In principio erano le donne. Miti delle origini dalle Amazzoni alla Vergine Maria 9788843092222, 8843092227

Come sono state raffigurate le donne nelle opere degli autori antichi e medievali? Quale ruolo è stato loro attribuito (

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In principio erano le donne. Miti delle origini dalle Amazzoni alla Vergine Maria
 9788843092222, 8843092227

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Frecce· �58

Patrick J. Geary

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Miti delle origini dalle Amazzoni alla Vergine Maria

Carocci editore

@ Frecce

A Maria, in principio e per sempre

Traduzione di Giovanni Isabella Titolo originale: Women at the Beginning. Origin Mythsfrom the Amazons to the Virgin Mary © copyright 2006 by Princeton University Press. Tutti i diritti riservati. edizione italiana, luglio 2018 © copyright 2018 by Carocci editore S.p.A., Roma 1

a

Realizzazione editoriale: Omnibook, Bari Finito di stampare nel luglio 2018 da Eurolit, Roma ISBN 978-88-430-9222-2

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Siamo su: www.carocci.it www.facebook.com/ caroccieditore www.twitter.com/ caroccieditore

Indice

Prefazione all'edizione italiana

I.

9

Ringraziamenti

II

Introduzione

13

Le donne e i racconti delle origini nell'antichità e nell'alto medioevo

19

Idoli e idolatri

19

L'eredità classica

22

Donne e potere nell'antichità classica Le donne nell'antichità ebraica e cristiana Narrazioni delle origini alla fine dell'antichità

2.

3.

Riscrivere le donne: Amazzoni e barbari

37

Quando le Amazzoni sono diventate Gote

38

Quando i Cechi sono diventati Amazzoni

45

Il racconto di due Giuditte

55

L'imperatrice Giuditta Giuditta delle Fiandre

8 4.

IN PRINCIPIO ERANO LE DONNE

Includere le donne: genealogia sacra e storia di genere

73

Epilogo: le donne alla fine Note Letture consigliate Indice delle persone, dei popoli e delle cose notevoli

91

109

III

Prefazione ali'edizione italiana

La ricerca delle origini, come notava Mare Bloch, troppo spesso non consi­ ste nella ricerca degli inizi, ma dell'essenza di un fenomeno: 5 2 • Matilde era famosa soprat­ tutto come la donna che aveva portato alla temporanea riconciliazione fra papa Gregorio VII e l'imperatore Enrico IV nell'incontro di Canossa, ma nella prospettiva di Cosma era altrettanto importante che lei avesse ricon­ ciliato il patrono di Cosma, il vescovo Jaromfr di Praga (morto nel 1 0 9 0 ) , con il fratello di quest'ultimo, il duca e poi re Vratislao II di Boemia ( 1 0 6 1 1 0 9 2 ) , determinando così la reintegrazione di Jaromir nella sua sede epi­ scopale. Anche in questo caso, come per Libuse, Cosma poteva verificare in modo diretto gli effetti positivi del potere esercitato da una donna. Allo stesso tempo, però, egli riportò una storia apocrifa nella quale Matilde era accusata di aver usato un maleficium per impedire al duca Guelfo di Bavie­ ra di ottemperare ai suoi doveri maritali durante la prima notte di nozze. Ancora una volta è possibile osservare l'uso dell'inquietante combinazio­ ne di virtù e magia53 • Tuttavia, nell'opera di Cosma, Libuse e le Amazzoni furono molto di più che semplici rappresentazioni di Matilde. Diversamente da Giordane, Cosma, che aveva studiato in modo approfondito la tradizione classica a Liegi, sapeva che le Amazzoni prosperarono in tempi in cui gli uomini non governavano come avrebbero dovuto. Raccontando di Libuse e del­ le guerriere, Cosma non voleva indicare semplicemente la necessità del dominio degli uomini anche su donne virtuose e competenti, piuttosto voleva etichettare il popolo boemo come femminile e di conseguenza bi­ sognoso di un sovrano energico. L'età di Libuse prefigurava il rapporto

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IN PRINCIPIO ERANO LE DONNE

che si sarebbe instaurato nei secoli successivi fra i Boemi e i loro duchi: la signoria dei secondi fu dura, il loro potere coercitivo e devastante. Eppure senza principi, i popoli, proprio come le donne senza marito, erano preda delle loro stesse debolezze. Se perfino la donna migliore dovette cedere il proprio potere agli uomini, anche i Boemi dovevano accettare il potere dei loro duchi. Cosma, però, non era il classico misogino, comune in età medievale. Libuse poteva pure rappresentare la necessità dei Boemi di essere gover­ nati da duchi, ma rimaneva comunque una figura che incarnava la giusti­ zia e che guidava sia il popolo sia suo marito. Forse quest'ultimo aspetto era dovuto, almeno in parte, alla situazione personale di Cosma: sebbene fosse un canonico della cattedrale di Praga e fosse anche un diacono, egli era sposato e aveva almeno un figlio, Enrico. Sua moglie Bozeteha morì nel 1 117, poco prima che egli terminasse la prima parte della sua crona­ ca e nel terzo libro la ricorda come 54 • Certo, prima di dare per scontato che questa affermazione scaturisse davvero dall'espressione del dolore provato dall'autore e rappre­ sentasse la prova che Cosma considerava sua moglie una compagna alla pari, bisogna ricordare che la frase era una reminiscenza di una poesia di Prospero di Aquitania, la quale inizia con questi due versi: 55 • Pertanto, sua moglie, non meno di Libuse, era parte integrante delle citazioni intertestuali. Eppure, con la creazione di questo epitaffio, non meno che con la creazione delle donne all'inizio della sua cronaca, noi siamo di fronte a un uomo anziano che ha utilizzato le categorie di genere per criticare i contemporanei, ammonire i governanti e ricordare la moglie. In conclusione, quindi, è evidente che il tema delle Amazzoni nei racconti delle origini dei popoli era un tema molto malleabile. Infatti, sebbene esse fossero presenti in modo stabile nella "preistorià' di molti popoli, era il significato stesso di quella "preistorià' a poter cambiare. Le Amazzoni potevano essere usate per criticare un dominio fragile, ma an­ che per muovere critiche a un popolo che, a causa della propria debolez­ za, aveva bisogno di un'autorità risoluta e severa. I tratti della misoginia variavano proprio come variavano gli usi di questo tema al mutare degli stimoli culturali e sociali: è indubbio che Cosma si opponeva all'esercizio del potere pubblico da parte del genere femminile in misura decisamente minore rispetto alla maggior parte degli autori che lo avevano preceduto

RI SCRIVERE LE DONNE : AMAZZONI E BARBARI

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e seguito. Le sue donne potenti appartenevano a un mondo che esercitava un indubbio fascino, a differenza di quello del III secolo, benché, alla fine, anche questo mondo doveva essere distrutto per poter creare l'ordine vo­ luto da Dio. Libuse e le Amazzoni ceche appartenevano senza dubbio al mondo delle leggende, ma non erano solo questo tipo di donne a poter finire re­ legate nella "preistorià' di famiglie e dinastie. Nel capitolo successivo illu­ strerò la progressiva rimozione di due donne molto reali e molto influen­ ti che fornirono status e potere a numerose generazioni di maschi venute dopo di loro.

3

Il racconto di due Giuditte

Forse la ragione per cui, all'inizio delle leggende sulle origini, ci si imbatte in donne dai tratti mitici è che le grandi casate aristocratiche hanno avuto principio da donne in carne e ossa. Difatti, nel XII e nel XIII secolo, queste famiglie dovevano gran parte del loro status sociale, delle loro terre e del loro potere alle donne. Come hanno fatto notare Constance Bouchard e, prima di lei, Karl Ferdinand Werner, può sembrare che nei secoli IX e x le maggiori famiglie comitali siano spesso derivate da "uomini nuovi", ma in realtà questi uomini dovevano la loro ascesa sociale a provvidenziali ma­ trimoni con donne appartenenti a famiglie prestigiose e in quel momento ben salde ai vertici del potere1 Gli autori di genealogie e di opere incentrate su singole famiglie erano ben consapevoli dell'importanza di nozze di questo tipo per mantenere e accrescere il potere e l'onore di una casata: il matrimonio con donne ap­ partenenti a famiglie più potenti di quella del marito divenne un elemento costante ed essenziale nelle strategie messe in atto da ciascuna generazio­ ne nel corso di tutto il medioevo. Come ha affermato Anita Guerreau­ Jalabert, l'immagine di una discendenza strettamente agnatizia è il frutto dell'invenzione dei genealogisti del XIX secolo piuttosto che il riflesso del modo di concepire la parentela nel medioevo2 • Allo stesso tempo, però, gli storici discutono ancora molto su quanto l'affermazione di un gruppo parentale sia merito di queste donne piuttosto che degli uomini apparte­ nenti a quella specifica parentela. Come ha sottolineato Janet Nelson, le donne delle élite hanno avuto un duplice ruolo simbolico nei lignaggi dei loro mariti: da un lato, hanno reso possibile la continuazione delle stirpi, dall'altro lato, giacché non erano inserite nei lignaggi, permettevano di individuare uno specifico discendente all'interno del lignaggio stesso3 • Perciò, raccontare le storie familiari significava accettare, a seconda delle necessità e delle circostanze, l'importanza reciproca di questi matrimoni •

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IN PRINCIPIO ERANO LE D ONNE

e di queste donne che avevano messo a disposizione dei mariti e dei figli non solo la loro dote e i loro corpi, ma anche le loro capacità personali e i loro parenti. Con il passare del tempo, la necessità imposta dal nuovo contesto ideologico di avere come antenati maschi illustri spinse a met­ tere in secondo piano la memoria delle donne che avevano reso possibile l'ascesa di queste famiglie, per far meglio risaltare le audaci imprese degli • • uom1n1. Nel corso del IX secolo due potenti gruppi parentali ebbero origine da due donne denominate entrambe Giuditta, un nome molto opportuno e utile perché richiamava alla mente la vedova che, durante l'assedio di Ge­ rusalemme da parte degli Assiri, salvò la città, fingendo di volersi offrire in dono a Oloferne, il condottiero dell'esercito assiro, solo per poterlo poi de­ capitare e ritornare così trionfante dalla sua gente4 • Come ha notato Heide Estes, la Giuditta biblica era dunque uno dei pochi modelli, a disposizione in quel periodo, di donna che aveva esercitato nella vita pubblica un ruolo attivo, anche se la ricezione della storia di Giuditta nel medioevo sottoli­ neava la pericolosa ambiguità connessa a questa donna5 • La più giovane fra le due Giuditte qui prese in considerazione era la nipote della più anziana e le loro storie mostrano le due modalità principali mediante le quali le donne potevano essere causa di fortune familiari. L'analisi di come il loro ruolo sia stato riformulato nel corso del tempo lascia intendere quanto sia stata complessa la costruzione della memoria dinastica delle famiglie aristocratiche nel periodo compreso fra i secoli x e XII.

