Il seme, il germoglio e il fiore. Pirandellofra biografia, narrativa e teatro 9788854822504


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Il seme, il germoglio e il fiore. Pirandellofra biografia, narrativa e teatro
 9788854822504

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Alo 424

Ringrazio la dott.ssa Maria Buonomo per il contributo offertomi alla messa a punto redazionale del volume e la dott.ssa Danila Parodi della Biblioteca del Mu­ seo dell'Attore di Genova, per avermi messo a disposizione i testi necessari al mio lavoro.

Barbara de Miro d'Ajeta 11 seme, il germoglio e il flore Pirandello fra biografia, narrativa e teatro

Copyright c MMVlll

ARACNE editrice

S.r.l.

www.aracneeditrice.it In [email protected] via Raffaele Garofalo,

00173 Roma (06) 93781065

ISBN

133 A/8

978-88-548-2250-4

l diritti di traduzion�. di mMnorizzazionr elettronica, di riproduzione e di adottamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono rism;ati p� tutti i Paesi. Non sono assolutammte consentJte le fotocopie

sC71za il permesso scritto dell'Editore.

l edizione: novembre

2008

In memoria di Bruno Giuliani, indimenticabile maestro ed amico

Indice

9

Tavole delle sigle Introduzione

11

Capitolo I Una donna soffocata da due uomini: da La paura a La morsa . . . .

17

Capitolo II Un suonatore di banda di paese fra disillusione e offesa: Lumìe di Sicilia

.. . . ... . .......................................................... ..... . .. . .

29

Capitolo III Dal tentato suicidio per mano propria a quello avallato dal medico: Il dovere del medico ............... .... ......... .... . . . . . . . . . . . . . . .

41

Capitolo IV Un caso di sterilità e un dramma della maternità negata: La ragione degli altri . . . .

. ... . .. . .

47

All'uscita.....

59

..

.........

......... ......... .................. . . ..... . .

Capitolo V I morti ritornano nel mondo in veste di apparenze:

Capitolo VI Due vittime del/ 'inesistenza della verità oggettiva: il signor Ponza e la signora Frola in Cosi è (se vi pare) .. Capitolo VII Una maschera tragica fra apparenza e realtà: il Baldovino de Il piacere dell'onestà

.

....

.

...

..

.

65

81

8

Introduzione

Capitolo VIII La corda seria, la civile, la pazza:

Il berretto a sonagli

l Ol

Capitolo IX Un duello singolare, in cui non si batte lo sfidante: Il giuoco delle parti . . . . . . . . ... . . . . . . . . .... . . . . . . . . . . . . . . . . . ... . . . . . .. . . . . .... . . ... . . . . . . . .

1 13

Capitolo X Un personaggio schiacciato dalle apparenze: Martino Lari di Tutto per bene . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . .. . . . . . .

1 23

Biliografia . .. . . . . . . . . ............ . .. .. ............ . . . ................... ... . .. ........... .. . .. .

1 43

Tavola delle sigle

NP U A

L. PIRANDELLO,

Novelle per un anno,

a cura di Mario

Costanzo, I Meridiani, Mondadori, Milano

199�1993

(vol. 3). MN

L. PIRANDELLO,

Maschere nude,

a cura di Alessandro

D'Amico, I Meridiani, Mondadori, Milano

1993-2007

(vol. 4). SPSV

L. PIRANDELLO,

Saggi, Poesie, Scritti varii,

TR

L. PIRANDELLO,

Tutti i romanzi,

di [1960].

a cura

Manlio Lo Vecchio-Musti, Mondadori, Milano 1993

a cura di Giovanni

Macchia, con la collaborazione di Mario Costanzo, I Meri­ diani, Mondadori, Milano

1986-1993 [1973] (vol. 2).

Introduzione

Pirandello, nella prima parte della sua vita, fu essenzialmente ro­ manziere e novelliere e solo

in seguito riuscì ad affermare l'originaria

ispirazione drammaturgica, osteggiata all'inizio dalla difficoltà di mettere in scena le opere teatrali che veniva producendo'.

È tore

da notare che a monte quasi di ogni lavoro drammatico dell'au­

è uno spunto narrativo, altrove e precedentemente sviluppato2•

Il titolo di questo saggio allude alla genesi delle opere, che, nate da un unico seme, costituito dall'esperienza dell'uomo Pirandello, dopo un'intensa rielaborazione fantastica, si inverano prima nella forma narrativa e successivamente in quella drammatica. Claudio Vicentini, in

Pirandel/o, il disagio del teatro,

afferma:

Sotto l ' influenza di Capuana e delle opere di Goethe e di Séailles Pirandello aveva assimilato un principio fondamentale del l ' estetica romantica, elaborato alla fine del settecento da Karl Philipp Moritz e poi da Goethe, che aveva traversato pressoché indenne tutte le traversie della riflessione fi losofica ot­ tocentesca. Secondo questo principio la creazione artistica è del tutto simile alla formazione dei prodotti naturali. Ogni prodotto naturale (ad esempio una pianta) muove infatti da un "germe" o da un "embrione" (il seme) che con­ tiene in sé fin dal l ' inizio il programma del proprio sviluppo e il progetto della 1

Accanto a tali attività intellettuali

glottologia a Bonn, e di saggista, poiché e

fu,

in ogni caso, un artista colto

ed

è da ricordare quella di srudioso, quando si laureò in fu per lungo tempo professore al Magistero di Roma

esperto di letteratura. in particolare di quella italiana.

E'

da sottolineare, comunque, che da quanto emerge dal suo epistolario, visse in maniera conflit­ tuale il rapporto tra le varie attività su citate, considerando con fastidio quella di srudioso e di docente e prediligendo in modo spiccato quella artistica, che nell' ultima parte della sua vita lo assorbi totalmente. 2

Cfr. il bel saggio di Dorothea Stewens, Pirandello. scrittura e scena. Edizioni del centro

nazionale di srudi pirandelliani, Agrigento 1983, che analizza acutamente il rapporto rativa e teatro in Pirandello.

fra

nar­

12

Introduzione

forma che acquisterà alla fme.[ . . . ] Nello stesso modo, sostenevano Moritz e Goethe, anche la creazione estetica inizia da un germe. È lo "spunto" del l ' o­ pera, ossia una parola, un ' i mmagine, un' idea, un suono o un colore, che col­ piscono l ' artista, suscitando un ' improvvisa emozione. L'artista accoglie lo spunto nel suo mondo interiore (il terreno fecondo), e ne nutre lo sviluppo con la propria ricchezza spirituale3• Io intendo riferire ciascuno dei termini del titolo all'esperienza au­ tobiografica, a quella narrativa e a quella drarnrnaturgica dell'autore. Piegherei però a una visione più moderna la metafora, poiché non mi sembra che ci sia un'evoluzione di stampo romantico-naturalistico nell'opera di Pirandello, che la metafora del seme, del germoglio e del fiore potrebbe suggerire. Vorrei invece sottolineare che c'è uno stretto rapporto di dipendenza fra i tre momenti, consapevole della modalità dialettica e non naturalistica che presiede al vistoso e complesso lavo­ ro di rimaneggiamento e di riscrittura qui esaminato. Il "seme", pur provenendo dall'esperienza biografica dello scrittore, matura, come si è detto, grazie alla fantasia e ad una capacità di osservazione stupefa­ cente se si pensa che l'autore era un letterato e un uomo di studio, né mondano né socievole tanto da lasciar immaginare una conoscenza cosi approfondita della vasta umanità i cui casi costituiscono la so­ stanza delle sue opere. Ma è soprattutto nel secondo passaggio, nella grande fioritura drammaturgica, che lo scrittore interviene dialetticamente, organiz­ zando un mondo di personaggi in rapporto appunto dialogico fra loro. La metafora presente nel titolo di questo saggio allude semmai al fatto che la drammaturgia è un punto di arrivo di un intero processo che ha seme e radici lontane e germina da un termine intermedio, la narrativa. Arcangelo Leone De Castris dimostrò che è possibile rintracciare la destinazione teatrale di tutto il cammino artistico di Pirandello, indivi­ duandone le premesse in alcune teorizzazioni originarie, come quelle presenti nell'articolo del 1899, maginativa delle novelle

loqui con i personaggi 1

L 'azione parlata, nella creazione im­ La tragedia di un personaggio ( 1911) e Col­

(1915), nonché in alcune tendenze stilistiche

C. VICENTIN I , Pirandello, il disagio de/teatro. Marsilio, Venezia 1 99 3 , p.40.

Introduzione

13

riscontrabili nella sua narrativa (elementi visivi molto sviluppati, dia­ logo vivo, tendenza del discorso indiretto a divenire diretto t D' altra parte Renato Barilli definisce Pirandello "plagiatore" di se stesso, riferendosi alla sua abitudine di riprendere dalle novelle, tra­ sferendoli nei successivi lavori dr ammatici, interi blocchi sintagmati­ ci5. Tali blocchi, però, come si avrà occasione di rilevare, una volta trapiantati, vivono di una vita nuova, poiché la nuova struttura in cui sono inseriti getta su frasi e proposizioni identiche una diversa luce e altre connotazioni. Le novelle pirandelliane hanno due caratteristiche tipiche del "ge­ nere": la brevità e l'accento dell'intreccio posto sulla fine6• Le novelle rimandano, inoltre, come accade in ogni struttura narra­ tiva, alla presenza di colui che Sydney Chatrnan definisce "autore im­ plicito" ed è costituito dali'entità del narrante, elemento centrale, ma occulto, individualità in grado

di intrattenere rapporti affettivi o etici

con i personaggi di cui racconta, asse di riferimento non dichiarato dei valori morali convogliati dal testo7• Si vedrà con quali esiti tale entità scomparirà, lasciando comunque il segno della sua presenza, nella ri­ duzione scenica delle novelle, in cui la struttura dialogica non permet­ te il suo permanere. Mi propongo in questo lavoro di analizzare le modalità del passag­ gio dalla forma narrativa a quella drammatica in alcune fra le opere di Pirandello nell'edizione critica, a cura di Alessandro D' Amico per quanto riguarda il teatro e di Mario Costanzo per quanto attiene alle novelle, nella collana "I Meridiani" edita da Mondadori. Mi occuperò, d'altra parte, di quelle opere drammatiche il cui precedente narrativo non

è costituito solo da uno spunto tematico, ma si delinea in una tra­

ma ben riconoscibile poi nell'assetto drammaturgico. Terrò pertanto conto degli atti unici

La morsa, Lumie di Sicilia, Il

4 C fr. A. LEONE DE CASTRIS, Storia di Pirandello.

Laterza, Bari I 962, pp. l l 2 sgg. Cfr. R. BARILLI, La linea Swvo- Pirandello, Mursia, M i l ano, 1 977, p. l 36. 6 Si veda B . EJCHENBAUM, Teoria della prosa, in Aa . Vv ., I fonnalisti russi, Torino, Einaudi 1 968, p.23 9. 7 Si veda S . CHATMAN, La struttura della comunicazione lelleraria, in «Strumenti criti­ ci>> 1 974 (VIII), fase. l , pp.3 sgg. 5

14

Introduzione

dovere del medico, La patente,

nonché, per la sua collocazione ambi­

gua fra narrativa e teatro, del "mistero profano"

Ali 'uscita. Il berretto a sonagli, in due atti e un gruppo di opere in tre atti concepite dall'autore dal 1916 al 1920, cioè in quel Analizzerò inoltre

periodo particolarmente fertile della sua attività che vide venire alla luce, in ordine cronologico, Pensaci, Giacomino!, Così è (se vi pare), Il piacere del/ 'onestà, Ma non è una cosa seria, Il giuoco delle parti, L 'uomo, la bestia e la virtù, La ragione degli altri ( che era in gesta­ zione dal 1899), Come prima, meglio di prima, Tutto per bene. Il Lugnani' e il Battaglia9 individuano molto bene il precisarsi del personaggio nella genesi del teatro pirandelliano, che, come è noto e come in questa sede viene comprovato, si attua attraverso l'esperienza narrativa. La compiutezza, la raffinata fattura delle novelle cui Pirandello at­ tinse per creare la maggior parte dei suoi lavori teatrali attestano che nell'autore coesistevano la vocazione narrativa e quella drammaturgi­ ca, ch'egli sviluppò parallelamente o in un tempo posteriore. Considerando lo stile delle novelle si comprende chiaramente che queste non erano soltanto spunti o bozze in attesa di futuri rimaneg­ giamenti, ma perfette forme espressive. In un tempo interiore che è il più delle volte posteriore a quello della narrativa, le situazioni e i per­ sonaggi inventati si atteggiavano, nella mente dell'autore, in forma drammatica, si muovevano con una propria vita, come si mossero em­ blematicamente i sei personaggi in cerca d'autore. Il passaggio dalla narrativa alla drammaturgia non si spiegherebbe senza considerare questo fenomeno, che, particolare di Pirandello, dimostra in lui la pre­ senza di una spinta evolutiva, di un vettore diretto a trasformare la sua creatività. Quando, poi, la narrativa sbocca nel dramma, la creatura della casistica veristica diventa personaggio, si pone dialetticamente in relazione agli altri, uscendo fuori di sé, sulla scena, ad esporre il suo tormento di "maschera nuda" e non può sottrarsi al processo di esautoramento, alla profonda crisi che, come rileva in un'analisi di

' L. LUGNANI, Pirandello, lelleratura e teatro,

La Nuova Italia, Firenze 1 970, p. 48. S. BATI AGLI A, Il senso della vita nei racconti di Luigi Pirandello, in , 1 963 (IX), fase. l, pp. 1 - 1 4. 9

15

Introduzione

capitale importanza Peter Szondi10, ha investito su un piano storico generale in tutto il mondo, la forma drammatica in epoca moderna. Il personaggio cerca allora silia Drei in

un

"abituccio", come quello reclamato da Er­

Vestire gli ignudi,

domanda invano un

ubi consistam,

in

un universo che impedisce i rapporti intersoggettivi. La persona, gelosamente custodita nella voce e nel pensiero dell'io narrante verista, si trova smarrita, senza autore e chiede, nel capolavo­ ro di Pirandello, di rappresentare un dramma irrapresentabile. Si potrebbe pensare in atto in Pirandello il fenomeno, applicabile peraltro al mondo fantastico di ogni scrittore, per cui già nella mente la fantasia creatrice presuppone un teatro, quando accede alla forma artistica11• Se Evreinov riteneva che la vita

è teatro, si potrebbe estendere la

sua intuizione, affermando che la mente è teatro1Z, e, di conseguenza, ogni creazione fantastica. Ma in Pirandello tale atteggiarsi originaria­ mente drammatico della fantasia, testimoniato in Colloqui con i per­ sonaggi, nonché nella prefazione dei Sei personaggi e nello scritto Tragedia di un personaggio, diventa anche formale quando l'ispi­ razione dà luogo al teatro, creato come tale anche strutturalmente, con didascalie, elenco delle E

dramatis personae, divisione in atti, dialoghi. l'iter creativo sarà concluso del tutto quando dal 1925 al 1928 Pi­

randello dirigerà il Teatro d'Arte, divenendo anche regista delle pro­ prie

opere.

A

quel

punto

il

teatro

diverrà

carne

e

sangue

dell'originario letterato e sarà in procinto anche di sboccare nella sua forma affine contemporanea, il cinema, meta agognata dell'ultimo Pi­ randello. Questa trasmigrazione di forma in forma nell'arte dell'autore, te­ stimonia la dinamicità della sua attività, la sua continua ricerca di

un

nuovo assetto formale. Dorothea Stewens ha notato che «dei quarantatré testi teatrali 10 11

P. SZONDI, Teoria del dramma moderno, Einaudi, Torino 1960, passim. Cfr. B . DE MIRO D' AJETA, l/teatro mentale di Leopardi e il paesaggio dei grandi idilli, già in Atti del Convegno internazionale «Leopardi e lo spettacolo della natura», L 'Orientale editrice, Napoli 2000, ora in B. DE MIRO D'AJETA, Divagazioni di fine millen­ nio a teatro e cinema). Grenzi, Foggia 2005 . 2 Cfr. F. PETRELLA, La mente come teatro, Centro scientifico torinese, Torino 1985,

f.([

passim.

16

Introduzione

dell'edizione completa delle

Maschere nude ventisette I giganti)»13 e questa

sti narrativi (ventotto includendo

ricorrono a te­ preponderanza

del ricorso a una precedente forma narrativa, nella fase della produ­ zione drammaturgica, fa pensare appunto a un'elaborazione che si svolge in due tempi (in tre se si include l'ispirazione autobiografica).

11

D. STEWENS,

op.cit., p.36.

Capitolo I Una donna soffocata da due uomini: da

Il

9

dicembre

1910

La paura a La morsa

"Il Messaggero" di Roma pubblica l'annuncio

che al Metastasio, dalle

19 alle 23, saranno presentate Sylvia, L 'ultima visita, La principessa lontana, tutte e tre di Hermann Sudermann, e Lumìe di Sicilia e La morsa, due nuovi lavori di Luigi Pirandello «per i quali- dato il nome dell'illustre novelliere- l'aspettativa è vivis­ sima»1. Così Pirandello debuttava sulla scena teatrale, dopo innumerevoli tentativi falliti di accedervi. Complessa è la questione relativa alla precedenza o meno della no­ vella

La paura,

del

1897, rispetto alla stesura dell'atto unico L 'epilogo La morsa), del 18982• reperito un manoscritto del 1892, conservato nella

(titolo originario de Infatti è stato

biblioteca Federiciana di Fano, contenente l'atto unico. Concordo con Alessandro D'Amico nel ritenere che l'analisi strut­ turale delle due opere fa comunque ritenere precedente la novella, che tutt'al più è contemporanea dell'atto unico, il quale ha subito diversi rimaneggiamenti. Del resto nulla vieta di pensare che sia esistito an­ che un manoscritto della novella, precedente al

1892,

come osserva

giustamente D'Amico3• Molti sono i probabili ascendenti letterari francesi e italiani dell'at­ to unico reperiti dagli studiosi:

A lleluja

di Marco Praga

1 A. D'AMICO, Notizia, MN, vol. I, p. 5 .

2 3

L e date citate s i riferiscono a l l e prime edizioni delle opere. lvi, p. 7, n. 2.

