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Italian Pages 107 [116] Year 2022
Hans Joas L’età assiale Un dibattito scientifico sulla trascendenza
Umweg
Collana diretta da:
Federica Buongiorno, Roberto Esposito, Libera Pisano, Christoph Wulf
Umweg | 13
Hans Joas L’età assiale Un dibattito scientifico sulla trascendenza
Traduzione dal tedesco di Daniele Nuccilli
Titolo originale Was ist die Achsenzeit? Eine wissenschaftliche Debatte als Diskurs über Transzendenz, Schwabe, Basel 2014.
© 2022, INSCHIBBOLETH EDIZIONI, Roma. Proprietà letteraria riservata di Inschibboleth società cooperativa, via G. Macchi, 94 - 00133 - Roma www.inschibbolethedizioni.com e-mail: [email protected] Umweg ISSN: 2499-6041 n. 13 - novembre 2022 ISBN – Edizione cartacea: 978-88-5529-090-6 ISBN – Ebook: 978-88-5529-262-7 Copertina e Grafica: Ufficio grafico Inschibboleth Immagine di copertina: Alberto Savinio, La cité des promesses, 1928 © Pinacoteca di Brera, Milano
A Robert N. Bellah (1927-2013)
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L’età assiale Un dibattito scientifico sulla trascendenza
Uno dei più importanti campi di ricerca attuali nel terreno delle scienze storico-sociali ruota attorno alla cosiddetta età assiale1. Con questo concetto si intende, a partire da un’opera di Karl Jaspers del 1949 che reca il titolo di Origine e senso della storia, quel periodo temporale attorno alla metà del primo millennio avanti Cristo 1. Questo contributo costituisce una versione notevolmente estesa di un testo originariamente apparso in lingua inglese: H. Joas, The Axial Age Debate as Religious Discourse, in R.N. Bellah - H. Joas (a cura di), The Axial Age and Its Consequences, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (MA)-London 2012, pp. 9-29. Alcune singole formule iniziali nelle quali viene caratterizzata l’idea dell’età assiale sono state da me utilizzate anche in altra sede. Il grande numero di note presenti in questo scritto si deve al fatto che esso è stato pensato anche come una piccola guida nella sconfinata letteratura sull’argomento.
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nel quale − così Jaspers – hanno avuto origine tutte le grandi religioni del mondo e, oltre a ciò, anche la filosofia nell’antica Grecia. I rispettivi processi spirituali, secondo questa idea, avrebbero avuto luogo contemporaneamente nelle diverse grandi culture dell’umanità in maniera del tutto indipendente; non sono dunque riconducibili all’influenza di una cultura sull’altra. In tutte loro, inoltre, l’epoca del mito sarebbe giunta al termine e al suo posto sarebbe sorta un’epoca di riflessione sistematica sui presupposti essenziali dell’esistenza umana. Mentre nei tre decenni successivi alla pubblicazione del libro di Jaspers questa idea, appena caratterizzata in modo estremamente sintetico nelle precedenti righe, è stata poco discussa e ripresa solo sporadicamente, a partire dagli anni ’70 si è sviluppata una fiorente ricerca rivolta alla valutazione della tesi di Jaspers. Sullo sfondo di questa ricerca si trova, in linea con la sua appartenenza al campo delle scienze sociali, la domanda sulle ripercussioni che questa nuova forma di religione (e di filosofia) ha avuto sulla società. Se in precedenza, nell’epoca mitica, il divino era ancora nel mondo e parte di esso, e dunque non vi era una reale scissione tra reale e divino e gli spiriti degli avi e delle divinità po-
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tevano essere influenzati e manipolati proprio perché parti di questo mondo, oppure perché il regno delle divinità rappresentava semplicemente un mondo parallelo che non funzionava molto diversamente dal mondo terreno, con le nascenti filosofie e religioni della redenzione dell’età assiale si veniva a creare una notevole spaccatura tra i due mondi. Il pensiero centrale è che il divino sarebbe diventato, in quel periodo, il vero, l’autentico, il completamente altro di fronte al quale ciò che è terreno non può che risultare deficitario. Con questo pensiero non si pone tuttavia una mera differenza metafisica. Si genera piuttosto una tensione tra il «mondano» [das Mundane] (ciò che fa parte del mondo [das Weltliche]) e il trascendente, una tensione che ha notevoli ripercussioni sociopolitiche, poiché questo pensiero non è più compatibile, per esempio, con alcuna forma di reggenza divina. Se gli dèi risiedono in un altro luogo, il sovrano non può più essere simile a un dio. Anzi, a partire da quel momento, egli potrebbe tendenzialmente anche essere forzato a giustificarsi di fronte a certi postulati divini. Il sovrano è di questo mondo e si deve giustificare di fronte al vero mondo ultraterreno: si può dunque parlare di una de-
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sacralizzazione del potere politico. Diviene così possibile una nuova critica (del potere), che genera una dinamica completamente nuova nel processo storico, poiché si ha ora la possibilità di accusare il sovrano di non rispettare i comandamenti divini. Allo stesso tempo diviene anche possibile, in forma più radicale e accanita, discutere sulla vera divinità o sulla corretta interpretazione dei comandamenti divini, cosa che, nel breve o nel lungo termine, può condurre a conflitti o a una differenziazione tra comunità etniche e religiose. Gli intellettuali ante litteram, i preti, i profeti, ecc. hanno essenzialmente un ruolo di maggior importanza rispetto a prima dell’età assiale, poiché ora hanno il difficile compito di interpretare l’impenetrabile volontà di Dio e degli dèi, una volontà che non è più facilmente afferrabile con le categorie terrene. Col pensiero della trascendenza si apre, per così dire, la storia, vale a dire che si aprono terreni di conflitto completamente nuovi. Formulato in termini leggermente più astratti: col pensiero della trascendenza emerge anche il pensiero della fondamentale necessità di ricostruzione dell’ordine mondano. Da lì in poi l’ordine sociale verrà concepito come qualcosa di mutevole a seconda delle direttive divine. In questo mo-
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do vengono desacralizzate anche le strutturali diseguaglianze sociali. Divengono innanzitutto pensabili mirati sovvertimenti! Attraverso l’effetto dirompente delle idee che hanno origine nell’età assiale si manifesta, dunque, una nuova dinamica sociale. In questa sede non cercherò di offrire uno sguardo d’insieme empiricamente orientato sulle ricerche riguardanti l’età assiale. Piuttosto voglio cercare di interpretare il confronto sull’età assiale che ha luogo tra gli intellettuali, come un tentativo degli intellettuali stessi di posizionarsi rispetto al problema della “trascendenza”, al suo ruolo nella storia e alle possibilità contemporanee di articolarla. Preliminarmente dedicherò qualche riflessione all’origine del concetto di età assiale, all’idea che esso denota e al suo autentico significato.
1. L’età assiale: termine, idea, significato Perché Jaspers chiama età assiale quella determinata fase della storia da lui intesa con questo nome? A tutti i conoscitori dell’opera di Georg Simmel sembrerà ovvio trovare in essa la fonte
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d’ispirazione per questa denominazione, giacché Simmel nella sua opera tarda Intuizione della vita – un’opera che ha influenzato profondamente il giovane Heidegger – parla di rotazione assiale [Achsendrehung] come passaggio decisivo per il sorgere dei valori ideali. L’amore, ad esempio, per Simmel può essere scatenato da un’attrazione corporea, ma una volta che il desiderio originario porta alla costruzione di un’intensa relazione interpersonale, questa stessa relazione acquisisce una sua propria qualifica che è scaturigine di norme e di valori. Con «rotazione assiale» si intende dunque qui il sorgere di obiettivazioni culturali che sgorgano dal flusso della vita e che poi, tuttavia, su di essa retroagiscono2. Per Simmel «la rotazione delle 2. G. Simmel, Intuizione della vita. Quattro capitoli metafisici, tr. it. a cura di G. Antinolfi, Mimesis, Milano-Udine 2021. Per il concetto di Achsendrehung (rotazione assiale) in Simmel si veda H. Joas, Come nascono i valori, tr. it. a cura di M. Santarelli, Quodlibet, Macerata 2021, pp. 147-151. Sull’influsso del libro di Simmel sul primo Heidegger e la sua visione della morte si rimanda invece a M. Großheim, Von Georg Simmel zu Martin Heidegger. Philosophie zwischen Leben und Existenz, Bouvier, Bonn 1991; J.E. Jalbert, Time, Death, and History in Simmel and Heidegger, in «Human Studies», n. 26, 2003, pp. 259-283,
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forme»3 si realizza massimamente nella religione. Contro questa interpretazione dell’origine della scelta concettuale di Jasper, per come viene sostenuta dall’eminente studioso americano di Simmel Donald Levine4, mi sembra parlare
e l’introduzione molto istruttiva di D.N. Levine e D. Silver all’edizione in lingua inglese dell’opera di Simmel Lebensanschauung: G. Simmel, The View of Life, tr. ingl. a cura di J.A.Y. Andrews e D.N. Levine, Chicago University Press, Chicago (IL) 2010, pp. IX-XXXII. 3. G. Simmel, Intuizione della vita, cit., p. 110. 4. D.N. Levine, Note on the Concept of an Axial Turning in Human History, in S.A. Arjomand - E.A. Tiryakian (a cura di), Rethinking Civilizational Analysis, SAGE Publications, London 2004, pp. 67-70. Si potrebbe tuttavia argomentare che Simmel nel suo saggio su Michelangelo di fatto interpreta il ritorno alla dimensione terrena nell’arte rinascimentale come “rotazione assiale” di fronte all’orientamento per la trascendenza del Gotico e in questa direzione usa concetti quali ascesa e declino della trascendenza. Egli non parla tuttavia di questo mutamento come punto di svolta nella storia del mondo. Vedi G. Simmel, Philosophische Kultur, Kiepenheuer, Potsdam 1923, p. 168. Un precedente tentativo di indagare, piuttosto che l’influenza di Simmel su Jaspers, la possibilità di applicare il concetto simmeliano di Achsendrehung al concetto jaspersiano di Achsenzeit, ossia di vedere nell’Achsenzeit l’inizio dell’Achsendrehung è presente in: L. Franke, Die
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il fatto che Jasper con il suo concetto di “asse” non voleva intendere la relativa autonomia delle obiettivazioni culturali, ma piuttosto un asse attorno a cui ruota l’intera storia del mondo, il punto nella storia, dunque, in cui viene vissuta una dicotomica differenza tra tutto ciò che era stato e tutto ciò che sarà. Nel passaggio decisivo, oltretutto, Jaspers non fa riferimento a Simmel, ma a Hegel. Egli vedeva in Hegel l’ultimo grande esponente della storia del pensiero occidentale, per il quale, a partire da Sant’Agostino, era divenuto indubbio che gli atti di rivelazione divina rappresentino cesure decisive nella storia del mondo. Hegel si era così espresso: «Tutta la storia tende a Cristo e da lui viene; l’apparizione del figlio di Dio è l’asse della storia mondiale»5. Per lo Jaspers che scrive dopo la Seconda guerra mondiale una simile concezione cristo-centrica o cristianocentrica non è tuttavia più accettabile. La sua
Achsenzeit als Wendung zur Idee: K. Jaspers und G. Simmel, in «Zeitschrift für philosophische Forschung», n. 26, 1972, pp. 83-102. 5. K. Jaspers, Origine e senso della storia, tr. it. a cura di R. Regni, Mimesis, Milano-Udine 2014, p. 51.
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teoria dell’età assiale sgorga proprio dal tentativo di trovare un’alternativa, empiricamente sostenibile e universalmente accettabile, a questa concezione. Il problema nel riferimento di Jaspers a Hegel è, tuttavia, che il luogo in cui esso si esplica non è da egli ben chiarito e non si è potuto a oggi dunque identificarlo in maniera inequivocabile nelle opere hegeliane. Il passaggio testuale che più si avvicina a questa esigenza sembra trovarsi nelle lezioni di Hegel sulla filosofia della storia, nelle quali egli descrive l’idea di Trinità come determinante: «Dio è conosciuto come spirito solo in quanto è saputo come trino. Questo nuovo principio è il cardine intorno al quale ruota la storia mondiale»6. Per Hegel ciò significa che, con il sorgere della religione cristiana e con il suo imporsi nell’Impero romano: «[…] la coscienza di sé si era elevata fino a quei momenti che appartengono al concet6. G.F.W. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, tr. it. a cura di G. Bonacina e L. Schirollo, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 265 [tr. legger. mod.; N.d.T.]. Curiosamente l’edizione inglese traduce la parola “cardine” (Angel) con “asse” (axis): Cfr. G.F.W. Hegel, The Philosophy of History, tr. in. a cura di J. Sibree, Dover Publications, New York 1956, p. 319. Per questa notazione ringrazio Austin Harrington (Leeds).
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to dello spirito e fino al bisogno di afferrarli in maniera assoluta»7. Con ciò, tuttavia, nella sua costruzione della storia a partire dal principio della libertà dello spirito, si arriva a un livello, che nella sfera della religione non si lascia oltrepassare da nulla. Il calcolo abituale del tempo in Europa dimostrò così di non essere una convenzione accidentale, ma assumeva un senso fondamentale per l’intera umanità. Sembrerebbe dunque che Jaspers abbia semplicemente scambiato il concetto di Angel (cardine) con quello di Achse (asse) e da questo scambio abbia tirato fuori il concetto di Achsenzeit (età assiale). Una nuova scoperta ha tuttavia spostato l’attenzione su un’altra fonte terminologica di Jaspers. In un manuale di dogmatica che è stato largamente diffuso per decenni in Germania compare, già prima che in Jaspers, l’utilizzo del concetto di «asse» [Achse] in riferimento all’avvento di Cristo. L’essersi fatto uomo di Dio, così spiega Joseph Pohle nel suo Manuale: «rappresenta la vetta e il punto apica7. Ibidem. Per l’interpretazione di questo classico passo si veda: K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche: la frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX (1941), tr. it. a cura di G. Colli, Einaudi, Torino 2018, pp. 52-53, 55.
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le dell’autorivelazione di Dio all’umanità. Così Cristo diviene in verità l’asse del mondo e della storia del mondo, la dimostrazione vivente del teismo»8. Molto probabilmente nella memoria di Jaspers si sono sovrapposti i ricordi letterari derivanti da Hegel a quelli derivanti dalla teologia cattolica. Molto più importante della ricostruzione filologica del termine “età assiale” è, naturalmente, la questione dell’origine intellettuale dell’idea che esso sottende. A questo riguardo, Jaspers venne senza dubbio fortemente influenzato dagli scritti di Max Weber, di suo fratello Alfred Weber e, attraverso questi, dagli scritti di Ernst Troeltsch, amico e collega di lunga data di Max Weber, e del suo amico Wilhelm Bousset. Tut-
8. J. Pohle, Lehrbuch der Dogmatik, vol. I, Verlag von Ferdinand Schöningh, Paderborn 1914, p. 20 (corsivo mio). Per la scoperta di questo passo ringrazio Roland Kany (München). Non ho a ogni modo la controprova che Jaspers conoscesse questo testo. Il primo utilizzo del concetto di «asse» e di «età assiale» si attesta in Jaspers nel 1946, per l’esattezza nella conferenza Lo spirito europeo da egli tenuta a Ginevra. Vedi K. Jaspers, Lo spirito europeo, tr. it. a cura di G. Russo e G. Rametta, Morcelliana, Brescia 2019, p. 28.