L' imperatrice Giuditta Il caso della prima Giuditta mostra come l'unione di una donna con un re o con un aristocratico molto potente elevava lo status sociale del padre e dei fratelli della sposa. Tramite il matrimonio, la sua famiglia acquisiva una forte prossimità al re, i suoi fratelli e cugini entravano a far parte del­ la ristretta cerchia regia, andando a costituire una potente fazione della corte. Ciò avveniva soprattutto se la regina era una persona competente ed energica, capace di usare a favore del proprio gruppo parentale il ruo­ lo di amministratrice del palazzo regio, che per tradizione le spettava, e la sua influenza sul marito e, in seguito, sul figlio divenuto re. Donne di questo tipo hanno tutte le caratteristiche per essere considerate delle

IL RACCONTO DI D UE GIUDITTE

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"madri fondatrici". L'esempio più evidente e importante di un'ascesa po­ litica avvenuta tramite il matrimonio di una figlia con un re è quella dei Guelfi, il lignaggio aristocratico più potente dell'impero sotto la dinastia Staufen6 • I Guelfi furono anche una delle famiglie più precoci nel mostrare inte­ resse per le proprie origini: già all'inizio del XII secolo essi avevano una vi­ sione della propria discendenza e della propria identità messa per iscritto in un'opera specifica, la Geneaologia Welforum. Verso la fine del secolo, questa consapevolezza del proprio passato familiare era parte integrante non solo della rappresentazione del loro potere in quel preciso momento, ma anche delle loro rivendicazioni per l'acquisizione del potere regio. Studiati per la prima volta da Karl Schmid in un saggio pionieristico del 19 6 8 7, i Guelfi e la letteratura genealogica legata a questa famiglia sono diventati una pietra di paragone per le successive ricerche riguardanti la raffigurazione della co­ scienza genealogica dell'aristocrazia medievale8 • Di conseguenza, i Guelfi sono uno strumento perfetto attraverso cui analizzare le forme in cui è stata elaborata, in una famiglia aristocratica, la memoria delle donne responsabi­ li in larga parte della fortuna di quel lignaggio. Il primo Guelfo di cui si ha notizia era un personaggio già potente nella prima metà del IX secolo, descritto dal biografo di Ludovico il Pio, Tegano, come membro 9 • Questa affermazio­ ne, però, non è del tutto vera. La redazione ridotta delle leggi dei Bavari, datata all'vIII secolo, elenca le cinque genealogiae o stirpi più importanti fra i Bavari, che avevano una posizione sociale inferiore solo a quella degli Agilolfingi, i detentori della carica ducale. Guelfo e la sua famiglia non erano annoverati fra le suddette stirpi, sebbene sia probabile che avessero già stretto alleanze matrimoniali con alcuni di questi gruppi parentali do­ minanti in Baviera10 • Quindi, con maggiore onestà, si può affermare che i Guelfi erano una famiglia in ascesa: mancavano loro gli antenati davvero illustri che potevano vantare gli Agilolfingi o gli Huosi, ma stavano scalan­ do le posizioni gerarchiche nel nuovo ordine sociale imposto dai Carolingi 1 1 • E possibile che i Guelfi si fossero stabiliti relativamente di recente in Baviera e che avessero radici profonde in Alemannia o in Austrasia, l'anti­ co centro propulsore del mondo franco, da cui provenivano gli stessi Ca­ rolingi1 2 . In ogni caso, il primo Guelfo aveva sposato Heilwig, una donna appartenente a una famiglia dell'aristocrazia sassone 1 3 • Il gruppo parentale di Guelfo faceva di sicuro parte dell'aristocrazia imperiale, dato che pos-

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IN PRINCIPIO ERANO LE DONNE

sedeva terre ed esercitava il potere in tutta la parte orientale del mondo carolingio. Ma l'alleanza che proiettò questo gruppo parentale al centro della scena politica franca fu il matrimonio di Giuditta, la figlia di Guel­ fo e Heilwig, con l'imperatore Ludovico il Pio, avvenuto nell' 8 1 9, poco dopo la morte della prima moglie di Ludovico, Ermengarda. Secondo gli Anna/es regni Francorum e un anonimo biografo di Ludovico chiamato l'Astronomo, Giuditta fu scelta in una specie di concorso di bellezza du­ rante il quale l'imperatore esaminò le figlie dell'aristocrazia prima di pren­ dere una decisione, pratica che, per alcuni, imitava la tradizione bizanti­ na1 4. Di recente però, Mayke deJong ha fatto notare come questi racconti, e in particolare quello dell'Astronomo, piuttosto che essere un riflesso di consuetudini della corte bizantina, sembrino proporre un'immagine di Giuditta modellata sulla figura biblica di Ester, paragone già avanzato da Rabano Mauro in una sua opera in difesa dell'imperatrice1 5. Di certo, Ludovico non stava scegliendo semplicemente una reginetta di bellezza: stava tessendo un'alleanza con il padre di Giuditta e la sua famiglia. La dimostrazione che questa unione è stata il primo tassello di un sodalizio di grande respiro è data dal secondo matrimonio con un membro della stirpe imperiale celebrato poco dopo. Fra l' 825 e l' 82 7, Emma, la sorella dell' im­ peratrice Giuditta, sposò uno dei figli dell'imperatore nati dalle sue prime nozze, Ludovico il Germanico, re dei Franchi orientali e di Baviera. Infine, Corrado il Vecchio, fratello di Giuditta e di Emma, prese in moglie Ade­ laide, la cognata di Lotario I, figlio di Ludovico il Pio. Il matrimonio di Giuditta, dunque, rappresentò il riconoscimento più grande cui poteva aspirare una famiglia dell'alta aristocrazia in quel periodo - un'alleanza, che non aveva precedenti, con i Carolingi - e segnò l'inizio di relazioni sempre più strette con la stirpe imperiale. Come madre di Carlo il Calvo, Giuditta si dimostrò molto più atti­ va in ambito pubblico rispetto a tutte le regine carolinge che l'avevano preceduta: intervenne in favore dei suoi fedeli e si prodigò per assicura­ re il futuro politico di suo figlio. Divenne anche il canale attraverso cui passava il favore imperiale, e ciò permise a suo fratello e ad altri parenti di ottenere cariche e terre assegnate dal re, sia nel regno dei Franchi occi­ dentali governato da Carlo, sia, in maniera più cospicua, in Alemannia, Baviera, Rezia, Borgogna e Lotaringia. Uno dei suoi parenti fu messo a capo dei principali monasteri del regno dei Franchi occidentali, mentre altri familiari ottennero il controllo di Auxerre, Sens, San Maurizio d'A-

IL RACCONTO DI DUE GIUDITTE

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gauno,Jumièges, Saint-Riquier e Valenciennes. Giuditta non fu certo un personaggio poco attivo durante il regno di suo marito e presto divenne , bersaglio del! odio dei figli maggiori di Ludovico il Pio, che la attaccaro­ no con durezza quando l'imperatore espresse il desiderio di ritagliare un regno per Carlo il Calvo 16 • , Quando ! impero carolingio si frantumò in più regni, la maggior par­ te del potere che i Guelfi avevano conseguito in quegli anni grazie alla loro vicinanza alla corte si dimostrò di breve durata, anche se un nipote di Giuditta, Rodolfo, riuscì a ottenere la carica regia sulla Borgogna nell' 888 e fondò un regno che ebbe vita per varie generazioni. In altre regioni, in particolare in Svevia, i Guelfi mantennero un basso profilo, ma furono in grado di consolidare il loro patrimonio fondiario e soprattutto i rapporti con importanti enti monastici17• Fu una donna, dunque, ad avere il ruolo cruciale nelle origini e nel de­ stino dei Guelfi. Grazie al suo matrimonio e alla continua influenza sul marito, Giuditta gettò le fondamenta, sia pure discontinue, del potere del­ la famiglia, quelle fondamenta che permisero ai Guelfi di tornare al centro della scena politica europea nei secoli XI e XII. Nel periodo postcarolingio i Guelfi conservarono i propri possedimenti fondiari e un potere di tipo locale in Svevia e scomparvero dal panorama della politica regia e imperia­ le, ma in seguito riuscirono gradualmente a costruire una propria signoria intorno ai centri di Altdorf e Ravensburg e cercarono di ottenere la cari­ ca ducale entrando in competizione con gli Staufen. Intorno al 1 120, una seconda Giuditta della casata guelfa sposò il duca Federico II di Svevia, nel tentativo di porre fine alla contesa fra le due grandi famiglie. Questa Giuditta dette alla luce Federico Barbarossa, che sebbene alla nascita fosse stato celebrato come la "chiave di volta" su cui costruire una nuova allean­ za per superare l'antagonismo tra i due lignaggi, alla fine continuò il con­ flitto con suo cugino Enrico il Leone, divenuto il punto di riferimento della famiglia ducale guelfa. Come si è detto, i Guelfi mostrarono un interesse precoce per la storia della propria casata: fanno parte, infatti, di quel gruppo di famiglie che per prime - se si escludono quelle detentrici della carica regia - fecero mettere per iscritto le proprie origini e genealogie nei monasteri fondati dal loro gruppo parentale. Con ogni probabilità, queste opere attinsero sia alla documentazione scritta sia alle memorie familiari tramandate per via orale, prestando attenzione soprattutto alla memoria cerimoniale e

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liturgica dei membri della famiglia. Questo intenso lavoro di rielabora­ zione ha prodotto tre narrazioni genealogiche sulle origini e sulla storia dei Guelfi, tutte scritte nel corso del XII secolo, opere che ci permettono di verificare come Giuditta fu ricordata all'interno del gruppo parentale. La più antica, la Genealogia Welforum, fu redatta nel monastero svevo di Weingarten poco prima della morte del duca di Baviera Enrico il Nero, avvenuta nel 1 1 26 1 8 • La seconda, la cosiddetta fonte sassone dei Guelfi, è andata perduta nella sua forma originale, ma può essere ricostruita in base a opere successive, in particolare grazie a un testo, poi inserito nel­ la Sachsische Weltchronik, prodotto negli anni Trenta del XII secolo nel monastero di San Michele a Luneburgo 1 9 • La terza è la Historia Welforum Weingartensis, compilata intorno al 1 1 70 nell'Alta Svevia20 • Nel loro in­ sieme, questi tre testi permettono di analizzare le idee che i membri del gruppo parentale dei Guelfi hanno elaborato nel corso degli anni, nel mo­ mento in cui hanno riflettuto sulle proprie origini e sull'importanza che avevano avuto i loro antenati nell'assicurare il potere e lo status sociale dei loro discendenti. Gli autori di queste tre opere non esclusero le donne dalla storia della famiglia : riportarono sempre le alleanze matrimoniali e ricordarono con regolarità le madri dei membri più importanti dei Guelfi. Sebbene fos­ sero ampiamente citate, la loro figura e la loro importanza furono però pesantemente limitate, perfino sminuite, dal modo in cui furono trattate dagli autori. Ciò è vero soprattutto per la prima Giuditta, la moglie di Ludovico il Pio, il cui matrimonio e il ruolo di imperatrice che ne derivò risultarono di fondamentale importanza per i Guelfi. Il primo racconto della storia familiare dei Guelfi trasforma e ridi­ mensiona il ruolo cruciale che ebbe Giuditta. Da un lato, il suo nome viene cancellato del tutto dalla narrazione ; dall'altro lato, sebbene la struttura della sua storia rimanga uguale, gli avvenimenti sono frutto di invenzione. La laconica Genealogia riferisce soltanto che : > 28 • Carlo stava forse aspettando di combinare un altro matrimonio vantag­ gioso per sua figlia. Tuttavia, gli uomini della scorta regia ed episcopale non furono certo molto attenti: Giuditta scappò con Baldovino, un conte che all'epoca governava solo una stretta striscia di terra, lungo la costa che si estendeva da Bruges alla foce del fiume Aa. In generale si è attribuita l'iniziativa di questo audace azzardo a Bal­ dovino e senza dubbio ciò in larga parte è vero2 9 • Tuttavia, come ha fatto notare Janet Nelson, la fonte contemporanea più ampia e ricca di det­ tagli, cioè gli Annales Bertiniani, mette Giuditta sullo stesso piano di Baldovino nella realizzazione della loro fuga e non la descrive come la vittima passiva di un rapimento che aveva come scopo il matrimonio: > 3 0 • Queste parole lasciano intendere che Baldovino agì in accordo con Ludovico e si può ipotizza­ re che Giuditta fosse la ricompensa per il sostegno fornito da Baldovi­ no. Comunque, il modo in cui gli Annales tratteggiano il ruolo avuto da Giuditta nella vicenda suggerisce anche che, forse, dopo due matrimoni imposti, sebbene ancora sedicenne, la regina poteva essere stata pronta a prendere in mano il suo destino e poteva aver cercato un marito che la liberasse dal ruolo di pedina nelle strategie politiche di suo padre e che le avrebbe garantito molta più autonomia personale di quanta ne avrebbe avuta sposando un altro re. Ma era un grosso rischio: suo padre, infatti, era furioso; con Baldovino, con Giuditta e senza dubbio anche con Ludovico. Su richiesta di Carlo il Calvo, papa Niccolò I scomunicò la coppia. Allora Baldovino e Giudit­ ta si precipitarono a Roma per perorare la loro causa direttamente con il pontefice. Con il tempo, riuscirono a convincerlo a revocare la condanna e perfino a intervenire in loro favore con Carlo. Due anni dopo, infat­ ti, sollecitato dal papa e spinto dai Vichinghi che ormai controllavano la Frisia, Carlo accettò finalmente la fuga come un dato di fatto e permise a Giuditta di sposare il conte. Come Baldovino aveva sperato, le nozze con la figlia del re gli portarono molto di più che una semplice moglie. Carlo gli concesse il comitato delle Fiandre (una regione più piccola delle Fian­ dre del pieno medioevo) e in seguito anche la regione del Ternois, quella di Waas e l'abbazia di San Pietro a Gand3 1 • Baldovino si dimostrò un vassallo piuttosto fedele nei confronti di Carlo, anche se, con saggezza, mantenne le relazioni con Ludovico, il figlio di Carlo che aveva sfidato il padre per­ mettendo prima la fuga e poi il matrimonio con Giuditta. Poco dopo la morte di Baldovino nell' 879, suo figlio Baldovino II fu costretto a fuggire a causa di un violento attacco dei Vichinghi da­ nesi, abbandonando la maggior parte delle sue terre. Nonostante fosse sposato con Aelfthryth, figlia di re Alfredo il Grande del Wessex, che si oppose alla conquista danese dell'Inghilterra, sembra che Baldovino II abbia cercato di collaborare con i Vichinghi quando gli conveniva, per poi passare all'offensiva contro di loro quando questi avevano lasciato la regione. Baldovino II riuscì via via a riconquistare l'eredità paterna e per­ fino ad allargare i suoi possedimenti, imponendo la sua giurisdizione su un comitato delle Fiandre più vasto, perché non includeva solo i pagi di Gand e di Waas, ma anche i territori di Mempisc, di Courtrai, dell' Ijzer,