(1892), Ga-

Capitolo l

18

brielle

di Emile Augier, perfino

fu rappresentato nel

190 l

Caccia a/ lupo

di Verga, il quale però

e sarebbe comunque posteriore alle due ope­

rette pirandelliane. Inoltre c'è

Les tenailles

di Hervieux, rappresentato nel

1895,

titolo

che farebbe pensare a quello attribuito in un secondo tempo all'atto unico dall'autore di Agrigento. La coincidenza tematica in tutti questi testi più che lasciar pensare a legami di discendenza, vista anche l'inadeguatezza delle date, ri­ manda a un fenomeno ben noto: la presenza, lungo tutto l'arco della produzione teatrale dell'Ottocento, del tema del triangolo amoroso co­ stituito da due coniugi e da un amante, cioè del tema dell'adulterio4• Per una chiarezza relativa alla storia del testo va precisato che se­ condo le congetture degli studiosi

1899

ovvero nel

Tanto la novella intitolata

morsa

L 'epilogo

divenne

La morsa

nel

19051. La paura

che l'atto unico intitolato

La

iniziano con quello che in linguaggio cinematografico si direb­

be "primo piano" della protagonista (Lillina Fabris nella novella, Giu­ lia Fabbri nell'atto, secondo un processo di standardizzazione dei no­ mi che caratterizza l'evolversi dello stile pirandelliano, il che sarebbe fra gli indicatori della precedenza della scrittura della novella). La donna è in atto di guardare dalla finestra, di dove vede arrivare l'amante Antonio Serra: sorpresa, da tale vista, si ritrae da quell'atteg­ giamento, posa sul tavolinetto il lavoro a uncino, chiude un uscio in­ terno e va ad attendere presso l'uscio esterno. Nella novella si fa ac­ cenno fin dall'inizio ad un carattere fisico di Antonio Serra: «Già qui? - disse piano, contenta, levando le braccia al nio Serra, lei

gracile, piccola

petto erculeo

di Anto­

[il corsivo è mio], col volto proteso per

ricever subito il solito bacio furtivo»6. Tale annotazione sarà ripresa più avanti, in senso morale, quando si parlerà di una

grossezza di Antonio contro le

ribadite caratteristiche di

piccolezza e gracilità di Lillina: «Il Serra, come se non avesse udito la Per una storia dei tentativi da parte di Pirandello di mettere in scena Bonvi­ cino ). Tutto nella descrizione accurata della casa di Sina e, dopo, nel­ l ' elaborazione scenografica, contribuisce a creare in Micuccio uno stato di spaesamento, quasi una perdita di identità, che da nominale, ' Cfr A . D ' AMICO, Notizia, MN , l , p . 45 .

Un suonatore di banda di paese fra disillusione e offesa: Lumìe di Sicilia

33

diventa i n breve tempo morale e sociale. Unico termine d i riferimento per lui è rappresentato dalla figura di zia Marta, madre di Teresina, la sola che lo ri conosca e lo tratti secondo le sue giuste aspettative, considerando i rapporti nel passato intercorsi tra lui e la ragazza (un passato nemmeno poi tanto remoto, trattandosi di cinque anni addietro). Micuccio è goffo anche perché impacciato di fronte al personale di servizio, soprattutto nella novella: Il cameriere, col tovagliolo sotto i l braccio, passava e ripassava, borbottando or contro Dorina che seguitava a dormire, or contro il cuoco che doveva esser nuovo, chiamato per l ' avvenimento di quella sera, e lo infastidiva chiedendo di continuo spiegazioni. Micuccio, per non infastidirlo anche lui, stimò prudente ricac­ ciarsi dentro tutte le domande che gli veniva di rivolgergli. A­ vrebbe poi dovuto dirgli o fargli intendere ch' era il fidanzato di Teresina, e non voleva, pur non sapendone il perché lui stesso; se non forse per questo, che quel cameriere allora avrebbe dovu­ to trattar lui, Micuccio, da padrone, ed egli, vedendolo così di­ sinvolto ed elegante, quantunque ancor senza marsina, non riu­ sciva a vincere l ' impaccio che già ne provava solo a pensarci 6

Nell ' atto unico, come si è detto, Micuccio sarà più spigliato con i servitori (tra cui è la citata Dorina), ma ciò tornerà a suo svantaggio, perché ne sarà deriso. Dopo il suo lungo viaggio, Micuccio apprende all ' improvviso che Teresina è divenuta Sina, cioè un ' altra persona: ha salito molti gradini della scala sociale, si è arricchita, ha una casa lussuosa, servitori (che faranno gran scena nel l ' atto unico), offre cene al gran mondo, come in quella serata, che è proprio la sua «serata d ' onore» nella «vasta sala in fondo, illuminata, dove sorgeva splendida la mensa»', che costituisce un elemento scenografico importantissimo nel l ' atto unico e che è agli occhi del l ' imbambolato protagonista quasi il simbolo dell 'universo dorato in cui la sua ex fidanzata è diventata «una regina», come è det­ to indirettamente nella novella e in prima persona da lui nella operetta drammatica.

6 NPUA, vol. ci t., t., cit . , p . 906. 1

/bidem.

Capitolo II

34

Nella novella la narrazione procede spedita con un flash back sul passato che rivive nel ricordo, riferito indirettamente, di Micuccio: il pensiero di questi va infatti alla soffitta in cui abitava Teresina con sua madre e si narra come M icuccio avesse a Messina quasi per caso un giorno scoperto il talento canoro di colei che - non è detto esplicita­ mente, ma si capisce dal contesto generale - era al lora la sua fidanza­ ta. In primo piano è la frase lapidaria: «Cinque anni addietro, in quel la soffitta lontana, se non fosse stato per lui, mamma e figlia sarebbero morte di fame»'. Bellissimo è l ' exploit lirico del ricordo, dopo la domanda retorica, stilisticamente felice, a chiusura del precedente brano narrativo («Ma poteva abbandonar Teresina in quello stato, dopo la morte del padre? Abbandonarla perché non aveva nul la, mentre lui, bene o male, un po­ sticino ce l ' aveva, di sonator di flauto nel concerto comunale? Bella ragione ! E il cuore?»)": Ah, era stata una vera ispirazione del cielo, un suggerimento del­ la fortuna, quel far caso alla voce di lei, quando nessuno ci bada­ va, in quella be llissima giornata d'aprile, presso la finestra del­ l 'abbaino che incorniciava vivo vivo l ' azzurro del cielo. Teresina canticchiava un 'appassionata arietta siciliana, di cui Micuccio ri­ cordava ancora le tenere parole. Era triste Teresina, quel giorno, per la recente morte del padre e per l' ostinata opposizione dei parenti di lui; e anch'egli -ricordava- era triste, tanto che gli era­ no spuntate le lacrime, sentendo la cantare. Pure tant'altre volte l'aveva sentita, quell'arietta; ma cantata a quel modo, mai ".

L ' autore implicito si comporta verbalmente come un amico intimo di M icuccio (nell'atto unico diverrà Micuccio stesso) e narra che il giovane contribui alla scoperta del talento di Teresina, conducendo nella soffitta il direttore della banda in cui egli suonava, il quale poi le aveva impartito lezioni di canto, di modo che l ' intero stipendio di Mi­ cuccio per due ann i era servito a provvedere la protetta del necessario per farsi strada (nell ' atto unico si sottolineerà che l ' aveva anche nutri-

8

Ibidem. NPUA, cit., p. 907. 10 Ibidem.

9

Un suonatore di banda di paese fra disillusione e offesa: Lumìe di Sicilia

35

ta, con efficacia realistica). I l narrante, inoltre, maliziosamente conti­ nua : «Bei giorni lontani ! Teresina ardeva tutta nel desiderio di spicca­ re il volo, di lanciarsi nell ' avvenire che il maestro le prometteva lumi­ noso; e, frattanto, che carezze di fuoco a lui, per dimostrargli tutta la sua gratitudine, e che sogni di felicità comune ! » 1 1 • Le «carezze di fuoco» rievocate nella novella diventeranno, nel l ' at­ to unico, in cui si mette in rilievo la comica goffaggine di Micuccio, che spudoratamente passa a raccontare egli stesso ai servi, quasi con vanagloria, la sua intercorsa relazione con Teresina, scrollate date a lui da Teresina, molto teatralmente rappresentate con un gesto mimato del protagonista tale da coinvolgere il cameriere Ferdinando. Nell ' atto unico il risalto accordato ai personaggi si concretizza nei nomi precisi assegnati ad essi (il cameriere si chiama Ferdinando, il direttore della banda Saro Malaviti), denotando una maggiore effica­ cia realistica. A questo punto nella novella è introdotto il personaggio di zia Mar­ ta (che entrerà in scena dopo aver scampanellato insieme alla figlia nel l ' atto unico, interrompendo l ' esecuzione dell ' arietta musicale da parte di Micuccio) : è, come si è detto, la madre di Teresina, povera donna costretta a seguire la figlia nella sua avventura artistica, che pe­ raltro non ha mai visto di buon occhio. M icuccio, nella veste di fidanzato/tutore di Teresina, le aveva per­ messo di proseguire i suoi studi al Conservatorio di Napoli, vendendo, contro il volere dei suoi familiari «un poderetto !asciatogli in eredità da uno zio prete» " e si era accordato con la ragazza perché tentasse la carriera di cantante per cinque o sei ann i fuori della Sicilia, rimanendo con lui in contatto epistolare (ma poi aveva pensato a scrivergli la sola zia Marta, limitandosi la ragazza a stilare brevi note in margine delle lettere). Poi Micuccio si era ammalato fino a trovarsi in punto di mor­ te, per cui Teresina gli aveva inviato una cospicua somma di denaro, di cui parte era stata spesa per la malattia e il residuo Micuccio era venuto a restituire, dopo averlo strappato dalle mani rapaci dei suoi parenti . Questo gesto denota un empito di dignità nel protagonista, che infatti si ostina ad affermare prima fra sé e poi a zia Marta, durante il 11

12

Ibidem. lvi, p . 908.

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Capitolo I I

concreto atto della restituzione : «Denari, niente ! » : rifiuta di considera­ re la somma inviatagli tempo addietro come compenso per quanto a­ veva speso di suo per Teresina e piuttosto un altro era il diritto ch'era venuto a reclamare con determinazione prima di avvedersi della nuova situazione sociale e morale della ragazza, quello di coronare il suo so­ gno d ' amore con lei. Nell ' atto unico si farà riferimento tre volte al danaro che Micuccio è venuto a restituire: la prima quando esso è anche quantificato nella somma di mille lire, di cui parla Micuccio dietro istigazione dei servi, interessati perfino a sapere se il podere venduto a suo tempo da lui va­ lesse quanto l ' aiuto economico ricevuto dal giovane in occasione della malattia; la seconda quando Micuccio lo rende a zia Marta, dopo es­ sersi accorto che Teresina non è più "degna" di lui ; la terza quando, a partire dal l ' edizione del 1 920 dell' atto unico, lo caccia in petto a Te­ resina nel finale affermando con ira che le lumìe non sono più per lei, ormai degna solo del denaro. Nella novella mentre M icuccio attende, immerso nella rievocazione interna del suo passato, interviene un gran trambusto, generato dal i ' arrivo di Teresina con zia Marta, che nell ' atto unico capita men­ tre il protagonista è intento a eseguire sul l ' ottavino l ' arietta cantata in gioventù da Teresina, suscitando l ' ilarità dei servi. Sia nella novella che n eli ' atto unico Teresina non si affaccia nem­ meno nella cameretta dove è Micuccio per salutarlo, ma di lei echeg­ gia una squi llante risata, tale da ferire l ' animo del giovane, cui vengono le lacrime agli occhi : questa ri sata è un po ' il simbolo di ciò che è divenuta la ragazza, come si deduce anche dalle ceste di fiori, dai convitati eleganti, dal la mensa apparecchiata che si intra­ vede nella sala i lluminata; tutto un mondo, insomma, da cui Micuc­ cio è escluso in modo ineludibile. Entra nella cameretta, invece, per ricevere il giovane e invitarlo a cenare con lei separatamente, zia Marta, personaggio più patetico nella novella, più grottesco n eli ' atto unico, in cui si affaccia, a proposito di lei, anche se ancora solo in nuce, la problematica, tipica del più maturo Pirandello, dell ' essere e del parere, dato che veste diversi panni a seconda dell ' ambiente che la circonda :

Un suonatore di banda di paese fra disillusione e offesa: Lumìe di Sicilia

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MICUCCIO Lo so . . eh! dovete fare la vostra comparsa! Ma se vi vedessero, se vi vedessero vestita così a Palma, zia Marta ! MARTA (nascondendosi la faccia con le mani) Oh Dio mio, non mi ci far pensare, ti dico ! Ci credi che . . . se ci penso . . . mi prende una vergogna! Mi guardo; dico: «io, così?» e mi pare che sia per finta . . . come di carnevale . . . Ma come si fa? Per for­ za u !

Zia M arta cena col giovane, dopo aver concertato la cosa con Tere­ sina ed essersi liberata di cappello, mantiglia e guanti . Una vistosa variazione del l ' atto unico rispetto alla novella consiste nella conversazione intrattenuta da zia Marta con Micuccio, piena di lungaggini sulla gente del comune paese originario su cui egli si dif­ fonde dietro incitamento di lei. Nella novella invece è un tenero inter­ vento del l ' io narrante, molto significativo riguardo a ciò che segue: Si guardarono tutt 'e due e si sorrisero, come se fmalmente si riconoscessero. Attraverso l ' impaccio e la commozione le loro anime avevano trovato la via per salutarsi con quel sorriso. «Voi siete zia Marta» - dicevano gli occhi di Micuccio. «E tu, Micuccio, il mio caro e buon figliuolo, sempre Io stesso, poverino 1 » - dicevano quelli di zia Marta".

E poi con reticenza, più in là, i l narratore accennerà al contenuto dei discorsi dei due commensali : «E tutt ' e due di nuovo si sorridevano e si rimettevano a mangiare e a parlare del paese lontano, d ' amici e conoscenti, di cui zia Marta gli domandava notizie senza fine)) ". I l particolare della croce che zia Marta dice di poter fare prima di mangiare ora che è sola con Micuccio, mentre non può farla in pre­ senza di altri, denota moralismo nel l ' autore, come rileva Andrea Ca­ milleri'", soprattutto nel l ' atto unico, essendo tale moralismo attenuato nella novella dali ' aria birichina di zia Marta mentre lo dice. Durante la cena condivisa da Micuccio e da zia Marta Teresi­ na!Sina fa una fugace apparizione, mostrandosi ingioiellata e con le " MN, cit.,p . 6 5 . 1 4 NPUA, vol., e t . cit., p . 9 1 2 . "

lvi, p . 9 1 3 .

1 6 A . CAMILLERI, op. cit. ,

p. 84.

Capitolo I l

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braccia, le spalle, i l seno nudi, accecando Micuccio e illuminando l a cameretta i n cui è i l giovane con i l suo splendore, mentre egli stenta a riconoscerla. Finalmente Micuccio si rende conto, nel vederla così, che il sogno d ' amore da lui custodito è ormai irrealizzabile p er la di­ stanza sociale venutasi a creare fra lui e la sua ex fidanzata. E talmen­ te stordito da questa repentina presa di coscienza che non riesce più a mangiare . Si ricorda di dover restituire il denaro, cosa ormai divenuta più che necessaria, e lo rende a zia Marta. Quindi decide di andarsene, dopo aver appreso da zia Marta che Teresina!Sina non è più "degna" di lui . Qui il narratore, nella novella, indugia pateticamente e moralisti­ camente, parlando di zia Marta: Le sembrava onnai, poverina, che tutti - vedendo sua figlia - dovessero d ' un tratto concepire i l più tristo dei sospett i , quello appunto p e r cui e l l a piangeva inconsolabile, trascinando senza requie il suo cordoglio segreto fra i l tumulto di quella vi­ ta di lusso odioso che disonorava sconciamente la sua stanca vecchiaia".

Nell ' atto unico tutto scaturisce dal l ' azione, senza indugi e, se an­ che è conservata la sorpresa di Micuccio nel l ' apprendere che Sina non è più vergine, la scena in cui egli restituisce i soldi segue, anziché pre­ cedere tale presa di coscienza. Ma l ' atto unico ha due finali divers i : quello della «Nuova Antolo­ gia», del 1 9 1 1 , corrispondente con ogni probabilità alla versione sce­ nica affidata a Martoglio nel 1 9 1 O , cui si è accennato, mutato già nella versione dialettale del 1 9 1 5/ 1 6, andata perduta e consultata da Pietro Mazzamuto in un manoscritto autografo conservato dalla famiglia Museo, in cui Micuccio consegnava le lumìe portate con sé dalla Sici­ lia, simbolo della innocenza e della realtà incontaminata della terra na­ tale, a zia Marta, come nella novella. Questo finale differiva dali ' o­ riginario tessuto narrativo perché vi mancava la figura piangente di Micuccio sulle scale, dove si era rifugiato a causa della pioggia, che gli aveva impedito di uscire dal palazzo, ma come nella novella l ' ex

17 N PUA, vol .

c

t. cit., p. 9 1 6 .

