4. Uno schema dinamico di funzionamento dei gruppi ristretti Avendo considerato il gruppo come un sistem a chiuso, se ne deve elaborare un modello di funzionamento sulla base di ipotesi energetiche, in linea con la concezione lewiniana. Tali ipotesi postulano l'esistenza di stru ttu re latenti e in costante evoluzione. Energia utilizzabile ed energia latente In particolare, questo sistem a possiede una certa energia costitutiva, che designeremo come E. Come negli usuali sistemi fisici, soltanto una frazione di questa energia in­ terna è effettivam ente utilizzabile: la designeremo con e. Il resto rim ane allo stato latente durante tu tta la durata, o una parte della durata, del sistema: la designeremo co­ me η. Possiamo scrivere: E = e + η Dal punto di vista della ricerca di una efficacia ottim ale nel funzionamento dei gruppi sem bra indispensabile cer­ care di ridurre il più possibile l'energia latente ηχ, in par143

ticolare ponendo questi gruppi in situazioni favorevoli. Nel­ le diverse organizzazioni una tale preoccupazione può es­ sere illustrata da una politica tendente a «liberare i talen­ ti e le energie degli uomini, in modo da soddisfare contem poraneam ente le esigenze della produzione e quelle della persona umana» (E. P. Learned, 1951). Bisognerebbe analizzare qui l'insiem e dei fattori fisici, fi­ siologici, psicosociologici e sociali che possono contribui­ re alla realizzazione di una tale politica: non possiam o fa­ re a meno di sottolinearne incidentalm ente l'im portanza e ricordare che, dopo le ricerche del Survey Research Cen­ ter for Group Dynam ics8 è stabilito che il tipo di inqua­ dram ento dei gruppi um ani ha una influenza determ inan­ te sul loro m orale e sulle loro prestazioni. Locomozione di gruppo e sistemi di tensione Il concetto di «locomozione di gruppo» è stato impiegato da Cartw right e Zander (1953). Si riferisce al «campo psi­ cologico» in cui evolve il gruppo. Da un punto di vista «strutturale», la locomozione di grup­ po è dunque lo spostam ento di un gruppo da una regione ad u n 'altra nel campo psicologico; questo è costituito non soltanto dal gruppo stesso e dagli individui che lo com­ pongono, m a anche dall'am biente, che include contem po­ raneam ente gli scopi del gruppo e le vie che seguirà per giungervi. Da un punto di vista dinamico, un gruppo può essere con­ cepito come un omeostato, la cui funzione è quella di ri­ solvere i sistemi di tensione (K. Lewin, 1959) a cui è sotto­ posto. Da una prospettiva teorica si considerano due ordi­ ni di sistemi di tensione: a) Sistema di tensione positiva, in relazione con il progres­ so del gruppo verso i suoi obiettivi; che sono raggiunti sol­ tanto grazie alla risoluzione progressiva di questo sistem a di tensione, proporzionalm ente alle tappe di avanzamento. b) Sistema di tensione negativa, in rapporto con i mecca­ nismi di funzionam ento del gruppo e i suoi sforzi per m i­ gliorare le relazioni interpersonali tra i membri: la risoluVerranno ricordate nel prossimo capitolo. 144

zione perm anente di questo sistema di tensione è indispen­ sabile per il m antenim ento e la sopravvivenza del gruppo. Energia di produzione ed energia di m antenim ento Se riprendiam o la form ula precedente E = e + η, l'ener­ gia utilizzabile e è impiegata dal gruppo per la risoluzione dei suoi sistemi di tensione. È allora possibile suddivider­ la in due parti: e = ep + ee a) Designeremo con ep l'energia utilizzata dal gruppo per raggiungere i suoi obiettivi; si m anifesta m ediante attività strum entali (cioè tendenti ad un risultato che non si ottie­ ne in modo automatico). Questo risultato che può essere oggetto di una m isura, o per lo meno di una stima, può esser attribuito alla funzione di PRODUZIONE del gruppo (raccolta e classificazione delle informazioni, trattam ento e trasform azione dell'informazione, comunicazione dell'in­ formazione), così come nel corso della produzione di ele­ m enti m ateriali facilmente obiettivabili. b) Designeremo con ee l'energia utilizzata dal gruppo per il proprio MANTENIMENTO in rapporto al tempo e all'e­ nergia disponibile: si m anifesta in attività consum atone il cui risultato è il m antenim ento della coesione del gruppo; deriva da uno stato emozionale o motivazionale. Utilizzando la terminologia inaugurata da G. Palmade (1959) è comodo distinguere due funzioni assicurate dall'energia di m antenim ento; la prim a, detta funzione di facilitazione, è costituita da «tutto ciò» che deve esser realizzato perché la funzione di produzione venga svolta nel modo migliore possibile. Questa funzione si riferisce essenzialmente ai pro­ cessi operatori, alle procedure di lavoro, agli aspetti fisici della comunicazione e alla stru ttu ra form ale del grup­ po. La seconda funzione, detta di regolazione, ingloba tutte le «attività» il cui effetto consiste nel creare e mantenercele condizioni psicologiche necessarie ad una buona facilita­ zione e ad una buona produzione. Essa si riferisce non so­ lo alle condizioni interpersonali ma all'insiem e dei fattori psicosociali (di origine esterna o interna), in relazione o meno con il compito del gruppo, a cui il gruppo dovrà adat145

tarsi per far fronte a condizioni mutevoli. Questa nozione di «condotta a lungo termine» del gruppo è basata sul mec­ canismo di feed-back che riprenderem o a proposito delle «comunicazioni». c) Se adottiam o una prospettiva di efficacia, tenuto conto della equazione e = ep + ee, un gruppo ha interesse a che ep > ee. In altri term ini, definita la quantità di energia utilizzabile, quanto più un gruppo spende energia per m an­ tenere la propria coesione (utilizzando mezzi diversi che costituiscono altrettanti m eccanism i di difesa) tanto meno gliene rim ane per progredire verso i propri obiettivi e tan ­ to più la sua produzione sarà ridotta. La difficoltà sta nel trovare una suddivisione conveniente tra le attività stru ­ m entali e le attività consum atone. Il gruppo può m antene­ re un equilibrio soddisfacente tra bisogni e difficoltà con­ traddittorie grazie all'efficacia dei suoi m eccanismi di au­ toregolazione. Effetti della risoluzione dei sistem i di tensione IÈ d'altro canto possibile esam inare brevem ente gli effetti [della risoluzione dei sistemi di tensione. a) Se gli obiettivi esercitano un'attrazione (valenza positi­ va) l'energia ep tende a crescere (a scapito di ee) polariz­ zandosi verso la risoluzione del sistem a di tensione positi­ va (relazione gruppo/obiettivo); le rispettive posizioni dei m em bri sono meglio percepite dagli uni e dagli altri e per­ cepite con tolleranza; ognuno vede rinforzarsi la propria motivazione, partecipa m aggiorm ente e contribuisce alle attività del gruppo in modo strum entale. b) Se gli obiettivi esercitano una repulsione (valenza nega­ tiva) l'energia ee tende a crescere a scapito di ep disper­ dendosi verso la risoluzione del sistem a di tensione negati­ va (relazioni e conflitti interpersonali); si osserva la com­ parsa di incomprensioni> di conflitti a livello degli indivi­ dui, di disinteresse per il compito, di diverse manifestazioni di ansia. È in tali condizioni che fanno la loro com parsa com portam enti di fuga (digressioni, attività non pertinenti rispetto all'oggetto, votazioni prem ature e decisioni non valide...) come anche diversi tipi di scarica emotiva (risate