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di Ternois, di Boulonnais e la gran parte del Tournaisis3 2 • Alla sua morte, nel 9 1 8, egli aveva creato un vasto principato territoriale indipendente dal controllo regio. Dunque, in senso stretto, si potrebbe considerare Baldovino II il crea­ tore delle fortune della famiglia. Tuttavia, nei primi decenni dopo questi eventi, era il matrimonio dei suoi genitori a costituire la storia fondante della dinastia che dominava le memorie dei discendenti di Baldovino e Giuditta. La prima opera incentrata sulle vicende di questa stirpe, scritta da W itger fra il 9 5 1 e il 9 5 9 e conservata nel grande monastero di San Bertino nelle Fiandre, metteva in risalto la discendenza della famiglia comitale dalla stirpe regia tramite l'unione con Giuditta33 • L'opera si apre con una genealogia dei Carolingi che arriva fino ai figli di Carlo il Semplice, ripresa dalla Genealogia Fontanellensis 34 • Poi segue una rubrica in cui si afferma: 35 • A questo punto, la genealogia di Arnolfo non incomincia con Baldovino, bensì con Giuditta, che era già stata presentata nella precedente genea­ logia dei Carolingi come la figlia di Carlo il Calvo e di Ermentrude: 3 6 • Non viene detto nulla riguardo al fatto che Giuditta era stata anche regina del Wessex, ma si mette in rilievo esclusivamente la sua appartenenza ai Carolingi. Poi viene ricordato il matrimonio di Baldovino 1 1 , ma non il nome di sua moglie Aelfthryth o del padre di quest'ultima, re Alfredo del Wessex, bensì si afferma solo che la moglie proveniva . Non viene detto nulla neanche sulla famiglia da cui discendeva Baldovino I ; egli compare nella genea­ logia solo grazie alle nozze con Giuditta che lo legano alla stirpe regia, un legame che viene rimarcato più avanti quando, raccontando delle pie donazioni fatte da Arnolfo, l'autore ricorda ai suoi lettori che il monaste­ ro di Saint-Corneille di Compiègne, verso il quale questi era stato molto generoso, . E innegabile che la figura che W itger voleva mettere in luce nel momento in cui raccontava le origini del conte Arnolfo era quella di Giuditta. Per W itger la stirpe comitale cominciava con le nozze di Giuditta e Baldo-

IL RACCONTO DI DUE GIUDITTE

vino I . Nel x secolo, le origini carolinge della famiglia erano con tutta evidenza al centro degli interessi dinastici della famiglia stessa e Giuditta era la loro fonte37• Ai primi del X I I secolo, quando la seconda genealogia dei conti delle Fiandre fu scritta a San Bertino, la famiglia non nasceva più con Giudit­ ta e il suo matrimonio con Baldovino. Giuditta era ancora presente ed era sempre la figlia di Carlo il Calvo, ma le origini della famiglia inizia­ vano tre generazioni prima, con un certo Lidricus, conte di Harlebeke. Egli è indicato come padre di lngelram, che era il padre di Audacer, che a sua volta è indicato come padre di Baldovino 1 3 8 • Queste figure dai trat­ ti indistinti sono sicuramente vissute nella prima metà del I X secolo, ma non è chiaro quali legami intercorsero fra di loro ed è piuttosto dubbio che esse siano state gli antenati di Baldovino. Comunque, l'elemento che interessava di più all'autore della genealogia era che Baldovino non fosse il primo della sua stirpe e quindi che le sue nozze non fossero all'o­ rigine della famiglia. Infatti, questo matrimonio non è così enfatizzato nel testo, ma è soltanto il primo di una lunga serie con membri di dina­ stie regie. Il matrimonio di Baldovino II è descritto con le stesse iden­ tiche parole usate per quello del padre, anche se l'autore compie un erro­ re nel riportare il nome del re anglosassone e quello della figlia che andrà in sposa a Baldovino I I : 3 9 • Inoltre, questi due matrimo­ ni con donne appartenenti a dinastie regie non sono gli unici elencati dall'anonimo autore: egli ricorda anche che Arnolfo I I (9 6 5-9 8 8) sposò Rozala Susanna, figlia di re Berengario I I , che governava il regno ita­ lico, e che Baldovino v ( 1 0 3 7- 1 0 6 7 ) sposò Adele, figlia di Roberto I I , re di Francia. Comunque, nessuna di queste unioni matrimoniali viene sottolineata in modo particolare nella genealogia, perché era l'insie­ me di queste brillanti nozze a favorire la continua ascesa della famiglia comitale. Intorno al 1 1 2 0, Lamberto di Saint-Omer incluse nel suo compendio enciclopedico, il Liber Floridus, una genealogia dei conti delle Fiandre che rielaborava le tradizioni precedenti incorporandovi informazioni su Giuditta tratte dagli Annales Bertiniani. Secondo il racconto di Lamber­ to, nel 79 2, durante il regno di Carlo Magno, Lidricus, conte di Harlebe-

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ke, scoprì che la regione delle Fiandre era deserta e la occupò. Lamberto aggiungeva che Lidricus generò Ingelram e che Ingelram a sua volta ge­ nerò Audricus/Audacer, il padre di Baldovino I Ferreus. Poi così conti­ nuava: Baldovino generò Baldovino il Calvo da Giuditta, vedova di Etelbaldo, re degli Angli, figlia di Carlo il Calvo, re dei Franchi. Comunque, egli [Etelbaldo] morì prima di averla potuta portare via dopo averla sposata, nello stesso anno in cui si era unito in matrimonio con lei. Dopo la sua morte, Giuditta vendette le pro­ prietà che aveva ricevuto nel regno degli Anglosassoni e ritornò da suo padre e fu custodita sotto protezione paterna a Senlis 40 •

Lamberto narrava poi la storia della sua fuga e delle nozze con Baldovino, nonché della seduzione, della scomunica della coppia, del loro appello a papa Niccolò I e della conseguente riconciliazione del re con sua figlia e Baldovino, citando parola per parola gli Annales Bertiniani. Come nella seconda genealogia, quella scritta a San Bertino, il matri­ monio di Baldovino e Giuditta era il primo di una lunga serie di unioni matrimoniali che legavano i conti delle Fiandre a varie famiglie regie. Lam­ berto riprendeva ampiamente il testo degli Annales Bertiniani, Giuditta era ancora una figura importante della vicenda, ma non faceva più parte della leggenda fondante l'identità familiare. Al contrario, la seduzione di Giuditta da parte di Baldovino era messa in rapporto con la conquista del­ le Fiandre, realizzata tre generazioni prima, da parte del conte Lidricus di Harlebeke. E questa figura dai tratti leggendari che, impossessandosi di quello che voleva sotto il naso di Carlo Magno, prefigurava l'audacia di Baldovino Braccio di Ferro, che conquistò la pronipote di Carlo Magno sotto il naso di suo padre. Un'ultima genealogia dei conti delle Fiandre, persino più elabora­ ta delle precedenti, fu scritta poco dopo il 1 1 6 0. Questo testo, intitolato Flandria generosa, si dilungava ancor di più sull'episodio rispetto a quanto scritto da Lamberto. In questo caso, però, la dinamica era chiara: > 8 • Eppure è proprio ciò che varie generazioni di intellettuali cristiani hanno cercato di fare. Il risultato è stato, da un lato, il tentativo costante da parte degli ecclesiastici di cambiare il modo in cui le società occidentali concepivano la parentela e la discendenza e, dall'altro lato, il contrasto continuo, anche se raramente esplicitato, fra questo nuovo mo-

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dello ecclesiastico di discendenza e un più antico, ma ancora potente, risal­ to conferito alla procreazione e alla parentela maschile. La discendenza di Gesù da Davide è di vitale importanza per la con­ cezione cristiana della salvezza e per 1' interpretazione cristiana dell'An­ tico testamento ebraico. I Vangeli e gli scritti patristici contengono però delle contraddizioni, che hanno generato problemi insolubili riguardo ai genitori, agli antenati e, in generale, ai parenti di Gesù, e anche sull' im­ portanza di Maria in quei passaggi evangelici fondamentali per la co­ struzione della discendenza di Gesù da Davide. In estrema sintesi, il pro­ blema è questo: le origini davidiche di Gesù sono basate per intero sulle genealogie presenti nel Vangelo di Matteo e in quello di Luca, ma queste due genealogie si contraddicono a vicenda, perché non solo annoverano antenati diversi, ma anche un numero differente di antenati. Tuttavia, il dato più significativo è che entrambe sono genealogie di Giuseppe, non di Maria. Dunque, se Giuseppe fosse stato il legittimo padre di Gesù, non vi sarebbe stato alcun problema per la discendenza di quest'ultimo da Davide, ma in questo caso Gesù avrebbe perso il proprio status divino, che gli derivava dal fatto di essere figlio di Dio ; se invece Giuseppe non era suo padre, la pretesa che egli discendesse da Davide non aveva al­ cun fondamento. Per secoli, apologeti ed esegeti cristiani hanno cercato di risolvere il paradosso di considerare Maria l'unico parente terreno di Gesù e, allo stesso tempo, di preservare la discendenza di quest'ultimo da Davide. In realtà, questo paradosso non avrebbe dovuto essere un problema. Gli esegeti sottolinearono subito che la discendenza biologica non costi­ tuiva l'interesse principale né dell'uno né dell'altro dei due evangelisti. A nessuno dei due, infatti, importava della continuità biologica e nemmeno di quella legale, poiché nella cultura ebraica compresa fra il VI secolo a.C. e il I secolo d.C. questo tipo di discendenza poteva essere tracciata solo seguendo la linea maschile. Queste due genealogie, come in generale tutte, hanno a cuore il presente molto più che il passato: sono argomenti per costruire una identità, dare sostegno a una posizione sociale o rafforzare una carica o una funzione. A Matteo interessava soprattutto mostrare che Gesù era un discendente di Davide; a Luca, invece, che Gesù era il Figlio di Dio. Nessuno dei due teneva in modo particolare né ai vari passaggi della discendenza biologica di Gesù da Davide, né ai dettagli storici della sua genealogia9 •