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fidanzata offriva le lumìe agli invitati, una volta andato v i a Micuccio (anzi nel l ' edizione della «Nuova Antologia)) Sina chiamava gli invita­ ti ad uno ad uno per nome, con efficacia realistica e scenica a diffe­ renza che nella novella). A partire dalla versione in dialetto siciliano creata per Museo nel 1 9 1 5 , quindi nella versione in lingua italiana edita da Treves e curata dal l ' autore nel 1 920 e in tutte quelle a seguire delle Maschere nude, nel finale Micuccio incontra Sina e ha verso di lei uno scatto di fierez­ za ottocentesco: SINA (facendo per accorrere) Oh! Le lumi e ! Le lumie! MICUCCIO (subito fermandola) Tu non le toccare ! Tu non devi neanche guardarle da lontano ! Ne prende una e l 'awicina al naso di zia Marta. Sentite, sentite l ' odore del nostro paese - E se mi mettessi a tirarle a una a una su le teste di quei galantuomini là? MARTA No, per carità ! MI CUCCIO Non temete. Sono per voi sola, badate, zia Marta' Le avevo portate per lei ...

Indica Sina E dire che ci bo pagato anche il dazio . . . Vede sulla tavola i l danaro. Ira/lo poc 'anzi dal portafogli; lo afferra e lo caccia nel pella di Sina. che rompe in pianto. Per te, c ' è questo, ora ! Qua! qua ! ecco ! così! E basta! - Non piangere ! - Addio, zia Marta! - Buona fortuna ! S i melle in tasca il sacche/lo vuoto, prende la valigia. l 'astuccio dello strumento, e va via. Tela"

" MN , vol . cit. pp.7(). 7 1 .

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Capitolo II

L ' ultimo finale del l ' atto unico è teso, presenta un Micuccio non ri­ piegato su se stesso, come nella novella, ma vendicativo, offensivo, che si fa assertore della morale tradizionale e condanna aspramente Sina, la quale in fondo, a ben vedere, non ha nemmeno la dignità di personaggio e vale solo come rappresentante di un costume di vita op­ posto a quello di Micuccio e corrotto (in questo senso si fa un passo indietro rispetto alla rilevata fi gura di Lillina/Giulia del precedente la­ voro analizzato). Nella novella l 'ultima battuta era assegnata a Teresina, che appari ­ va vincente, e d in essa era l ' osservazione, d a parte d e l narratore, della sua voracità insensibile e ottusa, mentre nell 'ultimo finale dell ' atto u­ nico è l ' affermazione, da parte del l ' autore, di un moralismo molto ri­ levato. Sembra che Pirandello si sia lasciato trascinare dalla teatralità del nuovo spunto ideativo, venendo meno al criterio di coerenza in ba­ se al quale la figura di Bonavino è pienamente riuscita perché intera­ mente sconfitta, secondo una scala di valori cui lo scrittore di Agri­ gento è sempre più o meno fedele'•.

1 9 P e r le osservazioni s u l rapporto fra dialetto e l i n gua ital iana n e l l e due versioni del l ' atto unico rimando a l l ' acuto saggio di Pietro Mazzamuto, La maschera dialettale dell 'atto unico pirandelliano, in Aa. Vv., Gli atti unici di Pirandello (fra narrativa e teatro), cit. pp. 2 3 5 239.

CAPITOLO III Dal tentato suicidio per mano propria a quello avallato dal medico:

I l dovere del medico

L ' atto unico Il dovere del medico, inserito dall ' autore nelle Ma­ schere nude pubblicate da Bemporad nel 1 926, ha tre precedenti stesu­ re : la novella Il gancio ( 1 902), di poco differente dalla successiva Il dovere del medico ( 1 9 1 0) e quella del l ' atto unico omonimo del 1 9 1 2, stampata da Lucio D 'Ambra nel mensile «Noi e il Mondo». I l caso di Tommaso Corsi, protagonista della breve opera, fu trova­ to dal i ' autore nella cronaca, secondo la testimonianza di Alessandro D ' Amico'. I l "seme" pertanto questa volta viene dal l ' esterno, mediato attra­ verso la cronaca. Non per questo non passa nella mente del l ' autore, dove è fecondato dalla sua alta fantasia. Nella lettera di presentazione dell ' atto unico indirizzata a Edoardo Boutet del 1 9 1 1 l ' opera è definita "epilogo", come già aveva riportato il titolo L 'epilogo la prima stesura de La morsa, poiché il nucleo del l ' azione che genera il dramma è relegato nel l ' antefatto2• Nella novella Il dovere del medico irrompe la problematica, tipica­ mente pirandelliana, della discrepanza tra il formalismo delle leggi e della morale oggettiva e il valore soggettivo, profondo, degli atti 1 A. D ' AMICO, Notizia, in MN, vol. l, p . 7 5 : >, 7 maggio

3

pp. I O I S- 1 0 1 6.

1 899,

ora in SPSV,

Capitolo III

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d ' odio e di diffidenza nel volto pallido ed aspro, contratto e macerato dal l ' angoscia e dai dolori»5• La situazione del Corsi, assente dalla scena, è presentata subito nel­ la sua oggettiva terribilità : incombe su di lui l ' arresto ed egli non è an­ cora guarito (parlano di questo la suocera, con odio evidente verso chi ha prodotto la rovina della figlia, Anna con comprensione verso il ma­ rito, il questurino con indifferenza). I pareri discordi della madre di Anna e di questa su l i ' operato del Corsi introducono di scorcio la pro­ blematica ideologica di Così è (se vi pare) circa la relatività del reale, rendendo aperta alla dialettica la situazione (sulla scena si svolge l 'urto di differenti opinioni). Dalle parole di Anna è evocata la figura morale del Corsi, come at­ traverso i suoi pensieri era delineata nella novella: quella di un uomo forse superficiale, ma affascinante per la sua frenetica vitalità. Anna, inoltre, rivela l ' antefatto della situazione attuale, adducendo le atte­ nuanti in grado di minimizzare gli atti del marito : non amava altra donna all' infuori di lei, moglie legittima, la colpa del l ' accaduto è stata certamente di Angelica Neri , che l ' ha adescato. Sono introdotti contemporaneamente il dottor Lecci e l ' avvocato Cimetta, che rappresentano entrambi "la ragione degli altri": il primo ha eseguito il dovere di curare del medico, il secondo adempirà quello -probabilmente inutile- di tutelare il Corsi dalla legge, ma su queste funzioni dei due non è posto ancora l ' accento. Nel dialogo, utilizzando osservazioni presenti nella novella nei pensieri di Tommaso convalescente (par. V), essi parlano del l ' assur­ dità del caso occorso all ' amico (dice Cimetta del Neri defunto : «Si può esser certi che, seccato com ' era sempre, sarà stata un regalo per lui, la morte . E intanto qua adesso tutta una famiglia nel baratrm>6), poi escono insieme, per recarsi dal questore nel tentativo di dilazionare l ' arresto del Cors i . Quando questi entra i n scena lo spettatore è, dunque, parzialmente informato del suo dramma e con efficacia si inseriscono a questo pun­ to l ' apparizione del convalescente, la narrazione lirica eh ' egli fa della sua recente rinascita, il colloquio intimo, teso ch' egli ha con la moglie, 5 6

MN, vol. cit.. p. 8 3 . l v i . p. 92.

Da/ tentato suicidio per mano propria a quello avallato dal medico: Il dovere del medico

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cercando di convincerla del tutto della propria innocenza. La vicenda dell ' omicidio, attinta ancora al paragrafo V della novella, è, quindi, narrata in prima persona dal protagonista e lo spettatore viene infor­ mato ulteriormente, cosi, de l i ' antefatto. La moglie, ascoltando il marito infervorato n eli ' autodifesa, gli ri­ corda dolcemente che non è necessario che s ' impegni in quel modo con lei, che l ' ha già perdonato : dovrà farlo con i giudici . A questo punto, nello scorgere anche il Lecci e il Cimetta appena ritornati, il Corsi si rende conto della realtà legale che lo attende, del processo che dovrà affrontare e si ribella a tutto ciò, si scoraggia, af­ fermando di aver già espiato abbastanza. In questo serrato dialogo con Ci metta risulta chiara l ' assurdità della legge più ancora di quanto non avvenisse nella novella. L ' autore e­ splica le sue straordinarie attitudini dialettiche nel costruire la sceneg­ giatura del l ' atto unico. E, come si ribella alla legge che gli vuole infliggere una punizione che non merita (lui, cercando di uccidersi, aveva desiderato punirsi ancor più gravemente), il Corsi si ribella ali ' umana etica, che, attra­ verso le cure del dottor Lecci, ha salvato la sua vita, per poi esporlo al­ la punizione con parole rivolte al medico e all ' avvocato che per il tono risentito, vibrante, lirico precorrono quelle finali del M. Verdoux cha­ pliniano : TOMMASO [ ] E con qual diritto - io vi domando appunto questo - con qual diritto voi esercitate su un uomo che ha volu­ to morire i l vostro dovere di medico, se non avete in cambio dalla società i l diritto che quest 'uomo possa vivere la vita che voi gli ridate? CIME TI A Ma scusa, e del male che hai fatto? TOMMASO Mi sono lavato, col mio sangue ! Non basta? Ave­ vo ucciso; m ' ero ucciso. Lui non m ' ha lasciato morire. Mi sono ribel lato alle sue cure. Tre volte mi sono strappate le fasce. Ora sono qua: rinato, per opera sua: un altro. Come volete che resti sospeso a un momento di quell' altra mia vita che per me non esiste più? I l rimorso di quel momento io me lo sono levato; in un' ora scontai la mia colpa, in un 'ora che poteva essere lunga quanto l ' eternità! Ora non ho più nulla da scontare io! Debbo rimettermi a v ivere per la mia famiglia, a lavorare per i miei fi­ gliuoli ! Come volete che stia in un reclusorio a scontare un de­ litto che non pensai di commettere, che non avrei mai commes. . .

Capitolo III

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so se non vi fossi stato trascinato; mentre a freddo, ora, coloro che approfitteranno della vostra scienza, del vostro dovere di tenermi in vita solo per farmi condanna re, commetteranno il delitto di farmi abbrutire in un ozio infame, e i miei figliuoli, i miei figliuoli innocenti, nella miseria, nell ' i gnominia? Con qual diritto? 7

Le parole pronunziate qui dal Corsi non differiscono molto da quel­ le presenti nella novella da cui l ' atto unico discende, ma, incastonate nella cornice dialogica, acquistano un risalto ben maggiore, sia pur non estraneo agli artifici della retorica. Così questo j 'accuse che i l protagonista rivolge alla società rimane memorabile, associando que­ sto personaggio alle più profonde figure pirandelliane, individualisti­ che, talvolta rinunciatarie, emarginate e sconfitte dal mondo, contro cui si ergono vanamente, tragicamente solitarie. In seguito, nel l ' agitazione, Tomrnaso causa il riaprirsi della ferita e il medico afferma infine di non poter e di non dover più intervenire. La riduzione teatrale de Il dovere del medico mostra l ' eccezionale abilità drammaturgica del l ' autore, che sintetizza e rende dialogici i contrasti presenti nelfatto narrato, mentre si può cogliere la sua intima maturazione, poiché in queste riduzioni teatrali si nota una trasforma­ zione del personaggio, che si sforza di proiettarsi al di fuori di sé, non ripiegandosi più su se stesso. La diversa struttura artistica testimonia, quindi, un ' evoluzione pro­ fonda nel l ' autore, che non necessariamente coincide, come è opinione del Lugnani,S con i l trascorrere di un vasto arco di tempo : per esem­ pio, la prima edizione di questo atto unico dista solo due anni dalla se­ conda edizione della novella, per non parlare del fatto che il continuo ritornare, questa volta sì, a distanza di anni, di Pirandello sulle stesse opere, testimonia la continua presenza dei propri temi sul suo orizzon­ te, che annulla le distanze temporali.

7 MN , vol. c i t . p . 1 00. ' L

LUGNAN I , op. cit. . pp. 45

46.

CAPITOLO IV Un caso di sterilità e un dramma della maternità negata:

La ragione degli altri

Nel 1 895 appare sulla «Tribuna illustrata» una novella di Pirandel­ lo dal titolo Il nido, che poi non fu più ristampata e cadde nel l ' oblio: infatti il suo ritrovamento si deve a una ricerca di Aurelio Navarrìa del 1 950, anche se la famiglia Pirandello testimonia che col ricavato di quella stampa fu pagata la balia per il primogenito di Luigi, Stefano. Dopo un mese l ' autore lavorava a un dramma, originariamente in quattro atti, destinato a mutare titolo diverse volte : si va da Il nibbio a Se non così . , dal quale ultimo si aboliranno poi i puntini sospensivi. La versione definitiva si intitolerà La ragione degli altri. Inoltre nel 1 9 1 1 l ' autore dava alle stampe il romanzo Suo marito, che diventerà poi Giustino Roncella, nato Boggiòlo, nel l ' edizione postuma curata da Stefano Pirandello per l ' editore Mondadori nel 1 94 1 . In questo ro­ manzo viene raccontata la trama di un ' opera drammatica di cui è au­ trice la protagonista Silvia Roncella: qualcuno vuole intitolare l ' opera Il nibbio, ma l ' autrice opta per il titolo Se non così . . . Qualunque sia l a complessa gestazione dell ' opera drammatica, che abbraccia circa l ' arco di un ventennio, dal 1 895 al 1 9 1 7, il copione vi­ de la stampa in diverse edizioni importanti, quella del 1 9 1 6, nella «Nuova Antologia» ' , l ' edizione Treves del 1 9 1 7, che comporta gli ar.

.

1 L. PIRANDELLO, Se non così . . . Commedia in tre atti, «Nuova Antologia>>, vol. CLXXX I , s. VI, 1° gennaio 1 9 1 6 (atto primo, pp. 34--4 9 ) e 16 gennaio 1 9 1 6 (atto secondo e terzo, pp. 225-248).

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Capitolo IV

ricchimenti del testo richiesti da Marco Praga' e l ' edizione Bemporad del 1 92 5 , che reca il titolo definitivo La ragione degli altri e sarà ri­ presa con poche varianti nell' edizione definitiva Mondadori del 1 93 5 delle Maschere nud�. In questa sede si opererà una collazione del! ' originaria novella Il nido, della trama esposta in Suo marito e della versione finale Monda­ dori contenuta nel l ' edizione critica più volte citata, a cura di Alessan­ dro D ' Amico delle Maschere nude. Nella novella Ercole Orgera si è sposato con Livia Arciani dopo i l fallimento del fidanzamento con la cugina Elena Ferlisi, avvenuto a causa di lei. Livia Arciani, come nel dramma , viene definita dagli ami­ ci di lui "orsa". Nella novella il matrimonio tra Livia ed Ercole è volu­ to dal padre di lei. Ercole è un letterato non compreso dalla moglie. Elena, nella novella, ha due figli che le sono venuti da un precedente matrimonio e, come nella trama esposta in Suo marito e nel dramma, è vedova e bisognosa sotto il profilo economico. Otto anni dopo aver rotto il legame con Ercole per accedere a un matrimonio borghese gli scrive una lettera, che Ercole legge insieme alla moglie, in cui gli chiede un aiuto in danaro. L 'uomo, di comune accordo con Li via, invia quattrocento lire. Do­ po tre mesi appare pervaso da un furore creativo, essendogli tornato, come sembra, l ' estro artistico. Livia si sente esclusa dalla vita del ma­ rito, che si dedica all ' arte letteraria in modo frenetico. All' improvviso si accorge di dover collegare l ' attività improvvisa di lui al tradimento. «Troppo tardi : Lietta era già nata.» commenta in modo lapidario il narratore. Del resto Livia ha la conferma esplicita del tradimento e della nascita di una bambina da una vecchia zia di Ercole, sorda ed epilettica, personaggio assente tanto nella trama e­ sposta in Suo marito che nel dramma composto da Pirandello. Nella novella è rappresentata la divaricazione in cui viene a trovarsi Ercole tra la casa modesta ma lieta in cui vivono l ' amante e la figlia e 2 L. PIRANDELLO, Se non così. Commedia in tre atti, Con una lettera alla protagonista, Fratelli Treves, M i lano 1 9 1 7 . 1 L. PIRANDELLO, Maschere nude. La ragione degli altri, Commedia in tre atti, Nuova edizione riveduta e corretta, R. Bemporad & figlio editori, Firenze 1 92 5 (anche se in copertina reca MCMXXV I ) . Per questa e le altre notizie su citate si veda A. D ' AMICO, Notizia, in MN, vol . cit., pp. 1 3 9-- 1 5 8 .

