Intrecci familiari. Realtà interiore e scenario relazionale 8870784428, 9788870784428

Trattando oggetti della ricerca clinica come il divorzio e i suoi effetti generazionali o l'affidamento dei figli n

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Italian Pages 328 [329] Year 1997

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Intrecci familiari. Realtà interiore e scenario relazionale
 8870784428, 9788870784428

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L

Vittorio Cigoli

INTRECCI FAMILIARI Realtà interiore e scenario relazionale



Rtif/àello Cortina Editore

Copertina Vando Pagliardini Fotocomposizione Studio g & p - Lodi ISBN 88-7078-442-8

© 1997 Raffaello Cortina Editore

Milano, via Rossini 4

Prima edizione: 1 997

INDICE

XI

Presentazione Introduzione Ritorno a Itaca

l

Parte prima La cornice

Capitolo I Realtà interiore e scenario familiare

11

(capitold:W

\ L'idolo e la maschera

15

. Capitolo III Si fa presto a dire relazionale l "'-""' CapitolO I\[,) Tconfine: Scienze l'ambiguità del relazionale

W

19 27

Capitol lo All'inizio è scambio

43

Capitolo VI L'azione come soggetto di ricerca

49

Capitolo Della giustizia e della speranza

59

Capitolo VIII Evoluzione e temporalità

71

Capitolo IX Il trauma e la fantasia

75

G

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Indice ··---�'-">;.,:,, "·

CapittiloX } Res gestae é damnatio memoriae

79

Capitolo XI Homo ludens

83

Capitolo XII Il processo di transfert

87

Parte seconda

Il divorzio nello scambio generazionale Capitolo I Dal luogo delle origini alla biforcazione della ricerca-intervento

99

Capitolo II Lo pseudoscisma coniugale: il legame disperante e il legame disperato

107

Capitolo III I figli come generazione successiva

1 15

Capitolo IV La relazione familiare come spazio sacrale

125

Capitolo V I delitti e la protezione dal danno

135

Capitolo VI Per un uso clinico della Consulenza Tecnica d'Ufficio

143

Capitolo VII Il transfert sulla giustizia e la salvaguardia delle relazioni familiari

1 89

(in collaborazione con Luca Pappalardo)

Parte terza

L'ambiguità dell'affidamento Capitolo I Nodi e scioglimenti

199

Capitolo II Percorsi terapeutici

203

Capitolo III Il transfert dalla famiglia al corpo sociale

2 19

VI

Indice

Capitolo IV Il figlio, la sua condizione di distanza, la sua soluzione al legarne dolente

229

Capitolo V Dalle distanze produttive e improduttive alla singolarità dei percorsi

247

(in collaborazione con Ondina Greco)

Parte quarta

La trasmissione tra le generazioni: l'inibizione della generatività Capitolo I Maschere

255

Capitolo II Tossicomania: linee di un programma di ricerca sull'intergenerazionale

259

Capitolo III Passaggi generazionali e inibizione del passaggio

265

Capitolo IV L'incastro dei corpi familiari e il transfert sul ricercatore

285

Appendice l Griglia d'analisi dell'intervista

299

Appendice 2 Griglia d'analisi del DSSVF

303

Appendice 3 Esempio di codificazione

307

Bibliografia

311

(in collaborazione con Elena Marta)

VII

'-·-· · l

PRESENTAZIONE

Intrecci familiari raccoglie, articola, rifigura oltre un decennio di ri­ cerca in ambito di clinica familiare. È il risultato di un lavoro al quale ho dedicato tutto quel tempo non segnato da urgenze e scadenze ma dalla cura amorevole e dall'animo libero da affanni, se non quelli che il testo stesso sollecita e smuove. L'idea, all'origine, era infatti era quella di presentare i contributi ap­ parsi negli anni sia in ambito teorico-metodologico, sia in ambito appli­ cativo. Insomma una sorta di tempo del raccolto. Ciò che invece è poi accaduto è che il raccolto ha favorito nuova semina e così un riavvio della ricerca. Questo lavoro invita all'incontro avventuroso con la famiglia pren­ dendo spunto da Ulisse-Odisseo. Accompagna poi il lettore nella co­ struzione della cornice all'interno della quale poter ricondurre il sen­ so da ricercare e l'azione da intraprendere con gli "oggetti familiari" che di volta in volta vengono incontrati e trattati. In particolare sono prima delineati i concetti guida e poi gli strumenti con cui si è inteso lavorare. Il lettore incontrerà alcune situazioni di lavoro, siano esse d'inter­ vento o di ricerca. Cruciale, in proposito, si rivela la presa in analisi e il trattamento di ciò che le famiglie trasferiscono ed "estroflettono" sul corpo sociale. A questo punto desidero ringraziare tutti coloro che hanno soste­ nuto , favorito, collaborato al sorgere e al delinearsi del presente pro­ gramma di ricerca sul familiare. Inutile dirlo, parto dal Centro studi e ricerche sulla famiglia dell'Università Cattolica di Milano, casa madre sia nel senso di punto di origine della mia ricerca, sia nel senso di luo­ go di desiderio rivolto alla ricerca psicosociale e clinica. Che esso sia XI

Presentazione

casa e famiglia è poi reso evidente dal fatto che è sorta una nuova gene­ razione di ricercatori quanto mai attiva a livello sia nazionale sia inter­ nazionale. Grazie a Luca Pappalardo, Ondina Greco, Elena Marta. Con loro ho dialogato e trattato le "vicende" che appaiono nel testo. In particola­ re è con Luca Pappalardo dell'Istituto di terapia familiare di Siena che ho messo a punto l'utilizzo clinico della Consulenza Tecnica d'Ufficio. Continuo ringraziando quei centri e istituti che in questi anni mi hanno concesso la loro attenzione e il loro ascolto facendo da linfa pre­ ziosa per il lavoro di ricerca: l'Accademia di psicoterapia della famiglia di Roma, il Centro coppia e famiglia di Locarno/Mendrisio, il Consul­ torio familiare dell'Università Cattolica di Roma, l'Istituto di terapia familiare di Siena, l'Istituto di terapia familiare di Firenze, l'Istituto di terapia familiare del Veneto, l'Istituto di psicoterapia relazionale di Napoli, l'Istituto europeo di formazione e consulenza sistemica di Ro­ ma, l'Istituto di psicologia e psicoterapia relazionale e familiare di Na­ poli, l'Istituto italiano di psicoterapia relazionale di Roma, il Centro studi di terapia familiare e relazionale di Roma, l'Associazione Alice di Comano (Svizzera). Un ringraziamento particolare a Corrado Pontalti, direttore del Servizio di psicoterapia familiare dell'Università Cattolica di Roma, fonte e stimolo di pensiero. Grazie a mia moglie Giuseppina a cui devo gran parte di quel tem­ po amorevole dedicato al testo, un tempo liberato senza che nulla fos­ se tolto a noi e ai figli che hanno diritto di ricevere e di sentire la cura che è loro rivolta. Grazie infine a Emanuele Testa che ha seguito la stesura definitiva del testo, a Caterina Gozzoli e Maddalena Carugati che ne hanno cura­ to le varie parti. Cremona, Cascina Ferrada Giugno 1996