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Allo stesso modo, i Padri della Chiesa e i teologi medievali si inte­ ressavano soprattutto degli aspetti legali e spirituali della discendenza davidica di Gesù. Per esempio, Ruperto di Deutz non concentrò la sua attenzione sulla discendenza biologica di Gesù, ma su quella "metaforica" da Davide tramite Giuseppe. Commentando il passo biblico relativo alla scala di Giacobbe, che Ruperto interpretò come la genealogia di Gesù, egli scrisse: il gradino più alto della scala che sostiene il Signore è questo santo Giuseppe, il marito di Maria, dalla quale è nato Gesù, conosciuto come Cristo. In che modo il Signore e Dio è stato sostenuto da lui ? Nella stessa maniera in cui un allievo dipende dal suo insegnante, visto che Gesù era nato in questo mondo senza un pa­ dre, egli fu mantenuto da questo santo Giuseppe, che sarebbe diventato il miglior padre per questo bambino e il bambino insieme con la sua vergine madre sarebbe stato confortato dalla sua sollecitudine paterna10 •

Eppure, anche se i teologi e gli esegeti potevano affermare che qualcosa di così prosaico come la discendenza biologica non avrebbe dovuto esse­ re un tema di discussione, la genealogia di Gesù costituiva un problema su cui si dibatteva in modo molto acceso. Infatti, le genealogie potevano anche riguardare il presente e il futuro e la discendenza spirituale pote­ va anche essere più importante di quella biologica, ma nonostante ciò, a partire dal I secolo, i dubbi sulla discendenza biologica di Gesù crearono problemi ai suoi seguaci. Il dibattito non contrappose semplicemente i seguaci di Gesù e gli scettici nei confronti del cristianesimo, ma divampò soprattutto all'interno del mondo cristiano: fra i seguaci di Gesù, infatti, vi furono quelli che cercarono di basare la loro autorità sui propri legami di parentela con Gesù e altri che cercarono di sminuire ogni pretesa di precedenza e superiorità basata su tale parentela. Sembra che qualcuno abbia sollevato dei dubbi sulla legittimità di Gesù perfino quando egli era ancora vivo. Alcuni commenti riportati nei Vangeli di Marco ( 6,3) e di Giovanni (8, 4 1) potrebbero suggerire che Gesù fu accusato di illegittimi­ tà da alcune persone che lo osteggiarono quando iniziò a predicare. Du­ rante il I secolo, fu fatta circolare una tradizione che affermava che Gesù sarebbe stato un figlio illegittimo. Questa voce potrebbe essere stata ripre­ sa da Simeon ben Azzai, che sembra avesse trovato a Gerusalemme una genealogia, risalente a prima della distruzione del Tempio, nella quale era scritto: 11 La versione più completa di questa accusa è riportata da Origene nella sua opera Contra Celsum, nella quale il teologo cristiano del III secolo cita le parole del filosofo neoplato­ nico Celso, vissuto nel secolo precedente (che scriveva impersonando un ebreo): > 12. Le risposte dei seguaci di Gesù a queste accuse furono diverse: alcuni rimarcarono che Gesù era davvero il legittimo figlio di Giuseppe e Maria ; altri sostennero che Gesù non era illegittimo, ma era il figlio che la Vergi­ ne Maria aveva concepito grazie allo Spirito Santo. Fra i primi, vi erano gli Ebrei seguaci di Gesù, per i quali la parentela fra Gesù e Giuseppe era essenziale per stabilire la legittimità del primo e, di conseguenza, la loro autorità. Questo gruppo includeva anche gli Ebioniti, gli Ebrei seguaci di Cristo che provenivano dalla Transgiordania. Il Vangelo di Nicodemo, conosciuto anche come Atti di Pilato, un testo associato a questo gruppo, rigettava esplicitamente le accuse di illegittimità sollevate nei confronti di Gesù mettendo in rilievo come i suoi genitori fossero sposati secondo la legge 13 • In un interrogatorio condotto da Pilato, i testimoni del fidan­ zamento di Giuseppe e Maria insistevano, in opposizione alle accuse di Anna e Caifa, che essi erano davvero ebrei di nascita, non convertiti, e che erano stati presenti al fidanzamento di Giuseppe e Maria 14 • Forse erano collegati agli Ebioniti quei membri della famiglia di Giu­ seppe stanziati a Gerusalemme che dominarono la comunità locale dei primi cristiani fino alla fine del I secolo. La paternità di Gesù era un dato cruciale per questo gruppo, perché essi derivavano la propria autorità dal­ la appartenenza alla famiglia di Giuseppe e quindi, se Giuseppe non fosse stato realmente imparentato con Gesù, i loro diritti di preminenza sareb­ bero scomparsi. Lo storico Eusebio, vissuto fra il I I I e il IV secolo, raccon­ ta, seguendo un certo Egesippo, un ebreo cristiano che riportò antiche tradizioni provenienti da Gerusalemme, che Clopa, ricordato nel Van­ gelo di Giovanni (1 9,2 5 ) e forse in quello di Luca ( 24,1 8), era un fratello di Giuseppe e il padre di Simeone. Dopo la morte di Giacomo, Simeone subentrò al cugino di Gesù nella guida della comunità cristiana di Geru­ salemme proprio grazie alla sua stretta parentela con Gesù. Com'è ovvio, se questi non fosse stato figlio di Giuseppe, i diritti alla successione di •

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Simeone sarebbero stati gravemente sminuiti 1 5 • Secondo Egesippo, anco­ ra negli anni Ottanta del I secolo, i discendenti di Clopa tramite Giuda, fratello di Gesù, continuavano ad avere un ruolo egemone fra i seguaci ebrei di Gesù. Racconta ancora Egesippo che i cosiddetti Desposyni (la gente del Maestro), cioè i discendenti della famiglia di Gesù provenien­ ti da Nazareth e Cochaba, andavano in giro a promuovere l'importanza di questi legami genealogici, forse come parte di una strategia per riven­ dicare la loro supremazia ali' interno del movimento cristiano. Dato che queste sono proprio le regioni in cui è attestata l'attività degli Ebioniti, si può anche ipotizzare una diretta connessione fra questa setta ebraica e i cosiddetti Desposyni 16 • La pretesa di discendere dalla famiglia di Gesù e Giuseppe avrebbe po­ tuto portare alla nascita di un gruppo parentale cristiano simile a quello degli Hashemiti mussulmani, che pretendevano di esercitare la loro auto­ rità sulla comunità islamica sulla base della loro comune discendenza dal profeta Maometto1 7• Tuttavia, la persecuzione romana contro i discenden­ ti di Davide, voluta da Domiziano durante gli anni Ottanta del I secolo, e l'opzione alternativa alla discendenza davidica presente nel cristianesimo, quella che affermava la mancanza di legami di sangue fra Giuseppe e Gesù, contribuirono a indebolire l'egemonia di questo gruppo parentale, in par­ ticolare fra le comunità cristiane non composte da Ebrei al cui interno vi era la larga maggioranza dei convertiti al nuovo credo. A partire da quel momento, Giuseppe sparì quasi del tutto dal panora­ ma narrativo cristiano a tutto vantaggio di Maria, ma il suo ridimensiona­ mento non era ancora giunto a termine nel periodo in cui gli evangelisti stavano creando le genealogie di Gesù poi inserite nei loro testi, ciascuna delle quali è effettivamente una genealogia di Giuseppe. Il risultato fu che, anche molto tempo dopo che i discendenti di Giuseppe erano stati dimen­ ticati, gli apologeti cristiani hanno dovuto lottare per preservare l'accura­ tezza delle Sacre Scritture e l'identità davidica di Maria. Le due genealogie presenti nei Vangeli, una nel primo capitolo di Mat­ teo ( 1,1 - 17 ) , l'altra nel terzo capitolo di Luca (3,23-3 8), confermano l'inter­ pretazione cristiana alternativa alla paternità biologica di Giuseppe riguar­ do la nascita di Gesù: quest'ultimo, infatti, è indicato come il figlio di una vergine1 8 • Entrambi i Vangeli mostrano una notevole difficoltà a rimarcare il fatto che Gesù era figlio di Maria ma non di Giuseppe: (Matteo 1,1 6)1 9 ; (Luca 3,23). Comunque, che questa enfasi sulla nascita di Gesù unicamente dalla Vergine sia dipesa dalla volontà degli oppositori dei Desposyni di contrastare le pretese egemoniche di questi ultimi nei de­ cenni successivi alla morte di Gesù, oppure derivi da qualche altro motivo, rimane il fatto che questi testi presentano dei problemi di fondo. In primo luogo, essi rimangono delle genealogie di Giuseppe, non di Maria, anche se Giuseppe divenne in poco tempo del tutto irrilevante nell'economia del­ la salvezza. Inoltre, essi non concordano fra di loro: già il nonno di Gesù nel Vangelo di Luca è chiamato Eli, mentre in quello di Matteo è chiama­ to Giacobbe. Infine, perfino nel passaggio generazionale più importante, quello che indica il figlio di Davide, il Gesù di Matteo discende da Salomo­ ne, quello di Luca da Natan. In quale maniera, dunque, Gesù discendeva da Davide? Con ogni evidenza questa domanda ha preoccupato e sconcertato i cristiani per molti secoli e le risposte che vi sono state date conducono all'interno di una lunga e affascinante storia di riflessioni e interpretazioni che hanno influenzato profondamente tutti i campi del pensiero europeo. Il primo a cercare di conciliare queste due genealogie è stato Giulio Africano, un autore attivo fra il II e il III secolo, che scrisse un'opera sto­ rica intitolata Cronografia, il primo tentativo noto da parte di un cristia­ no di combinare in generale la storia biblica con la storia e la cronologia pagana. In una lettera inviata a un certo Aristide, riportata in parte da Eusebio20 , egli propose di accordare le due genealogie facendo ricorso alla legge levitica 21 • Ricordando l'obbligo per un uomo di procreare un bam­ bino per conto di suo fratello morto senza figli, Giulio Africano affermò che le differenze nelle genealogie dipendevano da due diversi modi di rappresentare la discendenza di Giuseppe, uno basato sui legami biolo­ gici, l'altro sul diritto: le due famiglie, discendenti rispettivamente da Salomone e da Natan, erano in tal modo intrecciate a causa delle seconde nozze delle vedove senza figli e dell'alle­ vamento della prole, perché la stessa persona poteva essere considerata in modo corretto figlia di genitori diversi in momenti diversi: in alcuni casi del padre pre­ sunto, in altri del padre reale2.2 •

La soluzione suggerita da Africano è che Luca forniva la genealogia basata sul diritto e Matteo quella biologica. Egli propose le seguenti successioni (di certo usando un manoscritto di Luca che ometteva due generazioni):

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Luca Melchi Eli Giuseppe

Matteo Mattan Giacobbe Giuseppe

Melchi e Mattan appartenevano a famiglie differenti, ma sposarono in momenti diversi la stessa donna e generarono dei fratellastri. Questa donna, Esta, sposò prima Mattan, discendente di Salomone, e da lui generò Giacobbe. Poi, quando Mattan morì, Esta si unì a Melchi, che apparteneva alla famiglia di Natan, e partorì Eli. Nella generazione suc­ cessiva, Eli morì senza figli e suo fratello Giacobbe sposò sua moglie e insieme a lei generò Giuseppe. Perciò, da un punto di vista biologico, Giuseppe era suo figlio, ma secondo la legge Giuseppe era figlio di Eli. Tale argomentazione, piuttosto complessa, che secondo Africano ven­ ne tramandata dai Desposyni, offrì la possibilità di riconciliare le due genealogie (anche se l'omissione di due generazioni, Levi e Mattan, in quella di Luca, portò nuovi problemi). Tuttavia, questa soluzione non si occupava del rapporto di parentela fra Maria e Davide, un tema senza alcuna rilevanza per i Desposyni, i quali senza dubbio tracciavano la loro discendenza a partire da Giuseppe, ma che divenne di fondamentale im­ portanza nei tempi a seguire. Eusebio cercò di risolvere questo problema con eleganza: Perciò, delineando la genealogia di Giuseppe, Giulio Africano ha dimostrato a tutti gli effetti che Maria apparteneva alla stessa tribù di suo marito, visto che con la legge mosaica i matrimoni fra membri di tribù differenti erano proibiti, poiché la regola era che una donna doveva sposare una persona della sua stessa città o tribù, in modo che l'eredità familiare non passasse da una tribù a un'altra2 3 •