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ti loro avevano già parlato nei loro lavori delle affinità tra i profeti ebraici e le manifestazioni a essi paragonabili in altre culture e utilizzato concetti come «epoca dei profeti» o «epoca sincronistica» per descrivere somiglianze e aspetti in comune di una certa fase storica. Queste riflessioni sono poi a loro volta nate sotto l’influsso di importanti studiosi della religione (Hermann Siebeck) e indologi (Rhys Davids) del XIX secolo, al punto che si è parlato di un dibattito sull’età assiale già attorno al 19009. Tuttavia, anche questi autori non erano stati i primi. Lo stesso Jaspers cita due precursori: il sinologo Viktor von Strauss e il filologo classico e filosofo Ernst von Lasaulx. Mentre von Strauss nel suo commentario a Lao-Tse del 1870 dedicò solo alcune righe a questo argomento, Lasaulx sviluppò di fatto ampiamente l’idea, poi ripresa da Jaspers, in un libro rimarchevole del 1856. Lo stesso Lasaulx citava comunque ancora altri precursori10. 9. Vedi M. Riesebrodt, Ethische und exemplarische Prophetie, in H.G. Kippenberg - M. Riesebrodt (a cura di), Max Webers Religionssystematik, Mohr Siebeck, Tübingen 2001, pp. 193-208. 10. Lasaulx cita A.F. Gfrörer, Urgeschichte des menschlichen Geschlechts, Verlag der Fr. Hurter’schen Buchhand-
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Allo stato attuale della storia di questa idea sembrerebbe che la prima formulazione della tesi dell’età assiale discenda dal grande orientalista Abraham Hyacinthe Anquetil-Duperron, il fondatore dell’iranistica, che allo stesso tempo fu anche uno dei fondatori dello studio comparato delle religioni. Un intellettuale francese profondamente religioso e realista, il quale nel 1769 affermava che le idee che Zarathustra propugnava (a suo parere nel IV secolo avanti Cristo) erano parte di una “rivoluzione” più ampia che includeva diverse regioni del mondo11. lung, Schaffhausen 1855, in part. p. 206, ed E. Roth, Die ägyptische und die zoroastrische Glaubenslehre als die ältesten Quellen unserer spekulativen Ideen, Verlagsbuchhandlung von Friedrich Bassermann, Mannheim 1846. Quest’ultimo rimanda a Anquetil-Duperron come sua fonte (vedi p. 348). 11. D. Metzler, A.H. Anquetil-Duperron (1731-1805) und das Konzept der Achsenzeit, in «Achaemenid History», n. 7, 1991, pp. 123-133. Egli fa riferimento all’edizione francese dell’antico Zend-Avesta iraniano (Parigi 1771) tradotta e curata da Anquetil-Duperron. Per una caratterizzazione del contributo offerto da Anquetil-Duperron, cfr. J. Osterhammel, Die Entzauberung Asiens: Europa und die asiatischen Reiche im 18. Jahrhundert, C.H. Beck, München 1998, pp. 293-296. Egli descrive la traduzione di Anquetil-Duperron come: «il primo confronto con un
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Reputo un problema di carattere empirico capire se si possano trovare formulazioni ancora precedenti e non credo, d’altronde, che la catena di rimandi testuali corrisponda anche alla storia degli effetti. Sembra inoltre che, molto prima che attraverso Jaspers si arrivasse a una definizione maneggevole, si trovasse una riflessione già in molti autori precedenti sia del mondo tedesco che del mondo anglofono. Riportare alcuni esempi, in parte scoperti per caso, sarà qui sufficiente. In John Stuart Stuart-Glennie, una figura quasi dimenticata della prima sociologia inglese, si trova, con una certa attinenza lessicale all’opera di Ernst von Lasaulx, il progetto di una nuova filosofia della storia e, allo stesso tempo, si parla di una «rivoluzione morale [moral revolution]» attorno al Sesto secolo a.C. Non è chiaro nel particolare fino a che punto questa diagnosi sia testo asiatico completamente indipendente dalle antiche tradizioni bibliche o del Mediterraneo e dunque il documento della fondazione di una vera scrittura polifonica della storia del mondo» (p. 293). In lingua francese esiste una biografia esaustiva dello studioso: J.L. Kieffer, Anquetil-Duperron. L’Inde en France au XVIIIe siècle, Les Belles Lettres, Paris 1983.
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dipendente dalle precedenti12 e da quella di von Lasaulx. Anche in un manuale di storia della religione degli esordi della scienza delle religioni in America si trovano formulazioni che restituiscono fin nel dettaglio la tesi dell’età assiale13. Il teologo protestante Rudolf Otto, il quale, con la pubblicazione del suo libro su Il sacro del 1917, ottenne il più grande successo editoriale teologico del Ventesimo secolo in Germania, e oltre a sviluppare le sue conoscenze sul cristianesimo si fece sempre più esperto della 12. J.S. Stuart-Glennie, In the Morningland. Or, The Law of the Origin and Transformation of Christianity, vol. I, The New Philosophy of History, Longmans, London 1873. È stato per primo Lewis Mumford a prestare attenzione al pensiero di questo autore in relazione al dibattito sul periodo assiale: The Transformations of Man, Harper & Brothers, London 1957, p. 57. Il sociologo americano Eugene Halton (Notre Dame) ha di recente scritto una monografia su Stuart-Glennie. Vedi E. Halton, From the Axial Age to the Moral Revolution. John Stuart-Glennie, Karl Jaspers, and a New Understanding of the Idea, Palgrave Pivot, London 2014. 13. G.F. Moore, History of Religion, vol. I, T. & T. Clark, Edinburgh 1914, pp. VIII-IX. Ho scoperto questo riferimento in J. Turner, Religion Enters the Academy. The Origins of the Scholarly Study of Religion in America, The University of Georgia Press, Athens (GE) 2012, p. 65.
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storia della religione indiana, indagò, a partire dal 1932, i «parallelismi e le convergenze nella storia della religione» e giunse al medesimo stato di cose14. Alfred Weber, oggi ancora meno letto rispetto al fratello Max, ha cercato di cogliere proprio lo stesso fenomeno definendolo nella sua opera principale del 1935 come «epoca sincronicistica»15. Un ultimo esempio: il parallelismo tra i profeti Ezechiele e Davide, Solone e Pitagora in Grecia e Buddha in India sembrò evidente e familiare anche al grande narratore tedesco Alfred Döblin – autore che, come pochi altri, si interessò alla molteplicità delle religioni – quando, durante il suo esilio in America, si dovette occupare di scrivere l’introduzione di un’edizione inglese degli scritti scelti di Confucio16. 14. R. Otto, Parallelen und Konvergenzen in der Religionsgeschichte, in Id., Das Gefühl des Überweltlichen, C.H. Beck, München 1932, pp. 282-305. Il suo libro è del resto dedicato a Wilhelm Bousset che già nel 1906 aveva introdotto il concetto di «epoca dei profeti». Si rimanda per questo alla nota 35. 15. A. Weber, Kulturgeschichte als Kultursoziologie, Sijthoff’s, Leiden 1935, p. 7. 16. Cfr. The Living Thoughts of Confucio, a cura di A. Döblin, Longmans, New York 1940, p. 17.
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All’inizio ho chiarito il senso della tesi dell’età assiale passando per la distinzione tra il trascendente e il mondano. In questo mi rifaccio al sinologo americano Benjamin Schwartz, il quale nel 1975 definì l’età assiale come «età della trascendenza [age of transcendence]»17. Ancora in termini più precisi mi è sembrato che, riguardo all’età assiale, si potesse parlare di epoca in cui nasce una rappresentazione della trascendenza. L’esperto italiano di storia antica Arnaldo Momigliano propose invece di parlare di «età del criticismo», un’epoca della critica dunque, e Shmuel Eisenstadt, il più importante sociologo israeliano, colui che più di chiunque altro ha contribuito a una rivitalizzazione della ricerca sull’età assiale, si ricollega proprio a questa accentuazione della relativizzazione normativa di tutto ciò che è terreno18. Non mi sembra es-
17. B. Schwartz, The Age of Transcendence, in «Dedalus» vol. 104, n. 2, 1975, pp. 1-7. 18. A. Momigliano, Alien Wisdom: The Limits of Hellenization, Cambridge University Press, Cambridge (UK) 1975, pp. 8-9. Dei molti lavori di S.N. Eisenstadts cito qui soltanto Die Achsenzeit in der Weltgeschichte, in H. Joas K. Wiegandt (a cura di), Die kulturellen Werte Europas, Fischer, Frankfurt a.M. 2005, pp. 40-68.
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serci alcuna contraddizione tra le due caratterizzazioni, soltanto una differenza d’accento: in un caso, l’accento viene posto sulla rivoluzione storico-religiosa stessa, nell’altro, sulle sue conseguenze politiche e sociali. Ci sono anche autori (Björn Wittrock, Johann Arnason) che considerano solo la riflessività spirituale e non l’idea di trascendenza, come caratteristica di tutti i sovvertimenti dell’età assiale19. Le controversie riguardano qui soprattutto il caso cinese20; non 19. Cfr. B. Wittrock, Cultural Crystallization and Civilization Change: Axiality and Modernity, in E. Ben-Rafael Y. Sternberg (a cura di), Comparing Modernities. Pluralism versus Homogeneity. Essays in Homage to Shmuel N. Eisenstadt, Brill, Leiden 2005, pp. 83-123, in part. p. 112. 20. Sia Schwartz che Bellah hanno sempre dato molta importanza all’interpretazione del confucianesimo come una religione dalle caratteristiche “post-assiali” e all’individuazione in diverse tradizioni cinesi di concetti che corrispondano per il loro significato a quello di trascendenza. Questa controversia non può tuttavia essere qui ulteriormente approfondita. Oltre al suo articolo The Age of Transcendence si rimanda qui al libro di B. Schwartz, The World of Thought in Ancient China, Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (MA)-London 1985. Si veda inoltre H. Roetz, Die chinesische Ethik der Achsenzeit. Eine Rekonstruktion unter dem Aspekt des Durchbruchs zu postkonventionellem Denken, Suhrkamp, Frankfurt a.M.
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è tuttavia questa la sede per approfondire nel dettaglio la questione21. Un ruolo decisivo per la messa in risalto della riflessività come carattere distintivo della trasformazione dell’età assiale è stato svolto dallo storico della scienza israeliano Yehuda Elkana 1992; Id., The Axial Age Theory: A Challenge to Historism or an Explanatory Device of Civilization Analysis? With a Look at the Normative Discourse in Axial Age China, in R.N. Bellah - H. Joas (a cura di), The Axial Age and Its Consequences, cit., pp. 248-273; M.J. Puett, To Become a God Cosmology, Sacrifice, and Self-Divinization in Early China, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (MA)-London 2002, pp. 1-29; R.N. Bellah, Religion in Human Evolution. From the Paleolithic to the Axial Age, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (MA)-London 2011, pp. 399-480. 21. J.P. Arnason - S.N. Eisenstadt - B. Wittrock, General Introduction, in Iid. (a cura di), Axial Civilizations and World History, Brill, Leiden-Boston 2005, pp. 1-12, in part. p. 7. Il volume contiene anche un articolo di Arnason sulla storia della tesi dell’età assiale: The Axial Age and Its Interpreters: Reopening a Debate (pp. 19-49). Questo articolo ha tuttavia più un carattere programmatico che storico-scientifico. A tal riguardo è molto istruttivo J.D. Boy - J. Torpey, Inventing the Axial Age: The Origins and Uses of a Historical Concept, in «Theory and Society», n. 42, 2013, pp. 241-259.
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nelle sue riflessioni sul sorgere nella Grecia antica di un «pensiero di secondo ordine», ossia di un pensiero che si rivolge a sua volta al pensare e al sapere, come si può trovare nella sfera delle indagini sulle dimostrazioni matematiche, oppure in quelle che riguardano la risoluzione di problemi etici o politici in filosofia22. Anche se un simile pensiero ambisce certamente ad andare oltre le particolarità delle specifiche situazioni e nonostante emerga all’orizzonte la possibilità di una validità universale, l’accento non viene tuttavia posto sull’universalismo morale. Quest’ultimo viene considerato come segno distintivo della trasformazione in una ulteriore linea di pensiero che si lega all’idea di età assiale. Ciò è particolarmente evidente in Karl-Otto Apel. Per lui una «logica dello sviluppo morale» acquisita sul piano psicologico, si può applicare senza indugio in una ricostruzione storica, al punto che – in particolare nell’«illuminismo greco» dei sofisti e di Socrate del V secolo a.C. – la trasformazione si può descrivere come passaggio 22. Y. Elkana, Second Order Thinking in Classical Greece, in S.N. Eisenstadt (a cura di), The Origins and Diversity of Axial Age Civilizations, vol. I, SUNY Press, Albany (NY) 1986, pp. 40-64.
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da una morale convenzionale a una morale postconvenzionale. Egli poi si spinge più in là, sino al punto di definire l’età assiale come «crisi adolescenziale dell’umanità». Un simile passaggio gli sembra possibile solo sulla base di un’etica filosofica della ragione23. Un’altra versione si trova nella Filosofia delle forme simboliche di Ernst Cassirer, opera nella quale il passaggio dal “mito” alla “religione” viene caratterizzato attraverso la prospettiva della simbolicità del simbolo. La religione – scrive Cassirer– compie il taglio che al mito come tale è estraneo: mentre essa si serve di immagini e di simboli sensibili, sa che sono tali, cioè sa che sono mezzi di espressione i quali, se rivelano un determinato senso, rimangono al tempo stesso necessariamente indietro rispetto ad esso, “indicano” questo significato senza mai coglierlo ed esaurirlo in modo completo24. 23. K.O. Apel, Diskurs und Verantwortung. Das Problem des Übergangs zur postkonventionellen Moral, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1990, passim, in part. pp. 429 ss. Le formule citate derivano dal corso di lezioni radiotrasmesse tenuto da Apel su Radio Bremen: «Funkkolleg Praktische Philosophie/Ethik». Studienbegleitbrief 2, Beltz, Weinheim 1980, pp. 51 e 81. 24. E. Cassirer, La filosofia delle forme simboliche. Il pensiero mitico, vol. II, tr. it. a cura di E. Arnaud, La Nuova
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In questo modo, ciò che in altri pensatori viene interpretato come una spaccatura tra la religione pre-assiale e quella post-assiale, viene descritto da Cassirer come passaggio dal mito alla religione. Trascendenza, critica, riflessività, universalismo morale e sguardo nella simbolicità del simbolo: con ciò abbiamo provvisoriamente cinque diverse risposte alla domanda di cosa contraddistingua l’età assiale. Queste determinazioni, come già evidenziato riguardo alla “trascendenza” e alla “critica”, non devono per forza essere tra loro contraddittorie. Esse non sono tuttavia nemmeno identiche, anche se sono intuitivamente riconoscibili relazioni tra gli stati di cose cui queste caratterizzazioni mirano. Qui non si vuole né fare chiarezza attraverso un forzoso atto definitorio, che impoverirebbe la ricchezza del discorso, né cercare di capire se una di queste
Italia, Firenze 1964, p. 332. Nella letteratura sull’età assiale si riferisce a Cassirer in particolar modo Matthias Jung, vedi ad esempio il suo contributo: Embodiment, Transcendence, and Contingency: Anthropological Features of the Axial Age, in R.N. Bellah - H. Joas (a cura di), The Axial Age and Its Consequences, cit., pp. 77-101.
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determinazioni sia più appropriata a sussumere sotto di sé tutte le altre25. La mia argomentazione non mira a questo, ma a sensibilizzare al fatto che tutti i contributi a questo dibattito sono modellati da assunti sulla religione e da posture religiose. È difficile in generale trovare un linguaggio per ciò che qui si intende nel quale non si insinui uno specifico credo religioso o delle premesse laiche. Quando ho parlato di nascita [Entstehung] della rappresentazione della trascendenza, l’ho fatto per evitare di parlare di “scoperta” [Entdeckung] o di “invenzione” [Erfindung], poiché il termine “scoperta” qualifica l’irrompere dell’età assiale come progresso storico-religioso, mentre il termine “invenzione” è convincente solo se si parte da una prospettiva laica. Inoltre, se non si considera la trascendenza come caratteristica definitoria dell’età assiale, cambia anche il punto di vista sulle possibili conseguenze di una perdita della trascendenza: esse sembrano meno drammatiche e minacciose per l’universali-
25. Robert Bellah, partendo da una base psicologico-evolutiva, ha cercato di trovare una sintesi nel concetto di «cultura teoretica». Si veda per questo infra, pp. 95 ss.
