Jean-Luc Godard 8831728652, 9788831728652

Da «Fino all'ultimo respiro» a «Passion», da «Il disprezzo» alle «Histoire(s) du cinéma», da «Il bandito delle 11»

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Jean-Luc Godard
 8831728652, 9788831728652

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Jean-Luc Godard a cw ra di Silvi'G Alovi-sio

·-...,e Cl)

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Indice Copertina Abstract -Autore Frontespizio Copyright Presentazione di Paolo Bertetto

«Non c'è che da vivere - e da filmare». Appunti sulla vita (e i film) di JeanLuc Godard di Silvio Alovisio

Invito al viaggio La nascita di una vocazione

Gli anni della decostruzione Gli anni dell'ideologia Gli anni della sperimentazione video Gli anni della memoria e della storia Il mistero dell'immagine Intorno al cinema di Jean-Luc Godard: quaranta frammenti e cinque proposte di assemblaggio di Toni D'.Angela

Seul le cinéma Histoire(s) Image et parole Montage/collage

Adieu au langage Fino all'ultimo respiro di Paolo Bertetto

La prima sequenza La seconda sequenza La terza e la quarta sequenza Gli Champs-Elysées e la Parigi moderna Hotel de Suède

La sequenza finale fldisprezzo di Jacques Aumont

n bandito delle 11 di Enrico Carocci

«Il mondo in cui viveva era triste» «Gli scambi misteriosi» «Una storia complicata» Prénom Carmen di Jacopo Chessa

Vienna, primavera Da Vienna al lago di Ginevra

La gitana e il leone Strutture

Letrou Vienna, autunno Histoire(s) du cinéma di Olivier Bohler e Céline Gailleurd

Serie e serialità Malraux: «la fraternità delle metafore» Godard e i suoi personaggi Adieu au langage di Luca Venzi

Note al testo Filmografia

a cura di Marco Grifo e Silvio Alovisio Bibliografia a cura di Silvio Alovisio

Presentazione Nana (Questa è la mia vita) è seduta a un bar al primo piano sopra gli Champs Elysées. Scrive una lettera per descriversi e misura la sua altezza con la mano. Poi arriva il prosseneta che ha conosciuto. I due dialogano. La macchina da presa produce inquadrature diverse, frontali e laterali, che propongono immagini molteplici del soggetto. Le modalità diverse del punto di vista della camera mostrano differenti configurazioni del volto della protagonista e alludono alla molteplicità di aspetti della donna, alle immagini plurali della sua personalità. La varietà del punto di vista riflette le maschere diverse di Nana. Nessuna è la sua soggettività autentica e tutte lo sono. Perché non esiste una verità del soggetto, ma solo una serie di maschere. Come scriveva Nietzsche. All'inizio di Una donna sposata Charlotte a letto con il suo amante è presentata attraverso il montaggio di una serie di frammenti del corpo irrelati e separati dell'insieme della persona, come materiali eterocliti che delineano una frantumazione della donna, la perdita di una soggettività coerente, l'affermarsi di un insieme di sostituti come surrogati dell'identità. I modi della scrittura definiscono la forma simbolica: delineano una filosofia. D'altronde in Fino all'ultimo respiro la libertà della macchina da presa, la sperimentazione di forme di scrittura filmica molteplice (dal piano sequenza agli spericolati movimenti di macchina, dai raccordi di montaggio intenzionalmente irregolari alle procedure vietate come il jump cut o l'interpellazione dello spettatore) sono la proiezione stilistica della libertà esistenziale del protagonista, Michel Poiccard, e della sua trasgressione senza prospettive. Come nelle grandi opere i film di Godard delineano forme di scrittura che diventano il correlato simbolico dei caratteri dell'immaginario. E come il cinema di Godard mostra una pluralità di punti di vista, cosi la sua verità è complessa e sfaccettata, è un insieme di interpretazioni sperimentali che arricchiscono la conoscenza. PAOLO BERTEITO

«Non c'è che da vivere - e da filmare»'. Appunti sulla vita (e i film) di Jean-Luc Godard di Silvio Alovisio

INVITO AL VIAGGIO

«È come chiedere a un fervente cattolico di interpretare Gesù Cristo»•. Così, con un'analogia che ha ben poco di sacrilego, Louis GaiTel esprime il suo iniziale imbarazzo di fronte alla proposta del regista Michel Hazanavicius di interpretare JeaI1-Luc Godard in ll mio Godard (Le redoutable, 2017), l'ainpiainente (e forse troppo) discusso film ispirato ai due romanzi autobiografici di Anne Wiazemsky3, Le parole del figlio del regista Philippe (a sua volta figlio "cinematografico" dello stesso Godard) non sono una semplice iperbole di cortesia, ma confermaI10 invece un'evidenza da cui muove aI1che il progetto di questo volume: da tempo Godard, pur aI1cora in feconda attività (come testimoniato daAdieu au langage, opera maggiore nella sua pur sconfinata filmografia), è sacralizzato come il Dio padre del cinema moderno e di tutto ciò che da esso è disceso. Non si tratta di un fenomeno recente, anzi. Sin dalla metà degli anni sessaI1ta - e soprattutto dopo ll bandito delle 11 (Pierrot le fou, 1965) - il nome di Godard «fabbrica )a Inito)ogia»4 e già nel 1968 Susail Sontag non esita a posizionare un Godard non ancora quaraI1tenne al fianco di altri «great culture heroes»s della sperimentazione novecentesca, da Picasso a Klee a Schiinberg. Il nome di Godard ormai si identifica quasi con il cinema tout court, ed è oggetto di affezioni tanto intense quanto lo sono le critiche. Ancora oggi, d'altronde, chi fa cinema ritiene spesso di doversi misurare con lui, ora con elogi quasi sempre rispediti al Inittente (si pensi a TaraI1tino6), ora invece con rivendicazioni di autonomia parimenti non richieste (si vedailo le dichiarazioni di Xavier Dolan7). Questa sacralizzazione di Godard è frutto aI1che e soprattutto di una vasta produzione critica, biografica e scientifica, sterininata sin dagli aI1nÌ sesSaI1ta ma cresciuta ulteriormente - come si dirà meglio più avaI1ti- soprattutto dopo la conclusione, nel 1998, delle Histoire(s) du cinéma. Già nel 1977, però, Giovanna Grignaffini giustamente si chiedeva: «Cosa aggiungere d'altro?» 8 , una dolllailda oggi sempre motivata, e forse aI1COra più hnbarazzaI1te. Sulla deificazione del personaggio-Godard, però, pesa un paradosso: tutti sanno chi è il regista, rna pochi hanno visto i suoi filmo, e ancora meno sono coloro che possono dire di conoscere integralmente la sua opera multiforme, estesa lungo un arco di più di sessant'anni (dal 1955 di Opération "béton" al 2018 del prossimo Le livre d'image), con decine e decine di titoli che si differenziaI10 e si stratificano per diversità di durata (dal singolo Ininuto di Une catastrophe, 2008, alle dieci ore di Sixfois deux, 1976), di formati (dal 4/3 di Le petit soldat, 1960, al Cinemascope di Il disprezzo, Le mépris, 1963), di supporti (pellicola, video magnetico, digitale ecc.), di generi sperimentati e disarticolati (noir, musical, film di guerra ecc.), di format produttivi (lungometraggi di finzione, documentari su commissione, serie televisive, spot, trailer, video-saggi ecc.). Senza contare, poi, l'imponente corpus dei suoi scritti, non solo quelli risalenti alla sua attività critica (tra il 1950 e il 1959) ma aI1che i testi successivi, frammenti di un pensiero sul cmerna e sulle hnmagini di certo non sistematico e organizzato ma denso e illuminaI1te. Alla luce di questo paradosso, allora, forse si può rispondere all'interrogativo della Grignaffini spostando la domanda dall'oggetto del discorso (che cosa dire di Godard?) ai suoi possibili destinatari (a chi parlare di Godard?). Scrivere oggi un libro su Godard significa soprattutto invitare al viaggio coloro che magari hanno visto Il mio Godard ma poco o nulla sanno del suo cinema. Ed è con questo spirito qnasi propedeutico che intendiaino proporre, nel presente contributo che apre un volume necessariainente polifonico (perché di Godard oggi si può solo parlare al plurale), una prima essenziale ricognizione della biografia del regista e della sua complessa parabola artistica. LA NASCITA DI UNA VOCAZIONE

JeaI1-Luc Godard nasce a Parigi, il 3 dicembre 1930. Nello stesso anno la fainiglia Godard si trasferisce in Svizzera, a Nyon. La madre, Odile Monod, appartiene a una delle dinastie protestanti più note e autorevoli dell'alta società francese, mentre il padre Paul, oftalmologo e direttore di cliniche specializzate, proviene da una famiglia aI1ch'essa protestaI1te borghese ma meno facoltosa e influente. I Monod e i Godard vivono tra il Cantone di Vaud, in Svizzera, e la FraI1cia: sarà aI1che questo il destino di JeaI1-Luc, sempre diviso, sin dall'infanzia, tra soggiorni e legami profondi con entrainbi i paesi. Sino all'adolescenza, però, l'orizzonte a lui più famigliare è quello del lago Lemano. Nella sua adolescenza inquieta, segnata dagli insuccessi scolastici e dal desiderio di fuga, Godard si costruisce una formazione disordinata ma ricca, grazie aI1che allo stimolante ainbiente culturale creato dal nonno rnaterno, Julien-Pierre Monod, banchiere arnante delle lettere, amico di Gide e soprattutto di Valéry. Anche la giovinezza è segnata da una oostante volontà di rottura e di provocazione, da episodi di furto, da))a renitenza al servizio militare, evitato grazie al ricovero in una clinica psichiatrica. Il giovane Godard, introverso e umorale, si trasferisce poi a Parigi, dove conduce un'esistenza da daI1dy un po' bohémien, fatta anche di indigenza ed espedienti. La sua insofferenza lo porta a chiudere definitivainente i rapporti con la fainiglia, mentre si intensifica la passione per il cinema, alimentata dallo straordinario clima cinéphile della Parigi del tempo, traboccante di cineclub e retrospettive. È in questi ainbienti che conosce i suoi futuri compagni di awentura della Nouvelle Vague, tutti giovani cinefili, critici in formazione e aspiraI1ti registi: François Truffaut, Jacques Rivette, Claude Chabrol. Nel 1950 pubblica i suoi priini articoli di critica, per «La gazette du cinéma», sotto gli auspici del più anziaI10 e autorevole Maurice Schérer (alias Eric Rohmer, poi anch'egli tra i padri della Nouvelle Vague). Nel 1952 inizia a collaborare con una rivista fondata da poco su iniziativa di André Bazin e destinata a segnare il destino della critica cinematografica: i «Cahiers du Cinéma». Al tempo stesso, però, Godard pensa già alla regia. L'occasione per realizzare il suo primo cortometraggio, Opération "béton" (1955), gli è offerta da un lavoro presso la diga della Grande Dixence, in Svizzera, dove si è nuovamente trasferito dopo aver svuotato la cassa dei «Cahiers». Godard realizza un reportage sulla costruzione della diga per poi venderlo alla compagnia che sta realizzaI1do il lavoro. Con i proventi realizza sempre nel 1955, a Ginevra, un secondo cortometraggio, più personale, Une femme coquette: non più un documentario rna un film di finzione, tratto da un racconto di MaupassaI1t e incentrato su un tema che ricorrerà poi nel suo cinema successivo (da Questa è la mia vita, Vivre sa vie, 1962, a Si salvi chi può (la vita), Sauve qui peut (la vie), 1980): la prostituzione. L'anno successivo Godard rientra a Parigi, dove resterà a lungo, sino ai priini anni settanta. L'amico Chabrol (ormai prossimo a girare il suo primo lungometraggio, Le beau Serge) gli trova un lavoro come addetto stainpa della Fox. Nel frattempo il giovaI1e Godard riprende a pubblicare sui «Cahiers», ora guidati dall'ainico Rohmer, e poi dal 1958, grazie alla mediazione di Truffaut, sull'importante rivista culturale «Arts». In questa seconda, e più rnatura, fase della sua attività di critico (terininata nel 1959, alla vigilia delle riprese di Fi.no all'ultimo respiro, À bout de souffle, 1960, il suo primo lungometraggio), Godard sviluppa, in forme sia pure paradossali, provocatorie e non di rado aI1che contraddittorie, un'idea di cinema che si distacca dal magistero di Bazin, pur riconoscendone l'mfluenza. Lo scorcio finale degli anni cinquanta è segnato dal fitto intreccio tra l'attività critica e le ripetute prove di regia. All'estate 1957 risale il suo primo cortometraggio professionale, Charlotte et Véronique, una piccola commedia dei sentimenti e del caso scritta da Rohmer. Nel febbraio 1958 firma con Truffaut Une histoire d'eau, ambientato nella regione parigina devastata dalle inondazioni. Truffaut realizza le riprese e poi Godard le monta, inserendo una voce narrante che racconta (e rende coerente) il film, com'era già awenuto per Une femme coquette. Nello stesso anno realizza il suo cortometraggio più maturo, Charlotte et son Jules, un'ironica (e ainara) riflessione sull'incomprensione comunicativa nella relazione ainorosa, girato in un solo giorno dentro una minuscola stanza d'albergo (quasi una prova generale della celebre sequenza nell'Hotel de Suède di Fino all'ultimo respiro) e interpretato da un giovaI1e attore in ascesa, JeaI1Paul Belmondo, futuro e indimenticabile interprete di Miche! Poiccard.

GLI ANNI DEllA DECOSI'RUZIONE

Subito dopo, Godard inizja a progettare il suo primo lWigometraggio, Fino all'ultimo respiro. Il contesto cinematografico francese sta cambiando velocemente, favorendo il debutto di Wla nuova generazione di registi. Dai primi mesi del 1958, per identificare questa pressante spinta alla trasformazione produttiva, tecnica, narrativa del cinema francese, ini2.ia a dil'fondersi l'espressione "Nouvelle Vague~, già utilizzata dall'anno precedente in ambito giornalistico per definire la generazione dei ventenni. In questo clima propizio al debutto di autori giovani e innovativi (nel 1959 Tru:ffaut e Resnais :firmano i loro primi lungometraggi), Godardrealizza il suo film di esordio. Nella storia del cinema ci sono film che loro malgrado, con o senza merito, diventano, con il tempo, il manifesto di un'epoca, di una coITente, di una generazione. Fi.no aU'ultimn respiro, ormai non più solo un film

ma un mito (come rileva Bertetto nel contnòuto pubblicato in questo volume), rientra a pieno titolo nell'olimpo di questi film epocali, essendo stato eJetto da tempo a manifesto della NouveDe Vague, più degli altri ]avori rea1izzati dagli amici Truffau.t, Rohmer, Chabrol e Rivette.

Dopo il successo di critica e di pubblico ottenuto con Fino all'ultimo

respiro, Godard sceglie per il suo secondo attesissimo fibn un tema politico molto caldo, ]a questione algerina. «Sono invecchiato, il tempo della riflessione comincia»: così il protagonista, Bruno Forestier, disertore e fotoreporter, militante (sempre meno convinto) in un'organizzazione clandestina di estrema destra apre il racconto del film, parlando da un presente che non vedremo mai. E da subito sì capisce come Godard voglia rovesciare il tavolo della Nouvelle Vague, o meglio, degli stereotipi che la stanno soffocando. Al suo secondo lungometraggio e a soli trent'anni, Godard introduce la questione dell'invecchiamento, in antitesi all'euforica celebrazione della giovinezza. promossa. all'epoca dai media. E poi.,. soprattutto, sviluppa il tema, in seguito ricorrente nel suo cinema, della disillusione e del disincanto, dell'incertezza esistenziale e politica, del rapporto nostalgico con un passato mai vissuto. Le petit soldat da un lato paga la sua consapevole confusione ideologica piena di domande e povera di risposte, ricevendo critiche da destra e da sinistra, dall'altro dimostra cofllWo nel mettere in scena questioni scomode come la diserzione e la tortura, una scelta che porterà al divieto censorio di distnbuzi.one fino al 1963. Ma Le petit roldat è un film importante anche perché rappresenta la prima collaborazione tra Godard e .Anna Karina, giovane modella di origini danesi: è l'inizio di un sodalizio artistico e sentimentale che si prolungherà- non sempre serenamente - sino al 1967. Il film successivo, Ln donna è donna (Une femme est une /emme, 1961), prosegue la riflessione destrutturante sui generi (in Fino all'ultinw respiro era il noir, in questo caso, per citare lo stesso regista, "l'idea della commedia musicale»), ma soprattutto celebra gioiooamente la fotogenia e il talento di Anna Karina, a suo agio anche nelle sequenze di canto e di ballo. Prima prova godardiana sul colore, sul suono diretto e sul formato panoramico, e prima opera rea1izzata in studio, Ln donna è donna è un film-chiave perché prospetta, nei suoi registri apertamente teatral~ nelle sue ripetute discontinuità ritmiche e di toni, una riflessione sullo straniamento e una critica ai processi di identificazione che poi Godard.svilupperà negli anni successivi con esiti ben più radicali. Il progetto di saldare cinema di sperimentazione e cinema popolare però fallisce, il film è accolto male da critica e pubblico, come a1tre opere coeve di Truffaut, Rohmer, Chabrol: un chiaro segno che la Nouvelle Vague è entrata in una crisi irreversibile. Durante le riprese del film, incentrato sulla volontà della giovane protagonista di avere un bambino (da] suo fidanzato o dal primo che capita), Anna Karina resta incinta e ]a coppia decide, nella primavera 1961, di unirsi in matrimonio. Purtroppo però Anna perde il bambino al sesto mese, un evento tragico che concoITeià a minare l'equilibrio psicologico e la solidità del rapporto coniugale. Nel settembre 1961 Godard gira La paresse, con il rude attore di B movie Eddie Constanti.ne (poi protagonista di Agente Le.mn1y

Ca.ution, missione Alphaville, Alphauille, ime étra.nge amm.t1.1re de Lemmy Caution, 1965), il primo di una serie di titoli che Godard rea1izzerà, tra il 1961 e il 1963, per altrettanti film a episodi, una formula produttiva molto fortunata neg]i anni sessanta (seguiranno poi i corti per RoGoPaG, Les plus belles escroqueries du monde, Paris vu par... ). Dai primi mesi del 1962, però, il progetto più importante per Godard diventa Questa è la mia vita, ritratto in dodici "quadri" di Nana (di nuovo Wl'intensa Anna Karina), giovane donna che sceglie di prostituirsi per vivere. Considerato come uno dei più alti esiti creativi del primo Godard, Questa è la mia trita si presenta al tempo stesso come una riflessione sulla prostituzione come fenomeno (e metafora) sociale e come una sofferta parabola esi-=tenziale e morale sulla responsabilità individuale e sulla lacerazione tra corpo e annua. A conferma di quanto sia intenzionalmente eteroclito il percorso creativo di Godard in questi anni, il lungometraggio successivo, Les

carabiniers (1963) rimuove invece la sensibilità psicologica che caratterizzava ampie parti di Questa è la mia vita. Traendo ispirazione da unapièce del drammaturgo Beniamino Joppolo, e accogliendo una proposta di Rossellini ( che nello stes5o periodo mette in scena il testo a1 festival di Spoleto), Godard re.alizz. daUa critica dell'epoca come una straordinaria summa di tutto il cinema godardiano, n bandito delle 11 diventa presto anche un film di culto per una nuova generazione di giovani e di cinefili. Proprio questa generazione è al centro del film successivo, n maschio e lafem1nina (Masculinfémirrin, 1966), un tentativo di inchiesta sulla gioventù che riflette sui suoi stessi 1imiti, sulle sue potenziali contraddizioni Critici e intellettua1i. (tra questi Edgar Morine Italo calvino) usano per la nuova opera di Godard l'espressione, a11ora innovativa, di "'film-saggio", efficace per definire una modalità discorsiva non pedagogica ma interrogativa, capace di andare oltre sia alla finzione sia al documentario. Nel lungometraggio successivo, Una stor·ia americana (Made in Usa, 1966), l'ultimo realizz"'1:o con la Karina, Godard trae ispirazione da un romanzo noir, come già accaduto in Bande àpart e nel Bandito delle li. Io questo caso, tuttavia, il dirompente lavoro di destrutturazione dei generi classici si trasforma in un provocatorio pamphlet politico che investe - nella sua disincantata ma coloratissima vis polemica intessuta di non sense linguistici e sperimentazioni grafico...cinetiche pop - non solo la grammatica del cinema di HoUywood ma la società americana, i suoi stereotipi, ]a sua violenza colnni2.rotrice. Questa rilevanza della riflessione socio-politica diventa un aspetto strutturante nel film girato subito dopo e montato quasi in contemporanea con il precedente, il già citato Due o h'e cose che so di lei, dove il "lei" indica non solo la protagonista femminile (Juliette, una madre di famiglia che pratica saltuariamente 1a prostituzione per soddisfare desideri indotti dalla ~ocietà dei consumi) ma anche Parigi, ripresa in una fase di sconvolgente urbani=zione (il film è ambientato in buona parte nei moderni complessi P. (N.d.t.)

°' Cfr. P. Valéry-,Lt, cim.et,'b-e ma rin, Paris, É.mile-Panl Frères, 1920 (tr. it.R cimitero marino, Milano, Moudadori, 1995).

""«Che bel coloregialki». (N.d.t.) 03

S.M. EjzeDStejn,Ii quadrato dinamico, in P. Bertetto (a cnradi), Teoria del cinema

rlvoluzit>nario: gli anni Venti in URSS. Ejunirejn, Feb, Vertov, Milano, Feltrlnel.U, 1975, pp. 203-219 (poi auche in A. Somaini, ~nih:jn. n cinema, k arti, il mnntaggio, Torino, Einaudi, 2011). 24 Godard, seénario du Méprls, clt., p. 242.

Enrico Carocci

Il bandito delle 11 1A. De Baecque, Godard. Bi09raphie, Paris, Grasset, 2010, p. 285- Obsession di Llonel 'White (1962) era stato tradotto come Le Démon d'onze hew-u (Paris, Gallimard, 1963), da cui il titolo italiano del film. Poiché la versione italiana del film presenta tagli per circa 15', nonché manipolazioni nel montaggio e nel doppiaggio, ci riferiremo qui alla versione originale indicandola col titolo francese Pierrot le fou. o, per brevità, Pierrot. De Baecque, Godard, cit., p. 287. Dove non indicato diversamente la traduzione italiana è

2

nostra. 3 n film racconta la storia di Feròinand c.he, dopo aver perno il lavoro, abbandona la famiglia

e fugge da Parigi con la giovane Marianne, coinvolta in un losco giro di trafficanti d'armi. I due raggi.uogooo il Sud e vivono per qualche tempo a contatto COD ]a natura. Tutto questo ispira Ferdinand, che decide di scrivere un romanzo, ma annoia Marianne, che invece sente il bisogno di vivere. L'armonia tra i due si rompe pre:;;to e Marianne sparisce, dopo un incontro con misteriosi personaggi. Ferdinand e Marianne si incontrano nuovamente a Tolone e si uniscono alla banda di quello che lei chiama "il fratello", Dopo una rapina Marianne fugge con l'uomo, che in realtà è un suo amante. Ferdinand li insegue e, dopo averli uccisi, si fa

saltare in aria. Cfr. A. Williams, Pierrot in Context(s), inJean-Luc Godard'a Pierrot ]e fou, a cura di D.

4

Wills, Cambridge, Cambridge Unviernity Press, 2000, pp. 49-52. 5 M.

Cieutat, Pierrot le fou, Jean-Luc Godard, Limonest, L'Interdisciplinaire, 1993.

6 J.-L. Godard, Parliamo di Pierrot (1965) in Id, Il cinema è il cinema, Milano, Gar2anti, 1981, p. 237. 7 Si pensi all'interdizione imposta per tre anni a Le petit soldat; il film è ricordato, in Pierrot, da un manifesto nell'appartamento di Marianne, e dalla citazione della scena della tortura

nella vasca. 8 SU cui cfr. Th. Odde, The Children ofMarx and Esso: Oil Companies and Cinematic

Writing in 196os Godard, in A Companion to Jea.n-Lu.c Godard, a cura di T. Conley, T. Jefferson Kline, Malden, Wiley-Blackwell, 2014, pp. 224-242.

9 dtiamo dalla sceneggiatura pubblicata in «L'Avant-seène dném.a», 171-172, 1976, pp. 71-108. 10

Cosi Godard in wi'inteivista del 1961 clta.ta in A Ferrero, Godard tra "'avanguardia" e

"rivoluzione", Palermo, Palumbo, 1974, pp. 14-15. u È l'ediz;ione ta.5cabile in due tomi Oi vedictmo entrambi nel corso del film: un'altra ripetizione); Histoire de l'art. L'art moderne, Paris, Le Livre de Poche, 1964. 12

Si vedano, rispettivamente, le riflessioni di P. Montani, L'immaginazione naJTativa. Il

racconto dd. cinema oltre i confini dello spazio letterario, Milano, Guerini, 1999, pp. 17-18 e 83--.89; e di J. Aumont, L'occhio interminabile. Cinema e pittura, Venecia, Marsilio, 1991, pp. 160-178. 13 Cfr.

A. Farassino, Jean-Luc Godard, voi. I, Milano, n castoro, 1996, pp. 71-78.

14 Sulla

musica nel film cfr. R.S. Brown, Overtones and Undertones: Reading Film Music,

Berkeley, Universityof California Press, 1994, pp. 200-219. 15 Evidenziata tra l'altro da G. Deleuze in Tre domande su Six fois deux (1977), in Id.,

Pourparler, Macerata, Quodlibet, 2000, pp. 53-65. 10 S.

Liandrat-Guigues, J.-L. Leutrat, Godard.. Alla ricerca dell'arte perduta (1994), Genova,

Le Mani, 1998, p. 39.

~r «Le Monde», 10 giugno 2014. Cfr. anche la voce Sport in J.-L Douin, Jean-Luc Godard. Dictionnaire des passions, Paris, stock, 2010. ia A. Dalle Vacche, Cinema and.Painling: How Art ls Used in Film, Austin, University of Texas Press, 1996, p, llL 19 Di

questo dualismo esiste, nel film, una versione fondata sul tema della sc.hizofrenia, che

caratterizza Ferdinand/PieITOt fin dal nome, ed è evocata ad esempio dal riferimento al William Wilson di Poe - il quale, a sua volta, suggerisce il tema del suicidio e i relativi

riferimenti (ad esempio al pittore de Stael). Notiamo anche che per due volte Ferdinand

tenta di uccidersi, e che nel corso del film fa riferimento al senso dell'unità della persona e agli hommes doubles. Al tema della schizofrenia si lega anche il riferimento a Schumann

fatto da Duhamel, nella dichiarazione contenuta nel CD Jean-Luc Godard. HWtoin(s) de musique (Universiù France, 2007). 20

21

G. Genette, Figure III. Discorso del racconto (1972), Torino, Einaudi, 1976, pp. 282-285.

Sugli inserti visivi si veda la documentata rassegna alla pagina

http://www.thecinetourist.ne1/•.• 22

Questo è d'altronde l'unico inserto da Matisse in un film che presenta una serie-Picasso e

una serie-Renoir: cfr. Liandrat-Guigues e Leutrat, Godard, cit,, pp. 50-54. 23

Nel film. si ripetono anche gesti o situazioni. Ci sono, ad esempio, due dialoghi notturni io

automobile, due rappresentazioni improvvisate davanti a turisti, due partite a bowling, due monologhi di Ferdinand, due monologhi di Marianne... 24

Due le variazioni più significative. In primo luogo cambia la forma dell'ossessione del

protagonista! Conrad, nel romanzo, è vittima di una passione torbida che lo lega alla minorenne Allie; Feròinand è invece lacerato da un'attitudine contemplativa che gli impedisce di agire in maniera efficace (la sua passione per Marianne è tenace ma sostanzialmente de-sessualizzata). In secondo luogo cambia il finale: Conrad, dopo aver ucciso Allie, ritrova la pace perduta anni prima; Ferdinand, con gesto apparentemente insensato, si fa esplodere.

=-s N. Burch, Prassi del cinema (1969), Milano, Il Castoro, 2000, p. 138. 26 Cfr. ad es. C. Metz, n cinema moderno e la narratività (1966), in Id., Semiologia del

cinema, Milano, Garzanti, 1980, pp. 290-294; D. Bordwell, Narration in the Fiction Film., Madison, University ofWisconsin Press, 1985, pp. 317-327; W. Bucldand, The Cognitive

Semiotics ofFi.lm, Cambridge, Cambridge Universicy Press, 2000, pp. 124-130; P. Bertetto, Pierrot lejou, in G. Tinazzi (a cura di), n cinema.francese attraverso i.film, Roma, Carocci, 2011, pp. 180-184; M. Kiss, The Perception ofR.ealtty CUI Deformed Realmn, in On

"Strangenus"' and theMoving Image, a cura di A. van den Oever1 Amsterdam, Amsterdam.

UniversityPress, 2010, pp. 166-17227White, LeDémon, cit., pp. 38 e 43. :z8 In Godard,

n cinema è il cinema, cit., p. 236.

29

Id., Introduzione alla vera storia del cinema [1980L Roma, Editori Riuniti, 1992•, p.154.

30

Bordwell, Narration, cit., p. 329.

31 U. Eco, Opera aperta, Milano, Bompiani., 197f/.

Jacopo Chessa

Pr~nom carmen s Per un approfondimento musicologico sull'utilizzo dei quartetti di Beethoven in Prénom

Carmen si rimanda a A. Davison, Hollywood Theory, Non-Hollywood Practice. Cinema Soundtracks in the 1980s and 1990.1, London, Routledge, 2004, pp. 75-116.

Cfr. Il diario di Beethoven, a cura di M. Salomon, Mil!UlO, Mursi:11., 1992. 3 R. Bresson, Notes sur le cinématographe, Paris, Gallimard, 1975, tr. it. Note sul cinematografo, Venezia, MaJSilio, 1992, p. 10. 2

Olivier Bohler e Céline Gailleurd

Histoire(s) du cinéma 1

A. De Baecque, Grrlone: Mlmicll Tele-Pool, GJOVI!

Proeos. Evergreen Film; origine, Frmcia, Stati Uniti, Repubblica Federale Ted•soa; durata: 106',

Sclnò