Anche se nei secoli successivi l'espediente offerto da Giulio Africano non fu accettato da tutti, esso costituì una soluzione al dilemma così popolare da essere accolta nella Glossa ordinaria 24 • Quando Maria iniziò ad acquistare maggiore importanza, a tutto svantaggio di Giuseppe, le si attribuì prima una famiglia e poi una genea­ logia che la legasse in modo più diretto alla stirpe di Davide. La prima fonte conosciuta che assegnò dei genitori a Maria fu il Protovangelo di Giacomo, un'opera scritta in greco intorno alla metà del II secolo da un autore cristiano originario della Siria o dell'Egitto25 • Il Protovangelo fornì

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risposte a domande che i Vangeli canonici lasciavano insolute. Nell'ottica della nostra ricerca, il Protovangelo risponde a tre questioni fondamenta­ li riguardanti gli antenati e i parenti di Maria. Innanzitutto, attribuisce a Maria dei genitori, Anna e Gioacchino, la prima modellata con ogni evidenza su Anna, la madre di Samuele, il secondo su quella lunga serie di figure bibliche iniziate con Abramo e caratterizzate dal fatto di rima­ re senza figli fin quando il Signore si muoveva a pietà e glieli concedeva. Inoltre, l'opera spiega come ebbe luogo il concepimento di Maria, grazie ali' intervento miracoloso di un angelo. Infine, chiarisce i riferimenti ai "fratelli del Signore", raccontando che Giuseppe era un uomo anziano nel momento in cui si fidanzò con Maria e aveva avuto figli da un precedente • • matr1mon10. Il Protovangelo ebbe grande diffusione nel mondo grecofono, dove il culto di sant'Anna risulta ben radicato già dal IV secolo. Nell' Occidente di lingua latina, invece, le figure di Anna e Gioacchino si affermarono solo lentamente e attraverso vie tortuose, a causa delle obiezioni mosse da Gi­ rolamo nei confronti di questo Vangelo apocrifo2.6 , con la sola eccezione di Roma, che aveva un'ampia popolazione cristiana di lingua greca. Nel corso dei secoli v e VI la Chiesa occidentale di lingua latina ignorò per lo più la tradizione dei Vangeli apocrifi riguardante Maria. I Donatisti dell'Africa settentrionale, invece, furono affascinati da queste genealogie per via della grande enfasi che la loro dottrina poneva sulla successione legittima e quindi inserirono subito il Protovangelo nella propria tradizio­ ne testuale. Intorno al 3 9 0 un autore nordafricano, forse un certo Quin­ to Giulio !lariano, scrisse un breve trattato in cui cercava di collegare e conciliare tutte le genealogie presenti nella Bibbia. Anche se gli studiosi stanno ancora discutendo se la versione originale di questo testo sia sta­ ta elaborata in ambiente donatista, è indubbio che il trattato fu intro­ dotto in tempi rapidi nella tradizione donatista, che sopravvisse a lungo anche dopo la conquista dell'Africa settentrionale da parte dei Vandali. Per comporre I ' Origo humani generis, !lariano si basò quasi per intero sulle Sacre Scritture, utilizzando una versione della Bibbia latina prece­ dente alla traduzione di Girolamo e anche alcuni testi apocrifi, come, per esempio, il III libro di Esdra 27• Il testo termina con la nascita di Gesù, riprendendo prima la genealogia di Matteo, che finisce con Giuseppe: 28 • Ma più avanti riprende

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anche la genealogia di Luca: ; in questo caso !lariano segue Luca per inte­ ro, con alcune omissioni, per giungere infine a Giuseppe. Questo, però, è un Giuseppe diverso: Giuseppe generò Gioacchino. Gioacchino generò Madre Maria, madre del Signo­ re Gesù Cristo. Luca presenta la discendenza di Natan e Matteo, quella di Salo­ mone, in modo che si sappia che dalla radice di Jesse, cioè da David, discesero sia Giuseppe sia Maria madre 2 9 •

Questa audace e, allo stesso tempo, semplice soluzione, ossia attribuire la genealogia di Luca a Maria e trasformare un altro Giuseppe presente nella genealogia nel nonno di Maria, fu tramandata nelle comunità donatiste dell'Africa settentrionale e poi attraversò lo stretto di Gibilterra per radi­ carsi nella Spagna visigota. Lì fu inserita nelle complesse genealogie pre­ senti nei manoscritti contenenti il Commentario dell :Apocalisse del cosid­ detto Beatus, un'opera che verosimilmente si basava anch'essa su modelli tardoromani di area nordafricana, e poi si diffuse anche in Europa30 • Altrove, tuttavia, l'idea di trasformare Giuseppe nel nonno di Maria non ebbe alcuna fortuna. Nondimeno, in un'opera di Giovanni Dama­ sceno ( 676 circa-74 9) è possibile leggere un'altra versione della genealogia di Luca trasformata in quella di Maria. Intervenendo sul testo di Luca, Giovanni sorprendentemente aggiunse alla genealogia il nome di quel Pantera che in alcune tradizioni ebraiche era stato identificato con il sol­ dato romano padre di Gesù: 3 1 • Questa tradizione arrivò nell'Occidente latino alla metà del XII secolo attraverso Burgundia da Pisa, fu inserita in alcuni scritti di ampia diffusione, come la Legenda Aurea diJacopo da Varazze, e si affermò come un ulteriore modo per fare di Maria il tramite della discendenza davidica di Gesù, al posto di Giuseppe3 2 • Mentre si procedeva a eliminare Giuseppe dalla genealogia, si provvide anche ad attribuire alla famiglia di Maria quei parenti di Gesù che fino a quel momento erano stati raffigurati nei Vangeli come membri della fami­ glia paterna. Come abbiamo visto in Eusebio, Clopa, padre di Simeone, era il fratello di Giuseppe. Il Protovangelo di Giacomo riportava la tradi-

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zione che i "fratelli" di Gesù erano i figli che Giuseppe aveva avuto da un precedente matrimonio. Tuttavia, nel v secolo, Girolamo affermò con forza che i "fratelli spirituali" del Signore erano parenti di Gesù da parte di madre33 • La tradizione di Anna e Gioacchino si affermò in Occidente attraverso il Vangelo dello Pseudo Matteo, un testo scritto probabilmente fra i secoli VIII e IX, basato in larga parte sul Protovangelo, ma tramandato insieme con una finta lettera di Girolamo che ne attestava la veridicità3 4 • Eppure, nonostante il fatto che lo Pseudo Matteo presentasse Giacomo, Giuseppe, Giuda e Simeone come i figli avuti da Giuseppe in un preceden­ te matrimonio, tale aspetto della storia non trovò largo seguito in Occi­ dente. Dopo alcune soluzioni provvisorie, nella tarda età carolingia, ossia alla metà del IX secolo, Aimone di Auxerre risolse il groviglio dei legami di parentela presenti nei Vangeli, sostenendo che i fratelli del Signore non solo erano figli delle sorelle della madre di Gesù, ma anche che queste so­ relle erano le tre Marie presenti alla Crocefissione, ognuna delle quali figlia di Anna, ma nata da un padre differente. Attingendo allo Pseudo Matteo, considerato un testo ortodosso per meno di un secolo in virtù della finta lettera dello Pseudo Girolamo tramandata con esso, Aimone elaborò la seguente soluzione. Anna sposò in prime nozze Gioacchino e da lui ebbe Maria, la madre del Signore. Dopo che Gioacchino morì, Anna si unì a Cleofa e da lui ebbe un'altra Maria, che nei Vangeli è indicata come Maria di Cleofa. Inoltre, Cleofa aveva un fratello di nome Giuseppe, che fece fidanzare con la figlia­ stra Maria, la madre di Gesù, e poi diede la sua vera figlia in sposa ad Alfeo, da cui nacquero Giacomo il Minore, anche chiamato il Giusto, fratello del Signore, e l'altro Giuseppe. Dopo la morte di Cleofa, Anna si sposò con Salame, il terzo marito, ed ebbe da lui una terza Maria, la quale, dopo aver sposato Zebedeo, generò Giacomo il Maggiore e l'evangelista Giovanni35 • L'invenzione dei tre mariti di Anna eliminò anche l'ultimo ruolo attribu­ ito a Giuseppe, quello di padre dei "fratelli" di Gesù. La progressiva rimozione di ogni ruolo rilevante di Giuseppe nel gruppo parentale di Gesù andò di pari passo con la crescente differenzia­ zione di Giuseppe rispetto a Maria nella rappresentazione iconografica. L'iconografia di Giuseppe nei secoli che vanno dal IV al XIII rimase piut­ tosto limitata. Egli, infatti, non ebbe una tradizione iconografica propria, indipendente da quella della sacra famiglia. Giuseppe fu ritratto mentre faceva uno dei tre sogni raccontati nel Vangelo di Luca o nelle raffigu-

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razioni del fidanzamento con Maria, in quelle del viaggio a Betlemme, della Natività, dell'adorazione dei Magi e in alcune scene tratte dal Pro­ tovangelo (la prova dell'acqua amara di Maria e l'episodio di Afrodisio, quando gli idoli nei templi caddero a terra rompendosi all'arrivo di Gesù in Egitto)3 6 • Nelle raffigurazioni più antiche, come quelle dell'adorazione dei Magi del IV secolo, Giuseppe è in piedi dietro la sedia sulla quale è seduta Ma­ ria, che tiene in braccio Gesù bambino. Giuseppe e Maria sono rappre­ sentati con uno stile realistico e Giuseppe, in piedi vicino a Maria, incarna 1'immagine del paterfomilias. Tuttavia, come ha affermato Paolo Testini, la relativa parità con cui essi erano ritratti in queste prime opere andò scomparendo a poco a poco nel corso del v secolo. Testini ha giustamen­ te messo in relazione questo cambiamento con il concilio di Efeso, che attribuì a Maria il titolo di Theotokos (genitrice di Dio) e di regina del­ le vergini37• Maria fu ammantata sempre più con gli attributi distintivi delle regine o delle donne di potere, mentre suo marito continuò a es­ sere disegnato con i tratti semplici usati nel secolo precedente. Ma in molti casi Giuseppe fu perfino svilito, finendo con l'essere raffigurato di dimensioni ridotte rispetto agli altri personaggi e anche imbruttito. Si accentuarono la sua età, già rimarcata nel Protovangelo e nel Vangelo dello Pseudo Matteo, e anche il suo aspetto debole e malato. Il più delle volte, quindi, nelle rappresentazioni dei secoli successivi Giuseppe non sembra affatto il protettore di Maria, ma il suo servo. Pare che i tentativi di rivalutare Giuseppe, iniziati nel XII secolo, abbiano incontrato un successo assai limitato, malgrado l'impegno di Bernardo di Chiaravalle, Ruperto di Deutz e, in seguito, dei predicatori francescani e domenicani3 8 • Durante il medioevo non vi fu quasi nessu­ na chiesa intitolata a san Giuseppe39 e non si sviluppò alcuna tradizione agiografica riguardante la sua figura, a parte le tradizioni apocrife rela­ tive ai racconti dell'infanzia di Gesù. Quando, alla fine del XIV secolo, Jean Gerson cercò di sviluppare il culto di san Giuseppe proponendolo come modello di autorità patriarcale, i suoi sforzi andarono incontro a un totale fallimento40 • Perfino le raffigurazioni simboliche di Giusep­ pe come nutritor della sacra famiglia non riuscirono a trasmettere sem­ pre il messaggio contenuto nell'atto simbolico di dare da mangiare. Per esempio, le immagini in cui Giuseppe è ritratto come cuoco, anche quan­ do correttamente intese, divennero oggetto di scherno e derisione4 1 • Nel