di tensione, attività ludiche, aggressività più o meno este­ riorizzata nei confronti di persone e cose), com portam enti questi che richiedono num erose attività consum atone. c) Gli effetti che il più delle volte si verificano perm ettono di accennare a dei casi lim ite: — se l'energia di m antenim ento ee raggiunge proporzioni eccessive, l'energia di produzione ep diminuisce in modo inaccettabile: ee eccessiva ep -► o vi è allora blocco del gruppo e rischio"che il gruppo esploda; — se l'energia di m antenim ento e 'si^iduce a profitto del­ l'energia di produzione ep la produzione sarà massima: ee -► o=> ep massima in questa ipotesi avremmo a che fare con degli automi in­ capaci di regolazione, destinati a lungo term ine ad esplodere. Nuovamente sulla classificazione dei gruppi Così come è stato detto nel prim o capitolo di questo lavo­ ro, questo schema dinamico spiega la divisione pratica dei gruppi ristre tti in due classi, a seconda del prevalere delle motivazioni di progresso o di m antenim ento nei loro membri. Quando prevale la produzione, si ha a che fare con dei gruppi di azione, dove il term ine «attivista» (privo di qual­ siasi connotazione ideologica) caratterizza nettam ente l'at­ teggiamento fondam entale e la condotta abituale dei mem­ bri nei casi più estremi. Tali gruppi hanno tuttavia biso­ gno di un minimo di m antenimento; questo può essere as­ sicurato spontaneam ente per autoregolazione; in altri casi può essere imposto dalla regola (norma di gruppo, implici­ ta o esplicita) o dalla violenza. Quando prevale il m antenim ento ci si trova in presenza di gruppi mondani o gruppi di commemorazione. Non c'è bisogno di sofferm arsi sui primi: ognuno conosce le capa­ cità di cui deve dar prova una padrona di casa che voglia equilibrare le partecipazioni dei suoi invitati ed elim inare dalla conversazione tu tta una serie di soggetti esplosivi (ta­ bù in rapporto all'attualità o a stereotipi solidamente ra­ dicati, che possono causare le più forti rabbie se espressi

nella «buona società»). I gruppi di commemorazione ap­ paiono fondati sulla nostalgia «del bèl tempo andato»; inol­ tre, così come è tradizione al m omento della «festa», per­ m ettono un certo num ero di trasgressioni dalle norm e so­ ciali abituali dando al tempo stesso ad ognuno l'im pressione di essere l'eroe del giorno9. Esame dei fattori di progresso verso gli obiettivi Quando la valenza degli obiettivi è positiva, vengono loro riconosciute tre caratteristiche (Max Pagès, 1957). — Pertinenza, cioè il fatto di essere dotati di un legame necessario con lo scopo generale, la «ragione sociale» del gruppo; — Chiarezza, cioè la qualità di p restarsi all'analisi e di es­ sere facilm ente compreso da tu tti i partecipanti; in questa prospettiva, se ne trae l'im periosa necessità di basarsi su dei fatti (verificabili) più che su opinioni (sempre contestabili); — Accettazione, cioè la proprietà di essere liberamente scel­ to dal gruppo più che essere imposto dall'esterno, concor­ dando con gli interessi personali più o meno nettam ente espressi da ogni partecipante. Questo triplice carattere di soddisfazione può essere util­ mente percepito ogni volta che il gruppo ha bisogno di pren­ dere una decisione, sia a proposito dei diversi aspetti della sua strutturazione che dei suoi m eccanism i di funziona­ m ento o delle attività che gli sono proprie. Ma perché un gruppo ristretto funzioni e «produca», è inol­ tre necessario che si instaurino in esso delle comunicazio­ ni efficaci (punto di vista fisico) e soddisfacenti (punto di vista sociologico). Questo aspetto verrà tra tta to nel prossi­ mo paragrafo.

9 Ricordiamo a questo proposito un lavoro teatrale poco noto di Alan Seymour, L ’unique jour de Vannée (Sydney, 1961) che, in occasione del classico conflitto generazionale, mette ferocemente in discussione la celebrazione del giorno di Anzac, riservato ai combattenti delle due guerre mondiali. 148

5. L’assunzione di decisione nei piccoli gruppi Rimanendo in una prospettiva di «locomozione di grup­ po», è possibile studiare le vie verso gli scopi, e i processi della decisione; dovremo successivamente esam inare gli ef­ fetti della decisione di gruppo, non senza averne m isurato la p o rtata e i limiti.

Le vie verso gli scopi a) Le tappe del progresso sono schematicamente le seguenti: — esplicitazione da parte di ciascuno della propria perce­ zione degli scopi del gruppo; — chiarim ento degli atteggiam enti di ognuno in rapporto al gruppo; questo ingloba le persone che lo costituiscono, i compiti a cui adempie, i supposti obiettivi di ognuno; — scelta di una successione di obiettivi secondari, che scan­ discono la serie delle tappe da percorrere per raggiungere lo scopo ultimo; come questo, gli scopi interm edi devono rispondere a certi criteri: — essere pertinenti in rapporto allo scopo ultimo; — essere più chiari che imprecisi; — riguardare fatti verificabili più che opinioni; — essere collettivi (comuni a tutto il gruppo) più che indi­ viduali; — essere liberam ente scelti più che essere imposti da qualcuno. [Questa scelta pone il problem a del consenso, che verrà esam inato successivamente. Possiamo definirlo, fin da ora, come «la coscienza, nei m em bri del gruppo, dell'esistenza di sentim enti condivisi, di opinioni o di idee comuni, di una percezione identica di una situazione»]. — progresso verso lo scopo secondario (attività di «pro­ duzióne»); — esplicitazione dello stato in cui si trova in rapporto al­ la situazione (dove «siamo»? = attività di «facilitazione»); — integrazione nella m em oria attiva del gruppo dei risul­ tati acquisiti nel corso del suo progresso (elaborazione delle conclusioni interm edie = attività di «facilitazione»). b) Gli ostacoli al progresso sono num erosi sulla via da per­ correre. Tra questi prenderem o in considerazione: — l'esistenza di scopi imposti dall'esterno; 149

— un livello di aspirazione m olto alto (prevalenza dell'imm aginario sul reale) — le decisioni prem ature (prima di una comprensione suf­ ficiente dei bisogni individuali e collettivi); — l'assenza di un sufficiente consenso (cfr. cap. V); — la messa in movimento (passaggio all'esecuzione) pri­ ma della m anifestazione esplicita del gruppo. Queste considerazioni ci riportano allo studio della deci­ sione propriam ente detta.