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smo morale rispetto al modo di vedere classico. Le pretese di un ritorno agli impulsi originari dell’età assiale possono essere viste oggi come vigorose, persino profetiche, liberazioni da forme tarde e annacquate, o come una pericolosa ricaduta in obsoleti fanatismi. Le differenti versioni dei mutamenti dell’età assiale possono essere fatte interagire (Atene o Gerusalemme?); può anche darsi una nostalgia per miti e cosmologie dell’età pre-assiale o un modernismo radicale che considera l’eredità dell’età assiale come mera preparazione per una modernità che è nel suo nucleo indipendente da questa stessa eredità. Possiamo considerare questa relazione con l’età assiale in termini di superamento o sostituzione, come ha fatto Jürgen Habermas negli anni ’7026, oppure in termini di addizione 26. Degno di nota è il fatto che, nel suo tentativo di riformulazione del materialismo storico, Jürgen Habermas si riferisca alla tesi jaspersiana dell’età assiale. Cfr. J. Habermas, Storia ed evoluzione, in Id., Per la ricostruzione del materialismo storico, tr. it. a cura di F. Cerutti, ETAS, Milano 1979, pp. 154-203, in part. p. 190. Altrettanto degno di nota è, tuttavia, il fatto che per lui ciò che di nuovo emerge nel periodo assiale “sostituisca” il vecchio attraverso una narrazione, ovvero attraverso una chiarificazione argomentativa (ivi, p. 192). In ciò risiede la differenza es-
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e integrazione, come ha fatto Robert Bellah. In ogni caso, il dibattito sull’età assiale è adatto, da un lato, a portare alla luce i più o meno celati presupposti religiosi o antireligiosi di importanti teorie della storia e delle trasformazioni sociali, e dall’altro lato, a far riatterrare sul piano storico-sociale gli attuali e spesso animati dibattiti sulla religione. Da questa prospettiva, un’esaustiva presentazione del dibattito sull’età assiale non può ovviamente qui essere offerta. Di seguito cercherò di tratteggiare una serie di vignette: su Ernst von Lasaulx, Max Weber e Karl Jaspers. I più antichi precursori, come Ernst Cassirer, Alfred Weber ed Eric Voegelin rimarranno dunque un po’ al margine. Della conversione del dibattito in un programma di ricerca delle scienze sociali e dei suoi più importanti sostenitori nell’immediato presente, soprattutto Shmuel Eisenstadt e Robert Bellah, parlerò brevemente in conclusione.
senziale tra le opinioni (dell’epoca) di Habermas e quelle di Bellah (vedi infra, pp. 94 ss.).
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2. Lasaulx e la ripresa della scrittura della storia universale cristiana Il nome e l’opera di Lasaulx sono oggi a tal punto dimenticati che sembra appropriato cominciare con alcune informazioni biografiche27. La-
27. Le mie fonti principali per le informazioni biografiche sono: A. Schwaiger, Christliche Geschichtsdeutung in der Moderne. Eine Untersuchung zum Geschichtsdenken von Juan Donoso Cortés, Ernst von Lasaulx und Vladimir Solov’ev in der Zusammenschau christlicher Historiogra phieentwicklung, Duncker & Humblot, Berlin 2001, pp. 236 ss., e l’introduzione di Eugen Thurnher per la riedizione dell’opera di Lasaulx, Neuer Versuch einer alten, auf die Wahrheit der Tatsachen gegründeten Philosophie der Geschichte, Oldenbourg, München 1952, pp. 7-60. Cfr. anche F. Engel-Janosi, The Historical Thought of Ernst von Lasaulx, in «Theological Studies», n. 14, 1953, pp. 377-401. Ispirata da Engel-Janosi è anche la dissertazione viennese di Herta-Ursula Docekal: Ernst von Lasaulx. Ein Beitrag zur Kritik des organischen Geschichtsbegriffs, Aschendorff, Münster 1970. Per ciò che riguarda la caratterizzazione dell’ambiente intellettuale di cui fece parte Lasaulx è impareggiabile il capitolo Die Auseinandersetzung mit dem Zeitgeist di Franz Schnabel in Id., Deutsche Geschichte im 19. Jahrhundert, vol. IV, Die religiösen Kräfte, Herder, München 1937, pp. 164-202. Schnabel nomina tuttavia erroneamente Lasaulx come nipote di Görres (ivi, p. 168). È vero invece che Görres era sposato con Catherine von
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saulx, nato nel 1805, discendeva da una famiglia lussemburghese di alto lignaggio ed era strettamente legato alle forme più avanzate del cattolicesimo conservativo della Baviera del Diciannovesimo secolo. Fu allievo di Joseph Görres con il quale era anche imparentato e sposò una delle figlie di Franz von Baader. Senza le tracce della sua opera presenti negli scritti di Lord Acton e di Jacob Burckhardt, egli sarebbe oggi del tutto dimenticato. Quando nel 1832 il principe di Baviera divenne il primo re di Grecia dopo l’indipendenza dall’Impero ottomano, egli fece parte del suo entourage. Il soggiorno in Grecia e in Terra Santa lasciò tracce profonde sul suo pensiero. Egli descrisse il pensiero greco come un secondo e apocrifo Antico Testamento, facendo così apparire il cristianesimo come una sintesi riuscita dell’ebraismo e dell’ellenismo. Al suo ritorno divenne professore a Monaco, dove Lasaulx, una cugina di Ernst von Lasaulx. Informazioni dettagliate sulle ragioni del forte interesse di Jakob Burckhardt per Lasaulx e sul suo confronto con lui si trovano in W. Kaegi, Jakob Burckhardt. Eine Biographie, vol. XI, Schwabe, Basel 1977, pp. 90-96, e in A. Koeter, Ernst von Lasaulx’ Geschichtsphilosophie und ihr Einfluß auf Jacob Burckhardts «Weltgeschichtliche Betrachtungen», Dissertation, Universität Münster, 1937, pp. 90-127.
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Lord Acton fece parte dei suoi studenti. Egli fu anche politicamente molto attivo, ad esempio come membro nell’Assemblea nazionale di Francoforte del 1848. Venne temporaneamente sospeso dalla sua cattedra, poiché aveva protestato contro l’ammissione al ceto nobiliare di Lola Montez, ballerina e amante del re Ludovico I. Lo scopo dei suoi sforzi intellettuali fu la rivitalizzazione della storiografia universale cristiana in un’epoca di crescente nazionalizzazione della storia. Fino al Diciassettesimo secolo in Europa aveva chiaramente dominato una prospettiva cristiana della storiografia, ma in seguito essa aveva lasciato gradualmente il posto a una tassativa divisione tra la storiografia fondata empiricamente e il discorso teologico sulla storia della salvezza [Heilsgeschichte]. Lasaulx e gli altri pensatori romantici supponevano di poter ripristinare l’antica unità di teologia e storia, certo non attraverso il ritorno a tesi sulla storia dogmatiche o fondate biblicamente, ma in maniera empiricamente dimostrabile. Il titolo dell’opera principale di Lasaulx è Neuer Versuch einer alten, auf die Wahrheit der Tatsachen gegründeten Philosophie der Geschichte [Un nuovo tentativo per una vecchia filosofia della storia basata sui fatti]. Io interpreto questo titolo pro-
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prio nel senso di un nuovo tentativo in un ambito ormai dato per superato, a partire tuttavia da un fondamento empirico. Lasaulx si distingue dagli altri pensatori cattolici conservatori del suo tempo per una interpretazione “inclusivista” della religione. Per lui gli insegnamenti della religione cattolica non erano delle verità rivelate che stridevano seccamente con le altre forme di cristianesimo o con le altre religioni; piuttosto per lui tutte le religioni appartengono a uno e a un medesimo processo di evoluzione religiosa dell’umanità28. Una tale comprensione inclusivista della religione costituiva, ovviamente, il presupposto logico per l’applicazione di metafore o teoremi organicistici alla storia della religione. Per Lasaulx, vi è un rigoroso parallelismo tra lo sviluppo degli individui e quello degli interi popoli. Il punto di partenza è sempre il credo religioso. Il dubbio giovanile è dunque una fase necessaria, ma temporanea, che finisce o nella disperazione o in una riconciliazione con la fede. Egli porta avanti l’analogia fino al punto che per lui anche l’affievolirsi della vitalità nel processo di invecchiamento vale sia per i popoli 28. Cfr. A. Schwaiger, Christliche Geschichtsdeutung, cit., p. 267.
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che per gli individui. Per questo motivo alcuni hanno erroneamente affermato che Lasaulx fu uno dei precursori di Oswald Spengler. La secolarizzazione, secondo Lasaulx, è il segno di un decadimento dell’organismo. L’indifferenza per la religione, la mancanza di rispetto per le tradizioni religiose, l’attrazione per altre forme di fede, la formazione di sette, lo scetticismo o la perdita completa della fede emergono dunque come sintomi degenerativi; secondo Lasaulx, essi si trovano soprattutto nei ceti più elevati e tra i “mezzi ignoranti” [Halbwissern]29. L’immortalità dell’anima e l’esistenza di entità divine divengono, secondo Lasaulx, oggetto di speculazione intellettuale solo quando si dissolve la vitalità originaria, che faceva apparire assurdo ogni dubitare su di essi. Ma questa analogia tra evoluzione biologica e religiosa ha un chiaro limite in Lasaulx30. La religione come tale, nella sua concezione, non si evolve seguendo le leggi dello sviluppo orga-
29. E. Lasaulx, Neuer Versuch, cit., p. 159. 30. In questo punto la mia interpretazione diverge da quella di Schwaiger. Cfr. A. Schwaiger, Christliche Geschichtsdeutung, cit., p. 267.
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nico. Le istituzioni religiose non invecchiano né decadono. Al contrario egli ipotizzava che mentre la Chiesa cattolica aveva già assistito all’ascesa delle dinastie europee, essa sarebbe stata testimone e sarebbe sopravvissuta anche al loro declino. La differenza fondamentale rispetto alle più antiche versioni del pensiero storico-teologico sembra risiedere nel fatto che Lasaulx non pare contemplare la rivitalizzazione religiosa di un popolo che invecchia. Altri popoli assumono il ruolo di campioni della fede e le danno nuova forza vitale. Rispetto alla globalizzazione odierna del cristianesimo e i bassi tassi di fertilità dei paesi laici31, queste speculazioni non suonano affatto implausibili, ma ovviamente poggiano su basi traballanti. La sua comprensione inclusivista dell’evoluzione religiosa e del rapporto tra religione e filosofia porta Lasaulx ad andare oltre un’interpretazione meramente culturalista della nascita della filosofia greca.
31. P. Norris - R. Inglehart, Sacred and Secular. Religion and Politics Worldwide, Cambridge University Press, Cambridge (UK) 2004. Al riguardo si veda la brillante critica a questo libro molto influente di D. Silver, Religion without Instrumentalization, in «Archives européennes de sociologie», n. 47, 2006, pp. 421-434.
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Proprio nel punto in cui egli parla del parallelismo tra l’adolescenza degli individui e quella dei popoli, troviamo forse la più chiara formulazione della tesi dell’età assiale prima di Jaspers: Poiché non può essere una coincidenza che più o meno nello stesso periodo, seicento anni prima di Cristo, Zoroastro apparve in Persia, Gautama Buddha in India, Confucio in Cina, i profeti tra gli ebrei, il re Numa a Roma e i primi filosofi Ionici, Dorici, Eleati in Grecia, come riformatori della religione popolare; questa strana coincidenza può avere la sua ragione unicamente all’interno della sostanziale unità della vita umana e della vita dei popoli, solo in una vibrazione comune, che muove tutti i popoli e non nell’effervescenza particolare dello spirito di un popolo32.
Ciò sembra quasi letteralmente una formulazione jaspersiana. Gesù Cristo è per Lasaulx il più grande eroe della storia dell’umanità. Per lui Mosè non è la sola figura nella storia della rivelazione e della salvezza, ma lo sono anche Socrate, Buddha, Zarathustra e altri ancora. In modo impercettibile, Lasaulx slitta dalla constatazione dei parallelismi tra l’evento salvifico
32. E. Lasaulx, Neuer Versuch, cit., p. 137.
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giudeo-cristiano e le altre manifestazioni religiose a una visione puramente eroica della storia. Nel suo libro egli elenca coloro che, secondo lui, meritano lo status di eroi, e questa lista si estende fino ai suoi giorni e include nomi come Hamann, Kant, Goethe, Gluck, Mozart e, poco sorprendentemente, Joseph Görres. Questa tendenza intellettuale non passò inosservata alla Chiesa: pochi anni dopo la sua pubblicazione, il libro di Lasaulx fu inserito dal Papa nell’indice dei libri proibiti. Lasaulx morì prima (nel 1861) e quindi non possiamo sapere come avrebbe reagito a questa condanna. La condanna papale fu però fatale per la sua opera, poiché ne fece un tabù per i circoli cattolici. Allo stesso tempo, essa era etichettata come eccessivamente cattolica e reazionaria da filosofi e storici liberali33. Persino un cattolico liberale come Ignaz von Döllinger prese le distanze dal livellamento del ruolo di Cristo per la salvezza operato da Lasaulx. È emblematico il fatto che la resurrezione e il ritorno di Cristo non avessero alcun ruolo nella filosofia della storia di Lasaulx.
33. Vedi A. Schwaiger, Christliche Geschichtsdeutung, cit., p. 244.
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A lui si può, tuttavia, riconoscere il merito di aver cercato di mettere in comunicazione tra loro la storia delle religioni e il discorso religioso, così come avrebbe tentato successivamente di fare Ernst Troeltsch. I parallelismi tra le religioni del mondo rappresentano una sfida per tutti i fedeli, ma anche per gli spiriti laici. La questione della “rivelazione” non può essere ignorata così facilmente: Lasaulx si era posto la domanda se possano darsi una o più rivelazioni, e aveva rivendicato per la filosofia un posto al suo interno. Questo è il punto dal quale Karl Jaspers, con un retroterra completamente diverso e perseguendo un altro progetto filosofico, sarebbe ripartito quasi un secolo dopo.
3. Max Weber: profezia, magia e sacramento Sebbene non abbia mai utilizzato il termine “età assiale”, Max Weber deve avere una certa prominenza in ogni ricostruzione seria su questo dibattito. In un breve passaggio del paragrafo intitolato Profeta contenuto nella parte sociologico-religiosa di Economia e società, Weber ricostruisce dei parallelismi greci e indiani con
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i profeti ebrei, parallelismi che, nonostante egli non ne faccia alcuna menzione in questo passaggio (cosa che avverrà in seguito)34, sembrano rimandare alla figura del teologo evangelico Wilhelm Bousset e al suo discorso su una presunta “epoca profetica”. Nello studio di Weber sull’induismo, compare una famosa nota a piè di pagina35, nella quale l’autore rimanda altresì alla filosofia cinese, tacciando le «bizzarre insinuazioni» di Eduard Meyer di spiegare in termini biologici la «coincidenza temporale di questo stadio evolutivo». Assai più rilevante di simili singoli passaggi è tuttavia il fatto che i profeti abbiano un ruolo così importante nella 34. M. Weber, Economia e società. Comunità religiose, tr. it. a cura di M. Palma, Donzelli, Roma 2017, pp. 43 ss. Il successivo riferimento a Bousset è presente a p. 246 (in nota). A questo riguardo, il testo più importante di Bousset è il capitolo Propheten und Prophetische Religionen, in W. Bousset, Das Wesen der Religion, dargestellt an ihrer Geschichte, Gebauer-Schwetzke, Halle 1906, pp. 82-103. 35. M. Weber, Hinduismus und Buddhismus, in Id., Gesammelte Aufsätze zur Religionssoziologie, vol. II. Mohr Siebeck, Tübingen 1921, p. 155 [la nota indicata da Joas non è presente nell’ed. it., Sociologia della religione. Induismo e buddhismo, a cura di G. Mancuso e E. Schöfer, Newton Compton, Roma 1975; N.d.T.].
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comprensione weberiana della storia delle religioni. Credo che non si esageri affermando che i profeti o l’età profetica rappresentano, per Weber, il momento di maggior rilevanza nella storia delle religioni, la cesura definitiva tra i millenni della religione magica e la nuova epoca delle «“religioni della redenzione” postmagiche». Oggi abbiamo un’enorme letteratura sulle fonti delle concezioni weberiane e sulla loro legittimità empirica36, il che rende difficoltosa in questa sede anche una breve sintesi. Mi limiterò dunque a un singolo punto che è, a mio avviso, di massima importanza strategica per la valutazione del contributo di Weber. Questo punto riguarda la comprensione weberiana di ciò che sono i sacramenti, del loro modo di relazionarsi al magico e di quale sia il loro ruolo nella modernità. I sacramenti sono solamente l’equivalente post-età assiale di ciò che prima era il magico o si differenziano completamente da tutto ciò che è precedente all’età assiale? Nella letteratura su Weber, si denota spesso una differenza radicale tra gli scritti che egli inter36. Qui merita di essere menzionata in particolare l’opera di W. Schluchter, Religion und Lebensführung, vol. II, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1988.