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corso del xv secolo, la figura di Giuseppe nelle rappresentazioni della fuga in Egitto poteva essere letta come quella di un vecchio pazzo, esau­ sto e malfermo. Ma, dopo aver analizzato tutti questi testi, che idea ci siamo fatti sull'e­ laborazione della leggenda delle origini cristiane e sul ruolo di Maria al suo interno? Innanzitutto, le fasi di sviluppo e trasformazione di questa leggenda sono profondamente incoerenti le une con le altre: gli antichi conflitti fra i parenti di Gesù e gli altri cristiani furono presto dimenticati, perfino all'epoca di Eusebio, che tuttavia registrò la loro eco riportando le informazioni sui Desposyni. Le preoccupazioni dei Donatisti per la di­ scendenza e la genealogia fornirono il terreno fertile per la ricezione delle genealogie rielaborate riguardanti Maria, ma nel momento in cui esse arri­ varono in Europa e furono incorporate nella tradizione testuale di Beatus, il legame che le univa alla setta perseguitata e condannata come eretica fu dimenticato. La realizzazione di apocrifi in età carolingia, dovuta alla crea­ zione di una lettera contraffatta attribuita a Girolamo, fornì forse autorità a molti testi che il vero Girolamo aveva condannato. Quando, nel XII se­ colo, la storia elaborata da Giovanni Damasceno veniva diffusa in lungo e in largo, in Occidente non si aveva alcuna notizia delle vicende riguardanti Pantera create in precedenza. Eppure tutto questo materiale eterogeneo e contraddittorio, rielaborato e rimontato in combinazioni nuove, fornì gli elementi costitutivi della figura di Maria. Inoltre, si può dedurre che 1'instabilità della tradizione testimonia 1' i­ nadeguatezza di ogni tentativo di comporre in un quadro coerente ogni dettaglio delle Sacre Scritture e della cultura cristiana. Proprio come non si arrivò mai a una versione definitiva dell'albero di Jesse, così non si ar­ rivò mai a una soluzione definitiva del rapporto fra la genealogia di Mat­ teo e quella di Luca. Il gruppo parentale di Maria mantenne sempre una forma indefinita, con Anna a svolgere il ruolo di matriarca di una ampia famiglia di santi e apostoli. Infine, si può affermare che, poiché Maria divenne il tramite biologico per la discendenza di Gesù da Davide, Giuseppe non solo perse la sua fun­ zione nella economia della salvezza cristiana, ma anche la sua dignità. Cre­ do che qui si rifletta in modo negativo il pericolo espresso nel caso in cui > (p. 1 10 ). Cfr. anche C. B. Bouchard, Those ofMy Blood: Constructing Noble Families in Medieval Francia, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 200 1, e il dibattitto in J. A. Mc­ Namara, Women and Power through the Family Revisited, in M. C. Erler, M. Kowaleski (eds.), Gendering the Master Narrative: Women and Power in the Middle Ages, Cornei! University Press, lthaca (NY) 20 0 3, pp. 17-30, soprattutto pp. 20-2. I

Le donne e i racconti delle origini nell'antichità e nell'alto medioevo 1. 2.

M. Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, Einaudi, Torino 1950, pp. 43-8. lvi, p. 44.

NOTE

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3. Probabilmente la studiosa più influente sul tema del matriarcato primitivo è stata Marija Gimbutas, della quale cfr. in particolare Ihe Civilization of the Goddess: Ihe World of Old Europe, Harper, San Francisco 1991 (trad. it. in 2 voll.: La civilta della dea, Stampa alternativa, Viterbo 20 12 e La civilta della dea. Il mondo dell'antica Eu­ ropa, Stampa alternativa, Viterbo 2013). Per una sintesi sul tema cfr. M. E. W iesner­ Hanks, Gender in History: Global Perspectives, Blackwell Publishers, Oxford 200 1, soprattutto pp. 14-8. 4. Per un'approfondita critica a questo approccio cfr. C. Eller, The Myth ofMatriar­ chal Prehistory: Why an lnvented Past Won't Give Women a Future, Beacon Press, Boston 20 0 0. 5. W. Pohl, Gender and Ethnicity in the Early Middle Ages, in L. Brubaker, J. M. H. Smith (eds.), Gender in the Early Medieval World.· East and rVest, 300-900, Cam­ bridge University Press, Cambridge 2004, pp. 23-43, soprattutto pp. 30-2. 6. Per le testimonianze archeologiche riguardanti le donne guerriere cfr. supra, pp. 3 8-9. Questi ritrovamenti sono parte del problema più ampio dell'uso dell'approccio di genere in archeologia, questione che solo di recente è venuta alla ribalta. Sul tema cfr. i saggi in M. Gero, M. W. Conker (eds.), Engendering Archaeology: Women and Prehistory, Basil Blackwell, Oxford 199 1 ; R. P. Wright (ed.), Gender and Archaeo­ logy, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 199 6 ; e per l'alto medioevo in particolare G. Halsall, Female Status and Power in Early Merovingian Centrai Au­ strasia: The Burial Evidence, in " Early Medieval Europe': 5, 1 9 9 6, pp. 1 -24. Comun­ que, come afferma in conclusione Halsall, anche se non vi era una linea di demarca­ zione assoluta basata sul genere, sarebbe sbagliato ipotizzare che l'alto medioevo sia stata una sorta di "età dell'oro" per le donne e di sicuro non vi è alcuna attestazione nell' Occidente medievale che provi l'esistenza di donne guerriere. 7. Chronicon Montis Sereni, ed. E. Ehrenfeuchter, MGH ss 23, Hannover 1 8 74, p. 176. Citato da Robert Bartlett in Reflections on Paganism and Christianity in Me­ dieval Europe, in "Proceedings of the British Academy': 1 0 1, 1 99 8, pp. 55-76, soprat­ tutto p. 6 1. 8. G. Melville, L'institutionnalité médiévale dans sa pluridimensionnalité, in J.- C. Schmitt, O. G. Oexle (éds.), Les tendances actuelles de l'histoire du Moyen Age en France et en Allemagne, Publications de la Sorbonne, Paris 20 0 3, p. 244. Cfr. ulteriori esempi in P. Wunderli (hrsg.), Herkunft und Ursprung. Historische und mythische For­ men der Legitimation, Thorbecke Verlag, Sigmaringen 1994. 9. Biblia Latina cum glossa ordinaria. Facsimile Reprint ofthe editio Princeps Adolph Rusch of Strassburg I4 80/SI, introduzione di K. Frochlich e M. T. Gibson, Brepols, Turnhout 1992, cap. 4, par. 6. 10. R. H. Bloch, Etymologies and Genealogies: A Literary Anthropology ofthe French Middle Ages, University of Chicago Press, Chicago 19 83, p. 37. 1 1. Nell'amplissima bibliografia su donne e genere nell'antichità, cfr. in particolare i saggi in E. Fantham et al., Women in the Classica/ World.· Image and Text, Oxford University Press, New York 1994, con le indicazioni bibliografiche alla fine di ciascun contributo. 1 2. Erodoto, Le Storie, libro IV, capp. 5-7.

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IN PRINCIPIO ERANO LE DONNE

1 3. F. Hartog, Le miroir d 'Hérodote. Essai sur la représentation de l 'autre, Gallimard, Paris 1991, p. 43 ( trad. it. Lo specchio di Erodoto, il Saggiatore, Milano 1992). 14. lvi, pp. 44-6; cfr. anche E. J. Bickerman, Origines Gentium, in "Classica! Philo­ logy': 47, 1 9 5 2, pp. 6 5- 8 1, in particolare pp. 7 1-2. 15. > (ivi, pp. 8 0-1). 9. W. Pohl, Gender and Ethnicity in the Early Middle Ages, in L. Brubaker, J. M. H. Smith (eds.), Gender in the Early Medieval World: East and West, 300-900, Cam­ bridge University Press, Cambridge 2004, p. 9. 10. Cfr. L. M. Bitel, Women in Early Medieval Europe, 400-IIoo, Cambridge Univer­ sity Press, Cambridge 20 0 2, pp. 76-8 0. 1 1 . J. Davis-Kimball, Warrior Women: An Archaeologist's Search far History's Hidden Heroines, Warner Books, New York 2002 (trad. it. Donne guerriere. Le sciamane delle vie della seta, Venexia, Roma 2009 ). Tuttavia, i tentativi di datare queste tombe femmi­ nili al periodo in cui le Amazzoni sono attestate nelle fonti rimane ancora troppo vago. 12. Per la bibliografia sul tema cfr. W. Pohl, Die Awaren. Ein Steppenvolk in Mitteleu­ ropa, 567-822 n. Ch. , C. H. Beck, Miinchen 1 9 8 8, p. 3 0 6. 1 3. Pohl, Gender and Ethnicity in the Early Middle Ages, cit., pp. 24-36. 1 4. Sull' impiego della Historia Augusta da parte di Giordane, cfr. J. Schwartz, jordanes et l 'Histoire Auguste, in J. Straub (hrsg.), Bonner Historia-Augusta- Collo­ quium I!)79/SI, R. Habelt, Bonn 19 83, pp. 27 5-84. Schwartz crede che sia probabile che Giordane abbia conosciuto in modo indiretto la Historia Augusta tramite Sim­ maco o Cassiodoro. Sulla comparsa delle Amazzoni gote nella Historia Augusta, cfr.

NOTE

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H. Wolfram, History ofthe Goths, University of California Press, Berkeley 1 9 8 8, p. 28 e nota 87 ( trad. it. Storia dei Goti, Salerno, Roma 1 9 8 5 ) ; e anche Pohl, Gender and Ethnicity in the Early Middle Ages, cit. 15. R. Bichler, Herodots Frauenbild und seine Vorstellung uber die Sexualsitten der Viilker, in R. Rollinger, Ch. Ulf (hrsg.), Geschlechterrollen und Frauenbild in der Perspektive antiker Autoren, Studien Verlag, Innsbruck 20 0 0, pp. 13-56, in particolare p. 3 1. 1 6. The scriptores historiae Augustae (d'ora in poi HA) , testo latino con traduzione inglese a cura di D. Magie, Harvard University Press, Cambridge (MA) 196 0-61, vol. 3, Vita Divi Aureliani, cap. XXII, par. 3. 17. Ivi, cap. XXXIV, par. 1 : > . 1 8. M. McCormick, Eternai Victory: Triumphal Rulership in Late Antiquity, Byz­ antium, and the Early Medieval Ulést, Cambridge University Press, Cambridge 19 8 6, p. 14 (trad. it. Vittoria eterna. Sovranita trionfale nella tarda antichita, a Bisanzio e nell'Occidente altomedioevale, Vita e Pensiero, Milano 1993). 1 9. HA, Vita Gallieni, cap. XII I, parr. 3-5 ; cfr. anche R. Stoneman, Palmyra and Its Empire: Zenobia's Revolt against Rome, University of Michigan Press, Ann Arbor 1992. 20. HA, Vita Triginta Tyrannorum, cap. xxx, par. 1 . 21. E. Frézouls, Le role politique des femmes dans l ' "Histoire auguste", in G. Bona­ mente, F. Paschoud (a cura di), Historiae Augustae. Colloquium Genevense, Atti dei Convegni sulla HistoriaAugusta 11, Edipuglia, Bari 1994, pp. 121-3 6, citazione a p. 1 3 6. Su Zenobia nella Historia Augusta, cfr. anche J. F. Gilliam, Three Passages in the ''Hi­ storia Augusta": "Gord." 2I.5 e 34.2-6; "Tyr. Trig." 3 0.I2, in A. Alfoldi (hrsg.), Bonner Historia-Augusta- Colloquium I9 6S/69, R. Habelt, Bonn 1970, pp. 99-1 10. 22. Pompeius Trogus ftagmenta, ed. O. Seel, Teubner, Leipzig 1956. Cfr. anche Giu­ stino, Epitome ofthe Philippic History ofPompeius Trogus, Trans!. and App. by J. C. Yardley, with Comm. by W. Heckel, Clarendon Press, Oxford 1997. 23. Orosio, Historiae adversus paganos, libro VII, cap. 40. Cfr. H.-W. Goetz, Die Geschichtstheologie des Orosius, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 198 0, pp. 133-4. 24. Orosio, Historiae, cit., libro I, cap. 1 6. Hans-Werner Goetz non analizza il ruolo delle Amazzoni presenti in Orosio nel suo Die Geschichtstheologie; tuttavia egli af­ fronta un tema generale trattato da Orosio, ovvero il fatto che i tempora christiana avrebbero provocato un comportamento più moderato da parte dei barbari ( cfr. Goetz, Die Geschichtstheologie des Orosius, cit., in particolare pp. 98-9 ). 25. Orosio, Historiae, cit., libro I, cap. 1 6. Su Orosio e la storia classica cfr. H. Ingle­ bert, Les Romains chrétiensfoce a l'histoire de Rome. Histoire, christianisme et romani­ tés en Occident dans l:Antiquité tardive, 11�- v siecles, Institut d 'études augustiniennes, Paris 1996, pp. 5 07-92.