I processi decisionali Lo studio dell'interazione per mezzo delle categorie di Ba­ les (1950 e 1955) è già stato esposto nel IV capitolo. Questo metodo è stato applicato dal suo autore all'analisi dei pro­ cessi decisionali nei gruppi di discussione. Bales afferm a che il processo di risoluzione di un problem a in gruppo passa inizialmente per la successione di tre fasi (cf. p. 136): — raccolta di informazioni (categorie 6 e 7); — valutazione (categorie 5 e 8); — influsso (categorie 4 e 9). La decisione propriam ente detta viene dopo (categorie 3 e 10) o, se questa manca, si produce il fallim ento e la dis­ soluzione del gruppo. Chiaramente, queste fasi possono so­ vrapporsi e a volte alcune di esse compaiono soltanto in abbozzo. Inoltre sono m escolate ed interrotte da periodi di tensione (categorie 2 e 11) durante cui le attività di «pro­ duzione» sono praticam ente sospese. Q uest'ultim a considerazione conferm a lo schema dinam i­ co esposto in precedenza. Inizieremo ora a svilupoarlo. a) Conflitti e ricerca di consenso. I processi decisionali so­ no dom inati dall'esistenza di conflitti; alcuni appaiono alla luce, gli altri rim angono latenti e possono esercitare sul gruppo un influsso paralizzante; la loro sola esistenza giu­ stifica lo sviluppo di una funzione di regolazione. Possiamo ancora distinguere a seconda della loro natura: — i conflitti sostanziali, relativi al contenuto della discus­ sione, in rapporto ad un'opposizione intellettuale tra i p ar­ tecipanti; — i conflitti affettivi, di natu ra emotiva, in rapporto alle lotte interpersonali che tendono a far trionfare questa o 150

quella soluzione. È anche frequente che conflitti apparen­ tem ente intellettuali m ascherino molto abilmente conflitti personali; in alcuni casi neppure gli interessati sono co­ scienti della propria implicazione affettiva in tali conflitti. La ùcerca del consenso (Edith Benneth, 1955; Bennis e Shep­ pard, 1956) è oggetto di una preoccupazione perm anente nei teorici del gruppo da più di due decenni. Si è visto che il progresso di un gruppo può compiersi soltanto dopo una eventuale analisi in comune della n atu ra ed origine dei conflitti, per quanto poco ne sia stata diagnosticata resistenza. In questa otticä, si può dire che la persistenza di un gruppo nel tempo deriva da uno sforzo di creazione perm anente, perché gli è di continuo necessario trovare i mezzi appropriati alla soluzione dei conflitti interni, in­ dipendentem ente dalla scelta dei mezzi adatti a portare a term ine il com pito10. Citiamo a proposito l'osservazione di J. M uller (1965): «I motivi della soddisfazione [dei partecipanti] sono molto di­ versi e personali. L'accordo unanim e è, in realtà, fondato su attese personali che solo eccezionalmente vengono sod­ disfatte tutte. Ma, per l'esattezza, si può parlare di consen­ so quando il gruppo non cade in un accordo facile, ma vive una intesa faticosam ente raggiunta. Il consenso [...] è un accordo composto di accettazione attiva di sé e del­ l'altro, e di relazioni sé-altro». Riprenderem o questa affermazione esam inando le condi­ zioni di validità di una decisione. b) Condizioni di validità di una decisione. La decisione pre­ senta, in effetti, ancora altrì aspetti rispetto al grado di validità: 1) Esplorazione preliminare: sarà preceduta da un elenco approfondito riguardante: — i bisogni del gruppo e i bisogni dei suoi membri; — le risorse del gruppo, sia sul piano dell'energia disponi­ bile che su quello delle competenze utilizzabili, tenuto conto dei fattori di costrizioni tem porali e spaziali che gli sono imposti; 10 Per una riflessione più ampia sulla nozione di consenso si potrà consultare il numero speciale della rivista Pouvoirs, Parigi, P.U.F., 1978, n. 6.

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— le differenti possibilità di azione. Si ritrovano qui alcuni aspetti ben noti della metodologia dello studio dei problemi, ma non è possibile trarn e regole specifiche. È infatti compito del gruppo inventare le pro­ prie norme di funzionamento e m ettere a punto progressi­ vamente (a seguito della ripetizione di prove ed errori da cui sarà stato possibile tra rre un insegnamento) gli ele­ m enti di decisione che considererà necessari e sufficienti. Tenuto conto di questa fase esploratoria, si può prevedere che la decisione non sarà mai pienam ente soddisfacente per tutti; m a il consenso sarà tanto più profondo quanto più il gruppo avrà potuto prendere coscienza delle conces­ sioni fatte da ognuno allo scopo di raggiungere un accor­ do; lo sarà tanto più, quanto più i m em bri avranno la convinzione di aver preso in considerazione il m aggior num ero di soluzioni possibili rispetto alla zona di libertà che è loro riservata e al grado di responsabilità che essi assumono. 2) Consenso: molto spesso si ritiene di dover istituire un obbligatorio turno di gioco. Ma R. Blake [in B radford e al., 1964] fa notare che questa p ratica si basa su due po­ stulati: da un lato raccordo è realizzato soltanto se ognu­ no dei m em bri ha parlato; d'altro lato, nessuno dei mem­ bri ha il diritto di restare in silenzio. Una tale pressione esercitata sui m em bri può produrre ostilità e risentim en­ to. In altri casi, si impiegano procedure decisionali mecca­ niche, in particolare ricorrendo ad uno scrutinio maggio­ ritario quando il gruppo sem bra essere diviso in due ten­ denze pressoché uguali. Conviene osservare a questo pro­ posito che una tale procedura cristallizza le opposizioni, rafforzando ognuno nel proprio atteggiam ento. Implica, inoltre, che coloro che stanno all'opposizione si sottom et­ tano alla legge della maggioranza; se questa asserzione si giustifica razionalm ente, non è meno vero che, sul piano affettivo, coloro che si trovano in m inoranza possono nu­ trire un risentim ento che si rifletterà presto o tardi sul­ l'efficacia del lavoro di gruppo. Il problem a del gruppo è in effetti quello di trovare proce­ dure decisionali soddisfacenti per tu tti i mem bri, poiché appropriate alla natu ra dei com piti assegnati. Tenuto conto di queste considerazioni, il consenso può es­ sere valutato sulla base dei tre seguenti criteri:

— In superficie: il modo in cui la decisione è presa è spes­ so più im portante del contenuto della decisione stessa, quando se ne valutino le conseguenze pratiche. A questo proposito Blake e Mouton (1961) presentano una scala degli «accordi» nei gruppi di diagnosi: — silenzio: una persona non parla e la situazione è ad un punto morto; — uno fa una proposta: non viene accolta da nessuno; — uno intraprende un'azione: gli altri lasciano fare; — qualcuno propone un'azione: essa viene sostenuta da un altro che ne assicura il successo temporaneo; — una o più persone cambiano argom ento senza propor­ selo effettivamente; — una m inoranza (sotto-gruppo) appoggia una decisione; — si decide a maggioranza (accordo della m età più uno); — esistono occasioni di disaccordo, ma nessuno ne parla; — viene intrapresa un'azione soltanto dopo aver ottenuto un vero accordo da parte di tu tti i partecipanti (nozione e sentim ento di consenso). — In profondità: il modo in cui si esprimono i partecipan­ ti non è meno im portante; una m ano non alzata o un segno di negazione sono molto meno utilizzabili da parte del grup­ po dell'espressione di sentim enti negativi, della spiegazio­ ne dell'atteggiam ento adottato o della «dichiarazione di vo­ to»», che possono essere all'origine di un nuovo cam bia­ mento di punti di vista. Così il gruppo potrà situare di nuovo ciascuno dei suoi m em bri ed inventare il mezzo per soddisfarli meglio. — In comprensione: accade che decisioni, assunte in mo­ do apparentem ente soddisfacente, non vengano eseguite perché i partecipanti non ne hanno visto tutte le implica­ zioni e si tirano indietro di fronte ad alcune delle conse­ guenze dell'azione intrapresa nel momento in cui queste si m anifestano. Sem bra dunque auspicabile verificare, du­ rante la decisione di gruppo in tu tti i membri, la com pren­ sione delle conseguenze che per loro e per il loro ambiente avrà l'impegno che stanno per assum ersi. Questa procedu­ ra eviterà m olti rim pianti, come il classico «questo pro­ prio non lo avrei voluto». 3) Formalismo: per soddisfare il criterio precedente, sem153

b ra che la decisione debba essere presa esplicitam ente, e per ciò chiaram ente riform ulata prim a che ognuno abbia l'occasione di pronunciarsi. Aggiungiamo che, una volta pre­ sa — e ciò, se possibile, con un carattere di solennità pro­ porzionata alla sua im portanza nella vita del gruppo — è auspicabile che venga form alm ente riespressa per poter essere integrata nella m em oria attiva del gruppo. Portata e lim iti della decisione del gruppo. Proseguendo i lavori di K. Lewin e allievi, Norm an R. F. M aier ha messo sistematicamente l'accento, dopo il 1946, sull’interesse della decisione di gruppo nei program m i di formazione alle «re­ lazioni umane» e nella pratica del comando. Per evitare qualsiasi confusione con altri metodi, quest'autore la ca­ ratterizza nella tavola 6 (1952). Inoltre, M aier (1963) ha insistito sul duplice aspetto della decisione rispetto al suo valore potenziale: — da una parte la sua qualità Q, obiettiva e impersonale; — dall'altra, Vadesione A che essa com porta (l'accoglienza che trova in coloro che devono eseguirla). L'espressione di una decisione efficace risponderà alla for­ m a De = f (Q, A). Distingue allora, in rapporto all'obiettivo principale, tre tipi di situazioni: Le decisioni che richiedono una alta qualità ed una debole adesione: Q>A. La ricerca dell'adesione non interviene che secondariam en­ te; la decisione è di esclusiva com petenza del responsabi­ le, eventualm ente coadiuvato da specialisti qualificati; ri­ guarderà, ad esempio, il lancio di nuovi prodotti, la decen­ tralizzazione, il fissare il prezzo di vendita o quello degli elementi che determ inano i costi di fabbricazione, l'acqui­ sto delle m aterie prime, i problem i da risolvere da parte di specialisti o tecnici; potrem m o aggiungere «alcune deci­ sioni che im plicherebbero in principio un'adesione m a che non offrono soluzioni su cui sia realizzabile un accordo». Le decisioni che richiedono un grado elevato di adesione, e in cui la qualità è secondarìa: A > Q. La m ediocrità dell'adesione provocherebbe un rischio di fallim ento e il modo di valutare la qualità è influenzato 154

Cosa non è: 1. Un abbandono del controllo sulla situazione; 2. Un disconoscimento della di­ sciplina; 3. Un mezzo per attribuire ad ogni individuo ciò che desidera; 4. Un mezzo per manipolare le persone; 5. Un mezzo per imporre al grup­ po le idee del capo; 6. Autorità mascherata 7. Un modo per «arraffare voti» 8. Una specie di controllo a livel­ lo di consultazione volto a rac­ cogliere delle opinioni; 9. Un modo per mettere la Com■pagnia contro i propri im­ piegati 10. Qualcosa che, chiunque, se lo desidera, può fare

Che cos'è 1. Un mezzo di controllo eser­ citato attraverso la persua­ sione piuttosto che attra­ verso la forza; 2. Un mezzo per stabilire la disciplina del gruppo gra­ zie alla pressione dell'ambiente; 3. Un mezzo per essere leali nei confronti del lavoro e di tutti i membri del gruppo; 4. Un mezzo per riconciliàre stati d'animo opposti; 5. Il mezzo per permettere al gruppo di esprimere ciò che pensa per risolvere il problema; 6. Un mezzo per lasciar agire i fatti e i sentimenti; 7. Un modo di pensiero col­ lettivo; 8. Una soluzione cooperativa del problema; 9. Un mezzo per dare ad ogni persona una possibilità di partecipare a cose che la riguardano nella sua situa­ zione di lavoratore; 10. Un metodo che esige capa­ cità, conoscenze ed anche il rispetto dell'altro.

da num erosi criteri soggettivi; la decisione è allora di com­ petenza del gruppo, al term ine di una discussione condot­ ta da (o per) il responsabile; essa riguarderà, per esempio, l'attribuzione di un oggetto desiderato, la suddivisione di compiti sgraditi, la regolamentazione delle ore di straordi­ nario o dei periodi di congedo, le questioni disciplinari.