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preta e la sua stessa opera37. Mentre degli scritti provenienti dal mondo accademico del Reich da lui consultati, si dice spesso (e a ragione) che la visione della storia delle religioni che ne traspare è impostata in modo tale da lasciar comparire il cristianesimo protestante come il punto più elevato dello sviluppo delle religioni, gli scritti di Weber vengono descritti come privi di simili inclinazioni, come pure e imparziali sistematizzazioni di carattere sociologico e scientifico, e come esplicitazioni concettuali di un enorme materiale che riguarda il sapere della storia delle religioni. Contrariamente a questa visione diffusa, ritengo che anche Comunità religiose, la sezione di taglio sociologico-religioso presente in Economia e società, e le note Considerazioni intermedie nella raccolta dei saggi contenuti in Sociologia della religione presentino una struttura narrativa latente. Per la storia contenuta in questi testi è assolutamente costitutiva, sia per il suo passato che per il suo futuro, una certa visione del protestantesimo – principalmente di orientamento calvinista piuttosto che luterano – 37. Esemplare al riguardo E. Hanke, Erlösungsreligionen, in H.G. Kippenberg - M. Riesebrodt (a cura di), Max Webers Religionssystematik, cit., pp. 209-226, in part. p. 214.
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così come d’altronde una certa opinione sulla superiorità dell’Occidente. Gli studi comparativi di Weber sull’etica economica delle religioni universali non erano: un’ampia analisi comparativa per sé, quanto piuttosto un tentativo di individuare nell’analisi di contesti extraeuropei elementi di confronto con le ‘nostre religioni culturali occidentali’. Weber aveva una certa idea dell’unicità dell’Occidente, che, stando al nostro grado di conoscenza attuale, non può che essere definita come estremamente problematica, se non del tutto insostenibile, soprattutto se pensiamo alla Cina38.
In effetti, la nostra attuale conoscenza della Cina evidenzia quanto fossero altamente problematiche le sue presupposizioni e ciò diviene chiaro persino per i più superficiali osservatori dell’attuale trasformazione economica dell’Estremo Oriente. Chiamo in causa questo argomento poiché credo che sostenga la mia
38. B. Wittrock, Cultural Crystallizations and World History: The Age of Ecumenical Renaissance, in J.P. Arnason - B. Wittrock (a cura di), Eurasian Transformations. Tenth to Thirteenth Centuries, Brill, Leiden-Boston 2004, pp. 41-73: p. 42.
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ipotesi di una struttura narrativa latente in Weber. Questa struttura narrativa deve essere però prima portata alla luce, per poter essere sottoposta a un esame critico. A mio avviso, le presupposizioni di Weber condizionano la sua visione del protestantesimo non ascetico, del confucianesimo e, soprattutto, del cattolicesimo. Il modo più rapido per chiarire il mio punto di vista è ricorrere al trattino, sovente interposto da Weber tra “magico” e “sacramentale”: “magico-sacramentale”. Weber sa – e scrive nel paragrafo sugli stregoni-sacerdoti – che qui si configura una differenza sostanziale tra «coazione di dio» [Gotteszwang] e «servizio divino» [Gottesdienst]39. In realtà, egli aggiunge poi che l’antitesi è «assai fluida» e, sul piano empirico, ciò è certamente corretto40. La demagizzazione della religione rappresenta, dopotutto, un lungo processo che non si è compiuto repentinamente, ma che anzi ha dovuto compiersi nuovamente con il trasferimento delle religioni dell’età assiale in contesti più primitivi, come avvenuto ad esempio dopo la cristianizza39. M. Weber, Comunità religiose, cit., p. 23. 40. Ivi, pp. 27 ss.
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zione dell’Europa41. Se ragioniamo tuttavia in termini decostruttivi, se non prestiamo dunque attenzione unicamente alle definizioni e alle tesi esplicite presenti nel testo, ma anche agli esempi e alle considerazioni a margine, possiamo concludere rapidamente che le affermazioni di Weber sono permeate da esternazioni sul cattolicesimo, che riducono a pura magia le sue pratiche, se non financo la sua dottrina. Proprio nella parte iniziale di Comunità religiose, Weber cita gli europei del sud che sputano sulle immagini sacre «[…] qualora, a dispetto delle consuete manipolazioni, venga a mancare l’effetto
41. Sulla complessità degli sviluppi nel cristianesimo europeo post-medievale vedi K. Thomas, La religione e il declino della magia, tr. it. di F. Saba Sardi, Mondadori, Milano 1985, e C. Taylor, L’età secolare, ed. it. a cura di P. Costa, Feltrinelli, Milano 2009. Su Taylor si veda anche il mio saggio Die säkulare Option. Ihr Aufstieg und ihre Folgen, in «Deutsche Zeitschrift für Philosophie», n. 57, 2009, pp. 293-300. Non ritengo opportuno qui entrare nel merito dei principi teologici di una coerente teoria dei sacramenti da Agostino a oggi, passando per la scolastica. Per un’eccellente panoramica, si rimanda alla voce Sakrament, in M. Buchberger - W. Kasper (a cura di), Lexikon für Theologie und Kirche, vol. VIII, Herder, Freiburg-BaselRom-Wien 1999, pp. 1437-1455.
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desiderato»42. «Nessuna risoluzione conciliare che distingua l’“adorazione” [Anbetung] di Dio dalla “venerazione” [Verherung] delle immagini sacre come meri strumenti di devozione è stata in grado di impedirlo»43. Sebbene ciò costituisca con certezza un fedele spaccato dei fenomeni nella religione popolare, in molte altre circostanze Weber – e non già il semplice credente teologicamente inconsapevole – è responsabile dell’offuscamento di simili distinzioni. Il sacerdote cattolico viene definito come detentore del «potere magico, nel compiere il miracolo della messa e nel potere delle chiavi»44; egli è, in senso stretto, assolutore dei peccati. Weber sa bene che il sermone ricopre un ruolo marginale nella funzione cattolica rispetto alla liturgia protestante; tuttavia, esprime ciò come se esistesse una legge secondo cui il significato del sermone è sempre «inversamente proporzionale alle componenti magiche di una religiosità».45 Il sacramento dell’eucarestia, fusione fisica con il
42. M. Weber, Comunità religiose, cit., p. 4. 43. Ibidem. 44. Ivi, p. 23. 45. Ivi, p. 4.
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corpo divino di Cristo, è indicato esplicitamente come «essenzialmente magico»46. La maggior parte dei lettori odierni degli scritti di Weber non si renderà neanche conto del fatto che queste frasi possono essere offensive per i cattolici. Non se ne accorgeranno o perché hanno essi stessi interiorizzato l’immagine protestante del cattolicesimo o perché, in quanto laici, considerano queste differenze confessionali alla stregua di assurde cavillosità. Non si accorgono, dunque, che le caratterizzazioni apparentemente neutre di Weber sono in diretta continuità con i topoi della polemica confessionale sin dai tempi della Riforma. In altri contesti Weber presenta il cattolicesimo come un politeismo mascherato, non comprendendo appieno né la dottrina trinitaria né il ruolo dei santi47. Non intendo certo affermare che We46. Ivi, p. 160. 47. Il miglior lavoro su questo punto, a mio avviso, è tuttora rappresentato da W. Stark, The Place of Catholicism in Max Weber’s Sociology of Religion, in «Sociological Analysis», n. 29, 1968, pp. 202-210, in part. p. 203. Per una critica piuttosto polemica alla sociologia di Weber come parte di una “metanarrativa liberal-protestante”, si veda J. Milbank, Theology and Social Theory: Beyond
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ber avesse un’immagine eccessivamente positiva del protestantesimo; come è risaputo, in una lettera a Adolf von Harnack egli definì il luteranesimo «il più terribile di tutti gli orro Secular Reason, John Wiley and Sons Ltd, Oxford 1990, pp. 92-98. Per una mia critica si veda invece H. Joas, Un raffinato fondamentalismo di sinistra? A proposito di John Milbank, in Id., Abbiamo bisogno della religione?, tr. it. a cura di A.M. Maccarini, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010, pp. 83-102. Lo studio più completo sull’argomento è: A. Carroll, Protestant Modernity. Weber, Secularization, and Protestantism, University of Scranton Press, Scranton (PA) 2007. Qui la mia recensione: «Theologie und Philosophie», n. 85, 2010, pp. 101-103. Inoltre, si veda M. Borutta, Antikatholizismus: Deutschland und Italien im Zeitalter der europäischen Kulturkämpfe, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2010 (per ciò che riguarda Weber, pp. 116-120). Per uno sfondo biografico dei lavori di Weber cfr. D. Kaesler, Max Weber. Eine Biographie, C.H. Beck, München 2014, pp. 505-515. È interessante notare come il teologo luterano Ernst Troeltsch, argomentando in maniera completamente diversa da Weber, abbia persino difeso in modo esplicito da una interpretazione “magica” la comprensione cattolica del sacramento, sottolineando il carattere profondamente etico della preparazione al sacramento e della prova. Cfr. E. Troeltsch, Protestantisches Christentum und Kirche in der Neuzeit (1909), in Id., Kritische Gesamtausgabe, vol. VII, de Gruyter, Berlin 2004, pp. 114 ss.
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ri»48 e anche il suo atteggiamento nei confronti del calvinismo era oltremodo ambivalente. La mia opinione è, piuttosto, che l’analisi di Weber abbia una struttura narrativa e sia inquadrata in categorie temporali quali il progressivo “disincanto” o la crescente “razionalizzazione”; categorie che sono solo in apparenza religiosamente neutre. Considerato che il concetto di razionalizzazione non costituì sin dagli inizi un principio trainante per le analisi di Weber, ma all’inizio gli si propose piuttosto come un concetto-ombrello delle sue confliggenti indagini individuali per poi invece ricoprire così tanti fenomeni diversi che si fa fatica a riconoscerne il denominatore comune, mi appare chiaro il significato del concetto di “disincanto”: esso non significa secolarizzazione (sebbene anche questo termine sia ambiguo), bensì “demagizzazione”, un processo in cui «le dinamiche del
48. In una lettera ad Adolf von Harnack del 5 febbraio 1906, Max Weber scriveva: «Così Lutero torreggia sopra tutti gli altri – il luteranesimo è per me, non lo nego, nelle sue manifestazioni storiche, il più terribile di tutti gli orrori […]» (M. Weber, Briefe 1906-1908, in Max Weber-Gesamtausgabe, vol. II/5, a cura di M. Rainer Lepsius e W. Mommsen, Mohr Siebeck, Tübingen 1990, pp. 32-33).
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mondo […] perdono il loro significato magico», limitandosi a “essere” e a “succedere”, senza “significare” nient’altro49. Presentando i sacramenti e l’esperienza umana a essi associata come quasi magica, come un residuo o una ricaduta nel mondo della magia, Weber colloca il cattolicesimo nell’età pre-assiale e lo esclude così dalle opzioni da prendere sul serio per il presente. Secondo Weber, la religione tutta, e il cattolicesimo in particolare, richiede «a un certo punto il credo non quod, sed quia absurdum» o il «sacrificio dell’intelletto»50. Queste righe sono state scritte nel momento in cui il modernismo cattolico godeva di grande importanza negli ambienti intellettuali e contestualmente all’ascesa del cosiddetto movimento liturgico! Persino nelle Considerazioni intermedie, che possono essere lette come una mera tipologia di possibili conflitti tra gli orientamenti religiosi e le sfere valoriali, Weber presenta delle riflessioni sulla coerenza interna degli orientamenti
49. M. Weber, Comunità religiose, cit., p. 168. 50. M. Weber, Considerazioni intermedie. Il destino del l’Occidente, tr. it. a cura di A. Ferrara, Armando, Roma 2006, p. 52.
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religiosi. Esse non andrebbero, tuttavia, prese per oro colato. Soltanto il puritanesimo gli appare essere in sé coerente, con la sua dottrina della predestinazione, da un lato, e un ethos della fraternità “acosmistico” comparabile a quello indiano, dall’altro, e questa riflessione è presentata come il risultato di una scala puramente razionale di possibilità. Ma questo costrutto, partendo da ipotesi complicate sulla relazione tra esperienza religiosa ed elaborazione intellettuale del problema della teodicea51, non coglie la trasformazione dell’esperienza religiosa in esperienza “sacramentale”52 nel quadro dell’età assiale e, pertanto, fornisce un’immagine distorta delle opzioni attualmente sostenibili. Un’interpretazione della sociologia della religione di Weber, come quella qui presentata, colloca i suoi contributi nei dibattiti intellettuali sulla religione che si svolgevano al suo tempo, epurandoli in parte del loro carattere canoni-
51. Cfr. H. Joas, Un raffinato fondamentalismo di sinistra?, cit., p. 23. 52. R.N. Bellah, Flaws in the Protestant Code: Some Religious Sources of America’s Troubles, in «Ethical Perspectives», n. 7, 2000, pp. 288-299.
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co. Essa si allinea a tentativi come quello di Friedrich Wilhelm Graf, di mostrare quanto la netta distinzione di Weber tra le implicazioni politiche del luteranesimo e del calvinismo fosse strettamente collegata alle polemiche confessionali insite nel protestantesimo del XIX secolo53. D’altronde, confrontando la comprensione dei profeti ebrei in Weber e Troeltsch, Eckart Otto ha dimostrato come, al netto di alcune somiglianze, i due abbiano perseguito obiettivi argomentativi distinti, e ciò si riscontra anche nelle loro conclusioni. Caratterizzando la teodicea come “pratica”, in cui la spiegazione non è al centro dell’interesse profetico, poiché i profeti “non vogliono spiegare il destino, ma portare a una decisione e presa di posizione pratica”, Troeltsch mette questa dialettica dell’esperienza interiore, e la riflessione conseguente, al servizio della difesa contro le erronee interpretazioni razionalistiche della profezia, mentre in M. Weber, essa è posta invece a
53. F.W. Graf, Die “kompetentesten” Gesprächspartner? Implizite theologische Werturteile in Max Webers “Protestantischer Ethik”, in V. Krech - H. Tyrell (a cura di), Religionssoziologie um 1900, Ergon, Würzburg 1995, pp. 209-248.
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difesa della prova della sua motivazione “puramente religiosa” e della sua indipendenza politico-economica, nonché della demarcazione del carisma come punto di svolta nel processo di razionalizzazione e quotidianizzazione54.
Nello studio dei profeti ebraici, l’interesse di Troeltsch era rivolto ad apprendere, a partire da un caso storico, come una tradizione religiosa si possa rinnovare in un momento di crisi, mentre l’obiettivo di Weber era quello di analizzare gli influssi formativi di una religione su economia, società e politica, nonché i loro effetti sulla religione stessa. Naturalmente entrambi i programmi di ricerca appaiono legittimi. Tuttavia, le differenze nell’accentuazione sono legate a differenze cruciali di natura religioso-diagnostica. Mentre Weber e Troeltsch concordano sull’attuale esaurimento delle forze motrici del puritanesimo, per Weber questo doveva significare che la forma di cristianesimo più coerente e intellettualmente affidabile era giunta al capolinea, mentre per Troeltsch (e per il sottoscritto) ciò significa, innanzitutto, solamente che il futuro appartiene ad altre forme di religione 54. E. Otto, Max Webers Studie des Antiken Judentums, Mohr Siebeck, Tübingen 2002, pp. 246-275: p. 270.
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cristiana, sia sul piano dottrinale che istituzionale. Nel quadro di riferimento di Weber, una collocazione forte nel presente della religione post-assiale appare inconcepibile, ma ciò non deriva da un’evidenza empirica, ma è piuttosto una fisiologica conseguenza della struttura narrativa che è alla base della sua narrazione storica55. Anche il suo contributo allo studio dell’età assiale deve dunque essere valutato con una certa ambivalenza. Per quanto grandiosa sia l’apertura allo studio comparativo delle religioni rispetto a una prospettiva che si limiti invece alla storia delle religioni ebraica e cristiana, la potenziale acquisizione che deriverebbe da questa apertura viene compromessa dal fatto che tutte le affermazioni comparative sulla profezia sono vincolate alla narrazione dominante della nascita e dello sviluppo del “razionalismo occidentale”. Così facendo vengono, tuttavia, evidenziate 55. Nella sua critica particolarmente polemica al libro L’età secolare del filosofo (cattolico) canadese Charles Taylor, Charles Larmore, nonostante qualche presa di distanza, sembra fare ancora troppo affidamento alla diagnosi di Weber. Tutto ciò mostra, a mio avviso, l’importanza di una contestualizzazione della visione weberiana. Cfr. C. Larmore, How Much Can We Stand?, in «The New Republic», April 9, 2008, pp. 39-44.