XII

INTRODUZIONE RITORNO A ITACA

Lieto l'eroe dell'innocente vento la vela dispiegò. Quindi al timone sedendo, il corso dirigea con arte. Omero,

L'inizio è nei pressi della fine

Odissea

L'interesse scientifico nei confronti della famiglia, sia esso storico, psicologico, sociologico o antropologico, si situa poco prima della de­ cadenza di quest'ultima. Dopo gli ultimi bagliori ecco il suo rapido de­ clino: nel mondo occidentale non è più tempo ed età dell'oro del fami­ liare! Ci sono stati duecento anni circa di vera e propria esplosione matri­ moniale (la fonte del familiare) e adesso assistiamo a una rivoluzione, vale a dire al ritorno all'antico. Come prima dell'inizio dell'età dell'oro rileviamo, infatti, la massiccia presenza di persone non sposate e che non fanno famiglia, a meno di chiamare famiglia, in modo confusivo, ogni e qualsiasi condizione di vita. Certo, ci sono anche chiare differenze. Così, per esempio, allora il destino della persona non sposata era quello di inserirsi nell'esercito e nella chiesa, oppure di fare da corte a coloro che, avendo e portando dote, erano in diritto di sposarsi favorendo un profìttevole scambio tra famiglie. Ora, invece, il destino della persona è soprattutto quello di individuarsi e di essere autonoma, di avere e fare centro sui propri bi­ sogni e sui propri diritti, di vivere pienamente ogni età della vita, di ri­ cercare la propria felicità. l

lnlruauzzune

All'inizio è il nostos Si tende generalmente a rimuoverlo, ma alle origini dell'interesse verso il familiare vi è anche la stanchezza, lo sfinimento dell'eroe indi­ viduato. Egli ha duramente combattuto per emergere nella sua indivi­ dualità, egli ha strenuamente lottato contro ciò che poteva !imitarlo e vincolarlo, "in primis" proprio la famiglia; ma ora proprio di patria ab­ bisogna. Allo sguardo attento e all'anima sensibile non sfugge come la fami­ glia sia stata sfondo-ambiente ossessivamente presente nel romanzo dell'Ottocento e del Novecento. È lei il vincolo da cui liberarsi, è lei la trama vischiosa! Il rapporto tra individuo e ambiente familiare e sociale è però anche il nuovo del romanzo. In precedenza, infatti, altre erano le trame che attraevano i lettori; trame che si affidavano alla realtà degli universali e degli immutabili.1 Di certo il romanzo è stato notevolmente influenzato dal pensiero fi­ losofico e dall'interesse sempre più vivo per la mente e la coscienza in­ dividuale. Ne sono stati propugnatori Descartes e Locke. Per loro con­ ta, infatti, il singolo investigatore che persegue la verità e che è in grado di liberarsi dagli assunti del passato e dalle credenze tradizionali. Così unicità (dell'investigatore) e novità (del romanzo) si sono inse­ guiti creando il circolo virtuoso (e vizioso). L'altra grande e importante matrice dell'interesse verso l'eroe indi­ viduato, come sappiamo, è quella medico-psicologic� . Con Pasteur si conosce il microbo, si viene a sapere che il "nemico sfugge all'occhio" e che occorre operare sull'invisibile. Non a caso con Freud si impone e si afferma l'inconscio. Se la fede nella coscienza e nella "ratio" crolla o, per meglio dire, assume il carattere dell'ambiguità, resta pur vero che l'eroe conquista altri e affascinanti ambiti di ricerca su di sé. Quel che desidero sottolineare, insomma, è la presenza di un para­ dosso storico. È stato proprio l'affermarsi dell'età dell'oro relativamen­ te alla diffusione delle famiglie nel mondo occidentale a creare l'am­ biente adatto all'emergere della persona nella sua individualità, un emergere che contemplerà anche il gusto per gli oscuri recessi e per le ignote dimensioni dell'anima. l. Ancora nel Settecento in letteratura e in critica letteraria è evidente la predilezione classica per il generale e per l'universale. Viva era, infàtti , la connessione con la tradizione critica neopla­ tonica da sempre sostenitrice del romance, vale a dire di narrazioni in cui l 'attenzione dev'e sse re rivolta più alla trama che ai personaggi e in c ui è prevalente l'elemento fantastico. Come sapp ia ­ mo ben altro è il "romanzo " dell'Ot tocento (Watt, 1972).

2

1nrroauzzone

Ora però, proprio come Ulisse, noi ritorniamo a Itaca. Spossati da lunghe lotte, provati dalle mille insidie che intralciano il percorso dell"'io" che eroicamente si lancia all'avventura e alla ricerca di sé, sfidando anche i più pericolosi recessi dell'essere, ci rivolgiamo alla patria agognata. Questa è la nostalgia: la famiglia come regno della pace, com� luogo della risorsa vitale, come ambito dell'accoglienza sicura e della viva ap.­ partenenza. Ma, come il neoplatonico Proclo ci ricorda, il tanto ago­ gnato ritorno alla terra madre e al tempo di pace si rivelano essere luo­ ghi e tempi della tragedia.2 Non basta insomma "tornare alle radici" per salvarsi. Spostando l'accento dall'io eroico (eroico persino nel vivere il male) alla matrice familiare non facciamo altro che trovare un ambito ulteriore della peri­ pezia del vivere. Del resto non è forse vero che già Aristotele aveva individuato nel familiare il luogo elettivo della tragedia? Il dolore che attraversa le ge­ nerazioni, egli ci insegna, è ciò che costringe e vincola quelle successi­ ve portandole a perdersi in desolanti labirinti (la pazzia), o a essere schiave del loro destino (compiere il delitto). Anche oggigiorno la fa­ miglia è ambito di passioni tragiche e non a caso il luogo dove si perpe­ tuano il maggior numero di delitti. Ulisse lascia Ogigia e con lei Calipso (la ninfa buona che riprenderà sì in mano la spola d'oro, ma non canterà mai più) senza una parola di commiato, senza uno sguardo all'indietro verso la ninfa che guarda im­ mobile la vela che si allontana grazie al vento da lei stessa voluto. Tanta è la passione del ritorno e imperiosa la nostalgia della patria che egli ha persino rinunciato al dono offertogli dell'eterna giovinezza. Come i lati della stessa medaglia alla famiglia come luogo del male che vincola, che assorbe nella sua trama vischiosa, che si oppone affin­ ché il "singolo investigatore" non persegua la verità e non si avventuri ai limiti del Sé, si alterna la famiglia come luogo della nostalgia, come sicura risorsa di fronte ai mali del vivere, come ambito e matrice a cui ciascuno ha diritto. Persino chi ha una visione biologico-organicista del dolore mentale ricorre alla famiglia perché vengano espresse emozioni positive e ven­ gano tenute sotto controllo quelle negative nei confronti del malato! Ora, vale la pena far presente che le relazioni familiari costituiscono 2. Pr oc lo ci ha tramandat o il s unt o di un poema relativ o a l rit orn o degli er oi d ella gu erra di Troia. Qu el ch e s copriam o è ch e la trag edia a bita pr op ri o il temp o della pace ag ognata.