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Le decisioni che esigono una forte qualità e una forte ade­ sione: Q = A. Il metodo delle decisioni di gruppo appare, anche in que­ sto caso, indicato e «i superiori riconoscono spontaneamen­ te che la soluzione trovata dal gruppo supera non solo quan­ to essi avevano previsto ma anche quanto avrebbero potu­ to trovare da soli». È anche necessario che il capo abbia superato la propria ansia e che la tecnica di conduzione della discussione sia corretta. Non si m ancherà di osservare che le concezioni tradizio­ nali dell'esercizio dell'autorità sem brano opporsi ad un ta ­ le modo di considerare le cose. A ciò Th. Gordon (1951) ha risposto in anticipo: «Il problem a non è quello di sapere se i m em bri del grup­ po o il capo istituzionale possono prendere le decisioni più appropriate per un gruppo. Ma è di sapere se il capo, sen­ za i m em bri del gruppo, possa prendere decisioni migliori di quelle del gruppo, che include anche il capo». E svilup­ pa una teoria del comando e dell'am m inistrazione centra­ ta sul gruppo, la cui unica lim itazione presa in considera­ zione è la zona di libertà e di responsabilità personale del capo stesso.

Gli effetti della decisione di gruppo Gli effetti della decisione di gruppo sono stati studiati da K. Lewin e allievi. Da un lato L. Festinger (1953) li ha posti in relazione con la sua teoria della dissonanza cognitiva. Ne ricordiam o gli elem enti principali. Dopo una decisione vi è una ricerca attiva di informazioni tendenti a produrre una cognizione «consonante» con l'azione intrapresa; in oltre, si produce un aumento della fiducia nella decisione o un aumento della differenza di attrazione tra i due term ini dell'alternativa im plicata dalla scelta, dato che entram bi i fenomeni ten­ dono a ridurre efficacemente la dissonanza (cap. IV). D all'altro K. Lewin (1947) li ha posti in relazione con il cambiamento sociale. Sulla base della sua teoria sugli «equi­ libri quasi stazionari» (cap. Ili) ha potuto com piere delle ricerche sui cam biam enti di abitudini alim entari, dimo­ strando la superiorità della decisione di gruppo rispetto alle semplici informazioni date in occasione di una confe156

renza volta a m odificare queste abitudini. Questi risultati sono stati estesi da Levine e B utler (in Cartw rigth e al., 1953) alle modificazioni degli atteggiamenti dei capo-reparto di una officina meccanica rispetto alla introduzione di un nuovo metodo di valutazione del lavoro. Ugualmente in una ditta di confezioni, Coch e French (1948) sono riusciti a superare la resistenza ai cambiam enti, m ediante una par­ tecipazione attiva di gruppi sperim entali alla preparazio­ ne di decisioni relative alle m odalità di lavoro. Vi ritorne­ remo nel prossim o paragrafo. A sua volta, Bavelas (1948) ha ottenuto una modificazione spettacolare nelle norme di produzione di una équipe addetta alle macchine da cucire dopo tre decisioni di gruppo: la produzione è aum entata stabilm ente di circa il 16%, quando l'équipe aveva già una produzione superiore del 23,5% alla media di tutto il labo­ ratorio. Di fatto, la decisione di gruppo portò alla soppressione del­ l'inerzia naturale del gruppo; il gruppo divenne in grado di mobilizzare le proprie energie per intraprendere nuovi compiti. La decisione ne modifica l'equilibrio quasi sta­ zionario facilitando l'erosione di norme antiche e la cri­ stallizzazione di nuove norme (percepite da tu tti come «ra­ gionevoli»). Essa è attualm ente considerata come il mezzo più ap p ro p riato 'p er la previsione del fenomeno di «resi­ stenza al cambiamento» che si oppone alle iniziative fe­ conde. Dovremo così dedicare a questo fenomeno un capi­ tolo a parte.

Conclusioni L'approfondim ento delle condizioni psicosociologiche del­ l'assunzione di decisioni è legato alla pratica della libertà individuale all'interno dei gruppi. Il chiarim ento dei movi­ menti e dei fini personali, unito alla tolleranza di ognuno nei confronti del punto di vista dell'altro, è la condizione stessa della decisione efficace. Questo atteggiamento è tanto più necessario in quanto, dopo Condorcet (1785), conoscia­ mo le conseguenze della n atu ra non transitiva delle opi­ nioni individuali: nella m isura in cui esse differiscono al­ l'interno del gruppo, non è possibile dedurne matematicam en te 11 una opinione comune soddisfacente (effetto Con-1 11 Per l'aspetto logico-matematico della decisione, consultare G.-G.

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dorcet). Inoltre, la validità delle conclusioni del m atematico Kenneth J. Arrow viene verificata dopo il 1951. Possiamo grossolanam ente schem atizzare il paradosso di Arrow nel seguente modo: perché una decisione collettiva soddisfi si­ m ultaneam ente tre postulati logici fondam entali, è neces­ sario che il gruppo si contenti di considerare il parere di uno solo, non im porta chi, m a sem pre lo stesso! Di fronte a questa aporia, che sem brerebbe giustificare il ricorso al­ la dittatura, il gruppo dem ocratico può soltanto elaborare la decisione ricercando un accordo fondam entale sulle pro­ prie norme di funzionamento e i propri quadri di riferi­ mento: questi saranno basati sulla gerarchizzazione preli­ m inare dei criteri di scelta applicabili a diverse eventuali­ tà chiaram ente definite e percepite. La creazione di un tale ordine di valori, seguita da uno sforzo permanente per adeguarli al ritm o degli avvenimenti, costituisce il fondam ento dell'azione coerente. Si deve dun­ que predisporre, per coloro che parteciperanno alla elabo­ razione della decisione, un adeguato addestram ento al la­ voro di gruppo, se si vuole assicurare loro un minimo di efficacia. B. L e com unicazioni n e i p ic co li gruppi

Considerazioni generali a) Importanza delle comunicazioni. Ogni attività sociale po­ stula scambi di informazioni, sia tra i m em bri di uno stes­ so gruppo, sia tra i m em bri di gruppi differenti: «Una so­ cietà è fatta di individui e di gruppi che comunicano l'uno con l'altro» (Cl. Lévi-Strauss, 1962). Inoltre, per i gruppi è necessario organizzarsi: in prim o luogo perché vengano raccolte informazioni utili ed efficaci; in secondo luogo per­ ché queste informazioni siano distribuite convenientemenGranger (1956); o anche La décision, a cura del C.N.R.S. (1961), o infi­ ne F. Bresson, Le decisioni, in Fraisse e Piaget, Trattato di psicologia sperimentale (1965, tr. it. Einaudi). Ricordiamo anche la tanto attesa traduzione di K. J. Arrow, Choix collectif et préférences individuelles (1974). Per quanto riguarda la decisioni nelle grandi organizzazioni cf. Ghertmann, La prise de décision, P.U.F., 1981. Una riflessione sul­ la decisione nella Società è riassunta da L. Spez, La décision, Parigi, P.U.F., 1984. 158

te tra tu tti coloro che dovranno utilizzarle, in particolare coloro che dovranno tra tta rle in modo da preparare deci­ sioni valide. Il modo in cui si compiono questi scambi condiziona le relazioni tra gli uomini. L'am biguità dei term ini «intende­ re» e «comprendere» è nota: ricorderem o a proposito le constatazioni di Saint-Exupéry: «Il linguaggio è la fonte dei malintesi». Queste osservazioni, valide dall'alba dell'umanità, e tradotte dal mito della torre di Babele, sono ancora più vere ai no­ stri giorni. Vediamo comparire in effetti degli insiemi um a­ ni sempre più complessi e differenziati, m entre nelle orga­ nizzazioni emergono nuovi ostacoli di ogni tipo: giganti­ smo, chiusure, tensioni tra concentrazione economica o am­ m inistrativa e decentralizzazione geografica... b) Definizioni e distinzioni. Prim a di spingerci oltre, è im­ portante definire e distinguere due concetti essenziali: — L'informazione è contem poraneam ente: un'operazione (l'azione di informare), un contenuto (ciò che informa), ten­ dente ad una riduzione del disordine. — La comunicazione è l'insiem e dei processi fisici e psi­ cologici attraverso cui si compie l'operazione della messa in relazione di una (o più) persone — l'em ittente — con una o più persone — il ricevente — in vista del raggiungi­ m ento di certi obiettivi. Enriquez (1961) distingue inoltre: — la natura della comunicazione: processo destinato al­ l'altro; — la funzione della comunicazione: controllo e regolazio­ ne dell'attività dell'altro. c) Classificazione. La definizione precedente si riferisce im­ plicitam ente a comunicazioni strum entali (viene ottenuto un risultato, più o meno pertinente rispetto agli obiettivi). Ma esistono delle comunicazioni di natura consumatoria (in rapporto al tempo o all'energia disponibile), per esem­ pio la form ulazione dì una valutazione su un fenomeno esterno alla vita di gruppo. Altri sono molto semplicemen­ te incidenti.

Lo stesso si può dire per la n a tu ra teratologica: si tra tta di comunicazioni che si sviluppano di per sé, a scapito delTinsieme; si tra tta delle chiacchierellbis che tendono il più delle volte a sostituire la m ancanza di informazioni obiet­ tive nei gruppi estesi; hanno il valore di un diversivo (En­ riquez). Gli ostacoli alla comunicazione 1. Il processo della comunicazione Partendo dall'esperienza corrente di un «dialogo tra sor­ di» si può dire che la comunicazione rende possibile a due individui di basarsi su una verità comune. Possiamo tuttavia considerare la comunicazione secondo due prospettive: — da un lato, per il suo aspetto form ale, riducibile ad uno schema cibernetico; — dall'altro, in base al suo aspetto psicosociologico, a tti­ nente alla posizione dei locutori. a) Aspetto formale della comunicazione. Riconducendo la comunicazione ad un trasferim ento di informazione quan­ tificabile, si giunge ad uno schem a analogico che rap p re­ senta il passaggio di un messaggio da un individuo ad un altro (fig. 3). L'em ittente in funzione dello scopo che si propone di rag­ giungere, elabora un messaggio rivolto ad un altro; il m es­ saggio si muove lungo un canale (acustico, telefonico) è ricevuto del destinatario, su cui ha un effetto più o meno I RUMORT]

Fonte «idee»

EMITTENTE! .... codificazione |

(canale) RICEVENTE _________ _ ► _ .... Destinatario trasmissione PecodHteazione . jdee. feed-back

Fig. 3.

llbis Cf. M. L. Rouquette, Les rumeurs, Parigi, P.U.F., 1975. 160

percepibile, in funzione della comprensione del messaggio e della rappresentazione dello scopo ricercato dall'e­ m ittente. La serie rappresentata nella fig. 3 si riferisce proprio a delle preoccupazioni di scopo ed ha come prospettiva il processo di raggiungimento del destinatario. I problem i relativi all'em ittente sono ricondotti alla quali­ tà ed alla pertinenza della sua codificazione; quelli relativi al ricevente, ad una percezione corretta dei segnali ed alle sue capacità di decodificazione; quelli relativi al canale di comunicazione, ai «rumori» cioè ai parassiti ed alle perdi­ te fisiche che producono una riduzione della quantità di informazione trasm essa. Vi si aggiungono quelli relativi al feed-back, regolazione quasi autom atica dell'em ittente me­ diante il controllo dei suoi effetti sul ricevente12. Ma una tale formalizzazione, se può essere soddisfacente dal punto di vista dell'ingegnere delle comunicazioni o ci­ bernetico, appare pericolosam ente ingenua per lo psicoso­ ciologo. Essa è, in effetti, incapace di spiegare interpreta­ zioni erronee, incomprensioni paradossali, controsensi lam­ panti, conflitti più che evidenti. b) Aspetti psicosociali della comunicazione. Di fatto, entrano in contatto, non «una scatola nera» em ittente ed una «sca­ tola nera» ricevente ma un «locutore» ed un «allocuto», più in generale due o più personalità impegnate in una si­ tuazione comune e che hanno a che fare con dei significati (questa teoria è stata sviluppata in Francia da D. Lagache, À. Moles, G. Serrai). Possiamo dunque proporre un altro schema, che sovrap­ pone al precedente i campi di coscienza del locutore e delTallocuto (fig. 4). Vi si noterà la rappresentazione delle perdite di significa­ to. Tali schemi non potranno comunque mai essere com­ pleti per la combinazione di fenomeni in gioco. Riprendia­ mo dunque gli elementi della frase in precedenza sottolineata. — Personalità: gli individui che comunicano sono caratte12 Per una esposizione essenziale della teoria dell'informazione, si po­ trà consultare il lavoro di F. Bresson, Linguaggio e comunicazione in Fraisse e al. (1965). Per uno studio critico cf. Schérer, 1966. 161

Risposta (indiretta, mediante esecuzione di un’azione)

οN)

O < CÛ I Û LU LU

Stato di recettività

Mezzi di trasmissione

\Z

Perdite

Campo di Atteggiamento

COMUNICAZIONI

intenzionale

" " à i ""

LOCUTORE coscienza

Atteggiamenti intenzionale Pertes

Perdite Selezione del· l’informazione

(Risposta diretta, mediante gli stessi mezzi)

Fig. 4. — Analisi schematica della comunicazione tra due soggetti. Una volta stabilita la comunicazione, si può constatare che, dal locu­ tore all’allocuto, si è prodotta una notevole perdita di significato ri­ spetto alFatteggiamento intenzionale iniziale. A livello dei mezzi di trasmissione, il locutore riesce ad «esprimere» soltanto una parte di ciò che avrebbe voluto far comprendere (zona bianca). A livello della ricezione, le preoccupazioni del campo di coscienza dell'allocuto lo predispongono a ricevere soltanto una parte di quan­ to è stato trasmesso ÇZona tratteggiata). Le zone nere rappresentano le perdite.

Campo di

ALLOCUTO coscienza

rizzati dalla loro storia personale, un sistem a di motiva­ zioni, uno stato affettivo, un livello intellettuale e cultura­ le, un quadro di riferimento, uno statuto sociale e dei ruo­ li psicosociali: questi diversi fattori influenzano rem issio­ ne e la ricezione del messaggio. — Situazione com une: la comunicazione rende possibile Tazione su ira ltro all'interno di una situazione definita. 1) È un mezzo per far evolvere questa situazione (la cono­ scenza di questa è fondam entale per com prendere il mec­ canismo di qualsiasi situazione concreta; l'implicazione de­ gli interlocutori nella situazione può essere differente in rapporto alla situazione di base). 2) Gli scopi della comu­ nicazione devono anch'essi essere esplicitati: indicare, con­ vincere, m odificare un'opinione, far agire, far tacere, fare esprim ere dei sentimenti, istruire, agire su un equilibrio emotivo e la salute psichica, provocare dei sentimenti. Gli scopi influenzano il contenuto e lo stile delle comunicazio­ ni. 3) La natura della situazione può essere tale da suscita­ re negli interlocutori un bisogno più o meno intenso di com unicare e a volte in uno di essi il rifiuto di entrare in comunicazione. — Significato: gli uomini non comunicano soltanto una cer­ ta quantità di informazioni ma scam biano dei significati: «Senza il significato, i gesti e le parole degli uomini form e­ rebbero una immensa foresta, in cui ogni albero spinge per sé ed estende i propri ram i senza tener conto degli altri alberi» (Bogardus). Gli elementi della comunicazione sono essenzialmente dei simboli più o meno conosciuti dagli interlocutori, più o meno chiari, raram ente univoci. La carica simbolica dei significati delle parole utilizzate induce parallelamente delle associazioni di senso che aprono i rispettivi campi di com­ prensione degli interlocutori e perm ette a questi campi di coincidere sempre più. Ne derivano le seguenti conclusioni: ^— l'attenzione rivolta ad ogni singola parola delle verbalizzazioni annulla il contenuto significativo del messaggio; — la capacità di comunicare con qualcun altro è tanto più grande quanto più le due persone avranno pensato all'interno dello stesso universo simbolico e saranno in posses­ so degli stessi quadri di riferimento;

TAVOLA 7. Gli ostacoli alle com unicazioni e i m ezzi p er superarli

PSICOSOCIOLOGICI

DI PERSONALITÀ

OGGETTIVI

COMPRENSIONE PERCEZIO N E SITUAZIONE

DEFORMAZIONE

SATURAZIONE

INTERPRETAZIONE

FORMULAZIONE E CONCETTUALIZ­ ZAZIONE

RUOLO E STATUTO

ALLOCUTO

AGGIO

1° DISPONIBILITÀ SAPER ASCOLTARE

2 ° USCIRE DAL PROPRIO QUADRO DI RIFERIM ENTO

3° PORRE DELLE DOMANDE

— la comprensione del senso di una comunicazione avvie­ ne attraverso un filtro ed un alone: — il filtro è costituito dal sistema dei valori propri ad ognu­ no; a questo livello, più inconscio che conscio, l'interlocutore sceglie gli elem enti della comunicazione e ne respinge alcuni; — Valone è costituito dalla risonanza simbolica risveglia­ ta nella mente delPinterlocutore dal significato di quanto egli em ette o riceve: una parola, un'idea, un aspetto, un confronto, possono innescare una catena di associazioni personali che costituiscono sia un ostacolo sia una facili­ tazione della comunicazione. Queste considerazioni ci portano a delineare uno studio sistem atico degli ostacoli alla comunicazione e dei mezzi a cui ricorrere per superarli. 2) Classificazione degli ostacoli alla comunicazione e ab­ bozzo dei rimedi Questi OSTACOLI possono essere relativi al locutore e all'allocuto, oppure essere di ordine m ateriale. Li esam ine­ remo servendoci della tavola 7 seguendo il percorso del messaggio. a) A livello del locutore si distingueranno: a) elem enti oggettivi, quali la concettualizzazione del mes­ saggio in funzione della situazione e dello scopo, la sua for­ malizzazione in funzione dell'obiettivo perseguito e dei mez­ zi disponibili, la scelta dei mezzi (dobbiamo ricorrere ad ausili visivi quali tabellone, schemi?), la soluzione di alcu­ ni problem i tecnici, in particolare di ordine sem antico (ri­ cerca del term ine adeguato p u r evitando un gergo da spe­ cialisti), il contesto (per esempio tener conto dell'ordine del giorno, del piano e del m etodo di lavoro); ß) elem enti di personalità: il soggetto presenterà le cose a «suo modo» con accentuazione di alcuni elem enti in fun­ zione dei suoi pregiudizi e stereotipi. La sua attitudine, nel senso più corrente del term ine, e, più prosaicam ente, il suo «umore», costituiranno una delle variabili della si­ tuazione; inoltre l'atteggiam ento che egli crederà di dover adottare (nel senso stretto del term ine, cf. cap. VI) indurrà

com portam enti particolari nell'allocuto. Il suo quadro di riferim ento personale coinciderà in tutto o in parte con quello deiraltro; γ) elem enti psicosociologici: lo statuto sociale del soggetto e il ruolo (uno dei com portam enti che si attendono da lui da parte degli altri a partire dal suo statuto) che egli assu­ merà, la situazione generale, che appesantisce o alleggeri­ sce il clima del dialogo, produrrà negli interlocutori preoc­ cupazioni convergenti o divergenti; il linguaggio e le nor­ me del gruppo di appartenenza che possono costituire so­ lide barriere. b) Gli ostacoli materiali non verranno qui ricordati perché ^ono di pertinenza della psicofisiologia13. c) A livello delVallocuto, si trovano fattori sim m etrici dei precedenti; essi sono: δ) elem enti psicosociologici tra i quali la situazione gene­ rale svolge una parte essenziale, soprattutto quando pro­ voca pettegolezzi o com portam enti conflittuali. Il fenome­ no di aspettativa di ruolo può costituire così in num erosi casi una b arriera alla comunicazione; e) elem enti di personalità: la percezione da parte del sog­ getto dipende strettam ente dall'insiem e della personalità ed è nota, come dim ostra l'esperienza di Claparède (1905), la relatività della testimonianza; la deformazione subita dal messaggio è funzione degli interessi personali dell'allocuto; la sua interpretazione è subordinata al suo quadro di riferimento ed ai sentimenti che attribuisce al locutore (pos­ sibilità di proiezione); ζ) elementi oggettivi: la comprensione del messaggio da par­ te del soggetto dipende dalla sua intelligenza, competenza 13 Consultare il capitolo VI: «L'ambiente fisico di lavoro» in Faverge, Leplat e Guiguet, L ’adaptation de la machine à l ’homme, Parigi, P.U.F., 1958 e anche J.-Y. Martin, L ’organisme humaine et le travail Parigi, Ed. Entreprise Moderne, 1957. Per gli aspetti tecnici delle con­ dizioni di lavoro, si potrà consultare Avisem (1977 a). Vedi anche A. Laville, L ’ergonomie, Parigi, P.U.F., 1976.

e cultura, che costituiscono a volte ostacoli insorm ontabili per la comunicazione. Aggiungiamo che possono prodursi fenomeni di saturazio­ ne, sia in rapporto allo stato di fatica del soggetto, sia a causa della perdita di informazione dovuta alla lunghezza del messaggio, sia a causa dell'interferenza di più messag­ gi convergenti. La form ulazione e la concettualizzazione finali del messaggio possono differire infine da quelle del locutore. Sulla base di questa rapida rassegna è possibile porre in luce alcuni RIMEDI a) A livello del locutore: a) Sul piano oggettivo: cercare la precisione del pensiero e l'economia delle parole (non senza ricorrere alle necessa­ rie ridondanze), ricercare la ricchezza e la precisione del­ l'espressione (ricorso eventuale alla formalizzazione a stra t­ ta), far «convergere i mezzi» unendo il gesto alla parola, accom pagnando il discorso con un buon schema. ß) Sul piano personale: aver rispetto dell'informazione, dar prova di fedeltà quasi ossessiva, nel risp ettate la prevalen­ za dei fatti sulle opinioni; m antenere un atteggiam ento obiettivo (evitare di giudicare), conoscere se stesso per te­ ner conto degli inevitabili pregiudizi, sapersi m ettere al posto dell'altro e riconoscere la possibilità di avere un 'al­ tra visione del problem a, degli uomini, delle cose, il che significa allontanarsi dal proprio egocentrismo, γ) Sul piano psicosociologico: dare una definizione precisa del ruolo che si vuole svolgere, dell'obiettivo che si perse­ gue (attirando l'attenzione sulle inevitabili conseguenze per l'interlocutore); conoscerne la situazione personale (il che può m ettere la discrezione alla prova), com pletare la no­ stra personale cultura psicosociologica per giungere ad una migliore conoscenza e ad una migliore identificazione de­ gli ostacoli. b) A livello degli ostacoli materiali: tenerne conto, elimi­ narli per quanto possibile. c) A livello delVallocuto — essere disponibile, saper ascoltare, saper intendere (al di là delle parole); 168

— uscire facilm ente dal proprio quadro di riferimento; — porre delle domande per aiutare eventualmente chi parla a precisare il proprio pensiero e rispondere ai bisogni del proprio corrispondente. È qui che interviene allora il fenomeno del feed-back, in base al quale, in prim a approssimazione, chi parla riceve l'inform azione di rim ando da colui a cui si rivolge, integra questa informazione alla propria condotta e di conseguen­ za modifica la propria emissione. Ma in psicosociologia, il feed-back è molto di più della retroazione che abbiamo appena definito. È una identificazione progressiva con l'interlocutore ed un arricchente scambio personale con que­ st'ultimo; il principio ideale della comprensione, per esem­ pio, nel corso di una discussione, sarebbe che ciascuno di­ cesse quanto deve dire soltanto dopo aver riesposto le pro­ prie idee e ritrovato i sentim enti del proprio interlocutore con sufficiente esattezza (Rogers). Un ascoltatore compren­ sivo provoca, in colui che si sente ascoltato e compreso, una diminuzione della volontà di irrigidire la propria po­ sizione 14. Ma se la comprensione gioca un ruolo essenziale nella vita dei gruppi ristretti, questi sono a loro volta dipendenti dalle reti di comunicazione che li sottendono. Le reti di comunicazione e la cooperazione nei piccoli gruppi Diversi ricercatori hanno studiato svariati modelli di co­ municazione nei piccoli gruppi, in modo da precisare le condizioni necessarie alla cooperazione più efficace nell'esecuzione di un compito definito. L'interesse di queste ricerche non è soltanto teorico: si tro­ vano situazioni analoghe a quelle studiate sia in diversi giochi e nelle conversazioni telefoniche, nelle comunica­ zioni m ilitari e in quelle commerciali, e persino nelle co­ municazioni tra un reparto e l'altro della stessa azienda o della stessa amministrazione. 1) Bavelas (in Laswell e Lerner, 1951) supponendo che la 14 Ritorneremo ancora su questo punto, nello studio degli atteg­ giamenti.

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s tru ttu ra della rete di comunicazioni interessasse la pre­ stazione di un gruppo di cinque persone, ha prelim inar­ m ente studiato le proprietà geom etriche di diverse reti: in catena, in circolo, in raggio (fig. 5). Chiamando «distan­ za» il num ero di maglie da percorrere sulla catena perché un messaggio emesso da una persona raggiunga un altro individuo, ha determ inato da prim a la distanza di ognuno rispetto a tu tti gli altri. Esempio: distanza di A = AB + AC + AD H- AE = l + 2 + 3 + 4 Cioè dA=10 o ------------ o ------------ o ---------- o ------------ o B

AB AC =· AD =* AE '=·