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la rigida realtà della casa alto-borghese di Livia, dove questa si strug­ ge e si dispera. Nel dramma, invece, non c ' è luogo lieto per il prota­ gonista, essendo la sua vita divenuta interamente un inferno. Comune ai tre scritti è invece l ' intento di lui di mantenere col proprio lavoro di romanziere l ' amante e la figlia, onde si critica la sua coscienza, che gli permette di far soffrire la moglie, ma non di sottrarle del denaro (nella novella questa critica è posta in bocca alla stessa Livia, mentre nel dramma è posta in bocca a suo padre Guglielmo Groa, essendo Livia un personaggio orgoglioso e tutto d ' un pezzo, superiore alle bassezze umane) . Nella novella Livia è rosa dalla gelosia ed Elena è più distac­ cata dalla bambina, poiché ha collocato in un orfanotrofio altri due fi­ gli, verso il cui padre, da lei amareggiato quando era in vita, prova tut­ tora rimorso. Dalle parole della zia sorda ed epilettica, che frequenta tanto Livia che Elena, quest'ultima apprende che Livia è brutta e veste male. Quando Livia va dal padre in campagna e scrive ad Ercole ch' egli non sospetta di nulla e che risponda al suo invito a raggiungerli negativamente, i sentimenti del marito nei confronti della moglie mu­ tano : prova rimorso verso di lei e sopporta ormai l ' amante in nome della figlia. Un giorno Elena, col pianto agli occhi, confessa ad Ercole di essere stata oggetto di scandalo nel collegio in cui sono stati ospitati i suoi figli, per la sua situazione illegale e teme per il futuro dei due ragazzi . Ercole cade in una profonda prostrazione, tanto da ammalarsi grave­ mente, ricoverandosi a casa di Livia e non recandosi più a casa dell ' amante . Così, constatando il disagio del marito, Livia concepisce l ' idea di adottarne la figlia. Ercole va a prelevare Lietta con maggior determinazione che nel dramma, nel quale l ' iniziativa è affidata alla moglie. Però alla resistenza e allo strazio di Elena non resiste e si con­ vince a fuggire con lei e con la figlia. Ma Elena pensa agli altri due fi­ gli e si lascia portar via infine Lietta con la promessa che la bambina avrà almeno un lieto avvenire. Nella trama esposta in Suo marito dell ' opera teatrale che Silvia Roncella ha in gestazione, Se non così . , tratta da una novella di una sua precedente raccolta, lo sviluppo è già più vicino a quello del dramma omonimo che Pirandello metterà in scena nel 1 9 1 5 ad opera della Compagnia del teatro Manzoni di Milano diretta da Marco Praga e che non sarà di gradimento né del pubblico né dello stesso Praga, il . .

Capitolo I V

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quale chiese all ' autore di rimaneggiarlo, essendo il dialogo troppo conciso. Mentre nel l ' opera teatrale di Pirandello è conservato il nome di Li­ via, che nel romanzo è Ersilia, i cognomi slittano dal l ' uno all ' altro personaggio, anche se talvolta rimangono identici (è il caso di Elena Orgera, che solo nella novella porta i cognomi Ferlisi Mari). Indicati­ vo è che nella novella alla figlia di Ercole e di Elena sia assegnato il nome di Lietta, destinato nel 1 897 alla figlia di Pirandello, che proprio per questo fu mutato poi in Dinuccia tanto nella trama esposta in Suo marito che nella versione teatrale del 1 9 1 5 . Ercole diventa Leonardo. Nella trama esposta in Suo marito Elena ha un figlio, invece di due, proveniente dal suo primo matrimonio, ma esso non ha conseguenze nello svolgimento del plot, come invece accade nella novella per i due figli precedentemente avuti . Nella versione teatrale di Pirandello non esistono figli oltre Dinuccia. Nel primo atto de La ragione degli altri è introdotta la tematica del­ la relatività quando Li via Arciani parla con Cesare D ' A Ibis, collabora­ tore di suo marito, nella redazione del giornale "La Lotta": D ' ALBIS Impossibile. Orsa, c o n codesti occhi, impossibile, senza che ci sia sotto, ben covato, un mistero. LIVIA Se lo dite voi . . . D ' ALBIS Lo sann o tutti . LIVIA Ah sì? E che mistero allora? C urioso però che tutti sa­ prebbero in me una cosa, che io non so. D' ALBIS Curioso? Che gli altri vedano in noi quello che noi non vediamo? Ma questo avviene sempre ! Io non mi vedo, e voi mi vedete. Non possiamo uscire fuori di noi, per vederci come gli altri ci vedono. E più viviamo assorti dentro, in noi 4 stessi, e meno ci accorgiamo di quel che appare di fuori • li primo e il secondo atto sono introduttivi della vera e propria a­ zione che si svolge nel terzo atto in un dramma che ha infatti il difetto di mancare di azione. Nel primo atto Leonardo appare sommamente impacciato fra le due donne (la moglie e l ' amante) che vengono a trovarlo nella sede del giornale in cui lavora e il suocero, che fa irruzione nello stesso luogo. 4

MN, vol . cit.. p. 1 62 .

Un

caso

di sterilità e un dramma della maternità negata

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Altri ancora lo tormentano: i colle gh i, come per esempio il D 'Aibis, che non sopporta nella redazione un artista come l ' Arei ani, distratto al punto di mescolare due cartelle del romanzo che sta scrivendo con un articolo del giornale. Leonardo appare proprio come una vittima desi gnata: Elena viene a chiedergli il denaro per pagare la pigione de l i ' appartamento occupato da lei e dalla bambina; i colleghi gli stanno addosso perché non sono soddisfatti del suo lavoro e lo considerano come un peso; il suocero gli estorce la confessione del suo adulterio e vorrebbe mettere tutto a posto col proprio denaro; la sola moglie mostra di avere comprensione per lui e gli usa infinite delicatezze, ma rivela al padre, in una concita­ ta e drammatica scena in chiusura d ' atto che Leonardo ha le mani le­ gate perché ha una figlia, anzi la figlia, con l ' articolo determinativo che mette in evidenza la sua importanza e la sua unicità. Anche nella trama prevista nel romanzo Suo marito il primo atto si concludeva così. Il secondo atto si apre nello studio domestico di Leonardo Arciani, dove ha dormito per tutta la notte Guglielmo Groa sdraiato su una greppina, e dunque, si presuppone, vestito, nella vana attesa del rientro del genero. Sono le nove del mattino e Livia viene a svegliarlo, apren­ do gli scuri della finestra. A questo secondo atto, e in particolare al dialogo che si svolge ali ' inizio di esso tra Guglielmo Groa e sua figlia, è affidata la funzione di esporre ancora l ' antefatto, come era prospetta­ to nella trama esposta in Suo marito. Livia espone al padre la maniera in cui si è accorta del tradimento troppo tardi, quando la figlia era già nata, e cerca di fargli comprendere eh' ella aveva fatto sì che rimanesse in piedi . Baldovino è «vestito dello steso abito con cui s ' è presentato al primo atto». Ri­ sponde a Maddalena, la quale lo esorta a tutelare i l bambino, che di lui non gli interessa nulla. E la donna gli ricorda eh' egli stesso aveva in precedenza parlato del bene del bambino e che quelle parole le sono rimaste impresse nel cuore e glielo fanno «sanguinare» : infatti Baldo­ vino allude ad Agata affermando che ora «ella non è più altro che ma­ dre, madre soltanto ! » . 1 9 lvi, p . 600.

94

Capitolo V I I

Qui si riconoscono le idee ricorrenti in Pirandello sulla donna, che spesso nelle sue opere o è madre o è amante (come segnatamente ne La signora Morii una e due) : l ' autore stenta a credere che un ruolo possa non escludere l ' altro e in ciò si potrebbe scorgere un segno di una delle nevrosi maschili di fine Ottocento denunciata da Freud, per cui l ' uomo o idealizza la donna o si congiunge con lei, risultando in­ capace di amare l ' oggetto della sessualità, che rimane cosi cosa di­ sprezzata e rifiutata dali 'uomo nella propria integrità. Baldovino, riavvicinandosi al suo personaggio reale, fuori della «forma astratta» ch ' era venuto a rappresentare, si mostra freddo o fe­ roce, di volta in volta, a seconda che prevalga o meno la sua umanità ferita. È inoltre disincantato: dichiara a Maddalena che il Colli aveva messo su la società anonima per allontanarlo da casa, nella speranza che Agata gli cedesse. Alle rassicurazioni sul l ' integrità morale della figlia, con cui Mad­ dalena ribatte, Baldovino risponde che la fedeltà di Agata al patto che la legava alla casti tà dovrebbe fare spavento a sua madre e indurla ad andare a persuadere sua figlia che è bene ch' egli se ne vada. Ma la madre insiste nella difesa de li ' atteggiamento di Agata, che gli impedi­ sce di andar via e Baldovino risponde ch ' egli non vuoi «perdere la te­ sta», dove si vede chiaramente che l ' intera sua umanità è coinvolta nel rapporto con Agata. Lo confesserà chiaramente nella terza scena, ri­ volgendosi a Maddalena, a Maurizio e a Fabio: BALDOVINO [ . . . ] Non volete tener conto di me? Vi pare ch ' io possa esser qua sempre un lume soltanto, per voi, e ba­ sta? Ho anch 'io infine la mia povera carne che grida! Ho san­ gue anch' io, nero sangue, amaro di tutto i l veleno dei miei ri­ cordi . . . - e ho paura che mi s ' accenda! - Jeri, di là, quando questo signore [ . . . ) mi buttò in faccia, davanti alla vostra nobi­ le figliuola, il presunto mio furto, io son caduto, più cieco di lui, più cieco di tutti, in un 'altra e ben più grave insidia che da dieci mesi, stando qua, accanto a lei, quasi senza ardire di guardarla, occultamente m ' ha teso questa mia carne: - s ' è servita del vostro trabocchetto da bambini, signor marchese, per farmi sentir l ' abisso. - Io dovevo tacere, capite? Ingozzare davanti a lei la vostra ingiuria, passar per ladro, sì, davanti a lei: poi prendervi a quattr'occhi e dirvi e dimostrarvi che non era vero e costringervi segretamente a seguitar fra noi due d' intesa la parte sino alla fine.

Una maschera tragica fra apparenza e realtà

95

- Non ho saputo tacere. - La mia carne ha gridato ! Voi . . . lei . . . tu . . . avete ancora il coraggio di trattenermi? - Io dico che per castigare a dovere questa mia vecchia carne, sono ora forse costretto a rubare davvero 20 1

Ri tornando alla prima scena, Baldovino afferma che gli altri fanno le cose «ciecamente [ . . . ] non per mancanza d ' intelletto, ma perché quando uno vive, vive e non si vede», parole che riflettono una tema­ tica ricorrente in Pirandello. Il ragionamento di Baldovino è perfetto : se i l Colli voleva far passare per ladro un uomo onesto, quale colui ch ' egli era stato invitato a impersonare, doveva rubare egli stesso il denaro. E continua affermando che, se i l Colli non lo farà, lo farà lui per davvero, costretto dalle circostanze. Nella seconda scena Baldovino ringrazia Maurizio di essere venu­ to, chiedendogli se gli ha portato le cento lire che gli ha chiesto in pre­ stito per poter partire e soggiungendo : «A un onest'uomo vestito così­ eh? - non mancano proprio che le cento lire domandate in prestito a un proverbiale amico d ' infanzia, per andarsene via decentemente. 2 1 » Queste parole fanno pensare all' «abituccio» chiesto d a Ersilia Drei i n Vestire gli ignudi, poiché tutti i personaggi d i Pirandello aspirano a un decoro per presentarsi in società, in quella società che dimostra sem­ pre di rifiutare chi ne trasgredisce le regole. Baldovino mostra con ironia di avvedersi che la povera Maddalena è smarrita per quanto egli va dicendo e «guarda con tanto d ' occhi», ma egli intende proseguire per la strada intrapresa fino in fondo, con lucida coerenza, e se il marchese, verso il quale ammette esplicitamen­ te di provare compatimento, aveva pensato ch ' egli poteva cadere nella trappola, l ' errore non è irreparabile: egli è disposto a recitare «il dram­ ma necessario» del presunto furto gratuitamente, anche se per finta, senza alcun ricatto da parte sua nei confronti del bambino, che in un empito di rabbi a aveva minacciato di compiere, semplicemente per far uscire tutti fuori dell ' incresciosa situazione ch' era venuta a crears i . E qui si giunge al paradosso:

20 21

lvi, pp. 6 1 1 -6 1 2 . lvi, p. 606.

Capitolo V l l

96

BALDOVINO [ . . . ] O temete forse u n ricatto? MAURIZIO Ma smettila, via' Qua nessuno può pensarl o 1 BALDOVINO E se pe r esempio l ' avessi pensato io? MAURIZIO Ti dico di smetterla! BALDOVINO Non i l ricatto, no . . . - ma di condurre la fin­ zione fino a godermi questo squisito piacere, di vedervi qua tutti affanna ti a scongiurarmi di non voler passare per ladro prendendomi un danaro, che pur con tanta industria mi si vole­ va far prendere 22 '

Dopo tale dichiarazione Baldovino afferma che il Colli - il quale è comparso «pallidissimo» sulla soglia, nel frattempo - prenderà il denaro. Si scopre che questo manca già nella cassaforte. Baldovino as­ sicura di averlo preso lui e dice ironicamente al Colli: «BALDOVINO Non tema. - Sapevo che a un gentiluomo come lei avrebbe fatto ri­ brezzo togliere anche per finta, per un momento solo, questo danaro dalla cassa; e sono andato a prenderlo io, jersera»23 . Baldovino è ostinato nel suo proposito di passare per ladro dinanzi al Consiglio dei soci e Fabio glielo vuole impedire . Il protagonista al­ lude con parole nobilissime ad Agata: BALDOVINO Che? Ma dovevate venir da me subito, dopo qualche mese, a dirmi che, se stavo ai patti io (il che non mi costava nulla), e volevate starei anche voi (com 'era naturale), c ' era qualcuno qua, sopra di voi e di me, a cui - com ' io stesso vi avevo predetto - la dignità, la nobiltà del l ' animo avrebbero impedito di starei; e subito io, allora, vi avrei dimostrato l 'as­ surdità della vostra pretesa, che cioè entrasse qua, a far questa parte, un uomo onesto 24 1

Baldovino dimostra che lo stratagemma de li ' uomo onesto chiamato a far da copertura avrebbe funzionato solo se al suo posto fosse stato «un mediocre onesto», che poi si sarebbe rivelato un farabutto, mentre lui è talmente cristallino da non farsi nemmeno «scrupolo di passare per ladro». Baldovino è veramente superiore a tutti i presenti , di cui denuncia le aspirazioni : Maurizio lo scongiura di desistere dal suo 22

lvi, p. 607. " l v i , p. 608. 14 lvi, p. 6 1 0 .

Una maschera tragica fra apparenza e realtà

97

proposito per amicizia, Maddalena per il bambino, i l Colli perché ha visto l ' e ffetto del suo operato, e cioè che Agata si è allontanata da lui . Qui sono le parole su citate a proposito della «carne che grida>> : ciò che è interessante notare è che la carne, nel l ' opera di Pirandello, ha uno stretto legame con la morale, in quanto Baldovino prova onta di passar per ladro di fronte alla donna che stima e che gli ha fatto intra­ vedere l ' abisso del desiderio, durante i dieci mesi in cui gli è stata a lato. Egli si sente indegno di lei e pertanto i l suo ingresso lo getta nel­ lo smarrimento e nel terrore . Agata prende l ' iniziativa di parlare da sola a solo con Baldovino, evidenziando una personalità di grande spessore che raramente le donne dimostrano nelle opere pirandelliane e afferma che è pronta ad andar via con lui, non a pregarlo di restare, come fanno gli altri . Bal­ dovino risponde che dinanzi a lei non sa più parlare e la prega di ca­ pirlo senza costringerlo a cercare di persuaderla, rifiutando il gesto che la donna vuoi compiere. li dialogo è intensissimo. Egli afferma che se Agata gli avesse offerto la mano nel giorno delle sue prime dichiara­ zioni sul patto dell 'onestà, quando si presentò in casa Renni, egli a­ vrebbe avuto vergogna e si sarebbe tirato indietro. Si sente confuso, allude alla propria cattiva condotta, nella vita precedente e poi per a­ ver accettato di prestarsi al gioco di mascherarsi da onest ' uomo. Agata lo scusa, dichiarando di aver accettato le condizioni originarie da ri­ spettare ch ' egli aveva posto il giorno della sua venuta, al fine di sco­ raggiare il Colli. Baldovino insiste che lei non avrebbe dovuto accettare quelle con­ dizioni e prosegue : BALDOVINO ( . . . ] Perché ( i l vostro errore è questo) - non ho parlato io - mai - qua: ha parlato una maschera grottesca! E perché? Voi eravate qua, tutti e tre, nella povera umanità che spasima nella gioja o gode nel torrnento della sua vita ! U n a povera debole madre, qua, aveva pur saputo compiere i l sacrifizio d i consentire c h e l a sua figliuola amasse fuori d' ogni legge ' E voi, presa d'amore per un brav 'uomo, avevate potuto non pensare che quest ' uomo era sventuratamente legato a un ' altra donna! - Vi son sembrate colpe, queste? Avete voluto correr subito al riparo, chiamando me qua? - E io sono venuto a parlarvi un linguaggio asfissiante, quello di un' onestà fittizia e contro natura, a cui voi avevate avuto il coraggio di ribellar-

98

Capitolo V I I

v i ' - Sapevo bene c h e a lungo andare quegli altri d u e non a­ vrebbero più potuto accettarne le conseguenze. La loro umanità doveva ribellarsi 2 5 !

Baldovino afferma che il pericolo più grande era per lei, nel mo­ mento in cui accettava quelle condizioni, ma in lei aveva prevalso la madre (ed egli le ricorda che non è lui i l padre del bambino). Fra i due si instaura una gara di generosità e di nobiltà : lui riconosce di stimare e venerare in lei la madre, accennando poi alla propria inde­ gnità nello starle accanto e i l dialogo assume ancor più una grande intensità : AGA T A Ah , è pe r il bambino? Che non è vostro? BALDOVINO No! no' che dite! intendetemi bene' - Per il solo fatto che voi vorreste venire con me, lo fate vostro il bambino, vostro soltanto - e dunque più sacro per me che se fosse mio ve­ ramente - pegno del vostro sacrificio e della vostra stima! AGA TA E allora? BALDOVINO Ma l ' ho detto per richiamarvi alla mia realtà, signora, poiché voi non vedete che il vostro bambino' - Voi parlate ancora a una maschera di padre ' AGATA No, no . . . io parlo a voi, uomo! BALDOVINO E che sapete voi di me? chi sono io? AGA TA Ma ecco chi siete. Questo. E come Baldovino, quasi annichilito, abbasserà il capo: Potete alzar gli occhi, se io posso guardarvi; perché davanti a voi qua tutti allora dobbiamo abbassare i nostri, solo per que­ sto, che delle vostre colpe voi avete vergogna. BALDOVINO Non avrei mai supposto che la sorte mi potesse 6 riserbare d ' udir parlare cosi . . 2

Nel riconoscimento della grande umanità di Baldovino Agata supe­ se stessa, ma l ' uomo si riscuote dal fascino da lei esercitato, si pro­ testa indegno e accenna al denaro che ha in tasca. Quando apprende che Agata è disposta a seguirlo col bambino an­ che se lui si dimostrasse ladro ha «Un violento impeto di pianto)) e si copre il volto con le mani. Di fronte ali ' amore di Agata il protagonista si convince a restituire ra

25 26

l v i , p. 6 1 4 . l v i , p. 6 1 5 .

Una maschera tragica fra apparenza e realtà

99

il denaro e ad andar via con la donna e il bambino a testa alta verso un nuovo destino. La novità del l ' atteggiamento di questo personaggio è nel porsi sul volto la maschera del l ' onestà e nel rimaneme poi affascinato : per una volta in un ' opera di Pirandello si esce dal maligno gioco della relativi­ tà per affermare valori positivi, come l ' amore e l ' onestà . Ma l ' intero svi luppo del dramma, per come è condotto, tra i borghesi ipocriti e l ' uomo che al termine della sua avventura riscopre i valori veri in cui più non credeva, è magistrale. L ' opera è una delle più riuscite di Pirandello, che era consapevole di far tremare con esso, il terreno sotto i piedi del pubblico borghese. Scriveva infatti a Ruggeri il 9. 1 1 . 1 9 1 7 : «Caro Amico, sta bene. Lascio a Lei la scelta del momento più opportuno, quantunque, per conto mio, delle disposizioni più o meno favorevoli del pubblico poco mi curi . Io so di dir sempre, con l ' arte mia, qualcosa che al pubblico d ' oggi non può in nessun modo essere accetta»27•

27 L . PIRANDELLO, Lei/era a Ruggero

Ruggeri, i n

MN. c i t . ,

p.

54 1 .

Capitolo VIII La corda seria, l a civile, l a pazza :

Il berretto a sonagli

Il 1 4 agosto 1 9 1 6 Pirandello comunica in una lettera a Martoglio che ha appena finito di scrivere la commedia in due atti A birritta eu 'i eianeiani (Il berretto a sonagli) e che prima di spedirgliela a Catania intende leggergliela 1 • Del febbraio del ' 1 7 è una lettera in cui Piran­ dello si lamenta con Martoglio per il fatto ch' egli non riesce a capire la sua commedia «nata e non fatta»2• Col titolo leggermente modificato (A birritta eu 'i eianeianeddi) l ' opera viene messa in scena in dialetto siciliano per la prima volta a Roma, al Teatro Nazionale, dalla compagnia di Museo i l 27 giugno 1 9 1 73. L ' anno seguente l ' autore stesso la traduce in italiano e la 1 L . PIRANDELLO, Lettera a

Muscarà nel vol.

N . Martog l i o del 14 agosto 1 9 1 6, pubbl i cata da S . Zappu l l a Pirandello-Martoglio. Carteggio inedito. M i l ano, Pan, 1 979, p . 3 2 ( 2 ' ed . ,

Catania, C . V . E . C . M., 2 lvi,

pp.

1985).

8 3 - 8 5 : P i rande l l o spiega estesamente come

Il berretto a sonagli

sia conforme

a l l a sua concezione del l ' opera drammatica che deve nascere d al l e persone stesse del dramma, non essere « fatta>> da l l ' autore; deve essere cosa «viva>>, non «scritta>> (cfr. L. PIRANDEL LO,

L 'ariane parlata. in , ?maggio 1 899, ora in SPSV, pp. 1 0 1 5- 1 0 1 8) . 3 I l manoscritto di A birritta eu 'i ciancianeddi è i n ed ito, conservato presso l ' Istituto di S tudi P i randel l i an i , i n via A . Bosio 1 5. Roma, per cu i

è

sempre stato difficile

avervi accesso. Solo d i recente i contributi d i O . GULINO

g l i s tudiosi

'i ciancianeddi in Pirandello dialettale. . a cura di S. ZAPPULLA MUSCARÀ , (Le varianti di A birri/la eu 'i ciancianeddi, ivi, pp. 1 74-- 1 89) hanno gettato luce su i complessi problemi l i ngu istici posti

A birri/la

eu

per

(I l teatro dialettale di Pirandello.

Palermo, Palumbo, 1 9 8 3 , pp. 1 60 1 7 3 ) , e di M. RUSIGNUOLO

da l l ' opera. Per i l quadro generale cul turale in cui si i n serisce i l modo di sentire c di operare di Pirandcllo nei confronti del dialetto s i c i l i ano rimangono fondamenta l i i l capitolo Pirandello e il dialetto, in S. ZAPPULLA MUS C A RÀ , Pirandel/o in guanti gialli, Caltani ssetta - Roma, S c i as c i a, 1 98 3 , pp. 1 2 1 - 1 5 2 e, della stessa,

Pirandel/o, Martoglio e Museo.· sodalizi e baruffe, Pirandello dialettale. c i t . pp. 1 1 9- 1 5 9 , nonché S. ed E. ZAPPULLA, Pirandello e il teatro siciliano. Maimone, Catan i a, 1 98 5 . in

Capitolo V l l l

1 02

pubblica col titolo Il berretto a sonagli nella rivista «Noi e il mondo» (agosto/settembre 1 9 1 8) : nel 1 920 la traduzione appare presso l ' e­ ditore Treves di Milano. A Gulino si deve l ' esatta analisi delle componenti linguistiche della versione dialettale, che riflette abitudini catanesi dovute probabi lmen­ te ali ' influenza di Martoglio e di Museo, ma soprattutto presenta in­ congruenze ed elementi spuri4• Gulino individua altresì la tecnica che presiede ali ' autotraduzione operata da Pirandello dal dialetto in italia­ no: lo scrittore provvede all' eliminazione di parole o espressioni diffi­ cilmente traducibili, traspone liberamente ovvero letteralmente, dando luogo a regionalismi semantici. Per questo nel testo formulato nel 1 9 1 8 compaiono elementi dialet­ tali e italiani mescolati, che ne costituiscono l ' identità e l ' originalità�. Rusignolo ha cercato di ricostruire le ragioni delle varianti del testo dialettale (che rivela travaglio artistico nonostante fosse stato scri tto di getto in una settimana) e stabilisce che la ricerca de l i ' autore si rivol­ geva verso il modello di una lingua che fosse «azione stessa parlata»6• Egli elabora cosi un dialetto arrotondato borghese, misto, dotto-popo­ lare. Come Pirandello nutriva avversione per il mondo posticcio e convenzionale del palcoscenico, così in fondo non amava il teatro dialettale per la difficoltà e la limitatezza di comunicazione che comportava. Terminato, quindi, il sodalizio con Martoglio e con Mu­ seo, l ' autore dovette essere ben lieto di lasciare che l ' opera rimanesse codificata nella forma italiana eh' egli stesso aveva definito nel ' 1 8 , ca­ ratterizzata solo in parte da elementi linguistici regionali, così che potessero esservi fissate l ' origine e l ' ambientazione siciliane. Il berretto a sonagli, del resto, ha una strana vicenda perché ha due precedenti narrativi in lingua italiana nelle novelle Certi obblighi e La verità, entrambe del 1 9 1 2 . Appare evidente, quindi, che l ' iter creativo dello scrittore non si inquadra in schemi precostituiti, ma percorre un tracciato che mentre si flette anche alle esigenze contingenti (in questo caso generate dal sodalizio con Martoglio, che, oltre ad allestire i suoi '

' •

G . G UL INO,

op. cit., passim. Ibidem. M. RUSI GNUOLO, op. cit. , passim . .

La corda seria, la civile, la pazza: Il berretto a sonagli

I 03

lavori dialettali , gli aveva comunicato i l sogno di realizzare un teatro siciliano «di grande decoro artistico»), resta sempre fedele a istanze estetiche profonde e costanti . Al di là delle scelte espressive, che è compito del linguista analiz­ zare e giustificare, interessa qui ricostruire l ' evoluzione degli spunti tematici in Pirandello e verificarne la possibile attualità. È perciò utile confrontare i testi narrativi citati con i l testo drammatico che è oggetto di questo studio e soprattutto studiare il disporsi del materiale denotato nel Berretto a sonagli, che è tale da consentire, nonostante la levità dell ' intreccio, la creazione di una struttura drammatica solida ed inte­ ressante. Quaquèo, Tararà, Ciampa, rispettivamente protagonisti di Certi ob­ blighi, della Verità e del Berretto a sonagli, hanno in comune la con­ dizione di mariti traditi dalle mogli con personaggi socialmente al­ tolocati : si tratta, nel caso di Quaquèo, di un povero lampionaio perse­ guitato dagli importuni di turno, che costituiscono per lui la voce della pubblica piazza e lo istigano a vendicarsi dei torti subiti, fin quando egli, deciso ad accoltellare il rivale, viene disarmato dalla scoperta che si tratta del l ' assessore Bissi, persona cui Quaquèo è legato da senti­ menti di gratitudine, caratteristici del suo animo mite e rispettoso. Se Quaquèo è un subalterno che non riesce a vendicare la propria personalità calunniata a causa dei limiti del suo stesso carattere, Saru Argentu, detto Tararà, protagonista della Verità, è una vittima grotte­ sca della propria mentalità contadina, che gli impedisce di difendersi nel corso del processo in cui è accusato di aver ucciso la moglie dopo averla scoperta in flagrante adulterio. Egli spiega ai giurati e al Presi­ dente della Corte di giustizia che ha ucciso non per passione o per raptus, ma perché lo scandalo della rivelazione del l ' adulterio, avvenu­ to ad opera della moglie del cavalier Fiorica, gli ha reso insopportabile una realtà ben nota su cui a ragione chiudeva un occhio. Due cardini della questione mutano nella Birritta eu 'i ciancia­ neddi, che tematicamente deriva dalla novella La verità: l ) l ' adulterio passa da antefatto a fatto che innesca i l meccanismo teatrale; 2) il con­ tadino Tararà diventa don Nociu Pampina, scrivano e piccolo-borghe­ se, grottesco nella sua volontà di uccidere, impedita dalla società di cui è parte integrante. Inoltre scompare la mediazione dell ' i o narrante, che interpreta e porge la realtà, commentandola, e appare, scattante e

Capitolo V l l l

1 04

nervoso, i l dialogo, che permette lo sviluppo de l i ' «azione parlata)) . L ' autore, vigile, distaccato, ma presente, diventa l ' invisibile dramma­ turgo che tesse le fila de l l ' azione e si avvale di scabre didascalie, icastiche solo quando si tratta di descrivere fisicamente i personaggi, come nel c aso di Ciampa e della S aracena, maschere espressioni stiche simili ad altre che popoleranno i l teatro pirandelliano. I l paradosso presente nella vicenda di Tararà

è

che ha ucciso sua

moglie, Rosaria Femminella, per vendicare l ' onorabilità sociale del caval ier Fiorica, che era i l suo vero nemico.

obblighi

non

è

E

il protagonista di

Certi

molto di verso da lui, poiché, rapito da un sacro ri spetto

per la persona de li ' assessore Bissi, ri nunzia ad uccider! o e a difendere, così, il propri o decoro . Nel

Berretto a sonagli

la situazione drammatica

non può vol gere verso il tragico perché

è

è

più complessa:

frenata dal i ' elemento co­

mico, e questo contrasto si incentra soprattutto nella fi gura di C i ampa determinando un effetto grottesco. Ciampa parla ora come un genio che ha in mano le fi la della situazione, ora come una povera vittima dei capricci di B eatrice Fiorica e de l l ' aggressività della società bor­ ghese, di cui, poi, in fondo, anc h ' egli fa parte.

E

propri o nei rapporti di Ciampa con la società borghese sta uno

dei motivi fondamentali della compless ità del personaggio. Non a ca­ so, quando Squarzina, discutendo con Nino Borsellino la propria mes­ sa in scena del

Berretto a sonagli,

si trova di fronte alla domanda se

C iampa sia, «in termini gramsciani, un intellettuale travestito da popo­ lano oppure un popolano che acqui sisce una cultura alternativa e la trasferisce dentro un luogo di dominio», il regista, dopo aver chiarito come Ciampa vada inteso nel secondo modo pi uttosto che nel primo, prec isa: «Nel rispetto che manifesta per il caval ier Fiori ca si sente trapelare un tale disprezzo e odio del l ' ingiustizia (lui, più intelligente e umano,

è

invece un servo) che tutta la sua dialettica, tutta la sua

gestione de l i ' espressione colta,

È

è

una rivincita» 7•

vero tuttavia c h e lo stesso S quarzina tenta di rapportare la figura

di C iampa all ' esperienza della prima guerra mondiale da poco termi­ nata quando Pirandello compone la commedia e cerca di far aderire 7 L . SQUARZINA, I miei pirandel/o ( 1 957- 1 984), Intervista a cura di «Rivista di studi pirandell iani>>, a. V, 1 985, n. 3 , p. 73

N Borsellino,

in

La corda seria, la civile, la pazza: Il berre tto a sonagli

l 05

troppo alla storia événementie/le personaggi che, in realtà, ne erano lontan i : «La carneficina mondiale la si sente proprio nel fatto che Ciampa non spara: è l ' intellettuale che si rifiuta al sangue appena tro­ va modo di evitare la violenza»8 • La Sicilia e la Sardegna sono isole, remote, per la realtà antropolo­ gica e culturale che ospitano, dall ' area mitteleuropea in cui si svolgo­ no i conflitti bellici mondiali (si pensi, per esempio, alle ragioni uma­ ne che muovono la figura del disertore nell ' omonimo romanzo di Dessi o al dramma Qui non c 'è guerra, dello stesso autore) . Mentre nelle novelle i personaggi interessanti sono quasi soltanto i protagonisti, nel Berretto a sonagli entrano in scena figure che permettono l ' intrecciarsi del l ' azione: prima fra tutte v'è Beatrice Fio­ rica, quindi sua madre Assunta La Bella, suo fratello Fifi, l ' ipocrita Delegato Spanò «amico di famiglia», la rigattiera e ruffi ana Saracena, la vecchia serva F ana, fedele a un dio supinamente accettato dal suo gruppo antropologico come nume tutelare della pace domestica, N ina, la moglie dello scrivano Ciampa, e infine «vicini e vicine di casa Fio­ rica», che rappresentano la società, la muta globalità entro cui il dramma di questo «interno» si svolge. Caratteristica ricorrente dei personaggi pirandelliani è quella di aver introiettato conflitti reperi ti in un "sociale", che, in sostanza, ri­ mane separato, estraneo. Beatrice, Ciampa, sono, di volta in volta, vit­ time e carnefici, a causa della presenza del "sociale" ; ma più che in fi gure umane questo si concretizza in un codice comportamentale e linguistico, che agisce e strazia tanto l ' uno quanto l ' altra poiché sono degli isolati. Infatti se di una tendenza conservatrice sono assertori e garanti tutti i personaggi del dramma, ne restano sostanzialmente estranei sia Beatrice, che tramite l ' alleanza con la Saracena ed i l ricorso alla legge vorrebbe vendicarsi d e l torto c h e le infligge il ma­ rito, sia C iampa, che, una volta denunciato il codice comportamentale come falso e ipocrita, lo vuole poi reintegrare a proprio uso e consumo per difendere la propria rispettabilità, ma, come si capisce, cerca di compiere, cosi facendo, un ' operazione esterna, di vana chirurgia. Pirandello tratta fin dali ' inizio della sua attività di drammaturgo il tema del l ' adulterio, ch' era quasi di prarnmatica nella drammaturgia '

lvi,

p.

72

Capitolo V l l l

1 06

veri sta di ispirazione borghese della fine de li ' Ottocento, in modo radicalmente originale. Nel suo teatro, infatti , esso non è introdotto perché si rafforzi e trionfi l ' etica connessa ali ' istituzione matrimoniale (attraverso lo schema quasi hegeliano: fedeltà coniugale - infrazione ad essa ricostruzione del valore infranto attraverso la condanna del colpevole), ma perché si evidenzi, al contrario, il disagio esistenziale dei perso­ naggi costretti a rispettare i ruoli che la società vuole loro imporre . Per questa ragione il drammaturgo, nel caso del Berretto a sonagli, fa riassorbire la legittima rivendicazione, di marcato sapore femmi­ nista, di Beatrice Fiorica nel l ' ottica del «capriccio» e la fa condannare perché operata in seno a un gruppo sociale che ha il favore dalla sua parte e si afferma con la prepotenza. Chi, al contrario, gestisce l ' azio­ ne, nella pièce, è Ciampa: l ' astuto, il grottesco, il vinto che si trasfor­ ma in vincitore, colui che è capace di vivere il dramma di essere ri­ tenuto becco fingendosi superiore', ma in fin dei conti è radicalmente solo e in contraddizione con il sistema «civile» . Può essere utile, a questo punto, una breve esposizione che analizza la disposizione dei temi nella struttura de li' opera.

9

CIAMPA

(ferito, tentennando il capo). Ah, signora. - Io ora parlo . . . non per me . . . parlo

i n generale . . . E che può saper lei, signora, perché uno, tante volte, ruba; perché uno, tante

volte, amm azza ; perché uno, tante volte - poniamo, brutto , vecchio, povero - per l ' amore d ' una donna che gli tiene il cuore stretto come in una morsa, ma che intanto non gli fa d i re : ah i ! - che sub i to g l i e l o spegne i n bocca c o n un bacio, per c u i questo povero vec c h i o s i strugge e s ' ubriaca - che può saper l e i , s i gnora, con qual dog l i a i n corpo, con quale suppl i z i o questo vecc h i o può sottomettersi fino al punto d i spartirsi l ' amore di quella donna con un altro uomo - ricco, giovane, bello - specialmente se poi questa donna gli dà la sod d i s fazione che il

padrone

è

lui e che l e cose son fatte i n modo che nessuno se ne potrà accorgere? - Parlo in

generale, badiamo' (MN, vol. c i t . , p . 6 7 7 ) . C iampa lascia solo sospettare c h ' e g l i potrebbe essere becco contento, ma non l o ammette esplici tamente, fedele alla sua teori a , per cui vuole che i l suo pupo venga ri spettato. Per questo il pezzo c i tato

è

carico di una reticenza a l lusiva

che l o rende s t i l i st i camente i nteressante e scmanticamentc i n c i s i vo . Molto giova, a indicare il grado d i sofferenza d i un becco consapevole, l ' e ffetto generale

del/ 'anticlimax, che porta

dal l ' idea d i rubare a quella d i ammazzare a quella di sopportare un tradimento sessuale in s i l enzio, producendo più che ironia, amaro sarcasmo.

La corda seria, la civile, la pazza: Il berretto a sonagl i

1 07

I ATTO

L ' ambientazione è indicata in modo convenzionale. La scena introduce l ' idea fondamentale, quasi femminista ante litteram in un contesto patriarcale e borghese, per cui B eatrice Fiorica e la rigattiera Saracena sono intenzionate a raddrizzare i torti che le donne subiscono da parte dei mariti e tale idea è affermata contro l ' opinione conser­ vatrice di Fana, serva di casa F iorica. Quest' ultima è l ' unica a mostrare intuitivamente preoccupazione per il possibile coinvolgimento di Ciampa, lo scrivano marito della donna di cui Beatrice è gelosa, nello scandalo prodotto da un ' in­ cursione della polizia nella sua abitazione. Beatrice, fermamente intesa ad agire, ordina di andare a chiamare il Delegato di pubblica sicurezza Spanò e lo scrivano Ciampa. Le donne subalterne si chiedono anche se Ciampa sia o meno a conoscenza del l ' adulteri o e sono al riguardo di opinioni diverse. Nella I I scena fa la prima comparsa i l fatuo Fifi La Bella, fratello di Beatrice. Nella III scena Fifi restituisce alla sorella parte del denaro che ella gli aveva prestato e che le serve per riscattare alcuni gioielli depositati al B anco dei Pegni di Palermo. Nella IV scena appare per la prima volta C iampa, descritto, come si è detto, con tratti espressionistid0. C ' è un sottile gioco di battute, per cui lo scrivano comincia ad intuire che si cerca di tendere un tranello alla sua onorabilità e reagisce presentandosi subito come geloso custo­ de della sua vita privata, tanto da apparire di sumano : «CIAMPA . Mar­ cio con un principio: Moglie, sardine ed acciughe: queste sott' olio e sotto salamoia; la moglie sotto chiave. Eccola qua ! Cava dalla tasca una chiave e la mostra» " .

10

. Entra dal/ 'uscio in fondo Ciampa: sui quarantacinque anni; capelli folti, lunghi, volti al/ 'indietro, scompostamente; senza baffi; due larghe base/le tagliate a spazzola gl 'inva­ dono le guance fin sol/o gli occhi pazzeschi, che gli lampeggiano duri, acuti, mobilissimi die­ tro i grossi occhiali a staffa. Porta al/ 'orecchio destro una penna. Veste una vecchia fìnan­ ziera. (lvi, p. 643). 11 lvi, p. 644 .

Capitolo VIII

1 08

Poi espone la sua filosofia sulle corde dell ' orologio: CIAMPA : [ ... ] Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d' orologio in testa. Con la mano destra chiusa come se tenesse tra l 'indice e il pol­ lice una chiavetta, fa l 'atto di dare una mandata prima sulla tempia destra, poi in mezzo alla fronte, poi sulla tempia si­ nistra. La seria, la civile, la pazza . Sopra tutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile; per cui sta qua, in mezzo alla fronte. Ci mangeremmo tutti, signora mia, l ' un l ' altro, come tanti cani arrabbiati . Non si può 1 2 •

La nota più appassionata di Ciampa è nella difesa della sua perso­ na: vuole che si riconosca l ' incidenza sul reale della sua onestà, del suo Impegno. C ' è una movenza lirica, quando accenna al suo desiderio di passeggiare in città lontane, come Palermo, che ricorda il dramma di certe esistenze condannate al grigiore della vita quotidiana, ricorrenti nelle opere di ispirazione veri sta italiane e d' oltralpe. Il sogno della vita conculcato in Ciampa era quello di contare, di valere socialmente. Egli svela che gli sarebbe piaciuto diventare «qualcuno», magan m una città del continente, in un altrove rassicurante, in un luogo ipotetico, dove ciò si fosse potuto realizzare. Questa IV scena del primo atto è fondamentale : il pezzo sui «pupi» è uno dei più belli che abbia scritto Pirandello ed è, in bocca a Ciampa, prova di quanto quest' uomo, che pure è capace di sognare "paradisi", abbia conoscenza del "gioco" che si svolge nella ben più misera realtà : « CIAMPA [ . ] Pupi siamo, caro signor Fifi ! Lo spirito divino entra in noi e si fa pupo. Pupo io, pupo lei, pupi tutti [ . . . ] ogni pupo, signora mia, vuole portato il suo rispetto, non tanto per quello che dentro di sé si crede, quanto per la parte che deve rappresentar fuori » 1 3 • L ' assurdo della vita è che non s i è pupi tanto per volontà divina quanto per volontà nostra. L ' inferno del l ' uomo è questo voler gestirsi . .

12 11

lvi, lvi,

p. 64 6 . p. 649.

La corda seria. la civile, la pazza: Il berretto a sonagli

l 09

in proprio che lo distacca da ogni spontaneità creaturale. E da questo atteggiamento fi losofico di Ciampa nasce la convinzione della vita come teatro e che questo può talmente coinvolgere l ' esistente da farlo diventare tragico, oltre che drammatico. La filosofia di Ciampa, che preannunzia i l suo dramma di pupo che vuole essere rispettato, viene messa tra parentesi e, nonostante le sue resistenze, egli viene inviato a Palermo per riscattare i gioielli, come vuole Beatrice. Testardo, Ciampa, però, prima di partire, desidera con­ segnare alla signora le chiavi della porta dietro cui ha rinchiuso sua moglie. Egli fa notare esplicitamente la sua condizione di subalterno : BEATRICE. Ebbene? Che volete dire? Avreste da fare osservazioni? [ . . ] .

A Ciampa Quando ci sono tutte queste carte da cento . . . avanti, seguitate . . . C I AMPA. N iente, signora mia. Volevo dire che lei può prendersi i l gusto di muover le fila di un pupo e di farlo camm i nare fino a Palermo 14

Per una sottile civetteria e per umiliare i l marito, Beatrice vuole anche che Ciampa compri una collana uguale a quella donata dal cavalier Fiorìca a Nina Ciampa, secondo la testimoni anza della Saracena. Nella V scena Beatrice combina con il Delegato Spanò l ' intervento poliziesco mediante il quale devono essere colti in flagrante adulteri o il cavalier Fiorìca e N i na Ciampa. Nella VI scena lo scrivano propone a B eatrice con molta ironia di trattenere presso di sé in sua assenza la moglie Nina, per «mettere le mani avanti)), come dice lui, ma Beatrice si oppone.

14

lvi,

p. 6 5 2 .

Capitolo V l l l

I lO

Il ATTO

Nella I scena si preannunzia lo scandalo, che scoppierà nella I I scena. In questa si svela che l ' operazione innescata d a Beatrice e dal Delegato Spanò è scattata e che il cavalier Fiorica e Nina Ciampa sono stati arrestati. La madre di Beatrice e suo fratello Fifi sono fuori di sé . Nella I I I scena il Delegato Spanò spiega come si sono svolte le co­ se: non essendo stata sorpresa la coppia in flagrante adulterio, questo non è dimostrabile e sembra, anzi, dagli elementi raccolti, insussi­ stente. Nella IV scena compare Ciampa. La condizione fisica in cui si presenta rivela la sua debolezza psichica (è stato talmente emoti­ vamente scosso dallo scandalo che ha perso l ' equilibrio ed è caduto) . Ma nel morale conserva il suo distacco e ciò provoca un effetto grot­ tesco. Consegna gli oggetti prelevati al Banco dei Pegni di Palermo e dichiara di voler parlare con Beatrice. Poiché glielo negano, comincia ad esporre le sue ragioni : «CIAMPA. Sua sorella non ha fatto altro che prendere il mio nome - il mio . . . - si ricorda che j eri io qua parlai di pupi? - il mio pupo : buttarlo a terra, e, sopra una calcagnata - così ! Butta il cappello in terra e lo pesta col piede)) 1 5 Quindi dichiara u n suo sentimento d i solidarietà ri spetto alla signo­ ra Beatrice, commisera se stesso, piange; infine chiede nuovamente di parlare con la signora. Nella V scena Ciampa si pone come personaggio sommamente pa­ tetico e tragico, ma pur capace, nella sua serietà, di "condurre il gio­ co". Nonostante si sia chiarito che legalmente non è stata scoperta al­ cuna prova dell ' adulterio, si sente ferito. E riprende l ' argomento della scarsa considerazione che Beatrice ha avuto di lui : «CIAMPA E che cos ' ero io? Niente? Pietra d ' affilare? Mi gettava a terra; mi prendeva così, con due dita, come uno strofinaccio qualunque; mi buttava in un canto, proprio come se non ci fosse da fare nessun conto di me . . )) 1 6 • Dopo la divagazione lirica, già citata, in cui racconta che cosa può provare un marito tradito e innamorato, si dichiara disposto anche a capire la gelosia di Beatrice, ma non può accettare che lo si renda .

"

16

lvi, p . 674. lvi, p. 676.

La corda seria, la civile, la pazza: Il berretto a sonag l i

I l i

pubblico ludibrio (e in ciò assomiglia ali ' umiliato e ipersensibile Quaquèo piuttosto che al bovino Tararà). Egli vuole che si rispetti, che non si offenda i l suo «pupo». Si evidenzia la disparità del trattamento pubblico a seconda della situazione sociale: per il cavalier Fiorica può tornare tutto a posto, ma su di lui pesa un ' onta che va lavata col sangue. Per cui minaccia di ammazzare . Fifi, esprimendo il suo punto di vista borghese per cui ogni scan­ dalo è pazzia, gli dà l ' esca per ribaltare la situazione in suo favore : Ciampa afferma che si sentirebbe soddisfatto solo nel caso che la si­ gnora Beatrice acconsentisse ad apparire pazza agli occhi della gente, ricoverandosi in una casa di salute. La vera pazzia, secondo Ciampa, è svelare al pubblico la verità (e in ciò, tuffo sommato, non si discosta molto dalla mentalità di Fifi). Ma poi si scopre l ' amara saggezza del l ' intellettuale scrivano, ben lon­ tana da ogni frivolezza, da ogni tendenza all' accomodamento, da ogni superficialità : CIAMPA [ . . . ] Fare i l pazzo ! Potess i farlo io, come piacerebbe a me! Sferrare, signora, qua

indica la tempia sinistra col solito gesto per davvero tutta la corda pazza, cacciarmi fino agli orecchi i l berretto a sonagli della pazz i a e scendere in piazza a sputare in faccia alla gente 17 la verità

Quindi si svela appieno i l carattere ambiguo e grottesco del personaggio, che si dà a vistose manifestazioni di gioia, proclamando che la signora è pazza. È utile una considerazione, infine, in margine a questa analisi: oggi i Ciampa tengono ali ' onorabilità sociale? Le Beatrici tentano di vendi­ carsi dei torti subiti dai mariti? Ciò che sembra sopravvivere è la condizione della creatura emar­ ginata incapace magari di assurgere anche al sentimento di livore, soprattutto nelle articolazioni sottili che sono proprie di Ciampa. Que17 l v i ,

p.

683.

1 12

Capitolo V I I I

sta creatura oggi approda alla violenza o al suicidio senza pensarci su troppo e rischia di non tenere nemmeno più al «pupo», che è pur esso, in qualche modo, frutto di un mondo innervato di valori . Il rischio è di essere idioti (in latino il termine idiota significava "privato di ruoli pubblici" e lo slittamento semantico in italiano è significativo di quanto fosse penalizzato il cittadino romano che non seguisse un normale cursus honorum). Ciampa reclama, invece, ancora il suo diri tto a vivere per gli altri. La sofferenza dei personaggi di Pirandello (che è attinta anche - ma questo sarebbe da verificare - all ' esperienza biografica del l ' autore) mi è sempre parsa una chiave interpretativa per valutare l ' importanza delle sue opere. A maggior ragione negli anni in cui viviamo, che sembrano tesi ad esorcizzare qualsiasi tipo di sofferenza o di disagio interiore, ogni senso del sacro e del tragico. Come è stato finora vero che nel sondare i motivi del dolore dei personaggi di Pirandello il fruitore della sua arte è riuscito ad affron­ tare meglio il proprio personale impatto col mondo impervio, cosi è vero che in anni in cui la spettacolarità sembra aver prevalso su qual­ siasi tendenza alla riflessione, il Ciampa che rivendica i l diritto umano alla follia (abbandonandosi, alla fine del dramma, ad «un ' orribile ri­ sata, di rabbia, di selvaggio piacere e di disperazione a un tempO>)) resta un segnalatore di vita, un personaggio che vuole spettacolarizza­ re in modo non alienato i suoi sentimenti.

Capitolo IX Un duello singolare, in cui non si batte lo sfidante :

I l giuoco delle parti

In un primo tempo Pirandello intendeva intitolare il dramma Il giuoco delle parti Quando si è capito il giuoco, rendendolo omonimo di una novella pubblicata sul "Corriere della sera" il l O aprile 1 9 1 3 , ma accolta solo nel l ' ultimo volume delle Novelle per un anno, uscito postumo, Una giornata. Il 4 agosto del 1 9 1 8 scrive a Ruggero Ruggeri che ha modificato il titolo del dramma. La novella rifletteva un ambiente piccolo-bor­ ghese, mentre il dramma è collocato in un ceto sociale più alto. Come ri leva Alessandro D ' Amico gli stessi nomi dei protagonisti, da Mem­ mo e Cri stina Viola a Leone e Silia Gala, subiscono una trasformazio­ ne, denotando «una eleganza, una eccentricità alla quale non pretende­ vano quelli della novella» ' . Nella novella sono «tre stanzette modeste», i n cui s i è ridotto a vi­ vere Memmo Viola, dopo la separazione dalla moglie e ha una serva a ore con cui bisticcia per la cresta sui conti della spesa. Nel dramma Leone Gala ha un cameriere/cuoco filosofo, Filippo, detto Socrate, che difende strenuamente le abitudini del suo padrone contro la ventata ri­ voluzionaria portata da Silia e dal suo amante, i l cui nome proprio è mutato dal più semplice Gigi all ' elegante e virile Guido e il cui co­ gnome resta invariato, Venanzi. Nella novella c ' è bonomia e ironia nella presentazione del «buon Memmone», a cui capitano tutte le for­ tune, tanto per dire, perché egli si è tratto fuori del giuoco sociale e ai tesori della fortuna ha rinunciato da un pezzo. Memmo ha ricevuto la 1

A.

D ' AM I C O , Notizia,

in MN , vol . II. p. 1 1 9 .

Cap itolo

1 14

IX

grossa eredità di una vecchia zia sconosciuta, morta in Germania, on­ de ha potuto lasciare il posto di impiegato che ormai gli pesava. In compenso la moglie si è voluta separare da lui, contraendo il patto di una reciproca libertà. Memmo se ne è andato portando con sé i libri di fisica, di matematica e di filosofia e le stoviglie «che rappresentavano le più forti passioni della sua vita»2• Così nutriva in solitudine lo spi­ rito e i l corpo. Se non che un mattino, mentre stava ancora facendo il sonnellino del l ' oro, una forte scampanellata di sua moglie lo desta bruscamente . Cristina viene a dirgli ch 'egli è sfidato o deve sfidare, giacché lei non si intende di cose cavalleresche, ma ha con sé il bi­ glietto da visita dell 'uomo che l 'ha offesa in casa sua, dove è rimasta priva della protezione del marito. E, mentre Mernmo si lava e si veste sommariamente, gli racconta che la sera precedente, durante la cena, quattro signori ubriachi si sono introdotti con la violenza in casa sua e l ' hanno aggredita sconciamente, scambiandola per una certa Pepita, vicina di casa spagnola. Poi, chiarito l ' equivoco dello scambio di per­ sona, le hanno chiesto scusa, ma lei ha preteso il biglietto da visita di uno dei quattro signori col fine di lavare l ' oltraggio, avvenuto in pre­ senza degli inquilini del palazzo, accorsi in sua difesa. Memrno esce con la moglie per recarsi a casa di Gigi Venanzi, che gli dovrebbe fare da padrino, nonostante Cristina abbia asserito che avrebbe rifiutato e lo incontra in strada nei paraggi della propria abitazione. Gigi comu­ nica a Memmo che Miglioriti, di cui la moglie gli ha recato il biglietto da visita, è «la prima lama tra i dilettanti di Roma»3 e Memmo, con­ vinto che Gigi era in casa di Cristina al momento del l ' oltraggio, co­ mincia a ideare la trappola in cui farlo cadere. Pretende per il duello le condizioni più gravi , mentre ha già in mente di sfidare l ' autore dell ' of­ fesa e poi mandare a battersi Gigi Venanzi. E infatt i , dopo le racco­ mandazioni di questi di andare a dormire presto, poiché il duello si svolgerà l ' indomani all ' alba, si congeda da lui tranquillo, destando lo stupore di Gigi. Così la mattina dopo, quando questi va a chiamare Memmo, che trova ancora immerso nel sonno e gli va ad aprire in ca­ micia e con le brache in mano, si sente dire da lui che se il marito ha

1

NPUA, vol. p. 7 1 4 .

3 lvi,

cit., t. cit.,

p . 7 1 0.

Un duello singolare, in cui non si batte lo s fidante : 11 giuoco

delle parti

1 15

fatto il suo dovere, ch' era quello di sfidare, il compito di battersi spet­ ta a lui , amante di sua moglie. Gigi gli sputa «in faccia le ingiurie più sanguinose»4 e Memmo, per tutta risposta, gli ricorda che deve essere puntuale, poiché deve andare a battersi ed è tardi. Poi, per colmo d ' ironia, dopo che Gigi è sceso, si affaccia ancora svestito alla tromba delle scale, gridandogl i : «In bocca al lupo, caro, in bocca al lupm>5 ! Per quanto riguarda la riduzione scenica della novella, riporto in­ nanzitutto le parole di Alessandro D ' Amico, che bene inquadrano la pratica della sceneggiatura: Le prime tre scene - presen tazione dei personaggi e della situa­ zione - corri spondono alla pagina d ' apertura del racconto. I l resto del primo atto n e dramm a tizza l ' antefatto (inuzione dei signori ubriac h i ; S i l i a escogita la vendetta). Il secondo atto sce­ neggia la parte centrale e maggiore della novella (circa sei pa­ gine) riportandola a unità di luogo ( l ' appartamento di Leone), 6 mentre i l ter.lo è cavato dal l ' ultima mezza pagina

Il primo atto si apre infatti nel salotto di Silia Gala, «bizzarra mente addobbato»7• Sono in scena Silia Gala, moglie separata di Leone Gala e il suo amante, Guido Venanzi . Silia è personaggio inquieto, psicolo­ gicamente molto più intenso e articolato della inconsistente Cristina della novella: a pensieri pirandelliani sulla prigionia esistenziale alter­ na scatti smanio si verso l ' evasione e considerazioni interessanti sul mancato riconoscimento del gusto di essere donna e per ciò stesso og­ getto, non soggetto di piacere . È insofferente : non sopporta l ' amante, ma soprattutto si sente ancora schiava del marito per il solo fatto eh' e­ gli esista. Sembra non sapere quello che vuole: aborrisce il marito, che le ha concesso una parvenza di libertà, ma desidera eh' egli salga da lei ogni sera e si trattenga una mezz ' ora, come era nei patti . In realtà Silia non sopporta il predominio intellettuale di Leone, che la fa sentire an­ cora schiava, per cui vive il marito come un incubo e invoca la sua morte, che venga a liberare di quell ' uomo non solo lei, ma tutti . 4 '

lvi, p.7 1 8.

Ibidem . .

6 A . D ' AM I C O , Notizia. i n

7 MN ,

v o l . c i t . , p. 1 3 5 .

MN,

vo l . c i t . , pp. 1 1 8 1 1 9 .

1 16

Capitolo I X

Qui è introdotto Leone, senza alcuna didascalia, venuto a trascorre­ re la mezz ' ora: molte volte, quando apprende che non c ' è nulla di nuo­ vo, evita di salire, ma questa volta Silia dice alla cameriera di farlo venir su per il puro gusto di !asciarlo solo con Guido Venanzi (lei, in­ fatti , si ritira sveltamente nella stanza da pranzo, chiudendo la vetrata con cui questa comunica col salotto). Anche Guido, in un primo tem­ po, scompare dietro la vetrata, ma poi è spinto da Silia a entrare nel salotto dove è Leone. I l dialogo fra Leone e Guido è di una finezza estrema: il primo spiega come abbia escogitato i l rimedio per salvarsi dal male che fa necessariamente la vita. S i è svuotato di ogni passione e si limita a ve­ dere gli altri vivere, cedendo sempre ali 'altrui volontà . Invita Guido a fare altrettanto, ma questi rifiuta. Leone fa il paragone del caso con un uovo fresco che ti arriva al­ l ' improvviso addosso e se tu sei lesto a ghermirlo, lo fori e lo bevi , mentre ti rimane in mano il guscio, che è come il concetto. Silia, che ha origliato, si affaccia dalla vetrata, dimostra di avere inteso la meta­ fora e afferma di non essere un guscio vuoto nelle mani di Leone . Poi gli chiude la vetrata in faccia. L ' intera sostanza del dialogo era assente nella novella e la figura di Leone ne risulta molto arricchita e resa più fine, più accorta e sensibi­ le: per esempio quando parla di Silia e di certi suoi atteggiamenti tene­ ri , da bambina, in cui lei, secondo la tematica pirandelliana di Uno, nessuno e centomila, non si riconosce. Nell ' istante in cui Leone sta per uscire, poiché la mezz ' ora pattui­ ta è finita, Silia viene fuori dalla vetrata e gli consegna un guscio d ' uovo vuoto. Leone afferma di non aver bevuto lui quel l ' uovo e in­ siste nella metafora del rapporto amoroso con S i lia, consegnandolo a Guido . Quindi esce di scena. Dopo che i due amanti sono rimasti so­ li, Silia dichiara ancora una volta di voler uccidere i l marito. Guido, per scherzo, vuoi tirare addosso a Leone i l guscio d ' uovo dal balco­ ne, quando egli esce dal palazzo, ma Silia se ne appropria, afferman­ do di volere tirarlo lei. Cosl lo tira, ma il guscio, deviato dal vento, va a colpire un crocchio di quattro signori , che, provocati , decidono di sal ire . Guido desidera sempre più Silia e va ad aspettarla in came­ ra, poiché nel frattempo i quattro signori , che sono ubriachi, hanno suonato alla porta.

Un duello singolare, in cui non si batte lo sfidante: il giuoco delle parti

117

L a domestica cerca d i impedire loro i l passo, m a quelli , che si sono fatti aprire prendendo a pedate la porta con irruenza, entrano ugual­ mente e scambiano S i lia per una certa Pepita, spagnola di facili co­ stumi, che abita accanto a lei, i l che è preso di peso dalla novella. Silia ha un ' idea malvagia: provoca i quattro signori ubriachi e favorisce l ' equivoco per cui è stata scambiata per Pepita. Insomma si lascia of­ fendere e, per rendere più grave la cosa, manda a chiamare gli inqui­ lini del palazzo, col pretesto di farsi difendere, ma in realtà rendendo più grave l ' oltraggio, rendendolo pubblico. Inoltre chiude a chiave la porta della camera, per assicurarsi che non entri l ' amante e chiede il biglietto da visita agli intrusi . Solo i l marchese Miglioriti, di cui poi Venanzi dirà che è la prima lama della città, ne è provvisto e lo cede a S i lia. Questa, dopo aver provocato i quattro ubriachi fino a proporre di ballare per loro nuda in piazz a , davanti agli inquilini del palazzo rien­ tra nei ranghi, afferma di non voler accettare le scuse degli aggressori, che nel frattempo si sono resi conto dell ' equivoco, né concedere loro il perdono richiesto perfino in ginocchio. L ' atto si conclude con la sesta scena, in cui Venanzi è liberato e Si­ lia gli comunica che ha dovuto per forza chiuderlo dentro per portare ad effetto il suo progetto omicida nei confronti del marito. Inoltre non voleva essere compromessa dalla comparsa dell ' amante. Poi com­ misera i quattro ubriachi che l ' hanno offesa, è ferma sul punto della sfida a duello da parte di suo marito e si concede finalmente ali' aman­ te, che prima aveva allontanato . Il secondo e il terzo atto si svolgono in casa di Leone Gala, casa che evidenzia le sue due passioni : l ' intellettualità e la cucina. Non a caso il secondo atto si apre su Leone e il domestico/cuoco Filippo, detto Socra­ te intenti a sbattere un uovo per ciascuno, mentre Guido Venanzi assiste alla scena e Leone si distrae di tanto in tanto, destando le ire di Filippo, per parlare con l ' ospite di questioni filosofiche (è citato l ' europeo Ber­ gson, non l ' i taliano Bernardino Varisco, presente nella novella). L ' azione si dipana spedita. Una scampanellata furiosa introduce Si­ ha Gala, venuta per portare a termine i l suo malvagio proposito. Co­ munica a Leone che lui è sfidato o deve sfidare a duello Aldo M iglio­ riti per lavare l ' oltraggio che lei ha subito in casa sua. Guido non è d ' accordo e minimizza la cosa, sottolineando che i quattro autori del l ' offesa erano brilli. Così Leone capisce che Guido

Capitolo I X

1 18

era in casa di Silia al momento del l ' o ltraggio, ma Silia interviene af­ fermando che se lui si fosse fatto vedere l ' avrebbe compromessa. Leone è irridente nei confronti della moglie e di Guido. Così assecon­ da sua moglie nel volere il duello, ponendosi contro Guido, che non lo vorrebbe e in un primo momento si rifiuta di fare da padrino. Dopo poco si decide che Leone lo farà e che le condizioni del duello sararmo gravissime, prima alla pistola e poi alla spada. Leone afferma di essere felice che Silia abbia trovato finalmente un pemio intorno a cui girare, cioè il suo ruolo di marito e che anch ' egli si tiene stretto al suo pemio, cioè al suo ruolo di sfidante. Guido va via per allestire il duello ed entra il dottor Spiga, «chirur­ go esimio», a detta di Leone, spinto da questi in cucina, dove Filippo si è rifugiato, dopo aver minacciato di abbandonare la casa. Nella sesta scena i due coniugi restano soli e Silia si lascia vincere dalla rabbia, ma anche dallo sconforto e dal pentimento, considerando l ' arrendevolezza di Leone e la cattiveria di Guido, che pur di assecon­ darla, per conquistare il suo amore, sta organizzando un duello all ' ultimo sangue . A Silia, che gli ricorda come non sappia nemmeno tenere in mano una spada, Leone risponde con parole di estrema dignità: L E O N E N o n m i serve. Mi basterà, stai sicura, questa indiffe­ renza, per aver coraggio, non già davanti a un uomo, che

è nul­

la; ma davanti a tutti e sempre. V i vo in tal c l i ma, cara, che pos­ so non curarmi di niente; della morte come della vita. Figùrati poi del ridicolo degli uomini e dei loro meschini giudizi i . Non 8 temere. Ho capito i l giuoco •

La settima scena non manca di spunti umoristici : il dottor Spiga chiede a Filippo come dovrà vestirsi in occasione del duello, poiché non ha mai assistito a una competizione di quella portata; Leone gli ri­ sponde che nemmeno lui vi ha mai assistito e Filippo di presentarsi nudo. Nell ' ottava scena entra il B arelli, secondo padrino, che si dice scandalizzato per la situazione: si è dato un mandato tassativo, senza cercare di venire a un accordo e il Miglioriti è fuori di sé non tanto ' lvi,

p.

1 85 .

Un duello singolare, in cui non si batte lo sfidante: Il giuoco delle parti

1 19

contro Leone, quanto contro il Venanzi, ch' era in casa nel momento dello scandalo, non ha fatto niente per impedirlo e ora per giunta va a sfidarlo. Silia, udendo che il duello si farà prima alla pistola e poi alla spada, esclama che si tratta di un assassinio. I l duello avverrà negli or­ ti sotto la casa di Leone il giorno seguente alle sette . Barelli ha portato le pistole e le spade e in serata verrà con Venanzi per insegnare a Leo­ ne come si impugna una spada e farlo esercitare. Ma Leone si tiene fuori , dicendo che con le spade scherzeranno il Barelli e il Venanzi e lui starà a guardare . Egli vuole essere lasciato tranquillo. Barelli e Spiga prendono congedo e il protagonista viene lasciato nuovamente solo con Silia nella nona scena, ultima dell ' atto. C ' è un sentimento di ammirazione nella donna, che la porta quasi a donarsi al marito, ma questi non vuole abbandonarsi alle passio­ ni/belve di cui egli è il domatore, anche se ne ride, e ciò gli impedi­ rebbe di continuare il suo giuoco : SILIA (supplice) Ma come fai tu? LEONE (dopo una pausa. con gesto vago e triste) M' astraggo. Pausa. Credi che non sorgano impeti di sentimenti anche in me? Ma io non l i faccio scatenare; io li afferro, l i domo, l i inchiodo. Hai visto le belve e i l domatore nei serragli? Ma non credere : io, che pure sono il domatore, poi rido di me perché mi vedo come tale in questa parte che mi sono imposta verso i miei sentimen­ ti; e ti giuro che qualche volta mi verrebbe voglia di farmi sbranare da una di queste belve . . . anche da te, che ora mi guar­ di così mansueta e pentita . . . Ma n o ' perché, credi: è tutto un giuoco. E questo sarebbe l ' ultimo e toglierebbe per sempre il gusto di tutti gli altri . No, n o . . . Vai, vai . . 9 .

Leone, alla proposta che gli fa Silia di rimanere a casa sua, ribatte che vuole essere lasciato tranquillo, per abbandonarsi al suo sonno senza sogni (al contrario di Silia, il cui vero amore è il sonno, proprio perché la fa subito sognare) e vieta alla moglie di venire da lui sia più 9 1vi,

p. l 93.

Capitolo

1 20

IX

tardi che l ' indomani mattina. Silia esce di scena e Filippo serve la ce­ na a Leone, che «resta un po' assorto a pensare, poi si volta e s ' incam­ mina per sedere a tavola» 10• I l terzo atto si apre all' alba del giorno seguente . N ella prima scena la stanza è vuota e quasi buia. S i ode suonare il campanello della porta e Filippo, borbottando, va ad aprire. Entra in scena il dottor Spiga in stiffelius e cappello a stajo, con due borse colme di strumenti chirurgi­ ci: egli, che non ha chiuso occhio tutta la notte per preparare tutto, vuole impadronirsi prima del tavolo della colazione, poi, per il divieto oppostogli da Filippo, della scrivania, per disporre i ferri e, dopo un nuovo divieto, ripiega su un tavolino. La disposizione dei ferri, contro l ' ostracismo di Filippo, ha risvolti comici. Sono le 6 e 25 e i padrini suonano alla porta. Nella seconda scena i padrini si stupiscono che Leone dorma anco­ ra e lo svegliano con irruenza. Nella terza scena Leone svela il suo giuoco : quanto a sfidare lo ha fatto lui, consapevole del suo ruolo di marito, ma quanto a battersi, tocca a Guido Venanzi. Leone ha uno strano fascino, con la sua intelligenza di ragno che tesse la tela in cui intrappolare l ' avversario e anticipa la crudeltà, l ' ambiguità, la furbizia di un altro grande eroe solitario scaturito dalla fantasia de li ' autore : l ' Enrico IV del l ' omonimo dramma. Alla fine della terza scena fa ingresso Silia e nella quarta scena Leo­ ne si vendica di lei, che lo accusa di essersi svergognato, dichiarando­ le che la sua vergogna è proprio lei. A sua volta Silia demonizza i l marito. L ' azione precipita e si apprende c h e Venanzi è morto, mentre nella novella l ' esito finale era lasciato nel l ' ambiguità. Nel testo scritto Leone rimane impietrito e non si muove, assorto in una cupa gravità 1 1 , anche quando Filippo gli reca la colazione. Nell' interpretazione di Ruggeri il finale era trasformato in un senso molto più cinico: Leone si sedeva a tavola e consumava placidamente il pasto, dopo aver appreso che Venanzi era morto. Ciò accadde in tut­ te le repl iche, tranne che in quella svoltasi a Genova' ' .

IO Jvi, 11 12

lvi,

p. p.

} 94 . 2 06 .

Cfr. A . D ' AMICO,

op. cit .. p. 1 2 3 , che a riguardo cita tutte l e fonti g i o rna l i st i c h e , con­

tenenti l e critiche a l l e rec i te del l ' attore .

Un duello s ingolare, in cui non si batte lo sfidante :

Il giuoco delle parti

121

Per quanto concerne l ' ori gine autobiografica de Il giuoco delle par­ ti (il seme) è da rilevare che proprio nel l ' anno in cui lo scrisse l ' autore cercava di svuotarsi di tutte le passioni (come Leone Gala), poiché lo stato av anza to della malattia mentale della moglie lo aveva obbligato a farlo. Risale infatti ali ' anno successivo i l definitivo ricovero di lei in casa di cura, dove l ' accompagnò i l figlio Stefano, da poco tornato dal­ la prigionia. D ' altronde anche la novella Quando si è capito il giuoco, pubblicata nel 1 9 1 3 (il germoglio), risale a un ' epoca in cui Pirandello, tormentato dalle condizioni mentali di Antonietta Portolano e, in par­ ticolare, dalla sua morbosa gelosia, aspirava a ritagliarsi uno spazio suo proprio in cui rifugiarsi, per difendersi dall ' i nvadenza della mo­ glie nella sua vita personale. Dal 1 903, anno de li ' al lagamento della solfara, in cui andò persa la dote di Antonietta, al 1 9 1 8 la malattia di questa era andata sempre più aggravandosi, con riflessi drammatici nella vita interiore del l ' autore. Ciò è testimoniato dalle scenate di ge­ losia nei ri guardi delle sue allieve e dal l ' insinuazione che Pirandello avrebbe avuto un rapporto incestuoso con la figlia Lietta, cosa che spinse questa a tentare i l suicidio e fu la ragione per cui fu costretta a riparare da una zia a Firenze, allontanandosi dalla famiglia1 3 •

13 grafia.

Per questo ed altro cfr. l e varie bi ografie d i P i rande l l o , in c a l c e a l volume, nel l a b i b l i o­

Capitolo X Un personaggio schiacciato dalle apparenze: Martino Lari di

Tutto per bene.

Pirandello, nello scrivere a Ruggeri per annunziargli che sta per scrivere Tutto per bene espone la trama del dramma e poi commenta: «Questa la commedia, veduta dalla parte degli altri . Ella se la imma­ gini, Amico mio, veduta e vissuta dalla parte del protagonista, uomo austero, di molta buona fede, d ' alto intelletto, schivo di modi e tutto raccolto in una grande pena» ' . I n questa lettera l ' autore non fa menzione della novella da cui è tratto il dramma, e a ragione, poiché questo è divenuto tutt ' altra cosa e comprende, sviluppandola, come si evince dalle p arole citate, la pro­ blematica della relatività, quale si è venuta evolvendo nelle sue opere, da Pensaci, Giacomino ! a Così è (se vi pare) a Il piacere dell 'onestà, e che si evolverà ancora lungo il corso di tutta la sua produzione, ca­ ratterizzandola. Anche Luigi Squarzina, dopo essersi preso la briga di reperire ri­ scontri puntuali fra il dramma pirandelliano e alcuni testi narrativi e drammatici che l ' autore doveva aver presenti , come Pane altrni ( 1 848) di Turgenev, Les bijoux ( 1 8 8 3 ) di Guy de Maupassant, L 'ana­ tra selvatica ( 1 8 84) di Ibsen, La famegia del sàntolo ( 1 892) di Giacin­ to Gallina, Tramonto ( 1 906) di Renato Simoni, conclude ri levando che le sue incursioni in tali testi , di autori non sempre all ' altezza di Pi­ randello, gli sono servite solo a indagare nel laboratorio del l ' autore 1 L. P I RANDELLO, Da Roma, 7 d icembre 1 9 1 9, Lettere di Pirandello a Ruggeri,

Dramma>>, n . 227-2 2 8 , agosto-settembre 1 9 5 5 , vol . c i t . ,

p.

3 9 4)

.

pp.

5 9 - 7 0 (cfr. A . D ' A m ico, Notizia, i n

«il

MN ,

1 24

Capitolo X

«per notare come nessuno spregio egli manifesti per gli ingredienti di ' vecchio teatro ' che si trovava attomo»2• Squarzina prosegue: «Le sequenze qui segnalate non sono che po­ che caselle nel suo colossale schema di parole incrociate, che divente­ rà anche ripetitivo (un' opera musiva in cui le tessere continuano a ri­ proporsi accostate diversamente )»3 • Ciò che distingue massimamente la novella Tutto per bene del 1 906 dall ' omonimo dramma è la costruzione, perché mentre nella novella il dipanarsi degli eventi prosegue secondo una diacronia piana e conse­ quenziale, nel dramma i fatti sono raccontati à rebours e centro dell ' azione è il matrimonio della figlia di M artino Lori col marchese Flavio Gualdi, partito che le è stato recato in dono dal padre naturale Salvo Manfroni (Marco Verona nella novella). La tecnica drammaturgica, dali ' autore esibita con gran dispiega­ mento di mezzi, comporta l ' inserimento della rivelazione per cui Mar­ tino Lori comprende di essere stato tradito dalla moglie. Ciò avviene in una scena madre in cui la figlia Palma, entrata nel salotto della sua nuova casa avvolto dalla penombra, crede di parlare a Salvo Manfroni seduto in poltrona di spal le a lei e lo apostrofa come papà, non essen­ dosi avveduta che là siede Martino Lori : lo scambio di persona, vieto mezzo della tecnica drammaturgica tradizionale, diviene quindi il pun­ to nevralgico dopo il quale il protagonista si avvede di essere stato trattato nemmeno come un imbecille o un ingenuo, ma come un vile, che, sapendo del tradimento, lasciava per suo tornaconto che il Man­ froni gli usurpasse il ruolo di padre. L ' onomastica è variata e forse adattata al gusto del clima stori co giolittiano, prefascista e dannunziano, non più umbertino, in cui si svolge l ' azione : Ginetta diventa Palma, Ascensi diviene Agliani, Mar­ co Verona si trasforma in Salvo Manfroni, casualmente vero cognome di un senatore, Camillo Manfroni, che verso il 1 932-' 3 3 se ne adontò•. Giustamente Pau! Renucci ha rilevato errori di cronologia nel l ' e­ sposizione de l i ' antefatto del dramma5• 2

L . SQUARZINA, Questa sera Pirandello.

4

Cfr. A . D ' AMJCO, op. cit. , p . 3 9 7 .

1 lvi, p.6 1 .

c i t . , p . c i t.

5 L. PIRANDELLO, Théatre compiei, v o l . I , édition publiée sous la direction de

Paul Renucci,

>,

Gallimard, Paris 1 977, p. 1 3 09.

Un personaggio schiacciato dalle apparenze

1 25

Come rileva Alessandro D ' Amico, «i primi quattro capitoli del rac­ conto vengono a costituire (ma con sensibili modifiche) l ' antefatto della commedia [ . . . ] Il terzo atto, nello studio di Manfroni [ . . . ] non ha invece alcun riscontro nelle pagine narrative»6• La novella parla della signorina Silvia Ascensi, figlia di un i llustre fisico morto prematuramente per un «accidente di gabinetto», costretta a venire a chiedere un trasferimento da Perugia in un qualsiasi luogo, dapprima, e poi, una volta innamoratasi della capitale, a Roma, del suo posto di insegnante, poiché, morto il padre, si trova a disagio in quella città di provincia per la presenza in essa della madre, ricca ve­ dova passata a seconde nozze, che gode di una cattiva fama e aveva abbandonato il marito per andare a convivere con un altro uomo. Nel dramma costei ha l ' ardire di presentarsi con un regalo in occa­ sione delle nozze di Palma, in compagnia di un figlio avuto col secon­ do marito, nella casa del genero, approfittando del fatto che sono pas­ sati molti anni dalla morte della figlia e la sua apparizione ha movenze comiche, quando non grottesche. Silvia, nella prosecuzione della novella, a causa della stima di cui godeva suo padre e della sua avvenenza, ha facile accesso al cuore di M arco Verona, ex alunno del fisico Ascensi, ora giovane deputato, il quale la presenta a Martino Lori , «segretario di prima classe, che reg­ geva in quel momento l ' intera divisione» presso il Ministero della Pubblica Istruzione. Anche M artino Lori, compito e scrupoloso im­ piegato, subisce il fascino di Silvia, tanto che, non potendo procurarle l ' agognato trasferimento, finisce col chiederla in moglie allo stesso Verona. Qui finisce il primo paragrafo della novella. Il secondo paragrafo racconta la cattiva riuscita del matrimonio nei primi tre anni, fino alla decisione di S i lvia di lasci are il marito. Questi viene convocato dal Verona, che lo nomina suo personale collaborato­ re, ora eh' egli è divenuto Sottosegretario di Stato, e gli promette che, rientrando a casa, vi troverà sua moglie. Nel terzo paragrafo si narra del pentimento di Silvia, che torna con affetto al marito, prodigandogli molte cure, e della nascita di una fi­ glia.

6A. D ' AMICO, op. cit. , pp. 3 96-- 3 9 7 .

1 26

Capitolo X

Marco Verona si occupa di sviluppare un progetto scientifico la­ sciato incompiuto dal l ' Ascensi, indagando fra le sue c arte e Si lvia ne è felicissima. Nel dramma invece il Manfroni ruberà gli spunti ideativi del­ l' Agli ani, conseguendo una fama altissima come scienziato in modo fraudolento. Sempre nel terzo paragrafo della novella si narra del l ' amarezza da cui viene colpito il Verona, amarezza attribuita dal Lori al suo ritiro dalla vita politica in seguito ad una crisi mini steriale. Dalla sua pro­ strazione il Verona si ri solleva colmando di doni costosi la piccola Ginetta, giocando con lei e accompagnandola più in là, essendo di­ venuta la bambina un' adolescente, a seguire i concerti, per cui lei mostra un vivo interessamento (questo particolare è assente nel dramma, in cui Si lvia muore quando Palma ha tre anni e infatti l ' occasione in cui contrae la malattia che le sarà fatale non è l ' accompagnamento di Ginetta a un concerto, ma di Palma, che ha tre ann i , ad assistere ad uno spettacolo circense). Il terzo paragrafo narra anche del sentimento di avversità provato da S i lvia nei con­ fronti del Verona da quando si è dimostrato invadente frequentando troppo assiduamente la loro casa e dimostrando un morboso attacca­ mento per la piccola Ginetta. Con la notizia della repentina morte di Si lvia si conclude i l terzo paragrafo. Nel quarto capitolo si parla dello sbigottimento in cui cade il Lo­ ri dopo la morte della moglie e della scena in cui il Verona è sor­ preso dal Lori a vegliare il cadavere di S i lvia mentre è scosso da singhiozzi e respinge vio lentemente l ' amico, che vorrebbe piangere con lui , per cui questi crede eh ' egli sia turbato dal rimorso per aver spinto S i lvia ad uscire, con la conseguenza di contrarre l ' esiziale malattia. Tale scena costituisce un precedente importante perché al momento opportuno comparirà nella mente del Lori a testimoniargli l ' avvenuto adulterio di Si lvia, che ha avuto come amante il Verona. A proposito della reazione del Lori dopo che assiste alla scena su citata qui appare un blocco sintagmatico che sarà trasportato quasi in­ tegro nel dramma : «Gli pareva, ora, di veder tutto diversamente, e che i rumori gli arrivassero come di lontano, e le voci, le voci stesse a lui

Un personaggio schiacciato dalle apparenze

1 27

più note, quella del l ' amico, quella della propria figliuola, avessero un suono ch ' egli non aveva mai prima avvertito))'. Nel primo atto del dramma la governante/amica di Palma, signorina Cei, personaggio assente nella novella, cosi si esprime, parlando con la Barbetti, nonna di Palma per parte materna, a proposito del Lori, che è detto «svanito ancora, dopo tanti anni, per la morte della sua compagna)) : «SIGNORINA CEI Ha certi occhi . . . non so! Vedesse come guarda ! come ascolta ! Come se le cose, i rumori , le voci stesse a lui più note, quella della figlia, del l ' amico, avessero un aspetto, un suono, eh' egli non riuscisse più ad avvertire))'. Nel dramma le parole si fanno descrizione, che si riferisce al perso­ naggio e quasi lo introduce, rinforzando la didascalia e comunicando le sue caratteristiche direttamente al pubblico. In tali accostamenti si evidenzia l ' opera musiva di Pirandello, di cui parla Squarzina, ma anche quella di autore di plagi nei propri con­ fronti, di cui parla Renato Barilli9• Altro episodio espressivo analogo si ha nel seguente passo: Rivelava, parlando, un ingegno lucido e preciso, un' an ima im­ periosa; ma quella lucidità man mano era turbata e quella impe­ riosità v inta e sopraffatta da una grazia irresistibile che le affio­ rava in volto, vampando. Ella notava con dispetto che, a poco a poco, le sue parole, il suo ragionamento, non avevano più efficacia, poiché chi stava ad ascoltarla era tratto p iuttosto ad ammirare quella grazia e a bearsene. Allora, nel volto infocato, un po' per la stizza, un po ' per l ' ebbrezza, che istintivamente e suo malgrado le cagionava i l trionfo della sua femminilità, ella si confondeva; il sorriso di chi la amm i rava, si rifletteva, senza che lei lo volesse, anche su le sue labbra; scoteva con una rabbietta il capo, si stringeva nelle spalle e troncava il discorso, dichiarando di non saper 10 parlare, di non sapersi esprimere.

Il blocco sintagmatico nella commedia diviene p i ù agi le e sciolto, adattato alle esigenze della tecnica drammaturgica, e viene inserito 7 NPUA, v o l . I ,

8

t. I , p . 3 7 3 .

MN , c i t . , p.42 7 .

9 C fr . 10

R. BARILL I ,

NPUA, vol.

op. cit. , passim. ci t., t. cit., pp. 3 60-36 1 .

1 28

Capitolo X

come un ricordo di Martino Lori , durante il dialogo col cameriere ali ' inizio del terzo atto: LORI [ . . ] Era bella . . Che occhi, quando parlava' S ' accendeva tutta ! [. . .] Lucida, precisa . . . [ .] E voleva dominare, con l ' intelligenza. Ma una donna, quando è bella . . . Le si guardano gli occhi, la bocca . . . come è fatta . . . E si sorride a quelle labbra che parlano, senza badare a ciò che dicono. Se n ' accorgeva ubito, lei, e se ne stizziva; ma poi donna sorri­ deva di quello stesso sorriso di chi le guardava le labbra . . . Ciò che voleva dire rispondere al bacio che quegli occhi le dava" no . . . .





La novella prosegue con l a narrazione dell 'improvvisa crescita di Ginetta, della frequentazione disinvolta da parte di Marco Verona del­ la casa del Lori , dopo ch' egli ha conseguito fama e una nomina a se­ natore con la pubblicazione de l i ' opera tratta dagli appunti de l i ' Ascen­ si. Il Lori , che ha contratto l ' abitudine di recarsi quotidianamente al cimitero per onorare la tomba della moglie, abitudine da cui tutti ten­ tano di dissuaderlo, si ritiene onorato de l i ' amicizia che il Verona ac­ corda a un pover' uomo come lui e accoglie con titubanza la notizia del regalo offerto dal Verona a Ginetta per il diciottesimo compleanno: un fidanzamento col marchese Flavio Gualdi, che lo mette in imbarazzo per la disparità sociale esistente fra lui e il futuro genero. Così si con­ clude il quarto paragrafo. Nel quinto paragrafo si manifesta il gelo venutosi a creare tra il ge­ nero e il Lori (il matrimonio si dà come implicitamente avvenuto, mentre nella versione drammatica assumerà un grande ri lievo e sarà presentato in atto). Uguale è nella novella e nel dramma la condizione di emarginazione in cui viene a trovarsi il Lori dopo il matrimonio della figlia, quasi che la figlia, si dice nella novella, fosse venuta al Gualdi non da lui, ma dal Verona, mentre quest ' ultimo non lo fre­ quenta più, nemmeno per sbaglio, e si reca soltanto a casa dei novelli 11

MN. vol.

Clt.,

p. 480.

Un personaggio schiacciato dalle apparenze

1 29

sposi. Quando il Lori vi si reca anche lui, viene accolto con gelo, tanto ch' egli tenta di astenersi completamente dalle sue visite alla figlia, per vedere che cosa accade, ma conseguendo l ' unico risultato che Ginetta, i l Gualdi e il Verona non mostrano nemmeno di accorgersene. A questo punto si ha la rivelazione per i l Lori , per un baleno della mente ; ritorna con la mente alla notte in cui aveva sorpreso i l Verona nel l ' atto di singhiozzare, mentre vegliava il cadavere di Si lvia e com­ prende la veri tà, che nel l ' opera drammatica è rivelata dal l ' espediente di uno scambio di persona, con un colpo di scena: il Verona era stato l ' amante di sua moglie e aveva forse per giunta pensato ch ' egli ne fos­ se a conoscenza e tacesse per puro tornaconto. Il Lori nella novella comprende questa amara verità in totale solitudine e mancano i potenti ri flessi drammatici della sua presa di coscienza presenti nel terzo atto del dramma. Il protagonista si convince che la meno perfida fra tutti «era stata colei che s ' era pentita subito dopo il fallo ed era morta». La novella si conclude molto delicatamente con l ' ennesima visita del Lori al cimitero : «A v eva qualche cosa di nuovo da dire alla morta, quella sera» 12• La riduzione della novella in dramma comporta u n impianto sceni­ co funzionale ad esso. In primo piano nel primo atto è i l matrimonio di Palma, figlia del Lori , col marchese Flavio Gualdi . Rileva Alessandro D ' Amico: L a necessità d i esporre l 'antefatto

è

risolta, come di consueto,

con l ' introduzione di nuovi personagg i , che qui appare singo­ larmente attenta alle necessità dei ruoli teatra l i del tempo: una parte per la caratterista ( la Barbetti ) , una parte per il giovane bril lante ( il figlio della Barbetti ) , una parte per la seconda don­

na (la signorina Cei , l ' unica che abbia una giusti ficazione non 13

puramente pratica)

L ' antefatto è esposto dal comico interloquire della B arbetti con l a signorina Cei, personaggio anch ' esso inserito per esigenze d i dinami­ cità del dettato, per cui a questo proposito non sono d ' accordo col D ' Amico, e col figlio Carletto, avuto da una relazione extraconiugale 1 2 NPUA, vol. cit., t . cit., p . 3 8 0 . 1 3 A . D ' AMICO, op. cit . , p . 3 9 7 . .

1 30

Capitolo X

quando era vivo il fisico Bernardo Agliani, suo primo marito : tale re­ lazione era poi sfociata, alla morte di questi, in un regolare secondo matrimonio. Efficaci sono ancora le parole di Alessandro D ' Amico: Baldovino e G a l a , i d u e personaggi ideati precedentemente pe r Ruggeri , avevano in comune u n a caratteristica: quando compa­ rivano in scena si erano già assegnati più o meno l iberamente una ' maschera ' , una parte da rec itare nella vita, nella convin­ zione o almeno nel tentativo di sapersene difendere . Al contra­ rio Martino Lori, a l l ' inizio di

Tut/o per bene, c i viene incontro

ignaro di tutto, disarmato e disarmante. Anche lui rec ita una parte (anzi più d ' una, e da vent ' anni)

ma senza saper/o. Per la

prima volta Pirandello mostra in atto la metamorfosi del perso­ 14 naggio, da l l ' incoscienza alla coscienza •

I l primo atto è ambientato in un salotto di passaggio di casa Lori, che ha u n arredamento «signorile, m a non dovizioso», tale da rappre­ sentare il ceto medio cui appartiene il protagonista. Carlo Clarino e la Barbetti , sessantatreenne, col cappello, sono una coppia bislacca, lui con