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più le differenze che non le somiglianze che vi sono tra le religioni successive all’età assiale56. Per quanto sia corretto affermare che le società moderne si sono sviluppate a partire da una determinata civiltà, non si deve comunque supporre che siano state certe caratteristiche permanenti di questa civiltà a rendere possibile un certo cambiamento radicale o addirittura che ne siano state l’unica causa.
4. Karl Jaspers: comunicazione sulla trascendenza Nella letteratura filosofica su Karl Jaspers, la sua tesi dell’età-assiale ha un ruolo sorprendentemente minoritario. I filosofi sembrano voler lasciare agli storici, ai sociologi o ad altri la verifica della validità empirica di questa tesi. I non- filosofi, a loro volta, esportano la tesi dall’opera di Jaspers ignorandone regolarmente le ramificazioni all’interno della stessa57. I pochi tentativi 56. J.D. Boy - J. Torpey, Inventing the Axial Age, cit., p. 245. 57. Tra le poche eccezioni vi sono due articoli di Aleida Assmann: Jaspers’ Achsenzeit, oder Schwierigkeiten mit der Zentralperspektive in der Geschichte, in D. Harth
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di contestualizzazione che esistono non vanno oltre la constatazione del fatto che il libro Origine e senso della storia fu scritto negli anni dopo la Seconda guerra mondiale. Di fatto non ci può essere alcun dubbio che esso rappresenti una reazione alle esperienze strazianti del nazismo e della Seconda guerra mondiale, ma sarebbe una terribile semplificazione ascriverlo, per questo motivo, al genere di letteratura sulle eccezionalità dell’“Occidente” che fiorì dopo il 1945. Il libro di Jaspers non aveva il ductus autocelebrativo della maggior parte di quella letteratura.
(a cura di), Karl Jaspers. Denken zwischen Wissenschaft, Politik und Philosophie, J.B. Metzler, Stuttgart 1989, pp. 187-205, e Einheit und Vielfalt in der Geschichte. Jaspers’ Begriff der Achsenzeit neu betrachtet, in S.N. Eisenstadt (a cura di), Kulturen der Achsenzeit, vol. II, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1992, pp. 330-340. Oltre a questi si veda anche: N.J. Rigali, A New Axis: Karl Jaspers’ Philosophy of History, in «International Philosophical Quarterly», n. 10, 1970, pp. 441-457; G. Goedert, Die universalgeschichtliche Einheitsidee bei Karl Jaspers, in «Jahrbuch der Österreichischen Karl-Jaspers-Gesellschaft», n. 11, 1998, pp. 9-27; R. Dietrich, Karl Jaspers als Geschichtsdenker, in Id., Historische Theorie und Geschichtsforschung der Gegenwart, de Gruyter, Berlin 1964, pp. 75-98.
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Nei suoi scritti precedenti, ad esempio nella sua famosa diagnosi La situazione spirituale del tempo del 1932, Jaspers non ne era esente. L’“educazione”, ad esempio, era da lui compresa ancora completamente nel senso della tradizione umanistica europea, con le sue ambizioni più elevate ma anche con i suoi limiti58. Egli era ancora pienamente sotto l’incantesimo delle idee weberiane sullo sviluppo del “razionalismo occidentale”. Ora, però, queste idee venivano da egli superate non solo attraverso una più forte considerazione della filosofia (accanto alle religioni), ma anche grazie al suo tentativo di vedere nelle tradizioni non europee dei veri interlocutori di pari grado, e dunque di occuparsi dell’Europa in maniera non eurocentrica. A differenza del successivo radicalismo accademico, questa critica all’eurocentrismo non era motivata da una sorta di odio dell’Occidente verso se stesso, ma dal desiderio di fondare l’universalismo su una nuova base e di difenderlo con termini nuovi dalle ideologie dell’epoca, va-
58. K. Jaspers, La situazione spirituale del tempo, tr. it. a cura di N. De Domenico, Jouvence, Roma 1982; vedi ad esempio pp. 130-132.
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le a dire: dalla tirannia comunista e la secolarizzazione che essa imponeva; dai tentativi nazisti di tornare a una religione germanica, precristiana e pre-assiale; da tutti gli altri tentativi politici e filosofici di de-trascendentalizzazione, dall’ideologia dello scientismo, da una mera continuazione ininterrotta delle tradizioni religiose europee, da tutte le filosofie teleologiche della storia, dal completo distacco della filosofia dalle questioni religiose. A tutte queste correnti Jaspers oppone la richiesta di riconoscere la molteplicità degli universalismi esistenti e di sviluppare una concezione filosofica sulle possibilità di comprensione degli stessi59. Lo stesso Jaspers aveva un retroterra culturale protestante, ma, negli scritti come nelle interviste, non viene espressa alcuna forma di dubbio sul fatto che lui stesso non fosse credente60. Non solo non poteva credere nell’affermazione: «Dio si è rivelato a tutto il mondo in Gesù Cristo», ma non 59. Cfr. K. Jaspers, La fede filosofica di fronte alla rivelazione, tr. it. di F. Costa, Longanesi, Milano 1970. 60. Cfr. ad esempio: Philosophie und Offenbarungsglaube. Ein Gespräch mit Heinz Zahrnt, in K. Jaspers, Provokationen. Gespräche und Interviews, a cura di H. Saner, Piper, München 1969, pp. 63-92, in part. pp. 89, 85.
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capiva semplicemente cosa potesse significare, al di fuori della fede, che Cristo era il Figlio di Dio, Dio incarnato. Egli aveva, tuttavia, il più grande rispetto per le religioni post-assiali. Con la tesi dell’età-assiale, della coincidenza temporale di decisive innovazioni religiose, aveva solo voluto determinare empiricamente «una fattualità scandalosamente eccitante», «sulla quale tutti i popoli e le fedi potevano concordare, poiché il contenuto della tesi non era una credenza ma un fatto documentato»61. La sua via d’uscita dalla costellazione apparentemente indissolubile della pluralità e della minaccia all’universalismo non consisteva dunque nella pretesa della filosofia di riformulare il nucleo razionale della fede religiosa, ma in una idea della filosofia come mediatrice nella comunicazione tra i credenti. Per questo motivo reputo la sua opera come un’importante fonte di ispirazione non solo per la sociologia storico-comparativa della religione, ma anche per una teoria delle specificità che ineriscono alla nostra comunicazione sui valori fondanti e sulle esperienze della trascendenza. Tale comunicazione presuppone, secondo Jaspers, il fatto che siamo in grado di 61. Ivi., pp. 72-73.
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comprendere altre forme di fede diverse dalla nostra e ciò influenza anche il nostro rapporto con la nostra tradizione religiosa, poiché in questo modo comprendiamo quest’ultima non più come una dottrina dogmaticamente consolidata, ma come un tentativo di articolazione che non è mai definitivo. Egli si preoccupava che si facesse ricorso alla trascendenza in funzione del potere e che questo avrebbe portato a uno sclerotizzarsi del movimento del trascendere62. Per questo motivo, però, questo tipo di filosofia non invoca una frattura con le esperienze e le tradizioni religiose per noi formative, ma piuttosto un rinnovamento dei nostri tentativi di articolazione. Il dialogo interreligioso, ma anche il dialogo tra filosofia e religioni, migliora così l’autocomprensione di tutti gli interessati63. Nel-
62. Vedi P. Ricoeur, Philosophie und Religion bei Karl Jaspers, in P.A. Schilpp (a cura di), Karl Jaspers, Kohlhammer, Stuttgart 1957, pp. 604-636, in part. pp. 616 ss.; H. Barth, Karl Jaspers über Glaube und Geschichte (1950), in H. Saner (a cura di), Karl Jaspers in der Diskussion, Piper, München 1973, pp. 274-296, in part. pp. 286 ss. 63. Sull’importanza di Jaspers in questo senso cfr. J. Dittmer, Jaspers’ «Achsenzeit» und das interkulturelle Gespräch, in D. Becker (a cura di), Globaler Kampf der Kultu-
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lo stesso Jaspers, tuttavia, rimane poco chiaro se si tratti principalmente di «vincolo comune di riconciliazione religiosa» o di un semplice «dongiovannismo» dei religiosi64. Quando Jürgen Habermas ricevette il premio Karl Jaspers nel 1995, nel suo discorso di ringraziamento sottolineò come tutta la filosofia di Jaspers debba essere intesa come un tentativo di creare una terza via tra quella dello storicismo relativistico e quella dell’universalismo astratto65. ren? Analysen und Orientierungen, Kohlhammer, Stuttgart 1999, pp. 191-214. 64. Così P. Ricoeur, Philosophie und Religion bei Karl Jaspers, cit., p. 633, e similmente H. Barth, Karl Jaspers über Glauben und Geschichte, cit., p. 292. Anche Leszek Kołakowski, in un’importante confronto con Jaspers, ha sottolineato che il suo concetto di “codice cifrato” sia fuorviante nella misura in cui suggerisce l’idea di una possibilità di “decifrazione” perlomeno di un testo originale – cosa, tuttavia, che non è supposta da Jaspers. In egual misura, i codici cifrati di Jaspers non sono possibilità di entrare realmente in contatto con il divino. Cfr. L. Kołakowski, Philosophical Faith in the Face of Revelation, in Id., Modernity on Endless Trial, University of Chicago Press, Chicago (IL) 1990, pp. 108-119, in part. p. 113. 65. J. Habermas, La lotta delle potenze della fede. Karl Jaspers e il conflitto delle culture, in Id., Dall’impressione
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Questo tentativo si trova certamente in una complessa continuità con il lavoro di Max Weber (e di Ernst Troeltsch). Con la tesi dell’età assiale, Jaspers non si rifà semplicemente alle analisi weberiane sulle religioni mondiali ma vuole anche superare l’impasse in cui si era ritrovato Weber66. La forte enfasi posta da Weber sui vincoli dei valori ultimi e sull’inevitabilità dell’aut-aut, delle scelte esistenziali tra valori concorrenti, gli sembrò problematica perché rischiava di divenire eccessivamente decisionistica, come se la scelta dei valori ultimi fosse arbitraria e come se tra i portatori di diversi valori non fosse possibi-
sensibile all’espressione simbolica. Saggi filosofici, tr. it. di C. Mainoldi, Laterza, Roma-Bari 2018, pp. 41-58. 66. Per l’influenza di Weber su Jaspers cfr. D. Henrich, Karl Jaspers. Denken im Blick auf Max Weber, in W. Mommsen - W. Schwentker (a cura di), Max Weber und seine Zeitgenossen, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1988, pp. 722-739, e adesso J. Derman, Philosophy Beyond the Bounds of Reason: The Influence of Max Weber on the Development of Karl Jaspers’s Existenzphilosophie, 1909-1932, in D. Chalcraft - F. Howell - M.L. Menendez - H. Vera (a cura di), Max Weber Matters. Interweaving Past and Present, Routledge, Farnham-Burlington 2008, pp. 55-71. Né Henrich né Derman affrontano affatto la questione dell’età assiale.
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le alcun discorso razionale di intesa. Per molto tempo, Weber gli era sembrato così ammirevole, anche come uomo, proprio per l’accento posto sulla responsabilità esistenziale a prescindere dal fondamento storico-filosofico. Ma da una lettera del 26 marzo 1945 di Jaspers ad Alfred, il fratello di Weber67, sappiamo che egli – contro Max e prendendo le distanze da lui – considerava possibile una comunicazione che fluidifichi anche i «punti di vista ultimi». Questo era per Jaspers uno dei compiti essenziali, se non proprio il compito essenziale della filosofia: rendere possibile questa comunicazione senza limiti. In effetti, abbiamo bisogno perlomeno di una teoria della comunicazione sui valori e sulle esperienze da cui nasce il nostro vincolarci a essi, che vada oltre una semplice teoria argomentativa discorsivo-razionale. Questa comunicazione sui valori non può consistere però in una semplice empatia, tantomeno può restare un caso di discorso razionale-argomentativo. La ricostruzione jaspersiana della fondamentale innovazione dell’età assiale è intesa come la base per un dialogo tra la filosofia e le religioni post-età assiale 67. A. Weber, Ausgewählter Briefwechsel, Metropolis, Marburg 2003, pp. 129-130.
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e tra le stesse religioni. In questo senso, il contributo di Jaspers al dibattito sull’età assiale non ha semplicemente una dimensione religiosa esplicita (come in Lasaulx) o implicita (come in Weber), ma cerca piuttosto di fornire i fondamenti per un discorso contemporaneo che sia aperto a tutte le articolazioni religiose della trascendenza e alle forme non religiose di universalismo morale. Il pensiero di Jaspers si inserisce così tra i molteplici tentativi di superare il relativismo storicista senza rompere con la convinzione che anche le pretese universalistiche di validità non si fondano sulla “ragione” in quanto tale, ma derivano piuttosto da una storia contingente68, la quale non è comunque irrilevante per la loro validità. L’opera di Jaspers appartiene quindi ai tentativi, simili a quello di Georg Jellinek e Ernst Troeltsch, di trasformare lo storicismo69.
68. H. Joas, Max Weber und die Entstehung der Menschenrechte. Eine Studie über kulturelle Innovation, in G. Albert - A. Bienfait - S. Sigmund - C. Wendt (a cura di), Das Weber-Paradigma. Studien zur Weiterentwicklung von Max Webers Forschungsprogramm, Mohr Siebeck, Tübingen 2003, pp. 252-270. 69. H. Joas, Eine deutsche Idee der Freiheit? Cassirer und Troeltsch zwischen Deutschland und dem Westen, in
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Dal punto di vista storico-sociologico, naturalmente, questo non è molto più che un impulso.
5. Età assiale e stato arcaico Negli ultimi decenni, questo impulso è stato comunque ripreso in vari modi dalle scienze empiriche culturali e sociali70. Oltre a un piccolo testo di Hans Freyer71, ciò vale specialmente R. Forst - M. Hartmann - R. Jaeggi - M. Saar (a cura di), Sozialphilosophie und Kritik, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2009, pp. 288-316. 70. Oltre alla letteratura già citata, meritano una menzione per una panoramica generale i seguenti articoli: S. Breuer, Kulturen der Achsenzeit. Leistung und Grenzen eines geschichtsphilosophischen Konzepts, in «Saeculum», 45 (1994), pp. 1-33 (ormai chiaramente superato); A. Black, The “Axial Period”: What Was It and What Does It Signify?, in «Review of Politics», 70 (2008), pp. 23-39 (a mio avviso, pieno di equivoci); B. Thomassen, Anthropology, Multiple Modernities and the Axial Age Debate, cit. Per una bibliografia completa si veda R.N. Bellah - H. Joas (a cura di), The Axial Age and Its Consequences, cit., pp. 469-537. 71. H. Freyer, Der Einbruch der Transzendenz in die Geschichte, in Id., Schwelle der Zeiten. Beiträge zur So-
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per l’immensa opera di Eric Voegelin, apparsa nell’edizione originale inglese a partire dal 1956 con il titolo di Order and History e ora disponibile in una traduzione tedesca in dieci volumi72. Voegelin studiò per un semestre con Jaspers e Alfred Weber a Heidelberg nel 192973, ma la sua opera, data la sua così imponente indipendenza, non può essere assolutamente ridotta all’influenza di questi due pensatori. A causa della sua gigantesca estensione, non è possibile qui dedicare una discussione empiricamente adeguata a quest’opera, tuttavia, dato che Voegelin, nel processo di stesura, ha preso anche congedo dall’idea, a tratti dominante, dell’età assiale, si richiede in questa sede una breve digressione. Dal punto di vista empirico, Voegelin ziologie der Kultur, Deutsche Sanstalt, Stuttgart 1965, pp. 121-156. 72. E. Voegelin, Ordnung und Geschichte, cit. [In Italia sono stati tradotti soltanto i primi due volumi: Id., Ordine e storia. Israele e la rivelazione, vol. I, tr. it. a cura di N. Scotti Muth, Vita e Pensiero, Milano 2009; Id., Ordine e storia. Il mondo della polis, vol. II, tr. it. a cura di N. Scotti Muth, Vita e Pensiero, Milano 2015 – N.d.T.]. 73. Per informazioni biografiche cfr. l’eccellente libro introduttivo di M. Henkel, Eric Voegelin zur Einführung, Junius, Hamburg 1998, p. 16.