3

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il più recente oggetto d'indagine scientifico-psicologica. Esso segue quello nei confronti dell'individuo, dei gruppi, delle organizzazioni e non certo per caso ci si è spesso serviti dei linguaggi propri di tali "og­ getti" per definirle e comprenderle, riducendone così ciò che le carat­ terizza. In realtà, perché il "nostos" sia profìttevole occorre fare un lavoro di definizione dell'oggetto (cogliere cioè la natura delle relazioni fami­ liari), evidenziare il metodo per accedervi e per valutare il rapporto tra vincoli e risorse che tali relazioni hanno per la persona. È quello che cercherò di fare nel presente testo. All'inizio è la ricerca

Ricercare è necessità propriamente umana. Per cercare, e sempre di nuovo, poniamo avanti la mente, vale a dire domandiamo. Le domande sono impegni e rischi che ci assumiamo. È la sapienza antica a rammentarcelo: sia che l'eroe sciolga l'enigma, sia che branco­ li in un oscuro destino, egli non è più nella medesima condizione di prima di aver domandato. Ci sono, però, modi differenti di domandare. Il primo consiste nel porsi un quesito a cui non si ha risposta; il secondo consiste nell'indivi­ duare la strada adatta per accedere alla risposta.3 Parto da qui. È alle origini della nostra stessa cultura che si situa la conoscenza del rilievo delle relazioni familiari per il destino della per­ sona; ciò vale tanto per il mondo greco (si veda Aristotele), quanto per il mondo ebraico (si veda la Bibbia). Potremmo allora dire che per strada abbiamo perso la via. Il legame tra le generazioni, un legame dal fondamento etico e non solo affetti­ vo-cognitivo, è andato insomma soggetto a rimozione collettiva e la persona è stata scissa dalla sua matrice. Così abbiamo dovuto ritrovare il responso che dice dell'importanza del familiare per l'emergere della persona. Il problema però, una volta operato lo svelamento, è come inserirsi, è come penetrare nella trama familiare per coglierne le caratteristiche. È a questo che occorre dare risposta. Di fronte, come vedremo, c'è il bivio: o si espande la conoscenza precedente, vale a dire che dall'individuo o dal gruppo, ambiti più si3 . Vedi Greimas ( 1983 ) .

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curi di conoscenza, si passa alla famiglia (dovunque insomma risplen­ de la gloria di Roma), oppure si cerca la proprietà specifica del familia­ re. Credo che accedere all'oggetto, nel nostro caso le relazioni familia­ ri, richieda di allontanarsi dagli ambiti di ricerca più conosciuti e fre­ quentati. Solo così è possibile coglierne la natura distintiva. Ed eccomi al primo modo di domandare relativo al rapporto quesi­ to/rispo sta. N on troviamo una valida risposta a determinate domande se restiamo affascinati dal teatro interiore della persona, oppure, fatto più recente, dall'interazione tra le persone (di fatto la "cronaca" dei rapporti interumani). Non che questi livelli della conoscenza siano ingannevoli o inferiori; essi, piuttosto, sono in sé inadatti e insufficienti se intendiamo accedere al livello relazionale-simbolico che caratterizza la ricerca sul familiare. Il rischio, allorché parliamo di relazione, è che possiamo presuppor­ re di riferirei a qualcosa che ci accomuna in quanto clinici. Nel presen­ te testo varie parti sono dedicate al tema dell'" ambiguità del relaziona­ le", vale a dire a come esso venga differentemente definito e trattato. Un altro rischio sta nel non cogliere la differenza tra interazione e relazione, non a caso frequentemente ridotta dai ricercatori psicoso­ ciali e dai clinici a un'interazione prolungata nel tempo. Insomma il "qui e ora" diventa sequenza e varie sequenze diventano relazioni!4 In realtà ciò che è declinato e si è oscurato nel corso dei tempi è il peso e il valore della relazione familiare che si basa sia sulla differenza dei sessi, sia su quella delle generazioni. Esiste infine un modo di ricercare. Se escludiamo la ricerca intesa quale mero esercizio applicativo (una necessità contingente) e quale strumento per l'appartenenza sicura, po­ tremmo evidenziare due modalità fondamentali di ricercare. L'una è caratterizzata, una volta afferrato il filo, dal ritornare costantemente sui propri passi, l'altra dal gettarsi in avanti, dal superare il confine. Berlin ( 1983) ha parlato, in proposito, del "riccio" e della "volpe" . Il primo si ferma in un ambiente e lo passa al setaccio; la seconda, mos­ sa dalla curiosità, si rivolge a territori sempre nuovi. Sentirsi al confine e volersi gettare in avanti è una modalità del ri­ cercare che fa dell'insoddisfazione e della sfida i suoi capisaldi. Più an­ cora che la ricerca dell'idea è importante "passare al di là". In breve, il legame che si forma è più con l'avventura delle idee che con "l'idea". 4. N on s olo ; l 'interazione è presupp osta c ome essenzialmente diadica (madre-bambin o; inter­ vistat ore -intervistat o; cliente -t crapeuta). Si potrebbe affermare che per m olti a l 'inizio è la diade.

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Introduzione

Medawar ( 1984) ci racconta come, prima che Cristoforo Colombo scoprisse le nuove terre, sullo stemma della famiglia reale spagnola fossero rappresentate le colonne d'Ercole con il motto "Ne plus ul­ tra". Era la Spagna, insomma, sia l'orgoglioso avamposto del mondo, sia il suo stesso limite. Dopo la scoperta delle Americhe la casa regnan­ te spagnola si limitò a cancellare il "ne". Sempre alla Spagna, dunque, occorreva riconoscere il merito di aver oltrepassato i confini. Allo stesso modo è il ricercatore che si pone all'avamposto, che sco­ pre l'errore anche da lui stesso commesso e che passa "al di là". Ritornare sui propri passi e setacciare l'ambiente può, invece, essere collegato alla ricerca dell'idea. È un po' come cercare e trovare il filo della matassa e così accade che il "filo-idea" venga trattato, curato, de­ lineato, cogliendone le possibilità operative, oltre che conoscitive. L'i­ dea, occorre dirlo, non si fa da sé, non emerge dal nulla, non è "mia"; essa è già presente nel consorzio degli uomini e attende che qualcuno se ne curi. Per quel che mi riguarda, l'idea che da tempo coltivo, se si vuole il principio ispiratore, relativamente all'oggetto famiglia è quella di por­ re attenzione allo scambio tra le generazioni. Di tale scambio ho cercato di cogliere la natura. Non solo, ho cerca­ to anche di individuare i livelli, o registri, utili per l'accesso alla cono­ scenza di ciò che definiamo "familiare". Quando parlo di familiare in­ tendo riferirmi a una categoria della conoscenza e dell'azione che ha quale oggetto le relazioni di parentela intese sia come forme e modelli di legame strutturatisi nel tempo, sia come luogo in cui compiere il la­ voro di ricerca di senso. L'idea, e questo è lo scopo del presente testo, è stata ed è messa alla prova tanto nella ricerca clinica, quanto nella psicoterapia. Anche se tra i due ambiti vi sono differenze, perché la prima è rivolta alla cono­ scenza (una conoscenza attiva e propositiva) e la seconda alla modifi­ cazione-trasformazione, occorre dire che il punto di contatto è rappre­ sentato, come si vedrà, dalla centralità della teoria dell'azione, un' azio­ ne che non si esaurisce affatto nello scambio linguistico-enunciativo tra le persone, anche se gli riserva particolare attenzione. L' azione, in­ somma, è strumento della conoscenza, così come è strumento della mo­ dificazione-trasformazione.

6

Introduzione

All'inizio è la clinica

L'"arte del letto" è centrata sul cliente. Secondo il dettato ippocratico il malato va colto nella sua integrità, nella sua mutevolezza e all'interno del suo ambiente.5 Il metodo, dun­ que, si fonda sull'osservazione "dal vivo" e utilizza le informazioni rac­ colte in senso dinamico. In verità a più riprese, nel corso della storia, abbiamo assistito a una scissione tra corpo e soma. Così, per esempio, i luoghi della carità, vale a dire dell'accoglienza e dell'assistenza dei pellegrini, nonché dei pove­ ri e dei malati voluti da Elena, madre di Costantino, in ogni città cri­ stiana, sono diventati nel tempo ricettacolo di vagabondi, folli, liberti­ ni, prostitute e malati pericolosi da indagare con occhio clinico. La scissione tra corpo e soma ha prodotto anche l'isolamento, vale a dire la scomparsa della persona nella sua trama di rapporti familiari e sociali. La strada era del resto già stata preparata nel Cinquecento dal­ la rivoluzione anatomica. Con l'anatomia, infatti, l'interesse viene ri­ volto sia al cadavere attorno a cui si assiepano spettatori avidi di sguar­ di, sia all'attività di palpare e sentire con le proprie mani; giusto quello che Andrea Vesalio andava insegnando a schiere di giovani medici. In breve, la manifestazione morbosa con i suoi caratteri differenzia­ li e i suoi decorsi ha acquistato sempre più importanza in sé e per sé. Non poca fatica ha comportato e comporta, sia in ambito medico sia in ambito psicologico, il recupero non tanto di una cieca unità, quanto di una viva e attiva articolazione-connessione tra il piano del­ la rappresentazione psichica (tale è il corpo), il piano della funziona­ lità somatica e la relazione sociale che caratterizza la persona del pa­ ziente. Non solo; altrettanta fatica ha comportato e comporta il recupero della visione dinamica che riguarda il rapporto tra vincoli e risorse, tra limiti e prospettive nell'"ambiente" del paziente, vale a dire nell'inte­ rumano. L'ambiente che ci interessa e che ci riguarda è geografia e sto­ ria dei rapporti umani; l'ambiente è la comunità degli uomini. Il meto­ do, proprio per questo, si awale della viva interazione tra i soggetti. In quanto ai luoghi della clinica (le forme d'incontro), essi non si ri­ ducono di certo al corpo sofferente del paziente; piuttosto abbraccia­ no vari tipi d'incontro e si estendono, come ben sappiamo, a gruppi e 5. I l "fa i q uest o e g uarirai " di c ui par la Ipp ocrate ri ferend osi al rapp ort o tra medic o e pazien­ te è per nu l a a ffatt o vu ota n orma, un semp lice "devi ", ma il ris ultat o di un inc ontr o appassionat o tra uom ini anche se c ol locati in p os izioni differenti. Ipp oc rate, Testi di medicina greca.

7

Introduzione

intere organizzazioni. Vari, dunque, sono gli oggetti indagabili con il metodo clinico.6 Nel presente testo l'oggetto è costituito dalle relazioni familiari. Seguendo i presupposti della clinica tali relazioni verranno colte nella loro specificità (evitando accuratamente di scivolare sia verso l'individuale, sia verso una generica gruppalità), nella loro qualità (i le­ gami), nella loro possibilità trasformativa e nel rapporto con l'ambien­ te, vale a dire entro la comunità degli uomini. A tale proposito sottolineo come sia proprio l'incontro delle fami­ glie con il contesto sociale che permette di far luce su alcune caratteri­ stiche delle prime e così di fare il lavoro di comprensione. Si tratta di una tipica modalità di trasferimento sul corpo sociale di qualità e carat­ teri del legame familiare che è segnata, in buona parte, dall'inconsape­ volezza. Siccome però il trasferimento muove lo scambio e così l'azione al­ trui (e con essa credenze, affetti, valori) occorrerà considerare anche come il corpo sociale nelle sue istituzioni e organizzazioni vi risponde, cioè come opera. Il processo di trasferimento non va considerato tanto e solo in senso riproduttivo, vale a dire come tentativo di riproporre "i vecchi proble­ mi" , ma anche in senso abduttivo, vale a dire come modalità tesa a rag­ giungere scopi e a cercare possibili soluzioni ai problemi che travaglia­ no il legame familiare. Le "soluzioni" cercate vengono però a connet­ tersi con quel nuovo che l'incontro può attivare. Saremmo insomma di fronte a situazioni familiari che impongono nello scambio la loro forza riproduttiva e abduttiva e altre che lasciano aperti spazi di ricerca per "nuove soluzioni". A questo, del resto, l'intervento clinico mira, vale a dire ad aprire spazi e immettervi ricerca-azione. Nello specifico mi occuperò di tre forme di trasferimento: una della famiglia verso il corpo sociale (l'affidamento eterofamiliare), una della famiglìa verso la Giustizia (l'affidamento dei figli in caso di divorzio coniugale), e una della famiglia verso il ricercatore (famiglie con figli tossicomanici da eroina). Penso che sia così possibile incontrare i corpi familiari "nella loro integrità e nella loro mutevolezza all'interno del loro ambiente". Pro­ prio come dice lppocrate. 6. Occorre dunque distinguere tra l'oggetto di conoscenza, il metodo, i ge neri, le forme d'in ­ contro. Un mirabile esem pio di metodo clinico è que l o di Piaget, t eso, nel ra pporto con bambini c ragazzi, a coglie re le caratteristiche dello svi lu ppo e pistemologico.

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PARTE PRIMA

LA CORNICE

Incessantemente separando ciò che è l a luce da ciò che è la tenebra, le ultime parole dalle prime, le montagne dagli incendi dalla pura luce senza fiamme, è sempre ciò che non separa il gioioso enigma. Cozzali,

L'antidoto dello scorpione

I

REALTÀ INTERIORE E SCENARIO FAMILIARE

Parto da un narratore-drammaturgo e precisamente da Luigi Piran­ dello. Non andrebbe dimenticato che l'arte di curare e l'arte poetica han­ no un'unica divinità di riferimento, Febo-Apollo, tanto il Dio che cura e risana, quanto il Dio che inventa e presiede alla poesia. Dovremo allora stupirei se il narrare è strumento essenziale della cura psichica? Amo Pirandello perché ha coltivato con passione e maestria generi differenti. Ha, infatti, saputo trattare sia la realtà interiore del singolo personaggio, sia lo scenario relazionale, familiare e sociale, di cui tale personaggio è parte. Non solo; come Henry James e André Gide, egli con le sue Novelle per un anno1 ha inteso mostrarci come si inventa, come si crea narra­ zione. Le Novelle costituiscono, dall'adolescenza in poi, il @o ininter­ rotto della sua vita ("e tutte rielaborate con lunga e amorosa cura"). È attraverso loro che Pirandello ci ammette nel suo laboratorio, ci mo­ stra gli strumenti di lavoro e ci mette in contatto con quel setaccio del­ la mente che è la sensorialità: uno sguardo improvviso, un rumore im­ previsto, un odore catturante, un gusto insolito muovono emozioni, agitano affetti, incitano idee destinate a prendere forma narrativa. È proprio dalle Novelle che Pirandello ha trascinato non pochi per­ sonaggi sulla scena teatrale, lì illuminandoli nella concreta situazione dialogica. Cambia il genere e, con esso, il linguaggio tecnico "perché a ogni arte risponde una scienza che bisogna conoscere, un insieme di procedimenti da impiegare, di esperienze da fare". Il genere, dunque, l. Pirandello ( 1 922 ) .

11

Intrecci familiari

ha sue specificità e precisi confini; eppure facilmente si fa, e cerca di imporsi, come onnicomprensivo e onnisciente. Trattare della realtà interiore della persona non è la stessa cosa del trattare di uno scenario familiare che, di certo, non può essere ridotto a somma di realtà interiori, oppure a somma di diadi. A sua volta la realtà interiore non può essere ridotta alla mera registrazione delle esperienze fattuali dei rapporti familiari e sociali. Sembra scontato ma, come vedremo, non lo è affatto, perché di frequente ricercatori e clini­ ci guardano con gli occhi del proprio oggetto, piuttosto che guardare al proprio oggetto. Ma torniamo a Pirandello. Per lui due sono i bisogni che eccitano la singola anima (e così tutte le anime): quello di possedere il bene altrui, sia esso economico, fisico, materiale, conoscitivo, e quello di apparte­ nenza. Il primo bisogno trascina con sé l'invidia; il secondo gli "irsuti dove­ ri". Per contrastare, infatti, il senso di solitudine e di isolamento, per sentirsi inseriti e riconosciuti, gli uomini sono disposti a vincolarsi a re­ gole e norme e, così, a ingessarsi l'anima. Indossano l'abito sociale, la maschera, e parlano in quanto operai, mercanti, politici, psicologi, me­ dici. In breve, se gli uomini riescono a vivere la vita come teatro non avranno vera crisi, né tratteranno la sofferenza. A chi invece " capisce il gioco", a chi coglie che in ciascuno di noi ci sono diverse possibilità di essere, che la persona è molteplice e imprevedibile, non rimane che perdere il gusto di vivere, perché vivere è di fatto illudersi.2 Per Piran­ dello l'unico modo di allontanarsi dalla pena di vivere è allora quello di fondersi con la natura, "farsi nuvola che non sa di esserlo", "essere filo d'erba" . Il tema del corpo che cessa di avvertire il bisogno e della mente che cessa di desiderare è tipicamente anoressico. Se però ci serviamo di quel "sentimento del contrario" che l'autore medesimo ci ha suggerito di utilizzare nel considerare le vicende umane e nel ricercare il loro senso plausibile, possiamo cogliere in Pirandello la presenza sotterra­ nea del sogno-bisogno di un mondo caratterizzato dalla presenza di in­ tese profonde tra gli uomini e di un tessuto sociale che li connetta fa­ cendo loro provare l'armonia dell'appartenenza. Allorché, però, Pirandello si rivolge a indagare la crisi nei rapporti 2. Vedi in proposito Cigoli ( 1 990) . Sui motivi d ell 'invidia, d egl i irsuti dov eri e d el capir e i l gioco v edi, tra l e a ltr e, le nov el le "La mosca", "I l corpo ", "Quando s'è capito i l gioco ". Su l caso com e ciò ch e m uov e lo s cenario familiar e v edi "La v est e lunga ' . 12

Realtà interiore e scenario familiare

sociali e familiari egli riconosce che è il caso ("l'accidens") a sconvolge­

re il procedere cieco e routinario della vita. È l'evento-caso che mette in crisi le relazioni ed è da tale crisi che emergono i ribelli e che si ma­ nifestano le vittime, in primis i bambini e le donne. Un bell'esempio di scenario familiare è la novella "La veste lunga" dove una giovane donna preferisce la morte a un futuro imperscruta­ bile. Si sente dispersa, mancante di guida, vuota di relazioni vere e con un corpo, da poco trasformato, come non proprio. Ci vuole altro che la veste lunga per essere e sentirsi donna! I ruoli di ribelle e di vittima trovano il loro complementare in quelli di represso re e di abusante.3 Ciò a dire che l'attore che interpreta il ruo­ lo e si fa "quel personaggio" dialoga con altri personaggi e altri ruoli. Sembra proprio di sentire quello che in seguito la ricerca sul fami­ liare cercherà di focalizzare (i ruoli e i rapporti tra i ruoli), per non par­ lare poi, sempre all'interno della narrativa pirandelliana, del rapporto coniugale inteso quale ambito elettivo per l'emergere della crisi d'i­ dentità e per tentare di evitarla. Non è forse vero che, specie in psico­ terapia familiare, la deviazione su uno o più figli del male-sofferenza è compresa e trattata come modalità specifica con cui gli adulti cercano di evitare la loro crisi d'identità? Ma dopo aver accennato a quanto, di fatto, accomuna letteratura e psicoterapia, è tempo di tornare ai generi. Nella ricerca di carattere clinico dobbiamo, con costanza, compiere un lavoro di delineazione volto a precisare il genere. Il genere è roriz­ zonte che costruiamo. È in tale orizzonte che può essere operato tanto il lavoro di conoscenza tipico della ricerca, quanto quello di modifica­ zione-trasformazione tipico dell'intervento clinico. Gian Biagio Conte afferma che il genere si propone come campo di riferimento entro cui il destinatario può riconoscersi e il destinatore può far riconoscere la peculiarità del proprio testo. Egli, dunque, sot­ tolinea il carattere di scambio del genere, che accetta sì rimaneggiamen­ ti e modificazioni, ma che innanzi tutto mira ad avere continuità.4 Così, una volta scelto l'oggetto generale di conoscenza (la persona), occorre riconoscere che il modo con cui perveniamo a tale conoscenza 3. Come ricorda Borsellino ( 1 99 1), P irandello era a conoscenza del famoso manuale di psico­ logia spe rimentale d i B inet, Les altérations de la personaltté del 1 892. La l ettura del l ibro lo con ­ d usse tanto a sostenere il princ ipio di d ivis ione della personal ità, quanto quello dell' inautent ic ità del quot id iano. 4. Conte ( 1 986, 1 991). Va da sé che se il genere ha il carattere dello scam bio, il lettore (e cos ì anche il r icercatore e il cl in ic o) non è l'arb itro e l 'artefice del senso. È nello scambio, e dunque al­ l'interno di vinco li prec isi , che il senso è generato.

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Intrecci familiari

si lega a un genere specifico. Nel nostro caso è quello che la considen nel suo aspetto di membro familiare, cioè come agente di una dinami ca familiare e come agito da tale dinamica. Pensiamo insomma alle re !azioni familiari quale matrice della persona: tale è la competenza de genere e tale è il suo ambito dialogico e conoscitivo. Va da sé che esistono altre competenze e altri ambiti dialogici relati· vamente alla conoscenza della persona, cosa su cui tornerò tra p oco Solo che, come ben sappiamo, il bisogno di primeggiare nella cono. scenza scatena da sempre competizioni che possono risultare mortife. re. Calcante, il divinatore, colui che tutto conosce (ciò che è, ciò che ( stato, ciò che sarà) muore perché Mopso si rivela più abile di lui. A sm volta, Omero muore per non aver saputo rispondere all'enigma posto­ gli dai pescatori dell'isola di Io, sua terra natale.5 In tempi di consumo culturale non è certo questione di vita o di morte; ma la competizione può assumere facilmente la veste mortifera nel senso che mortifica la ricerca. Tenere a bada il sentimento di onni­ potenza e di espansione narcisistica vuoi dire insomma non far coinci· dere il proprio "orizzonte" con il lavoro di conoscenza. Occorre piut­ tosto, mentre lo si coltiva con certosina pazienza e con abilità, sapersi porre all'ascolto degli altri orizzonti, così da coglierne consonanze e differenze. In sintesi: il compito-ostacolo è quello di delineare il genere operan­ do secondo un movimento di figura-sfondo, così come quello di indi­ viduare i procedimenti utili a far emergere la conoscenza specifica. La ricerca clinica sul "familiare" , così come l'intervento terapeutico sulle relazioni familiari, potrebbero trame profitto.6

5. Ved i Colli ( 1977 ) .

6. Ch iamo " fam iliare" l'amb ito d i ricerca e l a categoria della co nosce nza -az io ne relati va agli scambi generazio nali.

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II

L'IDOLO E LA MASCHERA

È una vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica, ai personaggi delle mie future novelle [. . ]. Non so perché, di solito accorre a questa mia udienza la gente più scontenta del mondo, o afflitta da strani ma­ li, o ingarbugliata in speciosissimi casi, con la quale è veramente una pena trattare. Io [ . ] prendo nota dei nomi e delle condizioni di ciascuno; tengo conto dei loro sentimenti e delle loro aspirazioni E voglio penetrare in fondo al loro animo con lunga e sottile indagine. .

. .

...

Pirandello, Novelle per

un anno

Ciò che sappiamo è che, con profitto, possiamo occuparci di mondi interiori, così come di scenari familiari. Come nelle Novelle anche in clinica vengono a udienza casi in cui è la singola persona che va lasciata parlare e che s'impone, così come ca­ si di "inermi" che sollecitano la chiamata in causa di altre persone, in primis dei familiari. È, per esempio, il caso dell'abuso all'infanzia; è il caso dell'Io debole e fragile dell'adolescente che "vive in altre dimen­ sioni"; è il caso di non pochi figli del divorzio. Come ho detto, la clinica si caratterizza per il suo fare dell'incontro tra gli uomini (l'interumano) la sua matrice di conoscenza e d'inter­ vento. Questo è, precisamente, il suo contesto, vale a dire ciò che ne definisce e vincola la conoscenza. È sempre all'interno di un rapporto (il ricercatore e i suoi oggetti) che si conosce e non a caso anche le "scienze dure" hanno fatto della presenza perturbante del soggetto un'opportunità, e non più un osta­ colo lungo la via dell'oggettività agognata. Chi oggigiorno non sottoli­ nea .l'importanza, direi quasi la necessità, che il ricercatore rivolga su

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lntreccìjamiliari

di sé e il proprio modo di conoscere e che "rifletta sul legame osserv: tore-osservato" come ha suggerito Morin?1 Vale la pena soffermarsi sul processo di conoscenza e sul rapport che istituisce per cogliere come esso si avvalga di conversioni. Nell'ar tichità gli scienziati guardavano al cielo o per meglio dire, alla conne� sione tra cielo e terra, garantita dalla presenza della Via Lattea. Era lur go tale via che un tempo uomini e dei potevano incontrarsi. La realtà prima (varie e specifiche sono le forme della realtà) di qm sti scienziati era il tempo. Non il tempo dell'evoluzione e delle genes tempo proprio di quella che sarà poi la scienza geologica, ma quell della necessità del ritorno. Le rivoluzioni (il passaggio da un segno zc diacale all'altro) avrebbero, infatti, ricondotto l'uomo a quel temp1 originario, in cui uomini e dei potevano incontrarsi e, dialogando, con vivere. Una vera e propria età dell'oro! In tempi più recenti, abbandonato per delusione e perdita di spe ranza il rapporto cielo-terra, gli scienziati si sono rivolti a un altro tipc di rapporto, vale a dire al sicuro possesso delle cose secondo il para metro dell'oggettività. La "vera ricerca" diventa quella guidata dall'at teggiamento sperimentale e dalla metodologia positivista che, in quan to tale, esclude l'anima dello sperimentatore, ma lo fa proprio in nome di un rapporto di controllo-dominio delle cose. Più di recente ancora, come ho detto, siamo di fronte a una nuov: conversione: la riflessione sul legame osservatore-osservato. Ma torniamo alla clinica. Con essa, oltre a istituire un vivo incontrc dialogico come fonte della conoscenza, assumiamo anche una visione dinamica, nel senso di valutare il rapporto tra vincoli e risorse che la si· tuazione propone. Differenti sono i suoi generi (il mondo rappresenta· zionale e, con esso, i legami interiori, il legame di coppia, il legame fami· liare e quello gruppale) , ma unica è la via della conoscenza-intervento.: Il rischio, piuttosto, è quello che il genere si faccia idolo. Gli idoli incantano gli occhi e trascinano le anime e non tollerano di convivere con la maschera. Faccio qui riferimento al grado zero della maschera che non è il travestimento, ma l'incognito.3 Voglio dire che sia trattando del mondo interiore, sia del legame diadico, sia infine del legame familiare, noi mascheriamo sempre, cioè l. Ve di Morin ( 1 977). 2. Occorre differenzi are i

"generi" dal " contesto ". I generi, di fatto , rigu ard ano il legame che si istituisce con l'oggetto , mentre il contesto rigu ard a le/orme d'incontro tr a gli uomini , qu ale l a psicoter api a, l a form azione, l'inte rvento nelle org anizz azioni , il r apporto tr a f amig li a e se rvizi o famigli a e istituzioni e così vi a. 3 . Vedi D anisch (1978). Sull aperson acome m ascher avedi Melchiorrc (1982); Mo ravi a (1986).

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L zaoto e ta rna:H.JJt::ru

lasciamo incognita una parte e un aspetto decisamente importante del­ la persona. Detto altrimenti, la persona in quanto essere in relazione non è mai

colta nella sua totalità.

La psicoanalisi, come sappiamo, ha introdotto una variabile narrati­ va seducente, quella che fa riferimento al fenomeno, peraltro ubiquita­ rio nelle relazioni umane, del transfert e, correlativamente, del contro­ transfert. Ma gli oggetti-Sé, per dirla con Kohut, o i fantasmi originari e antioriginari, per dirla con i neokleiniani, non consentono affatto di dire circa una trama familiare, essendone piuttosto sua eccedenza. "Ec­ cedenza" nel senso che si tratta di costruzioni del singolo soggetto ope­ rate sulla base del proprio esperire all'interno dei rapporti familiari e narrate a quell'interlocutore che è lo psicoanalista. L'esempio più eclatante di costruzione personale è proprio il "ro­ manzo familiare", di fatto una narrazione autobiografica su cui dialogano il destinatore e il destinatario. ,, La trama familiare, in quanto azione di scambio tra le generazioni, i emerge, in realtà, solo chiamando in scena contemporaneamente mem -/f/ bri di generazioni diverse. Lo schema-base, se si vuole la matrice, de.!J familiare è la triangolazione e l'intersezione di triangoli. Triangolare è il rapporto genitori-figli, triangolare è il rapporto di ciascun genitore con i propri genitori, triangolare è il rapporto tra fra­ telli e ciascun genitore e così via. Ma con la triangolarità si fa viva quel­ la verticalità nei rapporti umani che la relazione diadica oscura, par­ lando, non a caso, di reciprocità. La verticalità è il proprio, lo specifico, del rapporto tra generare ed essere generati. Così allorché incontriamo famiglie noi conosciamo (possiamo cono­ scere, cerchiamo di conoscere) in merito ai legami tra le generazioni. Ecco un altro genere che a sua volta può farsi idolo, come succede quando non si tiene conto che l'attenzione rivolta alla trama familiare facilmente maschera potenzialità e responsabilità della singola persona e il suo essere principio della riflessione. È lottando per la superiorità (della concezione "complessa" rispet­ to a quella lineare-causale, del concetto di informazione rispetto a quello di energia, della classe di oggetti rispetto ai singoli oggetti), co­ me spesso è stato affermato in ambito di psicoterapia familiare, che si mortifica l'ambiguità del relazionale. Il "relazionale", insomma, da in­ tendersi, come dirò poi, come legame (re-ligo) e come riferimento e at­ tribuzione di senso (re-/ero), si mostra e si maschera tramite generi dif­ ferenti.

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Di recente David Reiss (1989), a proposito della ricerca sulla "fami­ glia rappresentata" e di quella sulla "famiglia reale", ha affermato cht: "l'abisso non è più profondo di un'analogia" intendendo così ripro­ porre la sempiterna idea dell'integrazione.4 Sono di diverso avviso. È solo accogliendo l'ambiguità del relazio­ nale che è possibile rispettare generi di ricerca tra loro differenti. Co­ m'è possibile rendere affini e somiglianti ricerche che puntano verso lt: rappresentazioni familiari (in sostanza che cosa le singole persone per­ cepiscono e condividono in merito all'oggetto famiglia e su cosa collu­ dono) e ricerche che puntano a cogliere il risultato specifico dell'azio­ ne familiare (in sostanza che cosa i membri di differenti generazioni hanno /atto e fanno in merito allo scambio generazionale)? In verità noi ritagliamo oggetti specifici e questa è l'unica via per ri­ cercare. Così mentre l'integrazione punta a creare un"' unica lingua", il dia­ logo tra generi di ricerca fa affidamento sullo scambio, inteso come ciò che è proprio e specifico dell'umano. Come infatti ci ricorda Lotman (1985), lo sviluppo culturale è il prodotto di uno scambio che presup­ pone sempre un partner, qualcuno che è sì vicino, ma anche estraneo.5 Quello che possiamo e dobbiamo istituire è proprio il dialogo tra generi di ricerca, perché è dal dialogo che sorge nuovo pensiero. Potre­ mo allora far dialogare la "rappresentazione" e l"' azione" familiare, te­ nendo ben presente però che esse trattano e dicono di aspetti differen­ ti della persona in quanto essere in relazione. Eppure qualcosa che nella differenza unifica c'è: è proprio il rap­ porto persona-relazione.

4. L'

integr azione, ide a ricorrente in ambito scienti fico , si fon da sul mito dell'unic alingu a. 5. Il semiologo p �rl a di "ceppo testu ale m adre" che nel confronto con chi è esterno riceve nuov a inform azione. E proprio il di alogo tr a generi di ricerc a che pu ò produrre inform azione ul­ teriore.

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III

SI FA PRESTO A DIRE RELAZIONALE!

Se c'è un termine di cui non si sente proprio la mancanza, questo è quello di relazione. Lo troviamo dovunque, dalla teoria dell'organizza­ zione (si veda il movimento delle relazioni umane), alla teoria sistemica (che regolarmente giustappone al termine sistemico quello relaziona­ le), per finire alla teoria psicoanalitica (attenta alle relazioni d'oggetto). Ci sono due argomenti preliminari su cui occorre far luce: il primo riguarda il rapporto tra interazione e relazione, il secondo riguarda la

teoria dell'azione.

A quest'ultimo proposito ricorderò come i differenti termini di "interazione", "relazione", "organizzazione" includano tutti la matrice d'azione, eppure assai raramente i ricercatori esplicitano la teoria del­ l' azione cui fanno riferimento. Questo perché ciò che li appassiona è assai più la vita mentale in sé che l'azione umana. Parto allora dal rapporto tra interazione e relazione che costituisce un vero e proprio imbroglio. L'imbroglio è tanto un groviglio, qualco­ sa che intralcia il cammino, quanto una condizione di confusione in cui ci si caccia. L'imbroglio, dunque, è come un ostacolo che lancia la sua sfida, oppure è uno stato-condizione di confusione che mira a mantenere vivo l'indistinto e l'indifferenziato. Capita, insomma, che interazione e relazione divengano pratica­ mente omologhi, oppure capita che la relazione venga ridotta a una se­ rie di interazioni temporali tra due persone. È quest'ultima del resto, la posizione teorica di Hinde e, di fatto, dell'approccio etologico ai problemi sociali e dello sviluppo.1 l. Vedi Hinde ( 1 995), dove di nuovo l'autore , presentando una lista di dieci categorie di di­ mensioni utili per ordinare i dati , co nferma che "la relazio ne riguarda e consiste in una serie d i interazion i at traverso il tempo" (p. 2 ) .

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·

Intrecci familiari

Ma c'è di più. L'interazione può essere pensata come situazione e tro la quale le persone si dispongono, cioè proprio come una scena cui i singoli agiscono, oppure può essere pensata come matrice, val< dire come costituente e strutturante le persone medesime. Nel prit caso l'interazione è l'ambiente, è il luogo entro il quale avvengono c gli scambi di varia natura; nel secondo caso, invece, l'interazione è comunità medesima degli uomini. Potremmo anche dire che nel caso dell'interazione come scena presuppone come matrice un insieme di individui, mentre nel ca dell'interazione come struttura comunitaria si presuppone uno sca; bio tra persone. ·In base a quest'ultima definizione la persona umana è tale in quan partecipante e dialogante nel seno di una communitas. È quello c: probabilmente intendeva Freud quando dichiarava che la psicolo� individuale è "fin dall'inizio" e "al tempo stesso" psicologia soda: salvo poi prendere tutt'altra strada. In ogni caso in clinica questa è presupposizione-guida di Foulkes e, in ambito psicosociale, di Asci Quest'ultimo definisce, infatti, la reciprocità quale tratto distintivo dc l'interazione, nel senso che le persone percepiscono, comprendon attribuiscono e mirano a qualcosa reciprocamente. Per Asch, insor ma, c'è una comune natura dialogica a fondamento della persona questa è, com'è noto, anche la tesi filosofica di Buber. Vorrei far notare che con la focalizzazione dell'attenzione sulla re< procità si spezza il dominio della metafora dello sguardo che di fat ha caratterizzato sia la filosofia, sia la psicologia (''il punto di vista' Dalla metafora oculare, già cara a Cartesio, per cui la mente è sguarc presso l'individuo, si passa infatti, introducendo il principio di re< procità, alla metafora dello scambio quale matrice del mentale. Si co trobatte così anche il rischio del riduzionismo mentale che è quello perdere la persona in quanto agente nella comunità degli uomini. Insieme alla reciprocità, l'interazione, intesa in senso comunitari ci spinge anche a riconoscere la matrice, vale a dire ciò che /a da mad allo scambio. Si tratta della viva e attiva presenza del registro simbolic Symbolon, infatti, è propriamente ciò che lega, è ciò che congiunge che così permette riconoscimento (com'è il caso di due parti di un ur -

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2. Non si tratta insomma, come in Goffman e in Garfìnkel, di una mera influenza reciproca n l'hic et nunc che codetermina scelte c modi degli attori, quanto piuttosto di una comune natura. V (

Asch (1938) con particolare riferimento al capitolo sull'interazione. I n ambito @osofìco la comu natura dialogica, ciò che sta tra l'"io" e il "tu", trova in Buber il suo fervido sostenitore (Buber, 192. Sul tema vedi anche Scabini, Cigoli (1991); Scabini (1995).

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Si /a presto a dire re/azionale '

co coccio o di una medaglia). La sua ombra è il diabolon, alla lettera ciò che disgiunge e spezza. Così la matrice familiare, quella che ci riguarda più da vicino essen­ do il nostro genere di ricerca, è contraddistinta da una sua propria na­ tura simbolica, una natura che la distingue da altre forme di organizza­ zione umana. Come vedremo più dettagliatamente, tale matrice ri­ guarda la distribuzione della speranza (con il suo opposto la dispera­ zione) e la distribuzione della giustizia (con il suo opposto l'ingiusti­ zia) . Tutto ciò però avviene secondo un principio gerarchico, vale a dire che tocca alle generazioni precedenti rispondere a quelle successive delle loro azioni. Allora l'interazione, per ciò che riguarda gli uomini, si qualifica e viene definita tramite le due proprietà della reciprocità,_ vale a dire che le persone non possono che rivolgersi l'un l'alt ra e �he il dialogo con l'altro è costitutivo del sé, e della matrice simbolica, vale a dire che c'è qualcosa di specifico che vincola e Tegatralor;-giruomini e che a tale vincolo, che riguarda lo scambio tra le generazioni, non si sfugge. Emerge la differenza di tale posizione rispetto a quella costruttivista e a quella costruzionista. La codeterminazione e la co-costruzione pos­ sono, infatti, far riferimento al principio di reciprocità (anche se resta oscurato l'altro in quanto tale), ma tralasciano di considerare la matri­ ce simbolica che è l'altro principio sulla base del quale l'interazione umana è quella che è. Per il costruttivismo e il costruzionismo la base interattiva è caratte­ rizzata dalla presenza fisica dei partner e dal loro agire comune entro determinate unità temporali (sequenze e sequenze di sequenze). Ma tale copresenza e tale azione comune non significano affatto, come in­ vece viene sostenuto, che i partner determinano interamente il proces­ so o che lo co-costruiscano. È questa una posizione razionalista e, pa­ radossalmente, soggettivistica. In verità per considerare i rapporti familiari non basta affatto rife­ rirsi all' hic et nunc e alla sequenza temporale, occorre piuttosto aprirsi sia alle caratteristiche dello scambio generazionale con le elaborazioni che i membri familiari ne fanno (è questa la base affettivo-cognitiva ri­ conosciuta anche dai costruzionisti) , sia tener presente che nello scam­ bio opera anche ciò che le persone in questione non hanno esperito e che ciò nonostante ha un suo rilievo nei rapporti attuali (si tratta della "base incognita" che influenza l'azione). Non a caso da tempo non pochi psicoterapeuti familiari hanno sco­ perto come eventi che riguardavano generazioni lontane, eventi preci21

Intrecci familiari

pitati nell'incognito, potessero essere connessi con la situazione pre­ sente di sofferenza familiare. Insomma, pensare ai partecipanti all'interazione come unici artefici della stessa, grazie anche alla loro capacità di evocare, è un modo di se­ dare l'angoscia derivante dalla presa d'atto non solo della presenza del­ lo scisso e del rimosso relativamente alle vicende umane, ma anche del­ la precarietà del soggetto dell'azione. I soggetti dell'azione sono insom­ ma soggetti all'azione altrui; un altrui che non si riduce affatto a chi t. presente e nemmeno a chi può essere evocato. Questa è, propriamente la persona. Torniamo ora a considerare l'interazione. Con essa noi intendiamc privilegiare una specifica dimensione spaziotemporale, quella di un "qui' che dice di uno spazio cruciale e quella di un "ora" che dice di un tem po cruciale. Nel caso della ricerca clinica sul familiare tale "qui" è, in differentemente, il servizio, l'organizzazione, o la casa entro la qualt avvengono gli scambi, mentre tale "ora" riguarda sia il carattere e la na tura degli scambi tra i familiari, nonché fatto e informazione imprescin dibili tra i familiari e il ricercatore medesimo. Non è forse egli l' estra neo per cui è predisposto un posto a tavola, o che va cortesemente mes so alla porta, o, ancora, che va tenuto sotto controllo perché lì (da lui può venire il pericolo?3 Ma il clinico, mentre propone l'interazione tra i membri familiari di questi con lui, punta alla relazione, vale a dire a cogliere ciò che "le ga" i familiari e che trascende così le loro differenze, nonché ad affer rare un senso complessivo a cui tale legame rimanda.4 In breve, l' atten zio ne e il riguardo verso l' i��_!_