IN PRINCIPIO ERANO LE DONNE

26. Orosio, Historiae, cit., libro I, capp. 1 5- 1 6. 27. Come osserva Lisa Bitel riguardo alle donne guerriere come figure fon dative: > (Bitel, Women in Early Medieval Europe, cit., p. 79 ). 28. Cosma di Praga, Chronica Boemorum, cit., libro I. Cfr. F. Graus, Lebendige Vèr­ gangenheit. Oberlieferung im Mittelalter und in den Vorstellungen vom Mittelalter, Bohlau, Koln-Wien 1975, pp. 89-10 6 (sulle leggende fondative della Boemia, sulla loro trasmissione e sul loro uso nel dibattito nazionale). 29. Cosma di Praga, Chronica Boemorum, cit., p. 8. 30. Ivi, pp. 19-20. 3 1. Ivi, pp. 9-10. 32. Ivi, p. 10. 33. Ivi, p. 1 1 . 34. lbid. 3 5. Ivi, pp. 1 1-2. 3 6. Ivi, p. 1 2. 37. Ivi, p. 14. 3 8. Ivi, p. 15. 39. In generale su Cosma cfr. D. Trestik, Kosmova kronika. Studie k pocdtkum ceského déjepisectvi a politického mysleni, Academia, Praha 1 9 6 8 ; L. Wolverton, Hastening To­ ward Prague: Power and Society in the Medieval Czech Lands, University of Pennsyl­ vania Press, Philadelphia 20 01. 40. Chronicon Montis Sereni, ed. E. Eheenfeuchter, MGH ss 23, Hannover, 1 8 74, p. 176. Citato in R. Bartlett, Reflections on Paganism and Christianity in Medieval Eu­ rope, in "Proceedings of the British Academy': 10 1, 1998, pp. 55-76, in particolare p. 6 1. 41. Kristidnova Legenda-Legenda Christiana, ed. J. Ludvikovsky, Praha, Vysehrad, 1978, pp. 1 6-8. Sulla autenticità del testo e sulle ragioni della datazione agli anni 992994 circa cfr. D. Tiestik, Pocdtky Pfemyslovcu. Vstup Cechu do déjin (53 0-935), Acade­ mia, Praha 1997, pp. 1 17-3 6. Per una sintesi in inglese del dibattito cfr. M. Kantor, The Origins of Christianity in Bohemia. Sources and Commentary, Evanston, III., North­ western University Press, 1990, pp. 1 8 e 31-46. Sono debitore nei confronti del profes­ sor Dusan Trestik per il suo aiuto con questo testo e con l'opera di Cosma. 42. Sulla costruzione del testo di Cosma cfr. A. Thomas, The Labyrinth ofthe Word: Truth and Representation in Czech Literature, Oldenbourg, Miinich 1995, pp. 33-46, e più in generale V. Karbusicky, Anfange der historischen Oberlieferung in Bohmen. Ein Beitragzum Vèrgleichenden Oberlieferung in Bohmen, Bohlau, Koln 19 8 0. Ancora fondamentale Graus, Lebendige Vergangenheit, cit., in particolare pp. 89-97. 43. Giudici, 4,5.

NOTE

99

44. Cosma di Praga, Chronica Boemorum, cit., p. 1 1. 45. I Cronache, 10,13. 46. I Samuele, 28,7-8. 47. Pier Damiani, Epistolae, libro II, n. 13, in P L voi. 144, coll. 282-283. 48. Cosma di Praga, Chronica Boemorum, cit., p. 19. 49. H . Wolfram, Ethnographie und die Entstehung neuer ethnischer Jdentitaten im Fruhmittelalter, in M. Mokre, G. Weiss, R. Baubock (hrsg.), Europas Jdentitaten. My­ then, Konstrukte, Konflikte, Campus, Frankfurt a.M. 2003, pp. 25-3 5. 50. Cosma di Praga, Chronica Boemorum, cit., p. 21. 5 1. Il parallelo fra Libuse e Matilde è stato indicato da Karbusicky, Anfange der histo­ rischen Oberlieferung in Bohmen, cit., pp. 17- 8, sebbene la sua analisi sia molto diversa dalla mia. 52. Cosma di Praga, Chronica Boemorum, cit., p. 126. 53. lvi, pp. 127-9. 54. lvi, p. 217: > . 55. P L voi. 5 1, col. 6 1 1. Non è necessario che Cosma conoscesse la poesia di prima mano, poiché essa è citata da Beda nella sua opera De arte metrica, PL voi. 9 0, col. 173, per spiegare il metro anacronteo.

3

Il racconto di due Giuditte Per esempio la casata dei conti d'Angiò, che Werner fa risalire al matrimonio fra Ingelger, padre di Folco il Rosso, e Adelais, che faceva parte del potente gruppo pa­ rentale dei Guidonidi, da cui derivarono le fortune della casata in Bretagna e nell'An­ giò. Cfr. K. F. Werner, Untersuchungen zur Fruhzeit des ftanzosischen Furstentums (9. -Io. Jahrhundert), in "Die Welt als Geschichte': 1 8, 1 9 5 8, pp. 25 6-89, in particolare pp. 264-79. Bernard Bachrach ha cercato, in modo poco convincente, di approfon­ dire le ricerche di Werner nel saggio Some Observations on the Origins ofthe Angevin Dynasty, in "Medieval Prosopography': 10, 1989, pp. 1-24, i cui risultati sono ripresi in B. Bachrach, Fulk Nerra, the Neo-Roman Consul 987-Io4 0: A Politica! Biography ofthe Angevin Count, University of California Press, Berkeley 1993, pp. 1-4, ma a tal riguardo cfr. C. Settipani, Les comtes d:A.njou et leurs alliances aux .r et x� siecles, in K. S. B. Keats-Rohan (ed.), Family Trees and the Roots ofPolitics: The Prosopography oj Britain and Franceftom the Tenth to the Twelfth Century, Boydell Press, Woodbridge (uK) 1997, pp. 211-69, in particolare pp. 212-8. Su altre famiglie di questo tipo, cfr. C. B. Bouchard, Those ofMy Blood: Constructing Noble Families in Medieval Francia, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 20 01, in particolare pp. 22-3 8. 2. A. Guerreau-Jalabert, Sur !es structures de parenté dans l'Europe médiévale, in "An, nales. Economies, sociétés, civilisations': 3 6, 1981, pp. 10 28-49; Id., La parenté dans l'Europe médiévale et moderne: a propos d'une synthese recente, in "L' Homme': 1 1 0, 1 9 8 9, pp. 6 9-93. 1.

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IN PRINCIPIO ERANO LE DONNE

3. J. L. Nelson, Perceptions du pouvoir chez les historiennes du haute moyen age, in M. Rouche, J. Heuclin ( éds. ), Lesfemmes au Moyen Àge, diffusion Jean Touzot, Ville de Maubeuge 1990, p. 79. 4. Il Libro di Giuditta non fa parte della Bibbia ebraica e perciò è annoverato fra gli apocrifi. San Girolamo lo ha incluso nella Vulgata, anche se il testo da cui lui traduce è molto differente dalla Septuaginta. 5. Sulle ambiguità di Giuditta nelle tradizioni anglosassoni, cfr. H. Estes, Feasting with Holofernes, in "Exemplaria': 1 5, 20 0 3, pp. 325-50. Sulla ricezione di Giuditta nel mondo carolingio in relazione alla moglie di Ludovico il Pio, cfr. E. Ward, Caesar 's Wife: The Career ofthe Empressjudith, SI9-S29, in P. Godman, R. Collins (eds.), Char­ lemagne's Heir: New Perspectives on the Reign ofLouis the Pious (SI4-S40), Claren­ don Press, Oxford 1990, pp. 20 5-27, in particolare p. 222. 6. Sui Guelfi, cfr. in generale B. Schneidmiiller, Die We/fen. Herrschaft und Erinne­ rung (SI9-I252), Kohlhamme, Stuttgart 20 0 0. 7. K. Schmid, We/fisches Selbstverstandnis, in ]. Fleckenstein, K. Schmid (hrsg. ), Adel und Kirche. Gerd Tellenbach zum 65. Geburtstag dargebracht von Freunden und Schu­ lern, Herder, Freiburg 1 9 6 8, pp. 3 8 9-41 6. 8. Cfr. in particolare i saggi di O. G. Oexle, Die "sachsische We/fenquelle" als Zeugnis der we/fischen Hausuberlieferung, in "Deutsches Archiv': 24, 1968, pp. 43 5-97; Id., We/fische Memoria. Zugleich ein Beitrag uber adlige Hausuberlieferung und die Krite­ rien ihrer Erfarschung, in B. Schneidmiiller (hrsg.), Die We/fen und ihr Braunschwei­ ger Hofim hohen Mittelalter, Harrassowitz, W iesbaden 1995, pp. 6 1-94; e fra i saggi di B. Schneidmiiller, soprattutto Landesherrschaft, we/fische Jdentitat und und sachsische Geschichte, in P. Moraw (hrsg.), Regionale Identitat und soziale Gruppen im deutschen Mittelalter, Duncker & Humblot, Berlin 1992, pp. 6 5-101. Comunque, l'idea che il gruppo parentale di Guelfo e di sua figlia Giuditta abbia costituito una fazione coesa durante il IX secolo può essere stata esagerata; cfr. a riguardo J. L. Nelson, Charles the Bald, Longmall, London 1992, pp. 177-8 0. 9. Tegano, Gesta Hludowici imperatoris, ed. E. Tremp, M G H S S RG i.u.s. 64, Hannover 1995, p. 214. Cfr. Schmid, We/fisches Selbstverstiindnis, cit. 10. Lex Baiwariorum, ed. E. von Schwind, M G H Leges nationum Germanicarum, sectio 1, val. 5, part. 2, Hannover 1926, pp. 3 1 2-3: > . W. Metz, Heinrich mit dem goldenen Wagen, in "Blatter fiir deutsche Landesgeschichte': 107, 197 1, pp. 136-61, soprattutto p. 148, avanza l' ipotesi di un le­ game con gli Huosi e con altre potenti famiglie bavare. Teoria plausibile, ma le stirpi bavare presenti in questo elenco non dovrebbero essere interpretate come gruppi pa­ rentali dall'identità fissa e ristretta. Cfr. K. Brunner, Oppositionelle Gruppen im Karo­ lingerreich, Bohlau, W ien 1979, in particolare pp. 10 2-3. 1 1. S. Konecny, Eherecht und Ehepolitik unter Ludwig dem Frommen, in "Mitteilun­ gen des Instituts fiir osterreichische Geschichtsforschung': 85, 1977, pp. 1-21, in par­ ticolare p. 15.