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va ben oltre Jaspers, soprattutto nella misura in cui egli, all’inizio della sua opera, tratta diffusamente le culture “pre-assiali” della Mesopotamia, dell’Egitto e dell’antico Israele, le quali sono trattate da Jaspers solo fugacemente e come sfondo per l’emergere delle innovazioni dell’età assiale. Egli non va ulteriormente indietro nel tempo, ma per la caratterizzazione delle religioni degli stati arcaici del cosiddetto “Oriente antico” sviluppa una teoria del “mito cosmologico”, in cui vengono pensate insieme l’istituzione di un ordine politico e di uno esistenziale. Già nella prima opera di Voegelin Die politischen Religionen [Le religioni politiche] un capitolo centrale era dedicato ad Akhenaton, poiché egli nel 1938 già sosteneva che il culto del sole degli egiziani rappresentava «la più antica religione politica di un grande popolo civilizzato» e che la sua evoluzione «lasciava emergere i contorni del problema quasi più chiaramente dei casi successivi e meglio conosciuti delle culture mediterranee ed europee»74. Non c’è dunque da meravigliarsi se le ricerche specialistiche su questi imperi
74. E. Voegelin, Die politischen Religionen (1938), Fink, München 1993, pp. 19-28.
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si confrontano spesso con Voegelin75. Rispetto alla completa apertura nei confronti dell’India e della Cina di Jaspers, Voegelin fa comunque un passo indietro. Quando parla di esse egli ne parla prevalentemente con toni deficitari rispetto alla storia “occidentale”. Ciò che si è rivelato maggiormente fruttuoso è che Voegelin – molto più di Jaspers – cerca di identificare le condizioni esatte delle innovazioni dell’età assiale per ciò che riguarda le questioni della formazione di uno stato e di un impero e questo impulso avrà un effetto di grande portata nei contributi della ricerca successiva. Dal punto di vista teoretico-metodologico, Voegelin, andando ben oltre i suoi predecessori, introduce nella ricerca sull’età assiale un approccio incentrato sull’esperienza. Pur provenendo chiaramente dalla storia politica delle idee – e in effetti egli cercò inizialmente di esporre le sue opinioni in questa forma – presto sentì,
75. Cfr. nel vol. I di E. Voegelin, Ordnung und Geschichte, Fink, München 2002, l’intr. e la postfaz. di J. Assmann (risp. pp. 17-23 e pp. 213-224), e P. Machinist, Mesopotamien in Eric Voegelins «Ordnung und Geschichte» (ivi, pp. 177-212).
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sotto l’influsso dei suoi primi studi su William James76, che il concentrarsi sulla comprensione concettuale delle idee era insufficiente e cercò dunque in Ordine e storia di tematizzare i simboli in cui si articolano pre-concettualmente le esperienze storiche. Tuttavia, questa importante svolta metodologica non viene portata avanti con coerenza; egli, tracciando ampi archi che dal passato vanno verso il presente, ricade sempre di nuovo in una mera storia delle idee. Dal punto di vista della religione, Voegelin si distingue da Jaspers soprattutto per una maggiore enfasi posta sull’unicità del cristianesimo. È indubbio che Jaspers concentrò le sue attenzioni più sulle innovazioni ebraiche e greche che avevano preceduto il cristianesimo e Voegelin vede in questo un mancato coglimento da parte di Jaspers del significato fondamentale della (presunta) svolta verso un universalismo senza limiti che fosse allo stesso tempo un personalismo, compiutasi soltanto nel cristianesi76. M. Henkel, Eric Voegelin zur Einführung, cit., p. 20. Sull’importanza epocale di James in questo senso, cfr. H. Joas, Come nascono i valori, cit., pp. 95-118.
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mo. Questa tesi è certamente di grande rilievo. Nella forma che gli ha dato Voegelin, tuttavia, infastidisce il fatto che non sia sostenuta da un cristiano devoto, a partire da un’evidente convinzione di carattere religioso. Piuttosto, Voegelin diviene un difensore del ruolo politico del cristianesimo partendo proprio da motivazioni politiche. La sua ammirazione incondizionata per il Medioevo “cristiano” e la sua critica alla secolarizzazione come processo di “perdita della trascendenza” [Transzendenzverlust] suonano a un protestante secolarizzato come se provenissero dalla bocca di un cattolico antimodernista. La distinzione tra trascendenza e immanenza viene da lui trattata come se solo una fede religiosa orientata alla trascendenza potesse garantire quell’incontrollabilità, che pone limiti di principio allo stato. Per lui, i totalitarismi del XX secolo sono dunque una conseguenza tardiva di una ribellione contro la trascendenza iniziata già nei movimenti eretici dell’antichità e del Medioevo; egli sostiene che questi fossero tentativi infuocati di immanentizzazione dell’eschaton. Voegelin usa contro di loro la “gnosi” come strumento ideologico. La sua costruzione di una relazione tra totalitarismo e gnosi ha sicuramente una plausibilità massima
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dal punto di vista della storia delle idee ma di certo non dal punto di vista dell’esperienza storica concreta77. Non c’è da meravigliarsi che questi contorni con cui si delineava la ricerca storica di Voegelin abbiano attirato le critiche più aspre. Dal lato cristiano gli viene contestato che nella sua storiografia incentrata sulla politica il Vangelo compare in forma molto rarefatta e che la polemica contro tutto ciò che è gnostico si spinge troppo in là negando ogni affinità di questo con il Vangelo78. Jan Assmann protesta invece giustamente con veemenza contro la sua tendenza a descrivere la storia degli ultimi secoli solo in
77. C’è una vasta letteratura su tali questioni. Ad esempio, cfr. U. Kessler, Die Wiederentdeckung der Transzendenz. Ordnung von Mensch und Gesellschaft im Denken Eric Voegelins, Königshausen & Neumann, Würzburg 1995, e C. Heimes, Politik und Transzendenz. Ordnungsdenken bei Carl Schmitt und Eric Voegelin, Duncker & Humblot, Berlin 2009. 78. B. Douglass, A Diminished Gospel: A Critique of Voegelin’s Interpretation of Christianity, in S.A. McKnight (a cura di), Eric Voegelin’s Search for Order in History, Louisiana State University Press, Baton Rouge (LA) 1978, pp. 139-154.
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termini di perdita e decadenza: «Ad Auschwitz, non fu l’Occidente cristiano a essere distrutto, ma il giudaismo, con la silenziosa acquiescenza delle istituzioni spirituali, che Voegelin presenta come vittime dell’attacco omicida»79. Diviene fondamentale dunque mantenere i punti di vista produttivi di una storia dell’emergere delle rappresentazioni della trascendenza, la loro secolarizzazione in forme filosofiche di universalismo morale e il loro smarrirsi in forme (religiose e laiche) di anti-universalismo, senza costringerle nell’impalcatura in cui le troviamo nell’opera di Voegelin80. Per quanto essa sia impressionante per l’estensione del materiale elaborato, è rimasta piutto-
79. J. Assmann, Der Sonderweg des christlichen Abendlandes. Eric Voegelin stiftet Feindschaft zwischen Geist und Ordnung und bestreitet der Neuzeit ihre Legitimität, in «Frankfurter Allgemeine Zeitung», 3 giugno 1994, p. 10. 80. Ho perseguito questa intenzione in diverse opere. Cfr. H. Joas, La sacralità della persona. Una nuova genealogia dei diritti umani, tr. it. a cura di A.M. Maccarini, Franco Angeli, Milano 2014, e Id., Sacralizzazione e desacralizzazione. Potere politico e interpretazione religiosa, in Id., Valori, società, religione, tr. it. a cura di U. Perone, Rosenberg & Sellier, Torino 2014, pp. 135-154.
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sto marginale nelle scienze sociali a causa delle sue caratteristiche idiosincratiche. Nel mondo anglofono, l’“età assiale” di Jaspers è stata recepita essenzialmente in tre luoghi. In maniera marginale venne accolta dal critico della cultura Mumford, il quale sostenne di essere giunto alla definizione di “assiale” indipendentemente da Jaspers81. Egli associa questa traduzione inglese del termine “assiale” di Jaspers alla parola di derivazione greca axiological [assiologico] utilizzata per la teoria dei valori82. Una simile connessione non si trova nella lingua tedesca e non è stata messa in atto da Jaspers, essa serve tuttavia a Mumford per interpretare la grande rivoluzione storica dell’età assiale come un mutamento fondamentale dei valori. Essenzialmente più carichi di conseguenze sono gli altri due tentativi di approfondimento 81. Per l’indipendenza della sua scelta lessicale, vedi L. Mumford, The Transformations of Man, cit., p. 57. 82. «Deliberatamente, uso la parola “assiale” in un doppio senso, intendendo, prima di tutto, che ci deve essere un mutamento nei valori, un mutamento così centrale che tutte le altre attività che ruotano intorno a questo asse ne saranno influenzate» (L. Mumford, The Conduct of Life, Secker & Warburg, New York 1951, p. 221).
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storico-sociologico della teoria dell’età assiale. Il primo si trova nel lavoro di Talcott Parsons, il più importante sociologo teorico degli Stati Uniti nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale. Il suo sviluppo di una teoria dei sistemi sociali negli anni ’50 attirò molte attenzioni, ma questa era stata anche criticata di essere in ultima istanza statica, poiché considerava tutte le forze motrici del cambiamento sociale solo come una minaccia alla stabilità dei sistemi sociali e permetteva dunque di considerarne solo il riassestamento. Parsons ha reagito a questa critica e alle difficoltà interne della teoria della modernizzazione elaborando una sofisticata teoria del cambiamento sociale83. Quest’ultima ha assunto in parte una forma altamente astratta, dal momento che Parsons si è occupato dell’identificazione dei processi che dovrebbero risultare dal suo schema delle funzioni che ogni sistema sociale deve presumibilmente rispettare. Egli ha, tuttavia, anche cercato, a partire da questa base, di delineare uno schema storico concreto dell’evoluzione delle società umane. 83. Sui presupposti di questa svolta teoretica cfr. H. Joas W. Knöbl, Sozialtheorie, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2004, pp. 130-137.
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In questo ambito, gli si rivelò come occasione di un balzo cruciale un’innovazione culturale che doveva portare al superamento della formazione statale arcaica dell’Egitto e della Mesopotamia. Egli identifica questa innovazione culturale nel «raggiungimento di un più alto grado di universalizzazione dei sistemi simbolici costitutivi delle loro culture»84. L’autore descrive poi più dettagliatamente questo cambiamento come «una differenziazione tra l’ordine di rappresentazione della realtà ultima e l’ordine di rappresentazione della conditio humana. Qualsiasi presunzione di status divino da parte di un essere umano era ormai esclusa, così che l’istituzione di un reggente divino finì con il periodo arcaico»85. Questa determinazione non è dissimile da quella che Jaspers aveva racchiuso sotto la parola chiave di “trascendenza”. Altrettanto poco quanto il filosofo Jaspers, tuttavia, il sociologo Parsons si dedica alle cause di un simile processo o a una valutazione dell’«importanza relativa dei diversi fattori culturali e sociali». 84. T. Parsons, Societies. Evolutionary and Comparative Perspectives, Prentice Hall, Upper Saddle River (NJ) 1966, p. 106. 85. Ivi, pp. 112 ss.
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Egli non menziona nemmeno Jaspers – anche se lo conosceva dall’epoca dei suoi studi a Heidelberg e aveva persino redatto una voce enciclopedica su di lui, sebbene in essa comunque non venga spesa alcuna parola sul lavoro decisivo di Jaspers in ambito storico-filosofico86. Nemmeno il nome di Voegelin è menzionato, nonostante nel frattempo sia stato documentato il loro stretto scambio intellettuale87. L’effetto più importante della rudimentale integrazione da parte di Parson dell’idea dell’età assiale nel suo edificio teorico fu, probabilmente, che i suoi due studenti di Harvard, Shmuel Eisenstadt e Robert Bellah, in un continuo confronto critico con lui, orientarono il loro lavoro ai problemi irrisolti di quella costellazione88.
86. T. Parsons, Karl Jaspers, in «International Encyclopedia of the Social Sciences», vol. 18, 1979, pp. 341-345. 87. P.B. LeQuire - D. Silver, Critical Naïveté? Religion, Science and Action in the Parsons-Voegelin Correspondence, in «European Journal of Sociology», n. 54, 2013, pp. 265-293. 88. L’affermazione di B. Thomassen (Anthropology, Multiple Modernities and the Axial Age Debate, in «Anthropological Theory», n. 10, 2010, pp. 321-342: p. 327) che solo i pensatori che erano «in qualche modo periferici al
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In quel periodo, tuttavia, oltre a Harvard, c’era un altro luogo in cui un importante progetto teorico nel campo delle scienze storico-sociali veniva legandosi a quello di Jaspers. Si trattava dell’Università di Chicago, dove il grande storico dell’Islam Marshall Hodgson, per un certo periodo presidente dell’interdisciplinare “Committee on Social Thought”, presentò il grandioso progetto di una storiografia mondiale non eurocentrica89. Nel suo caso, sono evidenti i motivi religiosi e i presupposti per lo sviluppo di un’opera decisiva, che rimase comunque per molti aspetti frammentaria a causa della sua morte precoce. Hodgson era un quacchero e come tale un pacifista radicale; per lui l’immagine convenzionale dell’Islam come religione di guerra era del tutto inadeguata. Egli mise in evidenza aspetti completamente diversi delle culture di
funzionalismo tradizionale» avrebbero abbracciato l’idea dell’età assiale, richiede dunque una correzione. 89. Cfr. M. Hodgson, The Venture of Islam. Conscience and History in a World Civilization, vol. I, The University of Chicago Press, Chicago (IL) 1958; Id., Rethinking World History. Essays on Europe, Islam, and World History, The University of Chicago Press, Cambridge (IL) 1993 (su Jaspers, cfr. ivi, p. 21).
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influenza islamica. Guardava all’Islam con rispetto e simpatia percepibili per i suoi tratti di moralismo puritano, per la grande importanza data alla relazione individuale con Dio e per la distanza della sharia dalla validità di un’unica legge statale. Era inoltre particolarmente interessato alla storia della cultura persiana, e voleva superare l’unilateralità dell’attenzione rivolta agli arabi; gli interessavano le influenze esterne sulle civiltà islamiche, ad esempio gli effetti enormemente distruttivi delle invasioni mongole, per poter superare l’immagine di un’evoluzione derivante da una sorta di essenza culturale-religiosa, e gli interessava infine la diversità religiosa nelle culture islamiche, anche all’interno dell’Islam stesso, e quindi anche le figure principali del virtuosismo religioso. Ricostruendo in dettaglio le condizioni in cui l’Islam ha potuto emergere e diffondersi rapidamente, si è orientato verso lo studio delle relazioni tra le culture, e non solo al loro confronto. Si oppose con veemenza al programma di Weber di ricostruire il razionalismo occidentale, gli sembrava che questo si basasse su una conoscenza insufficiente delle culture non occidentali. Per un certo periodo, egli aveva intenzione di pubblicare il suo progetto di una storia
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globale, interrotto dalla sua morte nel 1968, con il titolo di There is No Orient90. Dal punto di vista metodologico, egli intendeva analizzare le civiltà in modo tale che rimanesse completamente visibile la diversità dei possibili riferimenti ai loro ideali formativi. Dal punto di vista contenutistico, invece, egli contesta la tendenza a collocare l’inizio della modernità in corrispondenza della Riforma e, come molti autori a lui contemporanei, si esprime invece a favore del XVIII secolo. Egli individua inoltre una cesura decisiva nella storia premoderna nel mezzo di quel periodo in cui dominava una cultura essenzialmente agraria ma già in parte urbanizzata, cioè nel periodo che va dal 3000 a.C. al 1800 d.C. Questa periodizzazione coincide con quella dell’età-assiale di Jaspers, essa ha tuttavia in Hodgson una fondazione storico-sociale molto più profonda91.
90. Cfr. E. Burke III, Introduction. Marshall G. S. Hodgson and World History, in M. Hodgson, Rethinking World History, cit., pp. IX-XXI, in part. p. XI, nota 5. 91. Cfr. W.A. Green, Periodization in European and World History, in «Journal of World History», n. 3, 1992, pp. 1353 (su Jaspers e Hodgson: ivi, pp. 42-46).
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I due più importanti studenti di Talcott Parsons, Shmuel Eisenstadt e Robert Bellah, oltre alla loro formazione sociologica grazie a Max Weber, Émile Durkheim e Talcott Parsons, avevano anche un’inconfondibile vocazione filosoficoreligiosa. Ho descritto altrove Eisenstadt come la sintesi di Max Weber e Martin Buber, Bellah come quella di Parsons e Paul Tillich92. Queste sono, ovviamente, solo brevi formule per rendere facilmente comprensibili strutture di pensiero estremamente complesse. Eisenstadt su tutti ha avuto il merito di esaminare il modo in cui le idee rivoluzionarie dell’età assiale abbiano potuto assumere esse stesse una forma istituzionale. Ciò ha spostato il suo interesse dall’età assiale a un tipo di ordine sociale caratterizzato dall’“assialità”, e dalle manifestazioni primarie dell’età assiale a quelle secondarie del cristianesimo e dell’Islam. Lo interessavano particolarmente inoltre le forme nelle quali gli universalismi possono divenire nuovamente ideologie particolari ed esclusiviste che giustifi92. H. Joas, Robert Bellah. Religiöse Evolution und symbolischer Realismus, in S. Moebius - D. Quadflieg (a cura di), Kultur. Theorien der Gegenwart, Springer, Wiesbaden 20112, pp. 83-91: p. 90.
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cano la violenza: dal giacobinismo al fondamentalismo religioso93. Non si renderebbe tuttavia giustizia alla dimensione religiosa dell’opera di Eisenstadt se ci si limitasse a indagare le tracce nel suo pensiero del suo ebraismo fortemente secolarizzato. Di certo le tensioni interne allo stato d’Israele, l’enorme varietà di prosecuzioni dell’ebraismo, sono state sotto molti punti di vista costitutive per il suo pensiero, ma ciò che mi sembra più decisivo è il modo in cui Eisenstadt cerca di interpretare la modernità sotto una prospettiva religiosa. Essa è caratterizzata, secondo lui, principalmente dalla combinazione di una tensione a un universalismo che vuole superare tutti i rapporti dati e in questo senso si propone come un ordine trascendente e un dubbio permanente sulla sua pretesa di validità. Egli fa sua la tesi di Claude Lefort94 secondo cui oggi 93. Cfr. l’eccellente resoconto dello sviluppo del lavoro di Eisenstadt in W. Knöbl, Spielräume der Modernisierung, Velbrück, Weilerswist 2001, pp. 221-261. Lì si trovano anche numerosi riferimenti bibliografici alle opere di Eisenstadt. 94. Cfr. G. Delanty, An Interview with S. N. Eisenstadt: Pluralism and the Multiple Forms of Modernity, in «Eu-
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si è persa ogni certezza sulla garanzia di un simile ordine trascendente. In questa situazione è d’aiuto soltanto un’alta tolleranza per l’ambiguità, una continua ricerca di una certezza nella malinconica coscienza di non poterla mai trovare. In Lefort ed Eisenstadt, mi sembra che si confondano due cose che io vorrei chiaramente distinguere: da un lato, il pensiero che la fede nelle condizioni moderne sia diventata impossibile in linea di principio; dall’altro lato, l’idea che nelle suddette condizioni sia diventata un’opzione, ossia che sia diventata necessariamente una fede che fronteggia l’incredulità, che è consapevole della possibilità dell’incredulità. Io propendo per quest’ultima interpretazione e non per la prima. Il sentimento soggettivo di certezza dell’esperienza religiosa non viene annullato dal venire meno di immagini istituzionalizzate che offrano un’indiscussa validità generale a una determinata fede95. ropean Journal of Social Theory», n. 7, 2004, pp. 39-404: p. 395. 95. Maggiori precisazioni al riguardo sono presenti in H. Joas, La fede come opzione. Possibilità di futuro per il cristianesimo, tr. it. a cura di P. Costa, Queriniana, Brescia 2013.
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Ancora più evidente è il fatto che il più importante contributo francese al dibattito sull’età assiale poggi sulla visione di Claude Lefort96. Marcel Gauchet, uno dei più influenti intellettuali francesi contemporanei, presentò già nel 1985 un grande progetto di “storia politica della religione”, per il quale, riferendosi direttamente a Max Weber, scelse il titolo Il disincanto del mondo97. La tesi che nelle condizioni moderne la religione, intesa come forza collettiva, sia definitivamente superata e solo i resti delle tradizioni religiose possano ancora svolgere un ruolo nell’orientamento degli individui viene da lui così coerentemente difesa che la religione solo nelle sue prime fasi, in quanto “primitiva” – come la definisce –, avrebbe secondo lui corrisposto al concetto che le appartiene. Cruciale per il suo pensiero è la dicotomia autonomia-eteronomia.
96. Il suo testo più importante è C. Lefort, Permanence du théologico-politique?, in Id., Essais sur le politique (XIXeXXe siècles), Seuil, Paris 1986, pp. 251-300. 97. M. Gauchet, Le désenchantement du monde. Une histoire politique de la religion, Gallimard, Paris 1985. Di seguito farò riferimento all’edizione inglese: Id., The Disenchantment of the World. A Political History of Religion, Princeton University Press, Princeton (NJ) 1997.
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La religione rappresenta, in questo quadro concettuale, una completa eteronomia, l’autonegazione della forza creativa dell’uomo, in quanto l’uomo attribuisce a un dio creatore, a una molteplicità di dei o a un ordine cosmico quella che è infondo la sua più grande capacità, quella di “istituire”98. Qualsiasi pretesa di affermazione dell’autonomia umana gli appare quindi come tendenzialmente areligiosa o antireligiosa. Egli viene condotto al tema dell’età assiale proprio dalla questione del ruolo della religione nella creazione di un mondo senza religione. Secondo lui, le religioni comparse all’epoca dell’età assiale, ma innanzitutto e a fondamento di queste, il cristianesimo, rappresentano quelle forze che portano alla riappropriazione delle forze creative insite nell’autocomprensione dell’uomo. Qui è inequivocabile l’impronta nietzschiana, all’opera anche in Max Weber e Karl Jaspers, 98. Su questa idea centrale della formazione creativa delle istituzioni nel compagno di pensiero di lunga data di Lefort, Cornelius Castoriadis si veda: H. Joas, Institutionalisierung als kreativer Prozess, in «Politische Vierteljahresschrift», n. 30, 1989, pp. 585-602. Ristampato in H. Joas, Pragmatismus und Gesellschaftstheorie, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1992, pp. 146-170.
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di identificare nei motivi cristiani una dialettica che spinge quella religione oltre sé stessa. In misura minore di Jaspers, Gauchet accoglie la diversità delle religioni dell’età assiale nella sua concezione della modernità. A questo proposito, egli si rifà a Max Weber, di cui, tuttavia, si perde la tragicità nella sua ricostruzione storica. Egli scrive una storia del progresso di stampo hegeliano con gli strumenti weberiani della narrazione del disincanto. La sua opera è stata quindi giustamente definita come un «hegelismo post-weberiano»99. L’unilateralità e la disinformazione teologica della concezione di Gauchet sono palesi. Egli non dedica alcuna riga ai numerosi tentativi di pensare la relazione dell’uomo con Dio a partire dalla “doverosità” [Verdanktheit] dell’autonomia umana e di superare così la semplice opposizione tra eteronomia religiosa e autonomia laica100. Ciò non significa, tuttavia, che il 99. Si veda Jean Greisch nel volume a commentario sul libro di Gauchet: P. Colin - O. Mongin (a cura di), Un monde désenchanté?, Éd. du Cerf, Paris 1988, p. 22. 100. Cito solo come alternativa P. Ricoeur, Theonomie und/oder Autonomie, in C. Krieg (a cura di), Die Theologie auf dem Weg ins dritte Jahrtausend. (Festschrift für
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suo ingegnoso abbozzo di storia politica della religione sia empiricamente improduttivo. Al contrario: molto più di Jaspers e anche più chiaramente di Voegelin101, Gauchet mette in relazione l’idea dell’età assiale con la storia dello stato. Egli definisce la nascita dello stato come «la prima rivoluzione religiosa della storia»102. Quest’ultima affermazione è eccessiva, Gauchet banalizza così le dimensioni religiose della sedentarizzazione e della comparsa dell’agricoltura. Per lui, il fatto che questi processi primitivi siano stati interpretati dagli uomini come un dono è sufficiente a negare il loro carattere epocale. Attraverso lo stato, tuttavia, ciò che è Jürgen Moltmann), Kaiser, Gütersloh 1996, pp. 324-345. Si veda inoltre su questo punto: J.-P. Willaime, À propos du «désenchantement du monde» de Marcel Gauchet, in «Autres temps. Les cahiers du christianisme social», n. 9, 1986, pp. 68-75. 101. Curiosamente, Voegelin non è menzionato da Gauchet, nonostante le evidenti corrispondenze contenutistiche. Diversi recensori lo hanno giustamente sottolineato: A. Seligman, in «American Political Science Review», n. 92, 1998, pp. 960-961; M. Riesebrodt, in «American Journal of Sociology», n. 104, 1999, pp. 1525-1526. 102. M. Gauchet, The Disenchantment of the World, cit., p. 13.
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religiosamente esteriorizzato ritorna nella sfera umana; le strutture dell’ordine politico non sono più pensate come tramandate e costituite nel passato mitico, ma come dipendenti dalla formazione di una volontà umana. In questo senso, l’emergere dello stato rappresenta l’asse della storia mondiale: «Questo evento divide la storia in due parti, guida le società umane in un’epoca completamente nuova ed è decisivo per il loro ingresso nella storia»103. Quanto detto non implica, tuttavia, che il cambiamento politico e quello religioso vengano semplicemente fusi in Gauchet. Le innovazioni dei secoli sarebbero infatti, in questo quadro, il risultato di una reazione creativa all’emergere dello stato, specialmente alla tendenza espansiva che esso incorpora. Lo stato minaccerebbe ogni ordine tradizionale all’interno della comunità che lo costituisce, ma ancor più al di fuori di essa, e genererebbe la visione di un impero universale. Per quanto limitata in termini concreti, la visione dell’universale può essere sempre ripresa e rivolta religiosamente contro lo stato. Gauchet arriva a definire le guerre espansionistiche «una delle più grandi forze spirituali 103. Ivi, p. 34.
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e intellettuali che abbiano mai operato nella storia»104. Il monoteismo giudeo-cristiano viene così interpretato come un disperato tentativo di liberarsi dall’imperialismo105. Nonostante tutte le imprecisioni nei dettagli storici e i paradossi retorici di cui soffre questo ambizioso progetto, emerge in esso un elemento essenziale. L’affermazione di Jaspers, che suona sempre misteriosa, della simultaneità delle innovazioni dell’età assiale viene “demistificata” grazie a un coerente collegamento con la storia dello stato. In Voegelin, Eisenstadt e Gauchet, prende il sopravvento un’interpretazione politica, che tuttavia non funzionalizza in ogni caso la religione alla politica. Ciò che stupisce nel caso di Gauchet, tuttavia, è quanto poco il fenomeno storicamente analizzato appaia rispecchiarsi nel presente106. Con l’emergere dello stato moderno, che anche lui tratta nel suo libro, il religioso 104. Ivi, p. 36. 105. Ivi, p. 107. 106. Questo è evidente anche nella sua sorprendente valutazione del totalitarismo come un pericolo che si troverebbe storicamente alle nostre spalle. Cfr. la sua affermazione in P. Colin - O. Mongin (a cura di), Un monde désenchanté?, cit., pp. 88 ss.
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come forza contraria allo stato sembra essere scomparso107. Lo stretto legame tra la storia della religione e la storia dello stato si ritrova in tutti i recenti contributi scientifici sull’età assiale nel campo delle scienze storico-sociali. La tensione tra Jaspers, che si preoccupava di un «disincanto della storia degli stati»108, e Gauchet, che poteva viceversa essere accusato di un “re-incantamento” di questa storia, si trova sullo sfondo di tutti questi contributi. Qui troviamo uno dei progetti di storia-universale più ambiziosi del nostro tempo, che integra l’idea dell’età assiale in una costruzione di amplissima portata. In modo coerente come forse solo Hodgson aveva fatto prima di lui (nel contesto di questo dibattito), Ian 107. Anche il contributo del teorico della modernità Peter Wagner al dibattito sull’età assiale è ovviamente influenzato dalla diagnosi lefortiana. Il consolidamento delle dottrine religiose dopo l’età assiale gli appare come una perdita relativa del senso di «riflessività, storicità e agentività» o almeno come la loro ristretta canalizzazione. Cfr. P. Wagner, Palomar’s Question. The Axial Age Hypothesis, European Modernity and Historical Contingency, in J.P. Arnason S.N. Eisenstadt - B. Wittrock (a cura di), Axial Civilizations and World History, cit., pp. 87-106: p. 103. 108. K. Jaspers, Lo spirito europeo, cit., p. 22.
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Morris si libera dalla narrazione dello sviluppo del razionalismo occidentale. Egli è aiutato in questo dalla sua risoluta considerazione della molteplicità insita nel pensiero “occidentale”, “orientale” e dell’Asia meridionale. Il pensiero orientale può essere altrettanto razionale, liberale, realistico o cinico quanto quello occidentale; e questo, a sua volta, altrettanto mistico, autoritario, relativistico o oscuro quanto quello orientale109.
Egli pone anche grande enfasi nell’interpretare il pensiero dell’età assiale come una reazione al pieno sviluppo dello stato: «con proventi costanti, un esercito permanente e un apparato burocratico»110 – piuttosto che ricondurre lo sviluppo dello stato al cambiamento di pensiero dell’età assiale. L’influenza del nuovo pensiero sulla politica, in particolare per ciò che riguarda l’insorgere nell’hinterland politico dello sviluppo sociale delle grandi potenze111, gli appariva
109. I. Morris, Why the West Rules – For Now. The Patterns of History, and What They Reveal about the Future, Profile, London 2011, pp. 235-260: pp. 243-244. 110. Ivi, p. 237. 111. Ivi, p. 259.
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troppo flebile e rilevabile solo con grande ritardo, per cui questa influenza viene da lui compresa per lo più attraverso la messa in secondo piano degli impulsi dell’età assiale112. Il dibattito sull’età assiale è stato portato su un altro livello dal sociologo americano Robert Bellah, forse il più importante sociologo della religione degli ultimi decenni. Egli aveva già presentato nel 1964 un abbozzo di storia universale della religione sotto una prospettiva so112. Non approfondirò gli altri due contributi sul tema: il popolare resoconto esaustivo di K. Armstrong, The Great Transformation: The Beginning of Our Religious Traditions, Anchor, New York 2006; il tentativo di spiegazione materialistica di David Graeber nel suo libro Debito. I primi 5000 anni – molto studiato, a causa dell’influenza dell’autore sul movimento Occupy. Vedi D. Graeber, Debito. I primi 5000 anni, il Saggiatore, Milano 2012, pp. 217244. Ciò che è interessante è la sua maggiore considerazione del ruolo del denaro e della moneta. Nei dettagli, tuttavia, le sue informazioni sono piuttosto inaffidabili. In particolare, mi sembra che egli non comprenda le innovazioni dell’età assiale dal punto di vista difensivo delle vittime dell’espansione imperiale arcaica, come fanno Gauchet o Morris, ma la attribuisca piuttosto proprio a questa stessa espansione o la valuti come un semplice “escapismo”, come un mero presentimento di alternative che hanno bisogno della loro realizzazione terrena.
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ciologica, in collaborazione diretta con il suo mentore accademico113. Come progetto per il dopo-pensionamento, trascorse più di un decennio e mezzo a elaborare e rivedere ampiamente le idee lì abbozzate. L’opera Religion in Human Evolution, pubblicata nel 2011, porta a compimento solo la metà dei propositi iniziali114. Il prosieguo è rimasto frammentario a causa della morte dell’autore nel 2013; il suddetto volume presenta di per sé, tuttavia, un enorme lavoro empirico e teorico. Dal punto di vista empirico, molto più di ogni suo predecessore, Bellah ha considerato il caso cinese e il caso indiano in maniera esaustiva e tenendo conto dello stato attuale della ricerca, chiarendo così le differenze tra religione tribale, religione arcaica e religione dell’età-assiale. Dal punto di vista teoretico, più di ogni predecessore, ha incluso nel quadro del dibattito la dimensione della disuguaglianza sociale a fianco a quella del dominio politico. Questo aspetto non può essere qui approfondito come meritereb-
113. R.N. Bellah, Religious Evolution, in «American Socio logical Review», n. 29, 1964, pp. 358-374. 114. R.N. Bellah, Religion in Human Evolution, cit.
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be115. La sua opera Nothing Is Ever Lost ha un leitmotiv di carattere religioso e ciò è rilevante nel contesto attuale. La novità dell’età assiale, comunque la si voglia intendere esattamente – come universalismo morale, come riferimento alla trascendenza, come riflessività più elevata, come sguardo nella simbolicità del simbolo o come teorizzazione sistematica e critica che va oltre la narrazione mitica – è un qualcosa di specificamente nuovo che si aggiunge a ciò che c’era in precedenza senza sostituirlo o rimpiazzarlo mai completamente. Nelle religioni, anche in quelle post-assiali, vive ancora o può sopravvivere ciò che era per loro determinante prima dell’età assiale: il rituale e il mito. Robert Bellah, come cristiano protestante americano, vuole rifarsi all’elemento profetico, ma sa anche che il profetico si svuota se non si riferisce a una sostanza che lui, con Tillich, individua in maniera
115. Delle numerose recensioni al lavoro di Bellah, cito qui solo: M. Hénaff, Three Crucial Aspects of Religion in Human Evolution: Shamanism, Sacrifice and Exogamic Alliance, in «European Journal of Sociology», n. 53, 2012, pp. 327-335. Sulla continuazione del progetto di Bellah, per ora si rimanda a R.N. Bellah - H. Joas (a cura di), The Axial Age and Its Consequences, cit.
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più accentuata nel cristianesimo cattolico, nel sacramentale. Per lui, nessuna cultura è puramente archetipica; ognuna rappresenta una sintesi di arcaico e assiale. Quando il libro di Bellah è stato recensito come «la più grande opera di teologia protestante liberale di sempre»116, egli si oppose con veemenza: non solo perché non voleva che il suo lavoro storico-sociologico fosse definito come teologico, ma anche innanzitutto perché non si considerava semplicemente un «protestante liberale»117. L’accento posto sul ruolo imprescindibile del “sacramentale” non sa esattamente di protestantesimo liberale, ed è logico dunque che egli abbia trovato personalmente la sua strada tra gli episcopali.
6. Conclusioni In questa sede ho potuto fare cenno solo ad alcune problematiche teoriche ed empiriche, ri116. T.J. White, Sociology as Theology, in «First Things», n. 234, 2013, pp. 34-39: p. 34. 117. R.N. Bellah, A Reply to My Critics, in «First Things», n. 234, 2013, pp. 49-55: p. 50.
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solte e irrisolte della ricerca storico-sociologica sull’età assiale. Dal punto di vista empirico, questa ricerca ha già dimostrato, a mio parere, di essere estremamente fruttuosa. Dal punto di vista teoretico, si tratta ora di integrare le summenzionate versioni apparentemente concorrenti e di collegare più strettamente la storia della religione e la storia della politica, le dinamiche di sacralizzazione e quelle di affermazione del potere. La mia preoccupazione principale in questo contributo era comunque un’altra. Volevo chiarire che il dibattito stesso sull’età assiale ci riporta alla localizzazione dei pensatori all’interno della storia della religione e quindi alle strutture mitiche della nostra autocomprensione della storia. Non intendo ciò come una distruzione dei miti o una critica all’ideologia, ma piuttosto come la prova che ogni ricerca empirica sulla storia della religione è guidata da domande e fornisce risposte che influenzano profondamente la nostra autocomprensione odierna, religiosa o laica – e sarà così anche in futuro. L’appello dell’età assiale, che venga da questa o quell’altra voce, è sempre stato recepito ben oltre il contesto d’origine. Il buddismo si è diffuso in Cina, in Giappone e nel sud-est asiatico; il cristianesimo e l’Islam sono ancora oggi religioni in forte
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espansione; la filosofia greca non è stata vissuta soltanto come fonte di ispirazione per un nuovo rinascimento. Ogni nuova risposta a questo appello sarà anche una nuova sfida: per le scienze e il loro approccio critico a tutte le narrazioni storiche, i cui risultati devono tuttavia sempre assumere la forma di una nuova narrazione che ci orienti nel presente; ma sarà anche una sfida per ogni individuo e per ogni sua domanda sul senso della trascendenza118. Quest’ultima non deve essere per noi una sola e non può essere qualcosa di assoluto e di eradicato dalla storia.
118. In questa direzione si deve anche riflettere sulla storia stessa dei concetti trascendenza/immanenza – nel suo sorgere e nella sua appropriatezza per la comprensione della storia della religione. Molto istruttivo a questo proposito è stato per me il saggio di J. Zachhuber, Transzendenz und Immanenz als Interpretationskategorien antiken Denkens im 19. und 20. Jahrhundert, in I. de Hulster - N. MacDonald (a cura di), Divine Presence and Absence in Exilic and Post-Exilic Judaism, Mohr Siebeck, Tübingen 2013, pp. 23-54.
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Postfazione all’edizione italiana
Il presente opuscolo rappresenta principalmente un resoconto sullo stato della ricerca e della discussione sul tema dell’“età assiale”. Anche se non mi sono astenuto da giudizi e valutazioni, esso non si focalizza sulla mia propria teoria, ma piuttosto offre una panoramica sulla letteratura e si propone di presentare il pensiero di altri studiosi. Il mio punto di vista è esposto in maniera più chiara nel mio libro Die Macht des Heiligen [Il potere del sacro], dove sviluppo l’idea che si può rendere comprensibile il significato delle rappresentazioni sulla trascendenza innanzitutto interpretandole come il prodotto di una riflessione coerente sull’origine della sacralità. In quella sede ho affermato: Le rappresentazioni sulla trascendenza radicalizzano l’esperienza dell’indisponibilità del sacro. La de-magicizzazione è quindi un correlato necessa-
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rio delle rappresentazioni della trascendenza perché la magia rappresenta il tentativo di disporre del sacro. Con le rappresentazioni della trascendenza, si eticizza la rinuncia a disporre del sacro. Dio, il Dio trascendente, può così essere considerato – in un contesto cristiano – come la «fonte di ogni santità» (fons omnis sanctitatis)1.
Solo in riferimento a un punto nel presente libro non faccio mistero della mia opinione. Lascio capire quanto trovi inadeguato il fatto che, per il tema dell’età assiale, vengano ripetutamente presentati argomenti già noti contro le originarie formulazioni di Karl Jaspers, invece di prendere seriamente atto dell’enorme sviluppo ulteriore della ricerca e del conseguente radicale mutamento dello stato della discussione sotto molti aspetti. A questo punto si lega anche quello che è il compito principale di questa postfazione all’edizione italiana, di cui mi rallegro molto. L’originale tedesco di questo libro è stato completato nel 2014. Proprio perché si tratta di un campo
1. H. Joas, Die Macht des Heiligen. Eine Alternative zur Geschichte von der Entzauberung, Suhrkamp, Berlin 2017, p. 351.
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di ricerca vivace, vorrei fare brevemente cenno almeno ad alcune nuove scoperte e ad alcuni recenti contributi. 1) Mi sembra di grande rilievo la scoperta che Karl Jaspers non iniziò a parlare dell’età assiale solamente dopo la fine della Seconda guerra mondiale – come è stato generalmente finora assunto – poiché il termine appare già in un suo manoscritto del 1942. Questa è almeno la data indicata dall’editore del manoscritto inedito di Jaspers2, che è stato pubblicato solo nel 2019. Quindi non è stato unicamente il crollo del Reich nazionalsocialista a portarlo a questa linea di pensiero e a quella scelta concettuale. Qui non è tuttavia il caso di parlare più diffusamente dei Grundsätze des Philosophierens, ossia del testo in cui Jaspers parla per la prima volta di “età assiale”. 2) Nel 2018, il noto egittologo Jan Assmann ha presentato una storia molto apprezzabile del primo sviluppo della tesi dell’età assiale, o meglio 2. K. Jaspers, Grundsätze des Philosophierens. Einführung in philosophisches Leben, in Karl Jaspers Gesamtausgabe, vol. II/1, a cura di B. Weidmann, Schwabe, Basel 2019, p. 497.
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della sua preistoria rispetto a Jaspers. Nelle miniature su Anquetil-Duperron, Röth, Lasaulx e Stuart-Glennie, per esempio, mette in evidenza il contributo di questi autori. Egli dedica anche un capitolo al lavoro del sinologo francese JeanPierre Abel-Rémusat (1788-1832), di cui non ho parlato nel mio libro, occupandosi in particolare della sua interpretazione di Lao Tze3. Trovo increscioso, tuttavia, che Assmann, avvicinandosi al presente, diventi meno accurato4. Considero il suo capitolo su Bellah assolutamente incompleto e manca la maggior parte della letteratura dopo Eisenstadt. Al riguardo si deve anche menzionare il fatto che la ricerca su AnquetilDuperron quale scopritore dell’“età assiale” si è nel frattempo considerevolmente intensificata5. 3. J. Assmann, Achsenzeit. Eine Archäologie der Moderne, Beck, München 2018 (su Rémusat vedi pp. 42-54). 4. Cfr. la mia recensione sul libro di Assmann in «Frankfurter Allgemeine Zeitung», 22 febbraio 2019, p. 10. 5. Ad esempio F. Winter, Abraham-Hyacinthe Anquetil- Duperron (1731-1805) – Ein Europäer eröffnet den Zugang zur asiatischen Religionsgeschichte und findet die “Achsenzeit”, in «Religionen unterwegs», n. 25, 2019, pp. 25-29; G.G. Stroumsa, Anquetil Duperron et les origines de la philologie orientale: l´orientalisme est un humanisme, in «ASDIWAL», n. 13, 2018, pp. 161-174.
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3) Due aspetti dello stato recente della ricerca dovrebbero essere sottolineati più chiaramente di quanto non abbia forse fatto in questo libro. Mentre Jaspers supponeva ancora che non ci fosse stato quasi nessuno scambio tra le culture dell’età assiale, oggi sappiamo di più sui contatti dimostrabili, specialmente riguardo all’esperienza che l’antica greca aveva dell’India6. Si deve inoltre di nuovo evidenziare che la trasformazione assiale non è penetrata improvvisamente e compiutamente nelle rispettive culture e che produsse a sua volta nuove forme scarsamente partecipate. Approfondirò questo aspetto in lavori ancora inediti sulla storia dell’universalismo morale. 4) Mentre il tentativo di verificare o confutare dal punto di vista empirico-quantitativo la tesi dell’età assiale è fallito a causa delle carenze dell’operazionalizzazione di questa tesi7, 6. Ad esempio R. Stoneman, The Greek Experience of India: From Alexander to the Indo-Greeks, Princeton University Press, Princeton (NJ) 2019. 7. D.A. Mullins et al., A Systematic Assessment of “Axial Age” Proposals Using Global Comparative Historical Evi dence, in «American Sociological Review», n. 83, 2018, pp. 596-626.
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vale qui la pena di menzionare altri ambiziosi contributi teoretici. Si tratta, soprattutto: dello sguardo panoramico d’insieme offerto nella Cambridge World History dal sociologo svedese Björn Wittrock, il quale contribuisce da decenni a questo dibattito8; del progetto di una concezione inclusiva del rapporto tra religione e politica nelle società premoderne dello storico britannico Alan Strathern9; e infine della ricezione delle ricerche sull’età assiale nella grande storia della filosofia, presentata da Jürgen Habermas a coronamento dell’opera di una vita10. Queste osservazioni non pretendono di essere esaustive, ma dovrebbero aver chiarito quantomeno il fatto che la ricerca e la costruzione di 8. B. Wittrock, The Axial Age in World History, in C. Benjamin (a cura di), The Cambridge World History, vol. IV, A World with States, Empires, and Networks, 1200 BCE900 CE, Cambridge University Press, Cambridge (UK) 2015, pp. 101-119. 9. A. Strathern, Unearthly Powers. Religious and Political Change in World History, Cambridge University Press, Cambridge (UK) 2019. 10. J. Habermas, Auch eine Geschichte der Philosophie, 2 voll., Suhrkamp, Berlin 2019 (per l’età assiale cfr. soprattutto il vol. I, pp. 175-480).
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teorie sull’età assiale è ancora, come ho scritto nella frase introduttiva di questo libro, «uno dei più importanti campi di ricerca attuale nel terreno delle scienze storico-sociali». Hans Joas
Indice
L’età assiale. Un dibattito scientifico sulla trascendenza
p. 9
1. L’età assiale: termine, idea, significato
p. 13
2. Lasaulx e la ripresa della scrittura della storia universale cristiana
p. 34
3. Max Weber: profezia, magia e sacramento
p. 42
4. Karl Jaspers: comunicazione sulla trascendenza
p. 58
5. Età assiale e stato arcaico
p. 68
6. Conclusioni
p. 97
Postfazione all’edizione italiana
p. 101
Hans Joas, sociologo e teologo tedesco, è attualmente titolare della cattedra “Ernst Troeltsch” presso la facoltà di Teologia della Humboldt-Universität di Berlino. In Italia è conosciuto soprattutto per i suoi testi di teologia: Abbiamo bisogno della religione?, e Pregare nella nebbia. La fede ha un futuro?, scritto quest’ultimo a quattro mani con Heinrich Spaemann. A livello internazionale si è invece reso noto per Die Entstehung der Werte (1997) e Die Sakralität der Person. Eine neue Genealogie der Menschenrechte (2012), anch’essi usciti in italiano con il titolo di Come nascono i valori (2021) e La sacralità della persona. Una nuova genealogia dei diritti umani (2014). Daniele Nuccilli, curatore di diverse edizioni italiane di opere di filosofi tedeschi del Ventesimo secolo, collabora con varie riviste di settore e con lo Jena Center for Reconciliation Studies.
Umweg Collana di Filosofia Contemporanea Diretta da: Federica Buongiorno, Roberto Esposito, Libera Pisano e Christoph Wulf
1. Antonio Lucci, Umano Post Umano. 2. Andreas Arndt, Immediatezza. 3. Peter Trawny, Medium e rivoluzione. 4. Luca Viglialoro, Arte e negazione. Sull’estetica di Schopenhauer. 5. Peter Sloterdijk, Negare il mondo? Sullo spirito dell’India e la gnosi occidentale. 6. Juliane Rebentisch, La moralità dell’ironia. Hegel e la modernità. 7. Ferdinand Fellmann, Fenomenologia ed espressionismo. 8. Francesco Saverio Trincia, Per una fenomenologia della passività. Osservazioni comparative su logica e fondazione passiva in Husserl.
9. Paola-Ludovika Coriando, Metafisica e ontologia nella filosofia occidentale e buddista. 10. Bernhard Irrgang, Introduzione alla filosofia della tecnica. Una prospettiva fenomenologico- evoluzionistica. 11. Patrizia Manganaro, Corpi soggetti. Edmund Husserl, Edith Stein, & gli altri. 12. Bernhard Waldenfels, Creatività responsiva. 13. Hans Joas, L’età assiale. Un dibattito scientifico sulla trascendenza.
Umweg L’età assiale è un testo di carattere storico-teoretico che cerca di ricostruire le origini del concetto di “età assiale” e le sue implicazioni, non solo teologiche, ma anche sociologiche. In particolar modo Joas, riprendendo le tesi di Schwartz, mostra con un tono originale e autorevole come il concetto jaspersiano trovi il suo baricentro nel problema della trascendenza. A partire da questa valutazione, l’autore ripercorre i luoghi del pensiero di diversi autori – da Lasaulx a Weber – in cui si è sviluppata una riflessione sul concomitante svilupparsi in differenti culture arcaiche del mondo di una percezione diversa e ultraterrena del divino, e ne ricostruisce le influenze sulla riflessione di Jaspers. Questa ricognizione permette all’autore di delineare i contorni del dibattito fino alla metà del Novecento e di aprire dunque una nuova prospettiva sulle interpretazioni e le declinazioni più attuali che riguardano l’“idea” di età assiale. L’approfondita ricostruzione di Joas mostra come questo dibattito non coinvolga soltanto la genesi delle religioni per come le intendiamo oggi ma anche i fondamenti su cui si sono costruite le prime antiche società e l’universo di valori che da esse abbiamo ereditato.
ISBN ebook 9788855292627 € 7,00
Collana diretta da Federica Buongiorno Roberto Esposito Libera Pisano Christoph Wulf ISSN: 2499-6041