NOTE

IOI

12. Schneidmiiller, Landesherrschaft, welfische Identitiit und und siichsische Geschich­ te, cit. 13. Tegano, Gesta Hludowici imperatoris, cit., p. 214. 14. Annales regni Francorum, ed. F. Kurze, MGH SSRG i.u.s. 6, Hannover 1 8 9 5, p. 150: >; Astronomus, Vita Hludowici imperatoris, ed. E. Tremp, MGH SSRG i.u.s. 64, Hannover 1995, p. 32. Cfr. Brunner, Oppositionelle Gruppen im Ka­ rolingerreich, cit., p. 10 2; E. Boshof, Ludwig der Fromme, Primus, Darmstadt 1996, P· i52. 15. Rabano Mauro, Epistolae, ed. E. Dummler, MGH Epistolae 5, Berlin 1 8 99, pp. 420-1. Cfr. M. de Jong, Bride Shows Revisited: Praise, Slander and Exegesis in the Reign ofthe Empressjudith, in L. Brubaker, J. M. H. Smith (eds.), Gender in the Early Medieval World: East and West, 3 0 0 -9 0 0, Cambridge University Press, Cambridge 20 04, pp. 257-77. 1 6. E Giuditta pagò il prezzo di essere marchiata come adultera: cfr. G. Biihrer­ Thierry, La reine adultere, in "Cahiers de Civilisation Médiévale': 3 5, 1992, pp. 2993 12. Cfr. anche P. Stafford, Queens, Concubines, and Dowagers: The King's Wife in the Early Middle Ages, University of Georgia Press, Athens 19 83, in particolare pp. 1 8-20 e p. 83; E. Ward, Agobard ofLyons and Paschasius Radbertus as Critics ofthe Empress judith, in W. J. Sheils, D. Wood (eds.), Women in the Church, Blackwell, Oxford 1990, pp. 1 5-25; Ward, Caesar's Wife, cit.; de Jong, Bride Shows Revisited, cit., p. 262. 17. In generale, sui Guelfi verso la fine del IX secolo, cfr. Schneidmiiller, Die Welfen, cit., pp. 58-72. 1 8. Genealogia We/forum, ed. G. Pertz, MGH ss 13, Hannover 1 8 8 1, pp. 7 33-4. Cfr. anche Oexle, Welfische Memoria, cit. 19. Siichsische Weltchronik, ed. L. Weiland, MGH Deutsche Chroniken 2, Hannover 1877, pp. 1-3 84. Cfr. anche Oexle, Die ''siichsische Welfenquelle", cit.; Id., BischofKon­ rad von Konstanz in der Erinnerung der Welfen und der welfischen Hausuberlieferung whiirend des I2. jahrhunderts, in "Freiburger Diozesan-Archiv': 9 5, 1975, pp. 7-40; inoltre, per la bibliografia completa, cfr. Schneidmiiller, Die Welfen, cit., p. 24 e gli studi che cita alla nota 10. 20. Historia We/forum Weingartensis, ed. L. Weiland, MGH ss 21, Hannover 1 8 64, pp. 457-72. Cfr. Schneidmiiller, Die Welfen, cit., pp. 24- 6. 21. Genealogia We/forum, cit., p. 7 33: > . Il rac­ conto continua così: > .

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22. Annalista Saxo, ed. G. Waitz, M G H ss 6, Hannover 1 844, p. 764: > . 23. In relazione a questa storia viene in mente il racconto di Dudone di San Quintino nel quale il capo vichingo Rollane, nel momento in cui divenne vassallo di Carlo il Semplice, re dei Franchi occidentali, si rifiutò di baciargli il piede, omaggio che era parte del rituale di vassallaggio. Egli ordinò a uno dei suoi uomini di farlo al suo posto, ma il vichingo afferrò il piede di Carlo e lo portò con tale forza alle labbra per baciarlo che fece cadere il re ali' indietro. Nel racconto di Dudone la sottomissione del duca può avvenire solo a costo dell'umiliazione del re. Cfr. Dudone, De moribus et actis primorum Normanniae ducum, in P L voi. 141, coli. 6 5 0- 6 5 1. 24. Historia We/jòrum Weingartensis, cit., pp. 458-9. 25. G. Althoff, Spielregeln der Politik im Mittelalter. Kommunikation in Frieden und Fehde, Primus, Darmstadt 1997. 26. P. Stafford, Charles the Bald, Judith and England, in M. T. Gibson, J. L. Nelson (eds.), Charles the Bald, Court and Kingdom, Variorum, Aldershot (uK) 1990, pp. 1 39-5 3. Cfr. anche il commento alla vicenda di Janet Nelson nella sua traduzione degli Annals ofSt. -Bertin, Manchester University Press, Manchester 1991, p. 83, nota 1 1. 27. Anna/es Bertiniani, ed. G. Waitz, M G H S S RG i.u.s. 5, Hannover 1 8 83, p. 47. Cfr. Annals ofSt. -Bertin, cit., pp. 8 1-3. 28. Annals ofSt. -Bertin, cit., p. 97. 29. Per esempio J. Dunbabin, France in the Making, 843 -1180, Oxford University Press, Oxford 1 9 8 0, p. 6 9. 30. Anna/es Bertiniani, cit., pp. 5 6-7: > . Cfr. Annals of St. -Bertin, cit., p. 97. Cfr. anche le osservazioni in Nelson, Charles the Bald, cit., p. 20 3. 3 1. D. Nicholas, Medieval Flanders, Longman, London 1992, p. 17. 32. lvi, pp. 17-8; R. McKitterick, The Frankish Kingdoms under the Carolingians, 751987, Longman, London 19 83, pp. 248-50. 33. W itger, Genealogia Arnulfi Comitis, ed. L. C. Bethmann, M G H ss 9, Hannover 1 8 5 1, pp. 30 2-4. 34. Sui rapporti fra la genealogia carolingia e San Bertino cfr. H. Reimitz, Anleitung zur lnterpretation: Schrift und Genealogie in der Karolingerzeit, in W. Pohl, P. Herold (hrsg.), Vom Nutzen des Schreibens, Verlag der Osterreichischen Akademie der W is­ senschaften, W ien 20 0 2, pp. 1 67-82, e in particolare la nota 45, in cui confronta la Commemoratio genealogiae domni Karoli con la genealogia fiamminga. 3 5. W itger, Genealogia Arnulfi Comitis, cit., p. 303: > .

NOTE

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3 6. Ivi, p. 303: >. 37. Sull'importanza delle origini carolinge della famiglia nell'opera di W itger cfr. G. Melville, Vorfahren und Vorgnager. Spiitmittelalterliche Genealogien als dynastische Legitimation zur Herrschaft, in P.-J. Schuler (hrsg.), Die Familie als sozialer und histori­ scher Verband. Untersuchungen zum Spatmittelalter und zurfruhen Neuzeit, Thorbecke Verlag, Sigmaringen 1987, pp. 20 3-309, soprattutto pp. 267-9 e la bibliografia ivi citata. 3 8. Genealogia comitum Flandriae Bertiana, ed. L. C. Bethmann, M G H ss 9, p. 30 5: . 39. Jbid. : . 40. Lamberto, Genealogia comitum Flandriae, ed. L. C. Bethmann, M G H ss 9, p. 309: . 41. Flandria generosa, ed. L. C. Bethmann, M G H ss 9, p. 3 17: . 42. Jbid. : . 43. Cfr. K. S. Nicholas, Countesses as Rulers in Flanders, in T. Evergates (ed.), Aris­ tocratic Women in Medieval France, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1999, pp. 1 1 1-37. 4

Includere le donne : genealogia sacra e storia di genere Poiché è impossibile rendere giustizia alla vastissima bibliografia sul culto di Maria, indico solo, come punto di partenza, il volume J. Pelikan, Mary through the Cen­ turies: Her Piace in the History of Culture, Yale University Press, New Haven ( CT) 1996 ( trad. it. Maria nei secoli, Città Nuova, Roma 1999 ). Per un approccio storico al culto di Maria nel medioevo, cfr. H. Rockelein, C. Opitz, D. R. Bauer (hrsg.), Maria, Abbild oder Vorbild? Zur Sozialgeschichte mittelalterlicher Marienverehrung, Edition Diskord, Ttibingen 1990. 2. Cfr. soprattutto C. C. W ilson, St. ]oseph in ltalian Renaissance Society and Art: New Directions and lnterpretations, Saint Joseph's University Press, Philadelphia 20 01, in particolare pp. 3- 1 1; S. Schwartz, Symbolic Allusions in a Twelfth- Century 1.

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IN PRINCIPIO ERANO LE DONNE

lvory, in "Marsyas': 1 6, 1972-73, pp. 3 5-42. Sebbene questi studiosi affermino in modo convincente che, anche prima della Riforma, sia esistita una tradizione più favorevole nei confronti di Giuseppe, rimane il fatto che questi, malgrado una serie di tentativi di sviluppo del suo culto da parte di teologi e predicatori, durante il medioevo rimase una figura marginale nel cristianesimo occidentale e in certi casi anche una figura decisamente denigrata. 3. W ilson, St. joseph in ltalian Renaissance Society and Art, cit., pp. 3-4. 4. Cfr. in generale A. Guerreau-Jalabert, L:Arbre dejessé et l 'o rdre chrétien de la pa­ renté, in D. logna-Prat, É. Palazzo, D. Russo (éds.), Marie. Le culte de la vierge dans la société médiévale, Beauchesne, Paris 1996, pp. 137-70. Per lo sviluppo del culto della nascita di Maria e dell' immagine dell'albero di Jesse, cfr. M. Fassler, Mary s Nativity, Fulbert of Chartres, and the Stirps fesse.· Liturgica/ lnnovation circa Iooo and lts Af terlife, in "Speculum': 7 5, 20 00, pp. 3 8 9-434, in particolare pp. 390-1 per lo sviluppo dell'immagine dell'albero di Jesse. 5. Con l'unica eccezione rappresentata dalle porte bronzee di San Zeno a Verona, la Vergine è sempre presente, una costante che ha spinto alcuni studiosi a descrivere l'albero di Jesse come una genealogia della Vergine, ma questa interpretazione è stata rifiutata da Guerreau-Jalabert, L:Arbre de ]essé, cit., p. 1 6 3. 6. Biblioteca Pierpont Morgan, New York, ms. 724v. Sono grato a Elizabeth Par­ ker McLachlan per avermi fatto conoscere questa immagine e per aver messo a mia disposizione il suo inedito The fesse Tree ofMorgan 724 v and Early Sources far the Canterbury Picture Leaves. 7. Guerreau-Jalabert, L:A.rbre dejessé, cit., p. 1 6 2: > . 8. Biblia Latina cum glossa ordinaria. Facsimile Reprint ofthe editio Princeps Adolph Rusch of Strassburg I4So/SI, introduzione di K. Frochlich e M. T. Gibson, Brepols, Turnhout 1992, cap. 4, par. 6. 9. Per una guida completa alla vasta bibliografia sui materiali genealogici dei Vangeli e sui temi collegati cfr. R. E. Brown, 1he Birth ofthe Messiah: A Commentary on the Jnfancy Narratives in Matthew and Luke, Doubleday, Garden City (NY) 1977 ( trad. it. La nascita del Messia secondo Matteo e Luca, Cittadella, Assisi 1 9 8 1 ). 10. Ruperto di Deutz, De gloria et honore Filii hominis super Matthaeum, in P L voi. 1 6 8, col. 1 3 17. 1 1. M. Yeboamot, The Mishnah, Seder Nashim, libro IV, cap. 13, in Rabbi B. Susser (ed.), Yevamot: A New Translation with a Commentary by Rabbi Pinchas Kehati, Eliner Library Department far Torah Education and Culture in the Diaspora of the World Zionist Organization, Herusalem 1992, voi. 1, p. 72. 1 2. Origene, Contra Celsum, ed. H. Chadwick, Cambridge University Press, Cam­ bridge 1 9 8 0, libro I, cap. 32, p. 3 1. 1 3. The Gospel of Nicodemus: Acts of Pilate and Christ's Descent into Hell, in New Testament Apocrypha, Revised Edition of the Collection lnitiated by Edgar Hennecke,

NOTE

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ed. by W Schneemelcher, English translation ed. by R. McL. W ilson, Westminster Press, Philadelphia 19 63, vol. 1, pp. 444- 83. 14. lvi, pp. 45 3-4: